Piana G., Il Cromatismo

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    Giovanni Piana

    Il cromatismo

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    Di questo testo non esiste edizione a stampaedizione digitale: 2004

    In copertina: Dessin Chromatique di Ivan Wyschnegradsky(Association Ivan Wyschnegradsky http://music.dartmouth.-

    edu/~franck/iw/aiw.htm)

    Tutti gli esempi musicali sono in files di formato mp3. Per il loro ascolto ne-

    cessario che sia attivo un programma di lettura di questo formato e chelestensione mp3 sia associata ad esso.

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    Indice

    Parte ILalterazione traspositiva

    1. La nozione di alterazione2. Lalterazione traspositiva3. Lalterazione traspositiva in un sistema non equalizzato

    Parte IIIl cromatismo

    1. La nozione di cromatismo introdotta attraverso esempi2. Lalterazione cromatica3. Esempi tratti dallesecuzione di un raga

    4. Cromatismo e ornamentazione

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    Parte ILalterazione traspositiva

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    1. La nozione di alterazione

    Una riflessione introduttiva sul cromatismo non pu che prenderele mosse da un chiarimento preliminare sulla nozione di alterazio-ne. Su di essa anzi conviene indugiare piuttosto a lungo. Questanozione fa parte dei concetti elementari di una teoria della musi-

    ca in genere, per quanto poco la teoria musicale corrente tenti dimetterla a fuoco proprio sotto il profilo concettuale e delle sue im-portanti differenze interne e non di rado addirittura la propongain modo equivoco. Di controversie possibili sulla nozione non si hatroppo sentore e nelle spiegazioni talora non ci si allontana moltodalle semplici indicazioni del maestro di clavicembalo o di piano-forte che alla fine pu contare sulla differenza tra tasti neri e tastibianchi.

    Il Diesis posto accanto alla nota la fa avanzare di un mezzo tono;vuol dire, che in vece del tasto bianco, si tocca il suo pi vicino negro persalire. Il b molle , fa il contrario effetto, e il b quadro ripone la nota

    nel suo posto naturale1.

    Daltra parte, forse conviene anche da parte nostra cominciare lanostra discussione mettendo sul tappeto proprio le prime ovvietscolastiche, facendo crescere quei problemi che sono interni allanozione di alterazione, e poi di cromatismo, che in realt sono assaipoco avvertiti. Il primo passo deve dunque essere quello di metterliin evidenza.

    Una nota pu essere alterata, e precisamente lo pu in dire-

    1 Francisco Gasparini, Larmonico pratico al cembalo, Venezia 1708, p.

    28. Peraltro in questo testo si affida al segno anche la possibilit di levare il

    diesis alla nota che prima ne era occupata.

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    zione ascendente e in direzione discendente. Nel primo caso parle-

    remo di diesizzazione, nel secondo di bemollizzazione terminiche derivano dai nomi di segni da apporre alle note, intese a lorovolta come segni, per indicare la modificazione corrispondente nelsuono, e precisamente il segno diesis e il segno bemolle.

    Lattenzione nei confronti dei nomi pu sempre fornirciqualche utile suggerimento. Deve essere anzitutto rammentato cheil termine diesis (di/esij), nella teoria greca della musica non indi-ca un segno, ma il piccolo intervallo in genere. Cos il terzo di tonoviene detto da Aristosseno diesis cromatica minima ed il quarto ditono diesis enarmonica minima2. Lorigine del termine non facileda determinare. I dizionari lo connettono al verbo dihmi e va no-tato che tra i vari sensi di questo verbo ve ne sono alcuni che ri-chiamano lelemento liquido lo sciogliere, il far dissolvere, il di-luire e, come vedremo, questo riferimento non estraneo allim-piego del termine in ambito musicale. Il termine diesis mantienequesto suo senso greco fino in et rinascimentale e oltre3 e talora ilsegno, nella forma , viene interpretato come derivante da una

    rappresentazione della suddivisione del semitono in piccoli inter-valli, e precisamente come se ciascuna delle sue quattro linee rap-presentasse un quarto di semitono4. Nel suo Terminorum MusicaeDiffinitorium, Tinctoris definisce diesis sempre con riferimento ai

    2Aristosseno, Larmonica, 21.27. testo e trad. it. a cura di Rosetta Da

    Rios, Roma 1954.3 In realt, ancora Christian Huygens che propone una divisione equaliz-

    zata dellottava in trentun parti usa il termine diesisper indicare lintervallo mi-nimo . Cfr. Cycle harmonique par la divisione de loctave en 31 dieses, intervallesegaux. Oeuvres compltes, vol. 20, Musique et Mathmatique(La Haye: Marti-nus Nijhoff, 1940), 155-164 reperibile in Internet in Traits Franais sur la mu-sique(TFM)allindirizzo http://www.music.indiana.edu/tfm/index.html.

    4Questa spiegazione, dovuta a Stefano Vanneo e che rimanda alla suddi-visione del tono proposta da Marchetto da Padova, viene definita piuttosto

    fantasiosa da Karol Berger,Musica ficta. Theories of accidental inflections in vocalpolyphony from Marchetto da Padova to Gioseffo Zarlino, Cambridge UniversityPress, Cambridge, 1976, p. 29, dal momento che possibile piuttosto che il se-gno derivi da una evoluzione del bequadro, che a sua volta, riferito ad un be-molle antecedente, poteva essere inteso come segno di unalterazione ascendente.

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    piccoli intervalli: Diesis, secondo alcuni la stessa cosa che semi-

    tono minore [limma]; secondo altri, la met di questo semitonominore. Taluni vogliono che la diesis sia la quinta parte del tono,altri la terza, la quarta e lottava5.

    Lorigine del termine bemolle invece di ordine strettamentesemiografico e ci riporta ai tempi della solmisazione, ed in partico-lare alla designazione delle note mediante lettere. In rapida e som-maria sintesi: la lettera b indicava la nota si, che era alterabile inmodo discendente. Si rendeva perci necessaria una differentescrittura per indicare la nota non alterata e la nota a cui era statatolta lalterazione. Essa era a portata di mano: la lettera b pu esserescritta senza arrotondamenti (bquadrum, durum) il segno origi-nario era dunque poi divenuto oppure in modo arrotondato

    (brotundum o molle): il b molle venne riservato alla nota alterata,il b quadro alla nota non alterata. Abbiamo cos il segno che, se-

    parato dalla nota singola, verr utilizzato in seguito per indicare

    lalterazione discendente in genere, come il segno per indicare la

    soppressione di unalterazione precedente6.Tra le ovviet che vogliamo ammettere per facilitare il nostro

    inizio vi naturalmente il riferimento al sistema a temperamentoequalizzato. In esso lalterazione ha sempre la grandezza di un se-mitono (100 cents). Va da s allora che vi coincidenza obbiettiva

    dal punto di vista sonoro tra una nota diesizzata e la nota bemolliz-zata superiore, una doppia diesizzazione o una doppia bemolizza-zione riportano alla nota superiore e, rispettivamente, inferiore, adistanza di un tono. Si tratta delle cosiddette coincidenze enar-moniche, nellaccezione oggi usuale del termine. Data questa si-tuazione strettamente dipendente dal temperamento equalizzato si comprende subito che vi un livello del problema che riguardala forma notazionaleche governata da regole che riguardano la lo-gica interna della frasein cui compare il segno di alterazione. Que-

    5 J. Tinctoris, Terminorum Musicae Diffinitorum (ca. 1475), Paris 1951, p. 21.6 Per una spiegazione di dettaglio, che mostra la complessit dellintera

    questione, si veda K. Berger, op. cit. e J. Chailley, La musique et le signe, Ed.Rencontres, Lausanne 1967, pp. 48 sgg. (Le roman de la note si).

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    sta stessa logica interna fa percepire ad un orecchio musicalmente

    educato tra equivalenti enarmonici una differenza, motivata aseconda dei contesti, che non ha alcuna sussistenza obbiettiva. Sitratta di una delle tante attestazioni di quanto sia importante nellaricezione della musica lelemento fenomenologico e come lascoltomusicale sia un ascolto orientato pronto a registrare ogni variazionenecessaria del modo di intendere suggerita dalla struttura super-ficiale, anche quando questa variazione non ha nessun riscontro alivello profondo.

    opportuno inoltre richiamare lattenzione sul fatto che, intutto quanto precede, presupponiamo una ben determinata parti-zione dellottava ed proprio questo presupposto che stabiliscela grammatica correntedella parola alterazione. Secondo questagrammatica vi un impianto di note da considerare naturali lidea di alterazione assume evidentemente senso dal fatto che visiano note in s non alterate e che appunto sono soggette ad altera-zione. Gi qui comincia ad affiorare qualche problema. In che sen-so si usa questo termine tanto impegnativo? Ha esso a che vederecon lidea di una scala privilegiata, in quanto data in qualche modoin natura? In realt vorremmo evitare persino di cominciare unadiscussione su un simile argomento: tanto pi che essa non neces-saria e probabilmente ci porterebbe fuori strada. Cosicch lespres-

    sione naturale in questo contesto indicher per noi semplice-mente quel sistema di intervalli che, in un determinato linguaggiomusicale e con riferimento ad una nota data come inizio, individuadelle posizioni che verranno assuntecome non alterate.

    Si converr dunque che una determinata scala rappresenti loschema intervallare di base. Essa conster di note non alterate per ilsemplice fatto che essa stessa che fissa le posizioni a partire dallequali saranno eventualmente possibili delle alterazioni. Nota natu-rale significher dunque semplicemente nota nonalterata edin fin dei conti proprio questa laccezione vigente nella praticamusicale, quando in essa si parla di la naturale, mi naturale, ecc., a

    meno che non intervengano considerazioni teoriche che pretenda-no di attribuire a quellaggettivo ben altro peso. Il richiamarsi allaconvenzione un richiamo che spesso fonte di equivoci credo

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    sia in questo caso appropriato perch ci mette subito di fronte a di-

    versi possibili sistemi musicali con le loro differenti scale di base.Per spiegarci potremmo fare notare che perfettamente possibileimmaginare una partizione dellottava interamente diversa dallanostra assumendola come costituita di note naturali (nonalterate)che sono eventualmente passibili di alterazione.

    Ma che cosa significa mai essere passibili di alterazione? Ladomanda non affatto ingenua come potrebbe sembrare. In fin deiconti tra note alterate e non alterate, si dispone semplicemente diun insieme di note distinte esse potrebbero dunque aver nomi di-stintie non essere caratterizzate da segni modificativicome e.

    Questo problema esplode in tutta chiarezza nella dodecafoniaschoenberghiana, nella cui teoria sottintesa la richiesta di cancel-lare finalmente questa incongruenza anche sul piano terminologi-co. Si tratta di una possibilit che pu essere presa in seria conside-razione, ma occorre nello stesso tempo rendersi conto delle sue im-plicazioni. Il suo presupposto in effetti che la nozione di altera-zione nellaccezione del termine che rimanda ad una modifica-zione interna risulterebbe essere una nozione fittizia, priva difondamento nel materiale sonoro e legata unicamente a metodi eda convenzioni notazionali7. Ma le cose stanno veramente cos?

    Cerchiamo ancora di sviluppare la questione, destreggiandoci

    fra ovviet ben conosciute e il tentativo di romperne il guscio e fareintravvedere quanto sia intricato il gheriglio.

    Intanto diciamo pi precisamente, con riferimento al nostrosistema musicale, che il sistema intervallare di base il seguente:

    7 La parola alterare, derivando dal latino alter(=altro), pu essere intesa

    nel senso di modificare (verndern); meglio per supporre che alterare signifi-

    chi prendere un altro suono che non quello proprio della scala; e questo ci fapensare alla sostituzione dei modi maggiore e minore con la scala cromatica;oggi come oggi, la questione dellortografia divenuta oziosa: A. Schnberg,Manuale di armonia, trad. it. a cura di G. Manzoni, Milano 1963, p. 441 e p.443444.

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    Ma subito necessario aggiungere: assumendo come naturale laprima nota di inizio della scala, che nel nostro caso sar il do 3 (ov-vero il do centrale su una tastiera pianistica), tutte le altre note chesi trovano nelle posizioni indicate dagli intervalli saranno assunte aloro volta come naturali, e saranno dunque soggette a possibili alte-razioni. Il fatto che laltezza obbiettiva di questa nota sia normaliz-zata in rapporto ad una determinata frequenza e che quindi sianonormalizzate tutte le sue ottave inferiori e superiori un fatto rela-tivamente secondario. Il punto essenziale che si decida o siastato deciso quale schema debba valere come sistema intervallaredi base e quale nota (frequenza) debba avere la nota iniziale dellascala. Secondo quanto abbiamo osservato or ora, non vi sarebbe damutare una virgola se lo schema scalare fosse differente, sia perquanto riguarda la grandezza degli intervalli sia per quanto riguar-da la loro distribuzione ed anche il loro numero.

    Lo schema sopra introdotto un esempio di possibile scaladiatonica. In realt non possiamo dare per scontata una nozionecome questa, cos come quella corrispondente di scala cromatica e nemmeno possiamo fidarci troppo della manualistica corrente.Anche la teoria musicale evoluta tende a non occuparsi di questolivello infimo della concettualit musicale, cosicch non possia-

    mo subito, come ci piacerebbe fare, procedere con sicurezza a ca-vallo di una buona definizione gi belle pronta.

    Diatonico (dia/tonoj), nella teoria musicale greca, ilnome di uno dei tre generi, caratterizzato dallo schema TTS in di-rezione discendente nel tetracordo. Ma questo ricordo storico haanche un significato interno: dia/tonoj letteralmente attraversoil tono ovvero passando da un tono allaltro8: si allude dunquead una struttura in cui lintervallo di tono dominantee pi ampia-mente ad una struttura in cui sono predominanti intervalli piuttostograndi. Naturalmente in TTS presente il semitono, e non a caso

    8Molto bene J. J. Rousseau, Dictionnaire de musique, reperibile in Inter-net in Traits Franais sur la musique (TFM)allindirizzo http://www.music.in-diana.edu/tfm/index.html, alla voce diatonico: Ce mot vient du grec [dia], par,et de [tonos], ton, c'est--dire passant d'un ton un autre.

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    la terminologia musicale parla, in questo caso, di semitono diato-

    nico. Il semitono qui in questione merita di essere chiamato dia-tonico, anche se la sua grandezza fosse eguale al semitono di altera-zione (come appunto il caso del temperamento equalizzato), peril fatto che esso integrato in una struttura a predominanza del to-no, ed assolve del resto una funzione essenziale nel profilo dellascala diatonica.

    Il semitono di alterazione dunque non ha di principio nullaa che vedere con il semitono diatonico. Esso non appartiene allascala diatonica si potrebbe osservare: lenunciazione di questascala non lo nomina. Parleremo allora senzaltro in rapporto al se-mitono di alterazione, e dunque nella materializzazione pianisticadella struttura, in rapporto ai tasti neri, di semitono cromatico? Se-condo gli insegnamenti usuali, dovremmo probabilmente rispon-dere affermativamente. In base ad essi la scala formata dai dodicisemitoni che risulta mettendo in successione le note diatoniche conle note alterate si chiamer scala cromatica e questa dizione sa-r giustificata di norma con la presenza in essa, tra gli altri, disemitoni cromatici. La scala cromatica sarebbe dunque definitacome un misto di semitoni diatonici e di semitoni cromatici? A noiuna simile caratterizzazione ci sembra subito piuttosto stravagante.Ed abbiamo anche la sensazione che non si tratti di una questione

    di pura teoria, ma che, malamente impostata, essa possa oscurarerapporti musicali di fondamentale importanza. Anche se per ilmomento si tratta di una sensazione che sulla base delle cose dettenon potremmo certo motivare.

    Il termine di cromatismo deriva a sua volta dal genere grecodetto cromatico, ma il richiamo ai generi qui, come del resto inprecedenza per il diatonico, meno significativo di quanto lo sialidea del chroma (xrw=ma) contenuta nel termine. Chroma signifi-ca colore, ed anche sfumatura di colore. Ci troviamo cos ancora unavolta nellarea di senso della parola diesis, del piccolo intervallo edellelemento tendenzialmente fluido. Del resto il genere cromatico

    greco si chiama cos per una progressiva riduzione di grandezza de-gli intervalli conclusivi del tetracordo (ed un aumento corrispon-dente del tono iniziale); nel genere enarmonico questi intervalli ar-

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    rivano sino ai quarti di tono, cosicch il genere enarmonico pu es-

    sere considerato una sorta di cromatico spinto.Si intravvede qui una problematica che le definizioni scola-

    stiche tendono a cancellare, dando forza invece allidea di due for-

    me scalari distinte, la scala cromatica e la scala diatonica, che sa-rebbero luna sovraordinata allaltra. La scala diatonica infatti sem-bra per cos dire ritagliata sulla scala cromatica e derivata o deri-vabile da essa.

    Una simile impostazione appare piuttosto evidente. Potrem-mo infatti proporre il rapporto tra scala cromatica e la scala diato-nica secondo lo schema seguente:

    Esso presenta le cose come se ci fosse una partizione primaria dellospazio sonoro, la suddivisione semitonale, ed una partizione secon-daria che rappresenta una selezione operata su di essa.

    Ecco che cosa scrive lautorevole trattato di armonia di Wal-ter Piston sullargomento:

    Il totale delle altezze comunemente usate, considerate nel-

    linsieme, costituisce la scala cromatica, formata interamente disemitoni, lintervallo pi piccolo della musica occidentale. Il che persino fattualmentecorretto. E per quanto riguarda la scala diato-nica: Ogni scala diatonica un sottosistema formato da sette delledodici note della scala cromatica9.

    Ed ancora: Si definisce cromatismo luso di note estraneealla scala maggiore o a quella minore. Tacendo sul fatto che nonper ogni uso di note estranee alla scala si pu parlare di cromati-smo, la definizione in questione legata intrinsecamente al lin-guaggio tonale, come se non esistesse cromatismo al di fuori di esso

    e la parola non potesse abbracciare fenomeni presenti in ogni lin-

    9 W. Piston, Armonia, ed. it. a cura di G. Bosco, G. Gioanola, G. Vinay,EDT, Torino 1991, p. 4.

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    guaggio musicale. Vero che Piston avverte che le note cromati-

    che cominciarono ad apparire in musica molto prima del periododellarmonia tonale, ma non si vede come ci possa conciliarsi conla sua definizione o che cosa si possa intendere in questa precisa-zione con nota cromatica 10. Il peggio sta tuttavia nel fatto che inquesta definizione si fa strage di tutti i possibili impieghi funzio-nalmente differenti dei tasti neri, riferendo il termine di cromati-co proprio, sto per dire, soltanto alla nerezza del tasto.

    Per Stefano Lanza diatonico significa non tanto attraversotoni, o addirittura, come noi saremmo propensi a ritenere, attra-verso intervalli piuttosto grandi, quanto attraverso gradi e, comesubito vedremo, questa scelta non priva di conseguenze. Inoltrequesto termine, a suo avviso, andrebbe riservato alla scala eptatoni-ca quando gli intervalli fra i gradi sono solo toni e semitoni dispo-sti come fra le note naturali (2 semitoni separati alternativamenteda 2 e 3 toni), che sono appunto gli intervalli normali della no-stra musica. Sembra dunque che anche in rapporto al terminediatonico ci si attenga ad un mero dato di fatto, imponendogli larestrizione alla scala eptatonica esattamente corrispondente al no-stro normale sistema intervallare. Perci non saranno chiamatediatoniche, ad esempio, le scale pentatoniche oppure le scale esato-niche; e naturalmente nemmeno la scala dodecafonica cio di

    dodici gradi (tutti naturalmente a distanza di un semitono) dettaanche cromatica perch alcuni di quei semitoni sono cromatici11.Vi addirittura una piccola domanda a scopo di esercizio perlallievo: Quanti semitoni cromatici vi sono in una scala cromati-ca? E la risposta, concettualmente alquanto preoccupante, la se-guente: In qualunque modo la si scriva, una scala cromatica con-tiene sempre 5 semitoni cromatici e 7 diatonici. Infatti si ha unsemitono diatonico quando fra un grado e laltro cambia il nomedella nota, un semitono cromatico quando non cambia. Una scalacromatica percorre tutte le note: vi sono perci sette cambiamenti

    10 ivi, p. 63.11 Introduzione alla musica. Manuale ragionato di teoria musicale, Zani-

    bon, Padova, 1987, p. 45.

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    di nome12. Se un allievo ingenuo, pur provvisto di un ottimo

    orecchio, avesse risposto con il numero di dodici si sarebbe presouna brutta bacchettata sulle dita.

    Queste affermazioni che sembrano essere, al pi, presedatto sono tuttavia accompagnate da un dubbio che d luogo aduna riflessione pi interessante e sostanziosa. Se diatonico significaun procedere per gradi, perch non chiamare diatoniche anche lescale pentatoniche ed esatoniche? E perch non addirittura la scalacromatica? Non procede forse essa stessa per gradi? Cos ogni diffe-renza viene tolta e diatonico verrebbe a significare al pi scalaordinata per gradi ovvero scala. Dice precisamene Stefano Lan-za: Se diatonico, come abbiamo visto, significa etimologicamenteper gradi, e gradi si chiamano le note che costituiscono una sca-la, tutte le scale sono diatoniche per definizione, dato che tutteprocedono per gradi13. La spiegazione della restrizione preceden-temente introdotta non pu che essere, a sua volta, di ordine stori-cofattuale: Poich al tempo degli antichi greci, quando fu co-niata la parola, le uniche scale conosciute erano di 7 gradi, soloquelle erano considerate successioni diatoniche, ad esclusione diqualsiasi altra. Il termine cos rimasto riferito alle sole scale di 7gradi, al punto che le altre si chiamano, in modo a rigore impro-prio, non diatoniche14. In realt largomento storico sarebbe

    tutto da verificare, dal momento che molto improbabile non vifosse luso quanto meno di scale pentatoniche nella musica greca15

    ma non il caso dare troppa importanza a questo rilievo. Moltopi interessante il motivo effettivo, di carattere tutto teorico, checonferisce allintero discorso una simile singolare inclinazione. Essoaffiora gi nella risposta alla domanda intorno al numero dei se-mitoni cromatici in una scala cromatica. Questo motivo riguardaproprio la dissoluzione nominalistica della nozione di alterazione

    12 ivi, p. 218.13 ivi, p. 46.14 ivi.15 Basti rammentare che si fatta lipotesi che il modo dorico derivasse

    da una scala pentatonica (cfr. Baud Bovy, Le dorien taitil un mode pentatoni-que?, in Revue de musicologie, 1978, n. 64, p. 154 sgg.).

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    che Stefano Lanza teorizza in modo del tutto esplicito e che, se va-

    lida, rende pienamente conto dellimpianto definitorio proposto edelle osservazioni corrispondenti. Vi sono dunque sette note dettenaturali ed altre cinque dette alterate. Queste ultime non avendoun loro nome proprio, lo prendono a prestito da una nota naturalevicina. Vengono perci chiamate Alterazioni o Note alterate perchil nome che portano stato ricavato alterando cio cambiando ilsignificato di quello di unaltra nota16. Ci che viene alterato dunque il nome. E perci si ammonisce: Non si dica dunque chele alterazioni innalzano e abbassano i suoni: lintonazione dellenote, cio il loro suono, fisso e prestabilito, anche quello dellenote non naturali. Si alterano le note, o, meglio, i loro nomi, fa-cendoli cambiare di significato: i suoni in quanto tali non sono nnaturali, n alterati, n dunque alterabili17. Cosicch il parlare dialterazione ascendente o discendente diventa a sua volta una merafaccenda linguistica: se una nota prende il nome dalla nota prece-dente lalterazione verr detta ascendente, se invece prende il nomedalla nota seguente lalterazione si dice discendente.

    Come ho gi osservato in precedenza, la possibilit di uneli-minazione della nozione di alterazione pu emergere nella rifles-sione su di essa ed appartiene ai problemi che essa solleva. Ma inquali condizioni questa possibilit sia una possibilit sensata, que-

    sto resta ancora argomento di una discussione che deve esserecompiuta fino in fondo. E cos va discusso fino in fondo il proble-ma se dobbiamo considerare la distinzione tra diatonico e cromati-co come una distinzione particolare che appartiene interamente aidati di fatto della nostra musica e di cui possiamo fare in via diprincipio fare a meno, e non piuttosto come saremmo orientati aritenere, una distinzione che tocca due grandi temi generalidellateoria della musica.

    16 ivi, p. 29.17 ivi.

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    Annotazione

    Nelluso dei termini diatonico, cromatico ed enarmonico ha pesato parti-colarmente, lungo tutta la tradizionale medioevale, rinascimentale ed ol-tre, il riferimento ai generi della teoria musicale greca. Non senza pesantiequivoci. A questo proposito occorre notare che considerando la proble-matica greca dei generi, non avrebbe alcun senso concepire le note interme-die che compaiono nel tetracordo cromatico ed enarmonico come alterazionidi altre, ed in particolare di note diatoniche. In questione invece unanozione di mobilit degli intervalli corrispondenti che vanno addensan-dosi verso la parte grave del tetracordo (tematica delpycnon). Quando in-vece, nel rinascimento, ci si appella alla teoria greca come teoria cheavrebbe dovuto contenere i fondamenti della musica, la tematica dei pic-coli intervalli dei generi cromatico ed enarmonico finisce con il confluireambiguamente con la tematica delle alterazioni nelle loro diverse possibilifunzioni. Caratteristica da questo punto di vista la posizione di Zarlinoche si pone il problema, del tutto privo di senso per la teoria antica, diinspessare il tetracordo diatonico con il tetracordo cromatico ed enar-monico, cio di ottenere un sistema intervallare in grado di unificare i tregeneri (Istituzioni harmoniche, Parte II, cap. 41). Su questo problema sipu vedere laccurata esposizione di Roberto Airoldi, La teoria del tempe-ramento nellet di Zarlino, Ed. Turris, Cremona 1989. In questo modo,pur nel mantenimento della terminologia greca e di ricordi della teoriacorrispondente, limpiego dei termini cromatico ed enarmonico diventa

    sempre meno stringente. Si continua a parlare di generi, ammettendosoltanto come desueto il genere enarmonico, mentre lespressionegenere cromatico tende ad assumere unaccezione abbastanza estesa dapoter essere attribuita semplicemente a scritture dense di alterazioninongiustificate dal modo (o dalle sue trasposizioni). Del resto lo stesso Zar-lino che, per quanto riguarda la distinzione dei generi nella teoria greca assai preciso (come mostrano le sue caratterizzazioni in Dimostrazioni,Ragionamento Quarto, Definizioni III, IV e V), quando polemizza con icromatisti lamenta che essi non si attengano affatto allintervallisticadel genere cromatico autentico ma aggiungono alterazioni a piacere dimaniera che nelle loro Canzoni non si vedono altro che Diesis , e mol-

    li, cosicch non osservano Modo, Tuono alcuno nel loro comporre;di modo che si possa dire, questa cantilena composta nel modo Dorio,Ionico, over Frigio, sotto un'altro Modo; come dicevano gli Antichi;ma sono composte di confusione (Dimostrazioni, Proposta XI).

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    Nel Traitdi Rameau (1722) le parole diatonico e cromatico ven-

    gono ormai usate per indicare delle partizioni dellottava (Cfr. I, cap. V).Siamo dunque lontani dalla teoria dei generi, anche se la terminologia re-sta in qualche modo legata ad essa, e si parla ancora di diatonico, croma-tico ed enarmonico come generi. Cos ci si esprime nella Dmonstrationdu principe de lharmonie, 1750. Nel Nouveau Systme de musique theori-que(1726, riedizione anastastica nelle ditions Zurfluh, 1996) lattributodi diatonico riferito a sistema, viene spiegato con il fatto che la successionedi suoni in questione procede attraverso i toni e i semitoni naturali perla voce. Qui dunque laccento cade sulla naturalezza della scala diato-nica, naturalezza che poi fondata nellordine oggettivo della loro deriva-zione dai suoni fondamentali e dai suoni che compongono i loro ac-cordi (p. 32); con sistema cromatico invece si intende un sistema cheprocede per semitoni (p. 35). Cos anche Rousseau nel suo Dictionnairede musique, TFM, voce Chromatique: Genre de musique qui procdepar plusieurs semi-tons conscutifs. Egli invece manifesta qualche in-certezza sul richiamo al colore: Ce mot vient du grec [Chroma], qui si-gnifie couleur, soit parce que les Grecs marquaient ce genre par des ca-ractres rouges ou diversement colors; soit, disent les auteurs, parce quele genre chromatique est moyen entre les deux autres, comme la couleurest moyenne entre le blanc et le noir; ou, selon d'autres, parce que cegenre varie et embellit le diatonique par ses semi-tons, qui font dans lamusique le mme effet que la varit des couleurs fait dans la peinture.

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    2. Lalterazione traspositiva

    Riprendiamo ora lo schema precedente riportandola sulla tastieradel pianoforte, pi volte evocata, che rappresentiamo in figura al-lungando i tasti neri per maggiore chiarezza. Ci prendiamo anchela licenza di assumere che ad ogni tasto corrisponda una sola corda.

    TT T T TS S

    S S S S S S S S S S S S

    D O R E M I FA S O L L A SI D O

    Apriamo ora il coperchio superiore del pianoforte, in modo dapoter dare unocchiata nel suo interno. In esso vediamo solo unsusseguirsi di corde, corde e dappertutto corde dove dunqueandata a finire la differenza tra i tasti bianchi e i tasti neri? Non vi proprio nulla, nellinterno del pianoforte, che faccia sospettare co-me fatta la tastiera, ed in particolare proprio quella distinzione trail bianco e il nero che subito ci colpisce. Potremmo allora com-mentare: lesterno del pianoforte ci mostra come stanno le cose se-condo le convenzioni del nostro sistema musicale, una sorta di suavivida materializzazione; ma linterno del pianoforte ci insegna co-me stanno le cose oggettivamente. Da un punto di vista oggettivo,

    sembra proprio che una nota valga laltra e per questo ciascunapotrebbe o addirittura dovrebbeavere un nome distinto da ogni al-tra. Cos le frequenze di 466.16 e di 440, il cui rapporto corri-

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    sponde allintervallo di semitono temperato, sono due numeri per-

    fettamente distinti. Luno diverso dallaltro, il numero maggiore semplicemente un altro numero rispetto al numero minore. Lim-piego stesso del termine di alterazione diventa qui alquanto dub-bio. Esso indica infatti una modificazione, e precisamente un di-ventarealtro della stessa cosa. E non ha alcun senso dire che la fre-quenza 466.16 sia unalterazione della frequenza 440, o che 440diventi466.16.

    Dovremmo forse a partire di qui concludere che il parlare dialterazione, diesizzazione e bemollizzazione sia pura finzione? Iocredo invece che la prima conseguenza che dobbiamo trarre que-sta: se vogliamo vederci chiaro intorno al problema dellalterazionenon dobbiamo rivolgerci al lato oggettivo, ma piuttosto a quellosoggettivo, dobbiamo in altri termini assumere il punto di vista delmusicista. Non possiamo sperare di venirne a capo n guardandolinterno del pianoforte, n il suo esterno, cos come esso apparealla vista, con i suoi cinque tasti neri e sette tasti bianchi. La nozio-ne di alterazione comincia a vivere solo nella misura in cui riuscia-mo a rintracciare i motivi musicaliche la pongono in essere. Questimotivi sono pi d'uno, e di conseguenza il termine di alterazionenon univoco, ma ha pi di un senso. Questo il primo accerta-mento che siamo tenuti a compiere. Tra questi sensi, ve ne sono

    due che meritano di essere trattati per primi, perch hanno un ca-rattere fondamentale e sono indipendenti da questo o da quel lin- guaggio musicaleed appartengono perci ai concetti elementaridella musica. Si tratta dellalterazione traspositiva e dellalterazionecromatica.

    Consideriamo anzitutto lalterazione che dipende dalla ne-cessit della trasposizione. Nella nozione di trasposizione entra ingioco la differenza elementare tra suono e intervallo. I suoni posso-no cambiare, senza che vengano toccati da questo cambiamento irapporti intervallari. Naturalmente questa possibilit pu diventareun potente mezzo di espressione musicale, ma qui ci interessa con-siderare la trasposizione alla luce di un semplice mutamento di re-gistro da realizzare su unintera melodia. In ci che ora diremosembrer forse che si insista pi del necessario su cose arcinote, ma

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    credo che la discussione che a poco a poco cercheremo di sviluppa-

    re a partire di qui giustifichi un inizio cos pedantesco.Cominciamo dunque con losservare che le note dei tasti neri

    ci sono come una sorta di apparato predisposto nel caso che si vo-glia spostare verso il grave o verso lacuto una struttura musicale.

    Sia questa struttura la nostra consueta scala di base. facilemostrare che realizzando una trasposizione dello schema intervalla-re della scala si rende necessario limpiego di tasti neri.

    TT T T TS S

    S S S S S S S S S S S S

    D O R E M I FA S O L L A SI D O RE

    Il grafico illustra la trasposizione di un tono verso lacuto dello

    schema degli intervalli della scala di do maggiore. Il suo inizio sardunque re, ma come mostrano le frecce, per mantenere lo schemaintervallare TTSTTTS, necessario limpiego di due tasti neri. Ilfa e il do debbono essere diesizzati. Passiamo cos da do maggioree re maggiore tutte le tonalit maggiori, nel linguaggio tonale,sono niente altro che trasposizioni della scala di do maggiore. Que-sto riferimento al linguaggio tonale non qui in se stesso vinco-lante, trattandosi di un riferimento particolare che ha un senso illu-strativo rispetto allidea generale dellalterazione traspositiva.

    Ora chiediamoci ancora una volta: in che senso giusto par-lare in rapporto alle note nere di note alterate e dunque dinote diesizzate o bemollizzate? In realt la nota alterata qui effet-tivamente unaltra nota cos come lo il re rispetto al do. Non vi dunque nessuna alterazione nel senso di un diventarealtro: si pu

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    invece parlare di alterazione solo in rapporto al fatto che ogni nota

    fa della struttura precedente verr modificata nella nota fa nellanuova struttura. Alterare non allude ad una trasformazione, ma alpuro e semplice subentrare di una nota allaltra. Di conseguenzalalterazione potr essere detta ascendente unicamente sulla base deldato di fatto ovvio secondo cui la nota subentrante pi acuta ri-spetto alla nota a cui subentra. Analogamente se lo spostamento av-venisse da do a fa, si avrebbe un alterazione del si che potrebbe es-sere chiamata alterazione discendente (e contrassegnata con il se-gno) per il fatto che la nota subentrante pi grave della nota acui subentra. Queste dizioni non hanno dunque in se stesse una

    qualche giustificazione percettiva, allinterno dello svolgimento delbrano musicale, ma si pu dire al massimo che siano giustificate alsuo esterno, nel ricordo della struttura che stata trasposta nellasua trasposizione, ma appena ovvio dire che questo ricordo deltutto inessenziale e niente affatto obbligatorio. poi importantesottolineare il fatto che la nota alterata subentra alla nota natu-rale, e ci significa che luna esclude laltra, nel senso che luna sipresenta nella struttura trasposta, laltra nella struttura da trasporre.

    Questi sono i caratteri dellalterazione a scopi di trasposizio-ne. In base a questi caratteri ci possiamo rendere conto della partedi verit contenuta in un possibile atteggiamento nominalista,

    che si presentato in precedenza in modo confuso e con prevalenteriferimento ad unorientamento oggettivistico. Infatti si potrebbeora parlare di eliminabilit nominale delle alterazioni traspositive,intendendo con ci uno spostamento del sistema dei nomi che to-glie appunto la necessit di impiego dei segni di alterazione.

    Questa possibilit la si comprende sulla base del nostro grafi-co illustrativo: il problema dei segni di alterazione viene eliminatospostando il sistema dei nomiovvero utilizzando la parola do nonper indicare una posizione assoluta, ma un luogo da determinare divolta in volta (do mobile). Lo stesso grafico naturalmente alludealla possibilit dello spostamento della tastiera, che consente la tra-

    sposizione facendo uso unicamente di tasti bianchi ferma restan-do naturalmente lassunzione del temperamento equalizzato. Edinfine una simile trasposizione pu essere realizzata attraverso unapura e semplice riaccordatura dello strumento.

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    Abbiamo detto poco fa che nella trasposizione lalterazione

    non uditivamente avvertita come tale per il semplice fatto chenota non alterata e nota alterata non coesistono allinterno del bra-no. Ci vale naturalmente nei limiti del caso elementare conside-rato in cui, come abbiamo detto, si tratta semplicemente di unoschema intervallare che viene interamente spostato verso il graveo verso lacuto. Ma una volta che si dispone di note alterate anzi-tutto a fini traspositivi, esse possono essere impiegate per svolgerealtre funzioni. Ad esempio, lalterazione modulante ha lo scopo diannunciare un diveniraltro dello spazio tonale nel suo insieme, ed dunque unalterazione effettivamente percepita, cosicch il ricor-do della nota naturale che precede nello sviluppo fa interamenteparte della dimensione dellascolto ed essa ha naturalmente un va-lore espressivo che la semplice alterazione traspositiva non possiede.Ma come vi una simile alterazione transtonale, potrebbe ancheesservi una alterazione transmodale, oppure alterazioni utilizzate ascopo espressivo che non implicano variazione del modo o del tono alterazioni intramodali o intratonali che si presentano come va-rianti possibili della struttura tonale o modale. Si tratta di differen-ze che una teoria dellalterazione dovrebbe studiare sistematica-mente tenendo conto della molteplicit di possibilit esplorate dailinguaggi della musica.

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    3. Lalterazione traspositivain un sistema non equalizzato

    Per chiarire meglio la natura dellalterazione traspositiva dando cosmaggior risalto alla sua differenza dallalterazione cromatica e dallaproblematica del cromatismo, penso che sia opportuno far riferi-mento allo stesso schema intervallare TTSTTTS, interpretato tut-

    tavia in una suddivisione non equalizzata dellottava. Assumiamodunque valori pitagorici, e precisamente il tono a 204 cents (9/8) eil semitono diatonico (limma, lei=mma) a 90 cents (256/243) chechiameremo nel seguito semitono piccolo (stp). In cents la succes-sione sar dunque: 204, 204, 90, 204, 204,204,90.

    Se ora pensiamo ad una possibile trasposizione di questoschema sul re, il problema ovviamente lo stesso che nel caso pre-cedente: dobbiamo porre un tono l dove vi invece un semitono,e ci significa, come gi sappiamo, che dobbiamo alterare il fa e ildo in senso ascendente: e poich dobbiamo raggiungere 204 centsa partire da 90, lalterazione deve essere pari a +114 cents

    (90+114=204). Se invece vogliamo trasporre sul fa, dobbiamo por-re un semitono l dove vi un tono, e dunque si tratter di alterareil si in direzione discendente, e poich il semitono che dobbiamoottenere per trasporre correttamente pari a 90 cents, lalterazionedeve essere pari a 114 cents (204 114=90).

    Si propone cos sulla base delle esigenze della trasposizioneun intervallo di semitono grande (stg) di 114 cents che i grecichiamavano apotome(a)potomh/). Ma occorre prestare attenzione almodo in cui si parla qui di intervallo. Il valore di 114 anzituttoun puro valore di incremento e di decremento, e non compare affattocome intervallo autentico nella trasposizione. Come ovvio, in essa

    compare sempre e soltanto lintervallo di 90 cents, dal momentoche scopo della trasposizione nientaltro che ripristinare lordinedei toni e semitoni della struttura non trasposta, e dunque nella

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    trasposizione risuoneranno solo intervalli di 204 o 90 cents.

    Zarlino attribuisce il suo stesso nome, che connesso cona)pote/mnw (tagliare), al fatto che esso tagliato fuori dal Tuono(ovvero dalla scala modale).

    Per qual cagione lo chiamavano con tale nome? dimandil Viola.

    Perch dicevano, risposi io, che quasi tagliato fuori deltuono, come superfluo; essendo che gli antichi non adoperavanotal semituono nei loro tetracordi. Onde Apotome appresso di lorosignifica Tagliamento18.

    importante qui ribadire che nel caso della pura e semplicetrasposizione, nota alterata e nota non alterata non coesistono: o piprecisamente risuona la nota alterata, ma non lintervallo di altera-zione. Potremmo sintetizzare la funzione dellapotome nel seguenteschema:

    0 204

    114

    +114

    90

    90

    204 0

    18Dimostrazioni Harmoniche(1589), Ragionamento Secondo, Definizione

    XXII. Zarlino osserva in questo luogo che il proprio semituono maggiore pa-ri a 16/15 (ovvero 112 cents) non coincide esattamente con lapotome greca(114 cents). Tutte le citazioni da Zarlino sono tratte dalla edizione digitale inCdrom: Gioseffo Zarlino, Music Treatises, Thesaurus Musicarum Italicarum(TML), sotto la direzione di Frans Wiering, Universit di Utrecht.

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    Lapotome diventa cos lintervallo chiave ai fini della trasposizione alla quale deve del resto la sua origine19. Si noti inoltre che inquesto modo risulta un intervallo differenziale (11490 = 24 cents)che contrassegnato dalle due linee verticali centrali. Si tratta delcosiddetto comma pitagorico.

    Tenendo conto di ci, si possono riproporre gli schemi pre-cedenti, con le variazioni opportune:

    T S

    stg

    stg

    stp

    stp

    T T T

    stp

    T S

    stp

    DO RE MI FA SOL LA SI DO

    0 204 408 498 702 906 1110 120090 114 294 318 588 612 792 816 996 1020

    tasto grigio = diesistasto nero = bemolle

    La trasposizione potr dunque essere rappresentata nello stessomodo di prima, tenendo conto del fatto che, se si deve sostituiresemitono con tono (e quindi aumentare la grandezza dellinter-vallo) si ha alterazione ascendente (tasto grigio), mentre se si devesostituire tono con semitono (e cio diminuire la grandezza dellin-tervallo) si ha alterazione discendente (tasto nero).

    19 Talora si parla dellapotome pitagorica come semitono cromatico, per

    differenziarlo dal limma come semitono diatonico. Si tratta naturalmente di unaformulazione che non per nulla raccomandabile.

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    T S

    stg

    stg

    stp

    stp

    T T T

    stp

    T S

    stp

    DO RE MI FA SOL LA SI DO RE

    In questo esempio non temperato si comprende anche molto benelesigenza di distinguere tra diesizzazione e bemollizzazione, dalmomento che proprio alla decisione rispetto alluna o allaltraspetta la conservazione della struttura intervallare. La distinzionenon dunque puramente nominale, come potrebbe forse sembrareconsiderando in modo superficiale il caso temperato, nel quale ildiesis di una nota coincide obbiettivamente con il bemolle dellanota superiore. Le ragioni della distinzione sono peraltro identiche,nei due casi: si parla di alterazione ascendente o di diesizzazione peril fatto che la nota subentrante pi acuta della nota a cui essa su-

    bentra, e inversamente per la alterazione discendente o bemollizza-zione. Resta inoltre vero ci che abbiamo prima osservato a propo-sito della loro eliminabilit nominale. Ma ora, a differenza che nelcaso precedente, le due note non sono coincidenti, ma accadechenon valgono le cosiddette coincidenze enarmoniche, e precisa-mente la nota bemollizzata pi grave della nota diesizzata inferio-re ad es. il si si trova al di sotto del la , ed dunque pi vicino

    al la di quanto sia il la . Accade cos: ma non si tratta affatto di

    una qualche singolare convenzione o di una pura casualit diffi-cile da comprendere; come se vi fosse una posizione chiamata si ,

    che tuttavia potrebbe essere spostata qui e l, prima o dopo il la , o

    in coincidenza con esso, senza nessuna regola. Accade cos per unaprecisa necessit interna, che quella dellapossibilit di una trasposi-zione corretta di un modello scalare determinato. Lesistenza di una

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    differenza tra diesis e bemolle non dipende da un qualche riferi-

    mento ad una scala naturale in un senso pi forte da quello, mera-mente negativo, che abbiamo in precedenza enunciato. Questa dif-ferenza si trova in dipendenza delle scelte effettuate in rapporto allascala diatonica. Ci mostra anche una circostanza particolarmenterilevante: una suddivisione fine dellottava non precede la scaladiatonica, ma un risultato che conseguead essa, e precisamente una conseguenza della necessit della sua trasposizione. Ovvero:data una certa suddivisione diatonica dello spazio sonoro (ottava),da essa viene determinato un sistema necessario di alterazioni tra-spositive. Ci vale naturalmente anche per la suddivisionedellottava in dodici semitoni eguali. E dunquefino a questo puntonon vi la minima esigenza di evocare una pretesa scala cromati-ca. Ed anzi: occorre mettere in guardia dal farlo. Appare infattisubito chiaro quanto sia equivoco considerare in successionelaltera-zione ascendente e lalterazione discendente e inversamente. Il fattoche il la superi il si ha solo un significato oggettivo che rimanda

    al confronto tra le frequenze corrispondenti. Dunque questa circo-stanza molto semplicemente vera. Ma sotto il profilo della proble-matica musicaleaffermare che il si preceda il la non sembra af-

    fatto sensato. Non bisogna infatti dimenticare che le due serie deidiesis e dei bemolle camminano su sentieri diversi, come indicano le

    frecce di direzione nel nostro grafico: chiedere se il diesis preceda ilbemolle o inversamente sarebbe come ritenere lecito interrogarsiintorno a quale, tra due corridori che corrono su piste adiacenti,ma in direzioni opposte, luno preceda laltro.

    Cosicch restando allinterno di questo ambito di considera-zione, e prima di aver introdotto il tema del cromatismo, la sequenza0, 90, 114, 204, 294 , ovvero la disposizione in ordine scalare dellenote alterate e non alterate non ha alcun senso e non merita di esserechiamata scala cromatica, trattandosi di un sistema per trasposizionipossibili proposto equivocamente in formata scalare20. Di conseguen-

    20 Questo problema risulta con la massima chiarezza nella tematica deidodici lyu nella musica cinese. I dodici lyu sono infatti ottenuti attraverso unaprocedura di accordatura su/gi con passaggi alternati di quinta e di quarta, finoad ottenere dodici note: esse tuttavia non vengono interpretate come se fossero

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    za anche denso di equivoci il tentativo di derivare per ciclo delle

    quinte tutti i gradi di una pretesa scala cromatica pitagorica.Va infine notato che stando al nostro schema che vi sono due

    punti critici che limitano la possibilit delle trasposizioni: si trattadella posizione occupata dai due semitoni diatonici. Per chiarirequesto punto riprendiamo ancora il primo schema proposto ag-giungendo ad esso nella parte superiore le righe che rappresentanole corde interessate.

    T S

    stg

    stg

    stp

    stp

    T T T

    stp

    T S

    stp

    DO RE MI FA SOL LA SI DO

    ?

    Supponendo che una trasposizione richieda un mi , si vede subito

    che questo mi non pu coincidere con il fa naturale, essendo

    lintervallo tra mi e fa di un semitono piccolo; per ottenere un se-mitono grande bisogna aggiungere un comma (90+24=114). Cirichiederebbe laggiunta di un tasto e della corda corrispondentenel luogo contrassegnato dal punto interrogativo. Ma nel nostroschema questa corda non c. Analogamente per il si che supere-

    distribuite in un ordine di successione scalare, quindi come scala cromatica,rappresentando appunto niente altro che un sistema traspositivo. Cfr. LawrencePicken, Cina in Musica antica e orientale, a cura di Egon Wellesz, Feltrinelli,Milano 1987.

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    rebbe do naturale di un comma; e non difficile rendersi conto che

    questo stesso problema si presenterebbe nella direzione discendenteper il fa bemolle e per il do bemolle. Tutto ci non affatto miste-rioso ma dipende strettamente dalla struttura scalare di base e daisuoi valori che sono ottenuti, nel caso della scala pitagorica, attra-verso il ciclo delle quinte. Nello stesso tempo ci crea un problemamusicalmente rilevante: ammettendo le nuove posizioni per mi e

    si , sarebbe impossibile impedire la moltiplicazione indefinita di

    corde e tasti, e dunque delle note, ed uno spostamento progressivodegli intervalli; vietandole e proponendo dunque mi#=fa e si#=do si incorre in una modificazione della grandezza degli intervalli

    che, in particolare, porta a quarte ed a quinte false. Dilemmianaloghi sorgono anche per altri tipi di accordature, e per trovaresoluzioni ad essi sorge il problema dei vari possibili temperamen-ti. Nella tradizione europea la soluzione conclusiva appuntoquella del temperamento equalizzato.

    Annotazioni

    1. Laccordatura pitagorica resta in vigore fino al tardo cinquecento. Ma

    il doppio tasto necessario per ottenere tutte le alterazioni sostituitonormalmente da un unico tasto cosa che naturalmente impone limita-zioni nel numero dei diesis e dei bemolle utilizzabili. Nellaccordaturapitagorica maggiormente in uso le note alterate si limitano al fa , do ,

    sol , mi, si dove i valori delle diesizzazioni e delle bemollizzazioni sono

    appunto quelli pitagorici, cosicch la differenza tra diesis e bemolle vienesostanzialmente mantenuta pur limitando il numero delle alterazioni21.Nella nostra rappresentazione va dunque mantenuta la differenza tra tastineri e tasti grigi.

    21 La scala assume perci i seguenti valori in cents: do =0, do =114, re=

    204, mi=294, mi=408, fa=498, fa =612, sol=702, sol =816, la=906, si=996,

    si=1110, do =1200. Si noti che in questa accordatura si accetta una quinta dellupo che cade tra sol e re (la cui parte deve essere assolta da mi).

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    T S

    stg stp

    T T T

    stp

    T S

    stp

    DO RE MI FA SOL LA SI DO

    Claudio Tuzzi, in Clavicembali e temperamenti, Bologna 1989, p. 17,mostra come una simile accordatura sia ottenibile attraverso una ordinatasequenza di passaggi di quinta e di ottava. Anche in questo caso limpro-priet di un ordinamento delle dodici note in successione scalare diventaparticolarmente patente. Una simile distribuzione di diesis e bemolle de-ve essere spiegata come una semplificazione dello schema precedente, che ancora ad essa soggiacente, e non come una partizione preliminare

    dellottava (anche se entrambe possono essere considerate oggettivamentetali).

    2. La scala diatonica proposta da Zarlino come scala naturale ha la se-guente struttura

    TG TP ST TG TGTP ST

    0 204 386 498 702 884 1088 1200

    204 182 112 204 182 204 112

    essendo il tono grande (maggiore nella sua terminologia) pari a 9/8=204 cents, il tono piccolo (minore) pari a 10/9=182 cents, il semitono(semituono maggiore) pari a 16/15= 112 cents. Per determinare le alte-razioni di trasposizione in rapporto ad una simile struttura occorrer ga-rantire che il ST sia sostituibile con il TP e con il TG e che questi ultimi

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    siano scambiabili tra loro. Si vede subito allora che per passare da ST a

    TP necessario un incremento di +70, da ST a TG un incremento di 92(ovvero di 70+22), e che per passare da TP a TG un incremento di + 22(il cosiddetto comma sintonico). Ovviamente valgono anche i decrementicorrispondenti per lo scambio inverso. La conseguenze che deriverebberoqualora si volesse realizzare il sistema delle alterazioni di trasposizione re-lativamente ad una simile scala diatonica sono facili da immaginare: e sa-rebbe un sistema del tutto impraticabile. In ogni caso Zarlino non pro-cedette per questa via, ma volle anzitutto rendere conto di questa scaladiatonica non solo su base matematica, ma anche sulla base della tradi-zione della teoria greca, facendo riferimento al tetracordo di base deldiatono sintono di Tolemeo (Istituzioni harmoniche, II, cap. 41). Il passosuccessivo non tuttavia rappresentato dallinserimento dei toni di tra-sposizione, che condurrebbe ad un risultato del tutto inaccettabile, madalla difesa di tre possibili forme di temperamento, tutte tendenti a pre-servare al massimo le consonanze imperfette temperando in modo pio meno pronunciato lintervallo di quinta22. E nelle prime due formeviene meno la distinzione tra TG e TP. In rapporto alla prima forma ditemperamento, si procede anche ad introdurre le note cromatiche.Questa introduzione avviene ancora sulla base del riferimento alla teoriagreca e Zarlino rappresenta esemplarmente la tendenza a riportare latematica dei generi cromatico ed enarmonico dentro il quadro delle alte-razioni di trasposizione. Ci gi stato rilevato in precedenza parlandodella procedura di inspessazione del genere diatonico mediante i generi

    cromatico ed enarmonico. Prescindendo da ci il risultato lo possiamoprevedere assumendo i dati che alla fine risultano dalla struttura dellascala nel suo primo temperamento. Questa struttura ora rappresentatada un unico T=191,6 e da ST=121. Cos stando le cose, la condizionedella trasposizione che da ST si possa passare a T e inversamente, cosache richiede un incremento di 70,6 cents (25/24 che Zarlino chiama se-mituono minore, ovvero diesis maggiore enarmonico) o un corrispon-dente decremento. Incremento e decremento sono dunque eguali e il die-sis della nota inferiore precede nellordine scalare il bemolle della notasuperiore. Tra diesis e bemolle vi sar inoltre una distanza di 50.4 cents.

    22

    Sullargomento ha svolto un lavoro accurato R. Airoldi, La teoria deltemperamento nellet di Gioseffo Zarlino, Editrice Turris, Cremona 1989. Desi-dero inoltre rammentare lottimo lavoro di tesi di laurea di Leonardo Piseri, Ipresupposti filosofici della teoria della musica di Gioseffo Zarlino, di cui sono statorelatore nel 1998.

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    Di qui deriva una partizione dellottava in conformit a questi piccoli

    intervalli, partizione che dipende strettamente dalle scelte fatte sul pianodiatonico. Che cosa siano le note cromatiche talvolta cos poco chiaroche si potuto commettere lerrore, invero piuttosto rilevante, di consi-derare questa partizione come riferita al diatonico non temperato, senzanemmeno accorgersi del fatto che il valore di 70.6 cents sarebbe del tuttoprivo di significato in rapporto a quel sistema che caratterizzato da unadifferenza tra tono maggiore e minore di un comma sintonico (22 cent).Unalterazione di 70.6 cents non permetterebbe infatti lo scambio traluno e laltro cosicch essa non servirebbe proprio a nulla, oltre al fattoche non si vede come essa possa essere giustificata. Questo errore a mesembra dovuto, pi che ad inaccuratezza, ad una scarsa comprensione delproblema. Cos Lorenzo Fico, Zarlino, Consonanza e dissonanza nelleIstitutioni Harmoniche, Adriatica Editrice, Bari 1989, p. 125 presenta unatabella con i valori della scala secondo il genere diatonico sintono in-spessato con corde cromatiche ed enarmoniche, con i suoi + e 70 cents(come arrotondamento di 70,6), calcolando bravamente i valori delle al-terazioni, senza rendersi conto che l inspessazione viene effettuata da Zar-lino solo sul suo primo temperamento, e che ad esso soltanto pu essere sensa-tamente riferito quel valore di incremento e di decremento. La stessa tavola,e dunque lo stesso errore, si ritrova in P. e G. Righini, Il suono, Milano1974, p. 217.

    Zarlino fece costruire un clavicembalo sulla base dellaccordaturadel suo primo temperamento23. Della sua tastiera vi unimmagine nelle

    Istituzioni Harmoniche, Parte II, cap. 47.

    23uno de tali Istrumenti feci fare l'Anno di nostra Salute 1548.

    in Vinegia, per havere nella Musica una cosa, che fusse quasi simile allaPietra, che si esperimenta l'oro e l'argento; acci potesse conoscere, e ve-

    dere, in qual maniera potessero riuscire le harmonie Chromatiche, e leEnharmoniche, e ogni sorte di harmonia, che si potesse havere da qualsi-voglia Divisione; e f un Gravecembalo, ch' anco appresso di me; il qualefabric Maestro Dominico Pesarese, raro e eccellente fabricatore de similiIstrumenti Istituzioni Harmoniche, II, cap. 47.

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    Osservandola si noter che vi una singolare distribuzione dei tasti neri edei tasti bianchi indicanti le note alterate. Essi non si alternano regolar-mente gli uni agli altri, come ci si dovrebbe aspettare. In effetti tenendoconto della distribuzione degli intervalli prevista in questo sistema, nel-lordine da sinistra a destra tutti i tasti diesis precedono i tasti bemolle,cosicch il bianco dovrebbe trovarsi in alternanza con il nero. Invece ac-cade qui che possano trovarsi tasti bianchi in successione immediata, cosache indica che la differenza di colore non rispecchia la differenza nellaspecie di alterazione.

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    Questa circostanza ha una sua precisa motivazione. In effetti essi non so-

    no utilizzati, come noi abbiamo fatto in precedenza con il nero e con ilgrigio, per differenziare i diesis dai bemolle, ma per tener memoria del-la loro origine concettuale nel complicato percorso escogitato da Zarlinoper pervenire ad essi, che passa attraverso il tentativo di integrare nel ge-nere diatonico i generi cromatico ed enarmonico (l inspessazione a cuiabbiamo gi fatto un rapido richiamo). Cosicch i tasti bianchi segnalanola loro origine dal genere enarmonico ed i tasti neri dal genere cromatico(cfr. Airoldi, op. cit., p. 98 sgg.). Associazione fortemente equivoca, per-ch unisce insieme cose differenti, ed a maggior ragione per il fatto chequel complicato percorso era perfettamente dispensabile per lotteni-mento di quel risultato. Ma quanta dottrina e piacere della teoria vi inquesta distribuzione del bianco e del nero! Il tasto bianco e il tasto nero

    di Zarlino mostrano quanta cultura e quanto pensiero si possa concentrarein cose tanto modeste. Essi sono un omaggio alla grecit, una rimessa ingioco dellantico nello stesso istante in cui si sperimentano nuove vie24.

    In margine a tutto ci non si pu non notare che proprio Zarlino,che considerato il teorico per eccellenza della scala naturale, si volgasubitaneamente verso la problematica del temperamento che egli teorizzanon solo come necessario ma anche, in certo senso, assecondato dallanatura. Cosicch da un lato si sottolinea lutilit di tener conto delcomma per ottenere buone consonanze esso non per nato senzautile: conciosia che col suo mezo si viene allacquisto di molte consonan-ze; dallaltro questo intervallo si minuto darebbe molta noia alludito,

    quando si volesse adoperare: massimamente negli strumenti arteficiali. Ela natura ci viene in aiuto per il fatto che piccolissime differenze nonvengono colte dalludito, e daltra parte quello stesso intervallo pu esserereso inavvertibile distribuendolo su pi intervalli: per la Natura primie-ramente e da poi lArte, hanno trovato rimedio (dir cos) ad un tanto disor-dine: conciosia che questo intervallo nelle Voci, che per loro natura inogni parte si piegano si accomoda di maniera, che non si ode; e ne gliIstrumenti arteficiali diviso per la sua distributione, che si fa in moltiintervalli, tra Otto chorde(Istituzioniharmoniche, II, cap. 40).

    24 R. Airoldi, op. cit., p. 100, nota anche che Zarlino aggiunge fra i cro-

    matici e gli enarmonici anche note non riconducibili al tetracordo cromatico edenarmonico tenendo conto delle esigenze musicali del suo tempo.

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    Parte II

    Il cromatismo

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    1. La nozione di cromatismo introdottaattraverso esempi

    Forse il tema del cromatismo si pu annunciare osservando che,mentre nel caso delle alterazioni traspositive sono in questionestrutture o sistemi intervallari e lesattezza dei loro rapporti recipro-ci, cosicch ci troviamo di fronte ad una problematica che riguardaregole e misure, nel caso dellalterazione cromatica e del cromati-

    smo in genere in questione la pratica concreta del musicista, chenellatto concreto di produrre suoni,fa vivereil suono. Il fatto chele alterazioni traspositive possano assolvere anche la funzione dialterazioni cromatiche come del resto altre funzioni non toglienaturalmente la profonda differenza dei problemi. La vita del suo-no sta nella possibile mutazionenei parametri che lo costituiscono:un suono vive, ad esempio, se cresce di intensit, oppure se dimi-nuisce di grado in grado, oppure se si ripresenta allinterno di con-figurazioni temporali differenti

    Naturalmente non si pu pretendere che simili affermazionisiano senzaltro comprensibili. Perci opportuno prendere le

    mosse, come abbiamo fatto in precedenza dalle sacrosante ovvietche insegna la scuola, con qualche commento che cominci a mo-strare le questioni implicate. Di fronte al problema di spiegare agiovani studenti che cosa si intenda per cromatismo si ricorrerprobabilmente ad esempi, proponendo configurazionidi suoni chesi possano considerare tipiche, come le seguenti

    spiegando che si chiamer cromatismo ascendente la configurazioneAe cromatismo discendente la configurazione B. Queste configura-zioni propongono semplicemente due semitoni in successione. Se

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    ci venisse richiesto in quale tonalit ci troviamo, potremmo ri-

    spondere: questo non ha affatto importanza. La configurazione re-sta cromatica qualunque sia la tonalit in cui essa si trova. In ognicaso, se assumessimo di trovarci nella tonalit di do maggiore po-tremmo affermare che le configurazioni precedenti potrebbero es-sere intese come risultati dellinterpolazione di unalterazione nelpassaggio diatonico doree inversamente. Questa alterazione, pro-dotta in un simile contesto, verr appunto alterazione cromatica.

    Nellultimo tempo del quartetto di Mozart K. 464, un cro-matismo molto semplice funge da elemento tematico del branointero. Ecco le prime otto battute nella parte del primo violino:

    Nel seguente Menuetto di Beethoven dellop. 31, n. 3 il cromati-smo si presenta invece come un dettaglio in battuta 6 e 7:

    http://001.mp3/http://001.mp3/
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    Nel seguente esempio bachiano25, nella narrazione dellevangelista,

    il pianto di Pietro e pianse amaramente (und weinete bitterlich) nel momento in cui rammenta il proprio tradimento, si realizzamusicalmente attraverso limpiego di una frase interamente caratte-rizzata da transizioni cromatiche che sembrano girovagare senzamta e che toccano i dodici suoni della scala cromatica. Ampi seg-menti di scala cromatica ascendente e discendente rappresentanopoi la linea del basso. In un caso come questo ogni impalcaturadiatonica viene meno, ed anche le cosiddette note diatoniche fannointeramente parte del cromatismo, prescindendo naturalmente dalcompletamento, e quindi dellinterpretazione armonica propostadallo sviluppo del basso continuo.

    Va subito fatto notare, in rapporto a questi esempi, che occorre di-stinguere chiaramente il sussistere di un cromatismo dalla presenzadi questo o quel segno di alterazione. Come gli esempi mostrano, isegni seguono una sintassi che dipende dal linguaggio utilizzato.Questo apparentemente un rilievo banale, eppure anche su que-sto equivoco fondata lidentificazione dellalterazione cromaticacon la nota come tale, se non addirittura con il tasto. Il cromati-

    smo invece una configurazione, e lalterazione assolve una funzio-

    25Passione secondo Giovanni, BWV 245, n. 18 (Recitativo).

    http://002.mp3/http://002.mp3/
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    ne cromatica in rapporto ad essa. Essenziale a questa configurazio-

    ne il semitono, o meglio, pi in generale il piccolo intervallo. Inbase alla configurazione, il semitono ovvero lintervallo in questione un intervallo cromatico.

    In linea generale la configurazione cromatica ha il caratteredi una transizione, di unpassaggio cosicch naturale pensare adun intervallo i cui estremi sianopunto di partenza epunto di arrivodella transizione. Cos nel primo esempio, ed in particolare se loconsideriamo nel contesto di una scala diatonica, il cromatismoviene avvertito come una transizionetra due gradi di essa. Questasituazione si verifica naturalmente anche in cromatismi pi estesi.Cos nellesempio mozartiano

    lintera configurazione cromatica formata da tre semitoni, e sipu dire che in essa si stabilisce una transizionetra due note, quellainiziale e quella finale, che formano appunto i poli diatonicitra cuiavviene la transizione. Ci dipende naturalmente dal peso che ledue note hanno sia per la posizione che occupano allinterno dellabattuta che in rapporto alla tonalit. Le note re e re sono qui

    per lappunto note di passaggio. Tuttavia se variassimo questo esem-pio nel modo che segue (disinteressandoci della tonalit)

    il cromatismo continuerebbe a sussistere, ma non vi sarebbe nessu-na nota di partenza e nemmeno, nel senso precedente, una nota diarrivo. Forse si dovrebbe parlare di un cromatismo che introducelanota con cui si conclude questa configurazione, che la nota pipesante, sia per la posizione che occupa nella battuta sia per ladurata. Potremmo dire che si tratta del modo in cui la notaarriva o entra in scena. La nota ora non c semplicemente, maarriva dallalto saremmo tentati di dire. Cos come potrebbe, at-

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    traverso un cromatismo ascendente, arrivare dal basso. Un cromati-

    smo un percorso di piccoli intervalli che conduce da un luogo adun altro luogo, oppure che porta ad un luogo; ma che potrebbe an-che non aver nessuna mta, come ci sembra sommariamente giu-stificato dire in rapporto allesempio bachiano, a parte la formulacadenzale conclusiva e prescindendo dalla realizzazione del bassocontinuo. Ma bisogna prestare attenzione, nellimpiegare limma-gine del luogo, a porre laccento pi sulla fluidit del movimento,che sulla fissit dei luoghi come appare molto bene soprattuttodallesempio vocale. Da questultimo esempio possiamo estrarreanche questaltra possibile configurazione cromatica, in rapportoalla quale possiamo dire che essa conduce da un luogo allo stessoluogo attraverso un passaggio discendente ed ascendente.

    Gi gli esempi mostrano dunque una variet possibile di casi. Edaltri ne potremmo immaginare operando variazioni a partire daquesti.

    Vi poi un altro problema importante che va messo in rilie-vo e che gi implicito nelle considerazioni precedenti. Nella ter-minologia musicale i segni e vengono detti accidenti, e i ma-

    nuali ribadiscono talora con singolare ostinazione che questo ter-mine non va attribuito alla nota stessa, ma appunto ai segnidi alte-razione. Abbiamo tuttavia gi notato che su tutta la tematica del-lalterazione pesa il rischio di una dissoluzione nominalistica, equesta insistenza orientata esattamente in questa direzione. Io ri-tengo che le cose stiano diversamente26. Di fronte alla parola

    26 Zarlino usa il termine accidentale in opposizione a naturale, inrapporto alle corde e quindi alle note; ad esempio quando raccomanda che,qualora si sia costretti ad impiegare il tritono, dovemo almeno haver riguardo,che tale diffetto si commetta nelle chorde diatoniche, e in quelle, che sono pro-

    http://003.mp3/
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    accidente un filosofo drizza le orecchie. Accidente la propriet

    priva di necessit interna, che si contrappone alle sostanze a cuieventualmente inerisce. Si tratta della terminologia aristotelica pas-sata nella filosofia scolastica; e nellaggettivo accidentale del lin-guaggio comune. Ecco un punto di contrapposizione fortissima: difronte alla rigida necessit dellalterazione traspositiva vi lacci-dentalit dellalterazione cromatica. Che il cromatismo sia acci-dentale significa che esso non fa parte della struttura portante delbrano, e che pertanto si pu aggiungere e, talora, togliere senza cheil profilo della melodia si modifichi in modo significativo.

    Cos i cromatismi nellesempio beethoveniano possono esseresoppressi senza che lorecchio venga colpito da una modificazionesostanziale. Certo, ci rimettiamo qualcosa, e se qualcuno ci chie-desse esattamente che cosa, saremmo tentati di rispondere cos: cirimettiamo una sfumatura espressiva. inutile dire che daremmouna certa importanza a questa risposta. Nel campo del cromatismosiamo anche nel campo delle sfumature, la nota cromatica non una nota vera e proria si sarebbe tentati di dire ma la sfumaturadi una nota. E del resto questo termine si rivela soprattutto appro-priato alle gradazioni dei colori. Il termine di accidente riferitoalla nota ci porta indubbiamente nellambito di simili considera-zioni.

    Ma anche in rapporto a questo problema vi una moltepli-cit di situazioni differenti che dipendono dal modo di impiegoespressivo delle configurazioni cromatiche e quindi dai contesti incui esse sono inserite. Se nel brano beethoveniano il cromatismorappresenta un dettaglio, nel finale del quartetto mozartiano esso al centro dellinvenzione tematica, cosicch leliminazione dei cro-matismi corrisponderebbe ad una perdita di senso della composi-zione nel suo complesso. Lesempio bachiano mostra un altroaspetto del problema di particolare importanza. In rapporto ad es-so, leliminazione del cromatismo semplicemente priva di sensoper il fatto che non vi una struttura diatonica di sostegno. Ci fa

    pie e naturali del Modo, e non tra quelle, che sono accidentali, cio tra quelle,che nel mezo delle cantilene si segnano con questi segni , , e : percioche alloranon generano tanto tristo effetto(Istituzioni Harmoniche, 1558558, III, Cap. XXX).

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    riflettere sul senso di questa accidentalit. Zarlino dice una volta

    che in una figura la forma quella che veramente d lessere allacosa mentre il colore non altro che accidente27 ma anchevero che, nel contesto del nostro problema, se il colore non dlessere alla cosa, tuttavia in grado di toglierlo, sopprimendo laforma. Laccidente minaccia la sostanza, il cromatismo non sol-tanto si trova fuori dalla struttura, ma tende anche alla sua dissolu-zione. Nel caso di una struttura tonale, ci che viene minacciata appunto la tonalit. Del resto se prendiamo una scala diatonica eutilizziamo tutte le note alterate disponibili in funzione cromaticanon otterremo, cos facendo, una scala diatonica ricca di sfumaturecromatiche, ma appunto niente altro che la scala cromatica che dellascala diatonica non conserva nemmeno un frammento. Ed certo ilcaso di dire che essa interamente fatta di semitoni cromatici essendo diventati tali, in un simile contesto, anche i semitoni dia-tonici.

    27Istituzioni Harmoniche, III, Cap. LXVIII.

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    2. Lalterazione cromatica

    In questi nostri primi esempi abbiamo realizzato una sorta di in-troduzione al problema, e forse siamo persino riusciti a suggerireuna direzione complessiva in cui orienteremmo la discussione sullatematica del cromatismo. Tuttavia non si pu certo affermare chesi sia realmente portata chiarezza su di essa. Per cercare di arrivare a

    questo risultato dobbiamo riprendere spunti prima emersi e por-tarli ad effettivo sviluppo.Anzitutto dobbiamo chiarire il senso del richiamo al piccolo

    intervallo. In effetti in precedenza abbiamo attirato lattenzione sulfatto che il cromatismo non identificato da questo o quel segnomodificativo apposto sul segno della nota, ma dal fatto che essa sitrova allinterno di una configurazione alla quale essenziale il pic-colo intervallo28. Ma questa affermazione deve essere associata

    28 Nel saggio di Chailley, Saggio sulle strutture melodiche, si legge, al 18,

    che nella concezione antica Il grande intervallo appartiene al cromatismo allostesso titolo di quelli piccoli e addirittura che Per il Medioevo il cromatismo il trionfo del grande intervallo. Ci troviamo naturalmente di fronte ad equivocitormentosi. Ovviamente Chailley pu aver ragione per quanto riguardalimpiego della parola, facendo riferimento al linguaggio dei generi. Al tetracordocromatico come a quello enarmonico appartiene anche il grande intervallo che anche maggiore di quello che si presenta nel genere diatonico. Ma un conto limpiego di una terminologia, un altro il problema di una concettualizzazione che lo scopo che qui ci proponiamo. Nello stesso paragrafo, sia pureallinterno di un quadro che non possiamo condividere, vi sono in ogni caso alcuneformulazioni interessanti, come quando si parla, a proposito di passaggi cromati-ci in Mozart, di traduzione ornamentale sulla tastiera del glissando delle musi-che antiche e si sottolinea che Il cromatismo non ha nulla a che vedere con la

    continuazione del circolo delle quinte, quale i fisici lo hanno stabilito in astrat-to e che solo per laspetto materiale della tastiera e per il compromesso deltemperamento che lottava si divide in dodici semitoni. Nella realt musicale,lottava si divide in sette gradi diatonici. Nuoce peraltro allinteresse di questeaffermazioni sia un contesto da cui non sono sostenute a sufficienza sia una sot-

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    allidea che, attraverso il piccolo intervallo, si possa parlare di alte-

    razionenel senso di una vera e propria modificazione interna, di undivenirealtro. La configurazione cromatica viene percettivamenteintesa come un mutamento le note non vengono afferrate comeoggetti semplicemente distinti, separati da un intervallo, ma comemomenti di uno sviluppo fluente. Dietro la distinzione tra cromaticoe diatonico vi la distinzione fondamentale tra continuit e discre-tezza percettiva ed il cromatismo va considerato come una confi-gurazione che si trova tendenzialmente sul versante della continuit.

    Per cominciare a far valere una simile impostazione del pro-blema, dobbiamo regredire un poco rispetto al piano musicale veroe proprio, nel quale sempre dobbligo il riferimento implicito oesplicito ad un linguaggio musicale, verso il terreno della fenome-nologia della percezione. Si tratta di osservare pi da vicino i pic-coli intervalli, ponendoci interrogativi come questi: che cosa accaderiducendo progressivamente lintervallo? Fino a che punto possia-mo operare questa riduzione ottenendo uditivamente suoni distin-ti? Che cosa accade esattamente nel punto in cui questa distinzionetende a venire meno? 29

    Negli esempi seguenti30 si prendono le mosse dalla differenzadi un tono (200 cents) e si procede per passi successivi sino allasoppressione dellintervallo alternando la direzione ascendente alla

    direzione discendente nellordine.

    tintesa polemica musicale, del tutto fuori luogo, nei confronti della dodecafonia. Il Saggio sulle strutture melodichedi Chailley stato pubblicato in traduzioneitaliana con introduzione e note a cura di Carlo Serra in De Musica, Internet,

    Anno IV (2000), http://www.lettere.unimi.it/Spazio_Filosofico.29 Si tratta di domande da intendere come domande puramentefenome-

    nologiche. Domande di questo genere intorno alla discernibilit uditiva potreb-bero essere intese anche come domande di psicologia fenomenologica, o sempli-

    cemente di psicologia empirica della percezione.30 Questi esempi sono stati realizzati con istruzione midi Pitch Bend es-sendo 1 pb = 3,125 cents. Di conseguenza le indicazioni in cents sono un poapprossimative, ma ai fini del nostro discorso possono essere considerate suffi-cienti.

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    la +200 004 la200 la + 100 005 la 100

    la + 50 006 la 50 la + 25 007 la 25

    la + 15 008 la 15 la + 6 009 la 6

    la010

    Si noter subito che la distinzione tra le notedecresce mano a manoche ci si avvicina ai piccoli intervalli. Ovviamente nettissima nel ca-so del tono ed ancora piuttosto netta nel caso del semitono tono,ed anche nel caso del quarto di tono, tende poi a venire meno conla progressiva riduzione dellintervallo. Naturalmente non stiamodicendo che non avvertiamo una differenza di altezza, ma piuttosto

    che dovrebbe mutare la descrizione fenomenologica dei primi casidella serie rispetto agli ultimi: nei primi, potremmo parlare duesuoni distinti, negli ultimi sembra invece pi appropriato parlare diun unico suono che si fletteverso lalto o verso il basso. Dal punto di

    http://004.mp3/http://004.mp3/http://005.mp3/http://005.mp3/http://006.mp3/http://006.mp3/http://007.mp3/http://008.mp3/http://008.mp3/http://009.mp3/http://009.mp3/http://010.mp3/http://010.mp3/http://010.mp3/http://009.mp3/http://008.mp3/http://007.mp3/http://006.mp3/http://005.mp3/http://004.mp3/
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    vista oggettivo delle frequenze naturalmente non interviene nessun

    cambiamento. Si tratta di frequenze nettamente distinte. Ma ciche viene udito ora una modificazione interna di un unico suono,come se esso si flettesse in misura maggiore o minore nelluna onellaltra direzione. Non vi pi dunque percezione di un inter-vallo, ma di una flessione del suono che pu essere descritta comeuna sua mutazione interna che non ha tanto un carattere quantita-tivo, ma qualitativo, come se vi fosse uno schiarimento nella dire-zione ascendente ed un incupimento nella direzione discendente come un mutamento di colore31.

    Questa constatazione fenomenologica per noi della massimaimportanza. Essa ci mette di fronte a ci che lalterazione cromatica nel suo fenomeno originario come potremmo dire ovvero lasituazione fenomenologica nella quale parole come lalterarsi delsuono, il suo divenirealtro trovano un effettivo riempimento nellacosa stessa. in rapporto a questa situazione che il senso del pro-blema musicale del cromatismo assume la sua massima chiarezza,un chiarezza esemplare (questo era anche il significato chelespressione di fenomeno originario aveva in Goethe, anche se essasi arricchiva di implicazioni che non siamo obbligati a fare nostre).In questi intervalli minimi diesizzazione e bemollizzazione hannodunque un senso che rimanda ad unautentica esperienza percettiva.

    Non bisogna tuttavia ritenere che questa esperienza sia possibilesolo entro i limiti che abbiamo suggeriti, e quindi al di sotto delquarto di tono. Entro questi limiti la percezione del divenirealtrodel suono ha un carattere per cos dire letterale, manifestando conevidenza la pertinenza della problematica del cromatismo al ver-sante del continuo. Tuttavia questi limiti possono estendersi in forzadei contesti. Del resto gli esempi seguenti, nei quali abbiamo rea-lizzato in sequenza gli stessi intervalli precedenti in direzione ascen-dente e discendente, sembrano mostrare la possibilit che la perce-zione della flessione del suono si estenda persino oltre il semito-

    31 possibile che proprio da questa circostanza dipenda il fatto che Ari-stosseno ritenesse che il quarto di tono fosse il minimo intervallo percepibile. Aldi sotto del quarto di tono si percepiscono differenze interne, ma non qualcosadi simile ad un intervallo vero e proprio.

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    no. La sensazione di una separazione veramente netta tra i suoni si

    ha soltanto quando lintervallo diventa di un tono.

    011

    successione ascendente da 0 a 200 cents attraverso 6, 15, 25, 50, 100

    012

    successione discendente da 0 a 200 cents attraverso 6, 15, 25, 50, 100.

    Un intervallo vero e proprio, ovvero uno scalino, viene avvertitoappunto soltanto nel momento in cui vi il passaggio dal semitonoal tono.

    Ma a parte questi casi particolari, quando il problema vienegiocato musicalmente, ci che importa sono considerazioni dicontesto. Sono esse che infine decidono il modo dellintendere. Ilcontesto deve essere tale da consentire un rimando alla situazionedella continuit, una sorta di ricordo di essa, e che questo riman-doricordo non sia in qualche modo ostacolato o impedito. Natu-ralmente lintervallo deve essere comunque abbastanza piccolo e ineffetti il semitono a 100 cents si presta ad assolvere la parte di valo-re di soglia: esso abbastanza grande da consentire un afferramentodei suoi estremi come suoni nettamente distinti, ma abbastanzapiccolo per poter ancora consentire, in certe condizioni, la perce-zione di alterazione.

    Secondo la nostra impostazione, la tematica del cromatismodeve dunque essere riportata a quella dei flussi sonori ed alla conce-zione dello spazio sonoro come flusso, e proprio in questo rinviopu essere proposta una nozione interamente nuova di alterazione.

    http://011.mp3/http://012.mp3/http://012.mp3/http://011.mp3/
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    Come abbiamo visto in precedenza, nellambito della problematica

    della trasposizione si parla di alterazione di una nota in un sensopiuttosto ovvio: la nota che subentra nella trasposizione pi acutao, rispettivamente, pi grave della nota a cui subentra. Il piccolointervallo, che fa da incremento o da incremento, serve soltanto aristabilire il tono o il semitono diatonico. Qui invece non vi unsubentraredi una nota ad unaltra, ma luna e laltra si manifestanoin una successione concreta ed in modo tale che si possa dire cheluna trapassa nellaltra ovvero che luna diventa laltra. Il muta-mento di altezza prende il senso di un processo di trasformazioneinterna del suono. Cos, mentre lalterazione traspositiva mantienela sua relazione con la situazione oggettiva, in quanto la nota alte-rata semplicemente unaltra nota, la nota alterata nel senso delcromatismo va intesa dinamicamente come momento di un pro-cesso del diventare-altra e va intesa cos non in forza di qualche de-cisione speculativa, ma perch viene intesa cos. Qualunque musicista,e qualunque semplice ascoltatore, intendeuna configurazione cro-matica in questo modo, e di ci dobbiamo prendere atto. La situa-zione normativa per le alterazioni traspositive, dove la nozione dialterazione lontanissima dallavere queste implicazioni ed in rap-porto alla quale va mantenuto fermo il legame tra le note e la di-stinzione oggettiva delle frequenze, fa velo allaccoglimento nella

    teoria di ci che sta a portata di mano sul piano fenomenologico eche fa parte della pi schietta esperienza musicale.

    Dallambito del suonooggetto passiamo cos a quello delsuonoprocesso. Il cromatismo una manifestazione che riconducealla processualit del suono. Ritroviamo cos ci che sta nelle pie-ghe del senso antico della parola di/esij che, come abbiamo ricor-dato allinizio, contiene unallusione allelemento liquido. Diesizza-zione e bemollizzazione perdono il significato di unoperazione dispostamento di altezza, resa necessaria per il mantenimento di unaidentit di struttura, per indicare invece un processo percepito dialterazione concreta. La bemollizzazione pu apparire come un ve-

    ro e proprio cedimento del suono, un suo tendenziale oscuramento.Come se potessimo dire: ora il suono si incupito! Mentre nelladiesizzazione siamo in presenza di una enfatizzazione del suono;

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    come se vi fosse ora una sorta di rafforzamento e di espansione del

    suono, mentre nel caso della bemollizzazione poteva sembrare vifosse contrazione e immiserimento. Se dovessimo mimare questipassaggi con il nostro corpo forse nel primo caso tenderemmo aporre il petto in fuori, nel secondo invece a ripiegarlo verso lin-terno, a incavarlo. Ma non vi in tutto ci una componente di or-dine immaginativo? Lo ammetteremmo senzaltro. Ma ci non si-gnifica che siamo qui unicamente affidati a mutevoli umori sog-gettivi. Linclinazione immaginativa pu agire solo trovando unaggancio nelle cose stesse. E queste non sono semplicemente, masono intese. Tra loggettivit dei fatti e il puro arbitrio delle impressio-ni soggettive vi la variet ben fondata dei modi di intendere.

    Tutto ci ci consente naturalmente di aggiungere un qualcheperfezionamento alla precedente caratterizzazione della differenzatra semitono diatonico e semitono cromatico ed in generale delladifferenza tra scala diatonica e scala cromatica, tra diatonismo ecromatismo. Indipendentemente dalle considerazioni precedenti sirischia di brancolare nel buio, per quanto queste distinzioni possa-no arrivare a chiarezza nella pratica musicale.

    In particolare per quanto riguarda il semitono diatonico e ilsemitono cromatico non ci possono aiutare riferimenti alla gran-dezza pura e semplice degli intervalli. Nel sistema temperato la

    grandezza esattamente la stessa. In altri sistemi, e riferiamoci an-cora a titolo di esempio alla scala pitagorica, assumendo che si at-tribuiscano alle alterazioni di trasposizione la funzione di alterazio-ni cromatiche, avremmo il caso singolare secondo cui il semitonocromatico (funzione ora assunta dallapotome = 114 cents) sarebbepi grande del semitono diatonico (limma = 90 cents). In generalelintera questione resa oscura proprio dalla coincidenza tra altera-zioni cromatiche e alterazioni traspositive, pi precisamente dal-limpiego delle alterazioni traspositive nella funzione di alterazionicromatiche. Ci mette in ombra la completa autonomia in cui de-ve essere sviluppata la tematica del cromatismo.

    In precedenza abbiamo riferito il livello diatonico ad unsistema in cui sono predominante intervalli piuttosto grandi.Ora siamo in grado di precisare che un sistema potr essere detto

  • 8/3/2019 Piana G., Il Cromatismo

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    diatonico quando consista di intervalli la cui grandezza consenta la

    chiara individuazione di suoni distinti. Il piccolo intervallo punaturalmente trovarsi in una scala diatonica, il semitono diatoni-co appunto, ed in precedenza abbiamo reso conto di questo ap-pellativo limitandoci ad osservare che si trattava di un semitonointegrato in una scala diatonica. Ora possiamo dire meglio, preci-sando che esso appartiene ad una configurazione che tale da osta-colare la sua apprensione come cromatismo. Esso si trova infatti tratoni. La semplice presenza di due semitoni successivi potrebbe rap-presentare un incidente cromatico allinterno di una struttura dia-tonica. Ed appena il caso di dire che lintervallo cromatico verrora caratterizzato come un intervallo che abbastanza piccolo af-finche i suoni successivi possano essere percettivamente intesicomemomenti di un processo di trasformazione unitario.

    Un chiarimento riceve conseguentemente lidea di scala cro-matica. Come abbiamo osservato fin dallinizio, si pu concepirela scala cromatica come derivante da una suddivisione primariadellintervallo di ot