Pinocchio's library

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LA BIBLIOTECA DI PINOCCHIO PINOCCHIO’S LIBRARY

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Peter Belyi catalog (2003-2008)

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01 PINOCCHIO S LIBRARYE se Pinocchio da grande fosse diventato architetto? Così Belyi immagina il famosissimo personaggio di Collodi, protagonista di questo lavoro. Com’è notoPinocchio è un tema ricorrente di molte opere d’arte recenti e passate, non solo nelle arti visive, ma anche nel teatro, nel cinema e nella musica. La figuradel burattino che affronta rocambolesche avventure per diventare un “bambino vero” acquista le qualità dell’antieroe alla ricerca di una sua umanità e di unsuo ruolo all’interno del contesto sociale. Belyi immagina in particolare l’ipotetica biblioteca di Pinocchio. Qui tutti i libri sono fatti di legno e posti su tor-reggianti librerie, anch’esse di legno. Gli scaffali sono come alte colonne, poste l’una accanto all’altra a tracciare un percorso labirintico nello spazio esposi-tivo. I libri di legno non hanno pagine da sfogliare, ma si affacciano muti e illeggibili dai ripiani della biblioteca come meri volumi geometrici privi di paro-le. Il testo in essi racchiuso resta inaccessibile e segreto, come incatenato tra le pagine irraggiungibili.

02 MY NEIGHBOURHOODQuesto lavoro è costruito come il modellino di un quartiere situato nel contesto urbano di una metropoli postindustriale. Presumibilmente si tratta di unquartiere residenziale e popolare, dove non ci sono tracce della grande storia del passato, ma solo architetture recenti, forse prefabbricati. Ogni costruzio-ne è realizzata con diapositive, immagini di vita incastonate l’una con l’altra come finestre sul mondo esterno. Ognuna evoca ricordi e situazioni umanevissute. Le immagini imprigionate e incasellate nelle costruzioni prendono così vita e luce, come strutture della psiche umana fatte di ricordi ed esperien-ze. Gli edifici sono isolati l’uno dall’altro, posizionati secondo una rigida struttura geometrica e l’insieme è organizzato in volumi freddamente ordinati.Tuttavia il risultato finale non ha nulla a che vedere con un ambiente cittadino muto e sterile. Dentro le strette maglie di ogni costruzione vivono infattile immagini dei ricordi, come brandelli di esistenze passate che evocano mondi e voci lontane.

03 STANDARD MAUSOLEUMQuesti due lavori riprendono la figura archetipica della torre e l’idea delle rovine di antiche costruzioni. Il mausoleo è una forma architettonica particolare,che affonda le sue radici nel passato remoto della storia dell’umanità. Qui però i sepolcri monumentali e grandiosi sono andati in rovina, segnati dal tempo.I modellini dei mausolei si ergono infatti come alte costruzioni a torre, ma sono realizzati con un materiale fragile e friabile (il cartongesso), che tende adisgregarsi. Eppure non c’è il senso della decadenza, di una realtà che la storia si sia ormai lasciata alle spalle. Le rovine in quanto tali appaiono invece monu-mentali in se stesse, come sepolcri della stessa storia da esse testimoniata. La scelta del bianco dona un senso di purezza e di sacralità, ma suggerisce anchel’idea di un messaggio ancora da svelare, non ancora compreso e interpretato fino in fondo. A tutto ciò pare soggiacere una visione postmoderna della sto-ria di ispirazione nietzscheana. Lo spazio espositivo si trasforma così in una nuova valle dei templi, dove al crollo delle vestigia del passato corrisponde quel-lo non meno tragico delle grandi ideologie.

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04 CARTOLINE DI FERROLa cartolina è immagine della scrittura che tramanda da un posto all’altro, da una persona all’altra, un messaggio scritto, sempre inevitabilmente differito neltempo ed esposto alle traversie della sua stessa trasmissione. Fino a non molti ani fa la cartolina indicava idealmente la memoria di un vissuto o di un even-to, il desiderio di farsi ricordare o il fatto di ricordarsi di qualcuno. Può essere conservata nel tempo, ma anche perdersi nel corso delle traversie postali, arri-vare in ritardo o forse mai. Oggi le cartoline non si usano quasi più, sostituite da più veloci e (quasi sempre) più affidabili mezzi tecnologici. Restano peròqualcosa in se stesso poetico, se non addirittura sentimentale. Il lavoro di Belyi qui si concentra sulla cartolina come oggetto che evoca una memoria (forsenei due sensi, per se stessa e perché evoca gli anni, non troppo lontani, in cui tutti ricorrevamo a questo mezzo di comunicazione). E’ irrigidita nel ferro,moltiplicata in diversi esemplari tra loro uguali, impilati in lunghi dispenser che si stagliano sulle pareti come nere colonne. L’installazione instaura così unasorta di ritmo echeggiante, dove le cartoline di ferro prendono posto sui quattro espositori come note musicali sui loro spartiti.

05 SOUVENIR NOSTALGICIRiprendendo il tema della memoria del tempo passato, questa installazione ricrea un ambiente ritmato di luci soffuse. Una lunga fila di diapositive, inqua-drate in apposite cornici rettangolari, occupa l’intero percorso dei muri della sala espositiva.I ricordi si inseguono così lungo le pareti, uno dopo l’altro, richiamando alla vita situazioni e persone passate e forse perdute. Sono memorie legate ad unparticolare luogo e tempo storico, che tuttavia assumono qui una sorta di valore universale e diventano qualcosa di condivisibile, in cui tutti possono rico-noscersi. Domina il senso nostalgico di chi si abbandona ai ricordi di un passato ormai trascorso, ma presente e vivo nella memoria. E’ la malinconia di untempo lontano, che però proprio per questo acquista i contorni di qualcosa di eterno e - forse anche tradendo un po’ il suo vero vissuto - si fa sempre piùattraente e desiderabile.

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01 PINOCCHIO S LIBRARYE se Pinocchio da grande fosse diventato architetto? Così Belyi immagina il famosissimo personaggio di Collodi, protagonista di questo lavoro. Com’è notoPinocchio è un tema ricorrente di molte opere d’arte recenti e passate, non solo nelle arti visive, ma anche nel teatro, nel cinema e nella musica. La figuradel burattino che affronta rocambolesche avventure per diventare un “bambino vero” acquista le qualità dell’antieroe alla ricerca di una sua umanità e di unsuo ruolo all’interno del contesto sociale. Belyi immagina in particolare l’ipotetica biblioteca di Pinocchio. Qui tutti i libri sono fatti di legno e posti su tor-reggianti librerie, anch’esse di legno. Gli scaffali sono come alte colonne, poste l’una accanto all’altra a tracciare un percorso labirintico nello spazio esposi-tivo. I libri di legno non hanno pagine da sfogliare, ma si affacciano muti e illeggibili dai ripiani della biblioteca come meri volumi geometrici privi di paro-le. Il testo in essi racchiuso resta inaccessibile e segreto, come incatenato tra le pagine irraggiungibili.

02 MY NEIGHBOURHOODQuesto lavoro è costruito come il modellino di un quartiere situato nel contesto urbano di una metropoli postindustriale. Presumibilmente si tratta di unquartiere residenziale e popolare, dove non ci sono tracce della grande storia del passato, ma solo architetture recenti, forse prefabbricati. Ogni costruzio-ne è realizzata con diapositive, immagini di vita incastonate l’una con l’altra come finestre sul mondo esterno. Ognuna evoca ricordi e situazioni umanevissute. Le immagini imprigionate e incasellate nelle costruzioni prendono così vita e luce, come strutture della psiche umana fatte di ricordi ed esperien-ze. Gli edifici sono isolati l’uno dall’altro, posizionati secondo una rigida struttura geometrica e l’insieme è organizzato in volumi freddamente ordinati.Tuttavia il risultato finale non ha nulla a che vedere con un ambiente cittadino muto e sterile. Dentro le strette maglie di ogni costruzione vivono infattile immagini dei ricordi, come brandelli di esistenze passate che evocano mondi e voci lontane.

03 STANDARD MAUSOLEUMQuesti due lavori riprendono la figura archetipica della torre e l’idea delle rovine di antiche costruzioni. Il mausoleo è una forma architettonica particolare,che affonda le sue radici nel passato remoto della storia dell’umanità. Qui però i sepolcri monumentali e grandiosi sono andati in rovina, segnati dal tempo.I modellini dei mausolei si ergono infatti come alte costruzioni a torre, ma sono realizzati con un materiale fragile e friabile (il cartongesso), che tende adisgregarsi. Eppure non c’è il senso della decadenza, di una realtà che la storia si sia ormai lasciata alle spalle. Le rovine in quanto tali appaiono invece monu-mentali in se stesse, come sepolcri della stessa storia da esse testimoniata. La scelta del bianco dona un senso di purezza e di sacralità, ma suggerisce anchel’idea di un messaggio ancora da svelare, non ancora compreso e interpretato fino in fondo. A tutto ciò pare soggiacere una visione postmoderna della sto-ria di ispirazione nietzscheana. Lo spazio espositivo si trasforma così in una nuova valle dei templi, dove al crollo delle vestigia del passato corrisponde quel-lo non meno tragico delle grandi ideologie.

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04 CARTOLINE DI FERROLa cartolina è immagine della scrittura che tramanda da un posto all’altro, da una persona all’altra, un messaggio scritto, sempre inevitabilmente differito neltempo ed esposto alle traversie della sua stessa trasmissione. Fino a non molti ani fa la cartolina indicava idealmente la memoria di un vissuto o di un even-to, il desiderio di farsi ricordare o il fatto di ricordarsi di qualcuno. Può essere conservata nel tempo, ma anche perdersi nel corso delle traversie postali, arri-vare in ritardo o forse mai. Oggi le cartoline non si usano quasi più, sostituite da più veloci e (quasi sempre) più affidabili mezzi tecnologici. Restano peròqualcosa in se stesso poetico, se non addirittura sentimentale. Il lavoro di Belyi qui si concentra sulla cartolina come oggetto che evoca una memoria (forsenei due sensi, per se stessa e perché evoca gli anni, non troppo lontani, in cui tutti ricorrevamo a questo mezzo di comunicazione). E’ irrigidita nel ferro,moltiplicata in diversi esemplari tra loro uguali, impilati in lunghi dispenser che si stagliano sulle pareti come nere colonne. L’installazione instaura così unasorta di ritmo echeggiante, dove le cartoline di ferro prendono posto sui quattro espositori come note musicali sui loro spartiti.

05 SOUVENIR NOSTALGICIRiprendendo il tema della memoria del tempo passato, questa installazione ricrea un ambiente ritmato di luci soffuse. Una lunga fila di diapositive, inqua-drate in apposite cornici rettangolari, occupa l’intero percorso dei muri della sala espositiva.I ricordi si inseguono così lungo le pareti, uno dopo l’altro, richiamando alla vita situazioni e persone passate e forse perdute. Sono memorie legate ad unparticolare luogo e tempo storico, che tuttavia assumono qui una sorta di valore universale e diventano qualcosa di condivisibile, in cui tutti possono rico-noscersi. Domina il senso nostalgico di chi si abbandona ai ricordi di un passato ormai trascorso, ma presente e vivo nella memoria. E’ la malinconia di untempo lontano, che però proprio per questo acquista i contorni di qualcosa di eterno e - forse anche tradendo un po’ il suo vero vissuto - si fa sempre piùattraente e desiderabile.

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PETER BELYI AND MEMORIAL MODELLING1. MEMORIAL MODELLINGPeter Belyi calls his aesthetic programme ‘memorial modelling’. With this word-combination the artist defines the installations he created between 2003 and 2008,in which he looks to quite specific – mostly architectural – models. Modelling is something usually associated with the future. Modelling was particularly popular inSoviet Russian art of the 1920s. Looking to the future, recognising the impossibility of achieving aims in the present, the artist turns to creating models. Moreover,in times of utopian hopes artists not only design future cities but perceive even painted canvases as possible technological designs. Kazimir Malevich not only drew‘planets for earthlings’ – future satellite-cities revolving around the earth – but produced ‘architectons’ – three-dimensional Suprematist models, prototypes of sky-scrapers. According to the artist, Suprematist canvases laid out the basis for ‘the construction of prototypes for technical organisms in a future Suprematist world’.Without themselves being architects, Malevich, Vladimir Tatlin, Velimir Khlebnikov and many other avant-garde artists and poets took up architectural designs andmodels. Their projects were global and cosmic, filled with faith in social, scientific and technological progress. Artists were occupied not so much with the realisa-tion of a specific project as with developing the key ideas of an urban future. Their designs were models of the future. Unlike those avant-garde artists of the 1920s who turned to architectural modelling, Peter Belyi looks not to the future but to the past in his ‘memorial modelling’.A paradox: modelling that looks backwards. ‘Memorial modelling’ takes a new look at history, deconstructs it, looks into it knowing that its hopes are doomed tofailure, to inevitable disappointment. Modelling, associated with the idea of progress, looks to the past in the works of Peter Belyi. ‘Memorial modelling’ preserves the prototype foundations of the Utopian idea per se. That very phrase, ‘memorial modelling’, is an oxymoron: it is an art that bringstogether two opposing concepts, forming an impossible combination. On the one hand the model is always aimed at the future, it is a priori futuristic; on the otherhand, in the work of Peter Belyi it is also commemorative. The model is experienced nostalgically as a design that is doomed.

2. MATERIAL MEMORYModelling’s commemorative nature is embodied in Peter Belyi’s works in the memory of the material. One the artist’s favourite materials is roof metal. For his instal-lation ‘Lenproekt’ (2007) Peter Belyi gathered sheets of metal removed from St Petersburg roofs during capital repairs. These became the material of three-dimensio-nal ‘postcards’ or ‘souvenirs’. In Belyi’s metal postcards we immediately recognise Palace Square and the raised bridges, St Petersburg’s most frequently reproducedsymbols. The memory of the metal postcard is illuminated by coloured lights. The light reminds us of tinted postcards of the 1960s and 1970s. It reproduces theatmospheric conditions that form citizens’ collective memory. In the series ‘Metal Postcards’ (2008) rectangles of metal arranged on iron stands recreate museumshops in which each postcard represents a memory of what has been seen. Memories of models of the Universe and of old domes intended to house astronomers’ telescopes – which are just such models – are given form in Peter Belyi’sinstallation ‘Celestial Mechanics’ (2007). Such is the name of a branch of astronomy that studies the movements of heavenly bodies. At the same time, ‘celestialmechanics’ is for the artist a metaphor that expresses the movement of astronomical mechanisms, including the dome of St Petersburg’s 19th-century PulkovoObservatory itself. On the inner surface of the wooden astronomical dome Peter Belyi placed small metal screens, on which he installed lights. Lit from within, thedome is thus deprived of its function and becomes a receptacle for memories of astronomical discoveries and the fates of those anonymous men and women whoburned out like the extinguished lamps around the dome’s base. In his installation ‘Unnecessary Alphabet’ (2007) Peter Belyi uses metal to create commemorative signs recalling the Soviet past of the 1960s and 1970s. The words‘Bread’, ‘Savings Bank’, ‘Cinema’, ‘Cheese’, ‘Salami’, ‘Books’, ‘Wine’, ‘Vodka’, cut out from sheets of metal, are lit from within. The words themselves are holes. Theirmeaning is read as something missing, indicating not only a nostalgia for past times but also deficits – or even total absence – of those particular goods, whetherduring the military communism of the 1920s or at the start of Perestroika in the late 1980s. These words in metal have a dual nostalgia. They are signs informing usof the irrevocably departed past, unlike those signs that the Futurists so liked to include in their collages and assemblages of the 1920s, which represented a fragmentof the present. The use of such raw materials as metal and wood was also typical of the 1920s. In his ‘material selections’ Vladimir Tatlin often used those same materials, not usual-

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ly found within the traditional hierarchy of the fine arts. For Tatlin it was the work with the material that was important, the physical effort applied to the makingof a particular object. Peter Belyi applies his efforts to the same materials but his perception and understanding of the work are very different. Of central importan-ce to him is that the material should have its own pre-history, that it has been already used by man and contains within itself memories of that use. For Peter Belyiit is the trace of humankind’s existence captured in the material, the inanimate fabric that carries the spirit of the times, that is important. The trace of humankind bears memories even in the absence of man himself. ‘Memorial modelling’ installations include no anthropomorphic figures, no humansubjects. Peter Belyi’s installations give form to traces of memory.‘Memorial modelling’ represents a memory of the last utopian project of the 20th century, in the 1960s. The time of the New Wave and youth revolutions in theWest marked the start of the age of mass culture and a society of total consumption. In the Soviet Union of the 1960s it was an age of mass construction, unrelie-ved reality, total unification. However strange it may seem, these disappointments are transformed in ‘memorial modelling’ into the object of nostalgia. There wasan echo of the 1960s in the time of Perestroika, when new utopias, new hopes emerged, also doomed to dissolve in disappointment. It was during this period thatPeter Belyi took shape as an artist.

3. ARCHITECTURE CONTSRUCTS SOCIAL SPACEArchitecture is also always social. Oil-reservoir towers, barracks for prisoners and identical high-rises say no less about humankind than do palaces, bridges and TVtowers. Architecture sets the space, location and form of human life. Architecture frequently appears in Peter Belyi’s ‘memorial modelling’ in destroyed or deliberately unfinished form. The artist turns his gaze not on past or presentmajesty but on what has happened to humankind’s built environment. His gaze is directed backwards. Such is the retrospective gaze at a social Utopia. This gaze does not encompass the builders of Utopia. They are simply no longer there and indeed cannot be there. Their absence reminds us that admiration forarchitecture usually omits those responsible for its creation in physical terms. In his installation ‘Dreams of a Dictator’ (2004) Peter Belyi presented four towers, eachof which represented a dictator’s dream. Each tower was composed of glass jam jars but instead of preserves they contained symbolic elements of human life – blood,water, tears, oil. Each tower incorporated the name of a dictator: Stalin, Hitler, Mussolini, Mao Tse-Tung. Each dictator seeks to build a tower to the skies, squeezingout blood, sweat and tears. Each dictator seeks to establish the present and destroy past and future. But the future emerges in the commemorative ruins of the past. In the installation ‘SH854' (2005), devoted to the Stalinist dictatorship, we see photographs of oil-reservoir towers. Although this installation was based on themesfrom Alexander Solzhenitsyn’s story A Day in the Life of Ivan Denisovich, the photographs represent oil, the foundation of today’s worldwide empire. At the sametime the commemorative models of barracks with grass growing all around remind us of the victims of Stalin’s industrialisation. That overgrown earth preserves thefates of numberless builders of the industrial Utopia. Those prisoner-builders did not even have names. SH854 is the number of the hero in Solzhenitsyn’s story,published at the end of Khrushcev’s ‘thaw’ in 1963. In the installation ‘SH854’ photographs of oil reservoirs look down from the wall at the ruins of barracks. In 2004 Peter Belyi created his ‘Metaphysical Slide Monument’, a tower composed of slides of Italian paintings from the collection of the Pinacoteca in Udine – forand in which the installation was built – and slides showing Soviet life of the 1960s and 1970s. This tower is dedicated not to dictators but to ‘those thousands ofpeople who never saw the originals’, to those Soviet people whose Utopia was the Pinacoteca in slides. The world of man is the world of a social tower.

4. COLLECTIVE / CONSTRUCTIVE Collective consciousness gives birth to a new experience in art, leading to the modernisation of Modernism first in the 1920s and then in the 1960s and 1970s. Inthe 1920s came Constructivism, rejecting easel painting and proclaiming construction in place of composition, the object in place of the work of art. Yet contempo-raries perceive ‘material culture’ not only from the point of view of practical embodiment but above all as part of the future of some ordered collective cosmos, asthe commencement of realisation of a constructive social concept. When utopian models are put into effect, architectural constructions and ideas of social progressprove not to coincide and are made empty. Peter Belyi takes up one such emptied form, filling it not with utopian hopes but with reminiscences. The installation ‘My Neighbourhood’ (2005) recreates the model of typical Soviet 1970s town-planning. A school, a medical clinic, an art school, nine- and ten-sto-rey blocks – all models of the rapid panel-construction so vaunted at the time – are here made of slides. Some of them are lit, like windows in a building beddeddown for the night. Each lit window allows us to take a look inside, into the very depths of memory as presented in a slide left over from the 1970s. The faded slideis memory, gradually fading, tinted in ‘unnatural’ colours. This urban space embodies dreams of a better future, architects’ desire to give each citizen a separate flat.

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Khruschev’s Utopia gave its name to the infamous ‘khrushchoby’ (cheap five-storey blocks intended to last only 25 years but still in use today, crumbling and rot-ting) which were replaced by standardised ‘Brezhnevian’ buildings. Their designs were inspired by Constructivist architecture, by functionalism and social Utopiasof a happy, smiling collective life. In fact the Utopia is destroyed as construction advances. ‘My Neighbourhood’ contains at the same time a desire to capture childhood reminiscences, to preserve the symbols of the Soviet Utopia. Fragile boxes composedof slides found by the artist exude ephemeral reminiscences. Each building has its story and its subject, emerging in the occasional lit window-slide. Reminiscencesof what was a commonplace, everyday reality, for thousands of inhabitants, of something which is lost yet which here gains physical embodiment in a work of art. Collective / constructive space organises individual space. In a totalitarian state individual space is not protected from invasion by the state. If people dreamed inthe 1920s of the destruction of individual space, the idea embodied in the so-called ‘commune houses’, in reality the dream of a happy collective life resulted in totalstate control over the individual’s private world. Peter Belyi’s installation ‘Ideological Anthill’ (2004) presented a spatial idiom, an anthill for people, founded on anideal construction. Social specialisation within the anthill facilitates orderly work. The anthill is a metaphor for a well-functioning social organism in which no oneever asks himself why he is located within this particular part of the construction. In ‘Ideological Anthill’ everything is about people but, of course, without the peo-ple, without a hint of any person, even in the form of an ant. Such is the ‘ideological anthill’ – pure ideology is the social organism. Collective / constructive spaceis marked out with red flags. Red flags mark the families of law-abiding ants. This work is a version of a piece from 1974 by the artist’s father, the architect SemyonBelyi. Thus ‘Ideological Anthill’ reminds us of a time when people were divided into law-abiding and dissident. In retrospect, memory of this time now also inclu-des a sense of loss of the opposition, and of non-conformism, during the time of the ‘ideological anthill’ of the new order.

5. THE MELANCHOLY OF MEMORIAL MODELLINGThe missing subject in the ‘memorial modelling’ installations is a lost subject. It was but is no longer. Only the traces it left behind remain. Those reminiscences arealways both reminiscences of the lost subject and what one might call reminiscences by the lost subject. The place left by the lost subject is what the artist shows us.Thus ‘memorial modelling’ becomes an allegory for melancholy.The central hero in the installation ‘Pinocchio’s Library’ (2008), the missing Pinocchio himself, embodies in Peter Belyi’s project the figure of the sixties’ architectwho experiences the architectural hopes and disillusionment of his age. At the same time the little wooden boy is a symbol of forward-looking utopian ideology.Harsh censorship established by the ideology leads to disillusionment with knowledge; Pinocchio’s wooden books cannot be opened. His library is a unique memo-rial of a Utopia which is per se always commemorative, which is not itself experienced as a Utopia. The books in Pinocchio’s library show the form and material of the log of wood; they convey the memory of that from which the hero was born. The library pre-serves the knowledge in which the true boy is born. Moreover, the library is a commemorative model of the city: the books standing upright, the shelves in‘Pinocchio’s Library’, these are urban structures, skyscrapers, the dream of the sixties’ architect. It is here that Pinocchio lives. The architecture is social in the extre-me: the books in Pinocchio’s library are where he lives. These books are themselves the missing hero. Encompassed within those wooden books, Pinocchio repre-sents inaccessible knowledge, the melancholy of the law of origins. As if Pinocchio’s father had never arrived with his knife in his hand, the father who carved himout, gave him form, liberated him from imprisonment. These wooden books preserve the secret. Closed knowledge. His voice is silent. The melancholy of silence, the quality of being inward looking, the unrevealed secret – these appear in Peter Belyi’s installation ‘Minute of Silence’ (2007). An instal-lation composed of huge loudspeakers in memory of the Siege of Leningrad. The velvet unspeaking tongue of mourning flowing from the roughly made metal loud-speaker absorbs the silence. Every loudspeaker is a figure of silence, of time, of historical memory. The great loudspeaker is deafeningly silent about the politicaldimension of the social.

6. DECONSTRUCTION OF THE POLITICALHistorical memory is active. Memory does not simply reflect historic events: it produces them. Memory is creative and destructive; its selective nature has a politi-cal character. The installation ‘Danger Zone’ (2006) demonstrates construction-and-destruction; it literally manifests the process of deconstruction. The finished workis not so much built as destroyed, as if the completion of the construction was but a political deception. History remains open despite all declarations that it hasended, despite all works about the overcoming of social antagonisms, despite political eulogies to the end of politics.

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In ‘Danger Zone’ the modelling once connected with the avant-garde’s projective nature becomes a memorial model of the damage wrought by Modernism. Thisdamage is literally embodied in the physical damage, the destruction of the construction of social space. High-rise buildings, or rather their bare frames, made fromplasterboard (that most short-lived of materials), create the impression of fragile constructions which either are yet to be finished or have been left as they are untilthey collapse completely. The cause of the destruction is not clear – time, war or simply yet another change in the political system. ‘Danger Zone’ gives aestheticmeaning to mechanical damage and that meaning then has a therapeutic effect. The plastic, sculptural idea of ‘Danger Zone’ is developed in ‘Standard Mauseolum’ (2008). Damaged and collapsing models of mausolea embody political crisis inthe designing energies of the powers-that-be. Skeletons of those panelled constructions once used to create towns, factories and sanatoria are here gathered in theform of a mausoleum. That which was intended to stand for thousands of years is transformed into a ruin before our eyes. The ideology embodied in mausoleumform turns to dust, literally. The mausoleum is as short-lived as the ideology that builds it. Thus, analysing the architectural hopes and disillusionment of the 1960sand 1970s, Peter Belyi deconstructs Utopia.

Olesia Turkina, Viktor MazinTranslated from the Russian by Catherine Phillips

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PETER BELYI E LA MODELLATURA COMMEMORATIVA1. MODELLATURA COMMEMORATIVAPeter Belyi definisce il suo programma estetico ‘modellatura commemorativa’. Questa combinazione di parole è utilizzata dall’artista per denotare le mostre da luiallestite tra il 2003 e il 2008, ispirate a modelli – architettonici – perlopiù chiaramente identificabili. La modellatura è qualcosa di generalmente associato al futuro.Essa ha goduto di speciale popolarità nella produzione artistica della Russia Sovietica degli anni Venti. Proiettandosi al futuro con la consapevolezza dell’impossibi-lità di raggiungere gli scopi perseguiti nel tempo presente, l’artista si rifugia nella creazione di modelli. Inoltre, in tempi di speranze utopiche, gli artisti non solo sidilettano nella progettazione delle città del futuro, ma assumono anche i dipinti come possibili fonti di progettazione tecnologica. Kazimir Malevich ha non soloritratto i cosiddetti ‘pianeti per i terrestri’ – ovvero future città-satellite che ruotano intorno alla terra – ma ha anche realizzato gli ‘architecton’ – ovvero modelliSuprematisti tridimensionali raffiguranti prototipi di grattacieli. In accordo alla visione di cui l’artista si è fatto fautore, le tele Suprematiste preparavano i fondamen-ti per ‘la costruzione di prototipi di organismi tecnici del futuro mondo Suprematista’. Pur non essendo architetti, Malevich, Vladimir Tatlin, Velimir Khlebnikov emolti altri artisti e poeti d’avanguardia hanno realizzato progetti e modelli architettonici. I progetti da loro ideati erano globali e cosmici, intrisi di fiducia nel pro-gresso sociale, scientifico e tecnologico. Tali artisti hanno canalizzato la loro creatività non tanto nella realizzazione di progetti specifici quanto nello sviluppo diidee chiave alla base del futuro urbano. I loro disegni erano quindi modelli del futuro. Diversamente da quegli artisti d’avanguardia degli anni Venti che si volsero alla modellatura architettonica, Peter Belyi utilizza la ‘modellatura commemorativa’ nonper proiettarsi al futuro, bensì per richiamare il passato. Un paradosso quindi: una modellatura che guarda indietro. La ‘modellatura commemorativa’ rilegge la sto-ria con occhi nuovi, la decostruisce, guarda attraverso di essa pur sapendo che le speranze sono destinate a fallire, a essere inevitabilmente disilluse. La modellatura,associata all’idea di progresso, guarda al passato nelle opere di Peter Belyi. La ‘modellatura commemorativa’ preserva i fondamenti prototipici dell’idea utopica in sé. L’espressione stessa di ‘modellatura commemorativa’ è un ossimoro: sitratta di una forma artistica che accosta due concetti contrapposti, dando vita a una combinazione contraddittoria. Da un lato, il modello è sempre rivolto al futu-ro, ha cioè una valenza futuristica a priori; dall’altro, nella produzione di Peter Belyi ha al contempo una funzione commemorativa. Il modello è vissuto nostalgica-mente alla stregua di un progetto predestinato.

2. MEMORIA DEI MATERIALILa valenza commemorativa dei modelli è formalizzata nelle opere di Peter Belyi dalla memoria dei materiali. Uno dei materiali preferiti dall’artista è il metallo uti-lizzato per il rivestimento di tetti. Per la realizzazione della mostra ‘Lenproekt’ (2007), Peter Belyi ha raccolto fogli di metallo rimossi dai tetti di San Pietroburgo nelperiodo in cui la capitale è stata oggetto di opere di restaurazione. Questi fogli sono stati utilizzati per la realizzazione di ‘cartoline’ o ‘souvenir’ tridimensionali.Nelle cartoline in metallo ideate da Belyi è possibile riconoscere immediatamente la Piazza del Palazzo e i ponti innalzati, le bellezze tipiche più utilizzate nella sim-bologia associata alla città russa. Le memorie evocate dalla cartolina metallica sono illuminate da luci policromatiche. Queste luci ricordano le cartoline colorate deglianni Sessanta e Settanta e riproducono le condizioni atmosferiche radicate nella memoria collettiva dei cittadini. Nella serie ‘Cartoline di Ferro’ (2008), rettangolirealizzati nel materiale citato e disposti su supporti in acciaio ricreano i negozi di un museo, con ciascuna cartolina volta a rappresentare un ricordo di ciò che si èpotuto ammirare. Memorie di modelli dell’Universo e di vecchie cupole destinate a ospitare telescopi di astronomi – appunto modelli – sono visibili nella mostra di Peter Belyi inti-tolata ‘Celestial Mechanics’ (2007). Il nome riprende quello della branca dell’astronomia che studia i movimenti dei corpi celesti. Allo stesso tempo, la ‘meccanicaceleste’ è, per l’artista, la metafora del movimento dei meccanismi astronomici, compresa la cupola dell’Osservatorio Pulkovo di San Pietroburgo risalente al 19° seco-lo. Nella superficie interna della cupola astronomica realizzata in legno, Peter Belyi ha posizionato piccoli schermi metallici sui quali ha installato delle luci. Grazieall’illuminazione interna, la cupola è quindi spogliata dalla sua funzione e diventa ricettacolo di memorie di scoperte astronomiche e di destini di uomini e donnesconosciuti che si sono spenti allo stesso modo delle luci intorno alla base della cupola stessa. Nella mostra ‘Unnecessary Alphabet’ (2007) Peter Belyi utilizza il metallo per creare simboli commemorativi ispirati al passato sovietico degli anni Sessanta e Settanta.

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Le parole ‘Bread’, ‘Savings Bank’, ‘Cinema’, ‘Cheese’, ‘Salami’, ‘Books’, ‘Wine’, ‘Vodka’, ritagliate da fogli metallici, sono illuminate dall’interno. Le parole stesse sonorealizzate con caratteri vuoti. Il richiamo è a qualcosa di mancante, a indicare non solo una certa nostalgia per i tempi passati, ma anche la carenza – o perfino latotale assenza – dei beni citati, sia durante il comunismo militare degli anni Venti che agli esordi della Perestroika a fine anni Ottanta. Le parole scritte in metallohanno una doppia valenza nostalgica. Sono, infatti, segni volti a informarci del passato ormai irrimediabilmente trascorso, differentemente dai segni che i Futuristiusavano aggiungere ai loro collage e alle loro produzioni negli anni Venti per rappresentare frammenti del presente. L’uso di materie grezze quali metallo e legno era diffuso anche negli anni Venti del Novecento. Nelle proprie ‘scelte dei materiali’, Vladimir Tatlin faceva spesso usodegli stessi materiali, pur non essendo questa una prassi diffusa considerando la tradizionale gerarchia delle belle arti. Per Tatlin, l’aspetto fondamentale risiedeva nellavoro richiesto dalla lavorazione del materiale, ovvero lo sforzo fisico necessario alla creazione da questo di un oggetto particolare. Peter Belyi applica i propri sfor-zi agli stessi materiali, ma con una concezione e una considerazione del lavoro completamente diverse. Secondo il suo punto di vista, infatti, l’aspetto fondamenta-le è che il materiale goda di una storia pregressa, ovvero che sia già stato utilizzato dagli uomini e contenga in se stesso i ricordi di tale uso. Secondo Peter Belyi, aessere importante è la traccia dell’esistenza dell’umanità catturata dalla materia, struttura inanimata che trasporta lo spirito dei tempi. Tale traccia di umanità è carica di memorie anche in assenza degli stessi uomini che ne sono fondamento. Le mostre ispirate alla ‘modellatura commemorativa’ nonvedono la presenza di figure antropomorfe o soggetti umani. Le produzioni di Peter Belyi danno forma alle tracce della memoria. La ‘modellatura commemorativa’ evoca il ricordo dell’ultimo progetto utopico del 20° secolo, quello degli anni Sessanta. L’epoca della New Wave e delle rivoluzio-ni giovanili in Occidente ha contrassegnato l’inizio dell’era della cultura di massa e della società consumistica. Nell’Unione Sovietica, gli anni Sessanta sono statil’epoca della costruzione di massa, dell’uniformità, dell’unificazione totale. Per quanto strano possa sembrare, le delusioni derivate da quel periodo sono trasforma-te attraverso la ‘modellatura commemorativa’ nella materializzazione della nostalgia. Si è assistito a un’eco degli anni Sessanta durante la Perestroika, fase durante laquale sono emerse nuove utopie e speranze, anch’esse destinate a dissolversi in pura disillusione. Questi sono gli anni in cui Peter Belyi forma la sua vena artistica.

3. L’ARCHITETTURA COSTRUISCE LO SPAZIO SOCIALEL’architettura ha sempre una valenza sociale. Torri petrolifere, baracche destinate all’isolamento dei prigionieri e alti edifici costruiti in massa non dicono meno sul-l’umanità rispetto a palazzi, ponti o torri TV. L’architettura definisce lo spazio, la collocazione e la forma della vita umana. L’architettura fa di frequente la sua comparsa nella ‘modellatura commemorativa’ di Peter Belyi in forma di soggetti distrutti o deliberatamente incompiuti. L’artistanon si ispira agli splendori passati o presenti, ma alle trasformazioni dell’ambiente costruito dall’umanità. Il suo è uno sguardo rivolto all’indietro, una retrospezio-ne verso l’Utopia sociale. Questa visione non coinvolge i fondatori dell’Utopia. Essi, semplicemente, non ci sono più e, più precisamente, non possono esserci. La loro assenza ci ricorda chel’ammirazione per le opere architettoniche copre in genere quella per i creatori delle medesime. Nella mostra ‘Dreams of a Dictator’ (2004), Peter Belyi ha presenta-to quattro torri, ciascuna delle quali a rappresentazione del sogno di un dittatore. Ogni torre è composta da vasetti in vetro contenenti, anziché confetture, elemen-ti simbolici della vita umana – sangue, acqua, lacrime, olio. Su ognuna di esse è riportato il nome di un dittatore: Stalin, Hitler, Mussolini, Mao Tse-Tung. Ciascundittatore cerca di costruire una torre che arrivi fino al cielo spargendo sangue, sudore e lacrime. Ciascun dittatore cerca di costruire il presente senza esitare, per farequesto, a distruggere il passato e il futuro. Eppure, il futuro emerge dalle rovine commemorative del passato. Nell’esposizione ‘SH854' (2005), dedicata alla dittatura stalinista, è possibile ammirare fotografie che ritraggono torri petrolifere. Nonostante la mostra abbia trattoispirazione dal racconto Una giornata di Ivan Denisovich di Alexander Solzhenitsyn, le fotografie mettono a fuoco il petrolio, ovvero il fondamento dell’attualeimpero mondiale. Allo stesso modo, i modelli commemorativi di baracche circondate da erba ricordano le vittime dell’industrializzazione promossa da Stalin. Laterra ricoperta preserva i destini degli innumerevoli fautori dell’Utopia industriale. Questi costruttori-prigionieri non hanno nemmeno dei nomi. SH854 è il nume-ro associato all’eroe del racconto di Solzhenitsyn, pubblicato al termine del ‘disgelo’ di Khrushchev, nel 1963. Nella mostra ‘SH854’, fotografie di pozzi petroliferiguardano dall’alto della parete sulle rovine delle baracche. Nel 2004, Peter Belyi ha creato il ‘Metaphysical Slide Monument’, una torre composta da diapositive di dipinti italiani scelti dalla collezione della Pinacoteca diUdine – ente promotore e luogo di allestimento della mostra medesima – e da diapositive aventi per soggetto stralci di vita sovietica degli anni Sessanta e Settanta.Questa torre non è dedicata ai dittatori, ma a ‘quelle migliaia di persone che non hanno mai visto gli originali’, a quei sovietici la cui Utopia era la Pinacoteca informa di diapositiva. Il mondo degli uomini è il mondo di una torre sociale.

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4. COLLETTIVO / COSTRUTTIVOLa coscienza collettiva dà i natali a una nuova esperienza artistica, portando alla modernizzazione del Modernismo negli anni Venti, prima, e negli anni Sessanta eSettanta, poi. Negli anni Venti, è stato il momento del Costruttivismo, con la negazione della pittura e la supremazia della costruzione sulla composizione, ovverol’oggetto al posto dell’opera d’arte. Tuttora, i contemporanei percepiscono la ‘cultura materiale’ non solo da un punto di vista di incarnazione pratica, ma soprattut-to come parte del futuro di un qualche cosmo collettivo preordinato, come l’inizio della realizzazione di un concetto sociale costruttivo. Quando i modelli utopicisono materializzati, le costruzioni architettoniche e le idee di progresso sociale dimostrano di non coincidere e sono svuotati di significato. Peter Belyi prende unasiffatta forma vuota e la riempie non con speranze utopiche, ma con reminescenze. La mostra ‘Il Mio Micro-Quartiere’ (2005) ricrea il modello sovietico di pianificazione urbana tipico degli anni Settanta. Una scuola, una clinica, un’accademia d’ar-te, palazzi a nove-dieci piani – tutti modelli della rapida costruzione in pannelli prefabbricati tanto vantata all’epoca – sono realizzati in forma di diapositiva. Alcunedi queste sono illuminate, come finestre in un edificio avvolto nella notte. Ogni finestra illuminata consente di dare uno sguardo all’interno, negli abissi della memo-ria, come presentato da una diapositiva degli anni Settanta. La diapositiva sbiadita rappresenta la memoria che, gradualmente, si attenua e assume colori ‘innatura-li’. Lo spazio urbano ingloba i sogni di un futuro migliore, il desiderio degli architetti di garantire a ogni cittadino un appartamento individuale. L’Utopia diKhrushchev ha dato il nome ai malfamati ‘khrushchoby’ (edifici a basso prezzo con cinque piani destinati a un uso temporaneo di 25 anni ma ancora oggi abitati,seppur crollanti e in pieno degrado) sostituiti da costruzioni ‘brezhneviane’ standard. La loro progettazione trovava ispirazione nell’architettura costruttivista, nelfunzionalismo e nelle Utopie sociali di una vita collettiva felice e ridente. Come dato di fatto, l’Utopia è distrutta di pari passo alla costruzione che avanza. ‘Il Mio Micro-Quartiere’ contiene, allo stesso tempo, il desiderio di catturare le reminescenze della fanciullezza e quello di preservare la simbologia dell’Utopia sovie-tica. Fragili case-scatola realizzate con diapositive trovate dall’artista evocano reminescenze effimere. Ogni edificio ha la propria storia e la propria valenza, emergen-ti dalla corrispettiva diapositiva-finestra illuminata. Reminescenze di ciò che è stato luogo di vita comune, quotidianità, per migliaia di abitanti, di qualcosa di ormaiperso che si reincarna nuovamente in forma di opera d’arte. Lo spazio collettivo / costruttivo definisce lo spazio individuale. In uno stato totalitario, lo spazio individuale non è preservato dall’azione invadente dello statomedesimo. Se la gente sognava negli anni Venti la distruzione dello spazio individuale, l’idea a fondamento delle cosiddette ‘case comuni’, nella realtà il sogno diuna vita collettiva felice comportava il totale controllo statale sul privato degli individui. La mostra ‘Ideological Anthill’ di Peter Belyi (2004) presenta un idioma spa-ziale, un formicaio per uomini fondato su una costruzione ideale. La specializzazione sociale all’interno dei formicai favorisce il lavoro metodico. Il formicaio è lametafora di un organismo sociale funzionante in cui nessuno si chiede mai il motivo della sua collocazione in una specifica parte della costruzione. In ‘IdeologicalAnthill’, tutto parla di persone ma, naturalmente, senza che queste compaiano e senza un richiamo seppur metaforico ad alcuna di esse. Questo è il ‘formicaio ideo-logico’ – un organismo sociale che è pura ideologia. Lo spazio collettivo / costruttivo è contrassegnato da bandiere rosse. Tali bandiere identificano le famiglie diformiche rispettose della legge. Quest’opera è una versione di una produzione realizzata nel 1974 dal padre dell’artista, l’architetto Semyon Belyi. Quindi, la mostra‘Ideological Anthill’ evoca un tempo in cui le persone erano divise tra osservanti della legge e dissidenti. In retrospettiva, il ricordo di quest’epoca è caricato oggi-giorno anche dal senso della perdita di opposizione e di non conformismo, nel tempo di un ‘formicaio ideologico’ di nuova generazione.

5. LA MALINCONIA DELLA MODELLATURA COMMEMORATIVAIl soggetto mancante delle mostre dedicate alla ‘modellatura commemorativa’ è un soggetto perduto. Era ma non è più. A rimanere sono solo le tracce lasciate. Lereminescenze che ne scaturiscono sono sempre, a un tempo, sia reminescenze di un soggetto perduto sia quelle che potrebbero definirsi reminescenze da un sogget-to perduto. Il posto lasciato dal soggetto perduto è ciò che l’artista desidera mostrare. Per questo motivo, la ‘modellatura commemorativa’ diventa l’allegoria dellamalinconia. L’eroe centrale della mostra ‘La biblioteca di Pinocchio’ (2008), ovvero proprio il Pinocchio mancante, incarna nel progetto di Peter Belyi la figura dell’architetto deglianni Sessanta che ha vissuto sulla sua pelle le speranze e le disillusioni artistiche di quell’epoca. Allo stesso tempo, il piccolo burattino è il simbolo di un’ideologiautopistica proiettata al futuro. La severa censura applicata dall’ideologia porta alla disillusione di ogni forma di conoscenza; il libro di legno di Pinocchio non puòessere aperto. La sua biblioteca è un memoriale unico dell’Utopia, sempre di per sé commemorativa e mai vissuta come tale. I libri della biblioteca di Pinocchio hanno la forma di un tronco di legno e sono realizzati in questo materiale; essi trasportano la memoria verso le origini dell’eroe.La biblioteca preserva le conoscenze che hanno dato vita al bambino vero. Inoltre, essa è il modello commemorativo della città: i libri in posizione eretta, gli scaf-

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fali della ‘Biblioteca di Pinocchio’ sono metafore delle strutture urbane, dei grattacieli, del sogno dell’architetto degli anni Sessanta. È qui che Pinocchio vive.L’architettura è sociale fino all’estremo: i libri della biblioteca di Pinocchio sono essi stessi la rappresentazione dell’eroe mancante. Circondato da questi libri in legno,Pinocchio rappresenta la conoscenza inaccessibile, la malinconia della legge delle origini. Come se il padre di Pinocchio non fosse mai arrivato con il coltello nellemani, il padre che lo ha intagliato, che gli ha dato forma e lo ha liberato dalla prigionia. Questi libri di legno preservano il segreto. Una conoscenza chiusa. Una voceche è silenzio. La malinconia del silenzio, la capacità dell’introspezione, il segreto mai svelato – questi i soggetti della mostra di Peter Belyi intitolata ‘Minute of Silence’ (2007).Una mostra composta di enormi altoparlanti a ricordo dell’Assedio di Leningrado. L’indicibile lingua vellutata del cordoglio proveniente dal grezzo altoparlante inmetallo assorbe il silenzio. Ciascun altoparlante rappresenta il silenzio, il tempo, la memoria storica. Il grande altoparlante rappresenta il silenzio sordo alla dimen-sione politica del sociale.

6. DECOSTRUZIONE DEL POLITICOLa memoria storica è attiva. La memoria non si limita a riflettere gli eventi storici: li produce. La memoria è creativa e distruttiva; la sua natura selettiva ha un carat-tere politico. La mostra ‘Danger Zone’ (2006) rappresenta il binomio costruzione/distruzione; essa mostra, letteralmente, il processo di decostruzione. L’opera ultimata è costrui-ta quanto distrutta, come se la portata a termine dei lavori di costruzione non corrispondesse ad altro che a un inganno politico. La storia rimane aperta nonostan-te tutte le proclamazioni che sia chiusa, nonostante tutti gli sforzi in direzione del superamento degli antagonismi sociali, nonostante gli elogi politici sulla fine dellapolitica stessa. In ‘Danger Zone’, la modellatura un tempo associata alla natura proiettiva di avanguardia diventa la materia commemorativa del danno apportato dal Modernismo.Questo danno è incarnato letteralmente nel logorio fisico, la distruzione quindi della costruzione dello spazio sociale. Alti edifici, o piuttosto le strutture vuote diquesti, sono realizzati in cartongesso (il meno duraturo dei materiali) creando l’impressione di costruzioni fragili ancora da ultimare o da lasciare immutate fino alcrollo definitivo. La causa della distruzione non è chiara – tempo, guerra o semplicemente un’ennesima trasformazione del sistema politico. ‘Danger Zone’ dona unsignificato estetico al danno meccanico, e tale significato rivela di avere un effetto terapeutico. L’idea plastica e scultorea di ‘Danger Zone’ è sviluppata nella mostra ‘Mausoleo Tipo’ (2008). Modelli di mausolei logorati e vicini al crollo incarnano la crisi politi-ca nel definire gli sforzi dei poteri che saranno. Scheletri di quelle costruzioni in pannelli prefabbricati utilizzate nei tempi addietro per creare le città, fabbriche eospedali sono composti in forma di mausoleo. Ciò che avrebbe dovuto durare migliaia di anni si trasforma davanti ai nostri occhi in una rovina. Nello specifico, èl’ideologia stessa incarnata dal mausoleo a trasformarsi in polvere. Il mausoleo ha vita breve esattamente come l’ideologia che ne costituisce le fondamenta. Quindi,analizzando le speranze e le delusioni architettoniche degli anni Sessanta e Settanta, Peter Belyi decostruisce l’Utopia.

Olesia Turkina, Viktor MazinTradotto dal russo da Catherine PhillipsIn Italiano da Francesca di Martino

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PRINCIPALI PERSONALISOLO PROJECTSEXHIBITIONS

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MINUTE OF SILENCEUNECESSARY ALPHABETLEN PROJECTDANGER ZONEMY NEIGHBORHOODDREAM OF A CONCIERGE

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MINUTO DI SILENZIOMINUTE OF SILENCE2007

Minute of silence è un’installazione studiata per la commemorazione dell’assedio di Leningrado.Durante la seconda guerra mondiale Leningrado fu invasa dall’esercito nazista, che vi portò morte e distruzione.A memoria del tragico evento Belyi trasforma lo spazio espositivo in un ambiente tetro e luttuoso. Un enorme altoparlante, identico a quelli (ovviamentedi più piccole dimensioni) che erano posti ai lati delle strade cittadine durante la guerra sovrasta l’intero spazio. Alle pareti si stagliano alcune colonne nere.Il soggetto, già di per sé intensamente drammatico, è reso ricorrendo a materiali semplici e spogli. Il risultato è volutamente privo di qualsiasi ornamentali-tà e profondamente serio nella sua monumentalità. L’installazione rappresenta in particolare il minuto di silenzio che commemora l’episodio storico. E’ la dolorosa e inquietante risonanza di un silenzio, cheallude all’assenza di esseri umani, costretti alla fuga dalla minaccia nazista e dal clima gelido. Così, osservando questo lavoro di forte impatto emotivo, si ha quasi la sensazione che il dolore prenda corpo e divenga fisico, tragicamente tangibile.

NAVICULA ARTIS

Minute of silence è un’installazione studiata per la commemorazione dell’assedio di Leningrado.Durante la seconda guerra mondiale Leningrado fu invasa dall’esercito nazista, che vi portò morte e distruzione.A memoria del tragico evento Belyi trasforma lo spazio espositivo in un ambiente tetro e luttuoso. Un enorme altoparlante, identico a quelli (ovviamentedi più piccole dimensioni) che erano posti ai lati delle strade cittadine durante la guerra sovrasta l’intero spazio. Alle pareti si stagliano alcune colonne nere.Il soggetto, già di per sé intensamente drammatico, è reso ricorrendo a materiali semplici e spogli. Il risultato è volutamente privo di qualsiasi ornamentali-tà e profondamente serio nella sua monumentalità. L’installazione rappresenta in particolare il minuto di silenzio che commemora l’episodio storico. E’ la dolorosa e inquietante risonanza di un silenzio, cheallude all’assenza di esseri umani, costretti alla fuga dalla minaccia nazista e dal clima gelido. Così, osservando questo lavoro di forte impatto emotivo, si ha quasi la sensazione che il dolore prenda corpo e divenga fisico, tragicamente tangibile.

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UNECESSARY ALPHABETUNECESSARY ALPHABET2007

Anche in questo lavoro torna il tema caro all’artista delle rovine, tracce di un passato ormai superato dai pur recenti mutamenti storici. Oggetto del lavorosono le parole semplici che nominano oggetti di tutti i giorni. Qui Belyi sviluppa una riflessione circa il significato e l’eredità del materialismo storico di stampo marxista. Alla considerazione materialista delle cose, cheriduceva l’oggetto a mero valore d’uso, l’artista oppone una visione più vicina all’esistenzialismo. Ogni parola che nomina un oggetto, anche la più sempli-ce, porta con sé un’area semantica di significati che trascende ampiamente tanto il valore d’uso, quanto quello di scambio dell’oggetto stesso. E’ densa diricordi, significati, sentimenti ed evocazioni. Come a dire che il senso di parole e cose risiede nelle persone, nel loro uso sentito e vivo di parole e oggetti. In questo lavoro lo spazio fisico che circonda e accoglie la parola scritta ne amplifica poi il significato e il contesto di rimandi. La parola va così ben oltretanto la phonè, quanto la scrittura, appropriandosi concretamente di un ambiente fisico: segno della vita che il linguaggio produce e da cui al tempo stessoscaturisce.

Anche in questo lavoro torna il tema caro all’artista delle rovine, tracce di un passato ormai superato dai pur recenti mutamenti storici. Oggetto del lavorosono le parole semplici che nominano oggetti di tutti i giorni. Qui Belyi sviluppa una riflessione circa il significato e l’eredità del materialismo storico di stampo marxista. Alla considerazione materialista delle cose, cheriduceva l’oggetto a mero valore d’uso, l’artista oppone una visione più vicina all’esistenzialismo. Ogni parola che nomina un oggetto, anche la più sempli-ce, porta con sé un’area semantica di significati che trascende ampiamente tanto il valore d’uso, quanto quello di scambio dell’oggetto stesso. E’ densa diricordi, significati, sentimenti ed evocazioni. Come a dire che il senso di parole e cose risiede nelle persone, nel loro uso sentito e vivo di parole e oggetti. In questo lavoro lo spazio fisico che circonda e accoglie la parola scritta ne amplifica poi il significato e il contesto di rimandi. La parola va così ben oltretanto la phonè, quanto la scrittura, appropriandosi concretamente di un ambiente fisico: segno della vita che il linguaggio produce e da cui al tempo stessoscaturisce.

BELKA I STRELKA, ANNAFRANTS GALLERY SPACE

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LEN PROJECTLEN PROJECT

In Lenproject le rovine di un paesaggio postindustriale diventano testimonianze di una memoria storica e culturale. Il lavoro è però volutamente privo diqualsiasi sentimento romantico: non si tratta di contemplare le vestigia del passato, quanto piuttosto di cogliere proprio il costante dissiparsi della rovinastessa. Il lavoro si compone di una serie di installazioni e scritte retroilluminate, dove la luce gioca un ruolo decisivo. La tonalità emotiva dell’ambiente ha un sapo-re antico, non privo di una sua forma di laicissima sacralità. La riflessione ha a che fare con il senso di perdita della memoria storica. Come dire che la storia perduta ha lasciato nelle nostre città le sue tracce, ma que-ste sono solo apparentemente salde e immutabili. Tendono invece lentamente a dissolversi, come testimonianze di realtà sempre più lontane e sfuocate nellamemoria.

In Lenproject le rovine di un paesaggio postindustriale diventano testimonianze di una memoria storica e culturale. Il lavoro è però volutamente privo diqualsiasi sentimento romantico: non si tratta di contemplare le vestigia del passato, quanto piuttosto di cogliere proprio il costante dissiparsi della rovinastessa. Il lavoro si compone di una serie di installazioni e scritte retroilluminate, dove la luce gioca un ruolo decisivo. La tonalità emotiva dell’ambiente ha un sapo-re antico, non privo di una sua forma di laicissima sacralità. La riflessione ha a che fare con il senso di perdita della memoria storica. Come dire che la storia perduta ha lasciato nelle nostre città le sue tracce, ma que-ste sono solo apparentemente salde e immutabili. Tendono invece lentamente a dissolversi, come testimonianze di realtà sempre più lontane e sfuocate nellamemoria.

2007STATE HERMITAGE MUSEUM

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DANGER ZONEDANGER ZONE

Tema di Danger Zone sono le rovine diroccate di una metropoli tipica dell’era post-industriale: un panorama desolato, fatto di costruzioni standardizzate,fredde case popolari o prefabbricati. Il lavoro è realizzato in plasterboards, un materiale usa e getta, a simboleggiare la precarietà di qualcosa fatto non perrestare, ma per il mero uso materialistico. Qui infatti tutto pare guardare solo al qui ed ora, all’uso e al consumo immediato, espressione di una società privatanto di futuro quanto di memoria. La monocromia e la sorda ripetitività dei modelli evocano un senso di alienazione e di solitudine esistenziale. Ma pro-prio la monotonia, la stolida e forzata standardizzazione, rimanda inevitabilmente al suo contrario: la vitalità umana e la libertà del pensiero, qualità perloro natura insopprimibili e al contempo irrappresentabili. Nelle immagini le tetre costruzioni acquistano così una sorta di bellezza, un’armonia nascosta eimprevedibile, e tuttavia presente.

Tema di Danger Zone sono le rovine diroccate di una metropoli tipica dell’era post-industriale: un panorama desolato, fatto di costruzioni standardizzate,fredde case popolari o prefabbricati. Il lavoro è realizzato in plasterboards, un materiale usa e getta, a simboleggiare la precarietà di qualcosa fatto non perrestare, ma per il mero uso materialistico. Qui infatti tutto pare guardare solo al qui ed ora, all’uso e al consumo immediato, espressione di una società privatanto di futuro quanto di memoria. La monocromia e la sorda ripetitività dei modelli evocano un senso di alienazione e di solitudine esistenziale. Ma pro-prio la monotonia, la stolida e forzata standardizzazione, rimanda inevitabilmente al suo contrario: la vitalità umana e la libertà del pensiero, qualità perloro natura insopprimibili e al contempo irrappresentabili. Nelle immagini le tetre costruzioni acquistano così una sorta di bellezza, un’armonia nascosta eimprevedibile, e tuttavia presente.

2007MODUS R, DANEYAL MAHMOOD GALLERY, MARGULIES COLLECTION

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IL MIO MICROQUARTIEREMY NEIGHBOURHOOD

My Neighbourhood è un modellino di città composto riproduzioni in miniatura di edifici urbani della quotidianità: dall’ospedale alla scuola, ai palazzi resi-denziali. Ogni costruzione ha il suo nome e la sua storia (Hermitage, first word, dust, Shostakovich, 1972, Vasilii Blazhennyi). Il modello rappresenta un tipi-co quartiere sovietico degli anni ’60 del ‘900 e gli edifici in scala sono realizzati con vecchie diapositive, usate come tasselli di lego fatti combaciare pazien-temente l’uno con l’altro. Alcune immagini sono retroilluminate, mentre altre restano opache. A dare l’effetto della vita notturna cittadina, le diapositiveappaiono così come finestre che si affacciano su stanze buie o rischiarate di luce artificiale di veri palazzi. Ogni diapositiva rappresenta il brandello di un passato che non esiste più, la testimonianza di vite, persone e sentimenti di non molti anni fa, ma che la sto-ria recente ha già radicalmente trasformato. L’atmosfera è malinconica e delicatamente poetica.Ne nasce una città fatta di ricordi e immagini, dove le figure della memoria sono incastonate le une nelle altre in modo malinconicamente incoerente, comele tessere di un multiforme mosaico.

My Neighbourhood è un modellino di città composto riproduzioni in miniatura di edifici urbani della quotidianità: dall’ospedale alla scuola, ai palazzi resi-denziali. Ogni costruzione ha il suo nome e la sua storia (Hermitage, first word, dust, Shostakovich, 1972, Vasilii Blazhennyi). Il modello rappresenta un tipi-co quartiere sovietico degli anni ’60 del ‘900 e gli edifici in scala sono realizzati con vecchie diapositive, usate come tasselli di lego fatti combaciare pazien-temente l’uno con l’altro. Alcune immagini sono retroilluminate, mentre altre restano opache. A dare l’effetto della vita notturna cittadina, le diapositiveappaiono così come finestre che si affacciano su stanze buie o rischiarate di luce artificiale di veri palazzi. Ogni diapositiva rappresenta il brandello di un passato che non esiste più, la testimonianza di vite, persone e sentimenti di non molti anni fa, ma che la sto-ria recente ha già radicalmente trasformato. L’atmosfera è malinconica e delicatamente poetica.Ne nasce una città fatta di ricordi e immagini, dove le figure della memoria sono incastonate le une nelle altre in modo malinconicamente incoerente, comele tessere di un multiforme mosaico.

2005FIRST MOSCOW BIENNALE, KRINZINGER GALLERY, PACK GALLERIA, RUSSIAN STATE MUSEUM

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TESTO DI OLESYADREAMS OF A CONCIERGE2003

Dreams of a concierge fa parte di una serie di opere sul tema dei sogni. Qui l’artista ricorre a soggetti di carattere mitologico, con una particolare attenzio-ne all’architettura e alla simbologia. Belyi ricrea un ambiente fortemente evocativo. E’ lo stanzino di un portiere, una semplice guardiola che qui però assu-me le caratteristiche di un luogo sacro e misterioso. Lunghe fila di chiavi sono allineate sulle superfici di alcune costruzioni di diversa foggia: oggetti pira-midali, a torre, rettangolari e così via. Sono qui evocati alcuni edifici mitici della storia dell’umanità o dell’epopea mitologica: la Torre di Babele, la Colonnadi Troia, una piramide egizia, il Muro di Berlino. Le chiavi custodite diventano a loro volta figure simboliche di situazioni o persone, realtà o storie umaneche restano misteriosamente celate, ma a cui si allude. L’ambiente ricorda in qualche modo la cella di un monaco. Persino la temperatura è volutamente bassa, con lo scopo di invitare il visitatore ad un atteggia-mento raccolto, quasi religioso. Abbiamo la percezione di violare un luogo privato e segreto, accedendo senza averne diritto alle chiavi per comprendereogni storia e interiorità umana.

Dreams of a concierge fa parte di una serie di opere sul tema dei sogni. Qui l’artista ricorre a soggetti di carattere mitologico, con una particolare attenzio-ne all’architettura e alla simbologia. Belyi ricrea un ambiente fortemente evocativo. E’ lo stanzino di un portiere, una semplice guardiola che qui però assu-me le caratteristiche di un luogo sacro e misterioso. Lunghe fila di chiavi sono allineate sulle superfici di alcune costruzioni di diversa foggia: oggetti pira-midali, a torre, rettangolari e così via. Sono qui evocati alcuni edifici mitici della storia dell’umanità o dell’epopea mitologica: la Torre di Babele, la Colonnadi Troia, una piramide egizia, il Muro di Berlino. Le chiavi custodite diventano a loro volta figure simboliche di situazioni o persone, realtà o storie umaneche restano misteriosamente celate, ma a cui si allude. L’ambiente ricorda in qualche modo la cella di un monaco. Persino la temperatura è volutamente bassa, con lo scopo di invitare il visitatore ad un atteggia-mento raccolto, quasi religioso. Abbiamo la percezione di violare un luogo privato e segreto, accedendo senza averne diritto alle chiavi per comprendereogni storia e interiorità umana.

NAVICULA ARTIS

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ALTRI LAVORI SELEZIONATIOTHER SELECTEDWORKS

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CELESTIAL MECHANICSMETAPHYSICAL SLIDE MONUMENTSH854

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CELESTIAL MECHANICSCELESTIAL MECHANICS2007

Dreams of a concierge fa parte di una serie di opere sul tema dei sogni. Qui l’artista ricorre a soggetti di carattere mitologico, con una particolare attenzio-ne all’architettura e alla simbologia. Belyi ricrea un ambiente fortemente evocativo. E’ lo stanzino di un portiere, una semplice guardiola che qui però assu-me le caratteristiche di un luogo sacro e misterioso. Lunghe fila di chiavi sono allineate sulle superfici di alcune costruzioni di diversa foggia: oggetti pira-midali, a torre, rettangolari e così via. Sono qui evocati alcuni edifici mitici della storia dell’umanità o dell’epopea mitologica: la Torre di Babele, la Colonnadi Troia, una piramide egizia, il Muro di Berlino. Le chiavi custodite diventano a loro volta figure simboliche di situazioni o persone, realtà o storie umaneche restano misteriosamente celate, ma a cui si allude. L’ambiente ricorda in qualche modo la cella di un monaco. Persino la temperatura è volutamente bassa, con lo scopo di invitare il visitatore ad un atteggia-mento raccolto, quasi religioso. Abbiamo la percezione di violare un luogo privato e segreto, accedendo senza averne diritto alle chiavi per comprendereogni storia e interiorità umana.

Dreams of a concierge fa parte di una serie di opere sul tema dei sogni. Qui l’artista ricorre a soggetti di carattere mitologico, con una particolare attenzio-ne all’architettura e alla simbologia. Belyi ricrea un ambiente fortemente evocativo. E’ lo stanzino di un portiere, una semplice guardiola che qui però assu-me le caratteristiche di un luogo sacro e misterioso. Lunghe fila di chiavi sono allineate sulle superfici di alcune costruzioni di diversa foggia: oggetti pira-midali, a torre, rettangolari e così via. Sono qui evocati alcuni edifici mitici della storia dell’umanità o dell’epopea mitologica: la Torre di Babele, la Colonnadi Troia, una piramide egizia, il Muro di Berlino. Le chiavi custodite diventano a loro volta figure simboliche di situazioni o persone, realtà o storie umaneche restano misteriosamente celate, ma a cui si allude. L’ambiente ricorda in qualche modo la cella di un monaco. Persino la temperatura è volutamente bassa, con lo scopo di invitare il visitatore ad un atteggia-mento raccolto, quasi religioso. Abbiamo la percezione di violare un luogo privato e segreto, accedendo senza averne diritto alle chiavi per comprendereogni storia e interiorità umana.

PULKOVO OBSERVATORY

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METAPHYSICAL SLIDE MONUMENTMETAPHYSICAL SLIDE MONUMENT2004

Questo progetto è ispirato alla collezione permanente del Museo della città di Udine. Anche in questo caso torna la struttura architettonica della torre. Qui la torre è fatta di immagini di opere d’arte antica mescolate con diapositive che ritrag-gono scene di vita nell’Unione Sovietica degli anni ’60 e ’70. Prima del crollo del muro di Berlino per i sovietici la possibilità di recarsi in Italia per vedere le opere storiche restava spesso un sogno. Il più delle volte icapolavori del passato erano quindi conosciuti attraverso i libri. L’immagine della cultura storico artistica del nostro paese era così idealizzata.In realtà il fatto che si conoscano le opere d’arte per lo più attraverso le immagini riprodotte è molto comune anche oggi in Occidente. Ma se - come soste-neva Benjamin - l’arte rischia così perdere la sua “aura”, d’altro canto, e per la stessa ragione, essa assume anche una nuova qualità sociale. Proprio perchépiù accessibile l’arte entra a far parte di un patrimonio culturale ampiamente condiviso e avvicinabile da un sempre maggior numero di persone.

Questo progetto è ispirato alla collezione permanente del Museo della città di Udine. Anche in questo caso torna la struttura architettonica della torre. Qui la torre è fatta di immagini di opere d’arte antica mescolate con diapositive che ritrag-gono scene di vita nell’Unione Sovietica degli anni ’60 e ’70. Prima del crollo del muro di Berlino per i sovietici la possibilità di recarsi in Italia per vedere le opere storiche restava spesso un sogno. Il più delle volte icapolavori del passato erano quindi conosciuti attraverso i libri. L’immagine della cultura storico artistica del nostro paese era così idealizzata.In realtà il fatto che si conoscano le opere d’arte per lo più attraverso le immagini riprodotte è molto comune anche oggi in Occidente. Ma se - come soste-neva Benjamin - l’arte rischia così perdere la sua “aura”, d’altro canto, e per la stessa ragione, essa assume anche una nuova qualità sociale. Proprio perchépiù accessibile l’arte entra a far parte di un patrimonio culturale ampiamente condiviso e avvicinabile da un sempre maggior numero di persone.

RUSSIAN STATE MUSEUM, UDINE PINACOTECA

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SH854 SH854 2005

Ispirata al famosissimo romanzo di Aleksandr SolÏenicyn Un giorno nella vita di Ivan Denisovich, questa installazione racconta l’orrore dei Gulag e delladittatura. SH 854 è infatti il numero della cella del campo di concentramento in cui viene tenuto prigioniero Denisovich, protagonista del romanzo. Una prima installazione è composta da un modellino di grandi dimensioni: un gruppo di baracche allineate nel campo di concentramento, invase dalla vege-tazione selvatica come case diroccate e abbandonate. L’illuminazione piove al centro dall’alto, accentuando il senso di drammaticità. E’ esposta anche unaserie di fotografie dei gulag e dell’Unione Sovietica di quegli anni. Nella seconda installazione altre fotografie sono utilizzate come tasselli a comporre le cifre del numero di cella di Denisovich, leggibili però solo ad alcunimetri di distanza. Nella violenza del gulag, come dei lager nazisti, l’uomo è ridotto a un numero, perde il proprio nome e la propria identità. SolÏenicyn è qui simbolo umanoe poetico dell’inalienabile diritto dell’essere umano alla libertà di espressione. La sua testimonianza suona ancora oggi come un monito contro ogni regimeideologico e violento.

Ispirata al famosissimo romanzo di Aleksandr SolÏenicyn Un giorno nella vita di Ivan Denisovich, questa installazione racconta l’orrore dei Gulag e delladittatura. SH 854 è infatti il numero della cella del campo di concentramento in cui viene tenuto prigioniero Denisovich, protagonista del romanzo. Una prima installazione è composta da un modellino di grandi dimensioni: un gruppo di baracche allineate nel campo di concentramento, invase dalla vege-tazione selvatica come case diroccate e abbandonate. L’illuminazione piove al centro dall’alto, accentuando il senso di drammaticità. E’ esposta anche unaserie di fotografie dei gulag e dell’Unione Sovietica di quegli anni. Nella seconda installazione altre fotografie sono utilizzate come tasselli a comporre le cifre del numero di cella di Denisovich, leggibili però solo ad alcunimetri di distanza. Nella violenza del gulag, come dei lager nazisti, l’uomo è ridotto a un numero, perde il proprio nome e la propria identità. SolÏenicyn è qui simbolo umanoe poetico dell’inalienabile diritto dell’essere umano alla libertà di espressione. La sua testimonianza suona ancora oggi come un monito contro ogni regimeideologico e violento.

GUELMAN GALLERY

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BIOGRAFIAPETER BELYI : BIOGRAPHYSOLO EXHIBITIONS

2008 - La biblioteca di Pinocchio, Galleria Pack, Milan

2007 - Unnecessary Alphabet, Anna Frants Gallery Space, New York- Danger Zone, Daneyal Mahmood Gallery, NewYork- Memorial Model-making, Gisich Gallery, St Petersburg, Russia- Minute of Silence, Navicula Artis, St Petersburg, Russia- Lenproekt, State Hermitage Museum, St Petersburg, Russia

2006 - Unnecessary Alphabet, Belka and Strelka, St Petersburg, Russia - KRUG2, Gisich Gallery, St Petersburg, Russia- Climactic Zone, Navicula Artis, St Petersburg, Russia

2005 - SH854, Guelman Gallery, Moscow - Privatisation of the Chimneystack, New Realms Gallery, London

2004 - Metaphorical Slide Tower, Pinacoteca Udine City Museum, Udine, Italy

2003 - Head of the Artist, Gisich Gallery, St Petersburg, Russia- Dreams of a Concierge, Navicula Artis, St Petersburg, Russia

2002 - Invasion, Extra, St Petersburg, Russia- Superprints, Che, St Petersburg, Russia

2001 - City Heights, Gallery 27, Cork Street, London

1998 - Peter’s Fountains, The Blythe Gallery, Manchester

1994 - Exhibition Hall of Odense University, Odense, Denmark- 11 Portraits of Prince Charles, Institute of Contemporary Art, St Petersburg

SELECTED GROUP EXHIBITION

2007 - Celestial Mechanics, Pulkovo Observatory, St Petersburg , Russia - Something About Power, 2 man show, 2nd Moscow Biennale, L Gallery, Moscow,

Russia- Border Territory, Mars Gallery, 2nd Moscow Biennale, Moscow, Russia- Architecture Ad Marginum, State Russian Museum, St Petersburg, Russia

2006 - Modus R, Art Basel Miami Beach, Miami

2005 - My Neighbourhood, Russia 2, Guelman Gallery, 1st Moscow Biennale, Moscow- White Project, Guelman Gallery, Art Moscow - Post Modellismus, Krinzinger Progekte, Vienna - Collage in Russia, State Russian Museum, St Petersburg, Russia

2004 - Royal Academy Summer Exhibition, Royal Academy, London- Art Moscow, Central Hall of Artists, Moscow

2003 - Dream of the Dictator, Art Manezh, Manezh, Moscow- Lorgues Print Festival, Lorgues, France- Dream of Triton, Anna Akhmatova Museum, St Petersburg- Royal Academy Summer Exhibition, Royal Academy, London- National Print Exhibition, The Mall Galleries, London

2002 - Discerning Eye, The Mall Galleries, London- Royal Academy Summer Exhibition, Royal Academy, London- Art Futures 2002, Contemporary Art Society, London- National Print Exhibition, The Mall Galleries, London

2001 - Discerning Eye, The Mall Galleries, London- Royal Academy Summer Exhibition, Royal Academy, London- National Print Exhibition, The Mall Galleries, London- 5th Open Print Exhibition, Royal West of England Academy, Bristol

2000 - National Print Exhibition, The Mall Galleries, London

1999 - Discerning Eye, The Mall Galleries, London- National Print Exhibition, The Mall Galleries, London (catalogue cover)- Rouble Art, Alchemy Gallery, London- The End of Style, City Museum, St Petersburg- 200 Years of Lithography, Russian State Museum, St Petersburg

1997 - Paper Theatre III, Bookcamera or The Book & The Elements, St Petersburg

1996 - National Print Exhibition, The Mall Galleries, London

MUSEUMS COLLECTIONS

The Margulies Collection-permanent collection - Miami,USAMurmansk Art Museum - permanent collection - Murmansk,RussiaAshmolean Museum - RE Diploma collection - Cambridge,UKVictoria & Albert Museum - permanent collection - London,UK

AWARDS

2005 Novosibirsk Print Biennale 2003 Birgit Skiold Prize – National Print Exhibition 2002 Gavin Graham Gallery Award – National Print Exhibition 2001 St Petersburg Print Biennale - Outstanding Printmaking Award2000 Galleries Magazine Award – National Print Exhibition

Born in 1971 in Leningrad USSR. He graduated in 1989 from the Secondary Art School of the Academy of Arts, and studied ceramics at Mukhin Academy of Applied Art from1990 to 1992. He lived in London from 1995 to 2001 and graduated from Camberwell College in 2000 with an MA in Printmaking. He lives and works in St Petersburg, Russia. He teaches at the Smolnyi Institute in St Petersburg. He is a member of the Russian Union of Artists and the Royal Society of Painter-Printmakers.

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RINGRAZIAMENTITHANKS TOColophon