Perlappunto numero 0

112
PERLAPPUNTO n.1 VERSIONE 1.7 design Simone Cingano 112 pagine interne + 4 pagine copertina

description

 

Transcript of Perlappunto numero 0

Page 1: Perlappunto numero 0

I

1

PERLAPPUNTO

PERLAPPUNTO n.1

VERSIONE 1.7

design Simone Cingano

112 pagine interne

+ 4 pagine copertina

Page 2: Perlappunto numero 0

I

2

PERLAPPUNTO

PERLAPPUNTO

I

INDICE

PERLAPPUNTO

PERLAPPUNTOn.1AUTUNNO2009

Hannocollaboratoaquestonumerol’Università degli Studi di Genova

il Dipartimento di Filosofia dell’Università di Genoval’associazione culturale Il Rasoio

il sito internet www.benessere.com

HannoprestatoilloropreziososupportoPaola Pastorino

Erika MussoLuca Policastro

SviluppoGraficoSimone Cingano

Page 3: Perlappunto numero 0

I

PERLAPPUNTO

I

3

INDICE

PERLAPPUNTO

4 Editorialedi Maria Elena Buslacchi

7 Robert Brandom: Towards an Analytic Pragmatismdi Davide Costa

30 Il corpo e la mente. Corpo(ral)mentedi Maria Elena Buslacchi

34 L’appunto del medico: che cos’è davvero la ghiandola pinealedi Luca Bavassano

37 Rapporto mente-corpo e benessere psico-fisicodi Eleonora Maino

45 Di che cosa parliamo quando parliamo di IA?di Matteo Casu

57 Idee affetti e neuroni: cosa ha da dire Spinoza sulle neuroscienzedi Andrea Sangiacomo

67 Il divenire-animale e il post-umanodi Paolo Vignola

81 Chi dice : “ho fame”? lo stomaco o il cervello? Aspetti fisiologici della digestionedi Franca Granero Fabbri

87 Yoga: uno sguardo da Orientedi Alice Cervia

91 Consigli di letturaa cura di Linda Lovelli

97 La comunità dei pensanti. Appunti sul Festival di Filosofia di Modena 2009di Paolo Vignola

102 Alterità, incontro, Nauseadi Francesco Ferrari

106 Come e perché comunicare l’Europa. Una porta aperta verso i nostri valori comunidi Giuseppe La Rocca

110 Il consumo critico e i Gruppi di Acquisto Solidaledi Alice Cervia

L’INTERVISTA

MENTEECORPO

FILOSOFIANELMONDO

RUBRICHE/SINESTESIE

RUBRICHE/ISOGNIDELL’OROLOGIAIO

RUBRICHE/SOSTENIAMO

Page 4: Perlappunto numero 0

I

4

EDITORIALE

PERLAPPUNTO

I

EDITORIALE

Fondare una rivista non è un passatempo, e nemmeno un divertimento. Se siamo qui a scrivere queste parole è perché in molti ci siamo rosi il fegato per i ritardi, i pro-blemi, le difficoltà di organizzazione e di comunicazione degli intenti. Avevamo un obiettivo: scrivere di filosofia senza trattarla in modo autoreferenziale, rendendola accessibile - e interessante! - per un pubblico abbastanza ampio, ed evitando allo stesso tempo di scadere nella banalità. Forse questo è l’unico proposito che abbiamo rispettato. Spesso si parte con un’idea ben precisa di ciò che si vuole ottenere, senza rendersi conto che una creazione è un processo dinamico e in buona parte incon-trollabile, che prende vita tra le mani dei suoi autori e che spesso tenta di sfuggirne. E di questo ci siamo accorti in più di un anno di lavoro, che ha visto momenti di en-tusiasmo, di sconforto, di abbandono, di ripresa e di grande determinazione. Quasi nessuno dei membri della redazione è riuscito a mantenere la costanza che si era ripromesso, ma quasi tutti hanno potuto comunque contribuire proficuamente alla travagliata nascita di Perlappunto. Per questo i ringraziamenti vanno in particolare a Paolo Vignola, che non si è mai stancato di seguire il progetto, anche quando le riu-nioni di redazione si tenevano in due o tre perso-ne al massimo sui gradini di Balbi 4, a Samuele Dellepiane, a cui l’interesse per la rivista ha imposto salti mortali tra la stesura della tesi di laurea e il lavoro, a Simone Cingano, nostro grafico paziente e comprensivo, e a tutti i mem-bri dell’associazione culturale Il Rasoio.

Perché quindi fondare una rivista? L’idea è nata dalla consapevolezza che la filosofia per molti è qualcosa di fumoso e complesso, spesso ri-condotto agli studi di storia della filosofia fatti al liceo. La nostra convinzione è invece che la filosofia sia innanzitutto un atteggiamento, un modo di pensare che mette in gioco le co-

EDITORIALE

Page 5: Perlappunto numero 0

I

EDITORIALE

I

5

EDITORIALE

PERLAPPUNTO

noscenze pregresse, il senso critico, la curiosità per il nuovo ed una certa diffidenza naturale. Per questo può essere applicata a qualunque tema, e non dev’essere con-finata al mondo di pochi esperti, ma aperta a tutti. Certo, la lettura delle pagine che seguono non apparirà semplice e scontata ad ognuno di noi, ma la questione è so-spesa. Perlappunto è un dialogo. Perlappunto: si dice di non gettare le perle ai porci, ma chi sa chi sono i porci? E chi può vantare la fortuna di possedere queste perle di saggezza?

Ad ogni articolo sarà associata, online (su www.perlappunto-lab.blogspot.com), una discussione, perché si possa riprendere il filo del discorso e trovare spunti di rifles-sione nel confronto, sia tra specialisti che con i non addetti ai lavori. Per questo in-terpelleremo su grandi temi - come quello del rapporto tra mente e corpo in questo primo numero - importanti nomi della filosofia contemporanea e professionisti di altre discipline, ricercatori e studenti, appassionati e cultori. Con il solo requisito della serietà (ma non necessariamente della seriosità!).

Perlappunto, in sostanza, è una proposta: un invito ad osservare e a pensare, a fer-marsi a riflettere sulle curiosità del mondo, del linguaggio, delle pratiche dell’uomo. Un appello alla messa in discussione e alla tematizzazione della realtà e dell’attua-lità, che non sia vano sproloquio ma analisi profonda, secondo diverse prospettive. Cerchiamo un’osservazione dall’interno e dall’esterno dei fatti, aspiriamo a rendere sfaccettata la visione della realtà, troppo spesso appiattita su immagini semplicisti-che. Per farlo, abbiamo bisogno che le pagine di Perlappunto siano solo un punto di partenza, e che l’impegno ce lo mettano i lettori. Non stiamo cercando di cambiare il mondo, non abbiamo l’ambizione di migliorarlo con questi scritti, ma siamo convinti di poterlo rendere, almeno in piccola parte, più consapevole di se stesso.

Perlappunto, passaparola.

Maria Elena Buslacchi

Page 6: Perlappunto numero 0

I

6

PERLAPPUNTO

I

L’INTERVISTA

L’INTERVISTA

Page 7: Perlappunto numero 0

I

I

7

L’INTERVISTA

PERLAPPUNTO

L’università di Genova ha ospitato nelle giornate dal 20 al 23 Aprile 2009 il conve-gno dedicato alla figura di Robert Bran-dom: “Towards an analytic pragmatism, Workshop on Bob Brandom’s recent phi-losophy of language”. Il convegno è nato con l’intento da parte del comitato scien-tifico di approfondire il tema dell’“Analitic pragmatism” nei suoi legami con l’infe-renzialismo e con le altre discipline filoso-fiche, per dare continuità alla discussione filosofica sperimentatasi nel convegno di Praga (2007) “Between saying and doing: Towards an analytic pragmatism”. Nel 2006, con le John Locke Lectures, R. Brandom ha gettato le fondamenta per una visione del linguaggio il cui scopo è di conciliare il pragmatismo classico con la tradizione semantica della filosofia analiti-ca. L’“Analityc Pragmatism” condivide con l’inferenzialismo l’idea secondo la quale i vocabolari logico, modale, normativo e in-tenzionale esprimono un significato che è implicito nelle inferenze materiali piutto-sto che in quelle formali. Ma esso fornisce, inoltre, nuove possibilità per comprendere l’empirismo, il naturalismo e il funziona-lismo in epistemologia ed il loro apparato concettuale.Il workshop genovese, che ha rappresenta-to l’occasione di discutere e sviluppare le

idee principali che furono proposte a Pra-ga, ha proposto papers e relative discussio-ni nelle seguenti aree tematiche: Modality, intentionality and discoursive practice; Lo-gic, semantics and the theory of meaning; Intentionality and the philosophy of mind; Pragmatism and metaphysics.. Il comitato scientifico, composto interamente da stu-diosi italiani, si è preoccupato di allestire una giornata introduttiva al workshop in cui sono stata presentate alcune delle idee cardine della filosofia di Brandom. I relato-ri, tra cui lo stesso R. Brandom e Danielle Macbeth (Haverford College), provenivano per la maggior parte da università europee (Germania, Olanda, Italia, Francia, Polonia, Repubblica Ceca, Svezia, Inghilterra), oltre che da Giappone e Sud Africa, il che con-ferma l’avvenuta diffusione delle idee del filosofo americano nei contesti filosofici europei e, in particolare, in quelli italiani – tendenza che solo una decina di anni fa non si sarebbe certo potuta rilevare, come mostra la ancora scarna e nascente lettera-tura in lingua italiana su Brandom e sulle sue idee.

Dalla parte dell’uditorio, il convegno ha visto la partecipazione di docenti, stu-denti e dottorandi in discipline filosofiche, ma non solo, appartenenti a università ita-

Towards an Analytic Pragmatism:un’introduzione all’inferenzialismo semantico di R. Brandom

Davide Costa

Page 8: Perlappunto numero 0

I

8

L’INTERVISTA

PERLAPPUNTO

I

L’INTERVISTA

liane e straniere, che hanno sviluppato e continuato la discussione anche al di fuori delle sedi ufficiali del workshop. Visto l’in-teresse che si è creato attorno al convegno, Perlappunto ritiene opportuno introdurre in modo generale le idee di Brandom, in particolare l’inferenzialismo semantico, e proporre l’intervista al filosofo realizzata dalla dott.ssa Silvia Panizza nelle date del convegno.

Da Making it explicit a Between Saying and Doing: una panorami-ca sull’inferenzialismo semantico di R. Brondom.

“Making it explicit” e “Articulating Reasons”

Insieme a John McDowell, Robert Brandom è uno dei filosofi emergenti della reazione al naturalismo filosofico; seguace di Wilfrid Sellars, è l’autore americano che più si av-vicina al dialogo con la filosofia continen-tale e propone una rivalutazione di Kant e Hegel nella filosofia analitica. Gli autori a cui Brandom fa riferimento sono Kant, Fre-ge e Wittgenstein, in prospettiva storica; Dummett, Rorty, Lewis e Chastain, per ciò che riguarda il dibattito contemporaneo.

“A partire da questi riferimenti storici, la riflessione filosofica viene filtrata attra-verso alcune intuizioni essenziali di Wil-frid Sellars, filosofo pragmatista e fonte di ispirazione principale del libro Making it explicit, e dello stesso titolo. Il titolo richia-

ma infatti il “metodo socratico” di Sellars, cioè quel metodo che “serve allo scopo di rendere esplicite le regole che abbiamo adottato per il pensiero e l’azione” . Forse è il caso di ricordare che Sellars è, tra tutti gli autori statunitensi, quello che più am-piamente si rifà a Kant, anzi, quello il cui scopo esplicito era «spostare la filosofia analitica dalla fase humeana alla fase kan-tiana». Kant, Frege e Wittgenstein vengono così filtrati attraverso la lettura di Sellars; e in particolare i “giochi linguistici” di Wit-tgenstein vengono in parte abbandonati a favore della centralità del “gioco di chiede-re e dare ragioni”, che è il vero segno della razionalità e del linguaggio”(C. Penco, “Ragione e pratica sociale”, Rivi-sta di filosofia, 3, 1999: p. 467-489).

L’inferenzialismo si occupa dell’uso e del contenuto dei concetti. La sua idea por-tante è che i significati delle espressioni linguistiche devono essere concepiti nei termini dello specifico ruolo che svolgono nel ragionamento. La strategia brandomia-na è pragmatista poiché assegna priorità alla pratica applicativa dei concetti, rico-struendo a partire da questa il contenuto e non viceversa. Questo tipo di pragma-tismo concettuale si propone di spiegare la conoscenza che (la credenza che, l’af-fermazione che) le cose stanno in un cer-to modo nei termini di saper come, di co-noscenza del modo in cui (di come essere in grado di) fare qualcosa. In questo senso dobbiamo confrontarci con il contenuto di proposizioni concettualmente esplicite, partendo da ciò che è implicito nelle prati-che dell’usare espressioni, fare appello o acquisire credenze. Potremmo riassumere

Page 9: Perlappunto numero 0

I

L’INTERVISTA

I

9

L’INTERVISTA

PERLAPPUNTO

questo approccio con lo slogan di Wilfrid Sellars “ Afferrare un concetto è afferrare l’uso di una parola”.

Ciò che distingue le pratiche specifica-mente discorsive è, per Brandom, la loro articolazione inferenziale. I concetti, che vanno valutati per il loro ruolo nel ragio-namento, ricevono contenuto, in partico-lare, dalle pratiche di dare e richiedere ra-gioni. Rendere esplicito qualcosa significa presentarlo in una forma in cui contem-poraneamente serve da ragione e richie-de ragioni: una forma in cui possa servire sia da premessa che da conclusione di una premessa. Un enunciato risulta così essere il punto medio tra le sue condizio-ni e le sue conseguenze di applicazione. Un parlante competente deve sentirsi responsabile di ciò che lo giustifica a fare una de-terminata asserzione e di quel che ne consegue. Dire che le cose stanno in un certo modo signifi-ca assumere un particolare tipo di impegno inferenzialmente articolato, proponendo ciò che si dice o si pensa come premessa confacente per ulteriori inferenze, vale a dire autorizzando a usarlo come premessa, e assumendosi la responsabilità di dimo-strare il proprio titolo a tale impegno, di giustificare la propria autorità nelle circo-stanze opportune, di solito presentando la propria affermazione come conclusione di un’inferenza da altri impegni di tale tipo ai quali si ha titolo. Le pratiche che non comprendono l’esame delle ragioni non sono pratiche né lingui-

stiche né discorsive. Brandom tenta di di-scostarsi da Wittgenstein affermando che il linguaggio non è un aggregato eteroge-neo, ma ha un centro: le pratiche inferen-ziali di produrre e consumare ragioni sono il centro urbano della regione delle prati-che linguistiche. I contenuti proposizionali diventano così alla portata di coloro che partecipano alle pratiche linguistiche. Ad esempio, la sem-plice capacità di discriminare le cose ros-se da quelle che non lo sono non significa ancora essere consapevoli di esse in quan-to rosse. “La discriminazione mediante la produzione di risposte ripetibili (che

potrebbe essere operata anche da una macchina o da un piccione) ha un effetto di cernita sugli sti-moli che la producono, e in questo senso li classifi-ca, ma non si tratta anco-ra di una classificazione concettuale”(Brandom 2002, pag 26). Potremmo

anche immaginare una pratica normativa secondo la quale la risposta appropriata alle cose rosse sia emettere un certo suono. Ma non ci troveremmo ancora nell’ambito del concettuale. “L’aquaintance intenzio-nale, potremmo dire parafrasando Rus-sell, a differenza di quella estensionale è una prerogativa delle creature provviste di linguaggio. Esse sono le uniche in gra-do di dare espressione a un contenuto col trattarlo in modo inferenzialmente signifi-cativo. (Picardi Eva, in R. Calcaterra, a cura di, Pragmatismo e filosofia analitica, Mace-rata, Quodlibet, pag. 155). Un pappagallo addestrato a dire “è rosso” di fronte a cose

“Afferrare un concetto è

afferrare l’uso di una parola”

Wilfrid Sellars

Page 10: Perlappunto numero 0

I

10

L’INTERVISTA

PERLAPPUNTO

I

L’INTERVISTA

rosse non comprende le proprie risposte, sebbene esse possano significare qualcosa per noi. In questo caso, per produrre un resoconto occorre avere il concetto di “co-lore”. Il pappagallo non può considerare “è rosso” come incompatibile con “è blu”, né sa che segue da “è scarlatto” e implica “è colorato”. Data questa delimitazione infe-renziale del concettuale, dovrebbe apparir-ci chiaro che per padroneggiare un concet-to dobbiamo padroneggiarne molti, perché afferrare un concetto significa afferrare almeno una parte delle sue relazioni infe-renziali con altri concetti.Il tipo di inferenze che Brandom ha in mente e che costituisco la materia pri-ma dell’inferenzialismo semantico sono le inferenze materiali. Brandom presenta l’inferenza materiale come quel “tipo di inferenza la cui correttezza determina il contenuto concettuale delle sue premes-se e delle sue conclusioni”(Brandom 2002, pag. 60). Consideriamo, ad esempio, l’ infe-renza da “Princeton è a est di Pittsburgh” a “Pittsburgh è a ovest di Princeton”. È il contenuto dei concetti ovest e est che ne fa una buona inferenza. L’adesione a questo tipo di inferenze costituisce, a parere di Brandom, parte della comprensione e della padronanza di quei concetti, in modo del tutto indipendente da qualunque compe-tenza logica specifica.Spesso, dice Brandom, l’articolazione in-ferenziale viene identificata con quella logica e le inferenze materiali vengono dunque considerate una categoria deriva-ta, ma questo non è altro che un equivoco derivante dall’uso del concetto di logicità in nessi di circostanze e conseguenze di appli-cazione che restringono la nozione di forza

logica delle ragioni alle inferenze formal-mente valide. Il pregiudizio fondamentale alla base di questo tipo d’approccio è ciò che Sellars ha battezzato come “il dogma ricevuto”, ovvero l’idea per cui l’inferenza che trova espressione in “Piove dunque le strade saranno bagnate” è un entimema. L’approccio formalista vede nell’adesione a questo tipo di inferenze la credenza in un condizionale. Così, l’inferenza dell’esempio precedente viene intesa come se compren-desse implicitamente il condizionale “Se piove le strade saranno bagnate”. Aggiunta questa premessa, l’inferenza diventa uno schema formalmente valido di eliminazio-ne del condizionale. Il “dogma” esprime l’adesione ad un ordine di spiegazione che considera tutte le inferenza buone o cat-tive solo in virtù della loro forma logica, mentre il contenuto delle asserzioni che ne fanno parte sarebbe rilevante solo per la verità delle premesse (implicite).L’approccio inferenzialista rifiuta il “dog-ma” privilegiando l’idea che si debba attri-buire una comprensione della logica di tipo implicito che si manifesta nella capacità di saper riconoscere buone o cattive inferen-ze materiali. Seguendo Sellars, Brandom sostiene che le regole materiali sono es-senziali per il significato quanto le regole formali, perché contribuiscono a precisare dettagliatamente “la struttura architetto-nica all’interno degli archi portanti della forma logica”. Secondo Sellars, un’espres-sione possiede un contenuto concettuale che le deriva dall’essere inserita in inferen-ze materiali. In termini tradizionali, tanto il contenuto dei concetti quanto la loro forma logica sono determinati dalle regole della comprensione.

Page 11: Perlappunto numero 0

I

L’INTERVISTA

I

11

L’INTERVISTA

PERLAPPUNTO

A conferma della priorità delle inferenze materialmente corrette su quelle formal-mente valide si aggiunge il fatto che, se-condo Brandom, le seconde sono derivabili dalle prime, ma non viceversa.

“Dato un sottoinsieme di vocabolario che sia privilegiato, o in qualche modo distin-to, un’inferenza può essere considerata buona in virtù della sua forma, rispetto a tale vocabolario, esattamente nel caso in cui è un’inferenza materialmente buona, e non può essere convertita in un’infe-renza materialmente cattiva sostituendo nelle sue premesse e conclusioni espres-sioni non appartenenti al sottoinsieme privilegiato con altre espressioni non privilegiate”(Brandom 2002, pag. 62).

Data questa nozione sostituzionale di infe-renza formalmente buona, se ciò che cer-chiamo è la forma logica, dobbiamo poter distinguere, in via preliminare, una parte del vocabolario come peculiarmente logico per poi giungere, scovando le caratteristi-che inferenziali invarianti sotto sostituzio-ne, all’idea di inferenza logicamente valida. Mi sembra opportuno menzionare che alle tesi correlate per cui i contenuti concettuali sono ruoli inferenziali e la nozione genera-le di inferenza rilevante per tali contenuti deve includere le inferenze materialmente corrette, si deve aggiungere una terza idea, sempre di paternità di Sellars, che conferi-sce, secondo Brandom, una direzione inte-ressante a questa linea di pensiero. Sellars, in uno dei suoi primi articoli, la espone nel modo seguente: “il metodo socratico ha lo scopo di rende-re esplicite le regole che abbiamo adottato

nel pensiero e nell’azione, ed io interpre-terò il nostro giudizio che A determina ca-sualmente B come l’espressione di una re-gola che governa i nostri usi di A e di B”(W. Sellars, “Languages, rules and behavior”, in Pure pragmatism and posible words, pag 136). “ Sellars intende queste asserzioni modali come licenze di inferenza, che esprimono come contenuto di un’asserzione l’appro-priatezza dei passaggi inferenziali. Inoltre, ritiene che la funzione di tali asserzioni sia di rendere espliciti, nella forma di regole asseribili, gli impegni fino a questo punto rimasti impliciti nelle pratiche inferenzia-li. Il metodo socratico serve a porre sot-to controllo razionale le nostre pratiche […]”(Brandom 2002, pag. 63).

Brandom afferma quindi che sia l’inferen-za “piove, aprirò l’ombrello” sia “piove, le strade saranno bagnate” non sono enti-memi. Qualcuno sosterebbe ad esempio che la prima inferenza sarebbe incompleta se non ci fosse il mio desiderio di restare asciutto. Ma il fatto che l’aggiunta di una premessa incompatibile con il mio deside-rio di restare asciutto infirmerebbe l’infe-renza non mostra, secondo Brandom, che questo desiderio svolgesse già il ruolo di premessa implicita.L’inferenza materiale non è monotona. Non lo è nel ragionamento ordinario, e quasi mai nelle scienze particolari. Il nostro ra-gionamento effettivo permette sempre la costruzione di gerarchie inferenziali con un’oscillazione come questa:• Se sfrego questo fiammifero asciutto e

integro, allora si accenderà. ( p → q )• Se p e il fiammifero si trova in un cam-

po elettromagnetico molto forte, allo-

Page 12: Perlappunto numero 0

I

12

L’INTERVISTA

PERLAPPUNTO

I

L’INTERVISTA

ra no si accenderà. ( p ˄ r → ¬ q )• Se p e r e il fiammifero è in una gabbia

di Faraday, allora si accenderà. ( p ˄ r ˄ s → q )• Se p e r e s e nel locale non c’è ossigeno,

allora non si accenderà. ( p ˄ r ˄ s ˄ t → ¬ q)

In questi contesti non è possibile, per Bran-dom, salvare la monotonicità avvalendo-si di clausole ceteris paribus. Tali clausole sono problematiche in quanto non sono eliminabili: non possono essere espresse esplicitamente sotto forma di una serie di premesse addizionali perché, oltre alla ne-cessità di una lista potenzialmente infinita delle condizioni che vorremmo escludere, l’appartenenza a questa lista sarebbe inde-finita. Non possiamo specificare in antici-po cosa vi comparirà. Affermare “ceteris pa-ribus, q segue da p” significa che “q segue da p a meno che non vi sia qualche condizione infirmante o interferente”. Ma ciò equivale a dire che q segue da p tranne nei casi in cui, per qualche ragione, q non segue da p.L’inferenza materiale 1 va bene così com’è. Ma se vogliamo riconoscere il fatto che essa possa costituire la base di una gerarchia oscillante di inferenze, è possibile farlo ri-formulandola così come segue: 1° Se sfrego questo fiammifero asciutto e integro, allo-ra, ceteris paribus, si accenderà.

Abbiamo, così, delineato le tre tesi che, in modo generale, permettono di de-finire l’aspetto centrale dell’inferenziuali-smo à la Brandom:

Il contenuto concettuale può essere inteso in termini di ruolo di ragionamento piut-

tosto che nei termini di rappresentazione.La capacità di condurre tale ragionamento non deve essere identificata in modo esclu-sivo con la padronanza di un calcolo logico.Oltre al ragionamento teoretico e pratico che ricorre a contenuti costituiti dal loro ruolo nelle inferenze materiali, c’è un ge-nere di razionalità espressiva che consiste nel rendere espliciti, nella forma di conte-nuti asseribili, gli impegni inferenziali im-pliciti che conferiscono un contenuto.

Questi tre temi, presenti in Frege e in Sel-lars, forniscono gli elementi a partire dai quali si sviluppa l’inferenzialismo contem-poraneo, ma è nel lavoro di Dummett che rintracciamo la possibilità di ridefinirli perspicuamente all’interno di un modello generale dei contenuti concettuali. Secon-do tale modello l’uso di una qualunque espressione linguistica, o concetto, ha due aspetti: 1. le circostanze in cui l’uso, il proferimen-

to o l’applicazione di tale concetto sono corretti.

2. le conseguenze appropriate della sua applicazione.

“Benché Dummett non compia tale passo, questo modello può essere messo in rela-zione con l’inferenzialismo mediante il principio che il contenuto cui si è vincolati dall’uso del concetto o dell’espressione può essere rappresentato dall’inferenza cui im-plicitamente si aderisce mediante tale uso, ciò l’inferenza dalle circostanze ap-propriate di applicazione alle conseguenze appropriate di tale applicazione”(Brandom 2002, pag. 68-69).

Page 13: Perlappunto numero 0

I

L’INTERVISTA

I

13

L’INTERVISTA

PERLAPPUNTO

Il modello bidimensionale di Dummett è una generalizzazione del modo standard di specificare i ruoli inferenziali dei connet-tivi logici introdotto da Gerard Gentzen. L’applicazione al contenuto proposizionale espresso da un enunciato è immediata. Ciò che corrisponde ad una regola di introdu-zione per un contenuto proposizionale è un insieme di condizioni sufficienti per asserirlo, ciò che corrisponde ad una regola di elimi-nazione è l’insieme di conseguenze necessarie della sua asserzione, ciò che segue dal farlo. Per Brandom, queste sono due caratteristi-che fondamentali dell’uso delle espressio-ni linguistiche, ma il legame tra rilevanza pragmatica e contenuto inferenziale de-riva dal fatto che asserire un enunciato equivale ad assumere implicitamente un impegno verso la correttezza dell’inferen-za materiale dalle sue circostanze alle sue conseguenze di applicazione. Possiamo so-stenere con [Penco 2004 e 2009] che Bran-dom ha sicuramente contratto un debito con Dummett, ma ne ha anche superato, non sappiamo se correttamente, un tabù. Dummett ha definito il significato come giustificazione anche perché riteneva che le conseguenze di un enunciato siano un insieme aperto e troppo vasto per poter servire da criterio definitorio del signifi-cato. La semantica inferenziale, analoga-mente alla teoria giustificazionista di Dum-mett, si propone come un’alternativa alla semantica modellistica. Comprendere il si-gnificato è impegnarsi in una rete di diritti e impegni: il significato di un enunciato de-riva dall’intreccio delle diverse prospettive con cui i parlanti si impegnano sulla rete di inferenze a esse connesse. Questo compor-ta che il significato dipende da tutte le at-

tività linguistiche in cui il parlante è impe-gnato socialmente, questo comporta a sua volta una visione olistica del linguaggio. Lo stesso Brandom afferma che:

“la semantica inferenzialista ha schietto carat-tere olista: secondo la spiegazione inferenziali-sta del contenuto concettuale, non è possibile avere alcun concetto a meno di averne molti, perché l’articolazione del contenuto di ciascun concetto dipende dalle sue relazioni inferen-ziali con altri concetti. […] L’olismo concettuale non è una scelta a cui ci si possa sentire spinti indipendentemente dalle considerazioni che conducono ad una concezione inferenziale del concettuale; piuttosto, è una conseguenza di-retta di tale approccio”(Brandom 2002, pag. 25).

Io credo che uno dei principali motivi del rifiuto brandomiano dell’impostazione molecolare à la Dummett sia rintracciabile in una delle principali difficoltà con cui il molecolarista ha a che fare: “il paradosso dell’inferenza”:

“Se in un’inferenza la conclusione non è con-tenuta nelle premesse, essa non può essere valida; e se la conclusione non è diversa dalle premesse essa è inutile; ma a conclusione non può essere contenuta nelle premesse ed essere anche nuova; quindi le inferenze non possono essere insieme valide e utili”(Cohen, Nagel, 1934, pag. 173).

Credo che Brandom ritenga il paradosso dell’inferenza un limite che una teoria del significato non dovrebbe presentare. Un limite che, come la sua soluzione, è legato ad un determinato modo di intendere il linguaggio. Credo che sia su queste basi che

Page 14: Perlappunto numero 0

I

14

L’INTERVISTA

PERLAPPUNTO

I

L’INTERVISTA

Brandom critichi il sistema di Dummett di-cendo che

“è un ideale del tutto particolare quello che sarebbe realizzato da un sistema di contenu-ti concettuali tale che le inferenze materiali implicite in ogni sottoinsieme di concetti rap-presentassero un’estensione conservativa dei concetti restanti nel senso che non sarebbe autorizzata alcuna inferenza, in cui interve-nissero solo i concetti restanti, che non fosse già autorizzata dai soli contenuti associati a quest’ultimi. Un sistema del genere è un’idea-lizzazione perché i contenuti di tutti i suoi con-cetti sarebbero già palesi. Nessuno rimarrebbe celato, in modo da poter essere rivelato […] tra-endo conclusioni cui non si era in precedenza consapevoli di essere autorizzati o impegnati da qualche insieme di premesse. […] Questa trasparenza completa degli impegni e dei titoli è in un certo senso una proiezione ideale della pratica socratica che trova i contenuti e gli im-pegni usuali bisognosi di essere confrontati tra loro, mettendo in evidenza caratteristiche infe-renziali da essi possedute di cui non eravamo consapevoli”(Brandom 2002, pag.78-79).

L’idea di Brandom è stata di scindere in due parti la nozione di asseribilità. Più precisamente, dove i teorici dell’asseribiltà ricorrono ad un solo tipo di status norma-tivo (giustificazioni o ragioni sufficienti per asserirlo) Brandom prende in consi-derazione due generi di status normativo: l’impegno e il titolo. Secondo Brandom, nessun insieme di pratiche può essere considerato un gioco di dare e richiedere ragioni a meno che non includa il ricono-scimento dei suddetti status normativi. Il gioco di dare e richiedere ragioni “è basa-

to sulla nostra attività di “tenere i punti” delle azioni altrui, come si tengono i punti delle azioni altrui nel baseball. Siamo fon-damentalmente degli scorekeepers, perso-ne che si segnano i punti per ogni azione che fanno gli altri partecipanti al gioco” (Penco, 1999,in Rivista di Filosofia, 3, Dic., pp.467-486). Ad esempio, se qualcuno as-serisce “questa stoffa è rossa” dovrebbe aggiungere al proprio punteggio “questa stoffa è colorata”. Questo è un esempio in cui compiere una mossa obbliga un gioca-tore ad essere disposto a compierne anche un’altra. Per questa ragione, possiamo con-cepire l’esecuzione di un’asserzione come “l’assunzione di un genere particolare di atteggiamento normativo nei confronti di un contenuto inferenzialmente articola-ti”. Assumere un impegno significa essere disposti ad accettare le conseguenze infe-renziali di un’asserzione. Avere titolo per un’asserzione significa avere delle ragioni da offrire per essa, antecedenti inferenzia-li, relazioni a contenuti che possono servi-re come premesse da cui derivare il titolo al contenuto originario. Questi due aspetti della dimensione normativa sono interconnessi. I titolo di cui si parla, sono titoli per assunzione di impegni. Possiamo dire che due contenuti asseribili sono incompatibili quando l’im-pegno nei confronti di no preclude il titolo all’altro. “Questa stoffa è rossa” sottrae il titolo all’impegno che si assumerebbe con l’enunciato “questa stoffa è verde”. Brandom, infine, crede che le dif-ficoltà legate ad un’impostazione olistica possano essere superate studiando le di-namiche sociali dello scambio di opinio-ni come convergenza verso i significati.

Page 15: Perlappunto numero 0

I

L’INTERVISTA

I

15

L’INTERVISTA

PERLAPPUNTO

Secondo Brandom, possiamo assumere due tipi di attitudine nei confronti delle asserzioni di ciò che le altre persone di-cono. Possiamo attribuire una credenza o sottoscriverla. Un resoconto de re di una cre-denza esprime il fatto che chi riporta una credenza altrui non la sottoscrive, mentre vale il contrario con la credenza de dicto. La distinzione in questione arricchisce l’idea dell’attività sociale del dare e richie-dere ragioni, in quanto introduce l’invito a riflettere su ruolo che possono avere i “diversi punti di vista” nell’ambito dei di-ritti e degli impegni ad asserire qualcosa, nell’ambito dello scorekeeping. “This should be enough1 to face the above mentione problem of defining communication in a holistic vision: communication does not require the previous sharing of common contents, but it is a process in which spea-kaers converge towards the same concepts in the activity of attributing and underta-king commitments to certain inferences and substitutions”(Penco, Assertion and inference, in Proceedings of the Workshop on Bob Brandom’s Recent Philosophy of Language: towards an analytic pragmatism (TAP-2009) Genoa, Italy, April 19-23, 2009).Asserire e inferire sono pratiche intima-mente correlate. L’asserzione è la pietra angolare nella semantica e nella pragma-tica inferenzialista. Nella nuova terminolo-gia di Between saying and doing l’asserzione diventa “the minimal kind of doing which conuts as saying”(BSD 42). Parlando in ter-mini semantici, possiamo dire che solo ciò che può stare in relazioni inferenziali può contare come il contenuto di un’asserzio-ne.

Between saying and doing:

In La filosofia e lo specchio della natura, R. Rorty ci ha consegnato l’immagine di una tradizione filosofica dominante, di cui la filosofia analitica ha o avrebbe rappresen-tato l’ultima istanza, eretta sull’idea che l’essenza del linguaggio fosse la rappresen-tazione del mondo. Secondo la suddetta tra-dizione, le parole e le asserzioni si riferisco-no rispettivamente ad aspetti del mondo e a fatti. Rorty ci ha mostrato che una siffatta concezione del linguaggio viene contra-stata dalla visione pragmatista, secondo la quale le nozioni rappresentazionali del riferimento e della verità sono fondate su la nozione primaria di uso del linguaggio, come affermare ed inferire.Between sayin and doing (BSD) sviluppa in una prospettiva storica la contrapposizio-ne tra il pragmatismo e la filosofia anali-tica. Il progetto in BSD è motivato da una particolare concezione della storia della filosofia analitica. Secondo Brandom, la tradizione semantica in filosofia analitica si è concentrata sulla possibilità di ridurre o ricostruire i vocabolari a partire da uno base. Questa tendenza è alla base di due espressioni fondamentali in filosofia qua-li l’empirismo e il naturalismo. Entrambi hanno tentato di mostrare come i problemi legati ad un vocabolario potessero essere ricostruiti con l’appello ai significati di un vocabolario filosoficamente privilegiato, in cui la logica compare come un aiuto in-dispensabile e come una fonte di legittima-zione. Tali programmi si differenziano per il tipo di vocabolario che ritengono essere il privilegiato. L’ empirismo si appella al vocabolario osservativo, mentre il natura-

Page 16: Perlappunto numero 0

I

16

L’INTERVISTA

PERLAPPUNTO

I

L’INTERVISTA

lismo fa riferimento al vocabolario della fisica o delle scienze naturali. Essi conver-gono maggiormente nell’individuare quali forme di discorso siano da ritenersi proble-matiche. Entrambi considerano gli aspetti normativi, modali, semantici e intenzionali come oggetti di ricostruzione.Brandom presenta un nuovo apparto te-oretico detto “meaning-use analysis”, che egli considera come una possibilità di estendere, o di correggere, il progetto classico in filosofia analitica. Tale apparato è sorto dal ripensamento delle idee, degli esempi e delle argomentazioni proposte in Making it explicit (MIE). Possiamo, quindi, leggere BSD sia come un nuovo progetto in grado di svilupparsi autonomamente sia come una nuova chiave di accesso alle idee esposte precedentemente in MIE.Brandom, d’accordo con Rorty, conside-ra l’errore della filosofia analitica un ber-saglio che il pragmatismo ha il potere di abbattere o modificare. L’apporto della tradizione pragmatista deve essere quello di riuscire a fare spostare l’attenzione dal significato all’uso, di sostituire la preoc-cupazione per i problemi semantici con quella per la pragmatica. Brandom indi-vidua tre linee argomentative a favore di questo spostamento: 1. La critica di Sellars all’empirismo: il vocabolario fenomenico in quanto vocabolario base non è autono-mo. 2. L’adozione del punto di vista della critica di Quine all’empirismo, che si basa su ciò che Bradnom chiama “metodologi-cal pragmatism”, il punto di vista per cui il compito primario di una teoria del signifi-cato è di spiegare, codificare o illuminare l’uso delle espressioni linguistiche. Quine sostiene che se il postulare i significati ser-

ve ad ottenere il chiarimento in questione, dobbiamo, però, poi spiegare il ruolo infe-renziale di queste espressioni. Ma il ruolo inferenziale di un’espressione non può essere spiegato sena fare riferimento alle informazioni collaterali. Quindi, postulare il significato non è sufficiente per rendere conto dell’uso. 3. La critica di Wittgenstein all’idea di postulare il significato per spie-gare l’uso. Ciò presupporrebbe che tutti gli usi del linguaggio siano modi di esplicita-re un’unica pratica.: rappresentare stati di cose. Brandom vede in Wittgenstein colui che ha posto fine alla speranza di poter costruire una teoria sistematica del signi-ficato, consegnando gli studi filosofici sul linguaggio ad una prospettiva storica, an-tropologica, pratico sociale, in cui demisti-ficare le ambizioni dei filosofi.L’dea che anima l’argomentazione di Bran-dom è di evitare il contrasto tra la seman-tica formale e l’accento posto da Wittgen-stein sull’uso di un’espressione in quanto chiave per comprenderne il significato. La relazione tra vocabolari a cui pensa Bran-dom non è né di traducibilità né di riduci-bilità o sopravvenienza. Egli è alla ricerca di una relazione in cui un vocabolario pos-sa permettere a qualcuno di dire cosa biso-gna fare per essere considerati come una persona che padroneggia quel vocabolario. Prediamo, ad esempio, le abilità pratiche coinvolte nella percezione: ciò che faccia-mo quando riconosciamo qualcosa come rosso è sufficiente per affermare che quel qualcosa è rosso. Queste abilità sono indi-spensabili a quella ulteriore di riconoscere che qualcosa sembra rosso. Infatti, senza l’abilità di riconoscere qualcosa come ros-so è impossibile disporre dell’abilita che ci

Page 17: Perlappunto numero 0

I

L’INTERVISTA

I

17

L’INTERVISTA

PERLAPPUNTO

permette di affermare che qualcosa sem-bra rosso. Ciò mostra che il vocabolario osservativo o fenomenico non è un voca-bolario indipendente, ma è fondato su un vocabolario in cui riportiamo le percezioni. La risposta brandomiana alla sfida di Wit-tgenstein è l’”analitic pragmatism”. Come ho detto, Brandom incorpora le intuizioni delle critiche pragmatiste del tipo: l’unica spiegazione ci potrebbe essere per come un dato significato viene associato un vo-cabolario si trova nell’utilizzo di questo vo-cabolario. Egli non accetta di dover sceglie-re tra un’impostazione semantica stretta-mente formale e una terapia pragmatista destinata ad operare caso per caso. Il cuo-re dell’ “Analitic Pragmatism” consiste nell’idea per cui la relazione tra significato e uso debba essere spiegata nei termini di due componenti pragmatiche: (i) quali tipi di abilità e pratiche debbano essere posse-dute da un soggetto affinché esso appaia come qualcuno in grado di dire cose dotate di significato. (ii) ciò che si deve dire per poter specificare in modo appropriato tali pratiche e abilità. Le soluzioni Brandomiane ai problemi relativi ai vocabolari hanno il sapore di argomenti trascendentali, perché mostra-no come i suddetti vocabolari sono, in un certo senso, già implicitamente presenti in ogni pratica linguistica autonoma di sorta. Il duro lavoro di tali analisi è ovviamente quello di precisare il senso di “già implici-tamente presente. La forma generale delle spiegazioni di Brandom contiene tre passi. In primo luogo, egli sostiene che non si può spiegare un qualsiasi vocabolario auto-nomo, senza impegnarsi in una pratica o esercitando delle capacità, che chiamiamo

P1. In secondo luogo, egli sostiene che per l’esercizio dell’abilità P1 in modo appro-priato e nelle giuste circostanze, si può esercitare un altro insieme di abilità, P2. P2 si ottiene con un’elaborazione algoritmica a partire da P1. in fine, Brandom argomen-ta che le abilità elaborate P2 risultano suffi-cienti per l’uso del vocabolario base.Brandom comincia con un’alasi relativa-mente semplice del vocabolario logico dei condizionali. La visione Brandomiana dei condizionali, esposta già in MIE, si con-centra sul fatto che le locuzioni logiche permettano di esprimere le pratiche ma-teriali senza essere necessarie per potervi prender parte. Brandom assume che l’as-serzione sia una componente essenziale per qualsiasi pratica linguistica e che essa e l’inferenza si presuppongano a vicenda. Nessuno può affermare di padroneggiare una pratica senza padroneggiare anche l’altra. Il concetto fondamentale di infe-renza è quello di inferenza materiale, in cui il vocabolario logico non si verifica (in sostanza). Partecipare ad una pratica infe-renziale richiede la capacità di “approvare” o “accetta” inferenze materiali. Brandom caratterizza talvolta la suddetta capacità come una risposta differenziale a inferen-ze materiali, come la capacità di trattarle o considerarle buone inferenza. Ci si potreb-be aspettare che la risposta differenziale conti come avallo solo se siamo nell’ambito delle pratiche sociali, ma tale qualifica non è esplicitamente fatta qui. Il punto cruciale è che il vocabolario logico non è richiesto in atti di avallare le inferenze materiali. Le capacità reciprocamente necessarie per fare affermazioni e ad approvare inferenze possono essere algoritmicamente elabora-

Page 18: Perlappunto numero 0

I

18

L’INTERVISTA

PERLAPPUNTO

I

L’INTERVISTA

te nel modo seguente. Armati delle capa-cità in questione e del vocabolario supple-mentare della logica di condizionali ( ‘se... allora’), si può quindi affermare condizio-nali della forma ‘se p allora q’ quando si approva un’inferenza materiale da p a q, e rispondere ad una tale affermazione aval-lando l’inferenza da p a q. La capacità così elaborata è sufficiente per l’utilizzo logico dei condizionali. In questo senso, il vocabo-lario logico è implicito in tutte le pratiche linguistiche e, per questo motivo, il privi-legio riconosciuto al vocabolario logico nella analisi classica è giustificato. Inoltre, l’uso del vocabolario logico permette di dire esplicitamente che si appoggia un’in-ferenza affermando il condizionale corri-spondente, mentre senza di essa non si può che compiere atti di avallare o respingere inferenze. Chiaramente il quadro di fondo è che, nonostante l’approvazione compor-ti le parole (quelle nelle premesse e nella conclusione della deduzione in questione) è, in un certo senso, muta, una semplice af-fermazione. Il vocabolario supplementare dei condizionali è necessario per dare voce a queste azioni, che in precedenza si pote-va solo eseguire.Brandom sostiene che, dal momento che la validità delle inferenze materiale è sensibi-le alle attività inferenziali e linguistiche ad esse connesse, la capacità fondamentale di accettare o rifiutare le inferenze materiali richiede abilità di distinguere, nel senso di rispondere in modo differenziato a circo-stanze controfattuali che influenzano l’ap-provazione di una inferenza materiale da quelli che non lo fanno. Il ruolo espressivo della logica viene discusso in un dettagliato esempio teso a mostrare come i condizio-

nali siano elaborabili a partire dalle infe-renze materiali essendo allo stesso tempo esplicativi di tali inferenze. Questo tipo di relazione prende il nome di “LX” relation ( L sta per “elaboration” mentre X sta per “explication”). La struttura della relazio-ne LX tra la pratica e il vocabolario viene generalizzata ai vocabolari modale, nor-mativo e intenzionale. Possiamo prendere come esempio l’autonomia del vocabolario modale. In accordo con la “modal Kant-Sellars thesis”, i resoconti non inferenziali non possono costituire una pratica discor-siva autonoma. L’abilità di usare un voca-bolario empirico – descrittivo presuppone la comprensione di proprietà rese esplicite dal vocabolario modale (come le inferenze controfattuali).

“One of the core aspects of Brandom’s analysis is that the semantic relations between empirical/descriptive, modal, and normative vocabularies are comple-mentary but not symmetrical: empirical vocabulary in fact is expressively weaker than modal and normative vocabularies, and by itself, it is unable to count as an autonomous discursive practice. Put in other words, empirical vocabulary is not self-sufficient to express the relations of incompatibility and the inferential com-mitments that are implicit in the practice of using it. Empirical vocabulary is indeed unintelligible without presupposing a di-scursive practice in which also modal and normative constraints are at work. Here the test-bed for analytic pragmatism is to defend the intelligibility of modal concepts against the reductivist arguments of empi-ricism”. (Daniele Santoro, The Modal Bond

Page 19: Perlappunto numero 0

I

L’INTERVISTA

I

19

L’INTERVISTA

PERLAPPUNTO

of Analytic Pragmatism, in Etica & Politica / Ethics & Politics, XI, 2009, 1, pp. 385-411).

L’uso di termini modali permette di affer-mare o respingere condizionali contro-fattuali e, quindi, di dire esplicitamente quello che si sta facendo nel distinguere le circostanze controfattuali che infermano un’inferenza materiale da quelle che non lo fanno. Brandom sostiene che l’abilità di a trattare qualcuno come commesso o diritto all’as-serzione, può anche essere elaborata nella capacità di usare un vocabolario semanti-co. La base del discorso semantico è la pos-sibilità di trattare due asserzioni come ma-terialmente incompatibili. Due asserzioni p e q si dicono incompatibili se prendere un impegno verso p preclude la possibilità di avere un titolo per q. Il concetto di in-compatibilità è anche la chiave per connet-ter il vocabolario modale a quello normati-vo: un soggetto non dovrebbe essersi preso impegni incompatibili. L’incompatibilità logica e semantica riguarda il processo di acquisizione delle credenze. Il tentativo di sviluppare una nuova logica implica la de-finizione di una logica per lo sviluppo con-cettuale: rilevare degli impegni incompati-bili ci obbliga a cambiare qualcosa, abbia-mo bisogno di una logica che ci permetta di spiegare questo tipo di processo.La nuova terminologia esposta in Between Saying and doing non sembra dissipare i dubbi che erano sorti già ai tempi di Making it explicit. Il sistema brandomiano appare più simile alla costruzione di un sistema metafisico generale piuttosto che ad un tentativo di discutere con attenzione le problematiche contemporanee legate alla

dipendenza contestuale.Brandom difende l’idea della “meaning-use analysis” come estensione pragmatista del paradigma classico in filosofia analitica contro coloro che avversano i programmi filosofici basati, come è la filosofia anali-tica, su perniciosi dogmi metafisici. La di-fesa di Brandom si basa sull’analisi di ciò che rende la metafisica perniciosa. Ciò che contraddistingue la metafisica è il fatto di privilegiare un vocabolario come “univer-sal base languages from which every voca-bulary that is legitimate . . . can be elabo-rated as a target vocabulary”(223). Abban-donando questa attitudine, otteniamo una forma difendibile di metafisica, di cui la meaning-use analysis dovrebbe essere un esempio. L’ “analytic pragmatist metaphy-sics” mira a costruire dei vocabolari tecnici o artificiali, che possano prendere il ruolo delle lingue base universali, per tentare di esprimere tutti gli altri vocabolari nei loro termini. Lo scopo della “analytic pragma-tist metaphysics” non è di eleggere alcuni vocabolari come i rivelatori della realtà, classificando i rimanenti come legittimi se sono esprimibili nei termini di quello base. Ciò che dobbiamo comprendere è il potere espressivo dei molti vocabolari esistenti. Dobbiamo, quindi, sperimentare la possi-bilità di individuare più di un vocabolario come essente in grado di giocare il ruolo di “metaphysical base vocabulary”.Da questa prospettiva, il punto di MIE, non è quello di dimostrare che il significato è in realtà metafisicamente determinato dall’ uso, ma di capire quanto il significato delle nostre parole possa essere espresso in ter-mini di uso. Infatti, le metariflessioni filo-sofiche in MIE suggeriscono che lo scopo

Page 20: Perlappunto numero 0

I

20

L’INTERVISTA

PERLAPPUNTO

I

L’INTERVISTA

di Brandom è la costruzione di un model-lo teorico di certe pratiche, per mostrare come esse possano essere comprese in un certo modo, piuttosto che fornire l’ultima parola sulla natura della rappresentazione o intenzionalità. Quindi, forse, BSD ha sem-plicemente reso più esplicito (e in minor numero di pagine) l’intuizione di Brandom in MIE.Abbiamo appena visto che il punto della”meaning-use analysis” non è in pri-mo luogo di difendere la verità di una par-ticolare visione filosofica, ma di realizzare una sorta di intuizione filosofica. Brandom suggerisce uno slogan per la metafisica analitica pragmatista: “discriminazioni metafisiche senza denigrazione” (BSD 229). Questa stessa visione del linguaggio tra-spare in Articolare le ragioni e, in particolare, Brandom se ne serve per alleviare le proble-matiche intorno al concetto di armonia. Da un lato Brandom afferma che deve esserci “conservatività” nella pratiche inferenziali sia per evitare orribili conseguenze sia per-ché il vocabolario logico non potrebbe al-trimenti svolgere la sua funzione espressi-va (pag. 75), dall’altro, poco dopo, afferma che la conservatività non è un vincolo per l’introduzione o l’evoluzione di un termine nel linguaggio. Essa mostrerebbe soltanto che ci sono concetti che hanno un contenuto autonomo corrispondente ad un’inferenza materiale implicita che non è già implicita in altri concetti in uso, e che è suscettibile di essere sottoposta a “critica socratica”(pag. 77). La nozione di rendere espliciti i nostri impegni materiali impliciti diventa, alla luce di ciò, oscura e sembra essere legata più di quanto lo stesso Brandom vorreb-be alla nozione di “validità formale”. Per

Brandom, esplicitiamo un’ inferenza con-vertendola da un’inferenza materialmente corretta ad un’inferenza formalmente cor-retta. Questo sembra controverso perchè se afferrare il ruolo espressivo della logica, ed avere una chiara idea di che cosa signifi-chi rendere esplicita un’inferenza, implica afferrare le caratteristiche distintive del-la logica, compreso il concetto di validità formale, allora dovremmo rinunciare alla priorità del “materiale” sul “formale” per come è proposta da Brandom. Se la logica deve poter esercitare il suo ruo-lo espressivo all’interno della pratica rifles-siva, abbiamo bisogno di poter individuare il contenuto dei nostri concetti malgrado le differenze di ruolo inferenziale. Ciò sa-rebbe necessario perché, come lo stesso Brandom afferma, l’introduzione di nuovi concetti non logici può causare una ristrut-turazione dei ruoli inferenziali in modo non conservativo. La tensione che abbiamo rilevato è una tensione tra la richiesta che la logica sia conservativa nell’adempiere al suo ruolo espressivo e l’idea, appena men-zionata, della non conservatività legata alla pratica materiale. Il fine espressivo della logica, esplicitare le inferenze materiali, è in contrasto con i suoi stessi vincoli espres-sivi, la conservatività. Ma senza tali vincoli, l’espressivismo sembra una posizione che include sia la logica sia molto altro. Credo che le suddetta tensione possa es-sere, quanto meno, intuitivamente dis-solta tracciando quello che, a mio parere, dovrebbe essere il compito del filosofo Brandomiano. Il filosofo Brandomiano as-somiglia a quello Wittgensteiniano almeno in due sensi: (i) Nel rifiutare il tentativo di edificare una teoria sistematica del signifi-

Page 21: Perlappunto numero 0

I

L’INTERVISTA

I

21

L’INTERVISTA

PERLAPPUNTO

cato per cui Brandom, criticando la teoria di Dummett, afferma che “Seguendo l’in-segnamento generale di Wittgenstein, non dovremmo assumere che il nostro schema sia simile a questo o dipenda da un insie-me soggiacente di contenuti come questo solo perché siamo obbligati a rimuovere tutti i casi particolari in cui lo scopriamo venire meno a siffatto ideale”(Brandom 2002, pag. 79). (ii) Nell’intendere il linguag-gio come una serie potenzialmente infinita di giochi linguistici. Il lavoro del filosofo, come nel caso di quello wittgensteiniano, non giunge e non può giungere mai ad un termine. Quest’ultimo è alle prese con un linguaggio multiforme governato da pratiche materiali in grado di ricostruire, modificare o ristrutturare continuamente l’attività inferenziale ad esso connessa. Ciò fa sì che ci sia continuamente bisogno, di volta in volta, della pratica socratica ai fini di esplicitare inferenze e di armonizzare gli impegni e i titoli ad esse connessi. “Curare i nostri concetti e i nostri impegni inferen-ziali materiali alla luce dei nostri impegni asserzionali […] è un lavoro gravoso, che va affrontato caso per caso”(Brandom 2002, pag. 81).Il linguaggio, per Brandom, non è un fat-to eterogeneo tanto che, in accordo con l’olismo, è disposto a parlare di linguaggi piuttosto che di un linguaggio. Nuovi vo-cabolari, inoltre, possono nascere in ogni momento. Dato questo contesto, Brandom sposa l’impostazione di David Lewis:

“He thought what philosophers should do is lay down a set of premises concerning some topic of interest as clearly as possibile, and ex-tract consequences from them as rigorously

as possible. Having done that, one should lay down another, perhaps quite different set of premises, and extract consequences from them as rigorously as possible. The point was not in the first instance to endorse the conclusions of any of these chains of reasoning, but to learne our way about in the inferential field they all defined, by tracin many overlapping, intersec-ting, and diverging paths through the terrain. That is how we would learn what differnce it would make, in various contexts, if we were to endorse some claim that figures as a premise in many of the infernces, and what might entit-le us to a claim that shows up as a consequnce in many of the inferences. Actuallt plumping for and defending any of these theses is then a subsequewnt, parasitic, and substantially less inmportant stage of the process. The principal aim is not belief, but understanding”(Brandom, Metaphilosophical reflections on the idea of metaphysics, in Proceedings of the workshop on Bob Brandom’s recent philosophy of language: To-wards an analytic pragmatism. Genoa, Italy, April 19-23, 2009, pag 183).

Questo è lo spirito con cui dovremmo av-viare le nostre riflessioni sulle relazioni semantiche fra differenti vocabolari. In questo senso, il compito del filosofo con-siste nel vedere come e perché le nostre pratiche di “esplicitazione” possano es-sere elaborate a partire da differenti vo-cabolari, comprendendo nel concetto di vocabolario le pratiche e le abilità che lo contraddistinguono. Questa pratica ha lo scopo di fare chiarezza sul rapporto che intratteniamo con i diversi vocabolari, sul-le pratiche discorsive ad essi connesse e sul modo in cui ci rapportiamo ad essi. La possibilità di comprendere non si dà ridu-

Page 22: Perlappunto numero 0

I

22

L’INTERVISTA

PERLAPPUNTO

I

L’INTERVISTA

cendo il linguaggio ad un unico fenomeno, ma sapendo attraversare i confini delle di-verse pratiche linguistiche. Comprendere il linguaggio significa, quindi, arrivare ad una consapevolezza dell’uso materiale dei concetti all’interno delle singole pratiche discorsive e a conoscere le loro relazioni.

“The distintive kind of semantic understanding I am suggesting […] can be well served by ac-cumulating, particular, local connetions that support no antecedent global program and perhaps could be predicted by none. Nor must the search for such semantic relations among vocabularies and the discursive practices-or-abilities they specify or that deply them be motivated by some deep-seated philosophical anxiety or puzzlement, the proper deflating diagnosis of which then exhibits or renders the task of exploring those relations otiose. Simple curiosity, the desire to deepen our understen-ding can suffice, for this sort of philosophical theorizing”(Brandom, Metaphilosophical re-flections on the idea of metaphysics, in Pro-ceedings of the workshop on Bob Brandom’s recent philosophy of language: Towards an analytic pragmatism. Genoa, Italy, April 19-23, 2009, pag 184).

Il compito del filosofo è, dunque, quello di accrescere la nostra consapevolezza nell’uso dei nostri concetti, delle nostre pratiche inferenziali, ai fini di perfezionar-le, o “armonizzarle”, nell’ambito, governa-to dalle inferenze materiali, del dare e ri-chiedere ragioni. Brandom rifiuta, dunque, esplicitamente la possibilità di una teoria sistematica del significato: “Chi assume l’eterogeneità del linguaggio in questo senso negherà l’esistenza di significati che

possano essere oggetto di una teoria (senza ovviamente negare che le espressioni siano dotate di significato)” (Brandom 2002, pag. 73-74). La logica è forse, per Brandom uno strumento utile nello svolgere il compito del filosofo per come lo abbiamo descrit-to. È uno strumento con cui sondare, di volta in volta, le nostre pratiche materiali che, però, si sottraggono costantemente al poter essere ingabbiate in un edificio pret-tamente logico. Un mezzo con cui, in un dato momento della nostra pratica, dato un certo tipo di vocabolario, possiamo in-terrogarci su quali concetti dovremmo uti-lizzare. L’impresa di Brandom si fonda sulla sua concezione fondamentale della pratica lin-guistica. Ma, per quanto io possa dire, in BSD Brandom non offre alcun argomento a sostegno di tale concezione. Si può legit-timamente sospettare che Brandom non abbia saputo dare una risposta alla sfida

Page 23: Perlappunto numero 0

I

L’INTERVISTA

I

23

L’INTERVISTA

PERLAPPUNTO

di WIttgenstein. Tuttavia, sembra che egli consideri la sua risposta a questa sfida come il risultato offerto dalla realizzazione del suo progetto. In questo senso, dobbia-mo rivolgerci alle sue analisi, attendendo un maggiore affinamento del progetto Bramndominao in filosfia.

L’intervista

Robert B. Brandom, membro del “Center for the Philosophy of Science” e di “Ame-rican Academy of Arts and Sciences”, è Distinguished Service Professor of Philo-sophy presso l’università di Pittsburgh. Ha inoltre insegnato a Princeton, Berkeley e presso University of Mcihigan. Le sue nu-merose pubblicazioni vertono principal-mente su la filosofia del linguaggio, la filo-sfia della mente e la filosofia della logica. A partire dagli anni novanta Brandom si è imposto all’attenzione della comunità filo-sofica internazionale con il suo monumen-tale “Making it explicit”.

Q: Still on the topic of analytic pragmatism, what do you think is most important in a pragmatist project? And so what has prag-matism to gain from the connection with analytic philosophy?

A: Pragmatism always was a view about us as knowing creatures, as understand-ing creatures, it was always a naturalistic view, I think of it as part of as a second En-lightenment, the first Enlightenment had been naturalist and empiricist in a way that was much informed by the scientific achievements of its days, the early Newto-

nian physics. Pragmatism shared with the original Enlightenment a view about the centrality of reason in human life but in an attempt to understand that in the intellec-tual context provided by the deliverances of the latest and most sophisticated sci-ences, but the sciences in the nineteenth century they were responding to were very different from mathematized newtonian physics, Darwin of course was huge but so were the statistical and social sciences which arose at that time.Something like a master idea of classical American pragmatism was that the same processes that produced order out of dis-order in evolution were also in play in ordi-nary learning processes in individuals, that the selection of stable forms and habits by the extent to which they provided a solu-tion to real world problems was common to both and one of the master ideas was to try and understand all sorts of intelligence from the animal to the most sophisticated scientific on that model. It has always seemed to me that the ad-vances in thinking about language and about projects that were characteristic of analytic philosophy provided special re-sources for the pursuit of that pragmatist project but that for largely contingent, axiological reasons, the people who cared about the one project were not the people who were masters of the other tools. In a contemporary context I think the most important pragmatist idea is to under-stand what we mean or the contents of our thoughts in terms of what we do. The classical pragmatists read that in an instru-mentalist way, I think they squeezed what juice there was out of that idea and it’s not

Page 24: Perlappunto numero 0

I

24

L’INTERVISTA

PERLAPPUNTO

I

L’INTERVISTA

the most promising way to understand the kind of normativity, the practical norma-tivity that articulates our intentionality and discursiveness, there are better ways of thinking about that now.And in the more particular context of phi-losophy of language, there’s a kind of se-mantic pragmatism that says: let’s look at the social practices that are discursive and linguistic practices or the particular abili-ties that individuals exercise and try and see in a broadly functionalist spirit how those can confer propositional content, conceptual content on the doings that play a suitable role in them.And the hope is in that way to be able to synthesize the two fundamental traditions in thought about language that were char-acteristic of the whole twentieth century, one that I might identify with Frege, with Russell, with Carnap and Tarski, and with Quine and David Lewis, that is looking at languages from a formal-mathematical point of view and looking at artificial lan-guages thinking about how if one associ-ates semantic interpretants with simple bits of free language one can then generate a systematic way of associating semantic interpretants with a whole a range of com-plex expressions.And on the other hand the other tradition that is a more anthropological tradition looks at language and discursive practices as features of an episode in natural history and a certain kind of organism, us, that’s much more the way that classical pragma-tists thought about it, but Wittgenstein is another avatar of that.And those two ways of thinking about lan-guage were developed and pursued largely

in independence of one another but clearly had things to say to one another. The great weakness it seems to me of the anthropo-logical tradition is that it makes nothing of the mathematical grip that we’d finally gotten on meanings though the modal theoretic logistical tradition and the great failing it seems to me of that logistical tra-ditions is that it has very little to say, and what it has to say is not philosophically so-phisticated or promising, about what it is in virtue of which we associate the seman-tic interpretants with the primitives, the things that we include into that process of recursive generation.So clearly the time has come to bring these traditions into dialogue with one another and analytic pragmatism as I’m pursuing it is one way of doing that.

Q: Today in your speech you have been speaking about how philosophers could or actually should contribute to cognitive sci-ence. The other way around, do you think philosophy as such has something to gain from the connection and collaboration with cognitive science?

A: I certainly do and there are numerous philosophers who are showing what can be gained from that. The way I pursue philosophy is not however I think among them. And this is a regard in which I’m out of step both with a significant tradition in analytic philosophy which has always cared about the science of its time and, as I indicated earlier, with the pragmatist tra-dition which followed the Enlightenment in caring a great deal about the science of the time.

Page 25: Perlappunto numero 0

I

L’INTERVISTA

I

25

L’INTERVISTA

PERLAPPUNTO

The sense in which I do care about the sci-ences is that it is the most sophisticated form of understanding that we have and it’s our job as philosophers to understand that. Science is also the most spectacular and successful social institution of the last three hundred years and I think we need to understand that, and how it is connect-ed to its cognitive achievements, that is achievements in understanding.That’s taking science as a target for under-standing, it’s a very different thing to try and incorporate results in primatology, in developmental psychology and in psychol-ogy more generally, in physiology and so on as inputs into philosophical thinking.I’m inclined to make a relatively sharp dis-tinction between the philosophical ques-tion of what counts as talking or thinking or meaning meaning that things are thus and so and empirical research into how creatures that are evolved, wired up, em-bodied and trained as we are managed to do something about that. That last seems to me a question of considerable intellec-tual import but not to be a core philosophi-cal question. I’m distinguishing here between saying what the trick consists in, the trick of think-ing something, a philosophical question, and saying how the trick is done, which I think is an empirical question that phi-losophers as intellectuals can be interested in but as philosophers have no particular expertise in addressing. And this is a ques-tion of what do you have to do such as that counts as thinking or saying or meaning that things are thus and so, that’s the ques-tions I’m principally interested in and you could put that in the form: “what do you

have to do such that doing that counts as saying, thinking or meaning something”, then we can begin to see the continuity with the pragmatist tradition. Q: Now, speaking specifically of philosophy of language, do you think that philosophy of language still has a future and is open to developments in the future or will it lose ground to cognitive science? In other words, will the development of cognitive science render philosophy of language ob-solete?

A: I don’t think so, because language looms so large in cognitive function at any higher level so at any levels that are most signifi-cant for thinking about us. Intellectually the twentieth century was the century of language, not just in analytic philosophy but absolutely equally in continental phi-losophy.No one’s a more serious philosopher of language than Heidegger for instance, it’s a serious topic for him, the emphasis on genealogy and ideology in continental phi-losophy is a focus on the way in which for instance power relations can come to be embodied and encoded in systematically discursive structures of communication.The entire prior culture in its thinking about us has come to see the significance of language in transforming us from mere-ly sentient into genuinely sapient crea-tures, so there is no question but language is going to continue to be a central focus in cognitive science.And I believe that philosophers of lan-guage bring particular conceptual resourc-es to bear on thinking about language and one of the reasons we do is because our

Page 26: Perlappunto numero 0

I

26

L’INTERVISTA

PERLAPPUNTO

I

L’INTERVISTA

tradition more or less begins with the logi-cal revolution, the revolution ultimately in semantics that Frege initiated, which gave us our first algebraic grip on notions of meaning, and I think we’re in a position there like the position that physicists were in as Galileo and then Descartes began to assemble the conceptual tools that would place a mathematical grip on the motion of objects in space.

Q: My last question is with a look to the future, because during the present workshop your theories have been com-mented upon, expanded upon but also somewhat challenged. So the question is what are according to you the main problems or challenges that your phi-losophy may have to face?

A: At the center of my views is an ap-proach to semantics from the side of inference by contrast to the traditional approach on the side of representation. It takes as one of its fundamental cate-gories the notion of expression but read in a conceptual way about it, a way that is related to emotions gestures and so on just as the expressivist tradition typi-cally had had. That sort of rationalist, inferentialist ex-pressivism I think was initiated by Hegel, that’s one of the reasons that I’m inter-ested in him, but it’s absolutely critical that we be able to get that sort of alge-braic control over conceptual roles that we have seen tantalizing progress in the second way of the modal revolution and the first way of the modal revolution was Kripke’s provision of semantics for

modal logical vocabulary but the most philosophically important feature of the modal revolutionwas the second way when people like David Lewis, Stalnaker, Kaplan, Mon-tague showed in the apparatus of pos-sible worlds, the kind of modal theory that Kripke had come up with, an es-sentially Tarskian modal theory to the modal logical case Kripke deployed, to provide an intentional semantics for non-logical expressions, but generally the third phase of the modal revolution was Kripke’s discussion of metaphysical modalities and separation of necessity from a priority and so on. In Naming and Necessity I actually think that the philo-sophical action was in the second way.It’s a challenge for us to extend that progress to a fuller and more flexible way of mathematically representing the meanings of both ordinary non logi-cal expressions and eventually that sort of philosophically important concepts such as personal identity, justice and so on that philosophers have properly con-cerned themselves with.And since these are the very early days on doing that on the semantic inferen-tialist line the contents of non logical concepts as well as logical concepts are articulated by the role they play in mas-sively multi-premiss non monotonic material inferential relations. We don’t now have a good mathematical repre-sentation of such relations and the role such expressions play in them.So I think the immediate challenge for a semantic inferentialist is to see how we can do that.

Page 27: Perlappunto numero 0

I

L’INTERVISTA

I

27

L’INTERVISTA

PERLAPPUNTO

Bibliografia

R.B. Brandom, Making It Explicit: Reasoning, Repre-senting, and Discursive Commitment, Harvard Uni-versity Press (Cambridge) 1994

R.B. Brandom, Between Saying and Doing, Towards an Analytic Pragmatism, Oxford University Press 2008.

R.B. Brandom, Articolare Ragioni, Introduzione all’inferenzialismo, Il Saggiatore, Milano 2002.

Brandom, Metaphilosophical reflections on the idea of metaphysics, in Proceedings of the workshop on Bob Brandom’s recent philosophy of language: To-wards an analytic pragmatism. Genoa, Italy, April 19-23, 2009, pag 183)

R.B. Brandom, Asserzione e Verità, in A.Bottani, C. Penco, Significato e teorie del linguaggio, FrancoAn-geli,1991

AAVV, Discussione su Making it Explicit, in Iride 1999.P.Leonardi, recensione di Making It Explicit, Lingua e Stile, 1997 32:539-55.

C.Penco,”Ragioneepraticasociale”,Rivista di filosofia, 3, 1999: 467-489.

Penco, Assertion and inference, in Proceedings of the Workshop on Bob Brandom’s Recent Philosophy of Language: towards an analytic pragmatism (TAP-2009) Genoa, Italy, April 19-23, 2009).

R. Giovagnoli, Razionalità espressiva. Scorekeeping: inferenzialismo, pratiche sociali e autonomia, Mime-sis, Milano, 2004.

R. Giovagnoli, “Osservazioni sul concetto di ‘pratica discorsiva autonoma’ in R.Brandom”, in Etica epo-litica, X, 2008(223-235).

Daniele Santoro, The Modal Bond of Analytic Prag-matism, in Etica & Politica / Ethics & Politics, XI, 2009, 1, pp. 385-411

AAVV, Proceedings of the workshop on Bob Bran-dom’s recent philosophy of language: Towards an analytic pragmatism. Genoa, Italy, April 19-23, 2009, edit by C. Penco, C. Amoretti, F. Pitto. Reperibili all’indirizzo: http://sunsite.informatik.rwth-aachen.de/Publications/CEUR-WS/Vol-444/

Le informazioni relative al workshop, alcuni links relativi alla filosofia di Brandom e i video delle letture magistrali di R. Brandom sono reperibili all’indirizzo: http://www.dif.unige.it/epi/con/tap/indextap09.html

Page 28: Perlappunto numero 0

I

28

PERLAPPUNTO

I

Page 29: Perlappunto numero 0

I

I

29

PERLAPPUNTO

Storia di uno strano rapportoMENTEECORPO

Page 30: Perlappunto numero 0

I

30

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

I

MENTEECORPO

Se il cogito è la base praticamente as-sodata del pensiero occidentale, la sua implicazione primaria, ovvero che bi-sogna esistere per poter pensare, non è altrettanto stabile e definita. Si può esistere, infatti, in molti modi, o meglio: non si può che esistere sotto la forma di una qualche figura, e questa figura è per l’appunto, per ciò che noi esseri umani possiamo comunemente constatare, il corpo. Cominciamo ad esistere, infatti, sotto forma di mate-ria organica, e siamo ad essa vincolati per il resto della nostra vita. Il pensare necessariamente implica l’esistere, ma non una forma qualsiasi dell’esistere, bensì una forma che sia capace di pen-sare. E quali sono le forme dell’esistere che permettono anche di pensare?

Consideriamo un robot che si com-porti, esteriormente, proprio come un essere umano. Saremmo disposti a dire che esso pensa? Già ci turba il fatto di associare, linguisticamente, il verbo “pensare” ad un soggetto tradizional-mente destinato, nella lingua italiana, ad oggetti inanimati: esso. John Searle nel 1980 lanciò proprio questa provoca-zione: un computer opportunamente

programmato può divenire una mente? O la mente, per essere tale, necessita di quelle componenti strettamente biolo-giche ed organiche che sono il cervello, il sistema nervoso, e addirittura tut-ti gli altri apparati del corpo umano? Prendendo a prestito l’immagine dalla fantascienza, in un mondo in cui gli an-droidi si fossero mescolati agli uomini e ne fossero divenuti indistinguibili, sa-remmo disposti a sostenere che un cer-vello meccanico non pensi? La distin-zione tra umano e androide andrebbe fatta a priori o a posteriori? Per la ma-teria di cui si è composti, o per il modo in cui si agisce? Per Cartesio il corpo umano non è che una macchina di terra. Ma la res cogitans vi è comunque legata attraverso ghian-dola pineale. Un aspetto organico è sempre presente nelle visioni dualisti-che del corpo: le cellule grigie pensano per noi, il cuore è sede dei sentimenti, il fegato si rode dalla rabbia, lo stomaco si stringe per il dolore o la paura. Anche un’interpretazione che veda il corpo sottomesso ad un’anima, non prescin-de dall’importanza dello stesso, tant’è vero che in tutte le religioni che riten-gono lo spirito la vera essenza dell’uo-

Il corpo e la menteCorpo(ral)mente

Maria Elena Buslacchi

Page 31: Perlappunto numero 0

I

MENTEECORPO

I

31

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

mo è presente un aspetto di mortifica-zione del corpo, sotto forma di digiuno, privazione, addirittura umiliazione, ne-cessario al raggiungimento della fase di beatitudine suprema, estasi o nirvana che sia.

Per quanto si possa tentare di con-finarlo a fardello di carne, o carcere dell’anima, il corpo resta l’unico modo che abbiamo di stare al mondo, e, in definitiva, di esistere. Il corpo non è, con una sineddoche assai diffusa nelle lingue europee, il braccio esecutore della men-te, ma è qualcosa che stimola il pensiero attraver-so i suoi impulsi nervosi, ciò che vede, sente, in una parola per-cepisce, senza che ciò gli sia stato prece-dentemente ordinato. È anche il nostro modo di inte-ragire con gli altri, di instaurare legami e relazioni. L’unico modo? Quantomeno, l’unico mezzo. Se non avessimo questa consapevolezza, non ci daremmo pena di tagliarci i ca-pelli, vestirci alla moda (o scegliere di non farlo), modificare più radicalmente il nostro corpo con tatuaggi e piercing. Sentiamo di dover esprimere qualcosa di noi attraverso la nostra componente fisica. È interessante osservare come si cerchi oggi di entrare in contatto con

gli altri senza doversi necessariamen-te portare appresso il corpo: la virtua-lizzazione del reale rende l’organismo sempre più superfluo. Abbiamo un ava-tar, una descrizione magnificata di ciò che siamo, o vorremmo essere, ed un computer connesso ad internet. Tanto ci basta, spesso, per conoscere nuove persone, o meglio, immagini delle stes-se. Eppure con ciò non ci siamo liberati

del corpo, che continua ad es-serci necessario per digi-tare i tasti sulla nostra qwerty, per osservare lo

schermo, per ascoltare musi-ca, o la voce di chi sta al di là. I

nostri polpastrel-li riconoscono al

tatto i pulsanti, il no-stro corpo si muove con

grande agio tra i mecca-nismi di cui ci serviamo,

memorizzando senza che noi ce ne rendiamo troppo con-

to la posizione dei tasti, l’intensità di forza necessaria per premerli... Il corpo è molto più presente di quanto non sia-mo comunemente abituati a credere. E il corpo virtuale che contribuisce a cre-are ne è niente meno che una filiazione diretta, seppure virtuale. Il desiderio stesso di crearsi un corpo virtuale, un corpo-cartoon, non può che nascere dall’insoddisfazione per il corpo che si ha in realtà. Per il corpo che ci ritrovia-

Page 32: Perlappunto numero 0

I

32

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

I

MENTEECORPO

mo ad avere, che possediamo. Un corpo si ha? Si possiede?Questa presunzione di possesso del corpo da parte della mente insita nel linguaggio comune stabilisce già una soggezione culturale dell’uno all’altra. Vale la pena chiedersi se la stessa cosa avvenga in tutte le tradizioni, e quan-to questo incida sulla discrasia che può crearsi tra ciò che ci si sente (mental-mente) e ciò che si è (fisicamente). In modo quasi paradossale, è il corpo che decide linguisticamente che cosa sia-mo, sebbene sia la mente a prevalere culturalmente su di esso e ad indicare come ci sentiamo. D’altronde, il corpo indica che cosa siamo per la società, per il mondo – dal momento che per gli altri non possiamo esistere se non attraverso il nostro corpo – mentre la mente rappresenta nell’idea comune il nostro essere intimo e personale. La questione interessa ognuno di noi, in misura più o meno forte e lacerante. Gli adolescenti sono più portati a inter-rogarsi in materia rispetto agli adulti, ma il problema non si esaurisce con gli anni. E il conflitto si fa più evidente nel caso, ad esempio, dell’omosessualità: il corpo che si possiede può in certi casi risultare allora “sbagliato”, non corri-spondente a ciò che la mente ritiene di essere. È questo un conflitto compro-vante la distinzione netta tra mente e corpo? La questione merita di non es-sere liquidata così semplicisticamente.C’è anche chi del corpo fa la sua carta vincente, e vi sottomette volontaria-

mente il proprio pensare. Il corpo è merce di scambio, organismo di sedu-zione: dall’infanzia alla terza (e quarta, e quinta) età viene sottoposto a conti-nui trattamenti di manutenzione che ne esaltano e conservano il potenziale attrattivo. Le rughe non disegnano più la storia delle battaglie della vita: sono imperfezioni da spianare, per avvici-narsi ad un modello di bellezza sempre più irraggiungibile. Le silfidi che sfilano sulle passerelle di Milano hanno poco della carnalità della bellezza italiana; le dive alla Pamela Anderson somigliano più ad imitazioni plastificate dell’esse-re umano che ad essere viventi in carne ed ossa. L’invecchiamento e la malattia sono condanne meritate – e in questo fa scuola l’etica americana, che col-pevolizza il soggetto come principale responsabile del suo indebolimento fi-sico.Quando i segni del decadimento si fan-no evidenti dal punto di vista estetico e funzionale, immediatamente scatta l’esorcismo, secondo un ovvio mecca-nismo di negazione. Ma perché negare il processo di maturazione del corpo? Perché considerarlo un allontana-mento dall’ideale predefinito? Proprio perché del corpo si ha un’idea – un concetto prodotto dalla mente – alla quale si considera naturale adeguarsi. L’operazione è chiaramente innatura-le, ma viene accettata come normale dalla società, forse in una reminiscenza del καλὸς κἀγαθός dell’antichità. Alla bellezza estetica viene associata la mo-

Page 33: Perlappunto numero 0

I

MENTEECORPO

I

33

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

ralità, o meglio: all’immagine esteriore viene associata un’approvazione auto-matica dell’interiorità, che passa però, di fatto, in secondo piano. Sappiamo bene che l’abito non fa il monaco, ma siamo indotti a dimenticarcene dal-la società stessa, da certe aberrazioni della politica, dai meccanismi della televisione, della pubblicità. Si giunge persino a ribaltare il concetto di salu-te: circolano sul web blog e siti che in-neggiano alla magrezza assoluta come ideale di bellezza, di successo e quindi di filosofia di vita. Consigli per vomi-tare con semplicità, regole per impa-rare a digiunare, tutto questo si legge nella cosiddetta letteratura “pro-ana” e “pro-mia”. Comunità reali e virtuali esaltano le dee Ana (dell’anoressia) e Mia (della bulimia) e invitano a prati-care la religione del non mangiare, con tanto di comandamenti da seguire rigo-rosamente. In Italia sono due milioni i malati di anoressia, un decimo dei quali maschio, con un aumento dell’inciden-za dei disturbi del comportamento ali-mentare nella fascia femminile tra i 12 e i 25 anni. Tutto questo può far parlare di una vera e propria epidemia socia-le. Nessuno di noi sarebbe disposto a sostenere che si tratti di un problema soltanto fisico. La patologia del corpo non va scissa dalla patologia mentale, tanto che non di rado si può parlare di psicosomatosi: non solo per quanto riguarda, ad esempio, le degenerazio-ni del sistema nervoso, ma anche per i comprovati successi dell’effetto place-

bo, per i sorprendenti casi in cui un in-dividuo in coma si risveglia ascoltando le note di una canzone amata, o la voce di una persona cara. Viene spontaneo quindi chiedersi se l’annullamento del corpo coincida o meno con l’an-nullamento della mente, e come i due aspetti si possano connettere. La que-stione introduce agli irrisolvibili dibat-titi sull’eutanasia, sul suicidio assistito, sull’accanimento terapeutico, sulla di-gnità della persona umana, e richiama alla mente l’imbarazzo che caratterizza le discussioni sull’aborto, pragmati-camente liquidate alla fine con un ar-bitrario compromesso. Dove e quando comincia l’uomo ad essere uomo? Nei geni? Nell’anima? Nel cervello? Dopo uno, tre, sette mesi dal concepimento? Le concezioni che si possono avere al riguardo portano agli esiti più diver-si, e giustificano potenzialmente ogni posizione, da quelle più moderate fino all’eugenetica.

Il corpo è insomma mezzo e moneta di scambio, strumento conoscitivo ed espressione di noi stessi, è il cervello e la pelle, l’occhio che mette a fuoco, il neu-rone che viaggia e il sangue che scorre. Il corpo è fatto di atomi, di molecole, di chimica organica ma pur sempre di chimica, così come di chimica sono fatti i robot. Il corpo percepisce e la mente riordina? L’intelletto comprende? Che senso hanno queste distinzioni, a di-stanza di secoli dalle prime diatribe al riguardo?

Page 34: Perlappunto numero 0

I

34

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

I

MENTEECORPO

Con buona pace delle suggestionifilosofiche, ecco che cosa ne dice l’esperto in materia

Detta anche epifisi cerebrale, è una ghiandola che come dice il nome ha forma di pigna, misura circa 8mm di lunghezza, fa parte del cervello e si tro-va in posizione mediana subito sotto i due emisferi. Come altre ghiandole endocrine che debbano riversare i loro ormoni nel torrente sanguigno, è ricca-mente vascolarizzata e la sua struttura risulta essenzialmente composta da: pinealociti (neuroni altamente specia-lizzati, all’interno dei quali avviene la sintesi dell’ormone melatonina), vasi sanguiferi e fibre nervose.

Comportamento e funzione

l’epifisi è una ghiandola endocrina che svolge una funzione regolatrice di tipo prevalentemente inibitorio, agendo su altre ghiandole endocrine: l’ipofi-si (sia adenoipofisi sia neuroipofisi), il pancreas endocrino, le paratiroidi, il surrene, le gonadi (testicoli nell’uomo, ovaie nella femmina). Il principale or-mone che essa secerne è la melatonina: ormone monoaminoacidico prodotto all’interno dei pinealociti mediante un processo enzimatico (nel quale pren-dono parte gli enzimi NAT e HIOMT) a partire dall’aminoacido essenziale trip-tofano, esso viene immagazzinato in ve-scicole cellulari.La ghiandola pineale si comporta come

L’appunto del medico: che cos’èdavvero la ghiandola pineale

Luca Bavassano

La ghiandola pineale

Relativamente trascurata dalla neurologia moderna, è stata invece oggetto di studi nei secoli passati per la sua posizione centrale, l’aspetto calcifico e il disegno creato al ta-glio anatomico. Per la medicina orientale, le informazioni ricevute dai campi di energia sottile attraverso la ghiandola pineale sono decodificate e trasmesse lungo la colonna vertebrale come vibrazione risonante. L’informazione viaggia ad altre parti del corpo attraverso canali di energia, campi bioelettrici, fibre nervose e sistemi di circolazione.

Page 35: Perlappunto numero 0

I

MENTEECORPO

I

35

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

un “transduttore fotoneuroendocri-no”: essa è connessa alla retina, e quin-di agli occhi, mediante una via nervo-sa, così che le condizioni di luce o buio dell’ambiente in cui ci troviamo possa-no stimolare, attraverso fibre nervose, il rilascio o meno di melatonina conte-nuta all’interno dei pinealociti.Il processo di produzione/liberazione della melatonina segue due ritmi cro-nobiologici, di cui uno circadiano ed uno circannuale:Bioritmo circadiano: durante il periodo di esposizione ad ambiente senza luce, la produzione/secrezione di melatonina è fortemente stimolata, mentre la luce sopprime tale evento. In questo modo il nostro organismo è costantemente in-formato sul ciclo nictemerale (di notte molta melatonina, di giorno poca).Bioritmo circannuale: con valori massimi di melatonina nei mesi di gennaio e di luglio, e con valori minimi nei mesi di maggio e di ottobre.

Le attività fisiologiche della melato-nina

• attività inibitoria sulle ghiandole: gonadi, surrene, tiroide.

• attività ipnogena, per cui la mela-tonina è definita anche ormone del sonno.

• attività sbiancante sulla pelle di rana (da cui il nome) ma non su quella dei mammiferi!

• attività antiossidante, pare sia il più potente spazzino endogeno dei ra-dicali liberi (più del glutatione e del mannitolo)

• attività immunomodulatrice, sti-mola la risposta immunitaria ed è un potente inibitore di certe cellule tumorali.

L’asportazione della ghiandola pine-ale provoca:

• nell’animale giovane: maturazione precoce dell’apparato genitale e del comportamento sesuale.

• negli individui di tutte le età: segni indicativi di attivazione encefalica, interessanti soprattutto la sfera sessuale sia dal punto di vista ana-tomofunzionale sia comportamen-tale.

In più della metà dei soggetti adulti la ghiandola pineale va incontro a proces-si degenerativi di natura calcifica che vedono la comparsa della cosiddetta sabbia pineale, essa risulta radio-opaca ai raggi x, TAC e RM (risonanza magne-tica) e costituisce un importante punto di repere nell’ambito della diagnostica per immagini.

Fonti: fisiologia medica, F.Conti ed ee; ana-tomia del Gray, ed Zanichelli; diagnostica per immagini, Cittadini ed ecig

Page 36: Perlappunto numero 0

I

36

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

I

MENTEECORPO

Cartesio, L’uomo (1630), parte I: La macchina del corpoSuppongo che il corpo non sia se non una statua o macchina di terra cheDio espressamente forma per renderla a noi più somigliante.

Mark Akenside, I piaceri dell’immaginazione (1744)[…] così la mano della NaturaSintonizza gli organi della menteSu alcune specie di cose esterne:In questo modo, l’impulso di poteri congeniali,Di un suono gradevole, o di una forma ben proporzionata,Della grazia di un movimento, o di un eccesso di luce,Vibra attraverso la delicata struttura dell’immaginazioneDa nervo a nervo: interamente scoperti e animatiI nervi catturano le emanazioni dei raggi: finchè l’animaGiunge a scoprire ogni vibrazione musicaleRispondendo a quell’armonioso movimento esterno.

Page 37: Perlappunto numero 0

I

MENTEECORPO

I

37

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

…S’alzò fra loro l’eroe figlio d’Atreo, il molto potente Agamennone, infuriato; tremendamente i precordi, neri di bile intorno, erano gonfi, gli occhi

parevano fuoco lampeggiante… Iliade, I, 101-104

In questi pochi versi Omero descrive magistralmente i cambiamenti che avvengono nel corpo di Agamennone nel momento in cui il condottiero è in preda ad una violenta ira. Come Omero molti altri illustri scrittori hanno de-scritto gli effetti provocati da intense emozioni sul corpo lasciando così tra-sparire dai loro versi la presenza di un forte legame tra ciò che a seconda delle diverse epoche storiche è stato chiama-to anima, spirito, intelletto, mente e il corpo.Del resto, senza necessariamente ri-ferirsi a scrittori e poeti è esperienza abbastanza comune per ognuno di noi quella di identificare le emozioni pro-vate in base a sensazioni fisiche; così ci capiterà di sentire il cuore in gola o lo stomaco chiuso quando aspettiamo con ansia e un po’ di timore il verificarsi di un evento tanto atteso, oppure impalli-

diremo e ci sembrerà di essere paraliz-zati dalla paura di fronte ad un evento spaventoso oppure ancora arrossiremo e tremeremo di rabbia di fronte ad un grave torto subito. Riflettendo su queste ed altre analoghe esperienze può risultare cosa scontata sostenere che il corpo è lo sfondo di tutti gli eventi psichici e quindi consi-derare del tutto logico la presenza di uno stretto legame tra mente e corpo o, ancor più considerare del tutto scon-tata l’unità somato-psichica dell’uomo, unità che implica una profonda riper-cussione del benessere fisico sugli stati d’animo e viceversa una profonda in-fluenza delle emozioni sul corpo e sul suo benessere tanto da richiedere che qualsiasi malattia fisica venga indagata non solo da un punto di vista medico e psicologico, ma anche considerando l’aspetto emotivo che l’accompagna.

In realtà queste affermazioni non sono affatto scontate, almeno a livello filoso-fico. Infatti nel corso dei secoli si è as-sistito ad un ampio dibattito intorno a

Rapporto mente-corpoe benessere psico-fisico

Eleonora Maino

Page 38: Perlappunto numero 0

I

38

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

I

MENTEECORPO

tali questioni e non solo per le diverse posizioni assunte dagli studiosi nel ten-tativo di dare una risposta al problema, ma anche per il modo in cui di volta in volta veniva posta la questione e per il significato attribuito, nei vari periodi storici, ai termini mente e corpo.

Un po’ di storia....

Salucci (1997) ritiene che l’evoluzione storica, in ambito filosofico, del pro-blema del rapporto tra mente e corpo possa essere divisa in tre fasi:

Il periodo compreso tra la filosofia gre-ca e CartesioIl periodo successivo a Cartesio, questi incluso, fino all’epoca contemporaneaL’età contemporanea, durante la quale il problema è stato ripresoTra la filosofia greca e Cartesio

Il periodo comprende la filosofia antica, medioevale e rinascimentale. Occorre puntualizzare che durante questa fase più che di rapporto mente-corpo oc-corre parlare di rapporto anima-corpo dove per anima si intende il principio di vita, la vita stessa, mentre per corpo si intende la materia inanimata, la ma-teria senza vita.

Platone è il primo netto sostenitore di una posizione dualistica: anima e corpo sono due sostanze distinte, irriducibili

l’una all’altra, indipendenti. In parti-colare l’anima è immortale e non solo continua a vivere dopo la morte del corpo, ma è esistita anche prima del corpo al quale è stata incatenata. L’ani-ma è il centro della vita intellettiva ed etica dell’uomo, è l’essenza dell’uomo ed è concepita come immateriale.Aristotele, al contrario, rifiuta il duali-smo platonico: pur concentrandosi sul significato di anima come vita, ritiene che essa non possa essere separata dal corpo, ma anzi identifica l’anima con capacità specifiche del corpo, e cioè con quelle capacità che consentono all’organismo di vivere. In questo senso non ci può essere distinzione, se non a livello filosofico, tra anima e corpo.Durante il Medioevo il rapporto anima-corpo viene dibattuto tra religione e filosofia nel tentativo di costruire una filosofia cristiana che conciliasse l’idea dell’immortalità dell’anima e della mortalità del corpo, con quella dell’uo-mo inteso come totalità di anima e cor-po.Con il Rinascimento continua ad esse-re dibattuta non solo la questione del rapporto mente-anima come l’avevano impostata Platone da un lato e Aristo-tele dall’altro, ma anche l’accezione fondamentale che la nozione di anima aveva avuto per tutta la sua storia, cioè quella del suo rapporto essenziale con la vita. Da questo punto di vista il con-

Page 39: Perlappunto numero 0

I

MENTEECORPO

I

39

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

cetto di anima viene esteso a tutta la natura.Da Cartesio all’epoca contemporanea

Nel corso del Seicento la concezione di una natura tutta animata, governata da forze simili a quelle che operano all’in-terno dell’uomo lascerà il posto alla concezione portata avanti dalla scienza moderna che proporrà un’immagine della natura inanimata, fatta di corpi che si muovono seguendo leggi pura-mente meccaniche . Da questo punto di vista è facile intuire che le nozioni di anima di origine platonica o aristoteli-ca non hanno più alcun valore.

In effetti, come scriverà Cartesio, gli animali si muovono solo per una di-sposizione dei loro organi (Cartesio, Di-scorso sul metodo, parte V).

Con Cartesio si compie una svolta nell’impostazione del problema men-te-corpo: infatti se la vita è un mecca-nismo, l’anima non può più essere con-siderata vita o fonte di vita, come so-stenevano Platone e Aristotele. Si apre così la strada alla moderna e contem-poranea accezione del termine mente: l’anima è privata delle funzioni vitali e ridotta a pensiero, a ragione ad autoco-scienza; da Cartesio in poi il problema mente-corpo diventa il problema del rapporto tra processi fisico-fisiologici

e processi psichici; Cartesio distingue il corpo, inteso come macchina, la ma-teria che ha un’estensione, dall’anima che pensa, ma è priva di estensione e interagisce con il corpo a livello della ghiandola pineale. Il corpo comincia ad essere considerato un meccanismo perfetto, paragonabile ad una macchi-na idraulica, al cui funzionamento vie-ne data un’interpretazione meccanici-stica . Inutile dire che tali concezioni in-fluenzeranno notevolmente il progres-so delle ricerche in ambito anatomico e fisiologico. Al contrario la mente viene concepita come la sede delle idee. Se-condo Cartesio queste ultime, posso-no derivare dai sensi, dalla memoria o dall’immaginazione - costituendo così il legame tra mente e oggetti -, oppure possono essere innate sorgendo diret-tamente dalla mente come principi as-solutamente basilari che devono essere scoperti dall’uomo a partire dall’espe-rienza.Cartesio segna una pietra miliare nel processo che consente di determina-re le condizioni per la nascita di una scienza dell’uomo. Infatti da questo momento in poi si aprono due strade agli studiosi

Gli empiristi inglesi mettono da parte i problemi dell’essenza della mente per dedicarsi allo studio dei suoi processi ed effetti.

Page 40: Perlappunto numero 0

I

40

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

I

MENTEECORPO

Gli ideologi francesi sviluppano, in una prospettiva meccanicistica, lo studio del corpo come macchina autosuffi-ciente in grado di funzionare, sul piano del comportamento, indipendente-mente dalla mente, per poi giungere a riconsiderare l’uomo come totalità ani-mata.Da questo punto di vista gli empiri-sti con Locke, Hume e Kant pur non negando l’esistenza dell’anima, e la liceità di un’indagine metafisica sul-la sua essenza, distinguono tra i pro-dotti dell’anima, in termini di processi ed effetti, e sostanza che la compone. In questo senso i primi possono esse-re studiati scientificamente, i secondi solo attraverso la metafisica. Pertanto la prospettiva di tali autori prende in considerazione non l’entità mente ma l’attività, gli stati o le funzioni menta-li da un lato e dall’altro lo studio dei rapporti mente-corpo teso a ricercare le corrispondenze tra processi mentali e processi corporei. In particolare Da-vid Hume individuò nelle associazioni i processi fondamentali che regolano l’intelletto, mentre il compito di affron-tare i legami tra mente e corpo fu af-frontato principalmente da un medico, David Hartley, che, pur adottando una posizione dualistica (scriverà nel 1794 che l’uomo consiste di due parti, l’ani-ma e il corpo), si muoveva nella scia del programma enunciato da Locke che

aveva più volte affermato l’esistenza di un’interazione tra corpo e operazioni dell’intelletto. In modo ancor più riso-luto con Alexander Bain si affermò la necessità di dare una base neurofisiolo-gica ad ogni studio del comportamento; è sua l’affermazione secondo la quale la mente è completamente alla mercè delle condizioni corporee. Secondo tale autore infatti il movimento precede la sensazione e questa a sua volta precede il pensiero.Al contrario la scuola francese, a parti-re da Buffon, cominciò a studiare l’uo-mo come parte integrante della natura, nelle sue somiglianze e differenze con gli animali. Più che alla mente gli studi erano rivolti al corpo, alla materia.Emblematica in questo senso è la frase di La Mettrie secondo cui il cervello ha i suoi muscoli per pensare, come le gam-be hanno i loro per camminare. In altre parole, secondo questo autore la men-te non è altro che una proprietà della materia; ciò che distingue la materia vivente da quella non vivente è che la prima è organizzata e tale organizza-zione le fornisce un principio motore interno. Da ciò segue che tra uomo e animale le uniche differenze non pos-sono che essere quantitative, nel senso che la maggior semplicità dell’animale farà di esso una macchina meno com-plessa. Analogamente in Cabanis (1802) il pensiero sta al cervello come il succo

Page 41: Perlappunto numero 0

I

MENTEECORPO

I

41

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

gastrico allo stomaco anche se per tale autore non vi è dipendenza del corpo da un’anima ontologicamente distinta, così come non vi è semplice riduzio-ne dell’anima ai meccanismi biologici. Fisico e morale sono per lui profonda-mente interconnessi, ma poli opposti di un’unica dimensione. Nella sua conce-zione assume importanza preminente il ruolo del sistema nervoso, che rag-giunge ogni parte del corpo, governan-dola e regolandola; e che nello stesso tempo, attraverso gli organi di senso, raccoglie le impressioni dal mondo in cui l’individuo si trova ad agire. Tutta-via, la supremazia del sistema nervoso, che viene a sostituire nelle loro funzio-ni ciò che di volta in volta è stato chia-mato anima o mente o spirito dei pre-cedenti filosofi, è soggetta anch’essa a tutte le leggi che regolano ogni altra parte del corpo, essendo del corpo par-te integrante. In altri termini con Ca-banis finalmente si affaccia quella con-cezione dell’uomo che si affermerà poi definitivamente nel secolo successivo e sarà quindi dominante fino ai giorni nostri: il morale è funzione del sistema nervoso e in primo luogo del cervello, ed è principio regolatore del fisico; ma cervello e sistema nervoso, di cui il mo-rale è funzione, fanno a loro volta parte del fisico. Pertanto, a livello filosofico, l’unità dell’uomo è definitivamente af-fermata.

Pubblicità

Il problema nell’epoca contemporanea, l’approccio fisiologico La medesima conclusione è valida an-che se ci poniamo da un punto di vista fisiologico. Infatti, è ormai da tempo provato che i sistemi nervoso, endocri-no e immunitario comunicano tra loro. Ciò significa ancora una volta che la mente, le emozioni e il corpo non sono entità separate, ma interconnesse. Basti pensare ad esempio che gli stes-si messaggeri chimici che operano in modo estremamente esteso sia nel cer-vello che nel sistema immunitario sono anche quelli più frequenti nelle aree neurali che regolano le emozioni. Alcune delle prove più convincen-ti dell’esistenza di una via diretta che permette alle emozioni di avere un impatto sul sistema immunitario sono state fornite da David Felten. Tale stu-dioso partendo dall’osservazione che le emozioni hanno un potente effetto sul sistema nervoso autonomo , ha scoper-to che le cellule immunitarie possono essere il bersaglio dei messaggi nervosi. Per contro sembra che una condizione mentale serena determini un migliore andamento delle forme patologiche e una minore probabilità di ammalarsi.Ad esempio Seligman (1990) ritiene che l’ottimismo possa influenzare la salute mantenendo le difese immunitarie più

Page 42: Perlappunto numero 0

I

42

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

I

MENTEECORPO

attive, mentre Carver (1993), Visintai-ner (1982) e Friedman (1993) ritengo-no che essere ottimisti dia dei vantaggi notevoli alle persone affette da tumo-re, sia a livello diagnostico sia a livello curativo e ipotizzano che i fattori psi-cologici possano essere una delle varia-bili influenti nel processo invasivo della nascita del tumore. Inoltre, come so-stiene Oliviero, avere uno spirito reat-tivo e combattivo ed essere ottimisti di fronte ad una malattia aiuta di più che essere depressi e passivi anche perché si mettono in atto dei comportamen-ti preventivi e curativi più adeguati e tempestivi. Secondo Goleman (1995) è possibile dimostrare scientificamente che curando lo stato emotivo degli in-dividui insieme alla loro condizione fi-sica è possibile ritagliare un margine di efficacia in termini medici, sia a livello di prevenzione che di trattamento.Del resto già gli antichi latini erano so-liti pensare che ci fosse una reciproca influenza tra benessere fisico e benes-sere psicologico, riassumendo tale con-cezione nella celebre massima mens sana in corpore sano. In epoca più re-cente lo scrittore americano Nathaniel Hawthorne rifletteva lo spirito del suo tempo quando, prima del 1860 scrive-va: Una malattia che noi consideriamo qualcosa di completo in se stessa, può dopo tutto non essere che un sintomo di qualche sofferenza in campo spirituale;

e in altre pagine aggiungeva Il medico considera essenziale conoscere l’uomo prima di tentare di curarlo. Dovunque vi siano cuore e intelletto, queste parti dell’uomo coloriscono le malattie della sfera fisica con le loro caratteristiche.

Da tutte queste considerazioni appare evidente quanto sia importante che la medicina sia disposta a guardare e a trattare il soggetto che soffre nell’in-terezza della psiche e del corpo, oppo-nendosi a quella cultura scientifica che è venuta perdendo il senso dell’unità soma-psiche e che spesso si occupa più di curare l’organo o la patologia che il malato.

Da questo punto di vista, come scrive Galimberti (1992), la medicina psico-somatica, in un’accezione ampia, rap-presenta quella concezione che, oltre-passando il dualismo psicofisico, che separa il corpo dalla mente, guarda all’uomo come un tutto unitario dove la malattia si manifesta a livello organi-co come sintomo e a livello psicologico come disagio. Adottando questo punto di vista, la medicina psicosomatica ri-balta lo schema classico, che prevedeva la lesione dell’organo quale causa della sua disfunzione, a sua volta causa del-la malattia, nello schema secondo cui il mantenersi di uno stress funzionale, che ha la sua origine nella vita quotidia-

Page 43: Perlappunto numero 0

I

MENTEECORPO

I

43

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

na dell’individuo in lotta per l’esisten-za, genera quella disfunzione dell’orga-no, causa della lesione, a sua volta causa della malattia.

ringraziamo il sito www.benessere.com su cui l’articolo era stato precedentemente pubblicato

Page 44: Perlappunto numero 0

I

44

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

I

MENTEECORPO

Cartesio, La diottrica (1637):Supponete che una camera venga chiusa tranne che per un singolo foro, eche una lente di vetro sia posta di fronte a questo foro con un fogliobianco appeso a una certa distanza dietro di lei, in modo tale che la luceche proviene dagli oggetti esterni formi delle immagini sul foglio.Diciamo allora che la stanza rappresenta l’occhio, il foro la pupilla, lalente il cristallino.

Locke Saggio sull’intelletto umano, 1689Per quanto mi riesce di vedere, queste [le sensazioni interne ed esterne] soltanto sono le finestre attraverso le quali la luce penetra in questa camera oscura. Infatti, mi sembra che l’intelletto non sia dissimile da un ripostiglio interamente chiuso alla luce, che abbia soltanto qualche piccola apertura che lasci entrare similitudini visibili o idee delle cose esterne. Se le immagini che entrano in questa camera oscu-ra virimanessero e si disponessero così ordinatamente da essere trovate in ogni occasio-ne, questa camera somiglierebbe molto all’intelletto di un uomo.

Page 45: Perlappunto numero 0

I

MENTEECORPO

I

45

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

“L’intelligenza artificiale è la continuazione della logica con altri mezzi.”

J. Van Benthem

Storia

Quando un filosofo scrive un’ “introdu-zione” all’intelligenza artificiale (d’ora in poi IA1) ci sono due tentazioni di cui può cader vittima: fare una storia dell’IA e farne una classificazione (di solito una classificazione filosofica). Spesso le sto-rie partono da epoche lontane e descri-vono le conquiste tecniche nel campo dell’automazione o delle macchine bel-liche (Plutarco racconta, forse esage-rando, l’assedio di Siracusa del 212 a.C., parlando di navi che vengono solleva-te e scaraventate sulle rocce da mani meccaniche, probabilmente macchine belliche di Archimede). Sono quindi storie di automi. Citano le leggende degli alchimisti sull’homunculus, per la cui creazione Paracelso fornisce una ri-

1 In inglese l’acronimo è AI, Artificial In-telligence. Da notare l’ambiguità dell’acronimo IA, che in inglese potrebbe essere interpretato come Intelligent Agent.

cetta. Altra storia citata spesso è quella di Rabbi Loew, che nella Praga del XVI secolo avrebbe creato un golem2 (un gigante d’argilla privo di anima) per difendere gli ebrei dai pogrom cristia-ni. Ma l’elenco è lungo: Ruggero Baco-ne nel XIII secolo anticipava le idee su cannocchiale, microscopio e polvere da sparo, e immaginava che l’uomo potes-se raggiungere le Indie navigando ver-so Ponente, che un giorno ci sarebbero state navi sommergibili e navi volanti, e pare avesse creato una “testa parlante” in grado di eseguire calcoli. Dal primo medioevo in poi sia in Occidente che in Oriente gli aneddoti su automi di va-ria foggia si sprecano, fino ad arrivare all’epoca moderna, in cui l’Europa in-tellettuale e aristocratica si riempie di ogni sorta di marionette meccaniche e orologi avveniristici. Da ricordare l’anatra di Vaucanson (1738) e automi simili, in grado anche di disegnare e/o muoversi; alcuni di questi sono oggi vi-

2 Il golem è una figura della mitologia ebraica. Il termine compare nella Bibbia con il significato di “materia grezza, informe” per indi-care ciò che era Adamo prima di ricevere l’anima.

Di che cosa parliamoquando parliamo di IA?

Matteo Casu

Page 46: Perlappunto numero 0

I

46

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

I

MENTEECORPO

sibili in alcuni musei3. Ben più famosa tra i filosofi è invece la macchina calco-latrice di Blaise Pascal (1642).Abbiamo quindi la storia e la leggenda. La leggenda in genere vuole che il sag-gio, meglio se alchimista, abbia la pre-sunzione di costruire un essere simile all’uomo, anche se privo di anima, che spesso si ribella contro il suo creatore. La storia è invece più sorprendente: molte conquiste tecniche che il sapere comune crede contemporanee appar-tengono invece al medioevo e all’epoca moderna. I computer, teorizzati negli anni ‘30 per formalizzare la nozione di algoritmo4, arrivano negli anni ‘40 sot-to la forma meno affascinante di siste-mi elettromeccanici a valvole. Il resto è una storia che conosciamo: il passaggio ai transistor e poi all’alta integrazione ha portato a processori in grado di com-piere miliardi di operazioni al secondo. La parte hardware dei computer è mol-to affascinante: come si fa a codificare informazione astratta in un circuito, e per di più in modo da avere qualcosa che sia programmabile? Qui sta la chia-

3 Lo scriba automatico di Droz (1774) è oggi al museo di arte e storia di Neuchatel.

4 Un algoritmo è insieme di istruzioni che risolve un problema in un numero finito di passi. Un algoritmo è una ricetta astratta, e si assume che il livello di dettaglio delle istruzioni non lasci spazio all’immaginazione. Un programma per computer è in genere un’implementazione (reale, in un linguaggio specifico) di un algoritmo.

ve di tutto: una cosa è avere un oggetto che fa qualcosa per te (ad esempio che stampa 100 volte la parola “ciao”). Altra è avere un oggetto che faccia ciò che tu gli dici (ad esempio stampare 100 volte una qualunque parola che gli si dica, o addirittura che prende in ingresso un qualunque programma e lo esegue, come fanno i nostri computers). Ma dobbiamo purtroppo lasciare in sospe-so questa discussione.La discussione sui robot ante litteram ci serve per operare una distinzione im-portante, non molto tematizzata in AI e quasi mai recepita dall’uomo della stra-da. Distinguiamo tra coscienza artificia-le e intelligenza artificiale. La disciplina nota come “intelligenza artificiale” è una branca dell’informatica, anche se da quando il termine “intelligenza ar-tificiale” nacque, e cioè al famoso con-vegno di Dartmouth (1956), si presen-tò subito come disciplina con una sua propria identità, e per di più un’identi-tà composita. L’IA raccolse infatti pre-sto ispirazione da varie discipline dalla storia spesso ben più antica: filosofia, logica, economia (in particolare teoria della scelta), e ovviamente informati-ca (sia nella sua accezione più teorica di computer science sia nella accezione applicativa di ingegneria informatica). Oggi l’IA è inoltre considerata una delle famose scienze cognitive.

Page 47: Perlappunto numero 0

I

MENTEECORPO

I

47

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

Classificazione

Possiamo classificare l’IA in molti modi. Una classificazione molto generale, e che può piacere di più ai filosofi, è quel-la fatta basata sui sistemi intelligenti prodotti, ed è fatta dal Russell e Norvig (forse il manuale di IA più usato al mon-do). Si possono considerare sistemi che pensano come umani (oppure no) e si-stemi che agiscono come umani (oppu-re no), dando luogo a quattro possibili-tà. Un sistema può:• pensare e agire come un umano• pensare da umano ma non agire da

tale• agire da umano ma non pensare da

tale• non pensare né agire come un

umanoNon amo particolarmente questa clas-sificazione: è troppo incentrata su si-stemi embodied (come i robot: che dire invece degli agenti artificiali software? Loro non possono agire “da umani” ne-anche volendo...). E’ anche troppo in-centrata sull’imitazione o meno dell’es-sere umano (mentre ci sono prospettive che vogliono imitare la natura, ma non necessariamente gli umani). Ad ogni modo, è una classificazione possibile: il caso 3 è probabilmente esemplifica-to da Terminator, il caso 1 da Robocop (beh, per lui era facile: era un cyborg, in particolare aveva un cervello umano).

Un altro esempio di robot che agisca e pensi come un umano potrebbe essere iCub, il robot sviluppato all’IIT di Geno-va. Avanzatissimo a livello meccanico, ha un sistema di apprendimento auto-matico che gli permette di “imparare” (diciamo per tentativi ed errori) a rico-noscere oggetti e afferrarli. Sistemi à la Terminator (anche se non abbastanza intelligenti da poter essere cattivi come lui) cominciano ad esistere: abbiamo robot molto avanzati dal punto di vista meccanico. Potrebbero diventare in un futuro non lontano aiutanti casalinghi, anche se si stima che fare un qualunque lavoro di casa richieda un’intelligenza diversa e più complicata da simulare che non dimostrare un difficile teore-ma matematico. Tali sistemi possono in realtà dirci qualcosa su noi umani: ad esempio iCub è studiato non solo come robot umanoide (ovvero fatto come un umano), ma anche come prototipo arificiale di bambino che impara movi-menti elementari. Sistemi à la Robocop (ovvero cyborg) potrebbero in linea di principio comparire tra non molto: ci sono diversi studi sul cosiddetto wetwa-re, ovvero impianti biologici su silicio. Si possono in effetti assemblare miliar-di di cellule cerebrali di topo e collega-re il cervello risultante a un computer. Cosa ne può uscire fuori aumentando abbastanza il numero di cellule è arduo da dirsi a priori...

Page 48: Perlappunto numero 0

I

48

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

I

MENTEECORPO

I casi 2 e 4 ricoprono invece gran par-te dell’IA “classica”: il 2 è il caso di si-stemi che vogliano simulare il modo in cui l’uomo effettivamente pensa, il 4 è il caso di sistemi che risolvono proble-mi in modo intelligente (questa è poi l’impresa dell’informatica in generale). Quando Newell e Simon negli anni ‘50 crearono il logic theorist, che dimostrò gran parte dei teoremi dei Principia Ma-thematica di Russell e Whitehead, non crearono certo un sistema che pen-sa come un umano. Ma cosa vuol dire “pensare come un umano”? Ed even-tualmente, ci sono altri modi di pensa-re?Vengo allora a una classificazione che preferisco, e che forse coglie più il pun-to dei problemi dell’IA vista dai filosofi. Distinguiamo tra il creare sistemi che imitano la natura e sistemi che risolvo-no problemi.

Imparare dalla natura

Vediamo la prima prospettiva: l’idea è creare sistemi artificiali il più possibile simili a sistemi biologici naturali. A vol-te quest’idea si declina in quella di crea-re sistemi complessi, ed eventualmente coscienti (o anche autocoscienti) a par-tire da un grande numero di elementi semplici. Questa è la prospettiva che in genere evoca reazioni emotive più spinte: l’idea dello scienziato strego-ne che crea la vita (o addirittura la co-

scienza) in modo artificiale si spinge infatti anche oltre il golem di Praga. Le applicazioni di questa visione sono tan-te: si può ad esempio pensare di usare tecniche di apprendimento automatico per far “imparare” a un robot quel che si vuole, o come detto sopra far comu-nicare per via elettrica un sistema ner-voso biologico con hardware o software artificiali. Questa prospettiva può avere tre fini:• ricreare artificialmente un sistema

naturale• studiare sistemi naturali• prendere spunto dalla natura nel

design di sistemi che eseguono compiti specifici

Una critica che si può muovere al primo caso può essere formulata in modo di-vertente, e cioè osservando che il modo migliore per avere una cosa esattamen-te equivalente a un piccione (che voli, veda, mangi come lui) è prendere un piccione. Ma assumiamo di voler cre-are un piccione artificiale, e pensiamo alle eterne discussioni sull’IA in filo-sofia della mente. E’ chiaro che se ad esempio la realizzabilità multipla fosse verificata, allora potremo avere cervelli di silicio che realizzano le stesse funzio-ni di un cervello “naturale”. Se questa evenienza possa verificarsi o meno è un problema empirico, che dipende da come è fatto il mondo. Altra cosa è sperare di creare, ad esempio, un sof-

Page 49: Perlappunto numero 0

I

MENTEECORPO

I

49

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

tware cosciente del mondo reale e di se stesso. Capire se ciò sia possibile equi-vale a capire quando, avendo creato un sistema artificiale, saremmo disposti a chiamarlo cosciente. Dovremmo ovvia-mente avere intuizioni solide su cosa significhi essere “coscienti”. Ci basta il mostrare reazioni al mondo esterno (come fa un termostato)? O vogliamo che il nostro sistema comunichi, inter-namente e con l’“esterno” attraverso impulsi elettrici, come fanno gli esseri umani col dolore? Personalmente in-vece pretenderei che il nostro sistema possa crearsi delle immagini mentali esattamente come faccio io quando vo-glio pensare al volto di un mio amico. Qui siamo sul ghiaccio sottile, e, credo, non perché l’IA non sia abbastanza pro-gredita, ma perché non conosciamo il funzionamento del sistema nervoso umano quanto conosciamo, chessò, i principi della fluidodinamica che ten-gono in volo un aereo.Il secondo caso è esemplificato in parte da iCub, o comunque dai casi in cui si usa un sistema artificiale come model-lo di un sistema naturale (un po’ come in meteorologia, in cui si usano modelli matematici per prevedere l’evoluzione di sistemi reali).Ovviamente la prospettiva del copiare la natura non è necessariamente orien-tata a creare sistemi intelligenti simili a esseri naturali. Gli algoritmi di appren-

dimento automatico (quelli di iCub ad esempio) sono ad esempio usati per tutti quei casi in cui occorre un sistema in cui non serve il ragionamento sim-bolico ma serve la reazione immediata agli stimoli: bracci meccanici che gio-cano a ping-pong piuttosto che prote-si per mani o gambe che imparino dai muscoli dell’umano i movimenti giusti da fare per afferrare un uovo, e la forza da impiegare in modo da romperlo.Un’osservazione: a causa di queste li-nee di ricerca spesso si confonde l’IA con la robotica. Le due discipline hanno elementi di contatto (come la roboti-ca cognitiva, che studia le architetture software da mettere sui robot), ma è bene ricordare che costruire un robot è un’impresa meccanica: significa scon-trarsi con problemi come il surriscal-damento dei cuscinetti, l’aumentare i gradi di libertà di un braccio meccani-co, fornire energia in modo efficiente. Progettare un agente intelligente si-gnifica invece più in generale scrivere un programma che può essere messo su un robot, ma anche girare sui nostri computer di casa, o su quelli di un aero-porto. Un agente intelligente può esse-re il mostro finale del nostro videogioco preferito, o magari un programma che giri sul web in cerca dell’aereo meno costoso per il nostro viaggio estivo.

Page 50: Perlappunto numero 0

I

50

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

I

MENTEECORPO

Trattare l’intrattabile

Nella nostra classificazione alternativa ci rivolgiamo ora a quelle tecniche che mirano a risolvere problemi in modo intelligente. In senso lato, questa è la missione dell’informatica. Ovviamente per risolvere un problema in modo in-telligente si può prendere spunto dalla natura. L’uomo lo fa da sempre. Quand’è che un programma per computer è considerato un esempio di intelligenza artificiale? Beh, anche in questo caso la risposta dipende tragicamente da cosa la gente è disposta a chiamare intelli-gente. In passato si era molto scettici sul fatto che certi tipi di ragionamen-to potessero essere descritti in modo algoritmico. Il ragionamento logico o matematico sembra (o sembrava) ad esempio essere una prerogativa uma-na. E il ragionamento umano sembra essere basato sull’intuito, sul pensiero laterale, sull’idea del momento. Altre prerogative umane, che ci dividono da-gli animali, ma anche dalle macchine, sono il giocare a scacchi o il formulare e analizzare frasi di senso compiuto. Ma l’IA è riuscita a far fare queste cose an-che a dei computers. I computers sono sistemi che agiscono solo sotto la spe-cifica di un algoritmo. Questo significa che le attività menzionate sopra sono attività costituite da sottoproblemi ri-solubili in modo algoritmico. Ciò che

l’IA ci ha mostrato quindi non è tanto che le macchine possono fare ciò che fa l’uomo, ma che molte cose che l’uomo fa sono algoritmiche in natura.Questo non è del tutto sorprendente: Thomas Hobbes sosteneva che pensare è calcolare. Ebbene, oggi sappiamo che l’affermazione di Hobbes è molto naïve, e che non sappiamo dire se sia vera o falsa, ma sappiamo che almeno una parte del pensare somiglia molto poco a un’intuizione giunta da un mondo platonico, ma somiglia di più a procedi-menti costruttivi, che passo dopo passo ci portano da uno stato iniziale a una conclusione che vogliamo raggiungere. L’intuizione è “semplicemente” il modo in cui noi umani riusciamo a saltare al-cuni passi in un ragionamento, in modo simile a quando a scuola saltavamo dei passaggi nello sviluppo di un’espressio-ne: un salto un po’ rischioso ma che fa-ceva salvare un sacco di tempo.

Cosa fa l’informatica

Ma andiamo con calma: cosa significa risolvere un problema in modo intel-ligente? Facciamo un esempio: voglio restituire il più grande numero da un insieme di numeri interi. Ad esempio se mi danno: 5 3 21 7 1 15 9io voglio rispondere: 21Ovviamente se i numeri sono pochi ri-

Page 51: Perlappunto numero 0

I

MENTEECORPO

I

51

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

esco a rispondere “a colpo d’occhio”, ma se i numeri sono centinaia la cosa comincia a diventare meno banale (non importa se sono un umano o un com-puter). Devo quindi usare un metodo si-stematico, un metodo algoritmico. Uno può essere:1. guardo il primo numero e lo con-

fronto con tutti gli altri: con il se-condo, con il terzo, etc., per vedere se è il più grande;

2. se non lo è, prendo il secondo nu-mero, e lo confronto con tutti gli altri.

Faccio questo finché il numero che ho scelto non è effettivamente il più gran-de.Ovviamente nel nostro caso ho suc-cesso al terzo tentativo (e quindi ho compiuto in tutto 18 confronti, quindi 18 ‘passi’), ma se sono sfortunato e il numero più grande è in fondo alla lista potrei impiegare 36 passi per risponde-re (che è 6 al quadrato: questo perché confronto ogni elemento con tutti gli altri). Un altro modo:1. prendo il primo elemento;2. lo confronto con il secondo: se il se-

condo è più grande lo tengo e butto via quello che avevo. Sennò tengo quello di prima.

3. Poi continuo così: confronto sem-pre l’elemento che ho in mano con quello successivo, tenendo il più grande dei due

Questo algoritmo risolve lo stesso pro-blema del precedente, ma è oggetti-vamente più intelligente. Infatti alla peggio (cioè di nuovo se il più grande elemento fosse l’ultimo che guardo) mi farà fare 6 passi, anziché 36! In teoria della complessità si direbbe che il pri-mo algoritmo ha complessità quadrati-ca nella dimensione dell’input (cioè se l’input è lungo n l’algoritmo risponde alla peggio in circa n2 passi). Il secondo algoritmo invece ha complessità linea-re (se l’input è lungo n impiega circa n passi (alla peggio) per rispondere). Non serve pensare che il tempo è denaro per pensare che il secondo algoritmo è mi-gliore del primo. Il fatto è che è stupido fare la stessa cosa in più passi di quelli che occorrono. Questa è l’etica dell’in-formatica, prendere o lasciare: fare giu-sto ma fare meno è meno costoso e più elegante.Ma cosa c’entra questo con l’IA?

Cosa fa l’IA

Il problema che abbiamo visto è del tipo più semplice che si possa trovare in in-formatica. I problemi che l’IA si trova a dover affrontare sono invece spesso tra i più difficili che si possano trovare. Il “difficili” è da vedere in due sensi: sot-to il profilo della rappresentazione del problema e sotto il profilo della com-plessità degli algoritmi che occorrono per risolvere i problemi.

Page 52: Perlappunto numero 0

I

52

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

I

MENTEECORPO

Rappresentazione

Nell’esempio della ricerca dell’elemen-to massimo abbiamo, magari senza neanche essercene resi conto, rap-presentato, o codificato, un problema astratto in un modo concreto. Il proble-ma consisteva nel trovare il più grande numero di un insieme di numeri. Noi abbiamo rappresentato un insieme di numeri tramite una sequenza di nume-ri scritti. Facendolo abbiamo fatto delle scelte: gli insiemi non sono ordinati, le sequenze invece sì. Abbiamo implici-tamente accettato il passaggio perché tanto se si vuole leggere un insieme, lo si dovrà leggere in un qualche ordine, anche se non importa quale! Poi abbia-mo deciso di scrivere i numeri in codice decimale, e in cifre arabe. Tuttavia non abbiamo dovuto fare altro: rappresen-tare questo problema a questo livello di astrazione era semplice. Notiamo che abbiamo anche assunto che sapes-simo cos’è una sequenza. Nei linguaggi di programmazione in genere si può scrivere una lista in modo diretto, e il calcolatore “saprà” come leggerne gli elementi e come confrontarli (l’algorit-mo diceva “confronta” e non spiegava come si confrontano due numeri interi: assumeva che un umano, o un calcola-tore, sappia già farlo). Ma non è detto sia sempre così. Più difficile può essere rappresentare un grafo in un calcolato-

re avendo solo a disposizione delle liste.In genere in IA ci si trova a dover sce-gliere di rappresentare problemi in strutture come alberi, matrici o altri oggetti matematici. Ad esempio una partita a scacchi o a dama è rappresen-tabile come un albero: si parte dalla ra-dice e ogni volta chi deve giocare deve fare una scelta su cosa muovere, ovvero prendere un ramo dell’albero. Solo in fondo saprai come è finita, quindi se riesci a immaginare tutte le mosse (as-sumendo ovviamente che l’avversario risponda alle mosse in modo sensato, e non che vada a caso) puoi sperare di esplorare la strada giusta per te. Questo è quello che fa un giocatore di scacchi. Un bravo giocatore riesce a prevedere le prossime due o tre mosse. Deep Blue ne prevedeva mediamente sette, e an-che per questo alla fine ha battuto Ka-sparov.Oggi l’IA si trova a rappresentare ogget-ti sempre più complessi e astratti, ma alla fine ciò che finisce a livello di pro-grammazione sono comunque struttu-re semplici, come liste, alberi, matrici, che poi in qualche modo saranno ma-neggiate (si faranno ricerche, cancel-lazioni, inserimenti di elementi). Una delle prime cose ad essere codificata in un calcolatore è stata la logica. At-tenzione, non parlo del fatto che i cir-cuiti di cui il calcolatore è fatto funzio-nano con “rubinetti logici” che fanno

Page 53: Perlappunto numero 0

I

MENTEECORPO

I

53

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

passare o no corrente a seconda delle correnti in ingresso (le famose “porte logiche”). Parlo del fatto che le formu-le logiche possono essere codificate in liste, o alberi, a seconda dell’evenienza, e come ormai si è capito una volta che si è arrivati a una lista o a un albero il gioco è fatto. I problemi che rimango-no sono quelli di complessità. Pensate a dover esplorare la vostra cartina per scegliere la strada più breve che vi porti da Genova a Parigi. I percorsi possibili sono moltissimi, e confrontarli tutti a uno a uno potrebbe richiedere un tem-po lunghissimo. Un tempo così lungo che in alcuni casi potrebbe essere im-pegnativo anche per un computer (non solo per un computer di oggi, ma per uno qualsiasi: i numeri diventano dav-vero grandi).

Trattare l’intrattabile

Quando per trattare un problema oc-corre un algoritmo di complessità più che polinomiale (ad esempio esponen-ziale, un esempio è 2n per un input di dimensione n) si dice che il problema è intrattabile. Chiaramente è un modo di dire: poi lo si tratta lo stesso. Ma è intrattabile in generale: senza accorgi-menti intelligenti e per n molto grandi risolvere il problema diventa di fatto impossibile (nel senso che il tempo im-piegato potrebbe essere paragonabile alla durata dell’universo fino ad oggi).

Ebbene, moltissimi dei problemi di per-tinenza dell’IA sono problemi intratta-bili. Prendiamo la logica proposiziona-le. Un esempio è decidere se:1. Marco non è alto segue logicamente da2. Gianni non è alto, e se Marco è alto

allora lo è anche GianniOra, sappiamo dalla logica matematica che questo problema può essere deciso in modo meccanico. Un modo stupido per rispondere potrebbe essere con-trollare ogni possibile assegnamento di valori di verità alle frasi che compongo-no il problema5. Qui le frasi componen-ti sono tre. Ma il problema di testare la conseguenza logica è in pratica espo-nenziale, per cui se abbiamo migliaia di frasi la cosa diventa impegnativa. Dato che la logica proposizionale può essere usata per testare circuiti (si può codifi-care un circuito in una formula logica proposizionale) non è raro dover testa-re formule con input la cui lunghezza è di quattro o cinque zeri. Inutile dire che nonostante questi problemi siano in-trattabili, decenni di studi da parte del-

5 Un modo più furbo è il seguente. As-sumiamo per assurdo che Marco sia alto. Abbia-mo poi dalla (2) che Gianni non è alto, e se Marco è alto (cosa vera, perché l’abbiamo assunto) allora Gianni è alto. Ma prima abbiamo detto che Gianni non era alto! Significa che le tre informazioni in-sieme sono contraddittorie, quindi data la (2), la (1) non può essere falsa.Un modo veramente meccanico: trasforma “A-->B” in “notA v B” e cancella a due a due le frasi contrarie. Se sparisce tutto è fatta.

Page 54: Perlappunto numero 0

I

54

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

I

MENTEECORPO

le menti più brillanti del pianeta hanno reso questi problemi trattabili di fatto nell pratica (a meno di casi particolar-mente sfortunati)! E anche se sembra strano chiamare un problema di test su circuito “intelligenza artificiale” l’IA avanzata che oggi fa funzionare i nostri videogiochi o i nostri motori di ricerca non fa molto altro. Sono problemi codi-ficati in problemi logici o di ricerca su grafo, e da lì codificati in programmi. Ci sono due cose affascinanti da notare a questo punto:1. da materie apparentemente aride

come la logica matematica, la teo-ria della complessità, l’informatica teorica sono comparsi incredibili ri-sultati. Oggi sappiamo che esistono problemi non risolubili in generale in modo meccanico (ad esempio non c’è, e non ci potrà mai essere, un modo meccanico per dimostra-re teoremi matematici). Allo stesso tempo sappiamo risolvere in modo costruttivo (quindi in un modo adatto alle macchine, ma anche uti-le agli umani per capire la struttura dei problemi) un impressionante numero di problemi che potevano sembrare non meccanicamente risolubili, o la cui risoluzione mec-canica (cioè portata avanti senza usare “l’intuito”) avrebbe richiesto tempi biblici

2. è impressionante come l’insieme

di cosa è considerato “intelligenza artificiale” sia fluido. Oggi chiun-que abbia un computer può trovare tra i giochi più comuni (quelli che ti trovi già nel sistema operati-vo) programmi per scacchi che, se settati al massimo della difficoltà, sono imbattibili per gran parte de-gli umani. E’ stato calcolato che or-mai non c’è speranza (per nessuno) di vincere contro un programma ad Otello. Mentre c’è speranza per il Go: in questo gioco i computer non sono molto bravi.. I nostri videogio-chi hanno (praticamente da sem-pre) usato tecnologie sviluppate in IA, eppure raramente ci pensiamo.

L’IA è un’eterna insoddisfatta, perché ogni sua vittoria anziché essere celebra-ta diventa patrimonio comune, e cessa di essere considerata intelligenza arti-ficiale. Questo forse è il segreto del vero progresso: quando l’innovazione arriva a tutti e rende semplice ciò che è diffici-le. A patto di non essere sopraffatti noi dalla complessità: che ci piaccia o no la nostra vita è permeata dall’informatica e dai suoi figli. Essa ha creato artefatti la cui complessità dei livelli, costruiti uno sull’altro, rivaleggia con la com-plessità del corpo umano. Che l’intero stia in piedi è un miracolo, dovuto alle singole parti, alla loro integrazione; nel caso dell’informatica, come della logi-

Page 55: Perlappunto numero 0

I

MENTEECORPO

I

55

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

ca, e di tutte le scienze degne di que-sto nome, il merito del funzionamento del tutto è anche di chi, quando tutti dicevano “non si può fare”, si metteva al lavoro e lo faceva, creando la magia fuori dall’aridità, mentre noi umanisti,

ahimé, spesso riusciamo a rendere ari-do ciò che è magico.

Appendice: le branche dell’IA

Elenco qui i principali settori di cui l’IA contem-poranea si occupa:pianificazione automatica: si rappresenta lo-gicamente il problema di arrivare da uno stato iniziale a uno stato goal, e in modo algoritmico (spesso esplorando il grafo dei possibili stati) si cerca un percorso dallo stato iniziale al goal. L’applicazione è sia su robot sia su agenti sof-tware natural language processing (NLP): la genera-zione e la comprensione automatica del linguag-gio naturalevisione artificiale (riconoscimento di oggetti,

volti, etc.): questa è una branca in cui le tecni-che di apprendimento la fanno da padrone. Qui rappresentazione e deduzione sono ridotte al minimosistemi esperti (assistenti in ambito medico che dato l’elenco dei sintomi fornisce una possibile diagnosi)basi di conoscenza e ontologie: l’evoluzione dei databases classici; rappresentazione logica di un certo dominio e ragionamento automatico sull’informazione in esso presente. Applicazioni alla gestione e alla ricerca “intelligente” delle in-formazioni sul web.

Bibliografia e letture consigliate

Un manuale “vero” di IA, in due volumi. Il pri-

mo più orientato agli approcci deduttivi, il sec-

ondo a quelli induttivi:

S. Russell - P. Norvig, Intelligenza artificiale: un ap-

proccio moderno, Pearson 2005.

Un piacevole volume divulgativo:

Y. Castelfranchi - O. Stock, Macchine come noi, Lat-

erza 2000.

Un’introduzione accessibile ma rigorosa alla

teoria della complessità, in relazione alla logica

matematica e alle scienze cognitive:

M. Frixione - D. Palladino, Funzioni, macchie, algo-

ritmi, Carocci 2004.

Page 56: Perlappunto numero 0

I

56

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

I

MENTEECORPO

Hobbes, Leviatano (1651):La Natura (l’arte con la quale Dio ha fatto e governa il mondo) è imitatadall’arte dell’uomo, come in molte altre cose, così anche in questo, nelpoter fare un animale artificiale. Infatti, dato che la vita non è altro che unmovimento di membra il cui inizio è in qualche principale parte interna,perchè non possiamo dire che tutti gli automi (macchine che si muovonoda sé mediante molle e ruote, come un orologio) hanno una vitaartificiale? Che cos’è infatti il cuore se non una molla e che cosa sono inervi se non altrettanti fili e che cosa le giunture se non altrettante ruoteche danno movimento all’intero corpo, così come fu designatodall’artefice?

Page 57: Perlappunto numero 0

I

MENTEECORPO

I

57

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

Le ricerche sviluppatesi negli ultimi decenni intorno alle neuroscienze ten-dono a smentire l’idea per lungo tempo diffusa – e non priva di credibilità – che riteneva quello scientifico un sapere per sua vocazione frammentato in una molteplicità di discipline, largamente incomunicabili tra loro e ciascuna chiu-sa in una sua propria autosufficienza. Comprendere il funzionamento del cervello e delle sue strutture, invece, sembra una sfida di tale complessità da necessitare l’intervento di approcci di-versi e integrati, dalla biologia all’eco-nomia, dalla fisica alla filosofia. Sembra anzi che ormai la grande frattura tra ricerca filosofica e ricerca scientifica, apertasi sul finire del Seicento, stia sem-pre più venendo a un punto di rinnova-to contatto e riunificazione. Senz’altro lo studio della struttura e del funziona-mento dell’apparato neuro-cerebrale ha molteplici motivi per risultare inte-ressante per discipline come l’episte-mologia, l’antropologia e forse anche per la logica stessa, le quali, in un certo senso, studiano anche gli effetti di tale

apparato. Del resto, un secolo di dibat-titi sul positivismo ci ha resi avvertiti abbastanza da ricordare che nessuna teoria scientifica – e quindi tantomeno quella che si interroga sul nostro cer-vello – nasce dalla nuda e pura empiria, essendo sempre theory laden. Ora, al di là dei mezzi tecnici con cui oggi possono essere approcciati, i problemi sollevati dalle neuroscien-ze, non sono del tutto nuovi. Proprio Spinoza, infatti – insieme a Cartesio, ma forse con maggior organicità e co-erenza di quest’ultimo –, aveva inteso fornire un sistema filosofico che ren-desse giustizia non solo alla struttura ontologica generale del mondo, ma an-che all’essere peculiare dell’uomo, ivi compreso il suo corpo. Nell’incredibile fermento di ricerca e studi che animò il diciassettesimo secolo, la riflessione di Baruch può anzi essere pensata come il tentativo più rigoroso di pensare fi-losoficamente i risultati ancora freschi della nascente rivoluzione scientifica, in parte assumendoli come punto di partenza per lo sviluppo di una filosofia

Idee affetti e neuroni:cosa ha da dire Spinoza sulle neuroscienze

Andrea Sangiacomo

Page 58: Perlappunto numero 0

I

58

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

I

MENTEECORPO

concretamente fondata in rebus, dall’al-tro rivendicando l’esigenza di una loro giustificazione teorica, capace di inse-rirli in modo organico in un’imposta-zione di pensiero aperta a un onnicom-prensivo piano metafisico. Il lavoro che parrebbe quindi inte-ressante fare, potrebbe essere proprio quello di partire da almeno alcuni dei risultati offerti dalle più recenti ricer-che neuroscientifiche, mostrandone la sorprendente coerenza con le dottrine elaborate da Spinoza, ma pure, d’altro canto, valutando cosa quelle dottrine possano avere oggi da dire e se non contengano ancora alcuni validi punti da inserire nell’agenda di una ricerca che voglia aspirare a una sufficiente in-telligibilità teorica, evitando con ciò di precipitare nel mero accumulo di dati. Tra gli esiti emergenti più discussi si potrebbero senz’altro indicare quelli legati allo studio dei processi di scelta razionale e al rilievo dell’effettiva per-centuale di razionalità in essi implica-ta. La teoria della scelta è senz’altro un campo trasversale tra etica ed econo-mia, ma era soprattutto quest’ultima, nel suo processo di costituzione come scienza matematica rigorosamente fondata, ad aver assunto, a partire dal-la prima metà del Novecento, un forte modello razionalista, secondo cui gli agenti razionali sarebbero dei perfetti calcolatori dei rapporti costi-benefici.

Ma proprio analizzando le diverse aree cerebrali che si attivano quando prendiamo una certa scelta, si sono po-tute accumulare evidenze empiriche, non solo sul fatto che molto spesso sia-mo assai meno razionali di quello che dovremmo, ma soprattutto sul fatto che il calcolo come tale è solo una del-le componenti in gioco, e nemmeno la prima a intervenire. In particolare, si è giunti a individuare due sistemi: uno le-gato a processi automatici e affettivi e l’altro legato a processi cognitivi consci e razionali, i quali in qualche modo si contendono la scelta che poi il soggetto effettivamente attuerà. Laddove per il paradigma razionalistico dell’economia classica l’emotività era solo un fattore di disturbo, l’aspetto più interessante delle attuali ricerche sta invece proprio nella dimostrazione del fatto che non solo i processi emotivi costituiscono la base di ogni decisione, essendo i primi a entrare in gioco e gli unici a determi-nare le reazioni istantanee – come per esempio la fuga –, ma esse in qualche modo contribuiscono a dare significato alle scelte, evidenziandone la rilevan-za per il soggetto che le attua. E’ stato infatti dimostrato che pazienti affetti da patologie lesive per le aree cerebra-li che soprasiedono all’emotività, pur mantenendo invariate le facoltà cogni-tive e di calcolo razionale, risultano del tutto inabili a calare questi medesimi

Page 59: Perlappunto numero 0

I

MENTEECORPO

I

59

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

calcoli nella pratica concreta della loro vita, sviluppando spesso atteggiamen-ti antisociali, incapacità a mantenere rapporti stabili con altre persone e, in genere, una totale cecità affettiva che impedisce loro di condurre una vita normale. In tale panorama, è stato An-tonio Damasio, uno dei ricercatori più attivi in questa direzione, a sottolineare le consonanze di fondo con il pensiero di Spinoza. Descrivendo le emozioni come risposte immediate e automati-che a certe stimolazioni, rispetto inve-ce ai sentimenti, che costituirebbero una visione olistica dello stato corpo-reo ottenuto grazie alla rappresenta-zione delle risposte emotive, Damasio è infatti giunto a riconoscere che non solo «il sentimento, nel senso più stret-to e rigoroso del termine, è l’idea che il corpo sia in un certo modo», ma an-che che «la mente esiste per il corpo: è impegnata nel raccontare la storia dei molteplici eventi che interessano il cor-po, e si serve di quella storia per otti-mizzare la vita dell’organismo nel suo complesso», concludendo: «per come la vedo io, la vera conquista sta nel concetto spinoziano di mente umana, che egli definisce in modo trasparente come idea del corpo umano. Spinoza usa “idea” come sinonimo di immagine o rappresentazione mentale, o compo-nente del pensiero».E’ noto infatti che per Baruch il mondo degli affetti è te-

stimonianza delle variazioni del conatus – la forza di autoconservazione, o, come si potrebbe dire oggi, legata ai processi di omeostasi – indotte nel corpo in par-te dalla sua struttura ma soprattutto dall’interazione con altri corpi esterni. In tal senso, la mente stessa non solo è idea corporis, ma è anche sempre dipen-dente da queste variazioni ed è quindi anche sempre una mente affettiva. Le passioni sono realmente dei marcatori somatici che testimoniano in che modo certi oggetti o idee agiscano su di noi e sulla nostra capacità di conservarci in essere: in tal senso il mondo emotivo è per Spinoza proprio quel medio che lega una scelta astratta alla concreta situazione in cui ciascuno si trova, de-finendone i diversi gradi di perspicuità in funzione delle potenzialità attuali dell’agente stesso. Si tratta però di vedere se il grande pen-satore olandese merita d’essere citato in questo ambito di studi solo come un eminente antesignano o se non abbia davvero anche qualcosa da suggerire alle attuali ricerche. Proviamo a trat-teggiare brevemente come si potrebbe procedere in questa seconda direzione.Per Spinoza, la realtà del mentale è in-timamente connessa al mondo fisico, senza tuttavia esservi riducibile: pen-siero ed estensione sono espressioni del medesimo, anche se ciascuna delle due ne esprime un aspetto diverso e

Page 60: Perlappunto numero 0

I

60

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

I

MENTEECORPO

non implicato dall’altro. In tal senso, da un lato non si pone il problema carte-siano della conciliazione o dell’intera-zione tra anima e corpo, dall’altro ogni progetto eliminativistico nei confronti del mentale è destinato a fallire giacché tenta di ridurre qualcosa di irriducibile, il che può, al più, finire con il render-lo semplicemente incomprensibile. In particolare la prospettiva spinoziana giustifica il rifiuto a priori di alcune concezioni del mentale e quindi anche delle relative impostazioni del proble-ma mente-corpo che ne conseguono. Il dualismo delle sostanze è inaccettabile perché il concetto di sostanza implica analiticamente l’unicità della sostanza: il dualismo proposto da Cartesio, in tal senso, è in linea di principio contrad-dittorio. D’altro canto, tanto l’indivi-dualismo solipsistico quanto il com-pleto esternismo – ossia la tesi per cui la mente, implicando contenuti esterni al corpo oppure sfruttando l’ambiente esterno per operare determinati pro-cessi cognitivi, non potrebbe essere limitata al corpo individuale ma do-vrebbe estendersi all’ambiente – risul-tano unilaterali. Il primo trascura che il corpo è, in quanto cosa estesa, qualcosa di intrinsecamente complesso e rela-zionale, che dunque non è nemmeno mai in sé dato come autosufficiente ma per esistere ha costantemente bi-sogno di operare scambi con l’esterno e

dall’esterno è profondamente influen-zato. Ma anche l’esternismo pare eccede-re nel senso opposto: la mente è infatti idea di un certo corpo esistente in atto, cioè oggettivazione di quel corpo. Appartie-ne alla natura della mente costituirsi come essenza oggettiva di un certo modo complesso dell’estensione: questa og-gettivazione ha appunto il senso di un’individuazione e della delimitazio-ne di una porzione di estensione che può essere considerata relativamente autosufficiente – non in quanto ap-partiene all’estensione, ma in quanto è pensata. Per gli stessi motivi, il riduzio-nismo – sia del mentale al corporeo che viceversa – è impossibile in quanto ten-ta di assimilare aspetti del reale tra loro reciprocamente autonomi e quindi non deducibili l’uno dall’altro. Il mentale non esiste mai in sé: non ci sono idee senza ideati, un pensiero puro e astrat-to semplicemente non si dà, il pensare è sempre pensare qualcosa. Il pensiero stesso è appunto ciò in base al quale qualcosa è considerabile come ogget-to, quindi il qualcosa di cui il pensiero è essenza oggettiva è esso stesso essenzia-le al costituirsi del pensiero. In questo senso l’idealismo – cioè la riduzione di ogni realtà alla sua componente ideale – è escluso. D’altro canto, l’estensione come tale è un puro continuum, costitui-to da modi tuttavia divisibili all’infinito: nessun modo ha in sé una sua autono-

Page 61: Perlappunto numero 0

I

MENTEECORPO

I

61

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

mia, ma è sempre ad un tempo conte-nente e contenuto in altri modi d’or-dine maggiore o minore. Per contro, il quid specifico di cui è portatrice l’idea è rendere in qualche modo discreto ciò che viene pensato, ossia fornire le con-dizioni per individuare certi enti che possano essere presi in considerazione come tali, escludendo gli altri. L’idea di qualcosa è l’individuazione di quel qualcosa come oggetto del pensiero. Ciò non significa che l’oggetto debba essere pensato come intrinsecamente isolato da ogni altro, ma semplicemente che può essere pensato come oggetto: l’esten-sione non presuppone alcuna prospet-tiva d’osservazione, né alcun centro, né alcun livello preferenziale. Di contro, ogni idea è invece l’individuazione di una specifica prospettiva a partire dal-la quale si mostrano certe cose e se ne nascondono certe altre. L’adeguatezza dell’idea è sempre relativa all’oggetto che intende assumere come suo ideato e dipende dall’effettiva autosufficien-za individuante che riesce a ottenere. L’impossibilità del riduzionismo del mentale al corporeo corrisponde così, di fatto, alla lungamente discussa e or-mai largamente acquisita irriducibilità degli elementi teorici a quelli empirici all’interno di un certo paradigma scien-tifico: sono gli enunciati teorici che rendono visibili gli enti di cui trattano e quindi rendono possibile la loro stessa

misurazione, anche se per questo non si può certo imputare alla scienza alcu-na forma di idealismo. Ora, un simile discorso ha ricadu-te immediate sul problema – centrale nelle neuroscienze – di individuare i correlati neurali degli stati mentali. Se la mente è idea corporis, l’impresa ha di per sé senso: anche l’idea più astratta avrà sempre comunque una relazione al corpo, foss’anche alla semplice memo-ria. Tuttavia, da un lato occorre esclu-dere a priori che un correlato neurale possa essere inteso anche come sor-gente causale dello stato mentale corri-spondente: l’interazionismo è implau-sibile data la natura qualitativamente diversa di pensiero e corpo – discreto il primo, continuo il secondo. Inoltre, il corporeo qua talis non può svolgere alcuna funzione e quindi il paradigma computazionale non può servire per mostrare l’emergere del mentale dal corporeo o ridurre il primo al secondo. Infatti l’idea stessa di funzione implica l’individuazione di oggetti da elabora-re e processare computazionalmente, quindi implica l’attributo pensiero. A livello della semplice corporeità, si danno unicamente molteplici livelli so-vrapposti di reciproche interazioni. Per usare una metafora, si potrebbe dire che l’estensione è un’entità infini-tamente rumorosa, cioè comprende allo stesso livello ogni possibile forma di

Page 62: Perlappunto numero 0

I

62

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

I

MENTEECORPO

interazione tra i suoi modi, l’entità dei quali non è univocamente individuabi-le ma, per così dire, fluida. Il pensiero, per contro, è l’individuazione di modi specifici: avere idea di qualcosa signi-fica poterlo ascoltare, mettendo sullo sfondo il rumore costituito dall’infi-nità degli altri modi. E’ per questo che non esiste affetto che non sia in qualche modo intelligente, ossia intrinsecamente pensante: senza l’elemento ideale non è possibile selezionare alcunché come oggetto capace di stimolare una cer-ta reazione emotiva, e piuttosto si dà un’unica sovrapposizione di ogni mo-dificazione e interazione possibile. La prospettiva spinoziana, tutta-via, può porre ancora un ulteriore or-dine di problemi. Se la mente è l’idea di un corpo esistente in atto, non ogni corpo in assoluto possiede una mente, ma solo quei corpi che appunto pos-sono mantenersi in atto, ossia hanno un conatus sufficiente ad autoconser-varsi. L’autoconservazione dipende da un livello sufficiente di complessità, che consente la resistenza ai fenomeni perturbativi ambientali. Se un modo dell’estensione è determinato unica-mente da una certa quantità di moto o energia, ogni variazione di questa comporterà una variazione del modo stesso, il quale ha quindi un’esistenza assolutamente provvisoria e, poiché l’interazione tra i modi è costante e

continua, paradossalmente quel modo in quanto tale non gode nemmeno di un’esistenza individuale ma è sempre un momento della catena causale infi-nita dell’attributo estensione. L’idea di un simile modo è certo l’individuazione di un oggetto fisico, quindi di un corpo, ma questo corpo in realtà non perdura e, proprio perché assolutamente dipen-dente da ciò che lo circonda, può essere pensato in sé solo astrattamente: la sua esistenza attuale è una finzione. Per contro, un individuo sufficientemente complesso può opporre un certo livello di soglia al di sotto del quale le modi-ficazioni ambientali non ne alterano la struttura fondamentale. In questi casi, per Spinoza, si può ascrivere a quel cor-po una mente. Senza dubbio, quindi, l’uomo non è l’unico dotato di mente – Spinoza sottoscrive la tesi dell’ani-mazione universale – ma ciò in sé non toglie nulla alla sua specificità, giacché a questo punto le differenze tra le sin-gole menti dipendono unicamente dal grado di complessità del corpo di cui sono idee. «La mente umana è atta a percepire moltissime cose, e tan-to più è atta quanto più numerosi sono i modi nei quali il suo corpo può essere disposto» (E2P14): non solo il menta-le e il fisico coincidono in un medesi-mo ordine, ma la complessità stessa di quest’ordine procede parallelamente nell’uno e nell’altro attributo. Tanto

Page 63: Perlappunto numero 0

I

MENTEECORPO

I

63

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

più un’idea è complessa, tante più sono le idee semplici che la costituiscono, tante più sono le modificazioni corpo-ree che costituiscono gli ideati di que-ste idee. Il pensiero, tuttavia, si limita a oggettivare stati del corpo, renderli intelligibili in sé, ma, al di là di questo, il suo contenuto dipende interamente dal piano fisico cui si rivolge: ricono-sciuta l’inassimilabilità del mentale, il fulcro del problema torna sul corpo-reo, dalla cui complessità dipendono le potenzialità stesse della mente. Tenere presente che l’aspetto mentale non può essere dedotto da quello fisico significa in fondo semplificare, da un lato, la ri-cerca e, dall’altro, impostarla in termini di condizioni di possibilità, ossia condi-zioni di complessità sufficiente a soste-nere la presenza di certi stati mentali. In questa prospettiva, il modo in cui la complessità si struttura, nonché le sue eventuali leggi, diventano la vera fron-tiera su cui indagare scientificamente. Del resto, lo stesso Spinoza, dopo aver dimostrato che «il corpo non può de-terminare la mente a pensare né la mente può determinare il corpo al mo-vimento» (E3P2), aggiunge:in realtà, nessuno ha determinato fi-nora quale sia il potere del corpo, cioè l’esperienza non ha finora insegnato a nessuno che cosa possa o non possa fare il corpo per le sole leggi della na-tura, considerata soltanto come corpo-

rea, se non sia determinato dalla men-te. Nessuno, infatti, ha conosciuto fino-ra in modo tanto accurato la struttura del corpo da poter spiegare tutte le sue funzioni, per non dire che nei bruti si osservano molte cose che superano di gran lunga l’umana sagacia e che i son-nambuli nel sonno fanno moltissime cose che da svegli non oserebbero. Que-sto mostra a sufficienza che lo stesso corpo, per le sole leggi della sua natura, è capace di molte cose che meraviglia-no la sua mente. (E3P2S)

Se oggi i mezzi tecnici per iniziare a capire qualcosa di più sul funziona-mento del corpo e del cervello rendono possibile avanzare in questa direzione, una ricerca intelligentemente avverti-ta sulla natura di mente e corpo non si chiederà tanto come sia possibile ridur-re l’una all’altra, ma come deve essere fatta l’una affinché l’altra possa mo-strarsi come si mostra: come devono esser fatti il corpo e il cervello affinché le nostre idee possano esibire il grado di complessità che effettivamente mo-strano? E data la complessità del nostro corpo, che genere di idee e che possibi-lità di pensiero effettivamente ne risul-tano? A simili domande, nessun filoso-fo più di Spinoza è stato interessato a trovare risposte.

Page 64: Perlappunto numero 0

I

64

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

I

MENTEECORPO

Bibliografia

Bechara A. [2003], Risk business: emotion, decision-

making, and addiction, «Journal of Gambling Stu-

dies», 19 (1), pp. 23-51.

Camerer C., Loewenstein g., Prelec D. [2004],

Neuroeconomia, ovvero come le neuroscienze posso-

no dare nuova forma all’economia, «Sistemi intelli-

genti», 16 (3), pp. 337-418.

Camille N., Coricelli G., Sallet J., Pradat-Diehl P.,

Duhamel J. R., Sirigu A. [2004], The involvement

of the orbifrontal cortex in the experience of regret,

«Nature», 304 (21 May), pp. 1167-1170.

Chalmers D. J. [2000], What is a neural correlate

of consciousness? in Neural Correlates of Consciou-

sness: Empirical and Conceptual Questions (T. Met-

zinger, ed), MIT Press.

Cristofolini P. [1992], La mente dell’atomo, «Stu-

dia Spinozana», 8, p. 27-35.

Damasio A. [2003], Looking for Spinoza. Joy, Sor-

row, and the Feeling Brain, Marines Books, Orlan-

do; trad. it., Alla ricerca di Spinoza. Emozioni, senti-

menti e cervello, Adelphi, Milano, 2003.

De Martino B., Kumaran D., Seymour B., Dolan

R. J. [2006], Frames, biases, and rational decision-

making in the human brain, «Science», 313 (4 Au-

gust), pp. 684-687.

Evans J. [2008], Dual-processing accounts of reaso-

ning, judgment and social cognition, «Annual Re-

view of Psychology», 59 (1), pp. 255-278.

Gillot P. [2001], Les incidences du modèle spinoziste

de l’identité psycho-physique sur certaines tenta-

tives contemporaines de résolution du “Mind-Body

Problem”, in Quel avenir pour Spinoza? Enquête sur

les spinozismes à venir, sous la direction de L. Vin-

ciguerra, Kimé, Paris.

Motterlini M., Guala F. [2005], Psicologia ed espe-

rimenti in economia, in Economia cognitiva e speri-

mentale, a cura di F. Motterlini e F. Guala, Uni-

versità Bocconi Editore, Milano, pp. 1-53.

Marraffa M. [2008], La mente in bilico. Le basi filo-

sofiche della scienza cognitiva, Carocci, Roma.

Jarrett C. [1991], Spinoza’s Denial of Mind-Body

Problem and the explanation of Human Action,

«Southern Journal of Philosophy», 29 (4), p.

465-485.

Koenigs M., Young L., Adolphs R., Tranel D.,

Cushman F., Hauser M., Damasio A., [2007], Da-

mage to the prefrontal cortex increases utilitarian

moral judgements, «Nature», 446 (19 April), pp.

908-911.

Page 65: Perlappunto numero 0

I

MENTEECORPO

I

65

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

Lucash F. S. [1984], The Mind’s Body: The Body Self-

Awareness, «Dialogue», 23, p. 619-633.

Mills F. B. [2001], A spinozist approach to the con-

ceptual gap in consciousness studies, «The Journal

of Mind and Behavior», 22 (1), p. 91-102.

Rees G., Kreiman G., Koch C. [2002], Neural corre-

lates of consciousness in humans, «Neuroscience»,

3 (April), pp. 261-270.

Rice L. C. [1999], Paradoxes of parallelism in Spino-

za, «Iyyun», 48, p. 37-54.

Sanfey A. G., Rilling J. K, Aronson J. A., Nystrom

L. E., Cohen J. D. [2003], The neural basis of Eco-

nomic Decision-Making in the Ultimatum Game,

«Science», 300 (13 June), pp. 1755-1758.

Spinoza B. [2007], Opere, trad. it. a cura di F. Mi-

gnini e O. Proietti, Mondadori, Milano.

Page 66: Perlappunto numero 0

I

66

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

I

MENTEECORPO

Lucrezio, De Rerum Natura, (IV)“esistono quelli che chiamiamo simulacri delle cose;i quali, come membrane strappate dalla superficie delle cose,volteggiano qua e là per l’aria; e sono essi stessiche atterriscono gli animi, presentandosi a noi,sia mentre vegliamo, sia nel sonno, quando spesso osserviamofigure strane e spettri di gente che ha perduto la luce della vita,i quali spesso, mentre languivamo addormentati, paurosamenteci svegliarono: perché non crediamo, per caso, che le animefuggano dall’Acheronte o che le ombre volteggino tra i viventio che qualcosa di noi possa durare dopo la morte,quando il corpo e la natura dell’animo insieme disfattisi sono disgregati nei loro diversi principi primi.Dico dunque che immagini delle cose e tenui figuresono emesse dalle cose e si staccano dalla loro superficie”.

Page 67: Perlappunto numero 0

I

MENTEECORPO

I

67

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

L’uomo è un animale non ancora definito.Friedrich Nietzsche

Con il presente lavoro si intende mettere in luce il rapporto di vicinanza metodologica e concettuale tra la pro-posta assieme estetica, politica ed epi-stemologica – prettamente antiumani-stica – di Deleuze, volta a decostruire la frontiera tra uomo e animale, e le caratteristiche generali della prospetti-va cosiddetta post-umanista, che negli ultimi anni sta ottenendo una visibilità tutt’altro che marginale, coniugando risultati provenienti innanzitutto dalla zooantropologia, dalla biologia e dallo studio del rapporto tra uomo e tecnolo-gia. Anche se la vicinanza è facilmen-te riscontrabile su più piani, e declinata a partire dalla consapevolezza del ca-rattere ibridativo – a livello ontopoieti-co, epistemologico e comportamentale – che descrive il rapporto tra uomo e animale, le intenzioni che conducono Deleuze e i promotori di una prospetti-va post-umana sulla strada di un comu-

ne “antropodecentrismo” sono tra loro diverse. Non essendo però antitetiche, è comunque possibile individuare un trait d’union tra le due prospettive, indi-viduando particolarmente all’interno delle pratiche artistiche post-umaniste un terreno programmatico comune.

L’uomo e l’animale

Nel corso della storia del pensiero fi-losofico è stato affrontato più volte il problema del rapporto tra l’uomo e il restante regno animale, ma il risultato quasi costante a cui sono giunte queste interrogazioni – almeno fino alla prima metà del Novecento – non ha fatto altro che riprodurre, in maniera sicuramen-te variegata, una frontiera netta tra l’uomo e l’animale, tale per cui si po-tesse raggiungere una purezza umana, una sua essenza per così dire “screma-ta” dal rapporto con l’animalità. La parola stessa animale, intesa come singolare generale, per Derrida è espressione di una signoria indebita dell’uomo che pretende con una paro-

Il divenire-animalee il post-umano

Paolo Vignola

Page 68: Perlappunto numero 0

I

68

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

I

MENTEECORPO

la di abbracciare ogni specie, ma che in realtà rivela solamente la volontà dell’uomo di istituire una frontiera soli-da a partire dal linguaggio: «una parola, l’animale, un nome che gli uomini han-no istituito, un nome che essi si sono presi il diritto e l’autorità di dare all’al-tro vivente»1. È evidente che il ragiona-mento di Derrida, volto nuovamente a smascherare il logocentrismo, non si arresti alla posizione dell’animale – e dei suoi diritti nei confronti dell’uomo – ma il nocciolo della questione diventa «domandarsi se ciò che si chiama uomo ha il diritto di attribuire con rigore all’uomo, quindi di attribuirsi, ciò che egli rifiuta all’animale, e se ne ha mai il concetto puro, rigoroso, indivisibile, in quanto tale».2

Le antropologie filosofiche del primo Novecento, ed in particolare quelle di Gehlen e di Plessner, hanno in sostan-za ribadito questo confine invalicabile tra uomo e animale, motivandolo in

1 J. Derrida, L’animale che dunque sono, trad. it. di M. Tannini, Jaca Book, Milano 2006, p.62. Da ciò Derrida arriva a coniare la parola “animot” – ancora un effetto di différance – la quale può rendere conto della frontiera istituita dall’uomo: animot, incrocio semantico-fonetico, tra “animali” (animaux) e “parola”(mot). Si po-trebbe tradurre con “la parola (sugli) animali” per descrivere la proiezione antropomorfica, al tempo stesso propria del senso comune e di «tutti i filosofi», di un limite unico tra l’uomo e l’intero regno animale, consacrato ed istituzionalizzato mediante il linguaggio.

2 Ivi, p.193

base ad una carenza istintiva dell’es-sere umano, la quale avrebbe permes-so all’umanità di effettuare enormi e incontrovertibili balzi in avanti nella linea evolutiva. Tali progressi dovreb-bero essere intesi come un allontana-mento ontologico e filogenetico dalle alterità non umane, quindi dal restante mondo animale.Questo genere di considerazioni ri-mane quindi legato ai tratti generali dell’umanismo: l’uomo a misura di tut-te le cose, la possibilità di determinare l’essenza umana nella sua purezza, la netta distinzione tra natura e cultura, l’autarchia evolutiva e ontogenetica dell’uomo rappresentano i paletti entro cui il pensiero filosofico del Novecento sembra ancora muoversi.In realtà l’ondata anti-umanistica del secondo Novecento, preconizzata da Nietzsche ed in qualche modo da Hei-degger – sebbene quest’ultimo sia lon-tano dal decostruire la frontiera tra uomo e animale-, ha preparato le carte perché si potesse condurre il discorso verso un “antropodecentrismo” radi-cale, nel quale confluiscono studi bio-logici, genetici e tecnologici, finalizzato a smascherare i pregiudizi che, incon-sapevolmente o meno, riflettono l’im-magine dell’uomo vitruviano dipinto da Leonardo, ben descritta dalle pa-role di Champeaux e Sterckx: «l’uomo con le braccia spalancate traccia i due

Page 69: Perlappunto numero 0

I

MENTEECORPO

I

69

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

assi dell’espansione spaziale e diventa coestensivo al mondo: egli lo riempie ingrandendo se stesso fino ai limiti del grande cerchio cosmico, al contrario, assimilandosi al mondo, egli lo riunisce in sé».3

Si tratta quindi, per i pensatori che decidono di seguire la strada tracciata da Nietzsche e dai suoi “seguaci”, di mostrare che, in questo doppio movi-mento dell’uomo-mondo dipinto da Leonardo, l’essenza umana non possa fare altro che contaminarsi e svanire di fronte al processo di ibridazione con le proprie alterità: in primo luogo le alte-rità animali.

Deleuze e il divenire-animale.

Rivolgere un’attenzione maggio-re al problema dell’animale è stato sicu-ramente uno dei tratti caratteristici del pensiero di Deleuze, sviluppato a par-tire dal piano estetico della letteratura kafkiana e della pittura – in particolare di Bacon -, e condotto a inedite dimen-sioni teoretiche ed etico politiche. Il fi-losofo francese concepisce il rapporto tra uomo e animale come un processo o un movimento di scambio continuo tra i due termini che non permette una battuta d’arresto, quindi alcuna effetti-

3 G. Champeaux, S. Sterckx, Introduction au monde des symboles, Zodiaque, Sain-Léger Vau-ban 1972, p.244

va stabilità: un divenire insomma. Ciò che Deleuze definisce “diveni-re-animale” è infatti un processo di dis-identificazione tanto dell’uomo quanto dell’animale, seguendo una direzione che elimina proprio la frontiera tra uomo e animale, costituendo piuttosto delle soglie, delle alleanze temporanee intese come processi di mutazione. Bi-sogna però intendersi prima di tutto sulle caratteristiche del divenire de-leuziano, per poter comprendere quali motivi spingono Deleuze a “sfondare” questa frontiera.

Divenire non è imitare qualcosa o qualcuno,

non è identificarsi con esso. Non è neppure

rendere proporzionali dei rapporti forma-

li. Nessuna di queste due figure d’analogia

corrisponde al divenire, né l’imitazione di

un soggetto né la proporzionalità di una

forma. Divenire è, a partire dalle forme che

si hanno, dal soggetto che si è, dagli orga-

ni che si possiedono o dalle funzioni che

si svolgono, estrarre delle particelle, tra le

quali si instaurano rapporti di movimento

e di riposo, di velocità e di lentezza, i più vi-

cini a quel che si sta diventando e attraverso

i quali si diviene.4

4 G. Deleuze, F. Guattari, Mille piani, ca-pitalismo e schizofrenia, trad. it. di G. Passerone, Castelvecchi 2002, p.383; e inoltre: «Un divenire non è una corrispondenza di rapporti. Ma non è neppure una rassomiglianza, un’imitazione e, al limite, una identificazione», ivi, p.341

Page 70: Perlappunto numero 0

I

70

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

I

MENTEECORPO

La prospettiva di Deleuze, che rappresenta sicuramente uno sviluppo della teoria dei corpi elaborata da Spi-noza nell’Etica, permette di istituire un ponte “etologico” tra uomo e animale, transitabile da chiunque. Affinché un uomo divenga animale, ovvero si por-ti in direzione dell’animale, è però ne-cessario che egli sottragga al proprio paradigma identitario alcune costan-ti – comportamentali, percettive o di postura – che lo contraddistinguono in quanto uomo. Queste costanti, per ri-prendere le considerazioni spinoziane, sono le affezioni e gli affetti di cui un corpo è capace, e mediante essi è così garantita la continuità tra uomo e ani-male, i quali possono allora situarsi in una zona di vicinanza reale e non im-maginaria:

i divenir-animali non sono sogni né fanta-

smi. Sono perfettamente reali. Ma di quale

realtà si tratta? Perché, se divenire animale

non consiste nel fare l’animale o nell’imi-

tarlo, è ovvio anche che l’uomo non diviene

«realmente» animale più di quanto l’ani-

male non diventi «realmente» qualche cosa

d’altro. Il divenire non produce nient’altro

che se stesso. […] Ad essere reale è il diveni-

re stesso, il blocco di divenire, e non l’insie-

me dei termini che si presuppongono fissi

e per i quali passerebbe colui che diviene. Il

divenire può e deve essere qualificato come

divenire animale senza avere un termine

che sarebbe l’animale divenuto. Il divenire

animale dell’uomo è reale, benché non sia

reale il l’animale che egli diviene.5

La portata decostruttiva del divenire di Deleuze conduce a mettere in discus-sione l’essere reale dell’uomo stesso, intendendo con ciò che non sia possibi-le porre una essenza pura e immutabile dell’essere umano, il quale sarebbe sem-pre preso in processi di sconfinamento e di ibridazione con le alterità anima-li. Se la filosofia sembra aver ignorato tale prospettiva, è nella letteratura che Deleuze individua la possibilità di porsi realmente in direzione dell’animale:

Se lo scrittore è uno stregone, lo è perché

scrivere è un divenire, scrivere è […] diveni-

re-topo, divenire-insetto, divenire-lupo…,

ecc. […] Lo scrittore è uno stregone perché

vive l’animale come la sola popolazione

davanti alla quale è responsabile di diritto.

Il preromantico tedesco Moritz si sente re-

sponsabile non dei vitelli che muoiono, ma

davanti ai vitelli che muoiono e fanno sor-

gere in lui l’incredibile sentimento di una

Natura sconosciuta.6

La letteratura ci conduce a sentir-ci responsabili davanti alla sofferen-za animale, a stringere quindi con gli animali un rapporto di orizzontalità

5 ibidem

6 Ivi, p.344

Page 71: Perlappunto numero 0

I

MENTEECORPO

I

71

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

dettato dalla comune condizione di fronte alla morte. Questo per Deleuze è sicuramente il primo passo del diveni-re-animale, al quale lo scrittore ha un accesso privilegiato ed in qualche ma-niera possiamo dire che egli faccia da “battistrada” rispetto ai suoi lettori. Ma non è soltanto una questione di respon-sabilità, poiché la compartecipazione può anche essere dinamica, e ciò si-gnifica che l’animale può suggerire un comportamento o una postura inedita all’uomo, suggellando quindi un’alle-anza strategica. Kafka, forse più di ogni altro scritto-re, ha saputo seguire la strada dei dive-nir-animale, infatti per Deleuze «l’ani-male coincide con l’oggetto per eccel-lenza del racconto secondo Kafka […] e la metamorfosi è in un unico circuito divenire animale dell’uomo e divenire uomo dell’animale».7 In sostanza l’ani-male offre all’uomo «delle vie d’uscita e dei mezzi di fuga ai quali l’uomo non avrebbe mai pensato da solo»,8 entran-do così in un processo che sostituisce la soggettività autoreferenziale sostenuta dalla prospettiva umanistica. Il divenire-animale di Deleuze e Guat-tari ci presenta l’idea di un corpo con-tinuamente sconfinante verso l’altro

7 G. Deleuze, Kafka. Per una letteratura minore, trad. it. di A. Serra, Quodlibet, Macerata 1996, p.64

8 ibidem

da sé, attraverso una serie indefinita di ibridazioni che cancellano il mito di una pura essenza umana. Allo stes-so modo dobbiamo comprendere che il pensiero cosiddetto post-umanista rappresenti precisamente la rinuncia all’essenzialismo e a una visione omo-logata dell’uomo,9 al punto che «il no-stro essere uomini non è separabile dal nostro essere teriomorficamente contaminati».10 Possiamo quindi dire che il divenire-animale di Deleuze e Guattari corrisponda in molti aspetti a ciò che Marchesini chiama zoomimesi, vale a dire «un atto di ibridazione, os-sia di mescolamento [che] prevede uno scostamento performativo, specifiche retroazioni sul sistema uomo, una pie-na modificazione identitaria, cioè un vero e proprio processo di contamina-zione, di acquisizione di alterità».11 Non sembra essere un caso che Deleuze con-cepisca il divenire come un contagio:

Come concepire un popolamento, una pro-

pagazione, un divenire, senza filiazione né

produzione ereditaria? Una molteplicità di

antenato? È molto semplice […]. Opponia-

mo l’epidemia alla filiazione, il contagio

9 R. Marchesini, post-human, verso nuo-vi modelli di esistenza, Bollati Boringhieri, Torino 2002, cit., p.183

10 ivi, p.106

11 ivi, p.114

Page 72: Perlappunto numero 0

I

72

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

I

MENTEECORPO

all’eredità, il popolamento per contagio alla

popolazione sessuata.

La peculiarità di questo contagio è quella di stabilire delle vere e proprie alleanze tra uomo e animale, alleanze che rendono conto tanto delle possibi-lità inedite di comportamento, quanto dello sviluppo stesso, su scala evoluti-va, dell’uomo: «divenire non è un’evo-luzione per discendenza o filiazione […] Il divenire è sempre di un ordine diverso rispetto a quello della filiazio-ne. È alleanza».12 È con questa idea di alleanza che l’animale entra di diritto – per decostruirla di fatto – nell’identità umana.

Post-umanismo

Sul tema del rapporto tra uomo e animale, declinato nel senso di una ibridazione tra i due termini, è a par-tire dall’ultimo quarto di secolo del Novecento che si registra una conver-genza tra il procedere delle scienze e la corrente di pensiero cosiddetta post-strutturalista - di cui Deleuze assieme a Derrida e Foucault è sicuramente la figura di spicco -, dichiaratamente anti-umanista, che a torto di recente è stata bollata come datata o stravagan-te. Il carattere che lega, seppur nelle loro differenze interne, le prospettive

12 ivi, p.342

post-strutturaliste al periodo storico nel quale sono state prodotte è dato primariamente dall’aspetto di una teo-ria critica ed emancipativa della socie-tà non declinata più secondo varianti della dialettica hegeliana, ma in forme anti-rappresentative e anti-logocen-triche. Questo significa che è l’essenza di un’identità umana, come soggetto etico, politico ed epistemologico, ad es-sere messa in discussione per via ibri-dativa, ossia coniugando l’umanità con alterità animali e tecnologiche. La decisa tendenza politica di queste teorie, in particolare riferendoci a De-leuze e Foucault, ha fatto pensare che tali prospettive non potessero trovare contesti storico culturali differenti da quelli degli anni sessanta e settanta, ma lo sviluppo delle scienze naturali e del-le scienze tecnologiche sembra in un certo senso aver dato ragione ai filosofi francesi, mostrando la necessità di un antropodecentrismo radicale. In tale direzione possono essere incontrate le prospettive cosiddette post-umaniste, le quali risultano comunque essere in certi casi fortemente eterogenee, se non contrastanti. Decidiamo di seguire Roberto Marchesini, che più di altri ha saputo descrivere le varie dimensioni degli approcci alternativi all’umani-smo filosofico, culturale, artistico e ai retaggi umanisti annidati nel pensiero scientifico.

Page 73: Perlappunto numero 0

I

MENTEECORPO

I

73

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

Con il termine post-umano, piuttosto che intendere il superamento dell’uo-mo in quanto entità naturale o nella sua dimensione ontopoietica, si vuole mettere in discussione l’impostazione umanistica che sovrintende l’inter-pretazione di tali determinazioni.13 Se l’umanismo si è dimostrato un proget-to antropocentrico, prendendo a nor-ma un’antropoiesi che facesse a meno delle alterità non umane, il progetto post-umano mira alla realizzazione di un “antropodecentrismo”,14 secondo il quale la condizione umana si realizza attraverso un processo di coniugazione, contaminazione ed ibridazione con gli animali e con la tecnologia. La condizio-ne umana viene dunque intesa come si-stema aperto agli eventi dialogici che si compiono con entità eterogenee, con le proprie alterità che contribuiscono alla formazione, sempre in divenire, delle identità umane. Mentre l’umanismo si basa su di una autarchia della condizio-ne umana, interpretando la formazione dell’identità dell’uomo come un movi-mento di separazione dalle sue alterità, e dunque come un processo di purifi-cazione, nel post-umanismo l’identità umana è concepita come un “rituale di contaminazione”, dove «i cantieri sem-

13 Cfr. R. Marchesini, Ruolo delle alterità nel-la definizione dei predicati umani, in AA.VV., Apoca-lisse e post-umano, Dedalo, Bari 2007, pp.33-34

14 Ivi, pp.34-35

pre aperti della progettualità umana […] sono sostenuti dall’eteroreferenza, dalla capacità di gettare ponti coniu-gativi con l’alterità».15 Le alterità non umane che contribuiscono alla forma-zione dell’identità umana non sono solo gli animali, ma anche le macchine, infatti «l’uomo utilizza con le macchi-ne quei copioni di relazione che ha co-struito nei millenni successivi alla do-mesticazione del cane e nello sviluppo delle prassi zootecniche».16 Considerate come alterità relazionali, le macchine, oltre ad essere utilizzate dall’uomo, «divengono referenti importanti in grado di modificare il processo ontoge-netico dell’individuo»,17 quindi capaci di trasformare indefinitamente i predi-cati umani.18

15 R. Marchesini, Post-human, verso nuovi modelli di esistenza, cit., p.178

16 R. Marchesini, Ruolo delle alterità nella definizione dei predicati umani, cit., p.55

17 Ibidem

18 La comprensione del rapporto che in-tercorre tra uomo e tecnologia, rapporto che va ben al di là della semplice strumentalità, coinvol-gendo la stessa evoluzione dell’uomo, non può che modificare anche la prospettiva del limite che la natura avrebbe posto all’umanità. Ciò significa che il post-umanesimo si fa promotore di un cam-bio di orientamento nei confronti dell’hybris, la quale da tracotanza rischiosa di fronte all’ordine armonico della natura, e alla supposta originaria connotazione dell’uomo, diventa motore di co-niugazione della sfera umana con il mondo; cfr. R. Marchesini, Post-human, verso nuovi modelli di esistenza, cit., p.202

Page 74: Perlappunto numero 0

I

74

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

I

MENTEECORPO

Il progetto culturale definito post-umano, se inteso nella sua radicale concezione dell’alterità – e dell’ospita-lità nei confronti delle alterità – rap-presenta non solo la confutazione delle più basilari convinzioni umaniste, ma anche l’attuazione del rovesciamento del platonismo iniziato da Nietzsche. In questo senso la “morte dell’uomo”, per così dire celebrata da Foucault – e preconizzata, mediante il pensiero dell’übermensch, da Nietzsche -, trova la propria legittimazione nella prospetti-va post-human, secondo la quale l’idea di una purezza essenzialmente umana è destinata ad eclissarsi, per far posto alla consapevolezza di una dinamica ibrida-trice alla base dell’ontopoiesi dell’uo-mo. Se Foucault, seguito a ruota da De-leuze, intendeva con “la morte dell’uo-mo” la concrezione di un nuovo rap-porto di forze in grado di determinare l’ennesima forma uomo, è evidente che egli attribuisse la specificità stori-ca ed evolutiva dell’uomo agli elementi ad esso esterni: forze che vengono da fuori, che modificano e modellano la forma uomo.19 Se per il platonismo e per l’umanesimo la purezza dell’uomo si conquista allontanandosi dall’alteri-tà animale, Marchesini afferma che il

19 cfr. M. Foucault, Le parole e le cose,trad. it. di E. Panaitescu, BUR, Milano 2006; G. Deleuze, Foucault, trad. it. e cura di P.A. Rovatti e F. Sossi, Feltrinelli, Milano 1987

post-umanismo sia «un pensiero che gronda di alterità»,20 volto a sfatare il mito della purezza e dell’auto-suffi-cienza dell’uomo: «l’uomo si è differen-ziato (e sempre più si differenzia) dalle altre specie proprio perché ha saputo costruire eteroreferenze che lo hanno avvicinato, non allontanato rispetto al mondo non-umano».21 Anche se una certa tecnofilia è ri-scontrabile nella prospettiva post-uma-nistica, la peculiarità di quest’ultima rispetto ad altre tendenze risiede nella capacità di saper articolare alterità ani-mali e macchiniche nella concezione dello sviluppo umano. È impensabile, per Marchesini, guardare alla tecno-logia come volano di mutazioni senza decostruire il paradigma antropocen-trico fondato sull’autosufficienza. Le prospettive iper-umaniste – che vedo-no nella tecnoscienza l’unica possibile proiezione dell’uomo e si fondano così su di una concezione egoteistica del sé,22dove il mondo appunto non è altro che una proiezione del sé – sembrano proprio cadere in questo errore. Così come quelle transumaniste, incentra-

20 R. Marchesini, Ruolo delle alterità nella definizione dei predicati umani, cit., p.54

21 R. Marchesini, Post-human, verso nuovi modelli di esistenza, cit., p.83

22 Cfr. H. Moravec, Mind children: the future of robot and human intelligence, Harvard University Press, Cambridge 1988

Page 75: Perlappunto numero 0

I

MENTEECORPO

I

75

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

te sulla considerazione che l’uomo stia attraversando una fase di transizione post-biologica, in cui lo sviluppo tecno-logico permetterebbe di riprogettare la condizione umana oltre i suoi attuali vincoli temporali e performativi – ver-so l’immortalità quindi – dimenticano l’importanza fondamentale del corpo come soglia di mutazione tra animali e tecnologia. Anche i trans-umanisti si rivelano eredi dell’umanismo nella loro pretesa di allontanamento dalla natura biologica, per la sospensione operativa dell’evoluzionismo darwiniano e per via dello scollamento tra uomo e ani-male. In definitiva, al di là dei pericoli politico-globali riferibili ad un uso im-proprio dell’eugenetica, trans-umani-smo ed iper-umanismo non possono che apparire come voli pindarici det-tati da un’esaltazione legata agli ultimi sviluppi delle tecnoscienze, e come tali non possono essere pensati in quanto reali oppositori della prospettiva più scrupolosamente post-umanista, volta a concepire una reale espansione del-le capacità umane solo a partire dalla consapevolezza della contaminazione e dell’impurità che contribuiscono a formare l’identità umana.Centrale, in una prospettiva postuma-nista che articola alterità animali e al-terità macchiniche, è dunque la defini-zione del corpo, territorio mutante sia del divenire animale, sia del divenire

automa o macchinico.23 Il corpo viene quindi inteso come una soglia del dive-nire, condizione di possibilità materiale ed espressiva volta a preparare il nuo-vo, l’evento della contaminazione. A differenza del corpo esaltato dall’uma-nismo, nella sua libertà edonistica e nella sua purezza autoreferenziale, con il post-umanesimo siamo di fronte ad «un corpo che accoglie», per cui «non è in gioco l’autenticità del corpo, ma la sua capacità di essere spurio, infettato, brulicante di alterità».24 Si parla quin-di di corpo mutante, o di cyborg, ossia corpi che hanno superato la pretesa di purezza originaria e che si pongono come agenti privilegiati della deco-struzione, rivolta alla visione dicotomi-ca e oppositiva del reale: vanno allora in frantumi coppie concettuali quali organico-inorganico, uomo-animale, maschio-femmina, ecc.25

Abbiamo accennato inizialmente alla denuncia di Derida di fronte alla parola “animale”; ora possiamo, sep-pur di sfuggita, cogliere l’analogia tra

23 Cfr. T. Villani, “Corpo”, in AA.VV., Lessi-co post-fordista, Feltrinelli, Milano 2001

24 R. Marchesini, Post-human, verso nuovi modelli di esistenza, cit., p.194

25 Cfr. D. Haraway, Simians, Cyborg, and Women: The Reinvention of Nature, Routledge, New York; trad. it. di , ID, Manifesto cyborg. Donne, tec-nologie e biopolitiche del corpo, Feltrinelli, Milano 1995, pp.81-84

Page 76: Perlappunto numero 0

I

76

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

I

MENTEECORPO

il concetto derridiano di ospitalità e l’apertura all’alterità, individuata dal post-umanismo, come volano dell’evo-luzione umana. L’ospitalità, cavallo di battaglia della dimensione etico poli-tica di Derrida, risposta necessaria alle sfide interculturali della globalizzazio-ne, può essere messa in relazione con ciò che pensa Marchesini quando af-ferma che la transitorietà della dimen-sione umana «non va vista come un’es-senza intangibile ma come un cantiere aperto, vitale in quanto ospitale, evolutivo in quanto in non equilibrio».26 Si tratta dunque della «disponibilità ad acco-gliere l’alterità, vale a dire conservare il proprio sistema fluido e aperto»27 agli eventi di mutazione eterodiretti. Post-umanismo e divenire anima-le convergono di fronte alla denun-cia di una tecnofilia esasperata che si propone come antropocentrica, dal momento che considera la tecnologia una proiezione autarchica della cre-atività umana. Inoltre, l’idiosincrasia nei confronti di tutto ciò che è natura-le ed organico, manifestata da diverse

26 R. Marchesini, Ruolo delle alterità nella definizione dei predicati umani, cit., p.56 (corsivo nostro). É importante precisare che si tratti di un’ospitalità intesa proprio nei termini derri-diani, in cui colui che ospita è anche ostaggio del suo ospite; questo per Marchesini è «un processo ospitale (ospitare l’alterità, farsi ospitare dall’al-terità)», ivi, p.38

27 R. Marchesini, Post-human, verso nuovi modelli di esistenza, cit., p.194

prospettive tecnofile e transumaniste, non può non essere bollata – da parte del post-umanismo di Marchesini e del post-strutturalismo deleuziano – come l’ennesima declinazione del platoni-smo teso a separare l’intelligibile dal sensibile, l’anima dal corpo, ecc. Non stupisce quindi che Marchesini possa concepire l’ibridazione dell’uomo con alterità animali e macchiniche proprio nei termini di un divenire, il cui agente non può nemmeno più essere chiamato “individuo”:

Il multividuo post-umanistico ha un sen-

so nel suo divenire e il suo divenire è una

sequenza di occasionali convergenze con

altre linee del divenire.28

Di fronte alla totale messa in discus-sione della “purezza” umana, all’im-possibilità di determinare una essenza immutabile dell’uomo, l’unica soluzio-ne, per Marchesini come per Deleuze, è dunque estendere indefinitamente il “contagio”, il movimento della conta-minazione. Consegnandosi al divenire, l’uomo di Deleuze giunge a dissolvere il proprio essere “reale” nel divenire stesso che viene così inteso come unico soggetto del rapporto, continuamente aperto ad altri divenire:

28 ivi, p.194

Page 77: Perlappunto numero 0

I

MENTEECORPO

I

77

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

Bisognerà spiegare questo punto: come un

divenire non possa avere soggetto distinto

da se stesso; ma anche come no possa aver

fine perché la fine esiste soltanto se è presa

in un altro divenire di cui è il soggetto e che

coesiste, che fa blocco con il primo. Si tratta

del principio di una realtà propria del dive-

nire (l’idea bergsoniana di una coesistenza

di «durate» molto differenti, superiori o in-

feriori alla «nostra», e tutte comunicanti).29

Anche se le analogie sono palpabili, bisogna comprendere che la prospet-tiva di Deleuze e Guattari, pur preco-nizzando una ibridazione tra uomo e animale tanto a livello identitario quanto epistemologico, sia direzionata primariamente da un’esigenza socio-emancipativa dell’uomo nei confronti delle istituzioni da lui stesso create. Il divenire animale di Deleuze e Guatta-ri è infatti innanzitutto una strategia etico politica, legata al processo più generale del divenire minoritario, ossia il movimento che conduce a decostru-ire le proprie identità maggioritarie di partenza – definite dal genere, dal sesso, dalla razza, dalla specie, dalla lingua parlata, ecc. – in favore di una ibridazione tale da permettere allean-ze in direzione delle entità minoritarie emarginate, represse o subordinate ad

29 G. Deleuze, F. Guattari, Mille piani, cit., pp.341-342

una maggioranza oppressiva. Il diveni-re animale ha dunque primariamente l’obiettivo di sottrarre l’individuo alle logiche di dominio, di omogeneizzazio-ne e rigida codificazione sociale; ed è il carattere di possibilità, il fatto che sia possibile un divenire animale per ogni uomo, a farne uno strumento politico di emancipazione. Nella prospettiva postumanista so-stenuta da Marchesini l’alleanza tra uomo e animale è invece da intendersi in termini ontogenetici e antropopo-ietici, i cui effetti nel corso della storia filogenetica dell’umanità si presen-tano come dati già acquisiti – quindi prerequisiti – e operanti dunque, nelle maniere più svariate, in ciascun indivi-duo. È quindi prima di tutto una con-statazione del carattere ibrido relativo all’evoluzione dell’essere umano, e si dirige ad osservare gli effetti a livello epistemologico che ne scaturiscono. Anche se una tale concezione dell’uo-mo nei rapporti con le proprie alterità può avere determinate ripercussioni sul piano politico e del pensiero politi-co, proviene comunque da una serie di constatazioni scientifiche e rimane in primo luogo indirizzata ad una fruibi-lità epistemologica. Il divenire animale di Deleuze – così come l’ospitalità derri-diana – nasce invece come un’esigenza etico politica, ossia la ricerca di una «li-nea di fuga» da una serie di costrizioni

Page 78: Perlappunto numero 0

I

78

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

I

MENTEECORPO

e di impedimenti che caratterizzano la complessa etologia umana. Di conse-guenza è solo un passo all’interno del percorso che traccia il divenire mino-ritario, e comunica maggiormente con il pensiero “cyborg” di Donna Haraway, dalle chiare implicazioni anti-fallogo-centriche e di emancipazione politica delle minoranze e delle diversità. Nelle pratiche artistiche degli ulti-mi venti anni si realizza la convergenza maggiore tra le tematiche del divenire animale messe in campo da Deleuze e la prospettiva post-umanistica. Questo perché in entrambi i casi la forza che trascina l’ibridazione è data dalla vo-lontà stessa dell’uomo di decostruire la dicotomia uomo/animale, e con essa tutte le dicotome antinomiche che po-polano la cultura. Per Donna Haraway infatti l’opposizione uomo/animale è l’archetipo di ogni processo di emargi-nazione e di ogni rifiuto della diversi-tà, la cellula germinale dunque di ogni possibile rivendicazione all’interno di una società sempre più omologante e dicotomica. Il corpo diventa un cam-po di forze in cui, tanto per la filoso-fia deleuziana quanto per le recenti pratiche artistiche, si fronteggiano le alterità indispensabili alla composizio-ne dell’uomo. Marchesini da parte sua individua nell’ultimo ventennio del Novecento un passaggio molto forte, che conduce diversi artisti a concepire

il corpo non più come una riscoperta della sua propria identità e autonomia, ma nelle sue invasioni e trasformazio-ni, <<alla ricerca di un’autenticità non più ancella della purezza bensì frutto della contaminazione>>.30 Spingere alla contaminazione significa in definitiva lavorare contro ogni genere di emargi-nazioni, e l’arte può prefigurare, attra-verso la messa in mostra di corpi spuri, “infettati”, mutanti, nuove possibilità o nuovi modelli di esistenza. Passare per il corpo quindi, per le sue zone contaminate significa, per l’arte postumanista come per il pen-siero di Deleuze, mostrare delle chances di riscossa politica per ogni tipo di mi-noranze. Riscossa che ha nella conta-minazione la propria parola d’ordine e nell’apertura ospitale all’alterità il pro-prio futuro.

30 R. Marchesini, Post-human, verso nuovi modelli di esistenza, cit., p.240

Page 79: Perlappunto numero 0

I

MENTEECORPO

I

79

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

Page 80: Perlappunto numero 0

I

80

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

I

MENTEECORPO

Edison, Intervista al New York Post (1870 ca.):Le vostre parole sono preservate sulla lamina di stagno, e una voltaapplicato lo strumento ritorneranno anche quando sarete ormai morto daanni, con lo stesso tono di voce in cui le avevate pronunciate. […] Questostrumento senza lingua, senza denti, privo di laringe, una materia muta esenza voce, è in grado ciononostante di imitare le vostre tonalità, diparlare con la vostra voce, di pronunciare le vostre parole, e per secoli,quando voi sarete ormai sbriciolato in un mucchio di polvere, ripeteràancora, e ancora […] ogni inutile parola

Page 81: Perlappunto numero 0

I

MENTEECORPO

I

81

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

Sorprenderà forse scoprire che la di-gestione…inizia nel cervello. Il cer-vello analizza gli stimoli che riceve dall’esterno, siano essi di natura visi-va od olfattiva, e comincia a disporre tutto il necessario affinché il corpo si prepari a mangiare e a digerire. In realtà non è nemmeno necessa-rio che gli stimoli siano fisicamente presenti: è sufficiente immaginare un cibo appetitoso, o figurarsi che a breve si potrà mangiare… per sentirsi l’acquolina in bocca! Gli stimoli sen-soriali danno inizio alla secrezione gastrica e alla produzione di saliva grazie alle terminazioni nervose del nervo vago.

In fisiologia questo insieme di rea-zioni è detto comportamento riflesso ed indica la risposta involontaria, cioè istintiva e senza il coinvolgimento delle funzioni neutrali superiori, ad una stimolazione di tipo sensibile.

Affinché lo stimolo generi una rispo-sta è necessario che la sua intensità sia superiore ad un certo livello, det-to soglia.A tale proposito già nel 1890 il me-dico e fisiologo russo Ivan Petrovich Pavlov, nel corso di esperimenti sui processi digestivi, descrisse il feno-meno delle “secrezioni psichiche”. Lo scienziato notò che nei cani la secrezione salivare aumentava alla semplice vista del cibo.Dopo un lungo studio sistematico, ar-rivò nel 1901 a proporre la teoria dei riflessi condizionati, secondo la qua-le le ghiandole salivari degli animali secernono saliva sia a fronte di uno stimolo fisiologico (cioè l’effettiva presenza del cibo) sia a fronte di una combinazione di stimoli esterni che l’animale ha imparato ad associare al cibo.

Sulla base delle scoperte di Pavlov, si

Chi dice : “ho fame”? lo stomaco o il cervello?Aspetti fisiologici della digestione

Franca Granero Fabbri

Page 82: Perlappunto numero 0

I

82

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

I

MENTEECORPO

Il nervo vago è una

grande via nervosa a

doppio senso di marcia

che collega il cervello a

gran parte degli organi

interni. Contiene sia fi-

bre parasimpatiche sia

fibre sensitive.

Nel nervo vago viaggia

un ormone, la coleci-

stochinina, che è im-

portante nel controllo

dell’assunzione del cibo.

Come? In due modi:

attivando il centro ipo-

talamico della sazietà(

tramite la liberazione di

serotonina) e inibendo

il centro della fame (sti-

molando la liberazione

di adrenalina).

ritiene oggi possibile che parte del comportamento umano sia basato su una serie complessa di innumerevoli riflessi condizionati.

Oltre a ciò, si consideri che, per l’in-tera durata del processo digestivo, a livello bio-chimico il cervello e l’ap-parato digerente sono in costante

contatto.Un’attività complessa come la dige-stione ha bisogno di essere costante-mente tenuta sotto controllo, sincro-nizzata e regolata.

La coordinazione deve avvenire sia tra le differenti sezioni del tubo di-gerente, sia fra il cervello e l’intero

Page 83: Perlappunto numero 0

I

MENTEECORPO

I

83

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

apparato. Il controllo del processo digestivo si realizza attraverso una combinazione di impulsi elettrici e di segnali ormonali che partono dal si-stema endocrino dell’apparato dige-rente, del sistema nervoso centrale e da altre ghiandole come l’ipofisi.Parti diverse del sistema sono in con-tinua comunicazione fra loro.I messaggi che vengono inviati sono di questo tenore: dice il cervello allo stomaco “Stai pronto! Bistecca in vista!”, dice lo stomaco all’intestino : “È me-glio che ti prepari, là sotto, qui è ap-pena arrivato un enorme carico di cibo!” o di rimando, l’intestino allo stomaco “Rallenta per carità! Non riesco a stare dietro tutto quello che mi stai passando!”.Il cervello è l’oggetto materiale più complesso dell’universo conosciuto, ed è anche il più misterioso. Esplica le sue funzioni sia in campo materia-le che spirituale: in lui convergono e si raccordano tutti i sistemi sim-bolici, facendone una vera e propria chiave di volta.Proprio a causa della sua posizione, le teorie che lo riguardano sono le più disparate, antitetiche. La scienza si

arena davanti alla sua impenetrabile complessità, la filosofia si infrange in una marea di teorie autoreferenziali.I più onesti fra gli scienziati e i filo-sofi confessano la loro impotenza a penetrarne i segreti.

La connessione tra i due cervelli: quel-lo nella testa e quello nella pancia. Il collegamento tramite i grandi nervi cranici

Il sistema nervoso contenuto nell’ap-parato gastrointestinale è complesso ed esteso, per la sua vastità e gli ele-vati livelli di autorganizzazione che presenta, è stato definito “sistema nervoso enterico” o cervello “ente-rico”.

I collegamenti tra il cervello che sta nella testa e quello contenuto nel-la nostra pancia sono assicurati dal sistema nervoso autonomo, nel suo ramo simpatico e in quello parasim-patico, che innervano stomaco, inte-stino e organi interni, tramite so-prattutto tre grandi nervi cranici: il vago, il pelvico e lo splancnico.

Page 84: Perlappunto numero 0

I

84

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

I

MENTEECORPO

Stesse molecole attivesia nella pancia sia nel cervello

Il collegamento è assicurato anche dalla “doppia rappresentanza” degli ormoni gastrointestinali, stesse mo-lecole attive sia nella pancia sia nel

cervello.

La tabella dà il quadro del-le conoscenze al momento.

La ricerca scientifica ha ormai assodato un collegamento stretto tra il cervello e il ven-tre, garantito sia dalla connessione tra sistema nervoso centrale – si-stema nervoso autono-mo – sistema nervoso enterico, sia dalla con-temporanea presenza nel cervello e nel tratto gastrointestinale dello stesso gruppo di ormo-ni.Come ogni asse neuro-endocrinoimmunitario che si rispetti, la comu-nicazione tra il cervello e il ventre è bidirezio-nale: il cervello control-la l’assunzione quanti-

Page 85: Perlappunto numero 0

I

MENTEECORPO

I

85

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

tativa e qualitativa del cibo; la pan-cia, a sua volta, tramite le influenze che il cibo ha sui sistemi endocrino, immunitario e nervoso, condiziona il funzionamento del cervello e della grande connessione.Se ne può concludere che l’attribu-zione della facoltà di pensiero al solo cervello sia in realtà un’approssima-zione assai fuorviante, e che il ruolo

svolto dagli apparati funzionali del nostro organismo non sia da sottova-lutare nello studio dell’elaborazione dell’attività intellettuale umana. La convinzione che l’intelletto stia den-tro al nostro cranio è in gran parte culturale, e dimentica una funzione fondamentale insita in ogni minima parte del nostro corpo.

Page 86: Perlappunto numero 0

I

86

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

I

MENTEECORPO

Félix Nadar, Quando ero fotografo (1900):Dunque, secondo Balzac, ogni corpo, in natura, è composto da varieserie di spettri, in strati sovrapposti all’infinito, stratificati inmembrane infinitesimali, in tutti i sensi in cui si attua la percezioneottica. Non essendo consentito all’uomo di creare, – cioè di darconcretezza a una cosa solida a partire da un’apparizione edall’impalpabile, ossia dal nulla fare una cosa – ogni operazionedaguerriana interveniva a rivelare, distaccava e tratteneva,annettendoselo, uno degli strati del corpo fotografato. Ne derivava perdetto corpo, e a ogni operazione ripetuta, l’evidente perdita di uno deisuoi spettri, ossia di una parte fondamentale della sua essenzacostitutiva.

Page 87: Perlappunto numero 0

I

MENTEECORPO

I

87

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

La parola Yoga in sanscrito significa unire, congiungere l’anima con il corpo o, se vo-gliamo, la mente con il corpo. La disciplina Yoga rappresenta, nella filosofia induista, un percorso che porta alla ricostruzio-ne dell’armonia tra i due piani individua-li, quello mentale e quelo spirituale, e successivamente all’unione tra Jivatman (energia individuale) e Paramatman (ener-gia universale). Nel diciannovessimo e in particolar modo nel ventesimo secolo la pratica yoga si è diffusa nel mondo occidentale, separata però dal suo corpus filosofico e religioso. La disciplina è stata così introdotta in occi-dente come una semplice attività di riequi-librio psicofisico.Questa disciplina, che fino a qualche anno fa era conosciuta da un numero relativa-mente limitato di persone, sta incontrando i favori di un pubblico sempre più ampio e variegato e così aumenta l’offerta di corsi ad hoc e discipline parallele. In mezzo a questa moltitudine di proposte e informazioni, spesso errate, diventa diffi-cile orientarsi per chi abbia il desiderio di conoscere meglio questa antichissima di-

sciplina, spesso presentata come una sem-plice ginnastica.Per cercare di capire che cosa stia dietro alla filosofia yoga e quali i suoi potenziali effetti sul corpo e sulla mente incontriamo Evelina Garbini (Ma Bodhi Nijena), inse-gnante di Yoga dal 1992, diplomata presso l’Istituto Patrian a Milano, uno dei primi a formare insegnanti di Yoga in Italia. Eve-lina, che per dieci anni ha fatto parte del direttivo della associazione spezzina Yoga e Salute, è operatore olistico e counselor olistico e al momento affianca l’attività di insegnamento con l’approfondimento e lo studio del Raja Yoga.Cominciamo dalla base: spesso in occiden-te tendiamo ad identificare lo yoga con lo hatha yoga, una forma particolare di que-sta disciplina, che in realtà è ben più arti-colata e complessa. Esistono infatti Hatha yoga, Bhakti yoga, Karma yoga, Jnana yoga e infine Raja yoga, che racchiude in sé tutti gli altri. «Un buon modo per farsi un’idea chiara dei vari livelli presenti nello yoga– spiega Evelina – è fare riferimento alle otto tappe di Patañjali».Patañjali , vissuto probabilmente intor-

Yoga:uno sguardo da Oriente

Alice Cervia

Page 88: Perlappunto numero 0

I

88

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

I

MENTEECORPO

no al 400 a.C, è ritenuto l’autore degli Yo-gasûtra e il suo yoga è conosciuto come ‘degli otto stadi’, perché si articola in otto tappe fondamentali, ovvero: yama, per l’armonizzazione delle relazioni interper-sonali; iyama per equilibrare le sensazio-ni interiori; asana, per il bilanciamento degli impulsi nervosi opposti; prânâyâma, ovvero concentrazione di tutta l’energia pranica; pratyâhâra, cioè raccoglimento ed eliminazione di tutte le distrazioni esterne rispetto alla persona; dhâranâ, concentra-zione della mente in un unico punto con l’eliminazione della confusione mentale; dhyâna, meditazione; samâdhi, stato di consapevolezza.In ogni caso la prima forma di yoga con cui di solito si entra in contatto è lo hatha yoga, ovvero un insieme di esercizi fisico-ginnici, âsana, e di esercizi di controllo del-la respirazione, o prânâyâma. Cerchiamo quindi di capire con Evelina Garbini quali siano i principali effetti nella pratica del-lo yoga: «I primi e più evidenti benefici in chi comincia a praticare yoga sono sicura-mente il miglioramento dell’equilibrio tra il sonno e la veglia, si comincia con l’avere un sonno regolare. Poi la respirazione, che diventa più consapevole e profonda, il cor-po migliora l’elasticità e percepisce il rilas-samento, ed infine maggiore equilibrio nel rapporto tra sistema nervoso simpatico e parasimpatico».Già da questi primi indicatori si può ca-pire come lo yoga sia una disciplina che

incide sia a livello fisico sia a livello menta-le, andando a mettere davvero in contatto il corpo e la mente: «Corpo e Mente non sono due entità separate, ma sono davvero insieme: quando si ha un pensiero negativo si avrà una risposta negativa anche a livello fisico, tramite i neurorecettori e i neuro-trasmettitori”. Lo yoga ha tra i suoi benefi-ci effetti quello di «rallentare i pensieri. Si crea uno spazio tra un pensiero e l’altro e questo aiuta le funzioni biologiche perché, in questo spazio è possibile ascoltare il cor-po». Si tratta, insomma, di una pratica fatta di piccoli passi, che portano davvero mol-to lontano. E la meditazione, che potrebbe apparire come un’esperienza unicamente mentale?«La meditazione è un’altra tappa delle otto previste da Patañjali. Non può arrivare su-bito, in quel caso sarebbe esclusivamente mentale, riflessiva. Invece nello yoga, la meditazione ha lo scopo di riportare armo-nia tra il corpo/mente e lo spirito. Quindi può avvenire solo nel momento in cui il corpo, epurato dagli schemi ripetitivi, si apre alla spiritualità. Questo è comune an-che a molti rituali religioni, o come nello sciamanesimo, ma non solo». Siamo sem-plicemente, continua Evelina «esseri spiri-tuali che vogliono fare esperienze umane».Restando sempre nell’ambito del rapporto tra lo yoga e la mente: sono in molti a sce-gliere questa disciplina per affrontare par-ticolari problemi quali l’ansia o la depres-sione, ma in che modo interviene lo yoga?

Page 89: Perlappunto numero 0

I

MENTEECORPO

I

89

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

«Lo Yoga, così come le altre discipline oli-stiche, lavora sulla globalità dell’individuo e non sul singolo episodio. Anche rispet-to a problematiche come queste, punta a rafforzare tutte le risorse della persona piuttosto che ad aggredire direttamente il disagio». Quindi anche l’analisi o una tera-pia psicoterapeutica possono essere effi-cacemente affiancate da questa disciplina perché «Un lavoro corporeo consapevole è alla base del proprio guaritore interiore, è quindi indispensabile lavorare anche sul corpo che, come la terra, trattiene tutto ciò che riceve».

Un consiglio di lettura:”Autobiografia di uno yogi”, di Paramhansa Yoga-

nanda, Astrolabio Ubaldini Edizioni.

E come si sceglie un buon insegnante di yoga?

Un buon insegnante di yoga è colui che di questa

disciplina fa un proprio percorso di crescita, è un ri-

cercatore, un professionista. Quello che insegna non

deve averlo solo imparato ma sopratutto sperimenta-

to. Quindi: cercare professionalità, esperienza, serietà

e infine…affidarsi al proprio istinto!

Page 90: Perlappunto numero 0

I

90

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

I

MENTEECORPO

Franz Kafka, “Lettera al padre - Gli otto quaderni in ottavo”“I martiri non sottovalutano il corpo, anzi lasciano ch’esso venga innalzato sulla croce. In questo sono concordi coi loro avversari”.

Page 91: Perlappunto numero 0

I

MENTEECORPO

I

91

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

Filosoficamente ParlandoManuali di filosofia della mente

Tra quelli, in lingua italiana, che forniscono una panoramica del problema mente-corpo, secondo i vari punti di vista da cui è stato affrontato dalla filosofia contempo-ranea, segnaliamo: M. Di Francesco, Introduzione alla filosofia della mente, Carocci, Roma 2002;A. Paternoster, Introduzione alla filosofia della mente, Laterza, Roma-Bari, 2003.Per una prospettiva di tipo storico segnaliamo invece: S. Nannini, L’anima e il corpo. Un’introduzione alla filosofia della mente, Laterza, Roma-Bari 2002;Mentre, in lingua inglese, uno dei testi fondamentali di riferimento per gli studi di filosofia della mente è:J. Kim, Philosophy of mind, Westview, Boulder 1996.

Alcuni testi di base relativi al problema mente-corpo

D. Chalmers, La mente cosciente, Mc-Graw-Hill, Milano 1999: in questo testo l’autore affronta il problema del mente-corpo, arri-vando alla conclusione dell’irriducibilità degli stati di coscienza, intesi come tratto saliente del “mentale”, agli stati cerebrali. In questa prospettiva, se anche le neuroscienze potessero fornire un resoconto esauriente sul funzionamento del cervello, non sarebbe possibile cogliere l’origine dell’esperienza cosciente. L’argomento apportato in proposito da Chalmers è quello della

possibilità (logica) degli zombies, cioè di esseri identici agli esseri umani, ma privi di questo tipo di esperienza. Nella letteratura epistemologica la posizione di Chalmers

Consigli di letturaa cura di Linda Lovelli

Page 92: Perlappunto numero 0

I

92

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

I

MENTEECORPO

prende il nome di “dualismo delle proprietà”, di cui l’autore fornisce un’interpreta-zione piuttosto radicale: per lui i fenomeni coscienti emergerebbero infatti non solo ri-spetto alle mere proprietà fisiche del cervello, ma anche rispetto a quelle funzionali.A. Civita, Saggio sul cervello e sulla mente, Guerini, Milano 1993: il testo deve il suo inte-resse al fatto di occuparsi del problema mente-cervello da una punto di vista alterna-tivo rispetto a quello della filosofia analitica della mente, che oggi va per la maggiore in ambito accademico.

A. Damasio, L’errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano, Adelphi, Milano 1995: in questo testo il neuroscienziato critica il punto di vista della teoria computazionale della mente, che a suo dire riprende indebitamente la distinzione cartesiana tra res cogita e res extensa attraverso l’opposizione software-hardwa-re, inadeguata poiché la coscienza si accompagna a stati emotivi che non possono essere descritti nel linguaggio delle macchine. Per Damasio infatti il cervello e il resto del corpo costituiscono un organismo indissolubile, tanto che è dalla loro interazione che si genera l’attività mentale: per questo la ragione non può essere “pura”, ma risulta piuttosto inscindi-bile dalla componente emozionale, così come dall’esperienza sensoriale e cinesteti-ca (per un approfondimento di questa concezione teorica si veda anche G. Edelman, La materia della mente, Adelphi, Milano 1993).

M. Di Francesco, La coscienza, Laterza, Roma-Bari 2000: il testo in-quadra il problema specifico della coscienza nell’ambito del pro-blema mente-corpo e più in generale della filosofia della mente. Vengono tenuti in grande considerazione i risultati delle scien-za della mente, senza che però questo comporti alcuna forma di riduzionismo, data l’irriducibilità dell’esperienza cosciente: il che conduce ad una forma di “dualismo epistemico”, in base al quale l’indagine empirica nell’ambito della realtà materiale non

può fornirci un’analisi esaustiva della nostra natura di soggetti d’esperienza, benché noi siamo anche descrivibili come entità materiali (si veda in proposito anche M. Di Francesco, L’io e i suoi sé, Cortina, Milano 1998).

Page 93: Perlappunto numero 0

I

MENTEECORPO

I

93

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

D. Dennett, D. R. Hofstadter, L’io della mente, Adelphi, Milano 2000: il libro è strutturato come una raccolta di racconti, articoli e sag-gi di autori diversi sul tema della natura della coscienza. Ciascun capitolo si chiude con un commento critico degli autori. Al suo interno segnaliamo in particolare: “Calcolatori e intelligenza” di A. Turing, uno dei primi testi in cui compare l’idea dell’analogia tra mente umana e calcolatore, “Menti, cervelli e programmi” di J. Searle, in cui invece l’assimilazione mente umana - computer

viene contestata tramite il celebre argomento della stanza cinese, e “Cosa si prova a essere un pipistrello?” di T. Nagel, in cui l’autore sottolinea, in funzione anti-ridu-zionistica, come il fenomeno della coscienza non possa essere colto dalla prospettiva oggettivistica della scienza.

G. Ryle, Lo spirito come comportamento, Laterza, Roma-Bari 1997: in questo testo si sot-tolinea, sulla scia del secondo Wittgenstein, come i termini del discorso mentalisti-co non designino stati privati di esperienza o altri enti interni, in quanto la mente non è una cosa, un oggetto. Per questo, essa non può essere concepita né come una res autonoma rispetto al cervello (Cartesio), né identificata con quest’ultimo, perché anche in questo modo si opterebbe per una reificazione della mente. La risposta di Ryle, quindi, è piuttosto di tipo comportamentistico: i termini psicologici denotereb-bero cioè disposizioni al comportamento.

J. Searle, La mente, Cortina, Milano 2005: il testo è incentrato sul-la critica all’impostazione cartesiana del problema mente-corpo, che ha condizionato interamente la tradizione filosofica succes-siva. Finora si è infatti presupposto, a detta dell’autore, che men-tale e fisico costituiscono due mondi distinti, che al limite pos-sono essere ridotti l’uno all’altro, come nel caso del monismo. L’autore propone invece di considerare il mentale come una pro-prietà di alto livello, che è sì causata da processi di tipo fisico, ma non per questo è ad essi riducibile. In questo Searle prende le distanze anche dal dualismo delle proprietà, che, a detta dell’autore, concepisce sempre il mentale come “sovrastante” il fisico, mentre per lui la coscienza non è altro che lo stato in cui si trova il cervello.

Page 94: Perlappunto numero 0

I

94

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

I

MENTEECORPO

Parlando filosoficamenteRecenti saggi o testi letterari legati al tema del corpo

M. Belpoliti, Il corpo del capo, Guanda, Milano 2009:questo testo ci racconta in che modo il fondatore della televi-sione commerciale italiana, Silvio Berlusconi, per costruire il proprio personaggio abbia scelto, a partire dagli anni Settanta, come mezzo principale non la tv, luogo dell’immagine in movi-mento, ma la fotografia. Non si tratta di un saggio politico: non contiene infatti una parola di plauso o di critica alle scelte del presidente del Consiglio. È piuttosto un testo di analisi della con-temporaneità, che spazia dal racconto storico sull’uso politico dell’immagine nel No-vecento (si veda in proposito la comparazione con Mussolini) all’analisi semiologica dell’immagine del corpo nel potere.

L. Fercioni Gnecchi, Tatuaggi: la scrittura del corpo, Mursia, Mila-no 1994: in questo testo, scritto dalla moglie di uno di maggiori tatuatori italiani, si traccia una storia del tatuaggio, inteso come modo di esprimersi tramite il corpo, dall’epoca primitiva ai gior-ni nostri, con particolare attenzione agli aspetti sociali e psicolo-gici, oltre che culturali. A tal fine si prendono in esame le teorie lombrosiane, citazioni letterarie e descrizioni contenute nei libri di viaggio e rappresentazioni pittoriche.

N. Lecca, Il corpo odiato, Milano, Mondadori 2009: questo romanzo è la storia dolorosa dell’atroce desiderio di un ragazzo omoses-suale di essere perfetto, di avere un corpo degno di essere amato da un altro ragazzo. A questo obiettivo Gabriele, il protagonista, crede di poter giungere attraverso una progressiva rinuncia al cibo e una continua lotta coi limiti della propria corporeità. Uno scorcio su una delle forme più emblematiche dell’isolamento, che è una possibilità con cui ogni essere umano si trova a fare i conti: per questo la rilevanza di questo testo va ben oltre i confini della cosiddetta cultura gay.

Page 95: Perlappunto numero 0

I

MENTEECORPO

I

95

MENTEECORPO

PERLAPPUNTO

A. Perri, Magre da morire, Aliberti 2008: si tratta di un’indagine sociologica, che è anche un atto di denuncia, relativa al dilagare del fenomeno dell’anoressia in Italia, che ha colpito un milione di adolescenti, per le quali l’astenersi dal cibo, oltre che essere una fissazione della mente che intacca il corpo, è anche un vero e proprio credo, condiviso su Internet da numerosissimi blog e communitiy pro Ana (il nome in codice per l’anoressia), in cui ci si sostiene a vicenda, dandosi consigli per non farsi scoprire, come in una setta segreta. Se ne consiglia la lettura in quanto permette di gettare luce su un aspetto inquietante della realtà giovanile, che ha bisogno di stare in ombra per continuare a crescere.

Page 96: Perlappunto numero 0

I

96

FILOSOFIANELMONDO

PERLAPPUNTO

I

FILOSOFIANELMONDO

FILOSOFIANELMONDO

Page 97: Perlappunto numero 0

I

FILOSOFIANELMONDO

I

97

FILOSOFIANELMONDO

PERLAPPUNTO

A riscaldare ulteriormente l’aria di Modena e dintorni, nel già tiepido week-end che ci ha condotti verso l’au-tunno del calendario, è stato il fiato molteplice, eterogeneo e continuo di centinaia di visitatori, esperti e curiosi, assetati di filosofia, i quali con le loro voci hanno creato una comunità del logos estemporaneo e inquieto, passio-nale e pasionario, eccitato ed indagan-te. Che il Festival di Filosofia di Modena rappresenti un evento – nel senso ba-nale e “pop” del termine – non è una scoperta né tanto meno una novità, ma il fatto che il tema di quest’anno fosse proprio la comunità, ha fatto sì che il concetto si sia reso palpabile e il senso abbia incontrato la sensazione per in-carnarsi.

Caratteristica ormai tradiziona-le del Festival di Modena è la presenza di grossi nomi, dalle indubbie capacità oratorie, e così, a intrattenere un pub-blico in continua crescita, sono stati chiamati, tra gli altri, alcuni tra i più importanti pensatori del problema del-la comunità – Jean-Luc Nancy, Roberto Esposito, Giacomo Marramao –, filoso-

fi italiani di grande calibro come Carlo Galli, Enrico Berti, Massimo Cacciari, Remo Bodei, Umberto Galimberti, Ser-gio Givone, Paolo Virno, Elena Pulcini, Marco Vozza, Maurizio Ferraris, Ma-rio Perniola, ma anche pensatori non essenzialmente filosofici come Marc Augè, Richard Sennett, John Elster e, a concludere le lezioni magistrali del Fe-stival, l’acclamatissimo Stefano Rodotà.

Il problema di un festival di filoso-fia, che ha tra i suoi principali obiettivi quello di portare il pensiero filosofico nelle piazze, si esplicita nel tenere assie-me, fianco a fianco seduti su scomode sedie, professori ordinari e semplici cu-riosi, ricercatori, dottorandi e professo-ri del liceo con i loro studenti, intellet-tuali, universitari e uomini della strada – o della piazza, appunto. Il tema della comunità, certo, è un tema che riguar-da tutti, ma gli esiti più squisitamente filosofici – e dunque più complessi – appartengono ad una pressoché infi-nita discussione per iniziati e rischiano di annebbiare o annoiare chi cerca di affacciarsi al mondo della filosofia. Le parole d’ordine del festival, identiche

La comunità dei pensantiappunti sul Festival di Filosofia di Modena 2009

Paolo Vignola

Page 98: Perlappunto numero 0

I

98

FILOSOFIANELMONDO

PERLAPPUNTO

I

FILOSOFIANELMONDO

a quelle delle precedenti edizioni, sono allora state “chiarezza”, “semplicità”, “comunicazione”. Così però, il rischio al quale questo festival è stato esposto si può pensare nella sua duplice valen-za: essere troppo superficiale a parere degli addetti ai lavori, per via di rela-zioni troppo sintetiche e semplificate, e rimanere nondimeno arcano a chi non si nutre di filosofia quotidianamente.

La scelta dei relatori, da parte degli organizzatori del festival, è comunque riuscita, almeno sulla carta, a far fron-te al duplice rischio, dal momento che tra gli invitati figuravano sia filosofi più tecnici e inclini a riflessioni per gli asse-tati di pensiero teoretico, sia pensatori letti da milioni di persone su quotidiani e settimanali. Sicuramente, chi cerca-va nelle lezioni magistrali il novum del pensiero di questo o di quell’altro filo-sofo sarà rimasto deluso. Ogni pensato-re infatti si è limitato a presentare o a ricordare le linee generali della propria prospettiva teorica rispetto al tema della comunità o a problemi ad essa inerenti. L’interessante però poteva es-sere estratto dalle relazioni concettuali che si venivano a creare nell’ascoltare una decina di conferenze nel giro di tre giorni. Relazioni capaci di accogliere prospettive e concetti eterogenei, per farli dialogare in uno spazio virtuale, un piano d’immanenza volto non tan-to a dare risposte chiare e distinte sulla comunità, quanto a permettere la co-struzione di proposte politiche nuove.

Il novum quindi era da costruirselo.I temi affrontati da questo festival sono stati molti, a volte anche apparente-mente distanti tra loro, ma una discre-ta apertura mentale, che al filosofo non dovrebbe mai mancare, può aiutare nel ruolo del bricoleur, del costruttore di prospettive inedite. Alcuni temi, a dire il vero, rappresentano dei grandi classici della filosofia – come “l’indivi-duo”, trattato in maniera magistrale e, a tratti, splendidamente teatrale, da Carlo Galli, “la libertà”, della quale si sono occupati sia Sergio Givone sia Fer-nando Savater, “l’amicizia” affrontata da Enrico Berti o “l’eros” che ha visto Marco Vozza e Umberto Galimberti oc-cuparsene ciascuno a modo suo. Altri temi invece, pur filosofici – come “la paura”, analizzata da Elena Pulcini, la “fiducia”, sulla quale ha riflettuto Sal-vatore Natoli, “l’altruismo” descritto da Laura Boella o “la carità”, presa di petto da Carlo Sini – appartengono al lessico più circoscritto e funzionale alla tratta-zione del grande tema della comunità. Tra queste due pseudo-categorie vanno aggiunte le tematiche vicine alla filoso-fia ma provenienti dalle scienze sociali, ed in questa composizione eterogenea si è fatto vedere un ospite virtuale duro da seppellire (per fortuna): Karl Marx, il quale era comunque stato “invitato” già nel programma del Festival. Marx è comparso proficuamente più volte nelle lezioni (in quelle di Sennett, Galli e Virno), indicando strade da (ri)per-correre o disincantando la vista dai voli

Page 99: Perlappunto numero 0

I

FILOSOFIANELMONDO

I

99

FILOSOFIANELMONDO

PERLAPPUNTO

pindarici, anche se – come direbbe Pao-lo Virno – comunismo non fa rima con comunità.Ma cosa fa rima con comunità? La do-manda è lecita, tuttavia gli sforzi dei filosofi in quel di Modena si sono con-centrati primariamente a mostrare che le rime per così dire baciate rischiano di creare comunità chiuse, irrespirabili, esclusive nei confronti della differenza e fatalmente omologanti per chi può esservi incluso. La sfida diviene quella di pensare a (una o più) comunità che non si fondino sui legami di sangue, ter-ra, religione o tradizioni secolari, bensì traggano forza di coesione dall’apertu-ra nei confronti dell’alterità e mirino al sopravvivere delle preziose differenze che contraddistinguono l’umano. For-se, allora, alterità fa rima con comunità. Che non si gridi allo scandalo, poiché di scandaloso, proprio a riguardo della co-munità, c’è ben altro, ed è sotto gli oc-chi di tutti noi italiani. Se non proprio sotto gli occhi, basta guardare nel no-stro mar mediterraneo, a qualche deci-na di chilometri dalle coste patrie, per vedere come il senso di una comunità chiusa e isogonica abiti le intenzioni di chi ci governa. Di fronte al problema di come il governo italiano affronta il problema dell’immigrazione, questo taglio nell’interpretazione della paro-la comunità – ossia comunità a partire dall’alterità – risulta immediatamente di grande valenza, non solo etica, ma anche politica.

Non a caso la particolare situazio-ne politica e culturale italiana di que-sti mesi – nella quale i giochi di potere della penisola rivelano in maniera pra-ticamente inedita il loro lato osceno, grottesco e inaridente – ha giocato un ruolo prezioso nella determinazione di un’atmosfera di riscossa intellettua-le ed etica, particolarmente evidente nelle centinaia di domande che il pub-blico ha rivolto ai relatori. Domande che avevano quasi sempre un referen-te nella nostra quotidianità, nel nostro vivere politico alle prese con una mi-seria socio-culturale crescente. È sta-to dunque, sicuramente, un festival di filosofia politico. Anzi, a ben pensarci, sebbene la componente di teoria filoso-fica fosse naturalmente maggioritaria, sarebbe addirittura lecito parlare di un “festival della politica” – nel senso no-bile e autentico del termine, o meglio un “festival del Politico” – più ancora di un “festival della filosofia politica”. Un festival della politica (o del Politi-co) perché a risorgere, nelle menti de-gli ascoltatori così come nelle gole dei conferenzieri, è stato uno spirito – ma-gari sotto forma di spettro, per ripren-dere, un po’ liberamente, gli interventi di Galli e di Rodotà – di consapevolezza, di democrazia partecipata e di opposi-zione critica, con cui la filosofia, specie in momenti bui come questi, deve dia-logare e dal quale può lasciarsi sedurre.

Page 100: Perlappunto numero 0

I

100

PERLAPPUNTO

I

Page 101: Perlappunto numero 0

I

I

101

PERLAPPUNTO

RUBRICHE

Page 102: Perlappunto numero 0

I

102

RUBRICHE/SINESTESIE

PERLAPPUNTO

I

RUBRICHE/SINESTESIE

Alterità, incontro, NauseaFrancesco Ferrari

SINESTESIE

“La miglior cosa sarebbe scrivere gli avvenimenti giorno per giorno. Tenere un diario per vederci chiaro. Non lasciar sfuggire le sfumature, i piccoli fatti anche se non sembrano avere alcuna importanza, e soprattutto classificarli. Bisogna dire come io vedo questa tavola, la via, le persone, il mio pacchetto di tabacco, poiché è questo che è cambiato.”Sono queste le primissime parole di Sartre. Come nasce la Nausea? In principio, è la neces-sità di una comprensione, auspicata mediante una scrittura che millimetri con aderenza e precisione sensazioni vaghe per capirne le dinamiche: una diagnosi, che di fatto è una pretesa di totale oggettivazione del sentire.L’uomo che vive la Nausea è ancor prima l’uomo che vive sensazioni: nelle impalpabili quanto vio-lente impressioni che ricava da un oggetto appa-rentemente innocuo, anche quando lo spoglia fino a che non ne rimane più nulla; egli è troppo consape-vole di poter essere condotto a cogliere in quella sem-plicissima “cosa” ricchissimi rimandi e rivelazioni:“Per esempio ecco un astuccio di cartone che contiene la mia bottiglia d’inchiostro. Bisognerebbe provare a dire come la vede-vo prima e come adesso la... Ebbene! È un parallelepipedo rettangolo

Page 103: Perlappunto numero 0

I

RUBRICHE/SINESTESIE

I

103

RUBRICHE/SINESTESIE

PERLAPPUNTO

che si distacca su – è idiota. Non c’è nulla da dirne.”Oltre un secolo prima di Sartre, Schleir-macher scriveva:: “Vedete l’esistenza di ciascuno come una rivelazione che vi viene fatta”. Ogni cosa poteva essere colta come un miracolo, cioè come mi-rabile, nella infinita possibilità di schiu-dere significati per la nostra esistenza. Il nichilismo compiuto, di cui la Nausea è cifra, è proprio l’occlusione di tali si-gnificati. È come se l’uomo della Nau-sea vivesse mosso dal sentimento di una inesorabile’alterità. dove si hanno contradditori percorsi di una trascen-denza strozzata.Sartre si comporta come “uno Scho-penhauer alla rovescia, tale, cioè, da farci pensare, anziché al nirvana del-lo spirito umano che tenta di dimen-ticare il Wille col naufragio del nulla delle cose, all’orgiastico ampliamento della pena di vivere, attribuita, in tra-gica conclusione, anche alle cose”. Se la Nausea fa torcere il nostro volto dal nostro esistere, dal contatto con le cose che abbiamo intorno a noi, che costitu-iscono il nostro mondo è perchè la Nau-sea è sentimento fondamentale dell’ Al-terità. La Nausea nasce come sensazio-ne, che si effonde con moto daimonico, quale voce interiore che ci accompagna allorché ci orientiamo nel mondo, de-stata dagli enti che incontriamo; è l’in-finita apertura di un’empatia, capovol-ta. Perché? Un flusso di sensazioni de-licatissime pervade chi avverta questa

voce: sinestesie. L’impossibilità di una completa fusione con la propria situa-zione, con il proprio abitarla,. qualora le vorticose sinestesie mosse dal nostro daimon più profondo siano taciute, fa sì che la Nausea incomba,viscosa e stri-sciante. “Se non sbaglio, se tutti questi segni che m’affollano sono precursori d’un nuovo capovolgimento nella mia vita, ebbene, ho paura. Non già che la mia vita sia ricca, o greve, o preziosa. Ma ho paura di quello che sta per nascere, per impadronirsi di me… e trascinarmi, dove?”Ogni volta che la sensazione viene mor-tificata, taciuta, sradicata, viene meno la presenza alla situazione in cui si è. La presenza è la pienezza del proprio esse-re che si avverte allorché ci si trova in una situazione, che fa da orizzonte al nostro esserci, è il dire “sono qui” alla situazione, nel sentirsi “dentro”, parte-cipe. Tale necessità nasce dalla natura “cosmica” dell’uomo: egli è apertura al tutto che lo circonda, di cui è parte; ma se tale armonia non può costituirsi, egli approda alla Nausea. La trascendenza si capovolge nel senti-mento dell’incommensurabile essere-altro delle cose che abbiamo intorno, del loro “non-essere-noi”, e dell’alterità che noi stessi esperiamo nei riguardi di noi stessi. La Nausea è impossibilità di rinconciliazione: viscosità, refrattarietà delle cose ad essere toccate, anzi ad es-sere esperite; un diaframma, una mem-brana occlusa.. Impenetrabilità.

Page 104: Perlappunto numero 0

I

104

RUBRICHE/SINESTESIE

PERLAPPUNTO

I

RUBRICHE/SINESTESIE

“Nelle mie mani,per esempio, c’è qualcosa di nuovo, una certa maniera di prendere la pipa o la forchetta. Oppure è la forchetta che adesso ha un certo modo di farsi prendere, non so”.Nella Nausea l’uo-mo è condan-nato a non poter essere “dentro” le cose, a sen-tirsi estraneo, al sentimento irrimargina-bile dell’alte-rità. La Nausea è inabitabilità, in quanto, coscien-ti di essere sempre consegnati ad una si-tuazione, ci troviamo ad essere assolutamente estranei, nell’impossibilità di riconciliarci. Ogni cosa allora, diviene assurda, manca un senso al fatto che essa sia stata da noi incontrata.La Nausea avviene all’in-terno di un incontro che, mancando il nostro esse-re “nell’incontro”, di fatto, non avviene affatto. Poichè la Nausea è incapacità di essere “dentro”, essa è impossibilità della Pre-senza per cui “Io non sono qui”. Mancare questo incontro comporta

che la realtà, da dono, possibilità per-manente di significati, rivelazioni, l’im-perativo schleiermachieriano “vedete

l’esistenza di ciascuno come una rivelazione che vi viene fat-

ta” si muta nella Nausea in un percorso ana-

morfico del reale in cui le cose incon-

trate, dalla loro p r i m o r d i a l e pregnanza, ce-dono il passo alla consta-tazione dell’

irrimarginabile alterità, fino a far

sì che l’esistenza stessa divenga l’alte-

rità irriducibile.Se la Nausea è anche

questo, “il dono rovesciato”, il ca-polgimento è con-dotto a partire da un’originaria prospettiva di Senso. Se l’uomo

non riconduce gli enti incontrati nella sua gettatezza ad un orizzon-te abbracciante che of-

fra Senso, tutto esiste invano, e l’estatica e commossa contempla-

zione schleiermacheriana avrà come rovescio la Nausea sartriana:“Non avevo il diritto d’esistere. Ero ap-

Page 105: Perlappunto numero 0

I

RUBRICHE/SINESTESIE

I

105

RUBRICHE/SINESTESIE

PERLAPPUNTO

parso per caso, esistevo come una pie-tra, una pianta, un microbo. La mia vita andava a capriccio, in tutte le direzioni. A volte mi dava avvertimenti vaghi, a volte non sentivo che un ronzio senza conseguenze”.Una metanoia che, partendo dal sentir-ci donati al mondo, e pertanto inclini a sentirci “nel mondo”giunge al non sen-tirsi mai a casa propria,in un indistinto “nessun luogo”. L’atto di esistere di-viene allora la gettatezza tra le braccia dell’assurdo.La concezione della realtà come incontro e dono ha mantenuto lo stesso sentore di alterità, in una meta-noia dove l’altro, nella stessa mia situa-zione ove mi oriento, è tale da destarmi Nausea per il semplice fatto che è. Epicentro della Nausea è che il mondo non abbia senso; pertanto, ogni “chi” ed ogni “che cosa”, da vertiginosa ci-fra della trascendenza viene ridotto ad una “semplice presenza” per cui “esiste,ecco tutto” e di qui “è già di troppo”, per il solo fatto di esistere, nell’orizzonte dove “in principio era il non-senso”.Oltre un secolo dall’annuncio della “morte di Dio”, per l’uomo pare presup-posta la Nausea piuttosto che la pienez-za, la continua possibilità di rivelazioni ed incontri nell’orientarsi nel mondo, sicchè l’apertura dell’uomo, privata di ogni forma di significatività, vive come una “perdita del complemento ogget-to” che non risparmia alcunché; e ben presto, nemmeno la stessa apertura.Attraverso le vie della sineste-

sia e dell’empatia è possibile vivere quell’apertura, quell’incontro col mon-do in un ascoltare che è rapportato alla significatività reperibile nel mondo nel quale io sono.Cogliendo significatività nel mondo possiamo sentirlo nostro: esso ha da essere abitabile. Sentire è cosa diversa dal capire e l’i-spirazione ne è il pun-to di divaricazione.: La sensazione è la voce daimonica di questa ispirazione, la cui possibilità di ascolto è in noi per-manente; è la voce di una trascenden-za che s’incontra continuamente nel mondo; è la voce di quell’Universo che occorre per ricevere l’altro come dono-rivelazione.

Page 106: Perlappunto numero 0

I

106

RUBRICHE/ISOGNIDELL’OROLOGIAIO

PERLAPPUNTO

I

RUBRICHE/ISOGNIDELL’OROLOGIAIO

Come e perché comunicare l’EuropaUna porta aperta verso i nostri valori comuni

Giuseppe La Rocca

ISOGNIDELL’OROLOGIAIO

L´Italia è stata sempre crocevia di po-poli e culture diverse, e la sua popola-zione presenta ancora oggi i segni di questa diversità e di questo arricchi-mento continuo, di questa diversità che ha portato alla formazione di identità molteplici ma allo stesso tempo unite dall’appartenenza ad un territorio .Le culture sono dei sistemi fluidi e gli individui interpretano attivamente le loro tradizioni rinnovandole per poter gestire i cambiamenti che le relazioni

con gli altri inevitabilmente comporta-no1.Grazie a questi principi l´Italia svolge in Europa una politica di pace e di rispetto di tutti i popoli, per promuovere la con-vivenza tra le nazioni, per sconfiggere

1 Il concetto è ben esplicato in un artico-lo di Adel Jabbar, sociologo Università Ca’ Foscari di Venezia, dal titolo Multiculturalismo: La cul-tura delle differenze, sul portale di informazione mediterranea Infomedi. http://www.infomedi.it/adel_jabbar_multiculturalismo.htm

Page 107: Perlappunto numero 0

I

RUBRICHE/ISOGNIDELL’OROLOGIAIO

I

107

RUBRICHE/ISOGNIDELL’OROLOGIAIO

PERLAPPUNTO

discriminazioni di ogni genere.Queste buone pratiche si fondano sulla costruzione di percorsi e di processi di appartenenza europea che investono l’educazione e la formazione, dunque quasi un processo di ingegneria sociale che tramite processi comunicativi inte-grati tra l’istituzionale, il pubblico ed il sociale investono i nuovi cittadini eu-ropei e cercano di formare le coscienze di quelli che saranno i cittadini europei del domani2.Un elemento di criticità tuttavia risiede, a volte, nel mancato coinvolgimento dei destinatari finali della comunicazio-ne di questi valori (i cittadini europei): la nuova Europa ha finito per essere percepita più come l’Europa dei buro-crati che non come l’Europa dei popoli. Non è un caso se il sito della Vice presi-dente della Commissione europea Mar-got Wallström si apre con la seguente frase «I believe that it is essential to speak with people, rather than talk at them. What matters is to engage in a dialogue. Communication can never be one-way»3 e se nel suo comunicato stampa di lancio del Piano d’azione del-la Commissione per il miglioramento della comunicazione sull’Unione euro-pea si legge il seguente slogan: «Listen,

2 Pira F, Come Comunicare il sociale, Mila-no, Franco Angeli, 2006, p.25

3 http://blogs.ec.europa.eu/wallstrom/

Communicate, Go local»4. Ed è proprio sull’unione di processi glo-bali e locali che negli ultimi anni si è fo-calizzata l’attenzione di molti sociologi europeisti che hanno coniato il termine glocalizzazione5, infatti pur mantenendo una prospettiva di politiche ed econo-mia sovrannazionale l’Europa ha pun-tato molto sulla valorizzazione delle re-altà regionali, innescando nei cittadini europei una sorta di doppio processo di identificazione che faceva proiettare la loro specificità e particolarità all’inter-no di un contesto di più largo respiro: cittadini d’Europa ma con un bagaglio territoriale da comunicare. Queste due prospettive, locale e globale, non si escludono, anzi si completano a vicen-da.L’Europa, quindi, non è uno spazio ge-ografico, né una formula politica, ma è il nostro passato che dopo le sanguino-se vicende del XX secolo si rimette in moto verso un futuro comune, vivendo un presente fatto di lavoro per la co-struzione di una società dell’integrazio-ne e della comunicazione.«Mai più» fu la parola d’ordine dei pri-mi europeisti, «visionari» come Schu-mann, Adenauer, Spinelli che sulle tragedie e le divisioni del 1945 intra-videro un futuro di unità, di pace e di

4 Martelli S., Sociologia dei processi cultura-li, Brescia, Editrice La Scuola, 1999, p. 165

5 G. Baumann L’enigma multiculturale, Bo-logna, Il Mulino 2003, p. 7

Page 108: Perlappunto numero 0

I

108

RUBRICHE/ISOGNIDELL’OROLOGIAIO

PERLAPPUNTO

I

RUBRICHE/ISOGNIDELL’OROLOGIAIO

progresso, persone che hanno azionato un percorso progettuale creativo ed in-novativo che ancora oggi continuiamo a vivere nonostante lo scetticismo in-fondato di alcuni.Ed è proprio per questo che una comu-nicazione lontana dalla propaganda e dalla pubblicità, in grado di definire principi comuni, creare le condizioni di una vera partecipazione, collabora-re con i media, dare impulso alle tec-nologie di rete, favorire l’ascolto e la cooperazione tra cittadini e Istituzioni europee può essere uno strumento ed un metodo per comunicare quei valo-ri comuni di solidarietà, accoglienza, dialogo che uniscono molte nazioni in un’unica unione di intenti.Inoltre, una comunicazione capace di realizzare forti processi di identità, partendo dalle singole comunità locali, regionali e nazionali, ripercorrendo il concetto di glocalizzazione, garantirebbe stabilità nel tempo nella formazione di un’identità sociale condivisa.Ma all’interno di questo percorso si in-serisce una prospettiva monotematica indicata dalla Commissione Europea, ed in questo senso come non pensare che il 2008 è stato voluto come l’Anno del Dialogo Interculturale.La necessità di un’etica della conviven-za, che favorisca il controllo e lo scam-bio tra le culture, è divenuta includibi-le. La crescente interdipendenza tra le nazioni della terra e lo spostamento di

parti consistenti di popolazione del sud del mondo anche sul nostro territorio determinano di fatto la nascita di una società multiculturale6. Al di là dei complessi problemi di natu-ra socio-economica e politica, che esi-gono di essere affrontati con urgenza mediante la creazione di un nuovo or-dine mondiale�, emergono questioni in-quietanti legate al difficile rapporto tra differenti tradizioni etniche e religiose. L’idea di porre al centro dell’attenzio-ne il dialogo interculturale nasce come risposta alle complesse tendenze che investono i rapporti sociali nelle nostre comunità.L’analisi della realtà europea, a volte, mette in luce la presenza di un conflitto permanente che si lega ad una profon-da difficoltà di cogliere la complessità dell’esperienza umana e dalla facilità con cui le visioni stereotipate si impon-gono nell’immaginario collettivo.Fortunatamente sono molte le associa-zioni e le istituzione che quotidiana-mente cercano di inculcare e comuni-care un senso di comunità, fratellanza

6 Todorov T., Il nuovo disordine mondiale. Le riflessioni di un cittadino europeo, Milano,Garzanti, 2003. Tzvetan Todorov esamina l’attuale situazio-ne geopolitica mondiale e smonta diversi luoghi comuni, partendo spesso dall’analisi del linguag-gio utilizzato da politici e media. Nell’ultima par-te del volume, Todorov individua i fondamenti di una possibile politica estera europea: parte da alcuni valori quali razionalità, giustizia, democra-zia, libertà individuale, laicismo, tolleranza per giungere alla loro applicazione pratica nell’attua-le scenario mondiale.

Page 109: Perlappunto numero 0

I

RUBRICHE/ISOGNIDELL’OROLOGIAIO

I

109

RUBRICHE/ISOGNIDELL’OROLOGIAIO

PERLAPPUNTO

e condivisione di valori comuni nella valorizzazione della differenza, contesto che ci permetterà di ac-quisire maggiore consapevolezza sulla ricchezza insita in ogni realtà territoriale per cogliere le ric-chezze che ogni popolo è in grado di esprimere.Come ha scritto Elias Cha-cour in un suo importante saggio: «Prima di essere ebrei, musulmani, palestinesi, siamo innanzitutto degli uomini e del-le donne. Non bisogna dimenti-care la nostra identità comune» [...] Bisogna andare oltre la tolle-ranza, bisogna accettarsi gli uni gli altri. Accettare che l’altro sia diverso e accettare questa diversità come un ar-ricchimento, non come un peri-colo. E’ in questo senso che le mentalità devono evolvere»�.Non saremo mai, infatti, citta-dini europei se non avremo ben chiare le nostre e le altrui radici.Se non sapremo dialogare con diverse culture, religioni e valori. Se non sare-mo capaci di mantenere in perfet-to equilibrio tradizione e innova-zione.È questo che ci rende davvero ita-liani, poi cittadini europei e del mondo diventato all’improvviso così piccolo grazie alle tecnologie e alla comunica-zione.

Page 110: Perlappunto numero 0

I

110

RUBRICHE/SOSTENIAMO

PERLAPPUNTO

I

RUBRICHE/SOSTENIAMO

Prima puntata della rubrica “SosteniA-mo” che diventerà, spero, un appunta-mento semestrale della Rivista “Il Filo del rasoio”. Una rubrica dall’intento ambizioso: raccontare di volta in vol-ta i vari aspetti del ‘vivere sostenibile’, concetto che sta prendendo, fortunata-mente , sempre più campo.Nella definizione data dal Rapporto Brutland del 1987 con il termine soste-nibilità si intende:”Equilibrio fra il sod-disfacimento delle esigenze presenti senza compromettere la possibilità del-le future generazioni di sopperire alle proprie”.E’ facilmente intuibile quindi come questo possa essere declinato nei vari ambiti della nostra vita:possiamo mangiare, acquistare, viag-giare, ed anche …sposarci in modo so-stenibile.Ecco quindi l”idea di fondo di “Soste-niAmo” : raccontare di volta in volta i vari comportamenti sostenibili che ognuno di noi può mettere in pratica. Cominciamo, in questa puntata zero,

con un aspetto sicuramente fondamen-tale, che è stato forse uno dei primi a trovare un gran numero di “seguaci” : “il consumo critico”, prendendo in esa-me una realtà che si va sempre più af-fermando ovvero i Gruppi di Acquisto Solidale.Con ‘consumo critico’ si intende l’ or-ganizzazione delle proprie abitudini di acquisto in modo tale da preferire pro-dotti che abbiano determinati requisiti .Pionieristico in questo senso il Cen-tro Nuovo Modello di Sviluppo che, nato a Vecchiano nel 1985, lavora per aumentare la consapevolezza del fat-to che l”acquisto non sia un atto ba-nale e innocuo quanto può sembrare. L”impatto delle nostre scelte ha infatti conseguenze di natura sociale, politica ed ambientale.Coordinato da Francesco Gesualdi, il CNMS affronta i temi del disagio eco-nomico e ambientale sia con partico-lare attenzione al Sud del mondo. Sono state realizzate in questi anni diverse

Il consumo criticoe i Gruppi di Acquisto Solidale

Alice Cervia

SOSTENIAMO

Page 111: Perlappunto numero 0

I

RUBRICHE/SOSTENIAMO

I

111

RUBRICHE/SOSTENIAMO

PERLAPPUNTO

guide per il ‘consumatore consapevole’: Guida al consumo critico, Guida al ve-stire critico e Manuale per un consumo responsabile, tutte a cura del Centro Nuovo Modello di Sviluppo.A partire dalla nuova consapevolezza dei consumatore sviluppatasi in que-sti anni sono nate esperienze quali le campagne di boicottaggio nei confronti di aziende irrispettose dei diritti dei la-voratori e dell’ambiente e, conseguen-temente, la sensibilizzazione verso la necessità di prodotti che siano “equi e solidali”, infine l’esperienza dei gruppi d’acquisto

Per ‘consumare in modo critico e cosa-pevole’, infatti, molte persone in questi ultimi anni si sono riunite per costitui-re i Gruppi di Acquisto Solidali. Cerchia-mo di capire meglio di cosa si tratta.Un Gas è un insieme di persone che si uniscono per acquistare determinati prodotti direttamente dal produttore. Può trattarsi di alimenti o prodotti per la casa, la cosmesi o l’abbigliamento che devono rispettare alcuni fondamentali requisiti: si cercano prodotti biologi-ci o ecologici, realizzati rispettando le condizioni di lavoro. Inoltre l’acquisto prevalentemente da produttori locali, oltre ad essere u n incentivo alla ripre-sa economica di questi ultimi, sposa in pieno il concetto di ‘filiera corta’: ridu-zione dell’inquinamento e dello spreco

di energia derivanti dal trasporto.Fondamentale per chi volesse intra-prendere l’esperienza di creare un gas, è partire da un gruppo affiatato di per-sone, munirsi di un po” di pazienza e di una buona dose di organizzazione. Oc-correrà infatti selezionare i produttori della propria zona, cercando di andare a visitarli personalmente in modo tale da rendersi conto delle effettive condi-zioni di produzione; fondamentale poi è una buona suddivisione dei compiti tra i componenti dello stesso gruppo d”acquisto.In ogni caso in molte città esistono già gas ben collaudati e, per avere informa-zioni su quelli più vicini della propria zona, è possibile consultare il sito:www.retegas.org

Page 112: Perlappunto numero 0

I

112

RUBRICHE/SOSTENIAMO

PERLAPPUNTO

Giuseppe La Rocca (Palermo, 1984) è laurea-to in Comunicazione Pubblica con una tesi in Letterature Comparate. Giornalista pubblicista, lavora come libero professionista nel campo della comunicazione e progettazione.

Andrea Sangiacomo (Genova, 1986) ha studiato all’Università di Genova e al San Raffaele di Mila-no, occupandosi di ontologia e filosofia del lin-guaggio. È curatore per Bompiani delle opere complete di Spinoza. Attualmente è dottoran-do di ricerca presso l’Università di Macerata.

Maria Elena Buslacchi (Genova, 1986) è laureata in Filosofia presso l’Università di Genova ed ha studiato a Parigi presso l’Université Paris Diderot. Giornalista pubblicista, collabora con diverse testate italiane.

Eleonora Maino (Bergamo, 1970), psicologa e psicoterapeuta a indirizzo sistemico-relaziona-le lavora dal 1998 presso il Servizio di Psicologia della Famiglia dell’IRCCS “E. Medea” - Associa-zione “La Nostra Famiglia” - Bosisio Parini (LC) e insegna “Psicodinamica dello Sviluppo e delle Re-lazioni Familiari” presso la Facoltà di Psicologia dell’Università degli Studi di Padova

Matteo Casu (Genova, 1984) è laureato in Filo-sofia ed è attualmente studente di dottorato presso il Dipartimento di Informatica, Sistemistica e Telematica dell’Università di Genova. Si occupa di ontologia e logica applicata.

Alice Cervia (Massa 1984), laureata in Scienze Politiche Internazionali all’Università di Pisa con tesi sulle microteorie del conflitto nelle relazio-ni internazionali, attualmente collabora con il giornale on line “Città della Spezia”.

Luca Bavassano (Genova, 1986) studia Medicina presso l’Università di Genova.

Paolo Vignola (Albenga, 1978) dottore di ricerca in filosofia, i suoi interessi di studio riguardano la filosofia francese contemporanea, l’estetica, la comunicazione, il rapporto tra uomo e ani-male. Oltre a diversi articoli pubblicati su ri-viste specializzate e su edizioni collettanee, ha pubblicato in volume “Le frecce di Nietzsche. Con-frontando Deleuze e Derrida”, ECIG, Genova 2008.

Francesco Ferrari (Genova, 1986) è laureato in

Filosofia presso l’Università di Genova.

Attualmente prosegue i suoi studi presso l’Uni-

versità di Tubinga, specializzandosi su Martin

Buber.

GLIAUTORI

PERLAPPUNTO