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14  PoPoli ottoBRE 2008 Enrico Casale «M eno clandestini, più gas e più petrolio». Così il premier italiano Silvio Berlusconi ha sintetizzato l’accordo sottoscritto con il leader libico Muam- mar Gheddafi il 30 agosto a Bengasi. Un’intesa nella quale convergono in- teressi e istanze diverse di caratte- re storico (gli indennizzi per i danni inflitti dall’Italia durante il periodo coloniale), economico (lo sfruttamento delle risorse petrolifere), sociale (il con- tenimento dell’immigrazione irregolare che transita dalla Libia prima di appro- dare in Italia). Ed è proprio quest’ultimo punto a rappresentare l’anello debole dell’accordo perché il nostro Paese di fatto affida a Tripoli la gestione dell’immigrazione dall’Africa subsaha- riana, concedendo alla Libia tecnologie d’avanguardia per il controllo dei flussi migratori, e «delegandole» l’espulsione degli immigrati verso i Paesi d’origine. Tutto questo senza chiedere in cambio alcuna garanzia sul rispetto dei diritti fondamentali dei migranti. Intese simili sono già state sottoscritte con altri Paesi, per esempio Albania e Tunisia. La Libia però è un caso a sé: da 39 anni è retta da una dittatura che non ha mai nascosto la sua «allergia»  verso le pratiche democratiche e i diritti umani. «In Libia - denuncia Human Il Trattato firmato il 30 agosto prevede che il Paese maghrebino collabori nel contenimento dei flussi migratori provenienti dall’Africa subsahariana. Nessuna garanzia viene chiesta sul rispetto dei diritti umani, oggi ampiamente violati. I racconti di chi è finito nella rete dei trafficanti e ha «assaggiato» le carceri di Gheddafi Sulla pelle dei migranti libia-italia

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14  PoPoli ottoBRE 2008

Enrico Casale

«Meno clandestini, più gase più petrolio». Così ilpremier italiano Silvio

Berlusconi ha sintetizzato l’accordosottoscritto con il leader libico Muam-mar Gheddafi il 30 agosto a Bengasi.Un’intesa nella quale convergono in-teressi e istanze diverse di caratte-re storico (gli indennizzi per i danniinflitti dall’Italia durante il periodocoloniale), economico (lo sfruttamentodelle risorse petrolifere), sociale (il con-tenimento dell’immigrazione irregolareche transita dalla Libia prima di appro-dare in Italia). Ed è proprio quest’ultimo

punto a rappresentare l’anello deboledell’accordo perché il nostro Paesedi fatto affida a Tripoli la gestionedell’immigrazione dall’Africa subsaha-riana, concedendo alla Libia tecnologied’avanguardia per il controllo dei flussimigratori, e «delegandole» l’espulsionedegli immigrati verso i Paesi d’origine.Tutto questo senza chiedere in cambio

alcuna garanzia sul rispetto dei dirittifondamentali dei migranti.Intese simili sono già state sottoscrittecon altri Paesi, per esempio Albania eTunisia. La Libia però è un caso a sé:da 39 anni è retta da una dittatura chenon ha mai nascosto la sua «allergia» verso le pratiche democratiche e i dirittiumani. «In Libia - denuncia Human

Il Trattato firmato il 30 agosto prevede che ilPaese maghrebino collabori nel contenimentodei flussi migratori provenienti dall’Africasubsahariana. Nessuna garanzia viene chiesta sulrispetto dei diritti umani, oggi ampiamente violati.

I racconti di chi è finito nella rete dei trafficantie ha «assaggiato» le carceri di Gheddafi

Sulla pelledei migranti

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Rights Watch, organizzazione inter-nazionale che difende i diritti umani -sono comuni l’arresto e la tortura deglioppositori politici. Negli ultimi 18 mesitre oppositori sono scomparsi e di loronon si sa più nulla». Ancora più durala denuncia di Amnesty internatio-nal, che critica proprio la gestione deiflussi migratori da parte libica: «Negli

ultimi anni, le forze di polizia libichehanno arrestato e rimpatriato decine dimigliaia di stranieri accusati di essereentrati nel Paese in modo irregolare. Ilgoverno non fa distinzioni tra sempliciimmigrati e rifugiati o richiedenti asi-lo. Desta particolare preoccupazione ilcaso degli eritrei fuggiti per paura dellepersecuzioni politiche e rimpatriati daTripoli».Sono gli stessi immigrati a raccontarele vessazioni e le violenze subite in

Libia, ma anche le complicità delleautorità libiche (che secondo l’intesadovrebbero arrestare l’immigrazioneillegale) nel traffico di esseri umani.

Popoli ha raccolto alcune testimonian-ze di immigrati eritrei e somali riusciti

ad arrivare in Italia dopo essere passatidalla Libia.

POLIZIOTTI COMPLICI

I trafficanti (perlopiù sudanesi o libici)sono bene organizzati e armati ma, so-prattutto, non hanno scrupoli. Per lorogli immigrati sono merce da comprare,  vendere e sfruttare. Per massimizzarei profitti razionano il cibo e l’acqualasciando gli immigrati senza bere némangiare per giorni. «Ai  passeurs -osserva Abdulaziz Ali Hassan, somalo

- non importa chetu viva o muoia, aloro interessa sologuadagnare. Noiabbiamo attraver-sato il deserto delSahara senza acqua.Per non morire di-sidratati bevevamole nostre urine. Le  vittime principalidei trafficanti sonole donne. Quando ci

accampavamo nel deserto, lasciavanoscendere il buio e aspettavano chetutti si addormentassero. Poi andavanodalle ragazze sole, sotto la minacciadelle armi le portavano lontano e le violentavano».Le violenze sulle donne sono solo unaspetto del disprezzo che molti libici

cammini di giustizia

ITrattato di amicizia, partenariato e cooperazione firmato a Bengasi il 30 agosto dalpremier italiano Silvio Berlusconi e dal leader libico Muammar Gheddafi è un’intesa che

ha tre obiettivi: chiudere il contenzioso coloniale tra i due Paesi (senza però risolvere il

problema dei risarcimenti agli italiani espulsi dalla Libia nel 1970), creare i presupposti per

una collaborazione in campo energetico, attuare gli accordi siglati in passato per contenere

l’immigrazione clandestina. L’Italia investirà 5 miliardi di dollari in 25 anni in infrastruttu-

re. In particolare, nella realizzazione di un’autostrada costiera dalla frontiera con la Tunisia

a quella con l’Egitto, nella costruzione di abitazioni, nella creazione di borse di studio per

studenti libici e nell’erogazione di pensioni di invalidità per i mutilati dalle mine seminate

dall’esercito italiano durante la seconda guerra mondiale. La Libia intensificherà la lotta

all’immigrazione clandestina attuando l’accordo siglato il 29 dicembre 2007 dal governo

Prodi (e al quale avevano lavorato i governi Dini e D’Alema) che prevede il pattugliamento

congiunto delle coste libiche e la fornitura di attrezzature e mezzi per controllare i flussi

degli immigrati. La Libia poi ha accettato l’Italia come partner di riferimento nello sfrut-

tamento dei giacimenti di gas e petrolio. I principali beneficiari, a livello commerciale,

saranno imprese italiane. In prima fila i grandi gruppi statali Finmeccanica ed Eni.

Infrastrutture, petrolio e immigrazione

L’INTESA

Per le forzedell’ordinel’immigrazioneè un affarelucroso comeper i trafficanti.E infattilo gestisconoinsiemespartendosii proventi

La firma del trattato. A sinistra,il premier Berlusconi, a destra,il leader libico Gheddafi.

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provano nei confronti delle popolazionidell’Africa subsahariana, un disprezzo

che assume i contorni di un autenticorazzismo. Per gli immigrati è impossi-bile farsi vedere di giorno nelle città. Ilibici, uomini, donne, ma anche i ra-gazzi, quando li vedono li denuncianoo addirittura li percuotono e li derubanodi tutto. Non hanno riguardo neppure

  verso i confratellimusulmani somali.«I libici disprezzanola gente di colore- spiega Abdulaziz  Ali Hassan -. Se

possono ti aggre-discono per strada.E la polizia non fanulla per difenderti.  Anzi, spesso, par-tecipa ai pestaggi».Qualche immigrato

reagisce, ma ha quasi sempre la peggio.«La cosa che ti impressiona - ricordaKaleb Hagos, eritreo - è la furia conla quale le bande di ragazzini aggredi-scono noi immigrati. Ti perquisisconocome se fossero poliziotti e, se non hai

nulla, ti malmenano».

Per le forze dell’ordine l’immigrazioneè un affare lucroso come per i traffi-

canti. E infatti lo gestiscono insiemespartendosi i proventi. A testimoniarlosono molti immigrati. La storia diHassan Mohammed Hassan, somalo,è significativa. Arrivato in Libia dopoaver attraversato Kenya e Sudan, vieneportato insieme ai compagni di viaggioin un campo di concentramento neldeserto. Qui i trafficanti li riunisconoe dicono loro che li rilasceranno solodietro il pagamento di 500 dollari atesta. Hassan non ha denaro. I  passeurs lo obbligano a lavorare nei loro campi.

«I poliziotti sanno tutto - rivela - esono complici dei trafficanti. Da loroprendono cospicue “mazzette” e li la-sciano fare. Nei mesi in cui sono statodetenuto in quel campo spesso ho vistoufficiali della polizia venire a ritirare lebuste con i soldi. Alcuni di loro eranoaddirittura in divisa».Lungo il tragitto dalla frontiera con ilSudan fino a Tripoli o a Bengasi (dovesi imbarcano per l’Italia), gli immigrati  vengono venduti più volte da ungruppo di trafficanti a un altro. Anche

in questo caso i poliziotti pretendono

la loro parte. «Io sono stato vendutotre volte - ricorda Iyob Sennay, eri-treo - prima dai  passeurs sudanesi aquelli libici, poi ad un altro gruppodi libici. Questi, invece di portarci aTripoli, ci hanno condotto a Bengasi.Erano d’accordo con la polizia. Infattiuna volta in città ci hanno abbando-nati in mezzo a una strada e, pocodopo, sono arrivati alcuni agenti.L’assurdo è che, invece di arrestarci, cihanno rubato soldi, catenine, orologi,

anelli e sono scappati».

Sul trattato di cooperazione Italia-Libia abbiamointervistato Stefania Craxi, sottosegretario agli

Esteri con delega al Nord Africa. Avremmo voluto proporvianche il parere di un esponente dell’opposizione. Perquesto motivo abbiamo contattato Piero Fassino, mini-stro degli Esteri del governo ombra. Per diversi giorni ci èstata promessa dal suo staff e da lui stesso un’intervistache però non ci è mai stata concessa.

On. Craxi come giudica il Trattato siglato da Italia e Libia?

Il mio giudizio è positivo perché credo che sia una svoltanei rapporti fra i due Paesi. Penso che abbia ragione il premier SilvioBerlusconi quando dice che si è trattato di una firma storica. Conquesto Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione si chiudefinalmente l’ostico e decennale contenzioso sul passato coloniale e siapre una nuova fase di relazioni tra l’Italia e la Libia. I due Paesi hannodeciso di cooperare a favore della pace, della sicurezza e della stabilitànella regione del Mediterraneo.

Nell’accordo si prevede che la Libia collabori con l’Italia nel contenimen- 

to dell’immigrazione irregolare. Crede che, sotto il profilo dei diritti umani,

la Libia sia un partner affidabile?

Intanto va detto che l’accordo sull’immigrazione esisteva già, ma laLibia non l’aveva mai attuato. Tanto che negli ultimi mesi gli sbarchi

sulle coste italiane sono aumentati: a luglio e agostosono arrivate a Lampedusa tremila persone, nei primisette mesi dell’anno 12.500. La Libia è affidabile?Credo che l’unico modo per far sì che Tripoli rispettii diritti degli immigrati, sia una collaborazione: con laLibia dobbiamo continuamente dialogare e scambiare lenostre esperienze.

Che cosa ne sarà delle persone che arrivano in Libia fug-  gendo da guerre e da Paesi non democratici?

L’unica possibilità è lavorare affinché l’immigrazione nonsia più un assalto di disperati all’Europa, ma un’opportunità per i Paesidi partenza e per quelli di arrivo. Per far questo bisogna impegnarsimolto sui temi della formazione e dello sviluppo in loco. Detto questonon possiamo dimenticare che anche l’Italia avrà sempre bisogno degliimmigrati, che quindi continueranno ad arrivare. Ma saranno lavoratoriformati e qualificati che aiuteranno il nostro Paese a svilupparsi.

Quali strumenti ha l’Italia per costringere la Libia a rispettare l’accordo?

Il Trattato è molto complesso e fa sì che l’Italia diventi il partnercommerciale di riferimento della Libia. Non solo, ma nell’accordol’Italia riconosce alla Libia un indennizzo per i danni subiti nel periodo

coloniale. Tripoli ha quindi l’interesse a far sì che l’intesa sia rispettatain ogni suo punto.

Craxi: «Un accordo di portata storica»

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI

libia-italia

«I libici sisentono bianchie disprezzanola gente di coloreSe possono

ti aggrediscono.E la polizia nonfa nulla perdifenderti anzi,spesso, partecipaai pestaggi»

Gli immigrati arrivano in Libia dopoaver attraversato il deserto

a bordo di jeep o di camion.

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LE PRIGIONI DI GHEDDAFI

Non solo negli accampamenti gestitidai trafficanti, ma anche nelle carcerilibiche la violenza è una dura costanteche accompagna gli immigrati. «I se-condini non hanno pietà - spiega Ab-dullahi Ahmed, somalo -, per loro ogniscusa è buona per picchiarci sia a maninude sia con i manganelli». Contro dilui gli agenti libici si sono accaniti. For-se perché è più debole di altri. Le per-cosse gli hanno inferto ferite profonde,

delle quali porta ancora vistose cica-trici. I colpi alla testa gli hanno inveceprocurato danni neurologici tali per cuispesso non riesce a seguire i discorsidegli interlocutori. Ma non è l’unicoad aver subito le percosse. «Se tenti difuggire senza pagare i secondini e tiriprendono - gli fa eco Kaleb Hagos -,la reazione della polizia è dura. Alcunicompagni che sono stati ripresi dopouna fuga, sono stati picchiati in modocosì violento che per un mese non sonoriusciti a mangiare da soli e dovevano

essere imboccati dagli amici». Anche il cibo è un problema. In alcunecarceri viene dato un solo pasto algiorno. «Il “menù” - ricorda ancora Ab-dullahi Ahmed - è semprelo stesso: pane e fagioli.Il vero problema è che senon finivamo la nostrarazione in dieci secondi ci veniva tolto il cibo e veni- vamo picchiati selvaggia-mente. Spesso riuscivamo

a mangiare soltanto due bocconi».Per assurdo, fuggire non è difficile. Le

guardie si fanno corrompere facilmen-te. Addirittura lasciano che gli immi-grati utilizzino i cellulari per contattarele famiglie o gli amici in modo chequeste spediscano il denaro per farliscappare. A volte, sono gli stessi diret-tori delle prigioni a trattare i compensiper la fuga. «Spesso - racconta Abdul-lahi - il trattamento duro esaspera i de-tenuti i quali minacciano di ribellarsi. Idirettori, temendo le rivolte, prendonocontatto con i leader dei carcerati pro-mettendo loro che dietro il pagamento

di somme tra i 500 e i 900 dollari adetenuto, si impegnano a diminuire icontrolli favorendo le fughe collettive.I detenuti quasi sempre riescono a rac-cogliere il denaro telefonando a parentio conoscenti fuori dalla prigione».Chi non ha i soldi e non riesce a fug-gire viene rimpatriato. La Libia non sicura del fatto che gli Stati d’originetutelino o meno i diritti umani, sianoo meno in guerra. Così molti eritreisono stati costretti a rientrare in pa-tria dove li aspettavano torture e, per 

alcuni, la pena capitale. Anche moltisomali sono stati espulsi e costrettia ritornare in un Paese da diciassetteanni in preda a una sanguinosa guerratra i clan.Per evitare rivolte, i libici, mentendo,dicono agli immigrati che verrannoportati in Italia. «A luglio - ricorda Te-sfay Gebrenegus, eritreo - mio fratellomi ha telefonato dal carcere di Tripolidicendomi che i libici gli avevanoassicurato che l’Italia era disposta adaccogliere 200 immigrati e che quindi

il giorno successivo sarebbero statiimbarcati su un aereo diretto a Roma.Ci siamo informati e abbiamo capitoche era una menzogna: l’Italia non

aveva dato e non avevaintenzione di dare alcunpermesso all’ingresso diimmigrati. I libici vole-  vano farli salire su unaereo, ma per rispedirliad Asmara e rimpatriarli,senza farglielo capire».

Mussie Zerai Yosief, presidente dell’Agen- 

 zia Habeshia, associazione per i rifu- 

  giati etiopi ed eritrei, come giudica l’intesa

tra Italia e Libia?

Il trattato non è un risarcimento per i dannidel periodo coloniale. Se lo fosse stato,

avrebbe dovuto essere preceduto in Italiada un dibattito sul piano storico. Dibattitoche non si è tenuto. Tra l’altro, questorisarcimento avrebbe dovuto essere fattoai libici, non a un dittatore che da 40 annigoverna senza rispettare i più elementariprincipi democratici. Penso invece che laLibia in futuro si trasformerà in una minierad’oro per le aziende occidentali e che l’Italiaabbia voluto accaparrarsi una parte degliaffari. E non sto parlando solo del mercatodegli idrocarburi, ma anche degli appaltiche Tripoli bandirà per creare nuove infra-strutture. Pur di non perdere questo treno

l’Italia ha regalato cinque miliardi di dollaria Muammar Gheddafi e anche un ampioriconoscimento internazionale.

Come vengono trattati i migranti in Libia?

I libici trattano malissimo i migranti i qualisubiscono continue vessazioni, ricatti. Trapoliziotti e trafficanti poi c’è complicità. Ècome se si passassero i «clienti»: i traffi-canti fanno in modo di «spremere» il piùpossibile i migranti e poi li fanno arrestare. Ipoliziotti cercano di guadagnarci a loro voltae poi li scarcerano, gettandoli ancora nellemani dei trafficanti.

Quale futuro attende i migranti in arrivo dal

Corno d’Africa?

Intanto va detto che dopo la firma degliaccordi gli sbarchi non si sono arrestati. Insecondo luogo, Gheddafi, subito dopo la fir-ma, ha giocato su alcuni dettagli dell’intesa(l’eventuale patto di non aggressione Libia-Italia) per mettere in difficoltà Roma e alza-re la posta chiedendo altre contropartite.Quindi non è detto che l’intesa verrà appli-cata integralmente. Chi ci rimetterà sarannocertamente gli immigrati. Alcuni cercherannodi cambiare strada, passando da Egitto eIsraele, come in parte stanno già facendo.

Altri continueranno a transitare dalla Libia,subendo discriminazioni e violazioni.

«Un regalo aldittatore Gheddafi»

      A      F      P

      F      L      I      C      K      R

I RIFUGIATI

Alcuni eritreiripresi dopouna fuga,sono statipicchiatiin modo cosìviolentoche non

riuscivanopiù a mangiareda soli