186 - comunitadiaconato.it · 12 Servire l’uomo (M.C. Bottino); 16 Il ruolo dei cattolici per una...

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Sommario EDITORIALE 2 Profezia diaconia della storia Giuseppe Bellia CONTRIBUTO 5 Povera per i poveri e perciò profetica Virginio Colmegna ANALISI 13 Povera ma libera: la profezia incompiuta del Concilio Luigi Alici CONFRONTI 17 «Non ci sono più profeti e nessuno sa no a quando» Paola Castorina SPIRITUALITÀ 21 Il diacono: uomo di misericordia scelto per servire Anna Maria Cànopi RIFLESSIONI 29 Come cercare la profezia nella storia? Giovanni Chifari INTERVISTA 33 Intervista al card. Ratzinger Niels Christian Hvidt APPROFONDIMENTO 37 La missione dei diaconi per una diaconia profetica Enzo Petrolino SERVIZIO 45 Diaconi profeti: è giunta l’ora? Andrea Spinelli ANNUNCIO 48 Il diacono “uomo della misericordia e della speranza” è segno profetico nella chiesa Francesco Giglio CONVEGNO 51 Il Convegno Internazionale della Facoltà Teologica di Lugano Enzo Petrolino MESSAGGIO 55 Al termine della Assemblea Generale Vescovi italiani TESTIMONIANZE 57 Amministrando i beni della Chiesa Alvaro Cappellini 59 Due Camici Gaetano Perricone 63 Padre e glio 12 Servire l’uomo (M.C. Bottino); 16 Il ruolo dei cattolici per una chiesa profetica (A. Zanotelli); 20 Missione, kénosi e diaconia (G.B.) Il ministero dei diaconi per una profezia nella storia 186 anno 46° maggio 2014 RUBRICHE RIQUADRI

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Sommario

EDITORIALE 2 Profezia diaconia della storia Giuseppe Bellia

CONTRIBUTO 5 Povera per i poveri e perciò profetica Virginio Colmegna

ANALISI 13 Povera ma libera: la profezia incompiuta del Concilio Luigi Alici

CONFRONTI 17 «Non ci sono più profeti e nessuno sa fino a quando» Paola Castorina

SPIRITUALITÀ 21 Il diacono: uomo di misericordia scelto per servire Anna Maria Cànopi

RIFLESSIONI 29 Come cercare la profezia nella storia? Giovanni Chifari

INTERVISTA 33 Intervista al card. Ratzinger Niels Christian Hvidt

APPROFONDIMENTO 37 La missione dei diaconi per una diaconia profetica Enzo Petrolino

SERVIZIO 45 Diaconi profeti: è giunta l’ora? Andrea Spinelli

ANNUNCIO 48 Il diacono “uomo della misericordia e della speranza” è segno profetico nella chiesa Francesco Giglio

CONVEGNO 51 Il Convegno Internazionale della Facoltà Teologica di Lugano Enzo Petrolino

MESSAGGIO 55 Al termine della Assemblea Generale Vescovi italiani

TESTIMONIANZE 57 Amministrando i beni della Chiesa Alvaro Cappellini

59 Due Camici Gaetano Perricone

63 Padre e figlio

12 Servire l’uomo (M.C. Bottino); 16 Il ruolo dei cattolici per una chiesa profetica (A. Zanotelli); 20 Missione, kénosi e diaconia (G.B.)

Il ministero dei diaconi per una profezia nella storia

186 anno

46°

maggio 2014

RUBRICHE

RIQUADRI

2

Dopo Auschwitz c’è ancora spazio nella storia per una parola profe-tica delle chiese agli uomini di questo oscuro tempo di mutazione? Mezzo secolo di risposte non hanno sciolto il nodo dell’affidabilità

del governo di Dio sul mondo, mentre il cuore dell’uomo, che lo voglia o no, non cessa di legare il proprio futuro a parole che diano speranza. È il volto ingenuo della profezia. Tutti, e non solo i cristiani, sono afferrati dal fascino invincibile di tutto ciò che nutre l’attesa. La profezia è suggestiva per le risorse che sa evocare o per gli orizzonti che lascia intravedere, quando non è sfrut-tata a vantaggio dei profittatori e dei potenti. Discernere che cosa è profezia, oggi come ieri, non è affare da poco, non è impresa da consegnare all’abili-tà di qualche specialista biblico o all’estro di un carismatico o illuminato di turno. Nel sentire comune profeta è chi prevede e predice un futuro denso di minacce o carico di promesse; nel migliore dei casi è una sorta di visionario o di sapiente che, investito da una grazia particolare, sa discernere i cosiddetti “segni dei tempi”. Queste come altre interpretazioni similari lasciano però in ombra ciò che è essenziale e costitutivo nella profezia biblica. Nelle Scritture il profeta è visto come visionario, come veggente ma soprat-tutto è presentato come l’amico di Dio, come un uomo in grado di mostrare un’intensa e familiare relazione con Dio nel cui nome è spinto a parlare con rischiosa e leale intraprendenza. Quando non si coglie l’ambiguità di questa connessione umano-divina nel ruolo profetico, si corre il rischio di pensare il profeta come un funzionario religioso che annuncia sentenze tassative, parole incondizionate, oracoli inconfutabili. È immaginato come un operatore del sacro su cui ricercare un supplemento di quella potenza divina messa a tacere o sconfessata da una storia opaca dove emerge un’assenza indecifrabile di Dio davanti a tragedie e ingiustizie intollerabili, quanto mai lesive della dignità dell’uomo fatto a immagine divina. L’impotenza di Dio dopo Auschwitz è stata oggetto di molteplici e sapide ri-flessioni ma è certo che la tragedia della Shoah ha dato a molti l’impressione che la vena profetica fosse divenuta sterile e ormai quasi del tutto muta. E inoltre, in una società globalizzata e liquida, priva di tradizioni rassicuranti, la profezia sembra messa in discussione dall’incomprensibile silenzio di un Dio che non sa più sentire il grido del povero o che addirittura non conserva più alcun potere di interdizione contro il male trionfante. In questi casi gli uomini

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G I U S E P P E B E L L I A

Profezia diaconia della storia

Com’è visto

il profeta oggi?

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ricercano la profezia come antidoto alla palese latitanza di Dio nel giusto go-verno del mondo. Gli apocalittici celano lo scacco divino e la delusione della loro fede con giudizi perentori o con lo svelamento di segreti inviolabili di cui annunciano l’imminente avveramento. Il desiderio della parola profetica in questo caso, anche se umanamente comprensibile, non è puro; più che da un bisogno di luce, di verità, di pace è suscitato da un bisogno di certezze, di sicurezza, di tranquillità. Il silenzio divino ha però una forza sua propria e sa rendere il cuore dei credenti più sensibile e attento al rivelarsi di Dio. La profezia non è il frutto di temperamenti fervorosi, né il distillato di raffinate letture ermeneutiche o di aggiornate programmazioni pastorali perché è ge-nerata dalla mediazione dell’ascolto umile e fiducioso della parola di Dio, dall’accoglienza gioiosa del vangelo di Cristo e dalla tradizione viva di chi ci ha trasmesso la sapienza della fede.È stata questa la testimonianza consegnataci dai profeti donati alla nostra chie-sa nel secolo scorso. Per La Pira, ad esempio, la possibilità di discernere l’at-tualità del volere divino, sia nell’eccezionalità dei grandi eventi della storia, come nella quotidianità del vivere ordinario, si poteva realizzare solo attraver-so un uso sapiente delle Scritture. Con i fatti della Pignone si era aperta per il sindaco di Firenze una fase assai travagliata della sua diaconia politica che feriva la sua dignità di uomo pubblico e rendeva amara la sua esistenza di cre-dente. Mentre soffriva per l’attacco velenoso e codardo del liberismo selvaggio dei potentati politici ed economici, per le stilettate proditorie dei “comitati civici” foraggiati dalla Confindustria e, soprattutto, per l’atteggiamento perbe-nista della stampa cattolica e dello stesso Vaticano, per il suo deciso impegno a favore dei poveri, trovava il sostegno per la sua azione politica, in quegli anni assolutamente controcorrente, nella Parola di Dio. Il suo operato non era capito; i più benevoli lo vedevano come esemplarità virtuosa, edificante ma non come inquietante voce profetica. Il suo impegno politico nasceva dall’ascolto della pagina sacra e si sviluppava con sicurezza e semplicità sulle orme della verità biblica assimilata nella disci-plina del discernimento personale e nel rapporto vivo con la preghiera liturgica. È da questa comprensione dinamica, continuamente rielaborata dal contatto personale con le Scritture, da lui ritenute il metro ultimo e ordinario di cono-scenza secondo Dio, che derivava il timbro profetico della sua testimonianza. A don Sturzo scriveva: «Crede Lei forse che il Vangelo sia un libro solo devoziona-le? No: è il libro della vita di tutti i giorni: elementare, lucido, alla portata di tutti: per tutti i casi e tutte le situazioni dell’uomo. […] Non vi sono “leggi divine” della meccanica economica, sottratte all’unica legge finalizzatrice, di interven-to, di edificazione umana che è legge dell’amore fraterno e della fraterna unità e solidarietà fra gli uomini […] tutto si ricapitola in Cristo: anche l’economia!

Madre e FiglioPicasso1901

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La Parola

illumina

i fatti:

questa è profezia

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Anzi, quanto più l’economia, che è inserita – attraverso la domanda del pane quotidiano – nell’intimità stessa della paternità divina». Forse questo legame, per niente immediato ed evidente, tra pane quotidiano e pane eterno, tra la pesante materialità del vivere di ogni giorno e l’inaccessibile e sicura paternità divina poteva sembrare una forzatura ingenua o il frutto di una visione “mi-stica”, affrancata dal reale e disancorata dalla storia, ma chi ha conosciuto il ruolo che il «piccolo cristiano siciliano» assegnava all’eucaristia nell’edifica-zione della Chiesa e della stessa società, sa che la sua era una lettura profetica e quindi storica della realtà. Il presunto misticismo del professorino non impedì al sindaco di accettare il confronto aspro e serrato sulle questioni più scottanti e di scendere dentro il brutto fosso della storia, specie quando a motivo della sua iniziativa coerente e risoluta, quasi ai limiti della legalità, a favore dei poveri della sua città, dovette fronteggiare un’ostilità politica, e anche ecclesiale, davvero impressionante. «Se apro l’Evangelo questa posizione “interventista” risalta immediatamente allo sguardo. Osservate l’atteggiamento vivamente polemico di Gesù contro i farisei e contro le false dottrine che essi professavano. La predicazione di Cristo è implacabile contro l’errore e contro la menzogna. Che questa predicazione provochi lo scandalo dei farisei e dei sacerdoti poco importa: la verità va detta, con energia, con totalità, anche se destinata a produrre inimicizia. Bisogna parlare “con autorità” dicendo bene al bene e male al male». Anche in questo caso, per il sindaco di Firenze, era la visione biblica che dava un’orientazione etica all’azione sociale e un senso teologico alla stessa lotta politica e non viceversa: il fondamento più certo e vincente dell’impegno del cristiano nel mondo non risiedeva quindi nell’autonomo dominio delle ragio-ni del potere e delle sue oscure trame, sempre ammantate di realistico buon senso e di prudenza tutta carnale e mondana, ma nella verità solida e fruttuosa dell’agire radicato nella conoscenza di Cristo e del suo vangelo. Era legittimo chiedersi se la Parola di Dio dovesse avere un’incidenza storica, e più precisa-mente se doveva avere un preciso valore sociale; la risposta convinta e pronta di La Pira era: sì! Anzi il destino dell’evangelo nel mondo è essenzialmente sociale.Questa visione radicale e rivoluzionaria del Vangelo, non può non interessare i diaconi e il loro stile ministeriale. È una regola di vita che indica un orizzon-te di condotta sociale che consola i poveri e sostiene i piccoli, disorientando ricchi e benpensanti e procurando l’avversione degli uomini della religione ci-vile. La consolazione che viene dalle Scritture (Rm 15,4) aiuta a comprendere che non si può racchiudere la novità di Cristo nella vecchiezza di comporta-menti umani che non sanno dare speranza, spegnendo quella profezia di cui l’uomo ha bisogno.

L’orientazione

etica

ha un

fondamento

biblico

L’economia

è inserita

nell’intimo stesso

della paternità

divina

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La cause

del disagio

Dono dello Spirito, nuovo carisma suscitato all’interno della Chiesa primitiva per risolvere nell’amore e nella pace una situazione di dif-ficoltà insorta tra i cristiani, il ministero del diaconato si caratterizza

– come dice il suo stesso nome – per essere a servizio degli altri: un servizio di carità umile e sollecita. Come frutto della Pasqua, gli apostoli avevano cominciato ad aiutare i poveri, a soccorrere i bisognosi, a curare i malati, a dedicarsi alle opere caritative sempre necessarie, poiché sempre grande è l’indigenza degli uomini e varie le forme di povertà che affliggono l’umanità in ogni tempo e luogo. Le richieste di aiuto erano tali che i Dodici non riuscivano più a corrispon-dervi, anzi, rischiavano anche di trascurare la predicazione della Parola, che pure era il mandato principale ricevuto da Gesù di annunziare il Vangelo fino ai confini della terra. Inoltre si stava diffondendo un certo malcontento perché alcuni si sentivano trascurati e lamentavano una sorta di discrimi-nazione tra il modo di provvedere ai poveri appartenenti al gruppo degli ellenisti – cioè di lingua greca pur essendo insediati a Gerusalemme – e il modo di prendersi cura dei poveri di lingua ebraica che erano sempre stati residenti nella città santa. Era una situazione incresciosa che causava sofferenza e doveva essere risol-ta. Fu compito degli apostoli esaminare la situazione cercando insieme le cause del disagio. Senza difendersi dalle accuse o giustificarsi, presero atto della realtà e la affrontarono con sapienza, con umiltà, nella preghiera. Essi riconobbero umilmente di essere davvero insufficienti da soli a far fronte a tutte le richieste di aiuto e a soddisfare le pur legittime attese dei poveri, senza trascurare il servizio della Parola, che è il fondamento della vita cri-stiana. Per suggerimento dello Spirito Santo, proposero quindi di scegliere alcuni fratelli che si dedicassero in particolare al servizio delle mense. Ecco l’istituzione del ministero dei diaconi.Importanti erano le caratteristiche richieste: dovevano essere uomini che si distinguevano per la buona reputazione e per la loro saggezza, uomini ri-colmi di Spirito Santo, persone affidabili e capaci di entrare amabilmente in relazione con tutti. I primi sette diaconi, dunque, furono istituiti nella Chiesa per l’assistenza ai bisognosi, perché a nessuno mancasse il necessario, men-tre restava compito specifico degli apostoli offrire i beni spirituali: la Parola

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A N N A M A R I A C À N O P I

Il diacono: uomo di misericordia scelto per servire

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La difficoltàvissuta con fede

diventa

momento

di crescita

Gesù Servomodello di

servizio

di Dio e i sacramenti, ossia il “pane necessario” per portare alla conversione e per far crescere i credenti nella fede e nella santità, in modo da sentire co-me naturale e indispensabile il bisogno di condividere tutto con gli altri. Da quel momento, dunque, il servizio più pratico e concreto della distribuzione dei beni materiali messi in comune venne affidato ai diaconi che fungevano praticamente da “mano degli apostoli”. Da un momento di crisi la Chiesa usciva così arricchita e resa più idonea a farsi tutta a tutti. La difficoltà vissuta con fede non era diventata motivo di divisione, ma sorgente di vita nuova e di più forte comunione. Dopo aver ricordato la nascita del diaconato, gli Atti degli Apostoli presentano subito la figura di un “diacono modello”, Stefano, che, ricolmo dei doni dello Spi-rito, irradiava grazia operando prodigi e miracoli tra il popolo (cf. At 6,8). Subendo il martirio, il suo cuore e il suo sguardo erano rivolti al cielo, e il suo volto appariva «come quello di un angelo». Ecco l’icona modello del diacono di tutti i tempi! Tra i tanti carismi della Chiesa – c’è chi ha il dono di insegnare, chi il dono della profezia, chi quello dell’esortazione… (cf. Rm 12) – i diaconi sono chiamati ad essere come “angeli custodi” per i fratelli: gli angeli, infatti, sono proprio i “ministri” di Dio – ossia i servi – che rendono presente presso gli uomini la sua sollecitudine paterna e misericordiosa. Con l’evolversi dei tempi e il mutare delle situazioni storiche, la netta se-parazione tra “servizio della Parola” e “servizio delle mense” è andata via via attenuandosi fino a scomparire. Oggi, infatti, i diaconi hanno tra i loro compiti specifici proprio la diaconia della Parola e sono ordinati innanzitutto come «servitori del Vangelo», come proclamatori in parole e opere della “Buona Notizia” della salvezza. Proprio dal servizio dell’altare, nei compiti loro assegnati – dalla proclamazione del Vangelo, allo scambio della pace, all’invito finale di portare nel mondo tra i fratelli la grazia della Messa – essi traggono la forza spirituale per essere nell’azione caritativa autentici servi del Signore e non semplici operatori sociali. In un’omelia per un’ordinazio-ne diaconale, il Card. Antonio Cañizares Llovera, prefetto della Congrega-zione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, ha espressamente dichiarato che i diaconi sono innanzitutto chiamati ad essere «profezia e trasparenza del volto misericordioso di Gesù», riflettendo i suoi stessi senti-menti”, e testimoniando sempre la sua carità.

Come ogni ministero ecclesiale, anche il diaconato trova nel Cristo la sua sorgente di grazia e il suo modello ideale. È a Lui quale Servo che i diaconi devono particolarmente conformarsi. Ripercorrendo le pagine del Nuovo Te-stamento, non è certo difficile vedere tracciato il cammino da compiere per

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Educazione

al servizio

corrispondere a tale alta e umile vocazione. Figlio di Dio e Re dell’universo, Gesù è venuto tra gli uomini non per farsi servire, ma per servire ed ha per-corso le strade della Palestina, passando di villaggio in villaggio, risanando e beneficando, fino a dare la propria vita in riscatto per molti (cf. Fil 2,5-11; Mt 20,27; At 10,38). Pur essendo il Signore (Kyrios), cui anche i venti obbe-discono, si è fatto pane per sfamare la nostra fame di verità e di amore; Lui, il Maestro, si è chinato a lavare i piedi ai suoi discepoli (Gv 13). E tutto questo ha fatto perché mosso a compassione dell’umana miseria e povertà. Il mistero dell’Incarnazione è, infatti, mistero di compassione. San Bernardo, in uno dei suoi mirabili discorsi, dice che Gesù è venuto tra noi come un “sacchetto di misericordia”, per consolarci e guidarci nel nostro pellegrinaggio di esuli e miserabili. Dopo aver a lungo guidato l’umanità per mezzo dei profeti, venuta la pienezza dei tempio, «Dio Padre ha inviato sulla terra un sacco, per così dire, pieno della sua misericordia; un sacco che fu strappato a pezzi durante la Passione perché ne uscisse il prezzo che chiudeva in sé il nostro riscatto». E aggiunge: «Nulla mostra maggiormente la sua misericordia che l’aver egli assunto la nostra stessa miseria» (Disc. per l’Epifania, 1,1-2).Gesù, Servo per amore, imprime al servizio cristiano uno stile inconfondibile: uno stile di umiltà, di misericordia, di “com-passione”. Per conformarsi a Lui, il diacono vigilerà affinché le sue azioni, parole o gesti, e i suoi stessi pensieri e sentimenti, non si fermino mai alla pura efficienza pratica, ma nascano sem-pre innanzitutto da una reale partecipazione alle gioie e alle sofferenze dei fratelli; non siano solo un “fare qualcosa”, ma esprimano il “dono di sé”, un “farsi” tutto a tutti, in una comunione che supera ogni distanza. Proprio per questo, il servizio diaconale non può fondarsi solo sull’umana generosità o su un innato altruismo, ma è molto di più: è vera e propria voca-zione che richiede un dono di grazia specifico e un altrettanto vero e proprio discepolato alla scuola di Cristo. Infatti, nella Chiesa, il diacono è colui che ha sentito rivolta direttamente a sé la parola di Gesù: «Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore» (Gv 12,26). Durante il suo ministero pubblico, Gesù – che è la misericordia di Dio incarnata – si è fatto prossimo degli ultimi; dei poveri, dei sofferenti, delle persone lasciate ai margini della società e addirittura rifiutate e scartate, egli ha fatto i suoi amici prediletti. Risvegliare negli uomini la consapevolezza della loro dignità umano-divina è lo scopo ultimo del servizio diaconale. Molti episodi della vita di Gesù – si potrebbe anche dire tutti – sono signifi-cativi a tale proposito, perché a tal fine Egli è venuto, ma in alcuni si direbbe proprio che Gesù abbia avuto la specifica intenzione di educare i suoi di-scepoli a farsi servi, e servi misericordiosi. Bisogna riconoscere che la natura

MinotauromachiaPicasso1935

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CÀNO

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La fame

e la sete

umana, ferita dal peccato, è poco incline all’umile servizio, ma è piuttosto propensa a imporsi e dominare. I Dodici non facevano eccezione e, pro-prio mentre seguivano Gesù che avanzava decisamente verso Gerusalemme per consumarvi la sua Passione, essi discutevano su chi di loro fosse il più grande… Gesù sembra non accorgersi, ma quando giungono a Cafarnao ed entrano in casa, nell’intimità parla loro a cuore a cuore. Egli capovolge i loro criteri e afferma chiaramente che, nella prospettiva del Regno di Dio, più grande è chi si fa più piccolo ed è primo chi si fa ultimo: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti» (Mc 9,33-35). Sol-tanto attraverso l’umiltà, infatti, si arriva alla carità perfetta e solo nella carità perfetta si riesce a servire il prossimo con purezza di cuore e con magnani-mità, compiendo anche ciò che alla natura umana può sembrare eccessivo o impossibile. Un altro episodio della vita pubblica di Gesù, particolarmente significativo in riferimento al servizio diaconale, è quello della moltiplicazione dei pani, riferito da tutti gli evangelisti con sottolineature diverse, ma sempre lascian-do emergere che Gesù, per compierlo, ha espressamente chiesto l’aiuto – la diaconia – dei suoi, affidando loro la responsabilità di precisi compiti. Ma ancor prima che sul miracolo è interessante soffermarsi sulla circostanza in cui è stato compiuto, così come è descritta dall’evangelista Marco. È, infatti, un bozzetto toccante che ci mostra Gesù al vivo, nella realtà di una sua radiosa giornata di annunzio del regno di Dio. Gli apostoli sono appena ritornati da un viaggio missionario e si stringono attorno a lui per narrargli quanto hanno detto e fatto nel suo nome; egli, allora, li invita ad andare in un «luogo in di-sparte» per ristorarsi un poco nel corpo e nello spirito. Appena sbarcati, ecco che una grande folla di poveri è già lì ad attenderli… Davanti a quel penoso spettacolo, Gesù si muove a compassione e subito si mette ad «insegnare loro molte cose»: li nutre con la sua parola. Ma intanto scende la sera… Lo scenario naturale mette ancor più in risalto la condi-zione di umana povertà. Là non c’è niente, eppure la gente non se ne va, perché le parole che sta ascoltando dalla bocca di Gesù sono pane di vita per l’anima. Preoccupati, gli apostoli intervengono con il loro buon senso: «Congedali, in modo che possano comprarsi da mangiare». «Voi stessi date loro da man-giare» – è la sconcertante risposta del Maestro. La reazione è immediata: è impossibile! Dove prendere il pane per così tanta gente? Ma Gesù insiste e si fa consegnare tutto quello che hanno: cinque pani e due pesci… Un’inezia per le cinquemila persone che sono là. Allora Gesù, alzati gli occhi al cielo, quale figlio che si rivolge al Padre, pronunzia la benedizione, spezza i pani e li fa distribuire: bastano a tutti, anzi, ancora ne avanzano. A chi ha fede e

Chi era

il più grande?

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Le esigenze

del dono ricevuto

cuore compassionevole, a chi è disposto a condividere quel poco che ha e soprattutto a dare se stesso mettendosi al servizio degli altri, basta poco per compiere cose prodigiose nel nome del Signore. Ed è proprio nel nome del Signore – e nel nome della Chiesa – che i diaconi si mettono a servizio dei fratelli. Nei momenti di fatica o di scoraggiamento, quel pane condiviso e moltipli-cato può diventare motivo di conforto e anche di esame di coscienza. Come affronto i problemi del mio ministero? Non sono forse, come gli apostoli, tentato di eluderli, fuggendo dalle mie responsabilità con la scusa di essere inadeguato, rischiando così di ridimensionare le esigenze del dono ricevuto e dell’impegno assunto? Gesù ci assicura: quello che abbiamo – in forze, capacità, mezzi – messo nelle sue mani, ci basta! Ma la vera spinta per con-segnarsi, non lasciandosi paralizzare dalla sproporzione che sempre c’è tra bisogni e forze disponibili, è solo l’amore: caritas Christi urget nos! È l’amore che spinge, è la compassione per l’altrui infelicità che rende pronti non solo a distribuire le sostanze che si possiedono, ma anche fino a dare se stessi: «Date loro voi stessi da mangiare». Il duplice significato che può assumere la frase «fatevi voi stessi pane» è molto significativo a proposito del quel di più di amore che Gesù richiede ai suoi “eletti”, affinché siano veramente là dove egli è. Questo di più, infatti, è la misura dell’amore che egli, dando se stesso in cibo, ha attuato nell’Isti-tuzione dell’Eucaristia, ponendo così le fondamenta della diaconia quale “servizio delle mense”, dono del pane sostanziale per la vita terrena e per il viaggio verso la vita eterna.Proprio a partire dalla mensa eucaristica, il diaconato permanente assume una grande importanza. Portare l’Eucaristia alle persone anziane o malate, che spesso nelle grandi metropoli e nelle zone poco abitate vivono in una squallida solitudine, è una grande opera di misericordia spirituale. Là dove spesso i sacerdoti non riescono a giungere, frequentemente i diaconi arriva-no a rendersi presenti e far sentire la vicinanza della Madre Chiesa che si china con amore sui suoi figli più poveri, soli e sofferenti.Sempre durante l’ultima Cena, Gesù diede il più toccante esempio di servi-zio, quando, alzatosi da tavola, si inginocchiò a lavare i piedi ai suoi disce-poli, conformandosi così agli schiavi ai quali, nella società di quel tempo, era assegnato tale compito. Egli parlò espressamente di questo gesto ai di-scepoli come di un “esempio” da imitare. In esso, in effetti, la “divina peda-gogia” raggiunge il suo culmine. Sull’esempio di Gesù, il diacono è chiama-to a chinarsi davanti a tutti i fratelli, mettendosi al di sotto di loro, con quella carità sincera e fraterna che non fa differenze di persone, che non formula giudizi di merito o demerito, che, anzi, sa offrire il servizio con cuore così

Per chinarsi

sui più piccoli

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Il diaconato:un dono d’amore

del Padreper il mondo

Il tesoro

della vocazione

del diacono

misericordioso e buono da aprirsi una breccia anche dove più forti possono essere le resistenze e più alti i muri della diffidenza, della paura, della ver-gogna. Spiegando il gesto della lavanda dei piedi, Gesù disse chiaramente: «Sapendo queste cose», sapendo che è proprio del servo servire fino a que-sto punto, «siete beati se le mettete in pratica» (Gv 13,17). Questa beatitudi-ne costituisce il tesoro della vocazione del diacono: nell’umile chinarsi per portare l’amore di Cristo ai fratelli, egli, infatti, incontra Gesù Cristo stesso: il Cristo rivestito dell’umana povertà, il Cristo sofferente, il Cristo umiliato, il Cristo nella sua kénosi. Esortando i suoi discepoli e noi tutti a compiere le opere di misericordia, Gesù afferma che quanti avranno usato misericordia al loro prossimo af-famato, assetato, nudo, malato, afflitto, carcerato, pellegrino, nel giudi-zio universale saranno «benedetti dal Padre» ed entreranno nel Regno dei cieli (cf. Mt 25,11-31). Questa pagina evangelica è, per il diacono, come una bussola messagli in mano da Gesù, affinché possa sempre orientare e riorientare bene il suo servizio, senza mai perdere la giusta direzione, senza cedere allo scoraggiamento davanti, talvolta, all’apparente inutilità del proprio agire. La carità praticata disinteressatamente, gratuitamente e fedelmente nella vita presente è in strettissimo rapporto con la pienezza di gioia della vita futura, una gioia che ha già un anticipo in questa vita, poiché ogni volta che si vive un incontro di carità con il fratello si anticipa l’incontro finale con il Cristo. Ne risulta che il ministero del diaconato non ha solo un valore sociale, pur innegabile in quanto dà “un’anima” a servizi che sono o dovrebbero esse-re assicurati dallo Stato, ma, più profondamente, contribuisce a costruire la civiltà dell’amore, ovvero coopera all’edificazione del Regno dei cieli. Terminata la sua giornata terrena, il diacono che avrà compiuto con zelo il suo servizio accettando sacrifici e fatiche, potrà sentire rivolto a sé l’elogio rivolto del Signore al servo buono e fedele e l’invito a sedersi alla mensa del cielo per essere servito dal Cristo stesso, il Diacono per eccellenza (cf. Lc 12,37; 14,7-14).

I tratti fondamentali del diacono, che abbiamo visto delinearsi nel Vangelo e negli Atti degli Apostoli, si ritrovano nel rito di ordinazione diaconale. Que-sto è molto importante, perché nella Liturgia la Parola di Dio si fa evento; in essa è racchiusa tutta la tradizione della Chiesa, l’insegnamento dei Padri, la retta dottrina. Attraverso il rito la chiamata diventa dono di grazia ricevuto e impegno assunto: sotto la spinta dello Spirito Santo, si passa dal desiderio alla realtà, alla missione. Chiamato per nome dal Vescovo, il candidato al diaconato risponde con l’Eccomi della piena e goiosa disponibilità a mettersi

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Rendere ragione

della propria

fede

a servizio di Dio e della Chiesa. In questo Eccomi riecheggia l’Eccomi di Ma-ria, la Serva del Signore, che sarà sempre per il diacono presenza materna di modello, sostegno e consolazione. L’Eccomi si concretizza poi negli impegni caratteristici del diaconato che si sintetizzano nell’impegno a condurre una vita autentica, in cui l’annunzio e le opere di carità del Vangelo scaturisco-no dalla fede custodita in una coscienza pura e alimentata dallo «spirito di orazione», coltivato mediante la fedeltà alla Liturgia delle Ore, recitata per il mondo intero, ossia con animo universale. In una parola, l’Eccomi dice il desi-derio di conformare a Cristo tutta la vita; e tale conformazione è impegno, ma, ancor prima, è dono di Dio, poiché attraverso la preghiera di consacrazione viene riversata nel candidato la grazia del sacramento.Cuore del rito, con la sua struttura trinitaria, immette il diacono nel flusso d’amore di Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo. Di conseguenza l’azione di servizio umano che il diacono compirà lungo lo scorrere dei giorni scatu-risce dall’alto e porta in alto. Dal Padre il diacono riceve la responsabilità di amare e far crescere la Chiesa come tempio e come corpo, dedicandosi innanzitutto al servizio del santo altare e, di conseguenza, alla carità opera-tiva. È così affermato il primato dello spirituale. Il diacono non è uno che “fa tanti servizi”, ma è essenzialmente un servo del Signore e, come tale, diffonde attorno a sé amore, bontà, misericordia. Su di lui, per intercessione del Figlio, la Chiesa invoca lo Spirito, affinché sia fortificato con i santi sette doni: il dono della sapienza per avere il gusto del-le cose di Dio e suscitarlo negli altri, aprendoli a vasti orizzonti spirituali; il dono dell’intelletto per saper rendere ragione della propria fede; il dono del consiglio per scegliere le cose giuste da fare, le parole vere da dire ed essere così al servizio di Dio compiendo in tutto divina volontà e aiutando i fratelli a crescere nel senso cristiano della vita; il dono della fortezza per rimanere saldo nel Signore, pur in mezzo al mare burrascoso della storia. Tale dono – quanto mai necessario in una società che si caratterizza per la labilità dei legami e per i facili abbandoni degli impegni assunti – comunica anche la forza della speranza, per non cedere alla tentazione dello scorag-giamento, la forza dell’amore, per amare sempre e ad ogni costo il Signore e, in lui, tutti i fratelli; comunica inoltre la forza della pazienza, per saper “tenere duro” nei momenti di prova, sull’esempio di Gesù nel Getsemani e di Maria sotto la croce.Particolare importanza oggi per il diacono assume certamente il dono della scienza: venendo egli in contatto con generazioni cresciute lontano dalla fede, ignare di Dio, proprio a partire dalla conoscenza di sé e del creato è possibile risvegliare nei cuori le fondamentali domande esistenziali e aprirli ad una certa conoscenza di Dio e al desiderio di Lui. Gli ultimi due doni

La CrocifissionePicasso1930

28A.M.

CÀNO

PI

Lo stile

del servizio

dello Spirito – il dono della pietà e quello del santo timor di Dio – sono poi estremamente importanti al diacono per coltivare una giusta relazione con Dio e diventare sempre più “adeguato” alle esigenze della propria vocazio-ne. Il dono della pietà, infatti, coincide, si può dire, con la santità, coincide con il Volto stesso di Gesù, quel Volto che Egli ha mostrato in modo semplice e spontaneo, accostandosi ai piccoli, ai poveri, ai malati, alle vedove, come pure nel suo pianto per la morte dell’amico Lazzaro. Infine il dono del santo timore caratterizza lo stile del servizio. Il santo ti-more, infatti, lungi dall’essere sinonimo di paura, è quell’attenzione piena di delicatezza e di rispetto che sa evitare tutto ciò può recare agli altri sof-ferenza o dispiacere; è quella riverenza che ci fa inchinare davanti a Dio e ai fratelli. È quel dono che rende spontaneo anche l’inginocchiarsi davanti ai fratelli per lavare loro i piedi, sentendosi onorati di poter offrire questo servizio.Inserito così più profondamente nella vita della Chiesa, il diacono non agisce ormai più come singolo, ma vive la sua missione come servizio ecclesiale, in dipendenza dal vescovo e in cooperazione con il clero, non confidando in se stesso, ma nei doni che ha ricevuto e che egli mette a disposizione di tutti in umiltà.Se è vero che la diaconia è il permanente servizio del Cristo nella Chiesa aperta all’accoglienza di tutti gli uomini, non si può tralasciare di vedere anche il ruolo che in essa ha la Madre del Signore, Colei che mise tutta la propria esistenza al servizio del disegno di salvezza di tutta l’umanità. Essere diaconi oggi nella Chiesa significa perciò continuare nella storia, in mezzo a tutti i popoli, il servizio di amore che Dio stesso, incarnandosi nel Figlio, è venuto a compiere per noi e con noi per tutti.

(A.M. Cànopi osb è Abbadessa dell’Abbazia Benedettina «Mater Ecclesiæ»,

Isola San Giulio - Orta, Novara)