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Cristiano Quagliozzi - A Bernini 3 – matita su carta Cristina Arbunescu Tra Oriente ed Occidente si trova un Oceano. Geograficamente, si potrebbe dire che, sì, effettivamente l’Atlantico separi l’Occidente per eccellenza – cioè l’America – dal Vecchio continente e dall’Asia ma poi si potrebbe obiettare che anche l’Europa è parte dell’Occidente. A dire il vero, il senso di questa frase è culturale. Se si ripercorrono la storia e gli eventi artistici del Vecchio Mondo è facile vedere qua- si materializzarsi quella frattura che, prima con la separazione dei due Imperi Romani e, poi, nel Medioevo, con lo scisma religioso, ha instrada- to le nazioni europee su percorsi paralleli ma indipendenti. Anche in ambito artistico non è superfluo ricordare quanto nell’Oriente slavo la tradizione delle icone sacre abbia permeato la cultura fino alle soglie della modernità mentre, d’altra parte, una precoce osservazione della natura si sia fatta strada nelle aree del nord Europa. Da questa originaria differenza (conta più cercare il significato delle cose o sapere come funzionano?) si è prodotta quella che possiamo definire una reciproca lontananza, simile al differenziarsi di due lingue da un ceppo comune. I tempi moderni hanno poi visto il confronto dei due colos- si “imperiali” e delle relative culture. Fra i due universi geo-politici, un vero oceano di incomunicabilità. Oggi è diverso, le barriere geografiche e commerciali sono crollate ma più difficile è la compenetrazione delle culture (l’oceano non si supera tanto facilmente…). Assistiamo, perciò, ad un incontro che molte volte falliscono. In cosa, essenzialmente, sta questa differenza? A mio parere, si tratta di una questione di contenuti. In ambito occidentale si è sem- pre più dato credito all’aspetto materiale del linguaggio (quello propriamente fisico oppure linguistico) a scapito dei contenuti. Al contrario, mi sembra che ad Est non si sia mai abbandonata la fiducia di poter comunicare qualcosa per mezzo dell’arte. L’origine delle diffidenza occiden- tale verso i contenuti, le idee, il ruolo anche educativo dell’arte sta in una grave sfiducia nella sua stessa storia di civiltà che è approdata al dubbio costante e corrosivo. In Oriente, anche se attraverso sconvolgimenti politici, la fede nella capacità di intervenire nella storia della civiltà in quanto artisti non è tramontata. Cristina Arburescu svolge con sensibilità un ruolo di traduttrice fra due grandi entità della cultura moderna, quella che cerca la verità nei fatti e quella che la cerca nelle idee. È ovvio che entrambe le vie sono utili ma difficile è percorrerle senza confondersi e smarrirsi. Ad esempio, che fare dell’eredità della Pop art? Non si può certo imitare quelle soluzioni in epoche e luoghi ormai diversi. Arburescu sa servirsi del gigantismo, del piano americano (la figura che smargina rispetto alla cornice), della scelta non convenzionale dei soggetti che, però, sono cose comuni e quasi invisibili per troppa familiarità. Plasma Dissoluzione e Forma Plasma Dissoluzione e Forma

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A Exibiton of young artists

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Cristiano Quagliozzi - A BBernini 33 –– matita su carta

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Tra Oriente ed Occidente si trova un Oceano.

Geograficamente, si potrebbe dire che, sì, effettivamente l’Atlantico separi l’Occidente per eccellenza – cioè l’America – dal Vecchiocontinente e dall’Asia ma poi si potrebbe obiettare che anche l’Europa è parte dell’Occidente.

A dire il vero, il senso di questa frase è culturale. Se si ripercorrono la storia e gli eventi artistici del Vecchio Mondo è facile vedere qua-si materializzarsi quella frattura che, prima con la separazione dei due Imperi Romani e, poi, nel Medioevo, con lo scisma religioso, ha instrada-to le nazioni europee su percorsi paralleli ma indipendenti.

Anche in ambito artistico non è superfluo ricordare quanto nell’Oriente slavo la tradizione delle icone sacre abbia permeato la culturafino alle soglie della modernità mentre, d’altra parte, una precoce osservazione della natura si sia fatta strada nelle aree del nord Europa. Daquesta originaria differenza (conta più cercare il significato delle cose o sapere come funzionano?) si è prodotta quella che possiamo definireuna reciproca lontananza, simile al differenziarsi di due lingue da un ceppo comune. I tempi moderni hanno poi visto il confronto dei due colos-si “imperiali” e delle relative culture. Fra i due universi geo-politici, un vero oceano di incomunicabilità.

Oggi è diverso, le barriere geografiche e commerciali sono crollate ma più difficile è la compenetrazione delle culture (l’oceano non sisupera tanto facilmente…). Assistiamo, perciò, ad un incontro che molte volte falliscono.

In cosa, essenzialmente, sta questa differenza? A mio parere, si tratta di una questione di contenuti. In ambito occidentale si è sem-pre più dato credito all’aspetto materiale del linguaggio (quello propriamente fisico oppure linguistico) a scapito dei contenuti. Al contrario, misembra che ad Est non si sia mai abbandonata la fiducia di poter comunicare qualcosa per mezzo dell’arte. L’origine delle diffidenza occiden-tale verso i contenuti, le idee, il ruolo anche educativo dell’arte sta in una grave sfiducia nella sua stessa storia di civiltà che è approdata aldubbio costante e corrosivo. In Oriente, anche se attraverso sconvolgimenti politici, la fede nella capacità di intervenire nella storia della civiltàin quanto artisti non è tramontata.

Cristina Arburescu svolge con sensibilità un ruolo di traduttrice fra due grandi entità della cultura moderna, quella che cerca la veritànei fatti e quella che la cerca nelle idee. È ovvio che entrambe le vie sono utili ma difficile è percorrerle senza confondersi e smarrirsi.

Ad esempio, che fare dell’eredità della Pop art? Non si può certo imitare quelle soluzioni in epoche e luoghi ormai diversi. Arburescusa servirsi del gigantismo, del piano americano (la figura che smargina rispetto alla cornice), della scelta non convenzionale dei soggetti che,però, sono cose comuni e quasi invisibili per troppa familiarità.

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Cristiano Quagliozzi - A BBernini –– matita su carta Cristina Arbunescu - tecnica mista - anno 2007

Di suo c’è il trattamento dell’immagine, possiamo dire che ella usi le icone come abiti da indossare. Prendendo forma sul corpo, i vesti-ti non pendono più come panni inerti, diventano finalmente comprensibili; nel caso di Cristina Arburescu, naturalmente, si tratta di un corpointeriore: le icone del nostro tempo, le foto quasi casuali che si arricchiscono della sua personalità, acquistano il turgore della vitalità che an-ima l’autrice e questo si realizza con il tratto, l’impasto, la scelta pittorica. La via di mezzo fra l’iconicità enigmatica e fredda della Pop art e ilcalore dell’espressionismo astratto è forse trovata con successo dalla pittrice rumena che riesce a praticare sia la tradizione figurativa espres-sionista sia quella legata alla comunicazione di massa, alla pubblicità.

A questo punto sarebbe facile riprendere il paragone iniziale per dire che Cristina Arburescu si muove in una terra intermedia fra duecontinenti della cultura moderna ma, a volte, l’inizio delle tendenze artistiche non è così facile da decifrare. Se il suo percorso verrà irrobusti-to da un consistente recupero delle significative tradizioni dell’arte figurativa e, allo stesso tempo, saprà “rubare” la freschezza dello sguardoche i fotografi gettano sul tempo nellalla modernità, allora la storia dell’arte potrà verificare la fertilità di questa proposta.

(Storico dell’Arte Gianluca Tedaldi)

Cristina Arbunescu - tecnica mista - anno 2007 Cristiano Quagliozzi - A BBernini 22– matita su carta

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Francesco Astiaso Garcia Il ssonno èè mmusa - carboncino, olio e cera su tavola con applicazioni cartacee

Cristina Arbunescu - tecnica mista - anno 2007

CCrriissttiiaannoo QQuuaagglliioozzzziiL’esperienza artistica di Cristiano Quagliozzi ha da sempre individuato nel disegno la tecnica più idonea per comunicare il vigore e l’au-

dacia creativa che lo accompagnano. Volto alla ricerca di una propria identità stilistica, nella serie di disegni a grafite realizzati su carta decidedi incentrare il suo lavoro proprio sul confronto tra la propria identità e i maestri del passato.

Il deciso e consapevole tratto segnico dell’artista fa emergere rappresentazioni dei celebri angeli del Bernini a partire dai particolaridel volto, delle braccia, delle mani, delle croci e degli strumenti che sostengono. Immagini ieratiche, eterne ed immutabili, consacrate dall’im-maginario ad emblemi della nostra cultura vengono esaltate da un minuzioso tratto descrittivo. Le stesse si ritrovano appena accennate equasi suggerite da schizzi, grafismi e cancellazioni che interferiscono con l’immagine conferendo all’insieme un sapore ed un contenuto alta-mente lirico. L’indefinitezza dell’immagine è il frutto di una sperimentazione sempre in atto e di un impulso creativo che l’artista riesce sapi-entemente a controllare dando valore e significato ad ogni segno o cancellazione apparentemente casuale. “Bisogna fare una distinzione net-ta, dice Quagliozzi, cancellando si compie un svuotamento creando un vuoto, mentre attraverso la violenta azione di segni incontrollati si creaun pieno che copre; molte volte unisco i due cancellando e poi scarabocchiando sopra o viceversa, o addirittura riprendo il disegno sotto cosìche l’immagine possa apparire portando li stessi grafismi o cancellazioni al livello della stessa immagine.”

Il confronto tra i Maestri dell’Arte e il proprio Io si presenta dunque come una relazione in continuo divenire da cui emerge un’identitàbipolare in bilico tra una forza creatrice e profondamente legata all’aspetto estetico della forma, ed una contrastante forza distruttrice ten-dente al disfacimento dell’immagine stessa. Le figure oscillano tra una realtà oggettiva ed una soggettiva in un universo segnico che mostrae nasconde, esalta e distrugge, copre e svela, senza mai perdere la compiutezza di un equilibrio armonico.

E’ questo costante combattimento che porta l’artista a mostrarsi, in altre serie di disegni, in quanto autore delle opere (autoritratti eimmagini prese dall’albo di famiglia si celano sotto alcune forme), e allo stesso tempo a sfumare gli stessi volti sotto la filigrana di un teschio,celebre simbolo di Vanitas, per poi disfarli completamente nelle trame di vorticosi segni. Nell’ irrisolta diatriba tra il primato dell’autore e quel-lo del mezzo da lui utilizzato, in alcuni casi è quest’ultimo a vincere.

Ciò nonostante l’energia e la sicurezza con cui Quagliozzi padroneggia il disegno, riescono in ogni caso a trasformare il foglio in un cam-po neutro dove la bidimensionalità del piano e la linearità del tratto si convertono improvvisamente nei valori plastici e volumetrici propri del-la scultura del Bernini, per poi assumere l’ andamento più marcato dell’incisione ed arrivare, in qualche caso, all’automatismo della scrittura.Oltre alla statuaria barocca, insieme alle lettere vediamo affiorare simboli matematici, geroglifici che si incrociano a sfingi e tracce legate adun mondo mitico e enigmatico. I metodi non convenzionali adottati nelle sue opere per interpretare e interferire con le immagini a noi note,mostrano dunque tutte le possibilità espressive del mezzo utilizzato e le continue varianti con cui l’artista può organizzarle tra loro. L’ermeti-ca scelta della mancanza di una cornice attorno ai lavori presenta inoltre il foglio bianco nella sua unica funzione di base dell’opera e di sup-porto necessario alla stratificazione dei segni.

Il vuoto e il non-finito divengono la condizione ideale per suggerire all’osservatore la costruzione totale dell’immagine a partire dal-l’artista stesso, autore e primo spettatore delle proprie opere. “Quando mi confronto con un angelo di Bernini, dice l’artista, cancellandone al-cune parti, scarabocchiandole o lasciandole indefinite, non cerco di fare in modo che l’immagine divenga mia, bensì che si componga di nuovielementi, di modo che si esasperi il contrasto tra l’identità del grande maestro e la mia. Poi l’immagine appartiene all’opera, io non resto al-tro che uno spettatore.”. Francesca Pardini

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Molti pittori sono hanno lasciato un segno nella sensibilità del pubblico perché hanno saputo offrire un’esperienza che, allo steso tem-po, è tanto desiderata ma anche inconsapevole, al punto da non saperle dare un nome fino a momento di incontrarla.

Parlo della capacità di poter leggere nel mondo circostante, allo steso tempo, il dato oggettivo e la sua interpretazione emozionata.

Francesco Astiaso Garcia ha scelto questa “terra di mezzo” (fra riproduzione meccanica ed intervento autografo) per comunicare conimmediatezza.

È veramente inconsueto notare come, intervenendo sull’immagine fotografica, ciò che si perde (parlo di definizione o di fedeltà coloris-tica) venga recuperata con una leggibilità più intensa. A ben vedere, è probabile che le registrazioni di fatti ed eventi non abbiano molto a chevedere con quello strumento sensibilissimo e libero che è la nostra memoria, con le sue selezioni apparentemente arbitrarie, le sue cancel-lazioni che a volte ci turbano profondamente o, anche, quelle inaspettate palingenesi di lontanissime verità che ci travolgono.

Partendo dal suo rapporto con la realtà (mediato attraverso la fotografia), l’artista finisce per trovare quello che nessuno vede ma chela maggior parte degli spettatori scopre di aver intuito nell’intimo del cuore, pur non essendo capace di esprimerlo.

Astiaso Garcia percorre questa via che è sul ciglio di due continenti; ha, naturalmente, anche di fronte a sé un bivio che si presentacontinuamente: accettare il dato indiscutibile del vero (cioè la fotografia) oppure creare delle “bugie che fanno capire la realtà” (per parafrasareuna famosa espressione di Picasso relativa al dipingere). In questae prove sembra riuscire a formare un’emulsione fra le due componenti evi-tando il rigetto che ciascuna potrebbe generare verso l’altra: il verosimile si lascia trasformare in immagine onirica, lo slancio creativo restacon rispetto entro i confini della riconoscibilità.

L’augurio rivolto all’artista è quello di trasformarsi egli stesso in un “occhio” al modo di Monet, disponendo nel suo intimo di tutte lerisorse per “trasfigurare la natura nell’arte” (e, questa volta, la citazione è da Ananda Koomaraswami).

Storico dell’Arte Gianluca Tedaldi

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Francesco Astiaso Garcia La LLettera – Pastelli, carboncino, cera ed olio su tavola con applicazioni cartacee Francesco Astiaso Garcia Atena - matita, acrilico e cera su carta applicata su tavola