Pericle Roseo, nei ricordi della mia gioventù suo primo rifugio, durante la fuga, fu il convento...

5
Pericle Roseo, nei ricordi della mia gioventù Nel proposito, portato avanti da alcuni anni, di lasciare ai miei concittadini tracce di un passato che sarebbe imperdonabile smarrire, cerco di estrapolare dalle pagine di ricordi annotati nel corso degli anni, personaggi, fatti, avvenimenti che rappresentano il patrimonio storico e culturale della nostra comunità, ma dei quali, grazie alla mia età avanzata, ho potuto serbare impressioni personali, risvolti emotivi non rintracciabili in alcun documento d’archivio. Tra le figure del secolo scorso che ho conosciuto da vicino, spicca quella del comm. Pericle Roseo, per gli stretti vincoli di parentela che ci univano, ma soprattutto per il fascino che il personaggio esercitava con la sua umanità raffinata, con la vasta conoscenza dell’arte, per l’eleganza degli oggetti di cui si circondava, per la generosità mostrata verso chiunque ricorresse al suo aiuto. Nei miei ricordi l’immagine di Pericle Roseo è inscindibile da quella della sua casa, arredata con la competenza dell’esperto antiquario e l’eleganza dell’esteta, una dimora che, purtroppo, i casi della vita e l’insipienza degli uomini hanno devastato. La famiglia Roseo non era di antica origine segnina, ma il Dott. Rinaldo Roseo, nominato a 26 anni medico condotto della nostra città nella seconda metà del XIX sec., aveva messo ben presto salde radici nella nostra comunità, sposando, il 26 agosto 1871, nella Cattedrale di Santa Maria Assunta e il successivo 23 ottobre, con rito civile, alla presenza del sindaco Domenico Cletimeni, Agnese Valenzi, la ventunenne figlia del notaio Ferdinando e di Angela Colabucci. A questa unione risale l’origine dei vincoli di parentela tra le nostre famiglie, in quanto la giovane Agnese era sorella della mia bisnonna. Residenza del nuovo nucleo familiare fu la bella villa, dotata di ampio giardino e orto, con ingressi su via Tomassi ai numeri civici 54-56-58-60-67, precedentemente acquistata dalla famiglia Senese. L’edificio, su tre piani, vantava un’illustre tradizione: l’incisione: “LUCILIUS CARPINETANUSsugli architravi delle finestre evocava una risalente origine classicheggiante che, negli anni dell’adolescenza, mi piaceva immaginare come autentica, perché proprio in un appartamento di quella casa avevano abitato per alcuni anni, dopo il matrimonio celebrato nel 1893, i miei nonni Vincenzo Petriconi e Agata Falasca e, cinque anni dopo, era nata mia madre. La casa, tuttavia, raggiunse il maggior prestigio con l’impronta settecentesca che le fu conferita, nella scelta degli arredi,da Pericle Roseo, uno dei cinque figli del medico Rinaldo, nato a Roma il 3 marzo 1883, distintosi in ambito nazionale per le doti di raffinato conoscitore d’arte, per le capacità organizzative e relazionali che gli avevano meritato la stima e l’amicizia di casa Savoia, una stima che risaliva agli anni della prima guerra mondiale, quando, al fronte, il giovane tenente Roseo era stato notato dal re Vittorio Emanuele III. La cordialità comunicativa e la determinazione dell’ufficiale aveva colpito lo schivo sovrano che, anni dopo, lo avrebbe accolto tra i suoi collaboratori. Nel 1938 il commendatore affidò il restauro della villa a suo nipote, Ing. Rinaldo, che si avvalse di maestranze specializzate della Società Immobiliare, di cui era dirigente: solo per gli infissi ricorse ad un artigiano locale, il falegname Luigi Valenzi. Mio padre restaurò i mobili del XVII e XVIII sec, in particolare: i trumeaux con molti cassetti, in cui, durante i lavori, scoprì vari segretaires. Per casa Roseo realizzò, anche con il mio aiuto, una scala di legno che collegava l’ingresso al piano superiore (di proprietà della cognata Gina Guglielmetti); la protezione aveva alle estremità colonne piene di stile barocco, mentre le intermedie erano colonnine traforate. Restaurò anche il prezioso parquet, formato da quadrotti di cm. 80X80, con legni di diverse specie disposti a stella. Nella sistemazione del viale che portava dall’ingresso di via Garibaldi, 2 alla casa, realizzò sulle colonne in pietra, il pergolato con travi di legno pispai sagomate all’estremità con palombelle. L’opera fu completata dal cancello con ferri a tortiglioni, assemblato dal fabbro Ottorino Valenzi. L’intervento di restauro fu esteso anche alla corte: sulla parete di sinistra fu sistemata un’edicola con colonnine in marmo che avevano al centro un’immagine della Madonna con il Bambino, mentre il pozzo che si trovava a destra dell’ingresso fu dotato di una vera artistica di ferro battuto. La terrazza, che offriva un ampio panorama della parte bassa del paese con lo sfondo dei monti Lepini, aveva una balaustra con due pilastri che sorreggevano busti acefali di statue di età 1

Transcript of Pericle Roseo, nei ricordi della mia gioventù suo primo rifugio, durante la fuga, fu il convento...

Pericle Roseo, nei ricordi della mia gioventù

Nel proposito, portato avanti da alcuni anni, di lasciare ai miei concittadini tracce di un passato che sarebbe imperdonabile smarrire, cerco di estrapolare dalle pagine di ricordi annotati nel corso degli anni, personaggi, fatti, avvenimenti che rappresentano il patrimonio storico e culturale della nostra comunità, ma dei quali, grazie alla mia età avanzata, ho potuto serbare impressioni personali, risvolti emotivi non rintracciabili in alcun documento d’archivio.Tra le figure del secolo scorso che ho conosciuto da vicino, spicca quella del comm. Pericle Roseo, per gli stretti vincoli di parentela che ci univano, ma soprattutto per il fascino che il personaggio esercitava con la sua umanità raffinata, con la vasta conoscenza dell’arte, per l’eleganza degli oggetti di cui si circondava, per la generosità mostrata verso chiunque ricorresse al suo aiuto.Nei miei ricordi l’immagine di Pericle Roseo è inscindibile da quella della sua casa, arredata con la competenza dell’esperto antiquario e l’eleganza dell’esteta, una dimora che, purtroppo, i casi della vita e l’insipienza degli uomini hanno devastato.La famiglia Roseo non era di antica origine segnina, ma il Dott. Rinaldo Roseo, nominato a 26 anni medico condotto della nostra città nella seconda metà del XIX sec., aveva messo ben presto salde radici nella nostra comunità, sposando, il 26 agosto 1871, nella Cattedrale di Santa Maria Assunta e il successivo 23 ottobre, con rito civile, alla presenza del sindaco Domenico Cletimeni, Agnese Valenzi, la ventunenne figlia del notaio Ferdinando e di Angela Colabucci. A questa unione risale l’origine dei vincoli di parentela tra le nostre famiglie, in quanto la giovane Agnese era sorella della mia bisnonna.Residenza del nuovo nucleo familiare fu la bella villa, dotata di ampio giardino e orto, con ingressi su via Tomassi ai numeri civici 54-56-58-60-67, precedentemente acquistata dalla famiglia Senese. L’edificio, su tre piani, vantava un’illustre tradizione: l’incisione: “LUCILIUS CARPINETANUS” sugli architravi delle finestre evocava una risalente origine classicheggiante che, negli anni dell’adolescenza, mi piaceva immaginare come autentica, perché proprio in un appartamento di quella casa avevano abitato per alcuni anni, dopo il matrimonio celebrato nel 1893, i miei nonni Vincenzo Petriconi e Agata Falasca e, cinque anni dopo, era nata mia madre.La casa, tuttavia, raggiunse il maggior prestigio con l’impronta settecentesca che le fu conferita, nella scelta degli arredi,da Pericle Roseo, uno dei cinque figli del medico Rinaldo, nato a Roma il 3 marzo 1883, distintosi in ambito nazionale per le doti di raffinato conoscitore d’arte, per le capacità organizzative e relazionali che gli avevano meritato la stima e l’amicizia di casa Savoia, una stima che risaliva agli anni della prima guerra mondiale, quando, al fronte, il giovane tenente Roseo era stato notato dal re Vittorio Emanuele III. La cordialità comunicativa e la determinazione dell’ufficiale aveva colpito lo schivo sovrano che, anni dopo, lo avrebbe accolto tra i suoi collaboratori.Nel 1938 il commendatore affidò il restauro della villa a suo nipote, Ing. Rinaldo, che si avvalse di maestranze specializzate della Società Immobiliare, di cui era dirigente: solo per gli infissi ricorse ad un artigiano locale, il falegname Luigi Valenzi. Mio padre restaurò i mobili del XVII e XVIII sec, in particolare: i trumeaux con molti cassetti, in cui, durante i lavori, scoprì vari segretaires.Per casa Roseo realizzò, anche con il mio aiuto, una scala di legno che collegava l’ingresso al piano superiore (di proprietà della cognata Gina Guglielmetti); la protezione aveva alle estremità colonne piene di stile barocco, mentre le intermedie erano colonnine traforate. Restaurò anche il prezioso parquet, formato da quadrotti di cm. 80X80, con legni di diverse specie disposti a stella.Nella sistemazione del viale che portava dall’ingresso di via Garibaldi, 2 alla casa, realizzò sulle colonne in pietra, il pergolato con travi di legno pispai sagomate all’estremità con palombelle. L’opera fu completata dal cancello con ferri a tortiglioni, assemblato dal fabbro Ottorino Valenzi.L’intervento di restauro fu esteso anche alla corte: sulla parete di sinistra fu sistemata un’edicola con colonnine in marmo che avevano al centro un’immagine della Madonna con il Bambino, mentre il pozzo che si trovava a destra dell’ingresso fu dotato di una vera artistica di ferro battuto.La terrazza, che offriva un ampio panorama della parte bassa del paese con lo sfondo dei monti Lepini, aveva una balaustra con due pilastri che sorreggevano busti acefali di statue di età

1

ellenistica, ritrovati nel corso degli scavi in vicolo Colabucci per la costruzione del mulino di mia zia Ines Duelli. Al centro della terrazza era stata posta una fontana d’acqua zampillante, mentre nell’ampio locale sottostante fu allestita una sala da biliardo.Dalla corte si accedeva alla casa attraverso un portone di legno massiccio, nell’atrio, delimitato da una vetrata a colori, nella parte sinistra c’era un forno, in cui il commendatore aveva fatto progettare su misura un presepe del Settecento di inestimabile valore, opera di artisti napoletani.Frequentando quasi quotidianamente la casa, potei osservare personalmente gli interventi di restauro che si susseguirono tra il 1938 e il ’50, tutti ispirati a criteri di raffinata semplicità e buon gusto. In quel periodo il commendatore veniva spesso a Segni soggiornando a casa mia: con un telegramma ci informava del suo arrivo perché si andasse a prenderlo alla stazione ferroviaria con la “balilla” del Sig. Francesco Priori.Dopo la ristrutturazione della villa, fu rinnovato anche l’arredamento con pezzi d’antiquariato: del salone, ricordo, sulla destra, un prezioso candeliere dorato, con ampio paralume, del Settecento; accanto, una fonola dei primi del 900 che funzionava con rulli di carta forata. La parete era dominata da un grande camino, di stile rinascimentale, di pietra lavorata, quella di sinistra era quasi interamente occupata da una libreria dorata del Settecento. Completavano l’arredamento una scrivania, vari tavoli e trumeux, ricchi di argenteria, molte foto dei Savoia con dediche.La casa era sempre piena di ospiti illustri, ricordo, tra gli altri, la contessa Zerbinati, e mi fu detto che un giorno erano venuti a Segni anche il principe Umberto II e la moglie Maria Josè per fare un’improvvisata al loro amico, che, però, in quel periodo si trovava a Napoli.Ricordo anche il concerto corale e strumentale che si tenne nella corte, in occasione del conferimento della cittadinanza onoraria da parte del Comune di Segni al maestro Lorenzo Perosi.Cauto e lungimirante, all’aggravarsi del conflitto bellico Pericle Roseo provvide a mettere in salvo gli oggetti più preziosi: il presepe napoletano, due grandi vasi cinesi. Purtroppo, l’accurato imballaggio, predisposto da mio padre in un apposito baule, non bastò a preservarli dalla rovina; il bombardamento dell’ 8 marzo 1944, che devastò il quartiere di santa Lucia, colpì anche la bottega di mio zio Quinto, dove il baule era stato nascosto.Prevedendo che i tedeschi avrebbero requisito la sua casa, egli con l’aiuto del geom. Luigi Fagiolo (padre del futuro cardinale Pericle), che sovraintendeva ai lavori edili avvalendosi dell’apporto del muratore Attilio Navarra e del fratello di questi, Giuseppe, in piena notte nascose una cassetta, che era stata prelevata dal convitto Principe di Piemonte ad Anagni, e trasportata a Segni con il camion di Giulio Coletta (Scoppitto), scortato da Luigi Valenzi: la cassetta fu calata verticalmente in un pozzo precedentemente svuotato e ricoperto di ghiaia; successivamente fu fatta rifluire l’acqua.Dopo la guerra il pozzo venne prosciugato e per il recupero mediante un argano, vi si calò, legato ad una corda, il diciottenne Vincenzo Navarra; dopo molti anni il commendatore rivelò che il “tesoro reale”, contenuto nella cassetta, era costituito dalle corone.Come aveva previsto, in seguito alla frequentazione di casa Savoia e all’amicizia con il principe Umberto, Pericle Roseo fu esposto alle rappresaglie dei tedeschi; dopo l’8 settembre gli agenti della Gestapo si presentarono alla sua abitazione romana, con duplice ingresso, su via Arno e via Postumia.Egli si trovava a Segni e solo la prontezza della domestica Nerina e una buona stella lo salvarono dalla cattura e dalla deportazione. Sollecitato da lei, l’autista Elio si diresse immediatamente a Segni nel tentativo di mettere in salvo il commendatore: la macchina della Gestapo e quella dei fuggitivi si incrociarono sulla via Traiana. I Tedeschi, non trovando il ricercato, catturarono il nipote, Ing. Rinaldo e un amico che furono rinchiusi nel carcere di Regina Coeli e rilasciati solo dopo alcuni mesi.Il suo primo rifugio, durante la fuga, fu il convento dei frati di Santa Maria Pugliano; successivamente, egli raggiunse Roma e trovò accoglienza nel monastero delle francescane Alcantarine, presso San Giovanni in Laterano. In seguito, chiuso in un baule forato, riuscì a superare il fronte di Cassino e, con alterne vicende, raggiunse la Sicilia.

2

Il personaggioPersonalità versatile, di grandi capacità organizzative, Pericle Roseo si era rapidamente affermato in settori diversi, se non, addirittura, contrastanti: dall’industria all’attività gestionale, all’antiquariato, all’arte (ricordo un ritratto fatto ai miei nonni), mostrando eccezionali doti di intuito, ma anche grande disponibilità ad interventi umanitari.Come amava raccontare con orgoglio al suo autista, Sante Colaiacomo (Bisarciaro), durante i frequenti viaggi da Roma a Napoli, giovanissimo aveva raggiunto un ruolo dirigenziale in uno stabilimento petrolchimico di San Giovanni a Teduccio.Ben presto si era fatto apprezzare negli ambienti della nobiltà partenopea. Amico di Achille Lauro e di altre famiglie aristocratiche, aveva un rapporto di familiarità con la nobildonna Tommasina Grandinetti, per essere stato molto vicino al figlio Avv. Paolo, morto prematuramente nel 1913. Quando i coniugi Sen. Gaspare e Tommasina Colosimo fondarono a Napoli “ l’Istituto dei cechi” in memoria del loro figlio, ne affidarono a lui la direzione; più tardi egli divenne presidente della fondazione.Negli anni 1935-’36 si rafforzò l’amicizia di cui casa Savoia lo onorava e il sovrano nominò cerimoniere ufficiale della Real Casa l’antico compagno d’armi, apprezzandone la competenza nell’ambito delle arti. Quando il principe Umberto II, in occasione delle grandi manovre della Divisione “Volturno”, dimorò nel convento di San Francesco a Folloni, Pericle Roseo, suo fiduciario, si occupò di arredare l’appartamento reale, mantenendo l’impronta semplice e raccolta dello spirito francescano che il principe apprezzava.Assiduo frequentatore di case d’arte, fu collezionista raffinato di oggetti preziosi: il 25 novembre 1999, la Christie’s metteva all’asta una zuppiera di porcellana della Real Fabbrica Ferdinandea 1790-1800, proveniente dalla collezione ottocentesca di Pericle Roseo; stimata ufficialmente dai 6 agli 7 milioni di lire, fu aggiudicata per 3,924 sterline, pari a £. 6.325.000.Una voce non confermata lo diceva proprietario di un’opera di Donatello.La capacità di valutare con sicurezza il valore di un’opera gli consentiva operazioni di autentico successo, finalizzate non tanto a fini speculativi, ma al piacere di mettersi alla prova, di confrontarsi con un mondo, quello del mercato dell’arte, che non consente distrazioni o incertezze. Tale connotazione dell’attività professionale di Roseo si desume chiaramente da un aneddoto che l’autista Colaiacomo ripeteva con dovizia di particolari. Diretti a Napoli, dove il commendatore doveva decidere l’acquisto dell’arredamento dell’abitazione di una contessa deceduta, l’autista, soffermatosi nella portineria del palazzo nobiliare, si era sentito proporre uno strano affare dalla custode: l’acquisto di un quadro piuttosto deteriorato per £. 500.000. Sorridendo aveva declinato la proposta e sulla strada del ritorno ne aveva parlato senza interesse al commendatore. Questi, improvvisamente, decise di vedere il quadro, ordinandogli di tornare indietro. Osservato attentamente l’oggetto, decise di acquistarlo, offrendo alla donna un prezzo maggiorato, cosa che lasciò stupefatto l’incredulo autista. Alcuni giorni dopo il ritorno a Roma, il commendatore gli aveva consegnato una busta con un assegno di 8 milioni, frutto della rivendita del quadro, acquistato a Napoli, ad un antiquario di via Margutta, con l’ordine di consegnarla ad un istituto di suore a Piazza di Spagna.Anche la città di Segni ebbe prove tangibili della sua generosità: nel 1923, in occasione dell’ottavo centenario della morte di San Bruno, ne fece restaurare la cappella nella Cattedrale. Come esperto d’arte e maggior benefattore assunse la direzione dei lavori, coadiuvato dall’arch. Busiri Vici. Più tardi alla ricostruita chiesa di Santa Lucia donò dieci candelieri antichi in legno dorato del settecento.Nel 1954, invece, aveva ristrutturato gli interni del Vescovato, ridotti in condizioni fatiscenti, realizzando un nuovo scalone e arricchendo i locali con preziosi stucchi, arredi e mobili antichi, per accogliere il nuovo vescovo Luigi Maria Carli.La sua generosità si esprimeva sia nella munificenza del signore pronto a gratificare la Chiesa locale e i concittadini, sia nei gesti semplici, in forme discrete, senza clamori: è noto che sostenne negli studi, fino al diploma magistrale, la figlia della collaboratrice domestica.

3

Roseo fu, fino alla sua morte, il primo presidente laico del consiglio di amministrazione dell’Istituto Mons. Sagnori, risollevandolo dai disagi in cui versava.La mia frequentazione di casa Roseo era stata una consuetudine quasi quotidiana negli anni della mia giovinezza: nel ’43 il commendatore, prima di fuggire in maniera quasi rocambolesca, ci aveva lasciato le chiavi per eventuali controlli. La mattina del 21 gennaio 1944, mi trovavo nel salone, mentre alcuni ufficiali tedeschi, che avevano requisito la villa, erano riuniti intorno al tavolo e discutevano controllando carte topografiche relative alla zona di Cassino. L’arrivo di un motociclista allarmato che presentò loro un dispaccio li lasciò sbigottiti e fuggirono. Così, chiedendo spiegazioni ad uno di loro, seppi che gli americani erano sbarcati ad Anzio. Presi quelle carte e me ne andai. (Queste carte sono state donate all’archivio storico Innocenzo III di Segni).Dopo il 1950 la frequentazione di quella casa divenne soltanto episodica per i miei impegni di lavoro. Nel 1963 mi recai dal commendatore, in visita, per fargli conoscere la mia futura moglie e per invitarlo alla cerimonia nuziale. Felicitandosi per la nostra decisione ci regalò una preziosa zuccheriera d’argento. Il 2 giugno 1953, su proposta della Presidenza del Consiglio dei Ministri, gli fu conferita l’onorificenza di grande ufficiale dell’ordine al merito della Repubblica Italiana.Da un articolo del quotidiano “Il Tempo” appresi la sua morte, avvenuta a Napoli il 1 marzo 1969; con riferimento alle disposizioni testamentarie si riferiva che l’intero arredamento della sua abitazione romana sarebbe messo all’asta ed il ricavato devoluto all’Istituto Paolo Colosimo di Napoli. Anche in queste estreme volontà io riconobbi la coerenza dell’uomo.

Valenzi Valeriano

(Tratto dal Libro dei Ricordi)

Il Comm. Roseo con il Min. Giulio Andreotti e consorte, nell’Istituto Paolo Colosimo.

(Foto Tratta una rivista dell’archivio storico Innocenzo III di Segni).

4

Il principe Umberto II e il Comm. Pericle Roseo nel convento di San Francesco a Folloni a Montella (AV) – (Foto tratta da Internet).

Ingresso via Garibaldi, 2 con portale in pietra finemente lavorata (Foto Valenzi Valeriano)

5