Periodico della Convergenza delle Culture Torino · 2018-04-29 · E la pioggia E la nebbia E quel...

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www.conexion-to.it . [email protected] Siamo sempre lo straniero di qualcun altro. Imparare a vivere insieme è lottare contro il razzismo. Tahar Ben Jelloun n. 68 . Aprile 2018 Periodico della Convergenza delle Culture TORINO distribuzione gratuita

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www.conexion-to.it . [email protected]

Siamo sempre lo straniero di qualcun altro. Imparare a vivere insieme è lottare contro il razzismo.

Tahar Ben Jelloun

n. 68 . Aprile 2018

Periodico della Convergenza delle CultureTorino

distribuzione gratuita

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LE NOSTRE INIZIATIVEIniziative multietniche e multiculturali per promuovere il dialogo e la conoscenza tra culture, la lotta alla discriminazione, la diffusione della nonviolenza attiva. In particolare promuoviamo ogni anno la “Festa della Repubblica Multietnica” (2 giugno) e la “Giornata Mondiale della Nonviolenza” (2 ottobre)

Corsi di italiano per stranieri - Laboratori sul dialogo e la nonviolenza - Serate dellle culture, per riscoprire e riaffermare gli aspetti positivi delle culture del mondo - Cene multietniche - Corsi di lingue e culture straniere.Campagna “Fermiamo la violenza sulle donne e non solo

LA NOSTRA SEDELa nostra sede è la CASA UMANISTA, un luogo di cultura e di attività ispirate ai principi del Nuovo Umanesimo Universalista. Accoglie e promuove iniziative e realtà che hanno come obiettivo l’aggregazione sociale, lo sviluppo della creatività, l’affermazione dei diritti umani e l’evoluzione dell’essere

umano. è il luogo dove la nonviolenza diventa azione. La Casa Umanista è, dal gennaio del 2004, un punto di riferimento ed un luogo di incontro per chi crede che “un mondo migliore sia urgente e possibile” ed abbia voglia di contribuire alla costruzione di un mondo più umano.CONTATTI: Tel. 338.6152297 - Via Lorenzo Martini 4/b - [email protected] - www.repubblicamultietnica.itwww.casaumanista.org

Direttore responsabile: Umberto Isman

Caporedattore: Roberto Toso

Hanno collaborato a questo numero: Katarina Balunova, Daniela Brina, Saida El Gtay, Riccardo Marchina, Luisa Ramasso, Roberto Toso, Angela Vaccina

Progetto grafico: Daniela Brina e Paola Albertini

Impaginazione: Daniela Brina

Foto di copertina: Roberto Toso

Stampa: Tipografia Aquattro

Tiratura: 2000

Editore: Associazione Orizzonti in libertà onlus

Sede legale: Via Lorenzo Martini 4/b - 10124 Torino

Come contattarci: [email protected] www.conexion-to.it - 340.6435634 - 338.6152297

Per sostenere Conexión: Roberto Toso 340.6435634

Gli articoli firmati sono a responsabilità degli autori e non necessariamente riflettono l’opinione della redazione per garantire la pluralità e la libera espressione.

Numero 68Finito di stampare il 17/04/18 Registrazione Tribunale di TO N° 5974 del 31-05-2006

Le realtà promotrici di Conexión

L’azione validaIl sesto principio a cura di Luisa Ramasso

Questo mese analizziamo il sesto principio di azione valida: i precedenti li potete trovare con-sultando il nostro sito www.conexion-to.it.

Si tratta di principi pensati e scritti da Mario Rodriguez Cobos, detto Silo, fondatore del Nuovo Umanesimo Universalista, che possono aiutare nella realizzazione di azioni unitive, cioè azioni in cui il pensiero e il sentimento vanno nella stessa direzio-ne. Il risultato “interno”, il “registro” che ne conse-gue sarà positivo e produrrà un’energia “evolutiva”, al contrario dell’azione contradditoria che crea un blocco e tende a far perdere le forze.

accompagnate da sofferenza. Per esempio, se Tizio ama i cioccolatini non deve, cercarli in maniera spa-smodica, per soddisfare la sua fame, ma non deve nemmeno rifiutare un cioccolatino da Caio, perché il cioccolato fa male. Questo principio, come gli altri, non va considerato separatamente dall’insieme, né essere interpretato in opposizione agli altri. Infatti un altro principio dice “quando tratti gli altri come vor-resti essere trattato, ti liberi”. Il senso cambia quando viene praticato l’insieme dei principi e non un solo principio.

Torniamo ora al sesto principio: un vecchio saggio regala ai suoi discepoli, per evitare loro alcuni piccoli problemi, un dolce magico che pur se mangiato a vo-lontà non diminuiva, se però lo si mangiava un’unica volta al giorno. Un discepolo assaggiò il dolce e si meravigliò dello squisito sapore. Ma come fu sazio, cominciò ad immaginare la porzione del giorno suc-cessivo. Così di giorno in giorno la sua ossessione an-dava crescendo. La situazione era intollerabile finché il discepolo vi pose termine, mangiando una porzio-ne tale da soddisfare il desiderio fino alla razione suc-cessiva. Ma tutto finì con un’indigestione così grande che quasi morì. Per ricordare il fatto, sulla facciata del monastero fu collocata una lapide con su scrit-to: Soffre colui che cerca e colui che desidera conservare.

Un secondo discepolo, considerando l’accaduto, non assaggiò il dolce, anche se moriva dalla voglia di far-lo. Era stato detto che il piacere portava al dolore e perciò per non soffrire bisognava non godere. Una cosa conduceva all’altra, come provava l’esperienza. Tuttavia accadde che, giorno dopo giorno, l’asceta immaginava montagne di dolci senza poterne assag-giare neanche un boccone. A volte, dormendo, dolci enormi popolavano i suoi sogni ed egli si svegliava di soprassalto come se l’avesse morso una di quelle gran-di formiche chiamate “solitarie”. Un giorno per evita-re che la sofferenza crescesse sempre di più, assaggiò il dolce, ma con questo tradì le sue convinzioni e la sua ossessione aumentò. Sulla facciata del monastero ven-ne collocata un’altra lapide che diceva: il peccato non si trova nel dolce e neanche nella pancia, ma in quello che si sogna e si pensa più in alto di essa. Infine un terzo di-scepolo si chiese quali erano i compiti che il maestro aveva raccomandato prima della partenza. Si avvide che il monastero, l’orto e gli animali erano trascurati e che le diverse opinioni sul dolce avevano diviso la comunità. Allora cominciò a lavorare per rimettere tutto in ordine prima che il maestro tornasse. Mentre era occupato in una delle stanze, trovò il motivo dello scandalo. Si fermò un attimo, ne tagliò un bel pezzo e lo assaggiò lentamente. Poi se ne scordò per tutto il lavoro che aveva da fare nel monastero. Quando il maestro ritornò, trovò le lapidi nell’ingresso della casa e chiese spiegazioni. La storia dell’accaduto lo spinse a disfarsi del dolce e poi disse loro: “È stata commessa una grande ingiustizia. Ponete una terza lapide che proclami: L’eccesso di uno stupido forte e l’ascetismo di un debole dotto portano allo stesso risultato. Per il santo è un pezzetto di dolce, per l’ingordo è un grave problema”. Il primo discepolo esagerò nel lasciarsi prendere dal piacere, il secondo nel negarselo completamente. Io sono d’accordo con il terzo che conciliò i suoi doveri quotidiani con il piacere.

“Se persegui il piacere, ti incateni alla sofferenza. Ma se non danneggi la tua salute, godi senza inibizioni quando si presenta l’opportunità”.

A prima vista questo principio risulta scioccante perché si pensa che esso affermi: “Godi, anche quan-do danneggi gli altri, giacché l’unico freno al godi-mento è dato dalla tua salute personale”. Il principio non afferma questo. In realtà, esso non solo spiega che è assurdo danneggiare la propria salute con pia-ceri esagerati o decisamente nocivi, ma fa notare che la negazione pregiudiziale del piacere produce sof-ferenza e che l’esercizio del piacere con problemi di coscienza è anch’esso dannoso. In sintesi, l’idea prin-cipale è quella non di non perseguire il piacere, ma di esercitarlo quando si presenta, giacché la ricerca dell’oggetto piacevole, quando esso non è presente, o la sua negazione, quando esso appare, sono sempre

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3Società 3

Quando l’amore vi fa cenno, seguitelo, Benché le sue strade siano aspre e scoscese. E quando le sue ali vi avvolgono, abbandonatevi a lui, Benché la spada che nasconde tra le penne possa ferirvi. E quando vi parla, credetegli, Anche se la sua voce può mandare in frantumi i vostri sogni come il vento del nord lascia spoglio il giardino.

Perché come l’amore v’incorona così vi crocifigge. E come per voi è maturazione, così è anche potatura. E come ascende alla vostra cima e accarezza i rami più teneri che fre-mono al sole, Così discenderà alle vostre radici che scuoterà dove si aggrappano con più forza alla terra. Come fastelli di grano, vi raccoglierà. Vi batterà per denudarvi. Vi passerà al crivello per liberarvi dalla pula. Vi macinerà fino a farvi farina. Vi impasterà fino a rendervi malleabili. E poi vi assegnerà al suo fuoco sacro, perché possiate diventare il pane sacro per il banchetto divino.

Tutto questo farà in voi l’amore, affinché conosciate i segreti del cuore, e in quella conoscenza diventiate un frammento del cuore della Vita. Ma se avrete paura, e cercherete soltanto la pace dell’amore ed il piacere dell’amore, Allora è meglio che copriate le vostre nudità, e passiate lontano dall’aia dell’amore, Nel mondo senza stagioni dove potrete ridere, ma non tutto il vostro riso, e piangere, ma non tutto il vostro pianto.

L’amore non dà nulla oltre se stesso e non prende nulla se non da se stesso. L’amore non possiede né vuol essere posseduto, Perché l’amore basta all’amore. Quando amate non dovreste dire: “Dio è nel mio cuore” ma, semmai, “sono nel cuore di Dio”. E non crediate di guidare il corso dell’amore, poiché l’amore, se vi trova degni, guiderà lui il vostro corso.

L’amore non desidera che il proprio compimento. Ma se amate e quindi avete desideri, i vostri desideri siano questi: Sciogliersi e farsi simili a un ruscello che scorra e canti alla notte la sua melodia. Conoscere il martirio della troppa tenerezza. Esser feriti dal vostro proprio intendere l’amore, E sanguinare di buon grado, gioiosamente. Svegliarsi all’alba con un cuore alato e dire grazie a un nuovo giorno d’amore; Riposare nell’ora meridiana e meditare sull’estasi amorosa; Tornare a casa con gratitudine la sera; E addormentarsi con una preghiera per chi amate nel cuore, e un canto di lode sulle labbra.

Saida El Gtay 26/03/2018

Il sole s’alza e muore, proprio là, dietro le colline. E la pioggia E la nebbia E quel poco di neve che serve per farci rabbrividire. Sotto la Mole mi muovo, cambio pelle, pedalo e inciampo tra le persone, raramente nelle persone, ma quando succede è quasi come bucare il cielo.

Non tacere, Che silenzio quando non ci sei tu a riempire la stanza di respiri. Sembra tutto spento. Ed è una danza Che vita Ci vuole solo costanza.

Non t’arrabbiare, mi vien da ridere, che a innamorarsi di una donna mi vien più facile che ad ammetterlo. E a guardarti negli occhi Ci vedo dei mondi Ci vedo dei quartieri Ci vedo dei rumori belli.

Stringimi, anche se sei lontana. Anche se alle volte sbatto la porta forte e provo a chiuderti fuori.

Mi insegni, piccola città, che mi basto io anche quando mi bussa la paura nello stomaco. Che bello è tenerti per mano E muovermi tra le tue strade. Che bello, amor mio, vedere il rosso dei tramonti a macchiarti quando meno te lo aspetti.

Saida El Gtay 11/03/2018

L’angolo della poesia

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RETE 21 MARZOIeri e oggi mano nella mano

contro il razzismo di Daniela Brina

T anta gioia, festa, voglia di partecipazione e condivisione. Fianco a fianco, mano nella mano, per affermare che siamo tut-

ti umani, non siamo numeri, colori, fazioni, religioni, idee. Siamo tutto questo e molto di più, umani nella nostra diversità e nella nostra voglia di esprimerci, nel comune diritto di vi-vere dignitosamente, di muoverci liberamente, di essere riconosciuti con parità di diritti e di doveri. Questo è stata la manifestazione del 21 marzo scorso che ha attraversato il centro di Torino da Porta Nuova a piazza Castello nel-la giornata internazionale per l’eliminazio-ne della discriminazione razziale, ricorrenza istituita dalle Nazioni Unite nel 1966.

La data è stata scelta in ricordo del massacro di Sharpeville del 1960, la giornata più san-guinosa dell’apartheid in Sudafrica: 300 poli-ziotti bianchi uccisero 69 manifestanti mentre protestavano contro la legge che imponeva ai sudafricani neri di esibire uno speciale permes-so se venivano fermati nelle aree riservate ai bianchi.

La Rete 21 marzo, organizzatrice dell’even-to, nasce dalla volontà di associazioni, sindaca-ti, comunità e singole persone di lottare non solo contro il razzismo, ma contro tutte le forme di violenza, discriminazione, xenofobia, islamofobia, afrofobia, antisemitismo e per la convivenza civile, i diritti alla cittadinanza, i diritti umani, la pace. Nata dal precedente Co-mitato Mano nella Mano contro il razzismo, la Rete 21 marzo ha al suo attivo una campagna per il diritto alla cittadinanza dei minori di origine straniera, portata avanti insieme al movimento “Italiani senza cittadinanza”, volta a fare pressione; il primo sì della Camera dei

deputati nel 2015, era fermo in Senato alla fine della scorsa legislatura. Purtroppo la legge non è stata approvata, e da ora la strada sarà molto difficile. Vogliamo comunque far capire che si tratta di una legge giusta, che garantirebbe ai molti bambini nati e cresciuti in Italia, quindi di fatto italiani, di essere riconosciuti come tali, e di non dover vivere sempre come cittadini di serie B con problemi di vario tipo ad esempio nello studio, nello sport e negli spostamenti.

Non si tratta di persone che devono essere “in-tegrate”; sono i compagni di scuola e gli amici dei nostri figli e nipoti, che vivono lo stigma della discriminazione solo perché i loro geni-tori non hanno “sangue italiano” o non hanno ancora ottenuto la cittadinanza. Si tratta sem-plicemente di adeguare la legge ad una società che cambia. La campagna ha avuto inizio il 20 ottobre 2017 con un evento in piazza insieme alle scuole ed è poi continuata con un sit-in

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permanente, 24 ore su 24, in piazza Castello, dove i membri delle associazioni e persone della società civile si sono avvicendate per informare i passanti sul tema, andando oltre l’aberrante manipolazione portata avanti da alcuni media e realtà politiche, e la colpevole scarsa e/o scor-retta informazione fatta da altri. Il presidio si è chiuso il 3 novembre con una festa in piazza, in giorni in cui la speranza della sua approvazione non era ancora svanita del tutto. Il 20 novem-bre una delegazione è stata ricevuta al Senato dall’allora presidente Grasso, per raccontare l’esperienza del presidio e per spingere ancora per l’approvazione della proposta di legge. In-fine, quando rimanevano pochi giorni al chiu-dersi delle possibilità, grazie alla disponibilità del cantautore Eugenio Rodondi e del Caffè Neruda, la Rete 21 marzo ha organizzato una cena con concerto per ribadire la nostra posi-zione sul tema e incontrare gli amici che hanno appoggiato la campagna nel suo percorso.

Non è il momento di arrendersi. Di fronte ad un modello di società che respinge e isola, proponiamo una comunità che accoglie e so-stiene. La Rete 21 marzo sta crescendo e farà altre iniziative. Seguiteci sulla pagina Facebook

“Comitato Torino mano nella mano contro il razzismo” e scrivete a [email protected] per aderire alla rete, avere informa-zioni sulle iniziative o anche semplicemente per venire a conoscerci.

La manifestazione del 21 marzo si è aperta con il flash mob organizzato dalla compagnia di danze Rom “Ternype Dance” che ha balla-to e coinvolto il pubblico sulle note del brano “I’m only human”. “Sono solo un essere uma-no, non dare la colpa a me” dice la canzone... Non diamo la colpa agli altri per quello che ci succede, non diamo la colpa agli immigra-ti se non troviamo lavoro, non diamo la colpa ai poveri e svantaggiati perché è più facile e ci fa scaricare le tensioni. Proprio perché siamo umani abbiamo la possibilità di scegliere. Agia-mo per trasformare la società nella direzione che vogliamo: verso la solidarietà, la giustizia, la libertà. Per tutti e tutte.

Nelle foto: alcuni momenti della manifestazione del 21 marzo. In alto, il flash mob “I’m only human”. In basso, il momento finale in piazza Castello con la par-tecipazione del gruppo “Fran e i pensieri molesti”.

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“Fermiamo la violenza sulle donne e non solo” di Roberto Toso

Sono anni, decenni, che guardandomi in-torno, nella società in cui vivo, ho visto sempre tanta violenza. Mi sono sempre

chiesto se potevo fare qualcosa che restasse nel tempo, per poter fermare la violenza che dila-gava e dilaga intorno a me. Ho avuto la “pos-sibilità” di aver a che fare con la violenza fin da bambino quando subivo atti di bullismo dai bambini più grandi di me giocando sia in stra-da sia a scuola. All’inizio era mia sorella, più grande di quattro anni e mezzo a difendermi, con le sue amiche, soprattutto in strada, quan-do si giocava con gli altri bambini. Essere un bambino mite e tranquillo mi esponeva a que-sti tipi di atti di violenza fisica e morale, che mi hanno lasciato il segno, ma mi hanno anche messo nella condizione di cercare una risposta per difendermi. Ero veloce nella corsa, quella fu la mia prima “arma” di difesa.

Avevo dieci anni allora e dopo poco sarei andato in prima media alla Bernardino Dro-vetti; una scuola famosa nella seconda metà degli anni ’70 per gli atti di bullismo. Certo allora queste notizie non finivano sui giornali e nei telegiornali regionali rimanevano nella sfera del privato, all’interno della famiglia e degli amici, per cui se ne sapeva davvero poco. Prima media, Bernardino Drovetti, stessa cosa prima semplici scherzi, come il portapenne pieno di colla, il diario buttato nell’acqua ecc ecc. Che risposta dare mi chiedevo, come faccio a difendermi e a farli smettere? A pa-role non funzionava e se andavo dalla prof il mio compagno di classe si beccava tutt’al più una nota sul diario personale e sul registro di classe ma la cosa finiva li. Io invece mi trova-vo nella condizione di dovermi difendere dai miei compagni che mi aspettavano fuori dalla scuola, perché volevano farmela pagare, me-nandomi e di brutto anche.

Le prime volte mi sono difeso scappando, ero veloce a correre quindi me la cavano bene, nel non affrontare il problema ma evitandolo, con la fuga. Io pensavo ingenuamente: se evi-to lo scontro i miei compagni sbolliranno, la rabbia gli passerà, tanto si tratta solo di una semplice nota, mica resteranno arrabbiati con me per sempre per una sciocchezza di questo genere. Ebbene mi illudevo perché fui io ad abbassare la guardia, quasi certo che non mi avrebbero più picchiato, quando un giorno uscendo da scuola vengo colpito da una car-tella proprio al centro della schiena e cado a terra appena a terra ricevo calci da ogni dire-

zione ricordo solo di essermi riparato, come potevo, con i gomiti in avanti perché i calci non mi raggiungessero direttamente la testa e il viso. Nessuno a fatto niente per difendermi, tranne una ragazza di seconda media Monica (oggi è suora); li ha picchiati tutti e sei quanti erano.

Lei mi ha insegnato a difendermi, a trovare nella mia paura il coraggio di reagire e di di-fendermi e tempo dopo quando per un altro stupido motivo, altri mi aspettavano fuori dal-la scuola per picchiarmi, quella volta gli andò male e non perché io scappai. Tanto che da al-lora mi lasciavano stare e io cercavo di aiutare, come faceva Monica, quelli che i bulli di allora prendevano di mira, difendendoli. Un giorno da non credere, ho aiutato Monica a difendersi

dal fratello più grande di uno studente che lei aveva picchiato perché faceva il bullo con i più deboli.

Sono cresciuto da allora e ho imparato ad essere forte e a non subire più la violenza de-gli altri e a difendermi ma non come facevo alle medie. Ho cercato altri strumenti che mi aiutassero a comprendere il perché le persone agivano in maniera violenta, cosa spingeva loro a voler dare risposte violente ai conflitti o alle divergenze che la vita metteva sul loro cammi-no.

Nel mio percorso di crescita personale, cercavo persone, che condividessero con me, questa idea di voler cambiare, nella mia vita quotidiana, il modo di fare violento delle persone,con gli altri, in un modo nonviolen-

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to di instaurare relazioni tra esseri umani. Ho incontrato così per la prima volta nel 1993 i volontari del Movimento Umanista e da li sono arrivato ad oggi con una consapevolezza maggiore che io stesso posso avere la respon-sabilità della realtà che mi circonda. Il proget-to “Fermiamo la violenza sulle donne e non solo” nasce dalla necessità di fermare la sfera della violenza che aveva origini profonde nella cultura di tutto il Mondo non solo italiana e

emotivo e fisico a cui stiamo sottoponendo una persona e questo ci permetterà di riflettere e di far cessare gli atti di violenza di cui siamo promotori e attori primari.

A questo punto era importante trovare uno strumento comunicativo che fosse di impatto alle coscienze e le connettesse con il dolore e la sofferenza che si generano per ignoranza cul-turale all’interno di una società. Il caso ha vo-luto che la regista yemenita Khadija Al-Salami producesse un film con il sostegno di Amnesty International dal titolo “La Sposa Bambina” ove veniva narrata la storia di una decenne che chiedeva il divorzio da un marito più grande di lei di vent’anni. In questo film, che vi consiglio di vedere, si narra di una storia vera, ove una bambina si oppone alla cultura di un villaggio di montagna nello Yemen ove le bambine ve-niva date in sposa anche all’età di otto anni a uomini molto più vecchi perché questo era di buon auspicio all’interno della comunità. La sua opposizione si realizza quando sceglie di fuggire dal paese di origine è andare in città in taxi per rivolgersi ad un giudice e chiedere il divorzio. Nel racconto di Nojioom (questo è il nome della decenne nel film) al giudice ven-gono fuori i conflitti e le risposte a tali conflitti che fanno si che lei venga data in sposa ad un trentenne.

L’8 marzo di quest’anno alla Casa Umani-sta abbiamo proiettato questo film per sen-sibilizzare le coscienze sulla necessità di agire per fermare la violenza contro le donne e non solo; il film verrà ancora proiettato perché si è mostrato un ottimo spunto per condurre le persone ad un confronto sulla violenza e sulla nonviolenza attiva. Dall’8 marzo sono nati dei punti che abbiamo accorpato in un questiona-rio che trovate qui di seguito che ci sta facendo da spunto per agire sulle coscienze allo scopo di guidarle sulla strada della nonviolenza.

Questionario sulla nonviolenza

Ti senti non violento/a?

Credi che la nonviolenza attiva possa, attraverso la tua azione sociale e personale, essere fautrice di un cambiamento positivo e duraturo?

Pensi di poter imparare a dare risposte non violente nella tua vita personale e so-ciale?

Vuoi mettere in discussione le tue con-vinzioni per poter aprire la mente e i cuore alla filosofia della nonviolenza

La nonviolenza attiva può diventare la tua metodologia di azione sociale e perso-nale?

Prima di sparare pensa, diceva una vec-chia canzone, e tu dopo aver pensato spa-reresti?

Come si sviluppa secondo te, nell’animo umano, la violenza? E la nonviolenza?

Questionario sulla Riconciliazione:

Ti senti di poter giudicare e condanna-re una persona violenta che ti ha fatto del male secondo i tuoi valori?

Cosa vuol dire per te fare giustizia?

Come agirebbe un essere umano saggio, giusto e sopratutto nonviolento?

Credi di poter agire secondo il principio della riconciliazione sempre nella vita?

Cosa vuol dire per te riconciliarsi con qualcuno? E con se stessi?

Ti sei mai riconciliato con qualcuno? E con te stesso?

Questa campagna ha l’obiettivo di entrare nelle scuole di ogni ordine e grado per agire sulle coscienze di ogni essere umano dallo stu-dente, all’insegnante, ai famigliari di studenti e insegnanti e vuole essere formativa attraverso programmi radio - televisivi e/o con spazi ap-positi sui quotidiani e sui periodici; vuole risol-vere conflitti usando come strumenti la non-violenza e la riconciliazione.

Di seguito le date per saperne di più e col-laborare: i seguenti giovedì alle 20:30: gio-vedì 26/04 giovedì 10/05, giovedì 24/05, giovedì 07/06; per info e adesioni contattare 340.64.35.634 o scrivere a mail: [email protected]

che partiva dalle tradizioni antiche di come la donna veniva considerata all’interno della comunità e della famiglia.

Era ed è importante superare quell’igno-ranza culturale che vede ancora oggi la figura femminile come una figura da assoggettare alla volontà della comunità, complice la famiglia che non mette in discussione radicalmente le basi di una cultura che si rivela violenta e discriminatoria. Per passare oltre a questa vio-lenza e cercare di superarla occorre connettersi con la persona che noi facciamo soffrire, occor-re percepire un essere umano uguale in tutto e per tutto a noi con la persona a cui faccia-mo sopportare i nostri atti di violenza fisica e morale. Raggiunta la connessione con l’essere umano che soffre, sentiamo noi stessi il disagio

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“Un paese va vissuto in mezzo alla gente”. Lo sosteneva Ryszard Kapu-scinski, forse il più grande reporter

del Novecento. La giornalista torinese, Ro-sita Ferrato, ha voluto imitarlo. Ne è nato “I tuffatori di Casablanca”. Non è un romanzo e manco una Lonely planet. Lei la definisce “una guida emozionale” per comprendere il Marocco. Lo ha percorso con lo sguardo, ora meravigliato, ora disincantato. Il libro si trova su Amazon o al sito: http://www.rositaferrato.it/porfolio/i-tuffatori-di-casablanca/.

L’itinerario tocca otto tra le più importan-ti città: Rabat, Casablanca, El Jadida, Essa-ouira...

Quanto tempo hai passato in Marocco?Ho fatto diversi viaggi, alcune volte arri-

vando dal mare, altri in aereo. L’ho percorso come un’autoctona, sempre accompagnata da qualcuno del posto. Prendendo bus, treni taxi collettivi, e cercando di vivere più possibile as-sieme alla popolazione.

Perché hai scelto questa terra?Il progetto iniziale di viaggio prevedeva la

visita dell’Andalusia, Gibilterra e Marocco, e così è stato. Però poi mi sono innamorata di questa terra e ho intrapreso altri viaggi, cercan-do di conoscere questo paese in modo sempre più profondo.

Sarà per il proverbio che la Tunisia è una donna, l’Algeria un uomo e il Marocco un leone…

Sono anche molto appassionata di Tunisia, per tornare al proverbio. Trascorro a Tunisi molta parte del mio tempo, e il prossimo libro potrà essere dedicato proprio a questo paese.

Una particolarità del libro è quella di vive-re un paese assieme alla gente, come faceva Kapuscinski,

Mi piace citarlo, per ispirarmi, consumare le suole delle scarpe e portare del vissuto, delle notizie, delle atmosfere. In modo apparente-mente leggero, ma che contengano sempre una loro profondità; ciò che Kap faceva era scrivere libri appassionanti, con una prosa leggera ma dalle grandi profondità, che riuscivano a far comprendere, raccontandolo, perfettamente un paese. È il mio modello, quello che secondo me un giornalista di viaggio, e non solo, do-vrebbe essere.

Chi sono i tuffatori di Casablanca? Di solito osservo le persone. Un giorno a

Casablanca sono rimasta incantata da quei giovani che sembrava non avessero paura di niente. Si lanciavano dalle mura della moschea Hassan II, da dieci metri di altezza, con non-curanza. Ho ammirato il loro coraggio e la loro voglia di vivere. È arrivato così lo scatto giusto,

quello che abbiamo scelto per la copertina e che dà titolo al libro.

Ci sono tante curiosità e aneddoti… Uno di questi parla degli orologi molli…

Tahar Ben Jelloun,nel libro Marocco Ro-manzo cita “stereotipi alcuni dei quali non falsi” sui marocchini, come: “il marocchino è puntuale solo quando si tratta di interrompere il digiuno del Ramadan”, o anche: “Il maroc-chino ha nozione dello spazio e del tempo ab-bastanza vaga”.

Pensando agli orologi molli mi vengono in mente i curiosi orari dei bus, che spesso arri-vano in anticipo, alla nozione del tempo, al modo di vivere più rilassato del nord Africa; “no stress” mi ripetono spesso.

Quale, a tuo modo di vedere il racconto più curioso?

Adoro “la coperta di Wahid”, dove riporto un episodio successo a Essaouira, quando il mio compagno di viaggio ha affittato una delle case più indescrivibili dove abbia mai passato la notte.

Tra i vari incontri, ti imbatti pure in un pit-tore di Pachino…

Viaggiando con persone del luogo si ha la fortuna di farsi portare di qua e di là, a visita-re conoscenti, parenti e amici. Si viene accolti dalle famiglie e si vivono esperienze autenti-che. Si conoscono inoltre dei bei personaggi, come quello che citi, che vive a Rabat da anni ma è siciliano. È un artista di grande sensibilità e talento; da italiano che vive in un altro paese, inoltre, ha saputo darmi delle autentiche perle di saggezza.

Ci sono poi molte citazioni letterarie, del Marocco di oggi e di varie altre epoche…

È un paese che cambia sempre, ma che sem-bra essere aldilà dello spazio e del tempo. Per esempio alcune descrizioni di De Amicis po-trebbero essere valide anche oggi. Eppure lui ci andò subito dopo l’Unità d’Italia per portare la bandiera del neonato stato al sultano. Fu colpi-to dalle atmosfere, dai volti, dagli atteggiamen-ti dei marocchini, dall’architettura, dai sapori e dagli odori di spezie dei mercati, tanto che gli sembrò di essere in una grande drogheria.

A chi si rivolge questo libro? Al viaggiatore “affamato”, al quale non basta

l’indirizzo dell’hotel.

La grande drogheria. Il Marocco secondo Rosita Ferratodi Riccardo Marchina

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La guerra in Siria: un genocidio senza fine…?di Roberto Toso

Sono anni ormai che le persone muoiono in uno stato dilaniato dalla guerra civile: la Siria. Il conflitto civile è iniziato il 15

marzo 2011 con delle proteste, attraverso mani-festazioni pubbliche, contro il governo centrale di Bashar Al-Assad. La massiccia manifestazio-ne a Daraa, nel sud, è quella più degna di nota perché si è svolta nel luogo dove il mese prima alcuni studenti, di una scuola superiore, erano stati arrestati per aver tracciato su un muro slo-gan contro il presidente Bashar al-Assad. Pu-troppo con il passare dei mesi la guerra civile si è estesa anche a paesi come l’Iran in quanto il presidente in carica Bashar al-Assad appartie-ne alla comunità religiosa ala-wita, una branca dello sciismo, che pur essendo minoritaria in Siria, ma maggioritaria sul ter-ritorio iraniano a fatto si che il governo di quel paese si schie-rasse a difesa del governo siria-no. A mio avviso si è realizzata un ingerenza dell’Iran in Siria che ha mandato le milizie ira-niane per combattere al fianco dell’esercito siriano che difen-deva il governo in carica.

La popolazione protesta e si organizza con-tro il regime repressivo sciita, che tenta di fer-mare la rivolta sterminando i civili; non mo-strando alcune pietà verso le donne e i bambini che vengono ugualmente massacrati, costretti a fuggire, a essere profughi per una lotta interna tra fratelli. La comunità internazionale (Euro-pa e America) non prende una posizione ferma e decisa per impedire che il genocidio di una parte della popolazione siriana finisca; si illude che basti la pressione dell’Onu a far cessare un conflitto che dura da sette anni ormai. Intanto

“Altre decine di civili uccisi dai bombardamenti, centinaia di migliaia sotto assedio, ridot-ti alla fame e privi di cure me-diche. Le notizie arrivate dalla Siria sono diventate la norma-lità per un Paese che da sette anni è dilaniato da una guerra civile ed è diventato terreno di battaglia per jihadisti e potenze straniere, mentre nessuna ini-ziativa diplomatica o le risoluzioni dell’Onu riescono a mettere fine alla carneficina”. Fon-te Ansa del 15/03/2018

continuano a piovere bombe e razzi incessante-mente sulla parte orientale di Ghouta, l’ultima enclave ribelle siriana, che da domenica scorsa (18/02/2018) sta subendo uno dei più pesanti bombardamenti in sette anni di guerra. La par-te orientale di Ghouta fa parte delle de-escala-tion zone, concordate da Russia, Iran e Turchia come parte di uno sforzo diplomatico comu-ne per ridurre i livelli di violenza e consentire una possibilità di negoziazione. Ghouta est è dominata dal gruppo islamista Jaysh al-Islam e a Ghouta è anche presente il gruppo jihadista

Hayat Tahrir al-Sham, entrambi i gruppi non inclusi nelle presunte tregue. Riportiamo qui di seguito una testimonianza integrale fatta il 15/03/2018 da chi sta vivendo direttamente, in prima persona, il conflitto:

FIRAS ABDULLAH, del GHOUTA MEDIA CENTER: “Ci sono decine di civili sotto le macerie, non siamo riusciti a estrarre tutti i corpi, e parlo di corpi di donne e bam-bini. Queste persone non hanno fatto nien-te. Siamo bombardati da 72 ore da Assad e dall’aviazione russa, sanno perfettamente che colpiscono civili e stanno deliberatamente col-pendo aree abitate, sanno che le loro bombe colpiranno donne e bambini e anziani. In tre giorni sono morte 250 persone a Ghouta est.

Solo oggi abbiamo perso 36 persone, tra di loro anche oggi c’erano bambini. Questa non è una guerra. Questo è un massacro. Solo oggi ci sono stati sessanta bombardamenti. E gli elicotteri di Assad hanno sganciato trenta barili esplosivi. In tre giorni sono stati colpiti sette centri me-dici, completamente inutilizzabili da ieri. Que-sto significa che abbiamo centinaia di persone ferite, che urlano per il dolore provocato dalle ferite che hanno addosso e non sappiamo come curarle, non sappiamo come aiutarli. Potete immaginare cosa significhi vivere in un rifugio

ascoltando ogni momento, per ore e poi per giorni questo fra-stuono, sapendo che il minuto dopo può toccare a te di mo-rire? I quartieri sono spettrali, non c’è pane, non c’è acqua. La gente si nasconde sottoterra senza acqua e senza elettricità, senza sapere se vedrà la luce del giorno successivo. Ho visto i barili bombe cadere sulle case della gente. Perché sulla gen-te? Perché sui civili?Se penso ai prossimi giorni, penso che peggiorerà, non può che peg-giorare. E il mondo non sta facendo nulla per noi. Dov’è l’Onu, dove sono gli aiuti per la gente che sta morendo? Dove sono le medicine per cu-rare i feriti? Di quale diploma-zia sono capaci i governi occi-dentali? Nessuno fa nulla per fermare questo massacro, nulla per fermare Assad. La comuni-tà internazionale sta assistendo a questo genocidio senza fare agire, senza fare niente per sal-

varci. Noi siamo qui, in mezzo a un genocidio, di fronte a tutto il mondo.”

Diventa impossibile restare impassibili di fronte al perpetrarsi di tanta violenza mentre il Mondo si dimostra impotente i combattimenti sono ripresi se possibile ancora più furiosi di prima negli ultimi mesi, dopo essere diminuiti in seguito ad un accordo nel maggio dell’an-no scorso tra Russia, Turchia e Iran per creare zone di de-escalation. Mentre una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu approvata il 24 febbraio 2018 all’unanimità – dopo che la Russia aveva posto il veto ad altre 11 – e che chiedeva una tregua umanitaria di 30 giorni in tutto il Paese, non è stata applicata nemmeno per un minuto.

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I BALCONI DEL LEVANTE di Riccardo MarchinaRecensione a cura di Luisa Ramasso

UNA PISTOLA PER LO STALKER di Gianni MigliettaRecensione a cura di Luisa M. Ramasso

“Quando vanno in paradiso, le donne lasciano le scarpe con i tacchi sulla terra. Lo fanno per non bucare le nuvole e magari ri-cadere giù. Le nuvole in cielo si compattano, poi si scompongono. Si dissolvono accarezzate dal vento. Mai nessuna appare

a pois o bucherellata. Le donne fanno attenzione. È così. È una cautela che si tramandano da secoli…” Così comincia il quarto romanzo di Riccardo Marchina: un giallo che, tra miti e leggende albanesi, rivela angoli affascinanti e nascosti della Torino contemporanea, una città animata dalle immigrazioni di ieri e di oggi. Misteri e colpi di scena si al-ternano a storie e tradizioni balcaniche.

È la storia di un giornalista di una testata locale marginale. La compagna di vita del protago-nista è una ex-prostituta albanese. Oltre a questa relazione amorosa il protagonista ha stretto una forte amicizia con una scrit-trice greca. Il giallo inizia con l’assassinio della scrittrice greca di cui naturalmente il medesimo è il pri-mo indiziato. Questa ingiusta accusa lo coinvolgerà in un’avventurosa indagine che si svolge tra Torino e l’Albania e lo porterà a scoprire una verità assai deludente.Il libro è scritto in prima persona come se fosse il protagonista a raccontare la storia. Que-sto fa sì che il lettore possa specchiarsi in lui e negli altri personaggi e scoprire un mondo troppo spesso sottovalutato dalla gente comune. Il lettore potrà scoprire la miseria in cui vivono queste donne albanesi che si ritrovano a essere succubi degli uomini. Questo volume apre al lettore una finestra su un mondo igno-to a tutti. È un libro che si legge tutto di un fiato, coinvolgente e a carattere sociale come i libri pre-cedenti.

A lessandro ed Elena sono compagni di arrampicata, lui felice del mondo che lo circon-da, degli amici e delle piccole soddisfazioni che gli offre la vita, lei, sfuggita ad un passa-

to oscuro, cerca nell’inquietudine quotidiana di ricostruire la propria vita. I due provano amore l’uno per l’altra, ma questo amore deve fare i conti con l’oscuro passato di Elena maltrattata e minacciata da un ex-compagno che ancora non vuole uscire dalla sua vita e continua a molestarla. Grazie alla tenera amicizia di Alessandro Elena riesce a confidarsi e lui sente di amarla ancor di più e di affrontare i pericoli che questo rapporto impone lo-ro. Sentimenti, paure, speranze e sopraffazioni costruiscono, fra rassegnazione e ribellione, una vicenda purtroppo attuale che sembra tratta da un articolo di cronaca. Il romanzo di Gianni Miglietta, ispirato a vicende realmente accadute, si svolge in una Torino delineata dal commento musicale di uno strano DJ, che sembra sentire nell’aria le storie che si in-crociano in città. Incalzanti e con una pluralità di punti di vista che rendono la narrazio-ne avvincente e mai scontata, queste pagine ci accompagnano nella profondità dell’animo umano, facendoci vivere con i protagonisti la forza che si origina dai sentimenti, deva-stante quando questi sono distorti, salvifica quando sono sinceri, fino al sorprendente finale.

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Conexión è molto più di un giornale o di un sito internet; è un progetto di convergenza culturale totalmente volontario che affronta temi quali il dialogo tra le culture, la lotta contro la discriminazione, la diffusione della nonviolenza attiva come metodologia di azione, e intende pruomovere gli ideali del Nuovo Umanesimo. Conexión desidera fornire spazi aperti alle comunità culturali e immigrate, alle associazioni, alle persone comuni, dove confrontare idee e informazioni, ospitare articoli di attualità, fornire informazioni diverse da quelle che troviamo normalmente sui mezzi di informazione e altro ancora.Conexión vive grazie all’azione di persone che credono in queste idee e che vogliono appoggiarle nella loro ideazione e realizzazione; persone di età, culture, religioni diverse, che vogliono confrontarsi e trovare punti d’unione.

Che cos’è ?

Ci interessa riscattare le idee, le credenze e gli “atteggiamenti uma-nisti” di ogni cultura, e stabilire legami tra civiltà per mezzo dei loro “periodi evolutivi”, con l’intenzione non solo di conoscere le diffe-renti culture, le loro inquietudini e aspirazioni, ma anche creare un dialogo autentico orientato alla ricerca di punti in comune.

Vogliamo cioè far risaltare le idee, le credenze e i periodi precisi di ciascuna cultura in cui si dava valore:

– alla non discriminazione;– all’universalità;– alla tolleranza e alla convergenza tra “diversità”.

Le persone che legittimamente amano il proprio popolo e la pro-pria cultura devono poter comprendere che proprio in essa e nelle sue radici è esistito o esiste un “momento umanista” che la rende universale per definizione e simile alla cultura che ha di fronte.

Quando ci riferiamo all’atteggiamento umanista, ci riferiamo ai seguenti sei punti:

– l’ubicazione dell’essere umano come valore e preoccupazione centrale;

– l’affermazione dell’uguaglianza di tutti gli esseri umani;– il riconoscimento della diversità personale e culturale;– la tendenza allo sviluppo della conoscenza al di sopra di ciò che

è accettato o imposto come verità assoluta;– l’affermazione della libertà d’idee e credenze;– il ripudio della violenza.

L’ideaStiamo realizzando degli incontri (Serate delle Culture) dove ogni cultura possa far conoscere le caratteristiche dei propri “periodi evo-lutivi”, tramite qualcuno che appartenga a quella cultura e che sappia e voglia raccontarci a parole, o tramite racconti, letture, musica, vi-deo ecc.. questi “periodi”.

Un incontro mensile o quindicinale, serale, con una prima parte di conoscenza della cultura e con la possibilità successiva di fare do-mande e scambiare idee per approfondire ulteriormente.

Si può anche aggiungere un piccolo aperitivo, prima, durante o dopo, per far conoscere anche il suo aspetto gastronomico.

Sperando che questo possa essere di vostro interesse vi invitiamo a contattarci per organizzare per organizzare la serata della vostra cul-tura. Se invece vorrete essere coinvolti da spettatori in questi viaggi, seguiteci sul sito www.repubblicamultietnica.it oppure sulla pagina FB (Conexión - Convergenza delle Culture).

Serate delle culture

“Il problema non sta nelle differenze bensì nel come portarle a convergere”

Convergenza delle Culture sta organizzando da qualche tempo delle serate speciali, dedicate alle culture del mondo. Finora abbiamo avu-to modo, tramite le nostre speciali “guide”, di visitare la Siria, l’Algeria, la Turchia e l’Armenia insieme, l’Albania, la Somalia, il Messico, il Marocco e il popolo curdo. Questi viaggi virtuali sono stati fatti con un punto di vista particolare.

L’obiettivo