Pomezia notizie 2016_6

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mensile (fondato nel 1973) Direzione e amministrazione: Via Fratelli Bandiera, 6 - Tel. 06/91.12.113 - 00071 POMEZIA (Roma) - Fondatore e Direttore re- sponsabile: DOMENICO DEFELICE e-Mail: [email protected] Parziale distribuzione gratuita (solo il loco) Attività editoriale non commerciale (art. 4, D.P.R. 26.10.1972 n. 633 e succ.ve modifiche) - Per abbonamenti: annuo, € 50; sostenitore € 80; bene- merito € 120; una copia € 5.00) e per contributi volontari (per avvenuta pubblicazione), versamenti sul c/c p. 43585009 intestato al Direttore - Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 213/93 del 23/5/1993 - La collaborazione, sempre gratuita, in parte è libera, in parte è per invito. Ogni autore si assume la responsabilità dei propri scritti - Manoscritti, fotografie e altro materiale, anche se non pubblicati, non vengono restituiti - É ammessa la riproduzione, purché se ne indichi la fonte. Per ogni controversia, foro competente è quello di Roma. Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale 70% - DCB - ROMA Anno 24 (Nuova Serie) n. 6 - Giugno 2016 - € 5,00 DOMENICO ANTONIO TRIPODI DANTE E L’ARTE VISIVA Il 20 maggio 2016, Nell’Aula Capitolare di Palazzo della Cancelleria - Piazza della Cancelleria, Roma - L’Accademia della Fonte Meravigliosa ha presentato il Maestro Domenico Antonio Tripodi - pittore e poeta - che, con segni e parole, ha parlato di Dan- te e l’Arte visiva. A lunga fedeltà di Domenico Antonio Tripode a Dante Alighieri è stata ripagata dall’apprezzamento e dalla lode sia di eminenti storici e critici dell’arte, sia dal L

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Periodico d'arte, cultura e scienza a cura di Domenico Defelice

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mensile (fondato nel 1973) Direzione e amministrazione: Via Fratelli Bandiera, 6 - Tel. 06/91.12.113 - 00071 POMEZIA (Roma) - Fondatore e Direttore re-sponsabile: DOMENICO DEFELICE – e-Mail: [email protected] – Parziale distribuzione gratuita (solo il loco) – Attività editoriale non commerciale (art. 4, D.P.R. 26.10.1972 n. 633 e succ.ve modifiche) - Per abbonamenti: annuo, € 50; sostenitore € 80; bene-merito € 120; una copia € 5.00) e per contributi volontari (per avvenuta pubblicazione), versamenti sul c/c p. 43585009 intestato al Direttore - Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 213/93 del 23/5/1993 - La collaborazione, sempre gratuita, in parte è libera, in parte è per invito. Ogni autore si assume la responsabilità dei propri scritti - Manoscritti, fotografie e altro materiale, anche se non pubblicati, non vengono restituiti - É ammessa la riproduzione, purché se ne indichi la fonte. Per ogni controversia, foro competente è quello di Roma.

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Anno 24 (Nuova Serie) – n. 6 - Giugno 2016 - € 5,00

DOMENICO ANTONIO TRIPODI DANTE E L’ARTE VISIVA

Il 20 maggio 2016, Nell’Aula Capitolare di Palazzo della Cancelleria - Piazza della

Cancelleria, Roma - L’Accademia della Fonte Meravigliosa ha presentato il Maestro

Domenico Antonio Tripodi - pittore e poeta - che, con segni e parole, ha parlato di Dan-

te e l’Arte visiva.

A lunga fedeltà di Domenico Antonio Tripode a Dante Alighieri è stata ripagata

dall’apprezzamento e dalla lode sia di eminenti storici e critici dell’arte, sia dal → L

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POMEZIA-NOTIZIE Giugno 2016 Pag. 2

All’interno:

Crocifissione e ispirazione artistica, di Emerico Giachery, pag. 4

La storia di Taras Shevcenko, di Luigi De Rosa, pag. 6

Lo sciame delle parole di Guido Zavanone, di Nazario Pardini, pag. 9

Maria Grazia Lenisa e i temi dell’amore, di Ilia Pedrina, pag. 11

Viviane Ciampi: D’aria e di terra, di Liliana Porro Andriuoli, pag. 14

Passionalità e nostalgia in Rino Cerminara, di Leonardo Selvaggi, pag. 16

Claudia Trimarchi e i mondi di Domenico Defelice, di Ilia Pedrina, pag. 21

Antonia Izzi Rufo e La casa del nonno, di Nazario Pardini, pag. 24

La poesia è la casa della cultura, di Susanna Pelizza, pag. 26

I Poeti e la Natura (Giorgio Caproni), di Luigi De Rosa, pag. 27

Notizie, pag. 42

Libri ricevuti, pag. 47

Tra le riviste, pag. 49

RECENSIONI di/per: Isabella Michela Affinito (Arcobaleno, di Tito Cauchi, pag. 30);

Isabella Michela Affinito (E scoppiò la resistenza, di Ernesto Papandrea, pag. 31); Elio

Andriuoli (Incontri indecisi, di Gennaro Maria Guaccio, pag. 32); Tito Cauchi (Io e gli altri

poeti nella società, di Isabella Michela Affinito, pag. 33); Tito Cauchi (Dieci x dieci, di Sal-

vatore D’Ambrosio, pag. 34); Domenico Defelice (Giacomo Leopardi Percorsi critici e bi-

bliografici, di Giuseppe Manitta, pag. 34); Domenico Defelice (Boccaccio in Sicilia, a cura

di Giuseppe Manitta, pag. 35); Filomena Iovinella (Il viaggio dell’elefante, di José Sarama-

go, pag. 37); Antonia Izzi Rufo (La funzione catartica e rigeneratrice della poesia in Do-

menico Defelice, di Claudia Trimarchi, pag. 37); Susanna Pelizza (Michele Frenna nella si-

cilianità dei mosaici, di Tito Cauchi, pag. 38.

Inoltre, poesie di: Elio Andriuoli, Yahya Kemal Beyatli, Ilhan Berk, Mariagina Bonciani, Piera

Bruno, Marina Caracciolo, Salvatore D’Ambrosio, Michele Di Candia, Caterina Felici, Béatri-

ce Gaudy, Filomena Iovinella, Antonia Izzi Rufo, Giovanna Li Volti Guzzardi, Eloisa Massola,

Giovanna Maria Muzzu, Océlyane, Susanna Pelizza, Teresinka Pereira, Carlo Trimarchi, Guido

Zavanone

pubblico vastissimo degli appassionati della

Divina Commedia, pubblico destinato a non

estinguersi mai, malgrado le trasformazioni e

i capovolgimenti della scuola italiana. Nella

lunga e complessa vicenda delle letture figu-

rative di Dante, Tripodi ha saputo iscriversi

da par suo, con una personalità spiccata e ori-

ginale.

Se si pensa alle antiche “trascrizioni” figu-

rative della Commedia, da Domenico di Mi-

chelino nella Firenze umanistica, a Botticelli

alla vigilia del Rinascimento, a Federico Zuc-

cari in pieno manierismo per arrivare poi

molto vicino a noi attraverso una schiera di

artisti italiani e internazionali che hanno posto

Dante al centro dei loro interessi, va ricono-

sciuta a Tripodi la capacità di parlare con un

linguaggio moderno e nello stesso tempo ri-

pieno di spiriti classici, per rappresentarci un

Dante vicino alla nostra attuale sensibilità.

Il linguaggio figurativo di Tripodi è aereo,

trasparente, sensibile, meditato, delicatissimo

e penetrante. Il pittore scende, in effetti , alle

radici stesse dell’opera dantesca e ne rintrac-

cia l’immane dottrina e la profonda e autenti-

ca spiritualità. Quel singolare equilibrio tra

immediatezza e meditazione che caratterizza

così bene la poetica dantesca, si rintraccia be-

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ne nella impostazione figurativa di Tripodi. A

lui mai si potrebbe attribuire la qualifica di il-

lustratore. Egli non illustra, infatti, ma rivive

la vicenda dantesca, e la sua pittura è un

bell’esempio di vicinanza tra nobili spiriti che

pensano la stessa cosa in modi diversi e ritro-

vano una sintonia profonda a distanza di se-

coli. La finissima qualità della pittura di Tri-

podi ne è la migliore dimostrazione in un

processo di costante arricchimento che l’ arti-

sta persegue ancora adesso con inesausto en-

tusiasmo e dedizione all’arte.

Claudio Strinati

Manfredi (1232 - 1266), re di Sicilia e figlio

naturale dell’Imperatore Federico II e di

Bianca Lancia, nobildonna siciliana, alla

morte del padre (1250) assunse il potere in

nome del fratellastro Corrado IV, e, poi, nel

1258, divulgata la falsa notizia della morte di

Corradino di Svevia, unico figlio di Corrado e

ultimo Hohenstaufen pretendente al trono, si

fece incoronare re nel duomo di Palermo. Po-

liticamente, tenne alte le sorti dei ghibellini

nell’Italia centrale e settentrionale. Nel 1260,

Manfredi sbaragliò i guelfi a Montaperti, nel-

la valle del fiume Arbia. Tale sonante vittoria

sconcertò la curia romana e suscitò l’ira di

Carlo d’Angiò che, ben remunerato, scese in

Italia e uccise l’usurpatore nell’epico scontro

di Benevento. Manfredi morì eroicamente e il

suo cadavere, di re scomunicato con anatema,

dopo il primo e affrettato seppellimento con

l’onore delle armi, venne riesumato e, notte-

tempo, “sene luce né cruce”, venne gettato ol-

tre il fiume Garigliano (ant. Verde) ai confini

del regno. Manfredi, morente, volse al cielo

una preghiera: “Dio sia propizio a me pecca-

tore”. Dante, nella Commedia, pietosamente

lo pone nell’Antipurgatorio a ricordarci che

il perdono divino qualunque sia la durezza e

l’entità del nostro peccato può avvenire an-

che nell’ultimo istante della nostra terrena

esistenza (“Orribil furon li peccati miei;/ma

la bontà infinita ha sì gran braccia/che

prende ciò che si rivolge a lei” - Purg. III,

121-123). L’episodio del Golgotha tra Gesù

e il buon ladrone ne è l’esempio più splen-

dente.

Domenico Antonio Tripodi

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CROCIFISSIONE E

ISPIRAZIONE

ARTISTICA di Emerico Giachery

AL Golgota, il Crocifisso è sceso nel

cuore della storia. Chi ascolta la let-

tura del lungo Passio che apre la Set-

timana Santa, anche se non credente,

difficilmente può sottrarsi al senso di cruda

verità e di tragedia totale, assoluta, che ne

promana. A quelle pagine si ispireranno il più

alto (credo) spartito di tutta la musica europea

(la Matthäus Passion di Bach), e il momento-

vertice del capolavoro filmico di Pasolini,

memore di tanta grande pittura del passato.

Icona centrale di secoli civiltà cristiana, la

Crocifissione. Così essenziale nel cardine

strutturale: su uno sfondo di cielo, due sinistri

legni incrociati con appeso un uomo, anzi un

uomo-Dio, anzi un Dio fattosi uomo, straziato

e morente. Intorno, soldati indifferenti, donne

e uomini oppressi dall’ angoscia. Per il cre-

dente, evento al centro della storia della sal-

vezza, della Storia con la maiuscola. Il mon-

do stesso è stato crocifisso in Cristo. In una

bella Ave Maria, messa più tardi in musica

dal grande cantautore francese Georges Bras-

sens, il poeta Francis Jammes (1868-1938)

invoca Maria Vergine “per i quattro orizzonti

che crocifiggono il mondo”, che è come dire

“nel nome di tutto il dolore del mondo” :

«Pour les quatre horizons / qui crucifient le

monde », in nome, cioè «dei quattro orizzonti

/ che crocifiggono il mondo» .

Per gli artisti figurativi, la Crocifissione è

un tema inesauribile, dalle infinite possibili

varianti, sempre però con l’impegno di non

perdere il senso di quella centralità. Se ripen-

so alle opere pittoriche contemplate più a

lungo negli anni verdi, penso soprattutto a tre

quadri: alla Madonna di Brera di Piero della

Francesca, scampata fortunosamente, con al-

tri capolavori anche di Piero, alla ruberia na-

zista, ed esposta a Palazzo Venezia a guerra

non ancora finita; qualche anno dopo, alla ca-

ravaggesca Decollazione del Battista della

Cattedrale di Malta, in sosta a Roma per un

restauro. Ma soprattutto a una Crocifissione

di Antonello da Messina. Si trattava della più

recente, sembra, delle Crocifissioni dipinte da

questo artista che ha saputo indagare con tan-

ta partecipe passione i segni del dolore uma-

no nel volto dell’Ecce Homo: quella conser-

vata nel Museo di Anversa, e da me vista per

la prima volta in una mostra romana su “I

Fiamminghi e l’Italia”. Mi affascinò, con

quella croce snella e severa, alta sino alla

sommità del quadro, la torsione bloccata e la

sofferenza immobile dei due ladroni infissi

agli alberi, il silenzio delle due figure assise,

il fermo respiro dell’orizzonte concluso dalla

linea marina del porto di Messina trasfigura-

to. Il senso dell’evento era reso perenne dalla

stessa perfezione contemplativa di un’arte

che assume il dolore e lo redime senza abolir-

lo. Rividi il quadro ad Anversa, ma senza più

l’emozionata pienezza di quella prima rivela-

zione: esiste una “grazia della prima volta”

anche per le opere d’arte. In un quotidiano

degli anni Cinquanta, una forte pagina di

Curzio Malaparte, che mi piacerebbe tanto ri-

D

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trovare, descrisse la celebre Crocfissione del

polittico d’Issenheim di Mathis Grünewald

come un emblema tragico dell’Europa. Ho

appreso di recente che il giornalista e scrittore

Massimo Fini, che da ragazzo aveva letto lo

stesso articolo di Malaparte, ne era rimasto

egualmente impressionato. Soltanto molti an-

ni dopo, quando insegnavo nella Francia dell’

Est, mi fu donata l’”epifania” della gentile

città di Colmar, allo spartiacque renano tra

mondo latino e mondo germanico, in un’ irri-

petibile grazia di luce domenicale; e lì potei

finalmente ammirare, al Musée de Unterlin-

den, quel capolavoro; apprezzando però, del-

lo stesso polittico, non meno l’ardita e quasi

medianica Resurrezione, mistico bilancia-

mento e riscatto del grido abissale di quella

Crocifissione.

Nel settore della romana Galleria d’arte

moderna di Valle Giulia dedicato a Renato

Guttuso, l’opera che più mi affascina è La

Crocifissione. Precede di alcuni anni l’ ade-

sione, che pareva allora quasi d’obbligo, di

Guttuso e di molti “intellettuali” (detesto que-

sta parola che evoca una divisione artificiale

di funzioni, ma non è facilmente sostituibile)

al verbo del realismo marxista sostenuto da

Ždanov, che ha prodotto spesso opere retori-

che e di dubbio gusto anche dello stesso Gut-

tuso. (Tra parentesi, ho visto di recente una

fotografia di Andrej Ždanov in divisa, con i

suoi bravi baffetti, tra due membri del Polit-

bureau: era quasi un sosia di Hitler, soltanto

più corpulento). Secondo i critici, nell’opera

ricordata, Guttuso risente dell’arte di Picasso,

che aveva dipinto, nel 1930, una Crocifissio-

ne non molto nota, e aveva detto al pittore si-

ciliano «Non c’è tema più bello di una Croci-

fissione, tanto è vero che esso è affrontato per

più di mille anni milioni di volte». Per l’ arti-

sta moderno, spesso dominata di una cultura

intimamente profana e dissacrante, non è fa-

cile accedere all’arte sacra, ed esprimere il

Sacro senza ambiguità mistificanti. La forza

drammatica ed epica di Guttuso non bastò a

rendere accetto il quadro alle autorità religio-

se in occasione della Mostra del “Premio

Bergamo” (1943). Oggi il mondo cattolico,

che ha molto meditato sul delicato e sfumato

tema del rapporto tra arte e Sacro, accoglie-

rebbe certo senza riserve il capolavoro di

Guttuso.

Emerico Giachery

VACANZE

A Cecco Angiolieri

Che cosa fa da queste parti il vento

spazzino alacre di smog e umidori

se tutto qua profuma d’erbe e fiori?

Lontani i flutti indocili del mare

che ‘l vento con la sua frusta rabbiosa

usa spietatamente governare.

Ma guarda come lieve si riposa

scherzando tra i capelli e il foulard rosso e

la maglietta della bella ritrosa.

Lascia che le sollevi un po’ la veste

e mostri a noi le sue gambe gloriose

che danno gioia alle giornate meste.

E rechi a me le sue dolci parole

come petali vivi e profumati

e gli altri pretendenti discacciati

siano, e solo a me rida l’amore.

Guido Zavanone Genova

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POMEZIA-NOTIZIE Giugno 2016 Pag. 6

LA STORIA DI

TARAS SHEVCENKO, IL POETA PATRIOTA

DELL'UCRAINA di Luigi De Rosa

UANDO Taras Grigorovic Shevcenko

nacque a Morynci, nei pressi di Kiev,

il 9 marzo 1814, suo padre Gregorio

era un servo della gleba. Quindi era un servo

della gleba anche il futuro poeta e scrittore,

che per amore della patria ucraina avrebbe

poi trascorso gran parte della sua breve vita

nelle prigioni di san Pietroburgo o in esilio,

grazie alla polizia segreta e ai decreti dello

zar Nicola, per essersi ribellato a una condi-

zione umiliante per sé e per il suo popolo.

Mandato a scuola, il piccolo Taras si era ri-

velato intelligente, portato per le lettere e con

capacità non comuni di pittore e disegnatore.

In seguito sarebbe stato un pioniere nell'arte

della fotografia e, soprattutto, in quella dell'

acquaforte (nell'intero Impero Russo) tanto

da meritarsi il titolo di “accademico” dell'Ac-

cademia Imperiale delle Arti, grazie a questa

nuova tecnica.

Ma la sua frequenza regolare della scuola si

era dovuta interrompere a causa dei morsi

della miseria che affliggeva la sua famiglia. E

aveva dovuto andare a fare il pastore, passan do intere giornate in triste solitudine e in un

forte avvilimento, alleviato solo dalla passio-

ne per il disegno, che non lo lasciava mai.

In seguito era passato, come servo, alle di-

pendenze di un gentiluomo che lo trattava

con umanità e simpatia, un certo Pavel En-

gelhardt, che lo portò a vivere prima a Vilnius

e poi a san Pietroburgo, e che, soprattutto,

colpito dalle sue inclinazioni artistiche, gli fe-

ce frequentare l'ambiente degli artisti di san

Pietroburgo. Fu così che conobbe il prof. Karl

Briullov, che lo prese a lavorare nel suo labo-

ratorio all'Accademia delle Arti, e un giorno,

addirittura, comprò la sua liberazione . Era il

1838, Taras aveva 24 anni, e cominciava la

sua vita da uomo libero. Nel 1840, a ventisei

anni, gli fu pubblicata una prima silloge di

poesie, Kobzar, che riscosse poi l'ammirazio-

ne del grande scrittore, filologo e storico

ucraino Ivan Jakovlevic Franko (1856-1916)

che lodò soprattutto la viva freschezza ed ori-

ginalità del linguaggio di Shevcenko nell'am-

bito della storia letteraria dell'Ucraina, pur

avendo scritto, lo stesso Shevcenko, anche

opere in lingua russa.

Lo scrittore, però, finì con l'incappare nella

rete dell'Ochrana, la polizia segreta zarista .

Nel 1847 fu arrestato perché tra le carte della

società segreta Cirillo e Metodio, fu trovato il

suo poema “ Il Sogno”, nel quale abbondava-

no le critiche aspre alla politica oppressiva

dello Zar. Prima finì in carcere a san Pie-

troburgo, poi fu mandato in esilio come sol-

dato nella guarnigione di Orsk, negli Urali, e,

per disposizione dello Zar, “sotto stretta sor-

veglianza e col divieto di scrivere e dipinge-

re”. La grazia imperiale gli fu concessa solo

dieci anni dopo, nel 1857. Comunque non

poté ritornare nella capitale, ma dovette ac-

contentarsi di risiedere a Nizni Novgorod.

Solo nel 1859 gli fu concesso di rimettere

piede in Ucraina. In luglio fu riarrestato per

blasfemia, ma subito rilasciato, purché abi-

tasse a San Pietroburgo. Morì in questa città,

dopo anni di intenso lavoro letterario, il 10

marzo 1861. Il suo fisico non aveva retto ol-

tre, dopo una vita di strapazzi. Sepolto a

Smolensk fu poi traslato dagli amici in

Ucraina, dove l'8 maggio fu sepolto sulla at-

Q

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tuale Tarasova Hora, o Collina di Taras. In

tal modo, sarebbe stato esaudito un preciso

desiderio dello scrittore-patriota, che così

aveva scritto nella sua poesia Il Testamento

(Zapovit), tradotta da Evgen Kracevic :

“ Quando morirò, mi interrino

sull'alta collina,

fra la steppa della mia

bella Ucraina.

Che si vedano i campi,

il Dniepr con le rive,

che si oda il muggito

del fiume stizzito.

Quando porterà il fiume

al mare azzurro

il sangue nero,

lascerò allor la tomba

ed andrò da Dio

per pregare...Prima di ciò

non conosco Dio.

Sepoltomi, insorgete,

le catene rompete,

che il sangue dei nemici

spruzzi la libertà.

Nella vostra gran famiglia

nuova, liberata,

vorrei esser ricordato

con parola grata.”

Secondo gli esperti di slavistica, è grande

l'importanza dell'opera di Shevcenko, sia di

quella in versi che di quella consistente in la-

vori teatrali di forte impatto popolare. Si ri-

tiene che egli abbia contribuito in maniera de-

terminante alla creazione e sistemazione della

lingua ucraina (qualcuno lo ha definito il

Manzoni dell'Ucraina), e che abbia consentito

e alimentato, con passione e romanticismo, la

formazione di una coscienza nazionale ucrai-

na, influenzando, in certo modo, perfino le

abitudini di vita dei connazionali.

Sono numerosissimi i monumenti a lui de-

dicati, e non solo in Ucraina (a Kaniv, e nel

centro di Kiev, etc.). L'Università della capi-

tale è dedicata a lui, così come una stazione

della Metropolitana (Tarasa Shevcenka), così

come una città ucraina, Korsun Shevcenkiv-

skyi, etc.

A San Pietroburgo il primo a far erigere un

monumento allo scrittore anti-zarista fu Le-

nin, nel 1918. In molte città dell'ex Unione

Sovietica vi sono suoi monumenti, per la sua

battaglia antizarista durata una vita, ma ce ne

sono anche ad Orsk e nel Kazàchistan. Dopo

l'indipendenza dell'Ucraina (che si festeggia

in tutte le città il 24 agosto) monumenti a

Shevcenko hanno preso il posto di altrettanti

monumenti a Lenin. Ed oltre a quelli di Leo-

poli e di altre località, c'è un importante mo-

numento a Shevcenko anche a Washington,

per non citare una piazza di Parigi a lui dedi-

cata, e un'altra piazza Shevcenko a New

York.

Del resto, l'amore dell'artista per la sua

Ucraina non ha mai conosciuto soste o debo-

lezze. L'Ucraina è il paese più grande d'Euro-

pa (dopo la Russia), e la sua terra è sempre

stata fertilissima. Per secoli è stata dominata

da popoli stranieri, a cominciare dagli Scan-

dinavi (Rus) nell'882 d. C. , ma non ha mai

perso il rispetto per la propria storia, il pro-

prio paesaggio, la propria orgogliosa persona-

lità.

Cantava Shevcenko, in Ucraina , in un

momento di desolato sconforto:

“ Non mi importa ch'io viva o non viva in

Ucraina,

che rimanga o non rimanga memoria di me,

sepolto sotto la neve, in terra straniera.

Non m'importa.

Ho vissuto in schiavitù, e in schiavitù morrò,

morrò piangendo senza che nessuno mi pianga.

E non lascerò traccia nella gloriosa Ucraina,

terra nostra e non nostra.

E non mi rievocherà il padre,

parlando al suo figlio, non gli dirà:

“Prega, o figlio !

Egli è morto, un giorno egli è morto per l'U-

craina !”.

In una miscela inestricabile di romantici-

smo e di nazionalismo, peraltro tipici di buo-

na parte del secolo Diciannovesimo e di Paesi

costretti sotto il giogo di Imperi troppo vasti e

oppressivi quali quello russo e quello austro-

ungarico, si dibatte il “sogno” di Shevcenko,

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che non aspira ad un “abbraccio generale”

quanto ad una concreta rivolta della coscienza

nazionale e ad una indipendenza della sua

Ucraina, conculcata da troppi poteri stranieri

nei secoli.

A questo punto, può accadere che il nostro

pensiero corra ai giorni nostri, ai mesi, agli

anni che si succedono in questo Ventunesimo

secolo e che vedono “banalmente”, se non ci-

nicamente, tra le cause principali dei conflitti

tra i popoli (o meglio, tra gli Stati) campeg-

giare cose come petrolio, gas, elettricità...in

altre parole, le fonti energetiche...per le quali

qualcuno, purtroppo, non esiterebbe a mettere

la pace mondiale a rischio tremendo.

“Addio mondo, addio terra,

paese ostile,

le mie sofferenze, i miei mali

in una nuvola nascondo.

E tu, mia Ucraina,

vedova infelice,

da te io volerò

per parlarti della nuvola...”

Non è assolutamente consentito distorcere il

significato delle parole del poeta, che a tutto

pensava fuorché alle fonti energetiche, e di-

fendeva ideali ben più alti di quelli che si agi-

tano nei nostri giorni.

Però non possiamo dimenticare che a Kiev,

oltre ad affascinanti luoghi da visitare, c'è an-

che il Museo di Chernobyl, che nel sito dell'

Ambasciata di Ucraina (www.amb-ucraina.

com) viene definito “agghiacciante ma inte-

ressante”. Proprio sul territorio dell' Ucraina

è accaduto quello che viene ricordato come

“ il più grande disastro nucleare della sto-

ria”, aggiungendo che “...il disastro avvenu-

to nel 1986, e l'angosciosa lentezza della ri-

sposta ufficiale sovietica provocarono mal-

contento in tutto il Paese; due anni dopo, la

chiesa uniate emerse dall'isolamento. Il Mo-

vimento del Popolo Ucraino per la Ricostru-

zione, un movimento nazionalista fondato a

Kiev da intellettuali e scrittori, si diffuse in

tutto il paese nel 1990. Nel luglio dello stesso

anno, il Parlamento ucraino proclamò la so-

vranità della Repubblica (ma non la seces-

sione), dichiarazione che non ebbe molto ef-

fetto. Poco dopo il fallito colpo di Stato sovie-

tico dell'agosto del 1991, il Partito Comuni-

sta Ucraino (CPU) venne dichiarato fuori

legge e in dicembre la popolazione votò all'

unanimità per l'indipendenza.”

Anche così precipita la Storia.

Luigi De Rosa

LA BANDA DE COJONI

Banda de deficienti, banda de ladroni,

banda de purciari, banda de cojoni.

A voi ve scrivo, a voi me riferisco:

quanto siete patetici, e pure che n’la visto.

Pe integravve in sta merda de società,

pure la merda annate a magnà.

Banda de burini, banda de scrocconi,

banda de ignoranti, banda de cojoni.

Non ve vojo più vedé, non ve vojo più sentì,

me so rotto er cazzo de e storielle co udinì.

Me so rotto er cazzo de e stronzate che

sparate,

me so rotto er cazzo de notifiche co

Onedate;

me so rotto er cazzo de e persone che

spariscono,

me so rotto er cazzo de e stronzate che nun

finiscono.

Volete sapere la verità?

Mene sbatto ar cazzo pure de sta merda de

città.

Le persone di cui ti puoi fidare?

Se contano co na mano, perciò non le

lasciare.

Sto posto de merda contiene più nozioni

di quante ne sappiate voi, banda de cojoni!

Carlo Trimarchi Frascati (RM), 29.04.2014

AALLELUIA! AALLELUIA!

ALLELUUIAAA!

26/4/2016

L’Austria sta chiudendo il Brennero e pre-

tende di controllare treni e auto sul territorio

italiano. Alleluia! Alleluia! Inaudite tanta ar-

roganza e sfacciataggine. E l’Italia che fa?

Si lecca le ferite?

Domenico Defelice

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LO SCIAME DELLE PAROLE

DI GUIDO ZAVANONE di Nazario Pardini

N altra occasione ebbi a scrivere su Gui-

do Zavanone: «Fenollosa Ernest Franci-

sco affermava che la poesia è l’arte del

tempo. Perché riportare tale affermazione?

Perché il tema del tempo ha una funzione de-

terminante nella poesia di Zavanone. Non so-

lo da un punto di vista del memoriale, ma so-

prattutto da quello della realtà contingen-

te: hic et nunc. In lui l’ieri, l’oggi e il domani

si embricano indissolubilmente per dare

energia espansiva al suo poema. È cosciente

del tempus fugit Zavanone. E la realtà circo-

stante la vive come frammento del suo essere

mortale. Ma dall’altra parte sente l’urgenza di

farne un accadimento perpetuo, di vincerne

quel sapore di caducità, ricorrendo all’idea di

arte/poesia; per proiettarsi oltre il breve tratto

della vicenda umana. Oltre lo sfacimento de-

gli autunni; per accostare le chant d’un char-

donneret che sa tanto d’azzurro…». Iniziare

da questo frammento testuale significa avvi-

cinarci il più possibile allo spirito poetico di

Guido Zavanone di cui Lo sciame delle paro-

le segna, in maniera diacronica, le tappe fon-

damentali. Un testo corposo, di ben 350 pagi-

ne, che, dato alle stampe nel 2015 coi caratte-

ri di Interlinea Edizioni, si presenta come to-

mo di grande fascino per la sua essenzialità

editoriale ma soprattutto per il fatto che ripor-

ta a memoria volumi di grande pregio e di in-

vitante livello contenutistico; consuntivo, no-

stos; il viaggio di una vita che ci pone di fron-

te alla valenza del poeta genovese, allo spes-

sore del suo linguismo, alla polivalenza del

suo verso e al proficuo entusiasmo per la

scrittura. Sì, proprio così, una vita, un redde

rationem, con tutto il suo rocambolesco andi-

rivieni di sogni, di aspirazioni, di illusioni,

delusioni, saudade, amore, memoriale e

ignoto: «Vorrei cavalcare l’ignoto / e come

un cavallo alato / allungare il collo nel vuoto /

nel mai esplorato /…». Ma quello che più di

ogni altra cosa incide sulla sua poetica è la

coscienza della fragilità del vivere; dell’ esi-

stere in questo mondo che lascia infiniti per-

ché irrisolti e irrisolvibili. Tutte le questioni

dell’esser-ci vi sono contemplate: abbrivi

edenici, sobbalzi esistenziali, riflessioni onto-

logiche, scottature emotivo-vicissitudinali; e

fughe verso l’oltre, verso una vetta da cui il

Poeta possa abbracciare «… la (tua) sua croce

nera / che affonda nella terra riarsa / e nel

limpido cielo». Una vera spinta verso l’alto

per sottrarsi alle deficienze della condizione

umana: «Tu cercavi soltanto / un sorriso e lo

trovi / nella foto sbiadita / della lapide accan-

to». Ed è proprio così: il fatto che più inquieta

è il rapporto fra l’uomo e l’infinito; fra l’ uo-

mo e la scadenza di una storia; fra l’uomo e le

aporie del viaggio: «… / Perché fratello, /non

è una montagna felice /da salire cantando te-

nendosi per mano, /è una montagna di rocce,

d’abissi, d’agguati, / dove l’aria ti manca /

nessuna corda che ti possa aiutare /e sulla vet-

ta ad attendere forse / null’altro/ che un cielo

chiaro»; dacché non sempre la religione può

sopperire a tale travaglio, per cui, spesso, si

ricorre alle memorie per costruire un mondo

virtuale, vero, più vero del reale nel tentativo

di prolungare magari il fatto di esistere o di

trovare un rifugio alle sottrazioni della quoti-

dianità: «L’anima (se esiste)/l’immergerei

nella fontana della / ritrovata giovinezza /…».

D’altronde la poesia non è mai solo realtà fe-

nomenica; non è mai solo il prato, il mare, il

colle, l’arancio di un tramonto, o l’oro di

un’alba. È essenziale che queste configura-

zioni si traducano in immagini, occorre che

restino in animo a decantare per ri-farsi vere,

vogliose di ri-vivere. Tutto deve passare dal

serbatoio dell’anima; tutto deve essere intinto

nel calamaio del nostro esistere: «Lungo i

sentieri squallidi del tempo / già si spengono i

fuochi e s’allontana il canto / delle dolci fan-

ciulle. / La grande notte passa e nel suo volo /

l’ ombre dei morti»; quei sentieri, quei fuo-

chi o quelle ombre devono farsi corpo dei no-

stri frammenti di vita; devono essere commi-

surati al tempo che fugge irrimediabilmente;

un repêchage continuo a corpo a corpo con la

voracità della clessidra. Questo, tutto questo è

I

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nella poesia di Zavanone che, pur parten-

do dalle piccole cose, dai piccoli accidents o

dagli odeporici messaggi, sa elevarsi all’ uni-

versale; sa oggettivare ogni sensazione che si

fa parte di un tutto in cui ognuno di noi si ri-

trova, ricorrendo, anche, in maniera estrema-

mente simbolica, al mito dei miti, sempre e

estremamente attuale: «… / Alla soglia della

luce / Orfeo si volterà, perderà per sempre / l’

amata Euridice. / Serberà il canto», quello

che, nell’animo dell’Autore, può farsi eter-

no. Opera vasta in diacronico movimento: Lo

sciame delle parole. Poesia di una vita, il ti-

tolo. Un titolo emblematico e risolutivo; un’

opera di grande forza comunicativa, dove il

verbo, trattato con tutti i crismi epigrammatici

e euritmici, diviene corpo indissolubile della

storia del Poeta; elemento portante, fiore pro-

fumato in piena fioritura dopo una lunga fe-

condazione su terricci sapidi di vita: la cultu-

ra, il senso dell’estetica, la profondità psico-

logica, il culto della parola, l’amore per il

poièin, lo studio, la riflessione, l’inquietudine,

la ricerca della luce, del bello, del verso com-

patto e plastico sono gli ingredienti di un ex-

cursus antologico che, partendo da La terra

spenta, si protrae fino all’ultima silloge inedi-

ta Ultime. Ed anche se i tasselli dell’esistere

sono tante stazioni di una via crucis; anche se

alla fine permangono dubbi e insoluzioni,

quello che sembra primeggiare in questo per-

corso è una dolce illusione di memoria fosco-

liana: affidare tutto noi stessi al canto nella

speranza che vinca le ristrettezze del giorno,

la futilità del nostro soggiorno, per prolungare

una storia oltre i limiti dei nostri orizzonti:

Come ti ha cambiato il tempo,

mio piccolo usignolo!

Di te è rimasto soltanto

il canto

che accompagna il tuo volo (Il tempo e il

canto).

Sì, il canto e il volo.

Nazario Pardini Guido Zavanone: Lo sciame delle parole. Poesia di

una vita. Interlinea Edizioni. Novara. 2015. pgg. 350, € 20

SE COSTANTE

È L’APPRENDIMENTO

T’insegnano tante cose una madre, un padre:

t’insegnano ad avere memoria di farfalla

per le cose bieche, d’elefante per tutte le altre;

t’insegano ad avere orecchio

per i movimenti minimi del cuore;

t’insegnano a vivere la vita senza affanno

anche nella ferocia delle cose;

t’insegnano ad avere coraggio di notte

nelle strade solitarie;

t’insegnano che come le formiche

anche il poco è essenziale;

t’insegnano che il mondo è una casa;

t’insegnano a tollerare le albe e i tramonti

di una città ottusa;

t’insegnano a sentire con i cinque sensi

e... un sentimento;

t’insegnano i luoghi e la loro storia;

t’insegnano a togliere la ruggine

dalle cromature;

t’insegnano a vedere e a camminare dentro

il buio;

t’insegnano il significato dei riflessi dei

lampi

della vita;

t’insegnano che l’Amore stupisce più del

Male;

t’insegnano ad amare fino all’ultimo diluvio;

t’insegnano…

Salvatore D’Ambrosio Caserta

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MARIA GRAZIA LENISA E I TEMI DELL'AMORE

COME PREDESTINAZIONE

DELLA PAROLA IN CANTO di Ilia Pedrina

INGRAZIO con tutto il cuore la gen-

tile offerta di Marzia Alunni. Mi ha

inviato 'AMOROSE STRATEGIE',

pubblicazione curata dal Circolo Rhegium Ju-

lii nel novembre del 2008. Ed è allora con

fraterna devozione che trascrivo alcune tracce

della lettera che ha accompagnato il dono: “...

mi accingo ad inviarle l'ultima opera di mia

madre Maria Grazia Lenisa.... È un'emozione

profonda, un ponte fra generazioni, unite dall'

amore per la Poesia! A questo mi fanno pen-

sare le sue parole, le riflessioni ormai irrinun-

ciabili che a tutti i costi ci obbligano a rivede-

re molti aspetti del secondo Novecento fretto-

losamente storicizzati... mi impegno a soste-

nere il lavoro e l'esempio di cultura che ci è

stato tramandato. C'è ancora molto da fare...”.

Da allora questo volumetto appare e scompa-

re, per riapparire poi nuovamente e farsi an-

notare, in differenti stratificazioni di tempo:

dal novembre 2009, quando per oltre tre mesi

ho avuto entrambe le braccia 'inservibili', mi è

stato compagno di respiri e d'immaginario.

Non potendo scrivere, registravo a caldo le

mie interpretazioni dei testi poetici di questa

Amica di sogno. Allora come ora la tensione

illuminante i suoi percorsi e le esperienze in

rimandi d'immaginario e di concreto vissuto

mi hanno coinvolto su piani di crescita emo-

tiva e conoscitiva di elevato livello ed i due

tempi dunque, una miriade d'istanti durata

quasi otto anni, si fondono senza sforzo, in

trasparenza, allo scopo di cogliere il profilo di

questa '...donna di versi/ che inventa l'amo-

re..'.

Quella di M. G. Lenisa è audacia sacrale ed

il lato sacrificale è quello della parola poetica,

che riduce un poco il circuito stesso delle

emozioni che evoca e provoca: piaceva a

Francesco Pedrina quella sua verginale sfron-

tata forza di affrontare la vita anche nei suoi

lati più tenebrosi, facendosi scudo con una

atavica riservatezza e purezza ctonia, la cui

consistenza ella riserverà alla tensione spiri-

tuale. Infatti dirà ella stessa: “... La forma me-

trica armonizza con il mio studio dagli albori

ad oggi, proponendo un possibile contrasto

non privo di asprezze, sadismo, tenerezze inu-

tili, forse. Quindi ispirazione, sperimentali-

smo si trovano uniti senza che abbia la prete-

sa di rivalutare il genere, ma di giungere ad

un mio punto di arrivo... Non certo chiamo in

causa il valore, ma la crescita della mia ani-

ma... grazie a quella lunga malattia che è la

vita”. (da M. Alunni 'Maria Grazia Lenisa -

Scheda Autore, 16 maggio 2011, le interru-

zioni sono nel testo presentato). Utilizzo qui

la fonte internet 'Poesia', un sito che ha come

sua cifra il codice a barre, senza numeri e

stracciato quasi al centro, in forma di foro,

con gli sfilacci che vanno ad impedire ed a in-

terrompere ogni tentativo di annullare la crea-

tività originale, di imprigionare l'identità, af-

finché vinca in tutti i sensi, la nostra vera

anima tangibile. A conferma di quanto aveva

ben meditato il Pedrina, ella stessa detterà

versi e riflessioni dalla profondità spirituale

che andrà quasi a toccare i vertici dell'estasi

mistica profanamente accordata, come in:

Senz'armi

Troverò chiusa la porta del cielo,

Maddalena dubbia.

'Poco ti sarà perdonato perché

poco hai amato.'

Molto ho scritto - è vero -.

Mi prende in giro Dio perché

R

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combatto senz'armi.

(M. G. Lenisa, 'Amorose strategie', op. cit.

pag. 44).

Nel percorso esasperante della malattia al-

lora il concreto in sfaldamento si gancia sal-

damente all'Assoluto, dimensione dell'esistere

senza tempo, e lei detta versi d'incredibile or-

goglioso abbandono:

L'atteso parto

Rimasi in senilità gravida

nel sogno,

i seni d'anatra distanziati, le ossa

cave per i voli pindarici.

È mia figlia

la Morte,

mi piscerà addosso, strana con quegli

occhi fondi che sembrano cavi.

Nata

per il dolore, morrà senza latte.

(M. G. Lenisa, op. cit. pag 37).

La cruda, delirante vitalità lacerata dalla

sofferenza si sofferma su ritmi d'antichissima,

saffica memoria ed il dettare lenisce l'inerzia

del soccombere a termine e consente la sfida,

nell'ironia audace di un immaginario origina-

lissimo quale è quello condensato nella chiu-

sa a sigillo di questa lirica: '...Nata / per il do-

lore, morrà senza latte.'

Marzia Alunni chiude la presentazione della

Poetessa proprio annotando dati su questo te-

sto. Cito: “L'ultima opera di poesia, edita da

Maria Grazia, è 'Amorose strategie', essa al-

lude, ad un tempo, ai farmaci, per bloccare la

neoplasia, ed all'eros. La silloge, introdotta da

Pino Bova, è stata premiata al Rhegium Julii

2008 (inedito), ma immediatamente seguente

è il saggio critico sulla poesia di Corrado Ca-

labrò intitolato La scrittura del mare: si trat-

ta di un'opera che vuole essere al di fuori de gli schemi consueti (come l'intero percorso

della scrittrice), sebbene accurata nella do-

cumentazione. Il 28 aprile 2009 a Terni si

conclude l'esistenza della Lenisa, ma restano

ancora da scoprire molti aspetti della sua poe-

sia, non ultimo il suo capolavoro inedito, Il

Canzoniere unico. Scettica sulla riproposta

del genere letterario, l'autrice ammette di po-

ter scrivere un canzoniere, ma dedicandolo

solo al Cristo, è un testamento spirituale libe-

ro e anticonformista nel trattare il rapporto fra

vita, poesia come 'vita altra' e fede.” (fonte in-

ternet: M. Alunni, op. cit.).

Intendo testimoniare quanto Marzia indica

nel suo profilo con due poesie, tratte da que-

sta raccolta. Interessante ed aperta alla vitalità

pura dell'immaginario collettivo, condiviso

attraverso la lingua di Poesia, è l'insieme di

emozioni che trasuda in esse, da differenti

angolazioni, perché l'esperienza, nella memo-

ria, si presenta come un tutto in sintesi da fili-

granare, da sgranare in parole, da sgrumare

nel ritmo e nell'incedere orientato delle im-

magini, tutte volte ad evocare e a provocare

un abbandono sul quale meditare in profondi-

tà.

Il risveglio

Morire d'amore per te è come svegliarsi,

offrirti un giglio

gonfio di polline, l'amore resuscita i vivi.

Ma un'onda mi riporta indietro in un mondo

di neve, posso baciare le sue labbra di 'polvere

bianca'. Sanno di manna, di gesso, palpebre

d'una sognatrice ebbra, gelosa di te.

(M. G. Lenisa, op. cit. pag 31)

Sì, è così: l'amore deve portare a resuscitare

i vivi, affinché non lascino morire a poco a

poco la loro anima, la loro forza interiore ori-

ginale, la loro autentica identità, unica nell'es-

sere a questo mondo, punto di partenza e di

arrivo della nostra parola come voce e come

segno, anche nel respiro fermo della scrittura.

Qui l'altro, il doppio di lei è Gesù stesso.

L'arcobaleno'

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Quanta pioggia su di te, bagnata

la camicia traspare il tuo pelo morbido,

dal boxer preme forte 'l'importuno',

come radice

che smotta il corpo tellurico.

Dalla mia bocca celeste spruzza l'arcobaleno,

apri la bocca riarsa dal salino del mare.

Dentro t'avvolge una cintura di suoni...

Ridammi ora l'arcobaleno che non piove.

Non perderti tra la folla, siamo tu ed io

in un calore bianco.

(M. G. Lenisa, op. cit. pag 11).

Quelli del Realismo Lirico, allora, e Maria

Grazia Lenisa con loro, sono protagonisti

senza tempo di un flusso di coscienza poetica

ed esegetica che non si spegne mai, perché si

aggancia direttamente alla dignità stessa del

fare della parola voce e significante di Verità.

Ogni Poeta è sacro ad Apollo e a Dioniso in-

sieme, teatro circolare della terra e della luce

che su di essa si irradia. Domenico Defelice è

il vero erede del Realismo Lirico e la pubbli-

cazione del suo 'Il Croco' con il profilo bio-

bibliografico ed il Carteggio inedito tra lui e

la Lenisa è opera centrale per comprendere il

loro vissuto d'esperienza, di lotte, di poesia.

Torno al canto di lei e qui l'arcobaleno dice

l'alleanza tra tutti i colori, forti nel frangere il

bianco che li riunisce in sé e li avvita. Allora

il colore bianco si fa calore, luce stessa e

principio del vivere. '...come radice/che smot-

ta il corpo tellurico': è questa vera testimo-

nianza di purezza ctonia, perché ha la forza

delle tensioni che non possono essere se non

visibili anche al buio, quando straripano. Ai

margini incede l'Eterno: per me non può pre-

sentarsi lontananza da questa scrittura in can-

to, complessa e talora segreta come i gerogli-

fici, segnali da comprendere solo nella sfera

della 'vocazione', attraverso un apprendimen-

to ed una disciplina da veri adepti. Mi piac-

ciono le divinità che fanno della tragedia il lo-

ro fine, con Eros instancabile al suo interno,

che fa palpitare il dramma e lo provoca: Ma-

ria Grazia Lenisa, nella Poesia come nel det-

tato critico-estetico, è questa nuova creatura

prismatica, porosa, seduttiva, sacrificale, che

varca il tempo del Tempio a balzi.

L'opera porta una dedica: 'A Te, per sem-

pre...Maria Grazia Lenisa'

Ilia Pedrina

LA NAVE SILENZIOSA

Se arriva il giorno in cui salpare le ancore del

tempo,

una nave parte da questo porto per l’ignoto.

Va silenziosa quasi nessuno fosse a bordo,

mano o fazzoletto non sventola a questa par-

tenza.

Addolorato per quel viaggio chi è rimasto sul

lido

guarda all’orizzonte nero, lacrima giorni e

giorni.

Chi è amato nel mondo, ed è rimasto, attende

invano

non vuole credere che l’amante non farà ri-

torno.

Oh miseri cuori. Non è questa l’ultima nave

che parte

non è questo l’ultimo lutto della vita mortale.

Forse ognuno dei molti che sono partiti è con-

tento del suo luogo

Passano anni e anni, nessuno torna indietro.

Yahya Kemal Beyatli Coviren (traduttrice) Prof. Süheylä Öncel, già di-

rettrice Dipartimento Letteratura italiana - Uni-

versità di Ankara.

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VIVIANE CIAMPI:

D’ARIA E DI TERRA di Liliana Porro Andriuoli

OLPISCE all’inizio di questo recente

libro D’aria e di terra di Viviane

Ciampi, una data: “venerdì tredici no-

vembre duemilaquindici”, che è quella degli

attentati di Parigi, un fatto tanto sconvolgente

e raccapricciante, che ha profondamente tur-

bato gli animi di tutti noi. Ed è significativo

che l’autrice concluda proprio la sua prima

prosa lirica con un evidente accenno: “Non

pensi ai passi solo alle lampade tenute in alto

all’atomo di pietà all’avvenire che dovrà de-

viare da sotto la buia scala. E l’odio - lo vedi?

- può essere questa belva”. Così com’è signi-

ficativo che nella seconda di queste prose liri-

che si accenni ai “Ladri di sole [che] ci cam-

minano a fianco” e che poco oltre si legga:

“Non ci sarà un solo angolo del pianeta senza

odore di bruciato sorrideranno i nemici nel

vederci ballare con l’angelo della speranza

nel salone degli spettri” (p. 12). Indubbia-

mente una poetessa calata nel presente, Vi-

viane Ciampi, la quale vive intensamente i

problemi del suo tempo.

Notevole è in ogni caso questo libro spe-

cialmente sotto l’aspetto formale, perché in

esso la Ciampi rinnova la sua poesia, adot-

tando la forma del poemetto in prosa di cui

D’aria e di terra possiede il ritmo e l’ erra-

bondo susseguirsi dei pensieri, secondo l’ in-

segnamento che già fu di Baudelaire ne Le

spleen de Paris e di Rimbaud in Une saison

en Enfer e ne Les Illuminations.

È una poesia, questa più recente della

Ciampi, che si presenta come un flusso di co-

scienza e come un rapido lampeggiamento di

immagini, attraverso la quale l’autrice si con-

fessa e racconta i suoi percorsi esistenziali

esprimendo i suoi stati d’animo, che fanno

parte della sua storia interiore, da lei narrata

con disinvolta bravura, servendosi di una

scrittura dagli immediati accostamenti, per la

quale i pensieri nascono l’uno dall’altro, mi-

steriosamente.

“IL ROSSO scommette sul rosso. Amaro

sole finge di scaldare a meraviglia il suo giar-

dino poi le sorprese le metamorfosi. I volti

ancora più assorti. Piccole bugie bianche per

sopravvivere. Le mani stringono strumenti da

lavoro: rastrelli seghe martelli e vanghe. Mani

vivaci. Vivaci ancora quel tanto da accarezza-

re gli anelli delle querce. Non bada all’ ura-

gano la foresta … L’eternità è un pensiero te-

lescopico sospeso a picco sulla stessa eterni-

tà” (p. 23). “SE INVENTERAI un tempo

nuovo – un tempo del senso vivo – scorgerai

ogni colore scaverai solchi nella terra troverai

le ossa dell’amore per poi ricomporle. Da lì

comincerai” (p. 43).

Il senso va qui ricercato nello stato d’animo

che il testo racchiude, andando molto al di là

delle stesse parole, le quali suggeriscono sen-

sazioni ed emozioni, oltre il loro ordine logi-

co e grammaticale. “CI VISITA l’ansia nuda

e disarmante con sorriso da Gioconda. Forma

che sta nell’angolo della stanza come una

fiammella tesa al nulla. Per legittimarla non

occorre cercarne i motivi nell’interno cortile a

noi estraneo. Per la strada soffusi scampanel-

C

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lii. Può accadere di colpo una mattina o

nell’ora azzurra di un sabato pomeriggio” (p.

35).

Si aprono questi poemetti talora con degli

incipit immediati e suggestivi, come “SE

ALZI gli occhi al cielo vedi gli arcobaleni

dissolversi” (p. 36) o “NELL’ARIA tiepida di

novembre musica d’acciaio di novembre” (p.

22). Altre volte il loro abbrivio è più disilluso

e drammatico: “GIORNO DOPO giorno il

male impastandosi al bene lo feconda” (p. 20)

o “NON VEDI quanto poco tempo per difen-

dersi dal germe dell’accadere?” (p. 32). C’è

sempre però la volontà della Ciampi di anda-

re a fondo nel penetrare la realtà che ella vuol

decifrare, anche se continuamente le sfugge:

“Ma che ne sai tu del linguaggio del sole e

dei muri delle voci degli assenti incastrate

negli infissi e del loro chiacchiericcio?” (p.

30); “UNO SGUARDO trafigge la trama del

mondo” (p. 71).

Talora la parola della Ciampi tende a farsi

lirica: “La memoria dissotterra pietre nottur-

ne” (p. 31); “Ognuno sa. Ognuno sa le frattu-

re insanabili”. (p. 24). In altri casi invece è la

dura realtà che prevale: “Si consuma da sé il

diario dei giorni” (p. 33); “L’inverno è quella

stanza che ti custodisce” (p. 37). Da notarsi è

l’uso che l’autrice fa del pronome “tu” in

questi poemetti, talvolta sostituito dal “noi”.

Del resto un’alternanza di atteggiamenti di

fronte al reale la s’incontra anche altrove in

Viviane Ciampi, la quale se in DI COME LA

TERRA parla di “conflitti gulag genocidi”, in

ABBATTI SENZA spazi conclude dicendo

“c’è sempre domani alla fine” (40-41).

Molte sono in queste pagine le immagini

incisive ed efficaci, quali: “le conchiglie degli

occhi” e “Ladri di sole” (p.10); la “diga del

tempo” (p. 21); “la nave del sonno” (p. 25); il

“germe dell’accadere” (p. 32); l’“occhio dell’

ignoto” (p. 58); “la scommessa dell’alterità”

(p. 63); la “voce di conchiglia dell’ora som-

mersa” (p. 64); le “sere all’acido bianco” (p.

69); “il suono [che] frusta l’aria” (p. 70); ecc.

Ciò che qui maggiormente conta è però l’ an-

damento della frase; le pause e le riprese; la

ricercata armonia dell’insieme.

Emergono da queste pagine inoltre molte

assorte meditazioni, quali: “Forse noi aspet-

tiamo troppo ciò che ci aspetta” (p. 51);

“TARDANO AD ARRIVARE i giorni della

quiete” (p. 68); così come emergono le osser-

vazioni che l’autrice fa su se stessa: “Sei ron-

dine di mestiere creatura d’aria-terra fors’ an-

che un po’ maldestra” (p. 57). Si vedano pure

le subitanee intuizioni, quali: “E improvvi-

sammo nuovi paesaggi e improvvisammo la

forma del tempo e la freccia del tempo” (p.

61).

C’è in una delle ultime poesie di questo li-

bro come l’intuizione della circolarità del

tempo, che rinasce in ciascuno di noi per ripe-

tere lo stesso miracolo: “Il sapere che tutto ri-

comincia. Allora accarezza il passaggio del

tempo. Pensi alla dolcezza come a un fatto

naturale. Pensi alla dolcezza che non ha fine.

Al fatto che da stella stella ritornerai” (p. 77).

Il che richiama alla mente la teoria dell’

“Eterno ritorno” di Friedrich Nietzsche.

È in questa consapevolezza di essere un

frammento del tutto che la Ciampi trova la

sua ragion d’essere e il suo compimento.

“VAI NON TANTO per andare. Vai perché

sei tu per il gesto d’abbraccio per capire il

tremore” sono le ultime parole con le quali la

raccolta si chiude: e contengono anch’esse un

profondo pensiero.

Liliana Porro Andriuoli VIVIANE CIAMPI: D’ARIA E DI TERRA (Edizioni Fili d’Aquilone, Roma, 2016, € 13,00)

AALLELUIA! AALLELUIA!

ALLELUUIAAA!

14/5/2016

Papa Francesco ha colpito ancora nel segno:

prima di cani e gatti viene l’essere umano.

Alleluia! Alleluia! Il suo illustre e santo al-

ter ego ammansiva lupi, predicava agli uc-

celli, non nelle chiuse stanze cittadine, ma

nella natura, nel loro ambiente. Amare gli

animali, ma non abusare di loro, non violen-

tarli ponendoli al posto dell’uomo, da uomo

costringendoli a vivere.

Domenico Defelice

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POMEZIA-NOTIZIE Giugno 2016 Pag. 16

PASSIONALITÀ E NOSTALGIA

PER LA BELLA E SOFFERTA

CALABRIA IN

RINO CERMINARA di Leonardo Selvaggi

I

D Eboli senti di essere scrostato, ri-

tornato con te stesso. L’asprezza dei

luoghi, tutto pare risvegliarti: natura-

lezza di cose e di colori che vengono incon-

tro, “familiari ti tornano le case/ balconi con

ghirlande di cipolle/ e pomodori a grappolo”,

I luoghi dove in libertà ci si slanciava, tutti

presi nella vitalità dell’immediatezza. Cor-

rendo con una certa furia, quasi una fuga dal-

la città convulsa, anonima che ti imprigiona,

che ti pesa con grifagni artigli su un corpo

che pare svuotato, automa nella massa. At-

tratti dai luoghi che fermentano di ricordi,

ove l’aria stessa, carica di delizie, è stimolan-

te di richiami, di ritorni ad antiche sensazio-

ni, a momenti vissuti, fissi nella mente. Per

l’immensità dello spazio con solennità la Sila

splendente, come animata, il poeta Rino

Cerminara la esalta nel volume “Ultime nevi

a Camigliati”. Con versi che si muovono rit-

mici, elegiaci, altisonanti, che balzano dall’

animo ardente di nostalgia. Di trine sottili,

trasparenti i “…fiori/ di ginestra delicata di

giallo/ e i cardi azzurrini” si colgono con sen-

sibilità fine: lo sguardo reclinato con devo-

zione, le mani leggere di seta sopra di essi.

Un ritorno nel Sud è un rimuoversi di interio-

ri energie, un ritrovare vecchi luoghi amati, è

sentirsi rinnovato. Rino Cerminara con la sua

poesia, cadenzata e scolpita con un linguag-

gio che si fa canto di vita, sente in tutta la

persona il respiro ampio della Sila che è eter-

no brillio di primavera, fremente di luce e di

verde. Tutta intorno la concreta, densa vita

che prende a sazietà gli umori pieni delle

piante. Si è alle fonti vere della bellezza natu-

rale, incontaminata, “l’odore delle Sila pene-

tra”. Tutto l’ambiente silvano tra ombre e luci

rappresentato dall’accesa immaginazione

poetica di Rino Cerminara. Pare che un’ am-

pia figura di ninfa s’aggiri in vesti svolazzan-

ti: la poesia è traboccante di ispirazione, va in

genuinità di canto per le aperte celestiali al-

tezze aurorali che sanno ancora di purezza

primigenia. Tra terra e cielo un amplesso e

una similarità di toni e di colori, sintetizzati in

reciproci riflessi.

II

Piace del poeta di S. Giovanni in Fiore il

forte substrato dei versi straripanti che porta-

no a cogliere gli aspetti più deliziosi della Si-

la, in tanta parte rimasta un’isola felice, fuori

dai miasmi diffusi della sconvolgente Era

tecnologica. L’amore per la Natura è traspor-

to affettivo che si estrinseca con una poesia

che si fa pittura in idilli di festosità di visioni.

Rino Cerminara ha una passione per il suo

Sud, tutta incarnata, che quando si esprime

innalza l’animo trepidante in dolce, estesa

esaltazione: “tra pini sereni e abeti fruscianti/

che giocano con le loro ombre/ ti apri ogni

tanto all’azzurro/ di placidi laghi/ sparsi quali

occhi abbagliati”.Si è presi da folle impeto

verso plaghe di aspra bellezza del nostro Sud;

ci ritroviamo lungo vallate apriche, rosseg-

gianti di papaveri e smaltate di verde azzurri-

no. Tutto un sommovimento interiore, quasi

un rifarsi in integrità e in essenza. La Sila,

cuore di tutta la Calabria, stratificata di me-

morie. Tradizioni e leggende, fatti straordina-

ri che si narrano. Sempre la vita degli uomini

in tanti luoghi rimasta serrata in una immobi-

lità di tempo senza conoscere trasformazioni.

“Svettano di giallo i verbaschi/ nelle ristoppie

dismesse/ confuse le danze di greggi e man-

drie/ tra belati rotondi/ e latrati di cani da

guardia”. Panorami unici in candida veste

fanno l’esistenza della Sila, accerchiata da

una beata solitudine nell’aria “incorrotta di

pienezza estrema”.

III

Nel volume “Ultime nevi a Camigliati”

poesia onomatopeica e antropomorfica che

schiude varietà di aspetti della Natura in in-

trecci di compenetrazione, tutto rientra nell’

animo amplificato in effusione di oblio. Ha

A

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POMEZIA-NOTIZIE Giugno 2016 Pag. 17

un senso la vita con la sua pienezza psicolo-

gico-realistica, in continuità di simbiosi con

tutto lo spazio che avvolge riconfortante

prendendo la terra e noi con essa in incontro

di purezza e di simmetrie con”la freschezza

delle…acque e la tenera luce della luna”. Tut-

ta una giocondità di reconditi angoli che

paiono fermi con forme di essere proprie. I

versi si seguono formando cerchi, sentendo il

poeta l’armonia della Natura in tormentoso

afflato durante i brevi momenti di ritorno ai

luoghi natii per ritrovare aperture all’animo

compresso. La meravigliosa, inebriante Sila

amata: “ questa terra che offre/ ai rassegnati/

sapore di vita/ non corrotto/ incolto come

campo di pioggia/ spruzzato nell’estate:/ que-

sta è la mia terra”. La poesia di Rino Cermi-

nara ha uno stile classico-realistico con

espressività dinamica, riempita di ampiezze

figurative in netta evidenziazione che danno

ai versi anarimi sonorità, compostezza ele-

gante e raffinata forma. Si condensano arca-

no, arcaico e sublimità in un animismo sem-

pre presente. Tinti di riflessi i rami degli abeti

e dei pini, fasciati di ombre gli spazi felici che

si prendono fra i tronchi, alzando lo sguardo

alle cime piene di sole. La Sila di Rino Cer-

minara irrompente di germinazioni, esploden-

te di vitalità imperitura. Profondo il senso

delle cose rudi e acri, attraenti gli umori del

muschio, la dolcezza del miele, il profumo di

resina, a gocce sulle cortecce spaccate. In

“Ultime nevi a Camigliati” la Calabria è nel

flusso delle vene, passa dentro con pietre e

spine, fiumare e terre aride, tartassate da frane

e alluvioni: giganteggia la Sila, un labirinto

verde, immerso nel silenzio, attraversato da

voci magiche, da echi in lontananza.”questa

terra grumosa/ e mai fradicia/ dove i cani

d’agosto in volo alzano la quaglia/ a gioco;/

questa terra ansiosa/ di nutrire groppi/ di abeti

folti e pini/ a caprioli lepri cinghiali/ sicuro ri-

fugio/ e volpi brune”.

IV

Nella poesia di Rino Cerminara, forte di si-

gnificati, ricca di risonanze e di immagini, si

risente il linguaggio stretto e duro calabrese,

la presenza di un passato di stenti, l’ ostina-

tezza di una gente semplice, fatiche inesauri-

bili, virtù e spirito di sacrificio, condizioni

misere e avverse che non sono mai mancate. I

versi prendono ampiezze mitiche e profondità

di sentimenti, una terminologia che rispecchia

realtà complesse, tormentate. La forma limata

e netta afferra contenuti rappresi, pieni di

umori e di pensieri rimeditati. Si ritrova l’ ac-

canito attaccamento alla propria terra, amata

come una persona, la passionalità di animi

sensibili con tutto un fondo intricato di lega-

mi a usanze inveterate che hanno voluto dire

bisogno di libertà e di estrinsecazione di con-

naturate energie e di capacità perseveranti.

Una realtà spiritualizzata che si tiene ancora

in tanta parte ferma, come fuori dal tempo.

Rino Cerminara avverte che “L’aria è come

allora/ sempre tersa/ da una brezza che ar-

peggia leggera/ alle corde del mattino”. Con

musicale accento si sente viva l’atmosfera di

un azzurro fine e trasparente: “Rotea a vista

accesa il falco bruno/ in giri larghi sulla verde

valle…” .La poesia va per ogni dove, si in-

nalza fra i “…rami dei pini/ stillanti resine

aspre”, ritrova i ricordi come pezzi sparsi:

hanno messo le radici in mescolanza con

quelle dei giganteschi alberi, piena di luce l’

esuberanza dell’infanzia che “ha passi ansiosi

e folli corse/ nel candore della loro ingenui-

tà”, la si vede vibrante alle ultime luci del

tramonto, quando “le ombre della sera coagu-

lano/ sui pendii dei monti…” . La Sila con il

suo verde incanto ha immediatezza di movi-

menti, non conoscendo relegati recinti, ma

indefinite “mete sempre più remote”. Si vi-

vono momenti edenici, rifatti si è rinati alle

fonti vere esistenziali, scorrendo simili ad ac-

qua cristallina, inseguendo suoni impercetti-

bili negli spazi frammentati fra le piante. Tut-

to è felice con i volatili, le farfalle e le api che

ondeggiano con leggera bizzarria. Anche il

poeta è in esplosione di lietezza con ogni ma-

nifestazione che si ha intorno.

V

I versi della raccolta “Ultime nevi a Cami-

gliati” sono il respiro dell’animo in effusione

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POMEZIA-NOTIZIE Giugno 2016 Pag. 18

panteistica, contemplazione, estasi, piena

esaltazione dei sensi, “In questa solitaria li-

bertà/ non servono canti di inutili sirene”.

Con fine e pronta sensibilità si dipingono o

brillii trepidanti dei mutati aspetti, di tutte le

apparizioni del mondo puro, solenne, divino

della Sila. Rino Cerminara tutto preso da un

trasporto nostalgico che si fa drammatico, di-

venendo desiderio incontenibile di rivivere la

nudità espressiva di fascino e di cantore

dell’infanzia, la genuinità-innocenza di quegli

anni circondati da serena espansività e da un

alone di sogno. Presenze sfolgoranti e intatte

che la mente con ossessione si costruisce, ri-

trovandole sull’assolato greto del fiume Neto

e lungo i tratturi “dietro ai belati delle greg-

gi”. Le località della Sila donano benessere

rinfrancandoci dallo stato di sperdimento che

si ha nelle città, stretti nelle strutture mecca-

nizzate e nelle artificiosità che inaridiscono l’

animo. Vitalizzano i sentimenti rendendoci

aperti e comunicativi. La vicinanza di una

Natura florida ricrea freschezza di sensazioni,

sentendoci ritornati a maggiori vigorosità,

fuori da tutte quelle deturpazioni che i tempi

moderni producono con l’invilimento dei va-

lori morali e la perdita dei buoni principi di

civile convivenza. Il poeta Rino Cerminara

nei luoghi natii della Sila, ripercorrendo le

tracce degli anni dell’infanzia, ritrova a rivi-

vere quelle forme di essere che consentono

rapporti più naturali, fatti di vitalità piena,

con l’ambiente che ci sta intorno: spontaneità

e immediatezza che generano corrispondenze,

amabilità senza egocentrismi e contrapposi-

zioni. Le doti più connaturate tenute integre,

senza alterazioni, quelle della semplicità, del-

la vicendevole comprensione. Le località del-

la Sila come tutti gli abitati più circoscritti e a

misura d’uomo offrono angoli di vita serena,

un certo godimento fisico e spirituale. Osser-

viamo valli profonde con odorose praterie dal

verde smeraldino. Dovunque aroma e aria os-

sigenata rigeneratrice. Belle le tinte giallo-

porporine dei faggi e degli aceri in autunno.

Un quadro fastoso fra cielo,alberi e corsi d’

acqua. Un rapporto stretto tra le popolazioni e

la terra nei luoghi meno aggrediti dai progres-

si del nostro tempo, la gente contenta del loro

ambiente, vittima nel passato di crudeltà e di

disavventure. Gli antichi oggetti, gli arnesi di

lavoro rudimentali mostrano ancora l’ auten-

tico volto della Sila, l’umana millenaria civil-

tà contadina.

VI

Paesi fermi nel loro tempo non si vogliono,

li chiudono nelle prigionie, infossati in lonta-

nanze di oblio. Dove il cemento ha massacra-

to il verde puro, aperto prima alla libera at-

mosfera,tutti corrono, scambiando il turpe per

il bello, l’artificio inaridito visto come nuova

bellezza. La poesia dell’aureo volume “Ulti-

me nevi a Camigliati” di Rino Cerminara

contrastata dalle contraddizioni ha venature di

forte amarezza. Non mancano d’altra parte

borghi legati a costumanze che paiono pietri-

ficate, seguendo “regole fisse di una storia/

ch’è sempre compiuta/ e si conforma/ ai volti

asciutti di pastori/ assisi sulle pietre lucenti di

granito”. Tanti i versi che ho citato, sono epi-

taffi che balzano con significazioni intense,

non possono non essere evidenziati per quel

certo furore che hanno dentro riversato, im-

primendosi nel lettore con una cadenza ta-

gliente ed una icasticità non comune di im-

magini. Le rocce sono attorno ai ricordi che

trovano ricetto sicuro senza mai sfigurarsi,

sono ombre vaganti in eterna presenza spiri-

tuale. Il poeta, continuo esule, li vuole risve-

gliare e vestirsi del loro aspetto, pieno di

amore e di entusiasmo: “Ho un luogo solo al

mondo/ terra di fauni, di miti/ e della mia

memoria/ dov’è rimasta l’anima…” Luoghi

pieni di forre, di avvallamenti e di alture, at-

torno volteggiano rapaci. Tanti i quadri idil-

liaci in estesa pace bucolica, che donano uno

stato di piena distensione, “L’umore di greg-

gi/ al letargo meridiano/ nel ruminare a testa

china…” Evocazioni che passano per tutta la

persona, portano la ruvidezza delle piante e i

sapori agresti: in ampiezze allegoriche si dila-

tano prorompenti con ardore e la passione di

pensieri tormentati. Visioni che vanno sospe-

se per l’aria, dimentiche delle ipocrisie e delle

alienazioni di città. La Sila esuberante, fer-

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mentante nel cuore di Rino Cerminara, bel-

lezza naturale, ispiratrice da lontano a Virgi-

lio di alcuni tra i suoi più affascinanti passi. A

Luigi Paolo Courier sembrò il più bel paese

del mondo. Un mare di verde nell’azzurro che

si immagina popolato di figure mitologiche.

Con malinconia si lamenta l’abbandono di

paesi interi da parte degli abitanti, partiti emi-

granti, prediligendo le città a questi luoghi ca-

labresi che sono veri paradisi, dove la vita

dell’uomo può avere ancora spazi tonificanti.

La terra ribolle nelle profondità di dionisiaci

slanci che si intrecciano tra radici e rami.

Borghi attaccati alla nostra pelle, pieni di sto-

rie, con case linde cariche di calore umano,

con aspetti primitivi, angoli come dolci nidi

che vengono incontro. “Nelle valli circostan-

ti/ si vedono ancora sentieri per muli/ scie di

resina/ sui tronchi dei pini/ accerchiati nelle

proprie ombre”. Noto pure un romanticismo

nelle pagine del volume “Ultime nevi a Ca-

migliati” che si accompagna a espressività di

getto: la nostalgia è lancinante quando nella

mente si fissano certi momenti inebrianti che

vivono con partecipazione, tutta estasi e su-

blimazione dell’essere proprio: “Se mi riusci-

rà ancora di tornare/ sarà di sera/ quando i

raggi ultimi al tramonto/ ornano in giallo/ le

chiome compatte dei pini/ e un ultimo man-

driano accende/ il fuoco della notte”.

VII

Nella raccolta “Ultime nevi a Camigliati” di

Rino Cerminara la laboriosità dei contadini,

che si affaticano per magri rendimenti, e gli

artigiani, appassionati nelle loro applicazioni

pazienti, rendono ancora vive vecchie tradi-

zioni e sistemi di vita sobria. La loro abnega-

zione sempre espressione di attività continua

con capacità di adattamento senza mai venir

meno nelle difficoltà. Il senso umano tutt’uno

con le fatiche e le sofferenze, sentimenti di

affettività e di amore per le loro care apparte-

nenze, tenute con cura assidua. Una vita che

si esalta con speranza e spirito di sopporta-

zione. Sentimenti di carità e di fede sono pre-

senti nella gente misera e di modi semplici

della Sila. Troviamo insieme la figura di Cri-

sto con le pene infinite, sacrificato sulla Cro-

ce, martoriato, che simboleggia il dolore

umano e la volontà di elevazione e di riscatto

da condizioni di vessazioni e di tormenti. Non

Cristo dipinto e falso, venuto da Torino con

Carlo Levi, Cristo moderno della Fiat e di

una città progredita, addobbata di luce e di

benessere. Nella Sila abbiamo Cristo con le

spine e insanguinato in comunanza con la

gente che conosce le lacerazioni di carni

scarne, consumate in una vita contenta di

niente, avversata e contrastata, sorretta da in-

domabili energie interiori, in lotte estenuanti

portate avanti con dignità e orgoglio.

VIII

I ricordi di infanzia del poeta Rino Cermi-

nara riconfortano la vita stressata e disamora-

ta di oggi, sono presenti sui massi del greto

del fiume Neto” nella Sila, fanno ritrovare se

stessi, non più smarriti e spaesati: l’animo in

altezza di essenzialità e di spiritualità riacqui-

sta la sua libertà esistenziale, tutta la propria

identità, la vera integrità, come una pianta ra-

dicata e vegeta in ferace terreno. “Remote le

assolate marine/ che solo pochi conoscevano/

si stava nudi/ a godere del fiume/ spiati dalle

ninfe del luogo/ l’estate era bagliore di vita”.

I giorni vissuti in accensione il poeta li rivuo-

le, con strappi di sospiro, sradicare dalle labili

immagini vaganti e coprirle di carne per sen-

tire “…le ansie della giovinezza/ e i lieti tur-

bamenti/ del cuore smanioso di voglie…” Il

poco che si ama con segreta passione: i con-

tadini dalle mani nodose e dalla pelle raggrin-

zita. La Sila con la gente che senti vicina,

quasi non ti accorgi, col fiato leggero fra le

ombre della sera, che grevi di stanchezza

paiono fra le piante, radendo la terra umida e

soffice. Il poeta Rino Cerminara della Sila

conosce tutto, erbe rugiadose, conifere svet-

tanti nell’azzurro, “merli sempre filo terra”,

gli spettacoli grandiosi di luce variata con

mille colori in lenta metamorfosi del tramon-

to e dell’alba, “la solitaria dolcezza della se-

ra”, “il volo felpato di civetta”, “…la gine-

stra/ avvolgente nel suo dolciastro profumo/

che invoglia a cantare le cicale”, “il fumo dei

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camini…acre sopra i tetti/ di tegole verda-

stre”. Sono queste immagini che la memoria

tiene conservate in presenze animate, che si

seguono ostinate con tristezza fonda quando

si è lontani. Il paese natio in diafane visioni,

illanguidito e nel contempo amplificato lascia

lacerazioni nostalgiche nel momento della

partenza. La luce della città è un’altra, è in-

quinata, è tenuta soffocata dentro la marea

amorfa di case accatastate, non si vede il cielo

andando come miseri involucri di metallo,

svuotati di anima, col muso per terra, inco-

lonnati, spersi nella folla lungo strade chias-

sose e assordanti. Rino Cerminara si lascia

andare spinto da interiori spasmi, che non si

contengono, alle esaltazioni del canto poetico,

che sono liberazione da stati ammorbati: l’

animo è intessuto di momenti stratificati che

reclamano con folle ardore di essere rivissuti.

Leonardo Selvaggi

[Senza titolo]

Hai ragione,

c’è questa lentezza che marcisce

dentro

e questo dolore

tutto sommato trascurabile

dei graffi che porto

alla base della schiena -

ma il mio è un malanno discreto,

da piedi scalzi e cicatrici inflitte

solo sulla carta.

E pure so che è difficile perdonarmi

e amarmi ancora

quando ho la voce stridula

e le porte sbattono,

mosse dall’aria che sollevo

con le mie sottane -

se passo veloce da una stanza all’altra

è per non vederti fra le schegge di vetro

immobili,

sospese nel tempo,

che sono le tracce ultime

del mio strepito.

Eloisa Massola Casale Monferrato, VC

DIO

Luce abbagliante

che indora l’anima

e riscalda il cuore.

Giovanna Maria Muzzu Telti

AALLELUIA! AALLELUIA!

ALLELUUIAAA!

19/5/2016

Marco Pannella se n’è andato; se n’è andato

in quel “mondo” nel quale lui non credeva.

Alleluia! Alle-

luia! Non vo-

gliamo, né

siamo in grado

di giudicarlo. È

stato strenuo e

cocciuto guer-

riero per tutta

la vita; centi-

naia le sue bat-

taglie, alcune

condivise, altre meno, come, per esempio, l’

eutanasia e

la liberaliz-

zazione del-

le droghe.

Una cosa è

certa: ha

sconvolto le

acque sta-

gnanti di

una società

profondamente ipocrita e basta questo solo

merito per renderlo grande.

Domenico Defelice

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POMEZIA-NOTIZIE Giugno 2016 Pag. 21

La studiosa affronta

i prismatici mondi

dello scrittore e poeta

CLAUDIA TRIMARCHI:

DOMENICO DEFELICE di Ilia Pedrina

N un volumetto agile ed assai originale,

sotto la guida del chiarissimo professor

Carmine Chiodo, la studiosa Claudia

Trimarchi ha presentato, a conclusione del

percorso di studi universitari in Letteratura

Italiana Moderna e Contemporanea, presso l'

Università di Roma 'Tor Vergata', Macroarea

di Lettere e Filosofia, l'opera 'LA FUNZIO-

NE CATARTICA E LIBERATRICE

DELLA POESIA IN DOMENICO DE-

FELICE', edita da 'Il Convivio', diretto da

Giuseppe Manitta e fresco di stampa. L'im-

magine di copertina presenta una rarissima,

involontaria fusione tra fotografia e pittura: il

volto del giovane poeta Domenico Defelice si

presenta chino quasi su se stesso, ad interro-

gare l'altro senza guardarlo negli occhi, men-

tre a tutto campo emergono i temi di un suo

quadro ad olio che rappresenta donne in scio-

pero, che urlano in un silenzio assordante. L'

involontarietà dello scatto dimostra fili invi-

sibili intessuti dalle forze destinali che ci le-

gano e ci sospingono là dove inconsapevol-

mente dobbiamo scoprire il nostro volto, la

nostra forza, il nostro impegno in condivisio-

ne. Se il volumetto si apre con questa imma-

gine tra il bianco ed il nero rarefatti e varia-

mente fusi a declinare la complessità di que-

sto particolare 'silenzio', la fotografia del retro

di copertina mostra la giovane Claudia, in un

sorriso che sigilla la relazione con il lettore,

portata avanti nel testo, in modo trasparente,

innocente, diretto, impegnativo: queste allora

le caratteristiche del suo sguardo, queste le

sfumature di investigazione e di ricerca che si

incontrano nel testo.

Giuseppe Manitta firma la Prefazione e

sceglie il versante audace della posizione cri-

tica controcorrente, richiamando l'attenzione

sullo studioso trevigiano Giuseppe Bianchet-

ti, che pochi conoscono e che quasi due secoli

fa impegnava il critico letterario a fare i conti

I

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POMEZIA-NOTIZIE Giugno 2016 Pag. 22

non con la fama degli autori, ma con la loro

aderenza alla realtà, alla vita condivisa, ai

tempi ed ai luoghi che l'ispirazione stessa at-

traversa nell'esperienza, prima di farsi canto e

dettato scritto. E Domenico Defelice mostra

in tutto il suo complesso percorso d'Autore

questa intensa, aperta e via via sempre più ar-

ticolata capacità di dare volto e voce alle sue

esperienze, alle sue riflessioni, alle immagini

che accompagnano la sua vita, ai legami di

vita e di lotta, di sogno e di solitudine, di ten-

sione amorosa in palpito e di abbandono gra-

vido di tristezza.

Nel corso della trattazione la studiosa Tri-

marchi sceglie di entrare a pieno titolo nei

differenti ambiti che il Defelice attraversa,

con coraggio e determinazione: dalla Poesia

all'attività giornalistica, dalla critica letteraria

alla esegesi di testi poetici e pittorici, dall'or-

ganizzazione di profondissimi contatti nazio-

nali ed internazionali alla guida sapiente,

energica, consapevolmente reattiva della Ri-

vista 'POMEZIA NOTIZIE', per arrivare a

sottolineare 'l'autentico e sconfinato Amore

per la Poesia e per l'Arte' (C. Trimarchi, 'La

funzione catartica e liberatrice della Poesia

in Domenico Defelice', ed. Il Convivio, 2016,

pag,13). Con l'abilissima guida del professor

Carmine Chiodo, la giovane studiosa ha tro-

vato le giuste coordinate per affrontare con

disciplina il vastissimo materiale a sua dispo-

sizione, arrivando ad operare delle nette scel-

te di campo, lasciando in ombra, ma questo

dato potrà essere opportunamente modificato

nei suoi prossimi lavori letterari, figure di cri-

tici che sul Defelice hanno scritto ampiamen-

te, come l'insigne poeta e critico Leonardo

Selvaggi. Da Vicenza a Ferrara, da Ferrara a

Venezia, da Venezia nuovamente a Vicenza,

con questo volumetto da leggere e da annota-

re, sui treni come sul battello verso il Lido.

Allora in numerosissime pagine la sigla in

cerchio 'C. T.' va a segnalare la presenza atti-

va e vigile della riflessione dell'autrice sui

temi presi in considerazione, siano essi legati

al portato etico-critico-estetico di Sandro Al-

legrini, abilissima penna di pensatore acuto e

verace, studioso con il quale Claudia Trimar-

chi sceglie di condividere importanti prospet-

tive fondantive, o vincolati al testo stesso del

Defelice critico ed interprete di poetesse e pit-

trici, di poeti e pittori in sintonia con le sue

ispirazioni innovative, in pieno riverbero esi-

stenziale. Questo è evidente, tra le altre occa-

sioni che ho individuato, anche nella sezione

'Tra autobiografia e universalismo. Motivi li-

rici ricorrenti nella poesia defeliciana',

quando ella cita il legame d'amicizia tra Defe-

lice e Maria Grazia Lenisa, proprio sul piano

dell'essere e del fare 'Poesia': “...Ma se è vero

- come scriveva Maria Grazia Lenisa nella li-

rica 'A un poeta che tace', dedicata al Nostro

– che Una vita sol vive in terra / l'uomo, / ma

s'è poeta, può viverne mille / ed apre gli occhi

/ sopra un mondo nuovo', la vita reale non è

che il punto di partenza, il trampolino di lan-

cio da cui spiccare il volo, trasmigrando in

compagnia dei luoghi e delle persone amate

in 'un mondo di cose sognate'...” (C. Trimar-

chi, op. cit. pag. 34). Si, 'un mondo di cose

sognate', sono parole del Defelice: Claudia

sceglie di inserire citazioni ampie e dirette,

sia nel corpo del testo sia nelle note, perché ci

sia un costante rimando alla contestualizza-

zione dell'evento esperienziale preso in con-

siderazione, riportando il piglio deciso del

poeta stesso o le sezioni critiche sul suo poe-

tare tratte dallo stile investigativo ed intro-

spettivo di Sandro Allegrini o di Orazio Ta-

nelli, di M. G. Lenisa o di Ada Capuana e di

altri ancora.

Le altre due sezioni del testo, 'Dalla Que-

stione Meridionale all' 'Uomo grandemente

feroce': la parola poetica al servizio di

un'urgenza sociale' e 'Nell' Hortus: la conce-

zione di una critica onesta e alcuni paralleli-

smi tra l'opera pittorica di Gazzetti, Scutellà,

Mallai, e l'opera poetica di Defelice' sono

ricche di contributi ben articolati, che interes-

sano sia sul piano dello stile e della procedura

critica, semplice ma aderente alla sensibilità

in tensione del Defelice, sia sulla modalità

innovativa di aprire il discorso del legame tra

poesia e pittura: infatti la terza sezione mi at-

tende in avventura, perché andrò a verificare

quanto la giovane Claudia ha segnalato con

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POMEZIA-NOTIZIE Giugno 2016 Pag. 23

piena determinazione. Bello il ringraziare, sì,

bello far conoscere almeno in traccia i sup-

porti d'esperienza che le hanno consentito di

condurre alla meta questa prospettiva inter-

pretativa, con quelle scelte operative e di cri-

tica estetica che rendono il lavoro degno d'es-

sere tenuto in considerazione.

Ilia Pedrina

SENZA TITOLO

Vecchio mendico, il mio cielo di notte

rumina lustri e decenni, li sfalda

li inghiotte. Se a caso talora un attimo

si salva è bricia non significante,

la spina infissa, il nonsenso che smemora

insensibilmente

Dove il braccio di mare, onda riavvolta

e srotolato invito a lande adorne

dell’oro che irraggiava un altro sole?

L’ebrietà degli aromi dal deserto,

i vaghi sogni al rezzo delle palme,

il tintinnìo d’argento agli eucalipti

da zefiro recatri, o i ghirigori

da stella a stella stemmante laudario

dell’usignolo?

Il mio Eden disperso, ora mi restano

il ruminio flottante della notte

Nel cielo avverso, la fame del tempo,

me stessa nel folto nero sospinta

della dimenticanza.

Piera Bruno

NO TITLE

Old-age pauper, my own nocturnal sky

Revolver five-year periods and decades,

Flakes them away, absorbs them. If at times

A bit survives it’s unimportant bit,

The thorn being poked, the nonsense that

does faint

so imperceptibly.

Where’s the arm of the sea, ware being re-

wound

And unrolled call to barren lands adorned

With the gold that another sun was shining ?

The rapture of the perfumes out of wilds,

The hazy dreams in the cool of palm-trees,

The silver tinkle of eucalyptuses

Brought by the gentle breeze, or the doodles

From star to star high emblazing laud book

of the nightingale ?

My lost Eden, at the moment I have

The floating cogitation of the night

In the hostile heaven, the hunger for time,

I myself pushed into the black thickness

of the oblivion.

Ha tradotto Benito Poggio poeta e saggista

IL GOLFO

(per Tony)

In un ventoso pomeriggio di aprile

ho portato in riva al mare il tuo ricordo.

Grigio era il cielo, il vasto mare mosso

era l’immagine dell’infinito, che non muta

anche se è sempre in movimento,

così come non muta

in me quel sentimento

che ormai per sempre a te mi lega.

E nel parlare di te

era più azzurro il mare

e il tuo ricordo

come un raggio di sole mi scaldava.

Mariagina Bonciani Milano, al ritorno da La Spezia, dopo il premio,

17 aprile 2016

AALLELUIA! AALLELUIA!

ALLELUUIAAA!

4/5/2016

Incalzati dalle inchieste dei giudici, siamo i

primi nell’anticorruzione, gridano nel PD.

Alleluia! Alleluia! Gli brucia non potersi più

dire immacolati, l’esser primi nella corru-

zione.

Domenico Defelice

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POMEZIA-NOTIZIE Giugno 2016 Pag. 24

ANTONIA IZZI RUFO

E LA CASA DEL NONNO di Nazario Pardini

NTONIA Izzi Rufo è nelle cose, e le

cose sono in lei. Un connubio stretto

di realtà, sentimenti, di tradizioni, di

aria imbevuta di tempi, altri tempi, dipinti di

gioie e colori, di incantesimi, di paesaggi

memori “di paesini vicini e lontani che si

adagiavano sulle coste tra il verde e l’ im-

mensa vallata solcata da ruscelli e strade che

s’insinuavano tra campi e boschi, che scom-

parivano e riapparivano ad intermittenza…”.

Un crogiolo di memorie che sgomitano per

tornare a vivere arricchite dal pathos di una

vita. Un imperfetto che con il suo senso di

continuità dice da sé di antiche primavere, di

volti scomparsi, di case e fiumi di un’età che

intrepida, torna per vincere le sottrazioni del

tempo. La casa di mio nonno, il titolo, ed è il

primo racconto, eponimo, ad avvicinarci da

subito a quello che rappresenta il memoriale

per la scrittrice. Motivo e focus dominante,

linea rossa che fa da coagulante nel dipanarsi

delle tematiche. Diciotto racconti che spazia-

no dai ricordi alla realtà, dalla storia alla fia-

ba, dal ménage al dramma senile… Una vita,

insomma, tante vite raccontate con una scrit-

ture elastica e sciolta, avvincente e con vin-

cente per la pluralità espressiva, e soprattutto

per la molteplicità di sequenze volte a dipin-

gere, a rappresentare luoghi e paesaggi come

concretizzazione di stati d’animo scortati “dal

vento che giocava saltava sibilava con me e

con le querce di S. Rocco”. Una narrazione

ricamata di trine e merletti che con le sue po-

limorfiche intrusioni tanto ci dice di poesia;

di un vero canto che Antonia si porta die-

tro per donarlo al racconto. Sì, c’è questo tra-

vaso nella scrittrice, e in certi momenti non è

azzardato parlare di prosa poetica, soprattutto

quando Ella è presa da input emotivi rievoca-

tivi che la ri-portano a stornelli di vendem-

miatori, all’uva moscatella, alla semplicità di

una società di scambio. Antichi usi, fresche

vicinanze, natura in veste variopinta, aspetto

poetico di un periodo che l’Autrice ri-vive

con strappi di saudade e vertigini di pani-

ca quietudine: San Rocco, La vendemmia, La

spannocchiatura, La raccolta delle ulive, l’

Uccisione del maiale, La befana, Pasqua e

Natale, un succedersi di eventi tinti di un au-

tobiografismo che, emotivamente cotto a pun-

tino, dà tutto se stesso alla intensità lirica di

una poesia determinante per il valore del te-

sto: “… Eppure/ c’è sempre/ nell’animo mio/

impressa una foto,/ sebbene sbiadita,/ l’ im-

magine viva/ di una bimba che corre/ col ven-

to, nel vento,/ in un viale/ s’immette di quer-

ce/ i cui rami/ fronzuti l’attendono,/ l’ abbrac-

ciano,/ la portano in volo/ sul “Colle”,/ a se-

dere la pongono/ sopra una pietra/ rosa dal

pianto/ ma calda/ ancora d’amore.”, dove una

foto sbiadita, e una pietra rosa dal pianto se-

gnano l’imperscrutabile corsa di un tempo

che tutto divora, meno le cose che restano;

quelle che si sono guadagnate il fatto di esi-

stere. Il dipanarsi delle vicende continua con

“Laura e Stefano”, un racconto il cui contenu-

to ci dice della fine del pianeta per l’ ingordi-

gia dell’essere umano votato al male e al

mancato rispetto della natura, ad una nuo-

va guerra devastatrice: “… Distruzione di

A

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POMEZIA-NOTIZIE Giugno 2016 Pag. 25

paesi e città, campagne, di tutto quanto era

stato raggiunto dal progresso in tre millenni e

morte di quasi tutti gli esseri viventi…”. Ma

l’amore salverà il mondo: “Stefano e Laura

s’incontrano in uno spazio desertico…”. L’

uomo ritorna primitivo: “… Non hanno at-

trezzi agricoli e si servono di pietre… per

zappettare intorno alle piantine… Quella ve-

getazione segna l’inizio della rinascita…”.

Un diacronico succedersi di tasselli storici:

dallo sconvolgimento totale alla vita, dacché:

“la vita è eterna, quindi indistruttibile, e ri-

sorgerà ogni volta dal caos”. E’ essa

che vince sempre per la scrittrice, questo è il

segnale positivo del suo pensiero; sebbene l’

uomo faccia di tutto per distruggere il piane-

ta, per annullare l’esistenza di ogni essere vi-

vente, è nel potere della natura la vittoria sul

tutto; anche sulla strada del regresso intrapre-

sa dal genere umano. Segue Ripiego, (Cristi-

na, Mauro, Leandro) una storia di sentimenti

contrastanti, di ritorno alle radici, di insoddi-

sfazioni, di tradimenti e pentimenti fino al ri-

piego a una vita ecclesiale, o di meditazione e

raccoglimento: “ la donna… era assente, tutta

raccolta in se stessa, la sua anima vagava

nell’infinito, si spingeva nell’Oltre, raggiun-

geva, con la fede e la fantasia, il regno dell’

eterna felicità e lì sostava estasiata”. Conti-

nuano gli altri brani a prospettarci vicende e

accadimenti di una realtà a volte trasferita in

spazi immaginifici, ma pur sempre presente,

vicissitudinale, resa umanamente concreta da

una penna viva e vivace; attenta e perspicace

nel cogliere i subbugli dell’animo umano. E il

cerchio sembra chiudersi col ritorno all’ au-

tobiografismo narrativo: Una storia come

tante, dove l’Autrice torna a rappresentare

paesaggi da sogno, incontaminati, dalle strade

bianche, con aurore da petali di rosa, tramonti

con tavolozze iridate. E’ lì che si trova e si ri-

trova; ed è lì che il suo animo incontra la

quiete; dove i ragazzi giocavano a nascondi-

no; e dove gli ortaggi crescevano in abbon-

danza senza bisogno di concimi chimici; e

dove Maria percorreva sei chilometri al gior-

no, per un viottolo di campagna fino al ru-

scello che attraversava saltando sui sassi. Sì,

non la storia di una vita qualunque, di una

qualsiasi vita; ma quella unica e inconfondi-

bile, che ognuno vive e che la Nostra ha fatta

sua, lasciandola in animo pezzo per pezzo; in-

tingendola di tutti quegli intingoli che rendo-

no saporiti i piatti; impreziosendola, insom-

ma, con immagini arricchite da un tempo che

ingrossa e sfuma, che indora e spigrisce, che

orna ed adorna; da un tempo che inquieta, an-

che, non dandoci risposte sulla fine delle no-

stre storie: “(Maria) Risponde al saluto del

cuculo, antico amico, contempla “la virgola”

(il paese di fronte, di nascita di lei), freme

all’abbraccio d’amore che Zefiro, per conto

di “lui”, le prodiga, mentre l’accarezza, baci

le imprime sulle labbra, sensazioni le provoca

nell’animo, di tenerezza e calde emozioni”.

Stati d’animo che trovano posto in versi finali

e che sentono forte il bisogno di chiudere in

poesia la loro potenzialità emotiva:

(…)

di nuovo è tornata primavera

“Tu, amore mio, non torni”.

Così Maria, lo sguardo lontano,

oltre l’azzurro, oltre l’infinito.

Nazario Pardini Antonia Izzi Rufo: La casa di mio nonno. Il Convi-

vio Editore. Castiglione di Sicilia. 2016. Pg. 144. € 13,50

I MIEI GIORNI

Passano, bigi,

come il cielo piovoso d'autunno;

non li illumina il sole

né la speranza

o il pensiero del futuro,

scorrono nell'attesa

scaramantica di "Quando sarà".

Che lunghi essi siano,

anche se "contati",

e non dolorosi,

che avvenga "l'evento"

all'improvviso,

e che io non me ne accorga.

Antonia Izzi Rufo Castelnuovo al Volturno, IS

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POMEZIA-NOTIZIE Giugno 2016 Pag. 26

LA POESIA È LA CASA

DELLA CULTURA di Susanna Pelizza

L David di Donatello, alla cerimo-

nia di premiazione, tenuta il 18

Aprile 2016, Cattelan, riprendendo

Sorrentino, dice che “il cinema è il soffitto

del cuore” e se i film assolvono oggi come

oggi una funzione importante nel renderci

complici e partecipi delle nostre emozioni è

purtuttavia doveroso constatare che, invece,

in maniera differente alla Poesia è riservato

il compito di far crescere e promuovere la

nostra cultura.

La poesia non inciampa nei Heideggeriani

sentieri sempre interrotti e che non portano a

niente dell’esistenzialismo moderno (e sap-

piamo oggi quanto epigoniche risultano cer-

te esperienze poetiche) ma, invece, poggia

sullo “zoccolo duro” di una tradizione sem-

pre comunque presente e vigile, vissuta in

chiave personale e diventando esperienza di

vita da trasmettere alle nuove generazioni.

Senza la poesia la Letteratura muore e at-

tualmente è in pericolo come sostiene Todo-

rov (Todorov “La letteratura è in pericolo”).

Una lirica affidata solo alle nostre latenti

emozioni è decisamente condannata all’

oblio: una parola che si fa portavoce di Spe-

ranza, educando intellettivamente in un’ at-

mosfera di rimandi espliciti o impliciti o che

trametta valori in cui nuovamente credere, è

destinata forse a avere un futuro.

È questo lo dico a tutti coloro che conti-

nuano a considerare il Poeta come una sorta

di “sciamano” che ha a che fare con la ma-

gia delle parole, quando, invece, è un cultore

della tecnica e dello stile.

Susanna Pelizza

PESARO, LA MIA CITTÀ

Amo Pesaro,

città che m’accolse da bambina.

Ricordo me alunna,

i bravi insegnanti

che m’aiutarono

nella mia interiore crescita,

nella mia ricerca di radici ed ali.

Amo di Pesaro i due ridenti colli,

sembrano proteggerla ai suoi fianchi.

Su di essi m’incanta

l’armonia del verde e dei fiori,

avverto il fascino dei piccoli paesi

da cui domino il mare,

suggestivo pei suoi colori,

nei mutevoli quadri

di quiete e di tempesta.

Amo la spiaggia nuda

o sgargiante di ombrelloni,

nuotando raggiungere gli scogli,

vestiti d’alghe lucide di sole;

e dal mare osservo

il riposante verde del colle,

stagliato sulle tinte del cielo.

Pesaro è scrigno

di antiche strade e chiese,

di famosi palazzi.

È patria di Rossini;

ama l’arte nelle varie sue espressioni.

Nell’Ottocento chiamarono Pesaro

“piccola Atene delle Marche”.

Sono orgogliosa

d’essere sua figlia.

Caterina Felici Pesaro

MADRE

Per una madre

figli e figlie

sono bambini per sempre

perché l'amore

non cambia con il tempo.

Pieno di sogni

per il loro futuro di successo

la risposta ogni madre

ha in mente per la sua persistenza

in attesa di accadere

la speranza infinita.

Teresinka Pereira USA - Trad. Giovanna Li Volti Guzzardi, Australia

A

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POMEZIA-NOTIZIE Giugno 2016 Pag. 27

I POETI E LA NATURA – 56

di Luigi De Rosa

Domenico Defelice - Metamorfosi (1991)

LA “ROSA” E IL “SENTIE-

RO POETICO” DI CAPRONI

iorgio Caproni era nato a Livorno il 7

gennaio 1912 ma come poeta era vis-

suto sostanzialmente a Genova e,

come afferma chiaramente nei propri versi, si

sentiva un genovese.

Anni fa ho dedicato a Caproni una mia poe-

sia intitolata “Che cos'è una rosa?” ispirata-

mi da quei suoi famosi versi (quelli, sì, notis-

simi) che dicono, a proposito della rosa :

“ Buttate pure via

ogni opera in versi e in prosa.

Nessuno è mai riuscito a dire

cos'è, nella sua essenza, una rosa.”

Perché il poeta, nella sua sensibilità e since-

rità, riconosce apertamente la propria igno-

ranza (e quindi l'ignoranza dell'Uomo) nei

confronti della Natura (qui simboleggiata dal

fiore... per eccellenza).

Non possiamo che ammirarla, la Natura. E

magari viverci (ma non sfruttarla stolidamen-

te e, troppo spesso, purtroppo, violentarla).

Tutto questo, pur sempre, senza avere la pre-

tesa di conoscerla nella sua “essenza”. Perché

noi possiamo conoscere tutte le leggi e i mec-

canismi che sovrintendono alla vita di una ro-

sa, dal punto di vista scientifico (cioè della

chimica, della fisica, della biologia vegetale,

etc.) ma non per questo possiamo dire che co-

sa sia effettivamente, sostanzialmente, nella

sua peculiarità, una rosa (o qualsiasi altro or-

ganismo della Natura). La Natura rimane pur

sempre, nel suo essenziale significato, una

grande Sconosciuta. (Come non ricordare il

famoso poeta americano Walt Witman, l'au-

tore della raccolta “Foglie d'erba”, che con-

fessava di non aver saputo rispondere alla

semplice domanda di un bambino Che cos'è

l'erba ?).

Anche se, in sostanza, perfino l'Uomo (il

Poeta) fa parte della Natura, a pieno titolo.

Ma a sua volta lo stesso Uomo (il Poeta) ri-

mane pur sempre un grande Sconosciuto, no-

nostante i trionfi dell'antropologia e nonostan-

te tutte le Scienze che lo riguardano, dentro o

fuori della Storia.

E come può l'Uomo, che è indecifrabile mi-

stero a se stesso, decifrare secondo i limitati

poteri della Ragione, l'ancor più grande e te-

nebroso Mistero della Natura e dell'Universo?

° ° °

Caproni amava molto la Natura.

E non solo a livello teorico-intellettuale, ma

anche e soprattutto a livello di benessere psi-

co-fisico e spirituale.

Amava fare camminate tra i boschi dell'Ap-

pennino, in Val Trebbia, a Fontanigorda, a

Loco di Rovegno, dove è sepolto insieme alla

sua amata moglie Rina Rettagliata, originaria

di quei luoghi.

E questo lo poteva fare prima di andare a

vivere nella grande Roma, quando era ancora

un giovane maestro elementare e incomincia-

va la carriera di insegnante nella profumata

Liguria, la terra della sua donna.

E' rimasta famosa la sua poesia Ballo a

G

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POMEZIA-NOTIZIE Giugno 2016 Pag. 28

Fontanigorda, dove alla gioia schietta dei

contadini impegnati in un ballo campestre si

mescola il profumo degli alberi e dei fiori, il

fascino misterioso di una Natura genuina e

amica.

Infonde una freschezza d'animo meraviglio-

sa il camminare lungo quello che si chiama

ufficialmente Sentiero poetico Giorgio Ca-

proni, un percorso che si perde nel folto dei

boschi, infinitamente più bello e dolce di cer-

te larghe strade e vaste piazze immerse nel

traffico, nel fumo e nei rumori.

Luigi De Rosa

___________________________________ ____________________________________ DA UN COLLE

Ieri ti ho guardata da un colle, cara Istanbul!

Non ho visto nessun luogo che io non fre-

quenti e non ami.

Finché io viva siediti sul trono del mio cuo-

re!

Amare anche uno solo dei tuoi quartieri vale

una vita.

Quante splendide città si vedono nel mondo,

Ma tu soltanto hai creato il mito della bel-

lezza.

Per me chi più anni vive in te, in te muore e

giace

Vive nel più felice e lungo dei sogni.

Yahya Kemal Beyatli

(1885 - 1958)

La poesia è compresa in un gruppo di brani

dedicati a Istanbul e costituiti da quartine a

rima baciata.

Ceviren (ha tradotto), Piera Bruno

(BIR TEPEDEN - Sana dün bir tepeden

baktim azîz İstanbul!/ Görmedin

gezmediğim, sevmediğim hiç bir yer./

Őmrüm oldukça, gönül tahtıma keyfince

kurul!/Sâde bir semtini sevmek bile bir ömre

değer.// Nice revnaklı şhirler görülür

dünyâda,/ Lâkin efsunlu güzellikleri sensin

yaratan./Yaşamıştır derim, en hoş ve uzun

rü’yâda/Sende çok yıl yaşayan, sende ölen,

sende yatan).

PER OMERO I

Omero visse in silenzio. Come le strade di

montagna.

E in silenzio - come l’acqua pronta a fluire -

preparò i principi della poesia.

Come tutti i grandi poeti della terra

cantò i lupi, gli uccelli, la furia del mare

le prime fiamme i primi baleni del giorno.

Perciò Omero somiglia solo ad Omero.

PER OMERO II

Sappiamo che Omero era esperto di lunga

poesia

e di lungo dolore

Per questo andarono tornarono sulla terra il suo

lungo mantello, la sua alta statura.

Ilhan Berk Poeta e pittore (1918 - 2008) - Ceviren (Traduttri-

ce) Piera Bruno

(HOMEROS İÇİN, I. - Sessiz yaşadı

Homeros, Dağ yolları gibi./Ve hazırlandı

sessizce - suyun/akmaya hazır oluşu gibi -

/Şiirin ilkelerine.//Dünyanın bütün iyi

şairleri gibi/inceledi kurdu kuşu, azgın

denizi /Günün ilk yalazlarını ilk balkımaları.

// Burun için Homeros yalnız Homeros’a

benzer.

HOMEROS İÇİN, II. - Biliyoruz uzun şiir

ustasıydı Homeros/Ve uzun acının//Böylece

yerkürede/Uzun harmanisi, uzun boyu gitti

geldi.)

Ilhan Berk (1918 - 2008), poeta, saggista e tradut-

tore - ha reso in turco tutta l’opera di Rimbaud - è stato anche un importante pittore. Per la grazia e

la chiarezza espressiva è stato definito l’autore

che trasforma in poesia ciò che sfiora. Infatti egli si riferisce sempre al reale e all’uomo; e la sua

umanità non ha mai nulla di astratto, ma viene

collocata nella storia e in definiti confini logistici come i nomi di Pera Galata Omero - nomi cari a

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POMEZIA-NOTIZIE Giugno 2016 Pag. 29

noi genovesi e italiani - dimostrano.

Piera Bruno

LIBERTÀ UGUAGLIANZA

FRATELLANZA

sono i fondamenti

della nostra coscienza e della nostra volontà

di essere francesi

Che Libertà Uguaglianza Fratellanza

siano svuotate perfino solo un poco

della loro essenza

quale scena di teatro

e dei cittadini rischiano di accasciarsi

su dei fondamenti di sostituzione

quand’anche siano nemici di

LIBERTÀ UGUAGLIANZA FRATEL-

LANZA

Béatrice Gaudy Francia

N. B. “Libertà - Uguaglianza - Fratellanza” è il

motto della Francia.

CECI N’EST PAS UN CHAT

Si tu vois un chat

ne dis pas que c’est un chat

Dis que c’est un rat

ou un serin

ou un lapin

ou n’importe quoi

Mais surtout surtout

ne dis pas que c’est un chat

Si tu oses appeler un chat un chat

tu cours grand risque de poursuites judiciaires

QUESTO NON È UN GATTO

Se vedi un gatto

non dire che è un gatto

Di’ che è un topo

o un canarino

o un coniglio

o qualsiasi cosa

Ma soprattutto soprattutto

non dire che è un gatto

Se osi chiamare un gatto un gatto

corri davvero il rischio di procedimenti giudiziari

Béatrice Gaudy

Francia N. B. L’espressione francese “chiamare un gatto

un gatto” significa “dire pane al pane, vino al vi-no”, ma con un’immagine diversa. Giacché l’

immagine del gatto si armonizza colle altre im-

magini del testo, l’espressione francese è stata tradotta letteralmente.

IL MUSICISTA

Ogni mattina, il musicista

Fa toilette con un FA;

SI la musica è la sua passione,

Egli non si sente mai LA (stanco);

Legge le note sul RÉ (righe)

Dei tanti foglietti

Modellando il suo DO (dorso)

Al di sopra del piano;

Poi s’inclina verso il SOL

per accogliere gli applausi;

E a MI-notte sogna d’essere un genio,

Creatore di future sinfonie...

FA SI LA RÉ DO SOL MI!

Océlyane Schengen

Da: Le coeur en bandoulière, Edizioni Ippocrène,

2015. Trad. da francese di Domenico Defelice.

L’AMORE È UNA CULLA...

L’amore è una culla

In cui si rannicchia l’anima contusa

Al riparo delle tempeste

E delle ingiurie

Sotto il cielo patrono

Della felicità...

Océlyane Schengen

Da: Le coeur en bandoulière, Edizioni Ippocrène,

2015. Trad. da francese di Domenico Defelice.

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POMEZIA-NOTIZIE Giugno 2016 Pag. 30

Recensioni

TITO CAUCHI

ARCOBALENO Editrice Totem, Lavninio (Roma) 2009, € 10,00, pagg. 76

Il fenomeno atmosferico dell’arcobaleno non mo-

stra soltanto un’arcata di sette brillanti ed evane-scenti colori, anzi al contempo infonde quiete. Una

immagine biblica instauratasi in occasione della fi-

ne del diluvio universale al tempo di Noè, facente parte della “Genesi” nell’Antico Testamento. “Il

mio arco pongo sulle nubi,/ ed esso sarà il segno

dell’alleanza/ tra me e la terra./ Quando radunerò/ le nubi sulla terra/ e apparirà l’arco sulle nubi,/ ri-

corderò la mia alleanza/ che è tra me e voi/ e tra

ogni essere che vive in ogni carne,/ e non ci saran-no più le acque/ per il diluvio, per distruggere/ ogni

carne./ L’arco sarà sulle nubi/ e io lo guarderò per

ricordare/ l’alleanza eterna/ tra Dio e ogni essere che vive/ in ogni carne/ che è sulla terra.” (La Bib-

bia – Antico Testamento Prima parte, Collana ‘Le

Religioni’ de ‘La Biblioteca di Repubblica’, Anno 2005, a pag. 53, Genesi 9, 13-16).

Una trasmigrazione di sensi perché in quei colori

eterei ci sono le nostre ricordanze di quando era-vamo bambini e, senza andare tanto biblicamente

lontano, in quel violetto, giallo, blu, indaco, rosso,

arancio e verde – settori cromatici creatisi sempli-cemente per la rifrazione dei raggi solari attraverso

le particelle di pioggia rimaste sospese nell’aria – ci

sono anche e soprattutto le particelle dei nostri stati d’animo passati e presenti. È accaduto al professore

di Chimica e Matematica, nonché avanzato critico

letterario, poeta e non solo, Tito Cauchi di Anzio – ma lui è originario di Gela, provincia di Caltanisset-

ta – di dare un invetriato valore e significato all’ in-

segna antichissima dell’ arcobaleno. Lui si è trovato

prima e dopo questo fenomeno ottico, in un “Mon-do di parole” e poi in un “Mondo senza parole”; in

una situazione che poteva sembrare disperatamente

piovosa e poi nella schiarita inaspettata, ma alquan-to desiderata. “Parlare, parlare, parlare./ Quante

cose ci son da fare!// Gli uni e gli altri si fan senti-

re/ mettendo il resto a zittire/ fanno mestiere della parola/ sì che padroneggia questa sola.” (pag. 38).

Ritrovarsi così dopo un simbolico diluvio, che

potrebbe essere di qualsiasi genere e non soltanto un innalzamento delle acque a causa di un’ abbon-

dante caduta d’acqua dal cielo, e spingersi oltre la

realtà circostante per cercare un rifugio, un’altra dimensione naturale, affinché si possa fermamente

credere in quella divina alleanza di origine biblica,

ed abbracciare quella speranza così tanto vaticinata. “Ho guardato tante volte/ le cose la gente/ eppure

non ho saputo/ scorgere o leggere// il giusto signi-

ficato/ che le mutevoli forme/ delle cose ci presen-tano.// Ho amato ho sofferto/ ho sempre pensato

all’eterno/ alle cose che durano.// Gli anni si sus-seguono/ gli eventi si avvicendano./ Ho guardato

invano?// Eppure ho sempre pensato/ alle cose che

durano/ all’eterno.” (pag. 26). Ad un certo punto del libro, più o meno verso la

metà, un’icona che rappresenta una donna che allat-

ta tutto in bianco e nero, ossia l’immagine di stile primitivo della copertina del precedente libro

dell’autore, dal titolo “Francesco mio figlio” del

2008. Stile primitivo perché c’è la rievocazione del-la donna tahitiana di Paul Gauguin (1948-1903) pit-

tore francese, che permette al lettore di entrare in un

altro programma esistenziale di Tito Cauchi, preci-

samente nei meandri del suo incolmabile dolore pa-

terno per Francesco. Lui era una realtà, Francesco

esisteva davvero e adesso il suo cuore continua a pulsare come prima, da quando è nata questa scelta

di poesie scritte da un padre che non vuole e non

può dimenticare. C’è stata una sentenza in relazione a quella trage-

dia; c’è stata una perdita mai più ricolmata, c’è stata

una poesia composta nel trigesimo dalla sua scom-parsa, quindi un mese dopo l’annullamento di una

presenza che riempiva le stanze dell’intera casa,

portando seco la brezza di una continua primavera,

perché lui suonava la chitarra e il pianoforte, cattu-

rava e liberava le note musicali a suo piacimento,

non conosceva l’inerzia … “Cigola il cancello, s’apre la porta/ e sei tu che rientri da scuola/ lasci

cadere lo zainetto e canti/ dici di essere affamato e

sgranocchi.// Non hai ancora finito di pranzare/ e già progetti gli impegni successivi.// Cigola il can-

cello, s’apre la porta/ e tu non ci sei. Ammutoliti

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POMEZIA-NOTIZIE Giugno 2016 Pag. 31

sono/ il pianoforte, la chitarra, l’aria.// Eppure io

sento la tua presenza/ il tuo respiro, la gioia tua/

riversarsi su di me./ E non oso dubitare.” (a pag. 59).

Francesco è in quei colori dell’iride tanto subli-

mati dal poeta Cauchi e in quel segno che non sem-pre appare dopo ogni pioggia, lui continua a svol-

gere la sua vita di ragazzo pur non essendo più vi-

sibile ai mortali. È il destino di quelli che vanno ol-tre l’arcobaleno, che sono entrati nei suoi colori;

mentre tra quelli che restano ogni tanto c’è qualcu-

no che per loro è riuscito a scrivere più di una me-morabile poesia dai toni sfumati e cristallini.

Isabella Michela Affinito

Francesco non è figlio del poeta prof. Tito Cauchi, ebbene l’immedesimazione nei genitori reali, suoi

amici, è tale, da fare credere il contrario (Ndd).

ERNESTO PAPANDREA

E SCOPPIÒ LA RESISTENZA

SALVO D’ACQUISTO L’EROISMO DI UN

CARABINIERE

Edizioni Universum, Trento, 2015 - Pagg. 28, €

6,95

Più che una carrellata di poesie sulle varie argo-

mentazioni inerenti al Secondo conflitto mondiale,

questo è un trattato di coscienza e per le coscienze, un resoconto personale svolto da un autore che non

ha vissuto in prima persona l’ultima guerra, giacché

nato diverso tempo dopo, ma l’ha udita raccontare anche soprattutto da chi si è distinto per determina-

te scelte eroiche prese sul campo, o sull’esempio di

eroi-combattenti che per la frase gloriosa “sull’ ar-

ma si cade, ma non si cede!”, sono morti consape-

voli della loro scelta. Fece questo il Caporal Mag-

giore, combattente volontario della Divisione “Ac-qui” in terra di Cefalonia, Luigi Lopresti, a cui si

rivolge la dedica nelle prime pagine del volume,

nato a Gioiosa Jonica quindi, concittadino seppure di un altro periodo storico del poeta Ernesto Papan-

drea, autore della toccante raccolta, ma principal-

mente della corposa prefazione in cui sono stati menzionati molteplici fatti salienti del periodo bel-

lico in questione. Il poeta è ‘entrato’, documentan-

dosi, nelle diverse scene drammatiche di quell’

epoca per poi mettere in versi le sensazioni provate

semplicemente rileggendo le vicende da qualche

parte. È entrato e poi ne è uscito drammaticamente cambiato, maturato interiormente, con una capacità

di giudizio tale da non aver condannato nessuno,

ma nemmeno ha perdonato facilmente. Lui è un poeta, un saggista attorno al suo territorio e non so-

lo, e allora “mi sono solamente limitato a descrive-

re con la forza della commozione del verso, avve-

nimenti, luoghi, stati d’animo, perché non posso in

alcun modo forzare i fatti, parlare di un processo di reviviscenza di Cefalonia, di legami al filo del ri-

cordo, in quanto non ho vissuto quei frangenti di

vita o di morte per tutti” (a pag. 6). La silloge omaggia in primis la figura storica e l’azione com-

piuta dal Vice Brigadiere dei Carabinieri, Salvo D’

Aquisto, nato a Napoli il 15 ottobre del 1920 e mor-to a Torre di Palidoro il 23 settembre 1943, per una

sua deliberata decisione presa sul campo; ovvero

passato per le armi dalle truppe tedesche che, se non ci fosse stato lui ad offrirsi volontariamente, sa-

rebbero morte oltre venti persone accusate di atten-

tato contro i tedeschi. Salvo D’Acquisto è la fiam-ma centrale, la più luminosa e la più vibrante - Me-

daglia d’Oro al Valor Militare -, di un fuoco di-

vampato con la parola “Resistenza” nel periodo, appunto, in cui l’Italia subì l’invasione nazista con

tutte le sue relative prepotenze. Prima della fatidica

data dell’8 settembre 1943, l’Italia era schierata dal-la parte della Germania; dopo, invece, firmato l’

armistizio con gli alleati - firma dell’allora Mare-

sciallo Badoglio e del Generale americano Eisen-

hower -, i tedeschi vennero considerati nemici e chi

pagò le conseguenze furono quei soldati italiani in Grecia soprattutto, che si ritrovarono all’ improvvi-

so con un nemico al fianco. Cefalonia non è soltan-

to il nome di un’isola, come Corfù, Zante ed altre dei dintorni, ma è rimasta il simbolo di una verità

che tuttora sconvolge, scuote gli animi, perché lì

migliaia di soldati dovettero scegliere se arrendersi ai tedeschi ed essere deportati in Germania, oppure

di morire sterminati dalle truppe tedesche che si

rinforzavano di numero ogni giorno di più sul suolo

di quelle sperdute isole greche. “Il Caporal Mag-

giore Luigi Lopresti scelse la strada di non cedere

le armi e, non quella della resa. Per questa corag-giosa scelta l’Associazione Nazionale Superstiti

Reduci e Famiglie Caduti Divisione “Acqui”, gli

ha conferito il diploma solenne con una significati-va motivazione” (a pag. 6). Salvo D’acquisto, Luigi

Lopresti, Anna Frank, il partigiano Rocco Jeraci

anch’egli di Gioiosa Jonica, Giacomo Ulivi, gli sfollati a causa dei bombardamenti, i caduti di Mar-

zabotto, i soldati morti sul Don, sono parte dei pro-

tagonisti delle poesie scritte da Ernesto Papandrea

in questa occasione, dove non è stato facile com-

prendere l’oscura assurdità della guerra, qualsiasi

guerra con le sue rovinose conseguenze. Nella co-scienza dell’autore è avvenuta la miscelazione di

tante altre coscienze di ieri e presenti; sono proprio

i suoi veraci versi che hanno fatto rivivere gli incu-bi di quell’epoca, ricomponendo le strategie per la

sopravvivenza umana nel quotidiano “E scoppiò la

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POMEZIA-NOTIZIE Giugno 2016 Pag. 32

resistenza/dormendo nella paglia/per una patria li-

bera/nell’armoniosa convivenza./I giovani gagliar-

di/sfidando la spietata rappresaglia/ moriranno ventenni/col radioso sole/partigiano/sulla terra ita-

liana/ricoperta di viole” (a pag. 15).

Ernesto Papandrea, con questa crestomazia, si è riconfermato poeta del verosimile e nonostante i

sensi di commozione profonda, che hanno forato

come una freccia la struttura letteraria di ogni poesia, è rimasto lucido e consapevole di quei

giorni pieni di drammaticità da lui pigiati non per

caso. Quando il Carabiniere Salvo D’Acquisto verrà beatificato, sicuramente avrà un peso mag-

giore la lirica, a lui dedicata, che l’autore ha com-

posto riguardo al suo martirio non di carattere re-ligioso, ma umano; un uomo soltanto sul piatto

della bilancia per la fucilazione, al posto di oltre

venti persone accusate di attentato, e il risultato sarà un santo con la divisa dell’Arma. “Rispar-

miateli/quei martiri di Palidoro,/fateli uscire

via/dai reticolati/della vergogna./Immolerò la mia vita/per un’era democratica/con il cuore che bat-

te/di speranza,/dentro questa divisa/di Carabinie-re” (a pag. 26).

Isabella Michela Affinito

GENNARO MARIA GUACCIO

INCONTRI INDECISI

Rolando Editore, Napoli, 2016, € 12,00

Un libro che ha per tema l’amicizia è questo di Gennaro Maria Guaccio, Incontri indecisi, nel

quale l’autore ha raccolti ventuno racconti, oltre a

un Prologo e un Epilogo. L’amicizia, che sta alla

base di queste storie, è però considerata da Guac-

cio nelle sue diverse sfumature, che vanno dall’

amore (anche se, come dice Guaccio, “l’ amicizia non è amore o, almeno, non lo implica necessa-

riamente. L’ amore, invece, è anche amicizia”) al-

la semplice simpatia; e viene trattata dall’autore con vivacità e freschezza di stile, disinvolto e so-

vente percorso da una sottile ironia.

Si va così dal piacevole incontro che avviene in Una donna elegante, con la quale è possibile con-

versare di argomenti culturali (come quello ri-

guardante la scoperta di preziosi manoscritti da

parte dell’umanista Poggio Bracciolini o richia-

mare le dottrine di antichi filosofi, quali Aristotele

e Epicuro), alla partecipazione ad una festa mon-dana di Un matrimonio di classe, che si celebra a

Capri, durante la quale s’incontra persino il can-

tante Peppino, che da Capri prende il nome d’arte; dalle problematiche teologiche de Il seminarista,

giocate sul filo dell’intelligenza e della cultura,

all’assurdo delitto di Verrà la morte e avrà i tuoi

occhi (un titolo d’ ispirazione pavesiana), nato

dall’animo perverso di due balordi. In ciascuna di queste storie c’è però un rapporto

umano, magari deviato, che può essere in qualche

modo legato al concetto di amicizia, come accade a quello che nasce tra Mix e Abdullah, nel raccon-

to intitolato L’elemosiniera di Abdullah, dove

questo nigeriano immigrato in Italia cede il frutto della sua giornata di mendicante ad un altro im-

migrato più povero e sofferente di lui. Interessan-

te è in questo racconto il rapporto che si stabilisce tra Abdullah e il monsignore con il quale scambia

delle idee in materia religiosa.

Ci sono poi nel libro di Guaccio i racconti nei quali si respira una sottile aria amorosa, come La

mia storia è breve, nel quale la figura di Daniela

s’affaccia in tutta la sua fresca bellezza: una bel-lezza spirituale più che terrena, che affascina e

seduce. E ci sono i racconti inquietanti, come Il

diavolo a primavera, nei quali l’atmosfera è tesa e si vive come in un gioco enigmatico di specchi.

Il rapporto di amicizia che sta alla base di que-

ste storie assume però sfumature diverse a secon-

da dei personaggi che si incontrano e si parlano.

Un esempio lo è Incontri indecisi, il racconto eponimo, dove l’incontro tra l’insegnante ormai

ottantenne e il suo vecchio allievo dà luogo ad un

dialogo vivace e frizzante, che si conclude con un arrivederci, dopo una schermaglia sottile.

Il racconto però nel quale Guaccio tocca i suoi

maggiori risultati è Ansia metafisica, in cui si nar-ra la vicenda di Terasia, una donna “nata in cam-

pagna quarantasei anni prima, in una masseria

collinare a ridosso delle alture del maranese”, la

quale ha subito un trauma quando era ancora una

bambina, avendo assistito all’uccisione della ma-

dre da parte del padre, che l’aveva scoperta in un atteggiamento inequivocabile con uno dei suoi

sottoposti, di cui la donna si era invaghita.

Ciò aveva segnato indelebilmente il suo animo, facendo nascere in lei quell’“ansia metafisica”

che le suggeriva delle tormentose domande sulla

vita e sul male del mondo. Il che la portava poi a ribattere alle attestazioni in materia di fede del

suo parroco, don Paolino, che, dopo la morte della

madre, si era attivamente occupato della sua edu-

cazione, fino a farla diplomare in ragioneria.

Ad interrompere il tranquillo scorrere dei suoi

giorni, un fatto però era intervenuto che aveva fe-rito l’animo di Terasia, giunta al ventottesimo an-

no di età; e cioè la proposta di matrimonio fattale

da un giovane del paese che sembrava dapprima mosso da vera simpatia e che poi si era rivelato

interessato soltanto alle terre che avrebbe eredita-

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te alla morte del padre, ai fini della speculazione

edilizia. Per fortuna Terasia si era accorta per

tempo e aveva evitato l’errore di legarsi a lui, ma il fatto l’aveva profondamente amareggiata.

Intanto, dopo trenta anni di carcere, scontata la

pena inflittagli per il suo delitto, il padre di Tera-sia era tornato a vivere con lei, ma era ormai vec-

chio e bisognoso di cure, sicché la figlia l’ accu-

diva, benché facesse fatica a dimenticare l’ acca-duto.

Gli anni erano così trascorsi ad uno ad uno, qua-

si senza lasciare traccia. E pareva che il loro suc-cedersi non dovesse aver fine, quando gli eventi

precipitarono. Durante una festa paesana infatti,

in occasione della quale venivano portati in pro-cessione dei “gigli” in onore del santo, uno di

questi cadde pesantemente, avendo ceduto il so-

stegno che lo reggeva, ferendo mortalmente il pa-dre di Terasia, che era lento nei movimenti e

quindi non aveva potuto scansarsi in tempo. Gli

rovinò addosso e non gli diede scampo. Il cerchio in tal modo si era chiuso. A Terasia

non rimase che vendere i suoi beni e partire per l’

Argentina (meta ambita dalla madre, ai suoi tem-

pi), per aggregarsi alle suore di Calcutta, che ivi

compivano il loro servizio a favore dei poveri. Il tema dell’amicizia trova qui il suo sviluppo, spe-

cialmente nel rapporto tra Teresia e don Paolino,

che le era stato affezionato e che l’aveva seguita negli anni.

Decisamente negativo è invece il rapporto col

prossimo che sta alla base di un altro racconto, Il professore di economia, che finisce tragicamente

con la morte del professore, il quale non era riu-

scito, per la sua indifferenza verso il prossimo, a

farsi un amico, avendo tentato di disfarsi persino

del suo cane.

L’ultimo racconto del libro, L’Annunziata, ha per tema la tenace ricerca da parte di Emilia (una

donna che da piccola era stata abbandonata dalla

madre, la quale l’aveva affidata al convento dell’ Annunziata, dove si accoglievano i trovatelli),

della propria genitrice; ricerca che si conclude fe-

licemente. L’Epilogo chiude il libro con una nota di pessi-

mismo, perché in esso vi è la constatazione che ai

giorni nostri “non c’è più amicizia da nessuna

parte” e che “il demonio si è impossessato della

terra e vi sta gozzovigliando”.

La conclusione è amara, ma gli spunti che dal libro si ricavano sono molteplici e costituiscono

piuttosto un invito a cogliere della vita anche l’

aspetto luminoso e a godere del pur piccolo bene che essa può dare.

Elio Andriuoli

ISABELLA MICHELA AFFINITO

IO E GLI AUTORI DI POETI

NELLA SOCIETÀ (Cenni critici), Cenacolo Accademico Europeo

Poeti nella Società, Napoli 2005, Pagg. 52, f.c.

La poetessa frusinate Isabella Michela Affinito

racconta della sua conoscenza dello scrittore Pa-

squale Francischetti, Presidente del Cenacolo Euro-peo Poeti nella Società, con sede in Napoli, venen-

do a far parte del Gruppo Culturale dello stesso e

rimanendo entusiasta delle pubblicazioni dei soci, edite dallo stesso Cenacolo. Ed è così che ha voluto

riunire le sue considerazioni sulle trentuno opere

stampate dal 2000 al 2005 (soprattutto di poesia), unendosi idealmente al Cenacolo, tanto che il titolo

della raccolta non lascia dubbi: Io e gli Autori di

Poeti nella Società. Gli autori, alcuni presenti più di una volta, sono:

Salvatore Lagravanese, Adriana Mosca, Gianni Re-

scigno, Giuliana Milone, Rolando Tani, Ernesto Papandrea, Luisa Tocco, Maria A. Borgatelli, Pino

Contento, Domenico Bisio, Prospero Palazzo, Giu-

sy Villa Silva, Igino Fratti, Giovanna Mossa Trin-

cas, Tina Piccolo, Carmela Basile, Angela Dibuo-

no, Grazia Lipara, Rocco Raitano, Pasquale Franci-schetti, Ciro Carfora, Vinia Tanchis, Maria Colaci-

no, Angela D’Acunto, Giovannina Bortolozzo, Ma-

ria Grazia Vascolo. In questa sede esporre il pensiero di ciascuno non

è possibile per ragioni di spazio. Attrae la mia at-

tenzione l’esergo della Nostra che recita: “Nel leg-gere gli altri scopro la mia verità!”, il che mi fa

comprendere l’intento di ricerca di se stessa attra-

verso gli altri. Capisco da me che quel che affermo

non è poi così originale; ma quello che intendo

esprimere è che ciò che si espone sugli altri, spesso

fa affiorare la nostra interiorità, i nostri interessi più impregnanti.

Attraverso i Cenni critici presentati dalla Affinito,

la stessa autrice, così attenta alla esplorazione, met-te in luce il suo stile di vita, in senso letterario e fi-

losofico. L’uso del lessico tradisce la sua attitudine

all’arte figurativa, la sua formazione alle belle arti, il senso estetico. La sua scrittura procede a tratteggi

pittorici, il suo interesse è quello anche di rilevare

gli accostamenti fra gli Autori qui presenti e altri

personaggi noti della letteratura e della pittura, co-

me a volerne dare una chiave di lettura: come suol

dirsi mette la ciliegina sulla torta. In questo conte-sto espositivo, facendomi prendere la mano dalle

metafore, dico che la Nostra usa uno stile espres-

sionistico moderato, cioè concreto e con leggere sfumature dell’impressionismo La Poetessa fa delle

affermazioni, non fa allusioni vaghe che potrebbero

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rendere incerto il lettore.

Isabella Michela Affinito avrebbe potuto amplifi-

care quanto esposto per i singoli Autori, entrando nello specifico e lo scrivente fare la stessa cosa.

Troviamo qualche venatura retorica della Nostra,

quasi inevitabile in argomenti del genere, e qualche digressione di natura scientifica (p.es. formazione

dell’arcobaleno). Mi pare che qui si rappresenti il

poeta-pianeta, ma non in una accozzaglia di senti-menti e risentimenti, bensì con il distacco delle de-

bolezze umane. La bellezza di questa raccolta sta

nei toni sobri, misurati. La stessa ampiezza e impo-stazione grafica che riguarda ciascuna opera (riqua-

dro della pagina e immagine di copertina) starebbe-

ro a rappresentarne un equilibrio. Il filo che collega i vari temi conduce ad un alveo

dove trovano collocazione le tante aspirazioni dei

poeti, nel segno del reale e dell’evasione che in una sola parola, possiamo sintetizzare, nel viaggio, reale

e interiore. La natura offesa dall’uomo, le aberra-

zioni culminate con Auschwitz; l’invito a non cede-re alla malinconia; l’amore della fratellanza; l’isola

come distacco dalla terra-madre; il mendicante co-

me disgregazione della società; la poesia come ri-

medio; la alterità o molteplicità esistente negli indi-

vidui; ecc. La Nostra si riconosce nei temi trattati in Io e gli Autori di Poeti nella Società, nello spirito

della condivisione. Il tutto viene esposto alleggerito

da ogni scoria della quotidianità, con il buon gusto che fa apprezzare la poesia e la buona lettura.

Tito Cauchi

SALVATORE D’AMBROSIO

DIECI X DIECI Sillabe incise a fuoco sulla pietra

Brignoli Edizioni, Caserta 2016, Pagg. 32 (coperti-

ne comprese), € 9,00

Dieci x dieci è un poemetto di Salvatore D’ Am-

brosio, autore eclettico presente nel nostro panora-ma letterario. In copertina è rappresentato il Mosè

di Michelangelo; nel testo incontriamo alcuni rife-

rimenti, citazioni risalenti ai salmi, come le dodici schiere (tribù degli israeliti, Oreb e Elohìm), che

creano l’ambientazione del grande evento biblico

sul monte Sinai, che reinterpretano l’episodio del

Patriarca e i Dieci Comandamenti.

L’epopea inizia con una sorta di prologo denomi-

nato “(A)scendere” (con l’iniziale A entro parente-si) riguardante la salita e la discesa, a verso libero e

a metro variabile; la parte successiva denominata

Sillabe incise a fuoco sulla pietra, riguarda la sco-perta del Decalogo ed è costituito da dieci compo-

sizioni, denominate dalla Prima porta, alla Decima

porta, ciascuna formata da dieci versi (da cui il tito-

lo).

L’incipit recita: “L’alleanza è montagna da con-quistare./ Solida è una montagna come la Legge/

che fa parlare la pietra o diventare acqua la roc-

cia/ per dissetare un popolo.” Questa possiamo considerarla come la massima di base su cui pog-

giare la morale; ricorda che ogni conquista richiede

fatica. Giungere alla sommità per poi ridiscendere, non basta, occorre perseveranza e le dieci chiavi

consentono di comprendere il patto tra Dio e gli

uomini, e tra gli uomini stessi. In questo percorso abbiamo la Rivelazione: Io sono il Signore Dio tuo.

E proseguendo, apriamo man mano le dieci porte

(Comandamenti). Mons. Raffaele Nogaro, nella nota critica in chiu-

sura, mette in evidenza la struttura che ricalca linee

geometriche che vagamente richiamano il viaggio dantesco della Divina Commedia; inoltre, da par

suo, ci dà una rilettura e un riepilogo del Decalogo.

Dieci x dieci di Salvatore D’Ambrosio, offre spunti per confronti con il Divino Poeta e diventa un’ ope-

ra pedagogica in chiave moderna sulla condotta di

vita.

Tito Cauchi

GIUSEPPE MANITTA

GIACOMO LEOPARDI PERCORSI CRITICI

E BIBLIOGRAFICI (2004 - 2008) Con appen-

dice (2009 - 2012)

Il Convivio - Pagg. CLXIV +294, € 35,00

Il corposo volume - come afferma lo stesso autore

in Premessa - “è la prosecuzione ideale e fattuale”

di un altro, apparso nel 2009: Giacomo Leopardi.

Percorsi critici e bibliografici (1998 - 2003) “e si

propone di tracciare un itinerario attraverso i con-tributi principali, dalle edizioni dei testi agli studi

sulle opere e sul pensiero del Recanatese”.

Si compone di cinque capitoli (pagine IX - CLXIV) e una “Bibliografia leopardiana /2004 -

2008) con appendice (2009 - 2012)” suddivisa in

varie scansioni tematiche (l’ambiente; le opere complete e parziali; atti e studi complessivi; studi

sui Canti, sulle Operette morali, sulle opere varie e

sullo Zibaldone; forme e temi del pensiero leopar-

diano; la religione; le scienze eccetera) per un com-

plessivo di 458 pagine.

Leopardi, che ha vissuto con difficoltà l’ambiente deprimente di Recanati (Manitta riporta, citando un

saggio di Raffaele Urraro, il ritornello col quale i

giovani sfottevano il poeta a passeggio per le strade del paese: “Gobbus esto/fammi un canestro: / fam-

melo cupo/gobbo fottuto”), ha costantemente so-

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gnato di abitare e lavorare altrove, ma, ogni volta

che è uscito fuori dal “borgo selvaggio”, ha trovato

più amarezze e delusioni che conforti e stimoli. Attraverso l’esame delle sue tante lettere (che, se-

condo Costanza Geddes da Filicaia, confermano il

“carattere di insincerità proprio, quasi per statuto, dell’epistolografia”) si possono seguire i soggiorni

del poeta in Roma - nella quale ha goduto “Pochi

(...) momenti piacevoli” -, Bologna - città che più l’ha affascinato, trovandola “quietissima, allegris-

sima, ospitalissima” -, Pisa - dove ha “proficui di

incontri, tra i quali quello con l’ambizioso Giovan-ni Rosini” -, Imola - i cui abitanti gli appaiono “tutti

scemi” -, Firenze e poi Napoli - dove il poeta muore

- e si toccano temi come “l’infanzia e i suoi river-beri filosofici” e i “turbamenti d’amore”. Forse le

delusioni più forti Leopardi le ricevette da Roma,

perché “città dalla quale - scrive Manitta - Giaco-mo non solo si aspettava un gran rispetto intellet-

tuale, ma anche una certa disponibilità nei suoi

confronti”. Oggi più di ieri Leopardi è considerato “come fi-

lologo, come filosofo e come poeta”; è un antiro-

mantico, ma, per alcuni, con tracce di romantici-

smo1. I suoi “Canti” debbono essere letti e interpre-

tati solo come alta poesia o anche come filosofia? Riportando il pensiero di Nicola Merola, Manitta

afferma che “l’opera poetica di Leopardi è sempre

poesia e deve essere anche interpretata, secondo il desiderio del Recanatese, con fantasia e cuore di

lettore”. Anche in fatto di religione c’è contrasto2;

secondo Lionello Sozzi, per esempio, ne “L’ Infini-to” la “dimensione leopardiana esula dall’ inter-

pretazione religiosa di alcuni studiosi, ovvero si

tratta di un infinito senza Dio”. Non c’è aspetto che

venga trascurato, viene evidenziata anche l’ impor-

tanza che per la maturazione poetica di Giacomo

Leopardi ebbero molti poeti antichi, tra cui Omero e Petrarca... e “Le canzoni con personaggio princi-

pale - evidenza Manitta - sono soggette ad una tea-

tralizzazione”: siamo, cioè, in presenza di una poe-sia della voce, della quale di recente ha trattato Giu-

seppe Leone nel suo bel saggio “D’in su la vetta

della torre antica”... Commenti, interpretazioni, proposte, contrasti, ri-

guardano - come già accennato - non solo i Canti,

ma anche le altre opere del Recanatese: lo Zibaldo-

ne, le Operette morali eccetera e centrale è sempre

l’approfondimento del suo pensiero, sia nel rappor-

to con la scienza che con la Bibbia e il cristianesi-mo.

Sebbene siamo in presenza di ricognizione di

scritti altrui, il lavoro di Giuseppe Manitta ha il fa-scino della scorrevolezza e, perciò, il piacere di far-

si leggere. C’è sempre il rischio di cadere nello

stucchevole quando si è costretti a riferire e riporta-

re giudizi innumerevoli su un autore per il quale si

son riempite e si continua a riempire le biblioteche e che stimola incessantemente, giacché il genio è

sempre più attuale man mano che si allontana dal

tempo che l’ha visto nascere ed operare3. Leopardi - secondo quanto scrive Biancamaria

Frabotta, riportata dal Manitta - è “un poeta in pro-

gressione cronologica, perché egli non ci appare mai interamente giovane, o vecchio, ma piuttosto

sempre proteso in quel modo estremo di essere di

chi è sempre più giovane e più vecchio della sua età cronologica e storica”; concetto ch’è di moltis-

simi altri, italiani e stranieri: María de las Nieves

Muñiz Muñiz, per esempio, scrive che Leopardi “tiende hoy a ser visto como un contemporáneo”

(la Muñiz Muñiz, scrive Manitta, “si attesta tra i

commenti più importanti all’opera leopardiana e certamente il punto di riferimento principale per l’

italianistica spagnola”).

Domenico Defelice

1 - Secondo Alessandro Camiciottoli, per esem-

pio, Leopardi può essere avvicinato - scrive Ma-

nitta - “al romanticismo inglese e tedesco”.

2 - “Per Leopardi, in sostanza, la religione cri-

stiana, pur non essendo vera in assoluto, è vera (e buona) relativamente al nostro ordine di cose”

(Marco Moneta). “L’occhio di Dio, l’occhio della

Provvidenza sono immagini che rimangono in Giacomo anche nell’ultimo periodo della sua vita,

quando la critica lo vorrebbe già ateo convinto”

(Loretta Marcon). 3 - “Leopardi non è moderno perché semplice-

mente sta al di qua della modernità”, scrive, per

esempio, Lorenzo Tinti, sempre nel riporto di

Giuseppe Manitta.

BOCCACCIO E LA SICILIA

a cura di Giuseppe Manitta

Interventi di E. Cavallaro, A. Cerbo, C. Chiodo, G. Manitta, L. Meier, N. Mineo, U. Piscopo, F. Rando,

A. Tramontana, S. Villari

Ed. Il Convivio, 2005 - 344, € 25,00

Forse al mondo non esiste isola così famosa, ricca

di storia, di leggende, di miti, fermentata da tanti

popoli e da tante civiltà come la Sicilia. Sopra di

essa, Bene e Male del mondo hanno avuto, nel cor-

so dei secoli, il tavolaccio ideale perché si svolges-se la vicenda della vita in ogni suo aspetto.

Ad essa hanno guardato tutti i più grandi scrittori,

i poeti, gli storici e quindi non è un mistero che an-che Giovanni Boccaccio trovasse nell’isola terreno

fertile e personaggi stimolanti per alcune delle affa-

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scinanti novelle decameroniane e per lo sviluppo di

tante altre sue opere latine, il De Montibus, il Filo-

colo, con approcci interessanti anche in fatto di lin-gua. Perciò, “Considerare la Sicilia nelle opere di

Giovanni Boccaccio - scrive in Premessa Giuseppe

Manitta - significa non solo rivolgersi alla geogra-fia dell’autore, ma anche e soprattutto valutarla in

relazione al dato storico, mitico, intertestuale e cul-

turale in genere”. Il primo intervento è di Susanna Villari, secondo

la quale la Sicilia aiuta molto alla creazione di sto-

rie col suo enorme bagaglio di miti e leggende. “Oggetto di questo studio - scrive - è la verifica

dell’incidenza di tali suggestioni, e del rapporto tra

la realtà geografica siciliana e la sua trasfigura-zione poetica, nelle opere di Boccaccio e nella no-

vellistica post-boccacciana”.

Segue il lunghissimo e assai particolareggiato saggio di Carmine Chiodo su Le novelle siciliane

del Decameron. Il critico è d’accordo con quanti

opinano che Boccaccio in Sicilia non ci sia mai sta-to e che tutte le novelle che riguardano l’isola son

frutto di racconti e conoscenze che l’autore ha rice-

vuto da altri, specialmente negli anni trascorsi a

Napoli: “Boccaccio, stando a Napoli conobbe la

Sicilia e le novelle “siciliane” ci mostrano l’acuto e penetrante scrittore dell’uomo, del suo cuore, del-

la vita italiana e della storia del suo tempo”. Non si

deve dimenticare che, in quegli anni, gli scambi commerciali tra la Sicilia e i mercanti toscani erano

intensissimi e che costoro avevano un gran peso

anche nello svolgimento degli avvenimenti storici, influenzandoli con le loro immense ricchezze. Na-

poli era il centro di questi traffici essendo la capita-

le di un regno. Di recente, un romanzo che si svolge

in questa geografia tosco-napoletana-calabro- pa-

lermitana è l’affascinante Il mercante di zucchero

della romana Adriana Assini, edito nel 2011 da Scrittura & Scritture. È a Napoli che, secondo

Chiodo, “il Boccaccio nacque intellettualmente” ed

è nel tessuto sociale della Napoli di quel tempo che il giovane scrittore di Certaldo si immerge con pas-

sione, quasi dimentico degli affari commerciali e

bancari per i quali nella città partenopea era giunto. Chiodo, a ragione, perciò, si sofferma parecchio su

Napoli prima di trattare specificatamente delle no-

velle siciliane: “tutto ciò che è stato detto fin qui mi pare che sia necessario e importante per compren-

derle meglio”, scrive.

Ugo Piscopo, in Boccaccio e Napoli, La bella ci-ciliana, pone l’accento sulla vita di Boccaccio che,

stando ai fatti, non fu così idillica come tanta critica

e biografia agiografica ha voluto evidenziare nel corso dei secoli. Il critico scava nelle relazioni tra il

ragazzo Giovanni Boccaccio e la famiglia, la madre

del tutto sconosciuta, il padre che lo voleva mercan-

te o ecclesiastico o studioso di diritto, il fratellino

Francesco: “Con questo fratellino più piccolo e più nella norma, dovette essere allevato anche Giovan-

ni - scrive Piscopo -, ovviamente nella casa pater-

na. Della sua madre naturale, egli non saprà più niente. Perciò, nel recuperarne la figura, da auto-

re, cioè da utente e inventore di racconti, la riscatta

sollevandola in quelle atmosfere parigine romanze-sche”. Le storie che egli inventa, afferma il critico,

“tradiscono la verità (...) che nelle profondità na-

sconde segreti di come macerare e metabolizzare veleni, per restituirli alla vita come contributi alla

speranza, alla gioia, alla sorpresa”. L’allegria delle

novelle decameroniane, insomma, non è altro che il tentativo di ribaltare e dimenticare una esistenza

che ha avuto tante tristezze e traversie; “per studia-

re come vuole e quello che vuole lui, deve muoversi dapprima su un crinale di conflitti e deve in ultimo

decidersi allo strappo definitivo” dai legacci pater-

ni. Il saggio di Piscopo, tra quelli presenti nel libro, è il più accattivante e il più penetrante dal punto di

vista psicologico.

Seguono i saggi di Nicolò Mineao: Lisabetta da

Messina e la quarta giornata del “Decameron”;

quello di Lilith Meier: La novella di Salabaetto e Iancofiore (Decameron VIII, 10). Variazioni lingui-

stiche e stilistiche tra le due redazioni del Decame-

ron di Boccaccio; di Anna Cerbo: Storia, geografia e miti siciliani nelle opere latine di Boccaccio (an-

che lei accenna alle “amenità naturali della Trina-

cria, che Boccaccio, forse, non ha mai conosciuto direttamente”); di Alessandra Tramontana: La Sici-

lia nel De montibus di Boccaccio (che conferma

punti già indicati da altri: “Della Sicilia, in partico-

lare, Boccaccio non aveva una conoscenza diretta

come per la Campania o la Toscana, ma tuttavia

già negli anni giovanili Napoli doveva costituire per lui una prospettiva di osservazione invidiabile,

soprattutto in virtù dei vivaci scambi commerciali

che la città angioina era solita intrattenere con i maggiori porti dell’isola”); di Emilia Cavallaro: Le

donne dei miti siciliani: Scilla, Galatea, Aretusa e

Cerere nel recupero mitografico del Boccaccio; di Federica Rando: Figure femminili nelle novelle si-

ciliane dal “Decameron” agli “Ecatommiti”; e

chiude Giuseppe Manitta: La Sicilia del Filocolo: implicazioni dantesche e variaziones classiche.

Tutti questi saggi hanno ciascuno particolare im-

portanza e non andrebbero elencati così sbrigativa-mente come noi abbiam fatto per uno spazio sem-

pre tiranno. Manitta, tra l’altro, precisa che “In am-

bedue i luoghi (Filocolo e Comedia) la Sicilia as-sume il punto d’incontro tra la geografia realistica

del viaggio e quella mitica, dati e continui riferi-

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POMEZIA-NOTIZIE Giugno 2016 Pag. 37

menti all’epos e al bagaglio classico” e conclude

che “Il riferimento alla storia di Sicilia, così come

le descrizioni geografico-mitologiche e quelle pret-tamente mitiche, conferma l’idea che nel Filocolo

l’isola abbia una presenza pressoché letteraria...” .

Domenico Defelice

JOSÉ SARAMAGO

IL VIAGGIO DELL’ELEFANTE

Feltrinelli, ottobre 2015, pag. 201, € 8,50

Ci sono due passaggi di questo libro che voglio

usare come inizio, per descrivere in breve, parte di

questo viaggio di Salomone l’elefante, un dono tra regnanti molto particolare. Perché l’istinto alla

scrittura scintilla a volte da un particolare insolito,

in questo romanzo Josè Saramago è un maestro nel prendere a prestito un evento mutandolo, investen-

dolo di letteratura ed è stata gioia immensa, per me,

che l’ho letto tutto di un fiato. “ Stanchi dopo una camminata cosi lunga, siamo

arrivati a Innsbruck in una data segnalata nel calen-

dario cattolico, il giorno dell’epifania, correndo l’

anno del mille e cinquecento cinquantadue” pag.

193. Sta per entrare nella città di Vienna la massima

espressione dell’autorità pubblica: l’Arciduca Mas-

similiano secondo d’Austria. “All’improvviso, una bambina sui cinque anni, che l’età fosse questa lo si

seppe in seguito, la quale assisteva con i genitori al

passaggio del corteo….” pag. 197. Josè Saramago prende spunto da un episodio sto-

rico, come lui stesso afferma nella prima pagina di

prefazione del romanzo: “Mi fu detto che si trattava

del viaggio di un elefante che nel XVI secolo, pre-

cisamente nel 1551, sotto il re Don Joao III fu por-

tato da Lisbona a Vienna dono del Re portoghese all’Arciduca Massimiliano secondo d’Austria”.

Una miscela condita di metafora di vita attraverso

la storicità di un periodo e la disamina di leggi e co-stumi raccolti lungo la strada . Esposizione di in-

contri bislacchi conditi di ironia, una fantasiosa es-

senza favolistica e scorre velocemente la lettura di questo scritto. Josè Saramago condisce di particola-

ri e specifiche di riflessione ogni singola sosta della

carovana. Citazione importante di questo romanzo

è la Controriforma sull’editto di Lutero. Traccia

due figure di sacerdoti, uno che esorcizza la presen-

za del quadrupede pachiderma, l’altro che invoca il miracolo davanti alla Basilica di Sant’Antonio da

Padova. “Il reverendo continuava il suo lavoro e, a

poco a poco, si avvicinava all’altra estremità dell’ animale, movimento che coincise con l’ accelera-

zione delle preghiere del cornac al dio ganesha e

con la subitanea scoperta, da parte del comandante,

che le parole e i gesti che il prete stava facendo ap-

partenevano al manuale dell’esorcismo, come se il povero elefante potesse essere posseduto da qual-

che demonio” Per poi allontanarsi in un narrazione

che cammina sulle ali della fantasia mentre si illu-mina la maestosa presenza del culto di Ganesha, l’

elefante indiano di nome Salomone che insieme al

suo fedele cornac di nome Subhro attraversano mezza Europa: da Lisbona a Vienna. Per terre fred-

de e desolate persino su un’imbarcazione solcano i

mari per raggiungere Genova. Attraversano valichi e frontiere, mari e terre per arrivare trionfanti nel

corteo di benvenuto alla nuova destinazione e di-

mora con l’incontro ravvicinato di una bambina, che si stacca dal corteo e, le corre davanti tra lo

spavento e l’incredulità della folla.

Tutta la leggerezza di una lunga riflessione graf-fiante di analisi storico, politica e di potere: nel

viaggio dell’elefante.

Salomone muore due anni dopo il suo arrivo a Vienna.

Filomena Iovinella

CLAUDIA TRIMARCHI

LA FUNZIONE CATARTICA

E RIGENERATRICE DELLA POESIA

IN DOMENICO DEFELICE

Il Convivio Editore, 2016 - Pagg. 134, e 13,00

Non ho letto tutte le opere di Domenico Defelice

(solo qualcuna, me ne rammarico), ma ho avuto modo di conoscere, e ammirare, il Direttore di

“Pomezia-Notizie” attraverso tale Rivista mensile

alla quale sono abbonata da circa dieci anni. Il Pe-riodico, di cui Defelice, coadiuvato dai familiari

nella sua realizzazione, è anche editore, è puntuale ed efficiente e racchiude, nella sua veste modesta,

firme eccellenti e contenuti ricchi, consistenti, “so-

stanziosi”. Non trascura, inoltre, e non delude, le aspettative degli abbonati i quali possono vedere

pubblicato, ogni volta, il materiale da essi inviato.

Defelice è una persona seria, umile e schietta, colta, pulita dentro.

Nel suo sapere, che si dirama in molteplici dire-

zioni, si concentrano prosa e poesia, arte, critica,

tendenza alla solidarietà nei confronti dell’umanità

trascurata e calpestata, ostinazione e perseveranza

nello smascherare truffe e sotterfugi di politici di-sonesti, falsi e arrivisti. Nei suoi scritti prevalgono

realismo, autobiografismo, riscoperta della tradi-

zione. Tutto quanto suddetto, ed altro ancora, è ben deli-

neato da Claudia Trimarchi nella sua tesi di laurea

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POMEZIA-NOTIZIE Giugno 2016 Pag. 38

“La funzione catartica e rigeneratrice della Poesia in

Domenico Defelice”. La neolaureata, con uno scru-

poloso lavoro di studio e ricerca, ha svolto un’attenta disamina su quanto riguarda l’iter culturale del No-

stro, la produzione della sua “Opera omnia” e, so-

prattutto, la sua Poesia intesa come funzione purifica-trice e rasserenante, salvifica, come rinnovarsi del

mondo interiore nella sua integrità.

Perché la Poesia in particolare? <<Perché – la Trimarchi puntualizza – la Poesia è costantemente

presente nell’opera dello scrittore, perché da tutto il

suo vasto universo culturale emerge l’autentico e sconfinato amore per la Poesia>>. Tra le opere pre-

se in esame, ella s’è avvalsa del volume “L’orto del

poeta”, <<…una sorta di “hortus conclusus” nel quale gran parte delle opere affonda le radici ideo-

logiche>>.

L’impianto strutturale del saggio si compone di quattro capitoli. Nel primo sono definiti i tratti sa-

lienti della figura umana e letteraria di Defelice e vi

sono introdotti gli elementi utili per la comprensio-ne della sua poetica: <<La vita e l’Opera dell’ auto-

re sono inscindibili; il vissuto esperenziale ispira l’

Opera e l’Opera lo restituisce alla vita rischiarato da

una luce nuova>>. Ecco così spiegato il significato

del titolo del libro, ossia della duplice funzione del-la Poesia: <<Quella catartica in quanto libera dalla

mediocrità e dalle inconcruenze dell’umana esi-

stenza, quella rigeneratrice poiché, lasciando intra-vedere realtà altre, oltre la pura fenomenica, edifica

uno “spazio” nuovo in cui è possibile riscattare la

pena di vivere in ben altre infinite possibilità di vi-ta>>. Nel secondo e terzo capitolo viene effettuata

una comparazione cronologica delle sole opere

poetiche, dalle giovanili alla più recenti. Nell’ ulti-

mo capitolo viene confrontato Defelice poeta a De-

felice saggista.

L’autrice spiega il motivo per cui ha riportato spesso versi del poeta: per <<impreziosire la sua

trattazione>>, <<come fossero, tali, tante piccole

gemme incastonate nel discorso>> (Bello il para-gone! Fa pensare ad una corona regale, al diadema

della regina delle fate ricoperta di pietre preziose

che brillano, che abbagliano la vista). Condividia-mo tutti la giusta opinione che la Trimarchi ha per

Defelice: se un giudizio è unanime, la verità non

può essere messa in dubbio.

Non dimentica, la nostra saggista, la “questione

meridionale” che tanto ha interessato Defelice.

Questi soffre di nostalgia per la sua terra. Spesso fa riferimento alla sua Calabria, ne descrive la natura

selvaggia e primitiva, la povertà e i disagi degli abi-

tanti; racconta di sé, della sua infanzia, dei sacrifici affrontati e dei pericoli corsi nel periodo della se-

conda guerra mondiale: <<Sud è arretratezza, mise-

ria, sfruttamento, persecuzione, abbandono>>. Do-

ve ricercare le cause dell’ingiustizia sociale? Nelle

ataviche organizzazioni mafiose in simbiosi col po-tere politico-amministrativo, ma anche giuridico,

economico, ecclesiastico (Sembra di leggere i libri

di Leonardo Selvaggi: anche questi rimpiange, dal-la fredda e caotica Torino, la sua Lucania mentre ne

descrive, con le bellezze autentiche del paesaggio,

la miseria della popolazione e i soprusi di chi detie-ne il potere).

Nell’ultimo capitolo del testo la Trimarchi espone

parallelismi tra l’opera di Gazzetti, Scutellà, Mallai – il pensiero dei quali è in sintonia con quello di

Defelice – e l’opera di questi e, quasi “dulcis in

fundo”, ci parla dell’ ”orto-giardino” del Nostro- una specie di eden che riporta, ripeto, all’ ” Hortus

conclusus” medievale - , un “locus amoenus” che

ospita poeti e artisti, amici cari al poeta, i quali hanno fatto della Poesia “pane di vita”; in esso si

gode della possibilità di <<rinserrarsi disgustati dal

frastuono della città e si permette alla mente di ine-briarsi nel “lavacro di verde e profumi” >>.

Un plauso alla dottoressa Claudia. Il suo saggio

rappresenta un’ottima guida per chi non conosce

ancora Defelice, un incentivo a leggerne le opere

per rendersi conto di quanto vasta sia la cultura del Nostro, quanto profondo il suo pensiero e quanto

veritiere e stimolanti siano le sue affermazioni.

Antonia Izzi Rufo

TITO CAUCHI

MICHELE FRENNA NELLA SICILIANITÀ

DEI MOSAICI EdiAccademia, Isernia 2014, Pagg. 192, a cura di

Gabriella Frenna, e. f. c.

Michele Frenna: un artista umano oltre

l’esistenziale. Tito Cauchi esplora amabilmente la

complessa matassa dell’opera musiva, in questo li-

bro Michele Frenna nella sicilianità dei mosaici con l’aiuto della figlia, Gabriella Frenna, cercando

nella “Sicilianità” il motivo conduttore che acco-

muna critico e autore. “Sicilianità come paradigma della cultura mediterranea, poiché Michele Fren-

na, moderno nauta dello spirito approda sempre

alla sua Sicilia” (T.C. pag. 10). Lo stesso Cauchi

avverte “Adesso non intendo commemorare la mor-

te del Maestro, né celebrare la sua grandezza, per-

ché a farlo sono le sue opere musive” (idem). Il volume si sviluppa seguendo l’iter artistico

esposto da critici di indubbio valore come lo scrit-

tore A. Angelone, G. Maggi, V. Rossi, C. Manzi, G. Frenna, D. Defelice, L. Selvaggi, O. Tanelli ed

altri con le aggiunte esemplari commentate dallo

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stesso Cauchi. Nel Cap. IV dedicato a “Umanità

espressiva estetica”, Cauchi commenta: “I mosaici

di Michele Frenna, libro di Carmine Manzi volto a scoprire e a rilevare l’Umanità espressiva dell’

Uomo che si fa tutt’uno con la propria arte” (pag.

49). Lo scopo dell’Artista è quello di fondere in una cosa sola “esperienza umana e esperienza religiosa”

in una pittura come “relazione con gli uomini” vol-

ta alla riscoperta del quotidiano, come specchio del rapporto con Dio. Tesa, quindi, ad una spiritualità

non esistenziale (di stampo sartriano) ma umana di

riconciliazione con il Divino, verso la ricomposi-zione della frattura originale, verso la luce e la bel-

lezza che l’uomo scopre nella vita.

Queste “epifanie luminose” sono date anche dalla “nostalgia” verso la propria terra, verso le origini, le

“cose buone di un tempo”, difficili oggi da trovare,

ma comunque presenti come “forme latenti” di una sicilianità archetipa. Negli stilemi adottati vi è l’

ampia apertura filosofica e ontologica dove le te-

matiche, anche, di natura sociale sono svolte sem-pre, in una “linearità pittorica” non comune. La sfe-

ra naturale e culturale sono unite nell’incontro con

il quotidiano. È una chiarezza che deriva dalla co-

noscenza del classico, dalla bellezza immediata che

solo l’arte musiva, oggi, può ricreare. Pittore dotato di particolari antenne rabdomantiche con cui espli-

citare spiritualmente momenti di vita, dove l’umano

viene colto e introdotto nella sua relazione con gli altri, evitando il radicalismo ermetico per un’ im-

mediatezza espressiva.

La pienezza della terra e la pienezza dell’uomo, tutto è ricondotto alla natura dello spirito, nel cui

seno si trova sicurezza e felicità. La chiarezza strut-

turale delle forme, ritorna in molte opere del Fren-

na, rivolta all’uomo immerso nella sua storia e nella

rappresentazione idilliaca naturale, di una Sicilia

incontaminata. “Tanelli impernia il suo discorso in-torno al trans-espressionismo tanto del linguaggio,

tanto della tecnica, facendone derivare un surreali-

smo moderato ‘in quanto egli parte dal particolare per raggiungere valori escatologici, spirituali e

metafisici’…” (pag. 72).

Il linguaggio evolve attraverso l’uso delle croma-ture mediante colori forti ed impulsivi con cui

Frenna propone una visione della condizione uma-

na in modo assorto: ma la sintesi operata dell’ Arti-

sta non deve essere intesa come stile eclettico:

Frenna crede nell’onnipotenza del sogno come ci

credevano i surrealisti (citati Breton, Aragon, Apol-linaire, Artaud, Char, Desnos, Eluard, Duchamp,

Ernst, Mirò, Dalì, Picasso). E così Tanelli spiega

come la sua tecnica è dettata dalla fantasia e dalla ragione senza scomporre e ricomporre la stessa

realtà dalla quale egli era partito. Credo che il libro

di Orazio Tanelli “Sintesi dell’antico e del moderno

nei mosaici di M. Frenna” (e mirabilmente com-

mentato da Cauchi) sia quello più esatto per deli-neare questa arte volta all’essenziale oltre l’ esi-

stenziale.

Fantasie e ragione che non scompongono la realtà e fanno quel giusto connubio in cui si realizza l’

umano, oltre l’esistenziale apocalittico di un Pol-

lock. Frenna supera il surrealismo e l’ espressioni-smo, dove l’esistenza è espressa nella sua “sartriana

angoscia”, recuperando quegli stilemi (la visione

dell’Antico, della Natura, la Sicilia, l’Uomo, ecc.) che servono a ridefinire, riqualificando un’arte nella

sua più profonda pienezza spirituale, un’arte che ha

ancora molto da dire sulla chiarezza delle forme e sul rapporto con il Divino.

Susanna Pelizza

TASTIERE

Con le dita use al piano simulavi

sul mio petto le note

di una sonata allegra, forse un minuetto,

l’accompagnavi col canto un poco roco

come venisse da un segreto loco

del tuo corpo perfetto.

Le tue dita percorrevano sapienti

l’insolita tastiera, increspava la pelle

quasi un brivido, una brezza leggera. Nella

stanza

era Cupido che guidava la danza.

La sonata incantata

intrecciava i suoi temi

secondo collaudati schemi.

No, non vi fu la musicale conclusione.

Qualcosa, un sospiro?

cambiò l’esecuzione.

Guido Zavanone

L’AUTUNNO

Ammiro

i biondi capelli fioriti

della giovane primavera

e pure i capelli argentati

dell’inverno operoso o quelli

color grano e papaveri

della splendente estate.

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Mi commuove l’autunno malato,

coi radi capelli un po’ scoloriti,

che m’ha imprestato.

Guido Zavanone Genova

AL MIO CREATORE

Sei Tu che mi hai donato

tutto quello che ho

e tutto quello

che ho avuto nel passato.

Tu mi hai donato la vita,

la salute, la famiglia,

i genitori e gli amici,

l’intelletto e la casa

e tutte le cose

che essa contiene.

Ed io che amo tanto

le persone e un po’ anche le cose

che Tu mi hai donato,

quanto più dovrei amare Te,

che dopo averle create

tutte me le hai donate?

Mariagina Bonciani Milano

DUE MARGHERITE

a Veronica e Alessia

Comparvero nel prato due margherite.

Piantate, teneri splendori, radici forti nella

terra bruna;

non vi spaventi mai il rumore dei rastrelli,

traete forza anche dal letame.

Guardate verso il cielo come riprendono colore

le vecchie querce provate dall’inverno:

sanno che ciò che è accaduto può riaccadere,

la vita è sempre nuova anche se già vissuta.

Rallegrate di colore il mondo

vasto come quello che s’ impara.

Non confondete il silenzio della primavera

con quello dell’autunno, quando il vento

abbatte gli aquiloni e non lascia traccia. Fa-

tevi abbagliare

sempre, dall’eccesso di luce che vi inonderà.

Salvatore D’Ambrosio Caserta

ANDARMENE, VAGANDO

Quante volte sono restata

e con me il cuore

dentro un mare tempestoso

in una stazione di via vai

ferma ad aspettare

nella hall di un albergo

incartata dentro un involucro

protetta mi teneva

ad asciugarmi di cotanto mare

mi pareva persino di vivere

mi pareva persino di camminare

pur restando immobile

fino ad un lieto giorno

una porta ho aperto

dietro una tenda bianca, un suono.

Ho intravisto il cielo

ho ascoltato strimpellare la natura

credevo di essere ancora fissa

invece stavo andando.

Nell’incedere i miei passi, movimento

che viandante nel mistero incerto,

scandendo la dimensione

dello statico ed apparente

si muoveva in me, l’amore

quasi a condurmi

lungo i bordi dell’incosciente vagare

quei passi incerti

raccontavano nuovamente di me.

Smania di ritorno alla vita.

Filomena Iovinella Torino

È TORNATA

È tornata tra noi senza preavviso

l’amica che da anni ci ha lasciati,

inseguendo percorsi sconosciuti

in regioni di tenebra. Il suo volto

era quello di sempre, ma la voce

afona, non diceva le parole

che noi ci sforzavamo di carpire

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da labbra che un miraggio rese mute,

smarrite in labirinti senza suono.

In un attimo abbiamo rivissuto

stagioni ormai remote. Ed eravamo

stati felici. Abbiamo ripercorse

le note strade. Poi è volata via,

così com’era giunta. Gioia e dolore

combattevano in noi come una volta.

Legati ci teneva la sepolta

rispondenza del cuore.

Elio Andriuoli

Napoli

A GIANNI RESCIGNO

In devota memoria

(13 maggio 2015 – 13 maggio 2016)

Ora tu sosti lieto a rimirare

le amate rive e il mare tuo lontano

e verdazzurre curve di colline

e cirri enormi di nuvole chiare…

Nel manto del cielo che volge al turchino

lieto sorridi ed intanto ti aggrappi

a un esile spicchio di luna.

Intorno si aggira un groviglio di voli

trina preziosa di fili di seta

ordito di candida piuma.

In cerchio han preso posto i cherubini

con liuti e flauti, con arpe e con violini,

nei loro occhi splende un dolce riso:

fanno concerto, intonano i tuoi canti

mentre ascolta in silenzio il Paradiso.

Marina Caracciolo Torino

LUMINO ACCESO SEI TU

Appena

una tenue luce

Tu sei

eppure

ad essa mi aggrappo

con tutte

le forze che ho

mio Dio

Giovanna Maria Muzzu

DIO

Alito di vento

che profuma d’amore.

Giovanna Maria Muzzu Telti

PRIMO MAGGIO,

FESTA DEL LAVORO

LAVORO POETA È FATTO!

Saluto i lavoratori agricoli,

astronauti, professori, scrittori,

musicisti, medici,

pittori, lavoratori edili,

babysitter, spazzini,

lavoratori delle poste e postini,

le persone che prendono la spazzatura

e quelli che portano il latte.

Saluto gli artisti sul palco e sullo schermo,

i lavoratori di computer, gli scienziati,

commercializzazione e scambi di lavoratori,

custodi di casa, politici,

spazzini, infermieri,

istruttori sportivi.

Saluto tutti i tipi di lavoratori,

perché dipendiamo

del lavoro di ogni altro.

Auguri felice FESTA DEI LAVORATORI,

Primo maggio 2016.

Teresinka Pereira Traduzione Giovanna Li Volti Guzzardi

E LE ORE…

La sabbia dei miei ricordi

gocciolava lenta

nella clessidra del tempo

e le ore galoppavano veloci

negli anni infiocchettati

di giovinezza,

quando la mente

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viveva tra le nuvole

e il cuore non conosceva

la tristezza.

Ora,

le ore galoppano ancora,

ma gli anni

sono infiocchettati di grigio,

si rischia di dar fastidio

e la solitudine

pesa più d'un macigno,

per chi tiene la mente

chiusa in uno scrigno.

La solitudine

è la mia più grande amica,

galoppiamo insieme

a tutte le ore,

mandiamo il tempo

che corre come il vento

a cercar di farci compagnia

inventando giochi

che ci tengono in armonia

e la tristezza

non è mai entrata

in camera mia.

Cav. Giovanna Li Volti Guzzardi Accademia Letteraria Italo-Australiana Scrittori

(A.L.I.A.S.)

ALTERNANZE

Tripudio di verdi distese,

d’alberi in fiore

nella luce tersa.

Ebbra di bellezza,

oggi appartengo alla terra:

sono seme pulsante di vita,

groviglio di radici

in cerca di umori,

ramo proteso alla luce,

offerta di frutti.

In altre occasioni, invece,

avrò di nuovo ali

per immaginarie fughe,

per aneliti d’altezze.

Caterina Felici Pesaro

MOSAICO

(Sonetto acrostico, contro la guerra)

Trema la terra in ogni sua parte

Rumori inquieti di anime mosse

Atti determinati da cose tese

Niente giustifica l’odio e la morte

Ogni ora passa produce scosse

Invano le mani cercano salvezza

Solo ghiaccio trovano, la brezza

Odo voci che piangono sommesse

Lamento la loro dura tristezza

Ordinano tregua al Dio che le uccide

Periscono inermi, tra la mondezza

Allora al mondo si chiede la pace

Colori veri che l’amicizia incide

E circoli d’amore dall’inferno che tace.

Susanna Pelizza Roma

D. Defelice: Il microfono (1960)

NOTIZIE NUOVA COLLABORATRICE - Susanna PE-

LIZZA di Palma è nata a Roma - dove è residente

- il 24 novembre 1961.Ha una laurea in lettere mo-derne e insegna come supplente presso istituti stata-

li. Nel 1986 vince a Stresa dalla casa editrice “La

stanza letteraria” un diploma di segnalazione d’ onore come poetessa con la raccolta “Distrazioni”.

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POMEZIA-NOTIZIE Giugno 2016 Pag. 43

Di guto tipicamente intriso di manierismo, alcuni

testi che riprendono i paradigmi della tradizione

classica escono nel 1997 su due riviste romane, Nuova Impronta e Orizzonti. Sempre nello stesso

anno arrivano nella rosa dei finalisti al premio Ot-

tavio Nipoti (Ferrere Erbognone, Pavia) e vengono pubblicati nella antologia edita dal Club degli Auto-

ri. Nel 1998 vince due concorsi letterari: VI pre-

mio internazionale Penna d’Autore d’Oro, Torino, e Habere Artem (Orizzonti, Roma): alcune poesie

vengono raccolte nelle rispettive antologie. In

quell’anno il racconto “Il mare” riceve un diploma di partecipazione al concorso “Gerenzano incontra

la cultura” (Biblioteca comunale di Gerenzano,

Varese). Ha scritto anche testi teatrali, sceneggia-ture per cortometraggi e due opere di narrativa: “I

racconti” e “Tra le rovine romane”. Attualmente

collabora con le riviste: Le Muse, Il Cenacolo dei poeti, L’Attualità, Nuova Impronta, La Nuova

Tribuna Letteraria.

***

EDIO FELICE SCHIAVONE CI HA LA-

SCIATO - Il poeta e scrittore Edio Felice

SCHAVONE è morto il 19 febbraio 2016. Era na-to a Torremaggiore (FG) il 30 agosto del 1927.

Già primario pediatra ospedaliero, risiedeva a San-

to Spirito, Bari. Tra le sue innumerevoli pubblica-zioni, ricordiamo: “La morte non ha la smorfia del

teschio” (1961), “Io e il mio Sud/Prima Parte”

(1987), “Io e il mio Sud/Seconda Parte” (1990), “L’

uomo questo mistero” (1993), “L’ultima sera di

carnevale” (Poesie tradotte in serbo-croato da Dra-gan Mraovic,1996), “Senza l’uomo” (1997), “Quasi

un diario/Parte Prima” (2000). Presente in Antolo-

gie e Storie letterarie: “Chi scrive” (1962), “Golfo gruppo 1989” (1990), “Poesia Italiana del Nove-

cento” (1992), “Poesia-nonpoesia-anti poesia del

‘900 italiano” (1992), “Storia della Letteratura Ita-liana del 2° ‘900” (1993), “Scrittori del tempo”

(1994), “La poesia in Puglia” (1994), “L’altro No-

vecento nella poesia italiana” (vol. 1° - 3° - 5°, 1995), “Poeti e muse” (vol. 4° - 5° - 6°, 1996),

“Amore e fedeltà alla parola” (vol. 2°, 1996), “Ras-

segna della poesia pugliese contemporanea” (1997), “L’erbosa riva” (1998), “Poeti e scrittori

contemporanei allo specchio” (1999), “Storia della

Letteratura Italiana del XX secolo” (1999) eccetera. Ecco due delle sue poesie:

L’UOMO E LA MORTE

Ambire i novant’anni

ed oltre. Sono tanti, sono pochi?

Morbosità dell’istante!...

Con il malanno si teme la morte,

con gli anni la si odia, rassegnati. Forse per la mania di cancellare

chiaro chiaro anche il buio;

avere ognuno una sorta di scheda e apporre sull’ardesia nuova nuova

con calligrafia varia

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POMEZIA-NOTIZIE Giugno 2016 Pag. 44

la scrittura della vita.

LA MIA TERRA SANTA

Giugno 2002

Una terra di pace dove ognuno cammini

nel tempo, nello spazio

con metro proprio, con occhio ridente all’altro, a chiunque e con le dita in alto

nel saluto di ciao.

Una terra di pace dove nessuna mamma

accarezzi la bara della propria

figlia uccisa... Laddove ognuno preghi il Dio

che vuole, vero e grande.

Una terra di pace dal cielo chiaro, libero

di martiri, di vergini...

Edio Felice Schiavone

Le nostre condoglianze alla famiglia intera, alla

moglie e al figlio, nonché alla figlia Lucia Schia-

vone - Artista, Dottoressa in Beni Culturali, specia-

lista con qualifiche in Restauro e Sculture Lignee

Policrome, Restauro di Dipinti Murali, Perfezionata in Diagnostica dei Beni Culturali su Materiali Ce-

ramici, Lapidei e Musivi.

*** PREMIATA IMPERIA TOGNACCI - VIII

Premio Internazionale di poesia Don Luigi Di Lie-

gro - Menzione speciale di merito Medaglia d’ ono-re a Imperia Tognacci per il libro “Là, dove piove-

va Ia manna”. Motivazione: La terra dove pioveva

la manna è quella di Giordania e il viaggio che Im-

peria Tognacci vi fa è un viaggio dello spirito, in-

timo e reale insieme, in simbiosi con il paesaggio e

la sua magia: le oasi, il deserto, la luce e il vento. Nel suo poema gli oggetti restano tali ma si carica-

no di una valenza mistica, di un valore assoluto, di

una identificazione simbiotica con la poetessa. I versi assumono un largo respiro, si nutrono di una

immensità panteistica nella quale dio si nasconde e,

insieme, si manifesta, ricordando a volte, per inten-sità lirica e comunione con la natura, quelli di Walt

Withman.

Il valore del poema sta proprio in questa capacità di

andare oltre l’immediatamente percepibile e aprire

spiragli mistici sul mistero e l’eterno,'senza abban-

donare però la concretezza del viaggio, la sensibili-tà verso l’umano dolore, l’attenzione al quotidiano.

(Renato Fiorito)

Il presidente della giuria

Manuel Cohen

Roma, 30 aprile 2016

***

METAMORFOSI MUSICALI - ROSELLA

FANELLI - Il Direttore prof. Enrico Pisa, che gui-da egregiamente da anni il Conservatorio 'A. Pe-

drollo' di Vicenza, Istituto di Alta Formazione Arti-

stica e Musicale, legato al Ministero dell'Università e della Ricerca, mi ha concesso agli inizi del suo

secondo mandato, circa due anni fa, un'importante

intervista, ancora inedita: il 20 aprile ha celebrato l' apertura del Forum Internazionale 2016 di EPARM

(European Platform of Artistic Research in Music),

con un evento definito 'Metamorfosi Musicali', nella splendida cornice del Teatro Olimpico, un in-

sieme di esecuzioni degli studenti del 'Pedrollo' che

portano la cifra della variabilità musicale nello spa-zio e nel tempo, in variazioni e trans-formazioni tra

suoni, timbri, interpretazioni di partiture ed im-

provvisazioni, in continuo cambiamento, in 'meta-morfosi', appunto. Riporto quanto indicato nella no-

ta di presentazione del Concerto: “Gli allievi del

'Pedrollo' presentano i risultati del loro lavoro didat-tico di confronto, assimilazione e risposta a questa

idea, stimolata dal desiderio di trasformazione e in-

novazione, come omaggio al tema della 'ricerca ar-

tistica musicale' indagato nelle giornate di lavoro in

EPARM... Il concerto diventa quindi un itinerario,

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POMEZIA-NOTIZIE Giugno 2016 Pag. 45

per gli allievi è stato prima di tutto un percorso di

studio, che ci accompagna attraverso una 'collezio-

ne' di brani ed ensemble diversi, offrendoci una ri-flessione in musica sull'elemento della creatività

nella performance: la creazione del fare musica che

scaturisce dall'interpretare gli autori, la creazione che attraverso l'improvvisazione prende forma dall'

esecuzione stessa....”.

A partire da questo percorso innovativo, sperimen-tale, artisticamente pregevole, che ha visto il con-

corso di figure importanti della istruzione musicale

italiana, europea ed internazionale, il 'Pedrollo' di Vicenza è stato aperto a studenti, visitatori, cittadini

tutti il giorno sabato 7 maggio 2016: è questa una

data da ricordare, per la contemporaneità di eventi nelle differenti dislocazioni degli spazi che lo carat-

terizzano, come la Sala Prove, acusticamente molto

interessante, la sala 'Marcella Pobbe', auditorium interno al Chiostro, l'Oratorio di San Domenico,

ambiente assai adatto a presentazioni corali, esibi-

zioni liriche e strumentali, con un prezioso organo restaurato recentemente. In questo spazio si sono

susseguite da mezzogiorno fino alla sera le esibi-

zioni degli allievi di Musica Vocale da camera,

Musica da camera, Fiati, clarinetti, Arpe, musiche

eseguite all'organo costruito da Andrea Zeni di Te-sero (Trento) ispirato agli strumenti costruiti da

Gottfried Silbermann. E poi ancora musiche per Fi-

sarmonica, un insieme di giovani agli Archi, Musi-ca da Camera, Archi, esibizioni per Mandolino, per

Chitarre, per Viole da gamba, mentre lungo il per-

corso del Chiostro è stata allestita una mostra stori-

ca sul complesso del San Domenico a cura degli

'Amici di Don Orione' di Vicenza. Nelle diverse Stanze della Musica in presentazione

le Scuole Suzuki, le percussioni l'arpa, la chitarra.

Quando ha avuto inizio il tramonto, nella Sala Pro-ve, la docente Rosella Fanelli, che guida il Diparti-

mento di Musica Indiana, ha accompagnato gli

spettatori dentro un viaggio immaginario, dal Nord al Sud dell'India, tra polifonie strumentali, danze e

ritmi rituali d'antichissima memoria: musica classi-

ca del Nord India, eseguita dall'ospite David Tra-soff, studioso di raga della musica classica indiana

e compositore californiano, al Sarod, con Federico

Sanesi al Tabla e Patrizia Saterini alla Tampura, mentre le esibizioni delle allieve della Docente Fa-

nelli hanno fatto contemplare la magia delle evoca-

zioni in preghiera, con gestualità e preziosi lin-guaggi delle mani, dei piedi, del corpo tutto, esal-

tanti il connubio con la vita, la natura, le divinità e

l'amore. Le danzatrici Shirly Cossettini, Valeria Vespaziani, e la giovane indiana Thusharani hanno

interpretato il percorso di Danza Katak del Nord

India. Nella presentazione del Concerto Rosella

Fanelli ricorda che questa antichissima danza parla

dell'India Sacra, dell'India di Shiva, di Vishnu, di Brahama: 'La prima coreografia sarà dedicata a

questo aspetto, all'aspetto spirituale, all'aspetto sa-

cro... la seconda coreografia presenterà una danza che ha un'origine islamica, perché nel Nord dell'In-

dia abbiamo delle influenze che ci arrivano stori-

camente dalle invasioni

Mogul del

Centro Asia...

Abbiamo de-

ciso di pre-

sentarla per la prima volta

al pubblico

perché l'occa-sione dell'O-

PEN DAY

del Conser-vatorio è un

momento

importante,

molto interat-

tivo... Il 'raga'

che accom-pagnerà la

danza avrà

inizio con delle note

molto pro-

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POMEZIA-NOTIZIE Giugno 2016 Pag. 46

fonde che introdurranno in un'atmosfera legata ap-

punto al tempio

Non vi voglio svelare tutto...Immaginiamo di stare in uno di quei templi in cui ci sono raffigurate que-

ste divinità.... L'invocazione è totalmente in sanscri-

to... Nella composizione dell'orchestra abbiamo Riccardo Meneghini, studente di tabla, Barbara Zo-

letto, docente di Canto Indiano, Angelo Sorato di-

plomato in flauto Bansuri ed io, Rosella Fanelli, che eseguirò la parte ritmica perché in questa danza

la recitazione ritmica è molto importante...”. La fa-

scinazione si addensa tra le varie percezioni che mettono in tensione corde profondissime, ancestra-

li, originarie della nostra identità collettiva nelle

differenti lstitudini ed anche la presentazione della Danza del Sud India, con alla guida Nuria Sala

Grau svela aspetti audaci di un misterioso collante

estatico tra i piedi nudi in danza ritmicamente acce-sa e la terra, che rimanda in eco il suo assenso. La

notte si chiude all'aperto, intorno alle volte del

Chiostro: Pietro Tònolo guida la Big Band in per-corsi che lavorano sull'improvvisazione e sul dialo-

go, sul vario lavorio del 'provare insieme' che riem-

pie di senso il tempo, trasformandolo in ritmo. Il

passato delle strutture architettoniche si fonde allora

con un presente in echi e ritmi Jazz, perché non ci siano confini all'immaginario creativo. Un ringra-

ziamento devoto, nel pensiero, al Maestro Gianni

Ricchizzi, che ha aperto, ancor prima di queste oc-

casioni ufficiali, nell'Auditorium 'Marcella Pobbe' il

percorso conoscitivo sull'antico strumento Vicitra

Vina, presentandone i riverberi in un concerto in-dimenticabile e mostrando il suo lavoro di sintesi,

primo in assoluto su questo strumento “108 Raga

Mala - Benares e la musica classica del Nord India” (ed. Artemide, pp. 240).

Ilia Pedrina

GOOD & WISE

If you are only good

someone will eat you !

But if you are wise too

someone will feed you !

However in some way

you will feed anyone

you that are good and wise

not against one's will or for love

but only because Everyone Is.

Se tu sei solo buono

qualcuno ti mangerà !

Ma se sei anche saggio

qualcuno ti nutrirà !

Comunque in qualche modo

tu nutrirai chiunque

tu che sei buono e saggio

non per forza o per amore

ma sol perché Ognuno È.

Michele Di Candia Inghilterra

AZIONARSI E VERBARE

*Passerò il passero

volando con le rondini

planando sopra gli alberi

con le foglie che fogliavano.

Il treno trenava

sfilando sotto i rami

saltando sugli scambi

con le rotaie che rotaiavano.

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POMEZIA-NOTIZIE Giugno 2016 Pag. 47

Il mare ammara

tuffandosi le onde

addosso e sulle coste.

Il cielo ciela

svelando dappertutto essendo

ogni cosa e niente.

Michele Di Candia Inghilterra

*Passerò: voce del verbo PASSERARE, passato

remoto, terza persona singolare (e non voce del verbo passare, futuro, prima persona singolare).

LIBRI RICEVUTI FORTUNATO ALOI - La difesa dell’Unità Na-

zionale per l’identità italiana - Luigi Pellegrini Editore, 2006 - Pagg. 64, € 10,00. Fortunato ALOI

(conosciuto come Natino Aloi), è stato per anni do-

cente nei vari licei della Città di Reggio Calabria. Sin da giovanissimo ha operato nel mondo della

politica, da quella universitaria alla realtà degli Enti

locali. Ha percorso un lungo itinerario: da consi-gliere comunale nella sua Città ed in altri centri del-

la provincia (Locri) a consigliere provinciale, da

consigliere regionale a deputato. Come parlamenta-re (per quattro legislature) ha affrontato temi di di-

verso genere ed in particolare si è occupato, con

grande impegno, di scuola, cultura e di Mezzogior-no. Ha ricoperto l’ alta carica di Sottosegretario alla

P. I.. E’ stato coordinatore regionale della Destra

calabrese, ed anche Segretario per la Calabria del Sindacato Nazionale (CISNAL). Presidente dell’

Istituto Studi Gentiliani per la Calabria e la Luca-

nia, è componente la Direzione nazionale del Sin-dacato Libero Scrittori Italiani. Giornalista pubbli-

cista, collabora a diversi giornali ed è attualmente direttore del periodico “Nuovo Domani Sud”. Au-

tore di numerose pubblicazioni di storia, pedagogia,

saggistica, politica e narrativa. Ha ottenuto ricono-scimenti di valore scientifico come il “Premio Ca-

labria per la narrativa” (1990) per il volume “S. Ca-

terina, il mio rione” (Ed. Falzea); il Premio lettera-rio “Nazzareno” (Roma) 1983 per l’ opera “I Guer-

rieri di Riace” (Ed. Magalini) ed il Premio “Vanvi-

telli” per la saggistica storica (1995) per il volume “Reggio Calabria oltre la rivolta” (Ed. Il Coscile)

ed il Premio Internazionale “Il Bergamotto” (2004).

Altri suoi lavori: “La Questione Meridionale: radi-ci, inadempienze e speranze” (1985), “Cultura sen-

za egemonia (Per un umanesimo umano)” (1997),

Giovanni Gentile ed attualità dell’attualismo”

(2004), “Tra gli scogli dell’Io” (2004), “<Neutrali-smo> cattolico e socialista di fronte all’intervento

dell’Italia nella 1a guerra mondiale” (2007), “Ri-

flessioni politico-morali e attualità dei valori cri-stiani” (2008), “Piccolo Taccuino di Viaggio”

(2009), “La Chiesa e la Rivolta di Reggio” (2009),

“Vox clamantis... Come può morire una democra-zia” (2014).

**

OCÉLYNE - Le coeur en bandoulière - Poesie, il-lustrazioni di copertina e all’interno (ben 30 lumi-

nose e poetiche tavole) della stessa Autrice - Edi-

zioni Hippocrène (collezione “Calliopé”), 2015 - Pagg. 128, € 15. OCÉLYANE (Éliane CHARA-

BOT) è nata il 5 gennaio 1950 a Marsiglia. Ha vis-

suto a Parigi fino ai vent’anni, poi in Spagna (1970 - 1984) e, dopo il 1984, nel Lussemburgo, a Schen-

gen. Baccalauréat a 17 anni (1967) e poi altri studi:

Diploma Universitario di Studi Letterari (1970), Diploma di professore di francese (Scuola Ufficiale

di Lingua a Madrid), Diploma spagnolo di Pueri-

cultrice di Giardino d’infanzia. Ha insegnato fran-

cese e spagnolo, in Spagna e nel Lussemburgo. Ha

ottenuto numerosissimi premi letterari e ha pubbli-cato: “Les fleurs de mon jardin” (edito nel 2012,

2013 e 2014).

** GIUSEPPE MANITTA - Giacomo Leopardi per-

corsi critici e bibliografici (2004 - 2008) Con ap-

pendice (2009 - 2012) - In copertina: “Giacomo Leopardi”, incisione di Ambrogio Centenari - Ed. Il

Convivio, 2015 - Pagg. CLXIV + 294, € 35,00.

Giuseppe MANITTA è il direttore editoriale de Il

Convivio Editore e caporedattore della rivista “Il

Convivio” e “Cultura e prospettive”. Per la prosa,

ha pubblicato alcune antologie per la casa editrice Mursia del Gruppo Mondadori. Come critico, molti

studi si sono rivolti all’italianistica, settore nel qua-

le ha coordinato equipe universitarie su Boccaccio e su Carducci. Ha tenuto convegni in università ita-

liane e in diverse università dell’Est dell’Europa.

Su Leopardi ha pubblicato due volumi di storia del-la critica e bibliografia. Grazie a questi studi colla-

bora a La rassegna della letteratura italiana (Uni-

versità di Firenze-Accademia della Crusca) e cura

la sezione di storia della critica e bibliografia leo-

pardiane del Centro Leopardi dell’Università La

Sapienza di Roma.

**

GIUSEPPE MANITTA (a cura di) - Boccaccio e la

Sicilia. Interventi di E. Cavallaro, A. Cerbo, C.

Chiodo, G. Manitta, L. Meier, N. Mineo, U. Pi-

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POMEZIA-NOTIZIE Giugno 2016 Pag. 48

scopo, F. Rando, A. Tramontana, S. Villari - In

copertina, “Giovanni Boccaccio”, incisione (1822)

di R. Morghen - V. Gorzini - Ed. Il Convivio, 2015 - Pagg. 344, € 25,00.

**

CLAUDIA TRIMARCHI - La funzione catartica

e rigeneratrice della poesia in Domenico Defelice - Prefazione di Giuseppe Manitta; in copertina,

“Domenico Defelice davanti a un suo dipinto del 1967”, immagine frutto di una casuale sovrapposi-

zione di scatti effettuati con fotocamera analogica”

- Il Convivio Editore, 2016 - Pagg. 134, € 13,00. Claudia TRIMARCHI è nata a Roma il 26 febbraio

1983. Vive a Frascati (Roma) dove ha compiuto

studi classici diplomandosi nel luglio del 2002. Presso l’Università degli Studi di Roma Tor Verga-

ta, nel dicembre 2015, ha conseguito la laurea in

Letteratura Italiana Moderna e Contemporanea con la tesi oggetto del presente volume.

**

SALVATORE D’AMBROSIO - Dieci x Dieci Sil-

labe incise a fuoco sulla pietra - Nota critica di

Mons. Raffaele Nogaro - In copertina, foto del

Mosè dell’Autore - Brignoli Edizioni, 2016 - Pagg.

32, € 9,00. Salvatore D’ AMBROSIO - poeta, scrit-

tore, giornalista, pittore - è nato a Napoli nel 1946, ma vive e lavora a Caserta. Dopo gli studi tecnici,

si iscrive ad Economia. Insieme all'attività di do-

cente continua a seguire gli studi storici sul regno di Napoli e i Borbone. Negli anni '70 inizia la sua col-

laborazione con emittenti televisive locali e riviste.

Su "La Tribuna del Collezionista" di Gaeta (Latina) pubblica alcuni studi sull'organizzazione ammini-

strativa del Regno di Napoli. A partire dagli anni

'90 partecipa a diversi concorsi letterari riscuotendo

consensi e riconoscimenti, tra cui la lettura di alcu-

ne sue poesie in piazza a Caserta e alcuni premi.

Alcune sue poesie sono inserite in raccolte poetiche e antologie. Tra le sue opere, ricordiamo: “Storia

Postale Italiana Annullamenti di Terra di Lavoro

(1863 - 1889) con valutazioni” (1989 ?), “Barcol-lando nell’indicibile” (2009).

**

SANTO CONSOLI - Tu, mia strada - Prefazione di Fulvio Castellani; in copertina, a colori, “Viale

Romantico, Bronte (Catania)”, foto dello stesso

Consoli - Casa Editrice Menna, Avellino, 2009 -

Pagg. 48, € 8,00.

**

SANTO CONSOLI - Le nostre pagine - Prefazio-ne di Fulvio Castellani; in copertina, a colori, “I

Giardini di Ninfa (LT), foto dello stesso Consoli -

Casa Editrice Menna, Avellino 2009 - Pagg. 48, € 8,00.

**

SANTO CONSOLI - Il Cuore canta - Prefazione

di Giovanni Amodio - Edizione “Peloro” - Messi-

na, 2011 - Pagg. 48, s. i. p. **

SANTO CONSOLI - Il tuo riflesso - Prefazione di

Giuseppe Manitta; in copertina, a colori, “Il riflesso della sera”, foto dello stesso Consoli - Ed. Il Convi-

vio, 2011 - Pagg. 48, € 10,00. Santo CONSOLI na-

sce a Misterbianco (CT) nel 1946. Conseguita la Laurea, si trasferisce in Veneto e inizia la sua car-

riera di docente, insegnando per quasi un trentennio

Lingua e Letteratura Inglese nel Liceo Scientifico di Dolo e negli Istituti Superiori di Mestre e Vene-

zia. Dopo il ritorno in Sicilia, inizia la sua attività

poetica e la partecipazione ai Concorsi, arrivando a conseguire ben 619 Premi, tra i quali son da men-

zionare 65 Primi Premi, 63 Secondi Premi, 58 Terzi

Premi e 67 Premi ‘Speciali’. Tra le sue opere: Tu, mia strada (2009), Le nostre pagine (2009), Nel tuo

Firmamento (2010), Il Cuore canta (2011), La tua

presenza (2011), Il tuo risveglio (2011), Anelito d’Infinito (2015), Il Nostro Cammino (2015).

**

CLAUDIA KOLL (a cura di) - Il Rosario. Con-

templare Cristo con Maria nello Spirito Santo -

Introduzione di Manlio Sodi; all’interno, in bianco e nero, le immagini di due sculture del beato Clau-

dio Granzotto: “Santa Bernadette Soubirous” (scul-

tura in legno) e “Volto di Cristo” dal S. Sudario della Veronica e dalla S. Sindone; allegata corona

del Rosario - Edizioni Messaggero, Padova, 2016 -

Pagg. 64, € 4,00. Claudia KOLL (Roma, 1965), af-fermata attrice, negli ultimi anni ha compiuto un

cammino di conversione alla fede cattolica. Nel

2005 ha fondato la Onlus “Le Opere del Padre”, at-

traverso la quale si dedica a progetti di carità per i

più poveri. Per le Edizioni Messaggero Padova ha

già pubblicato “Coroncina della Divina Misericor-dia” (2013) e “Faustina Kowalska. La Divina Mise-

ricordia” (2015).

** MARIA ASSUNTA ODDI - Non lasciarmi anda-

re - Prefazione di Romolo Liberale; in copertina,

“L’Angelo”, composizione in ferro battuto di Mau-ro Petricca; all’interno, a colori, riproduzioni di

opere di: Giuseppe Cipollone, Antonella Oddi, Ste-

fano Lustri - GdC Editrice, 2010 - Pagg. 80, €

10,00. MARIA Assunta ODDI è nata a Trasacco

(AQ) ma vive a Luco dei Marsi. Presso l’Ateneo

dell’Aquila ha conseguito la laurea in Pedagogia nel 1984 e in Filosofia e Comunicazione nel 2014.

Insegna materie letterarie nella scuola secondaria di

I grado ad Avezzano. Più volte vincitrice del Primo Premio in concorsi regionali e internazionali, ha ri-

cevuto il premio A.L.I.A.S. dal consolato australia-

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POMEZIA-NOTIZIE Giugno 2016 Pag. 49

no per l’impegno nella diffusione della lingua ita-

liana all’estero e il Premio della Giuria al concorso

“Solidarietà tra le generazioni” (Milano). Per il va-lore artistico della sua opera ha ricevuto il Premio

Speciale “Trofeo Lupa di Roma”, la medaglia “Au-

tore selezionato” (conferitale dal Centro Studi per la ricerca e la documentazione sulla poesia italiana

del 900) e il “Premio Leopardi” indetto per il cen-

tenario della nascita del poeta recanatese. Compo-nente della giuria nel concorso “Buffoni-Di Pietro”,

nel concorso “Patrizio Graziani”, nel concorso

“Romolo Liberale”, in quello della “Comunità Montana Valle Roveto”, viene invitata da istituzio-

ni culturali per conferenze e recensioni critiche,

contribuendo alla riuscita delle varie manifestazio-ni. Ha pubblicato i volumi di poesia: Sensazioni

(1990), Il Girotondo (1994), Le Stagioni (1996,

Premio Rispetta), Tre Voci di Poesia (2000), Amo-re per Amore (2003), Parole e Immagini (2005),

Non lasciarmi andare (2010).

** ERNESTO PAPANDREA - E scoppiò la Resi-

stenza. Salvo D’Acquisto L’eroismo di un cara-

biniere - Edizioni Universum, 2015 - Pagg. 28, €

6,95. Ernesto PAPANDREA è nato a Gioiosa Joni-

ca in provincia di Reggio Calabria. Ha studiato presso l’Istituto Statale d’Arte di Locri. Proseguì

negli studi, seguendo i corsi di formazione in socio-

logia diretti dal Professor Umberto Melotti. È stato collaboratore della “Biblioteca di Lavoro” di Mario

Lodi. Sue opere sono state pubblicate in Germania.

Premio della Cultura della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Fu incoraggiato a scrivere da Padre

Ernesto Balducci. Già Deputato al Parlamento

Mondiale per la Sicurezza e la Pace.

**

AA. VV. - Mente e Disarmo a costume poetico

“Cultura per la pace” Patrocinio Libera Co-

scienza - XLIII Rassegna Poesia Pace 2015 - Ar-

tecultura - Milano - Stampa Press Point, Abbiate-

grasso, MI. - Pagg. 146, s. i. p. Sono antologizzati e perciò ci troviamo le firme di: Giuseppe Martucci,

Adriano Buzzati Traverso, Giuseppe Cianci, Nicho-

las Rolla, Alessia Mauro, Matteo Zurru, Chiara Pe-rego, Davide Guidi, Laura Iuculano, Salvatore

Mazzone, Matteo Caon, Matteo Zocchi, Andrea

Roberto, Sara Bellelli, Edoardo Martino, Elena Go-

voni, Manuela Comito, Walter Escalante, Samuele

Colombo, Andrea Borroni, Mirko Coraggioso,

Alessandro Ciniltani, Giada Andreani, Filippo Bri-vio, Simone Carnevali, Andrea Cherubin, Alexia

Luraschi, Lorenzo Macchi, Isabella Mazzola, Leo-

nardo Bolossini, Nicola Scalco, Alessandro Mucci-ni, Gioele Benetti, Isabella Michela Affinito, Maria

Addamiano, Piero Airaghi, Alessio “Alias Primo”

Colasanti, Vita Angileri Eid “Annavita”, Raffaele

Antonelli, Daniela Balocco, Giacomo Belluco,

Bruno Alessandro Bertini, Ermanno Bighiani, Lo-riana Bini, Rina Eugenia Bonanomi, Fiorenza Bon-

fili, Anna Maria Teresa Borrelli, Roseta Buscemi,

Luciana Carmello, Dario Carrera, Franco Demetrio Caruso, Achille Castoldi, Marialda Ciboldi, Annto-

nio Conserva, Laura Crippa, Raffaele De Prisco,

Clementina De Santis, Leopoldo Di Giovanni, An-nitta Di Mineo, Antonietta Di Secli, Mario Ferrario,

Valentina Fusè, Tiziano Maria Galli, Marco Gal-

lucci, Silvia Giuseppina Gambarelli, Elda Maria Garatti, Fabio Gibillini, Anna Maria Giordano,

Luigi Giurdanella, Ermanna Gussmaroli, Marisa

Guttoriello, Chikhutina Halyna, Vincenzo C. Ingra-sci, Remo Lana, Maria Assunta Leone, Antonio

Giuseppe Malafarina, Andrea Manara, Liliana Ma-

rioni Boggio, Giuseppe Martucci, Olga Matera, An-tonio Mazzamurro, Corrado Montalto, Maria Tere-

sa Mosconi, Pietro Nigro, Sergio Osimani, Rosalia

Pandolfo Bianchi, Tina Parotti, Gianfranco Pigna-ton, Anna Maria Piria, Erika Pisano, Alberto Pistil-

li, Anna Podda, Erminia Carla Porta, Alessandra

Prat, Alberto Preda, Maria Chiara Quartu, Giovan-

na Redaelli, Maria Cristina Remondi, Anna Ricuc-

ci, Caterina Rovatti, Giuliano Sacco, Giovanni Sal-vemini, Nicolò Jacopo Suppa, Daniele Torelli, Sil-

via Torelli, Giovanna Turiano, Rosario Vesco, An-

tonio Visconte, Giuseppe Zanghi, Italo Zini, Adria-no Arlenghi, Giuseppe Cianci, Leopoldo Di Gio-

vanni, Pietro Salvini, Franca Trevisi, .

TRA LE RIVISTE ntl LA NUOVA TRIBUNA LETERARIA - Rivista

di Lettere ed Arte fondata da Giacomo Luzzagni, Direttore responsabile Stefano Valentini, Direttore

editoriale Natale Luzzagni, Vicedirettore Pasqua-

le Matrone - C. P. 15 - 35031 Abano Terme (PD), e-mail: [email protected] Riceviamo il n. 122

- Aprile-Giugno 2016, dal quale segnaliamo: “L’

inganno dell’acqua” di Natale Luzzagni; “L’ ulti-mo Montale”, di Luigi De Rosa; “Samuel Taylor

Coleridge”, di Liliana Porro Andriuoli; “Juan

Ràmon Jimenez”, di Elio Andriuoli; “Gli ultimi giorni. La caduta dell’Impero Romano d’ Occiden-

te”, di Rosa Elisa Giangoia; l’intervista a Fiorella

Borin, di Pasquale Matrone; “Pablo Solari, La canzone popolare”, di Natale Luzzagni.

*

L’ERACLIANO - organo mensile dell’Accademia Collegio de’ Nobili, diretto da Marcello Falletti di

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POMEZIA-NOTIZIE Giugno 2016 Pag. 50

Villafalletto - Casella Postale 39 - 50018 Scandicci

(FI) - e-mail: [email protected] Rice-

viamo il n. 216/218 del gennaio-marzo 2016 dal quale segnaliamo: “Una inquietante storia del Seco-

lo XIV (Filippo II di Savoia, signore del Piemonte e

principe d’Acaia)”, di Marcello Falletti di Villa-

falletto; “Ma Dürer un rinoceronte lo aveva vi-

sto?”, di Gian Giorgio Massara; “A colloquio con

Mons. Calogero Peri Vescovo di Caltagirone”, di Carlo Pellegrini; “Apophoreta”, rubrica di recen-

sioni di Marcello Falletti di Villafalletto.

* SENTIERI MOLISANI - Rivista d’Arte, Lettere e

Scienze, direttore editoriale Antonio Angelone, re-

sponsabile Massimo Di Tore - Via Caravaggio 2 - 86170 Isernia - E-mail: sentieri.molisani

@gmail.com Riceviamo il n. 1 (46), gennaio-aprile

2016, nel quale, a titolo diverso, troviamo i nomi di molti nostri amici e collaboratori, tra cui: Isabella

Michela Affinito, Luigi De Rosa, Antonia Izzi

Rufo, Leonardo Selvaggi, Tito Cauchi, Gabriella

Frenna, Orazio Tanelli, Nazario Pardini, Impe-

ria Tognacci, Anna Aita, Marina Caracciolo,

Ciro Rossi, Rosa Elisa Giangoia.

*

DOMANI SUD - Periodico di informazione politi-ca e culturale diretto da Fortunato Aloi, responsa-

bile Pierfranco Bruni - via S. Caterina 62 - 89121

Reggio Calabria - Riceviamo il n. 2, marzo-aprile 2016, dal quale segnaliamo- anche per l’ampio ser-

vizio fotografico (ben 22 immagini) - l’ assegna-

zione, a Reggio Calabria, della XXVIII edizione del Premio “G. Calogero 2015”, con la commemo-

razione del prof. Franco Mosino e del dott. Anto-

nio Gaetano.

*

IL CENTRO STORICO - Organo informativo

dell’Associazione Progetto Mistretta, Presidente Dott. Nino Testagrossa, direttore responsabile

Massimiliano Cannata - via Belverde 31 - 98073

Mistretta (ME) - E-mail: [email protected] Riceviamo il n. 3-4 (marzo-aprile 2016), del quale

segnaliamo l’incontro con Marcello Veneziani a

cura di Massimiliano Cannata; l’editoriale di Giuseppe Ciccia (incontro con lo scrittore John

Keahey); le tante pagine per Maria Messina, a fir-

ma di Anna Maria Crisafulli Sartori e Khadija

Selmi; “Andrea Camilleri: il profondo legame con

la propria terra” di Lucio Bartolotta eccetera.

* SATURA - Trimestrale di arte letteratura spettaco-

lo, direttore Gianfranco De Ferrari - Piazza Stella

5 - 16123 Genova - E-mail: [email protected] - Riceviamo, inviatoci da Guido Zavanone che fa

parte della Redazione, il n. 30 (2° Trimestre 2015),

del quale segnaliamo: “Je pense a toi”, di Guido

Zavanone, “Le salmonelle a Rado”, di Guido Za-

vanone, Quattro poesie di Angelo Manitta, “La via della verità”, di Rosa Elisa Giangoia, “Tre cit-

tà”, di Rosa Elisa Giangoia (tutti nostri collabora-

tori), “Sulle tracce di Georges Simenon: Passaggio in Africa”, di Giuliana Rovetta, “Diritti umani nel

mondo”, di Aldo Forbice, “Verisimile, diletto e

giovamento”, di Franca Alaimo. Inoltre le rubri-che di Critica (di Flavia Motolese), Vetrina, Mo-

stre eccetera, arricchite di splendide fotografie. Una

bella rivista tutta da leggere e da collezione, in-somma.

*

IL PONTE ITALO-AMERICANO, Rivista inter-nazionale di cultura, arte e poesia fondata e diretta

da Orazio Tanelli - 32 Mt. Prospect Avenue - Ve-

rona, New Jersey 07044, 973-857-1091 USA. Ri-ceviamo il n. 1, Spring 2016, con in copertina “The

Deposition of Christ” di Ivo David, con una nota di

Orazio Tanelli. Troviamo, tra l’altro, una poesia della nostra amica Teresinka Pereira.

*

FIORISCE UN CENACOLO - Mensile di lettere e

arti fondato nel 1940 da Carmine Manzi, diretto

da Anna Manzi - 84085 Mercato S. Severino (Sa-lerno) - E-mail: [email protected] Rice-

viamo il n. 1 -3 (gennaio-marzo 2016), del quale

segnaliamo, a diverso titolo, le firme di: Anna Ai-

ta, Antonia Izzi Rufo, Orazio Tanelli, Leonardo

Selvaggi, tutti nostri collaboratori. Anna Manzi,

inoltre, nella rubrica “I libri in vetrina” recensisce “Il mistero Dickinson” di Isabella Michela Affini-

to. Anna Manzi, in “Domenico Antonio Tripodi

una vita per Dante” (pag. 8), definisce il pittore ca-

labrese, che Pomezia-Notizie presenta in prima pa-

gina, “Un artista di grande levatura (...), per aver

saputo fondere le sue potenzialità di poeta, pittore e musico in un unico, sublime, afflato artistico teso

alla ricerca e alla rappresentazione dell’opera

dantesca”. *

LA VALLISA - Quadrimestrale di letteratura ed al-

tro, diretta da Daniele Giancane - via Gen. De Bernardis, 23 - 70123 Bari - E-mail: danie-

[email protected] La rivista è edita da Ga-

gliano Edizioni. Riceviamo, inviatoci da Renato

Greco, il n. 103 (gennaio-aprile 2016), di pagi-

ne144, delle quali 52 sono dedicate proprio a Rena-

to Greco, con un’intervista da parte del Direttore Daniele Giancane e interventi di Marco Ignazio

de Santis, Gianni Antonio Palumbo, Lorena Li-

beratore, Valeria D’Ignazio, Anna Santoliquido, Giulia Poli Disanto, Enrico Bagnato, Enrico Ca-

strovilli, Angela Giannelli, Nicola Accettura.

Page 51: Pomezia notizie 2016_6

POMEZIA-NOTIZIE Giugno 2016 Pag. 51

Segnaliamo, inoltre, “La morte in cassa integrazio-

ne”, un atto unico di Teodosio Saluzzi, ma tutta la

rivista va letta. *

IL CONVIVIO - Trimestrale di poesia arte e cultu-

ra fondato da Angelo Manitta e diretto da Enza

Conti - via Pietramarina-Verzella 66 - 95012 Ca-

stiglione di Sicilia (CT) E-mail: angelo.manitta

@tin.it ; [email protected] Riceviamo il n. 1 (64), gennaio-marzo 2016, del quale segnaliamo:

“Guido Zavanone, Lo sciame delle parole. Poesie

di una vita”, di Angelo Manitta; “Emerico Giache-ry Passione e sintonia. Saggi e ricordi di un italiani-

sta”, di Antonio Crecchia; “Aldo Marzi porta Pi-

nocchio nelle scuole per erudire i giovani sul capo-lavoro di Collodi”, di Anna Aita; e poi, a diverso

titolo, le firme di: Giovanna Li Volti Guzzardi,

Loretta Bonucci, Leonardo Selvaggi, Mariagina

Bonciani, Antonia Izzi Rufo, Giuseppe Manitta,

Enza Conti, Aurora De Luca, Marcello Falletti

di Villafalletto, Orazio Tanelli, Maria Vadalà (che recensisce Isabella Michela Affinito), Gio-

vanni Cianchetti ( che recensisce Imperia Tognac-

ci), Vittorio Verducci (che recensisce Tito Cau-

chi). Allegato, il n. 30 (gennaio-marzo 2016) di

CULTURA E PROSPETTIVE, di pag. 200, con le firme di: Angelo Manitta, Emilia Cavallaro, Lu-

cia Stefanelli Cervelli, Pietro Russo, Raffaella

Iacuzio, Guglielmo Manitta, Linda Torresin, Franco Orlandini, Carlo Di Lieto, Pippo Virgil-

lito, Antonia Izzi Rufo, Adalgisa Licastro, Leo-

nardo Selvaggi, Carmela Tuccari, Antonio

Crecchia, Maria Gargotta, Carmine Chiodo,

Giuseppe Cappello, Anna Geltrude Pessina, An-

na Salvaggio.

Sta per uscire, con le Edizioni EVA di Ve-

nafro (IS)

AURORA DE LUCA

ASPRA TERA

E CREAZIONE FERTILE

NELL’OPERA DI

DOMENICO DEFELICE

Domenico Defelice: Albero spoglio (penna,

1965) e, sotto: Pianta di ulivo (china degli

anni settanta)

Page 52: Pomezia notizie 2016_6

POMEZIA-NOTIZIE Giugno 2016 Pag. 52

Domenico Defelice: Ritratto (china e acque-

rello, 1960) e, sotto, I simboli di Pomezia:

Chiesa di San Benedetto, la Torre civica e

lo Stemma del Comune (china, pure anni set-

tanta)

AI COLLABORATORI

Si invitano i collaboratori ad inviare i testi (pro-

dotti con i più comuni programmi di scrittura e

NON sottoposti ad impaginazione), composti

con sistemi DOS o Windows, su CD, o meglio,

attraverso E-Mail: [email protected]. Mante-

nersi, al massimo, entro le tre cartelle (per car-

tella si intende un foglio battuto a macchina da

30 righe per 60 battute per riga, per un totale di

1.800 battute). Per ogni materiale così pubblica-

to è necessario un contributo volontario. Per

quelli più lunghi, prendere accordi con la dire-

zione. I libri, per recensione, vanno inviati in

duplice copia. Il mensile è disponibile sul sito

www.issuu.com al link:

http://issuu.com/domenicoww/docs/

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ABBONAMENTI (con copia cartacea)

Annuo... € 50.00

Sostenitore....€ 80.00

Benemerito....€ 120.00

ESTERO...€ 120,00

1 Copia....€ 5,00

ABBONAMENTO solo on line:

http://issuu.com/domenicoww/docs/)

Annuo... € 35

Versamenti: c. c. p. N° 43585009 intestato a Do-

menico Defelice - via Fratelli Bandiera 6 - 00071

Pomezia (RM). Codice IBAN: IT37 NO76 0103

2000 0004 3585 009 Codice BIC/SWIFT: BPPII-

TRRXXX Specificare con chiarezza la causale

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Redattore Capo e impaginatore: Luca Defelice Segretaria di redazione: Gabriella Defelice

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Guzzardi - 29 Ridley Ave - Avondale Heights VIC

3034 - Melbourne - AUSTRALIA

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