Pittura sarda del quattrocento - cinquecento

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Storia dell'arte, pittura Sardegna. A cura di Roberto Coroneo

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BIBLIOTHECA SARDAN. 50

In copertina:Joan Figuera, San Giorgio, tavola laterale della predella del Retablo di S. Lucifero, Cagliari, Pinacoteca Nazionale

PITTURA SARDA DEL QUATTRO-CINQUECENTO

a cura di Roberto Coroneo

traduzione di Stefania Lucamante

Georgiana Goddard King

7 Prefazione

26 Nota bio-bibliografica

27 Avvertenze redazionali

PITTURA SARDA DEL

QUATTRO-CINQUECENTO

31 Ringraziamenti

33 La Sardegna fino al 1600

57 I pittori dei fondi d’oro

213 Appendice

215 Bibliografia

223 Indice analitico

INDICE

Titolo originale:

Sardinian Painting, I, The Painters of the Gold Backgrounds, Bryn Mawr, Pennsylvania, BrynMawr College, e London-New York-Bombay-Calcutta-Madras, Green Longmans and Co., 1923.

Riproduzioni fotografiche:Archivio Ilisso

© Copyright 2000by ILISSO EDIZIONI - NuoroISBN 88-85098-98-3

Goddard King, GeorgianaPittura sarda del Quattro-Cinquecento / Georgiana Goddard King ; a cura di Roberto Coroneo ; traduzione di Stefania Lucamante. - Nuoro : Ilisso, c2000.231 p. ; 18 cm. - (Bibliotheca sarda ; 50)1. Pittura sarda - Sec. 15.-16.I. Coroneo, Roberto II. Lucamante, Stefania759.59

Scheda catalografica:Cooperativa per i Servizi Bibliotecari, Nuoro

PREFAZIONE

Sardinian Painting esce nel 1923, come quinto di unaserie di studi monografici editi dall’Università di Bryn Mawr,nella quale Georgiana Goddard King insegnava Storia del-l’Arte, oltre ad essere direttrice della stessa collana e mem-bro della Società d’Ispanisti d’America. A questo volume,che presenta l’antica pittura sarda dal XII al XVI secolo,avrebbe dovuto far seguito l’altro, che l’Autrice intendeva de-dicare al Sei-Settecento, ma che non fu mai dato alle stampe.Pertanto, è a questo piccolo grande libro che si affida, perquanto riguarda la Sardegna, la memoria del lavoro storico-artistico di un’intelligenza aperta, brillante e intuitiva, qualera appunto quella della Goddard King.

Il sottotitolo del volume, The Painters of the Gold Back-grounds, ne esplicita il nucleo tematico, cioè quei dipinti atempera e a olio compresi fra il Tre e il Cinquecento, in cuiil paesaggio – quando presente – è limitato alle scene dicontenuto narrativo mentre la figura si staglia preferibilmen-te contro un fondo d’oro, ottenuto con sottili foglie aureeapplicate alla tavola debitamente preparata secondo la tecni-ca della doratura a bolo. Si tratta dunque di quell’ampio ar-co di storia della pittura a cavallo fra medioevo ed età mo-derna, in cui le innovazioni dell’arte umanistica sperimentatea Firenze nel primo Quattrocento giunsero a conquistare,ma solo gradualmente, altre città ed altri ambiti geograficieuropei, nei quali il linguaggio tardogotico si mantenne alungo vitale. È lo spazio dei cosiddetti “Primitivi”, così defi-niti secondo una sistemazione storiografica che, procedendodalle Vite del Vasari e individuando in Michelangelo il culmi-ne dell’arte, relegava evidentemente al rango di sempliciprecursori tutti i pittori che l’avevano preceduto e in qualchemodo ne avevano preparato l’avvento.

Il riconoscimento delle autonome qualità espressive e for-mali dei “Primitivi” – fossero essi italiani, fiamminghi o iberici

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Principalmente, se non esclusivamente su quest’ultima sibasa l’introduzione storica dal titolo “La Sardegna fino al 1600”,che la Goddard King colloca in apertura del libro. Per il fattod’esser stata redatta in anni non sospetti, su una documenta-zione archivistica ineccepibile, e pertanto di risultare immunedalle successive falsificazioni ottocentesche, l’opera del Mannoconduce la studiosa a profilare la storia sarda dalle origini allaprima età spagnola secondo una prospettiva sostanzialmentecorretta. Di più, la mette in guardia contro l’inquinamento deidati conseguente all’avallo dell’autenticità delle famigerate Per-gamene d’Arborea da parte di Giovanni Spano, e pertanto a ri-gettare circostanze e nomi di artisti, che il canonico aveva inte-grato nella sua ricostruzione dell’antica pittura sarda. Certo,l’esordio della Goddard King circa le origini leggendarie dellastoria e dell’arte sarda può anche far sorridere, ma se ne col-gano almeno le qualità letterarie, che fanno emergere pro-gressivamente dall’orizzonte indistinto del mito mediterraneogli eventi reali, dal sostrato nuragico all’occupazione fenicio-punica e romana, dalla conquista vandalica a quella bizantina,dalle incursioni longobarde e saracene all’insediamento di co-lonie commerciali pisane e genovesi, fino allo sviluppo deigiudicati e alla loro caduta sotto il dominio di Pisa prima, del-l’Aragona poi. Non può farsi a meno di rilevare, a questo pro-posito, l’estrema modernità della visione storiografica dellastudiosa in merito all’autonomia dell’istituto e della culturagiudicale in Sardegna, non declassata in posizione subalternarispetto ad autorità esterne all’isola, ma da lei pienamente ri-conosciuta come fattore costitutivo del suo volto storico.

Così delineato il corso degli eventi storici che portaronola Sardegna a diventare parte integrante della Spagna, la God-dard King passa in rassegna la pittura sarda premettendo chequesta è una “ramificazione” della pittura iberica. Il giudiziopuò sembrare riduttivo ma non lo è. Come la stessa argomen-terà poi ripetutamente nel corso della trattazione, riconoscerela sostanziale dipendenza dei “Primitivi” sardi da quelli iberi-ci non significa negare alla loro pittura caratteri specificamen-te autonomi, anzi: è solo nel quadro di questa circolazione

Prefazione

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– prende avvio in Europa nel quadro dell’interesse storiogra-fico per le identità artistiche “nazionali”, nel corso dell’Otto-cento e soprattutto dagli inizi del Novecento. Sia che ne de-rivi, sia che la incrementi, coincide di fatto con una specialeattenzione del mercato antiquario per la pittura di Piero del-la Francesca, di Jan van Eyck, di Jaume Huguet, e genera diconseguenza un analogo interesse per la pittura sarda quat-tro-cinquecentesca, del quale si fa interprete però un’ameri-cana, la Goddard King appunto. La quale, nei primi anniVenti del secolo, ha poco più di cinquant’anni e in Sardegnadue amiche, Anna Rose ed Ellen Giles, in grado d’introdurlaal patrimonio pittorico e agli ambienti culturali dell’isola chepercorreranno, presumibilmente assieme, alla ricerca di anti-chi dipinti.

In quel momento, matura nella Goddard King il progettodi un’impresa certo allora non facile: l’organica sistemazionedell’antica pittura sarda, in due volumi di cui il primo dedica-to ai “pittori dei fondi d’oro”. Le difficoltà oggettive risiedeva-no da un lato nelle condizioni generali della Sardegna deltempo, povera di vie di comunicazione agevolmente pratica-bili e viceversa (relativamente) ricca di opere d’arte in centriisolati, il che non permise all’Autrice una compiuta ricogni-zione dell’intero patrimonio isolano; dall’altro, nella scarsitàdi materiale bibliografico sul quale basarsi per un’informa-zione sufficientemente vasta sulla storia, sui costumi, sull’ar-tigianato e infine sull’arte sarda. Dalla sua, la Goddard Kingaveva il privilegio di poter contare su un attento conoscitoredella realtà sarda, qual era Carlo Aru, già da allora attivissi-mo nella Soprintendenza alle Antichità di Cagliari, e lo sti-molo di dover compiere una ricerca di prima mano, sullascorta di pochissimi contributi specifici, nonché di un’operastoriografica di sicuro spessore, com’è tuttora la Storia diSardegna di Giuseppe Manno.1

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1. La Storia di Sardegna esce a Torino nel 1825-27. La Goddard Kingne utilizza la seconda edizione (Manno 1840); l’opera è oggi disponibi-le in questa stessa collana (1996).

rimproverare una sbrigativa metodologia di confronto, chespesso rende arduo esplicitare i sintetici richiami apposti innota, o nel corpo, o a sinistra della colonna di testo, ma laloro genericità finisce per apparire programmatica: non im-porta tanto stabilire se quel motivo o quel dipinto derivino oprovengano effettivamente da Barcellona o da Valenza o daNapoli, dalla Catalogna o dall’Aragona o dall’Italia meridio-nale, quanto piuttosto dare la dimensione autentica della cir-colazione della cultura mediterranea. Anche in questo caso,la prospettiva della Goddard King si rivela sorprendentemen-te moderna: a tutt’oggi sono pochi, infatti, nell’isola e fuori,gli studiosi che superino la visione locale per un orizzontepiù ampio, in grado di restituire la complessa trama di rela-zioni fra città e paesi gravitanti tutti su quel grande bacino dicomunicazione culturale, che da sempre è il Mediterraneo.

L’analisi della Goddard King, dunque, è di stampo pret-tamente formale e la conduce a impostare una classificazio-ne dell’antica pittura sarda in quattro gruppi. Nel primo so-no compresi soltanto due affreschi, di età giudicale: nellachiesa della SS. Trinità di Saccargia, già possesso dei monacicamaldolesi, e nell’ex cattedrale di S. Pantaleo a Dolianova.Anche nel secondo gruppo sono annoverati solo due dipinti,a tempera su tavola, trecenteschi, che vengono definiti “pisa-ni” in quanto di tipologia italica: il Trittico di Sant’Antonio,oggi nel Museo Sanna di Sassari, e la Pala di Ottana, nell’excattedrale di S. Nicola. Nel terzo gruppo si inseriscono i nu-merosi dipinti su tavola del Quattro e del primo Cinquecen-to, di tipologia iberica, nei quali la Goddard King riconoscedue linee principali, che evolvono dall’attività in Sardegnal’una del pittore catalano Joan Figuera, l’altra del tortosanoJoan Barceló. Il quarto gruppo comprende i dipinti cinque-centeschi, sempre su tavola, della cosiddetta “scuola di Stam-pace”, dal quartiere cagliaritano in cui avevano bottega i Ca-varo e i pittori della loro cerchia.

Nel novero delle opere esaminate dalla Goddard King ri-spetto al terzo e al quarto gruppo, speciale rilevanza assumo-no nell’ordine il Retablo di San Bernardino, commissionato

Prefazione

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mediterranea di uomini, merci, idee e opere d’arte che puòcomprendersi da un lato la dinamica storica fra tradizione einnovazione, dall’altro il radicarsi nell’isola di linguaggi pittori-ci in grado di garantire quella continuità locale che costruiscei tratti specifici dell’identità artistica sarda. Contro la prevalen-te caratterizzazione urbana degli ambienti iberici di prove-nienza, dipinti e artisti sardi si contraddistinguono per unasorta di spontaneità che deriva loro dalla caratterizzazione ru-rale degli ambienti in cui si trovano a operare: «Il viaggiatoreche si rechi in Sardegna – scrive la Goddard King in chiusuradel libro (p. 211) – non sarà in grado di apprezzare tutto ciònella gente di paese che gli capiterà di incontrare. Egli guar-derà i volti duri degli indigeni, e probabilmente li riterrà scor-tesi. Si lamenterà dei loro costumi ancestrali, della poca puli-zia e trasandatezza, esattamente come riferì Liutprando daCremona a proposito dei nobili e dell’imperatore di Bisanzio.Non vedrà nient’altro, a meno che non ci si metta d’impegnoa capirli: il vero contadino è timido come un muflone. I dipin-ti, tuttavia, potranno essere da lui ammirati senza alcun pro-blema. Essi identificano la razza sarda, profondamente radicatial suolo dell’isola; oltre a possedere una loro bellezza, hannotutte le qualità più rare di un’arte non cittadina».

Obiettivo dichiarato del libro è quello di costruire un’os-satura cronologica utile a sistemare opere, nomi e fatti artisti-ci della Sardegna fra il XII e il XVI secolo secondo una logicacoerente di sviluppo. Fin dall’inizio la Goddard King è consa-pevole che l’estrema scarsità di materiale archivistico relativoall’antica pittura sarda rende impossibile una storia deglieventi che si affidi sicuramente al dato documentario; biso-gna invece entrare nel vivo della struttura e del linguaggioformale dei dipinti, e nel farlo occorre non trascurare nulla:l’analisi della provenienza e del luogo di produzione, la mi-nuziosa lettura iconografica delle scene e delle figure, l’accu-rata distinzione delle mani e l’identificazione del nome o del-la personalità dell’artista, l’intuizione della temperie artistica eculturale da cui è scaturita l’opera. Le si potrebbe semmai

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praticamente gli albori non solo della storia dell’arte in Sar-degna, ma anche di quella iberica, se si considera che i solirepertori allora consultabili erano quelli del Bertaux e – perla pittura catalana – del Sanpere i Miquel,5 e che la monu-mentale opera del Post era ancora di là da venire. Col tem-po, la storiografia specialistica si è andata arricchendo, maciò non toglie che il libro della Goddard King abbia segnatouna tappa importante e per la conoscenza della pittura iberi-ca, e soprattutto per quella della pittura sarda, rispetto allaquale ha svolto un ruolo della massima importanza. Que-st’ultimo, forse, non è stato sempre riconosciuto; si segnala-no tuttavia le esplicite menzioni dell’opera nel catalogo dellamostra Cultura quattro-cinquecentesca in Sardegna, Retablirestaurati e documenti, tenutasi a Cagliari nel 1983,6 e perinciso l’affermazione di Federico Zeri, in un’intervista sullaNuova Sardegna, che non sia stato un caso «che il primo li-bro sulla pittura sarda, quello della Goddard King, sia statostampato a Filadelfia».7 Come dire, soltanto un occhio noncondizionato dalla “piacevolezza” della pittura italiana pote-va ritrovarla, e in termini di “bellezza”, in una pittura comequella sarda, per certi versi “primitiva” di nome e di fatto.

L’intervista rilasciata da Zeri prendeva le mosse dall’iden-tificazione di un inedito di Pietro Cavaro, comparso a Londrasul mercato antiquario. Dovrebbe trattarsi della Crocefissionegià nel chiostro della chiesa di S. Domenico, ammirata dalviaggiatore francese Valery e quindi ricordata da Alberto Del-la Marmora, che ne riferisce la sparizione e alienazione dap-prima a uno «speculatore» locale, poi «all’estero».8 Non risulta

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5. Bertaux 1907; Sanpere i Miquel 1906, 1910-14.6. Fra le altre, quella di Joan Ainaud de Lasarte, in Cultura 1985, p. 25. Cfr.anche Daniele Pescarmona, nei saggi di sintesi in Pittura 1987, p. 489, e1988, p. 527.7. Federico Zeri, in Magnani 1992.8. Valery 1837 (1996, p. 135): «La chiesa di San Domenico offre una no-tevolissima pittura, una Crocifissione, con numerosi ritratti tra i quali sidistingue quello di Dante, vicino al buon ladrone che l’eccellente stimadel [pittore Giovanni] Marghinotti arrivava ad attribuire al Masaccio»;

nel 1455 ai pittori catalani Rafael Tomàs e Joan Figuera, conl’esplicita richiesta che lo eseguissero in Sardegna; le tavoledel Retablo di Castelsardo, della Madonna col Bambino (og-gi a Birmingham) e del Retablo di Tuili, datato al 1500, attor-no alle quali si è costruito il corpus del Maestro di Castelsar-do; il grandioso Retablo di Ardara, con la firma di GiovanniMuru e la data 1515 nella predella; il Retablo di Villamar, fir-mato e datato nel 1518 dal cagliaritano Pietro Cavaro. Il re-pertorio è arricchito non solo dalla considerazione di pezzidi emergenza assoluta, quali la Predella di S. Lucifero, attribui-ta a Joan Figuera, e il Retablo dei Beneficiati nella cattedraledi Cagliari, ma anche di diversi dipinti di qualità non eccelsae per giunta dislocati in centri periferici e difficilmente rag-giungibili, quali il Retablo della Peste a Olzai e quelli di Olienae Perfugas. Certo ella ebbe la fortuna di trovare radunate nel“Museo di Cagliari” (oggi la Pinacoteca Nazionale) diverseopere poi restituite alle rispettive chiese di appartenenza, qua-li i polittici di Tuili, Villamar e Gergei, ma in molti casi dovettebasarsi unicamente sul suo taccuino d’appunti e su fotografiein bianco e nero, perlopiù pessime, il che genera diversi erro-ri e imprecisioni; nonostante ciò bisogna rimarcare che ancoraoggi le tavole di Orani e Fonni, pur descritte con minuzia dal-la Goddard King e sporadicamente ricordate in seguito, risul-tano in sostanza trascurate nella storia degli studi.

Quanto alla “bibliografia di lavoro”, che l’Autrice riportòin coda al libro, occorre rilevare che la disponibilità di spe-cifici contributi sull’antica pittura sarda si limitava all’epoca– era il 1923 – a testi ottocenteschi quali il Catalogo della pri-vata pinacoteca del canonico Spano e i vari articoli nel Bul-lettino Archeologico Sardo da lui diretto,2 a qualche interven-to della critica extraisolana,3 alle pionieristiche ma parzialisistemazioni storiografiche di Enrico Brunelli e Carlo Aru:4

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2. Spano 1870 (per il Catalogo) e 1859a-b, 1860, 1861b (per gli articolinel Bullettino).3. Venturi 1907, p. 831 (Pala di Ottana); Chamberlain 1909; Biehl 1913.4. Brunelli 1903, 1907, 1919, 1920a-b; Aru 1911-12, 1920.

tutela e i restauri hanno naturalmente consentito un amplia-mento sia del novero dei dipinti materialmente superstiti econosciuti, sia delle prospettive di analisi storica, iconografi-ca, tecnica e formale, nonché degli strumenti di approfondi-mento critico in relazione alla metodologia di confronto conaltri ambiti della coeva pittura europea.10 Intanto, a volersi at-tenere allo schema di classificazione proposto dalla GoddardKing, c’è da segnalare l’occasionale recupero di importantiaffreschi di età romanica – nella chiesa di S. Nicola di Trullasin agro di Semestene e in quella di S. Pietro alla periferia altadi Galtellì – e d’altri di età gotica – nel S. Antonio abate diOrosei e nella Nostra Signora de sos Regnos Altos, cappellapalatina del castello di Serravalle a Bosa – i quali, assieme adaltre emergenze minori, negano il carattere di unicum fin quirivestito dagli affreschi absidali di Saccargia nell’ambito dellapittura murale del medioevo sardo. Per quanto attiene al se-condo gruppo, cioè alle tempere su tavola comprese fra Duee Trecento, occorre annoverare – fra le opere da antica datain Sardegna e dunque potenzialmente accessibili alla God-dard King – il dossale attribuito a Memmo di Filippuccio (giànella cattedrale di Santa Giusta e poi nell’episcopio di Orista-no) e la Madonna del Bosco nell’altar maggiore della catte-drale di S. Nicola a Sassari, che però soltanto dopo il restaurosi è potuta ascrivere a Nicolò da Voltri. In ogni caso, la pro-venienza dei dipinti o l’educazione italica degli artisti sia de-gli affreschi romanici e gotici, sia delle tavole due-trecente-sche, individuano come punto di riferimento per gli ambientiartistici isolani fra XII e XIV secolo non il versante iberico– come sostenuto dalla Goddard King in relazione a Saccar-gia e alla pala d’altare di Ottana – bensì quello italico, Roma,Pisa e Genova in particolare.

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10. Nelle note di aggiornamento al testo della Goddard King, detti con-fronti sono stati esplicitati quando non troppo generici, in ogni caso ri-mandando ai repertori pittorici di più facile reperibilità e di più agevoleconsultazione, talvolta alle opere specialistiche.

che il panorama degli studi sulla pittura isolana cinquecen-tesca abbia finora registrato in modo significativo la nuovaacquisizione; in ogni caso si tratta dell’ultimo episodio dellalunga serie di alienazioni, esportazioni non autorizzate,appropriazioni indebite e furti, cui è andato soggetto il pa-trimonio artistico non solo sardo. La stessa Goddard Kingriporta in appendice il gustoso aneddoto relativo al provvi-denziale recupero della Predella di S. Lucifero, che stavaper lasciare l’isola ed è ora invece nella Pinacoteca Nazio-nale di Cagliari; come pure, ragionando sulla tavola dellaMadonna di Birmingham9 e sulla scorta degli appunti presidalle Giles nei loro viaggi di ricerca, deduce che la consi-stenza numerica degli antichi dipinti in Sardegna dovesseessere in realtà ben maggiore, fino ad anni per lei recenti.Tuttavia, ritiene che il panorama da lei delineato risulti senon completo, almeno significativo rispetto alle più impor-tanti delle opere superstiti.

L’affermazione corrisponde solo in parte a verità. Il pro-gresso degli studi, la catalogazione dei beni artistici, la loro

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Della Marmora 1860 [1997, pp. 147-148]: «… non si trova più a Cagliari.Subito dopo la legge del 1855, relativa alla soppressione dei conventi, ifrati di San Domenico si affrettarono a vendere questo quadro a unospeculatore, che preferì il suo personale profitto al senso patriottico diconservare un bel quadro al suo paese; infatti fu venduto all’estero».Cfr. pure Spano 1861a, pp. 276-277: «… sicuramente era … di pennellosardo … Se la negligenza dei passati non avesse fatto smarrire molte ta-vole delle antiche Chiese, oggi la Sardegna avrebbe da lodarsi di moltidei suoi figli che si distinsero in quest’arte dei quali sappiamo i nomi,ma non abbiamo le opere».9. La tavola della Madonna col Bambino, angeli e committenti del Mae-stro di Castelsardo, oggi a Birmingham nel City Museum and Art Gallery,è probabilmente quella descritta nel chiostro della chiesa cagliaritana diS. Rosalia da Spano 1861a, pp. 253-254: «rappresenta la Madonna sedutain trono cogli angeli che la incoronano: vi è un grande sfarzo di doratu-ra nelle vesti della Vergine, intagliate a fiorami, ed incisi come a bulino.Al di sotto vi sono due antichi ritratti di mezza figura in atto di orare; chisa che non siano marito e moglie e che ne abbiano ordinato il quadro,che forse era collocato in qualche cappella eretta a loro spese».

Ciò detto, converrà premettere che, considerati i moltepli-ci nessi che la pittura quattro-cinquecentesca in Sardegna in-trattiene con quella iberica, valenzana ma soprattutto catalana,se ne sintetizzano qui alcuni spunti di rilettura critica sullabase anzitutto della classificazione della pittura gotica catalanain quattro (o cinque) fasi, ormai generalizzata nell’ambito de-gli studi:15 prima fase, stile “lineare protogotico” (1275-1350circa); seconda fase, “italogotico” (1325-1400 circa); terza fa-se, “gotico internazionale”, divisa in due momenti (1375-1435circa; 1420-1460 circa); quarta fase: “tardogotico”, o della se-conda metà del XV secolo (1440-1500 circa). Rispetto alloschema della Goddard King, c’è da osservare che il suo “ter-zo gruppo” di dipinti – quattrocenteschi di tipologia iberica –viene ad abbracciare per intero la terza e quarta fase dellaclassificazione catalana, collocandosi fra il 1410 circa (Reta-blo dell’Annunciazione) e il 1500 (Retablo di Tuili), mentre il“quarto gruppo” – cinquecenteschi della “scuola di Stampa-ce” – non rientra più nel Tardogotico iberico, dovendosipiuttosto rapportare all’epoca del primo Rinascimento, in cuil’apertura al manierismo italico si fa tangibile sia in Catalo-gna e nel Valenzano, sia in Sardegna fra il Retablo di Villa-mar del 1518 e gli epigoni dei pittori cagliaritani di Stampa-ce, fino ai primi anni del Seicento.

Non sono sopravvissuti nell’isola dipinti, ma solo docu-menti d’archivio, relativi alla fase “italogotica” della pitturacatalana; fra questi, l’attestazione di una pala d’altare eseguitanel 1403-04 da Pere Serra per la Sardegna. Il più antico polit-tico di cui siano giunte fino a noi le tavole è il Retablo del-l’Annunciazione, attribuito a Joan Mates, uno dei maggioriesponenti del primo momento del “gotico internazionale” inCatalogna. La Goddard King gli dedica un’attenzione margi-nale, così come trascura la verifica della notizia, pure in suopossesso, di due tavole oristanesi del Retablo di S. Martino,

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15. Per la pittura gotica catalana cfr. soprattutto il ricchissimo corpus diGudiol i Ricart, Alcolea i Blanch 1986.

È comunque in relazione al terzo e al quarto gruppo, diquelli individuati dalla Goddard King, che si sono registratele nuove acquisizioni e le focalizzazioni critiche di portatamaggiore rispetto alle conoscenze esperite fino agli anniVenti. In quest’ottica, l’impulso dato agli studi di storia del-l’arte in ambito iberico dalla pubblicazione dell’imponenteHistory of Spanish Painting di Chandler Rathfon Post11 nonpoteva non determinare una ricaduta anche in ambito sardo.Così, se da un lato la catalanistica è giunta via via a configu-rare un’analisi esauriente della produzione pittorica di polit-tici tre-cinquecenteschi che si configurano secondo lo sche-ma del retablo (o retaule), dall’altra gli studi sardi hannoconosciuto la stagione della messa a fuoco delle personalitàdi Pietro e Michele Cavaro, e della “scuola di Stampace” ingenere, da parte dell’Aru e di Raffaello Delogu,12 quindi lasistemazione complessiva da parte di Corrado Maltese e Re-nata Serra, e soprattutto di quest’ultima, alla quale si devonoi contributi più approfonditi in materia.13 Negli ultimi duedecenni si sono poi gradualmente definiti metodi di approc-cio variati e diversi dai tradizionali indirizzi di lettura storico-formale, che consentono l’approfondimento in sede di espo-sizioni temporanee14 o in chiave ad esempio iconologica, odi peculiarità tecniche, con inedite prospettive di ricercaquali quelle aperte dalle indagini non distruttive sul “dise-gno sottostante” la stesura pittorica vera e propria.

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11. Post 1930-66.12. Aru 1924, 1926; Delogu 1937, 1945.13. Cfr. specialmente Maltese 1962; Maltese, Serra 1969; Serra 1980,1990, quest’ultimo con schede e bibliografia curate da chi scrive.14. Fra le mostre più rilevanti, delle quali cfr. il rispettivo catalogo: Ca-gliari, convento di S. Domenico e Cittadella dei Musei, 26 dicembre1983-20 gennaio 1984 (Cultura 1985); Cagliari, cripta di S. Domenico,luglio-agosto 1992 (Pittura 1992a); New York, IBM Gallery of Scienceand Art, 14 dicembre 1993-29 gennaio 1994 (Retabli 1993); Nuoro, Gal-leria Comunale d’Arte, e Sassari, Museo Nazionale “G. A. Sanna”, 30marzo-2 maggio 1998 (Devozione 1998).

sostanzialmente catalano-fiamminga, ma il primo – che firmail Retablo della Visitazione nella Pinacoteca Nazionale di Ca-gliari ed è documentato fino al 1516 in Sardegna – si mantie-ne fedele negli impianti iconografici alla tradizione valenza-na, mentre il secondo manifesta una decisa componenteitaliana, nella geometrizzazione dei volumi della Madonna diCastelsardo come nell’abbandono integrale dei fondi d’oronel Retablo di Tuili, che gli viene pagato nel 1500. Una spe-ciale posizione, in quest’ambito di discorso, riveste il Retablodi Ardara, opera composita, della quale solo la predella èrestituibile a Giovanni Muru, che la firmò nel 1515, ma cheper il resto si configura curiosamente arcaico, come avvertepure la Goddard King: più che un’opera del Cinquecento, lasi direbbe pienamente immersa nel clima pittorico del seco-lo precedente, se non fosse per l’aggiornamento delle icono-grafie sulla scorta di modelli grafici desunti dalle stampe diDürer, in particolare di quelle della Vita di Maria (1503), cheevidentemente conobbero un’immediata e ampia circolazio-ne, giungendo anche in Sardegna.

È il manifesto utilizzo di queste ultime, del resto, ad averorientato verso il primo decennio del XVI secolo la colloca-zione del Retablo di Sanluri, già ascritto alla fine del Quat-tro-inizi del Cinquecento sulla base della sua consonanzacon quell’ambito di circolazione mediterranea della cultura,che la stessa Goddard King individua e sottolinea con effica-cia proprio in relazione a quest’opera: la Pala di San Severi-no a Napoli, da un lato; il Retablo di San Martino a Segorbe,del valenzano Jacomart, dall’altro; e al centro delle rotte com-merciali e artistiche il polittico di Sanluri (oggi nella Pinacote-ca Nazionale di Cagliari), con la sua vibrante figura di Sant’Eli-gio vescovo, ma anche con il Trionfo di Anfitrite fra i dettaglisecondari, spia eloquente di interessi antiquari di marca uma-nistica, che non mancheranno di ripresentarsi nell’opera diPietro Cavaro, con cui si guadagna l’effettivo affrancamentodalla pittura iberica e si registra il monopolio delle botteghecagliaritane nelle commissioni artistiche dell’isola.

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oggi nell’Antiquarium Arborense, non distanti dai modi diRamon de Mur e da collocare pertanto entro il 1435 circa.Entrando nel secondo momento dello stesso ambito stilistico,si incontra subito il primo polittico di tipologia gotico-catalanache risulti documentato come sicuramente eseguito in Sarde-gna: è il Retablo di San Bernardino, che come quello dell’An-nunciazione si trovava nella chiesa di S. Francesco di Stampa-ce ed è oggi custodito nella Pinacoteca Nazionale di Cagliari;fu commissionato nel 1455 ai pittori catalani Rafael Tomàs eJoan Figuera e dipinto nell’arco di un anno, a Cagliari, dove ilsecondo dei due dovette impiantare bottega, forse a Stampa-ce, dando così vita a una tradizione che fin dalla secondametà dello stesso secolo stabilirà in questo quartiere cagliari-tano il fulcro delle attività pittoriche.

A Joan Figuera la Goddard King attribuisce non solo laPredella di S. Lucifero, che gli è del resto ancora oggi ricono-sciuta, ma addirittura la tavola nel Museu d’Art de Catalunyaa Barcellona con San Giorgio e la principessa, da restituire alcentro di un trittico nel quale s’individua una delle opere ca-pitali di Jaume Huguet, senz’altro il pittore più significativodell’ambiente catalano e specificamente barcellonese dellaseconda metà del XV secolo. Una scivolata solo apparente-mente grossolana, che trae origine in verità dall’alta qualitàformale dei dipinti della predella cagliaritana, purtuttavia infe-riore a quella altissima di Huguet. Semmai, l’errore di pro-spettiva si rivela nella mancata cognizione di quei caratteri di-stintivi della quarta fase della pittura catalana, di cui Huguet èappunto il massimo rappresentante, nella quale l’abbandonodelle formule gotico-internazionali dà vita a una vivace dialet-tica fra il polo tardogotico catalano-valenzano da una parte, equello umanistico fiammingo-napoletano dall’altra.

È appunto ai poli opposti di tale temperie culturale chesi collocano nella sostanza la personalità di Joan Barceló equella dell’anonimo pittore denominato Maestro di Castelsar-do, con i quali si chiude la fase tardogotica della pitturaquattrocentesca isolana. Entrambi rivelano un’educazione

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“avanguardia”, risulterà certo incomprensibile questa presadi posizione della Goddard King nei confronti di Pietro Cava-ro, il quale – educatosi a Barcellona entro il 1508 e dal 1515nuovamente a Cagliari dopo un passaggio napoletano – giànelle tavole di Villamar supera decisamente i dati della suaformazione tardogotica per aderire a un linguaggio appuntoitalianizzante, che ne segnerà l’evoluzione fino all’impiantomonumentale e manierista dei Santi Pietro e Paolo nelle portedel perduto retablo di S. Domenico. Successivi “ritorni di fiam-ma” per il decorativismo di marca catalano-valenzana – se èsua la tavola con Sant’Agostino in cattedra – o per il descrit-tivismo fiammingo – se lo è pure quella con le Stigmate diSan Francesco – non inficiano il senso e la portata della svol-ta, del resto pienamente avvertibile, anche se ormai di ma-niera, nelle opere che si attribuiscono al figlio Michele (inparticolare la Madonna della Consolazione nei modi del raf-faellismo meridionale) come in quelle di Antioco Mainas edella bottega stampacina sino alla fine del XVI secolo.

Più che il massiccio ingresso a Cagliari di opere d’impor-tazione campana come la Pala di Sant’Anna del napoletanoGirolamo Imparato, che la firmò nel 1594, o l’affascinanteproduzione tardomanierista dell’algherese Francesco Pinna,attivo sino agli inizi del Seicento, importa qui focalizzare l’at-tenzione su un nodo storico cruciale, sul quale si addensanoproblemi sostanzialmente irrisolti, che trovano la critica in-decisa e su posizioni ancora oggi in netto contrasto. La God-dard King esamina il Retablo dei Beneficiati nella cattedralecagliaritana, senza però conferirgli il dovuto rilievo: effettiva-mente, prima dei restauri, l’opera si trovava in condizioni didifficile leggibilità, ma l’imbarazzo della studiosa è ugual-mente tangibile, per la profonda alterità di questo dipintonel panorama sardo-catalano, in cui viene a trovarsi presso-ché isolato. Anche a voler considerare sullo stesso piano diriferimenti culturali il pur deteriorato Retablo dei Consiglierinel Palazzo del Comune di Cagliari, non può farsi a meno dirilevare la qualità infinitamente superiore del dipinto della

Prefazione

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Indubbiamente da qui in poi la trattazione della GoddardKing si fa meno lucida e incisiva: l’Autrice si trova evidente-mente più a suo agio nel Quattrocento, che nel Cinquecento.Non manca certo di applicarsi con l’usuale meticolosa atten-zione tanto su polittici di minore rilevanza, quanto sul grandeRetablo di Villamar, del quale riconosce il complesso disegnoiconografico e dottrinale, ma non ne avverte la qualità, proba-bilmente perché le sue personali preferenze vanno a una pit-tura meno colta, più genuina, più “contadina”, nella qualesente l’anima della sardità.16 Arriva a tacciare Pietro Cavaro disemianalfabetismo (ma non sono del resto scorrette tutte,senza eccezione alcuna, le iscrizioni latine nei retabli?) e diservilismo, poiché nel firmare nel 1518 la pala di Villamar sidice pictor minimus Stampacis: ma non per falsa modestia(cioè: “il meno importante dei pittori di Stampace”, come in-terpreta la Goddard King), bensì probabilmente perché era lui“il più giovane” dei pittori di Stampace. Insomma, lo splendi-do Retablo di Villamar non incontra il suo gusto estetico, per-ché – come trascrive (p. 179) dal suo taccuino di appunti –«Lo stile è più morbido, italianizzante: ombre addolciscono ivolti benché persista in profondità una forma abbastanza de-cisa; non vi è vivacità nel colore; tutte le figure si atteggiano apose assolutamente prive di tensione drammatica».

A una mentalità moderna, abituata a esprimere giudizi divalore sull’arte, anche quella antica, in base al maggiore ominore grado di aggiornamento e adesione alle tendenze di

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16. «… grande sobrietà di forme e di gesti; partiti compositivi rigorosa-mente bilanciati; i dettagli delle figure basati sull’immediata percezionecomune, e non dedotti dallo studio dell’anatomia e dai modi accademi-ci, cosicché le pose risultano imitate dal vero anziché costruite. Il ruolodelle ombre è ridotto al minimo, il colore è onnipresente, forte, e usatoper le sue qualità intrinseche. Le semplificazioni formali che tutto ciòcomporta fanno emergere quella bellezza della reticenza, quella graziadell’espressione imperfetta, quella subordinazione dei fatti ai dati dellinguaggio artistico, quell’insistenza e predominanza di un canone», incui la Goddard King sembra riconoscere non solo «lo stile quattrocente-sco» (p. 148), ma l’essenza stessa del Kunstwollen isolano.

Che la mano della tavola della Crocefissione possa esserdiversa dalle altre dello stesso polittico, è ipotesi da prenderein considerazione, anche se pare improbabile che sia quelladello stesso Pietro Cavaro. Che il Cristo sia poi diverso rispet-to alle figure dei ladroni, e invece affine per postura al tipo“sardo” di un problematico bellissimo dipinto col Crocefissoin Corte d’Appello a Cagliari, complica i termini del proble-ma anziché chiarirli. Si innesta peraltro, a questo punto, unulteriore importante nodo irrisolto, che concerne la posizionecronologica dell’attività dell’altro anonimo che va sotto il no-me di Maestro di Ozieri. È il “grande assente” nella sistema-zione critica della Goddard King, che d’altronde non ne cono-sceva nemmeno il Retablo di Nostra Signora di Loreto, attornoal quale si è raccolto il corpus delle opere che gli vengono at-tribuite. Intanto, varie nuove acquisizioni hanno evidenziatonon un’attività sporadica, bensì un’effettiva bottega del pittorenel territorio centro-settentrionale sardo, in anni la cui defini-zione trova divisa la critica fra la tesi che li individua nella fi-ne del Cinquecento, per l’avvenuta assimilazione di modi for-mali propri della maniera italo-meridionale, e l’altra che livorrebbe compresi entro la metà dello stesso secolo, per ra-gioni di natura opposta, cioè per la fresca adesione alla tem-perie del primo manierismo: il dibattito è ancora aperto.

Fra i dipinti riconosciuti alla sua produzione iniziale sicolloca appunto il Crocefisso oggi nel Museo Sanna di Sassa-ri, che la Goddard King descrive nei termini di “crocefissosardo”, in virtù della caratteristica postura delle gambe ripie-gate in alto ad angolo retto e coperte per metà da un ampioperizoma. Identico dettaglio iconografico nell’interpretazionedel Cristo crocefisso si riscontra poi in altre tavole ascritte alMaestro, nella Crocefissione del polittico di Ozieri come inquelle di Wiesbaden, Cannero e Benetutti, derivanti da reta-bli smembrati. Indubbiamente la resa pittorica dei crocefissidel Maestro di Ozieri risulta da un impianto più disegnativo,da un materiale cromatico meno corposo rispetto a quellinel Retablo dei Beneficiati, di un realismo assai più crudo, e

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cattedrale, che se ne discosta anche per le manifeste e preci-se citazioni da Michelangelo e Raffaello (rispettivamente, iladroni della Crocefissione trasposti da figure della volta dellaCappella Sistina e la finestra dell’Arcangelo Gabriele ripresadalle Logge vaticane) che presuppongono l’utilizzo di ap-punti grafici presi in diretta a Roma, in anni non troppo disco-sti dalla diaspora della scuola raffaellesca dopo il sacco del1527. È pero il cromatismo a sorprendere: un colore acceso,a forti contrasti, irreale, che rimanda a quello antinaturalisticodi Pedro Fernández e in generale a quell’ambito di pittori iti-neranti fra Napoli e Girona, nel quale il nostro potrebbe es-sersi formato. Appunto in tale direzione sono andate le pro-poste dei vari storici dell’arte, che nel toglierlo a Pietro o aMichele Cavaro l’hanno via via attribuito a un manierista ibe-ro-campano, eventualmente “ospite” della bottega di Stampa-ce, ovvero a Pedro Machuca, ma senza giungere in realtà auna definizione soddisfacente.

Lungi dal pretendere di dare una risposta esauriente alproblema, si vuole qui ribadire che la tangenza di quest’ope-ra con la produzione pittorica della “scuola di Stampace” è inrealtà più forte di quanto generalmente ammesso. Se è veroche la visionarietà dell’Annunciazione e i tratti anticonven-zionali della Madonna col Bambino risultano estranei allesuccessive elaborazioni dei pittori stampacini, è però innega-bile che, per la prima volta o meno, nella Crocefissione diquesto polittico compare un nuovo tipo di Cristo, prefigura-to a Villamar nella caratteristica posa che la Goddard Kingdefinisce “sarda”: le gambe ripiegano verso l’alto, ad angoloretto, come nel probabile modello locale rappresentato dallascultura lignea del Cristo di Nicodemo nel S. Francesco diOristano. Di fatto tale tipologia sembra esclusiva della Sarde-gna, fra il 1518 circa e la fine del Cinquecento, e la constata-zione che l’ancora anonimo “ospite” ibero-campano l’abbiaadottata fa propendere per una sua frequentazione dell’am-biente cagliaritano ben più intensa e radicata di quel che sisia disposti ad affermare.

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[di Tuili] sembra aver sofferto di malaria: è qualcosa di piùche una mezza verità, dato che qui come altrove la consue-tudine prescrive che più è santa la persona, più viene predi-letta, e l’aria sofferente della Vergine smunta, piatta di seno,con grandi occhi, conduce fatalmente all’identificazione dilei con l’avvocato della povera gente costretta a vivere inuna dura terra … È prerogativa a vantaggio dei Sardi, in tut-te le arti, nell’intreccio come in altri bei lavori di artigianato,nel folklore, persino nella storia, quella d’aver sempre man-tenuto un carattere proprio, non più che nel Retablo di Tuili.Questa peculiarità – una volta riconosciuta, una volta soddi-sfatta da un colore forte e ben distribuito, da una drammati-ca tensione narrativa che non potrebbe essere più pittore-sca, da una romantica inclinazione per il paesaggio, da unasuggestiva, emozionale vocazione naïf, e da un’individualitàche ha assimilato tutta una serie di elementi anche alieni oesotici, in una tradizione consapevolmente rivissuta, una vol-ta accettata in questa disposizione mentale – la si apprezzacompletamente».

Roberto Coroneo

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Si ringrazia la Bryn Mawr University, nella persona del Direttore dellaBiblioteca, Mr. James Tanis, per la generosa collaborazione.

nella tavola in Corte d’Appello, dal torso michelangiolesco.Semmai gli accentuati grafismi e l’asciutta sostanza pittorica liaccosterebbero alle repliche seriori (e qualitativamente mode-ste) della “scuola di Stampace”, il che farebbe ancora una vol-ta propendere per una datazione tarda, che scavalca la metàdel secolo, ma che ripropone comunque l’interrogativo di unaformazione del Maestro di Ozieri nell’ambito dei pittori stam-pacini, o comunque della mediazione di modelli pittorici dellabottega cagliaritana.

L’individuazione di quello da lei chiamato il “Cristo sar-do” non è che uno dei molteplici contributi che la GoddardKing apporta alla messa a fuoco delle specificità della culturapittorica isolana del Quattro-Cinquecento. Come dichiarato odato per ormai acquisito in diversi punti-chiave del testo,l’Autrice è convinta che, nella storia dell’architettura, «quella“sarda” è una denominazione che va riconosciuta a pieno ti-tolo, alla pari di quella “lombarda”, “cistercense” o “borgo-gnona”» (p. 41), e di conseguenza che anche alla pittura inSardegna siano riconoscibili caratteri di piena autonomia ri-spetto a quella catalana o valenzana o napoletana: per que-sto si è deciso di mantenere nella presente riedizione il titolodi Pittura sarda, che risulta dalla traduzione letterale di Sar-dinian Painting, anziché seguire l’uso corrente, che certo inmaniera più appropriata avrebbe suggerito Pittura in Sarde-gna, in relazione ai pittori italici del Due-Trecento, a quellicatalano-valenzani del Quattrocento, come pure ai sardi cheoperarono nel Cinquecento.

Che per la Goddard King l’antica pittura sarda rifletta ap-pieno l’autentica sensibilità isolana, più di ogni altra espres-sione di cultura religiosa che l’ha preceduta o seguita, risul-terà evidente a chiunque ne legga il testo, scritto in un ingleseforse non impeccabile ma con un linguaggio piano e acces-sibile, ricco peraltro di spunti interessanti sotto diversi puntidi vista, frutto della dedizione che l’Autrice non manca diesprimere con trasporto verso la realtà sarda, e non solo arti-stica (pp. 118-119): «si è acutamente osservato che la Vergine

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AVVERTENZE REDAZIONALI

La traduzione mantiene, per quanto è possibile, la letterae il senso del testo originale, riflettendone il carattere di riela-borazione di appunti e osservazioni “sul vivo” destinati a suc-cessivo approfondimento nelle intenzioni dell’Autrice. Nomi,date e testi epigrafici sono stati uniformati ovvero corretti aseconda del caso. Le note sono state integrate sia con alcune– le più significative – delle annotazioni di vario contenuto,che la stessa Goddard King appose al margine sinistro dellacolonna di testo, sia con vere e proprie note di aggiornamen-to critico e bibliografico, redatte dal curatore. Queste ultimesono state poste entro parentesi quadre, mentre le annotazionidell’Autrice risultano segnalate con il carattere italico o inseritenel testo. Per gran parte delle citazioni in nota è stato possibi-le procedere a una verifica delle fonti utilizzate dalla GoddardKing; come per quelle del curatore, si è adottata la forma ab-breviata di rimando alla bibliografia finale. Quest’ultima è statauniformata alle norme correnti e ampliata con le integrazionibibliografiche relative all’aggiornamento operato dal curatore.

L’edizione del 1923 include 41 tavole in bianco e nero,perlopiù di cattiva leggibilità anche a causa delle condizionidei dipinti, allora non restaurati. Si è scelto di sostituirle conriproduzioni recenti, a colori, variando in qualche caso i sog-getti delle illustrazioni, la cui numerazione pertanto non cor-risponde a quella dell’originale. Ogni didascalia è stata rifor-mulata sulla base dell’attuale attribuzione, denominazione eubicazione dell’opera. Infine, mentre si traduce qui la secon-da delle due appendici all’opera della Goddard King, si èpreferito non ripubblicare la prima, sui pittori Reixac, Jaco-mart e Huguet: è vero che si tratta di tre fra i maggiori espo-nenti di quell’ambiente catalano-valenzano in rapporto con lacultura artistica sarda fra Quattro e Cinquecento, ma il contri-buto dell’Autrice consiste di semplici dati biografici, superatialla luce della storiografia recente.

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NOTA BIO-BIBLIOGRAFICA

Georgiana Goddard King (1871-1939) fu Professore diStoria dell’Arte nell’Università statunitense di Bryn Mawr e di-rettrice della collana “Bryn Mawr Notes and Monographs” nel-la quale uscì come quinto volume, stampato a Philadelphianel 1923, Sardinian Painting, dedicato all’antica pittura sarda.

Fu inoltre membro dell’Hispanic Society of America, l’as-sociazione d’ispanisti fondata da Archer Milton Huntington(1870-1955) nel 1804, aperta al pubblico nel 1908 e tuttoraattiva, con sede a Broadway.

Pubblicò articoli in riviste specialistiche e diversi studimonografici, dedicati all’approfondimento di aspetti culturalie artistici dell’area iberica.

Fra gli articoli: “Some Famous Paintings in Barcelona”, inArt and Archaeology, IV, 1916, pp. 55-56; “The Journey ofFerrer Bassa”, in Art Bulletin, XVI, 1934, pp. 116-122. Fra lemonografie: The Way of Saint James, 1920; A Brief Account ofthe Military Orders in Spain, 1921; Citizen of the Twilight: JoséAsuncion Silva, 1921; Pre-Romanesque Churches of Spain,1924; Mudéjar, 1927; Heart of Spain, uscito postumo, a curadi Agnes Mongan, nel 1941.

Sua è infine la cura degli scritti di George Edmund Street,Some Account of Gothic Architecture in Spain, 1914; Unpu-blished Notes and Reprinted Papers, 1916.

Furono gli interessi da ispanista ad avvicinarla alla culturaartistica della Sardegna; sin dal 1904 un suo libro, Comediesand Legends for Marionettes, A Theatre for Boys and Girls, re-ca illustrazioni di Anna Rose Giles, l’amica che l’avrebbe gui-data alla conoscenza del territorio sardo.

Stefania Lucamante

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PITTURA SARDA DEL QUATTRO-CINQUECENTO

RINGRAZIAMENTI

Non avrei potuto intraprendere questo lavoro senza laprofonda conoscenza dell’isola e della cultura sarda e l’aiutocostante della mia cara amica A[nne] R[ose] Giles di Sassari.Non l’avrei mai portato a compimento senza la generosa corte-sia del Dott. Carlo Aru del Museo di Cagliari, la cui competen-za mi ha assistito per tutta la stesura dell’opera. Forte è inoltreil mio debito di riconoscenza verso il direttore di quel Museo, ilComm. [Antonio] Taramelli, di cui ricordo con piacere il since-ro interessamento. Ho l’obbligo di ringraziare il Prof. [Enrico]Brunelli per il dono dei suoi articoli, che rappresentano gli uni-ci contributi di sicuro spessore, non scritti da sardi, finora datialle stampe nel campo degli studi sulla pittura isolana. I dati inquesto libro sono dedotti dagli scritti d’architettura del Dott.Aru e del Signor [Dionigi] Scano, di pittura del compianto Ca-nonico [Giovanni] Spano, di storia del Barone [Giuseppe] Man-no. Mi assumo per intero la responsabilità delle convinzionipersonali poiché conosco la Spagna meglio di molti studiosiitaliani, e l’Italia meglio degli spagnoli in genere. Resterebberosemplici opinioni, se non fossero fondate su dodici anni di co-stante studio dei Primitivi catalani e valenzani e ventiquattrodedicati all’antica pittura italiana. Ho esaminato sul posto quasitutti i dipinti di cui scrivo. Alla generosità del Dott. Aru e delmio vecchio e compianto amico Señor [Salvador] Sanpere i Mi-quel, alla gentile concessione del Direttore Taramelli, al lungoe laborioso lavoro della Giles e ai fotografi, il Señor Mas diBarcellona e i fratelli Alinari di Firenze, devo le fotografie, sullequali ho studiato per due anni e che qui riproduco.

Ringrazio Emilio Cabot di Barcellona e il Consiglio Munici-pale di Birmingham per aver permesso la pubblicazione dellagrande tavola con San Giorgio, di Joan Figuera [sic], e di quellacon la Vergine, probabilmente da Oristano [sic]. Sono inoltre ri-conoscente soprattutto al Presidente della Hispanic Society ofAmerica, che commissionò l’impresa e la cui intuizione trova inquest’opera, spero, la miglior conferma (maggio 1922).

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LA SARDEGNA FINO AL 1600

Non molto si sa di alcune fra le grandi isole del Mediterra-neo – Cipro, Creta, Malta, Sardegna e Baleari – simili a perlesciolte che un tempo formavano una collana. In origine forseil tipo di civiltà era analogo, dato che lo stampo etnico si man-tiene ancora oggi essenzialmente identico. In una determinataepoca, la Sardegna costituì il più remoto avamposto occidenta-le del traffico egeo: gli artigiani del re Minosse e i lavoranti diDedalo portarono nell’isola i loro manufatti in terracotta e viinnalzarono le loro stele sacre. Anche pani di rame fuso ven-nero inviati e venduti in Sardegna, con il marchio dei sigilliegei. I Tartessani, nei loro viaggi di esplorazione verso est, viintrodussero lavori in bronzo e forse una divinità taurina. La-sciarono ambra al loro passaggio, o in andata o al ritorno, datrasportare nelle torri di pietra fra le colline. I pirati del mare silimitavano a transitare e i selvaggi capitribù che vivevano nelletorri circolari chiamate “nuraghi” vivevano di razzie, ciascunosignore di un piccolo territorio, in accordo reciproco nell’ambi-to di una società impenetrabile, che non conosceva la paura alpari di quella dei “giudici” nel medioevo. Cartagine conquistòla Sardegna nel VI secolo a.C. e le truppe iberiche tradotte diguarnigione nel sudovest dell’isola talvolta disertavano e si al-leavano con le genti di montagna non sottomesse, si sposava-no e si stabilivano nelle zone dell’interno, mescolando il lorosangue con quello della razza affine.

I Romani, subito dopo la trasformazione del regime darepubblicano a imperialistico, si disposero alla sua conquistae colonizzazione;1 Tiberio [Sempronio] Gracco annesse l’isolanel 238 a.C. Grano e sale, legname e minerali, pregiate pietre

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1. [La principale fonte storiografica utilizzata – e in seguito anche espres-samente citata – da Georgiana Goddard King per quest’introduzione è laStoria di Sardegna di Giuseppe Manno (1840), ora disponibile nella rie-dizione in “Bibliotheca Sarda” (1996)].

da costruzione come il basalto, il granito rosso, il porfidoviola e il marmo nero, tutto ciò necessitava alla penisola. Cifurono ancora tentativi di colonizzazione durante l’impero,in massima parte a opera di poveri immigrati o schiavi liber-ti, o vecchi soldati in congedo, ma nomi indigeni sono co-muni persino nelle iscrizioni romane. I Sardi non piacqueromai ai Romani – Cicerone e Orazio furono spesso chiamatiin causa contro di loro – ma in effetti i Romani raramenteamarono i nativi delle regioni colonizzate. Gli isolani ostinatie tarchiati, che furono buoni soldati negli eserciti punici eimperiali come, due millenni dopo, lo sarebbero stati sulBrenta e sulle Alpi austriache, erano difficili da controllarerispetto a qualunque altra mansione. «Se resi schiavi non tol-lerano per nulla la vita in cattività oppure, se decidono dicontinuare a vivere, sfiancano i padroni con la loro ottusitàe insensibilità», nella condizione d’uomini liberi brutalizzatidalla sofferenza. Citando uno studioso imparziale e in effettiobiettivo,2 «agli intrattabili Sardi vestiti di pelli che riempiro-no i mercati italiani degli schiavi fu affidato il compito dirappresentare una razza che aveva raggiunto un grado di ci-viltà relativamente alto quando la penisola si trovava ancorain piena barbarie».

La religione primordiale dell’isola potrebbe essere statauna sorta di culto dell’albero e della stele; quasi certamenteessa fu presto trasformata in culto dei progenitori defunti e indevozione verso i luoghi di sepoltura della gente autoctona.Le religioni orientali non si radicarono nell’isola; erano sìadorate divinità egizie e almeno in un caso Giove Dolicheno,ma del culto di Mitra non si è trovata traccia. Il temperamen-to locale, alieno da misticismi, era invece diretto, fervido,dedito alle relazioni umane più semplici. Sotto gli Antoniniesistevano fra i Sardi comunità cristiane, perseguitate sottoDiocleziano. Nel II secolo i cristiani furono condannati a la-vorare nelle miniere sarde; nelle persecuzioni di Dioclezianofu martirizzato San Lussorio, un soldato romano convertitosi

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2. Bouchier 1917, p. 21; cfr. pp. 2, 73.

grazie alla lettura della Bibbia; sotto Costanzo II San Luciferovescovo [di Cagliari] era talmente ortodosso che alla fine fugiudicato scismatico. È indicativo che la Chiesa sarda si siaschierata per il partito dell’Occidente, anche se al limite del-l’ortodossia e oltre, nella controversia ariana; l’isola, che volgeun ripido costone di roccia all’est e offre porti solo all’ovest,al nord e al sud, ha sempre guardato in direzione del percor-so compiuto dal sole.

La Sardegna appartenne al regno vandalico e accolse esi-liati africani così come in precedenza aveva accolto mercenaripunici. Le ossa di Sant’Agostino restarono in Sardegna perlungo tempo, sino a quando un re longobardo [Liutprando] letraslò a Pavia; Fulgenzio [vescovo di Ruspe] visse e insegnòper anni a Cagliari e regolò la propria esistenza secondo nor-me canoniche. Dopo i Vandali, i Goti furono padroni dell’iso-la. Dal 533 in poi, la Sardegna fu politicamente una parte del-l’impero orientale e vi si possono trovare tracce, benchéscarse, di costruzioni bizantine3 e intagli copti; ma nel com-plesso l’isola era da un punto di vista ecclesiastico sotto lagiurisdizione di Roma. Le lettere di papa Gregorio Magno mo-strano come una larga parte degli isolani fosse ancora paganae intenzionata verosimilmente a restarlo, dato che gli idolatriversavano lo stesso tipo di tasse per licenze dei cristiani inSpagna sotto la dominazione moresca, e in ciascun caso alpotere civile non dispiaceva incoraggiare una fonte di redditocosì poco impegnativa.

In questo periodo l’invasione araba aveva già conosciutoil proprio inizio e i Longobardi compivano incursioni dalnord: la Sardegna versava in tristi condizioni nel VII secolo.Non si sa con precisione quando i Musulmani occuparonol’isola, ma sicuramente ne divennero i padroni prima del 725.Di volta in volta, il fatto servì da giustificazione a Carlo Ma-gno in merito alla concessione che di essa ne fece al papa;

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3. S. Saturnino di Cagliari. [L’esemplificazione va al martyrium caglia-ritano di S. Saturno, impiantato in età bizantina e ristrutturato in età ro-manica; cfr. Coroneo 1993, sch. 2 con bibliografia precedente].

ai Longobardi che reclamavano l’isola dai Saraceni senza maiessersene impadroniti; ai Franchi che la esigevano assieme alresto dell’eredità del regno longobardo, e concedendo altro-ve, con eccessiva liberalità, quel che non potevano prenderené mai possedettero. La Corsica fu in verità, secondo la Vitadi papa Adriano, così “donata” e accettata; ma la Sardegnanon viene nominata in nessun registro della conferma di Car-lo Magno della donazione di Pipino, né nella corrispondenzapapale con l’imperatore Costantino VI [Pogonato] e l’impera-trice Irene. Si può supporre che l’isola fosse in larghissimamisura autonoma. Quel che l’impero orientale aveva persoalla prima invasione saracena, fu recuperato a malapena peril dominio africano; nell’813 una grande armata fu sbaragliatae distrutta da una tempesta prima che potesse giungere interritorio sardo e cento imbarcazioni saracene colarono a pic-co in acque sarde. Dopo aver perso il loro bottino corso, dicui si era impossessato il conte catalano Ermengardo di Am-purias che al tempo occupava Maiorca, i Mori di Spagna sac-cheggiarono Civitavecchia, Nizza, la Sardegna e alcuni portidel continente ma i Sardi li sconfissero, come viene riportatodalla Cronaca di San Dionigi.4

È difficile dire quel che accadde nel X secolo: probabil-mente i Mori detenevano il controllo dei mari come i loropredecessori cartaginesi, e probabilmente i forti capi dell’in-terno tennero le loro roccaforti e comandarono i loro sudditicome al tempo dei nuraghi. Si possono riferire con tutta pro-babilità a questo secolo i primi giudici, il cui nome può benindicare una signoria, e viene talvolta usato scambievolmen-te con quello di re dagli storici continentali, ma presto rima-se l’unico nome. Nel frattempo è palese che la dominazionesaracena traballasse perché all’inizio dell’XI secolo i papispinsero i Genovesi e i Pisani a recuperare l’isola, controllatadagli africani quando Giovanni XVIII ne offrì la signoria a Pi-sa nel 1004, e quando Benedetto VIII nel 1017 ripeté l’offer-ta, riferendo le atrocità mussulmane a scopo di propaganda:

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4. Manno 1840, vol. I, pp. 340-343 [1996, vol. I, pp. 218-219].

si disse fra l’altro che il re saraceno nel costruire le sue forti-ficazioni vi avesse murato uomini vivi.

La conquista della Sardegna fu tentata nello stesso perio-do dall’ovest dal re di Denia, Mugâhid. Denia era un portorinomato per costruzioni navali: da lì nell’agosto o nel set-tembre 1015 il re partì con la moglie più importante e con ilfiglio maggiore, entrambi cristiani.5 Egli aveva occupato leisole Baleari nella primavera dello stesso anno, e la sua azio-ne era probabilmente competitiva rispetto a quella del papa,piuttosto che ostile nei suoi confronti: in ogni caso sarebbestata una liberazione dell’isola dai corsari e dai barbari idola-tri; ma non fu mai portata a termine.

Forze alleate pisano-genovesi dovettero scacciare Mugâ-hid nel 1016 come registra il Breviario pisano, ma il suo no-me ricorre negli annali pisani sino al 1050. Prima che il se-colo volgesse al termine le due repubbliche continentaliavevano definito le rispettive sfere d’influenza e stabilito isignori delle grandi casate nelle città capitali, con i [Donora-tico della] Gherardesca a Cagliari, i Doria ad Alghero, e cosìaltrove, e gli innesti crebbero come buoni cedri. Pisa re-clamò come sua qualsiasi altra zona fosse stata lasciata sen-za signori.

Nel frattempo ai giudici fu riconosciuta la diretta dipen-denza dal seggio romano e il loro ufficio veniva assegnatoper elezione, benché rimanesse in una singola famiglia perciascuno dei quattro giudicati, Cagliari, Arborea, Logudoro [oTorres] e Gallura.6 I Pisani in qualche modo raggiunsero unaccordo con le autorità locali e portarono nella loro città, as-sieme alle spoglie di Sant’Efisio ritrovate in una tomba in

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5. Chabas 1909. Una copia di questo raro e notevole piccolo annale èstata per fortuna conservata e si trova nella Biblioteca dell’Università diValenza. Solo la magnificenza degli Spagnoli poteva affidare con tantanonchalanche inestimabili frammenti di storia allo spazio dell’annuariopubblicato da un grande quotidiano.6. [Per gli eventi fin qui delineati e per quelli relativi alla Sardegna giu-dicale cfr. i saggi di sintesi in Storia 1988].

Sardegna, i preziosi marmi per la cattedrale, cavati dallemontagne sarde.7 In seguito all’abbandono dell’antica Thar-ros, ormai in rovina, fu costruita Oristano vicino alla foce delTirso, che guardava al modello di Valenza alle bocche del Li-ria [leggi: Turia]. Là si stabilì il giudice d’Arborea, con l’arci-vescovo e il popolo e il clero della regione. Il giudice di Lo-gudoro risiedeva qualche volta nel castello di Torres, sulmare, nel nordovest, e talvolta nella fortificata cittadella diArdara, sulla sommità della collina, praticamente inespugna-bile. I Genovesi eressero sulla costa settentrionale la fortezzaora chiamata Castelsardo, e all’ovest l’ampio e sicuro portodi Alghero. Cagliari, costruendo le sue strade e le sue torrisulla ripida altura sovrastante il porto e la rada, andava riedi-ficando mura e porte e ponendo le fondamenta della catte-drale. Dal Castello di Cagliari, diversi giudici concessero alSan Lorenzo di Genova e alla cattedrale di Pisa donazioniche, nel richiedere in cambio obbligazioni a ciascuna dellecomunità rivali, indicavano una situazione di alleanza piutto-sto che di sottomissione. Furono offerti doni anche al SanVittore di Marsiglia, la stessa grande abbazia benedettina cheaveva possedimenti in Spagna e che a Sant Joan de les Aba-desses aveva spodestato le monache catalane8 per sostituirlecon quelle francesi.

Alla spedizione del 1114 contro i Mori delle Baleari pre-sero parte Torbeno di Cagliari e [Saltaro] il figlio di Costanti-no I di Torres,9 riportando gloria in patria, il maggiore per lasua avvedutezza, il più giovane per le sue imprese. Senzadubbio ottennero anche un ricco bottino di guerra.

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7. [Mentre corrisponde a verità storica la traslazione delle reliquie diSant’Efisio dalla chiesa di Nora a Pisa, non altrettanto può dirsi per laprovenienza sarda dei marmi utilizzati nella cattedrale pisana, per la qua-le la Goddard King si basò probabilmente su inesatte notizie fornite daSpano (1861a, p. 37) in merito alla qualità statuaria del marmo grigio diTeulada utilizzato – a suo dire – fin dall’epoca romana].8. Cfr. Goddard King 1920, vol. II, pp. 133, 500.9. [Per i nomi dei giudici isolani si fa riferimento qui alla dizione in Ge-nealogie 1984].

La generazione successiva assiste alla tragica vicenda diBarisone I di Arborea (1156), che aveva sposato una nobilecatalana con tre ricche città come dote, e che fu scacciatodal proprio dominio a causa della vecchia ostilità delle caseregnanti di Torres e Cagliari. Dietro richiesta dei Genovesi,Federico Barbarossa gli aveva accordato il titolo e i diritti dire dell’intera isola. Tuttavia i suoi sudditi si rifiutarono di pa-gare quanto promesso all’Impero e ai consoli della Repubbli-ca, e questi ultimi lo tradussero a Genova per tenerlo inostaggio in una condizione di signorile cattività. Egli terminòi suoi giorni come il re degli scacchi, in una dignità senzapotere, spostato avanti e indietro da Genova a Oristanomentre il gioco veniva condotto con altri pezzi degli Stati delcontinente. L’ultimo dei documenti conosciuti [che ne riportimenzione] lo mostra ancora nel suo caratteristico atteggia-mento, come colui che guarda al vescovo prima di fare laprossima mossa: una donazione ai Benedettini di Montecas-sino a condizione che spedissero dodici monaci in Arboreadall’Italia, tra i quali alcuni sarebbero dovuti essere cosìistruiti da poter essere eletti arcivescovi o vescovi senza oc-cupare la cattedra, o alla corte imperiale o negli affari dellaCuria romana nel giudicato, al fine di condurli a un feliceesito. Il religioso, l’ecclesiastico prese il sopravvento tantoche fu presto riconosciuto come soggetto politico attivo, e laRealpolitik non fu mai così forte né mai meglio intesa comenel XII secolo. Montecassino quindi non diede solo studiosi.Tre anni dopo l’abbazia donò al vescovo metropolitano diPisa una sua proprietà con servi e serve, varie fattorie, vigne-ti e greggi. Per diversi secoli sembra che Pisa abbia svolto ilruolo, per l’aristocrazia e il popolo dell’isola, della splendidacittà dove si va per gli eventi mondani: l’alloggio di Barisonea Pisa corrisponde a quello che sarebbe oggi una dimora inPark Lane o una residenza a Saint-Germain per un ricco in-dustriale americano, e Barisone lo conservò sino all’approssi-marsi della morte. In seguito il panorama politico dell’isola sischiarisce, Pisa e Genova si rappacificano e i Pisani prendo-no sotto la loro protezione il giovane figlio di un combattivo

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giudice gallurese che spalanca loro le montagne del nord.Egli conferma una donazione fatta alla cattedrale di Pisa daun suo suddito, Benedetto, che era allora il maestro dell’Ope-ra della cattedrale. Tutto ciò accadeva nel 1175: ed è pura for-tuna che di nomi e fatti sia rimasta memoria, dove si è persocosì tanto.

Tra l’XI e il XIII secolo si andavano costruendo in Sarde-gna le grandi chiese [romaniche]: alcune monastiche, altrecollegiate, la maggior parte cattedrali, in uno stile che glistudiosi italiani chiamano “pisano”10 ma che potrebbe ugual-mente definirsi “ligure”. Esso è caratteristico in verità di tuttala costa orientale del Tirreno, da Massa Marittima e Volterrafino al Piemonte.

È ovvio il loro interesse nell’ambito di questo studio.L’abbazia della SS. Trinità di Saccargia, fondata nel 1116, con-serva il solo affresco importante che sia sopravvissuto; lachiesa di Dolianova, costruita prima del 1170, custodisce ipannelli smembrati di una pala d’altare dedicata al titolare,San Pantaleo; la tavola della Vergine [della pala] di Tuili equella del vescovo [della pala] di Sanluri si trovavano unavolta in simili ambienti. La magnifica pala [maggiore] di Arda-ra è ancora in situ.11

Le stesse chiese meriterebbero uno studio specifico, di na-tura architettonica, che qui non è possibile affrontare.12 È suffi-ciente dire che esse costituiscono una categoria a parte, diversecome sono ma pur sempre con forti affinità fra di loro, certomaggiori che con qualunque altra costruzione extraisolana.

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10. Scano 1907, p. 62 e passim.11. [Recenti acquisizioni – come il recupero di affreschi medioevali nelS. Pietro di Galtellì e nel S. Nicola di Trullas a Semestene – hanno ne-gato al ciclo di Saccargia il carattere di unicum nel quadro della pitturaromanica in Sardegna. La pala di Dolianova è stata ricomposta e quelladi Ardara, dopo un restauro pluridecennale, ricollocata in situ].12. [Sull’architettura romanica in Sardegna, oltre all’opera dello Scano(1907) già nota alla Goddard King, cfr. Delogu 1953; Serra 1989; Coro-neo 1993 e relativa bibliografia].

Nella storia dell’architettura, quella “sarda” è una denominazio-ne che va riconosciuta a pieno titolo, alla pari di quella “lom-barda”, “cistercense” o “borgognona”.

La tipica chiesa [romanica] sarda ha navata centrale edue laterali, un’unica abside e un solo portale occidentale.Campanili e transetti compaiono più tardi. Le navate lateralihanno volte a crociera e la navata centrale tetto ligneo; le ar-cate dei setti divisori sono rette da colonne spesso antiche oda snelli pilastri dove non era disponibile il marmo. Esistonomolte eccezioni a questa definizione così generalizzante: lachiesa monastica di Saccargia non ha navate laterali nono-stante la sua importanza ma d’altra parte ha tre absidi e unportico; il S. Gavino di Porto Torres ha un’abside in ogni la-to breve, portali su quelli lunghi, e verso la parte terminaleorientale un muro-diaframma forato da tre archi rievocante ladisposizione mozarabica delle chiese in Spagna.13 Come inalcune chiese siriane le colonne sono intervallate da tre pila-stri cruciformi lungo ogni lato. Nel S. Pantaleo [di Dolianova]le navate laterali hanno tetto ligneo; solo nel S. Pietro di Sor-res si trova la volta in tutt’e tre le navate.

All’esterno le archeggiature cieche arrivano sino al timpa-no su entrambe le terminazioni e corrono lungo i fianchi eintorno all’abside, intervallate da snelle paraste. Spesso la fac-ciata occidentale è partita semplicemente da tre arcate mag-giori, e lo stesso sistema si osserva per esempio a Ottana,sui muri di quella che un tempo era una cattedrale dedicataa S. Nicola. L’effetto è simile a quello di alcune chiese arme-ne di epoca più tarda. S. Pietro di Zuri fu costruito da unmaestro comacino: «magister Anselmus de Cumis».14 La catte-drale di Cagliari mostra la derivazione pisana nella pianta e

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13. [Per la grandiosa basilica romanica di S. Gavino a Porto Torres cfr.Poli 1997. Il muro-diaframma, demolito nei restauri, era gotico-catalano].14. Nel 1291, secondo lo Spano [leggi: secondo il Martini, nel BullettinoArcheologico Sardo diretto dallo Spano. Per la chiesa romanica di S. Pie-tro di Zuri e per l’epigrafe che tramanda la data 1291 e il nome di Ansel-mo da Como, cfr. Coroneo 1993, sch. 144 con bibliografia precedente].

tratti catalani nel terminale ad arcatelle [sic], un sarcofago ro-mano utilizzato come architrave, un chevet gotico inserito inuna delle absidi laterali. Assai numerosi i portali tardogoticiiberici, con le loro modanature fortemente acute; o gli archiTudor; o vere e proprie volte angolari mudéjar, con una co-stola sporgente ad angolo; o quelle cuspidi simili a conchi-glie intagliate sul toro di un arco che gli Spagnoli importaro-no forse dalla Mesopotamia o dalla Siria orientale, e cheutilizzarono per innumerevoli secoli. Alcuni aspetti in chieseisolate richiamano le solitarie costruzioni [romanico-]lombar-de fuori Tuscania; certi frammenti scultorei di Oristano ri-chiamano gli stilemi dell’arte copta e bizantina. Una chiesa15

è ancora in buono stato, orientale per la struttura e per lapianta, dotata di cupola, cruciforme e bizantina; e una ipo-geica16 richiama le cappelle rupestri della Cappadocia. D’al-tro lato si può vedere almeno una torre campanaria ottago-nale di tipo catalano sulla strada per Cagliari, mentre quelladi Alghero, benché la porzione superiore sia ottagonale,presenta comunque una facciata regolare con portale ad am-pio strombo ogivale, come se si trovasse a Valenza.17

L’arte ecclesiastica medioevale sarda riflette dunque lastoria dell’isola, poiché reca le tracce di tutte le conquiste edi tutte le occupazioni a cui la Sardegna è andata soggetta.Tuttavia, nel XII secolo si sviluppò nell’isola, parallelamentealla penisola, una bella tipologia di chiesa romanica, armo-niosa in proporzioni, grazia e forza, benché di scala ridotta,

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15. S. Giovanni di Sinis. [La citazione va alla chiesa nell’area archeolo-gica di Tharros, impiantata in età bizantina e ristrutturata in età romani-ca; cfr. Coroneo 1993, sch. 6 con bibliografia precedente].16. S. Salvatore di Cabras. [La citazione va al santuario ipogeico di etàtardoromana, in cui la dedica al Salvatore si sovrappose a un antico cultodelle acque; cfr. Angiolillo 1987, pp. 198-199 con biliografia precedente].17. Cfr. Lluís Tramoyeres Blasco, Valentian Architecture in Sardinia. [Latorre campanaria ottagonale «sulla strada per Cagliari» è probabilmentequella del S. Leonardo di Serramanna; per il campanile della cattedraledi Alghero cfr. Sari, in Segni Pulvirenti, Sari 1994, pp. 120-122, e sch. 32(di Marisa Porcu Gaias) con bibliografia precedente].

e decorata con arcate cieche che creano un effetto chiaro-scurale e con l’uso alternato di pietre di colori diversi.

Il S. Gavino di Porto Torres e la S. Maria del Regno adArdara sono le chiese più antiche fra queste; il S. Pantaleo diDolianova è la più esotica e pittoresca; la cattedrale di Ca-gliari la più splendida. Persino nell’architettura – l’arte in cuila Sardegna era più debitrice nei confronti dell’Italia – moltialtri elementi si sono mescolati e le strane bellezze portatedal mare evidenziano le virtù isolane. La Sardegna diede co-munque un maestro costruttore a Pisa, dove un altro sardoeseguì disegni per vetrate di finestre, dipinse gli stalli del co-ro, e cantò meravigliosamente bene tanto che ancora vi ri-suona la dolcezza della sua voce.18

C’erano forse alcune vestigia di diritti matriarcali che so-pravvivevano nelle antiche usanze giudicali, risalenti al pe-riodo nuragico e fors’anche prima. Benedetta di Cagliari suc-cesse al padre, sposò Barisone-Torchitorio IV e regnò perventisette anni. Si dice che, morto il marito, si sia risposataaltre due volte. È forse alle complicazioni sorte da tale situa-zione, oppure agli abusi dei Pisani, che potrebbe doversi ilsuo omaggio alla Curia romana. Ma non v’è nulla di straordi-nario in ciò se ripensiamo alla contessa Matilde e a Isabelladi Castiglia o alla buona regina Bianca o alla grande reginaBerenguela. Donne e clero in quell’età erano uniti da grandeintesa e contavano sul reciproco appoggio.

Adelasia regnava al tempo sul giudicato di Torres (1236),ed era sposata al pisano Ubaldo [Visconti] che si era trinceratoin Gallura, rimossone solo dalla morte. In una lettera di con-doglianze alla vedova, Gregorio IX le offriva i servigi di unprivato gentiluomo di nobile famiglia assai legata alla Santa Se-de, ma la giudicessa sposò un poeta e un figlio d’imperatore.

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18. [Mentre rimane oscuro il riferimento della Goddard King a un archi-tetto sardo operoso in terra toscana, è documentata invece la presenzaa Pisa nel 1348 di un pittore cagliaritano, Domenico Pollini, di cui sidirà in seguito].

Quell’oscuro destino che accompagnava Federico e lasua stirpe – Enzo, Manfredi, Corrado, Corradino – gli avrebbeassicurato la pietà dei secoli a venire, che riconobbero in luiun poeta e un condottiero sì brillante ma cieco, tanto che lagloria del nome di Federico non illumina la sua figura, om-breggiata come in un palazzo crepuscolare. Il «tempo di sali-re» di cui parla un suo sonetto, egli l’aveva presto fatto suoma avrebbe dovuto comunque attendere molto, fino al tem-po stabilito, «per prendere le sue precauzioni con pazienza».

Si può restare incerti su quale sarebbe stato il destino diAdelasia se si fosse sposata col candidato del papa, ma si puòesser certi che ella non fu felice con re Enzo. L’usanza sicilia-na infatti imponeva la reclusione per le donne, e la tradizioneimperiale affidava il potere al maschio, regola alla quale l’or-gogliosa principessa rifiutò di obbedire. Il loro titolo, per tra-scrizione imperiale, era quello di re e regina di Sardegna, malei fu prigioniera nel castello di Goceano, mentre lui si confer-mava campione senza macchia e grande guerriero, dopodichévisse per ventitré anni in isolamento a Bologna.

Alla sua morte gli successe “donno” Michele Zanche diLogudoro, colui che si sarebbe seduto a chiacchierare espettegolare più tardi sulla rive delle Malebolge19 e che dalungo tempo si era goduto sia il suo regno sia la sua sposa.La giudicessa, senza dubbio legalmente e con l’aiuto dellaCuria romana, probabilmente lo sposò, così come due secolipiù tardi avrebbe fatto la Signora di Forlì con il suo siniscal-co Giacomo Feo. Come un fiore rosso o un uccello verde, laluminosa figura di Adelasia brilla nel sole sulla cittadella incima alla montagna, con la sua fremente bellezza, con la suainestinguibile sete di potere che non sopportò né una solita-ria grandezza né uno sposo a lei pari, con le sue ragioni po-litiche petulanti e ostinate.

Zanche è relegato all’Inferno per un’altra ragione, datoche probabilmente tradì sua moglie così come aveva traditoil suo padrone. Brancaleone Doria aveva da poco sposato

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19. Dante, La Divina Commedia, “Inferno”, canto XXII, vv. 88-90.

sua figlia [Caterina] e organizzato un banchetto da cui eglinon uscì vivo. Fu l’ultimo giudice di Torres. Tutte le città delnord erano nelle mani dei Genovesi e non c’era nessunoche potesse opporre resistenza ai grandi navigatori. Il pisanoconte Ugolino [della Gherardesca] intraprendeva da temposcorrerie in questa zona e gli sarebbe piaciuto certo di piùmorire in qualche scaramuccia nell’isola, fra le colline, chesopravvivere fino a quando non entrò nella Torre della Fa-me.20 Già nel 1267 tre principi protestavano presso Clemen-te IV il loro diritto al trono di Sardegna: re Carlo di Sicilia,l’infante Enrico di Castiglia e re Giacomo II di Aragona.

A quel tempo Mariano II d’Arborea teneva corte a Pisa,dove, secondo il Villani, era ritenuto «uno dei più grandi epossenti cittadini d’Italia».21 In quella città Mariano e i suoicavalieri devono aver figurato alla stregua di quella bellacompagnia nel dolce frutteto, che illustra il Trionfo dellaMorte nel Camposanto di Pisa. Il giudice di Gallura era NinoVisconti, quello spirito giusto e gentile che Dante salutò nel-la valletta dei Principi.22 Il suo officio si estinse con la figliaGiovanna, avuta dall’anziana Beatrice d’Este che aveva «mu-tato le sue bianche pieghe», e della cui vita nulla si sa. Forsemorì in gioventù, forse si sposò. In ogni caso il suo patrignoe i successori di Galeazzo Visconti reclamarono la sua ere-dità senza mai ottenerla. Sassari intanto si preparava a dive-nire una repubblica libera.

Cento anni dopo, Eleonora d’Arborea avrebbe estinto lalinea della propria casata dopo un lungo e valoroso regno.Eleonora si mise a capo degli eserciti mentre il marito [Bran-caleone Doria] era impegnato in negoziazioni a corte o sitrovava in prigione. Riuscì a sedare ribellioni in Arborea e atrattare con la casa d’Aragona; talvolta, quando il maritoscendeva in campo, Eleonora ordinava e supervisionava il

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20. Dante, La Divina Commedia, “Inferno”, canti XXXII-XXXIII.21. 1282. [Il riferimento è alla Cronica di Giovanni Villani, ma la cita-zione tra virgolette è dal Manno (1996, vol. II, p. 33)].22. Dante, La Divina Commedia, “Purgatorio”, canto VIII, v. 53.

codice di leggi che va sotto il suo nome e che Alfonso Vd’Aragona estese a tutta l’isola. Fu una donna di gran cuore;il suo spirito pronto, il suo buon senso, il suo personale co-raggio, la sua capacità di giudizio sono ancora ricordati eportati in gloria. Era sicuramente più difficile governare be-ne sotto un re iberico che non dipendere da nessuno, comenel caso di Benedetta e Adelasia. A rendere ciò possibile fu-rono il suo tatto, la sua prontezza, la sua tenacia. Morì nel1404, seguita poco dopo dal giovane figlio Mariano V, e inseguito Arborea non fu che un nome vuoto, un altro titoloda donare a un grande di Spagna.

I Romani schernivano i Sardi perché sempre nativi e mairealmente latini. Nell’Italia moderna, con mentalità più evolu-ta, si è cercato di costruire un’identità nazionale e gli isolaniin risposta hanno partecipato lealmente a tale processo. Mala realtà vuole che l’isola volga le spalle all’Italia e si apraverso la Spagna. I Genovesi non poterono impossessarsene,se non limitatamente, come proprietà personale dei Doria,dei Malaspina o degli Spinola. I Pisani non riuscirono a te-nerla e, dopo la battaglia della Meloria del 1284, controllava-no di fatto soltanto il Castello, cioè la parte superiore dellacittà di Cagliari. I signori di Arborea, dalla foce del fiume edalle paludi di Oristano, guardavano a ovest verso le isoleBaleari e la costa catalana. Ugone II, che salutò l’arrivo dellaflotta aragonese, ebbe un nome catalano, [de Bas-]Serra, co-me suo padre e suo zio che lo precedettero nel giudicato.

Fin dal 1295 Bonifacio VIII aveva firmato un accordo se-greto con Giacomo II per cui Carlo d’Angiò avrebbe gover-nato indisturbato in Sicilia e la casa d’Aragona avrebbe rice-vuto in cambio la Sardegna. Si trattava di un altro di queipatti simili a quelli di Pipino e Carlo Magno, con cui due par-ti si scambiavano quel che in realtà non apparteneva a nes-suno di loro. Gli Aragonesi nutrivano perciò forti preoccupa-zioni. Due anni dopo Giacomo si recò a Roma per la solenneinvestitura del regno di Sardegna e Corsica. La cattedrale [diCagliari] che i Pisani noncuranti o fiduciosi incominciarono

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nel 1312 sarebbe stata terminata dagli Aragonesi nel 1331.Nel frattempo Sassari affidò al medico Michele Pietro l’incari-co di invitare Ugone II d’Arborea e i suoi uomini e l’interacosta occidentale controllata da questo giudice a prepararsi auna sollevazione contro gli intrusi Pisani. L’infante don Alfon-so, secondogenito di Giacomo, intraprese la conquista e salpòdalla vicina Tarragona nel 1323.

Nel frattempo il visconte di Rocabertí aveva lasciato Bar-cellona ed era arrivato a Oristano, dove aveva incontrato ilgiudice d’Arborea, per dirigersi poi direttamente verso Ca-gliari, in un posto chiamato Quartu. Avvisati di ciò, Alfonsoe l’infanta donna Teresa salparono per il porto di Palma e lìsbarcarono la cavalleria e il resto dell’esercito e assediaronola città adesso chiamata Iglesias. Nel nord i Doria e i Mala-spina avevano giurato fedeltà all’Aragona, e la città di Sassariricevette con grandi manifestazioni di giubilo il nuovo go-vernatore Guglielmo Moliner. Nel corso dell’occupazione diCagliari, gli Aragonesi costruirono una loro città sulle alturedi Bonaria.23

L’assedio di Iglesias fu tremendo: la città resistette perotto mesi e la terribile malaria sarda decimò l’esercito arago-nese. Tramanda la cronaca di Ramon Muntaner il Vecchioche quando don Alfonso si ammalò l’infanta lo curò cosìamorevolmente da salvarlo. La città acconsentì a una resa nelcaso che i Pisani non fossero arrivati entro quaranta giorni inloro difesa. Purtroppo i Pisani si prepararono e partirono conun tale ritardo che le porte della città erano già state aperteprima del loro arrivo; al suo ingresso nella città, l’esercitoaragonese non aveva trovato traccia di cibo.

Si giunse così alla battaglia di [Lutocisterna presso] Ca-gliari (1324): a un dato momento sembrò che le bandiere a

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23. [Il santuario della Madonna di Bonaria, edificato nel 1324-25 dagliAragonesi durante l’assedio del Castello di Cagliari, costituisce il piùantico esempio di architettura gotico-catalana in Sardegna; cfr. SegniPulvirenti, Sari 1994, pp. 13-15 e sch. 1 (di Marcella Serreli) con biblio-grafia precedente].

pali rosso e oro fossero state sopraffatte, poi l’infante, so-praggiungendo e gettandosi nella mischia più fitta, protessela bandiera e, combattendo, la salvò sino alla fine del gior-no. Il suo cavallo fu ucciso ma i suoi cavalieri si spinsero inavanti e fecero cerchio per difenderlo, finché nella secondacarica superò tutti di nuovo, persino la sua guardia persona-le. I Pisani si ritirarono e ripararono nella parte alta dellacittà. Il principe ritornò sanguinante nei suoi accampamentia Bonaria, reggendo ancora la bandiera. L’ammiraglio arago-nese aveva intanto sconfitto la flotta pisana. L’assedio conti-nuò con catapulte e arieti e altre macchine schierate e im-piegate con grande perizia bellica, mentre i feriti venivanomandati nelle colline dell’interno. Infine, grazie all’abilità diBernabò Visconti, luogotenente dell’Aragona, furono stilati itermini della resa: la città di Pisa si impegnava a riconoscereil re e a rendergli omaggio; in cambio poteva mantenere ilCastello di Cagliari con i sobborghi di Stampace e di Villano-va, il porto e le paludi, ma le saline dovevano passare allaCorona; i Pisani dovevano pagare una tassa annuale, poteva-no vivere dove volevano nell’isola o ovunque nel dominiod’Aragona come sudditi iberici; infine, tutti i prigionieri sa-rebbero stati liberati. Tutti i castelli si arresero debitamenteagli Aragonesi, ma fu un momento amaro e memorabilequando Pietro de Luna posò i pali catalani rosso e oro sullabandiera di Cagliari, segnando la fine dei combattimenti.Nobili catalani e aragonesi si insediarono in tutte le fortezzee Filippo di Saluzzo, richiamato dalla Sicilia, divenne gover-natore generale dell’isola.

I Pisani tentarono una volta di ribellarsi, con l’aiuto diuna flotta genovese, ma, sconfitti in terra e in mare, non rag-giungendo nessun tipo di accordo per via delle divergenzecon gli ufficiali aragonesi su Stampace e Bonaria, mandaronouna commissione formata da due frati, un cavaliere e duenotai, per investigare circa una possibile soluzione del pro-blema. Questa arrivò e semplificava l’assetto del precedentetrattato, mitigando l’indennità dovuta alla tassazione. Fu cedu-ta la città alta di Cagliari con la cattedrale e i privati tennero

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le loro proprietà. Quando re Giacomo morì e gli successeAlfonso IV nel 1328, la vita nell’isola aveva assunto una di-mensione di normalità sotto un unico signore.

I partigiani delle repubbliche continentali furono speditia casa. Il caso di Sassari fu esemplare poiché, quando si ri-bellò, ne furono scacciati sia i forestieri sia i sediziosi nativiche vennero rimpiazzati da catalani, aragonesi e altri sudditileali. Cagliari, invece, aveva ricevuto privilegi speciali. Pisaera stata ormai ridotta in tale stato da Firenze che non com-portava più alcun pericolo in termini di competizione, ma lagrande potenza commerciale di Genova era sempre una mi-naccia per Barcellona e per gli interessi marittimi catalani,che decise di combattere nell’isola di Sardegna. Pietro IVd’Aragona trovò alleati negli eterni nemici di Genova, i Ve-neziani. Una grande vittoria al largo di Alghero e una fintroppo facile presa della città portarono al suo ripopolamen-to catalano, motivo per cui ancora oggi vi si parla catalano.

Dopo aver assicurato svariati privilegi ad Alghero, re Pie-tro scese poi a Cagliari dove convocò il primo Parlamentodell’isola, disegnato secondo il modello delle Corti di Catalo-gna. Al termine di un breve periodo di interregno, Alfonso Vd’Aragona riassunse l’autorità suprema. La conquista catalanadiede così alla Sardegna la sua prima assemblea generaleunita, dove i membri costituenti, clero, comandanti e signoricatalani e aragonesi, e rappresentanti delle città e cittadine,potevano controllarsi a vicenda e scambiarsi opinioni.

Questa era la situazione nel 1355: Mariano IV d’Arborea,rifiutando il ruolo paritario nel governo dell’isola, stette indisparte, sebbene avesse inviato sua moglie e il figlio a pre-stare giuramento. In seguito si ribellò due volte all’Aragonae due volte il papa Urbano V gli offrì l’investitura del regno.Egli sconfisse gli Aragonesi alle porte di Oristano nel 1368;morì e suo figlio [Ugone III] morì nei quindici anni seguentie sua figlia, la giudicessa Eleonora, governò per ben ventunanni e concluse una pace con gli Aragonesi. Frattanto il red’Aragona, Martino il Vecchio, in visita alle città principali,Cagliari, Alghero e Sassari, di ritorno dal riconquistato regno

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di Sicilia (1377), fece delle concessioni a dette città e ad al-tre, ed elargì ulteriori libertà prima inimmaginabili come ildiritto dei Sardi di far parte delle Corti generali di Catalognae di Maiorca, con addirittura una clausola speciale che ri-guardava l’eventualità di un ritardo nell’arrivo di detti mem-bri a causa di scorrerie piratesche.

Un’altra rivolta doveva comunque ancora esser sedata.Con la morte a distanza d’un anno rispettivamente della sag-gia giudicessa Eleonora e del giovane figlio e con la disputa-ta successione giacente fra suo marito, un Doria, e suo co-gnato, Amerigo [visconte] di Narbona, un suddito iberico, siformò una sorta di coalizione antiaragonese. Martino [il Gio-vane] re di Sicilia si risolse allora a misurarsi con la fama delleimprese dell’infante Alfonso e di re Pietro e, nonostante leraccomandazioni di non intervenire che gli giungevano dalpadre e dalla Catalogna, si preparò ad assoggettare l’interaisola alla Corona d’Aragona. Nelle Corti catalane i nobili vota-rono a favore dell’impresa, e i volontari provenienti da grandicasate composero la quota di mille lance destinata allo scopo.La città di Barcellona vi contribuì con tre navi. Il grande an-tipapa Benedetto XIII, al secolo Pietro de Luna, che gover-nava splendidamente al tempo e non ancora sminuito nelsuo potere, mandò cento soldati al comando dei quali eraGiovanni Martínez de Luna, suo parente. Salparono cento-cinquanta navi di cui venticinque erano galeoni, dieci galee,e quindici galeotti oltre ad altre di minore stazza. Tutta l’iso-la diede il benvenuto a Martino il Giovane, che stabilì il pro-prio quartiere generale ad Alghero e scese ad attaccare Ca-gliari, mentre nel golfo dell’Asinara l’esigua flotta sicilianasconfiggeva i Genovesi.

Sulla piana di Sanluri si erano radunati il visconte di Nar-bona con i suoi genovesi e i suoi alleati isolani: in quel luo-go fu ingaggiata con l’Aragona una tremenda battaglia che siconcluse con un orribile eccidio di Sardi. Il visconte, fallitala rivolta, fu cacciato alle porte del castello di Monreale, e lapiana di Sanluri fu saccheggiata mentre fu ucciso un altro

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migliaio di persone. Il pretendente si era ritirato a Oristanodove fu stretto d’assedio; un sardo, Giovanni de Sena o Des-sena, aveva sottomesso Iglesias dando così al territorio isola-no un assetto generale che consentiva il completamento del-la conquista delle zone sudoccidentali e il ristabilimento dellapace. Ma arrivò a Cagliari dalla predata Sanluri una bella da-migella che sedusse il giovane re galante il quale, come di so-lito i soldati, si sentiva autorizzato a un piacere direttamenteproporzionale allo scampato pericolo della guerra. Si traman-da ancora in Sardegna il ricordo del suo triste destino. Il fa-scino della bella di Sanluri risultò così letale, l’intossicazionedel conquistatore così profonda e mortale che nel bere lacoppa del piacere questa fu fatale al soldato, e il giovane remorì, con grave lutto dei Siciliani, dei Catalani e dei Sardi.Incoronato a sedici anni, morto (nel 1409) a ventitré, egligiacque in una tomba di marmo nella cattedrale di Cagliari.

Successivamente i Moncada si trovarono in tali difficoltàpresso Oristano che il re Martino [il Vecchio], ormai rimastosenza prole, chiese alla sua città catalana di Ampurias di rac-cogliere fondi per continuare la guerra. La gente di Arboreaelesse uno dei suoi uomini con un nome catalano, LeonardoCubello, con cui il viceré Pietro de Torellas raggiunse un ac-cordo finale. Caduto il vecchio titolo di giudice, egli divennemarchese di Oristano e signore della città omonima, più ilCampidano e le province del Goceano. Re Martino morì co-munque quell’anno e gli ambasciatori sardi chiesero soccor-so alle Corti catalane. Non sembra che abbiano preso parteal compromesso di Caspe.

Una serie di leali iberici governò l’isola come meglio potécontro le armi e gli intrighi di Genova sino all’ascesa diAlfonso V che nel 1421 convocò solennemente il [primo] Par-lamento della nazione sarda a Cagliari. L’istituzione, al paridei nomi con cui i tre bracci del Regno sono conosciuti, è dimarca iberica. Antonio Cubello successe a suo padre con il ti-tolo di marchese, Bernardo Centellas fu nominato comandan-te in capo, e diversi irrequieti avventurieri trovarono impiegonelle guerre italiane del 1430-33. La perdita della roccaforte

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genovese, da quel momento in poi chiamata Castellaragone-se, contribuì alla pace e alla stabilità dell’isola, dove misureamministrative iniziarono a regolamentare la giustizia. In se-guito le truppe sarde si distinsero nelle imprese del re diSpagna e il già malato Principe di Viana rimase a Cagliari perun certo periodo prima di tornare in patria a morire. Nel1460 la Corona di Sardegna, insieme a quella di Sicilia, fu an-nessa in perpetuo a quella d’Aragona. Non è facile individua-re i lati positivi di tale annessione per i Sardi, fatta eccezioneforse per una questione d’orgoglio, ma gli uomini muoionoper ragioni d’orgoglio e di lealtà, e perciò i Sardi si batteronocon ardore per il re Giovanni e il principe Ferdinando nellagrande rivolta catalana del 1462; tra gli altri Pietro Dessena,visconte di Sanluri, morì per loro sotto le mura di Girona.

Nel 1475 quello stesso vecchio terribile, re Giovanni IId’Aragona, annesse alla Corona il marchesato di Oristano etutto quanto di sua pertinenza, in un’evidente anticipazionedella politica che sarebbe stata poi intrapresa dal figlio Ferdi-nando II il Cattolico nella conquista della Castiglia. Nel 1479morì il re Giovanni, mentre il fino ad allora marchese di Ori-stano [Leonardo de Alagón] e l’allora visconte di Sanluri furo-no rinchiusi nella prigione dell’Alcazar di Játiva. Alla sua salitaal trono, re Ferdinando concesse il titolo di visconte di Sanlurie il castello allo zio Enrico, fratello di donna Giovanna Enrí-quez, che rivendette comunque il titolo dopo appena tre gior-ni ai fratelli Pietro e Luigi di Castiglia, oltre a convertire imme-diatamente in denaro le donazioni dell’anno seguente.

Nell’insieme i Re Cattolici erano presi dalle vicende dellaloro terra, per cui si possono trovare poche tracce del lororegno nell’isola, a eccezione di un piccolo ritratto della regi-na Isabella, dipinto su rame e conservato nella chiesa diOliena, quasi certamente copiato da un suo ritratto dell’epo-ca, e posto lì a rimpiazzarlo.24

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24. [Non è stato possibile rintracciare il dipinto fra quelli che si trovanooggi a Oliena].

Ci fu un vai e vieni di viceré che venivano convocati inSpagna in caso di problemi e poi rimandati nell’isola a me-glio governarla. Il mandato triennale vigeva con stretto rigo-re, ma era anche possibile rinominare la stessa persona. Nel1503, seguendo la regola fissa dei grandi poteri ecclesiastici,fu ridotto il numero dei vescovi mediante l’accorpamento dialcune diocesi. La cattedra di Ampurias fu trasferita a quelche è ora Castelsardo, Dolianova fu unita a Cagliari, Ottanae Bisarcio ad Alghero.

Undici anni dopo l’incoronazione di Carlo V a re diSpagna, e subito dopo il sacco di Roma, i Francesi e i Ge-novesi invasero l’isola dal nord sotto il comando di AndreaDoria, e cercarono di impadronirsi di sorpresa di Castellara-gonese (1527). Il viceré fu duramente battuto, ma combatte-rono da leoni Francesco Dessena, governatore del Logudo-ro, e due nobili sassaresi della casata dei baroni di Thiesi,di nome Giacomo e Angelo Manca. Costoro si gettarono sulcastello mentre i loro compagni battevano le campagne perraccogliere viveri e per rincuorare il popolo. All’interno delcastello non c’erano né provvigioni né munizioni, tantome-no soldati. Questi nobili ripararono le fortificazioni primadell’arrivo della flotta. All’arrivo, il grande Doria, il cui no-me non era ancora stato dimenticato in quella punta roccio-sa anticamente dominata dai Genovesi, mandò a terra uncongiunto con un formale invito alla resa, perché la difesasarebbe stata impossibile e si poteva ancora evitare il sac-cheggio dell’inerme cittadina. I difensori rifiutarono l’offertae in una sortita catturarono una bandiera francese. GoffredoCervellón tagliò le linee nemiche portando rinforzi da Sas-sari. Gli Spagnoli furono bombardati per una giornata interadalla flotta, ma all’alba un improvviso temporale trascinò lanave ammiraglia sulla spiaggia dell’Asinara. Il capo fiorenti-no delle truppe francesi invece fece saccheggiare Sorso dasuoi uomini.

Anche Sassari fu occupata, ma gli stranieri si diedero atanti e tali stravizi, rimpinzandosi di frutta, formaggi e dolciu-mi, oltre al forte vino sardo, che si ammalarono e morirono

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in grande quantità. Inoltre i Sassaresi si riunirono e assediaro-no la loro stessa città riuscendo a far ripartire gli invasori.

Le truppe imperiali arrivarono che tutto era già finito. Ladifesa dell’isola si era basata sull’opera degli isolani; in pri-mo luogo, paesani della vecchia razza, dalle colline e dalmare: i pastori che ancor oggi camminano davanti al lorogregge, i contadini, i montanari e i minatori, i boscaioli e icarbonai; poi, la nobiltà, ancora formata da sardi nativi, econ la gente delle città sposatasi in matrimoni misti con i re-sidenti catalani e spagnoli; infine, le famiglie aragonesi e ca-talane che si erano stabilite là da due o tre secoli, e altri arri-vati dopo, ma tutti gli abitanti si impegnarono nella lotta conla loro nobiltà, con le loro proprietà e con tutto il loro ardo-re (1529). Mal sopportavano l’idea che gli stessi, affamatimercenari che avevano saccheggiato Roma potessero fare lostesso nell’isola. Questi mercenari portavano la peste, o co-munque questa arrivò subito dopo di loro, uccidendo quin-dicimila persone prima che si potesse debellare. L’epidemiainiziò a mietere vittime dopo la settimana compresa tra la fe-sta di San Sebastiano e quella di San Fabiano,25 santi da sem-pre molto venerati nell’isola.

Carlo V visitò due volte l’isola, una volta nel 1535 dipassaggio a Cagliari – dove fu accolto con tutti gli onori –durante il viaggio di spedizione diretto a Tunisi. Là ottennela liberazione di un gran numero di schiavi cristiani, fra iquali 1119 sardi. Il soggiorno ad Alghero durante la sua se-conda visita diede luogo a celebrazioni ancora più splendidee caratteristiche di cui rimane ampia testimonianza negli ar-chivi cittadini. Il governatore generale della provincia DiegoDessena incontrò l’imperatore con quattro gentiluomini sas-saresi, due dei quali erano tra i salvatori di Castellaragonesee gli altri due loro parenti. Questi organizzarono una delle fa-mose battute di caccia sarde, oggi chiamate “caccia grossa”,per l’arrivo dell’imperatore, in modo tale che la scorgesse al

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25. Fra il 20 gennaio [San Sebastiano] e il 27 gennaio, San Giuliano[che soppianta Fabiano].

momento dell’arrivo nell’isola, e come buon auspicio i canie i battitori iniziarono a cacciare un cinghiale che fu uccisodallo stesso imperatore. Accompagnavano l’imperatore il du-ca di Camerino, nipote del papa, il principe di Sulmona, ilsignore di Alcántara, Diego Davila, e l’ambasciatore inglese.La descrizione del resto dei festeggiamenti, durati due gior-ni, non può trovare spazio nella presente opera perché taleesempio di costumi della vita cortigiana è da riservare a unvolume che si occupi dell’età successiva.26

L’evento più importante del regno è da considerarsi inqualche modo l’accordo già concluso in questo periodo conil papato, accordo che prevedeva che il patronato di tutti ibenefici nell’isola spettasse alla Corona spagnola, con l’ordi-nazione di vescovi e abati. Ci fu un tempo in cui (non sonocerta della data) si reputò necessaria la rimozione forzata ditutti gli ecclesiastici italiani dall’isola per motivi politici, e laloro sostituzione con sudditi reali. Gli ordini mendicanti fu-rono esentati da tale rimozione. In pratica gli Spagnoli furo-no costretti a fare diversi secoli prima quel che in seguitoavrebbero fatto i Francesi della Repubblica.

Credo che Filippo II non sia mai stato in Sardegna. I vi-ceré tennero corte, amministrarono la giustizia oppure agiro-no senza criterio. Nel 1611 Filippo III mandò un canonico diSaragozza, Martín Carrillo, perché gli preparasse una relazio-ne sull’isola. La relazione fu pubblicata a Barcellona l’annoseguente, ma si preferisce parlare del suo contenuto in unsuccessivo volume dato che si supererebbe altrimenti il limi-te temporale fissato per questa sbrigativa sintesi della storiasarda sino alla fine del Cinquecento.

La fedeltà dei Sardi al governo spagnolo è il tema di unlungo e significativo passo dell’opera storica27 che il baroneGiuseppe Manno, egli stesso sardo, pubblicò nel 1840. In esso

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26. [Non risulta che la Goddard King abbia mai dato alle stampe il pro-gettato secondo volume della sua storia della pittura in Sardegna, cuiaccenna anche in altri passi di questo libro].27. Manno 1840, vol. III, p. 84 ss. [1996, vol. III, p. 47 ss.].

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Da molto tempo l’isola si era completamente ispanizza-ta.28 La lingua sarda, che nei suoi vari dialetti è, come il ca-talano e il provenzale, una delle lingue romanze indipen-denti, aveva assorbito un numero sorprendente di terminiassolutamente iberici.29 Un viaggiatore potrebbe ancora oggipercorrere l’isola riuscendo a farsi intendere con uno spa-gnolo colloquiale, o con quello di Cervantes e Lope de Ve-ga. Ad Alghero si parla ancora oggi il catalano. La nobiltà eil clero parlavano lo spagnolo durante il primo Rinascimen-to, la lingua letteraria era lo spagnolo e guardava per i suoimodelli a Valenza e Saragozza, a Valladolid e Toledo. Gli or-dini religiosi spagnoli, soprattutto quello della Mercede, era-no i più potenti. Ancora oggi, i costumi religiosi dei piùsperduti villaggi di montagna, delle più solitarie capanne dipescatori, assomigliano più a quelli della Catalogna e di Va-lenza che a quelli liguri o toscani. Alcuni drammi religiosicome il Mistero di Elche venivano recitati, certo in modo piùsemplice, ma con una partecipazione più universale e imme-diata in tutta l’isola e rimangono nel ricordo dei miei amici.Tali drammi stanno scomparendo soltanto perché il clero ita-liano ne vuole l’eliminazione.

Queste sacre rappresentazioni cadono tuttavia in un pe-riodo troppo tardo per trovare un utilizzo in questo studio,in quanto scritte tutte non prima del XVII secolo. L’elaboratae approfondita analisi che di tali rappresentazioni va com-piendo Anna Rose Giles è ormai quasi terminata, e troverà

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28. [Per saggi di sintesi sulla storia e la civiltà della Sardegna aragonesee spagnola cfr. Catalani 1984 e Società 1992-93].29. [Per i prestiti catalani e castigliani e in generale per la stratificazionelinguistica del sardo cfr. Wagner 1950, disponibile in questa stessa col-lana (1997)].

il Manno sostiene che le tradizioni e i mémoires del periododimostrano largamente tale affezione e come effettivamentei Sardi avessero fondati motivi per nutrire tale sentimentoverso gli Spagnoli. Il governo spagnolo era saggio nelle leggie scrupoloso nella puntuale esecuzione di quanto disposto.Il più grande desiderio dei Sardi, quello dell’autogoverno,non era mai stato del tutto represso, neppure in tempi in cuiun dominio recente sarebbe stato in pericolo senza l’appog-gio di ministri di sicura fiducia. Tale desiderio d’indipenden-za fu gradualmente soddisfatto anche perché una lunga espe-rienza mostrava chiaramente la fedeltà leale degli isolani. Sea volte ufficiali di passaggio nell’isola avevano portato con leloro decisioni a disturbare la saggezza e l’autorità delle leggi,i Sardi erano consapevoli per la loro lunga esperienza di sud-diti spagnoli che appellandosi al sovrano avrebbero trovatolealtà e giustizia reali. Se a queste considerazioni si aggiungeche l’abitudine di vecchia data con cui la Sardegna fu unita esi fuse alla Spagna quanto a lingua, usi e costumi, la rese piùuna delle province del Regno che uno dei regni dell’Impero,si vedrà chiaramente perché i Sardi, nella loro devozione ver-so le autorità spagnole, potessero trascurare gli abusi cheeventualmente fossero affiorati nell’amministrazione statale.

Se mai delle lodi possono essere imparziali, lo è senz’al-tro questa, scritta da un suddito dei Savoia nel guardare in-dietro alla storia del proprio paese, una lode che acquista uncerto peso in questi tempi di imperi in rovina e mostruosirapaci tiranni. Protetti dalle loro leggi, dalla correttezza edalla comprensione, lasciati a loro stessi nell’atmosfera preri-voluzionaria del comodo laissez-faire, con un atteggiamentodi consapevole benevolenza nei confronti delle loro tradi-zioni religiose e custodendo diligentemente l’eredità dellepiù antiche dimore, i Sardi viaggiavano bene verso un futurodi autonomia.

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spazio in un volume interamente dedicato ad esse.30 Biso-gna comunque menzionarle in quanto prova del fatto cheper tutte le tradizioni religiose dei Sardi è d’obbligo guardarealla Spagna. Nello studiare le origini e le ramificazioni diuna leggenda sacra e liturgica, come del resto per i culti e lerappresentazioni religiose [della Sardegna], la chiave va cer-cata in Spagna. Persino gli studiosi italiani non sempre capi-scono le implicazioni di quello che hanno in mano se nonconoscono bene l’arte, i rituali e l’agiografia spagnola.

Qualcosa nella personalità della popolazione [sarda] ri-corda inconfondibilmente gli Spagnoli, e il suo sangue è piùsimile all’iberico che al napoletano. Se ci si rivolge a un mon-tanaro sardo in catalano, lui vi risponderà chiaramente, se losi porta in Aragona lo stesso si confonderà tra la folla, sebbe-ne un po’ più basso, più pesante di ossatura e meno magro.

L’antica pittura sarda costituisce una ramificazione dellapittura iberica, e si pone insieme a quella catalana, valenza-na, aragonese e andalusa, con una forte vicinanza alle primedue.31 Anche in seguito, come illustrerà il volume successivoa questo, la pittura resta sempre più spagnola che italiana,permanendo infatti sino alla fine e sino ad oggi sarda. L’in-fluenza predominante, oltre a quella di Raffaello e dei suoidiscepoli romani, arriva dalla penisola iberica. La Sicilia, sinoal regno di Carlo V, conta forse più di Napoli. Le più stretteaffinità si danno certamente fra i pittori [cinquecenteschi]sardi e quelli siciliani, anche se gli scambi culturali fra Napo-li, Valenza e Siviglia non tagliarono fuori la cultura artisticasarda. [Nel Seicento] i lavori napoletani dello Spagnoletto[Jusepe de Ribera], il cui soprannome deriva sia dalla suaperizia artistica sia dalle sue origini, molto influenzarono i

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30. [La Goddard King riferirà più avanti della prematura scomparsa di El-len Giles, che andava elaborando assieme ad Anna Rose un volume sullesacre rappresentazioni in Sardegna, a quanto risulta mai dato alle stampe].31. [Per la pittura nelle varie regioni iberiche sino al XVI secolo cfr. isaggi di sintesi in Pittura 1995].

pittori di Bosa, Ploaghe e Fonni [sic]. Le opere settecente-sche in chiese remote e case parrocchiali richiamano diretta-mente i maestri spagnoli di poco antecedenti32 così come ledame di Ploaghe si atteggiano alla maniera delle nobili allacorte spagnola e le figure [nella serie di tele] di Oliena ricor-dano un Apostolado spagnolo.33

Il materiale per questo studio dei Primitivi34 sardi si trovain massima parte conservato nel Museo di Cagliari, dov’è oradepositata la maggior parte dei grandi retabli35 per paura dirazzie dei mercanti d’arte.36 Alcuni si trovano invece in luo-ghi così isolati, o sono così poco invitanti, che la Chiesa nedetiene ancora la proprietà, benché raramente abbiano unasistemazione adeguata. Già da tempo i mercanti d’arte nehanno collezionato molti, vendendoli poi all’estero, in postianche assai distanti dalla Sardegna. Si sa che uno è in Inghil-terra, a Birmingham, si sospetta che un altro sia a New York.37

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32. [Già si è detto che la Goddard King non arrivò a pubblicare il se-guito di questo libro, che intendeva certo completare con la trattazionedella pittura sarda sei-settecentesca, per la quale cfr. ora Scano 1991 erelativa bibliografia].33. [Sull’Apostolado di Oliena la Goddard King tornerà in seguito].34. [La Goddard King utilizza il termine “Primitivi” sulla scorta della sto-riografia ottocentesca, che così definiva e spesso sminuiva i pittori vis-suti in anni antecedenti l’apogeo dell’arte segnato, secondo la sistema-zione vasariana, dal “divino” Michelangelo. Il riscatto e la fortuna criticadei “Primitivi” europei, anche sotto il profilo degli interessi del mercatoantiquario, datano appunto dai primi decenni del Novecento].35. [Per retablo si intende la pala d’altare di tipologia iberica, diffusa inSardegna e in Italia meridionale fra Quattro e Cinquecento. Consta dipiù tavole riunite a trittico o a polittico per mezzo di cornici. Nei docu-menti dell’epoca è citata perlopiù con la dizione catalana retaule, ma siè preferito mantenere quella castigliana, perché più utilizzata in Italia].36. Mussolini li ha disseminati [nelle rispettive chiese] nel 1923. [Il «Mu-seo di Cagliari» è oggi la Pinacoteca Nazionale, per la cui storia e patri-monio museale quattro-cinquecentesco cfr. rispettivamente Daniele Pe-scarmona, in Cultura 1985, pp. 55-59, e il primo volume del catalogo(Pinacoteca 1988)].37. [Il dipinto di Birmingham è la Madonna in trono col Bambino, ange-li e committenti, già a Cagliari, di cui la Goddard King tratta ampiamente

Sono stati acquistati e dispersi mentre venivano spacciati persiciliani o dell’Italia meridionale, come avignonesi o prove-nienti dall’Italia settentrionale, come spagnoli o francesi.Della collezione del canonico [Giovanni] Spano, il cui catalo-go è datato al 1870, non si può rintracciare neppure unadelle grandi opere già presenti.38

Sassari custodisce alcuni preziosi dipinti su tavola nelPalazzo del Comune e le chiese ne mantengono molti anco-ra in situ, oppure sugli altari laterali o ai muri delle sacrestie.Castelsardo venera la sua grande Madonna, sorella di quelladi Tuili e di quella di Oristano [leggi: Birmingham]. Fonni,Olzai e Oliena si sono rivelate ricche di opere interessanti.39

Non è facile documentarsi su questo materiale perchénumerosi registri di provenienza sono andati distrutti, nono-stante su molti di questi non fossero annotate le donazionidi tali opere alle varie chiese. Il canonico Spano era a cono-scenza di tanto ma sfortunatamente il suo avallo del falsoCodice di Arborea, che avrebbe ingannato persino i piùesperti, ha invalidato tutte le conclusioni dell’erudito ottocen-tesco, avvelenando le fonti del sapere.40 Tutto il suo lavoro

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più avanti. L’altro è probabilmente il Retablo dei Santi Pietro martire eMarco evangelista, già nel chiostro cagliaritano di S. Domenico, espor-tato a Venezia verso la fine dell’Ottocento e segnalato nel 1938 dal Posta New York nella collezione Tozzi; cfr. Serra 1990, sch. 42. Per le vi-cende del mercato antiquario relativamente alla Sardegna cfr. DanielePescarmona, in Cultura 1985, pp. 41-49].38. Spano 1870. Cfr. inoltre gli articoli nel Bullettino Archeologico Sardo,pubblicato fra il 1855 e il 1864, in particolare Spano 1861b. [In realtà ilnucleo principale della collezione del canonico Spano è confluito nellacasa parrocchiale di Ploaghe].39. [Dei dipinti di Sassari, Castelsardo, Tuili, Fonni, Olzai e Oliena sitratta specificamente più avanti. La Madonna di Oristano, «sorella diquella di Tuili e di quella di Castelsardo», è la citata tavola oggi a Bir-mingham, per la quale la Goddard King dirà in seguito di ritenere piùprobabile una provenienza dal capoluogo arborense, anziché da Ca-gliari; di fatto tutt’e tre le tavole risultano ascritte oggi all’anonimo pit-tore che va sotto il nome di Maestro di Castelsardo].40. Cfr. soprattutto Spano 1869, che avrebbe dovuto costituire una fon-te di inestimabile valore. [Sulla vicenda cfr. Carte 1997].

dev’essere sottoposto a verifica. È chiaramente possibile chemolto del materiale incorporato nel Codice conservi un fon-do di verità e che frammenti di storia antica giacciano in unacongerie di dati poco attendibili, ma i responsabili dell’ope-razione non vivono più, per cui non c’è modo di venire acapo della questione. Pertanto è giocoforza non tener contodell’opera dello Spano – lavoro che ne impegnò l’intera esi-stenza – a eccezione di quanto poté vedere in prima perso-na e di cui si occupò. Al momento l’autorità in campo è ilbrillante giovane curatore della sezione di pittura al Museodi Cagliari, il dottor Carlo Aru.41

Sono sopravvissuti in Sardegna due antichi affreschi diquel bell’intonaco che già si usava nell’XI secolo. Ci sono duedipinti che sembrano attestare una dominante presenza italia-na prima che la conquista iberica raggiungesse anche la sferacreativa e intellettuale dei Sardi. Vi è un buon numero di di-pinti del Quattrocento del massimo interesse; in un altro grup-po è visibile l’influsso di Raffaello.42 Si conoscono solo tre da-te, deducibili con una certa approssimazione ma che, grazie almetodo comparativo, risultano ugualmente utili a costruireuna certa ossatura cronologica. È l’obiettivo di questo libro.43

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41. [Sull’opera e sulla personalità di Carlo Aru (Cagliari 1881-Torino 1954)cfr. Bonu 1961, pp. 878-881].42. [Nelle annotazioni al margine sinistro di questo sintetico passo, laGoddard King imposta dell’antica pittura sarda a lei nota una classifica-zione in quattro gruppi, che riflette poi l’ordine con cui gli stessi sonodi seguito analizzati: due affreschi di età romanica (uno a Saccargia,l’altro a Dolianova); due dipinti su tavola di tipologia “pisana”, cioè ita-lica (il Trittico dei Santi Nicola, Antonio abate e Lorenzo, a Sassari, e laPala di Ottana); i numerosi dipinti quattrocenteschi, di tipologia iberi-ca, che rappresentano il nucleo più consistente della trattazione; i di-pinti cinquecenteschi della cosiddetta “scuola di Stampace”, che docu-mentano l’apertura culturale all’Italia]. 43. [Il libro di Georgiana Goddard King ha segnato una tappa storiogra-fica importante per la conoscenza della pittura in Sardegna dal XII alXVI secolo. Per la documentazione d’archivio fin qui pubblicata è anco-ra utile la relativa sezione nel catalogo della mostra Cultura 1985, pp.145-185. La più recente sistemazione critica complessiva della materia si

A Trieste, su una collina dominante il porto adriatico, aPalermo e a Monreale sulla Conca d’Oro, e a Torcello, nellasolitaria isola della laguna di Venezia, gli artisti bizantini delXII secolo andavano allestendo mosaici per rendere ancorapiù importante l’abside.

Nessun’altra decorazione sarebbe stata infatti così costosao splendida, nessuna così adatta ad ornare con immortalebellezza un santuario e un porto così a lungo cercati. Lo stileelaborato per abbellire le complicate concavità dell’abside edella cupola, per adattare i colori smaglianti del mosaico al-l’architettura cruciforme e cupolata, si era rivelato ugualmenteadatto ad arricchire la lunga prospettiva dei muri delle basili-che romaniche e attirava lo sguardo verso oriente per via deiblu intensi e delle glorie dorate. Il Cristo Pantocratore di Ce-falù e Monreale, come quello di Santa Sofia [di Costantinopo-li], è rappresentato a mezzo busto, mentre a Trieste la squisitafigura isolata della Madre di Dio campeggia al centro dellaconca absidale. I mosaici del XII secolo in Italia, persino seterminati nel XIII, mantengono ancora le intricate convenzio-ni imperiali cristallizzate a Bisanzio all’epoca di Giustiniano.

La fama dello splendore bizantino viaggiava per mare eper terra:44 ogni mercante o ambasciatore, viaggiatore o pel-legrino, poteva raccontare di quel che l’aveva abbagliato co-me d’una profusione di gioielli incastonati in solenne magni-ficenza. Imperatori come Carlo Magno ad Aquisgrana, sultani[sic] come Ruggero in Sicilia, ambivano a farsi committenti diopere che imitassero quelle bizantine. A Roma [Iacopo] Tor-riti e [Pietro] Cavallini nel XIII secolo erano in grado di dise-gnare schemi nuovi e allestirli a mosaico in grandi basiliche.Ma nelle solitarie zone di montagna e nelle isole in mezzo almare, dove la memoria si tramanda oralmente, la povertà e

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legge in Serra 1990, con schede (curate da chi scrive) cui si fa qui rife-rimento per l’analisi, le immagini e la bibliografia relative alle singoleopere]. 44. Les riches palais et les altes yglises. [Non è stato possibile rintracciaregli estremi bibliografici della citazione].

l’isolamento imposero che la decorazione absidale fosse adaffresco, una sorta di copia pittorica di quel che l’Orienteaveva creato.

Le piccole chiese catalane dei Pirenei avevano l’interaconcavità absidale dipinta con il Cristo apocalittico o in Mae-stà, sul trono, sopra una solenne teoria di santi, come si puòancora vedere nella Seu d’Urgell, nel Sant Pere del Burgal, aFenollar e Taüll e Boí.45 Il meridione d’Italia dispone dellastessa tipologia, eseguita con la stessa intenzione, di affre-schi bizantini in un centinaio di conventi e cappelle, daSant’Angelo in Formis a Sant’Angelo di Monte Gargano.46 InSardegna è sopravvissuto un solo monumento integro nel-l’abside della SS. Trinità di Saccargia47 e qui, come in Catalo-gna, è chiaro che l’affresco ha rimpiazzato il mosaico permancanza di mezzi, sia di denaro sia di artisti. La ricchezza ela pratica devozionale di epoche più tarde aiutano a com-prendere perché questo episodio sia rimasto unico in epocamedioevale;48 nel XVI e XVII secolo infatti l’accresciuta di-sponibilità economica fece sì che tutte le chiese fossero ma-gnificamente dotate secondo il gusto del tempo.

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45. Oppure a Boston, Massachusetts. [Nel Museum of Fine Arts, dove siconservano gli affreschi dell’abside centrale della canonica di Santa Ma-ria de Mur, del 1150 circa. Per una sintesi della pittura e in generaledell’arte romanica in Catalogna cfr. Dalmases, José i Pitarch 1986]. 46. [Per la pittura altomedioevale e romanica nel meridione e nelle al-tre regioni d’Italia cfr. i saggi di sintesi in Pittura 1994]. 47. [In anni recenti si è registrato l’occasionale recupero di un altro ci-clo affrescato nella chiesa di S. Pietro di Galtellì, riferibile alle stessemaestranze di Saccargia. Assieme ai citati affreschi di Semestene, quellidi Galtellì sottraggono al ciclo di Saccargia la qualifica di unicum e loriconducono nell’ambito della pratica di decorazione pittorica parietale,attestata ora anche in Sardegna come negli altri ambienti architettonicidel Romanico occidentale e orientale; per queste nuove acquisizionicfr. Serra 1998].48. [Al novero degli affreschi medioevali fin qui citati bisogna inveceaggiungere almeno le acquisizioni dei dipinti murali di età gotica nellechiese di S. Antonio abate a Orosei e di Nostra Signora de sos Regnosaltos a Bosa, per i quali cfr. Poli, rispettivamente 1994-98 e 1999].

Costantino I, giudice di Torres, fondò con la moglie, Mar-cusa de Gunale, un monastero camaldolese in una piccola val-lata lungo il fiume, conosciuta come Saccargia. Alla sua consa-crazione, avvenuta nel 1116, parteciparono tre metropoliti ealmeno quindici vescovi. Il convento sembrerebbe essere statodedicato alla Santissima Trinità, la chiesa a Santa Maria. La bel-la costruzione, dotata di portico, campanile e vasto transetto[triabsidato], costruita in pietra con tecnica bicroma, va infattisotto entrambe le denominazioni. Gli affreschi dell’abside [cen-trale] (fig. 1) difficilmente possono essere più antichi del XIIIsecolo, ma neanche seriori, e assomigliano molto alla serie ca-talana, per esempio a quelli del Sant Miquel d’Engolasters.49

Nella concavità del catino appare il Cristo benedicentecon il libro aperto, seduto sull’arcobaleno e sollevato in unamandorla da quattro angeli con le ali spiegate. La formulaiconografica è pressoché identica a quella delle grandi scul-ture che ornano le chiese del sud e dell’ovest della Francia,ma la resa è interamente pittorica. Su entrambi i lati stannodue arcangeli alati, con scettro e globo, come nei mosaici bi-zantini si vedono accanto alla Vergine, e le loro vesti sonoadorne di dischi pallidi che imitano l’effetto della madreper-la, come gli angeli del Cavallini in S. Cecilia [a Roma]. Allabase del catino corre una fascia ornamentale interrotta dacinque ruote la cui tecnica di esecuzione è indecifrabile; a la-to della piccola monofora fortemente strombata vi sono laVergine e San Paolo, e dieci apostoli.50 La Madonna ha il ca-po velato, le mani hanno i palmi rivolti in alto verso l’esterno,

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49. [Contro il prevalente orientamento critico, che riconduce gli affreschidi Saccargia all’ambito tosco-laziale della seconda metà del XII secolo(cfr. Serra 1990, sch. 32 e relativa bibliografia), l’unico che ne abbia ri-badito la dipendenza da quello catalano risulta a tutt’oggi l’intervento diAccascina 1953].50. [Alcuni dettagli dell’affresco, «indecifrabili» per la Goddard King, so-no oggi leggibili grazie ai restauri: così, le ruote risultano anch’esse di-pinte, e non intarsiate, pur imitando l’effetto visivo di simili ornati ar-chitettonici nelle chiese romaniche; gli apostoli non sono dieci, bensìdodici, dunque tredici in tutto comprendendo fra essi San Paolo].

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1. Affreschi di Saccargia, Codrongianos, chiesa della SS. Trinità di Saccargia,abside centrale

tipico gesto musulmano delle Vergini pentecostali catalaneche si protrarrà sino al XV secolo. Il San Paolo porta una lun-ga barba a punta e ha la fronte a forma di cupola, mentre ilSan Pietro accanto alla Madonna ha i capelli a mo’ di papali-na sopra la tonsura e la barba arrotondata: sono entrambi piùcatalani di quanto non risulti dalla descrizione. Un’altra fasciaornamentale divide questa scena dal registro inferiore, occu-pato da cinque scene che richiamano alla lontana lo schemaadottato dal Cavallini [nei mosaici romani] a S. Maria in Tra-stevere. Credo che queste scene rappresentino la Natività ela Presentazione di Nostra Signora, la Crocefissione, la Dor-mizione della Beata Vergine e la Pentecoste.51 Nella Crocefis-sione il maestoso Cristo allungato contro una pesante crocenon ha l’aspetto titanico del Dio morente del Cavallini.52 LaVergine china il capo, e penso che quel senso di fascino per-sonale che emana dalla figura e dall’espressione del voltonon s’incontri prima del XIII secolo. A quest’epoca risale an-che la posa di San Giovanni nella Dormizione [leggi: nel Sep-pellimento] con la mano sotto la guancia com’è scolpito sulportale di Tuy e nel portico di Orense. Nonostante la sagomaa pieno centro delle arcate che sovrastano il sepolcro e l’au-stera tristezza delle figure degli apostoli, mi sembra che que-sto affresco sia un’opera del XIII secolo, più arcaico nel catinodove l’iconografia è più fedele alla tradizione, quasi sponta-neo nelle fresche scene del registro inferiore.

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51. [C’è da dubitare che la Goddard King sia mai stata a Saccargia, e dapensare invece che scriva – come del resto dichiarerà esplicitamente inaltri casi – sulla base di fotografie, queste sì, «indecifrabili». Anche pri-ma dei restauri, nelle scene della vita di Cristo affrescate nell’abside siriconoscevano agevolmente, ai lati della Crocefissione, l’Ultima cena eil Bacio di Giuda, il Seppellimento e la Discesa agli inferi ].52. [A voler pensare che la serie di scene citata poc’anzi si riferisca aipannelli musivi di soggetto mariano di Pietro Cavallini in S. Maria inTrastevere, c’è da rilevare che essi non includono la Pentecoste né laCrocefissione ; quest’ultima non è presente nemmeno negli affreschi delCavallini in S. Cecilia in Trastevere: forse la Goddard King confondecon il “titanico” Cristo giudice in questi ultimi].

Non si può dire nulla di certo sulla provenienza del pit-tore, forse un sardo nativo, che probabilmente conosceva,avendo viaggiato, il sud della Francia o la Toscana, o i Pire-nei o l’Italia del sud e la Sicilia, dato che i suoi committentimantenevano contatti con tutte quelle regioni.

Conosco soltanto un altro affresco di antica data in Sarde-gna, raffigurante uno di quegli alberi simbolici così cari al tar-do medioevo, dipinto sul muro [del fianco meridionale] delS. Pantaleo di Dolianova.53 È un’opera del XIV secolo di nongrande interesse, ma desta curiosità per via delle due figureche fiancheggiano il tronco vegetale e di altre che si arrampi-cano e precipitano nelle due orbite concentriche che lo rac-chiudono. L’insieme rappresenta una gerarchia santa: non unascala di perfezione, piuttosto una ruota della Legge.54

Sono sopravvissuti due dipinti su tavola che si è solitiassegnare al periodo “pisano”. Il polittico di Ottana può es-sere datato con sicurezza fra il 1339 e il 1344, e nel Palazzodel Comune di Sassari vi è un trittico del Trecento.

In realtà gli Aragonesi avevano già intrapreso la conqui-sta dell’isola nel periodo in cui può ritenersi siano stati dipin-ti; uno studioso attento non dovrebbe reputar soddisfacentela generica definizione di “pisane”, applicata a simili opere.55

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53. [Per la decorazione pittorica del S. Pantaleo di Dolianova, sottopostaa rilettura iconografica e critica dopo il restauro, cfr. i saggi di Maria Cri-stina Cannas e Lucia Siddi, in Affresco 1994, rispettivamente pp. 13-50 epp. 51-62, e in Affreschi 1997, pp. 11-36 e pp. 37-43]. 54. Cfr. p. 155. [Per completare la trattazione degli antichi affreschi a leinoti in Sardegna, la Goddard King rimanda qui alla sintetica descrizio-ne di quelli di Ardara, che darà più avanti].55. [Le virgolette apposte qui e altrove dalla Goddard King al termine“pisano” in relazione alla produzione artistica sarda fra l’XI e il XIV seco-lo lasciano trasparire una valutazione fortemente critica – per quanto maiesplicita – di certa storiografia che nel sottolineare i prestiti italici non ri-conosceva i caratteri originali degli ambienti isolani di epoca giudicale, erivelano di contro una sua acuta e moderna comprensione tanto dell’ete-rogeneità delle componenti culturali operanti nella Sardegna medioevale,quanto dello specifico grado di autonomia dei risultati conseguiti].

Si considera per primo il trittico di Sant’Antonio (fig. 2).56

La pittura pisana si distingue dalla restante produzionetrecentesca di area toscana per le sue caratteristiche di rispet-to della tradizione e di tendenza all’astrazione. I tre mezzibu-sti del trittico di Sant’Antonio, che rappresentano Sant’Anto-nio [fra] San Nicola e San Lorenzo con un piccolo SalvatorMundi inserito [nella cuspide] sopra il Sant’Antonio, sono ri-gidi ma sorprendentemente solidi. Sembra uno strenuo ten-tativo di seguire i dettami della scuola senese e i suoi pianisquadrati e pesanti, soprattutto nella linea del sopracciglio edel naso di San Nicola; il trattamento dei capelli di San Lo-renzo ricorda il lavoro di un discepolo del[la scuola] senese,come Ferrer Bassa.57 Il ricciolo del pastorale di San Nicola ri-produce un superbo pezzo di smalto Limoges, di cui al mo-mento non ricordo l’esatto parallelo.58 Il disegno ornamenta-le delle due aureole dei santi laterali è di una ricchezza chesi discosta dagli esempi senesi o valenzani, e il ricamo delladalmatica di San Lorenzo ha uno strano insieme di motiviche possono ricordare di primo acchito gli schemi degli in-tarsi e dei rilievi sepolcrali marmorei pisani, ma a un’analisipiù attenta si può ritenere derivato dalle forme quadrate edai punti lunghi del ricamo popolare.

Si deve rilevare che Sant’Antonio [abate] appare qui comemonaco e non come eremita, e che regge con la mano il librodella sua Regola, così seguendo un tipo iconografico moltoraro nella pittura italiana e più comune in quella catalana, di

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56. [Il Trittico dei Santi Nicola, Antonio abate e Lorenzo è ora custoditonel Museo Nazionale “G. A. Sanna” di Sassari, con l’attribuzione al fioren-tino Mariotto di Nardo e la datazione al 1405-10; cfr. Serra 1990, sch. 18]. 57. [Ferrer Bassa e il figlio Arnau introdussero a Barcellona lo stile “ita-lo-gotico”, termine di cui gli storici dell’arte si servono per classificare laseconda fase (1325-50 circa) della pittura catalana tre-quattrocentesca,nella quale si inserisce fra l’altro la commissione a Pere Serra, nel 1403-04 da parte di Arnau ça Bruguera residente ad Alghero, di un retablonon giunto fino a noi; cfr. Gudiol i Ricart, Alcolea i Blanch 1986, p. 56]. 58. Forse il pastorale del San Luigi della collezione von Tschudi. [Diquesto dipinto si dirà più avanti].

cui ricordo solo l’eccellente esempio del grande Retablo diSant’Antonio, bruciato nel 1909.59 È difficile che un belSant’Antonio in trono, ora [a Boston] nella collezione dellasignora Gardner, sia stato eseguito a Napoli, dato che il deli-cato intarsio di poligoni intrecciati, tipicamente mudéjar, neindica l’appartenenza alla pittura iberica.

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59. [Si tratta del polittico dell’altar maggiore della chiesa di S. Antonioabate a Barcellona, di Jaume Huguet, 1454-58; cfr. Gudiol i Ricart, Alco-lea i Blanch 1986, cat. 480; Pere Beseran i Ramon, in Jaume Huguet1993, sch. 1].

2. Mariotto di Nardo, Trittico dei Santi Nicola, Antonio abate e Lorenzo,Sassari, Museo Nazionale “G. A. Sanna”

Ottana era una volta sede di cattedra vescovile, e la rovi-nata pala d’altare ora conservata presso il Museo di Cagliari re-ca [dipinta] un’iscrizione in cui si leggono nomi e titoli sia delgiudice sia del vescovo, che consentono di precisarne la collo-cazione cronologica.60 Ai piedi della Vergine nella cuspidecentrale si dispongono [i committenti]: un vescovo e un giova-ne cavaliere, entrambi inginocchiati. Il primo è identificato dal-l’epigrafe come Fr(ater) Silv(este)r Ep(iscopu)s Octan(ensis) e ilsecondo come D(omi)n(u)s Marianus de Arborea D(omi)n(u)sGociani e M[amille] fecit fieri. Questi era Mariano IV, figlio diUgone II, amico di re Alfonso IV d’Aragona e padre di Eleo-nora d’Arborea; nel 1339 re Pietro IV d’Aragona lo nominòconte del Goceano, ed egli visse fino al 1376. Il vescovo Silve-stro resse la diocesi di Ottana sino al 1344, per cui si può col-locare l’esecuzione della pala fra il 1339 e il 1344. Lo schemacompositivo è tipico sia della costa orientale iberica sia diquella occidentale italica. Consiste infatti di due figure centralifiancheggiate da scene che rappresentano la leggenda di cia-scuno dei personaggi (fig. 3). Esempi iberici prossimi a questapala sono i bei retabli del chiostro di Segorbe e dell’aula capi-tolare di Barcellona, le ingenue tavole di Vilafranca e la partecentrale del grande retablo di Borrassà per le Clarisse di Vic.61

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60. Come chiarisce E. Brunelli 1903, p. 384. [La Pala di Ottana, restau-rata, è ora nuovamente nella parrocchiale di S. Nicola, con l’attribuzio-ne al Maestro delle Tempere francescane, pittore lorenzettiano attivo aNapoli nel 1325-75, e la datazione al 1339-44; cfr. Serra 1990, sch. 25].61. Inoltre, [opere di] Murillo e Goya. [Questi due ultimi esempi sonogenerici, ma per gli altri richiamati cfr. Gudiol i Ricart, Alcolea i Blanch1986, cat. 143 (Retablo delle Sante Eulalia e Chiara già in una cappelladel chiostro e ora nel Museo della Cattedrale di Segorbe, del 1402, at-tribuito a Pere Serra); cat. 399 (Retablo delle Sante Chiara e Caterina,già nell’aula capitolare e ora in una cappella della cattedrale di Barcel-lona, attribuito a Miquel Nadal e Bernat Martorell II, 1454-58 circa); cat.191 (Retablo della Vergine e di San Giorgio, nel S. Francesco di Vila-franca del Penedès, attribuito a Lluís Borrassà); cat. 205 (Retablo dellaVocazione francescana, già nel monastero di S. Chiara e ora nel MuseuEpiscopal di Vic, di Lluís Borrassà, 1414-15, per il quale cfr. inoltreFrancesc Ruiz i Quesada, in Cathalonia 1997, sch. 18)].

Il linguaggio espressivo manca di autentica creatività, il chesorprende, tanto che viene fatto di affermare aprioristicamenteche mai sarebbe stato dipinto in tal guisa in Italia, perlomenomai in Toscana.

Le due figure che occupano la tavola mediana si staglianocontro un fondo dorato rifinito con delicato motivo di bordu-ra. L’aureola di San Francesco si inscrive perfettamente entrol’arco [trilobato dell’edicola che lo contiene] ed è tagliata dallacuspide bassa di sinistra. Egli reca una croce processionale difine oreficeria, decorata con espansioni floreali alle quattroestremità; alla base si nota quel puntale che ne permetteval’inserimento nell’asta delle croci processionali; all’incrocio deibracci si dispone una placca rettangolare con trifogli angolari.San Francesco [d’Assisi] non è rappresentato come un piccolopoveruomo, amante di Madonna Povertà: qui figura invececome fondatore e patrono [del suo ordine], come la SantaChiara di Vic, che porta sul velo una corona baronale alla stre-gua d’una badessa. Egli regge anche un libro della Regola, fi-nemente rilegato. E tutto ciò dopo soli centoventi anni al mas-simo dalla sua sepoltura. Trovare un lavoro paragonabile inItalia sarebbe arduo; a Napoli si trova un’opera valenzana, ilSan Francesco d’Assisi dà la Regola agli Ordini francescani.62

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62. Il dipinto di San Francesco che consegna la Regola a frati e mona-che si trova[va] nel transetto meridionale del S. Lorenzo [maggiore] aNapoli. Il tema è illustrato più esplicitamente nel [citato] retablo di LluísBorrassà a Vic. Due degli azulejos del pavimento mostrano pali catalanientro uno scudo coronato, o in una losanga di tipo valenzano, così rive-lando errori di araldica. La qualità del dipinto è però interamente valen-zana, al pari delle mattonelle, che appaiono un ottimo lavoro valenza-no, obra de Manises; cfr. Osma 1909, 1912. [Si tratta della tavola centraledella Pala di San Lorenzo, di Colantonio (1444-45), oggi a Napoli nelMuseo di Capodimonte; cfr. Fausta Navarro, in Pittura 1987, pp. 450-456, fig. 635, e in Polittico 1989, sch. 2; Pierluigi Leone de Castris, Quat-trocento 1997, sch. 5. Quanto alle osservazioni sull’araldica, i pali catalani(sia nello scudo coronato sia nella losanga “valenzana”) sono della Co-rona aragonese e di Alfonso V il Magnanimo, sotto cui si trovarono uni-te Catalogna, Valenzano, Aragona, Maiorca, il regno di Sardegna e quellodi Sicilia, Napoli compresa].

Il San Nicola [del polittico di Ottana] è vecchio e calvo conciuffi di capelli sulle tempie e una corta barba piena. La manodestra poggia sulla testa di un fanciullo recante un calice. Lastoria del ragazzo e della coppa è attinta dalla Leggenda au-rea ma è usata più spesso nella pittura valenzana e napoleta-na che in quella fiorentina o senese.

In ogni pannello laterale ci sono otto scene, allineate adue a due. A sinistra figurano scene francescane: Visione [not-turna] di San Francesco, con la chiamata da parte di Cristo;[Francesco getta via gli abiti,] il vescovo lo copre e il padreviene trattenuto dagli amici [Rinunzia ai beni]; il Sogno di In-nocenzo III, con San Francesco che regge il Laterano; l’Appro-vazione della Regola; l’estasi di San Francesco [Visione delcarro di fuoco]; la Predica agli uccelli; le Stigmate sulla Verna;la Morte del santo alla presenza dei suoi discepoli e del papa.

Nell’altro pannello del polittico, quello destro, le scenesono ancora più rovinate e rappresentano: la Nascita di SanNicola, dove il bimbo è in piedi nella fonte in adorazionedel Signore; l’Elemosina alle figlie del cavaliere povero; l’In-tervento a favore dei tre soldati [ingiustamente condannati amorte]; la Liberazione del giovinetto cristiano schiavo degliinfedeli a banchetto; la Restituzione del giovinetto ai genitori,che se ne rallegrano; la Resurrezione dei fanciulli nella va-sca; il Salvataggio della nave dal mare in tempesta; la Mortedel santo assistito da quattro angeli.

Sopra questi pannelli ci sono due piccole cuspidi per latocon Santa Caterina e l’arcangelo Gabriele, la Vergine annun-ciata e Sant’Elena. Nella cuspide centrale [più alta] si colloca laVergine in trono. Quest’ultima figura, con il Bambino sulle gi-nocchia, richiama l’arte dei Lorenzetti, mentre l’arcangelo por-ta la veste e le ali di un angelo del Beato Angelico. L’Annun-ciata siede su un seggio provvisto di leggio, e vicino a lei c’èuna cesta con lane, peculiare delle donne sin dai tempi di Ele-na, regina di Sparta.63 Rispetto alle scene narrative, le cuspidihanno un carattere più senese. Arrivando a queste dalle sale

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63. Cfr. un affresco nelle catacombe di Palmira [sic].

[del Museo di Cagliari] dove si conservano le opere del Figue-ra e del Barceló, esse sembrano esclusivamente italiane. Soloa un’analisi più ravvicinata si notano le divergenze da quellatipologia, verificabile più nella concezione che nelle forme.

Pare molto italiana, e abbastanza senese, un’adorabilepiccola Madonna col Bambino in cui un uccellino si posasul dito del Bambin Gesù.64 Nel notevole articolo pubblicato

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64. [È la tavola della Madonna col Bambino, nella Pinacoteca Nazionaledi Cagliari con l’attribuzione al portoghese Alvaro Pirez, attivo in Toscananel 1411-34, e la datazione al 1420 circa; cfr. Serra 1990, sch. 39].

3. Maestro delle Tempere francescane, Pala di Ottana, Ottana, parrocchialedi S. Nicola

dall’Institut d’Estudis Catalans, che fece nuova luce sul no-stro campo di studi, l’Aru tratta di altre due tavole d’altaretrecentesche conservate a Cagliari, di cui una con un santocavaliere che non ricordo assolutamente, e l’altra, da luipubblicata, con una Crocefissione assai danneggiata. Que-st’ultima è piena di sentimento e di carattere; nei miei ap-punti scrivo che i riccioli rossi di San Giovanni richiamanoquelli degli angioletti a Vic, e che le aureole compongonoun ammirevole motivo ascensionale verso il Cristo crocefis-so. Secondo l’Aru dovrebbe risalire alla seconda metà delXIV secolo, opera di un artista non italiano.65

I registri di questo secolo riportano soltanto i nomi didue pittori. Domenico Pollini, di Cagliari, morì nel 1340 circanel convento domenicano di Pisa. Era miniaturista e pittoresu vetro: fuit valde gratiosus et probus, suavissime conversa-tionis. Cantabat bene, scribebat pulc[h]re, et fenestras vitreasoperabatur optime.66 Se si considerano le tante donazioni efondazioni camaldolesi registrate negli annali sardi, e se siricorda la bellezza della miniatura rappresentante i fratelli gri-gi di San Romualdo [sic], si può pensare che ci fossero moltiabili pittori sardi bravi a decorare i codici (scribebat pulchre).Il canto tuttavia era una grazia aggiuntiva, peculiare di FraDomenico. Nello stesso secolo, ma più tardi, visse anche unpittore di nome Fra Giacomo di Lanfranco Guallerotti, chemorì arcivescovo di Torres nel 1379.

In tal guisa si chiude il Trecento.

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65. Aru 1911-12, pp. 508-529. [Si tratta della Caccia di San Giuliano edella Crocefissione, due delle tavole superstiti del Retablo dell’Annun-ciazione, custodite nella Pinacoteca Nazionale di Cagliari con l’attribu-zione al catalano Joan Mates e la datazione al 1410 circa; cfr. Serra1990, sch. 37. Dello stesso retablo si conservano anche cinque tavoledella predella, di cui la Goddard King dirà più avanti senza riconoscer-ne però la pertinenza a questo polittico].66. Spano 1870, p. 12. [Per questo frater Dominicus Sardus, de PollinisKallaretanis, cantore, calligrafo (miniatore?) e pittore di vetrate, mortoa Pisa nella peste del 1348, cfr. Antonino Caleca, in Pittura 1986, vol.II, p. 568 e relativa bibliografia].

Il primo nome che si può ricordare con sicurezza per ilXV secolo è quello di Berenguer Picalull. A causa della falsi-ficazione di carte arborensi prodottasi nel XIX secolo, anchele notizie riguardanti il pittore risultano confuse, ma l’Aru harecentemente pubblicato il documento autentico, con cui ilpittore accettava l’incarico di dipingere uno stendardo per latomba del cavaliere Luigi Carbonell, datato 10 marzo 1423.67

Sia il nome del pittore sia quello del defunto sono catalani.Il secondo era di Valenza, e la vedova si chiamava Beatricecome una delle figlie, mentre l’altra si chiamava Isabella. Il lo-ro rappresentante, probabilmente il cappellano di famiglia,era Francesco Bosch di Játiva. Lettura interessante è il registrolatino del notaio, che si è conservato. Sembra che Picalull fos-se pittore e locandiere e che parlasse catalano non appena glifosse possibile. «È vero – dice Picalull – mi portarono unavecchia bandiera e una pavesa dalla galea di mossén LluísCarbonell, e dovevo restaurarle e dipingervi le sue armi». Be-ne, i pittori del re di Valenza e Barcellona accettarono appun-to simili incarichi. Berenguer avrebbe potuto legittimamentestare al posto di Martorell o dei Serra, di Llorenç Zaragoza oanche dello stesso favorito di Alfonso V il Magnanimo, Jaco-mart, che eseguiva lavori del genere.68

Si nutre tuttavia il dubbio che Giorgio di Cagliari, il qualeal tempo del giudice Torbeno d’Arborea dipinse per la catte-drale di Oristano,69 sia né più né meno che una creatura im-maginaria alla stessa stregua dell’Ossian di Macpherson o delmonaco Rowley di Chatterton. Se non lui, qualcun altro allo-ra lavorò all’Opera della cattedrale, perché – dice lo Spano –«la Cattedrale d’Oristano possedeva molte tavole antiche che

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67. Aru 1920, pp. 147-148.68. [A proposito di Berenguer Picalull, pintor de paveses – e non de re-tablos – in Cagliari, cfr. le osservazioni di Serra 1990, p. 46 e relativa bi-bliografia].69. Edificata nel 1229 da un fabbro, Placentino. [Un pittore Giorgio diCagliari risulta soltanto dalle false pergamene arborensi. Placentinus èil nome dello scultore che nel 1228 firmò i picchiotti bronzei della cat-tedrale di Oristano, oggi nell’aula capitolare; cfr. Serra 1990, sch. 7].

furono distrutte nel riformarsi la Chiesa». Dispersi sono anche idipinti nell’antica chiesa di S. Francesco sempre a Oristano, di-strutta venticinque anni fa.70 Si possono riferire a quel periodo– negli anni Sessanta [dell’Ottocento] l’erudito canonico sapevameno di noi sui Primitivi ma aveva occhio per la pittura e pos-sedeva una bella collezione che andò purtroppo smembrataalla sua morte – i dipinti su tavola della bella chiesa [romanica]di S. Paolo di Milis. Distrutti da incapaci quelli dell’altare mag-giore e dell’altare sinistro, rimane la Crocefissione dell’altare didestra, che, sebbene di stile asciutto, è molto vivace nella resadei colori. Il dipinto fu rimaneggiato nel 1503.71

Lo stile è catalano in questo pannello rappresentante ilCalvario, tema che corona tutti i retabli mayores iberici.

Il Salvatore è al centro del pannello (fig. 4), con i due la-droni in posizione leggermente angolata e piuttosto più inbasso. La Maddalena è inginocchiata ai piedi della croce, laMadonna si abbandona nell’angolo sinistro fra le braccia diSan Giovanni e di una santa donna. Tutta la metà di destra èoccupata da soldati romani che portano sui loro scudi lascritta S.P.Q.R., a eccezione di un cavaliere su un destrieroscuro, attentamente delineato all’estrema destra. I due solda-ti, su cavallo scuro e su cavallo chiaro, che fronteggiano ilgruppo di destra al modo dei portainsegne nei dipinti deiVergós, sono collocati uno sopra l’altro a sinistra della croce.In generale, lo sfondo del cielo è sapientemente scandito dalance, bandiere e pennoni. Le aureole sono in rilievo, a cer-chi concentrici come quelle del Retablo del Conestabile.72

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70. [Per la citazione cfr. Spano 1861b, p. 40, nota 1, oppure 1870, p. 11,nota 2. La ristrutturazione della cattedrale di Oristano fu intrapresa nel1729; quella del S. Francesco nel 1835. Sulle tavole superstiti dei politti-ci che vi si trovavano la Goddard King tornerà in seguito].71. [Oltre alla Crocefissione, dello stesso retablo facevano parte la tavoladella Madonna col Bambino e angeli e la predella, anch’esse nel S. Pao-lo di Milis, con ascrizione al 1503; cfr. Serra 1990, sch. 62]. 72. [Si tratta del polittico dell’altar maggiore della cappella di S. Agatanel Palazzo Reale di Barcellona, dipinto da Jaume Huguet nel 1464-65;cfr. Gudiol i Ricart, Alcolea i Blanch 1986, cat. 486; Jaume BarrachinaNavarro, in Jaume Huguet 1993, sch. 6].

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4. Crocefissione, Milis, chiesa di S. Paolo

L’artista introduce delle innovazioni nello schema compositivotradizionale, senza dubbio appreso a Barcellona, ma i suoimodi formali sono catalani. L’iscrizione sulla cornice [sic] indi-cherebbe come probabile datazione l’inizio del XV secolo.

Una predella [del Museo] di Cagliari73 può probabilmenteriferirsi alla prima decade di quel secolo, e con certezza allacerchia di Lluís Borrassà.74 Nei cinque pannelli vediamo iSanti Antonio abate e Giovanni battista, il Cristo morto chesta eretto fra gli strumenti della Passione, due sante di cuiuna è Santa Margherita e l’altra [Santa Caterina d’Alessandria],le cui sembianze femminili ricordano l’aspetto secolare dellaSanta Perpetua [nel retablo di Borrassà per le Clarisse] diVic. I riccioli scomposti del Battista si ripiegano su se stessicome in un’opera bizantina, la barba termina a punta e lapelle di cammello è maculata secondo un modo convenzio-nale di rappresentare il vaio araldico.

Il collegamento con Barcellona si mantiene vitale duran-te tutto il XV secolo. Jaume Huguet inviò dei suoi lavori inSardegna prima del 1451.75 Nel secondo terzo del secolo Va-lenza doveva aumentare la sua importanza, ma la capitalecatalana rimase assai influente e alimentò una forte tradizio-ne, persino al tempo della pala di Sanluri.

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73. [Oggi nella Pinacoteca Nazionale di Cagliari, la predella va riferitaal Retablo dell’Annunciazione ascritto a Joan Mates, di cui già s’è detto.Per la ricostruzione dell’attività del Mates, documentato tra il 1391 e il1431, cfr. Gudiol i Ricart, Alcolea i Blanch 1986, pp. 88-92]. 74. [Lluís Borrassà è infatti l’iniziatore dello stile “gotico internazionale”,che corrisponde alla terza fase (1375-1460 circa) della pittura catalanatre-quattrocentesca, nel cui primo tratto cronologico (1375-1400 circa)s’inquadra pure Joan Mates].75. [Nato a Valls prima del 1419 e morto a Barcellona nel 1492, JaumeHuguet è il pittore più rappresentativo dell’ambiente catalano e specifi-camente barcellonese della seconda metà del Quattrocento; per la rico-struzione della sua attività cfr. Gudiol i Ricart, Alcolea i Blanch 1986,pp. 160-175; e soprattutto saggi e schede in Jaume Huguet 1993, doveRosa Alcoy i Pedrós presenta pure le ricostruzioni fotografiche dei po-littici smembrati, pp. 120-141].

Di sicuro si sa che operarono a Cagliari due uomini diBarcellona dall’inizio della primavera del 1455 sino almenoal novembre del 1456. Carlo Aru ha rinvenuto e pubblicato76

il contratto con cui Rafael Tomàs e Joan Figuera si impegnaro-no a dipingere per il convento francescano di Stampace un re-tablo di San Bernardino, conformemente al progetto graficofornito su carta. I committenti risultano essere il guardiano delconvento Michele Gros e un cagliaritano, Francesco Oliver.Il prezzo pattuito fra le parti fu abbastanza elevato: duecento-quaranta fiorini d’Aragona, di cui un terzo subito, un terzo ametà dell’opera e l’ultimo due settimane prima del completa-mento. Indubbiamente si tratta del retablo che si trova ogginel Museo di Cagliari (fig. 5).77 Nel luglio seguente il Figuerafirmò una procura per un prete di Cervera riguardante l’ere-dità del fratello Matteo. Infine, in nome del socio, Tomàs si ac-corda con un certo Antonio de Badia per rilasciare un appren-dista, Antonio Ortu, scappato dopo aver derubato i pittori.

Essi vissero, quindi, quasi due anni a Cagliari, forse dipiù, ma non se ne ha certezza, poiché la frase Ego JohannesFiguera pictor barchinonensis nunc vero moram trahens inCastro Calari non dice molto, se non che egli non ne eracittadino, né locatario di una casa. Probabilmente i due pit-tori vennero a Cagliari per via della commissione francesca-na e tornarono poi in Catalogna.

San Bernardino era stato canonizzato nel 1450 e i frati diStampace non persero tempo, per giungere ad allestirne cosìin breve l’altare. Lo scomparto mediano basso del retabloraffigura il santo che si stacca da terra mentre è intento nellapredica, e segue probabilmente una tradizione relativa a unepisodio di levitazione, di sollevamento del corpo, di cuinon sussiste traccia in rappresentazioni più tarde della sua

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76. Aru 1920, pp. 136-150.77. [È il Retablo di San Bernardino, ora nella Pinacoteca Nazionale diCagliari, proveniente dalla distrutta chiesa cagliaritana di S. Francescodi Stampace, dov’era collocato nell’omonima cappella; cfr. Serra 1990,sch. 41 e, per le vicende dei pittori Tomàs e Figuera tra Catalogna e Sar-degna, pp. 97-101].

leggenda agiografica. Analoga considerazione può farsi circala scelta dei miracoli, che può apparire strana soprattutto perquel che vi è omesso, come il riconoscimento della gloriadel santo da parte di San Vincenzo Ferrer, oppure la com-parsa della stella sul capo del santo mentre predica di frontead Alfonso a L’Aquila. Una scena della predella – quella del-l’intervento in favore del ragazzo artigliato dall’orso – è pro-babilmente d’ispirazione sarda.

Come si è detto, al centro vi è il grande missionario chepredica, e due angeli coronati di rose e ammantati di vellutorosso scuro gli stanno accanto a guisa di reggitori araldici.Nella tavola più alta vi è la Crocefissione, e sotto di essa unCompianto interpretato secondo la tipologia catalana, di cuirappresenta uno degli esempi più antichi e maggiormente utilia chiarire l’evoluzione del tema. A sinistra, in alto, si dispone ilprimo degli scomparti laterali con le storie di San Bernardino:la Visione durante la predica a Milano (1417), dove il santovede l’anima della sorella Tobia [sic] passare in cielo. Nella ta-vola simmetrica a destra, la Traversata del fiume a bordo delmantello, presso Mantova (1420), superando gli zotici barcaio-li. Le scene centrali di entrambi i lati sono generiche e perciòdifficili da identificare: il santo resuscitò quattro morti, e lascena a sinistra mostra uno di questi miracoli [Resurrezione diun morto per ferite]. Nella tavola di destra mi sembra che ilsanto stia guarendo a Massa (1444) il lebbroso, un mendicantespagnolo che implorava di poter infilare i sandali del santo,forse visibili per terra [Risanamento degli storpi e liberazionedell’indemoniato]. I miracoli nei due scomparti laterali bassisono quelli [operati post mortem] dell’ammalata a Rieti e delladonna in travaglio a Bâle, grazie all’invocazione dell’ostetrica.

Nella predella vi sono altre sei storie del santo, tre perogni lato dello scomparto centrale raffigurante il Cristo mortoretto da un angelo. Le scene a sinistra raffigurano nell’ordinela Benedizione di pellegrini e storpi, con il santo che regala a

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5. Rafael Tomàs e Joan Figuera, Retablo di San Bernardino, Cagliari,Pinacoteca Nazionale

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poveri e mendicanti le vettovaglie dategli da una signora ro-mana; il miracolo della Guarigione dell’ammalata paraliticaa Spoleto; il miracolo della Resurrezione del fanciullo travol-to dalla corrente del mulino. Dopo il Cristo in pietà si vedo-no il Miracolo del cacciatore, con il ragazzo artigliato dall’or-so, e poi un episodio del ciclo della governante disattenta,con la Resurrezione dell’annegato, un bambino ripescatodalla piscina, che vomita tutta l’acqua bevuta. Nell’ultima ta-vola a destra, San Bernardino figura da esorcista, con i pelle-grini inginocchiati, Devoti alla tomba del santo a L’Aquila.Benché sia questo un tema ben noto in Catalogna, non ri-cordo un esempio così antico che lo documenti anche nellapenisola italica.78 Lo ritroveremo, nella stessa posizione, nel-la predella della pala di Sanluri. Nel polvarolo erano inseritiotto mezzibusti di profeti che reggono cartigli dall’andamen-to sinuoso, similmente a quanto si osserva nel Retablo diGranollers, più recente di circa cinquant’anni.79

Sapendo che i due pittori, apparentemente della stessaimportanza, lavorarono entrambi a questa pala d’altare, si ècolti dalla tentazione di assegnare i pannelli all’una o all’altramano, ma in modo piuttosto avventato, riconoscendo allaprima i duri tratti della tradizione catalana e all’altra quelliche mostrano una singolare somiglianza80 con i lavori com-missionati da Filippo il Buono nello stesso periodo. Le minia-ture che adornano Le grandi cronache di Francia che il Rei-nach81 vide a San Pietroburgo assomigliano tantissimo ai seipannelli laterali di questo retablo, ma i sei piccoli scomparti

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78. [Cfr. Pavone 1981, p. 43]. 79. [Si tratta del polittico dell’altar maggiore della chiesa di S. Stefano diGranollers, smembrato e custodito oggi nel Museu d’Art de Catalunya aBarcellona. Fu realizzato dall’équipe dei Vergós nel 1491/95-1500; i pro-feti Abramo, Mosè, Davide e Isaia nel polvarolo furono dipinti da JoanGascó già nel XVI secolo. Cfr. Gudiol i Ricart, Alcolea i Blanch 1986,cat. 493; Joaquim Garriga, in Cathalonia 1997, sch. 29; Miquel Miram-bell, in Cathalonia 1997, sch. 35].80. Avvertibile anche in Jaume Huguet. 81. Reinach 1904.

della predella non sono invece così simili come ci si potreb-be aspettare. Il Cristo in pietà al centro, come la Crocefissio-ne in alto e il Compianto sotto di essa, sono inconfondibil-mente catalani. Si deve però ricordare – e sono grata perquesto suggerimento al mio amico George Rowley – che nel-le opere dei Primitivi non è strano trovare scomparti narrativieseguiti con stili diversi, assimilabili all’arte della miniatura.

Ad ogni modo, si può affermare che la testa del profetaAbacuc [nel polvarolo] fu eseguita dalla stessa mano che di-pinse Nicodemo, Giuseppe d’Arimatea e l’ebreo in turbantenella Crocefissione; che le mani degli angeli nel pannellocentrale assomigliano a quelle delle pie donne nel Com-pianto; e che la testa della grande figura di San Bernardino,benché dipinta con cura e ricerca estetica infinitamente mag-giore rispetto a qualsiasi altra nel polittico, resta comunqueabbastanza diversa per forma e fisionomia da quella delle fi-gure del santo negli scomparti laterali. Per pura convenien-za, si potrebbe decidere di identificare in Joan Figuera il pit-tore delle tre scene mediane, le più importanti dell’insieme.Egli sembra preferire un’aureola semplice, definita da unanello di puntolini nelle tavole superiori, incisa a circoscrive-re una croce rossa di forma peculiare, indicante il Salvatore.Colloca dietro il titolare dello scomparto centrale un pesantedisegno in rilievo, dorato, chiuso, massiccio e piuttosto in-congruente con il resto. Non è, infatti, lo schema liberamen-te fitomorfico dei Vergós, ma un motivo tessile.

Quanto a partito compositivo, la Crocefissione si confor-ma al tipo più semplice, senza i due ladroni o uomini a caval-lo. Sullo sfondo è collocata una città cinta di mura, con super-bi edifici pubblici e una chiesa a due torri; a sinistra le treMarie e la Vergine che perde i sensi tra le braccia di San Gio-vanni; a destra un gruppo di soldati e un ufficiale che litiganocon un paio di scriba e dei Farisei; alle estremità laterali, sago-me d’alberi sullo sfondo del cielo dorato. Nella composizionedei gruppi, nel dettaglio, nel colore, il massimo dell’effetto èottenuto mediante una rigorosa selezione degli elementi dispicco, principalmente la croce massiccia e la pesante testa

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del Cristo. Nel Compianto, l’iconografia è quella solita, ripro-ducente il cosiddetto Santo Sepolcro [sic], figure ai lati e altreallineate dietro il Cristo, dal corpo non rigidamente orizzonta-le, con il capo chinato come a Manresa e Barcellona. Le sago-me degli stessi alberi si ripetono a entrambe le estremità; sevisto da lontano, il gruppo palesa la sua organizzazione sim-metrica, volta a creare un effetto di solennità.

Negli scomparti laterali, le donne indossano lunghe vestidiversamente panneggiate, gli uomini il corto e spesso gon-nellino pieghettato che si vede nel frontespizio del Vello d’oroe d’altri manoscritti borgognoni. I volti dei personaggi hannotaglio molto lungo e squadrato, con nasi appuntiti, occhisbarrati che spesso mostrano l’intera pupilla. Il portamentodei giovani è elegante, da cortigiani, con la mano sul fianco osull’elsa della spada e le gambe snelle, tenute vicine, posaquesta più evidente nei giovani di sinistra nell’interno di chie-sa di uno dei pannelli laterali a destra. Queste osservazionisono valide soprattutto per i personaggi secolari, poiché nelsimmetrico pannello laterale mediano a sinistra San Bernardi-no è piccolo e ha la testa tondeggiante, sì da ricordare le fi-gure della pittura senese dopo il Sassetta. Assai simile a que-sta è la sua figura nella prima scena della predella. In dettogruppo di pannelli, le aureole sono di disegno ricercato ecomplesso, come nelle opere senesi o valenzane; il vuotodelle finestre e della porta aperte è occupato da un bel moti-vo libero stampigliato in bassorilievo su fondo oro. Un tempolo stesso ornato era visibile in altre tavole della serie, ma oraè rovinato. Nei drammatici aggruppamenti di figure, nell’equi-librio plastico delle masse, quest’opera è eccellente e di tonodecisamente iberico, anticipando per la precisione retabli co-me quello di Avila con le storie di San Tommaso (1499-1504),adesso [a Madrid] nel Prado.82 Se identificassimo in questo

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82. [Si tratta probabilmente dello smembrato polittico di San Tommasod’Aquino, dipinto da Pedro Berruguete nel 1500 circa per l’altare mag-giore del convento di Santo Tomás ad Avila; cfr. Isabel Mateo Gómez,in Pittura 1995, pp. 194-195, fig. 228].

pittore Rafael Tomàs, recupereremmo un nome da collocare,a pieno merito, dietro quello di Pedro Berruguete.

Persistono nella predella identiche tipologie,83 specialmen-te nelle ultime tavole; nelle prime, la dimensione narrativa ap-pare più libera e pittoresca, e i nudi in ginocchio del primopannello assomigliano in qualche modo ai martiri di Huguet aTerrassa.84 San Bernardino esorcista, raffigurato nello scom-parto finale, costituisce l’esempio più antico di un soggettoiconografico che sarà replicato molto spesso a Barcellona.Unicamente lo scomparto centrale, un Cristo a occhi aperti[sic] retto da un angelo, può dirsi opera del maestro che ab-biamo per comodità chiamato Figuera, sebbene il suo stilerisulti qui così alterato – certo al fine di adattare la vedutaravvicinata alla carica emotiva del soggetto – da poter giusti-ficare anche l’ipotesi della sua paternità per la testa del SanBernardino nella tavola centrale, che per molti versi assomi-glia a questa.

All’artista qui denominato Joan Figuera mi piacerebbeassegnare la predella della chiesa di S. Lucifero (fig. 6), che

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83. Analoghe a quelle di Huguet. 84. [Il rimando è alla Decollazione dei Santi Cosma e Damiano nelloscomparto sinistro della predella del Retablo dei Santi Abdon e Senen,già nella chiesa di S. Pietro e oggi in quella di S. Maria a Terrassa, del1459-60; cfr. Gudiol i Ricart, Alcolea i Blanch 1986, cat. 484; JoaquimGarriga i Riera, in Jaume Huguet 1993, sch. 4].

6. Joan Figuera, predella del Retablo di S. Lucifero, Cagliari, PinacotecaNazionale

è appesa nella stessa galleria.85 Lo scomparto centrale, un Cri-sto morto retto da un angelo (fig. 7), è della stessa mano cheha dipinto il Compianto [della pala di San Bernardino], ma piùfine e abile. L’angelo triste nella sua veste bianca sembra anti-cipare la Vergine di Tuili. Tutte le aureole sono lavorate conmotivi delicati e pieni di grazia, ma non assomigliano a quelledel Tomàs. Lineamenti tipologicamente marcati in senso cata-lano caratterizzano le teste dei quattro santi di età avanzata:Pietro e Paolo, Giovanni battista e Antonio abate. Il San Miche-le assomiglia all’angelo della Pietà, ma porta sul petto una cro-ce della stessa foggia di quella di Calatrava, e lancia e lorica diun’armatura; il San Giorgio cavaliere della Croce Rossa, suopendant, è un bel tipo catalano di corporatura asciutta. Questafigura di soldato (fig. 8) e il Battista con le mani giunte in pre-ghiera, ansioso, silenzioso e molto toccante, segnano forse ilculmine dell’arte del Figuera; dopo di che ci si ritrova a specu-lare sul motivo per cui egli non abbia avuto riconoscimenti enon sia stato celebre a Barcellona. È possibile che al suo ritor-no il pittore si fosse sistemato a Cervera grazie a un lascitoereditario, e che tutto quel che era stato da lui dipinto nellasua città natale fosse stato poi cancellato per far posto alleopere del XVIII secolo commissionate da Filippo V.

Vi è tuttavia la possibilità che un frammento di un’operatarda di Joan Figuera sia stato risparmiato dalla distruzione eche debba essere identificato nella grande tavola della colle-zione Cabot, raffigurante San Giorgio e la principessa.86 Que-st’elemento [di retablo] è stato approssimativamente datato al1460 circa. La testa del santo assomiglia incredibilmente pertecnica e metodo d’approccio (sebbene non in quel che sisuol definire somiglianza fisica) al San Giorgio [della predella]

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85. Cfr. questo stesso libro, in appendice. [Vi si riferiscono le circostanzerelative al recupero della Predella di S. Lucifero, proveniente dall’omo-nima chiesa cagliaritana e ora nella Pinacoteca Nazionale di Cagliari,con l’attribuzione a Joan Figuera e la datazione ad anni successivi al1456, per la quale cfr. Serra 1990, sch. 43]. 86. [La riproduzione fotografica di quest’opera, presente nel libro dellaGoddard King, non viene qui ripubblicata].

di S. Lucifero. Il disegno del naso, con i dettagli dell’internodella narice, è identico nella figura del San Giorgio come inquella della principessa, del San Bernardino e degli angeli.La decorazione del cappello carico di gioielli e del copricapodella principessa risulta uguale a quella dei mantelli degli an-geli, e il broccato è trattato nello stesso modo. Disponendoin sequenza la Pietà [della pala di San Bernardino], la predel-la [di S. Lucifero] e il pannello di San Giorgio e la principes-sa, è impossibile non percepire l’impronta di una sola mano,come pure di una sola immaginazione creativa.

I pannelli laterali di questo smembrato trittico di SanGiorgio si trovavano una volta nella collezione di don PedroAnês a Barcellona, e furono inviati a Berlino per essere ven-duti assieme con altri pezzi; von Loga e poi Bertaux rico-nobbero la provenienza dell’opera e il secondo la assegnòragionevolmente all’atelier di Jaume Huguet.87 I committenti,un cavaliere della Jarra e una dama del Pilar, presentati ri-spettivamente dal Battista e da San Luigi di Tolosa, furonoidentificati più tardi ingegnosamente e in modo definitivo daAlbert van der Put come Giovanni II di Beaumont, signore diOrtubia, e sua moglie Luisa di Monreal.88 I Beaumont erano

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87. Loga 1909, pp. 179-299; Bertaux 1909, pp. 187-192. [La bella tavolacentrale con San Giorgio e la principessa si conserva oggi nel Museu d’Artde Catalunya di Barcellona, con l’attribuzione non al Figuera, bensì a Jau-me Huguet. Le due laterali con San Giovanni battista e il donatore e conSan Luigi di Tolosa e la donatrice, confluite nel Kaiser Friedrich Museum diBerlino, sono disperse dal 1945. La datazione del trittico cadrebbe neglianni del “periodo aragonese” di Huguet (1435-45 circa) per Gudiol i Ricart,Alcolea i Blanch 1986, cat. 469; al 1459-60 per la maggior parte della criticarecente, per la quale cfr. Joan Ainaud de Lasarte, in Jaume Huguet 1993,sch. 21; Milagros Guàrdia, in Cathalonia 1997, sch. 26 e bibliografia].88. Put 1913, pp. 287-291. [L’ipotesi di identificazione dei committentisi gioca sulle insegne araldiche nel retro del San Giorgio e sui santi cheaccompagnano i donatori del dipinto, cioè San Giovanni battista e SanLudovico di Tolosa. In verità le armi non sono dei Beaumont, come so-stenuto dal van der Put, bensì dei Cabrera, il che indirizza a BernatJoan de Cabrera, sposato con Violant de Prades: il primo santo si legaal nome del donatore, mentre per il secondo la stirpe dei Prades avevauna speciale venerazione].

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7. Joan Figuera, Cristo in pietà, tavola centrale della predella del Retablo di S. Lucifero, Cagliari, Pinacoteca Nazionale

8. Joan Figuera, San Giorgio, tavola laterale della predella del Retablo di S. Lucifero, Cagliari, Pinacoteca Nazionale

partigiani del Principe di Viana, erede in linea diretta dell’Ara-gona. Suo fratello era il maestre hostal del Principe, che spo-sò Violante di Agramont; il principe le apprestò una riccadote. Ricordando l’amore che i Catalani portavano nei con-fronti di Carlo [Principe di Viana], possiamo presumere cheil trittico di San Giorgio, patrono di Catalogna e Aragona,fosse stato ordinato a un pittore catalano prima della suamorte, occorsa nel 1461. Tale data dovrebbe accordarsi conla probabile età delle varie persone [implicate nella commit-tenza dell’opera]. Paragonando questo a un retablo coevo del-l’Huguet, quello di Terrassa con i Santi Abdon e Senen, è evi-dente come il genio del Figuera possedesse più forza e fossepiù moderno. Al confronto con le figure di questo trittico,l’atteggiamento di grazia fuggevole dei Santi Non e Nin [leg-gi: Abdon e Senen] e lo splendore cerimoniale della consa-crazione vescovile di Sant’Agostino sembrano tenui, freddi eun po’ irreali.89 Nel primo, il gesto dei [Santi] patroni, concui ciascuno di loro poggia una mano sul libro tenuto dalcommittente, ha un’espressività sorprendente per l’epoca,senza alcun antecedente. Vi erano finalità e sentimento an-che nel gesto dell’angelo nella Pietà [della predella di S. Lu-cifero] a Cagliari. L’Agnus Dei del San Giovanni battista [nel-la stessa predella] richiama un poco quello nel Retablo diCubells.90 Oggi Cubells, Cervera e Agramont giacciono allarinfusa in un angolo di Catalogna al confine con l’Aragona,

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89. [Il confronto è con opere di Jaume Huguet: lo scomparto centraledel citato Retablo dei Santi Abdon e Senen e la tavola con la Consacra-zione vescovile di Sant’Agostino, oggi nel Museu d’Art de Catalunya,una delle otto del polittico già nel convento vecchio degli Agostiniani aBarcellona, eseguito dal maestro e dai suoi collaboratori nel 1463-86circa, per il quale cfr. Gudiol i Ricart, Alcolea i Blanch 1986, cat. 488;Milagros Guàrdia, in Prefiguración 1992, sch. 87; Rosa Alcoy i Pedrós,in Jaume Huguet 1993, sch. 9].90. [Si tratta del polittico di Sant’Orsola, proveniente dalla parrocchialedi Cubells e oggi nel Museu d’Art de Catalunya a Barcellona, firmatonel 1468 da Joan Reixac, documentato a Valenza fra il 1431 e il 1484;cfr. Rosa Alcoy i Pedrós, in Prefiguración 1992, sch. 82].

ma un occhio allenato è in grado di ricostruire le relazionifra questi centri, in parallelo con quelle tra il chiaro volto delSan Luigi di Tolosa e quello dei vescovi aragonesi dipinti perDalmau de Mur.91

Sappiamo che l’Huguet è stato attivo fra il 1448 e il 1483e che il suo contatto con la Sardegna cadde prima del marzodell’anno 1451, quando egli diede a suo fratello una procuraper ritirare dei pagamenti da Gabriele Canilla per lavori ese-guiti su commissione.92 Figuera era barcellonese, probabil-mente più vecchio dell’Huguet, e iniziò la sua carriera sottole stesse influenze puramente catalane e molto presumibil-mente nello stesso ignoto atelier, ma in seguito si ritirò forsea Cervera, e sentì la qualità speciale dell’ambiente artistico eculturale aragonese. Nella “invenzione” di Joan Figuera – seci è concesso di definirla così, alla stregua del rinvenimentodi una reliquia santa – abbiamo recuperato dall’arte il tutto diun uomo, un forte e sensibile genio.

Lo stesso effetto di pallore candido che si nota nelle [ci-tate] tavole di Saragozza dipinte per il vescovo Dalmau deMur, una sorta di bianco sguardo interiore, si osserva in unafigura di San Luigi di Tolosa93 leggente in un parlatorio chesi apre su una profonda loggia gotica. Questo dipinto è cer-tamente sardo. Sembra che una coppia d’ante di un tritticopieghevole «raggiunsero Berlino con la collezione di Pedro

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91. [Poco prima di morire nel 1456, l’arcivescovo Dalmau de Mur diededisposizioni per il retablo scultoreo e pittorico della cappella nel palazzoepiscopale di Saragozza. Ai dipinti lavorava nel 1458-59 Tomás Giner, cuispettano appunto le due tavole superstiti con coppie di figure: in unaSan Martino vescovo e Santa Tecla, nell’altra Sant’Agostino vescovo eSan Lorenzo. Cfr. Maria Carmen Lacarra Ducay, in Jaume Huguet 1993,pp. 86-97; Joaquín Yarza Luaces, in Pittura 1995, pp. 156-157, fig. 182].92. Sanpere i Miquel 1906, vol. II, p. 17.93. Collezione von Tschudi. [Si tratta probabilmente della tavola con SanLuigi di Tolosa pubblicata con l’attribuzione all’ambito dei Vergós, di Pe-re Alemany e di Francesc Mestre (attivi fra il 1459 e il 1503), ma senzaulteriori precisazioni in Gudiol i Ricart, Alcolea i Blanch 1986, cat. 505].

Anês», e che una acquistata da von Tschudi sia stata pubbli-cata da von Loga.94 In uno dei pannelli la testa di Sant’Au-sias, nella scena dell’incontro con il Cristo, è di fattura tantocasalinga da risultare confacente a una qualunque arte diprovincia. Nell’altro pannello, San Luigi ha il pallore lunaredella continenza, come il San Siffrino in Avignone e il SanLuigi che presenta la dama del Pilar come donatrice [del trit-tico di San Giorgio]. Il suo pastorale termina a ricciolo, men-tre il mantello è decorato con figure di santi entro edicolecupoliformi. Senza dubbio trattasi di un’opera provinciale difine secolo. L’interno è pavimentato con mattonelle sardo-valenzane; i fiordalisi sul mantello del santo [vescovo] si pos-sono ritrovare nella [citata] tavola napoletana del San Fran-cesco d’Assisi dà la Regola agli Ordini francescani e nelpannello laterale destro del [trittico di] San Giorgio del Figue-ra [leggi: dell’Huguet]. L’architettura ogivale della loggia a fa-sce chiare e scure sarebbe difficile da rintracciare in Spagna,ma è nota in Sardegna: non è del Limosino, piuttosto di tipo-logia ligure, ma il linguaggio pittorico è assolutamente limo-sino, e di fatto solo nell’isola i due stili – limosino e ligure –entrarono in contatto.95

L’Aru riferisce anche di una pala d’altare nella chiesa diS. Agostino [nuovo a Cagliari],96 che io non ho mai visto, al-trettanto marcatamente iberica quanto allo stile, oltre che pervia della ricchezza sontuosa delle stoffe e degli oggetti pre-ziosi, come anche per altri dettagli, che appartiene al periodo

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94. Loga 1909, pp. 179-299. [La Goddard King non sembra aver le ideemolto chiare in proposito: la «coppia d’ante», infatti, dovrebbe identifi-carsi con i descritti pannelli laterali del Trittico di San Giorgio, passati aBerlino dalla collezione Anês di Barcellona. Dell’altra tavola con il Cri-sto, descritta di seguito, non so dir nulla].95. [Del dipinto con San Luigi di Tolosa della collezione von Tschudinon è nota l’attuale ubicazione. Sull’eventualità della sua provenienzasarda, ipotizzata dalla Goddard King, non risultano ulteriori ricerche].96. [È la tavola di Sant’Agostino in cattedra, proveniente dal S. Agostinonuovo alla Pinacoteca Nazionale di Cagliari, dov’è custodita con l’attribu-zione a Pietro Cavaro e la datazione al 1528 circa; cfr. Serra 1990, sch. 89].

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9. Joan Barceló, Retablo della Visitazione, Cagliari, Pinacoteca Nazionale

tardo della scuola di Jacomart. Varrebbe la pena di paragona-re questa raffigurazione di Sant’Agostino in trono con quelladi Huguet a Barcellona,97 ancora più proponibile perché lostesso Retablo di San Bernardino assume a tratti l’aspetto diun’opera di Huguet.

Un altro pittore lavorò a Cagliari per i Francescani nelterzo quarto del Quattrocento, quel Joan Barceló che firmòuna tavola con la Visitazione: Johan[n]es Barcelo / me fecit.98

Alla sommità di questa pala d’altare (fig. 9)99 è collocatala Crocefissione, mentre la Visitazione occupa lo scompartomediano basso, dal momento che anche qui, come nella pa-la di San Bernardino, l’artista per motivi particolari ha desti-nato al centro della composizione un soggetto di solito rele-gato negli scomparti laterali, badando a costruirlo con tantovigore e in maniera così simmetrica, da non lasciar luogo adubbi circa la sua intenzionalità. Sul lato sinistro ci sono in

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97. [Si tratta della citata Consacrazione vescovile di Sant’Agostino].98. Nel discutere la firma, l’Aru (1911-12, pp. 508-529) rimase incerto sesi leggesse Joan Barcels o Barceló, sostenendo comunque che il nomenon abbia relazione alcuna con il Joan Barcaló attivo a Sassari nel 1510.[A una rilettura del documento, si è poi dimostrato invece che si trattadello stesso pittore]. Il Retablo della Visitazione fu dipinto, così almenoritiene l’Aru, probabilmente dopo il 1450, «un poco più tardi» (p. 519).Vorrei tuttavia richiamare l’attenzione su un Daniel Barceló legato alpintor Joan Reixac per quanto riguarda il retablo che il secondo dipinseper il castello di Játiva. Non si trattava probabilmente di un pittore poi-ché, nonostante il suo nome appaia nelle ricevute del 1439, viene co-munque rimpiazzato nel 1463 da Pietro Garro, altrove detto «En PereGarro lochtinent». Tuttavia, nel tardo Quattrocento Játiva e la Sardegnaerano spesso in contatto. Sia Reixac, lì attivo nel 1439, sia Jacomart nel1450, poterono conoscere un figlio di Daniel Barceló e portarlo nell’iso-la a incontrarvi il successo. 99. [È il Retablo della Visitazione, già nell’omonima cappella della chie-sa cagliaritana di S. Francesco di Stampace e oggi nella Pinacoteca Na-zionale di Cagliari. Nella tavola con la Visitazione è dipinto in basso uncartiglio con la firma di Joan Barceló, pittore nativo di Tortosa che ri-siedette a Sassari dal 1488 e lavorò in Sardegna fino al 1516; cfr. Serra1990, sch. 47].

basso San Gerolamo con il leone, nell’atto di reggere il mo-dello di una chiesa; in alto, la scena dell’Annunciazione.Sul lato destro, in alto la Pentecoste e in basso Sant’Apollo-nia. I due santi sono isolati su fondi d’oro100 incorniciati dadelicati motivi incisi, sullo stile del retablo valenzano di SanMartino,101 e stanno ritti su un ricco pavimento di azulejos,mattonelle [a disegno policromo] inframmezzate da quadratidi marmo di colorazione più scura [e uniforme]. I pavimentidegli interni nelle due tavole soprastanti sono più semplici,intarsiati con motivi in chiaroscuro. Negli sfondi delle scenedei pannelli mediani, come pure dietro la porta e la finestradella stanza della Madonna [nell’Annunciazione], appare unpaesaggio reso con fine sensibilità; [nella Visitazione] unastrada tortuosa conduce verso il fondo fra le colline e vi sipossono scoprire figure di viandanti senza dubbio in marciaverso Betlemme.

Il tema principale del retablo è così raro nell’arte medi-terranea occidentale che ne ricordo solo un altro esempio,quello della Visitazione di don Pablo Bosch, adesso al Pra-do, un dipinto del Cinquecento. Si danno altre similitudinifra questo e la tavola di Cagliari: per esempio, la veste dellaMadonna in ricco broccato, la servetta che fila e sbircia dallaporta, il bastone di San Giuseppe che allude al rovo di Gla-stonbury; entrambe le opere risalgono certamente a una co-mune tradizione bizantina. Il San Giuseppe indossa quel che

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100. Cfr. Huguet, S. Maria del Mar, 1478. [Jaume Huguet non ha lasciatoopere nella chiesa barcellonese di S. Maria del Mar. Nemmeno mi è riu-scito di identificare l’opera relativa al documento di commissione citatodalla Goddard King alla p. 204 dell’Appendice I, qui non ripubblicata:«Il retablo» di Huguet «per S. Maria del Mar era principalmente dedicatoa Santa Caterina, San Bartolomeo e alla Maddalena, e la descrizione» deisoggetti «suggerisce figure isolate, accompagnate dalle scene nei pannel-li sopra e a lato, come nell’opera di» Joan «Barceló»].101. San Martino a cavallo, con i Santi Orsola e Antonio [abate], 1425.[Si tratta delle tre figure nello scomparto centrale e in quelli laterali bas-si del Retablo dei Martí di Torres, di Gonzalo Peris (prima metà del XVsecolo), nel Museo de Bellas Artes di Valenza; cfr. Joaquín Yarza Luaces,in Pittura 1995, pp. 110-111, fig. 122].

è tuttora un capo tipico del costume aragonese, le scarpebasse con calze nere e ghette bianche. L’aureola ottagonalene indica lo status di personaggio ancora del Vecchio Testa-mento [sic], come la stessa figura nel [citato] Retablo del Co-nestabile e come quelle di Nicodemo e Giuseppe di Arima-tea del Figuera [nel Compianto della pala di San Bernardino].Si dovrebbe aggiungere che il motivo dell’arrivo a Betlemmesopravvive nella tradizione spagnola nel teatro dei pupi dellacosta sudorientale, come pure nelle scene e figurine vendutedurante il periodo natalizio. Un’altra antica Visitazione del Pra-do potrebbe ricordare questa, che ha però maggiore espressi-vità e interesse.

La qualità del polittico dev’essere valutata in relazione atre sue caratteristiche: in primo luogo, il trattamento tradizio-nale dei due santi sul fondo d’oro; in secondo luogo, le sce-ne laterali in alto con invenzioni originali, come [nell’Annun-ciazione] l’alcova dove sono descritti il letto della Vergine, ilsuo tappeto da preghiera e il vaso d’ottone – non di cerami-ca – che contiene il giglio, e con intenzionali innovazioni,come l’aprire frontalmente il chiuso cerchio della Pentecostecatalana, collocandovi la Vergine su un trono; in terzo luogo,la modernità (secondo i criteri del pittore) del paesaggio, icostumi eleganti degli astanti alla Crocefissione, l’abbondanzadi dettagli nelle vesti della Madonna e dei santi. L’interesseprincipale risiede nel colore che è intenso e acceso, spessosorprendente; quello secondario scaturisce dalle pose deipersonaggi che riflettono tipologie temperamentali diverse,come per esempio il San Gerolamo o la Sant’Elisabetta, e pri-ma fra tutti Sant’Apollonia con i suoi capelli rosso vivo e ilnon bello e severo volto, come quella di una sorella dellaVergine di [Martin] Schöngauer o della Sant’Orsola valenza-na.102 Il tutto è certamente opera di un’unica mano, di una

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102. [La «Vergine di Schöngauer» è probabilmente quella nel Ditticodell’Annunciazione, del 1475 circa, nel Museo di Unterlinden di Col-mar; cfr. Châtelet, Recht 1989, fig. 293. La «Sant’Orsola valenzana» figuranella tavola centrale del citato Retablo di Cubells, di Joan Reixac, 1468].

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10. Retablo del Presepio, Cagliari, Pinacoteca Nazionale

sola forma mentis: sappiamo con certezza che Joan Barcelóproveniva dal Limosino [leggi: da Tortosa]. Sebbene non riu-scisse ad avere il pieno controllo formale dei suoi broccati, eil nero e oro del manto della Vergine, al pari del rosso e delnero dei drappi [dietro Sant’Apollonia e San Gerolamo], ten-dano a risultar stesi in modo un po’ frettoloso, tuttavia losfondo paesaggistico, la bianca massa dell’immenso mantellodella Vergine che sviene [nella Crocefissione] si lasciano ap-prezzare con grande immediatezza, e così dicasi per la graziapiuttosto manierata della Sant’Elisabetta.

Direttamente indebitato a Barceló è il pittore del Retablodel Presepio (fig. 10) nella stessa galleria.103 La Vergine chesviene in un mantello bianco, la Maddalena che si affretta asoccorrerla, la manierata figura che prega rivolta al Cristocrocefisso, sono tutti prestiti diretti [dal Retablo della Visita-zione], che comunque danno vita a rielaborazioni autonome.Gli scomparti laterali alti sono occupati da figure singole: adestra Santa Chiara, in vesti da badessa, con pastorale chetermina a ricciolo; a sinistra Santa Caterina, con corona emanto di broccato. Entrambe siedono davanti a un parapetto,dietro il quale si stende un paesaggio che suggerisce le colli-ne e la baia di Cagliari;104 un drappo scende alle loro spalle,e il pavimento è in azulejos. Analogo schema si ripete negliscomparti laterali bassi, con due santi in piedi, di scala mag-giore; gli azulejos sono molto belli, e ritengo che il disegnodi alcuni sia lo stesso che figura in altri dipinti di Joan Barceló;il drappo è più largo, e dietro, oltre un basso parapetto, sistendono fondi d’oro di bel disegno, simile ma non identico

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103. Retablo Carnicer. [Dal nome della famiglia che aveva il patronatodella cappella nel S. Francesco di Stampace, in cui si trovava il Retablodel Presepio oggi nella Pinacoteca Nazionale di Cagliari, datato al 1500circa; cfr. Serra 1990, sch. 48]. 104. [Per questo e per altri dipinti analizzati nelle pagine che seguono,la Goddard King suggerisce l’esecuzione a Cagliari sulla base di ele-menti paesaggistici in realtà troppo generici al fine di poter sostenerel’ipotesi].

nelle due tavole. I personaggi sono San Pietro, con chiavi elibro e una bella testa più vicina a quella tipica di San Marco,eccetto che per la bianchezza della barba, e Sant’Antonio aba-te, in abito con scapolare sotto una tonaca nera, segnata conuna croce a tau, con bastone, campana e maialino.

Nella scena del pannello centrale [l’Adorazione dei pasto-ri] trionfa il realismo iberico, specie nella resta di cipolle ap-pesa al muro e nell’ombra portata di uno degli attrezzi [sullamensola], ma esso coesiste con un’ingenuità pari a quella de-gli ex voto a un altare miracoloso, nelle figure dei pastori edei loro beni personali, zucca e borraccia di pelle, cucchiaiod’osso e cestino di stuoia, agnello e cornamusa (fig. 11). Pro-prio così dovevano apparire i pastori che, nella stessa ultimadecade del XV secolo, portavano le loro offerte al palazzodel re del Portogallo, o alla grande sala del duca d’Alva sulTormes, mentre Gil Vicente e Juan de Encinas recitavano iversi che avevano scritto per la notte di Natale, e le paginevenivano cantate così villancicos come quel lungo rotolo damusica a cui stanno appesi gli angeli che sovrastano la sce-na, a mo’ di picchi sul ramo di un albero. I pastori indossanocalze bianche arrotolate appena sotto il ginocchio, mentre inalto la gamba resta nuda; le pecore bianche disseminate sullacollina distante rivelano un curioso spirito di osservazione;così anche il nero [sic] levriero con collare di pelliccia, così ilneonato nudo giacente in un lembo ripiegato del lungo man-tello della madre. Come composizione il pannello è ammire-vole nel suo equilibrio simmetrico ma irregolare, e ciò valecertamente per l’intero retablo, con le sue masse convergentisu un asse centrale segnato dalle chiare membra del Cristocrocefisso in cima e del Cristo morto in basso.

Quei santi a figura isolata su terrazze limitate da un bassoparapetto si possono trovare in Aragona: a Saragozza, peresempio, sono un luogo comune della pittura sacra.105 Estra-polate dal posto che occupano qui, le superbe figure eretteriappariranno sulle porte fiancheggianti l’altare, sotto il retablo

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105. Cfr. le [citate] figure di vescovi dipinte per Dalmau de Mur e altre.

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12. San Pantaleo, tavola laterale della predella del Retablo del Presepio,Cagliari, Pinacoteca Nazionale

11. Adorazione dei pastori, tavola centrale del Retablo del Presepio, Cagliari, Pinacoteca Nazionale

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mayor, a Barcellona e a Saragozza, come [in Sardegna] adArdara e a Perfugas. Il tema dell’Adorazione dei pastori nonè né fiammingo né borgognone, bensì comune a tutta Euro-pa, come attestano le tradizioni del Natale, e sardo-ibericoquanto alla specifica qualità formale. I mezzibusti della pre-della sono più vicini alla tradizione catalana, in particolare ilSan Giacomo maggiore, tipologicamente simile alle figure diPere Serra; i parallelismi più stretti s’individuano in un SanGiuda a Vic e in un’Ultima cena a Solsona.106 Egli è tuttaviapiù asciutto e si direbbe di fisionomia più ispanica rispetto aquelli; il San Nicola che gli sta a fianco differisce in misuraanaloga dalla tipologia a cui si richiama: in breve, l’arte sardaha ormai raggiunto una sua piena autonomia, ben riconosci-bile, al pari di quella aragonese o andalusa. L’intera serie dipersonaggi della predella annovera da sinistra Sant’Andrea;poi un vescovo con camice bianco, veste nera e manto da-mascato, nell’atto di reggere il modello di una chiesa, proba-bilmente da identificare con San Lucifero o Sant’Efisio; SanGiovanni battista; al centro, il Cristo morto eretto sul sepol-cro, con due angioletti che reggono un grande telo biancosvolazzante; quindi San Giacomo con un bel libro con anno-tazioni musicali che potrebbero esser lette e perfino cantate;San Nicola; infine un giovane martire d’aspetto principesco[San Pantaleo], squisitamente costruito (fig. 12). Anche questopolittico proviene dal S. Francesco di Stampace; si trovava

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106. [Evidentemente la Goddard King cita a memoria servendosi, oltreche di un suo taccuino di appunti “sardi”, anche di annotazioni sullapittura iberica. Forse il primo rimando è al San Giuda Taddeo, cheperò compare a figura intera nell’ultima tavola laterale destra del citatoRetablo della Vocazione francescana a Vic, di Lluís Borrassà, dove pe-raltro la predella ha figure di santi a mezzobusto, fra cui San Giacomomaggiore. Il secondo è alla predella di un retablo proveniente dallaparrocchiale di Timoneda e oggi nel Museo Diocesano di Solsona,ascritta a Jaume Ferrer I, attivo nel primo terzo del XV secolo (cfr. Gu-diol i Ricart, Alcolea i Blanch 1986, cat. 341); anche in questa tavolacompare una figura a mezzobusto di San Giacomo iconograficamentesimile a quella del Retablo del Presepio].

nella cappella della famiglia Carnicer e si può denominare ilretablo Carnicer.

Tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo, un gruppo dipittori lavorava per la grande chiesa francescana di Stampace,allo stesso modo in cui tempo addietro altri artisti furonomantenuti dall’Opera di una cattedrale; in seguito, analogaconsuetudine è attestata dalla firma apposta da Pietro Cavarosulla pala d’altare di Villamar. Senza dubbio a questo gruppodi pittori, o alla generazione di poco più anziana, che avevafrequentato la bottega di Joan Barceló ed ereditato la tradizio-ne di Tomàs e Figuera, devono essere attribuiti diversi altrielementi di pala d’altare oggi nel Museo di Cagliari.107 Il pri-mo è una predella. Nella tavola centrale, il Cristo morto è sor-retto da un angelo angustiato e piangente; la figura del Salva-tore è molto simile a quella [del Cristo crocefisso] nel Retablodi Tuili. Nelle altre tavole si osservano dieci [leggi: cinque]martiri francescani – Sant’Accursio, San Pietro, Sant’Ottone,Sant’Adiutto, San Bernardo – la maggior parte dei quali nonsi ritrova in nessun altro dipinto. Negli sfondi, la resa del pae-saggio è attenta e varia; le figure mostrano interessanti varia-zioni espressive e gestuali.

Sempre a Cagliari si conservano altri due pannelli derivan-ti dalla leggenda francescana. Nel primo [la Predica di SanFrancesco], il giovane santo tiene il suo sermone e due vesco-vi nella congregazione se lo indicano l’un l’altro, riconoscen-dovi un uomo che farà strada; il tema è simile al riconosci-mento di San Bernardino da parte di San Vincenzo Ferrer.Nell’altro [il Riconoscimento dell’Ordine], il papa benedice SanFrancesco e i suoi tre compagni, alla presenza di un vescovo,di tre cardinali e un donatore [sic]. Per la caratterizzazione,

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107. [Si tratta di sei tavole della predella e di due tavole laterali super-stiti del Retablo della Porziuncola, cosiddetto dalla cappella in cui sitrovava nel S. Francesco di Stampace, prima di confluire nella Pinacote-ca Nazionale di Cagliari, dove si trovano pure sei tavole con angeli mu-sicanti, non citate dalla Goddard King ma da restituire allo stesso polit-tico, ora attribuito al Maestro di Castelsardo e datato ad anni successivial 1492; cfr. Serra 1990, sch. 56].

la gestualità e la differenziazione dei tipi fisionomici, la deri-vazione iberica è qui molto evidente e marcata; la gammacromatica va sui toni di caldo marroncino come pelle di ren-na e foglie morte: la qualità inventiva e immaginativa è assaifresca e preziosa.

Il pittore del Retablo di Tuili appartiene al gruppo di Ca-gliari;108 può essere stato egli stesso istruito alla scuola delBarceló. Il grande polittico rappresenta l’esito finale d’una li-nea di ricerca che evolve dal Retablo della Visitazione delBarceló al Retablo del Presepio; ma la figura della Vergine diTuili è così strettamente affine a quella di Castelsardo e adun’altra di Birmingham, e connessa al pari di queste con lapala di Sanluri, che sembra opportuno abbandonare per unattimo gli sviluppi della pittura a Cagliari per considerarecerti dipinti provinciali indubitabilmente quattrocenteschi. Ladescrizione di Carlo Aru109 delle condizioni dell’arte dipinto-ria durante il periodo che abbiamo considerato è così vividache non posso fare a meno di citarla:

«Fin dal principio però questa scuola [sarda] manifesta uncarattere proprio: il linguaggio ricco, vario, preciso dei pittoricatalani viene tradotto in dialetto sardo per essere inteso dal-le semplici popolazioni dell’isola; perde della sua varietà,della sua verità, della sua precisione per acquistare grandio-sità di forme e vivezza di colorito. La pittura sarda è essen-zialmente pittura decorativa, essa deve suscitare sensazioniestetiche dinanzi agli occhi di uomini ignoranti. Questi non

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108. [È il Maestro di Castelsardo, senz’altro il più significativo fra i pitto-ri di formazione catalana che operarono in Sardegna tra la fine delQuattro e gli inizi del Cinquecento. L’unica sua opera datata è appuntoil Retablo di Tuili, ultimato nel 1500; altre tavole di retabli più o menoframmentari si conservano a Barcellona nel Museu d’Art de Catalunya ein collezione privata, in Corsica nel Musée Feche di Ajaccio, in Sarde-gna nella cattedrale di Castelsardo, nella SS. Trinità di Saccargia, nellaPinacoteca Nazionale di Cagliari, a Birmingham nel City Museum andArt Gallery; cfr. Serra 1990, sch. 49-57]. 109. [Aru 1911-12, p. 527].

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13. Maestro di Olzai, Retablo della Peste, Olzai, chiesa di S. Barbara

domandano che di rimanere sorpresi, spantaus per usareun’espressiva parola dialettale, dinanzi all’ancona che guarda-no nelle loro preghiere; per gli occhi di questa gente indottache si raccoglieva nelle chiese dinanzi agli altari, dopo unagiornata di lavoro sotto un cielo sempre sfolgorante di sole,che portavano indosso costumi vivaci, ricchi di ori e di scar-latti, i colori delle pitture dovevano essere smaglianti e l’orodei fondi doveva risplendere come il sole».

Il più antico e forse il più importante di questi dipintid’area periferica, databile al terzo quarto del [XV] secolo, èappeso nel vestibolo della parrocchiale di Olzai.110 Avendoun evidente carattere votivo contro la peste, sarebbe possibile– mediante una ricerca in vecchi documenti – giungere a fis-sare l’anno dell’epidemia che ne ha occasionato la commis-sione. [Nello scomparto mediano basso] la Madonna del Latte(fig. 13) è in trono fra due angeli, uno con liuto e flauto;111 aisuoi piedi si dispongono nove flagellanti incappucciati dibianco e nove o dieci [leggi: dodici] donne vestite di scuro.Dietro la Vergine pende un drappo e dalle sue spalle unmanto di broccato. Nello scomparto soprastante c’è la Cro-cefissione. Le altre scene sono disposte secondo uno schemapiù pratico che logico, trovandosi, per esempio, l’Ascensionenel più alto dei tre scomparti laterali a sinistra, l’Epifaniasotto di essa, e nei due pannelli simmetrici a destra la Nati-vità di Maria e la Dormitio Virginis. Sotto queste due ultimescene c’è il Martirio di San Sebastiano: il santo è legato a unalbero in fiore, porta la barba ed è osservato dal tiranno eda Sant’Irene da distanza di sicurezza, con grazioso motivodecorativo. In corrispondenza a questa tavola si vede a sini-stra l’arcangelo Michele che pesa le anime, calpestando ildemonio e trafiggendolo con una lunga lancia. Il soggetto

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110. [Si tratta del Retablo della Peste, conservato nella chiesa di S. Bar-bara e ascritto al Maestro di Olzai, che l’avrebbe dipinto dopo il 1477,anno in cui si registra un’epidemia di peste; cfr. Serra 1990, sch. 78].111. [In realtà forse una vihuela e una bombarda: per l’identificazionedi questi e altri degli strumenti musicali raffigurati nei retabli sardi quat-tro-cinquecenteschi cfr. Spanu 1988].

iconografico non è molto distante dal San Michele di Lleida,della signora Gardner, e da uno di quelli nella collezione Lá-zaro;112 si tratta di tipologia iberica. Qui, alla destra dell’ar-cangelo, un angelo tiene in mano con incantevole cura unapiccola anima; alla sua sinistra un diavolo tenta la fuga conuna cesta di anime sulle spalle. Pestilenza e morte improvvi-sa, e chi porterà soccorso se non Nostra Signora! È questo ilsenso dell’invocazione, qui come in una Cantiga di AlfonsoX il Saggio.113 Altri due santi taumaturghi [Pantaleo e Anto-nio abate] sono raffigurati nella predella per implorarne laprotezione; da sinistra: San Pietro, San Pantaleo, l’Addolora-ta, il Cristo in pietà, San Giovanni evangelista, Sant’Antonioabate e San Paolo. Alla sommità dell’insieme, dipinta su unasorta di piastra esagonale [leggi: ottagonale] inclinata versol’osservatore, la testa dell’Eterno con capelli e barba bianchicome lana, e nimbo tuttavia crucigero; legata a delle fettucceche partono dalla sua bocca, una colomba scolpita e dipinta.Infine, negli spazi di risulta sopra gli ultimi pannelli laterali,trovano posto il sole e la luna, ai fianchi della Crocefissione,proprio nei punti in cui Jaume Serra, a Saragozza, dipinse lasua testa spettrale del Cristo apocalittico.114

È il caso forse di ricordare che il motivo del Cristo mortoretto da un angelo nella tomba aperta, comune a tutti questiretabli e utilizzato anche nel nordest [d’Italia] da Bellini e Cri-velli, è documentato a Valenza fin dall’inizio del [XV] secolo.

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112. [La tavola dell’Isabella Stewart Gardner Museum di Boston provie-ne dallo smembrato polittico dell’altar maggiore della chiesa di S. Gio-vanni del Mercato di Lleida, ascritto a Pere García de Benabarre, del1473 circa; cfr. Gudiol i Ricart, Alcolea i Blanch 1986, cat. 541. La tavoladella collezione Lázaro di Madrid potrebbe essere quella centrale delretablo riprodotto da Post 1941, fig. 235]. 113. A Virgen nos da Säud / E tolle mal, Cant[iga] XCI. [Il riferimento vaalla raccolta delle Cantigas de Santa María manoscritte nel 1260-70 dalre di Castiglia Alfonso X il Saggio in un codice pergamenaceo della Bi-blioteca dell’Escorial di Madrid].114. [Il rimando è al Retablo del Salvatore, di Jaume Serra, 1361, già nelconvento del Santo Sepolcro e oggi nel Museo Provincial de Bellas Ar-tes di Saragozza; cfr. Gudiol i Ricart, Alcolea i Blanch 1986, cat. 119].

Si può vedere infatti, meravigliosamente sviluppato e pre-sentato con straordinaria potenza espressiva, nel Retablo diPorta Coeli, che Bonifacio Ferrer fece dipingere per il suomonastero nell’anno 1400 circa.115

Quel che conferisce a questo dipinto di Olzai un interes-se fuori del comune è la sorprendente e piuttosto toccantebruttezza dei volti di quasi tutti i personaggi che vi sono raf-figurati. L’opera non è priva di un certo saper fare manualee assolutamente non è, per così dire, di un analfabeta; l’arti-sta aveva lavorato a Cagliari, sebbene riveli forse di apparte-nere all’ambiente locale, suggerito dal paesaggio montanodietro la Crocefissione, che ben potrebbe essere Olzai. Lacittà turrita, in cima alle colline, dietro la sua Epifania, ècondotta felicemente come quelle di Joan Barceló; la chiesamonastica, le sue torri nella facciata occidentale e il murodel convento dietro Sant’Antonio abate si inseriscono benenello sfondo, al pari delle variazioni già osservate nella pre-della dei martiri francescani. Le domestiche intente alla curadi Sant’Anna sembrano sorelle minori delle fiorentine dipintedal Ghirlandaio. Il giovane re è parente povero dei damerinidel Pisanello. Le figure di vecchi ricordano quelle dei maghi,come lo strano personaggio nel Retablo del Parlamento diParigi. L’uso e la scelta dei dettagli sono accattivanti, al paridella cura nel riprodurre manufatti artigianali: il bell’incen-siere in ferro battuto per esempio, sospeso così delicatamen-te mediante catenelle al letto di morte della Vergine; il bra-ciere a coppa provvisto di treppiede, per le braci utili atener calda la stanza del travaglio di Sant’Anna; la legaturadei libri di San Pietro, San Pantaleo e Sant’Antonio.116 Le sue

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115. [Si tratta del polittico oggi a Valenza nel Museo de Bellas Artes,commissionato da Bonifacio Ferrer per la sua cappella privata nella cer-tosa di Porta Coeli, dipinto fra il 1396 e il 1398 e ascritto a Gherardo Star-nina, artista fiorentino ma itinerante, cittadino valenzano nel 1395-1401;cfr. Joaquín Yarza Luaces, in Pittura 1995, pp. 104-109, figg. 116-117]. 116. [In realtà San Pantaleo tiene in mano la cassettina del medico; i tresanti con libro sono Pietro, Antonio abate e Paolo].

composizioni tendono alla grandiosità: nell’Ascensione, peresempio, una solenne figura di Cristo si eleva in una gloria aforma di mandorla, descritta dall’arcobaleno; egli benedicecon la destra e nell’altra mano regge il globo sormontatodalla croce, mentre le schiere degli apostoli [e la Vergine] sitirano indietro in una sorta di timore reverenziale: sembraquasi una scena apocalittica. Le varie figure della Madonna edegli angeli sono tutte piuttosto dure; quando si atteggianoin modo toccante, come San Giovanni evangelista, risultanopiuttosto brutte e sgraziate. L’impressione complessiva, co-me già si è detto, intende suscitare commozione in chi guar-da, e profonda riflessione interiore: ma quale personalità ar-tistica potrebbe aver realizzato una tale opera? Dal momentoche nell’Italia del tempo il potere espressivo del pittore so-verchiava molto spesso quel che egli aveva da dire, una si-mile forma mentis si riscontra più facilmente in molti dipintiiberici d’ambito provinciale, custoditi in chiese sperdute.

Oltre a una bella pala nell’abside meridionale, a Saccargiasi conservano tre tavole di uno smembrato polittico tardo-quattrocentesco:117 la predella con mezzibusti di Cristo e degliapostoli, e due pannelli laterali, ognuno con due scene so-vrapposte e una porzione del polvarolo decorato con un roto-lo epigrafico, un piccolo San Gavino di Torres (alla base diuno scomparto), due santi a cavallo (in posizione simmetricanell’altro), stelle, croci e simili ornati. È probabile che il cen-tro del retablo fosse occupato da un pannello scolpito, o piùprobabilmente da un profondo recesso destinato a ospitareun’immagine sacra. Sull’altare maggiore vi è attualmente unastatua policromata della Vergine, ma sembra di età più recen-te rispetto a questa pala. Come ipotesi alternativa, la nicchiapotrebbe aver ospitato un dipinto della Vergine, o altro, con

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117. [Il polittico nell’abside meridionale della chiesa della SS. Trinità è ilRetablo minore di Saccargia, di cui la Goddard King dirà più avanti;l’altro, smembrato, è il Retablo maggiore di Saccargia].

la Crocefissione alla sommità, dato che questo schema com-positivo continuò a essere applicato anche nella metà del Cin-quecento.118

La testa del Salvatore – al pari di quella dell’apostolo dalvolto femmineo [San Giovanni evangelista] alla sua destra –ha lineamenti dolci, mentre il manto di broccato e il gestobenedicente gli conferiscono dignità e bellezza. La figura diSan Pietro alla sua sinistra si mantiene nella tradizione icono-grafica catalana, sia per il volume [tondeggiante] del cranio,sia per la misura e forma delle chiavi che egli impugna comeuno scettro. I personaggi sono raggruppati in triadi e intrat-tengono quel muto dialogo di relazioni ricche di pathos, checontraddistingue le sculture di Maestro Mateo [nel Portico dela Gloria] a Santiago de Compostela: è tratto comune nei di-pinti dei Primitivi spagnoli, dove si ritrovano anche le figurea mezzobusto, per esempio nella scuola di Salamanca.

Per i suoi caratteri pittorici, la predella sembra doversiascrivere al Cinquecento. Ma le altre due tavole sono più anti-che quanto a linguaggio stilistico. Nell’Annunciazione il pavi-mento a mattonelle sembra prolungarsi in una bassa panca ilcui dossale si innalza a parapetto contro il cielo; dietro la Ver-gine lo sfondo è scuro, senza che risulti possibile decifrare sesi tratti del muro della casa o di un drappo.119 L’arcangelo Ga-briele, in ginocchio, tiene in mano un giglio [leggi: una crocecon cartiglio] e solleva la destra in segno di ammonimento;egli indossa una cappa [rossa e internamente] scura. La Vergi-ne ha manto di broccato, il volto quasi frontale, le mani solle-vate con insolito movimento simmetrico, evocante una coppiadi uccelli che sta per spiccare il volo, che l’arte catalana hamediato dall’Oriente. A questo riquadro corrisponde [nell’altro

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118. [Mentre sono andati perduti i frammenti di polvarolo, del Retablomaggiore di Saccargia si conserva oggi, oltre alle tre tavole descrittedalla Goddard King, lo scomparto mediano alto raffigurante non laCrocefissione da lei ipotizzata, bensì la Trinità. Cfr. Serra 1990, sch. 63;Retabli 1993, fig. a p. 101].119. [Dopo la pulitura nel corso del restauro, si distingue ora chiara-mente, alle spalle dell’Annunciata, un drappo di colore marrone].

pannello] la Natività, in cui le allungate mani bianche sonogiunte verso l’alto, a eccezione di quelle della Madonna, rivol-te al Bambino giacente in un lembo del mantello sorprenden-temente ampio, che sulle ginocchia della Vergine ripiega perdisegnare un raffinato pattern decorativo. In questi due scom-parti alti, come pure in quelli in basso, le dorature che corro-no su e giù per il campo, a segnare i ricchi apparati ornamen-tali e le bordure delle vesti, giocano un ruolo di importanzaprimaria e conferiscono ai dipinti un grande splendore.

Sotto l’Annunciazione si dispone un gruppo formato daSan Giovanni battista fra due santi vescovi; nell’altro pannel-lo [sotto la Natività] si collocano Santa Caterina [d’Alessan-dria] e Santa Maria Maddalena, San Nicola e San Proto, que-st’ultimo vestito di rosso con un libro.120 Anche qui il patterndel broccato viene utilizzato per i suoi pregi di bellezza in-trinseca, come [i] Vergós nel dipingere la principessa al san-tuario di Santo Stefano.121 Sicuramente, per tre quarti di seco-lo almeno, lo sviluppo della pittura [tardogotica] in Sardegnaha seguito una linea parallela a quella della regione catalana,e se pure i tipi selezionati sono diversi, le linee di tendenzasono pressoché identiche.

L’altra pala d’altare122 consta di sei scomparti (fig. 14), ri-composti e sistemati in luogo sicuro; della cornice originaria so-pravvivono solo gli archi cuspidati di due [leggi: tre] pannelli.

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120. Lo stesso gruppo di santi si ritrova in Aragona. [Non si tratta peròdi San Proto, bensì di Santo Stefano, che ha in testa uno dei sassi concui fu lapidato]. 121. [Il rimando è a una delle tavole del citato Retablo di Granollers,precisamente a quella raffigurante l’esorcismo della principessa bizanti-na Eudossia, figlia dell’imperatore Teodosio II, davanti alla tomba diSanto Stefano. Interessa notare l’identità dello schema iconografico conquelli di Huguet nel Retablo di Sant’Antonio abate, 1454-58, e nel Re-tablo di S. Vincenzo di Sarrià, 1455-62, nonché di Rafael Tomàs e JoanFiguera nel Retablo di San Bernardino, 1455-56; cfr. Cathalonia 1997,figg. alle pp. 197-198]. 122. [È il Retablo minore di Saccargia, ascritto al Maestro di Castelsardocon datazione al 1492 circa; cfr. Serra 1990, sch. 51].

Nella tavola mediana alta è dipinta la Trinità: l’Eterno conbarba castana, nimbo crucigero, vestito di un ricco mantello,regge il Salvatore sulla croce, dalla cui sommità spunta unacolomba ad ali spiegate. L’arcangelo Gabriele e l’Annunciatasi dispongono nei pannelli laterali alti. In basso, San Giovan-ni battista e San Pietro occupano i pannelli laterali bassi,mentre al centro una Vergine in trono, non bella e pensosa,tiene con delicatezza un Bambino nudo, con ai lati due do-natori in ginocchio, uno in abito da penitente, incappucciato,l’altro vestito di marrone ma danneggiato. Il linguaggio arti-stico è sardo-catalano e il volto della Vergine sembra moltosimile a quello della tavola di Castelsardo, una volta forse adAmpurias [antica sede di diocesi] sulla costa settentrionalesarda.123 Le aureole sono modellate a cerchi concentrici; i pa-vimenti in azulejos sotto i piedi di San Pietro e nella stanzadell’Annunciazione sono di mattonelle scelte e molto buo-ne; la stanza ha il soffitto cassettonato, piacevole a vedersi.È questo il miglior stile quattrocentesco che possa offrire lapittura isolana: nella sua semplicità, piuttosto austera, nell’in-teresse delle fisionomie, nel motivo ornamentale di broccatie bordure che si sviluppano dappertutto su campo scuro.Un’opera minore, ma distinta, sobria, partecipata e allo stes-so tempo decorativa; detto questo, ancora non si è riuscitiperò a spiegare l’incisività dell’impressione che se ne riceve.Prevalgono i valori di virtù spirituale, per il fatto che si trattadi un [piccolo] retablo forse realizzato per la devozione pri-vata, da collocare in una cappella o ai piedi del letto.

A eccezione delle tavole del Museo [di Cagliari, che ver-ranno descritte in seguito], è questo l’ultimo dipinto che sipossa inserire con certezza nella serie quattrocentesca.

[Il Retablo maggiore di Saccargia] genera tuttavia uno diquei problemi che sconcertano il conoscitore, in quanto of-fre un insieme di dati pittorici e documentari (1465) allo stes-so tempo autentici e incompatibili. Dice il canonico Spano:

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123. [La provenienza della tavola di Castelsardo verrà discussa piùavanti].

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14. Maestro di Castelsardo, Retablo minore di Saccargia, Codrongianos,chiesa della SS. Trinità di Saccargia

«Sulla pala dell’altare maggiore (ora perduta) e quella dell’al-tare a sinistra non v’è nome del pittore, ma questa iscrizioneappartiene all’epoca del dipinto: Hoc opus factu(m) fuitt(em)pore / D(omi)ni Iacobi Leda abatis monas/terii die VIInovembris MILLESIMO CCCCLXV / nativitatis Do(mi)ni».124

Cagliari era da lungo tempo la capitale dell’isola, la sededel governatore generale e il porto di maggior contatto fra laSardegna, Napoli, la Sicilia e la Spagna. I pittori di Stampaceerano fieri di firmarsi così [come cittadini dell’omonimoquartiere cagliaritano]: sul Retablo di Gonnostramatza, Lo-renzo Cavaro nel 1501 appose il suo nome nella stessa for-ma che si legge in un documento dell’anno precedente, incui è detto pictor habitans ville Stampacis; Pietro Cavarofirmò il Retablo di Villamar come pictorum minimus Stan-pacis; anche a una data tarda come il 1561 è registrata unasentenza contra Michaelem Toco pictorem Stampacis.125

Non abbiamo modo di sapere quanto fosse numerosaquest’équipe di pittori che diede vita a una fiorente produ-zione; in ogni caso, assorbiva solo la metà delle commissio-ni che la Sardegna poteva assicurare. Accanto ai “pittori diStampace” lavoravano altri di una scuola diversa, formatasiprobabilmente in seno alla bottega di Joan Barceló, e rinno-vata e vitalizzata dai costanti rapporti con la Spagna. L’im-portanza di questi anonimi maestri verrà incisivamente di-mostrata da quanto vado a esporre. Entro una sola decade(a quel che risulta) furono prodotte almeno tre splendidepale, cui appartenevano le tavole sopravvissute sino a noi,di tre mani diverse. Se si considerano le perdite e le disper-sioni di opere d’arte sopravvenute nell’isola negletta nell’arco

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124. [Nel trascrivere l’epigrafe, andata successivamente perduta, lo Spa-no (1861b) riportò la data come MCCCCLXV, che il Brunelli (1907) veri-ficò e corresse in MCCCCICV, da lui interpretato MCCCCXCV, laddovesi tratta più probabilmente di metatesi: MCCCCCIV, dunque, cioè quel1504 oggi ritenuto confacente ai dati formali del dipinto]. 125. [Sui due retabli, come pure sulla documentazione d’archivio deipittori di Stampace, la Goddard King tornerà in seguito].

di oltre quattro secoli, già questo fatto sta di per sé ad attesta-re un alto livello sia di produzione tecnica sia di qualità for-male. I tre dipinti di cui si parla – in verità, secondo me, ri-conducibili a due sole personalità, essendo soltanto uno didiversa mano – sono le tavole con la Madonna di Tuili, di Bir-mingham e di Castelsardo. Come si vedrà, la pala di Sanluriappartiene allo stesso periodo: con essa, il numero dei po-littici sale quindi a quattro. Nel frattempo Pietro Cavaro e isuoi colleghi e competitori si muovevano lungo una diffe-rente linea di ricerca, guardando all’Italia ogni volta che neavevano l’occasione.126 I pittori di cui ho [già] detto guarda-vano alla Spagna.

Nel considerare il Retablo della Visitazione, si era conve-nuto che l’interesse del pittore fosse concentrato nella resadel paesaggio e delle raffinatezze cromatiche. Il possibile al-lievo del Barceló che dipinse il Retablo di Tuili (fig. 15)127

innalza il paesaggio a un livello di elaborazione fin qui sco-nosciuto; compone le scene della piccola predella conun’ammirevole padronanza della profondità spaziale, nel ri-trarre sia una strada cittadina sia uno specchio d’acqua fra imonti, e inserisce grandi e distese campiture di tendaggi ingrado di contribuire al risultato finale con l’apporto dei van-taggi del colore puro. I Santi Pietro e Paolo sono collocati difronte a bassi parapetti decorati con lo stesso motivo a lo-sanghe – qui di piastrelle verdognole – che un altro pittorepiù anziano aveva dipinto, sui toni del rosa, dietro Santa

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126. [Per l’inquadramento delle opere e degli ambienti italici fin qui ci-tati e di quelli che si chiamano d’ora in poi a confronto vedi i saggi disintesi e le schede biografiche sugli artisti in Pittura 1986, 1987, 1988]. 127. [Si tratta dell’opera più integra, oltreché dell’unica datata, fra quelleche si attribuiscono al Maestro di Castelsardo, nel quale si riconosce oggiun pittore di formazione catalana, attivo in Corsica e soprattutto in Sar-degna, dotato di personalità autonoma rispetto a quella di Joan Barceló.Il Retablo di Tuili, oggi in una cappella laterale della parrocchiale diS. Pietro, fu ultimato entro il 4 giugno 1500, data di un documento nota-rile con cui i coniugi Violante e Joan di Santas Creus stabilirono un cen-so annuo perpetuo per assolverne il pagamento. Cfr. Serra 1990, sch. 57].

Chiara e Santa Caterina.128 Al centro della predella, il postotradizionalmente destinato alla Pietà è occupato da un vero eproprio sagrario per la custodia dell’ostia consacrata; sul ri-quadro centrale del tabernacolo [a tre facce] è svolto il temaiconografico del sangue del Redentore. Lo schema dell’interopolittico è il seguente: al centro, nella tavola mediana bassa,la Madonna in trono col Bambino (fig. 16) che tiene in manoun uccello; sopra questa, la Crocefissione con un romanticopaesaggio sullo sfondo. Negli scomparti laterali a sinistra, dalbasso: San Pietro davanti a un drappo, su una terrazza apertasul paesaggio; sopra di lui, l’arcangelo Michele che combatteil diavolo (fig. 17). In quelli laterali a destra: San Paolo, suterrazza e contro un paesaggio con palma da dattero; sopra,San Giacomo pellegrino sullo sfondo d’un paesaggio campe-stre. Nella predella, da sinistra: la Consegna delle chiavi e laCaduta di Simon mago; il tabernacolo in tre pannelli: la Mes-sa di San Gregorio con un vescovo e un cardinale che assi-stono, il Cristo risorto e un San Clemente papa;129 poi, la Vo-cazione e la Crocefissione di San Pietro. Nel polvarolo sidispongono a sinistra, dal basso, i Santi Gregorio, Ambrogioe Giovanni Evangelista; a questi corrispondono sulla destra iSanti Gerolamo, Agostino e Marco; sui pannelli orizzontalii Santi Matteo e Luca, a fianco dei pinnacoli i Santi Francesco

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128. [Il riferimento è alle tavole laterali del Retablo del Presepio, doveperò siffatti parapetti non sono dietro le sante, bensì alle spalle di SanPietro e di Sant’Antonio abate. Al pari d’altre simili sviste, anche questatradisce il carattere affrettato del libro, basato su appunti evidentemen-te mai ricontrollati]. 129. Cfr. lo schema progettato da Huguet per il Retablo di Ripoll. [Nel 1455Jaume Huguet si impegnava a dipingere la predella del retablo maggioredella chiesa del monastero di S. Maria di Ripoll, fornendone un progettodettagliato; cfr. Gudiol i Ricart, Alcolea i Blanch 1986, p. 164 e cat. 481.A eccezione di due tavole – per le quali cfr. Milagros Guàrdia i Pons, inJaume Huguet 1993, sch. 2 – la predella di Ripoll è andata perduta, mala Goddard King rileva che dal documento d’archivio si apprende come lastruttura dovesse essere a quattro scomparti (due per parte) inframmez-zati da un tabernacolo a tre facce, deducendone l’analogia con quelladella predella di Tuili].

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15. Maestro di Castelsardo, Retablo di Tuili, Tuili, parrocchiale di S. Pietro

d’Assisi e Antonio da Padova; al centro in alto: l’arcangeloGabriele, l’Eterno e l’Annunciata, con la colomba dello Spiri-to Santo che vola dalla bocca di Lui all’orecchio di lei. Intor-no e sopra la predella, le delicate cuspidi e le pannellaturetardogotiche si sono conservate, come pure i pinnacoli deiquattro montanti squisitamente modellati che delimitano letavole degli scomparti maggiori.

Non c’è bisogno di insistere sull’affinità formale tra que-sto e il Retablo del Presepio e, ancor prima, quello della Visi-tazione. È evidente: la coppia di santi di Joan Barceló, che siisola su un pavimento ad azulejos, contro un drappo, per-mane nella stessa impostazione anche se il fondo dorato giàviene rimpiazzato dal paesaggio – per quanto unicamentenegli scomparti superiori, meno importanti – a opera del pit-tore [del retablo] del Presepio, la cui felice innovazione è ac-colta da quello [del retablo] di Tuili anche per gli scompartiinferiori, dove le figure si dispongono contro un drappo edavanti al parapetto d’una terrazza che si apre sul paesag-gio. Il Cristo morto, eretto contro un telo candido, del primodipinto anticipa il Cristo risorto di quello di Tuili.

Indubbiamente il paesaggio assume ora un’atmosfera allavan Eyck, particolarmente nella coppia inferiore di pannelli,dove la scena sul lago [alle spalle di San Pietro] può richiamareil dipinto di Dirck Bouts a Monaco; d’altro canto, le formazionirocciose nella coppia superiore di pannelli rispettano modiconvenzionali della pittura umbra. Ma neanche la patente dinaturalizzato “ispano-fiammingo”, che il Tormo assegna a Ja-comart,130 potrà risultare adeguata per l’identificazione del no-stro artista. Le piastrelle, i broccati, le oreficerie e le tipologiefisiche sono tutte sardo-catalane, essendo la statuaria figura diSan Pietro ancora identica nella posa, nella forma del cranio enell’espressione al vecchio modello di Barcellona-Vic.

Si è acutamente osservato che la Vergine [di Tuili] sembraaver sofferto di malaria: è qualcosa di più che una mezza verità,

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130. [Tormo y Monzó 1914, citato dalla Goddard King nell’apparato bi-bliografico finale].

dato che qui come altrove la consuetudine prescrive che piùè santa la persona, più viene prediletta, e l’aria sofferentedella Vergine smunta, piatta di seno, con grandi occhi, con-duce fatalmente all’identificazione di lei con l’avvocato dellapovera gente costretta a vivere in una dura terra. Benché nelmio quaderno di appunti io legga che trattasi di un’operarozza e provinciale, laboriosa e priva di inventiva, il ricordo èquello di un’arte toccante, con intatto el sabor de la tierruca.

È prerogativa a vantaggio dei Sardi, in tutte le arti, nell’in-treccio come in altri bei lavori di artigianato, nel folklore, per-sino nella storia, quella d’aver sempre mantenuto un carattereproprio, non più che nel Retablo di Tuili. Questa peculiarità– una volta riconosciuta, una volta soddisfatta da un coloreforte e ben distribuito, da una drammatica tensione narrativache non potrebbe essere più pittoresca, da una romantica in-clinazione per il paesaggio, da una suggestiva, emozionalevocazione naïf, e da un’individualità che ha assimilato tuttauna serie di elementi anche alieni o esotici, in una tradizioneconsapevolmente rivissuta, una volta accettata in questa di-sposizione mentale – la si apprezza completamente.

Non è fuori luogo ritornare qui per un attimo sulla figuradell’arcangelo Michele uccisore del drago. Come si è visto inquesto dipinto [di Tuili], o nel pannello Werner firmato daBartolomé Bermejo, o nei musei di Napoli e di Avignone, onelle collezioni della signora Gardner e di don José Lázaro,nel Retablo della Vocazione francescana a Vic dipinto daBorrassà, o in quello di Daroca probabilmente di Llorenç Sa-ragossa, o nella pala di Villamar opera di Pietro Cavaro chesta contro questa di Tuili nell’adiacente sala [del Museo di Ca-gliari],131 qui e altrove si manifesta una certa posa immobile,

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131. [Si tratta, fra le altre, delle tavole con San Michele arcangelo diBartolomé Bermejo, dipinta intorno al 1470 (Luton Hoo, Bedfordshire,The Werner Collection; cfr. Châtelet, Recht 1989, fig. 327), e di quelle,già citate, dell’Isabella Stewart Gardner Museum di Boston, della colle-zione Lázaro di Madrid e di Vic. Sul grande polittico di Pietro Cavaro,da tempo ricollocato a Villamar, la Goddard King tornerà in seguito].

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120 121

17. Maestro di Castelsardo, Arcangelo Michele, tavola laterale del Retablo di Tuili, Tuili, parrocchiale di S. Pietro

16. Maestro di Castelsardo, Madonna in trono col Bambino,tavola centrale del Retablo di Tuili, Tuili, parrocchiale di S. Pietro

come cristallizzata dell’arcangelo combattente. Essa riappareovunque in Catalogna: nel Retablo di San Michele arcangelo aCruïlles132 e in un retablo votivo per una pestilenza, adessonella collezione Casas, si individuano due begli esempi di pro-vincialismo artistico. Questa tipologia iconografica, con la suacaratteristica postura del corpo – “danzante” sarebbe forsel’aggettivo più adatto per descriverla con immediatezza –, sitrova occasionalmente nel meridione d’Italia e in Francia espesso nel Levante iberico. A giudicare dall’alto numero diesempi e dalle tenaci radici che il tema ha messo nel terreno,il prototipo sembra essere iberico. Non sono in grado di pre-cisare se una simile immagine fosse venerata a Mont Saint-Michel, o in Navarra, o in Cornovaglia. Vi è tuttavia un altrotratto peculiare del grande arcangelo, che lo distingue subitoda Gabriele o Raffaele, anche a prescindere dagli attributi; contale caratteristica egli si presenta nell’arte fiorentina e in quellaumbra,133 come pure in un pannello della collezione Lázaro[di Madrid], e pesa le anime nel Retablo di San Nicola a Man-resa:134 la splendida figura non è mai a riposo. Egli è un uc-cello di Dio che si è appena posato al suolo e non ha ancoraspiegato le ali; oppure le sue ali e il mantello svolazzantestanno ancora battendo l’aria nell’attimo dell’arrivo, subito do-po la rapida discesa, affrontata con la potenza d’un grande fal-co. Da un punto di vista plastico, la forma è determinata dal-l’importanza di ali e manto, e dall’equilibrio asimmetrico; da

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132. [La figura dell’arcangelo Michele occupa lo scomparto centrale delretablo già nella chiesa del monastero di S. Michele di Cruïlles e oranel Museo de Arte di Girona, dipinto da Lluís Borrassà nel 1416-17; cfr.Gudiol i Ricart, Alcolea i Blanch 1986, cat. 211]. 133. Raffaello, nel dipingere [a fresco nell’omonima Stanza vaticana] ilcavaliere su un cavallo bianco che caccia Eliodoro dal tempio, tienepresente anche questa tipologia di San Michele, che è l’esatta contro-parte di San Giorgio [sic].134. [Nel primo caso si tratta forse della tavola riprodotta da Post 1941,fig. 329; nel secondo, di una delle tavole laterali dello smembrato polit-tico della cappella della confraternita di S. Nicola nella chiesa di S. Ma-ria a Manresa, dipinto da Jaume Cabrera nel 1406-12, per il quale cfr.Gudiol i Ricart, Alcolea i Blanch 1986, cat. 246].

un punto di vista espressivo, dalla velocità, dalla forza dei ge-sti e dal grado di militanza. Talvolta il tipo è modificato o par-zialmente abbandonato: il San Michele della collezione Lázaronon ha ali, ma la spinta discendente e il grande mantello per-mangono. Il San Michele della Gardner siede in trono, maconserva una sagoma danzante. Talvolta si possono trovarereminiscenze del tipo in dettagli di figure che ne derivano mafortemente modificate, come la lunga lancia dell’arcangelo neltrittico di Beaune, dipinto da un pittore che era stato a Napoli.Persino nel dipinto napoletano di San Michele con San Gero-lamo e il beato Giacomo Capistrano, il passo danzante, le alida uccello, e l’elaborato movimento descritto con la spada tra-discono la fonte del motivo. Ovviamente la perfezione di que-sta soluzione iconografica si raggiunge nel pannello Werner.

Credo che una tavola del Museo di Napoli, in cui la figu-ra è senza ali e potrebbe darsi che rappresenti San Giorgio,sia un dipinto sardo. Fu acquistata da un privato nel 1898 enon si sa in realtà molto su di essa; ne indico la denomina-zione e il numero d’inventario135 per sollecitare un approfon-dimento della questione.

Pittori fiamminghi erano presenti ad Avignone, Napoli eBarcellona, e così questo tipo iconografico poté essere imita-to. Tuttavia, le vicende del maestro Rogier [van der Weyden]nel suo soggiorno in Italia, come i viaggi di Jan van Eycknelle sue ambascerie in Spagna e Portogallo, erano direttipiù a prendere in prestito nuovi motivi e nuove forme per ilNord che ad imporle al Sud: persino quel Giovanni di Giustoche Alfonso V il Magnanimo inviò a studiare a Bruges era ingrado di dare così come d’imparare.136 Vi si trovavano certo

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135. N. 320.136. [Nel 1469-70 Giovanni di Giusto soggiorna a Bruges a spese di reFerrante d’Aragona per compiervi l’apprendistato pittorico. Lavora aNapoli sino alla fine del secolo, ma nessuno dei suoi dipinti è giunto fi-no a noi. Il Bologna ne ha proposto l’identificazione con il Maestro diSan Severino Noricense, cui spetta la Pala di San Severino di cui si diràpiù avanti. Cfr. Fausta Navarro, in Pittura 1987, pp. 642-643].

dipinti fiamminghi nel gabinetto del re, e Joannes Gallicus [vanEyck] e Rogerius Gallicus [van der Weyden] erano nomi cono-sciuti. I loro lavori erano apprezzati a Napoli. Il valenzano Ja-comart non era meno noto e considerato; nel 1442 si trovava aNapoli, dove nel 1456 fu confermato pittore di camera.

A Cagliari, fra il 1442 e il 1458, dev’esserci stata una di-screta frequentazione dell’ambiente napoletano, dato che lostesso Alfonso fissò per lungo tempo la sua residenza a Na-poli. Politicamente l’isola dipendeva dall’Aragona ma social-mente era più vicina a Napoli. Il periodo d’interregno, quan-do Carlo VIII tentava di ripetere l’exploit dei precedentiinvasori angioini, può aver determinato il trasferimento di al-cuni pittori nell’isola, ma è dubbio: probabilmente anch’essi,come gli italiani di oggi, erano pienamente avvertiti del fattoche ogni residenza, ogni destino sarebbero stati migliori ri-spetto alle possibilità offerte dall’isola lontana. Da questomomento la Sardegna strinse i rapporti con la sede del go-verno nella penisola iberica. Infatti, di relazioni con altri pae-si, a eccezione della Sicilia, non si rintraccia notizia nel mate-riale documentario raccolto dal Manno, sino al tempo dellevisite di Carlo V. I giorni del Magnanimo non ritornarono.

Questi erano comunque finiti circa mezzo secolo primache l’anonimo maestro ponesse mano alla Vergine di Tuili, ein quel mezzo secolo il Nord aveva appreso dall’Italia e dal-la Spagna più di quanto si possa supporre, mentre l’arte nor-dica aveva esercitato la sua influenza, forse di seconda e ter-za mano, a Cagliari e si era fusa nell’alveo della tradizioneche procedeva dalla bottega di Joan Barceló.

Si dice che la tavola della Madonna di Castelsardo (fig. 18)vi sia stata portata quando fu eliminato il seggio di Ampurias(1503). Così ad esempio il Brunelli, il cui spirito acuto edentusiastico, assieme alla sua vasta erudizione, rende certosuggestivo e stimolante tutto quel che scrive. Ma in verità diquest’affermazione non vi è prova alcuna. Il pannello sopra

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18. Maestro di Castelsardo, Madonna in trono col Bambino e angelimusicanti, Castelsardo, cattedrale di S. Antonio abate

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l’altare maggiore, nella cattedrale di quel che allora si chiama-va Castellaragonese, proviene dal centro di un retablo smem-brato;137 in una delle cappelle della navata è conservato unaltro pannello con San Michele. Nello scudo dell’arcangelopotrebbero essere raffigurate le insegne nobiliari del donato-re, composte da due calderas. Purtroppo questa specie di ce-sta da cui fuoriescono teste di serpenti, denominata calderanell’araldica spagnola, rientra nel repertorio comune a moltearmi, e una ricerca nella Nobleza de Andalusia di Argote deMolina non ha prodotto l’identificazione d’una famiglia o d’unsignore cui poterla assegnare con ragionevole certezza.

Nel 1503 il numero delle diocesi sarde fu ridotto mediantela fusione di due o più cattedre; in seguito Dolianova fu unitaa Cagliari, Ottana e Bisarcio ad Alghero, Ampurias a Castella-ragonese. Sarebbe ragionevole pensare che una grande palacome doveva essere quella di Castelsardo fosse stata commis-sionata per celebrarvi l’installazione del seggio episcopale.

Altre tavole dello stesso polittico sono conservate nellasacrestia: due scomparti di predella con figure di Santi [apo-stoli] e una Trinità (fig. 19), poco leggibili per lo spesso stra-to di vernice che ne offusca i colori. Nel Cristo crocefisso laresa del corpo nudo è molto simile a quella nella pala di Tui-li; sono i modi che venivano esperiti all’epoca nell’apprendi-stato di bottega. L’Eterno siede sull’arcobaleno,138 attorniatodal Tetramorfo; lungo la mandorla si dispongono cherubini,mentre nell’angolo superiore sinistro l’angelo [di Matteo] asso-miglia a quelli del pannello centrale [con la Madonna in tro-no col Bambino e angeli musicanti]. All’interno della cornice

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137. [È il Retablo di Castelsardo, attorno al quale si è costruito il corpusdell’omonimo maestro. Ne sopravvivono quattro elementi, provenienticon buona probabilità dal convento francescano di S. Maria delle Gra-zie: la Madonna in trono col Bambino e angeli musicanti (scompartomediano basso), la Trinità con cherubini e Tetramorfo (scomparto me-diano alto), l’arcangelo Michele (scomparto laterale), gli apostoli Filippoe Bartolomeo, Mattia e Matteo (due scomparti della predella). Già ritenutol’opera più matura del pittore, è ora collocato nel periodo della sua inizia-le attività in Sardegna, in anni anteriori al 1492. Cfr. Serra 1990, sch. 49]. 138. Cfr. Saccargia. [Il rimando potrebbe essere tanto agli affreschi,quanto – più probabilmente – al Retablo minore di Saccargia].

della mandorla, formata dai cherubini, il fondo [d’oro] è lavo-rato a sbalzo con raggi intervallati da saette a zigzag, nei mo-di dell’usuale stampigliatura.139

L’arcangelo Michele (fig. 20), benché restaurato, è moltobello. Le ali sono composte da piume dorate, come quelledell’uccello nell’estasi del Salmista.140 L’armatura impreziositadall’oro e dalle spatolate d’argento, le scarpe rosse, l’ampiomantello foderato di tessuto dello stesso colore del vestitodella Vergine [di Castelsardo], tutti questi splendidi dettagli loqualificano come il Principe delle milizie celesti. La spada sol-levata taglia a metà lo spazio figurativo: dietro la testa e lagrande croce [sulla fronte] le ali si spiegano sullo sfondo. I ca-pelli sono folti e intrecciati, il volto d’una bellezza squisita. Sulbordo dello scudo sembra di poter leggere delle lettere, cheperò non formano parole di senso compiuto: anche qui non èpossibile recuperare una data o il nome di un donatore.

La stessa Vergine è molto più bella di quella di Tuili, èuna principessa in meditazione. Nel complesso il linguaggiopittorico è meno duro, meno respingente, lontano dalla piat-ta arte folklorica: è ricco e splendido. Si è soliti affermareche le due pale [di Tuili e di Castelsardo] sono della stessamano. A me sembra impossibile, benché sia indubbio cheprovengano dalla stessa bottega.141

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139. [Siffatta tecnica tardogotica di lavorazione del fondo, denominatain catalano “a embotis”, prevedeva l’applicazione di stampi sulla laminad’oro, che ne risultava impressa con motivi d’ornato floreale o geome-trico, elaborati sulla base di cartoni e spesso distintivi della bottega]. 140. Et vos dormitis inter medias caulas: alae columbae nitent argento,et pennae eius pallore auri [Vulgata, Ps. 68, 14]. 141. [La Goddard King ragiona sulla base di un metodo “riduttivo”, che po-co più avanti specificherà essere quello del Morelli, teso al riconoscimentodella mano del Maestro. Detto metodo perde però di efficacia se applica-to a opere composite come i retabli tardogotici, per la cui esecuzione va-sto e diversificato era il concorso delle professionalità operanti nella bot-tega. In ragione di ciò, sia il polittico di Castelsardo sia quello di Tuilivengono oggi classificati secondo un metodo “estensivo”, e tranquilla-mente riferiti entrambi al Maestro di Castelsardo, o alla sua bottega, il cheè in pratica lo stesso. Ciò non toglie che si diano differenze di qualità frale singole tavole, utilizzabili per l’individuazione della mano del Maestro].

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19. Maestro di Castelsardo, Trinità con cherubini e Tetramorfo,Castelsardo, cattedrale di S. Antonio abate

20. Maestro di Castelsardo, Arcangelo Michele, Castelsardo,cattedrale di S. Antonio abate

L’impossibilità può essere dimostrata sulla base di consi-derazioni elementari. Se vi è un minimo di attendibilità nelmetodo morelliano, allora l’elemento spia della mano delmaestro, il punto dove egli non può fare a meno di ripetersi,automaticamente, inconsciamente, sarebbe da individuarenel significativo dettaglio delle mani degli angeli musicanti.Accostando l’eccellente foto dell’Aru a quella pubblicata daAlinari,142 è facile vedere che il trattamento delle mani diffe-risce radicalmente. Il pittore di Tuili piega le dita ad angoloacuto in corrispondenza delle nocche, e il lettore non devefar altro che paragonarle [a quelle degli angeli musicanti diCastelsardo]. La posizione dell’angelo con tamburello è va-riata; quello che suona la chitarra a Castelsardo pizzica lecorde con le dita, mentre [a Tuili] sembra utilizzare una pun-ta di metallo [sic].

Certi dettagli tecnici nella resa dei particolari anatomicierano di comune uso nella bottega, tanto da richiedere mo-difiche solo in casi molto particolari. I muscoli della gola de-scrivono due linee discendenti a forma di V; il mento è ro-tondo come una melina, così le rotule nei nudi, con lineeconcentriche che ne riprendono la forma. L’angolo inferioredello sterno e l’attacco delle costole in doppia fila sono resida una serie di globuli in rilievo, come fagioli in un baccel-lo. Tutti questi tratti, facili da rilevare visivamente e difficilida descrivere, sono assai evidenti nei nudi della pala di Tui-li, dove però il maestro ha ruotato verso destra la testa dellaVergine e addolcito le linee della sua gola.

La Madonna di Castelsardo tiene in mano una rosa, ilBambin Gesù un uccello e indossa una camiciola e una largafascia rossa. La veste della Madonna è di un giallo rosato, ilmantello di broccato d’oro foderato di verde: sono coloripiuttosto diversi da quelli della Madonna di Tuili, al pari deicapelli con leggeri riflessi verde oliva, delicatamente intrec-ciati a incorniciare il volto. Il fondo d’oro stampigliato è ric-co e aggraziato negli andamenti sinuosi del motivo. Il dato

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142. [Alinari 1915, fig. a p. 17 (Madonna di Castelsardo)].

fondamentale è che il pittore, un po’ più arcaico, denotauna maggiore propensione per la bellezza formale, e seppetrarre il massimo profitto sia dalle sottigliezze tecniche siadagli splendidi contrasti cromatici.

La terza Vergine si trova a Birmingham nella Galleria del-la Corporazione.143 Proviene probabilmente dalla stessa bot-tega delle altre ed è stata dipinta in anni di poco successivi[all’esecuzione di quelle di Tuili e Castelsardo]. Rappresentala Madonna in trono, con angeli che la incoronano, e il Bam-bino benedicente (fig. 21). Sul dossale del trono tre angelisuonano strumenti musicali e altri due reggono il drappo chescende dietro le spalle della Vergine: in primo piano si collo-cano a mezzobusto le figure di una donna e di un uomo[con un ragazzo]. Il Brunelli144 richiama molto appropriata-mente un passo della Guida [della città e dintorni] di Caglia-ri, scritta dallo Spano nel 1861, in cui viene descritto un anti-co dipinto della chiesa di S. Rosalia [con la Madonna, ilBambino, angeli e committenti],145 benché in verità figure didonatori non siano così rare nella pittura sarda come eglipensa: posseggo la foto di una Madonna di Montserrat146

con simili mezzibusti, e ricordo che a Sassari doveva trovarsiun tempo un analogo dipinto con i tre Protomartiri turrita-ni.147 I committenti compaiono molto spesso in opere iberi-che dell’epoca.

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143. [È la Madonna in trono col Bambino, angeli e committenti, oggi nelCity Museum and Art Gallery di Birmingham, con l’attribuzione al Mae-stro di Castelsardo e la datazione al 1492 circa; cfr. Serra 1990, sch. 55].144. Brunelli 1919, pp. 232-242.145. Più probabilmente la tavola proviene da Oristano. [In realtà l’ipo-tesi della provenienza della tavola di Birmingham dalla chiesa cagliari-tana di S. Rosalia – sulla base della notizia di Spano 1861a, pp. 253-254– è la più probabile, e come tale quella oggi comunemente accettata]. 146. A Oliena. [Se ne dirà più avanti]. 147. [Si tratta dell’olio su tela con la Traslazione dei Martiri turritani,custodito a Sassari nella cattedrale di S. Nicola, nel quale lo Spano(1861b, pp. 46-47) lesse la data 1615 oggi non più rilevabile; cfr. Scano1991, sch. 25].

La mera affinità iconografica non prova nulla circa que-ste Vergini, poiché la Madonna fra gli angeli musicanti eraun tema comune nella pittura catalana. A Vic e a Valenza visono affascinanti antiche composizioni con questo soggetto,inquadrate da arco ribassato; il citato retablo della collezioneCasas offre una variante del tema; a Tortosa si trovava ancheuna bella tavola della Vergine ascritta a Pere Serra,148 in cuigli angeli stanno ritti, quattro [leggi: tre] per lato, e il BambinGesù tiene in mano un uccello, che avrebbe potuto ben co-stituire un prototipo per i Sardi. Una Vergine incoronata condonatore e angeli chini sui braccioli del trono, della collezio-ne Peñasco, non è in verità così vicina a queste, eccetto perla forma del trono.

Ora, nel passare in rassegna le affinità tra le tavole [diTuili, Castelsardo e Birmingham], bisogna osservare anzituttoi tre angeli che siedono sul dossale del trono, a Castelsardo ea Birmingham, mentre l’intaglio tardogotico di ruote e giralialla sommità del trono, nel primo dipinto, richiama quelloscolpito sul davanti, sullo schienale e sul coronamento deltrono nel secondo. Nella tavola di Castelsardo si contano seiangeli musicanti. In quella di Tuili quattro sono musicanti edue sono sospesi in aria per reggere una corona sull’aureola[della Madonna]. A Birmingham questi ultimi due volano conmaggior disinvoltura e [il volto di] quello ritratto di profilomostra i lineamenti duri già rilevati in altri pezzi; altri dueangeli sono sospesi per aria mentre sistemano il drappo. I vi-si di questi e dell’angelo [col volto frontale] sotto di loro sonocostruiti secondo una tipologia più allungata, più fiammingae più bella, ma certo derivano il loro modello da uno deidue di Tuili. I putti seduti sui braccioli del trono sembrano

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148. [È la Nostra Signora degli Angeli in una delle tre tavole superstitid’un polittico già nella cattedrale di Tortosa e oggi nel Museu d’Art deCatalunya a Barcellona, con l’ascrizione a Pere Serra, documentato fra il1357 e il 1406. Cfr. Gudiol i Ricart, Alcolea i Blanch 1986, cat. 137; RosaAlcoy i Pedròs, in Prefiguración 1992, sch. 59, e in Cathalonia 1997,sch. 10].

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21. Maestro di Castelsardo, Madonna in trono col Bambino,angeli e committenti, Birmingham, City Museum and Art Gallery

riprodurre elementi scultorei.149 Sul fondo oro il motivo or-namentale risulta ormai quasi illeggibile. La tipologia delBambino è più elaborata e la testa della Madonna più mo-derna con un’apparenza di carne più morbida. A giudicaredalla foto, il dipinto sembra essere al tempo stesso vivace ebello, abbastanza arcaico eppure non ieratico né dai trattiduri e controllati, ma spontaneo.

Il Retablo di Sanluri (fig. 22) fu impaginato secondo loschema degli altri polittici, con Sant’Eligio nello scompartocentrale, e San Leonardo e Sant’Andrea [leggi: Santo vescovoe Sant’Antonio da Padova] che lo fiancheggiano in quelli la-terali bassi, mentre i pannelli superiori sono troppo rovinatiperché se ne possa indovinare il soggetto.150 Per lungo tem-po fu ritenuta l’effigie del santo titolare della parrocchiale diS. Pietro a Sanluri [dov’era custodito], sino a quando un sa-gace dilettante non ne asportò [gli elementi posticci quali] labarba, le chiavi e i gradini del trono.

Vi era un convento di S. Leonardo a Cagliari, e certo il po-tere del santo d’intercedere per la liberazione dei prigionieri[caduti nelle mani degli infedeli] lo rendeva assai caro agli iso-lani; nel 1535 Carlo V trovò a Tunisi 1119 sardi in attesa d’es-ser liberati dalla schiavitù. Con ceppi e catene [ai suoi piedi],egli siede su una lunga panca che taglia orizzontalmente l’inte-ro pannello, allo stesso modo in cui [nel Retablo del Presepio] ilparapetto della terrazza divideva in due lo sfondo nelle tavolecon Santa Chiara e San Pietro. Egli porta, oltre alla palma del

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149. Cfr. Bertaux 1907 sulla parte aragonese. 150. [Attorno a questo polittico, oggi nella Pinacoteca Nazionale di Ca-gliari, si è ricostruito il corpus del Maestro di Sanluri. Nello scompartomediano alto compariva forse un’Annunciazione, in quello laterale sini-stro un San Lorenzo, mentre nel simmetrico a destra si conserva presso-ché intatta quella figura di San Leonardo, che la Goddard King localizzainvece in basso. Cfr. Serra 1990, sch. 58, e pp. 275-277 per la datazionedella pala di Sanluri ad anni successivi al 1503, sulla base del terminepost quem fornito dalle incisioni della Vita di Maria di Dürer, palesemen-te utilizzate come modello grafico almeno per due scene della predella].

martirio, un libro di ricche miniature.151 È difficile dire perchési scelse di effigiare Sant’Andrea, essendo per tradizione SanBartolomeo l’apostolo [evangelizzatore] dell’isola, ma la sua fi-gura è inconfondibile, grazie alla croce d’albero, alla tunicaverde, al libro rosso e mantello giallo.152 Sul parapetto è dipin-ta la scena di Orfeo [che ammansisce le bestie]: il poeta classi-co tiene il liuto, ma si atteggia alla maniera antica, con vesteaderente e corto gonnellino da soldato romano; il leone spa-lanca le fauci e canta. Nella tavola simmetrica, dietro la figuradi un Santo vescovo, il parapetto sembra decorato con ilTrionfo di Anfitrite : il cocchio è trainato da una divinità marinacon zampe anteriori equine e una piuma sul capo.

Rispetto alle altre, la figura di Sant’Eligio risulta più ar-caica quanto a sembianze e trattamento, ma broccati, orefi-cerie e volti sono sostanzialmente analoghi. Il motivo lungoil bordo del mantello del Santo vescovo ripete quello neibraccioli della cattedra di Sant’Eligio; su quel che rimanedella sua mitra la stessa mano ha dipinto lo stesso motivo acroce, che si vede anche in quella di Sant’Eligio. Negli scom-parti laterali, panneggio e sfondi sono, per così dire, più ag-giornati. Lo stesso può rilevarsi in un polittico [già] nellachiesa dei SS. Severino e Sossio a Napoli, che il Tormo attri-buisce a Francesco Pagano, il quale lavorò come pittore aValenza nel 1472.153 Nello scomparto mediano basso [della

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151. Atti di Andrea e Matteo nella città degli antropofagi [sic].152. [Si tratta in verità di un Sant’Antonio da Padova, ma la GoddardKing descrive la tavola prima del restauro, quando la figura conservavaquelle ridipinture che l’avevano trasformata appunto in Sant’Andrea.Cfr. la foto d’archivio del retablo completo in Serra 1980, p. 45, e quel-le della tavola in oggetto, attraverso le successive svelature, pubblicateda Roberto Concas, in Cultura 1985, p. 68].153. [La Pala di San Severino, ora nel Museo di Capodimonte, è ascrittaal Maestro di San Severino Noricense, la cui attività a Napoli si collocafra il 1470 e 1480, ma la cui identificazione anagrafica rimane controver-sa. Cfr. Fausta Navarro, in Pittura 1987, pp. 458-463, fig. 647; FerdinandoBologna, Fausta Navarro, Silvia Cocurullo, in Polittico 1989, pp. 13-86;Pierluigi Leone de Castris, in Quattrocento 1997, sch. 13. La figura di SanSeverino, apostolo del Norico, nel pannello centrale presenta in effetti

pala napoletana] siede un vescovo in trono, benedicente,con il mantello teso fra le ginocchia così da mostrare per in-tero il motivo ornamentale del magnifico broccato, nell’iden-tico modo in cui [il gruppo dei] Vergós dispose il mantellodella principessa nel Retablo di Granollers. Due piccoli puttialati abbracciano le colonne innalzate sul dossale del trono,e due putti con ghirlande coronano i pilastri similmente col-locati nella tavola centrale del Retablo di Sanluri. Il resto diquesto polittico verrà analizzato in seguito. Il punto che sivuol qui rilevare è che la tipologia del vescovo in trono am-mantato d’uno spettacolare broccato sembra aver avuto ori-gine con Jacomart,154 a Játiva sulla costa valenzana.

Nel novero delle figure di Jacomart si devono includeredue vescovi in trono, che giacciono oggi trascurati e com-pletamente sconosciuti [alla critica] nel Museo di Valladolid,ma che sono molto belli; potrebbero derivare dallo smem-bramento di una pala come quella di Játiva con i Santi Ago-stino e Ildefonso.155 Dei vescovi, uno è Sant’Atanasio, con

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significative affinità con quelle (anch’esse in abito vescovile) di San Marti-no nella pala di Segorbe (vedi oltre) e di Sant’Eligio in quella di Sanluri].154. La produzione pittorica di [Jaume Baço detto] Jacomart è stata pub-blicata dal Puiggarí in una nota del 1881, dal Conde de la Viñaza nellesue Adiciones del 1889, dal Tramoyeres Blasco nell’Almanaque de LasProvincias del 1906, dal Sanpere i Miquel nel 1906, opera in cui, consua peculiare generosità nell’onorare la scienza di un altro come nell’of-frire la propria, egli ripubblicò le notizie già edite nell’almanacco di nonagevole reperibilità. Finalmente Tormo y Monzó pubblicò nel 1914 unamonografia sul pittore, mentre la vasta diffusione dell’opera del Bertaux(1907) lo rese noto in tutta Europa. Per le date e le opere più importantidi Reixac, Jacomart e Huguet, cfr. l’Appendice I al presente studio [quinon ripubblicata poiché si tratta perlopiù di semplici profili biografici,decisamente superati alla luce delle attuali conoscenze].155. [Queste ultime due figure occupano gli scomparti laterali del Reta-blo di papa Callisto, parzialmente ricomposto (entro cornici più tarde)nella collegiata di Játiva. Fu dipinto da Jacomart attorno alla metà delXV secolo per Alfonso Borgia, allora al servizio di Alfonso V il Magna-nimo e in seguito papa col nome di Callisto III. Cfr. Joaquín Yarza Lua-ces, in Pittura 1995, pp. 142-143, fig. 163].

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22. Maestro di Sanluri, Retablo di Sanluri, Cagliari, Pinacoteca Nazionale

un porto di mare sullo sfondo. L’altro è San Luigi di Tolosa,con la corona ai piedi; dietro, alla sua sinistra, compare unecclesiastico con le mani giunte in preghiera.156 La piccolacittà sullo sfondo non ha assolutamente i caratteri propri diquelle fiamminghe. Il lavoro di oreficeria alla sommità deipastorali non è esattamente analogo a quello che figura nel-la tavola con San Martino [del Retablo di Segorbe] di Jaco-mart157 e in quella [di Sanluri] con Sant’Eligio, poiché menoappariscente; l’intaglio di ebanisteria nelle cattedre è piùsemplice e diverso nel motivo; il colore è molto fresco earioso, con azzurri e piacevoli accensioni di luce, larghecampiture uniformi nei panneggi. Questi due dipinti nonpossono essere assegnati a nessuno dei pittori valenzani anoi noti, tuttavia appartengono all’ambito che il nostro stu-dio va gradualmente approfondendo.

Sanluri ha conosciuto precise circostanze storiche chepossono aver determinato un contatto con Játiva e la pre-senza [in Sardegna] di un pittore [valenzano] alla fine delQuattrocento. Dopo la battaglia di Macomer, nel 1478, ilmarchese di Oristano venne catturato mentre tentava da Bo-sa la fuga via mare, e tenuto prigioniero con il visconte diSanluri nel castello di Játiva, dove morirono entrambi nel1479. Che tipo di monumento destinato a onorarne la me-moria fu loro allestito a Sanluri in forma di tomba, di altare odi chiesa, non sono in grado di precisare, ma è significativose non altro il fatto che Játiva e Sanluri si siano trovati allora

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156. [Si tratta delle due tavole con Sant’Atanasio e San Luigi di Tolosanel Museo de Escultura di Valladolid, della fine del XV secolo, ascrittenon a Jacomart ma al Maestro di Sant’Ildefonso; cfr. Joaquín Yarza Lua-ces, Pittura 1995, p. 167, figg. 193-194 (le immagini sono invertite)]. 157. [È la tavola centrale del Retablo di San Martino, già nella chiesadelle Agostiniane e oggi nel Museo Diocesano di Segorbe, dipinto daJacomart nel 1447; cfr. Post 1935, pp. 33-34, fig. 5. Nel libro della God-dard King è presente una riproduzione fotografica di quest’opera, quinon ripubblicata].

in relazione.158 Un allievo di Jacomart, che avrebbe portato aSanluri il tipo iconografico che aveva visto elaborato per ca-nonici in terra iberica e per monache [nel Retablo di SanMartino] a Segorbe, lo avrebbe poi trasmesso al suo allievoa Cagliari, e adattato a questa figura.

Il giovane ecclesiastico [Sant’Eligio vescovo], con la suabellezza tormentata (fig. 23), ha un tocco di quella durezzamai del tutto assente in ogni dipinto sardo; la passione per imanufatti estetici, riscontrata senza soluzione di continuità findal polittico di Ottana, si dispiega qui liberamente: nella mo-bilia, nell’oreficeria, nell’eleganza delle piastrelle, nell’aggra-ziato assemblaggio dell’insieme. Ancora arte quattrocentesca,quale che sia la data effettiva, ma con una sorta di sobrietà econtrollo spirituale nell’ambito dell’intenzionale ricerca di fa-scinazione del dipinto.

Le figure del polvarolo con i Santi Sebastiano e Giulianofurono senza dubbio ridipinte negli anni in cui la soldatagliadi Carlo V portò la peste, come risulta dall’istituzione della fe-sta dei due santi nel 1529.159 Il che ci suggerisce l’eventualitàche un certo lasso di tempo sia intercorso fra l’esecuzione diqueste tavole e di quella con Sant’Eligio orefice nella predella.

In quest’ultima, le sei scene della vita del santo, con al cen-tro un Cristo in pietà, palesano uno spiccato carattere catalano,

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158. Gli appigli cronologici per una connessione Sanluri-Játiva sono iseguenti. 1423: il prete Francesco Bosch di Játiva contatta Picalull.1439: Daniel Barceló e Joan Reixac si trovano a Játiva. 1450 (?): Jaco-mart dipinge a Játiva il Retablo di papa Callisto. 1451: Huguet mandaun retablo a Gabriele Canilla in Sardegna. 1454: [Joan] Figuera a Barcel-lona. 1455: Figuera a Cagliari. 1455: Matias Figuera muore a Cervera,dove Bartolomé Gistafre rappresenta Joan Figuera. 1455-56: Joan Bar-celó a Cagliari. 1461: Figuera a Cervera. 1468: Reixac a Cubells. 1478-79:il visconte di Sanluri a Játiva. 1483: Huguet dipinge [la perduta pala di]Sant’Eligio a Barcellona. 1510 (?): [Retablo di] Sant’Eligio a Sanluri. Tut-to ciò non prova nulla ma vale la pena avanzare almeno l’ipotesi, dalmomento che date e fatti sono buoni per morsi e briglia [sic]. 159. San Giuliano, cacciatore, festeggiato il 27 gennaio, ha soppiantatoSan Fabiano.

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23-24. Maestro di Sanluri, Sant’Eligio in cattedra, Bottega dell’orafo, tavola centrale, tavola laterale della predella del Retablo di Sanluri, Cagliari, Pinacoteca Nazionale

specialmente le ultime due, con Sant’Eligio in trono in abitovescovile e con i miracoli operati nel suo santuario, in favoredei pellegrini. La famiglia dei Vergós dipingeva esattamente al-la stessa maniera, e il pittore [della predella di Sanluri] era aconoscenza del loro lavoro. Prima della nascita di Eligio, suamadre sognò un’aquila [Sogni profetici della madre, nel primoriquadro da sinistra]; da giovane egli lavorò all’arte orafa, e [nelsecondo riquadro] gli oggetti dipinti nella Bottega dell’orafo(fig. 24) sono così minuziosamente selezionati e descritti, che– nel considerarli assieme ai manufatti d’oreficeria nel pannel-lo centrale – si è portati a concludere che si tratta di un dipin-to commissionato dalla corporazione [degli Orefici].160 Nel ri-quadro successivo [la Prova dinanzi a Clotario] il santo sipresenta al buon re Dagoberto [sic]; distribuisce poi l’Elemosi-na ai poveri e agli storpi e quindi, dopo la Consacrazione ve-scovile, riceve l’omaggio dei Devoti alla tomba del santo.

La scena centrale della Pietà rappresenta lo sviluppo fi-nale del tema iconografico di Joan Figuera. Il Cristo ignudo,con gli occhi aperti, siede sul bordo della tomba aperta egetta via il sudario; i tre angeli che lo sostengono sono coltiin diversi atteggiamenti di pietà e dolore. Il dettaglio delleali e delle teste sullo sfondo d’oro è incredibilmente bello.Occorre sottolineare che l’anatomia del nudo non si può as-solutamente assimilare a quella nella pala di Tuili: questo di-pinto segue un’altra linea di derivazione, giungendo dalTomàs e dal Figuera, con le innovazioni dovute probabil-mente a ripetuti contatti con la Spagna.

La sua posizione differisce leggermente da quella di qua-lunque altro dipinto sardo, per il livello di bellezza e fascinoche gli è proprio, a meno che non sia possibile provare che idue [citati] pannelli di Valladolid provengano dal S. Francescodi Stampace, ma l’Aru lo esclude.161 Tre dipinti del genere

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160. Nel XVI secolo gli argentieri di Barcellona riconoscevano in Sant’Eli-gio il loro patrono.161. [A ragione, poiché non risultano nella minuziosa descrizione che deidipinti del S. Francesco di Stampace diede lo Spano (1861a, pp. 169-187)prima della loro dispersione].

dovrebbero essere sufficienti a dimostrare l’esistenza di unterzo atelier nella città [di Cagliari], dove la pura estetica erariconosciuta e apprezzata più dei rubini.

A Dolianova, sulle colline a nordest di Cagliari, si con-servano singole tavole di un retablo (fig. 25) dedicato a SanPantaleo, il titolare della chiesa.162 Il vescovo inginocchiatoai piedi del Bambin Gesù consente di fissare per l’esecuzio-ne del dipinto il termine ante quem del 1503, poiché inquell’anno il seggio di Dolianova fu unito a quello di Caglia-ri. [Nello scomparto mediano alto] il Bambino, completa-mente nudo, porta un ciondolo di corallo al collo e tiene inuna mano un cucchiaio e nell’altra una padella per friggere[sic], ma lo sguardo è fisso su tre angioletti, come bamboleraggruppate sul davanti nell’angolo destro, con il cartigliodel Te Deum. La Vergine, seduta su un paio di cuscini, disto-glie lo sguardo dal libro per rivolgerlo al Bambin Gesù: ungiglio in un bel vaso completa la composizione. Nel drappo,è nuovo il motivo del broccato; benché adattato in base al-l’esigenza di fungere da cornice per la testa e le spalle [dellaVergine], rivela uno stile che ha qualcosa di arcaico, più con-sono al XV che al XVI secolo.

[Nello scomparto mediano basso] San Pantaleo (fig. 26) sierge su un drappo dello stesso broccato, abbigliato come unborghese dabbene, e ha in mano un oggetto che assomigliaa una scatola di colori per artisti: è la scatola dei farmaci delmedico. Ai suoi piedi sulla destra vi è uno zoppo, in un car-retto che allude al primo dei miracoli operati dal santo; a si-nistra, un donatore e sua moglie,163 lui con folti capelli e unabarba che si proietta in avanti, come un re delle fiabe. Giàdalla semplice descrizione sembra di cogliere nuovi elementi:

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162. [Le tavole sono del Retablo di Dolianova, oggi ricomposto nellaparrocchiale di S. Pantaleo, che ne ospitò il seggio vescovile fino al1503; cfr. Serra 1990, sch. 68].163. [Si direbbe piuttosto il bambino avvelenato dal morso di una vipe-ra e miracolato dal santo, secondo l’episodio della leggenda a cui laGoddard King accenna poco più avanti].

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25-26. Retablo di Dolianova e tavola centrale con San Pantaleo medico conmiracolati e uno storpio, Dolianova, parrocchiale di S. Pantaleo

una Vergine di tipo fiammingo, piccoli angeli come quelli delCrivelli negli anni di apprendistato. Ma [gli scomparti lateralicon] le scene della leggenda del santo sono derivati, verreb-be quasi da dire, direttamente dal Retablo di S. Vincenzo diSarrià:164 gli schemi compositivi rimandano infatti a Barcello-na, dove qualcuno [dei pittori attivi in Sardegna] dovette pureessersi recato. Il pittore conosce il retablo catalano di secon-da o terza mano, e lo imita apportandovi delle modifichepersonali. Quattro pannelli della leggenda [di San Pantaleo]sono appesi all’interno della chiesa [di Dolianova] e manten-gono le loro terminazioni ad arco ribassato e polilobato, madel pannello con la Crocefissione che doveva trovarsi allasommità del retablo,165 come pure della predella, non è rima-sta alcuna traccia. Queste scene [degli scomparti laterali], co-me quelle del citato retablo di Sarrià dei Vergós, sono incen-trate sul martirio: in una [a sinistra in basso] il giovane santodi circa quindici anni va incontro ai soldati, seguito da granfolla dietro, mentre si reca da un bambino deceduto per ilmorso di una vipera: per sua intercessione, il bimbo vive e lavipera muore. Sulle teste, in una mandorla circolare, campeg-gia il mezzobusto di un sacro personaggio che tiene un carti-glio ora indecifrabile, e che riappare in ogni scena [nello

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164. [Si tratta dello smembrato polittico già nell’altar maggiore della par-rocchiale di S. Vincenzo di Sarrià e ora nel Museu d’Art de Catalunya aBarcellona, commissionato a Jaume Huguet che ne dipinse cinque tavo-le nel 1455-62 circa. Le restanti quattro sarebbero state eseguite dai col-laboratori dopo la sua morte, avvenuta nel 1492, ed entro il 1510. A tretavole (Fustigazione di San Vincenzo, San Vincenzo nella graticola,Morte di San Vincenzo) avrebbe lavorato il Maestro di Castelsardo. Cfr.Gudiol i Ricart, Alcolea i Blanch 1986, cat. 479; Serra 1990, sch. 54; JoanBosch i Ballbona, in Prefiguración 1992, sch. 92; Rosa Alcoy i Pedrós,in Jaume Huguet 1993, sch. 3; Francesca Español, in Cathalonia 1997,sch. 27].165. [Non c’è motivo di credere che manchi un riquadro mediano altocon la Crocefissione, poiché difficilmente l’abside di Dolianova avrebbeospitato un retablo di dimensioni maggiori rispetto alla pala ricompo-sta, già notevoli se all’altezza dei pannelli superstiti si aggiunge quelladella perduta predella].

scomparto in basso a destra è sostituito dall’Eterno]. In un’al-tra scena [a sinistra in alto] il protagonista è legato su unacroce di Sant’Andrea e due carnefici si apprestano a torturar-lo; sullo sfondo, soldati con le picche serrate e Massimiano intripla tiara, raggruppati su ciascun lato. In un’altra scena an-cora [a destra in alto], i personaggi si ammassano tutti sulladestra a eccezione di due alti uomini in armatura; una pietrada macina pende dal collo della figura del santo, al centro.Nell’ultima [a destra in basso], egli è inginocchiato su un pic-colo rilievo del terreno, legato a un albero d’ulivo come ilSan Sebastiano [della pala] di Olzai, e due angeli innalzanofino al cielo la sua anima, un piccolo simulacro in una lungascia di vapore bianco, verso l’Eterno che ora appare nellagloria di luce. Negli altri tre pannelli questa figura celestiale ègiovane e glabra, ma porta un nimbo crucigero. La generaleripetitività dello schema compositivo – figura centrale fra duegruppi, file di picche, mandorle di luce e cartigli zigzaganti –assicura un bell’effetto decorativo, con le masse scure dai co-lori carichi, il cielo chiaro che funge da raccordo fra le tavo-le, e le perpendicolari parallele che in qualche caso vengonoinclinate per variare il soggetto dello stretto necessario. Sullosfondo dell’episodio in cui il santo patisce il martirio con lamacina al collo, una baia fra le montagne e una città le cuitorri svettano nel cielo si lascia riconoscere come Cagliari,qui ritratta come fece il Ribera per la baia e la città di Napolinel superbo San Gennaro [in gloria].166

Anche qui [a Dolianova], tuttavia, il linguaggio artistico èdi tono popolare e poco accattivante, la Vergine dai lunghicapelli e suo figlio hanno durezze da scultura lignea, ma sitratta comunque di un’opera di grande interesse: sorprende,del pittore, la conoscenza dell’arte a lui coeva, e il fascinoche emana da questa ricerca puramente decorativa è immen-so. Così come le bolle che nuotano nel cielo ricordano le in-venzioni di Burne-Jones per i suoi Giorni della Creazione,

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166. Nella chiesa del convento delle Agostiniane a Salamanca. [Cfr.Alfonso E. Pérez Sánchez, in Jusepe de Ribera 1992, sch. 1.102].

così l’albero quasi miniato foglia per foglia sembra un dise-gno di Morris.167

Con il retablo di Dolianova si chiude il Quattrocento.D’ora in avanti l’influenza italiana è facile da rilevare, talvoltadi Raffaello e talaltra del Pinturicchio. La pittura sarda tuttaviaè giunta a elaborare un linguaggio così originale, che riesce amantenerne i tratti, le convenzioni, l’atteggiamento di fondo.Il polittico di Ardara è affollato di armi e di santi iberici, ed ècosì prossimo a quelli di Tuili e Villamar che ogni linea didemarcazione che si volesse tracciare resterebbe inevitabil-mente convenzionale.

È possibile tuttavia, come qui ci concediamo di fare, l’in-dividuazione di quelle caratteristiche in base alle quali defi-niamo quattrocentesche delle opere anche quando, come letavole di Castelsardo, furono probabilmente dipinte nel 1503.Questi caratteri sono dunque – e ciò risulta dagli esempi esa-minati di quella grande età che più avvince e appaga [sottoil profilo dell’arte] d’ogni altra che l’ha preceduta e seguita –all’incirca i seguenti: solennità, distacco, durezza, misura;grande sobrietà di forme e di gesti; partiti compositivi rigoro-samente bilanciati; i dettagli delle figure basati sull’immediatapercezione comune, e non dedotti dallo studio dell’anatomiae dai modi accademici, cosicché le pose risultano imitate dalvero anziché costruite. Il ruolo delle ombre è ridotto al mini-mo, il colore è onnipresente, forte, e usato per le sue qualitàintrinseche. Le semplificazioni formali che tutto ciò comportafanno emergere quella bellezza della reticenza, quella graziadell’espressione imperfetta, quella subordinazione dei fatti aidati del linguaggio artistico, quell’insistenza e predominanzadi un canone, in cui noi riconosciamo propriamente lo stilequattrocentesco.

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167. [Questi curiosi paragoni, in cui la Goddard King abbandona il to-no analitico che le è più congeniale e si abbandona alla poesia, tradi-scono probabilmente un gusto estetico – che è poi quello prevalente altempo – ancora sostanzialmente orientato al liberty].

Il Retablo maggiore di Ardara fu dipinto nel 1515 e fir-mato da Giovanni Muru;168 un altro simile polittico esistevaa Bisarcio fino [quasi] agli inizi del XIX secolo, quando qual-cuno sistemò una lampada votiva troppo vicino ad esso.169

Lo Spano scoprì l’iscrizione nel tabernacolo [di Ardara] e lapubblicò nel 1859:

EN L’AI MVXV

(H)OC OPUS FESIT FIERI MOS(S)EN IOAN CATAHOLO ASIPR(E)STE ETDON(N)U BAINIU VALEDU ET DON(N)U VALE(N)TINU DETORI ET MASTRUBAINIU MARONIU ET DON(N)U PEDRUSU MADIUS OBRES

Non esiste la certezza che Giovanni Muru abbia dipintosia il Cristo in pietà nello sportello del tabernacolo sia le al-tre tavole della predella, poiché sembrerebbe che il cartigliocon il suo nome sia stato aggiunto in seguito170, ma la data el’identità dei committenti sono indubbie.

IOAN(N)ES : MURU : ME PINSIT :

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168. [Si trova ad Ardara nella parrocchiale di S. Maria del Regno e con isuoi oltre dieci metri di altezza è il più grande dei polittici sardi quat-tro-cinquecenteschi; cfr. Serra 1990, sch. 67; per il restauro cfr. WallyParis, in Chiesa 1997, pp. 21-63, 66-75].169. [Spano 1859b, p. 151, nota 2, a proposito di Giovanni Muru: «Diquesto celebre artista esisteva pure nella Cattedrale di Bisarchio una va-stissima tavola che per la poca cautela di una divota che vi lasciò nellanotte una lampada accesa, fu preda delle fiamme»; Spano 1860, p. 83,nota 1, a proposito del S. Antioco di Bisarcio: «Davanti all’abside esistevauna assita simile a quella della chiesa di Ardara con bellissime pitture atempra a diversi spartimenti, la quale fu incendiata nella fine dello scorsosecolo … Da tutti quelli che le conobbero si giudicavano della stessamano delle pitture di Ardara»].170. [La pur acuta osservazione della Goddard King non ha avuto segui-to fra quanti si sono poi occupati del dipinto, riconoscendo a Giovanni

Siamo quindi di fronte a una struttura completa, intatta,in situ, comparabile ai grandi retabli catalani. L’intera frontedell’abside è occupata dal polittico, con due porte ai lati del-l’altare, che conducono all’ambiente retrostante. La predellapresenta sei scene, oltre alla Pietà, la parte superiore altre ot-to, mentre quella centrale è occupata da una nicchia con lastatua della Vergine. Nel polvarolo vi sono quattordici figuredi santi; sotto due di questi, alla sommità dell’opera e ai latidell’immagine, degli angeli reggono gli stemmi con le armi diAragona.171 Al contrario dell’uso solito, nello scomparto piùalto è dipinta la Nascita della Madonna e sotto di essa vi è laDormitio Virginis o Transito della Vergine (fig. 27). Conti-nuando la lettura sul lato sinistro, dall’alto verso il basso, lescene rappresentano l’Annunciazione, la Natività e l’Epifa-nia; a destra, dal basso verso l’alto, la Resurrezione, l’Ascen-sione e la Pentecoste. Il programma iconografico prevede unaraffinata simmetria di contenuto spirituale e formale, con loSpirito Santo che si manifesta nelle due tavole alte, l’avventoe la dipartita del Signore in quelle a metà e, in quelle basse,la sua presentazione ai gentili che corrisponde al suo trionfosulla mortalità della carne. Nel polvarolo compaiono [dal bas-so] i profeti Davide, Mosè e Daniele [a sinistra], Salomone,Abramo e Zaccaria [a destra]; Amos e Gioele sono stati col-locati sulla tavola orizzontale che sovrasta l’Annunciazionedove dovremmo piuttosto trovare Isaia e Geremia [che stan-no invece sopra la Pentecoste], mentre Davide e Mosè avreb-bero dovuto sovrastare l’Ascensione per via delle citazioniscritte sui cartigli che ne incorniciano le figure. Malachia eBaruch occupano la tavola posta in orizzontale alla sommità;

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Muru la paternità della predella e individuando nelle tavole superioridel polittico l’intervento di almeno due pittori che operano con modifra loro simili ma distinti dai suoi; a uno dei due spetta pure lo stendar-do processionale, di cui si dirà più avanti].171. [Allo stato attuale il dipinto non consente di verificare siffatta situa-zione: gli scudi araldici dell’Aragona, con i pali catalani, fiancheggianoinfatti il baldacchino della nicchia centrale con la statua di Nostra Si-gnora del Regno, e non sono retti da angeli].

[sempre nel polvarolo] San Giovanni battista e Sant’Antonioda Padova fiancheggiano – isolati [rispetto al gruppo deiprofeti] ma inconfondibili nella loro peculiare iconografia –la Nascita della Madonna. Nella predella si dispongono [dasinistra] San Martino di Tours a cavallo, Santo Stefano e SanGianuario, poi [il Cristo in pietà,] San Nicola di Bari, credoSan Pantaleo, con la sua scatoletta di farmaci come a Dolia-nova, e San Gavino di Torres cavaliere.172 I Santi Pietro ePaolo sono ritratti a figura piena sulle grandi porte, qui co-me nella pala di Perfugas.

L’immagine del Cristo sul sepolcro (fig. 28) è dipinta contale maestria, con tanta leggerezza e delicatezza di passaggichiaroscurali sulla carne morbida, che riconoscerei l’ultimotocco come opera del Muru. Qui soltanto la sua mano è pie-namente avvertibile.

La fotografia mostra la bella decorazione a intaglio tar-dogotico dell’insieme. Il dipinto mantiene gli sfondi doratiche luccicano dolcemente nell’oscurità dell’antica chiesa e ibei colori accesi che bruciano sui ceri dell’altare. Per chi en-tra l’effetto generale è indescrivibile – stupore, godimentodegli splendidi colori e del complesso disegno iconograficodell’insieme, un senso di pienezza totale che lo stato di rovi-na di molti scomparti, fortunatamente non ancora manomes-si, non riesce a dissipare o a sminuire. Che il maestro dimossen Cataholo fosse Giovanni Muru di Ploaghe173 o qual-cuno sinora sconosciuto, costui conosceva comunque gliatelier di Cagliari e ne adottò le convenzioni nei lineamentidei muscoli della gola e adattò quelle riguardanti lo sterno.Nel sedersi ad ammirarlo, il lavoro sembra sorprendente-mente affine e all’incirca contemporaneo al retablo mayor di

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172. Cavalieri gemelli. [Il San Gavino di Torres fa il paio infatti con ilSan Martino a cavallo. Nella stessa predella, quelli che la Goddard Kingidentifica come San Gianuario, San Nicola di Bari e San Pantaleo sonoin realtà San Nicola di Bari, San Cosma e San Damiano, medici questiultimi due, come del resto San Pantaleo].173. [Come sostenuto, ma senza appoggi documentari, dallo Spano(1859b)].

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27. Dormitio Virginis, tavola centrale del Retablo di Ardara, Ardara, parrocchiale di S. Maria del Regno

28. Giovanni Muru, Cristo in pietà, tavola centrale della predella del Retablodi Ardara, Ardara, parrocchiale di S. Maria del Regno

Avila (1508 circa), essendogli in effetti successivo di sette an-ni; esso italianizza nello stesso modo [gli stilemi iberici], sul-la traccia delle botteghe fiorentine.174

I broccati si mantengono in buono stato di conservazio-ne nell’Epifania, nell’Ascensione e nella Pentecoste, e glisfondi sono ancora dorati. Si afferma che la Dormitio cometema centrale sia tipico solo della Spagna e della Sardegna.È vero che in Italia viene più spesso collocato nella predellama io ricordo un affresco nella cappella del Palazzo del Co-mune di Siena. Probabilmente la realtà è che ovunque fossemolto amata Nuestra Madre – come dicono a Zamora – neveniva celebrato il transito. Lo schema compositivo di questatavola è molto simile a quella di Olzai, con San Giovannievangelista che regge il grande cero verso il quale la Verginealza la debole mano come per sostenerlo [anch’essa con en-trambe le mani]. Nell’angolo superiore sinistro, separato dauna cortina, sta l’angelo che informa San Tommaso lontanoin India.175 La figura a destra in primo piano regge un libroaperto il cui testo recita: In exitu Israel de Aegypto, e del toc-cante uso di questo salmo familiare176 non ricordo altri esem-pi [in pittura].

Si possono distinguere in primo piano due altre figure,un grasso prete con casacca rossa [sic] e mantella nera, e unaltro personaggio con una lunga asta terminante con la croce,

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174. [Il retablo dell’altar maggiore della cattedrale di Avila fu commis-sionato a Pedro Berruguete, che lavorò alla predella e ad altre tavoleentro il 1506, anno della sua morte. Nel 1508 l’ultimazione del politticofu affidata a Juan de Borgoña. Entrambi i pittori risentono di esperienzeitaliane: il primo soggiornò lungamente a Urbino attorno al 1477, ma ilriferimento della Goddard King va probabilmente al secondo, che do-vette frequentare a Firenze la bottega del Ghirlandaio. Cfr. Isabel MateoGómez, in Pittura 1995, pp. 190-195, fig. 229 (per Pedro Berruguete),pp. 198-208, fig. 245 (per Juan de Borgoña)].175. [Si tratta invece dell’annuncio a Maria della prossima dipartita, daparte dell’arcangelo Michele il quale le reca un ramo di palma dal para-diso, quale segno della morte imminente; cfr. Heinz-Mohr 1995, p. 260alla voce “palma”].176. [Vulgata, Ps. 114, 1].

in cui lo Spano credette di poter identificare o l’arciprete [JoanCataholo] o un operaio maggiore,177 oppure il Muru. Il suogenio, come quello dei suoi predecessori, fu prima di tuttodecorativo, e il suo conservatorismo nel non voler rinunciareper esempio alle figure dei profeti non fu forse spontaneo[bensì dettato dalla committenza], ma comunque non gioca asvantaggio del risultato, poiché gli scomparti risultano tutticoncepiti con sobria drammaticità. È questo un classico casoin cui l’insieme finisce per essere tanto più importante dellesingole parti, da relegare in secondo piano la volontà del sin-golo. Si potrebbe inferire tuttavia dai contratti catalani pubbli-cati dal Sanpere i Miquel178 che [all’epoca del Muru] il pittoregodesse di grande libertà nel disporre e persino nel selezio-nare il materiale iconografico a sua disposizione.

Sui pilastri [cilindrici] della chiesa di Ardara si possonoancora vedere degli affreschi con i dodici Apostoli e i quattroDottori della Chiesa, ma si tratta probabilmente di opere delXVII secolo. Tardi sembrano pure gli affreschi, assai rovinatianch’essi, della controfacciata occidentale: rappresentano nel-la parte a sud San Michele e il Giudizio Universale e in quellaa nord un Paradiso e San Gavino a cavallo.179 Un polittico digrande fascino, con colori freschi e delicati, e drammatica-mente movimentato, giace contro il fianco della navata meri-dionale vicino all’estremità ovest. Dev’essere restituito a unamano diversa da quella dell’autore della pala dell’altare mag-giore e sembra un po’ più tardo quanto a datazione. Si trattapur sempre di una produzione minore, ma aggraziata e pia-cevole. Probabilmente è quanto sopravvive dell’«ancona (pa-la) nel corridoio destro», che Enrico Costa vide e descrisse un

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177. [In italiano nel testo, ma il termine più appropriato è obriere mag-giore].178. [Sanpere i Miquel 1906].179. [Si tratta di lacerti d’affreschi assai deteriorati, staccati e in parte ri-collocati all’interno della parrocchiale di S. Maria del Regno; cfr. WallyParis, in Chiesa 1997, pp. 65-66; Devozione 1998, sch. 28-29].

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29. Madonna col Bambino, recto dello stendardo processionale, Ardara, parrocchiale di S. Maria del Regno

30. Volto di Cristo nella veronica, verso dello stendardoprocessionale, Ardara, parrocchiale di S. Maria del Regno

quarto di secolo fa.180 Dovremmo ritenerci fortunati se le ta-vole mancanti siano state vendute [e possano prima o poiessere rintracciate], ma molto probabilmente si trovavano incattivo stato di conservazione e finirono per diventare legnada ardere. Torna utile enumerare i pannelli che lo compone-vano: al centro, in basso una Madonna del Latte e sopra dilei le tre Marie al sepolcro [sic], con il Crocefisso alla som-mità. A sinistra la Deposizione dalla croce è collocata sottola Flagellazione; a destra il Seppellimento sotto l’Andata alCalvario. È importante rilevare che, mentre i due dipinticentrali sono su tela [sic], gli altri sono su tavola e ciò auto-rizza a ritenere che siano stati trasferiti qui da altrove, perrimpiazzare i pannelli perduti, come si riscontra [nel retablo]della cattedrale vecchia di Salamanca.

Al centro della predella è il Cristo in pietà, fiancheggiatoda Sant’Antonio da Padova e da Santo Stefano; i cavalieri SanGavino e San Martino chiudono la serie.181 Sotto il Crocefissocorre il polvarolo diviso in tre scomparti occupati dall’Eternoe da due angeli [nella tavola orizzontale alta], con un Santovescovo e un Santo cavaliere con arco [leggi: palma] e uccel-lo nelle due tavole che fiancheggiano quella con le tre Marie.Se questa figura di cacciatore s’identifica con San Giuliano, co-me sembra probabile, la datazione del dipinto cadrebbe fra il1529 e il 1530.182 Lungo i lati, dal basso verso l’altro, si vedo-no a sinistra Sant’Eulalia, Santa Brigida, Santa Caterina e SantaCecilia, a destra Santa Barbara, Santa Lucia e probabilmente

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180. Costa 1899, pp. 69-74. [È il Retablo minore di Ardara, ascritto allaprima metà del XVI secolo. Cfr. Wally Paris, in Pittura 1992b, fig. a p. 39;per il restauro Wally Paris, in Chiesa 1997, pp. 63-65. Degli elementi de-scritti dalla Goddard King manca il Crocefisso, probabilmente scultoreo,che coronava il polittico].181. [I due santi sono appiedati e uno non è San Gavino, bensì proba-bilmente Sant’Uberto].182. Una lunga settimana di festeggiamenti, dal 20 al 27 gennaio. [Nel-la forma sbrigativa propria delle annotazioni alla colonna di testo, laGoddard King richiama qui le già più volte commentate festività di SanSebastiano e di San Giuliano, che nel 1529 soppianta San Fabiano].

Santa Tecla e Sant’Orsola. Sopra le vergini, a gruppi di due,si dispongono Daniele e Malachia, Adamo e Isaia [leggi: Gio-na]. Vi sono chiare prove di rimaneggiamenti. Di maggioreinteresse risultano le forme dialettali di due nomi di origineiberica: Xixilla per Cecilia, Olaria per Eulalia. In questo pol-varolo predomina una forma di pittura povera, ma non privadi pregio documentario, e comunque le linee dorate del dise-gno, i montanti e le modanature della cornice tardogotica, icolori evanescenti come un tramonto invernale, fanno delpolittico qualcosa di prezioso e di bello.

Nella sacrestia si conserva uno stendardo processionalesu tavola: sul recto la Vergine (fig. 29), sul verso il Volto santo(fig. 30).183 Il parroco di Ardara è giovane e gentilissimo, esebbene sappia poco di pittura, rispetta i monumenti posti sot-to la sua tutela. La domenica delle palme, il suo sermone ave-va un tono familiare e fragrante come il timo e la ruta, e la ce-rimonia della messa mattutina e della processione in cui, comein alcune antiche pitture, ramoscelli d’ulivo fungevano da pal-me, fu devota ed edificante. Il sermone, il rito, il retablo eranotutti dello stesso tono, tutti avevano lo stesso gusto dolce.

Si è affermato e si è ripetuto spesso, con molta convinzio-ne ma senza fornire dettagli chiarificatori, che un retablo simi-le esiste a S. Pietro di Sorres presso Bessude184 – sappiamo

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183. Una Veronica. [Col nome alternativo di “veronica” si designa lostendardo processionale, arredo liturgico consistente in una tavola di-pinta su entrambe le facce, che veniva fissata in cima a un’asta e porta-ta quindi in processione. Il nome deriva da Santa Veronica, che detersecon un panno il volto di Cristo nell’andata al Calvario, e designa pure ivari teli con l’effigie del Redentore sofferente, venerati come reliquiadella Passione. Per la diffusione dell’iconografia e del manufatto nellapittura tardogotica in Sardegna cfr. Serra 1990, pp. 154-158, e sch. 67per lo stendardo processionale di Ardara].184. La pala d’altare attualmente collocata a Bessude raffigura San Mar-tino cavaliere, ma fu dipinta nel 1632 e restaurata nel 1784 per volontàdel decano di Torres, il reverendo don Salvator Roig. [La chiesa roma-nica di S. Pietro di Sorres si trova nel territorio comunale di Borutta, mapoco distante da Bessude; quella di S. Antioco di Bisarcio, citata piùavanti, in agro di Ozieri].

che un terzo, perduto in un incendio, si trovava nel S. Antiocodi Bisarcio – e che i tre si assomigliavano molto, per l’identicoschema e per le affinità che li dicevano eseguiti dalla stessamano. Il borgo di Ardara appartenne alla diocesi di Bisarciofino alla sua soppressione, risalente al 1503, che non deter-minò peraltro la cessazione delle entrate. Dell’arciprete JoanCataholo vien fatta menzione in un antico codice del S. Pietrodi Sorres all’anno 1505. Due elementi che contribuiscono allaplausibilità della tesi [di una comune committenza] dei tre reta-bli.185 Sul muro absidale del S. Pietro sono appese tre tavole esi dice che il tabernacolo sia composto con elementi dellapredella del retablo, il Cristo morto fra una Vergine martire eSan Pantaleo. Si tramanda inoltre che altre tavole fossero ap-pese ai muri delle navate laterali; la statua della Vergine si tro-va ancora in un angolo entro la sua nicchia lignea intagliata.186

Il tutto fu ridipinto da un tale Porcu nel 1825.

All’ancora splendido e intatto polittico di Ardara, e aquelli di Bisarcio e di Sorres rispettivamente perduto e smem-brato, si può accostare soltanto la pala di Perfugas (fig. 31).Atti di inopportuna devozione hanno prodotto qui dannimaggiori che a Bisarcio, considerato che questo retablo, piùche una bella memoria, altro non è che una mostruosa e of-fensiva bizzarria, completamente ridipinta da un ignorantedell’arte agli inizi del XIX secolo.187 La magnifica intelaiaturaè così guasta, i santi così contraffatti e indecifrabili, le scene

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185. [Circa l’ipotesi della committenza dei tre retabli – di Ardara, di Bi-sarcio e di Sorres – da parte di Joan Cataholo, canonico di Sorres e ulti-mo arciprete di Bisarcio, il cui nome si legge nell’iscrizione di Ardara,cfr. i dati documentari discussi in Serra 1990, pp. 145-146].186. [Mentre si conserva nel S. Pietro di Sorres la statua lignea della Ver-gine, si sono perse le tracce delle tre tavole di cui la Goddard King famenzione, a meno che due di esse non siano la Sant’Agata e il San Vit-tore, passate per il mercato antiquario e ora in collezione privata, peròvicine ai modi di Joan Barceló e pertanto attribuite alla fine del XV-iniziXVI secolo, per le quali cfr. Serra 1990, sch. 46].187. Forse lo stesso Porcu [che ridipinse le tavole del S. Pietro di Sorres]?

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31. Retablo di Perfugas, Perfugas, parrocchiale di S. Maria degli Angeli

così trasformate, che la lettura ne è disturbata a tal punto darendere impossibile l’esegesi critica. È pressoché certo chegli scomparti non siano sistemati secondo l’ordine primitivo esi nutre il dubbio che alcune delle tavole originarie manchi-no del tutto. Mi sentirei meglio se riuscissi a convincermi chela predisposizione iniziale dello schema iconografico – anchea prescindere dal montaggio delle tavole – non rispettasse inrealtà alcuna logica, come dovrebbe dedursi dall’attuale [in-congrua] ubicazione della scena con l’Ascensione.

Si tratta del retablo mayor del S. Giorgio di Perfugas, unanotevole chiesa a navata unica, con i modi tipici dell’ediliziaspagnola tardogotica.188 Non è mai stato rimosso e vi si con-tano cinquantuno scomparti [superstiti]. Si spera che, essendole campiture originarie a tempera su fondo oro e le ridipintu-re a olio, un restauratore competente e attento – come coluiche nel rimuovere la barba [posticcia] di un San Pietro ci re-stituì [nella pala di Sanluri] un Sant’Eligio giovanile e pensoso– possa asportare l’abominevole strato di ridipinture senzaprovocare irrimediabili danni al polittico.189

Diciamo subito chiaramente che lo schema compositivodel magnifico retablo non è lo stesso di quello di Ardara; en-trambi sono gotici ma questo è flamboyant mentre quello è“perpendicolare”, e inoltre i montanti che dividono gli scom-parti sono modellati in maniera abbastanza differente. Evi-dentemente in Sardegna coesistevano all’epoca due stili.190

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188. Architettura “aragonese”. [Per la produzione artistica gotica e tar-dogotica di tipologia catalana è in seguito invalsa nella storiografia ladenominazione di “Gotico catalano”. Cfr., per l’architettura e in generalel’arte in Catalogna fra il XIV e il XV secolo, la sintesi di Dalmases, José iPitarch 1984; per quella in Sardegna, dove il Gotico catalano si addentranel XVI secolo, cfr. Segni Pulvirenti, Sari 1994 e relativa bibliografia].189. [Dopo il recente restauro, il Retablo di Perfugas, già nella chiesa diS. Giorgio, è stato collocato in una cappella della parrocchiale di S. Ma-ria degli Angeli; cfr. Wally Paris, in Retablo 1995, pp. 11-22].190. [La Goddard King si serve di termini come stile flamboyant e “per-pendicolare”, ormai superati nell’ambito della storiografia sull’architet-tura gotica; cfr. la discussione su analoghe definizioni «membrologiche»in Grodecki 1978, p. 5 ss.].

Il titolare del retablo, San Giorgio, nel suo aspetto attua-le monta un ridicolo cavalluccio di legno. Sopra [negli scom-parti centrali] si dispongono la Madonna col Bambino, SanGiuseppe e una santa, e la Crocefissione. Sin da tempi moltoprossimi alla sua prima sistemazione, le tavole del politticodevono esser state smontate e invertite senza posa. Nel pre-sente stato, la lettura comunque è la seguente: dalla parte delVangelo [dal basso, negli scomparti laterali più a sinistra] l’An-nunciazione, la Natività, la Pentecoste; [in quelli a sinistra,mediani,] San Giorgio a cavallo che uccide il drago, l’Epifaniae l’Ascensione. Ai fianchi della nicchia centrale ci sono seisanti, tre per lato. Dalla parte dell’Epistola [negli scomparti la-terali a destra, mediani] San Gavino di Torres a cavallo, laCirconcisione, l’Assunzione; [in quelli più a destra] la Visita-zione, la Resurrezione, l’Incoronazione. Nella predella [da si-nistra] Sant’Ambrogio, San Gregorio, Maria col Cristo morto,San Gerolamo, Sant’Agostino. Nelle porte, a sinistra il SanPietro è scomparso, mentre a destra si trova San Paolo. Fraqueste tavole e l’attuale altare, due pannelli collocati a occlu-dere i varchi sono evidentemente opere originali del restaura-tore [sic], con San Francesco e Sant’Antonio da Padova. A luideve imputarsi la trasformazione dei fondi d’oro della predel-la in cortine drappeggiate.

Nel polvarolo risulta molto difficile l’identificazione didue figure, ridipinte senza tener conto di attributi o tratti sa-lienti dell’iconografia. A sinistra, dal basso compaiono SanGiovanni battista, Sant’Andrea, un altro apostolo [San Tom-maso], un Santo cavaliere [in realtà San Bartolomeo]. A de-stra, dall’alto si trovano San Michele, un giovane cavaliere[in realtà San Rocco], San Giovanni evangelista, il commit-tente con abito bianco e gorgiera, interpretata nel secolopassato come un colletto alzato, ma di tipo assolutamenteiberico anche quanto al viso e alla barba. Lungo i terminalidella struttura vi sono dieci figure monastiche [sic] a mezzo-busto, di cui cinque a sinistra maschili e gli altri a destrafemminili. Altre due [Santa Barbara e Sant’Agnese] sono di-sposte ai lati della Crocefissione e tre lungo la sommità di

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questa, ma è impossibile determinare chi rappresentino. For-se i nomi di questi personaggi dovrebbero cercarsi negli an-nali dell’Ordine [dei Cavalieri] di Montesa o in quelli dell’Or-dine [militare] di San Giorgio de Alfama, che si fuse con ilprimo nel 1400. La chiesa [di Perfugas], a navata unica e dal-l’architettura così caratteristica, diversa da qualunque altra [inSardegna], apparteneva probabilmente all’Ordine.191

I mantelli dorati di San Giorgio e San Gavino svolazzanoall’indietro, nel modo in cui il dettaglio del cavaliere è statosempre raffigurato, dal rilievo di Horus e dall’avorio di Giu-stiniano ai cosiddetti Costantini del Romanico francese, e an-cora nel Gran Sigillo della Giarrettiera e nella figura di SanGiacomo matamoros, dipinta per i Cavalieri [dell’Ordine] diSantiago.192 [A Perfugas] i due santi si stagliano contro unfondo d’oro, curioso tratto di arcaismo evidentemente con-servato nelle immagini di culto.

La Vergine dell’Annunciazione indossa un velo doratoche le copre il capo e l’intera figura. Nell’Incoronazione ilCristo posa la corona sulla madre come nei dipinti di BeatoAngelico. L’Assunta è presentata come una Purissima di tipo-logia iberica, con le ginocchia lievemente piegate e le manigiunte in preghiera.

La postura del Cristo dell’Ascensione, con le braccia ri-volte verso l’alto, e della Resurrezione in un movimento co-me di danza, deriva probabilmente da Raffaello. Non moltolontano, a Sedini, un pittore copiò [infatti] per la chiesa diS. Andrea la Trasfigurazione di Raffaello, disponendo la figu-ra di Sant’Andrea davanti a sinistra. La chiesa è pressappoco

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191. [L’ipotesi non è confermabile poiché non si dispone di documen-tazione d’archivio circa la fabbrica del S. Giorgio di Perfugas, ascritta alprimo quarto del XVI secolo da Marisa Porcu Gaias, in Segni Pulvirenti,Sari 1994, sch. 23].192. Con le monete del Bosforo del II secolo. [I confronti sono indicati inmaniera troppo abbreviata per poter essere esemplificati, ma è utileesplicitare non tanto quello (generico) all’avorio Barberini del Louvre,quanto quello all’iconografia del Santiago matamoros, impegnato nelladifesa della cristianità iberica, per il quale cfr. Steppe 1985].

contemporanea del S. Giorgio di Perfugas, e possiede un belportale “aragonese” [leggi: gotico-catalano]. Tuttavia, questaTrasfigurazione [di Sedini] è probabilmente il dipinto ordi-nato dal vescovo Giovanni Sanna, un mecenate dell’arte chevisse più tardi in quel secolo, e di cui parla lo Spano.193 Congli angeli che volano su ciascun lato e sulla tempestosa follasottostante, la scena [della Resurrezione] di Perfugas emanòsenza dubbio un incantevole senso di modernità, quando fuvista per la prima volta nella sua sistemazione, mentre laPentecoste è composta secondo schemi tradizionali.

È rara in Sardegna l’iconografia specifica di questa Pietà– che una volta doveva esser molto bella – col Cristo mortodal corpo morbido e debole, con la testa che gli cade dallespalle contro il braccio della Madonna, l’altra mano dellaquale si proietta decisamente all’infuori come in un gestomichelangiolesco.

La gestualità del Battista è diversa anche da quelle dianaloghe figure a Cagliari perché un braccio è abbassato el’altro sollevato, senza che i due si incrocino.

In effetti questo retablo, commissionato da un Cavalieredi Montesa per una chiesa solitaria, forse dedicata [a SanGiorgio] dal suo Ordine verso la fine del primo terzo del XVIsecolo, è abbastanza diverso da quelli che il Cavaro andavaeseguendo allora a Cagliari con i suoi collaboratori, e differi-sce allo stesso tempo dall’opera del Muru e dei suoi aiuti adArdara. Lo schema di base era arcaico, ma furono scelti nuo-vi temi e nuovi santi, e i fondi d’oro persistettero solo in al-cune tavole, mentre si nota l’influenza di Roma. Le tipologiedelle figure – se mai i dipinti saranno puliti – si dimostreran-no sicuramente sarde e il colore più deciso e corposo diquello applicato in Italia.

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193. Spano 1861b, p. 46. [La parrocchiale di S. Andrea a Sedini fu edifi-cata attorno al 1527; cfr. Marisa Porcu Gaias, in Segni Pulvirenti, Sari1994, sch. 24. La copia pressoché letterale della celebre Trasfigurazio-ne di Raffaello (1516, Pinacoteca Vaticana) è dell’ogliastrino AndreaLusso, che la firmò nel 1597].

Non sarà superfluo ribadire che un grande polittico comequesto, occupante l’intero fronte orientale, incluso l’altare ele porte che conducono all’ambiente retrostante, è caratteri-stico della Catalogna. I retabli scultorei di Damià Forment inAragona,194 che includono porte dipinte o una statua innic-chiata nel punto in cui prima erano state le porte, sono soloun adattamento di simili strutture. In origine, quando il gran-de polittico andava a inserirsi in un’abside romanica, restavatanto spazio dietro da ospitare a volte anche un vero e pro-prio santuario, come nella cattedrale di Tarragona.195 La stan-za vuota poteva servire ottimamente come deposito di can-dele avanzate, olio per le lampade sacre e altre necessitàimmediate,196 cosicché in alcune chiese il traffico di fedeli at-traverso i due ingressi doveva dar luogo a una situazione co-me quella della protesi e del diaconico nelle antiche chiesesiriane. Nelle cappelle laterali della cattedrale di Barcellona,infine, l’ambiente retrostante il retablo viene utilizzato oggicome spogliatoio per il Capitolo e si può ancora vedere uncanonico entrarvi dopo aver detto messa, vestito di un cami-ce pieghettato e di una mantella viola, e uscirne dopo essersicambiato, in logora sottana e castoro roso dalle tarme. Da si-mile destinazione derivano senz’altro comodità e decenzamaggiori rispetto a quelle [che si praticano nella cattedrale] diPisa, dove i canonici si tolgono il camice nella navata e logettano in armadietti occultati nelle panche lungo i muri.

Buoni esempi di questo magnifico tipo strutturale e delrapporto della predella, dell’altare e delle porte con la pala d’al-tare, sono rappresentati dal Retablo di San Martino a Sarroca o

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194. [Lo scultore Damià Forment, nativo di Valenza e documentato fral’ultimo quarto del XV secolo e il 1540, realizzò numerosi retabli spe-cialmente in Aragona; cfr. Garriga 1986, passim].195. [Per la cattedrale gotica di Tarragona, che conserva l’abside roma-nica, cfr. Emma Liaño, Joan Sureda, in Cataluña 1987, pp. 95-142].196. Simile utilizzo si mantiene a Lione [sic, ma è forzato il parallelocon le due camere affiancate all’abside nelle chiese bizantine della Si-ria, che si legge alle righe seguenti].

da quello della cosiddetta cappella dell’architetto nel chio-stro della cattedrale di Barcellona.197

Il Retablo di Villamar, datato 1517 [leggi: 1518], è poste-riore a quello di Perfugas.198

Giova qui ricordare che un Joan Barcaló, pittore, viveva aSassari nel 1510 prima di tornare [a Cagliari e] al gruppo dipittori di Stampace. Tanto tempo fa, quando Ruskin scriveva ilsuo Modern Painters e Morelli lavorava nel settore bancario,negli ambienti della cultura europea era riconosciuta l’impor-tanza di due soli pittori sardi, Picalull e Barcaló. Con fortunaalterna si facevano i loro nomi, ma poi l’Aru, che pubblicò ilcontratto stipulato dal Picalull per decorare un sepolcro, haanche avuto la fortuna di ritrovare il documento letto dalloSpano, in cui è menzionato Joha[nn]es Barcalo pictor, residen-te a Sassari. Rimarrebbe solo da rintracciare un suo dipinto.199

Si sono già identificati due gruppi di pittori attivi a Caglia-ri e altrove nell’ultima parte del XV secolo.200 Di quello dellascuola di Rafael Tomàs e Joan Figuera, fra cui dovremmo an-noverare il fuggiasco loro apprendista Antonio Ortu, e forseAntonio de Badia – benché di lui non si conoscano il lavoroné l’occupazione –, si perdono le tracce per i successivi qua-rant’anni circa. Tuttavia, a riprova che non avesse cessato lasua attività, basti osservare la continuità di stile e intenti artisti-ci tradita dai dipinti della predella delle pale di Tuili e di San-luri. La loro discendenza è ovvia, infatti, se appena le si pon-ga a paragone con la predella del Retablo di San Bernardino.

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197. Mas – C. 336, B. 1538. [I riferimenti sono con tutta probabilità ai nu-meri d’inventario della raccolta fotografica dell’Arxiu Mas di Barcellona].198. [Probabilmente la Goddard King intende dire che il polittico di Vil-lamar risulta più aggiornato rispetto a quello di Perfugas, che per quan-to arcaico è però senz’altro di datazione più recente].199. [Come detto in precedenza, si tratta invece dello stesso Joan Bar-celó che firmò il Retablo della Visitazione].200. Il primo gruppo fa capo alla scuola del Figuera, il secondo a quelladel Barceló.

In un altro gruppo, che si può far risalire direttamente allabottega di Joan Barceló e che include colui che dipinse il Re-tablo del Presepio, devono includersi fra gli altri i maestri [del-le tavole soprastanti la predella nei retabli] di Tuili e Sanluri e[della Madonna di] Castelsardo, come pure il pittore della Ver-gine di Birmingham, forse proveniente da Oristano [leggi: Ca-gliari]. In questi dipinti confluiscono e si fondono due correntidi diversa tradizione, come a Venezia nel caso del più giova-ne Vivarini [Alvise]. Il terzo gruppo [che andiamo a identifica-re]201 prende il nome dal luogo, Stampace, dove si incontrava-no e lavoravano questi pittori che, in quanto italianizzanti,indubbiamente tesero a ricavare il massimo dalla loro situa-zione di egemonia, come a Roma gli allievi di Raffaello. La fa-miglia più importante fu quella dei Cavaro.202

Antonio Cavaro è menzionato in un atto di vendita [diuna casa stampacina] che lo interessò a Cagliari nel 1455.Lorenzo Cavaro è citato in un documento da cui si apprendeche stabilì come pittore la sua residenza a Stampace il 28gennaio 1500, e ancora in quello relativo all’ultimazione delretablo di San Paolo di Gonnostramatza il 20 dicembre 1509.Pietro Cavaro firmò il Retablo di Villamar nel 1517 ed era giàmorto nel 1539; credo che l’Aru abbia scoperto un documen-to della sua morte prossimo all’inizio di quella decade.203

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201. Terzo gruppo: pittori di Stampace.202. [Sui pittori della “scuola di Stampace”, cosiddetta dal quartiere caglia-ritano dov’è attestata dalla metà del XV e nel XVI secolo la presenza di lo-ro abitazioni e botteghe, cfr. Serra 1990, pp. 171-233 e bibliografia, ancheper i rimandi ai documenti d’archivio; per nuove acquisizioni in seguito airestauri cfr. Pittura 1992a, dove si pubblicano le riflettografie E.di.Tech.,che aprono inedite prospettive di studio del “disegno sottostante”].203. [Pietro Cavaro figura nel 1508 fra i membri del gremio dei pittoridi Barcellona, dove presumibilmente s’era recato ancor giovane perpraticare l’apprendistato. Nel 1515 è documentato a Cagliari, dove spo-sa in seconde nozze Antonia Orrù. Dalla prima moglie Joana Godiel,una catalana, aveva avuto Michele, che sarà anch’egli pittore a Stampa-ce. Nel 1518 (e non nel 1517, come ripetutamente scrive la GoddardKing) firma il Retablo di Villamar, unica opera di sua sicura attestazio-ne che sia giunta fino a noi. Muore entro il mese di maggio del 1538].

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32. Pietro Cavaro, Retablo di Villamar, Villamar, parrocchiale di S. Giovanni battista

Pietro pintor, che morì nel 1541, sembra essere un altro mem-bro della famiglia, mentre Michele Cavaro di Stampace era vi-vente nel 1544.204 Michele Tocco di Stampace, residente a Ca-gliari, fu condannato nel 1561 all’esilio perpetuo per pittureoscene, dietro la condanna a tre anni di lavori forzati su unagalea nel caso facesse ritorno nell’isola. In margine al docu-mento è scritto: «Depi(n)xit obscenas figuras contra puellamsed mirabili arte»,205 da cui possiamo inferire un torto subito euna vendetta, un po’ come nel Vampire di Kipling e di PhilipBurne-Jones [sic], e la fuga del pittore verso un’altra capitale.

Fra i vari documenti possiamo citare quello in cui Loren-zo Cavaro attesta il termine del suo lavoro a Gonnostramat-za, pubblicato dal parroco, don Pietro Cossu, nel 1908: enl’any MDI es estada feta lo dit retaul per / ma(n)s de mestreLore(n)s Cavaro de Stanpas feta a XV de / Dese(m)ber anyde sus dit: è [scorretta come] la parlata locale, ma dichiara lapaternità dell’opera.206

Purtroppo non ho mai visto il retablo ma mi sembra dicapire che è meglio dipinto [sic] e più piccolo rispetto a quel-lo di Villamar, composto come tutti gli altri [usciti dalle botte-ghe] di Cagliari con scomparti centrali e laterali su due file,con Sant’Antonio [leggi: San Pietro] e San Paolo nelle tavole

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204. Nel Boca [sic] Antonio Cavaro Pictor 1556. [Il Pietro deceduto nel1541 e l’Antonio attestato nel 1556 sono effettivamente altri membridella famiglia dei Cavaro. Michele nasce prima del 1515; la sua attivitàè documentata dal 1538 al 1584, anno della sua morte. Gli unici super-stiti fra quelli a lui allogati sono il Retablo di Sant’Antonio abate nellaparrocchiale di S. Maria a Maracalagonis (1567) e il Retablo di NostraSignora della Neve già nel S. Francesco di Stampace, di cui si conserva-no tre tavole nella Pinacoteca Nazionale di Cagliari (1568). Entrambisono ritenuti di bottega; cfr. Serra 1990, sch. 103-104].205. Spano 1861b, p. 44, nota 1.206. Il Corriere dell’Isola, n. 209. [La Goddard King è imprecisa nella cita-zione bibliografica così come nella trascrizione dell’epigrafe (qui comenell’originale), dipinta nello scomparto laterale sinistro in basso del Reta-blo di Gonnostramatza, nella parrocchiale di S. Michele arcangelo, firma-to da Lorenzo Cavaro il 15 dicembre 1501, per il quale cfr. Serra 1990,sch. 82].

laterali basse, un’Annunciazione divisa nelle due tavole alte[arcangelo Gabriele, a sinistra, e Annunciata, a destra] e unaCrocefissione alla sommità. Al centro la Madonna è in tronocon angeli musicanti; la predella ha nove scomparti.

Relativamente a determinate opere, l’attribuzione [intoto] a Pietro Cavaro è complicata dal pessimo latino usatodal pittore e dalla sua falsa umiltà. Tuttavia l’Aru non hadubbi nel ritenerlo autore del grande retablo trasferito daVillamar al Museo [di Cagliari].207 L’iscrizione, che leggo sullafotografia con una buona lente d’ingrandimento, è la se-guente: anno salutis MDXVII [leggi: MDXVIII ] die XXV men-sis Maius / pingit hoc retabolu(m) Petri Cavaro pictoru(m)minimus Stanpacis.208

Pietro doveva essere analfabeta [sic], ambizioso e, difronte alla bellezza, cieco e paralizzato al tempo stesso. Inquesto grande polittico (fig. 32) è considerevole la presenzadi motivi – sia formali sia iconografici – del tutto nuovi perla Sardegna. La tavolozza si compone di colori inusuali, loschema compositivo è complesso e articolato, con un piace-vole senso di profondità spaziale che indica una scelta dirinnovamento. Gli asciutti angeli adolescenti dal viso dolce,con la veste [stretta alla cintola e] raccolta intorno ai fianchi,vorrebbero evocare l’Italia nelle intenzioni dell’artista, ma lefigure sono brutte, al pari dei colori e ancor più dell’effetto fi-nale. I due ladroni, che si contorcono con le braccia ripiegate

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207. [È il grande Retablo di Villamar, oggi nuovamente nella parroc-chiale di S. Giovanni battista, opera capitale della pittura sarda cinque-centesca e del cagliaritano Pietro Cavaro, che lo firmò nel 1518; cfr.Serra 1990, sch. 85]. 208. [L’epigrafe è dipinta nelle due estremità basse del polvarolo, prov-viste di scudi con le armi degli Aymerich, signori di Villamar e commit-tenti del retablo. La Goddard King sbaglia nel riportare l’anno dell’iscri-zione – peraltro controversa quanto al senso da conferire agli attributidel pittore – e taccia Pietro Cavaro di «falsa umiltà» poiché interpretapictor minimus Stanpacis come “il meno abile”, laddove probabilmentesta per “il più giovane” dei pittori di Stampace].

e legate alla croce, sono ripugnanti come se fossero [stati di-pinti] in Svevia o in Lorena.209 Paggi agghindati rimpiazzanogli onesti, addolorati angeli in tunica e dalmatica. Al postodelle superbe piastrelle valenzane della pala di Sanluri, eglicolloca una banale scacchiera di marmo bianco e nero [nellapredella], a eccezione che nello scomparto [laterale sinistroin basso] con San Giovanni battista, che del resto sembrapiù arcaico degli altri rispetto a tutti i punti di vista.

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209. [La Goddard King pensa probabilmente al crudo realismo delleCrocefissioni di Grünewald e della pittura nordica in genere].

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33-34. Pietro Cavaro, Annunciazione, Natività, Cristo risorto, tavole laterali e tavola centrale della predella del Retablo di Villamar,Villamar, parrocchiale di S. Giovanni battista

Nel tabernacolo, al posto della solenne Pietà egli sistemaCristo risorto benedicente fra i soldati, alcuni stupiti [sic],uno adorante. Raffigura il vessillo della Resurrezione comeuna croce bianca in campo rosso, così invertendone i colori,per motivi che mi restano ignoti. Il parapetto alle spalle diSan Giovanni è decorato con rilievi che rappresentano la de-collazione del Battista e il banchetto di Erode.210 Dietro aquesto appare una striscia di paesaggio con un fondo d’orostampigliato che rimpiazza il cielo, secondo la tecnica utiliz-zata dai Vergós nel Retablo del Conestabile.211 Nella simmetri-ca scena del Battesimo di Cristo [scomparto laterale destro inbasso], un fiume di intenso verde-bluastro,212 un orizzonte dicolline e [un cielo d’oro con] l’Eterno con cartigli e colombaoccupano lo spazio figurativo; la figura del Battista è legger-mente diversa dall’altra, in quanto meno massiccia. Sopra,[nello scomparto] a sinistra San Michele uccide il diavolotraendone un certo piacere. Questa tavola funzionerebbemeglio come pendant del Precursore – sia per forme sia percolore – se la si potesse collocare al posto di quella con ilBattesimo. Quest’ultima – con la sua profusione di elementidecorativi distribuiti nel cielo – potrebbe rialzare la composi-zione e bilanciare la scena delle Stigmate di San Francesco[nello scomparto in alto a destra], con il Crocefisso alato co-me un serafino e una chiesetta fra i boschi che irrompononel cielo d’oro, e il santo più o meno inginocchiato con unfrate dormiente [a sinistra] nella parte inferiore. Oggi lo

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210. Come nei Vergós. [Il laconico rimando va probabilmente agli stessiepisodi della vita del Battista in due delle tavole laterali del citato polit-tico di S. Giovanni del Mercato, già a Lleida e oggi a Barcellona nelMuseu d’Art de Catalunya, con l’ascrizione a Pere García de Benabarre,1473 circa; cfr. Ernest Alcoba Gómez, in Cathalonia 1997, sch. 31].211. [Si tratta del citato polittico della cappella palatina di Barcellona,dipinto in realtà da Jaume Huguet nel 1464-65].212. [Il colore “antinaturalistico” si deve probabilmente al fatto che, neldipingere le acque del Giordano, Pietro Cavaro utilizzò non il costosoblu di lapislazzuli, bensì l’azzurrite, che ossidandosi diventa malachite evira al verde].

schema è composto dall’arcangelo e dal Cristo [in alto] e dalBattista [nelle tavole] sotto; non è però possibile invertire gliscomparti [come si è detto], perché non combaciano in al-tezza, ma certo esistono prove che quelli a sinistra sono statieseguiti prima degli altri. L’iconografia e l’organizzazioned’insieme sono più arcaici, le forme più solide, i dettaglimarcatamente simbolici, e per esempio le due piccole animenei piatti della bilancia di San Michele sono assolutamentedi stampo medioevale, nell’atteggiamento di gioia timorosadella figuretta vestita di bianco e in quello di preghiera inpunto di morte dell’altra, completamente nuda. Di contro, sisottolinea qui, per la prima volta nella storia degli studi, chela volontà operativa del pittore andava in un certo qual mo-do in direzione del “bello”. Ancora una volta, ad emergere è[la personalità di] un “Primitivo”, ma consapevole e nient’af-fatto facile, al pari d’un Primitivo francese.

Nel polvarolo sono raffigurati [da sinistra in basso] San Ni-cola, Sant’Onofrio, Sant’Anna con Maria bambina e Sant’Orso-la con le sue vergini, quest’ultima nella tavola orizzontale inalto. Le tavole che incorniciavano la Crocefissione sono staterimosse. Da destra, nel pannello simmetrico alla tavola conSant’Orsola, i Santi medici [Cosma e Damiano], poi verso ilbasso Santa Caterina [d’Alessandria] con corona di rose e laruota [attributo del suo martirio], San Cristoforo e Sant’Anto-nio abate. Forse delle tavole alte del polvarolo ancora si con-serva nel Museo [di Cagliari] quella orizzontale con la figuradell’Eterno a mo’ d’imperatore fra due vescovi che reggonociascuno il modellino d’una chiesa, probabilmente San Luci-fero e Sant’Efisio.213

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213. I loro pastorali non hanno ricciolo. [Effettivamente la tavola conl’Eterno fra i Santi vescovi Giorgio di Suelli e Lucifero di Cagliari era darestituire al terminale del polvarolo del Retablo di Villamar, assieme adaltre due – l’arcangelo Raffaele con Tobiolo e l’angelo custode – già nel“Museo di Cagliari”, che la Goddard King cita più avanti senza però ri-conoscerle come appartenenti allo stesso polittico. Il pastorale di SanGiorgio è tagliato in alto dalla cornice gotica, ma quello di San Luciferoconserva il ricciolo].

Nella predella si dispongono [da sinistra] l’Annunciazio-ne e la Natività (fig. 33) con Maria e Giuseppe adoranti ilBambin Gesù; l’Epifania, il Cristo risorto (fig. 34) e l’Ascen-sione sui tre lati del tabernacolo; la Pentecoste e la DormitioVirginis. Quest’ultima è costruita in modo da dissimulare illetto, di una forma rettangolare [prospetticamente] sbagliata,con le sante donne intorno ad esso, e si focalizza sulla pic-cola figura pallida [dell’animula ] della Vergine, innalzata dauna coppia d’angeli, mentre [in primo piano] uno degli apo-stoli legge dallo stesso libro riccamente miniato, che già s’eraosservato nel polvarolo [della pala] di Sanluri. Nell’Ascensioneun Cristo a figura intera, abbastanza dignitoso, sale al cielo,con un braccio alzato e le orme dei piedi rimaste sulla cimadel monte roccioso. Nella Pentecoste l’adattamento modificaleggermente lo schema catalano già utilizzato nel retablo[della Visitazione] di Joan Barceló. La predella rappresentanel contesto pittorico un terzo stadio di maturazione, dopouna fase permeata di arcaismi e una d’interesse per il pae-saggio, e gli esiti sono decisamente più felici. Non sorprendedunque che Pietro Cavaro abbia firmato con tanta meticolosacura quest’opera, che documenta ogni passaggio della suaesperienza giovanile e ne testimonia le tappe intermedie, co-me quelle fra Alastor e Adonais [sic].

Non ho analizzato finora la Crocefissione perché in essafa la sua prima apparizione una nuova posa del Redentore,con le ginocchia sollevate quasi ad angolo retto e viste se-condo una prospettiva fortemente angolata da sinistra. Inun’altra Crocefissione che deriva evidentemente da questa macon l’apporto di alcune migliorie, appesa nella sala attigua[del Museo di Cagliari],214 Cristo indossa un perizoma piegatoe rigirato sui fianchi, grande come una sottana. Detto tipoiconografico è caratteristico del Crocefisso nella pittura sarda

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214. [Dovrebbe trattarsi dello scomparto mediano alto dello smembratoRetablo del S. Francesco di Oristano, di cui si conservano altre due ta-vole nella Pinacoteca Nazionale di Cagliari, con l’attribuzione ad Antio-co Mainas, documentato fra il 1537 e 1571 fra i pittori di Stampace; cfr.Serra 1990, sch. 116].

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35. Maestro di Ozieri, Crocefisso, Sassari, Museo Nazionale “G. A. Sanna”

per il restante tratto del XVI secolo, e lo si osserva in un Cro-cefisso (fig. 35) conservato nel Palazzo del Comune di Sassa-ri.215 La Crocefissione alla sommità delle pale della DormitioVirginis e di Lunamatrona ripresenta tale peculiarità, come iltrittico della Visitazione di Sorradile e un dipinto della catte-drale di Cagliari.216 Gli altri dipinti cagliaritani [della “scuoladi Stampace”] vanno datati ad anni successivi all’esecuzione diquesto polittico del 1517 [il Retablo di Villamar, del 1518]alla luce di questa particolare iconografia che sembra siastata elaborata in una fase intermedia dell’attività dell’artista.Si può ipotizzare che a Stampace fosse venerato un Crocefis-so, adottato poi come modello da questi pittori, dapprima daPietro Cavaro senza molta convinzione, quindi dagli altri ini-zialmente con diletto e in seguito quasi automaticamente.217

Allo stato presente degli studi non è possibile stabilire sequesta specificità costituisca un dato distintivo dei pittori diStampace, ma in ogni caso ce ne potremo servire utilmentein qualità di post quem [per i dipinti che la presentano], fra il1520 e il 1590 circa.

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215. [È la tavola col Crocefisso attualmente nel Museo Nazionale “G. A.Sanna” di Sassari, attribuita al cosiddetto Maestro di Ozieri e dipinta pri-ma del 1591 secondo Serra 1990, sch. 121. Proprio l’adozione di taleiconografia “cagliaritana” del Cristo in croce pone l’eventualità d’unaformazione del Maestro di Ozieri nell’ambito dei pittori di Stampace, mala stessa collocazione cronologica della sua attività rimane problematicae fortemente discussa; cfr. Serra 1990, pp. 235-250, sch. 120-125 (tavoledi Ozieri, Sassari, Ploaghe, Wiesbaden, Cannero, Benetutti) e relativa bi-bliografia, da aggiornare sulla base della recente acquisizione di quattrotavole dello smembrato Retablo di Bortigali, nella parrocchiale della Ver-gine degli Angeli, per le quali cfr. gli interventi di Marco Magnani e Wal-ly Paris, in Pittura 1992b, rispettivamente pp. 11-23 e pp. 42-45].216. [La Goddard King si diffonderà in seguito sulla pala della DormitioVirginis, oggi a Gergei, e su quella di Lunamatrona, come pure sul tritti-co di Sorradile e sul Retablo dei Beneficiati nella cattedrale di Cagliari].217. [Nell’eventualità di un dipinto, potrebbe essere il Crocefisso in Corted’Appello a Cagliari, del 1527 circa; cfr. Serra 1990, sch. 96. In ogni caso,la scultura lignea presa a modello dai pittori di Stampace è da riconosce-re nel Crocefisso di Nicodemo, custodito nella chiesa di S. Francesco adOristano, di datazione oscillante fra i primi decenni del XIV e la secondametà del XV secolo; cfr. Serra 1990, sch. 30 e relativa bibliografia].

Mi ha sorpresa e mi è stato utile notare come i critici ita-liani che hanno analizzato il Retablo di Villamar ne abbianosottolineato la sua qualità sardo-catalana, in quanto è l’altroaspetto quello che trovo registrato nel mio taccuino di appun-ti: «Lo stile è più morbido, italianizzante: ombre addolcisconoi volti benché persista in profondità una forma abbastanza de-cisa; non vi è vivacità nel colore; tutte le figure si atteggiano apose assolutamente prive di tensione drammatica».

È necessario tornare a questo punto al [citato] politticonapoletano della chiesa dei SS. Severino e Sossio, dove unvescovo siede in trono al centro, abbigliato con cura in cami-ce, mozzetta e stola, con uno splendido manto di broccato.Agli angoli del trono vi sono quattro sfere. Gli scomparti la-terali ospitano coppie di santi sia in alto sia in basso: qui idue San Giovanni [a sinistra] si affiancano a San Benedetto ea San Vincenzo, quest’ultimo con splendida dalmatica di broc-cato ricamato, mentre nei pannelli alti i mezzibusti di SanPaolo eremita e San Paolo apostolo – quest’ultimo un po’ ri-dipinto come un signore del tardo Cinquecento – sono bilan-ciati da San Pietro le cui chiavi sono state cancellate, e da unbel papa anziano. Il pannello centrale alto mostra entro unacolonnata aperta una bella Vergine incoronata, con il latteche dal seno zampilla fino alla bocca del Bambin Gesù.218

Egli le rivolge il viso da elfo, ma entrambe le mani sono occu-pate a tenere un cesto vimineo con ciliegie. Dai fondi d’orosono scomparsi i motivi stampigliati, al pari della chiostra dicuspidi sotto gli archetti ogivali. La sommità dei pannelli su-periori è stata riquadrata e ridipinta molto tempo fa. Ora,questa rarissima interpretazione della Vergine [del Latte] si ri-scontra unicamente nel Museo di Cagliari nei frammenti di

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218. Che il tondo dell’Ambrosiana attribuito a Botticelli costituisca l’uni-co altro esempio di siffatta iconografia che io ricordi, mi fa sospettareche tutto considerato il dipinto non sia del Botticelli. Cfr. The Burling-ton Magazine, LXI, 1922, p. 157. [Si tratta della Madonna col Bambinoe tre angeli, tempera su tavola rotonda detta “Madonna del Padiglione”,custodita nella Pinacoteca Ambrosiana di Milano con attribuzione aSandro Botticelli e datazione al 1493 circa].

di Napoli, come suggerisce il Tormo y Monzó, non può es-sere né confermato né negato perché non vi sono lavori disicura attestazione del Pagano né in Spagna né in Italia.Quel che noi sappiamo di lui è quanto segue.

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un retablo di Stampace, in un contesto iconografico piutto-sto singolare. Non disponendo di una fotografia, trascrivo imiei appunti.

«Dal S. Francesco (al pari delle altre tavole) un pannellonon finito: Vescovo in estasi, genuflesso in abito marrone emantella bruno-robbia; una bella Vergine raffaellesca chezampilla latte mentre il Bambino la guarda. Dalla parte oppo-sta dello spazio figurativo un Crocefisso molto bello, nonquanto il tipo sardo [con le gambe ad angolo retto] ma chegli si avvicina; un lungo cartiglio alla sommità [del trono sucui siede il Santo vescovo] e due targhe che lo fiancheggia-no, destinate ad ospitare delle iscrizioni. Vi è anche una tavo-la di predella con due aggraziate figure, [alle spalle del croce-fisso vi sono un] paesaggio marrone e oliva e un alberosecco. Pieno XVI secolo. Aru attribuirebbe questo dipinto ele porte di S. Domenico al periodo della maturità del Cavaro.Io penso che qui si manifesti un tipo di bellezza che è pro-pria della gioventù, non complicata, come di chi viva nellaterra promessa. L’equilibrio è quasi divino, certo suggeritodalle piccole dimensioni delle tavole. Il colore è molto perso-nale nelle parti finite – questo bruno-robbia – e probabil-mente sentito come tale, l’ombreggiatura leggera come fumo,mentre [il retablo di] Villamar non dà quest’impressione. Vi ècomunque grande somiglianza nelle forme dei volti».219

Non è possibile che il dipinto di Napoli sia di Andrea daSalerno, come si legge nella didascalia solitamente appostaalle riproduzioni fotografiche.220 Che sia di Francesco Pagano

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219. [La descrizione contiene qualche imprecisione – il vescovo non ègenuflesso, il Bambino non rivolge lo sguardo alla Vergine – ma suffi-ciente a riconoscere le due tavole superstiti della Pala di Sant’Agostino,non finita, proveniente alla Pinacoteca Nazionale di Cagliari dal chio-stro del S. Francesco di Stampace e attribuita a Pietro Cavaro ante1538; cfr. Serra 1990, sch. 93. Sulle porte di S. Domenico la GoddardKing tornerà fra breve].220. Boletin, XI, 1903, pp. 27-36. [L’incompletezza degli estremi biblio-grafici impedisce la verifica della citazione].

36. Antioco Mainas, Retablo di Lunamatrona, Lunamatrona, parrocchiale di S. Giovanni battista

adattamento della decorazione [di quella di Sant’Eligio nellapala] di Sanluri. Il pittore napoletano deve aver conosciutola Sardegna a fondo come la Spagna, ed è il massimo che cipermettiamo di asserire.223

Affinità con alcune di queste opere cagliaritane quanto acolore, tipologie e sino a un certo punto forme si possono re-perire in una pala d’altare [di San Leonardo] tradizionalmenteattribuita a Fiorillo e conservata nel Museo di Napoli.224 È do-vuta all’inaffidabile autorità del Dominici l’affermazione che ilFiorillo fosse un allievo di Andrea da Salerno. Sebbene ancheun impostore possa talvolta dire la verità, Andrea da Salerno,Fiorillo e Dominici sono personaggi assai poco consistentisotto un profilo storico.225 Di certo si sa soltanto che il dipintofu acquistato per la galleria da una qualche vedova nel 1901,quando i Primitivi ancora non godevano di larga popolarità, eche reca lungo gli scomparti inferiori la seguente iscrizione:Hoc op(us) f(ecit) f(ieri) Jacob(us) de Ricard – Ex / legatoq(uo)dam Pascarii de Richarda et / Joanelle uxoris eius divoLeonardo dica/tu(m) est sub. A(nno) D(omini) 1521.

Esisteva a Cagliari un convento di S. Leonardo, da cui po-trebbe provenire questo dipinto. La parte superiore mostrauna Crocefissione con solo i tre che più amarono il Signore [laVergine, San Giovanni, la Maddalena], fra i mezzibusti di San-ta Veneranda e di Sant’Apollonia. La parte inferiore presenta

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223. [Pur nell’impossibilità di accertare l’attribuzione a Francesco Paganosia della Pala di Sant’Agostino, sia della Pala di San Severino, risulta atutt’oggi di estrema modernità l’intuizione della Goddard King d’una circo-lazione “mediterranea” di pittori e di modelli fra gli ambiti valenzano, ca-gliaritano e napoletano, per la quale cfr. soprattutto Limentani Virdis 1989].224. Pala di San Leonardo. [Si tratta del polittico datato 1521 e custodi-to al Museo di Capodimonte, attribuito al calabrese Marco Cardisco, at-tivo a Napoli fra il 1510-15 circa e il 1542].225. [Provocatoriamente ironica, quest’affermazione della GoddardKing va ovviamente riferita alla specificità del discorso contestuale. In-fatti, per la ricostruzione del corpus di Andrea Sabatini da Salerno cfr. ilcatalogo della mostra Andrea da Salerno 1986; per Francesco o Dome-nico Fiorillo, che Bernardo De Dominici (1743) dice allievo di Andreada Salerno, cfr. Thieme 1916, p. 2].

Un diario manoscritto di Valenza, consultato da Villanue-va, tramanda che nel 1471 vi furono chiamati a lavorare duemaestri fiorentini molto abili in pittura. Così come gli italianierano soliti definire “tedesco” chiunque venisse da Oltralpe,così sembra che il termine “fiorentino” fosse utilizzato daglispagnoli per indicare tutti gli italiani. In un atto stilato inpresenza del notaio del Capitolo, il vescovo e i canonici sta-bilirono il 28 luglio 1472 di corrispondere a Paolo de Areg-gio e a Francesco Neapoli221 trecento ducati per gli affreschidella capilla mayor [della cattedrale di Valenza]. Poco impor-ta stabilire qui se ciò si riferisse alla decorazione delle volteo delle pareti del coro, dato che i dipinti sono andati perdu-ti. Un frammento conservato in sacrestia, se proveniente dalcoro, può esser stato forse eseguito dall’emiliano, oppuredal napoletano. Il vescovo menzionato nel contratto è Rodri-go Borgia (1455-1492) che intratteneva relazioni con le cittàcostiere, senza risultare per questo particolarmente implicatonella rete di rapporti fra Játiva e la Sardegna. Dopo il 1482non si ha più notizia di Pagano: potrebbe essersi diretto aCagliari e passato poi a Napoli, ma il “potrebbe” non contri-buisce a mettere insieme delle prove. Il pannello di Cagliari,non terminato, con la sua attenta predisposizione delle [su-perfici destinate a ospitare] iscrizioni,222 deve aver rappresen-tato la prima versione di questo motivo [elaborata a Cagliari],mentre gli insulsi putti che si arrampicano sulla cattedra delvescovo [nella pala di San Severino] sembrano uno strano

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221. Francesco Pagano. [«Paolo de Areggio» è Paolo da San Leocadio, diReggio Emilia, che assieme al napoletano Francesco Pagano e al sicilia-no Riccardo Quartararo giunge a Valenza nel 1472, chiamato dal cardina-le Rodrigo Borgia, per affrescare il presbiterio della cattedrale (sopravvi-ve la Natività, attualmente nell’aula capitolare, molto deteriorata). Per laproduzione dei tre pittori in terra iberica cfr. Isabel Mateo Gómez, in Pit-tura 1995, pp. 215-219; per quella dei singoli cfr. Pittura 1987, rispettiva-mente p. 725 (Mauro Lucco), pp. 722-723 (Fausta Navarro), pp. 745-746(Francesca Campagnola Cicala)].222. Di tema francescano. [È difficile esplicitare il senso di quest’annota-zione; forse la Goddard King deduce il contenuto delle iscrizioni dall’ori-ginaria appartenenza del retablo al S. Francesco di Stampace].

Il Retablo di Lunamatrona rispetta alla lettera – in alcuneparti – gli schemi compositivi di quello del Cavaro [a Villamar],ma semplificati; ad esempio nella Crocefissione non compaio-no i ladroni, i cavalieri e altre figure. Gli altri due scompartinel registro superiore sono dedicati al tema dell’Annunciazione

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37. Retablo dei Beneficiati, Cagliari, cattedrale di S. Maria di Castello

una graziosa Madonna fra San Leonardo e San Donato e lapredella un’Ultima cena che è copia di quella leonardesca.Gli oggetti, i lavori d’oreficeria, le aureole sono tutti assai di-versi rispetto a qualunque altra opera conservata nel Museodi Cagliari, ma questa, se fosse stata dipinta a Napoli e poimandata a Cagliari, avrebbe ben potuto influenzare il dipin-to con il Vescovo in estasi.226

La pala di Napoli è comunque molto distante dall’arte diPietro Cavaro ed è necessario tornare a lui e alla sua scuola.

Il polittico di Villamar non ha le porte, che però possonoforse identificarsi con un paio di tavole nel Museo [di Caglia-ri] raffiguranti come di consueto le effigi dei Santi Pietro ePaolo, stagliati contro un fondo d’oro finemente stampigliato.Le porte di S. Domenico227 dovevano occupare una simile po-sizione [in un polittico successivamente smembrato] e sonopersino più belle, benché il fondo arabescato a rombi sia [me-no elaborato e] identico a quello usato a Villamar in pannelli diminore importanza. Il colore tuttavia è molto caldo e corposo,abbastanza italiano e raffaellesco, e dissimile da quello della vi-sione del Vescovo. San Pietro indossa un mantello rosso soprauna veste bruno-violacea, San Paolo un mantello di quest’ulti-mo colore [leggi: verde-oliva] e una tunica tendente al violetto.

A questo gruppo di dipinti si possono accostare altri dueelementi di polittico, uno con l’arcangelo Raffaele e un To-biolo in posa da principino, che assomiglia al figlio di Isabel-la d’Este, l’altro con un angelo che reca spada e corona.228

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226. [L’ipotesi della provenienza cagliaritana del dipinto non ha avutoseguito].227. [La prima coppia di porte dovrebbe essere quella poi restituita alRetablo di Villamar. La seconda, anch’essa ospitante le figure intere deiSanti Pietro e Paolo, si trovava nel chiostro di S. Domenico ed è oracustodita nella Pinacoteca Nazionale di Cagliari, con ipotesi di restitu-zione al perduto Retablo di S. Giacomo eseguito per l’omonima chiesacagliaritana da Pietro Cavaro nel 1528; cfr. Serra 1990, sch. 90].228. [Si tratta delle due tavole di polvarolo che fiancheggiano la Croce-fissione nel terminale del citato Retablo di Villamar ].

Più o meno coevo a questo è un retablo della DormitioVirginis, nel Museo [di Cagliari],231 che è vicino ai prototipicatalani quanto al numero e alla disposizione delle scene,ma pur sempre debitore al Cavaro. Lo scomparto centrale,dedicato al Transito della Vergine, è sormontato da una gran-de Crocefissione. La serie di sinistra si legge dall’alto verso ilbasso: Annunciazione, Natività, Epifania; quella di destra insenso opposto: Resurrezione, Ascensione, Pentecoste. Nellaprima scena l’alcova della Vergine si affaccia sulla stanza del-l’Annunciazione, ma il letto non è raffigurato. Nella Penteco-ste la Vergine siede in primo piano, un po’ più avanti [rispet-to all’iconografia tradizionale]. Nell’Ascensione lo schemacompositivo si slarga per evidenziare la Pietra Nera, appros-simativamente a forma di omphalos, venerata a Gerusalem-me [sic]. Nella Resurrezione il Cristo vola via come un inset-to, e il coperchio di forma così caratteristica è ruotato dinovanta gradi rispetto alla tomba; un soldato è ancora inpreghiera mentre un altro si copre gli occhi.232 Sono tuttidettagli che si riscontrano più o meno esattamente nel gran-de polittico di Pietro Cavaro. Ma il centro della predella è oc-cupato da un Cristo in pietà retto da due angeli, e ciascunodegli altri quattro scomparti [due per lato] da un Evangelistaseduto con la figura che lo simboleggia. [Nella prima e nellaterza tavola da sinistra] San Marco taglia la sua penna e SanMatteo guarda la punta della propria; [nella seconda e nellaquarta] gli altri due evangelisti [San Giovanni e San Luca] so-no intenti a scrivere.233 I profili del santo e dell’animale [co-me pure quello dell’angelo di Matteo] si stagliano contro ilbasso orizzonte e il cielo pallido, con quel valore decorativo

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231. [Si tratta del Retablo di Gergei, custodito nella parrocchiale di S. Vi-to con l’attribuzione ad Antioco Mainas, in anni compresi fra il 1537 e il1571; cfr. Serra 1990, sch. 108].232. Come nell’arte bizantina di mille anni più antica. [Il confronto èvago].233. Iconografie riprese da miniature. [Anche qui, il rimando è troppogenerico per poter essere esplicitato].

[arcangelo Gabriele, a sinistra, e Vergine annunciata, a de-stra], cui corrispondono nel registro inferiore San Giovannibattista e San Michele (fig. 36).229 Il San Giovanni è attenta-mente copiato [da quello di Pietro Cavaro] con varianti nellatipologia, nei gesti e nel panneggio, intese a conferire mag-giore nobiltà alla figura. San Michele arcangelo, di profilo, sipiega e si atteggia con moto repentino, perdendo anche l’ul-timo residuo della posa danzante [che lo caratterizzava neidipinti più antichi]. Lo scomparto centrale è tema raffaelle-sco, in quanto adattamento della Madonna Tempi (1506 cir-ca?), con due angeli che reggono il drappo alle sue spalle.230

In entrambi i dipinti la Vergine ha il viso allungato e risultapiuttosto commovente nella sua calma esangue. Sfondi pae-saggistici, che includono ampie superfici di cielo, sono usatinella Crocefissione, nella Pietà [leggi: nel Cristo risorto dellapredella] e nei due scomparti con i santi [Giovanni battista eMichele arcangelo].

Ogni scomparto della predella è occupato da una cop-pia di santi, ritratti di tre quarti: a sinistra San Paolo e SanPietro, Sant’Antonio da Padova e San Nicola di Bari; a destrai Santi Cosma e Damiano elegantemente delineati in veste distudiosi, poi Santa Lucia e Santa Caterina. Nello scompartocentrale figurano il Cristo risorto sul coperchio della tomba eun soldato genuflesso nell’atteggiamento tipico del commit-tente. Gli sporti a baldacchino e la decorazione a intaglio so-no tutti in ottime condizioni, tardogotici, elaborati, non moltofantasiosi ma ricchi e aggraziati. Gli stessi aggettivi andrebbe-ro bene per definire il tipo di pittura: è provinciale, imitativa,abbastanza faticosa, un po’ meschina.

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229. [Si trova nella parrocchiale di S. Giovanni battista ed è attribuitoad Antioco Mainas, in anni compresi fra il 1537 e il 1571; cfr. Serra1990, sch. 109].230. [La Madonna Tempi di Raffaello, cosiddetta dalla famiglia che lateneva nella propria casa fiorentina, si trova a Monaco nell’Alte Pi-nakothek].

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38. Retablo di Sorradile, Sorradile, parrocchiale di S. Sebastiano

39. Retablo di Orani, Orani, parrocchiale di S. Andrea apostolo

pittorica è nera e indecifrabile.236 [Nello scomparto mediano]in basso la Madonna è in trono fra due angeli. Negli scom-parti laterali superiori si osserva l’Annunciazione [divisa indue tavole]: il banco di Maria è conformato come una sediacurule con i bracci che terminano in teste di leone; lo stessooggetto si riscontra, celato da una pesante stoffa, nella [cita-ta] pala della Dormitio Virginis. Quanto al viso, la Madonnaricorda quella [del retablo] di Lunamatrona ed è costruita se-condo la stessa tipologia, richiamando in qualche modo ledelicate piccole Vergini delle opere giovanili di Fra Bartolo-meo. Dietro la porta aperta attraverso cui è passato l’angelosi possono vedere un promontorio e il mare.

[Nello scomparto laterale in basso a sinistra] San Bartolo-meo, per tradizione l’apostolo [evangelizzatore] della Sarde-gna (a Bonaria ancora si mostra il luogo in cui egli approdòper intraprendere la sua predicazione), è raffigurato con ilcoltello del martirio [per scorticamento] e il demone da luisconfitto e scacciato dall’idolo. Nelle zone orientali dellaSpagna, quella di San Bartolomeo è un’immagine frequente,e la sua leggenda è scolpita sulla facciata di una chiesa a Lo-groño sull’Ebro, un grande emporio lungo l’importante rottacommerciale dal Mediterraneo all’Atlantico: da sempre eglirappresenta infatti un simbolo dei rapporti con l’Oriente.

[Nello scomparto laterale in basso a destra] San Gerola-mo è genuflesso davanti al Crocefisso, anche questo del tipocaratteristicamente sardo, con un panno sui fianchi come uncuscino. Le colline sullo sfondo sono quelle di Cagliari. Dun-que in questo trittico, benché barbaramente ridipinto, puòidentificarsi un altro lavoro dei pittori di Stampace.237

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236. [Più che di sole e luna sembra trattarsi del sole diurno e in eclisse almomento della morte di Cristo, in ossequio al dettato del Vangelo di Luca,XXIII, 45. Nella parte bassa della tavola si delineano contro il fondo scurounicamente i legni delle tre croci. Sul restauro del polittico cfr. Pittura1992a, pp. 69-88, dove Giovanni Zanzu ne riassume la vicenda critica].237. [La vicenda critica del Retablo dei Beneficiati sembra ben lungi dal-l’esser conclusa in modo soddisfacente. Mentre è caduta l’attribuzione

cui la pittura sarda non rinuncia mai. La scena centrale haun sapore conservativo e trito, come il suo lontano prototi-po tedesco.234

Tuttavia, è interessante rilevare il contributo personaledell’artista. Nella Crocefissione, la Vergine perde i sensi e ca-de con movimento legnoso, ma è immaginata in modo in-novativo; la scena è delimitata dalle alte figure in piedi diuna Maria [leggi: San Giovanni evangelista] e di un soldato,come erano inquadrate una volta quelle degli artisti medioe-vali secondo uno schema ripreso poi dal Tintoretto e da ElGreco. Ma non è tutto. Nello sfondo della Natività una cittàcon mura e torri è una fresca visione di Cagliari; il gruppo ela posa dei pastori sono pieni di verità e di sentimento, for-se la cosa migliore di tutto l’insieme. Il gesto del secondo reche nell’Epifania si volta per parlare al terzo è più di ma-niera e meno sentito. La scena della Resurrezione è ambien-tata in una specie di caverna e si vede l’alba spuntare nelcielo sulla destra.

Al momento dell’esecuzione di questo retablo la [citata]pala napoletana di San Leonardo doveva esser già stata di-pinta: questa è radicalmente diversa sia da quello, sia dalmondo da cui scaturiva. Purtroppo il colore è sordo e con-venzionale, e non rimangono fondi d’oro in questo retablo,ma ciò non sorprende se si tien conto del debito a Cavaro.

Nella cattedrale di Cagliari si può vedere un [doppio]trittico assai deteriorato e ridipinto, sopra la porta della sa-crestia [dei Beneficiati (fig. 37)].235 Il Cristo di tipologia sarda[con le gambe tirate in alto ad angolo retto] è appeso alla cro-ce fiancheggiato dai due ladroni e da sole e luna; nella parteinferiore di questo scomparto [il mediano alto] la superficie

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234. [La Goddard King pensa probabilmente alla xilografia di MartinSchöngauer con la Morte della Vergine, del 1475 circa (Châtelet, Recht1989, fig. 294), peraltro fedelmente utilizzata come modello dal pittoredella tavola d’identico soggetto nel Retablo maggiore di Ardara].235. [È il Retablo dei Beneficiati, ricollocato nella stessa posizione nellacattedrale di Cagliari e ascritto al 1527 circa; cfr. Serra 1990, sch. 94].

Questo breve excursus non permette di analizzare a fon-do un gran numero di dipinti di scuola cagliaritana e ne trattacon troppa superficialità – limitatamente ad alcune propostedi datazione approssimativa – molti che invece rivestirebberoil massimo interesse.238

La tavola con due angeli proveniente da una porta dellacittà [di Cagliari], già appartenuta allo Spano, e che l’Aru rin-tracciò e recuperò nel 1912,239 è stata ridipinta tante volte cherisulta impossibile dirne qualcosa di esauriente. Il San Micheleha lancia e armatura a scaglie. L’altra figura con spada e coro-na è detta in italiano Angelo custode, in spagnolo Angel de laGuardia e in inglese semplicemente Guardian Angel senz’al-tra specifica. Non conosco il nome [proprio] di quest’angelo.Il motivo si diffonde dopo il Concilio di Trento, molto usatodal Guercino e da Guido Reni, e Browning [sic] si rivolse aquest’angelo in una particolare occasione a Fano. Pensereiche questo dipinto [cagliaritano] dalla Porta dell’Angelo rientrinella categoria dei lavori cinquecenteschi di tono arcaizzante.

Nelle chiese [di Cagliari] si conservano molte altre opere,a partire dalla grande pala nella chiesa del Carmine, in cuiGirolamo [Imparato] dipinse a tempera i suoi santi su fondooro e così firmò alla fine del Cinquecento: Hieronimus Im-paratus Neapolit(anus) faciebat MDXCIV.240

Oristano continuava ad essere una città ricca e importan-te, ma non più una capitale nei secoli che seguirono la fine

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in toto a Pietro o a Michele Cavaro, non convincono nemmeno le suc-cessive proposte in direzione di personalità precise, attive fra Roma,Napoli e la Spagna. Resta la probabilità della sua esecuzione in senoalla bottega di Stampace, da parte di un pittore manierista ibero-cam-pano al corrente delle novità michelangiolesche e raffaellesche].

238. [Da questo punto in poi la trattazione della Goddard King si fameno puntuale e incisiva, in quanto la stessa descrive perlopiù opereda lei non viste personalmente, ma delle quali ha avuto notizia o dallefonti bibliografiche, o dall’Aru, o dalle amiche Anna Rose ed Ellen Gi-les, che avevano visitato numerosi centri dell’isola].239. Spano 1870, pp. 33-34; Aru 1920, pp. 143-144. [Si trova oggi nelPalazzo del Comune di Cagliari, con l’ascrizione alla bottega di AntiocoMainas, in anni compresi fra il 1537 e il 1571; cfr. Serra 1990, sch. 118].240. Spano 1870, p. 16. [È la Pala di Sant’Anna nella parrocchiale ca-gliaritana del Carmine, firmata nel 1594 dal napoletano Girolamo Impa-rato, attivo fra il 1571 e il 1607; cfr. Serra 1990, sch. 131].

40. Maestro di Oliena, Retablo di San Cristoforo, Oliena, parrocchiale di S. Ignazio di Loyola

essere fra questi.243 Nel 1842 lo Spano recuperò due elementidi polittico raffiguranti San Giovanni battista e San Matteo afigura intera stagliati contro un fondo d’oro. I dipinti sono fir-mati [e datati]: Bartolomeus Castagniola feciebat in quello conSan Matteo, e nell’altro: anno MDCII me(nsi)s Ap(r)il(i)s.244

I donatori sono ritratti in ginocchio agli angoli delle tavole:una donna somigliante a una suora con un rosario in manoe un uomo in abbigliamento medioevale con le mani giunte.Così [inginocchiati] figurano anche nella tavola di Birmin-gham, nel retablo di San Pantaleo e nel più tardo dipinto diOliena.245 Questi due scomparti [del polittico oristanese] fu-rono tagliati via dalla struttura lignea in quanto quest’ultimanon poteva essere asportata, poiché le travi che la sostene-vano erano tuffate nel tessuto murario.

L’amica A[nna] R[ose] Giles, che dietro mia richiesta vi-sitò Oristano nel 1921, vide nel Palazzo del Comune cinquelunghi pannelli con Santi francescani su fondo d’oro, chequanto a datazione corrisponderebbero a quegli scompartiche lo Spano disse perduti e che potrebbero provenire dallostesso altare, anche perché si sa che un tempo erano nellachiesa [di S. Francesco]; due quadri sono conservati nell’at-tuale convento francescano, ma non fu possibile vederli.246

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243. Anche il [citato] San Luigi di Tolosa della collezione Tschudi? [Que-st’ultima ipotesi non è argomentabile, mentre – come già detto – la ta-vola di Birmingham proviene probabilmente da Cagliari].244. [Si tratta di due tavole del Retablo di Sant’Anna già nel S. France-sco di Oristano e oggi nella Pinacoteca Nazionale di Cagliari, firmato edatato nel 1602 dal napoletano Bartolomeo Castagnola, residente a Ca-gliari fra il 1598 e il 1611; cfr. Scano 1991, sch. 3].245. [La tavola di Birmingham e il polittico di Dolianova sono stati giàanalizzati. Al dipinto di Oliena con la Madonna di Montserrat si è ac-cennato anche in precedenza, ma se ne dirà più avanti].246. [Si tratta di elementi dello smembrato Retablo del Santo Cristo, co-siddetto dai registri del S. Francesco di Oristano, che nel 1533 lo pagò aPietro Cavaro; cfr. Serra 1990, sch. 91. Ne restano dieci tavole: nella sa-crestia della chiesa oristanese le Stigmate di San Francesco; nell’Antiqua-rium Arborense i cinque pannelli con Santi martiri francescani Accur-sio, Bernardo, Ottone, Pietro e Adiutto e altri quattro con Sante Caterina

del giudicato. Essa fu pertanto completamente spogliata deisuoi beni. Nulla rimane del patrimonio artistico della catte-drale dopo la sua ricostruzione nel XVIII secolo, come purenella chiesa dei Francescani dopo l’allontanamento dei mo-naci nel XIX secolo. Lo Spano compì meticolose ricerche alfine di rintracciare nei documenti i nomi di diversi [anti-chi] pittori, ma i suoi dati necessitano d’esser sottoposti a ve-rifica, poiché è proprio l’area oristanese quella cui sfortuna-tamente afferiscono i documenti apocrifi da lui utilizzati.

È vero che le cosiddette contraffazioni di documenti so-no in genere soltanto parziali, e che alcuni di loro manten-gono senz’altro un fondo di autenticità, così come parte dellospurio Codice di Arborea dev’esser certamente basata su fattistoricamente veri. A tutt’oggi però non abbiamo né fatti nédipinti che si possano sicuramente attribuire ad Oristano.241

Lo Spano asserisce che nel XVI secolo [leggi: XVII] Barto-lomeo Castagnola dipinse la maggior parte delle tavole deglialtari del S. Francesco di Oristano. La chiesa è andata distrut-ta; per quali motivi e in quali circostanze [le tavole siano an-date perdute] non mi è possibile chiarirlo, ma si tratta di unafaccenda poco chiara, che darebbe adito perfino a scandalo:«non è lecito di pubblicare», dice il buon canonico.242 All’epo-ca della soppressione del convento alcuni viaggiatori inglesicomprarono a buon prezzo diversi dipinti portandoli in In-ghilterra. La [tavola della] Vergine di Birmingham potrebbe

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241. [La Goddard King ribadisce quanto già affermato in precedenzasul valore delle false Pergamene di Arborea, tentando di riscattarle allaluce del fondo di verità storica che potrebbero trattenere. In realtà ilCodice di Arborea è assolutamente spurio, mentre nuove acquisizionisu dipinti quattro-cinquecenteschi presenti a Oristano sono venute daquanto si espone in seguito].242. Spano 1861b, pp. 41-42. [Merita trascrivere per intero il passo:«Questa chiesa poteva dirsi una galleria di tavole antiche dei migliori ar-tisti, ma nel disfarsi sacrilegamente, per fini che non è lecito di pubbli-care, andarono perdute per la maggior parte. Alcune ne comprarono avil mercato passeggieri inglesi che le portarono fuori». Cfr. anche Spano1870, p. 13].

angioletti nudi giocano con dei fiori ai piedi della Vergine.250

In quello di Cagliari, che penso provenga da Oristano, laVergine tiene al petto un uccello nero, come la Buona Signo-ra, la Guardiana delle Anime [sic]: è un dettaglio pregevole eaffascinante. Una nobildonna di Olzai ha dato conferma del-la chiave interpretativa: nel folklore sardo le anime dei mortirisiedono in uccelli.251 Immagino che sia questo il dipintooristanese di cui il Brunelli aveva avuto notizia come di unmediocre trittico dipinto da un sardo-iberico influenzato dal-la pittura italiana durante la seconda metà del XV secolo,che si presentava privo dell’ala destra e comprendeva unaMadonna con angeli musicanti, una Crocefissione e San Mar-tino.252 Con ciò si conclude la trattazione dei dipinti orista-nesi che rientrano nel nostro ambito di studio.

Nella regione di Bosa e Sagama [la Planargia] sopravvivo-no soltanto dipinti non più antichi del XVII secolo.253 Ma frale montagne nel cuore dell’isola, ai piedi delle cime del Gen-nargentu, a Fonni e a Sorradile, Anna ed Ellen Giles mi han-no detto d’aver trovato due pale d’altare in cattivo stato di

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250. [La descrizione del dipinto contiene diverse imprecisioni: mancanogli angeli e nella coppia di personaggi a destra non sono da identificarei donatori, bensì due dei cinque Consiglieri civici di Oristano. Probabil-mente, non avendo visto di persona l’opera, la Goddard King trasferiscequi alcuni dettagli della tavola cagliaritana, come appunto gli angiolettinudi che colgono fiori nel prato ai piedi della Vergine].251. [La tradizione si conserva tuttora nella cultura popolare].252. Brunelli 1907, pp. 363-364, nota 5. [Anche qui la Goddard King ètratta in inganno dalla mancata verifica delle notizie di seconda mano: iltrittico in oggetto, tutt’altro che mediocre, è il Retablo di S. Martino, giànell’omonima chiesa di Oristano. Le due tavole superstiti, oggi nell’Anti-quarium Arborense, sono lo scomparto mediano (in alto la Crocefissione,in basso la Madonna in trono col Bambino e angeli musicanti) e unoscomparto laterale (in alto la Carità e in basso la Consacrazione vescovi-le di San Martino) di una pala d’altare strutturata a trittico, ascritta a pit-tore catalano della prima metà del XV secolo. Cfr. Serra 1990, sch. 38].253. [In realtà, oltre agli affreschi trecenteschi nella chiesa di Nostra Signo-ra de sos Regnos Altos, si conserva a Bosa nell’episcopio una tavola con laSacra famiglia, ascritta alla fine del XVI secolo; cfr. Serra 1990, sch. 126].

In cattedrale si trovano in un’antica cappella dedicata all’An-nunziata i frammenti di un retablo in stile quattrocentesco,con lo scomparto centrale occupato da due slanciate figuredi santi di maniera catalana, uno dei quali è Santa Chiara, ealtri quattro scomparti. Tutto ciò richiama molto da vicino i[citati] polittici di Santa Chiara e Santa Caterina nell’aula capi-tolare di Barcellona e [di Sant’Eulalia e Santa Chiara] in unacappella del chiostro di Segorbe. Poco distante è appesa almuro una parte di predella con tre figure di santi, molto sbia-dite ma di buona qualità. Tutte queste opere sono difficili davedere e impossibili da fotografare,247 essendo probabilmen-te ancora più antiche rispetto alla pala di cui dice lo Spano.

Infine, nella sala consiliare del Palazzo del Comune siconserva una bella Madonna con bambino in trono fra gliangeli con una folla di civili ai piedi e una coppia di donatorivestiti di scuro alla maniera spagnola. Si dice che quest’operasia da datare al 1565248 e che assomigli in qualche modo auna [tavola con la] Vergine nel Museo di Cagliari; sembra sia-no della stessa mano.249 Nello sfondo del dipinto di Oristano

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d’Alessandria e Apollonia, Santi Antonio da Padova e Bonaventura, SantiStefano e Nicola di Bari, Santi Luigi di Tolosa e Bernardino da Siena].247. [È probabile che anche qui la Goddard King si serva di notizie diseconda mano, dunque inesatte. Già nella Guida di Oristano del Melis(1924) non risulta alcun dipinto alle pareti della cappella dell’Annun-ziata. Nell’Archivietto della cattedrale oristanese si conservano invecesette elementi di polittico del secondo quarto del XVII secolo, attribuitia Giovanni Angelo Puxeddu (Scano 1991, sch. 57)].248. [Si tratta della Madonna in trono col Bambino, San Pietro, SanGiovanni battista e i Consiglieri di Oristano, datata 1565 e oggi nell’An-tiquarium Arborense. Era la tavola centrale del Retablo dei Consiglieridi Oristano, commissionato l’anno precedente ad Antioco Mainas. Allostesso polittico doveva appartenere la Sepoltura di Cristo nella collezio-ne Piloni all’Università di Cagliari. Cfr. Serra 1990, sch. 106].249. [La supposizione non corrisponde al vero, poiché si tratta dellaMadonna della Consolazione, tavola centrale di uno smembrato politti-co attribuito a Michele Cavaro, in anni compresi fra il 1549 e il 1567. Siaccompagna a due scomparti laterali con San Giovanni battista e SanMichele arcangelo, passati anch’essi dal S. Francesco di Stampace allaPinacoteca Nazionale di Cagliari. Cfr. Serra 1990, sch. 99].

È probabile che un tempo questo polittico fosse un buondipinto, ma andò certo rimaneggiato più d’una volta prima divenir scomposto. Il connubio di due soggetti stampacini conaltri due sivigliani è curioso e significativo, e la datazione de-ve farsi risalire senza dubbio al XVI secolo.

Molto diverso nella sostanza è l’altro antico dipinto, untrittico [di Sorradile] dedicato alla Visitazione (fig. 38).255

Sbiadito e offuscato, ridipinto e completamente rovinato inlarga parte nell’anta destra, mantiene comunque freschezza,personalità e una straordinaria intimité.

Nella Pietà [primo scomparto mediano dal basso] il Cristomorto è ritto sulla tomba aperta e ne tocca il bordo con lapunta delle dita, mentre la testa è reclina sul torace. Dietro dilui, il quadrato bianco di un sudario è sollevato da una cop-pia di angeli che si scorgono a malapena. Nei pannelli laterali,[a sinistra dal basso] San Pietro sta alla destra del Redentore elegge un libro, impugnando la chiave come una mazza; man-ca parte della figura di San Paolo, collocata simmetricamenterispetto a lui.256 Nei riquadri triangolari alla sommità si dispo-ne l’Annunciazione [divisa nelle due ante]; negli scompartiinferiori sono raffigurati a sinistra una santa velata [Santa Cate-rina d’Alessandria] e a destra un apostolo che non so identifi-care [leggi: Santa Lucia]; sotto di questi, rispettivamente SanMichele arcangelo [sic] e Sant’Antonio abate.

L’incontro delle cugine [Maria ed Elisabetta, nella Visita-zione dello scomparto centrale] ha luogo in una stanza condue finestre aperte su mura cittadine [sic] e un paesaggio bo-scoso. Una servetta [leggi: un uomo] sbircia dalla porta di unlungo corridoio, mentre San Giuseppe dall’altro lato sta in pie-di con un’aria poco interessata a quanto accade. Nella stanzaariosa, nella luce ombreggiata e nel fogliame che mormora

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255. [È il Retablo di Sorradile nella parrocchiale di S. Sebastiano, com-missionato nel 1590; cfr. Lucia Siddi, in Pittura 1992a, pp. 175-177].256. [Dopo il restauro, restano solo labili tracce di questo San Paolo;nella Pietà non ci sono angeli e il sudario del Redentore non è solleva-to da questi, ma pende da quella che si direbbe l’imboccatura di unacavità sotterranea].

conservazione, una delle quali non priva d’una certa grazia.Di quello che fu probabilmente il retablo mayor della chiesaparrocchiale di Fonni manca lo scomparto centrale, che po-trebbe aver ospitato una nicchia per una statua come nei polit-tici di Ardara e Villamar. Gli scomparti laterali [bassi] presenta-no San Cristoforo e San Giovanni battista. Il primo è immersosino alle ginocchia in un fiume tra le montagne, in atto di ado-rare il Bambino sulle spalle. Si appoggia a una palma salda-mente piantata e tiene una mano sul fianco e un piede su unaroccia. L’intera figura deriva evidentemente da quei grandi af-freschi che i viaggiatori possono osservare a Siviglia, nellachiesa di S. Giuliano e nella cattedrale. Il Battista è copiatoquanto più fedelmente possibile da quello del Cavaro [a Villa-mar], e come quello è ritto contro un alto parapetto di legno;sullo sfondo pende un drappo fittamente decorato. Il suo vol-to, dalla barba leggera, corta e rada, è più allungato e più ma-gro rispetto a quelli dei pittori di Stampace. Negli scomparti[laterali] alti erano raffigurati San Gerolamo e Santa Caterina, ditre quarti. Santa Caterina, a destra, con palma e spada, si sta-glia sullo stesso tipo di sfondo; in basso, il drappo del Battistacorrisponde al suo, secondo un partito compositivo in diago-nale. San Gerolamo è genuflesso, nudo sino alla cintola, da-vanti a un paesaggio montagnoso. Anche queste figure sonotipologicamente riferibili a Siviglia, ambiente da cui gli stessiZurbarán e Montañes hanno ereditato analoghi motivi, utilizza-ti allo stesso modo. [Nella tavola mediana alta] la Crocefissioneè più arcaica: il Cristo “sardo” è pesantemente appeso alla cro-ce, con la Maddalena inginocchiata ai suoi piedi, mentre SanGiovanni posa la mano sul suo torace. La Vergine, avviluppatain un velo, solleva le mani con le dita che si congiungono inun adattamento del gesto spagnolo di lontana origine bizanti-na. Una città cinta da mura attraversa lo sfondo.254

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254. [Il Retablo di Fonni è stato smembrato e oggi nella parrocchiale diS. Giovanni battista si trova soltanto la Crocefissione (cfr. Devozione1998, fig. a p. 41), mentre nel libro della Goddard King è pubblicata al-la tav. XXXVII una foto della tavola con il Battista].

due scomparti laterali sono rappresentati dei santi che nonriesco a identificare, eccetto Santo Stefano e forse San Gia-como; altri quattro si dispongono ai lati del Cristo risorto.Nonostante la presenza di residui di cuspidi coerenti con ipannelli, quest’opera appartiene alla metà del XVI secolo,come attestano pure la posizione dei due santi a figura isola-ta nei loro scomparti e lo schema dei contrasti fra colorichiari e colori scuri, che vengono a determinare con i gesti eil capo inclinato. Ma il dipinto è stato troppo rimaneggiatoperché se ne possano trarre informazioni di rilievo. Conogni probabilità i grandi veli bianchi della Vergine e di SanGiovanni nella Crocefissione derivano da una tradizione delcristianesimo iberico.258

Dopo aver visitato la montuosa Olzai, vidi a Orani [in par-rocchiale] nella cappella della confraternita un interessante re-tablo (fig. 39) che conserva intatte le pregevoli cornici orna-mentali gotiche.259 È stato restaurato l’ultima volta quindicianni fa da un giovane pittore di genio, per volontà di una de-vota. Poco più che quindicenne, costui ridipinse la Madonnacol Bambino [nella tavola centrale] come meglio poté, e il ri-sultato è forse irrimediabile.260 Probabilmente lo schema com-positivo replicava quello della pala di Tuili. Nessuno sembrasapere cosa fosse rappresentato nello scomparto superiore [ilGiudizio finale], mentre al centro della predella si colloca unaNatività. I grandi scomparti laterali presentano San Giovannievangelista e San Bartolomeo, sovrastati dall’Annunciazione

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identificato con San Biagio), San Pietro, il Cristo risorto, San Mauro (?)e un altro vescovo, che la tradizione locale identifica con San Liberato.Il polvarolo ha perso i dipinti ed è oggi a legno].258. Cfr. le regine di Velázquez [sic].259. [Si tratta del Retablo di Orani, nella parrocchiale di S. Andrea apo-stolo, ancora sostanzialmente inedito].260. [Il «giovane pittore di genio» diverrà uno dei protagonisti dell’artesarda del Novecento: è infatti Mario Delitala, nato a Orani nel 1887,che restaurò la Madonna col Bambino nell’agosto 1910, firmando e da-tando il suo intervento, tuttora conservato].

dalle finestre aperte, come pure nel gesto dell’alta figurafemminile col capo [semi]coperto da un velo bianco [la Ver-gine] che si piega in avanti ad accogliere fra le braccia ladonna più anziana a lei tanto somigliante, si apprezzano tuttele sfumature spirituali, tutti i risvolti emotivi della sensibilitàtipica dei popoli nordici, di gente abituata a sviluppare unavita interiore, per la quale il vivere quotidiano è duro, il cli-ma nemico, la terra avara di frutti. La razza isolana si esprimequi con un linguaggio generalmente definito nordico, e ilXVI secolo evoca un clima insolito, che non si apprezza pri-ma del XVII o del XVIII secolo.

La Crocefissione [nello scomparto mediano più alto] èambientata in uno scenario simile a un parco, con un fiumeche serpeggia fra pascoli verso boschi di querce e la sagomadi una città sullo sfondo. La croce sembra innalzata su un’iso-la nella corrente. La Vergine pare invecchiata dal dolore eSan Giovanni stupito e attonito nella sua costernazione.

La regione in cui i pendii settentrionali del Gennargentugiungono alla valle del Tirso fu evidentemente l’habitat diquesto pittore. Qui sono ubicate Ottana, da dove fu trasporta-to a Cagliari il [citato] polittico, e vicino, ai piedi di un lungodeclivio, l’erta cittadina di Olzai zigzagante lungo una vallettafluviale. Nella chiesa parrocchiale [di S. Giovanni battista], difronte al Retablo della Peste, è appeso un dipinto cinquecen-tesco con la Sacra famiglia dedicato al reciproco affetto delletre persone.257 Alla sommità si colloca la Crocefissione e nei

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257. [Il Retablo della Peste, descritto in precedenza, è oggi nella chiesadi S. Barbara, dove si trovano anche un pannello laterale di politticosmembrato, con le Sante Apollonia e Lucia (in alto) e Santa Barbara (inbasso), inedito al pari del retablo che corrisponde all’opera descrittadalla Goddard King. Dopo il restauro, nella tavola centrale di quest’ulti-mo non figura più la Sacra famiglia, bensì una Madonna col Bambino;lo scomparto mediano alto è occupato dalla Crocefissione. In quelli late-rali si dispongono in basso due santi martiri, già trasformati in Santo Ste-fano (a sinistra) e Sant’Anastasio (a destra); in alto San Costantino impe-ratore e Sant’Elena. Nella predella, da sinistra, un vescovo (localmente

della stessa mano di un elemento di polittico rappresentanteSant’Orsola e le sue vergini, conservato nel Museo di Caglia-ri,264 ma di qualità più alta rispetto a questo, squisito neisuoi toni verde-oliva e rosa, da inserire nella piena fiorituracinquecentesca ormai libera da qualunque legame con lapittura dei Primitivi. Nella cappella di fronte [si trova un po-littico nella cui tavola centrale] una deliziosa Madonna colBambino e angeli (fig. 40) che offrono ciliegie ricade peròsotto l’influenza del Pinturicchio, rivisitato secondo l’inter-pretazione che se ne diede a Valenza. [Da sinistra, negliscomparti laterali bassi] i poetici giovani paggi che l’accom-pagnano sono San Giuliano e San Sebastiano [leggi: San Fa-biano]; nel registro superiore Sant’Apollonia è collocata sim-metricamente a San Rocco, San Cristoforo alla sommità. Laricca decorazione a intaglio è di un Gotico flamboyant e ladatazione va collocata fra il 1530 e il 1535 circa.265 Potrebbesembrare più arcaico, persino un esempio di pittura primiti-va d’area valenzana sarda, sulla base del disegno dei brocca-ti, della forma dell’aureola e del drappo [alle spalle dellaVergine]. Nella predella il Cristo morto distende le mani ver-so [le figure che lo fiancheggiano,] due Santi vescovi [SanGiorgio di Suelli e San Nicola di Bari], con un santo barbuto[San Giovanni battista] all’estremità sinistra. La giovane figurasecolare in copricapo e mantella con uno stendardo nella

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264. Maestro di Sant’Orsola. [È il nome sotto cui passava il pittore delledue tavole già nel convento annesso alla chiesa della Madonna di Bo-naria e poi nella Pinacoteca Nazionale di Cagliari, appartenenti allasmembrata Pala di Sant’Orsola: lo scomparto centrale con Sant’Orsolae le sue compagne fra i Santi Michele e Damiano e la lunetta con laMadonna col Bambino, Santa Caterina d’Alessandria e altra santa. Inseguito al recupero di un suo disegno firmato (la Sacra famiglia oggi aNew York nel Metropolitan Museum of Art), lo si è identificato nell’al-gherese Francesco Pinna, documentato a Cagliari fra il 1591 e il 1617.Cfr. Serra 1990, pp. 255-269 e sch. 133 (Pala di Sant’Orsola, 1593-1607); nuove acquisizioni in Galleri 1996].265. [Si tratta del Retablo di San Cristoforo, oggi nella parrocchiale diSant’Ignazio di Loyola, ascritto al Maestro di Oliena e al secondo quar-to del XVI secolo; cfr. Serra 1990, sch. 64].

[divisa in due tavole]. Nella predella sono raffigurati [ai lati del-la Natività] San Paolo e San Pantaleo a mezzo busto, e alleestremità i due cavalieri, in questo caso San Gavino e SanGiorgio. Anche in buone condizioni, questo dipinto nonavrebbe certo potuto definirsi di qualità, e probabilmente l’at-tuale strano fascino emana un effetto estetico maggiore diquello che avrebbe forse generato l’originale. In proposito ri-cordiamo che il canonico Spano riporta da qualche parte undecreto emesso da un [arci]vescovo oristanese, il quale si rivol-geva ai parroci che avessero assunto un imbrattatele qualun-que – «per abbellire Santi, o per dipingere quadri» – ammonen-doli che la spesa non sarebbe stata loro «abbuonata nei conti»,cioè che l’avrebbero poi dovuto pagare di tasca propria.261

Si conserva ancora un impressionante numero di dipintinel paese di Oliena; pur essendo ubicato quasi direttamentea est di Orani, lo si deve raggiungere da Nuoro per via delle[non agevoli vie di comunicazione fra le] colline che separa-no i due abitati. Tutti questi inaccessibili e poveri villaggi de-vono all’indigenza dei loro abitanti la sopravvivenza di anti-chi dipinti, che evidentemente non si poté soppiantare nelXVII secolo con belle opere aggiornate al gusto corrente, co-me accadde a Bosa, a Nuoro o a Sassari. In effetti la parroc-chiale di Oliena conserva in sacrestia un Apostolado di que-st’epoca più tarda,262 ma nella chiesa di S. Maria, ora non piùofficiata, vi sono pezzi di età precedente.

Il più importante di questi, dedicato alla Madonna diMontserrat, rientrerebbe piuttosto nell’ambito del secondovolume del presente lavoro.263 Nella cappella successiva,troppo buia perché si possano scattare delle fotografie, sitrova un dipinto assai deteriorato ma molto bello. È forse

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261. [Spano 1861b, p. 55, nota 1].262. [Si tratta di una serie di dipinti su tela sei-settecenteschi con figuredi Apostoli, custodita nei locali dell’ex casa gesuitica adiacente alla par-rocchiale di S. Ignazio di Loyola].263. [Il dipinto è stato già più volte citato, ma non è stato possibile rin-tracciarlo a Oliena, tantomeno nella chiesa di S. Maria, dove si trova or-mai soltanto una tela sei/settecentesca con l’Assunzione della Vergine].

di non aver potuto vedere tutti gli antichi dipinti sardi deiquali si abbia notizia. C’è qualcosa a Suelli e a Barumini.270

Si dice che a Gergei si trovi un’immensa pala, molto arcaiz-zante, e nei paraggi [la chiesa di] S. Vittorio conserva un trit-tico di buona qualità.271 A Tuili [nella cappella di fronte alretablo già descritto] esiste una seconda pala, datata 1534 [daun’iscrizione] in sardo: in s’an(n)u MDXXXIIII, con ventotto[leggi: quarantatré] scomparti, dedicata ai misteri della Vergi-ne e al Redentore. Il canonico Spano, un’autorità in materia,era sicuramente in grado di apprezzare la buona pittura: egliafferma che nella Natività si osserva una bella figura di SanGiuseppe.272 Nell’angolo in basso a sinistra è inginocchiatoun donatore in adorazione [sic]. A leggere il catalogo dellacollezione privata del canonico e i suoi appunti su altre ana-loghe raccolte ci si accorge con dispiacere che molte delleopere citate non sono più reperibili.

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270. [Nella parrocchiale di S. Pietro a Suelli avrebbe interessato la God-dard King soprattutto il grande Retablo di Suelli, attribuito a Pietro e aMichele Cavaro e a un aiuto, in anni compresi fra il 1533 e il 1537 cir-ca; cfr. Serra 1990, sch. 97. La segnalazione di «qualcosa» a Barumini èrelativa probabilmente al polittico tardocinquecentesco, con simulacroligneo della Madonna e scomparti dipinti, nella parrocchiale della Bea-ta Vergine Immacolata (Lilliu 1991, pp. 6-7)].271. Crocefissione, sacrestia [della parrocchiale] di Posada. [Per quest’ul-tima opera, oggi nell’episcopio di Nuoro, attribuita a Frans Francken ilGiovane (1606 circa), cfr. Scano 1991, sch. 15. L’«immensa pala» è il Re-tablo di Gergei già descritto dalla Goddard King, che però lo vide nellaraccolta museale cagliaritana senza poterne appurare la località di pro-venienza. L’altra opera di cui fa cenno è forse la Pala della Madonnadel Libro, che si trova sempre a Gergei nella parrocchiale di S. Vito, conascrizione all’ultimo quarto del XVI secolo (R. Serra 1990, sch. 138)].272. [Spano 1870, p. 15, nota 2. Si tratta del Retablo della Pentecoste nellaparrocchiale di S. Pietro a Tuili, datato 1534. Gli scomparti sono ben 43,sommando i 9 della predella, i 19 del polvarolo, i 7 principali (medianoalto: Pentecoste; laterali, dal basso, a sinistra: Natività, Resurrezione,Ascensione; a destra: Annunciazione, Epifania, Assunzione) e i 6 conAngeli musicanti ai lati della nicchia centrale che un tempo ospitava unastatua probabilmente della Vergine col Bambino. Cfr. Serra 1980, p. 83,figg. 75-77].

mano destra potrebbe essere San Gimignano [leggi: San Ga-vino di Torres], che il Crivelli rappresenta come un paggioportainsegne, dal momento che i contadini [di Oliena] chia-mano questa la cappella di S. Gimignano. I temi compositi-vi, pur superati, si dimostrano comunque aggiornati e l’at-mosfera che si respira in questo pezzo, così come a Valenzanegli stessi anni, è pienamente avvertibile come umbra.

A Sassari poco è sopravvissuto al rinnovamento artisticoreso possibile dalle prospere condizioni della città nel XVIIsecolo.266 La figura di un Santo francescano, i cui fratelli d’orosono tutti morti, è imprigionata nella pala d’altare d’unachiesa insignificante.267 Per l’analisi di due bei dipinti nellasacrestia di S. Maria di Betlem si dovrà attendere la pubbli-cazione del secondo volume di quest’opera, e così di neces-sità per le interessanti ante dell’organo della cattedrale, di-pinte da Diego Pinna.268

In verità quasi tutti i paesi [della Sardegna] possono van-tare un dipinto anche se deteriorato, ma in questi poveri re-sidui non vi è nulla di rimarchevole o che valga la pena diconsiderare, e il mio saggio finirebbe per assumere i caratte-ri di un semplice inventario.269 Devo tuttavia rammaricarmi

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266. [Per la storia architettonica e urbanistica di Sassari nei secoli chequi interessano cfr. Porcu Gaias 1996].267. [Il linguaggio “poetico” della Goddard King si applica all’elementodi un polittico smembrato che doveva annoverare altre simili figure disanti, poi adattato al centro d’una pala d’altare di età seriore. Si tratta delSanto diacono in una tavola della fine del XV secolo, custodita a Sassarinel convento di S. Antonio abate, per la quale cfr. Serra 1990, sch. 66].268. [Il riferimento è alla coppia d’ante già dell’organo e oggi nel brac-cio sinistro del transetto del S. Nicola a Sassari, datate 1576 e da riferireal pittore Joan Baptista Trivulzi; cfr. Porcu Gaias 1996, p. 317, nota 424.Del suddiacono sassarese Diego Pinna, pittore, si conserva invece nellastessa cattedrale la Madonna del Tempietto, olio su tela firmato e datatonel 1626; cfr. Scano 1991, sch. 24].269. [Per la distribuzione geografica dei dipinti quattro-cinquecenteschisuperstiti in tutto o in parte, o documentati solo archivisticamente nelterritorio sardo, cfr. Marcella Serreli, in Retabli 1993, pp. 143-157].

Resta infine da considerare un altro maestro, l’ogliastrinoAndrea Lusso, affine al napoletano Girolamo Imparato, ilquale, benché in effetti vissuto negli anni del Ribera, talvoltadipinse alla maniera dei Primitivi.

A Londra è custodita una tavola del Pisanello raffiguranteSant’Uberto [leggi: Sant’Eustachio], in cui non c’è traccia dicielo. La verde landa boscosa e le figure [animali] ricopertedi piume o di mantelli che la popolano si estendono fino alterminale della cornice.276 All’interno dell’aula capitolare diBarcellona sono conservati preziosi dipinti attribuiti a BernatMartorell, uno dei quali rappresenta la Moltiplicazione dei pa-ni e dei pesci; la folla si protende in alto, scalando le grandezzein profondità sino alla sommità della scena.277 In una tavoladel Museo di Cagliari, Sant’Eustachio [leggi: San Giuliano] in-segue un cervo che si volta a guardarlo con biasimo; un brac-co rosso e uno bruno, assieme a uno spaniel riccioluto, parte-cipano alla caccia. Qui il bosco arriva quasi alla sommità delpannello, come una macchia nera bordata da foglie. Benchéassurdo quanto alla coerenza del disegno [con lo spazio natu-rale], il dipinto è assai vivace.278 Sono tutte opere di Primitivi,

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con la Madonna col Bambino e il Volto di Cristo nel mandilion, nellacattedrale sassarese, della fine del XV secolo (sch. 69); per quella cin-quecentesca: l’Addolorata nella chiesa cagliaritana di S. Rosalia, attri-buita a Pietro Cavaro post 1520 (sch. 88), il Retablo dei Consiglieri nelPalazzo del Comune di Cagliari, 1527 circa (sch. 95) e il Retablo di No-stra Signora di Loreto nella sacrestia della cattedrale ozierese di S. Ma-ria (sch. 120), attorno al quale si è costruito il corpus del Maestro diOzieri, che svolge peraltro il ruolo di “grande assente” nella sistemazio-ne critica della Goddard King].276. [Si tratta della Visione di Sant’Eustachio di Antonio Pisano, detto ilPisanello, custodita a Londra nella National Gallery].277. [Il miracolo è raffigurato nello scomparto inferiore sinistro del Re-tablo della Trasfigurazione, in una delle cappelle radiali della cattedra-le di Barcellona, dipinto da Bernat Martorell fra il 1445 e il 1452; cfr.Gudiol i Ricart, Alcolea i Blanch 1986, cat. 389].278. [Si tratta della Caccia di San Giuliano nella Pinacoteca Nazionaledi Cagliari, elemento dello smembrato Retablo dell’Annunciazione at-tribuito a Joan Mates, di cui già si è detto].

È possibile che esistano in Sardegna altri importanti [anti-chi] dipinti di cui io non abbia avuto notizia, ma non credo.Nel percorrere l’isola al fine di raccogliere materiale per lagrande opera che non avrebbe mai scritto a causa della suaprematura scomparsa, Ellen Giles finì per vedere praticamen-te tutto quel che c’era da rilevare;273 benché i suoi taccuinisiano zeppi per la massima parte di annotazioni sul folklore,sugli usi e costumi, sull’abbigliamento tipico e sulle tradizio-ne orali, quando le capitava d’imbattersi in dipinti, questi ve-nivano puntualmente registrati. Ho letto con attenzione queitaccuini, e ho ragione di credere che alcuni dei dipinti de-scritti siano scomparsi per sempre dalla Sardegna. [DavidHerbert] Lawrence non riferisce nulla in proposito, ma [ciònon deve stupire poiché] la sua sensibilità andava piuttosto indirezione degli aspetti interiori, e non di quelli materiali, dellarealtà sarda.274 Ritengo comunque che i dipinti esaminati ediscussi in questa mia trattazione siano sufficientemente rap-presentativi e degni d’interesse in questo campo di studi.275

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273. E[llen] e A[nna Rose] Giles. [Dal contesto di questa e d’altre citazio-ni si deduce che le due, amiche della Goddard King, andavano elabo-rando un libro sulle sacre rappresentazioni in Sardegna; Anna Rosecontinuò a lavorarci anche dopo la prematura scomparsa di Ellen, mal’opera non risulta pubblicata].274. [Il riferimento è all’opera Sea and Sardinia di Lawrence (1923)].275. [Il panorama della Goddard King è in effetti abbastanza comple-to, ma fra gli antichi dipinti a lei noti risultano diverse lacune, princi-palmente relative a quelli sopravvissuti in chiese di secondaria impor-tanza o in luoghi allora difficilmente accessibili. Per i più rilevanti fraquesti cfr. Serra 1990, in particolare per gli affreschi romanici: i lacertidel S. Simplicio di Olbia e quelli del S. Lorenzo di Silanus (sch. 10-11);per la pittura su tavola due-trecentesca: il dossale della Madonna colBambino fra i Santi Antonio abate, Chiara, Giovanni evangelista, Ceci-lia, Dorotea e Francesco d’Assisi nell’episcopio di Oristano, attribuito aMemmo di Filippuccio ante 1300 (sch. 15), e la Madonna del Bosconella cattedrale di S. Nicola a Sassari, attribuita all’ambito di Nicolò daVoltri e alla fine del XIV secolo (sch. 17); per quella quattrocentesca: laMadonna del Giglio a Cagliari nella chiesa di S. Giacomo, dell’ultimoquarto del XV secolo (sch. 44), e lo splendido stendardo processionale

quella di Siviglia, di Valenza o Salamanca. Ma, come la pittu-ra a Cordova, a Játiva o a Saragozza, [la pittura sarda] è for-temente originale e i caratteri quattrocenteschi risultano sot-toposti a speciali adattamenti, volti a modificare e migliorare[i modelli]. Cosa possiamo dunque affermare, circa le pecu-liarità dell’espressione artistica sarda?

Questa gente testarda produsse uno stile altrettanto osti-nato e rigido: tenace per tradizione, per motivi ricorrenti, performe e composizione, con meno modifiche possibili. Le cor-nici gotiche continuarono ad essere utilizzate fino ad annisuccessivi il 1530 e i fondi d’oro ricorrono, sebbene sporadi-camente, fino al 1594.

I Sardi sono uomini duri e poco inclini ai modi aggrazia-ti, come la loro arte. Le loro Vergini non sono belle, ma nonvi è altro posto, all’infuori della Toscana, in cui le forme s’in-dovinino così solide sotto gli indumenti, le carni così sodealla percezione tattile. Gesti, pose, portamento personale so-no particolari, individuali.

Era necessario constatare e comprendere come le splendi-de accensioni di rosso, le intensità di verdi e di blu, le aureolee i fondi d’oro, le meravigliose decorazioni dei broccati, fosse-ro volutamente dipinte [nelle pale d’altare] in funzione di chie-se buie, senza [grandi] finestre, nelle quali il linguaggio roma-nico fu sorpassato solo dal gotico iberico levantino, e del restoambedue gli stili furono espressamente concepiti in modo dacontrastare un’ampia diffusione della luce all’interno. All’estre-mità della lunga navata, il retablo deve ardere e brillare, con ipersonaggi ben stagliati, ciascuno come sagoma isolata.

L’isola, autonoma, spesso isolata dall’Italia a causa dellasua situazione politica, come dall’Africa, dalla Francia e dallaSpagna per la sua posizione geografica, possiede un proprioartigianato artistico,283 perfettamente evoluto, completo e va-rio, e molto interessante quanto ai caratteri autoctoni della re-lativa produzione. La bellezza dei tessuti, il disegno delle cas-sapanche intagliate, dei mobili e delle porte, gli intrecci deicesti utilizzati al posto dei recipienti in terracotta, la perfezione

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283. [Per l’arte popolare sarda cfr. l’opera “classica” di Arata, Biasi 1935].

e quando questo momento pittorico ebbe termine, finì an-che questo tipo di composizione, per essere poi nuovamen-te appreso [dall’Occidente] sulla base dell’arte giapponese.279

A Martis, la grande tela di Lusso con San Pantaleo che guarisceun paralitico [alla presenza dell’imperatore Diocleziano]280 èorganizzata nello stesso modo, portando cioè sino alla corniceil gruppo dei dignitari da un lato e la folla dall’altro. La scenasembra una trascrizione, più tarda di un secolo, di quella deiVergós. La folla si compone di singoli individui, ciascuno ca-ratterizzato da un proprio atteggiamento spirituale, come inuna narrazione della Morte di Artù [sic]. Il colore si mantienebello nei suoi rossi e verdi squillanti, non offuscati, non velati,né modulati. Sebbene non si raccolga a macchia come nei ri-tratti di Holbein, appare ugualmente puro. Nella composizio-ne, nel colore, nella forma e nella visione concettuale, questapala d’altare è opera di un Primitivo, nonostante quella del-l’Assunta a Calangianus, dello stesso Lusso, risulti dipinta inuno stile che ricalca fedelmente modi italiani del XVI secolo.Dell’opera che egli firmò nel 1610 a Posada non rimane trac-cia.281 Questa di Martis è firmata nel seguente modo, al solitomolto stringato: Andreas Lusso Sardus Oppidi / Oleastrj dioe-cesis suellensis In/ventor an(n)o D(omi)ni 1595.282

I Primitivi sardi, in conclusione, sono artisti iberici al pa-ri dei pittori del XVII secolo. L’arte dell’isola è iberica come

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279. [Pur sbrigativo, il riferimento è allo studio della grafica giapponese daparte soprattutto degli Impressionisti francesi nell’ultimo quarto dell’Otto-cento e in generale degli artisti europei nei vari ambiti del Modernismo].280. Spano 1859a, pp. 89-93. [Firmata e datata nel 1595 dall’ogliastrinoAndrea Lusso, proviene dalla chiesa di S. Pantaleo e si trova nella par-rocchiale di S. Giuseppe a Martis].281. Spano 1870, pp. 18-19. [Dalla parrocchiale di S. Antonio abate aPosada proviene la tavola con il Perdono dell’adultera oggi nell’episco-pio di Nuoro, attribuita ad Andrea Lusso e agli inizi del XVII secolo, for-se in relazione con quella dei Misteri della Vergine, descritta dallo Spa-no con un cartellino dov’era scritto: Andreas Lussi de Oleasto an(n)oD(omi)ni 1610; cfr. Scano 1991, sch. 16].282. [Per Andrea Lusso, nato a Ilbono e residente a Lotzorai, documen-tato dal 1595 al 1627, cfr. Cocco 1975].

salute, né sicure di se stesse, mentre gli angeli sospesi soprala Regina dei Cieli esprimono una sensibilità inquieta. Diver-si giovani santi pensosi meditano in concentrato silenzio. LaPietà nella predella, che in Italia cessa ben presto di rappre-sentare anche soltanto una possibile scelta di soggetto, vienequi mantenuta e utilizzata con straordinaria dedizione: glistessi soldati romani dimenticano il loro dovere e si abban-donano all’adorazione [del Cristo].

In Sardegna la religione incute ancora timore. Nei dipintidi cui si è detto, essa permea lo spazio come un suono chesi produce in un altro ordine di accadimenti, come un profu-mo d’incenso. È onnipresente, dalle rigide figure di San Fran-cesco e San Nicola della [ex] cattedrale di Ottana al languidoSan Giacomo nella cappella [della chiesa cagliaritana] delCarmine. Come nella pittura spagnola ritroveremo sempre undettaglio realistico, in alto su una mensola o in altro oggettoin primo piano, così un flusso, un palpito di religiosità ema-na dalla pittura sarda, da un volto o da un gesto, nel voltarsidella testa di un angelo, nelle spalle curve di un pastore.

Gli interni in cui hanno luogo l’Annunciazione o la Vi-sitazione, il comporsi di San Giuseppe, della Vergine e delBambino in gruppo con un gesto che è assieme naturale einformale, evocano quel particolare senso dell’atmosfera diuna casa, di una vita trascorsa fra le pareti domestiche, chiu-sa, delimitata e al sicuro, che soltanto la nostra immaginazio-ne ha reputato una creazione del XIX secolo.

Il viaggiatore che si rechi in Sardegna non sarà in grado diapprezzare tutto ciò nella gente di paese che gli capiterà di in-contrare. Egli guarderà i volti duri degli indigeni, e probabil-mente li riterrà scortesi. Si lamenterà dei loro costumi ancestra-li, della poca pulizia e trasandatezza, esattamente come riferìLiutprando da Cremona a proposito dei nobili e dell’imperatoredi Bisanzio. Non vedrà nient’altro, a meno che non ci si mettad’impegno a capirli: il vero contadino è timido come un mu-flone. I dipinti, tuttavia, potranno essere da lui ammirati senzaalcun problema. Essi identificano la razza sarda, profondamen-te radicati al suolo dell’isola; oltre a possedere una loro bellez-za, hanno tutte le qualità più rare di un’arte non cittadina.

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dei manufatti artigianali in ferro battuto, hanno imposto allagente [sarda] un senso della decorazione che indirizza non soloalla pura creatività ma anche al gusto artistico. Il retablo è orga-nizzato alla stregua di un arazzo, perfettamente in grado di as-surgere a modello, al pari del broccato nei mantelli e nelle dal-matiche. Anche i singoli oggetti – coppa, pastorale o leggio –raffigurati nei dipinti assumono di conseguenza una vita pro-pria. Le piastrelle furono probabilmente un lusso [e un artico-lo] d’importazione, benché mi sia capitato di vederne molte aCagliari, simili a quelle su cui si erge il Battista [nel retablo] diVillamar. In effetti è possibile che il meridione dell’isola posse-desse un tipo d’argilla adatto per la fabbricazione delle piastrel-le, nonostante gli azulejos [del retablo] di Sant’Eligio siano dellapiù fine fattura iberica. I copriletto,284 gli arredi, le strade citta-dine raffigurate in una predella, lo sfondo paesaggistico in unoscomparto superiore, come pure i motivi stampigliati sul fondod’oro e le decorazioni a intaglio della cornice, sono tutti motivinuovi, locali, e non ripetuti altrove. Sia le vie cittadine, sia lecittà turrite e le baie circondate dalle montagne sono trattatecon notevole attenzione al dettaglio. Le differenze fra Barcello-na e Cagliari nell’uso del fondo d’oro sono sorprendenti, comequelle fra Cagliari e l’Umbria per quanto attiene allo sfondopaesaggistico, e sono differenze che decretano la superioritàdel più piccolo, e non del più grande. Il commerciante è felicequando riesce a ripetere i suoi exploit, ma il tessitore, il cera-mista e il pittore al banco di lavoro non si ripetono mai.

L’isola è una dura madre. Il terreno non è fertile, il climaè ostile, reso ancor più inclemente dalle nevi e dai miasmi[delle paludi]. Di conseguenza gli isolani si sono temprati inmodo più simile alle razze nordiche, per insegnare loro il sen-so del focolare, la riservatezza, la sensibilità della gente avvez-za a vivere in interni. Varianti di luce, di umore, di benesserefisico sono percepibili nelle Vergini di Pietro Cavaro, nel Reta-blo di Tuili, nel trittico di Sorradile. Le Madonne – persinoquella di Castelsardo – non sono ieratiche e distaccate, né ap-paiono serene nella consapevolezza della propria bellezza e

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284. Mantas [in sardo].

APPENDICE

Dopo aver già consegnato per la stampa questi miei ap-punti di lavoro, mi è giunta dalla Sardegna una lettera [di An-na Rose Giles] dalla quale ho appreso il seguente aneddoto:

«… in quella stessa stanza [del Museo di Cagliari] è appesala predella di una perduta ancona della chiesa di S. Lucifero,dipinta dal migliore dei due pittori catalani [Joan Figuera].Uno dei vecchi camerieri dell’hotel “La Scala di Ferro” mi haraccontato tutta la storia, di come cioè essa fu scoperta da unprofessore continentale. Questo professore deve aver posse-duto un occhio molto acuto e riconosciuto l’intaglio gotico,perché egli vide un asse utilizzato nel recinto dei polli nelcortile di una casa non distante dalla chiesa. Domandò ai pro-prietari se gli potessero dare quella tavola in cambio di un’al-tra e, non appena accettarono, diede loro del legno nuovo eventi lire. Si fece portare la tavola alla “Scala di Ferro” e lì, inuna stanza che mi fu indicata dal cameriere, con infinita pa-zienza e attenzione rimosse con il suo temperino spesse manidi tinta, riportando alla luce l’antico dipinto! Al momento dirientrare in continente, il professore imballò per bene l’ogget-to all’albergo, ma alla dogana alcuni ufficiali gli domandaronocosa ci fosse in quel lungo pacco. – Una tavola – egli rispose.– Ce la faccia vedere – dissero, e gliela confiscarono. Mi sonoinformata presso [il Soprintendente alle Antichità Antonio] Ta-ramelli, in merito alla storia e cosa ne fosse stato dell’antico di-pinto, ed egli mi ha detto: – Sì, andò proprio così, e quello –indicandomi proprio la predella di cui mi aveva parlato l’Aru– è il pezzo in questione –. Mi è dispiaciuto in seguito nonaver domandato se al professore fosse stata o meno commina-ta una punizione, oltre alla confisca della predella. Certo, eraillegale che egli la portasse fuori dall’isola senz’alcuna autoriz-zazione, ma [a mio avviso] avrebbe dovuto comunque ricevereun premio, per aver evitato, grazie all’acutezza del suo sguar-do e al suo paziente lavoro, che un notevole antico dipinto di-ventasse [prima o poi] legna da ardere».

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PITTURA SARDA DEL QUATTRO-CINQUECENTO

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PITTURA SARDA DEL QUATTRO-CINQUECENTO

222

79, 92, 94, 104, 130, 142, 167-168,171, 180, 193, 213

Avignone, 119, 123Avila– cattedrale, retablo mayor, 154– convento di Santo Tomás, 84Aymerich, famiglia, 171

Baço, Jaume, vedi JacomartBadia, Antonio de, 79, 167Barcaló, Joan, vedi BarcelóBarcellona, 11, 21, 68, 78, 84-86, 102,

118, 123, 139, 142, 146, 167, 210– cappella di S. Agata, Retablo del

Conestabile, 76, 96, 174– cattedrale, 166-167

Retablo della Trasfigurazione, 207Retablo delle Sante Chiara e Cateri-na, 70, 196

– chiesa di S. Antonio abate, Retablodi Sant’Antonio, 69, 111

– chiesa di S. Maria del Mar, 95– collezione Pedro Anês, 87, 91-92– convento vecchio degli Agostinia-

ni, 90– Museu d’Art de Catalunya, 104

Consacrazione vescovile di Sant’Ago-stino, 90, 94Nostra Signora degli Angeli, 132Retablo di Cubells, 90, 96Retablo di Granollers, 82, 111, 136Retablo di S. Vincenzo di Sarrià,111, 146San Giorgio e la principessa, 18, 31,86-87, 90, 92

223

Accascina, Maria, 64Agramont, 90Agramont, Violante di, 90Ainaud de Lasarte, Joan, 13, 87Ajaccio, Musée Feche, 104Alcoba Gómez, Ernest, 174Alcolea i Blanch, Santiago, 17, 68-70,

76, 78, 82, 85, 87, 90-91, 102, 107,116, 122, 132, 146, 207

Alcoy i Pedrós, Rosa, 78, 90, 132, 146Alemany, Pere, 91Alfonso V il Magnanimo, 71, 75, 123-

124, 136Alfonso X il Saggio, 107Alghero, 68, 126– cattedrale di S. Maria, 42Alinari, Vittorio, 130Ampurias, 112, 124, 126Andrea da Salerno (Andrea Sabatini),

180, 183Anês, Pedro, 87, 91-92Angiolillo, Simonetta, 42Anselmo da Como, 41Arata, Giulio Ulisse, 209Ardara, 38, 160– parrocchiale di S. Maria del Regno,

43affreschi, 67, 155Retablo maggiore di Ardara, 12,19, 40, 102, 148-152, 155, 160, 162,165, 190, 198, figg. 27-28Retablo minore di Ardara, 155, 158stendardo processionale, 156-157,159, figg. 29-30

Aru, Carlo, 8, 12, 16, 31, 61, 74-75,

* L’indice tematico della Goddard King è stato qui riformulato comeanalitico, limitando però i richiami alle pagine in cui compaiono i nomipersonali di pittori, committenti, collezionisti e studiosi, e i nomi geo-grafici relativi ai centri di produzione, ai luoghi di provenienza e all’ubi-cazione attuale delle opere.

INDICE ANALITICO*

Barceló, Daniel, 94, 139Barceló, Joan, 11, 18, 73, 93-95, 98,

103-104, 108, 114-115, 118, 124,139, 160, 167, 176

Barrachina Navarro, Jaume, 76Barumini, parrocchiale dell’Immaco-

lata, 205Bassa, Arnau, 68Bassa, Ferrer, 68Beato Angelico, 72, 164Beaumont, Giovanni II di, 87Beaune, 123Bellini, Giovanni, 107Benetutti, 23, 178Berlino, 87, 91– Kaiser Friedrich Museum, 87Bermejo, Bartolomé (de Cadenas), 119Berruguete, Pedro, 84-85, 154Bertaux, Émile, 13, 87, 134, 136Beseran i Ramon, Pere, 69Bessude, 159– parrocchiale di S. Martino, San Mar-

tino cavaliere, 159Biasi, Giuseppe, 209Biehl, Walther, 12Birmingham, City Museum, Madonna

col Bambino, 12, 14, 31, 59-60, 104,115, 131-133, 168, 194-195, fig. 21

Bisarcio, vedi OzieriBoí, 63Bologna, Ferdinando, 123, 135Bonu, Raimondo, 61Borgia, Alfonso, vedi Callisto IIIBorgia, Rodrigo, 182Borgoña, Juan de, 154Borrassà, Lluís, 70-71, 78, 102, 119, 122Bortigali, parrocchiale della Vergine

degli Angeli, Retablo di Bortigali,178

Borutta, chiesa di S. Pietro di Sorres,41, 159-160

Bosa, 59, 197, 202– chiesa di Nostra Signora de sos Re-

gnos Altos, affreschi, 15, 63, 197– episcopio, Sacra famiglia, 197Bosch, Francesco, 75, 139

Bosch, Pablo, 95Bosch i Ballbona, Joan, 146Boston– collezione Gardner, Sant’Antonio

in trono, 69– Isabella Stewart Gardner Museum,

San Michele, 107, 119, 123– Museum of Fine Arts, affreschi di

Santa Maria de Mur, 63Botticelli (Sandro Filipepi), 179Bouchier, E. S., 34Bouts, Dirck, 118Bruges, 123Bruguera, Arnau ça, 68Brunelli, Enrico, 12, 31, 70, 114, 124,

131, 197Burgal, chiesa di Sant Pere del, affre-

schi absidali, 63

Cabot, collezione di Emilio, 31, 86Cabras– chiesa di S. Giovanni di Sinis, 42– chiesa di S. Salvatore, 42Cabrera, Bernat Joan de, 87Cabrera, Jaume, 122Cagliari, 18, 21, 38, 59-60, 74, 79, 98,

104, 108, 114, 124, 126, 139, 143,147, 151, 165, 167-168, 170, 182,184, 190-191, 193, 195, 200, 210

– cattedrale di S. Maria di Castello, 41,43, 46Retablo dei Beneficiati, 12, 21-23,178, 185, 190-191, fig. 37

– chiesa del Carmine, Pala di Sant’An-na, 21, 193, 211

– chiesa della Madonna di Bonaria,47, 203

– chiesa di S. Agostino nuovo, 92– chiesa di S. Domenico, 13-14, 21,

60, 180, 184– chiesa di S. Francesco di Stampace,

18, 79, 94, 98, 102-103, 142, 170,180, 182, 196

– chiesa di S. Giacomo, Madonnadel Giglio, 206

– chiesa di S. Lucifero, 85, 213

PITTURA SARDA DEL QUATTRO-CINQUECENTO

224

– chiesa di S. Rosalia, 14, 131Addolorata, 207

– chiesa di S. Saturno, 35– convento di S. Leonardo, 134, 183– Corte d’Appello, Crocefisso, 23-24,

178– Museo, vedi Pinacoteca Nazionale– Palazzo del Comune

Arcangeli, 193Retablo dei Consiglieri, 21, 207

– Pinacoteca Nazionale, 12, 59, 61,70, 73, 112, 119, 175, 184, 187Madonna col Bambino, 73Madonna della Consolazione, 21,196-197Pala di Sant’Agostino, 179-180, 183Pala di Sant’Orsola, 203Predella di S. Lucifero, 12, 14, 18,85-90, 213, figg. 6-8Retablo dell’Annunciazione, 17-18,74, 78, 207Retablo della Porziuncola, 103-104Retablo della Visitazione, 19, 93-95,98, 104, 115, 118, 167, 176, fig. 9Retablo del Presepio, 97-98, 100-104, 116, 118, 134, 168, figg. 10-12Retablo del S. Francesco di Orista-no, 176Retablo di Nostra Signora della Ne-ve, 170Retablo di San Bernardino, 11, 18,79-80, 85-86, 94, 96, 111, 167, fig. 5Retablo di Sanluri, 19, 40, 78, 82,104, 115, 134, 136-139, 141-142,162, 167-168, 172, 176, 183, 210,figg. 22-24Sant’Agostino in cattedra, 21, 92Santi Giovanni e Matteo, 195Santi Pietro e Paolo, 21, 180, 184

– Università, collezione Piloni, Sepol-tura di Cristo, 196

Calangianus, parrocchiale di S. Giusta,Pala dell’Assunta, 208

Caleca, Antonino, 74Callisto III, papa, 136Campagnola Cicala, Francesca, 182

Canilla, Gabriele, 91, 139Cannas, Maria Cristina, 67Cannero, 23, 178Carbonell, Luigi, 75Cardisco, Marco, 183Carnicer, famiglia, 98, 103Casas, collezione, 122, 132Castagnola, Bartolomeo, 194-195Castelsardo (Castellaragonese), 126– cattedrale di S. Antonio abate, Reta-

blo di Castelsardo, 12, 19, 60, 104,112, 115, 124, 126-132, 148, 168,210, figg. 18-20

– convento di S. Maria delle Grazie,126

Cataholo, Joan, 151, 155, 160Cavallini, Pietro, 62, 64, 66Cavaro, 11, 168Cavaro, Antonio, 168Cavaro, Antonio (doc. 1556), 170Cavaro, Lorenzo, 114, 168, 170Cavaro, Michele, 16, 21-22, 168, 170,

192, 196, 205Cavaro, Pietro, 12-13, 16, 19-23, 92,

103, 114-115, 119, 165, 168-169, 171,173-174, 176, 178, 180, 184-187, 190,192, 195, 198, 205, 207, 210

Cavaro, Pietro (doc. 1541), 170Cefalù, cattedrale, mosaico absidale, 62Cervera, 86, 90-91, 139Chabas, Roque, 37Chamberlain, A. B., 12Châtelet, Albert, 96, 119, 190Città del Vaticano – Palazzo dei Papi,

Cappella Sistina, 22Logge vaticane, 22Stanza di Eliodoro, 122

– Pinacoteca Vaticana, Trasfigurazio-ne, 164-165

Cocco, Flavio, 208Cocurullo, Silvia, 135Codrongianos, chiesa della SS. Trinità

di Saccargia, 41, 64affreschi absidali, 11, 15, 40, 61, 63-66, 126, fig. 1

Indice analitico

225

Retablo maggiore di Saccargia, 109-110, 112Retablo minore di Saccargia, 104,109, 111, 113, 126, fig. 14

Colantonio, 71Colmar, Museo di Unterlinden, Dittico

dell’Annunciazione, 96Concas, Roberto, 135Cordova, 209Coroneo, Roberto, 35, 40-42Cossu, Pietro, 170Costa, Enrico, 155, 158Costantinopoli, vedi IstanbulCrivelli, Carlo, 107, 204Cruïlles, chiesa di S. Michele, 122Cubells, 90, 139– parrocchiale, 90

Dalmases, Núria de, 63, 162Daroca, 119De Dominici, Bernardo, 183Delitala, Mario, 201Della Marmora, Alberto, 13-14Delogu, Raffaello, 16, 40Dolianova, 126, 143– parrocchiale di S. Pantaleo, 41, 43

affreschi, 11, 61, 67Retablo di Dolianova, 40, 143-144,146-148, 195, figg. 25-26

Dürer, Albrecht, 19, 134

El Greco (Domenico Theotokópulos),190

Engolasters, Sant Miquel de, affreschiabsidali, 64

Español, Francesca, 146Eyck, Jan van, 8, 118, 123-124

Fenollar, 63Fernández, Pedro, 22Ferrante d’Aragona, 123Ferrer, Bonifacio, 108Ferrer, Jaume I, 102Figuera, Joan, 11-12, 18, 31, 73, 79-80,

83, 85-86, 88-92, 96, 103, 111, 139,142, 167, 213

Figuera, Matias (Matteo), 79, 139

Filippo il Buono, 82Filippo V di Spagna, 86Fiorillo, Francesco o Domenico, 183Firenze, 7, 154Fonni, 59-60– parrocchiale di S. Giovanni, Retablo

di Fonni, 12, 197-198Forment, Damià, 166Fra Bartolomeo (della Porta), 191Francken, Frans, il Giovane, 205

Galleri, Claudio, 203Galtellì, chiesa di S. Pietro, affreschi,

15, 40, 63García de Benabarre, Pere, 107, 174Garriga i Riera, Joaquim, 82, 85, 166Garro, Pietro, 94Gascó, Joan, 82Genova, 15Gergei, parrocchiale di S. Vito, – Pala della Madonna del Libro, 205– Retablo di Gergei, 12, 178, 187, 205Ghilarza, chiesa di S. Pietro di Zuri, 41Ghirlandaio, Domenico, 108, 154Giustiniano, 164Giles, Anna Rose, 8, 14, 26, 31, 57-58,

193, 195, 197, 206, 213Giles, Ellen, 8, 14, 58, 193, 197, 206Giner, Tomás, 91Giovanni di Giusto, 123Girona, 22– Museo de Arte, Retablo di Cruïlles,

122Gistafre, Bartolomé, 139Goddard King, Georgiana, 7-24, 26-

27, 33, 38, 40, 43, 55, 58-61, 64, 66-67, 74, 76, 86, 92, 95, 98, 102-103,109-110, 114, 116, 118-119, 127,134-135, 138, 143, 148-149, 151,154, 158, 160, 162, 167-168, 170-172, 175, 178, 180, 182-183, 190,193-194, 196-198, 200, 204-207

Godiel, Joana, 168Gonnostramatza, parrocchiale di S. Mi-

chele, Retablo di Gonnostramatza,114, 168, 170

Goya y Lucientes, Francisco, 70

PITTURA SARDA DEL QUATTRO-CINQUECENTO

226

Granollers, chiesa di S. Stefano, 82Grodecki, Louis, 162Gros, Michele, 79Grünewald, Mathias, 172Guallerotti, Giacomo di Lanfranco, 74Guàrdia i Pons, Milagros, 87, 90, 116Gudiol i Ricart, Josep, 17, 68-70, 76,

78, 82, 85, 87, 90-91, 102, 107, 116,122, 132, 146, 207

Guercino (Domenico Barbieri), 193

Heinz-Mohr, Gerd, 154Holbein, Hans, 208Huguet, Jaume, 8, 18, 27, 69, 76, 78,

82, 85, 87, 90-92, 94-95, 111, 116,136, 139, 146, 174

Imparato, Girolamo, 21, 193Istanbul, chiesa di S. Sofia, 62

Jacomart (Jaume Baço), 19, 27, 75, 94,118, 124, 136, 138-139

Játiva, 94, 136, 138-139, 182, 209– castello, 94, 138– collegiata, Retablo di papa Callisto,

136, 139José i Pitarch, Antoni, 63, 162

Lacarra Ducay, Maria Carmen, 91Lawrence, David Herbert, 206Leda, Giacomo, 114Leone de Castris, Pierluigi, 71, 135Liaño, Emma, 166Lilliu, Giovanni, 205Limentani Virdis, Caterina, 183Lione, 166Lleida, chiesa di S. Giovanni del Mer-

cato, 107Loga, Valentin von, 87, 92Logroño, 191Londra, 13– National Gallery, Visione di Sant’Eu-

stachio, 207Lorenzetti, Pietro e Ambrogio, 72Lucco, Mauro, 182Lunamatrona, parrocchiale di S. Gio-

vanni, Retablo di Lunamatrona,

178, 181, 185-186, 191, fig. 36Lusso, Andrea, 165, 207-208Luton Hoo, The Werner Collection,

San Michele arcangelo, 119, 123

Machuca, Pedro, 22Madrid– Biblioteca dell’Escorial, Cantigas de

Santa María, 107– collezione José Lázaro, 107, 119,

122-123– Museo del Prado

Retablo di San Tommaso d’Avila, 84Visitazione, 95-96

Maestro delle Tempere francescane,70, 73

Maestro di Castelsardo, 12, 14, 18, 60,103-104, 111, 113, 115, 117, 120-121, 124, 126-129, 131-133, 146

Maestro di Oliena, 192, 203Maestro di Olzai, 105-106Maestro di Ozieri, 23-24, 177-178, 207Maestro di Sanluri, 134, 137, 141Maestro di San Severino, 123, 135Maestro di Sant’Ildefonso, 138Maestro di Sant’Orsola, vedi Pinna,

FrancescoMagnani, Marco, 13, 178Mainas, Antioco, 21, 176, 181, 186-

187, 193, 196Maltese, Corrado, 16Manno, Giuseppe, 8-9, 31, 33, 36, 45,

55-56, 124Manresa, 84– chiesa di S. Maria, cappella di S. Ni-

cola, Retablo di San Nicola, 122Maracalagonis, parrocchiale di S. Ma-

ria, Retablo di Sant’Antonio, 170Marghinotti, Giovanni, 13Mariano IV d’Arborea, 70Mariotto di Nardo, 68-69Martini, Pietro, 41Martis– chiesa di S. Pantaleo, 208– parrocchiale di S. Giuseppe, Pala di

Martis, 208Martorell, Bernat, 75, 207

Indice analitico

227

Martorell, Bernat (II), 70Mateo, 110Mateo Gomez, Isabel, 84, 154, 182Mates, Joan, 17, 74, 78, 207Melis, Antonio, 196Memmo di Filippuccio, 15, 206Mestre, Francesc, 91Michelangelo (Buonarroti), 7, 22, 59Milano, Pinacoteca Ambrosiana, Ma-

donna del Padiglione, 179Milis, chiesa di S. Paolo, Retablo di Mi-

lis, 76-77, fig. 4Mirambell, Miquel, 82Monaco, 118– Alte Pinakothek, Madonna Tempi,

186Montañes, Juan Martinez, 198Monreal, Luisa di, 87Monreale, cattedrale, mosaico absida-

le, 62Montesa, Cavalieri di, 164-165Mont Saint-Michel, 122Morelli, Giovanni, 127, 167Morris, William, 148Mur, Dalmau de, 91, 99Mur, Ramon de, 18Murillo, Bartolomé Esteban, 70Muru, Giovanni, 12, 19, 149-152, 155,

165

Nadal, Miquel, 70Napoli, 11, 22, 58, 69, 70-71, 114, 119,

123-124, 135, 147, 182-184, 192– chiesa dei SS. Severino e Sossio,

135, 179– chiesa di S. Lorenzo maggiore, 71– Museo di Capodimonte, 123

Pala di San Leonardo, 183, 190Pala di San Lorenzo, 71Pala di San Severino, 19, 123, 135,179-180, 183-184San Francesco dà la Regola, 71, 92

Navarro, Fausta, 71, 123, 135, 182New York– collezione Tozzi, Retablo dei SS. Pie-

tro e Marco, 59-60– Metropolitan Museum, Sacra fami-

glia, 203Nicolò da Voltri, 15, 206Nuoro, 202– episcopio

Crocefissione, 205Perdono dell’adultera, 208

Olbia, chiesa di S. Simplicio, affreschi,206

Oliena, 52, 60, 131, 195, 202– chiesa di S. Maria, 202

Assunzione della Vergine, 202– parrocchiale di S. Ignazio

Apostolado, 59, 202Retablo di San Cristoforo, 12, 192,203, fig. 40

Oliver, Francesco, 79Olzai, 60, 108, 201– chiesa di S. Barbara

Retablo della Peste, 12, 105-106, 108,147, 154, 200, fig. 13Retablo di Sant’Anastasio, 200Sante Apollonia, Lucia e Barbara,200

– parrocchiale di S. Giovanni, 106, 200Orani, parrocchiale di S. Andrea, Re-

tablo di Orani, 12, 189, 201, fig. 39Orense, 66Oristano, 42, 60, 131, 168, 193, 195,

197– Antiquarium Arborense

Madonna dei Consiglieri, 196Retablo di S. Martino, 17-18, 197Santi e Sante a coppie, 195-196Santi martiri francescani, 195

– cattedrale di S. Maria, 75-76, 196elementi di polittico, 196picchiotti bronzei, 75

– chiesa di S. Francesco, 76, 176, 194-195Crocefisso di Nicodemo, 22, 178Stigmate di San Francesco, 21, 195

– chiesa di S. Martino, 197

PITTURA SARDA DEL QUATTRO-CINQUECENTO

228

– episcopio, Madonna col Bambino,15, 206

– Palazzo del Comune, 195-196Orosei, chiesa di S. Antonio abate, af-

freschi, 15, 63Orrù, Antonia, 168Ortu, Antonio, 79, 167Osma, Guillermo J. de, 71Ottana, 126– parrocchiale di S. Nicola, 41

Pala di Ottana, 11-12, 15, 61, 67,70, 72-73, 139, 200, 211, fig. 3

Ozieri, 126, 160– cattedrale di S. Maria, Retablo di No-

stra Signora di Loreto, 23, 178, 207– chiesa di S. Antioco di Bisarcio, 149,

159-160

Pagano, Francesco, 135, 180-183Palermo, 62Palmira, catacombe, 72Paolo da San Leocadio, 182Parigi, Louvre, avorio Barberini, 164Paris, Wally, 149, 155, 158, 162, 178Pavone, Mario Alberto, 82Peñasco, collezione, 132Pérez Sánchez, Alfonso E., 147Perfugas – chiesa di S. Giorgio, 162, 164-165– parrocchiale di S. Maria degli Ange-

li, Retablo di Perfugas, 12, 102, 151,160-163, 167, fig. 31

Peris, Gonzalo, 95Pescarmona, Daniele, 13, 59-60Picalull, Berenguer, 75, 139, 167Piero della Francesca, 8Pinna, Diego, 204Pinna, Francesco, 21, 203Pinturicchio (Bernardino di Betto),

148, 203Pirez, Alvaro, 73Pisa, 9, 15, 43, 74– Camposanto, Trionfo della Morte, 45– cattedrale, 38Pisanello (Antonio Pisano), 108, 207

Placentinus, 75Ploaghe, 59, 178– casa parrocchiale, 60Poli, Fernanda, 41, 63Pollini, Domenico, 43, 74Porcu, pittore, 160Porcu Gaias, Marisa, 42, 164-165, 204Porto Torres, parrocchiale di S. Gavi-

no, 41, 43Posada, parrocchiale di S. Antonio,

205, 208Post, Chandler Rathfon, 13, 16, 60, 107,

122Prades, Violant de, 87Puiggarí, J., 136Put, Albert van der, 87Puxeddu, Giovanni Angelo, 196

Quartararo, Riccardo, 182

Raffaello (Sanzio), 22, 58, 61, 122, 148,164-165, 168, 186

Recht, Roland, 96, 119, 190Reinach, Salomon, 82Reixac, Joan, 27, 90, 94, 96, 136, 139Reni, Guido, 193Ribera, Jusepe de (lo Spagnoletto), 58,

147Ripoll, chiesa di S. Maria, 116Roig, Salvator, 159Roma, 15, 22, 165, 168, 192– basilica di S. Cecilia, 64, 66– basilica di S. Maria in Trastevere, 66Rowley, George, 83Ruiz i Quesada, Francesc, 70Ruskin, John, 167

Saccargia, vedi CodrongianosSagama, 197Salamanca, 110, 209– cattedrale vecchia, 158– chiesa delle Agostiniane, San Gen-

naro in gloria, 147San Giorgio de Alfama, Cavalieri di,

164

Indice analitico

229

Stampace, scuola di, vedi CagliariStarnina, Gherardo, 108Steppe, J. K., 164Suelli, parrocchiale di S. Pietro, Reta-

blo di Suelli, 205Sureda, Joan, 166

Taramelli, Antonio, 31, 213Tarragona, cattedrale, 166Taüll, 63Terrassa– chiesa di S. Maria, Retablo dei Santi

Abdon e Senen, 85, 90– chiesa di S. Pietro, 85Thieme, Ulrich, 183Timoneda, parrocchiale, 102Tintoretto (Jacopo Robusti), 190Tocco, Michele, 114, 170Tomàs, Rafael, 12, 18, 79-80, 85-86,

103, 111, 142, 167Torcello, cattedrale, mosaico absidale,

62Tormo y Monzó, Elias, 118, 135-136Torriti, Iacopo, 62Tortosa, 94, 98– cattedrale, 132Tramoyeres Blasco, Lluís, 42, 136Trieste, basilica di S. Giusto, mosai-

co absidale, 62Trivulzi, Joan Baptista, 204Tschudi, von, collezione, 68, 91-92, 195Tuili, parrocchiale di S. Pietro

Retablo della Pentecoste, 205Retablo di Tuili, 12, 17, 19, 25, 40,60, 86, 103-104, 115-121, 124, 126-127, 130-132, 142, 148, 167-168,201, 210, figg. 15-17

Tuy, 66

Urbino, 154Urgell, Seu de, affreschi absidali, 63

Valenza, 11, 42, 58, 78, 107, 132, 135,182, 203-204, 209

– cappella della certosa di Porta Coe-

li, 108– cattedrale, Natività, 182– Museo de Bellas Artes

Retablo dei Martí di Torres, 95Retablo di Porta Coeli, 108

Valery (Antoine-Claude Pasquin), 13Valladolid, Museo de Escultura, Sant’A-

tanasio, San Luigi di Tolosa, 136,138, 142

Vasari, Giorgio, 7Velázquez, Diego Rodríguez de Silva

y, 201Venezia, 60, 168Venturi, Adolfo, 12Vergós, bottega, 82-83, 91, 111, 136,

142, 146, 174, 208Viana, Principe di, Carlo, 90Vic, 74, 102, 118-119, 132– Museu Episcopal, Retablo della Vo-

cazione francescana, 70-71, 78, 102,119

Vilafranca del Penedès, chiesa di S.Francesco, Retablo della Vergine edi San Giorgio, 70

Villamar, 171– parrocchiale di S. Giovanni, Retablo

di Villamar, 12, 17, 20-22, 103, 114,119, 148, 167-171, 173, 175, 178-180,184-185, 198, 210, figg. 32-34

Villanueva, storico, 182Viñaza, Conde de la, 136Vivarini, Alvise, 168

Wagner, Max Leopold, 57Weyden, Rogier van der, 123-124Wiesbaden, 23, 178

Yarza Luaces, Joaquín, 91, 95, 108,136, 138

Zanzu, Giovanni, 191Zaragoza, Llorenç, 75Zeri, Federico, 13Zurbarán, Francisco de, 198Zuri, vedi Ghilarza

Indice analitico

231

Sanluri, 138-139– parrocchiale di S. Pietro, 134Sanna, Giovanni, 165Sanpere i Miquel, Salvador, 13, 31, 91,

136, 155San Pietroburgo, 82Santa Giusta, cattedrale, 15Sant’Angelo in Formis, 63Sant’Angelo di Monte Gargano, 63Santas Creus, Joan di, 115Santas Creus, Violante di, 115Santiago, cavalieri di, 164Santiago de Compostela, cattedrale,

Portico de la Gloria, 110Saragossa, Llorenç, 119Saragozza, 102, 209– cappella del palazzo episcopale

San Martino e Santa Tecla, 91, 99Sant’Agostino e San Lorenzo, 91, 99

– convento del Santo Sepolcro, 107– Museo Provincial de Bellas Artes

Retablo del Salvatore, 107Sari, Aldo, 42, 47, 162, 164-165Sarrià, parrocchiale di S. Vincenzo, 146Sarroca, 166Sassari, 94, 167, 202, 204– cattedrale di S. Nicola

ante d’organo, 204Madonna del Bosco, 15, 206Madonna del Tempietto, 204stendardo processionale, 206-207Traslazione dei Martiri turritani,131

– chiesa di S. Maria di Betlem, 204– convento di S. Antonio, Santo dia-

cono, 204– Museo Nazionale “G. A. Sanna”

Crocefisso, 23, 177-178, fig. 35Trittico di Sant’Antonio, 11, 61, 67-69, fig. 2

– Palazzo del Comune, 60, 178Sassetta (Stefano di Giovanni), 84Scano, Dionigi, 31, 40Scano, Maria Grazia, 59, 131, 195-196,

204-205, 208

Schöngauer, Martin, 96, 190Sedini, parrocchiale di S. Andrea, 165

Trasfigurazione, 164-165Segni Pulvirenti, Francesca, 42, 47,

162, 164-165Segorbe– chiesa delle Agostiniane, 138– Museo della Cattedrale, Retablo del-

le Sante Eulalia e Chiara, 70, 196– Museo Diocesano, Retablo di San

Martino, 19, 136, 138-139Semestene, chiesa di S. Nicola di Trul-

las, affreschi, 15, 40, 63Serra, Jaume, 75, 107Serra, Pere, 17, 68, 70, 75, 102, 132Serra, Renata, 16, 40, 60, 62-64, 68,

70, 73-76, 79, 86, 92, 94, 98, 103-104, 106, 110-111, 115, 126, 131,134-135, 143, 146, 149, 159-160,168, 170-171, 176, 178, 180, 184,186-187, 190, 193, 195-197, 203-206

Serramanna, parrocchiale di S. Leo-nardo, 42

Serreli, Marcella, 47, 204Siddi, Lucia, 67, 199Siena, Palazzo del Comune, 154Silanus, chiesa di S. Lorenzo, affreschi,

206Silvestro, vescovo di Ottana, 70Sinis, vedi CabrasSiviglia, 58, 198, 209– cattedrale, 198– chiesa di S. Giuliano, 198Solsona, Museo Diocesano, Ultima ce-

na, 102Sorradile, parrocchiale di S. Sebastia-

no, Retablo di Sorradile, 178, 189,197, 199, 210, fig. 38

Sorres, vedi BoruttaSpagnoletto, vedi RiberaSpano, Giovanni, 9, 12, 14, 31, 38,

41, 60-61, 74-76, 112, 114, 131, 142,149, 151, 155, 165, 167, 170, 193-196, 202, 205, 208

Spanu, Gian Nicola, 106

PITTURA SARDA DEL QUATTRO-CINQUECENTO

230

Finito di stampare nel mese di gennaio 2000presso lo stabilimento della

Stampacolor, Sassari