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Rosa Viscardi Popular music SC2 ® e llissi Gruppo Editoriale Esselibri - Simone Strumenti Comunicare dinamiche della musica leggera dalle comunicazioni di massa alla rivoluzione digitale prefazione di Rossella Savarese Estratto della pubblicazione

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Rosa Viscardi

Popular music

SC2

®ellissiGruppo Editoriale Esselibri - SimoneSt

rumenti

Comunicare

dinamiche della musica leggeradalle comunicazioni di massaalla rivoluzione digitale

prefazione diRossella Savarese

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Popular music

®eellissiGruppo Editoriale Esselibri - Simone

dinamiche della musica leggeradalle comunicazioni di massaalla rivoluzione digitale

prefazione diRossella Savarese

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Copyright © 2004 Esselibri S.p.A. - Via F. Russo, 33/D - 80123 Napoli

Progetto grafico e copertina: Giuseppe Ragno

Il catalogo è consultabile al sito Internet: www.ellissi.it

Finito di stampare presso: Litografia di Enzo CelebranoVia Campana, n. 233 - Pozzuoli (NA)per conto della Esselibrinel mese di settembre 2004

In copertina:Francesco Galante, La Polyphon nel golfo delle sirene, in «Piedigrotta Polyphon»,Pierro, Napoli 1911

Tutti i diritti riservati – Vietata la riproduzione anche parziale

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Indice

Prefazionedi Rossella Savarese pag. 9

Parte I • Industria e spettacolo pag. 17

Una definizione, pag. 17; Un linguaggio non verbale, pag. 17; L’editoria musicale,pag. 18; La canzone, pag. 19; I prodotti a stampa, pag. 19; Note tipografiche, pag.20; Lo spettacolo dal vivo, pag. 23; L’asse Milano/Napoli, pag. 28; Piedigrotta,pag. 29; La sceneggiata, pag. 32; L’asse New York/Hollywood, pag. 33; Tin PanAlley, pag. 34; Arte del tempo, pag. 37; Il suono ri-prodotto, pag. 37; Il microfono,pag. 39; Il fonografo, talking-machine, pag. 40; Il grammofono, music-machine,pag. 43; L’impresa fonografica, pag. 46; Victrola, pag. 48; Fonografo vs. grammo-fono, pag. 49; Dal cilindro al disco, pag. 50; Producibilità e riproducibilità, pag. 52;L’industria discografica, pag. 53; His Master’s Voice, pag. 53; Il divo interprete, pag.57; Negli Stati Uniti, pag. 58; In Europa, pag. 60; Pathé Frères, pag. 61; In Italia,pag. 63; Phonotype Record, pag. 65; Il mercato tra le due guerre, pag. 66; L’esecu-tore fantasma, pag. 67; Da una crisi all’altra, pag. 69; L’elettrificazione, pag. 70; Iljuke-box, song-machine, pag. 72; Il cine-box, video-machine, pag. 74; Nelle breccedel silenzio, pag. 75; L’età del microsolco, pag. 76; La battaglia delle velocità,pag. 77; Dalla canzone alla canzonetta, pag. 78; Fascino del vinile, pag. 80; L’altafedeltà, pag. 81; Il nastro magnetico, pag. 83; Stereofonia, pag. 84; L’autoradio,car-machine, pag. 87; Easy listening, pag. 89; Da popular a pop, pag. 90; Economiae commercio, pag. 93; L’avvento del rock’n’roll, pag. 94; Race Records, pag. 94; Hitparade, pag. 97; Crooning, pag. 99; L’americanizzazione del pop, pag. 100; Hitsville,U.S.A., pag. 101; Pop teenybop, pag. 104; La mecca del beat, pag. 105; Beatlesmania,pag. 107; Appropriazione e mercificazione, pag. 110; L’industrializzazione del siste-ma, pag. 112; Oltre il muro del suono, pag. 114; La via italiana alla canzone, pag.116; Tormentoni estivi, pag. 117; Cover, pag. 119; L’asse Napoli/Sanremo, pag. 121;L’Italia in festival, pag. 122; Playback, pag. 129; Regressione dell’ascolto, pag. 132

Parte II • Nel sistema dei media pag. 135

Sulla stampa, pag. 135; All’estero, pag. 136; In Italia, pag. 137; Al cinema,pag. 140; Di copertura, pag. 141; Di accompagnamento, pag. 143; I pionieri, pag.144; Sonorizzazione, sincronizzazione, missaggio, pag. 146; Dolby System, pag. 148;Dal musical al musicarello, pag. 148; Film-opera, pag. 150; Fotoromanza, pag.152; Cantattori, pag. 153; Alla radio, pag. 154; Music box, pag. 155; La grandestrada dei suoni, pag. 156; Apparecchi di ricezione, pag. 159; Negli Stati Uniti: inetwork, pag. 160; A frequenza modulata, pag. 162; La crisi delle orchestre, pag.163; La rivoluzione del transistor, pag. 164; Alan Freed, pag. 166; Disk jockey, pag.167; Lo scandalo Payola, pag. 168; In Europa: il broadcasting, pag. 170; Lastagione dei cento fiori, pag. 172; In Italia: il monopolio, pag. 175; I dischi della

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vittoria, pag. 180; Telefono in radio, pag. 186; Radiodiffusione e filodiffusione, pag.189; In televisione, pag. 190; Negli Stati Uniti: per vendere, pag. 191; La cen-sura, pag. 193; In Gran Bretagna: educare, informare, intrattenere, pag. 194;Mode e modi, pag. 197; In Italia: per giocare, pag. 201; Lo Zecchino d’Oro, pag.206; Dall’orecchio all’occhio, pag. 212; Mtv, pag. 214; Schizofonia, pag. 217

Parte III • L’apparato del disco pag. 219

Fare musica, pag. 219; L’agente, pag. 219; Le royalties, pag. 220; La casa discografica,pag. 220; A&R, pag. 221; Il catalogo, pag. 223; Etichette ed edizioni, pag. 223; Lalicenza, pag. 225; I diritti editoriali, pag. 226; Pre-produzione, pag. 226; La compo-sizione: musica e parole, pag. 226; Siae, pag. 226; L’arrangiamento, pag. 227;Sound editor, pag. 227; Il produttore, pag. 228; Produzione, pag. 228; L’interpre-tazione: musicisti, cantante, coristi, pag. 228; Il direttore d’orchestra, pag. 229; Ilprovino, pag. 229; La registrazione in studio, pag. 229; Incisione analogica e digita-le, pag. 231; Duetti, pag. 232; Post-produzione, pag. 233; Il missaggio, pag. 233;La stampa, pag. 233; Distribuzione, pag. 234; Negozi di dischi, pag. 235; Filiali divendita, pag. 235; Promozione, pag. 235; Il lancio, pag. 235; La fortuna del singolo,pag. 236; La critica, pag. 237; Programmazione radiofonica, pag. 237; Il settoreartistico, pag. 238; Format, pag. 239; Speaker, conduttore, intrattenitore, dj, pag.240; Il programmatore, pag. 241; Tecnico, fonico, regista, pag. 242; Il mixer, pag.242; Programmazione televisiva, pag. 243; La promozione grafica, pag. 244; Ilvideoclip, pag. 244; Altri canali, pag. 246; In discoteca, pag. 246; Remix, pag.246; Dal vivo, pag. 247; Live, pag. 247; Le sponsorizzazioni, pag. 248; Il supporter,pag. 248; In tour, pag. 249; Fan e groupie, pag. 249; Le agenzie, pag. 250; Concertifantasma, pag. 252; Nei processi produttivi, pag. 252; Musica da film, pag. 252;Radiotelevisione, pag. 253; Sigle, pag. 254; Jingle, pag. 256; Musica da spot, pag.256; Chill-out, pag. 257; Musica cellulare, pag. 258; Muzak, pag. 260

Parte IV • Nuove realtà pag. 263

Sound-system, pag. 263; Electric Based Music, pag. 264; Concreta ed elettroni-ca, pag. 265; Light show, pag. 268; Disco music, pag. 270; Fender, pag. 271; Ilwalkman, audio-machine, pag. 273; Un sistema monopolistico, pag. 274; La can-zone solidale, pag. 275; Impegno e protesta, pag. 276; Il concerto di massa, pag.281; La pirateria, pag. 281; Bootleg, pag. 282; Compilation, pag. 285; L’Italia,un caso Limiti, pag. 286; Nostalgia canaglia, pag. 287; Televicolo e neomelodici,pag. 289; Teen-pop, pag. 291; Verso un’ecologia musicale, pag. 292; Musica disintesi, pag. 293; Meta-musica, pag. 294; Il disco compatto, pag. 295;Campionamento, pag. 297; Cd, pag. 298; L’ultima generazione di supportifonografici, pag. 300; Micromusica, pag. 302; Il suono digitale, pag. 303; Viasatellite, pag. 305; Music on demand, pag. 307; Liquida, ecologica, pag. 308;Compressa/decompressa, pag. 309; Radio on line, pag. 310; Napster 1 e 2, pag.311; Playlistism, pag. 312; Digital kiosk, pag. 314; iPod, iTunes, pag. 315; Opensource: dal copyright al copyleft, pag. 316; Mudda, pag. 317

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Repertorio bibliografico pag. 319

Generalia, pag. 319; Registrazione e riproduzione, pag. 319; Industria e spet-tacolo, pag. 321; Culture e società, pag. 322; Generi, pag. 324; Mode e modi,pag. 327; Canzone internazionale, pag. 327; Canzone italiana, pag. 328; Can-zone napoletana, pag. 332; Protagonisti, pag. 334; L’apparato del disco, pag.338; Nei processi produttivi, pag. 338; Nel sistema dei media, pag. 339;Videomusica, pag. 346; Nuove realtà, pag. 348; Contributi critici, pag. 350;Enciclopedie e dizionari, pag. 355

Appendicedi Giuseppina Melis pag. 357

Generi dello spettacolo musicale leggero, pag. 357; Generi musicali, pag. 371

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Prefazione

Non è, forse, un caso che Popular music: dinamiche della musica leggeradalle comunicazioni di massa alla rivoluzione digitale venga pubblicatonell’anno in cui si festeggia il cinquantesimo anniversario della nascita delrock’n’roll. Potrebbe essere un ulteriore segnale, indipendentemente dalleintenzioni dell’Autrice, di quanto la musica detta ‘leggera’ o pop oppuresemplicemente rock, sia diventata un canale di comunicazione privilegiatodell’universo giovanile e, in generale, un codice universale, che supera lebarriere linguistiche e raggiunge soggetti diversi per nazionalità, credopolitico e religione.Di recente Bono Vox, la voce degli U2, ha ricevuto, a Philadelphia, la laureahonoris causa in Giurisprudenza dall’Università di Pennsylvania. Bono eralì per lanciare ONE, una campagna contro l’Aids. Il cantante irlandese haesordito dicendo che, dal 1985, anno del suo primo viaggio in Etiopia, èdiventato una rock-star con una causa. Da allora, infatti, si è impegnato innumerose iniziative umanitarie, non ultimo il sostegno ad AmnestyInternational. Questa di Bono è soltanto una delle tante testimonianze del-l’impegno civile delle rock-star.Il rapporto tra musica leggera e società, del resto, non è nuovo. Esiste ormaida circa mezzo secolo, in particolare tra musica popolare, giovani e granditemi sociali. Rapporto che testimonia la capacità della musica leggera di par-lare alla gente più di ogni altro canale. Ma come si spiega tutto ciò?

Innanzitutto bisogna guardare alla categoria sociologica dei ‘giovani’. Unacategoria che compare sulla scena sociale1, in particolare negli Stati Uniti,alla fine della seconda guerra mondiale, dove al ritorno dei militari dal frontecorrisponde il cosiddetto baby boom. I ragazzi di questa generazione han-no sedici anni nei primi anni Sessanta e degli orrori della guerra sannopoco o nulla. Sono ottimisti e credono che l’America sia un grande Paese,che esporta ovunque libertà e giustizia. Si sentono in qualche mododepositari di una nuova visione del mondo. Vivono in netto contrasto con igenitori, molti dei quali sono emigrati da altri Paesi e ricordano ancora itempi difficili delle privazioni.Con i loro consumi, in particolare quelli musicali, i giovani esprimono unarottura generazionale. La musica, per questi ragazzi, non è semplicemente

1 E, successivamente, nella letteratura sociologica.

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un oggetto di svago, ma un contesto, un luogo proprio, una soglia che lidivide dal mondo degli adulti.Al tempo stesso i teenagers diventano la forza trainante del mercato deiconsumi nel mentre lo criticano e lo rifiutano. I ragazzi americani fanno daguida a quelli europei attraverso l’americanizzazione2 del mondo occiden-tale, avviatasi durante la permanenza delle forze armate statunitensi inEuropa, negli anni Quaranta, e proseguita successivamente con l’invasio-ne dei prodotti di consumo americani sui mercati del Vecchio Continente.Come ricorda Rosa Viscardi, tra il 1945 e il 1960 cresce anche il redditomedio degli adolescenti, che in certi casi si quadruplica. La diffusione dellascolarizzazione di massa, inoltre, rallenta il passaggio all’età matura e al-l’inserimento nel mondo lavorativo degli adulti.

Poi c’è la popular music, nelle sue declinazioni dal rock al pop, detta ancheelectric based music. Secondo Viscardi l’essenza della popular music stanel suo delinearsi come sistema comunicativo che «pervade e strumenta-lizza i media: il suo essere mediata la distingue da una parte da quella ese-guita dal vivo, che, per motivi contingenti, non raggiunge un’audienceequiparabile, e dall’altra da quella seria o colta, che suscita interesse netta-mente minore presso chi ascolta la radio, va al cinema, guarda la tv, legge igiornali». Lo sviluppo della musica popolare o leggera può essere ricondottoa due componenti: una artistica e l’altra tecnologica.La componente tecnologica, oltre che consentire nuove forme di produzio-ne, riguarda essenzialmente la possibilità di ascoltare musica in modopersonalizzato. Con l’avvento dei transistor, che rendono i mezzi di diffu-sione sempre più minuscoli, liberando così i giovani dall’ascolto familiarenel soggiorno attorno al mobile della radio gestita dai genitori, questa ge-nerazione si appropria della musica come strumento di relazione sociale.Un’appropriazione sempre più intensa e individualizzata, che scandiscedifferenze di stili di consumo, quasi a delineare una nuova geografia socia-le capace di contrapporre i giovani di un quartiere a quelli del quartierevicino o, semplicemente, scarti generazionali di pochi anni tra loro. La rock-star diviene, con il beneplacito dell’industria culturale entro cui gravita, il

2 Il fenomeno dell’americanizzazione non è circoscritto soltanto ai consumi culturali, ma si

estende a tutte le forme di comunicazione, compresa quella politica. Al riguardo si veda il mio

L’americanizzazione della politica in Italia. Tv ed elezioni negli anni Novanta, Franco Ange-

li, Milano 1996.

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testimonial di un modo di diventare adulti senza confondersi nella massa.Il limite estremo del fenomeno si raggiunge con Napster, il programmache consente di scaricare sul proprio computer la musica di un altro uten-te. Internet, la rete delle reti, abbatte l’ultima barriera al flusso incessantedello scambio musicale, opponendo all’industria culturale un ostacolo dif-ficilmente sormontabile. Ognuno può farsi da sé la propria compilation. Ilconsumo produttivo, delineato lucidamente da Michel de Certeau alla finedegli anni Ottanta, raggiunge, così, la sua massima espressione3.

Dal punto di vista artistico si afferma la contaminazione tra musica popo-lare bianca e musica nera (in particolare nel blues, nel jazz e nel rock). Ilsuccesso della musica rock, tuttavia, non è confinato nei suoi ritmi onell’elettrificazione degli strumenti, ma trae origine soprattutto nel rap-porto che si crea tra musicista, band e pubblico. Un cantante rock o unaband senza pubblico sono nulla. O, come sosteneva Frank Zappa, quelloche viene detto attraverso la musica non può essere ignorato perché arrivadappertutto.E infatti, a partire dagli anni Sessanta, musicisti come Bob Dylan, JimiHendrix e Joan Baez partecipano ai grandi raduni giovanili e scrivono can-zoni che inneggiano alla pacifica convivenza dei diversi, dando voce aidissenzienti del tempo. La loro musica viene ascoltata dai ragazzi in arminel Vietnam come da quelli rimasti a casa, creando uno spartiacque oriz-zontale con il mondo degli ufficiali e dell’establishment in generale. La can-zone Master of war di Dylan, del 1963, contro i portatori di guerra, ne èuna delle migliori testimonianze. Il concerto di Jimi Hendrix a Montereynel 1967 e quello di Woodstock nel 1969 stigmatizzano questo stato di cose,diventando un punto di non ritorno nella storia dell’immaginario musicalecontemporaneo. Il popolo della musica di Woodstock manifesta in questomodo, non meno che con l’uso delle droghe, il rifiuto di tutte le regole so-ciali istituzionalizzate come delle politiche espansive presidenziali. Per ar-rivare, con un balzo, ai nostri giorni si può ricordare il concerto PavarottiInternational per Sarajevo, con la partecipazione ancora una volta di Bono.Come giustamente pone in risalto il volume di Viscardi, senza la riprodu-zione massmediatica che consente di raggiungere un pubblico di dimen-sioni smisurate non esisterebbe la popular music come forma comunicati-

3 A questo proposito si veda il mio Comunicazione, media e società. Modelli, analisi, ricer-che, Ellissi, Napoli 2004.

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va. E tanto meno essa si distinguerebbe dalle altre forme di comunicazionedi massa, come invece accade per il fatto di non servirsi di un canale unico(il disco), bensì di più canali contemporaneamente. Il fatto che tali canalisiano praticamente tutti i mass media (dalla radio al cinema, dalla stampaalla televisione, dalla fotografia al telefono), fino ai new media e a Internet,non fa che accrescere le potenzialità della musica leggera, che, negli anni,va configurandosi come un sistema di comunicazione perfettamente inte-grato nel macrosistema della cultura di massa.

Il testo di Rosa Viscardi si presenta, all’apparenza, come un’enciclopedia:ricco d’informazioni storiche e di precisazioni tecniche, conduce il lettore(al quale, nel Repertorio bibliografico, rende conto di oltre mille titoli)dagli albori della musica di ascolto popolare fino alle complesse costruzio-ni digitali dell’inizio del nostro secolo. Dietro questo stile referenziale siscorge, tuttavia, un ordito più complesso che ben traspare dall’articolazio-ne del volume. In apertura del quale viene data una quanto mai opportunadefinizione di ‘popular music’, in inglese detta anche ‘light music’, locuzio-ne equivalente all’italiana ‘musica leggera’, a sua volta corrispondente al-l’anglosassone ‘pop music’ e alla francese ‘musique de mass medias’.Nella prima parte, Industria e spettacolo, si descrive l’editoria musicale,fenomeno di iniziale industrializzazione culturale relativo alla popularmusic, non ancora divenuta di massa. L’editoria musicale a stampa (cheproduce spartiti e fascicoli vari contenenti le partiture dei brani da ese-guirsi, perlopiù, al pianoforte) riguarda, infatti, sullo scorcio dell’Ottocen-to, un pubblico dalle dimensioni ridotte, opportunamente alfabetizzato,borghese e, in quanto tale, abituato a frequentare i luoghi deputati alla spet-tacolarizzazione della musica (teatri, locali, caffè, case private, in altre pa-role i luoghi dello spettacolo dal vivo).Di qui l’esigenza di accorpare ‘industria’ e ‘spettacolo’. Binomio che diven-ta un tutt’uno (l’industrializzazione dello spettacolo musicale) quando l’in-venzione del fonografo prima e del grammofono poi consentono al pubbli-co, sempre meno élitario e sempre più di massa, di fruire a piacimento,anche nel tempo e nello spazio, del suono ri-prodotto, inaugurando l’indu-stria del disco. L’apparato industriale, cioè, che regola il consumo dei pro-dotti discografici.Nella seconda parte, Nel sistema dei media, si mostra come la musica leg-gera diventi un ingrediente di base in tutte le forme di spettacolo e in tuttii media: presente sulla stampa (la carta stampata non può fare a meno di

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occuparsi delle canzonette e, a mano a mano, nascono persino riviste spe-cializzate), al cinema (la musica accompagna la proiezione dei film mutiper coprire il crepitio del proiettore e successivamente la colonna sonoradiventa co-protagonista del film), alla radiotelevisiva (qui si tiene contodei due diversi modelli di sviluppo seguiti dall’industria radiofonica negliStati Uniti e in Europa), in televisione (come già alla radio la musica impazzatra sigle, giochi basati su indovinelli canzonettistici e poi videoclip).Chiarita la dinamica popular music/comunicazioni di massa, nella terzaparte, L’apparato del disco, si apre una finestra, che assolve anche allafunzione di fare da spartiacque con l’ultima parte, quella più vicina a noi.Vengono presentate realtà specifiche quali l’organizzazione produttiva allabase dell’industria discografica, da un lato (ideazione, pre-produzione, pro-duzione, post-produzione, promozione), e le figure professionali che vi la-vorano (o che più semplicemente ci girano intorno, come i fans, finendocomunque per esserne, magari inconsapevolmente, imbrigliati), dall’altro.Trasversalmente, uno sguardo su come la popular music sia onnipresentenei processi produttivi dei media, vecchi e nuovi: nelle colonne sonore, neglistacchetti, negli spot, nelle suonerie dei cellulari.Infine le Nuove realtà della popular music, che si rintracciano, dal puntodi vista storico, nella seconda metà del Novecento, quando una serie diprogressi tecnologici (l’elettrificazione degli strumenti, l’amplificazionesonora, la conversione alla stereofonia di apparecchi di diffusione comeradio e stereo portatili), da una parte, e una sorta di maturazione del pub-blico dall’altra, favoriscono l’avvento di un vero e proprio ‘sound-system’.Sistema che, di qua e di là dell’Oceano, tutto permea, pareggiando euniformando i gusti del pubblico. Compiendo, in sostanza, un irreversibileprocesso di americanizzazione culturale (che in Italia tende ad assumere icontorni della colonizzazione), iniziato alla fine della seconda guerra mon-diale e proseguito con l’avvento del rock’n’roll.Fino a far sì che la musica sia presa nella rete. Finito il vinile, surclassato ilsuono digitale del compact disc, inaugurato (illegalmente) il file sharing daNapster, la popular music di oggi è tendenzialmente on demand, on line,liquida o ecologica che dir si voglia: non ha più bisogno di supporti materialie, forse, neanche di un’industria. Con tutte le implicazioni, anche giuridiche,che ne conseguono.

ROSSELLA SAVARESE

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Felice pregiudizio è quello che sparge un balsamo su i mali della vita

Giuseppe Ceva Grimaldi

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INDUSTRIA EParte I SPETTACOLO

Una definizione

Intendiamo indicare con popular music tutte quelle forme musicali di ascol-to facile e disimpegnato, la cui fruibilità non richiede competenze partico-lari, che, prodotte da un settore specifico dell’industria culturale (l’indu-stria discografica) per essere commercializzate, mediante appositidispositivi, sul mercato dei beni di consumo, costituiscono parte integran-te delle forme spettacolari proprie dell’industria culturale nel suo complesso— dallo spettacolo dal vivo a quello cinematografico, televisivo, ai formatiradiofonici — finendo col rappresentare, in perenne sinergia con l’indu-stria culturale stessa, la ‘colonna sonora’ dell’età industriale e postin-dustriale. Mentre la musica e la canzone hanno una storia antichissimasotto il profilo culturale — al di fuori di esperimenti singolari ed ecceziona-li, oltre che dei processi dell’immediata e momentanea esecuzione — è, in-vece, relativamente recente la tecnologia che ne supporta la riproduzione.

Un linguaggio non verbale

La musica è una forma di comunicazione non verbale, come la danza e le artipiù propriamente rappresentative e imitative (il mimo, il disegno, la pittura, lascultura, l’architettura): manifestazioni artistiche antiche quanto l’uomo — etuttora utilizzate per veicolare significati, talvolta in maniera assai più efficacerispetto alle possibilità della comunicazione verbale —, poiché alla funzioneimitativa e rappresentativa del gesto si è fatto ricorso per decine di millenniprima che, con una specifica articolazione, si sviluppasse il linguaggio simbolicoumano. Lo strumento musicale più antico, un flauto, risale ad un periodo com-preso tra i quarantamila e i settantamila anni fa e quindi, pur trattandosi distime temporali assai approssimative, anteriore allo sviluppo del linguaggioumano. Più recente l’arte di conservare la funzione mimetica e rappresentativa,riproducendola su supporti durevoli.

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18 Parte I

L’editoria musicale

Nel corso dell’Ottocento, a seguito dei processi di industrializzazione e diurbanizzazione che, già dal secolo precedente, interessano gran parte delmondo occidentale, la musica popolare — miscela di generi diversi, cheattrae in quanto conciliante mediazione tra la produzione musicale classi-ca e la tradizione folklorica — si diffonde come bene di consumo. Finora,infatti, solamente una ristrettissima cerchia di aristocratici ha potuto di-sporre a piacimento di esecuzioni musicali. I ceti inferiori hanno dovutoaccontentarsi delle rare occasioni offerte da concerti pubblici (tenuti, ma-gari, nelle chiese). Ma la rivoluzione industriale scardina abitudini secolarie lo spostamento dalle campagne alla città, scindendo l’ambiente di lavorodal luogo di residenza, finisce col determinare una sempre più netta sepa-razione tra gli spazi preposti all’attività lavorativa (come la fabbrica) e ilocali deputati allo svago.Tra la fine dell’Ottocento e il primo decennio del Novecento alcuni com-positori europei si cimentano nella raccolta di canti popolari e anticipanogli studi etnomusicologici, da un lato a nobilitare una tradizione millenariadai notevoli risvolti artistici e sociali, dall’altro a richiamare l’attenzionedella nascente industria musicale su un fenomeno che — opportunamen-te incrociato con diverse esperienze artistiche, comunicative e spettacolari— si accinge a diventare ‘di massa’. Nasce così un nuovo folklore urbano,una sorta di pop ante litteram. Mentre quello delle zone rurali resta sal-damente legato alle proprie radici e, spesso, impermeabile alle novitàmondane.Nel primo Novecento, nonostante alcune ‘scuole nazionali’ attingano a re-pertori folkloristici per rielaborarli in concerti e poemi sinfonici, la musicacolta non riesce a far breccia nelle classi popolari. Le masse urbanizzatepreferiscono accorrere agli spettacoli musicali che l’industria del diverti-mento, già prospera e ben organizzata, predispone tenendo conto delle ri-chieste più elementari di un pubblico non specialistico. A favore del popo-lo vengono divulgati in quantità balli e danze spesso legati a nuovi generidi canzoni, non più — almeno nella loro prima elaborazione formale econtenutistica — folkloriche, ma non ancora popular.Tra 1890 e 1900 a Parigi, Londra, Milano, Napoli e New York si sviluppa,allora, parallelamente, un’editoria musicale basata sulla produzione e sullancio stagionale di canzoni nuove. Quelli attivi in questo campo, sono —secondo la definizione usata, da metà Ottocento, per definire il settore —

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‘editori di novità’: non si limitano, cioè, a ristampare testi già conosciuti,ma producono ogni anno canzoni inedite.

La canzone

Di ascendenza letteraria, la canzone ha struttura a strofe e carattere ‘leggero‘.Facilmente orecchiabile, è intonata perlopiù dal canto, ma può anche essereesclusivamente strumentale. Quella delle origini consiste in una breve composi-zione narrativa, diffusa oralmente nei Paesi occidentali. Nel Duecento il terminepassa a indicare un componimento poetico, al quale la musica si accompagnacon funzioni decorative. Nel Cinquecento canzone s’impiega in contrapposizionea mottetto (forma musicale polifonica di origine medioevale), per sottolineare ilcarattere profano della musica. Dopo il 1530, in particolare, con accezionerestrittiva, designa tutte quelle composizioni musicali leggere, tendenzialmenterustiche e burlesche, che non confluiscono nel più colto madrigale. La storiadella canzone subisce una svolta determinante tra il Settecento e gli anni Ventidel Novecento, segnati dall’avvento — tra 1922 e 1925 — delle trasmissioniradiofoniche. La canzone moderna si sviluppa in Francia, dove, già sul finire delSeicento, la vivacità della satira politica incrementa la produzione di canzonetteed epigrammi, che, a fine Settecento, convergono nel caffè concerto, generespettacolare nato nel 1770 al Café des Musicos di Parigi, localino in cui gliavventori s’intrattengono tra scenette ed esibizioni musicali. Nell’Ottocento, ri-cevuto nuovo impulso dalla rivoluzione del 1789, la tradizione settecentesca sirinnova: nascono il ‘teatro di vaudeville’ (da voix de ville, ovvero ‘voci dellacittà’) e la ‘canzone nera’ (o canaille), celebrazione degli eroi negativi e dellavita dei bassifondi, che rappresenta il risvolto maledetto della Belle Époque. TraOtto e Novecento la canzone napoletana, fiorita dalla ricchissima tradizionemelodica locale, funge da tramite tra la maniera ottocentesca tardo-romanticae la canzonetta contemporanea.

I prodotti a stampa

La prima forma di editoria musicale di massa — e in fondo classica, preve-dendo pur sempre un procedimento di stampa su carta — è rappresentatadall’editoria musicale tardo-ottocentesca, che dispone di un doppio mer-cato: quello degli spartiti (fascicoli recanti la versione per canto e per pia-noforte, da cui la dicitura cantopiani, di una o più canzoni), indirizzati adun pubblico provvisto di specifiche competenze, in vendita presso i negozi

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musicali e le sedi delle varie case editrici; e quello dei soli testi delle canzo-ni di successo (stampati su un unico verso dei fogli volanti), che ha perdestinatari i ceti popolari, ad opera, perlopiù, di venditori ambulanti.

Note tipografiche

Nel 1498 il trentaduenne Ottaviano Petrucci da Fossombrone ottiene dalla Re-pubblica Veneta il riconoscimento dell’invenzione della stampa musicale, messaa punto adattando la tecnica tipografica a caratteri mobili creata da JohannGutenberg tra 1445 e 1450, e il privilegio di stampare e vendere sull’intero ter-ritorio della Serenissima. Nella fiorente industria tipografica della Venezia ri-nascimentale — e sotto la protezione del summum patronum Girolamo Donà,illustre diplomatico, eminente umanista e finissimo musicologo — lo stampatoremarchigiano pubblica, il 15 maggio 1501, Harmonice musices odhecaton, pri-mo volume stampato con caratteri mobili in tre fasi a registro tra loro: penta-gramma, note e testo. Primo editore musicale in senso moderno, Petrucci — ilcui procedimento resterà in uso in tutto l’Occidente, sia pure con qualche modi-fica, fino alla recente introduzione di nuovi sistemi produttivi — imprime unasvolta decisiva alla storia della musica, favorendo la diffusione e la conoscenzadei generi e degli stili musicali europei. Oltre a raccolte monografiche sui mas-simi compositori del tempo, gli si deve la pubblicazione di numerose miscella-nee di musica profana italiana quattro-cinquecentesca (undici volumi dal 1504al 1514), musica franco-ispano-burgundo-fiamminga (tre volumi di musica pro-fana dal 1501 al 1503 e nove di mottetti sacri dal 1502 al 1519), intavolature diliuto (quattro volumi dal 1507 al 1508), Lamentazioni (due libri nel 1506) eMagnificat (1507), Laudi (due libri nel 1507 e 1508) e intavolature per canto eliuto (due libri nel 1509 e 1511).

Stampati su un’unica facciata con i versi delle canzonette popolari, ornatilitograficamente con serti floreali, puttini o vignette raffiguranti scene digenere, i fogli volanti hanno larga fortuna nel corso del Seicento. Nel Set-tecento conservano le medesime caratteristiche e a Napoli — dove rappre-sentano la prima serializzazione della nascente industria culturale — ac-quisiscono la denominazione spregiativa di copielle, nel senso di riprodu-zioni di riproduzioni, prive di ogni originalità oltre che di modesta fatturatipografica. Verso la metà dell’Ottocento, in seguito all’enorme successo diTe voglio bene assaje (1835), molti tipografi partenopei si trasformano in

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editori musicali e si dedicano alla stampa di copielle, che, originariamentedestinate al pubblico meno abbiente e meno colto, conoscono una diffusio-ne di massa ed un successo sorprendente.A metà Ottocento risalgono anche le prime copertine di raccolte di canzoninell’edizione per canto e piano. Illustrata del tutto o in parte o, più sempli-cemente, fregiata dai caratteri tipografici dei titoli disegnati ‘a fantasia’,talvolta arricchita da ritratti di cantanti, autori, editori, la copertina dellospartito si caratterizza, in Italia come in Europa, per essere illustrata ancheda immagini assolutamente prive di legami logici con la canzone che lospartito contiene, adattandosi disinvoltamente alle più disparate esigenzestilistiche ed editoriali (dalla funzione pubblicitaria delle non poche canzoni-réclame, alle raccolte in serie di composizioni celebri).Sul finire del secolo le copielle si trasformano in mandolini: su un versoconservano le caratteristiche dei fogli volanti e sull’altro recano la riduzio-ne per mandolino, lo strumento napoletano più popolare (da cui prendonoil nome). Quando, nel passaggio al secolo successivo, le edizioni musicali simoltiplicano, si diffonde la consuetudine d’illustrare i mandolini — e tal-volta anche le copertine dei cantopiani — con l’etichetta della casa, attribu-endole una valenza decorativa, promozionale (rafforzata, spesso, dalla pre-senza della fotografia dell’interprete o dell’editore), nonché altamente di-stintiva. L’ultima evoluzione delle copielle risale ai primi del Novecento,quando i mandolini si trasformano in supermandolini: un foglio più gran-de piegato in due con la copertina illustrata come quella dei cantopiani,sebbene di formato ridotto; all’interno, la solita riduzione per mandolinocon i versi della canzone.I venditori ambulanti di copielle e mandolini ne esaltano il carattere pub-blicitario esponendoli, attaccati a fili di spago con mollette da bucato, agliangoli delle strade, come mini-manifesti in grado — alla stregua dei grandiaffiche illustrati creati negli stessi anni da Henri de Toulouse-Lautrec per ipiù celebri café parigini o le cartoline postali-musicali illustrate, recantipoche notazioni musicali e qualche verso delle canzoni — d’inserirsi e in-tervenire negli spazi e nei tempi della vita di città. Quest’ultima, d’altraparte, è lo scenario ideale per l’esecuzione delle canzoni napoletane: la se-renata in strada, la posteggia al ristorante, le periodiche in casa, il concer-tino alle feste private.I gavottisti — che devono il nome alla gavotta (danza di origine francese,già in voga alla fine del Cinquecento, tornata di moda in tutta Europaverso metà Ottocento), ma dal 1920 circa sono detti più genericamente

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‘professori’ — in attesa di commissioni s’intrattengono presso caffè e bot-teghe, che trasformano nei quartieri generali della canzone; dietro uncompenso prestabilito, eseguono serenate o musica a domicilio per allie-tare trattenimenti e riunioni festose. A differenza dei gavottisti, tenden-zialmente stanziali, i posteggiatori — eredi dei menestrelli, dei trovatorie degli antichi rapsodi, meritevoli di aver portato la canzone napoletanain tutta Europa — sono nomadi: talvolta isolatamente, più spesso in gruppidi cinque, dieci o dodici elementi, cantano e suonano (chitarra omandolino) nelle strade, migrano tra bettole e ristoranti, si accostano abordo di piccole imbarcazioni alle fiancate dei transatlantici che attraccanoper ricevere i turisti e, terminata l’esibizione, girano con un piattino araccogliere le offerte.A partire dagli anni Ottanta dell’Ottocento, quando l’industria culturalenapoletana recupera come ‘festa delle canzoni’ la Piedigrotta, antichissimaricorrenza pagano-cristiana celebrata nella notte tra il 7 e l’8 settembre, ifascicoli a stampa pubblicati in quest’occasione diventano i prodotti mag-giormente caratterizzati e caratterizzanti dell’editoria musicale locale. De-rivati dalle tradizionali ’nferte (strenne letterarie), i numeri unici diPiedigrotta conservano una doppia natura, letteraria e musicale, anchenell’impaginazione, nettamente distinta tra una prima parte contenentescritti di varia natura ed una seconda dedicata esclusivamente alle partituredelle canzoni presentate al concorso omonimo dalle rispettive case editrici.Destinate ad un pubblico più ampio e variegato di quello dei cantopiani edei fogli volanti, ben rappresentato da un nucleo familiare abbastanza ca-pace — in un’epoca affollata da coloro che, in Apocalittici e integrati. Co-municazioni di massa e teorie della cultura di massa (Bompiani, Milano1964) Umberto Eco ha definito «strimpellatrici perniciose», educate al cultodell’esecuzione pianistica e dell’intrattenimento musicale degli ospiti — diauto-produrre musica casalinga e, pertanto, costantemente interessato alleultime novità canzonettistiche, le Piedigrotte riscuotono un successo taleda incoraggiare gli editori, dai primissimi anni del Novecento, a realizzarestrenne musicali nelle occasioni più disparate. La pubblicazione di numeriunici musicali si fa, così, da annuale a periodica, se non straordinaria.Il pianoforte trova posto nei salotti Liberty dei ceti benestanti d’Europa ed’America tra gli anni Trenta e Settanta dell’Ottocento, quando si diffondela consuetudine di far studiare musica ai giovani (alle signorine, special-mente) di ‘buona famiglia’. Inizia così un procedimento lungo ma inesora-bile, destinato a trasformare la casa nel terminale privilegiato della comu-

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nicazione e a stravolgere i rapporti tra musica e società. Serate musicalicominciano a essere programmate anche in ambienti meno privilegiati:basta disporre di un pianoforte, elevato ben presto a simbolo dell’apparte-nenza sociale al ceto medio, procurarsi qualche spartito e affidarsi alla cul-tura musicale — più o meno dilettantistica — di uno o più familiari perallietare i convenuti. Per non mortificare l’abilità del pianista e del cantan-te, né mettere alla prova la pazienza degli ascoltatori, l’esecuzione musica-le a domicilio crea l’esigenza di brani non troppo difficili e possibilmentebrevi, oltre che facili da memorizzare. Non guasta che siano ballabili; comei valzer e le mazurche che, per tutto l’Ottocento, cementano la nascentesocialità borghese. In alcuni Paesi, come l’Italia, i brani musicali da salotto(e da teatro di varietà) assolvono anche alla funzione di far circolare brevitesti poetici in una lingua nazionale che solo ora sta diventando parlata, oin dialetti, come il napoletano, che si possono supporre universalmentecomprensibili.L’enorme espansione del tessuto urbano di molte città induce, intanto, adun ripiegamento nella vita domestica e ad una progressiva valorizzazionedella sfera privata. Aumenta ulteriormente, di conseguenza, l’importanzadella musica casalinga prodotta e consumata per svago. Vengono a crearsi,allora, i presupposti per la nascita e lo sviluppo di un mercato di massa perla diffusione tanto di pianoforti quanto di brani di successo; e le condizioniideali per accogliere nelle case i primi apparecchi domestici musicali (al-meno nel mondo anglosassone e statunitense), che, all’approssimarsi dellaGrande Guerra, si riveleranno assai più diffusi dell’automobile e del telefono.

Lo spettacolo dal vivo

L’offerta di un programma musicale che intrattenga gli avventori e li indu-ca a consumare è da sempre pratica comune nei locali pubblici, ma il feno-meno si fa culturalmente rilevante con l’avvento della borghesia, che, nonavendo accesso ai salotti aristocratici, trasforma in veri e propri riti gli in-contri al caffè. L’immagine di questi ultimi come luoghi deputati alla vitacomunitaria e covo di idee progressiste si radica a Parigi, dove, verso lafine del Settecento, sul Boulevard du Temple, che — nella tradizione deicaveaux seicenteschi, dove poeti e musicisti, popolani e intellettuali si dannoconvegno per conversare, declamare, cantare ma anche rimarcare quel dis-senso che sfocerà in rivoluzione — vengono aperti i primi café chantant,

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rallegrati dalle occasionali esibizioni di qualche chanteurs (i primi ‘can-tanti’ nell’accezione moderna del termine).Il 1865 viene approssimativamente indicato come l’anno di nascita del caféconcert, presto abbreviato in caf’conc’, locale di ristoro (caffè e ristorante)che richiama e intrattiene la clientela con numeri di musica, canto e attra-zioni varie. Secondo alcuni sarebbe da considerarsi un’invenzione tipica-mente francese (d’altronde la parola café entra nell’uso comune nel 1650,a Marsiglia, per indicare la bevanda importata dall’Oriente e destinata aconquistare l’alta società), ma se ne trovano dei precedenti, verso la finedel Seicento, nei Pleasure Gardens di Londra (tra i più noti il Sadler’s Wells,che, oltre alle acque termali, offre caffè, the, vino e birra mentre un’orchestri-na esegue musiche in voga e si esibiscono mimi, ballerini, funamboli). Èsolo dopo l’insurrezione del 1870, comunque, che questi ritrovi guadagna-no una più precisa connotazione, caratterizzandosi per l’eterogeneità dellaclientela e l’alternarsi di numeri di canto e arte varia — alcuni dei qualipresi in prestito dal circo —, scenette comiche e brillanti, sentimentali eanticonformiste.Le principali ‘categorie’ degli animatori di caf’canc’ — interpreti ordinari evedettes, che fanno sfoggio di qualità canore, educazione musicale, belladizione e temperamento teatrale — annoverano, tra l’altro, cantanti pa-triottici, tragici e umoristici; cantanti-villanelle romantiche e maliziose;cantanti realistici, portavoce dei poveri e degli emarginati; cantanti conte-statori, con sarcasmo e disprezzo, del mondo borghese; le gommeuses, can-tanti esagitate; i gambilleurs o épileptiques, cantanti ballerini; i pochards,cantanti sbronzi; gli scieurs, dicitori di composizioni falsamente stupide ea doppio senso. Accanto a composizioni di mestiere, le migliori canzoni —che già in età romantica si sono avvalse di testi eccellenti di letterati comeChateaubriand, Musset, Gautier, Hugo, Nerval — recano le firme prestigiosedi Corbière, Laforgue, Richepin, Verlaine e altri.All’aperto o al chiuso che sia, il tipo più comune di caf’canc’ si presentacome uno spazio rettangolare arredato con tavolini e seggiole, provvisto diun chiosco o di una pedana rialzata sui quali si esibiscono piccole orche-stre. Inizialmente il canto rappresenta un’appendice pubblicitaria, ma inseguito al chiosco e alla pedana si sostituisce un vero palcoscenico su cui icantanti e gli animatori si esibiscono nella corbeille: una corona di donnedella compagnia, sedute. Successivamente il palcoscenico viene corredatoda quinte fisse e da un fondale architettonico, mentre la sala si arricchiscedi più ordini di barcacce, palchetti o séparés. Predomina lo stile decorativo

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