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www.luiginovarese.org RIVISTA MENSILE DEL CENTRO VOLONTARI DELLA SOFFERENZA Aprile 2016 4 Poste Italiane spa spedizione in a.p. D.L.353/03 (conv. In L.27/02/2004 N°46) art.1 comma 2 e 3 AUT C/RM/103 2004 ANC RA L’ O Misericordia: è la via che unisce Dio e l’uomo Francesco Misericordiae Vultus

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www.luiginovarese.org

RIVISTA MENSILE

dEL centro volontari

della sofferenza

Aprile 2016 4

Poste Italiane spa spedizione in a.p. D.L.353/03 (conv. In L.27/02/2004 N°46) art.1 comma 2 e 3 AUT C/RM/103 2004

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Misericordia: è la viache unisce Dio e l’uomo FrancescoMisericordiae Vultus

il tuo

per l’associazionesilenziosi

oPeRai Della cRoce

Per l’accoglienza,la cura e la formazionescolastica dei bambini

disabili a Mouda!

80159770587il codice da utilizzare è:

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di Janusz MalskiModeratore generale dei SOdC

Sono l’Angelo della Pace…

Editoriale 4/2016AncorAL’

Quest’anno ricorre il centenario delle apparizio-ni dell’Angelo del Portogallo ai tre pastorelli di Fatima.Era la primavera del 1916. Mentre i tre piccoli Lucia, Giacinta e Francesco sostavano al pascolo sulla collina del Cabeço, videro un giovane che si dirigeva verso di loro, un giovane tutto avvol-to di luce. I bambini inizialmente si spaventaro-no, ma quando questa figura luminosa gli giunse vicino disse: “Non temete, sono l’Angelo della Pace, pregate con me. E inginocchiatosi piegò la fronte fino a terra e recitò per tre volte que-sta preghiera: Dio mio, io credo, adoro, spero e Vi amo. Io Vi domando perdono per coloro che non credono, non adorano, non sperano, non Vi amano”. Quindi continuò dicendo: “Pregate co-sì. I cuori di Gesù e di Maria ascoltano la voce delle vostre suppliche”. Poi scomparve.Dopo questa prima apparizione dell’Angelo, ve ne saranno altre due, in estate e in autunno, che prepareranno il terreno a quelle della Vergine Santa, che saranno in tutto sei: la prima appari-zione il 13 maggio 1917 e l’ultima il 13 ottobre dello stesso anno.A Fatima i temi della penitenza e della conver-sione ricorrono in tutte le apparizioni, tanto dell’Angelo come della Vergine Santa, e trove-ranno una loro manifestazione nelle mortifica-zioni che i tre pastorelli vivranno come occa-sioni per consolare Gesù. Penitenza è, infatti, cambiare vita e per questa conversione è neces-saria la pratica di veri e propri atti penitenziali, accettando i sacrifici della vita quotidiana, che comprendono anche il lavoro e il dolore.Ma la figura dell’Angelo, inteso come messagge-ro di Dio, è importante anche per quanto riguar-da l’annuncio della Resurrezione di Cristo Gesù: “Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È ri-sorto, non è qui” (Mc 16, 6).Per il beato Luigi Novarese le figure angeliche sono molto importanti e dovremmo riuscire a di-ventare noi stessi angeli, soprattutto quando ci

avviciniamo ai nostri fratelli e sorelle sofferen-ti. Dice il beato Novarese: “Presso gli ammalati occorrono angeli che non si avvertono quando assistono, ma ci si accorge di loro quando man-cano. La prima attività è vivere per Dio, dare spazio a Dio, essere accanto a lui, angeli inter-cessori per l’umanità: quella è la prima attività vostra”.In questo Anno straordinario della misericordia siamo invitati ad avere sempre più fiducia nell’a-more fedele di Dio e con le nostre opere dobbia-mo rendere viva la presenza di Dio nei nostri fra-telli e sorelle sofferenti.Vi auguro un buon cammino verso le prossime attività associative e soprattutto vi esorto a pre-pararvi bene per gli Esercizi spirituali che si ter-ranno nelle nostre Case. Grazie per le preghiere e le offerte a sostegno della nostra Opera. ■

Fondatore: Mons. Luigi NovareseDirettore responsabile: Filippo Di Giacomo

Legale rappresentante: Giovan Giuseppe TorreRedazione:

Samar Al Nameh,Mauro Anselmo, Armando Aufiero,Marisa Basello, Mara Strazzacappa

Segretario di redazione: Carmine Di PintoProgetto grafico e Art direction:

Nevio De ZoltHanno collaborato:

Alessandro Anselmo, Ilaria Barigazzi, Giovanna Bettiol, Cristian Catacchio, Giosy Cento, Felice Di

Giandomenico, Leonardo Nunzio Di Taranto, Letizia Ferraris, Maria Teresa Lisco, Janusz Malski, Armando

Magliani, Walter Mazzoni, Antonella Monopoli, Mario Morigi, Mauro Orsatti, Mara Strazzacappa, Michele

Tancredi Loiudice, Alex Zanotelli

Foto di copertina: Christophe Billardo

Foto: Sir: pp. 20, 22; Francesco Aufiero: p. 15; Pixabay: pp. 6, 13, 17, 18, 19, 21, 32, 39;

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Disegni: Nevio De Zolt: p. 33Giovanna Bettiol: p. 31

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del 8/9/1986 nuova serie già registrata al Tribunale di Roma n°1516 del 19/4/1950

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Finito di stampare: Febbraio 2016

Periodico associato all’Unione Stampa Periodica Italiana

AncorA

L’

RIVISTAMENSILE dEL

centro volontari

della sofferenza

Aprile2016

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3 Sono l’Angelo della Pace… Janusz Malski

6 Vivere la vita di Dio in noi di Angela Petitti

8 La GMG a Cracovia di Cristian Catacchio

10 I preti prima ‘del’ prete di Mario Morigi

12 Gli operatori pastorali della salute di Leonardo Nunzio di Taranto

14 Novarese: “Il malato non è la malattia” A cura della Redazione

17 Un Giubileo sabbatico per i poveri della Terra di Alex Zanotelli

20 La misericordia guarisce le ferite e cambia la storia di Alessandro Anselmo

23 Vi raccontiamo Luigi

lectio27 Prossimo si diventa. La parabola del buon samaritano (Lc 10, 25-37) di Mauro Orsatti

celebrazione31 Luce sul mio cammino di Giovanna Bettiol

33 Sopportare pazientemente le persone moleste di Michele Tancredi Loiudice

36 Per una salute totale di Mara Strazzacappa

38 Ma che hanno dentro questi ragazzi!?... di Giosy Cento

40 Corsi professionali per malati psichici A cura della Redazione

41 Grazie... su grazie a cura dii Felice di Giandomenico

42 Incontro regionale43 Scuola Associativa43 Misericordia è speranza44 Spunti di riflessione44 “I volti della sofferenza oggi”45 65° Pellegrinaggio a Lourdes

inascolto

informazione

indialogo

noicvs

una guida che continua

editoriale

l’Ancora dei piccoli

4/2016AncorAL’

Volontario della Sofferen-za, per inserirsi nel pro-gramma dell’Immacolata,

deve proporsi di vivere in gra-zia di Dio. È, in fondo, questo il vero e profondo impegno che abbraccia non soltanto il Vo-lontario della Sofferenza, ma anche il Fratello degli Amma-lati”. Il beato Luigi Novarese ci tie-ne a dire che si è partecipi del-la sua Opera prima di tutto se ci si propone di vivere in gra-zia di Dio.“Non è forse la grazia, che è partecipazione della vita di Dio al battezzato, il grande frutto della Redenzione, frutto offer-

di Angela Petitti

“Il toci non soltanto dall’Imma-colata con la sua divina ma-ternità, ma donatoci dal Cristo a prezzo del suo preziosissimo sangue?”. La grazia è il dono dei doni di Dio, la nuova moda-lità di vivere da cristiani: “Dalla sua pienezza (di Cristo) noi tut-ti abbiamo ricevuto: grazia su grazia” (Gv 1, 16).L’espressione grazia su grazia di Giovanni indica la misura senza misura con cui Dio ama ogni uomo e il suo desiderio in-finito di donare a tutti il suo amore, la sua vita. Per questo, monsignor Novarese ci ricorda-va che il dono di grazia lo ab-biamo ricevuto dalla esuberan-

za del dono della vita di Cristo, “a prezzo del suo preziosissimo sangue”. Non senza sofferenza ci viene consegnato questo do-no perché, per esso, Gesù è an-dato senza paura fino al pun-to più estremo della vita, la morte. Per questo san Paolo ci esorta a “non accogliere inva-no la grazia di Dio” (2Cor 6, 1).Come si rende vana la grazia di Dio? Ci sono tanti modi e tut-ti confluiscono nell’esperienza di peccato che è proprio la re-altà opposta alla grazia. Mentre la grazia è il dono di Dio, il pec-cato è scelta dell’uomo. Nel pri-mo caso, si riconosce il primato a Dio, primato di amore, di li-

una guida che continua

6

Viverela vita di Dio

in noiUn’idea ricorrente,

una preoccupazione spirituale semprepresente, quella della meravigliosa

presenza di Dio in noi che diventa grazia.Presenza discreta ma operante,

capace di dilatare gli spazi interiorie di rendere la persona capace

di accogliere e di vivere da figlio di Dio.

4/2016AncorAL’

Santuariodi Oropa (Biella).

Sorella ElviraMyriam Psorulla

(al centro) con Vittorina Roseano (a sinistra)

e Bruna Burba ai primi Esercizi spirituali

per gli ammalati e disabiliorganizzati dal beato

Luigi Novaresedal 9 al 16 settembre 1952.

foto storica

bertà, di verità. Nel secondo ci si crede autori e perfezionatori della propria vita, come se Dio non avesse niente a che fare con noi, perché ci consideria-mo adulti in grado di sceglie-re da soli ciò che è bene e ciò che non lo è. Come dice il beato Luigi Novarese, “si oppone allo stato di grazia il peccato tanto mortale, quanto veniale”. Ma ci sono anche tanti modi per rimanere nella grazia di Dio e farla sviluppare in noi, por-tando frutti spirituali e umani: “L’impegno di vita soprannatu-rale va mantenuto con l’osser-vanza dei dieci comandamen-ti, dei precetti della Chiesa ed altresì con l’osservanza dei do-veri del proprio stato, secondo l’inserimento che ciascuno ha nel Corpo Mistico di Nostro Si-gnore Gesù Cristo”.Inoltre, “la vita di Dio in noi, condizione insostituibile per poter con diritto chiamare Dio col nome di Padre, va resa sta-bile, sicura con l’esercizio del-le virtù teologali e cardinali. Virtù teologali: fede, speran-za e carità, che hanno Dio per oggetto e fine. Virtù cardinali, che sono cardini imprescindibi-li per la costruzione della vita spirituale in ciascuno di noi e sono: prudenza, giustizia, for-tezza e temperanza”. In sostan-za, si tratta di avvalersi di tutti i mezzi spirituali che la Chiesa ci consegna, poiché tutti loro hanno la potenzialità di farci riavvicinare a Dio, rimettendo lui al primo posto, rieducandoci ad assumere il pensiero e i sen-timenti di Cristo, il suo modo di agire, di vivere, di soffrire, di giudicare e di amare.

L’esercizio quotidiano delle vir-tù, infatti, così come la fre-quentazione dei sacramenti ci abituano (nel senso più ricco del termine: ci rivestono con l’abito) a Cristo, poiché ci con-segnano le sue attitudini spi-rituali e specificamente cristia-ne.Tra i mezzi più efficaci, inoltre, troviamo senz’altro la preghie-ra, come ci spiega papa Bene-detto: “Solo attraverso la pre-ghiera possiamo accogliere lui, la sua Grazia, che, illuminando-ci in ogni situazione, ci fa di-scernere il vero bene e, forti-ficandoci, rende efficace anche la nostra volontà, cioè la ren-de capace di attuare il bene co-nosciuto” (Udienza generale, 1 agosto 2012).Infine, il beato Novarese ricor-da l’affidamento all’azione del-lo Spirito Santo: “Si rende sta-bile la vita di Dio in noi sotto l’azione dello Spirito Santo con

i suoi sette santi doni, con la fuga dal peccato, mortale e ve-niale, che è sempre colpa mo-rale che impedisce l’azione del-lo Spirito di Dio nell’anima”. E aggiunge: “Vivere in grazia di Dio non è un proposito al di fuori della normalità della vita cristiana. È, invece, anorma-le vivere diversamente dopo il piano dell’Incarnazione del Ver-bo Eterno. Un Volontario della Sofferenza od un Fratello degli Ammalati deve camminare con gli occhi rivolti al Cielo, sen-za farsi incantare dalle cose di questa terra”. Molto bella questa immagine del cammino con gli occhi ri-volti in alto, al contrario di co-loro che, chiamati a guarda-re in alto, non sanno sollevare lo sguardo (cfr. Os 11, 7), non hanno voglia di sottoporsi al-la tensione positiva di ciò che nella vita è essenziale e dura-turo. ■

“ETERNA È LA SUA MISERICORDIA”…è il ritornello che viene riportato ad ogni versetto del Salmo 136. Ripetere continuamente: “Eterna è la sua misericordia” sembra voler spezzare il cerchio dello spazio e del tempo per in-serire tutto nel mistero eterno dell’amore. Prima della Passione, Gesù ha pregato con questo Sal-mo della misericordia. Lo attesta l’evangelista Matteo «dopo aver cantato l’inno» (26, 30), Gesù con i discepoli uscirono verso il monte degli ulivi. Sapere che Gesù stesso ha pregato con questo Salmo, lo rende per noi cristiani ancora più importante e ci impegna ad assumerne il ritornello nella nostra quotidiana preghiera di lode: “Eterna è la sua misericordia”.

(Cristian Catacchio)

Ripetere continuamente: “Eterna è la sua misericordia” sembra voler spezzare

il cerchio dello spazio e del tempo per inserire tutto nel mistero eterno dell’amore.

È come se si volesse dire che non solo nella storia, ma per l’eternità l’uomo

sarà sempre sotto lo sguardo misericordioso del Padre. (Papa Francesco)

Silenziosi Operai della Crocesorella GIOVANNA BETTIOL Tel. [email protected]

Il Centro Volontari della Sofferenza di Lumezzane, Brescia, in collabo-razione con l’Associazione “Voci Incanto”, porterà ancora una volta in scena il musical dedicato al beato Luigi Novarese.

Si intitola “Come vivere una sinfonia” ed è tratto dai testi di Fiorel-la Elmetti; è interpretato dalla nuova compagnia teatrale del CVS “Il sandalo”. Il prossimo appuntamento per assistere al musical è domenica 26 giugno.

il ricavato dello spettacolo sarà devoluto all’organizza-zione della GMG di cracovia, per permettere di ridurre i costi di partecipazione di tutti i giovani.

Dal 25 luglio al 1 agosto 2016, viEni anchE tu!

Tutti i giovani, disabili e del Gruppo attivo fino al

raggiungimento del numero massimo di 100 partecipanti.

In aereo con partenza da Roma

e da Bologna, verso Berlino. Gli spostamenti a

Głogòw saranno effettuati con i bus non attrezzati. A Cracovia all’interno dell’area della GMG è possibile spostarsi utilizzando i mezzi pubblici gratuiti (attrezzati).

Presso la Comunità di Głogòw dei SOdC e successivamente nella città di Cracovia.

Circa 500 euro a persona.La quota comprende,

oltre al viaggio in aereo e il soggiorno a Głogow,

il “Pacchetto cracovia” che prevede: alloggio semplice

(con prima colazione) da venerdì 29 luglio fino alla fine dell’evento, vitto (pranzo e cena), assicurazione, trasporto pubblico nell’area della GMG, kit del pellegrino (lo zainetto, con incluso bandana, sciarpa, poncho, braccialetto di gomma, libretti liturgici e logistici). Nella quota è previsto un fondo di solidarietà di euro 10.

Scadenza iscrizioni – Entro il 20 aprile caparra di Euro 250; entro il 30 giugno completamento iscrizione.“ETERNA È LA SUA MISERICORDIA”

…è il ritornello che viene riportato ad ogni versetto del Salmo 136. Ripetere continuamente: “Eterna è la sua misericordia” sembra voler spezzare il cerchio dello spazio e del tempo per in-serire tutto nel mistero eterno dell’amore. Prima della Passione, Gesù ha pregato con questo Sal-mo della misericordia. Lo attesta l’evangelista Matteo «dopo aver cantato l’inno» (26, 30), Gesù con i discepoli uscirono verso il monte degli ulivi. Sapere che Gesù stesso ha pregato con questo Salmo, lo rende per noi cristiani ancora più importante e ci impegna ad assumerne il ritornello nella nostra quotidiana preghiera di lode: “Eterna è la sua misericordia”.

(Cristian Catacchio)

Ripetere continuamente: “Eterna è la sua misericordia” sembra voler spezzare

il cerchio dello spazio e del tempo per inserire tutto nel mistero eterno dell’amore.

È come se si volesse dire che non solo nella storia, ma per l’eternità l’uomo

sarà sempre sotto lo sguardo misericordioso del Padre. (Papa Francesco)

Il Centro Volontari della Sofferenza di Lumezzane, Brescia, in collabo-razione con l’Associazione “Voci Incanto”, porterà ancora una volta in scena il musical dedicato al beato Luigi Novarese.

Si intitola “Come vivere una sinfonia” ed è tratto dai testi di Fiorel-la Elmetti; è interpretato dalla nuova compagnia teatrale del CVS “Il sandalo”. Il prossimo appuntamento per assistere al musical è domenica 26 giugno.

il ricavato dello spettacolo sarà devoluto all’organizza-zione della GMG di cracovia, per permettere di ridurre i costi di partecipazione di tutti i giovani.

INNO GMG 2016(Adattamento testo in italiano di Valerio Ciprì)

Sei sceso dalla tua immensitàin nostro aiuto.

Misericordia scorre da tesopra tutti noi.

Persi in un mondo d’oscuritàlì tu ci trovi.

Nelle tue braccia ci stringi e poidai la vita per noi.

Beato è il cuore che perdona!Misericordia riceverà da Dio in Cielo!

Solo il perdono riporteràpace nel mondo.

Solo il perdono ci sveleràcome figli tuoi.

Beato è il cuore che perdona!Misericordia riceverà da Dio in Cielo!

Col sangue in croce hai pagato tule nostre povertà.

Se noi ci amiamo e restiamo in teil mondo crederà!

Beato è il cuore che perdona!Misericordia riceverà da Dio in Cielo!

Le nostre angosce ed ansietàgettiamo ogni attimo in te.

Amore che non abbandona mai, vivi in mezzo a noi!

Beato è il cuore che perdona!Misericordia riceverà da Dio in Cielo!

Jakub Blycharzcompositore e autore dell’inno della Giornata mondiale

della gioventù di Cracovia 2016

---------------------------------------------È disponibile la versione italiana ufficiale dell’inno della GMG preparata dal Coro della Pastorale Giovanile di Mila-no “Shekinah” e lo spartito musicale.

La traduzione italiana dell’inno è sta-ta elaborata in una versione più libe-ra e poetica da Valerio Ciprì che per il Gen Rosso ha scritto moltissimi testi di canzoni diffuse e popolari.

Per scaricareil materiale visitateil nostro sitowww.luiginovarese.orgsezione “eventi”

Dal 25 luglio al 1 agosto 2016, viEni anchE tu!

4/2016 informazione

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AncorAL’

primo luogo, un presbi-tero è membro di questa comunità speciale,

che ha come padre il ve-

scovo. Poi, il presbitero, man-dato dal vescovo, spesso entra come pastore di una comunità di fratelli e sorelle: una parroc-chia o altra aggregazione. Lì è presenza di Cristo e collabora-tore del vescovo. Lì offre i doni di salvezza di Cristo. Lì la vita e il ministero presbiterale sve-lano il loro ricco potenziale ec-clesiale.

Tempi nuovi e cristiani nuoviNell’antichità la cosa era nor-male. Così a cominciare da sant’Ignazio di Antiochia, san Policarpo. Poi, un’eclisse di secoli. Il Va-ticano II ha ricomposto il qua-dro. In seguito, la realtà del presbiterio e del prete è stata ulteriormente restaurata per lo studio e l’insegnamento dei Pontefici. Un recupero di que-sta portata non basta scoprir-lo e goderne. La riscoperta ridefinisce il mi-nistero e la vita del presbitero. Risignifica la sua presenza ac-canto al vescovo e tra i presbi-teri; riqualifica la sua missione in mezzo ai fedeli laici. È una «novità» feconda, ma

non diviene prassi in tempi brevi. Si comincerà dalla for-mazione seminaristica, inau-gurando una nuova stagione. La riforma va portata avanti senza riduzionismi né miopie o paure paralizzanti. Il presbiterio diventa un labo-ratorio promettente. Largo alla novità all’insegna della santità. Sono da vincere con tenacia le resistenze dell’individualismo con una grande passione per la comunione, nota dominan-te della Chiesa.

Figure luminose: il beato Luigi e don RemigioAnche al CVS il Signore ha già fatto dono di splendide esisten-ze presbiterali. Insieme si pren-de atto con animo grato che i preti non sono una casta di po-tere, ma fratelli che il Signore ha chiamato per farne dei padri. Ai “missionari della misericor-dia” nei giorni scorsi, France-sco ha detto: “Siate la carez-za di Dio”! Il Cristo trasforma i preti in suoi «servi», per far-si visibile davanti ai fedeli co-me l’unico Pastore.Scompare l’immagine del pre-

Per descrivere in modo più appropriato la figura del prete, c’è da riportare in piena luce una traiettoria rimasta per lungo tempo in ombra. Ecco: i preti «nascono» dal sacramento dell’Ordine sacro. E così lo Spirito fa di loro un organismo vivo, una famiglia di fratelli. È il «presbiterio diocesano». Ne fanno par-te anche i presbiteri religiosi presenti su quel territorio.

di Mario Morigi

In

I preti prima‘del’ prete

te solitario o che guida con pi-glio energico la sua gente? For-se, sì. Prete e fedeli pregustano la gioia di una rinnovata e più felice armonia ecclesiale a ser-vizio del Vangelo! Il presbite-rio diocesano agisce come un caldo abbraccio del vescovo, proteso a tutti, fedeli e non, di quel territorio. L’intreccio è perfetto: dal vescovo giunge ai preti ogni dono di Cristo pasto-re, profeta e sacerdote. Quella comunione è la radice che dà vita alla comunità.

Il futuro costruito insieme, lai-ci e pretiFuturo costruito insieme, fede-li e preti sotto la guida dello Spirito Santo. La strada si de-linea. È impegnativa. Dà il via a un serio e progressivo rin-novamento. Interessa tutti: la vita, il ministero dei pasto-ri e la vita e le consuetudini comunitarie dei fedeli. Splen-de la verità e la bellezza dell’i-deale. Splende la conformità

con il Cristo, e con la condi-zione dei battezzati, sue mem-bra. Ora occorre fede e corag-gio. Non basta ristrutturare nel codice del diritto ecclesiasti-co. Ci vuole preghiera e slancio deciso dei presbiteri. Insieme a preghiera e sincera condi-visione dei laici. Due mesi fa il Papa, parlando ai preti del Messico metteva in guardia da rischi: “Non siamo né voglia-mo essere funzionari del divino o impiegati di Dio”. E aggiun-geva che davanti a certe diffi-coltà, “ci può vincere una delle armi preferite del demonio: la rassegnazione”. Il «rinnovamento» è sempre un’impresa! Tocca tutti e tutto. Scomoda, manda in crisi, ma desclerotizza le persone. Ridà un’anima alle strutture. È una grazia per tutti. La prospetti-va, non solo non deve allarmare nessuno, ma deve entusiasma-re tutti. Per questo urge pro-fondità e chiarezza nelle idee; e un discernimento comunita-

rio sui segni che, nella socie-tà e nella Chiesa, il Signore ci manda per attuare il suo dise-gno di salvezza nell’oggi e nel domani. ■

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La Lega Sacerdotale Mariana è la prima Associazione fondata dal beato Luigi Novarese nel 1943 i cui obiettivi, affi-dati ai sacerdoti, sono:- lasciarsi guidare dalla Vergine Immacola-

ta nella sequela di Gesù Cristo, crocifisso e risorto, fino ai piedi della croce, fino al ce-nacolo e al compimento della loro missione;

- accogliere nella loro vita, come Giovanni, il testamento di Gesù «Ecco tua Madre!» ed accogliere dal Cuore Immacolato di Maria il Messaggio di preghiera e di penitenza da lei rivolto a Lourdes e a Fatima per la sal-vezza del mondo d’oggi;

- sostenersi a vicenda nell’amore del Cuo-re di Cristo, sorgente e modello della loro identità sacerdotale;

- mettersi generosamente a servizio dei lo-ro confratelli comunque bisognosi e di tutti i sofferenti perché siano nella Chiesa sog-getti di azione e di pastorale.

Il motto della Lega Sacerdotale Mariana è «Cum Maria in charitate Christi» (con Maria nella carità di Cristo).

Novara: incontro della Lega sacerdotale Mariana Martedì 1° marzo si è tenuto pressa la casa “Divina Misericordia” di Novara l’in-contro quaresimale della Lega Sacerdotale Mariana diocesana. Don Maurizio Po-letti, direttore spirituale del seminario, ha dettato una riflessione davanti ad un discreto numero di confratelli, di volontari disponibili ad aiutare i sacerdoti anzia-ni ed ammalati, e ha fatto riflettere sulle parole magnificat, miserere e confiteor.Come bisogna impegnarsi a capire il senso delle parole del Magnificat “L’anima mia magnifica il Signore”?Tutta la vita - ha detto don Poletti - deve essere vissuta con la gioia interiore perché il Signore ci guarda, ci sostiene, soprattutto nelle nostre fragilità. Poi il senso della parola Miserere. Significa - ha proseguito don Poletti - impegnarsi a chiedere perdono, essere pietosi, sentirsi bisognosi di misericordia nella fiducia che Dio è sempre pron-to ad accoglierci nonostante i fallimenti, confessando - e qui il senso della terza parola, confiteor - a noi stessi ma anche ai fratelli, le mancanze, la ricerca di conforto e di sostegno nella comunità, e prima an-cora nella famiglia.

a.r.

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AncorAL’

Il parroco e la comunitàparole di Gesù di bene-dizione o di condanna nella verifica finale: “Ero

malato e siete venuti a visitar-mi… ero malato e non siete ve-nuti…” (Mt 25) non saranno rivolte a pochi individui o cri-stiani, ma a tutti i credenti e ai discepoli del suo Vangelo.Il primo responsabile della pro-mozione della salute e della cu-ra dei malati sono naturalmen-te il parroco e l’intera comunità: tali impegni non possono es-sere delegati ad un gruppo di pochi fedeli. Oltre che un co-mando giuridico, che si trova nel Codice di Diritto Canonico, per l’animatore della comuni-tà, tra i suoi principali doveri, deve costituire un bisogno del cuore il prendersi cura con tutti i mezzi delle membra sofferen-

ti del Corpo Mistico di Cristo e il promuovere la salute globale voluta da Dio, annunciata e rea-lizzata dal suo Figlio Gesù. Tale compito si concretizzerà nel porsi due interrogativi: chi possiamo essere e cosa possia-mo fare per la salute di tutti i membri della comunità e per i malati? Chi possono essere e co-sa possono dare i malati e i sof-ferenti alla parrocchia? All’inter-no della parrocchia occupano un

posto particolare i ministri stra-ordinari della Comunione che fanno da ponte tra i malati e la comunità per un reciproco servi-zio ed arricchimento.

Il malato e la sua famigliaAl secondo posto della scala dei responsabili della pastorale del-la salute sono il malato e la sua famiglia: non possono rimane-re passivi nella stagione della sofferenza, ponendosi in atteg-

di Leonardo Nunzio Di Taranto

Le

Gli operatori pastorali della saluteChi deve impegnarsi nel campo della pastorale della salute? Chi ha il compito di prendersi a cuore sia i bi-sogni di coloro che sono malati sia la promozione della salute? Più concretamente: nella parrocchia chi ha la vocazione a vivere il comando di Gesù: “Predicate il Vangelo e curate i malati”? Ricordiamo i molte-plici soggetti che in virtù del Battesimo sono chiamati ad essere “operatori pastorali della salute”.

Una definizione di pastorale della saluteIl nome della pastorale, che indirizza la sua attenzione verso la salute e la malattia, è cambiato nel corso degli ultimi decenni postconciliari: si è passati dalla “pastorale della sofferenza”, al cui centro si poneva la cura dei malati, alla “pastorale sanitaria” che faceva riferimento principalmente ai luo-ghi di cura dei ricoverati; e da questa infine si è giunti alla “pastorale della salute”. Questa può es-sere definita come “l’impegno missionario di tutte le componenti della comunità cristiana affinché i valori della vita e della salute siano rispettati e orientati verso la salvezza, e il momento della ma-lattia e della morte possano ricevere, oltre il sostegno della scienza e della solidarietà umana, anche quello della grazia del Signore”.

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giamento di ricevere tutto da-gli altri. La Nota pastorale del 1989 (nn.33-37) elenca in mo-do chiaro i compiti di chi soffre nella parrocchia e per la parroc-chia e i compiti della sua co-munità familiare. Questa ha dei doveri verso il proprio congiun-to malato, ma può nutrire an-che giuste aspettative dalla comunità parrocchiale di ap-partenenza.Il malato può offrire alla pro-pria comunità la preghiera, la vocazione ad “amare di più”, la testimonianza di fede robu-sta, gli esempi di pazienza at-tiva, le parole di vita, gli inviti al coraggio, l’ascolto dei sani. Ma da essa può ricevere com-prensione, solidarietà, vicinan-za, preghiera, disponibilità ad aiuti concreti.Da parte sua la famiglia è chia-mata a tenere presso di sé il congiunto malato o a visitarlo frequentemente in caso di rico-vero; non solo ha il compito di preoccuparsi delle cure fisiche e psicologiche, ma anche dei suoi bisogni interiori e spirituali. Perciò devono essere assicura-ti la preghiera, i sacramenti ed eventualmente la Comunione a casa e l’Unzione dell’infermo in un contesto partecipativo coin-volgente.

Le aggregazioni ecclesialiI vari gruppi ecclesiali presen-ti ed operanti nella parrocchia non possono non includere nei loro programmi anche l’inte-ressamento verso gli anziani, i malati ed i bisognosi. Tale im-pegno risulterà non solo for-mativo, ma farà crescere l’inte-ra comunità nella maturazione della carità, “che è il vincolo della perfezione”.Ispirandosi al Vangelo, sono te-nuti a guardare con benevolenza alle membra sofferenti del Cor-po Mistico di Cristo, a farsi in-terpellare da loro a livello di ri-sposta ai bisogni concreti di chi soffre, con occhi di misericordia e col cuore ricco di tenerezza. E nel loro programma di incontri formativi risulteranno molto fe-condi quelli che li aiuteranno a confrontarsi con l’interrogativo del dolore e con la visione diret-ta di coloro che soffrono.

Le comunità religioseSe nel territorio della parroc-chia sono presenti e operan-ti le comunità di religiosi e di religiose, esse dovranno offrire un contributo attivo e qualifi-cato alla cura premurosa verso le famiglie gravate dalla pre-senza di un componente biso-gnoso di aiuti. Questi potranno

essere a livello materiale (pu-lizia, spesa, aiuto economico, pratiche giuridiche, …), ma a volte anche di sostegno psico-logico (solitudine, fragilità di-verse, compagnia, …) e di bi-sogni spirituali (Confessione, Comunione, momenti di pre-ghiera comunitaria). I religiosi e le religiose potranno diventa-re i primi collaboratori e i più vicini corresponsabili dei parro-ci nella programmazione degli aiuti alle molteplici fragilità.

Il volontariato sanitarioUn semplice accenno è utile fa-re per le associazioni di volon-tariato sanitario, presenti in parrocchia. I loro compiti sono numerosi: dall’offerta dei servi-zi qualificati alla gratuità, dal-la preparazione iniziale e dalla formazione continua ai carat-teri che devono distinguerli. Il compito principale sarà sempre quello di stimolare l’intera co-munità allo spirito del volon-tariato, come forma originale di cambiamento della società e della Chiesa. ■

Un contributo di pensiero per la rinascita della parrocchia, vista sotto

l’angolatura particolare della pastorale della salute.

Contenuti: Premessa – Presentazione – Introduzione – Cap. 1: La parrocchia nella storia della Chiesa – Cap. 2: La parrocchia oggi: problematiche e prospettive – Cap. 3: La parrocchia, comunità sanante nel territorio – Cap. 4: Il Vangelo della sofferenza e della carità – Conclusione – Bibliografia minima – Indice

di Leonardo Nunzio Di Taranto pp. 190, € 10

La parrocchia e la pastorale della salute

pagina di Vangelo che abbiamo ascoltato (Mt 11, 25-30) ci presenta

la lode di Gesù al Padre, poi-ché ha nascosto i misteri del Regno ai grandi e ai potenti, ai sapienti e ai dotti, e li ha rivelati ai piccoli (cfr. v. 25). I piccoli sono coloro che ac-colgono Gesù, riconoscendo-lo nella sua fragilità, e non si scandalizzano della sua cro-ce. Essi non parlano secondo una sapienza umana ma par-la in loro l’esperienza di Dio e del suo amore. Il beato Luigi Novarese ha percepito l’amore di Dio su di sé e si è lasciato da esso riempire. Ha fatto l’e-

4/2016 informazioneAncorAL’

sperienza dell’«uomo dei dolo-ri che ben conosce il patire» (Is 53, 3) e da ex ammalato si è dedicato con eroica carità in favore degli ammalati. Sempre desideroso di crescere nella conoscenza di Cristo, «è cre-sciuto come virgulto davanti a lui» (v.1), pronto e disponibile verso tutti, come il Maestro, e per questo in grado di fare sua quella stessa esultanza di Gesù verso il Padre: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra…» (Mt 11, 25). La conoscenza dell’amore del Padre è una verità che sfugge a molti ma è compresa dai picco-li, che non riescono a trattene-

re per sé questo tesoro, senten-dosi chiamati a donarlo a tanti altri. Scorgiamo in questa pagi-na del Vangelo un tratto essen-ziale di mons. Luigi Novarese, l’apostolo dei malati, come lo ebbe a definire il San Giovanni Paolo II. Al lavoro in Segreteria di Stato, univa un fervido mini-stero nel mondo dell’assisten-za ai malati, che in seguito oc-cuperà tutte le sue giornate. Il suo ministero sacerdotale con-dusse verso Cristo coloro che erano affaticati e oppressi nel corpo e nello spirito, perché in lui trovassero ristoro e sollie-vo. Sapeva bene che la prima guarigione di una persona è la guarigione interiore e che solo aprendosi a Cristo e affidandosi a Maria l’ammalato è attraver-sato da una inondazione salu-tare e pacificante. Per questo, volle tenacemen-te che gli ammalati e i disabi-li facessero l’esperienza degli Esercizi spirituali, costruendo a tale scopo, con enormi sacrifici ma con una fiducia incrollabi-14

Durante i lavori del Convegno sacerdotale - Roma, 26-28 gennaio 2016 - mercoledì 27, nel pomeriggio, nella chiesa di Santa Maria del Suffragio, mons. Giovanni Angelo Becciu, Sostituto della Segreteria di Stato Vaticana ha presieduto la celebrazione eucaristica. Riportiamo di seguito la sua omelia che delinea la figura e l’Opera del beato Luigi Novarese.

A cura della Redazione

La

Novarese: “Il malatonon è la malattia”

le nella divina Provvidenza, la Casa presso il santuario di Re (Novara), dedicata al Cuore Im-macolato di Maria. Specialmen-te attraverso questa struttura, e poi con gli scritti e gli incon-tri in varie parti d’Italia, egli ha spinto gli ammalati a per-correre un cammino spirituale capace di trasformare la malin-conia in gioia, la pietà che gli ammalati avevano di loro stessi in disponibilità verso gli altri, diventando a loro volta aposto-li nel mondo della sofferenza. In questa prospettiva, favorì incessantemente nelle persone percorsi di maturazione cristia-na e sacerdotale che per molti sfociarono in un servizio ed un impegno che forse mai avreb-bero immaginato. Non è un caso che attorno a mons. No-varese, a condividere il suo de-siderio di “salvare il malato con il malato”, ci fossero tanti sa-cerdoti e laici animati dal desi-derio di portare l’amore, la luce e la gioia di Cristo nel mondo della sofferenza. Nacquero co- 15

sì la Lega Sacerdotale Mariana, il Centro Volontari della Soffe-renza, i Silenziosi Operai della Croce, i Fratelli e le Sorelle de-gli Ammalati, allo scopo di ren-dere gli infermi protagonisti di un apostolato nuovo.Il beato Luigi Novarese si la-sciò abitare da Cristo, per que-sto poté entrare in un dialogo intimo e fecondo con lui nel-la preghiera. Così, mettendosi alla scuola del Maestro, a sua volta è diventato educatore di una schiera di ammalati e disa-bili, promuovendo in essi frutti di vita buona. Attuando il suo forte desiderio di collaborazio-ne all’opera redentiva, egli par-tecipava intimamente alle an-gosce fisiche ma soprattutto a quelle spirituali delle perso-ne. Scriveva: «La malattia non colpisce soltanto la parte fisi-ca, materiale e organica del no-stro corpo, ma trascina nel vor-tice del dolore qualcosa di più: quella parte più profonda del nostro essere che comprende la nostra vita mentale, psichica e

spirituale». Divenne in questo modo educatore credibile e pro-motore di una sanità chiamata a porre al centro la soggettività dell’ammalato e a dare il giu-sto valore alla spiritualità nel percorso di cura. Nella consa-pevolezza che il malato non è la malattia, egli si prodigò per far capire che una sanità che non tiene conto dell’azione re-ciproca tra corpo e spirito, non è una sanità efficace. Da umile servo e strumento, il beato Luigi Novarese lavorò nella vigna del Signore e fece in modo che ammalati e disa-bili facessero nella loro esi-stenza l’esperienza di Cristo e del suo amore. E di conse-guenza si sentissero chiama-ti a servire Gesù nello stato di vita proprio. Una visione mo-derna e matura, la sua, che fa-vorì l’impegno dei fedeli laici. Il suo apporto ecclesiale ci fa comprendere meglio e vedere realizzato uno degli insegna-menti fondamentali del Con-cilio Vaticano II, e cioè che

per amore, si trasformano in un cammino privilegiato di san-tità, che apre verso prospetti-ve di un bene più grande, noto soltanto al Signore. Egli ha co-sì ripresentato all’umanità del nostro tempo quel «vanto della croce» (cfr. Gal 6, 14) che può diventare segno di speranza, perché la croce è passaggio in-dispensabile verso la vita nuo-va in Cristo. Affidiamo le nostre preghie-re e le nostre intenzioni al Si-gnore, confidando nella celeste intercessione della Vergine Ma-ria Salus Infirmorum e del bea-to Luigi Novarese. ■

Tra i Missionari della MisericordiaAnche don Armando Aufiero, Responsabile dell’Apostolato del Centro Volontari della Sofferenza, è tra i 1.142 Missionari della Misericordia che, in tutte le diocesi del mondo, sono diventati inviati speciali e am-basciatori del Giubileo.“In questa celebrazione sono presenti i Missionari della Misericordia – ha detto papa Francesco durante la messa in San Pietro in occasio-ne del Rito di benedizione e imposizione delle Ceneri – per ricevere il mandato di essere segni e strumenti del perdono di Dio. Cari fratelli, possiate aiutare ad aprire le porte dei cuori, a superare la vergogna, a non fuggire dalla luce. Che le vostre mani benedicano e risollevino

i fratelli e le sorelle con paternità; che attraverso di voi lo sguardo e le mani del Padre si posino sui figli e ne curino le ferite!”.Chiamati a “essere segni e strumenti del perdono di Dio”, i Missionari della Misericordia hanno la facoltà di as-solvere dai peccati riservati alla Sede apostolica.

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Per i nostri lettori sono disponibiligli atti del Convegno in formato video

(€ 18 più spese di spedizione).Sul numero 3/2016 dell’Ancora

nell’Unità di Salute saranno pubblicati gli interventi dei relatori.

l’indole secolare dei laici deve vedere coniugati e ben armo-nizzati identità cristiana e im-

pegno a servizio della Chiesa e del mondo. Egli non solo favorì nelle per-sone ammalate la consapevo-lezza di essere soggetti attivi dell’opera di evangelizzazione e di salvezza, ma si sforzò di coinvolgere tutte le compo-nenti della comunità ecclesia-le nell’azione pastorale verso il mondo della sofferenza e della disabilità. Il suo sguardo lun-gimirante, illuminato dalla luce del Vangelo e reso attento dal-la carità concreta per l’uomo, gli fece intravedere che la salu-te dello spirito è strettamente collegata alla salute del corpo. E dunque la cura dello spiri-to – stare bene con noi stes-si, l’amare e il sentirci amati dal Signore – ci aiuta a tenere lontani i veleni dell’anima che fanno ammalare il corpo. La vita e la missione di mons. Novarese testimoniano che dif-ficoltà e dolori, se accettati

apa Francesco chiede di ri-mettere al centro della sto-ria la misericordia, senza

la quale il mondo non può vi-vere (non dimentichiamo che il concetto del Dio misericordioso unisce ebrei, cristiani e musul-mani). Se riscopriamo la mise-ricordia di Dio forse potremmo dar vita anche alla nostra capa-cità di “misericordiare”, come ama dire papa Francesco. E que-sto non solo in chiave persona-le e nelle relazioni interperso-

nali, ma a tutti i livelli: sociale, economico, finanziario, politi-co. Infatti un Dio che ha visce-re materne di misericordia non può accettare sistemi che fanno soffrire i suoi figli e figlie, non-ché il pianeta Terra.È in questo spirito che deve es-sere letta la proposta giubila-re, un’istituzione che viene dal-le Scritture ebraiche e cristiane e che ha, nel suo DNA, questa dimensione sociale. L’intuizio-ne del Giubileo biblico parte dal

concetto fondamentale del Sa-bato che significa in ebraico ri-posare. L’essere umano non è uno schiavo o una macchina per produrre: ha sei giorni per fati-care, ma un giorno, il settimo, per riposare. E non solo l’esse-re umano, ma anche le bestie e la Terra hanno diritto a riposare. Sempre partendo dal concetto del Sabato e contro la tendenza all’accumulo dei beni, in Israele, nelle mani di pochi a spese di molti morti di fame, venne lan-

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Questo straordinario Giubileo della misericordia è un pressante invito ad «andare incontro ad ogni persona portando la bontà e la tenerezza di Dio»: così afferma Francesco nella Bol-la Misericordiae vultus. «Quante ferite sono impresse nella carne di tanti che non hanno più voce perché il loro grido si è affievolito e spento a causa dell’indifferenza dei popoli ric-chi. Che il loro grido diventi il nostro e insieme possiamo spezzare la barriera di indifferenza che spesso regna sovrana per nascondere l’ipocrisia e l’egoismo».

4/2016AncorAL’informazione

Un Giubileo sabbaticoper i poveri della Terra

Pdi Alex Zanotelli

ciato un Giubileo di sette anni di Sabati che esigeva la remis-sione dei debiti, la libertà agli schiavi e la restituzione del-le terre a chi le aveva perdute (Dt 15). E più tardi i sacerdoti di Gerusalemme lanciarono un Giu-bileo ancora più radicale ogni cinquant’anni. Il tutto costrui-to sul concetto sabbatico: sette anni di sabati per sette = 49. «Il cinquantesimo anno sarà per voi un Giubileo» (Lev 25). Un Giubi-leo sabbatico allo scopo di rie-quilibrare la società ebraica che veniva sempre più strutturando-si nella disuguaglianza. Seguendo questa tradizione, Gesù proclamerà al suo popolo impoverito, indebitato, schia-vizzato sotto il tallone dell’im-perialismo romano, «l’anno di grazia del Signore» (Lc 4, 19), un Giubileo. Il ministero di Gesù in Galilea ha una tonalità giubilare, partendo proprio dal-la misericordia, parola centra-le di Gesù. Una tonalità, quella giubilare, mantenuta e vissuta nelle prime comunità cristiane, soprattutto paoline (2Cor 8-9). Con altrettanto coraggio papa Francesco lancia oggi il Giu-bileo della misericordia in un mondo dove pochi hanno qua-si tutto a spese dei molti mor-ti di fame e dello stesso Piane-ta. È lo stesso papa Francesco

che nella sua enciclica Laudato si’ ci invita «ad ascoltare tanto il grido della Terra quanto il gri-do dei poveri» (n. 49).Infatti il genere umano è im-prigionato dentro un sistema economico-finanziario che per-mette al 20% della popolazione mondiale di consumare il 90% dei beni prodotti, immiserendo così oltre tre miliardi di perso-ne e affamandone un miliardo (mentre ingrassa un miliardo di obesi!). Questo può avve-nire perché i ricchi sono pro-tetti da potentissime armi che ci costano quasi cinque miliar-di di dollari al giorno. Questo sistema economico-finanziario militarizzato è talmente ener-givoro (soprattutto di petrolio e carbone) che il pianeta Terra sopporta sempre meno la pre-senza di homo sapiens, che è diventato homo demens. Vi è oggi infatti una profonda crisi antropologica. In questo mo-mento critico della storia uma-na, l’appello a fare Giubileo diventa imperativo se voglia-mo salvarci non solo a livello personale, ma anche sociale e strutturale. Vorrei soprattutto, come missionario, sottolineare l’aspetto sociale del Giubileo biblico, la remissione delle ter-re e infine il riposo necessario per la Terra perché «quest’eco-18

nomia distrugge la Terra», ha scritto papa Francesco.Oggi, che «l’economia uccide ed è escludente», ha affermato papa Francesco in Bolivia, dob-biamo iniziare a chiedere con forza la remissione dei debiti, prima di tutto dei debiti dei Pa-esi impoveriti: oltre 3mila mi-liardi di dollari che quei Pae-si hanno già strapagato con gli interessi. Come missiona-ri abbiamo sempre sostenuto, insieme a Jubilee South, che è immorale per i Paesi pove-ri pagare i debiti “odiosi”, per-ché non sono pagati dai gover-ni, ma dai poveri con mancanza di scuole e ospedali. Ma questo vale anche per i debiti del Nord del mondo, come il debito gre-co. Per questi debiti, chiedia-mo prima di tutto una morato-ria per il pagamento, allo scopo di annullare la parte illegitti-ma, rifiutando di pagare i debiti “odiosi”. Come ha fatto l’Ecua-dor nel 2007. È quanto chiedia-mo anche per il debito italiano.«Oggi sono ridotte in schiavi-tù più persone che in qualun-que altro momento della storia umana: tra i 12 e i 27 milioni di persone con una vita di lavoro forzato o di sfruttamento ses-suale» afferma il religioso Usa Daniel Groody. Inoltre, mentre il prezzo medio di uno schiavo

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negli Usa del sud nel 1850 era l’equivalente di 40mila dollari odierni, oggi una persona può essere venduta per una cifra media di 100 dollari. Ogni anno circa 800mila persone cadono vittime della tratta: l’80% sono donne e il 50% minori. Più di un milione di minori ogni anno viene sfruttato per il commercio mondiale del sesso. La globa-lizzazione ha aggravato la trat-ta degli esseri umani, dando ai trafficanti la possibilità di mi-rare ai deboli e disperati, spe-cialmente ai migranti. Costo-ro vengono costretti a lavorare nell’agricoltura e nell’edilizia, come colf o come badanti o nel-la prostituzione. Con i traffican-ti che realizzano 32 miliardi di dollari l’anno. La tratta è diven-tata l’attività criminale in più rapida espansione al mondo. Con questo Giubileo della mise-ricordia, i cristiani devono gri-dare al mondo con forza: «Li-bertà agli schiavi e a tutti gli esseri umani schiavizzati!». Ma nell’onda giubilare deve nascere una nuova ondata di misericor-dia della vecchia Europa per ac-cogliere i “naufraghi dello svi-luppo”. Le Chiese devono aprire i loro battenti per accogliere la “carne di Cristo”! E sia Giubileo anche per i nostri fratelli e so-relle rom.

Uno dei fenomeni più odio-si del nostro tempo è il cosid-detto land-grabbing, ossia l’ac-caparramento di terre tolte alle popolazioni locali. Tra il 2001 e il 2011 le terre occupate nel Sud del mondo da imprese este-re hanno totalizzato 227 milio-ni di ettari, una superficie gran-de sette volte l’Italia, sfruttata non solo per la produzione di cibo da esportare, ma anche di biocarburanti. Come nel Giubi-leo biblico, dobbiamo chiedere con forza che queste terre ven-gano restituite ai loro origina-li detentori. Così come le ter-re tolte alle comunità indigene dell’America del Nord, nell’Ame-rica Latina nonché dell’Austra-lia. «Le terre non si potranno vendere per sempre, la terra è mia e voi siete presso di me co-me forestieri e inquilini» (Lev 25, 23).In questo Giubileo, dobbiamo ascoltare l’immenso grido del-la Terra, prigioniera di un si-stema di morte. «Potremmo lasciare alle prossime genera-zioni troppe macerie, deserti e sporcizie», scrive papa France-sco nella Laudato si’. «Il ritmo di consumo, di spreco e di alte-razione dell’ambiente ha supe-rato le possibilità del Pianeta, in maniera tale che, lo stile di vita attuale, essendo insoste-

nibile, può sfociare solamente in catastrofi». Nel Giubileo bi-blico era fondamentale il ripo-so, non solo dell’essere umano, ma anche degli animali e della Terra. Il Giubileo deve portarci a tradurre in pratica i suggeri-menti di papa Francesco conte-nuti nella Laudato si’, e il più fondamentale è la nascita di una nuova relazione tra gli es-seri umani e il creato. E come cristiani opulenti d’Occidente dobbiamo impegnarci a vivere più sobriamente, per permette-re a miliardi di impoveriti sem-plicemente di vivere e alla Terra di respirare.Come missionari comboniani avevamo lanciato nel 2000 il “Giubileo degli Oppressi”, pro-prio per sottolineare con forza la dimensione sociale del Giubi-leo ed eravamo riusciti, insieme a tante altre forze ecclesiali, ad arrivare a una legge in Parla-mento per la remissione dei de-biti nei confronti dei Paesi del Sud del mondo. Con quello stes-so spirito, tutte le forze missio-narie devono lanciare oggi con forza il Giubileo dei poveri e della Terra, per far sì che ripar-ta forte un movimento unitario, di credenti e non, che ascolti il grido dei poveri e faccia riposa-re la Terra. ■

urante l’Udienza genera-le dello scorso 13 gennaio, papa Francesco ha annun-

ciato che da “oggi iniziamo le catechesi sulla misericordia se-condo la prospettiva biblica, così da imparare la misericor-dia ascoltando quello che Dio stesso ci insegna con la sua Pa-rola”. Nella Sacra Scrittura, ha spiegato Francesco, “il Signore è presentato come Dio miseri-cordioso. È questo il suo nome, attraverso cui egli ci rivela, per così dire, il suo volto e il suo cuore. Egli stesso, come narra

4/2016 informazioneAncorAL’

il libro dell’Esodo, rivelandosi a Mosè si autodefinisce così: ‘Il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà’”. Il Papa ha poi spiegato una per una queste parole della Sacra Scrittura. Il Signore, innan zitutto, è mi seri cor dioso: “Questa pa ro la evoca un atteggia-mento di tenerezza co-me quello di una madre nei confronti del figlio. L’immagine che il termi-ne suggerisce è quella di 20

Le catechesi di papa Francesco dedicate al tema della misericordia.

di Alessandro Anselmo

D

La misericordia guarisce le ferite e cambia la storia

un Dio che si commuove e si intenerisce per noi come una madre quando prende in brac-cio il suo bambino, desiderosa solo di amare, proteggere, aiu-

4/2016AncorAL’tare, pronta a donare tutto, an-

che sé stessa”.Poi è scritto che il Signore è pietoso, “nel senso che fa gra-zia, ha compassione e, nella sua grandezza, si china su chi è debole e povero, sempre pron-to ad accogliere, a comprende-re, a perdonare. È come il pa-dre della parabola riportata dal Vangelo di Luca (cfr. Lc 15, 11-32): un padre che non si chiu-de nel risentimento per l’ab-bandono del figlio minore, ma al contrario continua ad aspet-tarlo, lo ha generato, e poi gli corre incontro e lo abbrac-cia, non gli lascia neppure fi-nire la sua confessione, come se gli coprisse la bocca, tanto è grande l’amore e la gioia per averlo ritrovato; e poi va an-che a chiamare il figlio maggio-re, che è sdegnato e non vuole far festa, il figlio che è rima-sto sempre a casa, ma vivendo come un servo, più che come un figlio, e pure su di lui il pa-dre si china, lo invita ad entra-re, cerca di aprire il suo cuore all’amore, perché nessuno ri-manga escluso dalla festa della misericordia”.Ma Dio è anche detto lento all’i-ra, “letteralmente, ‘lungo di re-

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spiro’, cioè con il respiro ampio della longanimità e della capa-cità di sopportare. Dio sa at-tendere, i suoi tempi non sono quelli impazienti degli uomi-ni; Egli è come il saggio agri-coltore che sa aspettare, lascia tempo al buon seme di cresce-re, malgrado la zizzania (cfr. Mt 13, 24-30)”.E infine, il Signore si procla-ma grande nell’amore e nella fedeltà. “Com’è bella questa definizione di Dio! Qui c’è tut-to. Perché Dio è grande e po-tente, ma questa grandezza e potenza si dispiegano nell’a-marci, noi così piccoli, così in-capaci. La parola amore, qui utilizzata, indica l’affetto, la grazia, la bontà. Non è l’amo-re da telenovela. È l’amore che fa il primo passo, che non di-pende dai meriti umani ma da un’immensa gratuità. Una fe-deltà senza limiti: ecco l’ul-tima parola della rivelazione di Dio a Mosè. La fedeltà di Dio non viene mai meno, per-ché il Signore è il Custode che, come dice il Salmo, non si ad-dormenta, ma vigila continua-mente su di noi per portarci alla vita: ‘Non lascerà vacillare il tuo piede, non si addormen-

terà il tuo custode. Non si addormen-terà, non prenderà sonno il custode d’I-sraele. [...] Il Signo-re ti custodirà da ogni male: egli cu-stodirà la tua vita. Il Signore ti custo-dirà quando esci e quando entri, da ora e per sempre’ (121, 3-4.7-8). E

questo Dio misericordioso è fedele nella sua misericordia e san Paolo dice una cosa bel-la: ‘Se tu non gli sei fedele, lui rimarrà fedele perché non può rinnegare se stesso’.”

La misericordia guarisce le fe-rite e cambia la storiaNell’Udienza del 24 febbraio in piazza san Pietro, invece, papa Francesco ha proseguito le sue catechesi sulla miseri-cordia sottolineando, a parti-re dall’episodio del re Acab e della vigna di Nabot descritto nel Primo Libro dei Re, al ca-pitolo 21, che “se si perde la dimensione del servizio, il po-tere si trasforma in arroganza e diventa dominio e sopraffa-zione”. Bergoglio ha introdotto l’incontro con parole forti: “In diversi passi si parla dei po-tenti, dei re, degli uomini che stanno ‘in alto’, e anche del-la loro arroganza e dei loro so-prusi. La ricchezza e il potere sono realtà che possono esse-re buone e utili al bene comu-ne, se messe al servizio dei po-veri e di tutti, con giustizia e carità. Ma quando, come trop-po spesso avviene, vengono vissute come privilegio, con egoismo e prepotenza, si tra-sformano in strumenti di cor-ruzione e morte”. Come nel caso, appunto, dell’episodio della vigna di Nabot in cui si racconta che Acab, re d’Israe-le, vuole comperare una vigna, di proprietà di Nabot, poiché questa confina con il palaz-zo reale. “La proposta sem-bra legittima, persino gene-rosa – spiega il Santo Padre – ma in Israele la terra è sacra,

perché è un dono del Signo-re, che come tale va custodi-to e conservato”. Nabot rifiu-ta dunque l’offerta del re, che reagisce con sdegno. “Si sente offeso – prosegue Francesco -, lui è il re, il potente, sminuito nella sua autorità di sovrano, e frustrato nella possibilità di soddisfare il suo desiderio di possesso. Vedendolo così ab-battuto, sua moglie Gezabele, una regina pagana che aveva incrementato i culti idolatri-ci e faceva uccidere i profeti del Signore (cfr. 1 Re 18, 4), decide di intervenire. Le paro-le con cui si rivolge al re sono molto significative: ‘Tu eserciti così la potestà regale su Israe-le? Alzati, mangia e il tuo cuo-re gioisca. Te la farò avere io la vigna di Nabot di Izreel’ (v. 7). Ella pone l’accento sul pre-stigio e sul potere del re, che, secondo il suo modo di vede-re, viene messo in discussione dal rifiuto di Nabot. Un pote-re che lei invece considera as-soluto, e per il quale ogni de-siderio del re potente diventa un ordine”. E Gesù, ricordando questo episodio, ci dice che i governanti dominano sulle na-zioni e le opprimono, ma “tra

di voi non sarà così; chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole es-sere il primo tra voi, sarà vo-stro schiavo” (Mt 20, 25-27). Gesù ci parla della dimensione del servizio, che non deve mai mancare, perché se la si perde, il potere si trasforma in arro-ganza e diventa dominio e so-praffazione. “Ed è ciò che accade nell’e-pisodio della vigna di Nabot. Gezabele, la regina, in modo spregiudicato, decide di eli-minare Nabot e mette in ope-ra il suo piano – dice il Santo Padre. Si serve delle apparen-ze menzognere di una legali-tà perversa: spedisce, a nome del re, delle lettere agli an-ziani e ai notabili della città ordinando che dei falsi testi-moni accusino pubblicamente Nabot di avere maledetto Dio e il re, un crimine da punire con la morte. Così, morto Na-bot, il re può impadronirsi del-la sua vigna. E questa non è una storia di altri tempi, è an-che storia d’oggi, dei potenti che per avere più soldi sfrutta-no i poveri, sfruttano la gen-te. È la storia della tratta del-le persone, del lavoro schiavo, della povera gente che lavora in nero e con il salario mini-mo per arricchire i potenti. È

la storia dei politici corrot-ti che vogliono più e più

e più”. Questo è il risul-tato di un’autorità che esercita il potere sen-za misericordia, senza

giustizia e rispetto per la vita. “Dio, però, è più grande della mal-

vagità e dei giochi sporchi fatti dagli esseri umani – con-clude Francesco. Nella sua mi-sericordia invia il profeta Elia per aiutare Acab a convertirsi. Dio vede questo crimine e bus-sa anche al cuore di Acab e il re, messo davanti al suo pec-cato, capisce, si umilia e chie-de perdono. Che bello sarebbe se i potenti sfruttatori di oggi facessero lo stesso! Il Signore accetta il suo pentimento; tut-tavia, un innocente è stato uc-ciso, e la colpa commessa avrà inevitabili conseguenze. Il male compiuto infatti lascia le sue tracce dolorose, e la storia degli uomini ne porta le ferite. La misericordia mostra anche in questo caso la via maestra che deve essere perseguita. La misericordia può guarire le fe-rite e può cambiare la storia. Apri il tuo cuore alla miseri-cordia! La misericordia divina è più forte del peccato degli uomini. È più forte, questo è l’esempio di Acab! Noi ne co-nosciamo il potere, quando ri-cordiamo la venuta dell’Inno-cente Figlio di Dio che si è fatto uomo per distruggere il male con il suo perdono. Gesù Cristo è il vero re, ma il suo potere è completamente diver-so. Il suo trono è la croce. Lui non è un re che uccide, ma al contrario dà la vita. Il suo an-dare verso tutti, soprattutto i più deboli, sconfigge la solitu-dine e il destino di morte a cui conduce il peccato. Gesù Cri-sto con la sua vicinanza e te-nerezza porta i peccatori nello spazio della grazia e del per-dono. E questa è la misericor-dia di Dio”. ■

4/2016AncorAL’

22

Prossimo si diventaLa parabola del buon samaritano (Lc 10, 25-37)

inascoltoLectio 4/2016AncorAL’

co. Poiché per gli ebrei i peggiori nemici erano gli attentatori all’integrità e alla purezza del-la loro fede, gli eretici samaritani erano sicura-mente esclusi dal concetto di prossimo. Mai un giudeo avrebbe salutato, tanto meno prestato qualsiasi forma di aiuto a un samaritano. Ge-sù sceglie proprio un samaritano come modello di comportamento e lo rende protagonista del-la parabola.Il dato di partenza è la situazione di bisogno in cui versa uno sventurato che, assalito e depre-dato in una zona desertica, si trova «mezzo mor-to» lungo la strada. Le persone che transitano sulla medesima strada sono tre, in realtà si po-

utto inizia da «Chi è il mio prossimo?», do-manda chiaramente capziosa di un teologo che mira a cogliere Gesù in fallo. Il termine

italiano ‘prossimo’, derivato dalla forma super-lativa del latino prope, significa il ‘vicinissimo’, al quale dovrebbero spettare stima, attenzione, cura.Il mondo giudaico non riusciva a uniformarsi se-renamente sul concetto di prossimo. Certamen-te vi appartenevano ogni ebreo e poi il forestie-ro che aveva fissato la sua dimora in Israele. E il forestiero di passaggio? Le scuole rabbiniche si dividevano tra chi era favorevole e chi no. Era-no invece tutte concordi nell’escludere il nemi-

di Mauro Orsatti

T

➔27

Si è ‘prossimi’ perché si appartiene al genere umano che rimanda a un postulato di uguaglian-za sostanziale: ‘Tutti gli uomini sono uguali’. Tale principio, al pari di tutte le idee chiare e semplici, non si impone facilmente; anzi, sembra che l’uomo ami spesso ricercare i cavilli per sentirsi esonerato dall’impegno di promuovere l’uguaglianza. Gesù con la presente parabola of-fre in felice combinazione idee e azioni, teoria e prassi, per mostrare come si diventa ‘prossi-mo’. Egli ricorda la necessità di ‘prendersi cura’ dell’altro, concetto contiguo, ma non identico a quello di ‘curare’: il secondo è una professione, compito di specialisti, il primo è piuttosto at-teggiamento interiore, con risvolto esteriore, che deve interessare tutti. Il prendersi cura è epi-fania di misericordia.

La paraboladel buonSamaritano (Gesù) illustratain una iconarumena

4/2016AncorAL’ trebbero ridurre a due personaggi, perché sacer-

dote e levita sono riprodotti in fotocopia. Il sa-cerdote è probabilmente diretto a casa dopo il servizio al tempio, essendo Gerico una città ric-ca di sacerdoti.La vista del malcapitato, non lo spinge a inter-venire e prosegue, e passa oltre, come se nulla fosse. Comportamento analogo da parte del le-vita, membro cioè di quella categoria molto af-fine a quella sacerdotale, con compiti di custo-dia e di protezione del tempio. Entrambi vedono e passano oltre. Perché tale assurdo comporta-mento? Si è voluto parzialmente giustificare i due ricordando la loro mentalità e formazione religiosa. Per non contaminarsi era importante evitare scrupolosamente ogni contatto con i ca-daveri. La situazione dell’uomo «mezzo morto» poteva essere facilmente assimilabile a quella di un cadavere.Pur accettando questa possibilità, la sostanza non cambia. Nella rappresentazione del sacer-dote e del levita Gesù polemizza con il ritua-lismo giudaico, tanto scrupolosamente attento alla formalità quanto consapevolmente lonta-no da un vero amore. Pur ammettendo una ‘im-

purità’ secondo il modo di pensare giudaico, si sa che una serie di lavaggi rendeva la perso-na nuovamente idonea alla preghiera e all’in-contro con Dio. È riprovevole la coscienza pro-fessionale che ha soffocato in loro i sentimenti umanitari: i due preferiscono conservarsi intat-ti davanti a Dio piuttosto che prestare soccor-so a un disgraziato. Proiettati verso il futuro, dimenticano il presente. Si registra qui l’assur-dità cui porta una religione senz’anima, ormai non più religione, ma fanatismo, superstizione, alienazione.Passa sulla medesima strada un samaritano. Lo spettacolo non lo lascia insensibile. Con tutta probabilità il disgraziato che giace a terra è un giudeo, un rivale quindi, ma ciò non blocca l’in-tervento del soccorritore che agisce in nome del bisogno presente. Anche lui «vede» e da que-sto vedere nasce un «ebbe compassione», senti-mento che mette in moto tutta una serie di in-terventi operativi. Il termine denota un’intima partecipazione all’evento, una compassione che non nasce da commiserazione o da istintiva so-lidarietà con gli sfortunati, ma proviene dalla radice più pura dell’amore. Ancora più evocatore è questo termine se teniamo presente che nel-la suddetta parabola era stato attribuito al Pa-dre, chiara rappresentazione di Dio stesso. Già qui si riconosce il salto qualitativo del samarita-no al quale sono attribuiti nientemeno che sen-timenti divini!È tanto forte e tanto vera questa nuova passio-ne che nasce in lui alla vista dello sventurato, che nemmeno pensa a fare spazio a possibili ri-sentimenti o a vecchie ruggini. Non si sofferma a considerare che è un odiato giudeo, ma inter-viene perché c’è un urgente bisogno. Nemmeno lo trattiene il pensiero del viaggio intrapreso e di eventuali impegni o appuntamenti che lo po-trebbero sollecitare. Il momento presente, tan-to carico di sofferenza per il povero disgrazia-to, occupa totalmente l’orizzonte dell’interesse. Tutto il resto passa in seconda linea; se è un rancore, si dimentica, se è un impegno, si ri-manda.L’espressione «ebbe compassione» che potreb-be richiamare solo un vago sentimento, produ-ce in realtà una serie di azioni molto concrete.

4/2016AncorAL’

29

Per questo è affiancato e illustrato da quel «gli si fece vicino», premessa dei successivi inter-venti operativi. Qui si capisce bene il concet-to di “prossimo”: colui che, superando possibi-li e a volte anche ragionevoli ostacoli, è pronto a offrire generosa collaborazione. Quindi prossi-mo si diventa: prossimo non è necessariamente colui che ha già dei rapporti di sangue, di razza, di affari con un altro. Prossimo si diventa nel momento in cui, davanti ad un uomo - anche al forestiero o al nemico - si decide di compiere quel passo che avvicina. Farsi vicino è già far-si prossimo, rendersi attento e disponibile all’al-tro, proprio come il samaritano che modifica se stesso e i suoi progetti in funzione dell’altro. Prima la persona, poi i programmi e le ideologie: questa è misericordia incarnata!Il samaritano mette in atto una serie di in-terventi che il narratore si attarda a descrive-re nel dettaglio, quasi a ricordare che il vero amore fa appello all’intelligenza, alla volontà, al buon senso, alla fantasia all’ingegnosità, in-somma, a tutte le risorse della persona umana. Il vero amore è una realtà complessiva, capace di attingere a tutta la ricchezza della persona. Non regge la semplicistica equivalenza di amo-re e sentimento, un’identificazione spesso re-clamizzata e, altrettanto spesso, falsa. Il no-stro incomincia con l’improvvisarsi infermiere

e interviene come meglio può, con i mezzi di cui dispone, vino e olio. Poi, utilizzando la sua cavalcatura come autoambulanza, trasporta il poveretto a un “pronto soccorso” improvvisato. Di lui si interessa e si interesserà. Paga sbor-sando due denari, l’equivalente di due giorna-te lavorative. Rimane con lo sventurato un po-co, forse quanto basta per rendersi conto che la situazione va migliorando e solo «il giorno seguente» riprende il viaggio impegnandosi a sborsare di più al ritorno, qualora fosse neces-sario. All’interessamento presente fa riscontro l’interessamento futuro, creando una continu-ità che lo libera dall’estemporaneità e dall’i-stintività.Non si è trattato quindi di un aiuto sporadico, momentaneo, affrettato, di un soccorso solo perché non si poteva fare a meno. L’aiuto con-tiene tutte le caratteristiche dell’amore: avvi-cinamento, attenzione all’altro, farsi carico dei suoi problemi, pagare di persona sia per il de-naro sia per il tempo, interessamento presente e futuro. E notare, tutto questo senza che sia re-gistrata una parola! Quante volte, purtroppo, si fa un gran parlare, piani faraonici, progettazioni pluriennali, discussioni e sedute-fiume, per ar-rivare spesso a nulla di fatto. Qui le parole non sono registrate, solo i fatti che hanno l’eloquen-za della concretezza.

Preghiera4/2016AncorAL’

La domanda finaleAlla fine del suo racconto, Gesù pone la doman-da al teologo. È lui che ora interroga. Gesù spo-sta l’asse della discussione e non risponde alla domanda teorica, astratta, del teologo su «Chi è il mio prossimo?», preferendo dimostrare con un esempio come si diventa prossimo, che cosa si deve fare per diventare prossimi, come ci si deve avvicinare all’altro, sia con i sentimenti sia con gli interventi concreti. Lo spostamento sta qui: non che cosa gli altri verso di te, ma che cosa tu verso gli altri. Il punto saliente della parabola sta nel concetto che se uno davvero ama, egli stesso sa trovare il suo prossimo, quello che ha bisogno. Il biso-gno è titolo sufficiente perché si debba inter-venire, come si può e con i mezzi a disposizio-ne, senza tentennamenti, rimpianti, proroghe o demandando agli altri.Non solamente il dottore della legge ha impara-to chi è il prossimo. Anche il lettore, il cristiano di tutti i tempi, non potrà esimersi dai suoi im-

pegni o sottrarsi alle sue responsabilità nascon-dendosi dietro una giustificazione ipocrita quale ‘non sapevo’ o ‘tocca agli altri’. Chi ha ascoltato la parabola, deve passare all’azione. La parabola si chiude con una rovente battuta, un duro colpo per la presunzione farisaica. Dire a un dottore della legge e, attraverso lui, a tut-to il gruppo farisaico: «Va’ e anche tu fa’ così», cioè: «Comportati bene come ha fatto il sama-ritano», equivale a una dichiarazione di guerra. Com’è possibile che un esperto della legge divi-na, un teologo diremmo noi oggi, impari da un eretico? La scelta di Gesù del personaggio sama-ritano include pure la lezione che tutti sono po-tenziali maestri che hanno qualcosa da insegna-re, come pure tutti sono potenziali discepoli che hanno qualcosa da imparare. Le facili divisioni, le discriminazioni fra buoni e cattivi, sono arti-fici umani che non rispondono a verità. Gesù ri-abilita e promuove la poco invidiabile categoria dei samaritani che ha nel personaggio della pa-rabola il prototipo più illustre. ■

DOMANDE ALLA VITA1. Ho una vita cristiana inconcludente, spesa più nella teoria che nella pratica? E se devo parlare, mi piace discutere per

amore della verità o per il gusto della cavillosità?2. Quando devo intervenire per un aiuto, do credito al risentimento, alle offese, ai pregiudizi passati per trovare una ragio-

ne di non-intervento? In quale occasione sono stato così farisaico? Oggi mi riproporrei in fotocopia o diverso?3. Ricordo un caso in cui mi sono comportato come il sacerdote o il levita della parabola? E un altro in cui sono stato buon

samaritano? Quali fattori e motivazioni hanno giocato nell’uno e nell’altro caso?4. I miei ‘soccorsi’ si limitano al minimo indispensabile, scaricando poi sugli altri quando potevo fare io? Sono un minima-

lista o un massimalista negli interventi?5. Sono seduto in panchina a dirigere il gioco degli altri, o sono nella mischia per portare il mio contributo secondo le mie

possibilità e competenze? Sono prodigo di consigli e avaro di azioni, oppure conosco un intelligente dosaggio che fa uso di entrambi secondo le situazioni?

6. Quanto sono attento a ‘farmi prossimo’? Gli interessi degli altri mi stanno a cuore quanto i miei? In che misura so limi-tare i miei per soccorrere gli altri?

Sono passato accanto al bisognoso e mi sono scostato perché non avevo tempo, perché mi faceva ribrezzo, perché puzzava, perché non era

dei miei, perché… ho sempre trovato un galeotto motivo o una scusa accomodante che mi ha esonerato dall’intervento. Mi vergogno, Signore,

di tanta viltà, ammantata perfino di risibile giustificazione. Voglio mettermi alla tua scuola, per divenire come te un premuroso samaritano. Sarà un duro apprendistato, mi costerà molto, ma mi darà la gioia della condivisione, mi farà sentire il gusto della fratellanza, mi farà

sperimentare la sintonia con il divino. Amen.

Lucesul miocammino(Momento celebrativoche può concludereun incontro)

inascoltoCelebrazione 4/2016AncorAL’

In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Co-me leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua ani-ma, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai». Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è il mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versando-vi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di co-lui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Ge-sù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».

Momento di riflessione personale (come sottofondo si può far ascoltare la canzone “La cura” di Fran-co Battiato).

Lettore 1: Incappò nei briganti: questi briganti potrebbero essere i doni che Dio ci ha dato, dei quali però facciamo cattivo uso: il cuore, la nostra vita, la nostra intelligenza… quando non sono illuminati di amore, ma di interesse, di egoismo, di indifferenza.

Rit. Misericordias Domini in aeternum cantabo

Lettore 2: Spogliatolo: quando non abbiamo una chiara visione di Dio, non ci riconosciamo come sua creatura, ci sentiamo fragili, indifesi. Avvertiamo il nostro limite non più avvolto dalla sua te-nerezza, ma dal suo giudizio. Allora il nostro bisogno dell’altro diventa come un’umiliazione. Rit.

di Giovanna Bettiol

➔31

DOMANDE ALLA VITA

Canto seguito dall’introduzione del sacerdote o di chi guida la preghiera.

Dal Vangelo di Lc 10, 25-37 (durante la lettura si accende il cero pasquale).

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Lettore 3: Il samaritano lo vide, si avvicinò: Gesù viene a noi perché ci ama e vuole che impa-riamo il cammino che a lui conduce. Se siamo capaci di accogliere l’amore di Dio per noi, saremo capaci di amare gli altri. Rit.

Momento di silenzio.

Guida: Signore, Padre tenerissimo e pieno di misericordia, tu sei la vera luce che illumina i nostri passi, la speranza che ci apre ad un nuovo futuro, per sempre fedele alle tue creature, accogli la preghiera che oggi eleviamo a te.

Si portano all’altare sei candele accese, una per preghiera.

Lettore 1: Per la Chiesa perché, in questo momento difficile della storia, sappia annunciare con co-raggio, a tutti i popoli, l’amore fedele di Cristo Redentore: Via, Verità e Vita.

Rit. Lampada ai miei passi è la tua Parola, luce sul mio camminoLettore 2: Perché tutti gli avvenimenti dolorosi della nostra vita siano sostenuti dalla fede, spe-ranza e carità. Rit.

Lettore 3: Perché il Signore ci aiuti a comprendere che, in “questo tempo” fatto di precarietà, di limiti, di scelte che disorientano la vita di famiglia, Egli è presente con la sua grazia e la sua for-za. Rit.

Lettore 4: Per noi tutti, perché dall’esperienza del quotidiano, impariamo a dare una mano, un aiu-to, a chi è provato dalla sofferenza, causata da una mancata relazione o altro, nel rispetto e nell’ac-coglienza delle diversità, orientando tutto verso l’Unico Bene: Cristo Gesù. Rit.

Lettore 5: Per ciascuno di noi, perché l’impegno famigliare, civile e cristiano sia segnato da gesti generosi e coerenti dove l’amore prevale sull’egoismo e sul prestigio personale. Rit.

Lettore 6: Perché ci lasciamo guidare e illuminare dallo Spirito riconoscendo ed accogliendo il pas-saggio di Dio negli avvenimenti quotidiani, anche quando progetti e aspettative sono avvolti dal “mistero” che disorientano la nostra vita. Rit.

Seguono preghiere personali. Chi fa la preghiera porta la candela accesa all’altare, indica il cammino che ognuno è chiamato a compiere.

Guida: Preghiamo insieme un’esortazione del beato Luigi Novarese, segno del suo spirito, della sua fede, della sua ansia verso i sofferenti e del suo amore verso l’Immacolata:

La finestra della Casa di Nazareth piccola all’uomo, gradita a Dio, fece vedere il mondo tutto nuovo, verso possibilità nuove.Si è aperta questa finestra per opera di Dio nel cuore dell’umanità;ma, nello stesso istante molte altre se ne sono aperte:tutte quelle che hanno accettato come l’umile abitatrice di Nazareth di trasmettere quella luce, quell’amore senza egoismo, senza amor proprio.È un lavoro nuovo per l’uomo, lavoro reale, costruttivo…È un lavoro di diffusionedi carità, di bontà…Dare a tutti la possibilità dicostruire una vita accanto a lui sotto lo sguardo di coleiche è Madre Nostra. (luglio 1966)

Conclusione e canto finale.

indialogo 4/2016AncorAL’

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Vangeli abbiamo di-versi episodi in cui sono descritte situa-

zioni di molestia legate alla malattia. Ricordiamo (Mc 10, 46-48) il figlio di Timèo, Barti-meo, cieco, al sentire che c’era Gesù Nazareno, cominciò a gri-dare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!» e ven-ne sgridato per farlo tacere. Il comportamento di disturbo è l’espressione di un bisogno di

salvezza e di guarigione che i discepoli cercano di nasconde-re. Il cieco Bartimeo evidenzia ancor oggi la nostra cecità in-dividuale e comunitaria a capi-re i bisogni di salute, a volerli negare, a volerli inserire in ca-tegorie che li rendano più ge-stibili, meno pericolosi da un punto di vista sociale. Un altro personaggio “mole-sto” dei Vangeli è l’emorroissa descritta nel Vangelo di Mar-

co (Mc 5, 25-34). La molestia è definibile non tanto nel di-stogliere Gesù nel suo cammi-no verso la casa di Giairo, ma nel suo comportamento social-mente inaccettabile. Secondo la mentalità dell’epoca, il san-gue rendeva impura una perso-na e chi la toccava, diventava anche egli impuro. La decisione di sfidare questa legge rappre-senta la volontà di vivere del-la donna che toccando il man-

Le opere di misericordiacorporale e spirituale

Nei

Sopportare pazientementele persone moleste

Questa opera di misericordia spirituale spinge a prestare attenzione alla qualità dei rapporti che instauriamo con le persone che ci circondano, con i malati, con i colleghi, o perfino con chi in-contriamo per caso.

tello non solo vuole guarire ma vuole riacquistare una sua di-gnità. Quante volte il malato diventa malattia, quante vol-te lo stigma nasconde il volto, quante volte la distanza nega il beneficio del contatto. Un altro episodio significativo è la guarigione di un ragazzo epilettico (Mc 9, 14-29), in cui un genitore si lamenta dell’in-capacità dei discepoli di scac-ciare lo spirito muto che si è impadronito del figlio. I di-scepoli discutono perché sono messi in discussione proprio in uno degli aspetti centrali della loro missione. Spesso la mole-stia è legata alla messa in di-scussione dei ruoli. Oggi la co-siddetta malasanità ha minato alla base il rapporto di fiducia tra operatore sanitario e pa-ziente, tra struttura e famiglia, rapporto che talora si stabili-sce portando in sé fin dall’ini-zio il germe della sua evoluzio-ne conflittuale.La morte, infine, determina una situazione di turbamento

nelle persone e in una comunità. Davanti alla tomba di Lazzaro Ge-sù scoppia in pianto. Gesù piange: per con-divisione, per il suo affetto a Lazzaro, Ma-ria e Marta, per il suo intenerimento nel-la condizione umana; perché era l’incarna-zione della tenerezza di Dio. Per noi spes-so, invece, il moren-te diventa una perso-na molesta in quanto

mette in luce il nostro rappor-to con la morte, ci mette di fronte ai nostri limiti e alle no-stre paure.In questi episodi l’intervento di Gesù determina la salvez-za e la guarigione o la resurre-zione nel caso di Lazzaro. Qual è il beneficio, invece, del no-stro sopportare pazientemen-te le persone moleste al letto del malato, in un ambulatorio, al centro di ascolto della par-rocchia e più in generale nei nostri contesti di vita, familia-re, lavorativa o comunitaria? L’idea di “opere di misericor-dia spirituali”, accanto a quel-le rivolte al “corpo” dell’uomo, nasce nella tradizione della Chiesa dall’interpretazione al-legorica del testo di Matteo 25 che associa ai bisogni mate-riali i bisogni spirituali: non vi sono solo dei poveri material-mente, degli assetati o dei ma-lati nel corpo, ... ma vi sono anche dei poveri spiritualmen-te, senza il cibo della giusti-zia, senza la bevanda della co-noscenza di Dio, senza l’abito di Cristo. Anche ricorrendo a

questa allegoria, non è, tutta-via, immediata la comprensio-ne del beneficio della soppor-tazione paziente delle persone moleste.

A ben vedere il termine «“Mise-ricordia” non definisce; dà il no-me non a una realtà ma a una relazione: si fa o si riceve mise-ricordia, cioè si è in una relazio-ne di misericordia. Detto in al-tre parole, la misericordia non è una cosa ma si concretizza in cose, in gesti, in azioni – perfino in un semplice bicchiere d’acqua (cfr. Mc 9, 41). Non è una res, bensì il nome di una relazione e della sua qualità… “Fare mise-ricordia” e “ricevere misericor-dia” sono entrambi enunciati performativi dello stesso livello. L’oggetto di un atto di miseri-cordia può diventare il sogget-to del movimento speculare, e così via. Funziona con la stessa forza in tutte le direzioni senza bisogno di cambiare la parola: non fa preferenze verso un uso all’attivo o al passivo» (Mora S., Dio non si stanca).

Alla luce di questa premessa, in primo luogo la sopportazio-ne risulta benefica, anzi essen-ziale, ai fini della coesione so-ciale all’interno di una famiglia, di una comunità, di un ospeda-le. Se da un lato si è facilmente consapevoli che chiunque può passare da molestato a mole-statore, ben più difficile è tut-tavia entrare nei panni di chi ci molesta, comprenderne le ra-gioni, condividerne il disagio, sentirlo fratello in umanità. Il cristiano è chiamato, come imi-tatore di Dio (Ef 5, 1), a porta-

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Bonaventura Berlinghieri:“San Francesco assiste i lebbrosi”

re anch’egli sopra di sé il pe-so dei fratelli; «Vi esorto […] a sopportarvi a vicenda nell’amo-re, avendo a cuore di conserva-re l’unità dello spirito per mez-zo del vincolo della pace» (Ef 4, 1-3), «sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni agli al-tri, se qualcuno avesse di che la-mentarsi nei riguardi di un al-tro» (Col 3, 13). La misura di questa sopportazione per il cri-stiano è ancora una volta l’a-more: la carità che «tutto scu-

sa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta» (1Cor 13, 7). Una seconda riflessione sugli effetti della sesta opera di mi-sericordia si richiama all’espe-rienza di san Francesco. Nelle parabole di Gesù sulla neces-sità della preghiera vengono identificate delle persone mo-leste che ricevono un benefi-cio dalle loro azioni: la vedova importuna che riceve giusti-zia dal giudice iniquo (Lc 18,

1-8) e l’amico insistente che riceve i tre pani per i pellegri-ni (Lc 11, 5-9). In questa rela-zione anche il giudice e l’ami-co hanno “ricevuto” qualcosa, sono stati indotti a riflettere e a modificare il proprio compor-tamento. Queste parabole non sono presentate per evidenzia-re un percorso di conversione ma le caratteristiche della pre-ghiera. L’esperienza umana di Francesco, invece, ci dice, co-me lui stesso la racconta nel suo Testamento, che la relazione con la presen-za “amara” dei lebbrosi è stato l’inizio della sua conversione: «Il Signo-re, così, dette a me, frate Francesco, di iniziare a fa-re penitenza così: quando ero nei peccati, mi pareva cosa tanto amara vedere i lebbrosi, ed il Signore stes-so mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. Ed allontanandomi da lo-ro, ciò che mi pareva ama-ro mi fu mutato in dolcez-za di animo e di corpo. Ed in seguito, stetti un poco e uscii dal secolo». ■

Michele Tancredi LoiudiceMembro della Consulta Nazionale

per la pastorale della salute

Le sette operedi misericordia spirituale1 - Consigliare i dubbiosi2 - Insegnare agli ignoranti3 - Ammonire i peccatori4 - Consolare gli afflitti5 - Perdonare le offese6 - Sopportare pazientemente le persone moleste7 - Pregare Dio per i vivi e per i morti

Le sette operedi misericordia corporale1 - Dar da mangiare agli affamati2 - Dar da bere agli assetati3 - Vestire gli ignudi4 - Alloggiare i pellegrini5 - Visitare gli infermi6 - Visitare i carcerati7 - Seppellire i morti

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L’articolo è trattodal libro:

“L’avete fatto a me – Le opere

di misericordia corporale e

spiritualenel mondo

della cura”.

4/2016 indialogoAncorAL’

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nel 1952 il beato Luigi Novarese era consapevole di quanto le situazioni di sofferenza portino ad avvertire il biso-

gno di calore e di amore, la necessità di un ap-poggio sicuro, fedele, costante. Quando stiamo bene, siamo attivi, realizziamo la nostra vita umanamente, socialmente, profes-sionalmente, viviamo forse più superficialmente ed avvertiamo meno i nostri bisogni profondi, ci prestiamo meno attenzione, lasciamo che la vi-ta scorra senza farci interpellare da questi no-stri bisogni profondi perché vengono appagati dal successo nella vita lavorativa, dalla realizza-zione personale. Ma quanto facilmente perdiamo il nostro equi-librio quando la nostra vita e le nostre attivi-tà vengono minacciate da situazioni di malat-tia e di disagio, allora i nostri bisogni profondi di autostima, di amore, di realizzazione emer-gono maggiormente, affiorano alla coscienza e la mancata soddisfazione ci porta a porci do-mande fondamentali per la vita e la nostra se-te non sempre viene soddisfatta dalle persone e dalle circostanze. Allora si aprono diverse pos-sibilità: possiamo lasciarci cadere nella dispera-zione e nella mancanza di senso, possiamo farci attrarre da soddisfazioni superficiali e artificia-li che non durano alla prova del tempo, oppu-re possiamo aprirci al trascendente, al più gran-de di noi, per poter recuperare un senso nuovo e arrivare ad integrare il dolore, la sofferenza in una vita diversa, ma non per questo meno ricca di amore e calore.Ed eccoci al brano del beato (1952) in cui evi-denzia che questo trascendente che può dare senso alla vita altro non è che il Cuore di Ge-sù, attraente e riposante per coloro che vivono il travaglio del dolore.

“Quali riposanti attrattive ha per noi ammalati il Cuore di Gesù! Certamente perché noi, più degli altri, sentiamo il bisogno del calore, dell’amore. Si direbbe quasi una legge di natura: la malattia sembra isolare, strappare dagli affetti mentre il cuore, in contrapposto, sente la necessità di tro-vare un appoggio sicuro, fedele, costante.Il Cuore di Gesù si presenta a noi proprio sotto l’aspetto del suo amore divino e umano, concre-tizzato simbolicamente come funzione del cuore. Il suo cuore vuole essere quindi per noi asilo sicu-ro, vuole che noi troviamo riposo in lui. Gesù vuole che si attuino le sue parole: rimanete nel mio amore. Rimanete in me, perché il mio re-gno è dentro di voi.L’amore delle creature tante volte viene meno, e, per noi, forse è venuto meno con l’affievolirsi del-la vita e della salute.L’amore del Cuore di Gesù, mai invece viene meno”.Ecco una sottolineatura importante: l’a-more delle creature può venire meno, il nostro imperfetto e parziale amore può cadere sotto il peso della malat-tia, dell’assistenza, del “niente è più come prima”. Abbiamo però un asilo sicuro, che non viene mai me-no in cui possiamo sempre gettare ogni nostro dolore, ogni preoccupazione, co-me un abbraccio che non ha mai fine in cui ci possia-mo sempre ritrovare per-ché il Regno di Dio è dentro di noi e noi rima-niamo co-me in una

Per una salute totaleÈ possibile avvertire consolazione e speranza o vivere gioiosamente e serenamente anche in si-tuazioni di disagio fisico, psichico, sociale, famigliare?

di Mara Strazzacappa

Già

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dall’incontro con Cristo abbia acquistato la luce della fede trasformando la sua esistenza, Gesù fa di lui un annunciatore del Regno. In questo modo infatti avveniva nei suoi incontri con ogni classe di persone, dalla donna seduta al pozzo di Gia-cobbe e dalla Maddalena, da cui aveva scacciato sette diavoli, agli innumerevoli ammalati che da lui avevano avuto la propria guarigione.Era la salute totale, dell’anima e del corpo, che si sprigionava dal Cuore di Cristo; il beneficato a sua volta diventava un riconoscente annunciato-re delle sue meraviglie”.Il beato sottolinea l’importanza dell’incontro con Cristo, un incontro personale che tocca le ferite dell’esistenza con l’amore che proviene dal Cuore ferito ed amante di Cristo, un amore risa-nante che dona la luce della fede, una luce così potente e diversa che ci permette di trasforma-re l’esistenza, donandole dimensioni più grandi e significati più veri.Cosa ci dona l’incontro con Gesù? Una salute to-tale, del corpo e dello spirito, non entità sepa-rate di cui una prevale sull’altra, ma un tutt’uno in cui l’azione di Dio penetra per ridonare unità, luce, calore, amore.Lasciamoci avvolgere, amare, consolare dal Cuore di Gesù per trasformare noi stessi fino a divenire testimoni del dono ricevuto e noi stes-si dono per gli altri. ■

stabile dimora che non crolla, non scricchiola e non cede sotto le percosse del destino.In questo luogo sicuro, dentro di noi, possiamo trovare la risposta ai nostri bisogni di sicurezza, di amore, di calore. Non sono briciole di amore, stare e rimanere nel Cuore di Gesù significa be-re direttamente alla sorgente che non si esauri-sce mai. Se il nostro cuore riposa, si confronta ed impara ad amare nel Cuore di Gesù non ci sa-rà situazione della vita che potrà distruggere la nostra serenità.Solo chi ha fatto questa esperienza di incontro, di senso e significato e di amore ricevuto abbondan-temente, diventa testimone di ciò, annunciatore convinto del Regno di Dio che altro non è se non la sua presenza in noi, con noi, per noi, sempre.Nel 1980, giunto ad una piena maturazione del suo pensiero spirituale, il beato Luigi scriveva: “Chi ha toccato con mano l’azione soprannatu-rale può essere del Regno annunciatore più con-vinto; così di ogni infermo e di ogni uomo che,

La cura dello spiritoLa patologia dell’immagine del corpo ci rivela tutte le nostre nevrosi ed è davvero uno specchio efficace della nostra società viziata dai canoni estetici e dal successo a tutti i costi. è un corpo che parla ma che rivela uno spirito malato. Noi invece siamo alla ricerca di uno spirito che curi, come ci ha insegnato monsignor Novarese. Dobbiamo prenderci cura dello spirito, perché quest’ultimo possa sempre e comunque contribuire alla cura del corpo. Ogni corpo che soffre e che cerca una risposta ai suoi interrogativi esistenziali.Per questo dobbiamo ricordarci che quando parliamo dell’uomo, dobbiamo sforzarci di considerarlo come crocevia della relazione mente e corpo, anima e corpo, ma anche al centro di una relazione con tutti gli altri. L’uomo è un soggetto fortemente relazionale. Noi soffriamo con gli altri, per gli altri, e ci rallegriamo con gli altri. Il nostro corpo esprime costantemente questi sentimenti di benessere e di malessere, perché c’è un maestro interiore che gli suggerisce cosa fare e come fare. Ed è con questo maestro interiore, nascosto in interiore hominis, che dobbiamo fare amicizia per capire chi abbiamo davanti e come dobbiamo rivolgerci a lui per poterlo curare.

Tratto da P. Binetti, Il Corpo immagine dello Spirito, Edizioni CVS, 2012.

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“Cristo è per strada... si può incontrare (stai attento!!!...)”

Ma che hanno dentro questi ragazzi!?...Sono la parte più bella e più buona del mondo.

Perché i loro, sono segreti positivi…

capita sempre di incon-trare adolescenti e gio-vani. A tu per tu o in

gruppo. Sembrano così diver-si: android in mano, comunica-no fra loro con il cellulare a di-stanza di due metri. Minuti e messaggi… illimitati. Capelli di fantasia, tatuaggi e piercing in ogni parte del corpo. Ma co-sa hanno dentro la testa: se-gatura o grandi idee e sogni? Ma che cosa hanno nel cuore: il vuoto e la durezza o un ani-mo buono, sensibile, immenso? Agli occhi degli adulti sembra-no indecifrabili e, come dice un telefonino spento, irraggiungi-bili. Eppure la loro… cifra è, probabilmente, solo la profon-dità. E conoscendoli, in qual-che modo, ti accorgi che puoi relazionarti con loro, che ti la-sciano entrare e che hanno se-greti sorprendentemente posi-tivi impensabili.Così si resta sempre sorpresi e stupiti che “nel branco” ci pos-sano essere dei fiori stupendi. Mi sento di affermare che i gio-vani sono la parte più bella e più buona del mondo: non c’è paragone con i loro… “casi-ni” e quello che combinano gli adulti.Ho cominciato da dieci anni un’associazione dei Ragazzi del Cielo-Ragazzi della terra: trop-

pe famiglie che sono legate da un sottile filo di dolore e di amore che unisce Cielo e Terra. La mia vita è sempre vicino a loro, continuamente sono sor-preso dalla vita dei “ragazzi in-visibili” che lasciano tracce di amore e di… fede. Oggi i social fanno sopravvive-re tante immagini, video, scrit-ti di chi è andato via.In questi giorni ho incontra-to i genitori di Francesco Me-dori. Figlio unico, un diffuso-re di gioia e di serenità. Un deejay matto come tutti i musicisti, un calciato-re. Un ragazzo che man-da il suo video a Maria De Filippi per entrare ad Ami-ci. Una malattia lo ha por-tato via dalla terra con più di un anno di sofferenze fisi-che e morali. Lui ha mantenuto il suo coraggio e soprattutto la sua fede… la sua fede nel Dio della sua vita.Spesso qualcuno mi doman-da: “Che cosa cerchi tra i gio-vani di oggi”. Rispondo sem-pre: “Cerco giovani santi!”. “E li trovi?”. “Certamente”.Qualcuno scuote la testa e so che cosa sta pensando di me.Non intendo per giovani san-ti quelli (pochi) che siedono nelle chiese la do-menica o canta-

no nei cori parrocchiali. Credo nei ragazzi vicini a Dio, che ci credono di fronte a tutti, che peccano e si rialzano, che han-no amicizia con il sacerdote, che si confessano e sono felici di aver incontrato Gesù Cristo nella loro breve vita.“Francesco, durante la sua ma-lattia, – mi racconta la mam-ma – una sera torna a casa. La mamma scopre che si è fatto fare un tatuaggio. Ma la sor-presa è quando scopre la scrit-

ta e la mamma legge in inglese: “Io appar-

tengo a Gesù”. Que-sto il tatuaggio es-

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“Cristo è per strada... si può incontrare (stai attento!!!...)” di Giosy Cento

mi vuole bene, prendesse esem-pio di quello che sono e che so-no stato… E questi insegna-menti mi sono stati dati dalla famiglia e da Dio. Quindi prega, non per me, ma per eliminare le schifezze in giro per il mondo. Ho un patto con Dio: lui mi aiu-terà se riesco a fare questo… Se vuoi, aiutami così…”.

Francesco era nel pieno della sua lotta finale. Il 15 febbraio 2016 se n’è andato, portandosi dietro il cuore di tutti noi.Ma che cosa hanno dentro que-sti giovani di oggi?... Dio è in loro più di quanto noi, uomi-ni cosiddetti di fede, possiamo pensare e credere. Ciao, Francesco, e grazie. ■

senziale di questo ragazzo provato terribilmente dalla vi-ta, privato della patente, priva-to del calcio dove era un cam-pione affermato, rovinato nella sua bellezza fisica.Eppure, dentro sul suo WhatsApp, a un’amica che gli domanda sulla sua fede, rispon-de: “Ringraziando Dio, cerco di aumentarla sempre più. E cer-co di comportarmi con gli altri sempre meglio, perché questo vale molto più di soldi, fama e potere. Cerco di migliorare, per quanto possibile questa socie-tà… anche perché, ultimamen-te, in chiesa a sentire le ome-lie, di giovane, sono solo io. Quando succede qualcosa di brutto le persone se la prendo-no sempre con Dio ma, quando tutto va bene, non lo ringrazia-no mai! Non capiscono che, ol-tre al bene esiste anche il ma-le… ed è proprio questo che il Diavolo tenta di fare… allonta-narci da Cristo!E io, dopo la mia malattia, ho giurato che con me il Demonio non l’avrà mai vinta! Non ap-pena guarirò vorrei impegnar-mi in qualcosa sul sociale… ma per ora faccio le radioterap… poi si vedrà! E ti farò sapere… continua nel tuo cammino di fede… amica mia!”.E, a un amico, ecco che cosa chiede: “Se mi vuoi fare un fa-vore (per come sono fatto io) devi fare una cosa semplice e non difficile per uno come te”. “Dimmi” risponde l’amico.“In 26 anni la gente mi ha sem-pre voluto bene – scrive Fran-cesco – perché non sono stato mai cattivo, invidioso e vendi-cativo. Vorrei che la gente, se

L’Associazione è stata fortemente voluta da don Giosy Cento, da un gruppo di genitori e dai giovani di Ischia di Castro per ricordare Patrizio, Jacopo e Samuel prematuramente scomparsi.http://www.ragazzidelcieloragazzidellaterra.it/ - Il sito vuole essere un collegamento di collaborazione per continuare la vita dei ragazzi del cielo e i progetti che l’Associazione porta avanti grazie all’aiuto dei genitori dei ragazzi del cielo, alla creatività e all’impegno dei ragazzi della terra e di tutti coloro che vogliono condividere questo cammino.

Ragazzi del cielo Ragazzi della terra

onsignore sarebbe contento. Tornano infatti i corsi professiona-li di ortofloricoltura per malati psichici. Le lezioni, organizzate dai Silenziosi Operai della Croce della Comunità di Moncrivello,

Vercelli, si sono svolte da dicembre a febbraio presso il complesso del Trompone, e hanno visto la partecipazione di otto allievi, dai 19 ai 53 anni, che hanno appreso le tecniche base di giardinaggio.“Abbiamo tagliato il prato con il tosaerba – dice Mauro Varello, 51 anni, di Vercelli – e mi sono divertito molto”.Seguiti da un docente, Silvio Vallero, e da una educatrice professio-nale, Patrizia Santià, i ragazzi hanno imparato a conoscere le tec-niche base di giardinaggio, come, ad esempio, potare gli alberi da frutta e le piante ornamentali, hanno approfondito la classificazione degli ortaggi e le loro caratteristiche botaniche. “Abbiamo anche vi-sto la manutenzione delle aree verdi – spiega Silvio Vallero, per an-ni insegnante del Centro di formazione professionale del Trompone – come recuperare un terreno dismesso e la semina per ottenere le superfici erbose”.Prove pratiche per i ragazzi che si sono divertiti a improvvisarsi giar-dinieri e contadini nelle aree verdi del complesso del Trompone: “È stato molto bello vedere nascere le prime piantine di pomodori che avevamo seminato nelle cassette – racconta Marco Piano, 40 anni di Forno Canavese – speriamo che siano anche buoni”.Un’iniziativa che parte da lontano. Il 7 ottobre 1954, dopo la grazia ricevuta da sorella Claudia Giustiniani con la quale la Madonna ap-provava il difficile progetto di Monsignore di organizzare corsi pro-fessionali per disabili, Luigi Novarese inaugurava all’Ospizio Barbie-ri di Re (Val Vigezzo) il primo laboratorio. Rileggiamo dalla biografia Luigi Novarese. Lo Spirito che cura il corpo il progetto: “Monsignore voleva togliere i disabili dai ghetti di emarginazione e pietà nei qua-li erano confinati e integrarli nella società. Voleva insegnare loro un mestiere, renderli capaci, nei limiti delle loro possibilità, di essere utili e di guadagnare il pane quotidiano. Ma per fare questo era ne-cessario mettere in cantiere un progetto adeguato. Don Luigi pen-sava a corsi specifici di formazione professionale, a un insegnamen-to che fosse in grado di garantire una solida preparazione di base. Una rivoluzione che, agli inizi degli anni Cinquanta, non trovava so-stenitori”.Ma una rivoluzione che è continuata e ancora oggi prosegue nel sol-co tracciato dal beato Luigi Novarese. ■40

Corsi professionaliper malati psichici

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Le lezioni seguendo l’insegnamentodel beato Luigi Novarese

a cura della Redazione

SU GRAzIE

Moncrivello

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Gentili lettori, se volete scriverci:Silenziosi Operai della Croce

Direzione generaleVia di Monte del Gallo 105 - 00165 Roma

[email protected]

Testimonianza di Giuliana Magliacano

a cura di Felice Di Giandomenico

La rubrica intende offrire preziose testimonianze dei nostri lettori circa le grazie ricevute attraver-so l’intercessione del beato Luigi Novarese, apo-stolo dei malati.

taci tu, siamo nelle tue mani!”. Poi il primo urto, il secondo, il terzo, il quarto...Inebetita, riesco a stendere le gambe e, non so come, a scivolare fuori da quello che era rimasto della nostra auto: ero salva, camminavo. Qual-cuno mi urla di schiacciarmi contro il muro della galleria, ma io disperatamente cerco con gli oc-chi mio marito, i miei amici, che credevo morti tra le lamiere.Poi, all’improvviso, li vedo: sono vivi, a pochi passi da me.La piccola folla di persone accorse ci ha guarda-to sbalordita mentre ci abbracciavamo increduli e nel mio cuore ho avuto la certezza che don Luigi fosse lì con noi. Il suo volto è tornato chiaro al-la mia mente, sorridente e sereno, come a dire: “Il Signore vi ha teso la sua mano, sappiate ap-prezzare questo grande dono che avete ricevuto”.Grazie don Luigi – ho farfugliato tra le lacrime – il ricordo del tuo infinito amore mi accompagne-rà per tutta la vita.

Tornavo con mio marito ed una coppia di amici da una bella villeggiatura sulle Alpi. Era il giorno dell’Epifania e, salutati da una splendida giorna-ta di sole, abbiamo imboccato l’autostrada, diret-ti verso Roma. Nei pressi di Alessandria, a po-chi chilometri da Casale Monferrato, sono tornata con il pensiero a don Luigi Novarese, al suo in-cessante lavoro per gli altri, alla sua vita a cui è dedicato un bellissimo libro, alla sua prematura scomparsa. Con parole semplici, gli ho chiesto di assistere il nostro viaggio, di accompagnarci con il suo ricordo verso casa. È stato un gesto spon-taneo, diretto dal cuore.L’allegria che avevamo dentro e il tempo buono, nulla lasciavano presagire del terribile incidente a cui stavamo andando incontro.D’un tratto, appena imboccata la galleria Ovada, nei pressi di Genova, un’auto in velocità ci tam-pona con violenza: la nostra vettura sbanda, si capovolge più volte e rimane schiacciata sull’a-sfalto, al centro della carreggiata contraria.Tutto è accaduto in pochi secondi, pochi tragici secondi che a me sono sembrati un’eternità.Prigioniera nel groviglio di lamiere, mi accor-go che, dal buio della galleria, altre macchine ci stanno venendo addosso. Non sapevo se mio ma-rito e i nostri amici erano ancora vivi, ma ho avu-to la certezza che nessuno di noi sarebbe scam-pato a quell’“inferno”.Ho invocato don Luigi, disperatamente, mentre il rumore dell’auto che si stavano schiantando con-tro di noi si faceva sempre più assordante: “Aiu-

SU GRAzIEGrazie...

noicvs NoiCVSnoicvsnoicvsNOIcvsnoicvs4/2016

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noicvsNOIcvsNoiCVSnoicvsnoicvs noicvs

ome ormai consuetudine, i CVS della Pu-glia si radunano nel mese di gennaio per un incontro di formazione che si tiene in

una delle parrocchie della diocesi di Bari-Bi-tonto.È questo un momento atteso da Capigruppo e Fratelli e Sorelle perché, oltre a costituire una buona occasione per ricaricarsi e approfondire il carisma del beato Luigi Novarese, permet-te di ritrovarsi, di conoscere nuovi amici del CVS, di scambiarsi esperienze e fare il punto sul cammino fatto e da fare insieme a chi, co-me noi, condivide la spiritualità della nostra Associazione.Questi raduni prevedono un momento di ac-coglienza, la presentazione dei relatori, la re-lazione, una pausa pranzo, il lavoro in gruppi e la santa messa.Ogni anno questi incontri sono guidati da un Volontario e da un Fratello/Sorella, proprio per far sì che ciò che viene esposto sia frutto di esperienze concrete di sofferenza vissuta sulla propria pelle e/o condivisa come com-pagno di viaggio di chi soffre.Quest’anno ci siamo riuniti domenica 10 gen-naio, presso la parrocchia del Salvatore in Lo-

Incontro regionalePUGlia calambrone

vallelUoGo

seto (un quartiere della periferia di Bari). A guidare l’incontro sul tema: “Vivere l’Anno santo della misericordia” sono state due Te-rese: Teresa Carmosino, una docente in pen-sione, non vedente, e Teresa Guagnano, mam-ma, moglie e lavoratrice, di Mottola, diocesi di Castellaneta. Moderatore, il nostro caro Assistente regiona-le, don Vittorio Borracci.Teresa Carmosino, neo Capogruppo, ha ba-sato la sua relazione su due pilastri: l’icona dell’Anno santo della misericordia e il libro “La formazione dei Capigruppo” (una raccol-ta delle principali circolari del beato Novare-se, assemblate da sorella Elvira Miriam Pso-rulla, 1989). Con delle argomentazioni precise e chiare, la Carmosino ci ha fatto capire come i Volonta-ri, ma soprattutto i Capigruppo, devono guar-dare con gli occhi stessi di Gesù che è Mise-ricordia. Solo uniti a lui, crocifisso, possono raggiun-gere i cuori di tutti i fratelli, ammalati e non, del proprio gruppo e delle parrocchie in cui operano. L’immagine che più è rimasta impressa è quel-la del Capogruppo come capocordata che, ol-tre a portare i fratelli, sani o sofferenti, alla vetta nonostante pericoli e percorsi acciden-tati, deve camminare in cordata con essi. Teresa ci ha fatto notare come questa espres-sione (e per la verità anche altre) del beato Novarese possa essere messa in parallelo con quella di papa Francesco che nell’aprile del 2013 ha parlato di Gesù come Capocordata e della necessità per noi di agganciarci a lui.Un’immagine bellissima e molto eloquen-te che abbiamo poi scoperto essere stata in qualche maniera ripresa dall’indimenticabile don Pino Osella.

C

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noicvs NoiCVSnoicvsnoicvsNOIcvsnoicvs noicvsNOIcvsNoiCVSnoicvsnoicvs noicvs4/2016AncorAL’

Scuola Associativa

Misericordia è speranza

calambrone

vallelUoGo

giovani civuessini, provenienti dalle diocesi di Bari-Bitonto, Taranto, Napo-li e Pescara, abbiamo avuto modo, an-

cora una volta, di assaporare la bellezza di Val-leluogo con il ritiro spirituale che si è svolto dal 26 al 28 febbraio. Guidati da don Roberto Tarantino, abbiamo af-frontato il tema della misericordia. Ci è stato chiesto cosa fosse, per noi, la misericordia. E va-rie sono state le risposte: gratuità, amore, ami-cizia, perdono, attesa, giustizia, umiltà, carità. Ma quello che è più emerso dalle nostre rifles-sioni, individuali e di gruppo, è che “essere mi-sericordioso” implica una capacità di perdono e di amore che è più forte di qualsiasi altra cosa. E chi, meglio di Gesù, sa essere misericordioso? Nel momento in cui pone lo sguardo su di noi, ci ama di un amore immenso ed è capace di perdo-nare tutte le nostre colpe. Come nella parabola della peccatrice (Lc 7, 36-50): “Sono perdona-ti i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Colui al quale si perdona poco, ama poco”. La sua profonda tenerezza e la sua cura nei nostri confronti è talmente palpabile che è impossibile non rendersi conto dell’immenso amore che pro-va per noi.

abato 23 gennaio 2016, presso l’ostello della gio-ventù Giovanni Paolo II di

Via dei Porcari 4 a Calambrone, si è svolto il primo incontro ri-guardante la Scuola Associativa in Toscana per l’anno in corso. Ha presieduto don Armando Aufiero, presente la Responsa-bile regionale Cinzia Mazzuo-li, e le delegazioni di Firenze, Massa, Lucca, Livorno, Grosse-to e Pisa.Dopo la preghiera e il saluto iniziale c’è stato l’intervento del Responsabile dell’Apostola-to del CVS che ha commentato un brano del Vangelo di Marco col quale, trovando spunti uti-

li, ci ha spronato a persevera-re nel diffondere il carisma pro-prio della nostra Associazione, senza scoraggiarsi di fronte al-le difficoltà.Sono seguiti i lavori suddivisi in gruppi.Dopo un buon pranzo e un pò di riposo, ogni gruppo ha con-

diviso le risultanze. Poi le con-clusioni e quindi si è svolta la celebrazione eucaristica.Prima della partenza è stato fis-sato il prossimo appuntamento per il 25 aprile che si terrà an-cora in località Calambrone.(Armando Magliani - Responsa-bile CVS di Livorno)

Noi

S

Inevitabile, quindi, il collegamento con la bolla del Giubileo straordinario della misericordia, in-titolata per l’appunto “Misericordiae Vultus”. Pa-pa Francesco ci esorta ad aprire le porte dei no-stri cuori e a lasciarci avvolgere dall’immensa e incondizionata misericordia di Dio, misericordia che è speranza. La speranza nella misericordia di Dio, infatti, apre gli orizzonti e ci rende liberi.Ma non pensiate che abbiamo solo fatto cate-chesi. Anzi! Sin dalla prima sera noi ragazzi ci siamo divertiti grazie ai giochi proposti dai no-stri seminaristi Alessandro, Antonio e Luca. Gra-zie a loro, abbiamo avuto modo di conoscere il film: “Stelle sulla terra”. Un film che ci ha con-sentito di riflettere sull’importanza della fiducia

noicvs NoiCVSnoicvsnoicvsNOIcvsnoicvs

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4/2016AncorAL’ nei confronti di chi è più de-

bole e che esorta a tirare fuo-ri il meglio che c’è in ognuno, anche se è un po’ nascosto. Un film che parla di miseri-cordia. Ognuno è una piccola stella, chi più piccola e po-co luminosa, chi più grande e splendida. Ma tutti noi sia-mo stelle capaci di brillare e portare luce. E allora, non ci resta che alzare gli occhi al cie-lo e sperare nella misericordia del Padre che tan-to ci ama. Un padre che ci esorta a guardare gli

altri con i suoi occhi, pieni di amore e sincera carità. Solo in questo modo potremo essere veri portatori di misericordia.

(Maria Teresa Lisco)

Spunti di riflessione

“I volti della sofferenza oggi”

foGGia

taranto

omenica 28 febbraio 2016 si è svolto a Foggia il secondo incontro della Scuola Associativa del-la metropolia (diocesi di Foggia, Lucera, San Severo e Manfredonia) nel quale si è riflettuto su aspetti rilevanti riguardo all’apostolato dei sofferenti.

In particolare, si è tentato di dare risposta a delle domande cruciali che rappresenta-no l’essenza del rapporto di reciprocità che si viene a creare tra Volontari della Sof-ferenza e Fratelli degli Ammalati, secondo il carisma e la spiritualità del beato Lui-gi Novarese.Quale servizio si scopre nelle situazioni di infermità? Quali sono gli impegni che cre-diamo Dio ci chieda come i più importanti perché i sofferenti possano riconoscere ed assumere il loro ministero nella Chiesa e questo venga loro riconosciuto?E, non meno importante: cosa si aspetta il Volontario della Sofferenza dal Fratel-lo degli Ammalati? E cosa si aspetta il Fratello degli Ammalati dal Volontario della Sofferenza?Domande aperte che costituiscono preziosi spunti di riflessione per il nostro apo-stolato.

13 marzo 2016 presso il Seminario di Taranto si è svolta la prima tappa della

Scuola Associativa. La relatrice, sorella Angela Pe-titti, ha trattato il tema “I vol-ti della sofferenza oggi”. Era-no presenti: don Cristian Catacchio, Assistente spi-rituale, i membri del Con-siglio diocesano, alcuni iscritti e simpatizzanti.La parola sofferenza in-dica tutte le sofferen-ze dell’umanità, pertan-

to non solo quelle fisiche, ma anche quelle spirituali ed esi-stenziali. Dio incontra l’uomo nella persona che soffre e che è chiamata ad essere discepo-la del Maestro. Egli ci chiama per nome e ci fa comprende-

re che siamo unici ed impor-tanti.Sorella Angela ci ha invita-to ad attuare le opere di mi-sericordia vivendole nel nostro contesto di vita, nel nostro ambiente, socio-relazionale.

Vivace il dibattito che ne è seguito.La celebrazione euca-ristica che ha chiuso l’incontro è stata vis-suta con grande par-tecipazione.(Antonella Monopoli)

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65° Pellegrinaggioa Lourdes

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