ICS NEWS numero 0

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Intendere la politica come l’arte di governare ciò che è di tutti, per il bene dei cittadini, non ha mai cessato di essere un’aspirazione da parte degli uomini. Alcuni governan- ti tra i più importanti sono chiamati “ministri”, servitori di questo “bene” che è il bene dell’insieme e, unita- mente a tutte le altre cariche che esistono nella nostra organizzazione democratica, dalle amministrazioni locali a quella centrale nazionale, sviluppano, o dovrebbero sviluppa- re, la funzione amministrativa della cosa pubblica non come proprietà ma come luogo del bene maggio- re. Nei modi concreti, assistiamo a pra- tiche di altro genere: accade che i servizi di questa cosa appaiano più come favori grazie ad amicizie degli amici. Succede, poi, che se le cose vanno così, quei servitori non ser- vono più tutti e servono un po’ più se stessi, governando solo per poter essere rieletti e mantenere il potere o per terminare un progetto, non più di tutti, ma di alcuni. Non si parla più di alleanze per programmi, ma di accordi per interessi; si creano reti di corruzione, malaffare, basso “fare politico” che si sporca davanti agli interessi di pochi. Accade così che tutti i cittadini uguali diventano cittadini di serie A e di molte serie inferiori. Cessa il fine per cui nasce la politica perché si privilegia l’interes- se di pochi a scapito di tanti. Il bene (segue a pag.2) Editoriale di Francesco Paolo Monaco XN è un progetto d’informazione culturale, sociale e politica voluto da Ics, ma da essa indipendente, costituito da giornalisti volontari che credono nell’impegno e nella sfida di un’informazione alternativa, seria ed equilibrata senza i toni dello scontro. Un giornalismo di prossimità, ancora umano ed empatico, attento al lessi- co impiegato, che sta dalla parte di quella “pubblica verità” che il giornali- sta e vittima della mafia Pippo Fava descriveva nello Spirito di un giornale. XN sa ascoltare e far parlare in prima persona anzitutto le fasce più deboli della popolazione. Per provare a Cos’è XN? di Andrea Aufieri, a nome della Redazione ritessere le trame interattive della cittadinanza, troppo spesso spezzate da abusi, soprusi e indifferenza. Per tastare il polso della gente, quella per cui gli accordi segreti tra le aziende, gli accordi diplomatici sottobanco, il signoraggio, le connivenze tra stato e malavita, i meccanismi del quinto potere, tutte le guerre, sono brutte malattie, come anche il pizzo, la raccomandazione, lo sfruttamento e tutte le fratture aperte nel mondo del lavoro, che ci fanno dimenticare di essere portatori sani di dignità; tutti, nessuno escluso, e ben al di sopra della precarietà totalizzante cui ci si vorrebbe ridurre, come di ogni logica finanziaria. Perché si è detto troppo spesso che il vento è cambiato. Dimostriamolo, lot- tando perché le notizie non siano ap- pannaggio di network con secondi fini di predominio, controllo, consumo, cominciando a parlare dei bordi del- le strade, dei bordi della vita, parlan- do di salute, di relazioni, dell’amore, di un ambiente sano. E di legalità, della buona politica dal basso, della tra- sparenza, delle pari opportunità: dei tratturi meno visibili, meno affannati dalla ricerca di un posto al sole, che portano alla comunione tra le genti. Per una cultura della pace, di cui siamo innamorati al punto da volerla vivere concretamente. Qui, al centro di quel crocevia che Antonio Bello da Alessano cercava di rendere “arca di pace” contro chi vedeva una Puglia come strumento, “arco”, di guerra. E ancora da qui, dove un pensiero meridiano aperto, ospitale, pacifico, apparentemente lento solo perché profondo, attende d’irradiarsi nella nostra generazione. L’associazione Impegno cristiano sociale è una realtà laica nata in un momento difficile per la nostra società. I soci fondatori hanno sentito la necessità di costruire qualcosa di nuovo insieme a tutti coloro che vorranno partecipare a questo progetto che mira a rinno- vare i principi e le dinamiche che ci governano. Il manifesto parla da solo, l’attenzione alla persona, alla giustizia sociale, al lavoro ed alla partecipazione della gente semplice, vista non come mera destinataria ma prima di tutto Cos’è Ics? di Fabio Ungaro presidente Ics come ideatrice delle politiche da adottare. L’associazione propone il dialogo sempre e comunque, senza pregiudizi di alcun tipo, per la risoluzione delle problematiche sociali. Tutti insieme costruiremo un’alternativa per dare una svolta all’attuale situazione. Quello che l’associazione si propone è rendere partecipi tutti coloro che lo vor- ranno restituendo il potere e i diritti alla collettività. Chi sposa la linea di Ics è una persona concreta che però non accetta compromessi sui valori, sugli ideali e sulla correttezza dei principi, in una parola la po- tremmo definire radicale. Alla base di tutto c’è il rispetto dell’altro, il proporre la propria linea senza mai criticare quella dell’altro, perché chi ascolta possa decidere tra due proposte differenti e non tra un parere e la critica di quel parere. Sarebbe inutile a questo punto sot- tolineare che l’associazione crede nella risoluzione non violenta dei conflitti a qualunque livello, parten- do da quello tra le singole persone. Ics crede nel confronto senza al- cuna preclusione o pregiudizio per creare una cultura collaborativa e non oppositiva. È questo un modo rivoluzionario di costruire la società, appianando i conflitti che portano giovamento solo ai pochi che li ali- mentano. In conclusione voglio sot- tolineare che Ics è uno strumento di partecipazione, questo vuol dire che per raggiungere gli ambiziosi obiettivi che si propone ha bisogno dell’adesione di tanti che credano nella limpidezza di questo progetto. DIRITTI UMANI COSÌ VICINI COSÌ LONTANI a 63 anni dalla Dichiarazione, una visione glocale dei diritti dell’uomo (pagg 2 e 3)

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Il primo numero del periodico Ics News

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Intendere la politica come l’arte di governare ciò che è di tutti, per il bene dei cittadini, non ha mai cessato di essere un’aspirazione da parte degli uomini. Alcuni governan-ti tra i più importanti sono chiamati “ministri”, servitori di questo “bene” che è il bene dell’insieme e, unita-mente a tutte le altre cariche che esistono nella nostra organizzazione democratica, dalle amministrazioni locali a quella centrale nazionale, sviluppano, o dovrebbero sviluppa-re, la funzione amministrativa della cosa pubblica non come proprietà ma come luogo del bene maggio-re. Nei modi concreti, assistiamo a pra-tiche di altro genere: accade che i servizi di questa cosa appaiano più come favori grazie ad amicizie degli amici. Succede, poi, che se le cose vanno così, quei servitori non ser-vono più tutti e servono un po’ più se stessi, governando solo per poter essere rieletti e mantenere il potere o per terminare un progetto, non più di tutti, ma di alcuni. Non si parla più di alleanze per programmi, ma di accordi per interessi; si creano reti di corruzione, malaffare, basso “fare politico” che si sporca davanti agli interessi di pochi. Accade così che tutti i cittadini uguali diventano cittadini di serie A e di molte serie inferiori. Cessa il fine per cui nasce la politica perché si privilegia l’interes-se di pochi a scapito di tanti. Il bene

(segue a pag.2)

Editorialedi Francesco Paolo Monaco

XN è un progetto d’informazione culturale, sociale e politica voluto da Ics, ma da essa indipendente, costituito da giornalisti volontari che credono nell’impegno e nella sfida di un’informazione alternativa, seria ed equilibrata senza i toni dello scontro. Un giornalismo di prossimità, ancora umano ed empatico, attento al lessi-co impiegato, che sta dalla parte di quella “pubblica verità” che il giornali-sta e vittima della mafia Pippo Fava descriveva nello Spirito di un giornale. XN sa ascoltare e far parlare in prima persona anzitutto le fasce più deboli della popolazione. Per provare a

Cos’è XN?di Andrea Aufieri,

a nome della Redazione

ritessere le trame interattive della cittadinanza, troppo spesso spezzate da abusi, soprusi e indifferenza. Per tastare il polso della gente, quella per cui gli accordi segreti tra le aziende, gli accordi diplomatici sottobanco, il signoraggio, le connivenze tra stato e malavita, i meccanismi del quinto potere, tutte le guerre, sono brutte malattie, come anche il pizzo, la raccomandazione, lo sfruttamento e tutte le fratture aperte nel mondo del lavoro, che ci fanno dimenticare di essere portatori sani di dignità; tutti, nessuno escluso, e ben al di sopra della precarietà totalizzante cui ci si vorrebbe ridurre, come di ogni logica finanziaria. Perché si è detto troppo spesso che il vento è cambiato. Dimostriamolo, lot-tando perché le notizie non siano ap-pannaggio di network con secondi

fini di predominio, controllo, consumo, cominciando a parlare dei bordi del-le strade, dei bordi della vita, parlan-do di salute, di relazioni, dell’amore, di un ambiente sano. E di legalità, della buona politica dal basso, della tra-sparenza, delle pari opportunità: dei tratturi meno visibili, meno affannati dalla ricerca di un posto al sole, che portano alla comunione tra le genti. Per una cultura della pace, di cui siamo innamorati al punto da volerla vivere concretamente. Qui, al centro di quel crocevia che Antonio Bello da Alessano cercava di rendere “arca di pace” contro chi vedeva una Puglia come strumento, “arco”, di guerra. E ancora da qui, dove un pensiero meridiano aperto, ospitale, pacifico, apparentemente lento solo perché profondo, attende d’irradiarsi nella nostra generazione.

L’associazione Impegno cristiano sociale è una realtà laica nata in un momento difficile per la nostra società. I soci fondatori hanno sentito la necessità di costruire qualcosa di nuovo insieme a tutti coloro che vorranno partecipare a questo progetto che mira a rinno-vare i principi e le dinamiche che ci governano. Il manifesto parla da solo, l’attenzione alla persona, alla giustizia sociale, al lavoro ed alla partecipazione della gente semplice, vista non come mera destinataria ma prima di tutto

Cos’è Ics? di Fabio Ungaro

presidente Ics

come ideatrice delle politiche da adottare. L’associazione propone il dialogo sempre e comunque, senza pregiudizi di alcun tipo, per la risoluzione delle problematiche sociali. Tutti insieme costruiremo un’alternativa per dare una svolta all’attuale situazione. Quello che l’associazione si propone è rendere partecipi tutti coloro che lo vor-ranno restituendo il potere e i diritti alla collettività. Chi sposa la linea di Ics è una persona concreta che però non accetta compromessi sui valori, sugli ideali e sulla correttezza dei principi, in una parola la po-tremmo definire radicale. Alla base di tutto c’è il rispetto dell’altro, il proporre la propria linea senza mai criticare quella dell’altro, perché chi ascolta possa decidere tra due

proposte differenti e non tra un parere e la critica di quel parere. Sarebbe inutile a questo punto sot-tolineare che l’associazione crede nella risoluzione non violenta dei conflitti a qualunque livello, parten-do da quello tra le singole persone. Ics crede nel confronto senza al-cuna preclusione o pregiudizio per creare una cultura collaborativa e non oppositiva. È questo un modo rivoluzionario di costruire la società, appianando i conflitti che portano giovamento solo ai pochi che li ali-mentano. In conclusione voglio sot-tolineare che Ics è uno strumento di partecipazione, questo vuol dire che per raggiungere gli ambiziosi obiettivi che si propone ha bisogno dell’adesione di tanti che credano nella limpidezza di questo progetto.

DIRITTI UMANI COSì VICINI COSì LONTANIa 63 anni dalla Dichiarazione, una visione glocale dei diritti dell’uomo(pagg 2 e 3)

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(segue dalla prima) di tutti è sopraffatto dal bene di pochi che è più effimero e che, per questo, chiede “rivoluzioni” più ravvicinate fra loro. Oggi, è il tempo di questa “rivoluzione”.Una politica che arriva a questo punto, è malata! È una diagnosi amara, che si ripete ciclicamente, e che dal passato non impara per poi ripetere gli stessi errori. Noi vogliamo provare ad imparare da ciò che è stato, valu-tare ciò che è, e provare a sanare questo male con la PARTECIPAZIO-NE. L’assenza, il disimpegno, il sonno, sono la morte del bene comune.Una nuova politica nasce da una nuova cultura. Noi vogliamo dare il nostro contribu-to alla realizzazione di questa nuova cultura.Innanzitutto vogliamo mettere fine alla dualità: lui brutto, io bello; lui cattivo, io buono. La politica non gridata, efficace non per antitesi, ma per idee da offrire alla gente, alla vita quotidiana.Partecipazione attiva, ma non di contrapposizione; appassionata e resistente, ma non offensiva; affer-mativa, concreta e onesta e non di pseudo “accordi-interessi”. Partire dai bisogni non soddisfatti per gli egoismi di pochi, dai vissuti reali dei cittadini, da una sapienza che tragga dalla storia direzioni e che si faccia attrarre dal futuro dei valori comuni che la caratterizzano. Noi siamo pronti. Della prontezza di chi ha i fianchi cinti per la partenza e le valigie preparate per un viag-gio d’insieme entusiasmante con quanti vogliono condividere il nostro manifesto. Pronti ad un fare che inizi a risvegliare il realizzare davvero questa nuova cultura politica.Vogliamo essere attenti ai bisogni sociali, ma anche alle ricchezze di tanta gente che che non si ritrova più e che, nel nostro riferimento, si può sentire rappresentata nei valori ispirativi e nelle azioni che riusciremo a coniugare sul piano locale e nel senso più ampio territoriale.Manifestiamo la nostra disponibilità non solo a un “tutti” generico che hanno a cuore la “medicina” della partecipazione, ma anche a tutti quelli che ricchi o poveri, impren-ditori o operai, italiani o stranieri, credono che il cambiamento pos-sibile abbia un inizio interiore e un proseguimento civico e sociale. Non vogliamo lasciare a nessuno il nostro posto: leali nei principi e moderati per carattere.

In spirito di fratellanza di Giacomo Cazzato

Ho suonato al campanello in una mattina di ottobre e ad aprirmi la porta è stata Pina. Signora distinta e curatissima, abita in una viuzza di Tiggia-no, piccolo comune del Capo di Leuca. Mi raccontavano del fatto che da quasi un anno la vita tranquilla di questi due an-ziani coniugi, Pina ed Ersilio, era stata movimentata per via di alcuni ragazzi venuti da lontano e che, ironia della sorte, dai cartoni di fortuna presso la stazione ferroviaria di Lecce, sarebbero approda-ti proprio di fronte a casa loro, in una grande stanza voltata a botte. La stanza divisa a modo, avrebbe fornito un alloggio più che felice per tutti. Chiacchierare davanti a un caffè, seduti nel luogo e con la relativa protagonista della storia è la migliore delle prospettive per capire.La stessa mattina Pina era proprio felice, perché il suo Khalid si doveva recare in prefettura per risolvere alcune questioni che lo tormentava-no sin da quando ha ab-bandonato il suolo afghano. Sta realizzando finalmente il

desiderio di portare la moglie e i figli in Italia perché finisca il loro triste peregrinare per la sopravvivenza. Khalid infatti è un rifugiato politico, l’ unica colpa (sua e perciò della sua famiglia) è quella di aver lavorato come ingegnere per una multinazionale ame-ricana. Ho provato una bella sensazione nel vedere Pina sciogliere all’istante qualsiasi riserva, con occhi svegli di vivo interesse, e incominciare a parlare amorevolmente del suo diletto Khahlid, mostran-domi orgogliosa persino il suo nuovo libretto sanitario, ultimo grattacapo dopo la ricerca di un lavoro e di un tetto più idoneo per sé e per la propria prole. Dico “suo diletto” perché ciò che sorprende è che da un po’ di tempo, sin da quando lei e il marito Ersilio ospitarono il giovane trentaduenne e i suoi compagni di avventura per pasti caldi, spalancando senza paura le porte del-la propria casa, Khalid si è distinto sempre per la propria indole umana, arrivando a chiamare gli anziani coniugi mamma e papà.

Forse, e lo si capisce dagli oc-chi, è proprio questo rapporto filiale la più grande soddisfa-zione per Pina ed Ersilio, nono-stante di figlia ne abbiano già una. Nell’era dei parabolani in camicia verde come non può questa esperienza toccare le corde più intime del cuore di chi la vive e di chi l’ascolta? Resto basito e rifletto su come le lugubri proiezioni di tele-giornali e talk show riescano a manipolare la mente dell’uo-mo, annullando tutti gli sforzi che lo stato dovrebbe com-piere nelle nostre scuole per mezzo dell’educazione civica, secondo i più basilari princi-pi di convivenza civile e di rispetto della persona umana.Prescindendo dalle evan-geliche virtù misericordiose, felicemente posso scoprire ancora un Sud che accoglie, quello del buon vicinato che si trasforma in comunità aper-ta, quel Sud da cui dovrebbe partire il riscatto culturale, semplice e basilare secondo cui tutti gli uomini“devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza” (art.1 della Dichiarazione del 1948).

I diritti umani al centro delle rela-zioni internazionali. Ma la società? È la prima vittima della crisi politica ed economica degli stati. Così gli individui cancellano i deboli, ma la resistenza deve venire, come sempre, dagli ultimi. Questi i temi che tocchiamo con Attilio Pisanò, professore aggregato di Filosofia del diritto e Diritti umani del Corso di Laurea in Scienze politiche e delle Relazioni internazionali all’Uni-versità del Salento. Le sue pub-blicazioni: Il diritto dei popoli nella rivoluzione francese. L’abbé Grégoire (2002); Una teoria comunitaria dei diritti individuali. I Diritti dell’uomo di Nicola Spedalieri (2005, opera che gli è valsa la cittadinanza onoraria di Bronte, Catania); I diritti umani

come fenomeno cosmopolita. Interna-zionalizzazione, Regionalizzazione, Specificazione (2011). In fase di pubblicazione altre due opere: Di-ritti deumanizzati. Animali, Ambiente, Generazioni future, Specie umana (Giuffré), e la curatela Questioni geopolitiche mediterranee (ESI).

Diritti umani: astrazione buona per tutelare le situazioni di guerra o stru-mento vicinissimo di pace sociale?I diritti umani sono molto più vicini alla nostra vita quotidiana di quanto possiamo pensare. Nascono nell’am-bito della tradizione culturale occidentale e sono dunque radicati nei nostri ordinamenti giuridici. Scrivere un articolo senza essere privati arbitrariamente della nostra

libertà, ad esempio, è un atto che possiamo compiere sotto il guscio protettivo dei diritti umani, che le nostre Costituzioni, dal dopoguerra, hanno recepito non solo in maniera formale, ma con meccanismi che ne consentono la tutela sostanziale. Caratteri fondamentali però sono l’universalità e l’uguaglianza, il che significa che i diritti devono valere per tutti, o non possono essere chia-mati diritti umani. Se altrove questi non sono tutelati e passa il messag-gio per cui in una parte del mondo è giusto non tutelarli per questioni culturali, si segue una china che porta alla mancata tutela dei diritti anche nella nostra società.

Quali diritti, oggi più che in passato,

PISANò: “DIRITTI, LA RESISTENZA DAgLI ULTIMI”intervista di Andrea Aufieri

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devono essere tutelati e quali soggetti dovrebbero attivarsi?I diritti umani si dividono in due grandi categorie: quelli politici e quelli sociali. La crisi economica e politica dello stato moderno ha incrinato quelli sociali, che sono più complessi, aleatori e bisognosi di una tutela specifica e diretta dello stato: salute, casa, lavoro, ovvero le conquiste delle generazioni che ci hanno preceduto, rischiano di saltare. È chiaro che sono sempre i più deboli a rischiare di perdere i diritti acquisiti. Il cardine è il lavoro, come recita il primo articolo della nostra Costituzione. Tramite il lavo-ro chiunque può dare un contributo alla società e accrescere il proprio status di cittadino. Se non c’è il la-

PISANò: “DIRITTI, LA RESISTENZA DAgLI ULTIMI”intervista di Andrea Aufieri Guardare diritti-diritti in mostra, dal

mondo alla città. Questi titolo e sottotitolo del bando di concorso viedofotografico lanciato dall’as-sociazione Ics in collaborazione con XN. Il concorso prende forma da una data e due idee. La data, il 10 dicembre 1948, è il giorno in cui è stata firmata la Dichiarazione dei diritti umani a Parigi. La dichia-razione raccoglie in articoli i diritti fondamentali degli uomini, persona-li, di relazione nella comunità (civili e politici), culturali, economici, religiosi e sociali. Sono dichiarazioni sui diritti che moltissime nazioni hanno sotto-scritto facendole diventare patrimo-nio universale. In diversi stati, anche quelli sottoscrittori, però, ci sono situazioni che possiamo definire di dubbia applicazione. Altre espe-

Guardare dirittirienze possono altresì enumerare i moltissimi casi in cui questi diritti oltre che rispettati sono esaltati da com-portamenti comuni di interi popoli, gruppi o singoli. Due idee. Vogliamo che siano fissati diritti umani attesi e disattesi per immagini e visioni glocali. Prima idea: ogni partecipante può guar-dare diritto in un’immagine di una situazione del pianeta in generale. Seconda idea: ogni partecipante può guardare diritto in un’immagine dalla città il proprio modo di vedere i diritti umani rispettati e non.Fuori concorso l’invio di una video-lettera in cui interpretare un diritto.Il bando completo e informazioni ulteriori saranno lanciate a breve sul sito impegnocristianosociale.it

(Redazione)

COLOphONXNewS CULTURA, pOLITICA e SOCIeTà

Periodico fondato dall’associazione ICS Iscitto al n. 1903 del Registro della Stampa del Tribunale di Lecce il 4 luglio del 2011Numero 0, Ottobre 2011 Chiuso in redazione il 7/10/2011eDITORe Associazione Impegno Cristiano Sociale via g. Toma 71 - 73100 Lecce - [email protected] Cartografica Rosato, Lecce, via N. da Lequile 16/A

DIReTTORe ReSpONSAbILe Andrea AufieriDIReTTORe eDITORIALe Fabio Ungaro hANNO COLLAbORATO Francesco Paolo Monaco, giacomo Cazzato, Ablaye Seyé, Eliana Masulli, giovanni Matteo.FOTOGRAFIe Bianca Moretti (pagg. 1-3) Eliana Masulli (pag 4) pROGeTTO GRAFICO e IMpAGINAZIONe Alessandro Matteo

voro crolla l’impostazione giuridica e sociale.

Diritti, ma anche doveri. È solo un richiamo formale quello conclusivo della Dichiarazione del 1948?Il rapporto tra diritti e doveri è di complementarietà, non possono essere rivendicati i primi se non si tengono presenti i secondi. In Occi-dente è prevalsa una forte concezio-ne individualistica del rapporto con la società. L’uomo è considerato al di fuori di questa e ciò ha sicura-mente rafforzato le tutele personali, ma ha anche fatto dimenticare prin-cipi sociali basilari come la respon-sabilità e la solidarietà, un richiamo ai doveri in questo senso è quanto mai attuale.

I risultati del rispetto e del-la promozione della parità dimostrano che la macchina amministrativa può svolgere un ruolo importante per il bene comune. Se adempie al suo compi-to, può apportare benefici sostanziali per tutti i segmenti della popolazione, ma an-che ridurre gran parte delle disparità esistenti tra stranieri e autoctoni.Anzi è necessario farlo per realizzare strategie concre-te sulle riforme istituzionali, stabilire eguali diritti e oppor-tunità per favorire lo sviluppo economico e sociale, inco-raggiare la partecipazione e la condivisione equa di beni e servizi adottando misure per sradicare le disparità persi-stenti provocate dal controllo politico sulle risorse.Di sicuro, conoscere alcu-ni aspetti della vita di molti cittadini senegalesi privati dei permessi di soggiorno in Italia, e a Lecce in particolare, a causa di una legge farragino-sa, farebbe emergere la gran-de ambiguità che si abbatte sugli immigrati africani. Diversi problemi legati alla

casa, l’accesso al mercato del lavoro, la formazione, possedere un permesso per evitare una vita in clandesti-nità o recuperarlo dopo aver perso anche momentanea-mente il lavoro più che diffici-le sembra impossibile. Per la sola ragione che gli immigrati senegalesi non godono dello status di rifugiati politici, di profughi di guerra e di molte altre situazioni che costringo-no altre persone a venire in Italia. Oggi dozzine di giovani senegalesi sono disperati e commettono atti da disperati, perché vedono l’unica op-portunità di andare a trovare le loro famiglie, le compagne, i bambini, i fratelli e le sorel-le, legata al possesso di un documento che gli è negato. A questi giovani, che in que-sto modo entrano in clan-destinità per legge, manca il calore del genitore naturale, manca anche, e in alcuni casi davvero per molti anni, o la sposa amata, o il figlio, cui a sua volta sarà mancato l’amore condiviso dei genitori. Mancano di troppo, ancora, per poter vedere la fine del tunnel.

Sans papiers di Ablaye Seyé

di giovanni Matteo

LINCIANO LIQUORSLecce via Duca degli Abruzzi 59

0832 2412110832 331968

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È indubbio che la realtà dell’Esi-stenza si fondi sulla molteplicità di mutamenti difficilmente riconducibili a un unico schema di riferimento stabile, ordinariamente e facilmente attaccabile. La frammentarietà è un aspetto insito nella vita e nella totalità dell’esperienza umana e pone la differenziazione dei saperi e delle fenomenologie di pensiero come insiti processi in atto di una continuità e di ogni evoluzione storica e naturale, tanto dell’uomo quanto della materia. Nel 1979 Lyotard definì la “post-modernità” come il venir meno della pretesa dell’epoca “moderna” di saper riconoscere e affermare un unico senso del mondo. La fine della Mo-dernità, in cui ci troviamo tutt’oggi immersi, corrisponderebbe, dunque, a una dissoluzione della stabilità dell’Essere e alla consequenziale accettazione di una legge dinami-ca del Divenire. Come dire che con la fine di una data epoca, il Tempo si frantuma rivelandosi nell’inter-pretazione e nell’individualità di un unicum-presente, pronto a offrire tante storie separate e pur sem-pre interconnesse. Crolla, di fatto, la consapevolezza oggettiva dei fatti, entro un gioco di condiziona-menti interscambiabili tra “cultura” e “ambiente”. In particolar modo muta la posizione dell’osservatore. Il risultato è quello di una complessità accelerata, in questo, dal soprag-giungere della tecnologia e della realtà mediatica, che assorbono la frammentarietà dell’esperienza entro immagini “prodotte in serie e consumabili in massa”. Alois Riegl connota tale complessità nell’este-tica del “valore dell’antico” definito come “il culto estetico fondamen-tale” che interessò tutto il Nove-cento e da cui l’uomo ha preteso la produzione di opere “concluse come simboli del Divenire neces-sario e regolare”; parimenti l’uomo

post-moderno esige dalla Natura, che agisce sul tempo, un degrado come carattere conclusivo del Trascorrere. Nell’interpretazione di una medesima realtà, dunque, la “differenza” è data come un vero e proprio valore da tener vivo durante l’intero confronto con il Molteplice, dimensione in cui l’Arte riesce a estendere la propria fenomeno-logia verso altri ambiti del sapere, divenendo, nella propria formatività, anch’essa un “momento” . Il Post-moderno si colloca qui, tra i principi di un cambiamento e un altro; si pone come riflessione e presa di co-scienza della precedente “moder-nità”. Lyotard (1942-1998) con “La condizione postmoderna” (1979), esamina le conseguenze della fine delle credenze dell’età post-industriale. Il sottotitolo dell’opera lo chiarisce: è il “Rapporto sul Sapere” con la conoscenza scientifica e tecnologica che determina la stasi di un sistema apparentemente in evoluzione. Per Lyotard la crisi della modernità è riscontrabile all’interno della dinamica stessa di una tra-sformazione: da quel sapere nasce una diversa esigenza di trasmissibi-lità, poiché la precedente forma di questa non soddisfa più l’uomo. Se il Moderno segna il “modo” in cui un pensiero si sviluppa, il Postmoderno pone un “modo” diverso di pensare la stessa cosa: l’osservatore spia il mondo reale senza cogliere unità, l’occhio umano assorbe le sfumatu-re senza totalità e da lontano e la Bellezza, anche soggettivamente, non è più rappresentabile, incom-prensibile nella concettualizzazione. Così l’arte è nuovamente la prima forza che tenta il confronto con un limite; paradossalmente denuncia ciò che c’è, ma che sembra non poterci essere, proponendo la modalità del “come” affrontare il piacere e il dolore che scaturiscono dall’ineffabile. All’arte postmoderna

spetta il compito di affinare l’imma-ginazione e sperimentare la libertà creativa. Si può affermare, dunque, quanto il Postmoderno artistico sia l’Era della potenza dell’immagine, di un valore di scambio culturale. Derealizzato l’oggetto, il significato diviene astratto e l’arte desacraliz-zata; come dire che, perseguendo il nuovo, l’arte rinuncia all’ideale atemporale e costitutivo che più le appartiene: la Bellezza. Ciò che è nuovo cade nell’effimero, per essere riprodotto e rinnovato: l’irrappre-sentabile decompone e destruttura spazio e tempo dell’oggetto, che perde la figuratività, acquistan-done l’essenza; lo spazio fisico viene compenetrato e superato dall’espressione dell’animo: non è più materia, non è più sempli-cemente superficie. Una Volontà risanatrice tenterebbe, dunque, di colmare la frattura “moderna” tra arte elevata e arte popolare o ten-derebbe piuttosto all’abnegazione

del Sé per riproporsi alla società del “nuovo”, del capitalismo e della propria stessa spettacolarizzazione? Pensate alle intenzioni conciliative del ready-made di Duchamp: un manufatto che, nel proprio essere comune, contesta i canoni della meccanicità di gesti e ripercorre, all’inverso, il processo creativo dell’arte. L’arte diventa quotidiana poiché gli oggetti comuni diven-tano arte in se stessa? E l’oggetto comune, così percepito, riesce concretamente a eliminare tutte le differenze tra l’elite e la massa, in un unico salto rarefatto? Design sem-plice e arte della pubblicità: sicuri di essere “culturalmente” pronti ad abbandonare un comune senso di Bellezza e cancellare concreta-mente le differenze tra un’Estetica e una Tecnica? E tu, postmoderna orfana coscienza della comples-sità, che non hai pace e non poni dimora puoi, nella realtà, dirti tanto euforicamente libera?

Sei postmoderno e non lo dici!di Eliana Masulli

Igor Mitoraj, Valle dei templi (AG)

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