Shadowhunters - Città di ossa · La ragazza era uno spettro pallido che ar-retrava nel fumo...

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CASSANDRA CLARE

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SHADOWHUNTERSCITTÀ DI OSSA(The Mortal Instruments. City of

Bones, 2007) Tra il concepireun’impresa terribile

e il tradurla in azione c’è uno spazioch’è un sogno orribile, come un

fantasma.L’anima razionale e le passioniin quel momento siedono a consultoe tutto l’essere umano è in subbugliocome un piccolo regno ch’è in

rivolta.(WILLIAM SHAKESPEARE,

Giulio Cesare)parte prima

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LA PERIGLIOSA MIADISCESA

Io cantai l’eterna Notte e il Caos.E la celeste Musa mi erudìnella perigliosa mia discesa e

risalita.(JOHN MILTON, Il Paradiso

perduto)capitolo 1

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AL PANDEMONIUM«Stai scherzando, vero?» disse il

buttafuori incrociando le braccia davantial petto massiccio. Guardò dall’alto inbasso il ragazzo col giubbotto rosso escosse la testa rasata. «Non puoi portaredentro quella roba.»

La cinquantina di ragazzi in codafuori dal Pandemonium Club si spor-sero in avanti per origliare. L’attesa perentrare in quel locale era lunga,soprattutto il sabato, e in coda nonsuccedeva quasi mai niente diinteressante. I buttafuori erano tosti ecalavano subito in picchiata su chiunqueaveva l’aria di voler fare casini. Laquindicenne Clary Fray, in coda con

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Simon, il suo migliore amico, si chinò inavanti come tutti gli altri, sperando inuna piccola distrazione.

«Ehi, dai…» Il ragazzo sollevòl’oggetto del contendere sopra la testa.

Sembrava un palo di legno conun’estremità appuntita. «Fa parte delmio costume.»

Il buttafuori sollevò un sopracciglio.«Che sarebbe?»

Il ragazzo sorrise. Aveva un aspettoabbastanza normale, pensò Clary, peressere al Pandemonium. Aveva i capelliblu elettrico che schizzavano su come itentacoli di un polipo spaventato, maniente strani tatuaggi sulla faccia népezzi di ferro infilati nelle orecchie o

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nelle labbra. «Sono un cacciatore divampiri.» Si appoggiò al palo, che sipiegò come uno stelo d’er-ba. «È finto,di gomma, vedi?»

Gli occhioni del ragazzo erano di unverde troppo intenso, notò Clary: ilcolore dell’antigelo, o dell’erba aprimavera. Lenti a contatto colorate,probabilmente. Il buttafuori scrollò lespalle, improvvisamente annoiato.

«Vabbe’. Entra.»Il ragazzo gli scivolò accanto,

veloce come un’anguilla. A Clarypiacque la forma delle sue spalle, ilmodo in cui scuoteva i capelli nerimentre camminava. C’era una parola cheavrebbe usato sua madre per

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descriverlo: disinvolto.«Ti piace, eh?» chiese Simon con

un’aria rassegnata.Clary gli tirò una gomitata nelle

costole, ma non rispose.Il locale era pieno di fumo fatto con

il ghiaccio secco. Le luci colorate siinseguivano sulla pista, trasformandolain un paese incantato di blu, verdeacido, rosa shocking e oro.

Il ragazzo col giubbotto rossoaccarezzò la lunga lama affilata come unrasoio che teneva tra le mani, con unpigro sorriso che gli danzava sullelabbra. Era stato facile… un po’ dimagia sulla lama, per farla sembrare i-noffensiva. Un po’ di magia anche sugli

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occhi, e nel momento in cui il buttafuoriaveva incrociato il suo sguardo, nonaveva potuto far altro che lasciarloentrare. Probabilmente l’avrebbesuperato anche senza tutta quellamessinscena, ma faceva parte deldivertimento… prendere in giro imondani, fare tutto quanto di fronte aloro, senza nascondersi, scivolaredavanti agli sguardi spenti dei loro voltida pecore.

Non che gli umani non avessero unaloro utilità. Gli occhi verdi del ragazzopassarono in rassegna la pista dove imondani ballavano, e membra snelle,avvolte in brandelli di seta e di pellenera, comparivano e scomparivano nelle

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mutevoli colonne di fumo. Le ragazzeagitavano i lunghi capelli, i ragazzidimenavano i fianchi avvolti nel cuoio ela pelle nuda scintillava di sudore. Lavitalità sgorgava fuori da loro, ondate dienergia che gli facevano girare la testacome se fosse ubriaco. Gli siarricciarono le labbra. Non sapevanoquanto erano fortunati. Non sapevanocosa significava condurre una vita privadi slanci in un mondo morto, dove ilsole arrancava in cielo come una braceormai spenta. Le loro vite bruciavanoco-me fiammelle di candele… ed eranoaltrettanto facili da spegnere.

La sua mano si strinse sulla spada einiziò ad avviarsi verso la pista, quando

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una ragazza si staccò dalla massa dellepersone che ballavano e si incamminòverso di lui. La fissò. Era bella, peressere un’umana… Capelli lunghi chesembravano inchiostro nero, occhi dicarbone. Un abito bianco che toccava ilpavimento, come quelli che le donneindossavano quando questo mondo erapiù giovane. Maniche di pizzo che le siallargavano attorno alle braccia sottili.Al collo una pesante catena d’argentocui era appesa una pietra rosso scuro,grossa come il pugno di un neonato. Glibastò stringere un po’ gli occhi percapire che era vera… vera e preziosa.Mentre gli si avvicinava, il ragazzoiniziò a sentire l’acquolina in bocca.

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L’energia vitale pulsava in quellaragazza come il sangue in una feritaaperta. Lei gli passò davanti, sorrise, loinvitò con lo sguardo. Lui si voltò perseguirla, sentendo già sulle labbra ilsapore della sua morte.

Era sempre facile. Riusciva già asentire il potere di quella vita che eva-porava scorrergli nelle vene comefuoco. Gli umani erano così stupidi.Avevano una cosa così preziosa e latrattavano in modo tanto superficiale.

Gettavano via le loro vite perdenaro, per bustine di polvere, per ilsorriso affascinante di uno sconosciuto.La ragazza era uno spettro pallido chear-retrava nel fumo colorato. Raggiunse

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la parete e si voltò. Raccolse la gonnacon le mani e la sollevò sorridendogli.Sotto portava stivali alti fino allacoscia.

Le si accostò lentamente, la pelleche gli formicolava per la sua vicinanza.Da vicino non era così perfetta, colmascara sbavato sotto gli occhi e ilsudore che le incollava i capelli alcollo. Sentiva l’odore della sua mortali-tà, il dolce sentore della putrefazione.«Beccata» le disse.

Un sorriso accattivante si disegnòsulle labbra della ragazza, poi svoltò dilato, e lui vide che si appoggiava a unaporta chiusa. INGRESSO VIETATO,diceva una scritta rossa. La ragazza

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allungò una mano dietro la schiena,prese la maniglia, la girò, sgattaiolòdentro. Lui intravide scatoloni impilati ecavi elettrici aggrovigliati. Unmagazzino. Si guardò alle spalle:nessuno in vista. Se era lei a volere unpo’ di privacy… tanto meglio.

Scivolò nella stanza dietro di lei,senza notare che qualcuno lo stavaseguendo.

«Allora» disse Simon. «La musicanon è male, no?»

Clary non rispose. Stavano ballando- o almeno stavano facendo quello chepassava per ballare: vari ondeggiamenticon occasionali affondi verso ilpavimento come in cerca di una lente a

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contatto perduta, in uno spazio libero traun gruppo di ragazzi strizzati in corsettidi metallo e una coppia di giovaniasiatici che si dava da fareappassionatamente mentre le loro e-xtension colorate si intrecciavano comerampicanti. Un ragazzo con un piercingal labbro e uno zainetto a forma diorsacchiotto distribuiva gratis pasticchedi herbal ecstasy, coi pantaloni daparacadutista che svolazzava-no nellabrezza generata dalla macchina delvento. Clary non stava prestando troppaattenzione a ciò che aveva attorno: i suoiocchi erano tutti per il tipo coi capelliblu che si era conquistato l’entrata alclub a forza di chiacchiere. Il ragazzo si

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aggirava tra la folla come se fosse allaricerca di qualcuno. Nel suo modo dimuoversi c’era qualcosa che lericordava…

«Io» proseguì Simon «mi stodavvero divertendo.»

La cosa appariva decisamenteimprobabile. Simon, come sempre,spiccava in mezzo al club come unazucca in un campo di meloni: indossavaun paio di jeans e una vecchia magliettacon la scritta MADE IN BRO-OKLYN. Icapelli appena lavati erano castanoscuro anziché verdi o rosa e aveva gliocchiali appollaiati sulla punta del naso.Sembrava diretto a un club degli scacchipiù che a un appuntamento coi poteri

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delle tenebre.«Mmm» disse Clary. Sapeva

perfettamente che il Pandemonium lo an-noiava e ci veniva solo perché piaceva alei. Non era nemmeno sicura del perchépiacesse a lei, quel posto: i vestiti, lamusica, tutto sembrava un sogno, la vitadi qualcun altro, completamente diversada quella noia che era la sua vita. Maera troppo timida per rivolgere la parolaa qualcuno che non fosse Simon.

Il ragazzo coi capelli blu si stavaavvicinando alla pista. Sembrava un po’perso, come se non avesse trovatoquello che cercava. Clary si chiese cosasarebbe successo se fosse andata da luie si fosse presentata per pro-porgli un

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giro turistico del locale. Magari sarebberimasto lì a fissarla. O

magari era timido anche lui, magarile sarebbe stato grato e gli avrebbe fattopiacere, e avrebbe cercato di non darloa vedere, come fanno sempre i ragazzi,ma lei lo avrebbe capito lo stesso.Magari…

Il ragazzo coi capelli blu ebbe comeuno scatto e divenne improvvisamenteattento, come un cane da punta. Claryseguì la linea del suo sguardo e vide laragazza con l’abito bianco.

Ah, ecco, pensò Clary, cercando dinon sentirsi come un palloncinosgonfiato a una festa di compleanno.Partita chiusa. La ragazza era

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fantastica, il genere di ragazza che Claryavrebbe voluto disegnare, se non fossestata tanto irritata: alta, sottile come ungiunco, con una gran cascata di capellineri. Anche a quella distanza, Clarypoteva vedere il ciondolo rosso cheportava al collo. Pulsava sotto la lucedella pista da ballo come un cuoredisincarnato.

«Direi» continuò Simon «che questasera il DJ sta facendo un ottimo lavoro,non ti pare?»

Clary levò gli occhi al cielo e nonrispose. Simon odiava la musica trance.L’attenzione di Clary era tutta per laragazza con il vestito bianco, che stavaindietreggiando verso le scale. Il suo

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abito pallido splendeva come un faro trale luci basse e la nebbia artificiale. Nonc’era da stupirsi che il ragazzo coicapelli blu la stesse seguendo, comefosse vittima di un incantesimo, troppodistratto per notare qualsiasi altra cosaavesse attorno…

comprese le due sagome scure chegli stavano alle calcagna e lo seguivanoa ruota tra la folla.

Clary rallentò il ritmo del proprioballo e li guardò con attenzione.Riusciva a malapena a capire se eranomaschi o femmine. Erano maschi. Alti evestiti di scuro. Non sapeva dire comeavesse capito che stavano seguendo ilragazzo, ma era così. Lo capiva da come

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tenevano il suo stesso passo, dalla loroaria circospetta, dalla grazia furtiva deiloro movimenti. Un piccolo fiored’apprensione iniziò a sbocciare nelpetto di Clary.

«Ah, volevo dirti» aggiunse Simon«che spesso, ultimamente, mi sonovestito da donna. E che vado a letto contua mamma… penso che dovrestisaperlo.»

La ragazza aveva raggiunto la paretee stava aprendo una porta su cui erascritto INGRESSO VIETATO. Si feceseguire dal ragazzo coi capelli blu edentrambi sgattaiolarono dall’altro latodella porta. Non era certo la prima voltache Clary assisteva a una scena del

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genere, una coppia che si infilava in unangolo appartato di un locale per darcidentro. Ma questo rendeva ancora piùstrano il fatto che qualcuno li stesseseguendo.

Clary si sollevò sulla punta deipiedi, nel tentativo di vedere al di làdella folla. I due tizi si erano fermatidavanti alla porta e stavano parlando fralo-ro. Uno era biondo, l’altro moro. Ilbiondo infilò una mano dentro ilgiubbotto e tirò fuori qualcosa di lungo eaffilato che mandò un lampo sotto le lucistroboscopiche. Un coltello.

«Simon!» urlò Clary afferrando ilbraccio dell’amico.

«Cosa?» Simon sembrava allarmato.

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«Guarda che non vado mica a letto contua madre. Stavo solo cercando diattirare la tua attenzione. Anche se devoammettere che tua madre è una donnaestremamente attraente, per la sua età.»

«Li vedi quei tipi?» Clary puntò ildito con foga e quasi colpì una ragazzanera tutta curve che ballava lì accanto.La ragazza le lanciò un’occhiataccia.«Scusa… scusa!» Poi Clary tornò avoltarsi verso Simon. «Li vedi quei duetizi laggiù? Quelli vicino alla porta?»

Simon prima strizzò gli occhi e poiscrollò le spalle. «Non vedo niente.»

«Sono in due… stavano seguendo iltizio coi capelli blu…»

«Quello che ti piaceva?»

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«Sì, ma non è questo il punto. Ilbiondo ha tirato fuori un coltello…»

«Sei sicura?» Simon cercò di vederemeglio e scosse il capo. «Io continuo anon vedere nessuno.»

«Sono sicura.»Improvvisamente serio, Simon

assunse un’aria determinata. «Vado achiamare qualcuno della security. Tu staiqui. Si allontanò di gran carriera,facendosi strada tra la folla a spintoni.»

Clary si voltò appena in tempo pervedere il ragazzo biondo che si infilavadentro la porta con la scritta INGRESSOVIETATO, con l’amico alle calcagna.

La ragazza si guardò attorno: Simonstava ancora cercando di attraversare la

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pista da ballo, ma non è che facessegrandi progressi. Ora, anche se avesseurlato, nessuno l’avrebbe sentita, eprima del ritorno di Simon avrebbepotuto esser già successo qualcosa diterribile. Clary si morse forte il labbroinferiore e iniziò a insinuarsi fra la folla.

«Come ti chiami?»Lei si voltò e sorrise. La poca luce

che c’era nel magazzino entrava dallealte finestre sbarrate e impolverate. Ilpavimento era pieno di pile di cavielettrici, rottami di pallestroboscopiche, latte di verniceavanzata.

«Isabelle» disse lei.«Bel nome.» Lui avanzò, guardando

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dove metteva i piedi nel caso qualchecavo elettrico fosse ancora collegato.Nella luce fioca, lei sembravasemitrasparente, scolorata, ammantata dibianco come un angelo. Sarebbe statobello farla cadere e… «Non ti ho maivisto qui.»

«Vuoi sapere se vengo qui spesso?»ridacchiò lei, coprendosi la bocca conuna mano. Aveva una specie dibraccialetto, sotto il polsino del vestito.Poi, mentre le si avvicinava, il ragazzovide che non era un braccialetto, ma undisegno a inchiostro tracciato sullapelle, una matrice di linee vorti-cose.

E si bloccò. «Tu sei…»Non terminò la frase. La ragazza,

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muovendosi fulmineamente, lo colpì alpetto con la mano aperta. Un colpo chel’avrebbe lasciato a terra senza fiato, selui fosse stato un essere umano. Ilragazzo arretrò barcollando: ora leiaveva qualcosa in mano, una frusta, chelanciando scintillii dorati schioccò aterra, gli si attorcigliò alle caviglie e lofece cadere. Il ragazzo si contorceva sulpavimento, con la frusta metallica chegli mordeva la pelle.

Lei torreggiava davanti a lui,ridendo. Avrebbe dovuto capirlo:nessuna ragazza umana portava unvestito come quello di Isabelle. Loindossava per coprirsi la pelle. Tutta lapelle.

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Isabelle strattonò la frusta,stringendo la presa. Il suo sorrisoscintillava come acqua velenosa. «Ètutto vostro, ragazzi.»

Una bassa risata risuonò alle spalledel ragazzo, che si ritrovò delle maniaddosso: mani che lo rimisero in piedi,mani che lo lanciarono contro una dellecolonne di cemento, la pietra umidasulla schiena. Gli torsero le maniall’indietro e gli legarono i polsi con delfilo dorato. Mentre si dibatteva,qualcuno uscì da dietro la colonna edentrò nel suo campo visivo. Era un altroragazzo, giovane come Isabelle ealtrettanto bello. I suoi occhi fulviscintillavano come schegge d’ambra.

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«Allora» disse. «Ce ne sono altri conte?»

Il ragazzo coi capelli blu sentiva chela circolazione interrotta dal filometallico troppo stretto gli stavarendendo insensibili i polsi. «Altricosa?»

«Finiscila.» L’altro ragazzo sollevòle braccia e le sue maniche scurescivolarono giù, mostrando le runetracciate sui polsi, sul dorso delle mani,sui palmi. «Sai cosa sono.»

Dietro, dentro il suo cranio, laseconda serie di denti del ragazzo daicapelli blu iniziò a digrignare.

«Uno Shadowhunter, un Cacciatore»sibilò il demone.

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Il ragazzo fece un sorriso daorecchio a orecchio. «Beccato» disse.

Clary aprì la porta del magazzino edentrò. Per un istante pensò che non cifosse nessuno. Le uniche finestre eranoin alto ed erano munite di sbarre. Da lìentravano i deboli rumori della strada, ilsuono di clacson e di fre-ni chestridevano. La stanza odorava di vernicevecchia e uno spesso strato di polverecopriva il pavimento, attraversato daimpronte sbavate.

Qui non c’è nessuno, pensòguardandosi attorno sbalordita. Facevafreddo, in quella stanza, nonostante fosseagosto. Il sudore le si ghiacciò sullaschiena. Fece un passo avanti e un piede

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le si impigliò nei cavi elettrici. Si chinòper liberare la scarpa da ginnastica… esentì delle voci. La risata di una ragazza,la risposta secca di un ragazzo. Equando si rialzò… li vide.

Era come se fossero sbucati fuori inun batter d’occhio. C’era la ragazza conil lungo vestito bianco e i capelli neri,che le scendevano lungo la schiena comealghe bagnate. Con lei c’erano i dueragazzi… quello alto con i capelli nericome i suoi e quello più basso e biondo,i cui capelli scintillavano come ottoninella luce fioca che entrava dallefinestre. Era in piedi con le mani intasca, di fronte al ragazzo coi capelliblu, che era legato a una colonna con una

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specie di corda di pianoforte, le manitirate dietro la schiena, le gambe legateall’altezza delle caviglie. Aveva il voltoteso per il dolore e la paura.

Con il cuore che le martellava nelpetto, Clary si nascose dietro la colonnapiù vicina e diede un’occhiata furtiva.Vide il biondo camminare avanti eindietro, le braccia incrociate davanti alpetto. «Allora?» disse.

«Non mi hai ancora detto se qui cisono altri come te.»

Come te? Clary si chiese di cosastesse parlando. Forse era capitata inmezzo a una guerra tra gang.

«Non so di cosa parli» rispose ilragazzo coi capelli blu. Il suo tono di

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voce era sfrontato, nonostante il dolore.«Di altri demoni» disse il ragazzo

moro disegnando la parola nell’aria conle dita. «Cittadini dell’Inferno e servi diSatana, secondo la religione.

Ma, secondo il Conclave, tutti i tipidi spirito, potere o principio malevolo emaligno che si trovi fuori dalla nostradimensione originaria…»

«Basta così, Jace» lo fermò laragazza.

«Isabelle ha ragione» disse ilragazzo con la giacca impermeabile.«Qui a nessuno serve una lezione disemantica… e neppure di demonologia.»

Sono pazzi, pensò Clary. Pazzicompleti. Demoni? Altre dimensioni?

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Cosa diavolo sta succedendo qui?Jace sollevò la testa e sorrise. C’era

qualcosa di feroce in quel gesto,qualcosa che a Clary ricordò idocumentari sui leoni: il modo in cui igrandi felini sollevano la testa perannusare l’aria alla ricerca della preda.«Isabelle e Alec pensano che io parlitroppo» disse in tono confidenziale.«Anche tu pensi che io parli troppo?»

Il ragazzo coi capelli blu nonrispose. Poi iniziò a muovere la bocca.

«Potrei darvi delle informazioni»disse. «So dove si trova Valentine.»

Jace guardò Alec, che scrollò lespalle. «Valentine è sotto terra. Questocoso ci sta prendendo in giro.»

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Isabelle scrollò i capelli. «Uccidilo,Jace» concluse. «Non ci dirà niente.»

Jace sollevò la mano, e Clary videla luce riflettersi sul coltello cheimpugnava. Era stranamente trasparente,con una lama chiara come cristallo eaffilata come una scheggia di vetro.

Il ragazzo legato sussultò. «Valentineè tornato!» protestò strattonando i caviche gli stringevano le mani dietro laschiena. «Lo sanno tutti i MondiInfernali… Io, lo so… e posso dirvidove…»

All’improvviso gli occhi di ghiacciodi Jace furono invasi dalla rabbia.

«Per l’Angelo, ogni volta checatturiamo uno di voi bastardi dite

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sempre di sapere dove si trovaValentine. Be’, lo sappiamo anche noidove si trova.

All’Inferno. E tu…» sollevò il lungocoltello, la lama scintillante come unalinea di fuoco «puoi raggiungerlo. »

Clary non poté resistere oltre. Uscìda dietro la colonna. «Fermi!» urlò.

«Non potete farlo…»Jace si voltò di scatto, tanto

sorpreso che il coltello gli sfuggì dimano e cadde sul pavimento di cemento.Anche Isabelle e Alec si voltarono,entrambi con un’espressione di stuporedipinta in volto. Il ragazzo coi capelliblu rimase fermo dove si trovava,sbalordito e a bocca aperta.

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Fu Alec a parlare per primo.«Cos’è?» chiese guardando ora Claryora i suoi compagni, come se lorosapessero cosa ci faceva lì quellaragazza.

«È una ragazza» disse Jaceriprendendo il proprio autocontrollo.«Sicuramente ti sarà già capitato divederne qualcuna, Alec. Tua sorellaIsabelle, ad esempio.» Fece un passoverso Clary, socchiudendo gli occhicome se non riuscisse a credere fino infondo a ciò che aveva davanti. «Unamondana» disse come tra sé. «E ci puòvedere.»

«Certo che vi posso vedere» disseClary. «Non sono mica cieca.»

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«Oh, sì che lo sei» disse Jacechinandosi a raccogliere il coltello.«Solo che non lo sai.» Si raddrizzò. «Èmeglio che tu esca di qui, te lo dico peril tuo bene.»

«Non vado da nessuna parte» sirifiutò Clary. «Se me ne vado, voi lo uc-ciderete.» Indicò il ragazzo coi capelliblu.

«È vero» ammise Jace, rigirandosi ilcoltello tra le dita. «E a te perchédovrebbe importare se lo uccidiamo ono?»

«Perché…» farfugliò Clary. «Perchénon si può andare in giro a uccidere lepersone.»

«Hai ragione» disse Jace. «Non si

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può andare in giro a uccidere lepersone. » Poi indicò il ragazzo coicapelli blu, che aveva gli occhisocchiusi.

Clary si chiese se fosse svenuto.«Ma quello che vedi non è una persona,ragazzina. Può anche avere l’aspetto diuna persona, e parlare come unapersona, e magari anche sanguinarecome una persona. Ma è un mostro.»

«Jace» lo richiamò Isabelle secca.«Basta così.»

«Tu sei pazzo» disse Claryarretrando. «Ho chiamato la polizia.Saranno qui da un momento all’altro.»

«Sta mentendo» disse Alec, ma sulsuo volto si intuiva il dubbio. «Jace,

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tu…»Non riuscì a finire la frase. In

quell’istante il ragazzo coi capelli blu,con un urlo acuto e ferino si liberò dallecorde che lo tenevano legato allacolonna e si lanciò contro Jace.

Caddero a terra e rotolaronoavvinghiati. Il ragazzo coi capelli blulace-rava la pelle di Jace con le maniche scintillavano come se le punte delledita fossero di metallo. Clary arretrò:avrebbe voluto fuggire, ma inciampò inun rotolo di cavi elettrici, cadde erimase a terra senza fiato per la botta.

Sentì Isabelle strillare. Rotolò su unfianco e vide il ragazzo coi capelli bluseduto sul petto di Jace. Le punte dei

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suoi artigli affilati come rasoiluccicavano di sangue.

Isabelle e Alec corsero verso i duecontendenti. Isabelle brandiva la suafrusta. Il ragazzo coi capelli blu cercò dicolpire il volto di Jace coi suoi artigli,Jace sollevò un braccio per proteggersi,e gli artigli lo dilaniarono, facendoschizzare sangue dappertutto. Il ragazzocoi capelli blu tentò un nuovo affondo…quando la frusta di Isabelle si abbattésulla sua schiena. Il ragazzo emise unaspecie di ululato e cadde su un fianco.

Veloce come la frusta di Isabelle,Jace rotolò di lato e nelle sue manicomparve di nuovo il coltello. Affondòla lama nel petto del ragazzo coi capelli

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blu. Un liquido nerastro esplose attornoall’elsa. Il ragazzo inarcò la schienasenza alzarsi dal pavimento. Jace sirimise in piedi con una smorfia. La suacamicia nera in alcuni punti era ancorapiù nera per il sangue che lainfradiciava. Volse lo sguardo sullafigura che si contorceva ai suoi piedi, siabbassò, ed estrasse il coltello dal suocorpo. L’elsa era resa scivo-losa da unfluido nero.

Gli occhi del ragazzo coi capelli blusi aprirono di scatto. Erano fissi su Jacee sembravano bruciare. Poi sibilò tra identi: «Così sia. Il Rinnegato viprenderà tutti.»

Jace parve quasi ringhiare. Gli occhi

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del ragazzo si rovesciarono all’indietro.Il suo corpo iniziò a tremare e asussultare mentre si accartocciava,ripiegandosi su se stesso e facendosisempre più piccolo, finché nonscomparve del tutto.

Clary si rimise freneticamente inpiedi, scalciando via il cavo elettrico.

Iniziò a indietreggiare. Nessuno diloro le stava prestando attenzione…Alec aveva raggiunto Jace e gli stavatenendo il braccio. Gli tirava la manica,forse per dare un’occhiata alle ferite.Clary si voltò per scappare… e si trovòla strada bloccata da Isabelle, con lafrusta in mano. La lunga arma dorata eramacchiata di fluido nero. Scosse

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rapidamente la frusta verso Clary e lasua estremità le avvolse il polso. Clarysussultò di dolore e sorpresa.

«Stupida piccola mondana» disseIsabelle tra i denti. «Avresti potuto faruccidere Jace.»

«È pazzo» disse Clary cercando diliberarsi il polso. La frusta affondòancora di più nella sua pelle. «Siete tuttipazzi. Cosa credete di essere, deigiustizieri della notte? La polizia…»

«La polizia non interviene se non c’ènessun cadavere» disse Jace. Attraversòla stanza ingombra di cavi stringendosiil braccio al petto e si avvicinò a Clary.Alec lo seguì con un’espressionearcigna in volto.

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Clary diede uno sguardo al punto incui era scomparso il ragazzo e non dissenulla. Non c’era nemmeno una macchiadi sangue, nulla che potesse far credereche quel ragazzo fosse mai esistito.

«Quando muoiono tornano alla lorodimensione originaria» spiegò Jace.

«Nel caso te lo stessi chiedendo.»«Jace» sibilò Alec. «Attento a

quello che dici.»Jace ritrasse il braccio. Sul volto

aveva un macabro schizzo di sangue. AClary continuava a ricordare un leone,con gli stessi occhi distanti e chiari e lacriniera dorata. «Ci può vedere, Alec»disse. «Sa già fin troppo.»

«E allora, cosa vuoi che faccia di

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lei?» chiese Isabelle.«Lasciala andare» disse Jace

tranquillamente. Isabelle gli lanciò unosguardo sorpreso, quasi rabbioso, manon fece discussioni. La frusta ebbe unfremito e liberò il braccio di Clary. Laragazza si massaggiò il polso in-dolenzito e si chiese come diavolosarebbe uscita da quella situazione.

«Forse dovremmo portarla via connoi» disse Alec. «Scommetto che aHodge piacerebbe farci duechiacchiere.»

«Non esiste che la portiamoall’Istituto» disse Isabelle. «È unamondana.»

«Ne sei sicura?» disse Jace

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sottovoce. Il suo tono pacato faceva piùpaura del nervosismo di Isabelle o dellarabbia di Alec. «Tu hai mai avuto a chefare con i demoni, ragazzina? Te ne seiandata in giro con gli stregoni?

Hai parlato con i Figli della Notte?Hai…»

«Non chiamarmi ragazzina» lointerruppe Clary. «E non ho idea di cosastia parlando.» Davvero? disse una vocenel retrobottega del suo cervello.

Hai visto quel ragazzo scomparirenel nulla. E Jace non è pazzo… Tipiacerebbe che lo fosse, ma non è così.«Io non credo nei… nei demoni o inqualunque cosa voi…»

«Clary?» Era la voce di Simon. La

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ragazza si voltò di scatto. Il suo amicoera sulla porta del magazzino e accantoa lui c’era uno dei buttafuori chefacevano gli stampini all’ingresso.«Tutto bene?» Simon guardò la stanzasemibuia alle spalle di Clary. «Cosa cifai qui da sola?» le chiese. «E cosa èsuccesso ai tizi… i tizi con i coltelli?»

Clary lo guardò e poi si guardò allespalle e vide Jace, Isabelle e Alec.

Alec aveva ancora la camiciainsanguinata e il coltello in mano. Lesorrise e scrollò le spalle come sevolesse scusarsi e prenderla in giro allostesso tempo. Evidentemente non erastupito che né Simon né il buttafuoripotessero vederli.

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E in qualche modo non lo eranemmeno Clary. Si voltò lentamenteverso Simon, intuendo come dovevaapparirgli, sola in quel magazzinoumido, i piedi avvolti nella plastica deicavi elettrici. «Credevo fossero entratiqui»

tentò di giustificarsi. «Ma mi sa chemi sono sbagliata. Mi spiace.» Il suosguardo si spostò da Simon, la cuiespressione stava passando dallapreoccupazione all’imbarazzo, albuttafuori, che sembrava infastidito. «Mispiace davvero, sì.»

Sentì Isabelle che ridacchiava allesue spalle.

«Non ci credo» disse Simon mentre

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Clary, ferma sul marciapiede, cercavadisperatamente di fermare un taxi.Mentre erano nel locale, gli spaz-ziniavevano pulito la Orchard e adesso lastrada era nera e lucida di acquasaponata.

«Lo so» rispose lei. «Non ci si puòproprio credere che sia così difficiletrovare un taxi libero. Dove vanno tuttiquanti, a mezzanotte di domenica?» Sivoltò verso l’amico e scrollò le spalle.«Dici che potrebbe andarci meglio sullaHouston?»

«Non stavo parlando dei taxi» disseSimon. «Parlavo di te. Non ci credo.

Non ci credo che quei tizi coicoltelli siano scomparsi nel nulla.»

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Clary sospirò. «Forse non c’erano,quei tizi con i coltelli. Forse mi sonoimmaginata tutto.»

«Figurati.» Simon alzò la manosopra la testa, ma il taxi in arrivo glisfrecciò davanti schizzandolo d’acquasporca. «Ho visto la faccia che aveviquando sono entrato nel magazzino. Ericompletamente fuori, come se avessivisto un fantasma.»

Clary pensò a Jace e ai suoi occhi dafelino. Si guardò il polso, attorno alquale era disegnato un sottilebraccialetto rosso, nel punto in cui si erastretta la frusta di Isabelle. No, nessunfantasma, pensò. Era qualcosa di piùstrano di un fantasma.

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«È stato semplicemente un errore»disse senza sbilanciarsi troppo. Sichiese perché non gli dicesse la verità.Be’, forse perché a quel punto avrebbepensato che era impazzita. E in quel cheera successo, nel sangue nero chegocciolava dal coltello di Jace, nellasua voce quando gli aveva chiesto “Haiparlato con i Figli della Notte?”, c’eraqualcosa che Clary voleva tenere per sé.

«Be’, è stato un errore moltoimbarazzante» disse Simon. Diedeun’occhiata al club alle sue spalle, doveuna sottile coda serpeggiava ancorafuori dalla porta e arrivava a metàisolato. «Non credo che ci faranno piùentrare, al Pandemonium.»

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«Cosa te ne frega? Tu lo odi, ilPandemonium.» Clary sollevò ancora lamano, quando vide una sagoma giallache si avvicinava a tutta velocità nellanebbia. Questa volta il taxi inchiodò inmezzo al loro incrocio e l’au-tista siattaccò al clacson, come se avessebisogno di attirare la loro attenzione.

«Finalmente un po’ di fortuna.»Simon aprì la portiera del taxi e si infilòsul sedile posteriore ricoperto diplastica. Clary lo seguì, inspirando ilfamiliare odore di taxi newyorkese:fumo stantio di sigarette, pelle e laccaper capelli. «Brooklyn» disse Simon altaxista. Poi si voltò verso Clary:

«Senti, sai che a me puoi dire tutto,

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vero?»Clary esitò per un istante, e poi

annuì. «Certo, Simon» rispose. «Lo so.»Chiuse la portiera del taxi e l’auto

partì nella notte.capitolo 2

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SEGRETI E BUGIEIl principe oscuro era seduto in

sella al suo destriero nero, il mantellodi zibellino che gli ricadeva dietro lespalle. Un cerchietto d’oro gli cingevai riccioli biondi, il suo volto bellissimoera reso gelido dalla furia dellabattaglia e…

«E il suo braccio sembrava unamelanzana» borbottò Clary esasperata.

Non era proprio in vena didisegnare. Con un sospiro strappò unaltro foglio dal suo blocco, loappallottolò e lo lanciò contro la paretearancione della sua stanza. Il pavimentoera già cosparso di palle di carta, segnoche il suo talento creativo non stava

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dando certo il meglio di sé. Clarydesiderò per la milionesima volta diessere un po’ più simile a sua madre.Tutto ciò che Jocelyn Fray disegnava,dipingeva o schizzava era bello e,almeno in apparenza, non le costava ilminimo sforzo.

Clary si levò le cuffie dalle orecchieinterrompendo a metà Stepping Ra-zor esi massaggiò le tempie doloranti. Fusolo a quel punto che si accorse delsuono deciso e penetrante del telefonoche echeggiava nell’appartamento. Gettòil blocco da disegno sul letto, saltò inpiedi e corse in salotto, do-ve il telefonorosso in stile retrò era posto su untavolino accanto alla porta d’ingresso.

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«Parlo con Clarissa Fray?» La vocedall’altra parte del telefono avevaqualcosa di familiare, anche se nonriuscì a identificarla subito.

Clary si rigirò nervosamente il filodel telefono tra le dita. «Sì?»

«Ciao, sono uno dei tagliagole colcoltello che hai incontrato ieri sera alPandemonium, hai presente? Ecco, temodi averti fatto una brutta impressione esperavo che tu volessi darmi unapossibilità di rimediare…»

«SIMON!» sbottò Claryallontanando il ricevitore dall’orecchiomentre il suo amico scoppiava in unafragorosa risata. «Non è affattodivertente!»

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«Cavoli se è divertente! È solo chetu sei una musona.»

«Cretino.» Clary sospirò e siappoggiò al muro. «Non rideresti sefossi stato qui questa notte quando sonotornata a casa.»

«Perché no?»«Mia mamma. Non era troppo

contenta che abbiamo fatto così tardi,ieri.

Ha sclerato. C’è stato un belcasino.»

«Ma mica era colpa nostra se c’eratraffico!» protestò Simon. Era il mi-noredi tre fratelli e aveva un sensodell’ingiustizia familiare decisamentesviluppato.

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«Sì, be’, lei non la vede così. L’hodelusa, l’ho fatta arrabbiare, l’ho fattapreoccupare, bla bla bla, sono il flagellodella sua esistenza» disse Claryripetendo le parole esatte di sua madrecon un pizzico di senso di colpa.

«Quindi sei in castigo?» chieseSimon a volume un po’ troppo alto.

Clary sentiva il rombo sommessodelle voci dietro di lui: persone cheparlavano una sull’altra.

«Ancora non lo so» disse lei.«Questa mattina è uscita con Luke e nonsono ancora tornati. Ma tu dove sei? DaEric?»

«Sì. Abbiamo appena finito leprove.» Un piatto risuonò dietro Simon.

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Clary fece una smorfia. «Eric farà unreading di poesie al Java Jones questasera» proseguì Simon facendoriferimento a un locale vicino a casa diClary dove talvolta suonavano dal vivo,la sera. «Noi del gruppo andiamo tutti afare il tifo per lui. Vuoi venire?»

«Sì, dai.» Clary fece una pausa,strattonando nervosamente il filo deltelefono. «No, aspetta, no.»

«Vi dispiace stare un po’ zitti,ragazzi?» urlò Simon tenendo il telefonolontano dalla bocca. Un secondo dopotornò a rivolgersi a Clary. Aveva un tonodi voce preoccupato. «Era un sì o unno?»

«Non lo so.» Clary si morse un

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labbro. «Mia mamma è ancoraarrabbiata con me. Non so se vogliofarla incavolare ancora di più conun’altra richiesta. Se mi devo metterenei guai non voglio che sia per quelloschifo di poesie di Eric.»

«Ma dai, non sono così male» disseSimon. Eric abitava nella casa accantoalla sua e si conoscevano praticamenteda sempre. Non erano amici come lui eClary, ma avevano messo insieme unaband all’inizio del secondo anno condue suoi amici, Matt e Kirk. Provavanotutti i santi sabati nel garage dei genitoridi Eric. «E poi non è un favore»aggiunse Simon.

«È una lettura di poesie a cinque

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isolati da casa tua, non è mica come se tiavessi invitato a un’orgia a Hoboken.Può venire anche tua mamma, se vuole.»

«Un’orgia a Hoboken!» urlòqualcuno in sottofondo, probabilmenteEric.

Un altro colpo sui piatti. Claryimmaginò sua madre che ascoltava lepoesie di Eric ed ebbe un brivido.

«Non lo so. Se arrivate qui tuttiquanti mi sa che potrebbe sclerare.»

«E allora ci vengo da solo. Ti passoa prendere, ci andiamo insieme a piedi,e con gli altri ci vediamo al locale. Atua mamma non dispiacerà. Mi adora.»

Clary non poté fare a meno discoppiare a ridere. «Il che non depone a

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favore del suo buongusto, se propriovuoi saperlo.»

«No, non voglio saperlo.» Simonrimise giù il telefono tra le urla dei suoicompagni di band.

Clary riappese e si diedeun’occhiata attorno. Il salotto eracostellato di prove materiali delletendenze artistiche di sua madre, daicuscini di velluto cuciti a mano,ammucchiati sul divano rosso scuro, aidipinti incorniciati alle pareti. Eranosoprattutto paesaggi: le strade sinuose diDowntown Manhattan accese da unaluce dorata, le scene di Prospect Park ininverno, gli stagni grigi bordati dimerletti di ghiaccio bianco.

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Sul ripiano del caminetto c’era unacornice con una foto del padre di Clary.Era un uomo dalla carnagione chiara,con un’aria meditabonda. Agli angolidei suoi occhi si intravedevano dellerughe d’espressione che lasciavanoimmaginare una personalità allegra.Aveva prestato servizio oltreoceano edera stato decorato. Jocelyn teneva alcunesue medaglie in una scato-letta accantoal letto. Non che le medaglie fosseroservite a qualcosa, quando JonathanClark Fray era andato a sbattere inmacchina contro un albero alla periferiadi Albany ed era morto prima ancorache sua figlia nascesse.

Jocelyn non parlava mai del padre di

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Clary. La scatola accanto al lettoriportava le sue iniziali. All’internoc’erano le sue medaglie e decorazioni,una fede nuziale e una ciocca di capellibiondi. A volte Jocelyn tirava fuori lascatola, la apriva e teneva in mano laciocca con grande delicatezza,dopodiché la rimetteva a posto e lachiudeva di nuovo nella sua scatola.

Il rumore della chiave che giravanella porta d’ingresso riscosse Clary dalsuo sogno a occhi aperti. Si gettò suldivano e provò a darsi l’aria di essereimmersa nella lettura di uno dei libri chesua madre aveva lasciato impilati sultavolino. Jocelyn riteneva che la letturafosse un passatempo sacro e di solito

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non interrompeva Clary nel mezzo di unlibro nemmeno se aveva darimproverarla.

La porta si aprì con un colpo secco.Era Luke, le braccia colme di quelli chesembravano grossi fogli quadrati dicartone. Quando li mise giù, Clary videche erano scatoloni appiattiti. Luke siraddrizzò e si voltò verso di leisorridendo.

«Ciao, zi… ciao, Luke» disse Clary.Più o meno un anno prima, lui le avevachiesto di smettere di chiamarlo zioLuke, sostenendo che lo faceva sentirevecchio e che in ogni caso gli facevavenire in mente La capanna dello zioTom. E poi, le aveva ricordato con

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gentilezza, lui non era veramente suozio, era solo un ottimo amico di suamadre, che conosceva da una vita.«Dov’è la mamma?»

«Sta parcheggiando il furgone» disselui, raddrizzando la sua figura al-lampanata con una specie di grugnito.Indossava la sua solita uniforme: vecchijeans, camicia di flanella e un paio diocchiali dorati tutti storti chepoggiavano sghembi sul naso. «Miricordi ancora una volta perché questopalazzo non ha l’ascensore?»

«Perché è vecchio e ha personalità»disse immediatamente Clary. Lukesorrise. «A cosa servono quegliscatoloni?»

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Il sorriso di Luke scomparve. «Tuamadre vuole mettere via un po’ di cose»disse evitando il suo sguardo.

«Quali cose?» chiese Clary.Lui scrollò le spalle. «Roba varia

che c’è in giro per la casa. Cose chedanno solo fastidio. Lo sai che tuamadre non butta via niente. E tu cosacombini? Studi?» Le prese di mano illibro e lesse ad alta voce: « Il mondopullula ancora di quelle creatureeterogenee respinte da una filosofia piùrazionalistica. Fate, folletti, fantasmi edemoni vagano ancora… » Lukeabbassò il libro e la guardò da sopra gliocchiali. «Lo leggi per la scuola?»

« Il ramo d’oro? No, niente scuola

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per due settimane.» Clary riprese illibro. «È della mamma.»

«Lo immaginavo.»La ragazza lo rimise sul tavolino. Si

sentiva inquieta. «Luke?»«Sì?» Il libro era già dimenticato.

Luke stava rovistando nella cassettadegli attrezzi accanto al camino. «Aheccolo» disse, tirando fuori un ag-geggiodi plastica arancione per attaccare loscotch e guardandolo con grandesoddisfazione.

«Tu cosa faresti se avessi visto unacosa che nessun altro poteva vedere?»

L’attrezzo cadde dalla mano di Lukee colpì le piastrelle del caminetto.

L’uomo si inginocchiò per

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raccoglierlo, senza guardare Clary.«Vuoi dire se fossi stato l’unicotestimone di un crimine o una cosa delgenere?»

«No. Voglio dire se c’erano dellepersone che potevi vedere soltanto tu.

E che per tutti gli altri eranoinvisibili.»

Luke esitò, ancora in ginocchio,l’attrezzo per lo scotch stretto in mano.

«Lo so che sembra una cosa folle»abbozzò Clary. «Ma…»

Luke si voltò. I suoi occhiazzurrissimi dietro le lenti si fissaronosu di lei con un’espressione di profondoaffetto. «Clary, tu sei un’artista, cometua madre. Questo vuol dire che vedi il

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mondo in modo diverso dalle altrepersone. È il tuo dono vedere la bellezzae l’orrore delle cose di tutti i giorni.Non sei pazza per questo… soltantodiversa. E non c’è niente di male aessere diversi.»

Clary si strinse le gambe al petto eappoggiò il mento alle ginocchia.

Nella sua mente visualizzò ilmagazzino, la frusta dorata di Isabelle, ilragazzo coi capelli blu che moriva tra leconvulsioni e gli occhi fulvi di Jace.

Bellezza e orrore. Disse: «Se miopapà fosse ancora vivo, pensi chesarebbe stato un artista anche lui?»

Luke parve colto di sorpresa daquella domanda. Prima che potesse

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rispondere, la porta si spalancò e lamadre di Clary entrò di gran carrieranella stanza, i tacchi degli scarponciniche ticchettavano sul parquet lucido.

Diede a Luke un tintinnante mazzo dichiavi e si voltò a guardare la figlia.

Jocelyn Fray era una donna dalfisico snello e sodo, coi capellileggermente più scuri e molto più lunghidi quelli di Clary. Al momento eranoraccolti in uno chignon infilzato da unamatita. Indossava una salopette sporcadi vernice, una maglietta color lavanda edegli scarponcini da trekking cosparsi dicolori a olio. I suoi occhi bluscintillavano dietro un paio di grandiocchiali da sole vecchio stile.

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Tutti dicevano sempre a Clary cheassomigliava a sua madre, ma lei quellasomiglianza non la vedeva proprio.L’unica cosa simile che avevano era lastruttura fisica: erano tutt’e due magre,con il petto poco pronunciato e i fianchistretti. Clary sapeva di non essere bellacome sua madre. Per essere belladovevi essere alta e flessuosa. Se eribassa come Clary, che su-perava dipoco il metro e cinquanta, al massimopotevi essere carina. Non bella, enemmeno affascinante: carina. Se poi cisi mettevano anche i capelli color carotae una faccia piena di lentiggini, lei e suamadre erano simili come una bambola dipezza con i capelli rossi e Barbie.

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Jocelyn aveva un modo aggraziato dicamminare che faceva voltare la genteper strada. Clary, al contrario, nonfaceva altro che inciampare dappertuttoe la gente si voltava a guardarla soltantoquando finiva dritta distesa per terra.

«Grazie per avere portato su gliscatoloni» disse la madre di Clary a Lu-ke con un sorriso. Ma Luke non risposeal suo sorriso. Lo stomaco di Clary feceuna giravolta. Evidentemente stavasuccedendo qualcosa. «Mi dispiace diaverci messo tanto, a trovare unparcheggio… oggi ci saranno un milionedi persone al parco…»

«Mamma?» la interruppe Clary. «Acosa servono quegli scatoloni?»

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Jocelyn si mordicchiò un labbro.Luke lanciò una rapida occhiata indirezione di Clary per spingeresilenziosamente Jocelyn a farsi avanti.La donna si spinse una ciocca ribelle dicapelli dietro l’orecchio e si sedette suldivano accanto alla figlia.

Ora che l’aveva vicina, Clary videquanto sua madre era stanca. Aveva gliocchi cerchiati e le palpebre gonfie perla mancanza di sonno.

«È per ieri sera?» chiese Clary.«No» disse subito sua madre, poi

ebbe un’esitazione. «Forse un po’. Nonavresti dovuto fare quello che hai fattoquesta notte, lo sai benissimo…»

«Mi sono già scusata. Cos’è questa

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storia? Se mi devi mettere in castigo,fallo e basta.»

«Non ho intenzione» si alterò suamadre «di metterti in castigo.» La suavoce era tesa come una corda di violino.Guardò Luke, che scosse il capo.

«Diglielo e basta, Jocelyn» disse lui.«Vi dispiacerebbe non parlare di me

come se non ci fossi?» scattò Clary.«E cos’è che dovresti dirmi?»Jocelyn sospirò. «Andiamo in

vacanza» disse.Il volto di Luke divenne

inespressivo come una tela da cui fossestato cancellato il colore.

Clary scosse il capo. «Tutto qui?Andate in vacanza?» Si lasciò andare

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contro lo schienale del divano. «Noncapisco. Perché la state facendo tantolunga?»

«Forse non hai capito.» Jocelyngiocherellava nervosamente con la fran-gia del suo scialle. «Volevo dire che ciandiamo tutti, in vacanza. Tutti e tre…io, te e Luke. Andiamo alla fattoria.»

«Ah.» Clary diede un’occhiata aLuke, che aveva le braccia conserte eguardava fuori dalla finestra, lamandibola contratta. La ragazza sichiese cosa lo turbasse. A lui piaceva lavecchia fattoria nell’entroterra…L’aveva comprata e restauratapersonalmente dieci anni prima e ciandava ogni volta che poteva. «Per

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quanto tempo?»«Per il resto dell’estate» disse

Jocelyn. «Ho preso degli scatoloni nelca-so tu voglia portare dei libri o delmateriale per dipingere…»

«Per il resto dell’estate?» Claryscattò in piedi indignata. «Non possofarlo, mamma. Ho dei programmi… io eSimon dobbiamo organizzare una festaper l’inizio della scuola e ho gli incontrial laboratorio d’arte e altre dieci lezionidalla Tisch…»

«Mi dispiace per la Tisch. Ma lealtre cose possono essere annullate.

Simon capirà, e anche i ragazzi dellaboratorio.»

Clary sentì l’implacabilità nella

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voce della madre e capì che stavaparlando seriamente. «Ma le ho giàpagate, quelle lezioni! Ho risparmiatotutto l’anno! Mi avevi promesso…» Sivoltò verso Luke. «Diglielo! Dille chenon è giusto!»

Luke continuò a guardare fuori dallafinestra, ma un muscolo della suaguancia ebbe un guizzo nervoso. «Lei ètua madre. È una decisione che spetta alei.»

«Non capisco.» Clary tornò avoltarsi verso la madre. «Perché?»

«Me ne devo andare, Clary» spiegòJocelyn. Le tremavano gli angoli dellabocca. «Ho bisogno di pace e di silenzioper dipingere. E al momento siamo a

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corto di soldi.»«E allora vendi un po’ delle azioni

di papà» replicò Clary arrabbiata. «Èquello che fai di solito, no?»Jocelyn si ritrasse. «Non essere

ingiusta…»«Senti, se tu vuoi andare, vai, non mi

interessa. Io resterò qui senza di te.Posso lavorare. Mi posso trovare un

lavoro da Starbucks o qualcosa delgenere. Simon mi ha detto che cercanosempre qualcuno. Sono grandeabbastanza per badare a me stessa.»

«No!» La voce affilata di Jocelynfece fare un salto a Clary. «Ti ridarò isoldi delle lezioni, Clary. Ma tu vienicon noi. È fuori discussione. Sei troppo

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giovane per restare qui da sola.Potrebbe succedere qualcosa…»

«Ma cosa? Cosa potrebbesuccedere?» la incalzò Clary.

Vi fu un rumore secco. Clary si voltòe vide con stupore che Luke aveva fattocadere una delle fotografie incorniciateche con tanta fatica aveva portato su perle scale. Aveva un’aria decisamenteturbata. Riappoggiò la cornice al muroe, quando si risollevò in piedi, le suelabbra erano tese in una lineasottilissima. «Io vado.»

Jocelyn si mordicchiò le labbra.«Aspetta…» Lo rincorse nell’ingresso,raggiungendolo nell’istante preciso incui toccava la maniglia della porta.

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Clary si voltò senza lasciare ildivano e riuscì a sentire soltanto ilsussurro affrettato di sua madre. «…Bane» disse Jocelyn. «Nelle ultime tresettimane ho continuato a chiamarlo. Lasua segreteria telefonica dice che è inTanzania. Che devo fare?»

«Jocelyn…» Luke scosse il capo.«Non puoi continuare ad andare sempreda lui.»

«Ma Clary…»«Non è Jonathan» sibilò Luke. «Tu

non sei più la stessa, da quando èsuccesso, ma Clary non è Jonathan.»

Cosa c’entra mio padre con questastoria? , pensò Clary sbalordita.

«Non posso tenerla chiusa in casa…

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non accetterà mai una cosa delgenere…»

«Certo che no!» Luke sembravadavvero arrabbiato. «Non è un cucciolodi cane, è un’adolescente. Quasiun’adulta.»

«Se fossimo lontani dalla città…»«Parlale, Jocelyn.» La voce di Luke

era ferma. «E sai cosa voglio dire.»Allungò una mano verso la maniglia.La porta si spalancò all’improvviso

e Jocelyn lanciò un urletto.«Gesù!» esclamò Luke.«Ehm, no, sono soltanto io» disse

Simon «anche se mi hanno detto che ciassomigliamo parecchio.» Fece uncenno a Clary. «Sei pronta?»

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Jocelyn si tolse la mano dalla bocca.«Simon, stavi origliando?»

Simon sbatté gli occhi. «No, sonoappena arrivato.» Spostò lo sguardo dalvolto pallido di Jocelyn a quello furentedi Luke. «C’è qualcosa che non va?Volete che me ne vada?»

«Non preoccuparti» disse Luke.«Credo che abbiamo finito, qui.»Oltrepassò Simon e scese le scale digran carriera. Quando sentì la porta delpiano terra che sbatteva, Jocelyn ebbeun sobbalzo.

Simon era rimasto sulla porta conun’aria indecisa. «Posso tornare tra unpo’» propose. «Davvero, non è unproblema.»

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«Forse sarebbe…» fece per direJocelyn, ma Clary si era già alzata inpiedi.

«Lascia stare, Simon. Usciamo»disse prendendo la borsa da un gancioaccanto alla porta. Se la infilò a tracollae lanciò un’occhiata alla madre.

«Ci vediamo dopo, mamma.»Jocelyn si morse un labbro. «Clary,

non pensi che dovremmo parlarne?»«Avremo un sacco di tempo per

parlare, quando saremo in vacanza»rispose Clary inviperita, ed ebbe lasoddisfazione di vedere un’espressioneferita sul volto di sua madre. «Nonaspettarmi alzata» aggiunse, dopodichéprese Simon per un braccio e lo trascinò

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fuori dalla porta.Il ragazzo oppose un po’ di

resistenza, guardando con aria di scusela madre di Clary, come rimpicciolita eabbandonata sulla soglia di casa, lemani intrecciate fra loro. «Arrivederci,signora Fray!» disse Simon. «Buonaserata!»

«Oh, stai zitto, Simon» ringhiòClary, mentre sbatteva la porta allespalle senza aspettare la risposta di suamadre.

«Ehi, ragazza, guarda che questobraccio mi serve ancora» protestòSimon mentre Clary lo strattonava giùper le scale, le Skechers verdi che pe-stavano a ogni passo sui gradini di

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legno. Clary guardò in alto, quasiaspettandosi di vedere sua madre che laguardava dal pianerottolo, ma la portadell’appartamento restò chiusa.

«Scusa» borbottò, mentre lasciava ilpolso dell’amico. Si fermò ai piedidelle scale, con la borsa che le battevacontro il fianco.

La casa di Clary, come la maggiorparte delle abitazioni di Park Slope, untempo era stata la residenza di unafamiglia ricca. L’eco degli splendori delpassato era ancora presente nelle scalearrotondate, nel pavimento di marmosbeccato dell’ingresso, nel lucernario.Ora la casa era divisa in dueappartamenti separati, e Clary e sua

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madre condividevano quel palazzo conl’inquilina del piano di sotto, una donnaanziana che non usciva quasi mai di casae forniva consulti esoterici, per quantole visite dei clienti fossero piuttostorare. Una placca dorata attaccata allaporta diceva: MADAME

DOROTHEA, DIVINATRICE EPROFETESSA.

Dalla porta socchiusa che davasull’atrio del palazzo usciva un dolce edenso odore d’incenso. Clary sentìanche un basso mormorio.

«Sono contento che le cose levadano alla grande» disse Simon. «Ilset-tore profetesse è un po’ in crisi, diquesti tempi.»

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«Devi per forza fare del sarcasmo suqualsiasi cosa?» scattò Clary.

Simon sbatté gli occhi,evidentemente colto di sorpresa dallareazione dell’amica. «Credevo tipiacesse la mia vena spiritosa eironica.»

Clary stava per rispondere, quandola porta di Madame Dorothea sispalancò e ne uscì un uomo. Era alto,con una pelle color sciroppo d’acero,occhi verdi e dorati come quelli di ungatto e capelli neri arruffati. Sorrisedistrattamente alla ragazza, mostrandoledenti bianchi e affilati. Mentre siavviava verso la porta d’ingresso delcondominio, Clary vide che aveva i

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piedi nudi e le unghie ricurve comeartigli.

Fu colta da un capogiro ed ebbe lasensazione di essere sul punto disvenire.

Simon la guardò a disagio. «Va tuttobene? Hai l’aria di una che potrebbecadere a terra da un momento all’altro.»

Lei sbatté gli occhi e lo guardò.«Cosa? No, sto bene.»

Lui non sembrava intenzionato alasciar cadere la questione. «Sembrache abbia visto un fantasma.»

Clary scosse il capo. Il ricordo diqualcosa che aveva appena visto lasfiorò, ma quando cercò di concentrarsile sfuggì come acqua tra le mani.

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«Niente. Mi è sembrato di vedere ilgatto di Dorothea, ma mi sa che erasoltanto un gioco di luce.» Simon lastava fissando. «È da ieri che nonmangio niente» aggiunse Clary sulladifensiva. «Mi sa che ho un calo dizuccheri.»

Lui le mise un braccio attorno allespalle. «Andiamo. Ti offro qualcosa.»

«Non ci posso credere che sicomporti così» disse Clary per la quartavolta, mentre dava la caccia all’ultimorimasuglio di guacamole con la punta diun nacho. Erano in un locale messicanodel quartiere, un posto piccolissimo chesi chiamava Nacho Mama. «Come senon le bastasse mettermi in castigo una

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settimana sì e una no; adesso mi toccapure andare in esilio per tutta l’estate.»

«Be’, lo sai che tua madre fa così,ogni tanto» disse Simon. «Be’, ognipoco, a dire la verità.» Le sorrise dadietro il suo burrito vegetariano.

«Oh, certo, divertiti pure» lo gelòClary. «Non sei mica tu che verraitrascinato nel mezzo del nulla per chissàquanto tempo…»

«Clary.» Simon interruppe la suatirata. «Non è colpa mia, sai? E poi nonsarà una cosa definitiva.»

«E tu come fai a saperlo?»«Be’, perché conosco tua madre»

rispose Simon dopo una pausa. «Vogliodire, io e te siamo amici da quanto?

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Dieci anni? Lo so che a volte lei fa così,ma poi ci ripensa.»

Clary prese un peperoncino dalpiatto e ne mordicchiò distrattamente lapunta. «Credi davvero?» chiese. «Diconoscerla, voglio dire. Certe volte midomando se qualcuno la conoscaveramente.»

«Non ti seguo.»Clary risucchiò un po’ d’aria per

raffreddare la bocca in fiamme. «Vogliodire che lei non parla mai di sé. Io nonso niente di quando era giovane, dellasua famiglia, e so pochissimo anche dicome ha incontrato mio padre.

Non ha neanche visto le foto delmatrimonio. È come se la sua vita fosse

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iniziata quando sono nata io. È quelloche mi dice sempre quando le faccioqualche domanda.»

«Wow.» Simon fece una faccia buffa.«Che cosa dolce.»

«No, non è una cosa dolce» replicòClary decisa. «È strana. Ed è stranoanche che io non sappia niente dei mieinonni. Voglio dire, so che i genitori dipapà non sono stati molto carini con lei,ma erano davvero così pessimi? Cherazza di persone dovevano essere pernon voler nemmeno conoscere la loronipote?»

«Magari lei li odia. Magari eranoviolenti o qualcosa del genere» suggerìSimon. «Lei ha quelle cicatrici…»

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Clary lo fissò. «Che cosa?»Simon inghiottì un boccone di

burrito. «Quelle piccole cicatrici sullaschiena e sulle braccia. Guarda che l’hovista, tua madre, in costume da bagno,sai?»

«Io non ho notato nessuna cicatrice»disse Clary decisa. «Te le sei im-maginate.»

Lui la fissò e sembrò che stesse perdire qualcosa, quando il cellulare diClary, sepolto nella borsa, iniziò asuonare. Clary lo ripescò, guardò inumeri che lampeggiavano sulloschermo e fece una smorfia. «È miamamma.»

«Bastava guardarti in faccia per

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capirlo. Hai intenzione di parlarle?»«Non ora» disse Clary sentendo la

ben nota fitta allo stomaco di senso dicolpa mentre il telefono smetteva disuonare e partiva la segreteria. «Nonvoglio litigare con lei.»

«Puoi sempre stare da me» disseSimon. «Per tutto il tempo che vuoi.»

«Be’, prima vediamo se mia mammasi è calmata un po’.» Clary premette ilpulsante della segreteria telefonica sulcellulare. La voce di sua madre era tesa,ma si stava evidentemente sforzando dimostrare un po’ di leggerezza: “Piccola,mi dispiace di aver rovinato i pianidelle tue vacanze. Vieni a casa eparliamone.” Clary riappese prima della

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fine del messaggio, sentendosi ancorapiù in colpa e più arrabbiata insieme.«Ne vuole parlare»

disse a Simon.«E tu vuoi parlare con lei?»«Non lo so.» Clary si strofinò il

dorso della mano sugli occhi. «Haisempre intenzione di andare al readingdi poesia?»

«Ho promesso di andarci.»Clary si alzò in piedi e spinse

indietro la sedia. «Allora vengo con te.La chiamerò dopo.» La tracolla dellaborsa le scivolò giù dal braccio. Simongliela rimise a posto e le sue ditaindugiarono sulla pelle nuda dellaspalla.

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L’aria fuori era densa di un’umiditàche increspava i capelli di Clary eappiccicava la maglietta blu di Simonalla schiena. «Come va con la band?»chiese la ragazza. «Ci sono novità?Prima al telefono c’era un casinopazzesco in sottofondo.»

Il volto di Simon si illuminò. «Vaalla grande» disse. «Matt ha detto checonosce un tizio che potrebbe farcisuonare allo Scrap Bar. E poi stiamoancora discutendo sul nome.»

«Ma va?» Clary nascose un sorriso.Il gruppo di Simon non suonava mai ungranché. Se ne stavano quasi sempreseduti nel salotto di Simon a litigare sulnome e sul logo della band. A volte

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Clary si chiedeva se qualcuno di lorosapesse davvero suonare uno strumento.«Cosa c’è sul piatto?»

«Siamo indecisi tra Sea VegetableConspiracy e Rock Solid Panda.»

Clary scosse il capo. «Fanno schifotutt’e due.»

«Eric ha proposto Lawn ChairCrisis.»

«Forse Eric farebbe meglio a tornarea dedicarsi ai videogiochi.»

«Ma poi ci toccherebbe trovare unaltro batterista.»

«Ah, allora è questo che fa Eric?Credevo che si limitasse a scroccarvisoldi e ad andarsene in giro per lascuola a dire alle ragazze che suona in

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un band per fare colpo su di loro.»«Ma no» disse allegro Simon. «Eric

ha voltato pagina. Ha una ragazza.Escono insieme da tre mesi.»«Praticamente sposati» commentò

Clary, mentre passavano accanto a unacoppia che spingeva un passeggino condentro una bambina coi capelli fissati damollette gialle di plastica e con in manouna fatina dalle ali color zaffiro evenature dorate. A Clary sembrò diavere visto con la coda dell’occhio leali della fatina che frullavano. Si voltòdi colpo.

«Il che significa» proseguì Simon«che io sono l’ultimo membro dellaband a non avere una ragazza. È per

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questo che la gente suona in un gruppo,no? Per le ragazze.»

«E io che pensavo che fosse per lamusica…» Un uomo con un bastone dapasseggio le passò davanti, diretto versoBerkeley Street. Clary distolse losguardo: temeva che se avesse guardatoqualcuno troppo a lungo gli sarebberospuntate le ali, delle nuove braccia o unalingua biforcuta da serpente. «E a chiinteressa se hai o no una ragazza?»

«A me, per esempio» disse cupoSimon. «Tra un po’ gli unici rimastisenza ragazza saremo io e Wendell, ilbidello. E lui puzza di detersivo perpavimenti.»

«Almeno sai che lui è ancora

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disponibile.»Simon la guardò male. «Non è

divertente, Fray.»«C’è sempre Sheila “Tanga”

Barbarino» suggerì Clary. Al primoanno delle superiori stava seduta dietrodi lei, a matematica, e ogni volta cheSheila lasciava cadere la penna - il chesuccedeva spesso - Clary poteva godersilo spettacolo delle sue mutande chesvettavano al di sopra dei jeans a vitasuperbassa.

«È con lei che è uscito Eric in questitre mesi» disse Simon. «Il consiglio chemi ha dato lui è stato di decidere qualera la ragazza con il corpo più da paurae di chiederle di uscire il primo giorno

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di scuola.»«Eric è un maiale sessista» sentenziò

Clary, accorgendosi di colpo che nonvoleva affatto sapere quale fossesecondo Simon la ragazza con il corpopiù da paura della scuola. «Forsedovreste chiamarvi proprio così: IMaiali Sessisti.»

«Non è male.» Simon sembròpensarci seriamente. Clary gli fece unasmorfia e in quell’istante la borsa iniziòa vibrare e il cellulare a suonare.

«È ancora tua mamma?» chiese lui.Clary annuì. Rivide sua madre,

piccola e sola, sulla porta del loroappartamento. Il senso di colpa leinondò il petto.

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Guardò Simon, che la stava fissandocon gli occhi resi più scuri dallapreoccupazione. Il volto di Simon le eracosì familiare che avrebbe potutodisegnarlo nel sonno. Clary pensò allesettimane solitarie che l’aspettavanosenza di lui e rimise il telefono nellaborsa. «Andiamo» disse. «O faremotardi.»

capitolo 3

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SHADOWHUNTERSQuando arrivarono al Java Jones,

Eric era già sul palco e ondeggiavadavanti al microfono con gli occhichiusi. Per l’occasione si era tinto dirosa le punte dei capelli. Alle sue spalleMatt, con l’aria strafatta, picchiava aintervalli irregolari su un bongo.

«Sarà uno schifo di gara» predisseClary. Prese Simon per una manica e lotirò verso la porta. «Se ci muoviamosubito possiamo ancora batterce-la.»

Lui scosse il capo con un’ariadecisa. «Io sono un uomo di parola»disse tutto impettito. «Tu cerca untavolino e io vado a prendere da bere.Cosa vuoi?»

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«Caffè. Nero… come la mia anima.»Simon si diresse verso il bancone

borbottando qualcosa fra sé. Clary an-dòa cercare da sedersi.

Il locale era pieno, per essere unlunedì: la maggior parte dei divani edelle poltrone consunte era occupata daadolescenti che si godevano la lorouscita infrasettimanale. Il profumo delcaffè e di sigarette speziate era ovunque.Alla fine Clary trovò un divanetto liberoin un angolo semibuio in fondo alla sala.L’unica persona nei paraggi era unaragazza bionda con una canottieraarancione tutta presa a trafficare con ilsuo iPod. Bene, pensò Clary. Eric nonriuscirà a trovarci qua dietro, dopo la

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lettura, così non potrà chiedercicom’erano le poesie.

La bionda si protese sopra ilbracciolo della sua poltrona e sfiorò laspalla di Clary. «Scusa.» Lei sollevò losguardo sorpresa. «Quello è il tuoragazzo?» chiese la ragazza indicandoqualcuno.

Clary seguì lo sguardo della ragazza,già pronta a rispondere: “No, non loconosco”, quando si accorse che quelloche stava indicando era Simon.

Era diretto verso di loro e avevaun’espressione concentrata, nel tentativodi non rovesciare due bicchieri diplastica. «Oh, no» disse Clary. «È unmio amico.»

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La ragazza sorrise. «È carino. Ha laragazza?»

Clary esitò un secondo di troppoprima di rispondere. «No.»

La ragazza assunse un’espressionesospettosa. «È gay?»

Clary poté evitare di rispondere aquest’ultima domanda, perché a quelpunto Simon le aveva raggiunte. Laragazza si rimise subito a sedere, mentreSimon appoggiava i bicchieri sultavolino e si stravaccava accanto aClary. «Odio quando finiscono le tazze.Questi cosi scottano.» Si soffiò sulledita e fece una smorfia. Clary cercò dinascondere un sorriso mentre loguardava. Di solito non le capitava di

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chiedersi se Simon fosse carino o no.Be’, aveva dei begli occhi scuri, enell’ultimo anno aveva messo su un po’di muscoli. Con il taglio di capelligiusto…

«Mi stai fissando» disse Simon.«Perché mi fissi? Ho qualcosa infaccia?»

Glielo dovrei dire, pensò Clary,anche se una parte di lei era stranamenteriluttante a farlo. Sarei una pessimaamica se non lo facessi. «Non guardaresubito, ma quella tipa bionda ti trovacarino» sussurrò.

Gli occhi di Simon scattarono di latoa cercare la ragazza, che tentava dimostrarsi tutta presa dalla lettura di un

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manga. «Quella con la canottieraarancione?» Clary annuì. Simonsembrava dubbioso. «E cosa te lo fapensare?»

Diglielo, forza, diglielo. Clary aprìla bocca per rispondere, ma fu interrottadal sibilo di un amplificatore cheandava in feedback. Trasalì e si co-prìle orecchie, mentre Eric, sul palco,lottava con il suo microfono.

«Scusate, ragazzi!» urlò. «Allora, iosono Eric Churchill, e quello allepercussioni è il mio amico Matt. La miaprima poesia si chiama Senza titolo. »Fece una smorfia come se gli facessemale la pancia e si mise a ondeggiaredavanti al microfono. «Venite, mio falso

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colosso e miei scellerati lombi!Spianate ogni protuberanza con aridozelo!»

Simon si insaccò sul divanetto. «Tiprego, non dire a nessuno che loconosco.»

Clary ridacchiò. «Ma chi è che usala parola “lombi”?»

«Eric» disse Simon con aria tetra.«Nelle sue poesie ci sono sempre, ilombi.»

«Turgido è il mio tormento!» ululòEric. «L’agonia enfia di dentro!»

«Cacchio!» disse Clary mentre siincassava nel divano accanto a Simon.

«Comunque, per quanto riguarda laragazza che ti trova carino…»

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«Lascia stare» disse Simonprendendo Clary in contropiede. «C’èuna cosa di cui ti volevo parlare.»

«Le Talpe Furiose non mi sembra unbuon nome per la band» lo prevenneClary.

«Non era questo» disse Simon.«Riguarda la cosa di cui stavamoparlando prima. Il fatto che io non houna ragazza.»

«Ah.» Clary scrollò le spalle. «Be’,non saprei. Prova a chiedere di uscire aJaida Jones» suggerì facendo il nome diuna delle ragazze della St. Xavier che lepiacevano davvero. «È simpatica e tu lepiaci.»

«Non voglio uscire con Jaida

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Jones.»«Perché no?» chiese Clary,

trovandosi inaspettatamente a provareuna fitta di vago risentimento. «Non tipiacciono le ragazze intelligenti? Vuoiuna con un corpo da paura, come dicitu?»

«No» disse Simon, che apparivanervoso. «Non voglio chiederle diuscire perché non sarebbe giusto neisuoi confronti.»

La sua voce si era ridotta a unsussurro. Clary si chinò verso di lui.Con la coda dell’occhio vide che anchela ragazza bionda si protendeva verso diloro: stava evidentemente origliando.«Perché no?»

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«Perché mi piace un’altra persona»disse Simon.

«Ah, okay.» Simon sembrava un po’verdastro, come quella volta che si erarotto una caviglia giocando a calcio alparco e aveva dovuto tornare a casasaltellando. Clary si chiese come mai ilfatto che gli piacesse qualcuno potessemettergli addosso un’ansia del genere.«Non sei gay, vero?»

Simon si fece ancora più verde. «Selo fossi mi vestirei meglio.»

«E allora chi è questa ragazza?»chiese Clary. Stava per aggiungere che,se si era innamorato di SheilaBarbarino, Eric l’avrebbe preso a calcinel sedere, quando sentì qualcuno

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tossire alle sue spalle. Era quel generedi colpo di tosse che si fa per camuffareuna risata.

Si voltò.Seduto su un divano verde stinto lì

vicino c’era Jace. Indossava gli stessiabiti neri che aveva addosso l’altravolta. Le sue braccia erano nude ecoperte di simboli scuri, di stranidisegni di schemi e linee. Ai polsiportava grossi bracciali di metallo e daquello di sinistra Clary vide Spuntare ilmanico d’osso di un coltello. La stavaguardando con l’angolo della boccasollevato in una smorfia divertita. Ma ilfatto di sentirsi derisa era niente inconfronto all’assoluta convinzione che

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lì, pochi minuti prima, Jace non c’e-ra.«Cosa c’è?» Simon aveva seguito il

suo sguardo, ma dalla sua espressioneera evidente che non vedeva Jace.

Io però ti vedo. Pensando a questo,Clary fissò Jace, il quale sollevò unamano affusolata per salutarla. Un anelloscintillò tra le sue dita. Il ragazzo si alzòin piedi e si avviò senza alcuna frettaverso la porta. Le labbra di Clary sidischiusero per la sorpresa. Jace se nestava andando.

Sentì la mano di Simon sul braccio.Stava chiamando il suo nome, le stavachiedendo se c’era qualcosa che nonandava. Lei lo sentiva a malapena.«Torno subito» gli disse senza pensarci,

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dopodiché schizzò giù dal divano,dimenticando quasi di appoggiare ilbicchiere del caffè sul tavolino.

Corse verso la porta, lasciandosidietro Simon, che la fissava sbalordito.

Clary sfrecciò fuori col terrore cheJace fosse scomparso come un fantasmatra le ombre del vicolo. E invece era lì,appoggiato al muro. Aveva appena tiratofuori dalla tasca qualcosa e stavapremendo dei pulsanti. Sollevò losguardo stupito quando la porta dellocale si chiuse alle spalle dellaragazza.

Nella luce del crepuscolo, i capellidi Jace sembravano di rame e d’oro.

«Le poesie del tuo amico sono

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spaventose» disse.Clary fu colta in contropiede da

quell’osservazione. «Cosa?»«Ho detto che le sue poesie sono

spaventose. Sembra che s’è mangiato unvocabolario e ha iniziato a vomitarefuori le parole a caso.»

«Non me ne frega niente delle poesiedi Eric.» Clary era furente. «Vogliosapere perché mi stai seguendo.»

«E chi lo dice che ti sto seguendo?»«Bel comportamento. E stavi pure

origliando. Vuoi dirmi che storia èquesta o preferisci che chiami lapolizia?»

«Per dire cosa?» chiese Jacesprezzante. «Che ci sono dei tizi

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invisibili che ti danno fastidio? Fidati,ragazzina, la polizia non si metterà adarresta-re gente che non riesce nemmenoa vedere.»

«Non chiamarmi ragazzina» disselei a denti stretti. «Mi chiamo Clary.»

«Lo so» disse Jace. «Bel nome.Come l’erba, la clary sage, la salviascla-rea. Una volta si credeva chemangiando i semi di quell’erba sipotessero vedere le fate. Lo sapevi?»

«Non ho la minima idea di cosa staidicendo.»

«Non sai un granché, vero?» disseJace. Nei suoi occhi dorati c’era unasorta di indolente disprezzo. «Tu sembriuna mondana come tutte le altre, eppure

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mi vedi. È un bel rompicapo.»«Cos’è una mondana?»«Una mortale. Una persona del

mondo degli umani. Una come te.»«Ma anche tu sei umano.»«Sì» disse lui. «Ma non sono come

te.» Il suo tono non era di chi sta sulladifensiva. Sembrava che non gliimportasse che lei gli credesse oppureno.

«Tu ti credi migliore di noi» disseClary. «Per questo ridevi, vero?»

«Stavo ridendo perché ledichiarazioni d’amore mi divertono,soprattutto quando si tratta di amori noncorrisposti» disse. «E perché il tuoamico Simon è uno dei mondani più

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mondani che abbia mai incontrato. Eperché Hodge ha detto che puoi esserepericolosa, ma se lo sei non te ne rendiconto.»

« Io pericolosa?» gli fece eco Clarysbalordita. «Ti ho visto uccidere unapersona, ieri sera. Ti ho visto piantargliun coltello nelle costole e…» E ho vistolui tagliarti con unghie chesembravano lame di rasoio. Ho vistoche sanguinavi, e adesso sembra chenon ti sia fatto nemmeno un graffio.

«Io sarò anche un assassino» disseJace. «Ma so quello che sono. Tu puoidire altrettanto?»

«Io sono un essere umano qualsiasi,proprio come hai detto tu. Chi è

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Hodge?»«Il mio tutore. E non mi darei

dell’essere umano qualsiasi tanto infretta, se fossi in te.» Si chinò verso dilei. «Fammi vedere la mano destra.»

«La mano destra?» ripeté Clary. Luiannuì. «Se ti faccio vedere la mano milascerai in pace?»

«Certo.» La voce di Jace aveva unasfumatura divertita.

Clary gli tese la mano conun’espressione guardinga. Era pallidanella debole luce che usciva dallefinestre, le nocche punteggiate da unalieve spolverata di lentiggini. In qualchemodo si sentì esposta, come se si fossesollevata la camicetta e gli avesse

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mostrato il seno nudo. Lui le prese lamano tra le sue e la girò. «Niente.»Sembrava deluso. «Tu non sei manci-na,vero?»

«No. Perché?»Le lasciò andare la mano con una

scrollata di spalle. «La maggior partedegli Shadowhunters vengono marchiatisulla mano destra, o sulla sinistra, sesono mancini come me, quando sonoancora molto piccoli. È una runapermanente che dà un’abilità specialecon le armi.» Le mostrò il dorso dellamano sinistra, che a lei parveassolutamente normale.

«Non vedo niente» disse.«Rilassa la mente» le suggerì lui.

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«Aspetta che arrivi da solo. Come sefossi al mare e aspettassi che qualcunotorni in superficie.»

«Tu sei pazzo» disse Clary. Però sirilassò, continuò a fissare la mano diJace, le righe sottili sulle nocche, legiunture affusolate delle dita…

Le balzò davanti agli occhiall’improvviso, luminoso come unsemaforo: un marchio nero simile a unocchio sul dorso della mano. Sbatté gliocchi e il marchio scomparve. «Untatuaggio?»

Lui sorrise divertito e abbassò lamano. «Lo sapevo che ci saresti riuscita.No, non è un tatuaggio… è un marchio.Sono rune che vengono incise a fuoco

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sulla nostra pelle.»«E ti rendono più bravo con le

armi?» Clary trovava difficile crederlo,anche se forse era più facile che credereall’esistenza degli zombi.

«Marchi diversi hanno effettidiversi. Alcuni sono permanenti, ma glialtri di solito scompaiono dopo esserestati usati.»

«È per questo che oggi non hai lebraccia piene di segni?» chiese Clary.

«Neanche se mi concentro?»«Esatto.» Jace sembrava fiero di sé.

«Lo sapevo che avevi almeno la Vista.»Sollevò lo sguardo verso il cielo. «Èquasi buio. È meglio che andiamo.»

« Andiamo? Avevi detto che mi

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avresti lasciata in pace!»«Mentivo» disse Jace senza

un’ombra di imbarazzo. «Hodge ha dettoche devo portarti con me all’Istituto. Tivuole parlare.»

«E perché mi vorrebbe parlare?»«Perché adesso conosci la verità»

disse Jace. «Saranno almeno cent’anniche nessun mondano sa di noi.»

«Di noi?» gli fece eco Clary. «Vuoidire di quelli come te? Di quelli checredono nei demoni?»

«No, di quelli che li uccidono» disseJace. «Siamo Shadowhunters,Cacciatori. O almeno è così che cichiamiamo fra noi. I Sotterranei ci dannodei nomi molto più sgradevoli.»

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«Chi sono i Sotterranei?»«I Figli della Notte. Stregoni. Esseri

magici. Il popolo magico di questadimensione.»

Clary scosse il capo. «Ma certo,come no? E immagino che ci siano anchevampiri, lupi mannari e zombi, vero?»

«Naturalmente» la informò Jace conaria distaccata. «Anche se gli zombi sitrovano quasi tutti più a sud, dovevivono i sacerdoti vudù.»

«E le mummie? Se ne vanno in giroper l’Egitto?»

«Non essere ridicola. Nessuno credealle mummie.»

«Ah, no?»«Certo che no» la fulminò Jace

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impaziente. «Senti, Hodge ti spiegheràtutto quando sarai arrivata all’Istituto.»

Clary incrociò le braccia davanti alpetto. «E se io non volessi venire?»

«È un problema tuo. Ci verrai,volente o nolente.»

Clary non credeva alle proprieorecchie. «Stai minacciando dirapirmi?»

«Se la vuoi mettere in questitermini…» rispose Jace impassibile «…sì.»

Clary aprì la bocca per protestare,ma fu interrotta da un ronzio stridulo.

Il suo telefono stava squillando dinuovo.

«Rispondi, se vuoi» le concesse

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Jace.Il telefono tacque. Poi ripartì, forte e

insistente. Clary corrugò la fronte: suamadre stava proprio sclerando. Si voltòun po’ di lato e iniziò a rovistare nellaborsa. Quando trovò il telefono, era giàalla terza chiamata. Se lo portòall’orecchio. «Mamma?»

«Oh, Clary. Oh, grazie a Dio!» Unbrivido di paura corse lungo la spinadorsale di Clary. Sua madre sembrava inpreda al panico. «Ascoltami…»

«È tutto a posto, mamma. Sto bene.Torno a casa subito…»

« No!» La voce di Jocelyn eraarrochita dal terrore. «Non tornare acasa!

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Hai capito cosa ho detto, Clary? Nontornare a casa. Vai da Simon… Vai drittaa casa di Simon e restaci finché io…»Fu interrotta da un rumore di sottofondo,il suono di qualcosa che cadeva,qualcosa che andava in fran-tumi,qualcosa di pesante che colpiva ilpavimento…

« Mamma!» urlò Clary nel telefono.«Mamma, stai bene?»

Dal telefono uscì un forte ronzio. Lavoce della madre di Clary riuscì asuperare le scariche elettrostatiche:«Promettimi che non tornerai a casa.

Vai da Simon e chiama Luke… digliche lui mi ha trovata…» Le sue parolefurono coperte da un forte rumore, come

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di legno che viene fatto a pezzi.« Chi ti ha trovata? Mamma, hai

chiamato la polizia? Hai…»Le sue domande concitate furono

interrotte da un rumore che Clary nonavrebbe mai dimenticato: un suonoacuto, strisciante, seguito da un colposecco. Clary sentì sua madre respirare afatica prima di parlare con una vo-ce diuna calma inquietante: «Ti voglio bene,Clary.»

E poi cadde la comunicazione.«Mamma!» strillò Clary nel

telefono. «Mamma, ci sei?» CHIAMATAINTERROTTA, diceva lo schermo delcellulare. Ma perché sua madre le avevariappeso in faccia a quel modo? A meno

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che…«Clary» disse Jace. Era la prima

volta che gli sentiva pronunciare il suonome. «Cosa succede?»

Clary lo ignorò. Premettefreneticamente il pulsante checomponeva il suo numero di casa. Iltelefono squillò una volta prima cherispondesse una voce metallica: “Inquesto momento l’utente non èraggiungibile. Vi pre-ghiamo diriagganciare e…”

Le mani di Clary iniziarono atremare in modo incontrollabile. Quandocercò di comporre di nuovo il numero, iltelefono le scivolò di mano e cadde aterra. Si buttò in ginocchio per

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recuperarlo, ma aveva una lunga crepa,davanti, e non funzionava più.«Maledizione!» Sul punto di piangere,Clary gettò di nuovo il telefono a terra.

«Smettila.» Jace la rimise in piedi.«Cosa è successo?»

«Dammi il tuo cellulare» disse Claryprendendo l’oggetto di metallo nerodalla forma allungata dal taschino dellacamicia di Jace. «Devo…»

«Non è un telefono» disse Jace senzanemmeno accennare a riprenderse-lo. «Èun sensore. E tu non saresti in grado diusarlo.»

«Ma devo chiamare la polizia!»«Prima dimmi cosa è successo.»

Clary cercò di liberarsi il polso, ma la

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presa di Jace era incredibilmente forte.«Ti posso aiutare.»

La rabbia si impadronì di Clary,come una marea ardente nelle vene.

Senza pensarci colpì il volto delragazzo e vi affondò le unghie. Lui scattòall’indietro, sorpreso. Clary si divincolòe corse verso le luci della 7th Avenue.

Quando raggiunse la strada si voltò,aspettandosi di vedere Jace che larincorreva. Ma il vicolo alle sue spalleera deserto. Per un istante restò ferma afissare le ombre. Non si mosse nulla.Girò sui tacchi e corse verso casa.

capitolo 4

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IL DIVORATORELa serata si era fatta ancora più

afosa e correre verso casa era comenuo-tare dentro una zuppa calda.All’angolo del suo isolato, Clary fufermata da un semaforo rosso e iniziò asaltellare nervosamente da un piedeall’altro mentre il traffico le sfrecciavadavanti in un vortice indistinto di fanali.

Cercò di chiamare ancora a casa, maJace aveva detto la verità: il suotelefono non era un telefono. O almenonon assomigliava a nessun telefono cheClary avesse mai visto. I pulsanti delsensore non avevano numeri, ma solouna manciata di quei simboli bizzarri, enon c’era lo schermo.

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Correndo verso casa vide che lefinestre del secondo piano erano accese,il che solitamente voleva dire che suamadre èra in casa. Ok, si disse. Va tuttobene. Ma il suo stomaco si strinse nelmomento in cui fece il primo passonell’ingresso. La lampadina si erabruciata e l’anticamera era al buio.

Le ombre sembravano piene dimovimenti segreti. Rabbrividì e fece persalire le scale.

«E tu dove pensi di andare?» disseuna voce.

Clary si voltò di scatto. «Cosa…»Si interruppe. I suoi occhi si erano

abituati alla semioscurità e riuscì adistinguere la forma di una grande

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poltrona che era stata trascinata di frontealla porta chiusa dell’appartamento diMadame Dorothea. La vecchietta vi erapoggiata sopra come un cuscino troppoimbottito. Nella penombra Claryriusciva a vedere solo il suo voltoincipriato, il ventaglio di pizzo biancoche teneva in mano e il baratrosbadigliante della sua bocca quandoiniziò a parlare. «Tua madre» disseDorothea «ha fatto un bel trambustolassù. Cosa sta combinando? Sposta imobili?»

«Non credo…»«E la luce delle scale si è bruciata,

lo hai notato?» Dorothea batté ilventaglio sul bracciolo della poltrona.

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«Tua madre non può chiamare il suo fi-danzato per fargli cambiare lalampadina?»

«Luke non è…»«E il lucernario deve essere lavato.

È lurido. Non c’è da stupirsi che siabuio pesto, qua dentro.»

Luke NON è il padrone di casa,avrebbe voluto dire Clary, ma non lo fe-ce. Era tipico della sua anziana vicina.Se fosse riuscita a far venire Luke percambiare la lampadina, gli avrebbechiesto un centinaio di altre cose…

di andare a farle la spesa, distuccarle la doccia. Una volta gli avevafatto fare a pezzi un vecchio divano conun’ascia in modo che potesse farlo

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uscire dall’appartamento senza toglierela porta dai cardini.

Clary sospirò. «Glielo dirò.»«Sarà meglio.» Dorothea chiuse il

ventaglio di scatto, con un movimentovelocissimo del polso.

La sensazione di Clary che ci fossequalcosa che non andava peggioròquando raggiunse la porta di casa. Nonera chiusa a chiave, era socchiusa, edisegnava un cuneo di luce sulpianerottolo. Sempre più in preda alpanico, Clary aprì la porta.

Dentro l’appartamento tutte le lucierano accese al massimo della potenza.Il bagliore le ferì gli occhi.

Le chiavi e la borsetta rosa di sua

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madre erano sulla piccola mensola diferro battuto accanto alla porta, dove lelasciava sempre. «Mamma?»

chiamò Clary. «Mamma, sonotornata.»

Nessuna risposta. «Mamma?» Entròin salotto. Entrambe le finestre eranoaperte e c’erano metri di tende di garzabianca che si gonfiavano nella brezzacome fantasmi irrequieti. Quando ilvento calò e le tende si sgonfia-rono,Clary vide che i cuscini erano statistrappati dal divano e sparsi per tutta lastanza. Alcuni erano stati sventrati el’imbottitura di cotone era sparsa sulpavimento. Le librerie erano stateribaltate e il loro contenuto era finito

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dappertutto. Lo sgabello del pianoforteera rovesciato su un lato, spalancatocome una ferita da cui sgorgavano gliadorati spartiti di Jocelyn.

Ma a fare più paura di tutto erano iquadri. Erano stati tutti tagliati via dallacornice e fatti a brandelli, che poi eranostati sparsi sul pavimento. A fare quelloscempio doveva essere stato uncoltello… la tela è quasi impossibile dastrappare a mani nude. Le cornici vuotesembravano ossa spolpa-te. Clary sentìun urlo che le nasceva in gola. « Mami!»gridò. «Dove sei?

Mami!»Non chiamava sua madre “mami” da

quando aveva otto anni.

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Corse in cucina col cuore chepompava adrenalina. Era deserta, glispor-telli della credenza erano aperti,una bottiglia rotta di Tabasco versava ilsuo liquido rosso sul linoleum. Clary sisentiva le ginocchia come borsed’acqua. Sapeva che avrebbe dovutouscire di corsa dall’appartamento,cercare un telefono e chiamare lapolizia. Ma tutte quelle cose lesembravano distanti… e prima di tuttodoveva trovare sua madre, dovevasapere se stava bene. E se fosseroentrati in casa dei ladri? E se lei avesseopposto resistenza?

Ma che razza di ladri nonporterebbero via un portafogli, il

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televisore, il lettore DVD e il computerportatile?

Ora si trovava sulla porta dellacamera da letto di sua madre. Per unistante le sembrò che almeno questastanza fosse rimasta intonsa. La tra-puntaa fiori fatta a mano da Jocelyn eraripiegata alla perfezione sopra ilpiumone. Il volto di Clary sorrideva dalripiano del comodino: aveva cinque annie un sorriso sghembo incorniciato da unachioma color fragola.

Un sospiro si levò dal petto di Clary.Mamma, urlò dentro di sé, dove sei?

Le rispose il silenzio. No, non ilsilenzio… un rumore risuonò in tuttol’appartamento, facendole correre un

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brivido lungo la schiena, come diqualcosa che veniva ribaltato… unoggetto pesante che colpiva il pavimentocon un colpo sordo. Il colpo fu seguitoda un rumore frusciante, di qualcosa cheveniva trascinato… e stava venendoverso la camera da letto. Con lo stomacocontratto per il terrore, Clary si rimisein piedi e si voltò lentamente.

Per un momento pensò che sullaporta non ci fosse nessuno e provòun’ondata di sollievo. Poi guardò più inbasso.

Era accucciata sul pavimento. Unacreatura lunga, coperta di scaglie, con ungrappolo di occhi neri al centro delcranio tondo. Una specie di incrocio tra

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un coccodrillo, un millepiedi e unoscorpione. Aveva un muso tozzo e piattoe una coda uncinata che serpeggiavaminacciosamente da un lato all’altro.Una serie di zampe si raccolsero sottoquell’essere mentre si preparava ascattare.

Un urlo di terrore esplose dalla goladi Clary. Barcollò all’indietro,inciampò, e cadde proprio nell’istante incui la creatura si lanciava su di lei.

La ragazza rotolò di lato e la bestiala mancò di pochissimo. Scivolò sulparquet e i suoi artigli vi scavarono deisolchi profondi. Un ringhio basso gligorgogliava in gola.

Clary si rialzò e corse verso il

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corridoio, ma la cosa era troppo veloceper lei. Balzò ancora e atterrò sopra laporta, dove restò appesa come ungigantesco ragno maligno, guardandolacoi suoi occhi a grappolo. Le suemandibole si aprirono lentamente,mostrando una fila di zanne che stilla-vano una bava verde. Una lunga linguanera serpeggiò tra le mandibole, mentrela creatura gorgogliava e sibilava. Clarysi rese conto che quei suoni orribilicomponevano delle parole.

« Ragazza» sibilò la bestia. «Carne. Sangue. Mangiare, oh,mangiare. »

Iniziò a strisciare lungo la parete.Una parte di Clary era ormai al di là del

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terrore, in una sorta di staticità glaciale.La creatura si alzò sulle zampe e iniziòad avanzare verso di lei. Arretrando,Clary afferrò una pesante cornice dallascrivania accanto a lei. Conteneva unafoto di lei e sua madre e Luke a ConeyIsland. Stavano per saliresull’autoscontro. Lanciò la cornicecontro il mostro.

La fotografia lo colpì a metà dellaschiena, rimbalzò via e atterrò sulpavimento producendo un rumore divetri infranti. La creatura non sembrònemmeno accorgersene e continuò adavvicinarsi a Clary passando sopra icocci di vetro. « Ossa, rompere,succhiare il midollo, bere il sangue.. .»

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La schiena di Clary toccò il muro.Non poteva più arretrare. Sentì untremito contro il proprio fianco e fece unsalto. La tasca. Vi affondò la ma-no etirò fuori l’oggetto che aveva preso aJace. Sensore, l’aveva chiamato.

Stava vibrando come un cellularecon una chiamata in arrivo. Il materialeduro era rovente contro il suo palmo.Chiuse la mano attorno al sensoreproprio nell’istante in cui la creaturaspiccava il balzo.

L’essere le arrivò addosso e la buttòa terra. La testa e le spalle di Clarysbatterono contro il pavimento. Laragazza cercò di divincolarsi, ma lacreatura era troppo pesante. Era sopra di

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lei, un peso opprimente, viscido,nauseante. « Mangiare, mangiare»gemette la creatura. « Ma Valentine diceche è proibito inghiottire, assaggiare…»

L’alito caldo sul suo volto puzzavadi sangue. Clary non riusciva arespirare. Le sembrava che le sidovessero spezzare le costole da unmomento all’altro. Il suo braccio eraincastrato tra lei e il mostro, con ilsensore che le affondava nel palmo. Sicontorse, cercando di liberare la mano.« Lord Valentine non lo saprà mai, nonha parlato di una ragazza. LordValentine non si arrabbierà. » La boccapriva di labbra della creatura si

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contorse mentre apriva lentamente lemandibole e un’ondata di alito caldo efetido colpiva il viso di Clary.

Clary riuscì a liberare la mano. Urlòe colpì la bestia: voleva ferirla, ac-cecarla. Aveva quasi dimenticato ilsensore. Quando la creatura si lanciòcontro la sua faccia con le mandibolespalancate, Clary le infilò il sensore trai denti sentendo la bava calda e acidadella cosa ricoprirle il polso e bruciarlela pelle del volto e la gola. Sentì sestessa urlare, ma come in lontananza.

La creatura balzò indietro conun’aria stupita, col sensore incastrato tradue zanne. Ringhiò, emise una specie diprofondo ronzio rabbioso e fece scattare

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la testa all’indietro. Clary la videdeglutire, vide il movimento della suagola. La prossima sono io, pensò inpreda al panico. La prossima…

All’improvviso la creatura iniziò acontorcersi. In preda a spasmi incon-trollabili, lasciò libera Clary e caddesulla schiena, con le zampe che muli-navano in aria. Dalla bocca le usciva unfluido nero.

Clary rotolò su un fianco, cercandodi riprendere fiato, e iniziò adallontanarsi dalla creatura. Aveva quasiraggiunto la porta quando sentì qualcosafischiare nell’aria accanto alla sua testa.Cercò di abbassarsi ma era troppo tardi.Un oggetto la colpì alla nuca e lei crollò

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in avanti, svenuta.La luce la feriva attraverso le

palpebre, di blu, bianco e rosso. C’eraun suono alto e ululante che si alzava ditono come l’urlo di un bambinoterrorizzato. Clary ebbe un conato divomito e aprì gli occhi.

Era distesa sull’erba fredda e umida.Sopra di lei c’era il cielo notturno in cuiil bagliore di peltro delle stelle erasoffocato dalle luci della città. Jace siinginocchiò accanto a lei. I braccialid’argento che aveva ai polsi gettaronoscintille di luce mentre faceva abrandelli il pezzo di stoffa che aveva inmano. «Non muoverti.»

L’ululato rischiava di spaccarle le

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orecchie. Clary disobbedì e voltò latesta di lato. Fu ricompensata da unafitta lancinante alla schiena. Era distesasul prato dietro le adorate piante di rosedi Jocelyn. Il fogliame nascondevaparzialmente la strada, dove un’autodella polizia con il lampeggiante blu ebianco acceso stava parcheggiandoaccanto al marciapiede a sirene spiega-te. Si era già formato un gruppetto divicini che guardavano mentre le por-tiere dell’auto si aprivano e ne uscivanodue agenti in uniforme blu.

La polizia. Clary cercò di mettersi asedere ed ebbe un altro conato. Le dita,in preda agli spasmi, le si conficcarononella terra umida.

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«Ti ho detto di non muoverti» sibilòJace. «Il Divoratore ti ha colpito al-lanuca. Era mezzo morto, per cui non èstata una gran puntura, ma dobbiamoportarti all’Istituto. Stai ferma.»

«Quella cosa… il mostro…parlava.» Clary era scossa da tremitiincon-trollabili.

«Hai già sentito parlare un demone.»Le mani di Jace erano delicate, mentrele faceva scivolare la striscia di stoffasotto il collo e la legava. Era spalmatacon qualcosa di oleoso, come la pomatache sua madre usava per ammorbidire lemani screpolate dai colori edall’acquaragia.

«Il demone del Pandemonium…

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sembrava una persona.»«Era un Eidolon. Un mutante. I

Divoratori sono come sono. Non propriouna bellezza, ma sono troppo stupidi perbadarci.»

«Ha detto che mi avrebbemangiata…»

«Ma non lo ha fatto. Lo hai ucciso.»Jace terminò il nodo e si mise a sedere.

Il dolore alla nuca diminuì subito eClary riuscì a sollevarsi un po’. «È

arrivata la polizia.» La sua vocesembrava il gracidio di una rana.«Dovremmo…»

«Loro non possono fare niente.Probabilmente qualcuno ti ha sentitogridare e li ha chiamati. Dieci a uno che

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quelli non sono veri poliziotti. I demonisono molto bravi a cancellare le lorotracce.»

«Mia mamma…» disse Claryfacendo uscire a forza le parole dallasua gola gonfia.

«Al momento hai nelle vene ilveleno del Divoratore. Se non vieni conme morirai nel giro di un’ora.» Jace laaiutò ad alzarsi in piedi. Sapeva di terra,sangue e metallo. «Ce la fai acamminare?»

«Credo di sì.» Clary diedeun’occhiata attraverso le rose fiorite.Vide gli agenti risalire il vialetto. Una diloro, una donna bionda e snella,impugnava una torcia elettrica. Mentre

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la alzava, Clary vide che la sua manoera priva di carne, una mano scheletricacon le punte delle dita affilate. «La suamano…»

«Te l’ho detto che potevano esseredemoni.» Jace rivolse lo sguardo versoil retro della casa. «Dobbiamoandarcene da qui. Si può passare dalvicolo?»

Clary scosse il capo. «È chiuso daun muro. Non si può…» Le sue parolefurono soffocate da un accesso di tosse.Si portò una mano alla bocca e quandola levò era rossa. Clary gemette:«Jace…»

Lui le afferrò il polso e lo girò inmodo che la pelle bianca e vulnerabile

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dell’interno del suo braccio fosseilluminata dalla luna. Sotto la sua pellesi distingueva un intrico di vene blu cheportavano il sangue avvelenato al cuoree al cervello. Clary sentì che leginocchia le cedevano. C’era qualcosanella mano di Jace, qualcosa di affilato,color argento. La ragazza cercò diliberare la mano, ma la presa di lui eratroppo forte: sentì un bacio pungentecontro la pelle. Quando Jace la lasciòandare, Clary vide un simbolo nerotracciato con l’inchiostro, simile a quelliche coprivano la pelle di Ja-ce, appenasotto la piega del polso. Il simbolo eraformato da una serie di cerchiconcentrici sovrapposti.

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«A cosa serve?»«Ti nasconderà» disse lui. «Per il

momento.» Si infilò nella cintura la cosache Clary aveva pensato fosse uncoltello. Era un cilindretto luminoso eappuntito, grande come un dito. «È ilmio stilo» disse Jace.

Clary non chiese cosa fosse. Eratroppo occupata a cercare di reggersi inpiedi. Il terreno si alzava e si abbassavasotto i suoi piedi. «Jace» disse mentre siaccasciava su di lui. Jace la prese alvolo, come se fosse abituato a salvareragazze che svenivano, come se lofacesse tutti i giorni. Forse era propriocosì. La prese in braccio e le disseall’orecchio qualcosa che suonava come

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“Alleanza”. Clary voltò la testaall’indietro per guardarlo, ma vide solole stelle che correvano nel cielo buiosopra di lei. Poi si sentì pe-santissima eneanche le braccia di Jace attorno a leibastarono a impedirle di cadere.

capitolo 5IL CONCLAVE E L’ALLEANZA«Pensi che si sveglierà? Ormai

sono tre giorni…»«Devi darle tempo. Il veleno dei

demoni è forte e lei è una mondana.Non ha le rune a darle forza, come

noi.»«I mondani muoiono come niente,

eh?»«Isabelle, lo sai che porta sfortuna

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parlare di morte nella stanza di unmalato.»

Tre giorni, pensò Clary come alrallentatore. Tutti i suoi pensieri eranodensi e lenti come sangue, come miele.Mi devo svegliare.

Ma non ci riusciva.La trattenevano i sogni, uno dopo

l’altro, un fiume di immagini che latrasportavano come una foglia nellacorrente. Vide sua madre distesa in unletto d’ospedale, gli occhi simili a lividisul suo volto bianco. Vide Luke in piedisopra una pila di ossa. Jace con delle alibianche da angelo che gli spuntavanodalla schiena, Isabelle seduta nuda conla sua frusta raggomito-lata accanto,

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come una rete di anelli dorati. Simoncon delle croci marchia-te a fuoco suipalmi delle mani. Angeli che cadevano ebruciavano. Che cadevano dal cielo.

« Te lo avevo detto che era la stessaragazza. »

« Lo so. Che scricciolo, eh? Jacedice che ha ucciso un Divoratore. »

« Sì. La prima volta che l’ho vistaho pensato che fosse una fata. Però nonè abbastanza bella per essere una fata.»

« Be’, con il veleno di un demonenelle vene non è che si dia proprio ilmeglio di sé. Hodge chiamerà iFratelli? »

« Spero di no. Mi danno i brividi.

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Chi si mutila a quel modo… »« Anche noi ci mutiliamo. »« Lo so, Alec, ma quando lo

facciamo noi non è permanente. E nonsempre fa male… »

« Se sei abbastanza grande. Aproposito: dov’è Jace? È stato lui asal-varla, no? Pensavo che si sarebbeinteressato almeno un po’ alle sue con-dizioni. »

« Hodge ha detto che non è maivenuto a trovarla, da quando l’haportata qui. Credo che non glienefreghi niente. »

« A volte mi chiedo se lui… Alec!Guarda! Si è mossa! »

« Il che immagino voglia dire che è

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ancora viva. » Un sospiro. « Vado adirlo a Hodge. »

Era come se qualcuno le avessecucito le palpebre. A Clary parve disentire la pelle che si strappava mentrele apriva lentamente e sbatteva gli occhiper la prima volta da tre giorni a quellaparte.

Vide sopra di se un limpido cieloazzurro con nuvole a pecorelle e angelipaffuti coi polsi ornati da nastri dorati.Sono morta? , si chiese. Il paradiso èdavvero una cosa così? Strizzò gli occhie li riaprì: questa volta si rese conto chequello che stava guardando era unsoffitto a volta di legno dipinto con unascena rococò di nuvole e cherubini.

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Si mise dolorosamente a sedere. Lefaceva male tutto, ma soprattutto la nuca.Si guardò attorno: si trovava in un lettocon lenzuola di lino, in mezzo a unalunga fila di letti simili, con testiere dimetallo. Di fianco al letto c’era unpiccolo comodino con una broccabianca e una tazza. Alle finestre c’eranotende di pizzo che schermavano la luce,ma Clary riuscì a sentire in sottofondogli onnipresenti rumori del trafficonewyorkese.

«Così alla fine ti sei svegliata» disseuna voce secca. «Hodge sarà contento.Pensavamo tutti che probabilmentesaresti morta nel sonno.»

Clary sollevò lo sguardo. Isabelle

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era seduta sul letto vicino, i lungi capellicorvini pettinati in due grosse trecce chele scendevano sotto la vita. Il suo abitobianco era stato sostituito da un paio dijeans e una canottiera blu aderente, ma ilciondolo rosso le scintillava ancora alcollo. I tatuaggi scuri a spirale eranospariti: la sua pelle era immacolatacome la superficie di una ciotola dipanna.

«Mi dispiace avervi delusi.» Lavoce di Clary era ruvida come cartavetrata. «Siamo all’Istituto?»

Isabelle levò gli occhi al soffitto.«C’è qualcosa che Jace non ti ha

detto?»Clary tossì. «Questo è l’Istituto,

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giusto?»«Sì. Sei in infermeria, come avrai

già capito anche da sola.»Clary si mise a sedere. Un dolore

improvviso e lancinante le fece portarele mani allo stomaco. Ebbe un sussulto.

Isabelle la guardò allarmata. «Tuttoa posto?»

Il dolore si stava attenuando, maClary si sentiva un sapore acido infondo alla gola e aveva la testastranamente leggera. «Il mio stomaco…»

«Ah, già, me n’ero quasidimenticata. Hodge ha detto di dartiquesto quando ti svegliavi…» Isabelleprese la brocca di ceramica e versò unpo’

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del suo contenuto nella tazza, che poiporse a Clary. Era piena di un liquidotorbido e fumante. Profumava di erbe edi qualcos’altro, qualcosa di buono escuro. «Non mangi niente da tre oquattro giorni» spiegò Isabelle.

«Probabilmente è per questo che haimal di stomaco.»

Clary diede un sorso molto cauto.Era delizioso, saporito e piacevole, conun retrogusto burroso. «Che cos’è?»

Isabelle scrollò le spalle. «Una dellepozioni di Hodge. Funzionano sempre.»Saltò giù dal letto arcuando la schienacome una gatta. «A proposito, io sonoIsabelle Lightwood. Vivo qui.»

«Lo so come ti chiami. Io sono

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Clary. Clary Fray. È stato Jace aportarmi qui?»

Isabelle annuì. «Hodge era furioso,hai sporcato di sangue e di bile tutto iltappeto dell’ingresso. Se lo avesse fattomentre erano qui i miei genitori, sarebbestato sicuramente punito.» Si mise aosservare Clary con maggioreattenzione. «Jace ha detto che hai uccisoda sola quel Divoratore.»

Un’immagine di quella mostruosacreatura dal volto contorto e malignolampeggiò nella mente di Clary, cherabbrividì e strinse un po’ più forte latazza. «Sì, credo di sì.»

«Ma tu sei una mondana.»«Niente male, vero?» disse Clary,

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godendosi l’espressione di malcelatostupore di Isabelle. «Dov’è Jace? Èqui?»

Isabelle scrollò le spalle. «È daqualche parte» disse. «Devo andare adi-re a tutti che ti sei svegliata, Hodgevorrà parlarti.»

«Hodge è il tutore di Jace, giusto?»«Per l’Angelo! Jace si è proprio

sciolto la lingua con te, eh?» Scrollò lespalle con l’aria di chi preferisceprenderla con filosofia. «Hodge è iltutore di tutti noi. Lo hanno assunto imiei genitori.» Poi puntò un dito eaggiunse: «Il bagno è da quella parte.Ho appeso dei miei vecchi vestiti alporta-salviette, nel caso volessi

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cambiarti.»Clary fece per prendere un altro

sorso dalla tazza e scoprì che era vuota.Non aveva più fame e non si sentiva

più la testa leggera, il che era un belsollievo. Mise giù la tazza e si strinseaddosso il lenzuolo. «Cosa è successo aimiei vestiti?»

«Erano coperti di sangue e veleno.Jace li ha bruciati.»

«Ah, sì?» chiese Clary. «Ma senti, èsempre così scontroso o il suo è untrattamento che riserva ai mondani?»

«Oh, è scontroso con tutti» disseIsabelle allegra. «È questo che lo rendecosì maledettamente sexy, oltre al fattoche ha ucciso più demoni di chiunque

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altro alla sua età.»Clary la guardò perplessa. «Ma non

è tuo fratello…?»Isabelle scoppiò a ridere. «Jace?

Mio fratello? Ma no, cosa te lo fapensare?»

«Be’, vive qui con te» disse Clary.«O no?»

Isabelle annuì. «Be’, sì, ma…»«Perché non vive coi suoi genitori?»Per un breve istante Isabelle parve a

disagio. «Perché sono morti.»La bocca di Clary si spalancò per la

sorpresa. «Un incidente?»«No.» Isabelle si mise a

giocherellare con i capelli e si spinseuna ciocca scura dietro l’orecchio

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sinistro. «Sua madre è morta quando ènato lui. E

suo padre è stato ucciso quandoaveva undici anni. Davanti ai suoiocchi.»

«Oh» disse Clary con un filo divoce. «Sono stati… i demoni?»

Isabelle si alzò in piedi. «Senti, saràmeglio che dica a tutti che ti seisvegliata. Sono tre giorni che aspettanoche tu apra gli occhi. Ah, in bagno c’èanche del sapone» aggiunse. «Ticonsiglierei di darti una lavata. Puzzi unpo’.»

Clary si strinse addosso il lenzuolo elanciò un’occhiataccia a Isabelle.

«Grazie tante.»

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«Figurati.»Gli abiti di Isabelle le davano un

aspetto ridicolo. Clary dovette fareparecchi risvolti ai pantaloni per noninciamparci e la scollatura profondadella camicetta rossa non faceva chemettere in risalto la sua mancanza diquelli che Eric avrebbe definito“parabordi”.

Si lavò nel piccolo bagno, usandouna saponetta alla lavanda. Si asciugòcon una salvietta bianca che le lasciò icapelli umidi e scompigliati a in-corniciarle il viso. Diede un’occhiata alproprio riflesso nello specchio.

Aveva un livido viola sullo zigomosinistro e le sue labbra erano gonfie e

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secche.Devo chiamare Luke, pensò. Di

certo doveva esserci un telefono, daqualche parte. Forse glielo avrebberolasciato usare dopo aver parlato conHodge.

Trovò le sue Skechers ai piedi delletto, con le sue chiavi legate ai lacci.

Vi infilò i piedi, prese un bel respiroe uscì alla ricerca di Isabelle.

Il corridoio fuori dall’infermeria eradeserto. Clary diede un’occhiata intorno,perplessa. Era il genere di corridoio incui ci si trova a correre negli incubi,pieno di ombre e infinitamente lungo.Lampade di vetro a forma di rosapendevano a intervalli regolari dai

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pannelli di legno alle pareti e l’ariaodorava di polvere e cera di candele.

Sentì un suono flebile e delicato inlontananza, come di piccole campanetubolari scosse dal vento. Si incamminòlungo il corridoio facendo scorrere unamano sul muro. La carta da parati in stilevittoriano, stinta dal tempo, avevaassunto tonalità grigio chiaro ebordeaux. Entrambi i lati del corridoioerano scanditi da porte chiuse.

Il suono verso cui si stavaavvicinando si faceva più forte. Orapoteva identificarlo: era un pianoforte,suonato con una discontinua quantonotevole abilità, anche se non riusciva ariconoscere il brano.

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Svoltò l’angolo e si trovò di fronte auna porta aperta. Diede un’occhiataall’interno e vide quella che eraevidentemente la sala della musica. Daun lato c’era un pianoforte a coda edall’altro erano disposte alcune file disedie. Un’arpa coperta occupava ilcentro della stanza.

Jace era seduto al piano, le maniaffusolate che si muovevanovelocemente sui tasti. Era a piedi nudi eportava dei jeans e una maglietta grigia.

I capelli color bronzo erano arruffaticome se si fosse appena svegliato.

Guardando i movimenti veloci esicuri delle sue mani, Clary ricordò lasensazione che aveva provato quando

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l’aveva sollevata tra le sue braccia, conle stelle che sfrecciavano attorno a leicome una pioggia di brillantinid’argento.

Doveva aver fatto rumore, perché luisi voltò sullo sgabello e strizzò gli occhinell’ombra. «Alec?» disse. «Sei tu?»

«No, non è Alec. Sono io.» Claryentrò nella stanza.

«Clary?» Il piano emise qualchenota dissonante mentre Jace si alzava inpiedi. «La nostra bella addormentata.Chi ti ha baciata?»

«Nessuno. Mi sono svegliata dasola.»

«C’era qualcuno con te?»«Isabelle, ma è andata a chiamare

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qualcuno… Hodge, credo. Mi ha dettodi aspettarla in camera, ma…»

«Avrei dovuto avvisarla che tu hail’abitudine di non fare mai quello che tidicono.» Jace le diede un’occhiata.«Quelli sono vestiti di Isabelle?Addosso a te sono ridicoli.»

«Forse se tu non avessi bruciato imiei vestiti…»

«Una precauzione indispensabile.»Jace chiuse la ribaltina lucida delpianoforte. «Vieni, ti porto da Hodge.»

L’Istituto era enorme, un grandespazio cavernoso che non sembravacostruito in base a un progetto mascavato nella roccia dall’acqua e dalpassare dei secoli. Attraverso porte

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semichiuse, Clary intravideinnumerevoli stanzette identiche, tuttedotate di un letto privo di lenzuola, uncomodino e un grande armadio di legnocon le ante aperte. Pallidi archi di pietrasostenevano gli alti soffitti, spessoarricchiti da intricati bassorilievi difigure minuscole. Clary notò alcunimotivi ripetuti spesso: angeli e spade,soli e rose.

«Perché qui ci sono così tante stanzeda letto?» chiese Clary. «Credevo fosseun istituto di ricerca.»

«Questa è l’ala residenziale.Abbiamo l’obbligo di offrire un riparo eun letto a qualsiasi Cacciatore lo chieda.Possiamo ospitare fino a duecento

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persone.»«Ma la maggior parte delle stanze è

vuota.»«La gente va e viene. Nessuno resta

a lungo. Di solito ci siamo solo noi:Alec, Isabelle, Max, i loro genitori… eio e Hodge.»

«Max…?»«Hai conosciuto la fascinosa

Isabelle, giusto? Alec è suo fratellomaggiore. Max è il più giovane, ma èoltreoceano coi suoi genitori.»

«In vacanza?»«Non proprio.» Jace esitò. «Puoi

pensare a loro come a… diplomaticistranieri. E questa sarebbe una specie diambasciata. Al momento sono nel paese

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d’origine degli Shadowhunters e stannolavorando a dei negoziati di pace moltodelicati. Hanno portato Max con loroperché è troppo giovane per restarequi.»

«Il paese d’origine dei Cacciatori?»Clary si sentiva girare la testa. «Co-mesi chiama?»

«Idris.»«Mai sentito.»«Certo che no.» Quell’irritante senso

di superiorità era tornato a farsi sentirenella sua voce. «I mondani non ne sannoniente. Ci sono delle protezioni… degliincantesimi di difesa… ai suoi confini.Se tu provassi a entrare a Idris, sarestisemplicemente trasportata

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istantaneamente da un confine all’altro.E non te ne accorgeresti neppure.»

«Quindi non è su nessuna mappa?»«Non su quelle dei mondani. Per

quello che ti può servire, puoi conside-rarlo un piccolo paese tra la Germania ela Francia.»

«Ma non c’è niente tra la Germania ela Francia. A parte la Svizzera.»

«Appunto» disse Jace. «Idris è anord della Svizzera.»

«Immagino che tu ci sia stato. AIdris, voglio dire.»

«Sono cresciuto lì.» La voce di Jaceera neutra, ma qualcosa nel suo tono lefece capire che non avrebbe graditoaltre domande di quel tipo. «È così per

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la maggior parte di noi. Naturalmente cisono Shadowhunters in tutto il mondo.Dobbiamo essere dappertutto, perché idemoni agiscono dappertutto. Ma per unCacciatore Idris è sempre “casa”.»

«Come la Mecca o Gerusalemme»disse Clary soprappensiero. «Quindi lamaggior parte di voi cresce lì e poi,quando crescete…»

«Veniamo mandati dove c’è bisognodi noi» tagliò corto Jace. «E poi ci sonoquelli come Isabelle e Alec checrescono fuori dal nostro paese per stareinsieme ai propri genitori. Con tutte lerisorse dell’Istituto, con l’addestramentodi Hodge…» Si interruppe. «Ecco labiblioteca.»

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Avevano raggiunto delle porte dilegno ad arco. Un gatto persiano blu congli occhi gialli era acciambellato lìdavanti. Quando si avvicinarono,sollevò la testa e miagolò languido.«Ciao, Church» lo salutò Jace accarez-zando la schiena del gatto con un piedenudo.

«Miao.» Il gatto socchiuse gli occhiestatico.

«Aspetta» disse Clary. «Alec eIsabelle e Max… sono gli uniciCacciatori della tua età che conosci? Gliunici con cui passi il tempo?»

Jace smise di accarezzare il gatto.«Sì.»

«Ti sentirai solo.»

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«Ho tutto quello che mi serve.» Jaceaprì la porta. Dopo una breve esitazione,Clary lo seguì all’interno.

La biblioteca era una sala circolarecon il soffitto a cono, come se fossestata costruita dentro una torre. Le paretierano tappezzate di libri e gli scaffalierano così alti che a intervalli regolaric’erano delle scalette su ro-telle perraggiungere i volumi che non erano aportata di mano. Anche i libri non eranolibri qualsiasi, ma tomi rilegati in pellee velluto, chiusi da solidi lucchetti ecerniere di ottone e argento. Le lorocoste erano tempesta-te di gioielliscintillanti e incise da scritte in caratteridorati. Avevano un’aria consunta, ed era

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evidente che quei libri non erano soloantichi, ma anche molto consultati eamati.

Il parquet lucidato era impreziositoda intarsi in vetro, marmo e pietre dure.Questi formavano un disegno che Clarynon riusciva bene a decifra-re: potevanoessere delle costellazioni o anche unamappa del mondo. Intuiva che se fossesalita in cima alla torre e avesseguardato in basso tutto le sarebberisultato più chiaro.

Al centro della stanza c’era unamagnifica scrivania. Era ricavata daun’unica lastra di legno, un grande emassiccio pezzo di rovere che riman-dava il tenue barlume degli anni. La

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lastra poggiava sulle schiene di dueangeli intagliati nello stesso legno, le alidorate e i volti sofferenti, come se ilpeso che sostenevano stesse spezzandoloro la schiena. Dietro la scrivania eraseduto un uomo magro coi capellibrizzolati e un lungo naso aquilino.

«Vedo che ti piacciono i libri» dissesorridendo a Clary. «Questo non me loavevi detto, Jace.»

Jace ridacchiò. Clary sentì che le eraarrivato dietro le spalle e se ne stava lìcon le mani in tasca, sorridendo conquella sua aria terribilmente irritante.«Non abbiamo parlato molto nel corsodella nostra breve frequenta-zione»disse lui. «Temo che abbiamo tralasciato

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di discutere delle nostre abitudini dilettura.»

Clary gli lanciò un’occhiataccia.«Come ha fatto a capirlo?» chiese

all’uomo alla scrivania. «Che mipiacciono i libri, voglio dire.»

«Dall’espressione che avevi quandosei entrata» spiegò lui, alzandosi inpiedi. «Chissà perché, ma ho pensatoche non fossi io il motivo di tantaammirazione.»

Clary soffocò un sussulto mentrel’uomo si alzava. Per un istante lesembrò che fosse deforme e che avessela spalla sinistra più alta dell’altra.

Quando si avvicinò si rese conto chela gobba era in realtà un uccello

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appollaiato sulla sua spalla, una creaturalucida e piumata con luccicanti occhineri.

«Lui è Hugo» disse l’uomo toccandol’uccello. «Hugo è un corvo, e in quantotale sa molte cose. Io invece sono HodgeStarkweather, insegnante di storia, e inquanto tale non so quasi nulla.»

Clary non poté fare a meno disorridere mentre gli stringeva la mano.

«Clary Fray.»«Sono onorato di fare la tua

conoscenza» disse lui. «Come lo sareidi fa-re la conoscenza di chiunque sia ingrado di uccidere un Divoratore a maninude.»

«Non l’ho ucciso a mani nude» disse

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Clary imbarazzata. Le dava unasensazione strana essere lodata peravere ucciso qualcosa. «È stato il…quel coso di Jace… non ricordo come sichiama, ma…»

«Il mio sensore» intervenne Jace.«Lo ha ficcato in gola alla creatura. Lerune devono averlo soffocato. Credo cheme ne serva uno nuovo» aggiunse, comese ci avesse pensato solo in quelmomento. «Avrei dovuto dirlo prima.»

«Ce ne sono alcuni nell’armeria»disse Hodge. Quando sorrise a Clary, unmigliaio di minuscole rughe siirradiarono dai suoi occhi come le crepedi un dipinto antico. «Sei stata brillante.Come ti è venuto in mente di usare il

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sensore come arma?»Prima che potesse rispondere, una

risata tagliente risuonò nella stanza.Clary era stata così colpita dai libri

e distratta da Hodge che non aveva vistoAlec stravaccato su un’enorme poltronarossa accanto al caminetto spento. «Nonposso credere che tu ti sia bevuto questastoria» disse.

All’inizio Clary non capì cosa stessedicendo. Era troppo impegnata afissarlo. Come molti figli unici, eraaffascinata dalla somiglianza tra fratelli,e ora, nella piena luce del giorno, avevanotato quanto Alec fosse simile a suasorella. Avevano gli stessi capellicorvini, le stesse sopracciglia sottili che

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si sollevavano agli angoli, la stessacarnagione pallida. Ma se Isabelle eratutta arroganza, Alec se ne stavainsaccato in quella poltrona comesperando che nessuno si accorgesse dilui. Aveva ciglia lunghe e scure comequelle di Isabelle, ma al posto del nerodegli occhi di sua sorella c’e-ra un bluscuro simile a quello di certe bottiglie.E guardava Clary con un’ostilità pura econcentrata come acido.

«Non capisco cosa vuoi dire, Alec.»Hodge sollevò un sopracciglio grigio.Clary si chiese quanti anni avesse: eracome senza età, nonostante i capelligrigi e l’azzurro scolorito degli occhi.Indossava un abito di tweed grigio

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perfettamente stirato, con la puntatriangolare di un fazzoletto che spuntavadal taschino. Poteva avere l’aspetto diun affabile docente univer-sitario se nonfosse stato per la grossa cicatrice che gliattraversava il lato destro del volto.Clary si chiese come se la fosse fatta.«Pensi che non sia stata lei a ucciderequel demone?»

«Certo che non è stata lei. Guardala,è una mondana, Hodge, e per di più unaragazzina. Non esiste proprio che siariuscita a far fuori un Divoratore.»

«Non sono una ragazzina» lointerruppe Clary. «Ho sedici anni… be’,li avrò domenica.»

«La stessa età di Isabelle» disse

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Hodge. «Isabelle ti sembra unabambina?»

«Isabelle viene da una delle piùgrandi dinastie di Cacciatori dellastoria» ribatté Alec. «Questa ragazzainvece viene dal New Jersey.»

«Sono di Brooklyn» lo corresseClary furente. «E con questo? Ho appenaucciso un demone a casa mia e tu mivieni a rompere le scatole solo perchénon sono una ragazza ricca e viziatacome te e tua sorella?»

Alec era sbalordito. «Cosa haidetto?»

«Sono felice che questaconversazione sia iniziata sotto imigliori auspi-ci.» Sembrava che Jace

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faticasse a trattenere le risate. «Laragazza non ha torto, Alec. C’è un saccodi attività demoniaca, nei sobborghi.Dobbiamo sempre prestare moltaattenzione ai demoni pendolari…»

«Non è divertente, Jace» lointerruppe Alec alzandosi rabbioso.«Hai intenzione di permettere che se nestia lì a insultarmi?»

«Sì» rispose Jace moltotranquillamente. «Ti farà bene… Cercadi consi-derarla una prova diresistenza.»

«Saremo anche parabatai» dissesecco Alec «ma la tua sfrontatezza stamettendo a dura prova la mia pazienza.»

La voce di Jace si fece gelida. «E la

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tua cocciutaggine sta mettendo a du-raprova la mia. Quando l’ho trovata era aterra in una pozza di sangue con undemone praticamente addosso. Se nonl’ha ucciso lei, chi è stato?»

«I Divoratori sono stupidi. Forse siè colpito da solo il collo con il suostesso pungiglione… Non sarebbe laprima volta…»

«Mi stai dicendo che si èsuicidato?»

Alec strinse le labbra. «Non è giustoche lei sia qui. I mondani non sonoammessi all’Istituto, Jace, e ci sonoottime ragioni, per questo. Se qualcunolo venisse a sapere, verremmodenunciati al Conclave. L’unica ragione

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per cui Hodge ti ha consentito diportarla qui è perché tu hai detto che haucciso quel demone.»

«Non è del tutto vero» disse Hodge.«La Legge ci consente di offrire rifugioai mondani in determinate circostanze.Un Divoratore ha attaccato la madre diClary… e lei poteva benissimo essere laprossima.»

Attaccato. Clary si chiese se nonfosse un eufemismo per ucciso. Il corvosulla spalla di Hodge gracchiò piano.

«I Divoratori sono macchine daguerra» replicò Alec. «Agiscono alcomando di stregoni o di potenti signoridei demoni. Che interesse potrebbeavere uno stregone o un signore dei

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demoni verso una qualsiasi famiglia dimondani?» Quando guardò Clary, i suoiocchi scintillavano di disprezzo.

«Qualche suggerimento?»Clary disse: «Deve essere stato un

errore.»«I demoni non fanno quel genere di

errori. Se hanno attaccato tua madre,deve esserci stata una ragione. Se leifosse stata innocente…»

«In che senso innocente?» La vocedi Clary era ferma.

Alec parve colto alla sprovvista.«Io…»

«Quello che intende dire» intervenneHodge «è che è del tutto insolito che undemone potente, un demone che

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potrebbe avere ai propri ordini parecchidemoni inferiori, si interessi agli affaridegli esseri umani. Nessun mondano puòevocare un demone - non ne avrebbe ilpotere - ma ci sono stati dei pazzidisperati che hanno trovato una strega ouno stregone che lo facesse per loro.»

«Mia madre non conosce nessunostregone. Non crede neanche allamagia.» A Clary venne in mente unacosa. «Madame Dorothea… vive alpiano di sotto… lei è una strega. Forse idemoni stavano cercando lei e hannoattaccato mia mamma per sbaglio…»

Le sopracciglia di Hodge sisollevarono tanto da raggiungergli quasil’attaccatura dei capelli. «Una strega

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vive al piano sotto casa tua?»«È una copertura… una falsa strega»

disse Jace. «Ho già indagato. Unostregone non avrebbe alcun motivo diinteressarsi a lei, a meno che non abbiauna passione per le sfere di cristallotarocche.»

«E così ci ritroviamo al punto dipartenza.» Hodge allungò una mano peraccarezzare l’uccello che portavaappollaiato sulla spalla. «Direi che ègiunto il momento di fare rapporto alConclave.»

«No!» disse Jace. «Nonpossiamo…»

«Tenere segreta la presenza di Claryqui aveva senso finché non sapevamo se

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si sarebbe ripresa» disse Hodge. «Maadesso sta bene, ed è la prima mondanaa varcare la porta dell’Istituto da più diun secolo. Conosci le regole sulleconoscenze dei mondani a propositodegli Shadowhunters, Jace. Il Conclavedeve essere informato.»

«Assolutamente» concordò Alec.«Potrei mandare un messaggio a miopadre…»

«Non è una mondana» disse Jace avoce bassa.

Hodge assunse un’espressionesbalordita. Alec, interrotto a metà frase,quasi si strozzò per lo stupore. Nelsilenzio improvviso, Clary riuscì asentire il fruscio delle ali di Hugo. «Sì

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che lo sono» disse.«No» disse Jace. «Non lo sei.» Si

voltò verso Hodge, e Clary vide il lievemovimento della sua gola quandodeglutì. Trovo stranamente rassicuranteil nervosismo di Jace. «La nottescorsa… c’erano dei demoni Du’sienvestiti da poliziotti. Dovevamo evitarli.Clary era troppo debole per correre enon c’era tempo per nascondersi…sarebbe morta. Così ho usato il miostilo… e le ho messo una runa mendelinall’interno del braccio. Ho pensato…»

« Sei pazzo? » Hodge picchiò lamano sul ripiano della scrivania contanta violenza che Clary pensò che illegno potesse rompersi. «Lo sai cosa di-

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ce la Legge sul fatto di marchiare imondani! Tu… tu più di chiunque altrodovresti saperlo!»

«Ma ha funzionato» disse Jace.«Clary… fa’ vedere il braccio.»

Con un’occhiata sconcertata versoJace, la ragazza allungò il braccio nu-do. Ricordava di averlo guardato, quellasera nel vicolo, pensando a quantoapparisse vulnerabile. Ora, appena sottola piega del gomito, vide tre cerchisovrapposti appena accennati, lineebianche come il ricordo di una cicatricescomparsa col passare degli anni.«Vedete, è quasi andato» disse Jace. «Enon le ha fatto alcun male.»

«Non è questo il punto.» Hodge

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riusciva a stento a trattenere la rabbia.«Avresti potuto trasformarla in una

Dimenticata.»Due macchie rosse si stamparono

sulle guance di Alec. «Non ci possocredere, Jace. Solo i Cacciatori possonoricevere i marchi dell’Alleanza…

Un mondano morirebbe…»«Ma lei non è una mondana, lo

capisci o no? Il che spiega anche perchéci poteva vedere. Deve avere del sanguedel Conclave.»

Clary abbassò il braccio.All’improvviso ebbe freddo. «Ma non ècosì.

Non è possibile.»«Deve esserlo» disse Jace senza

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guardarla. «Se non fosse così, il marchioche ti ho fatto sul braccio…»

«Basta così, Jace» lo azzittì Hodge.Era evidentemente turbato. «Non ènecessario spaventarla ancora di più.»

«Ma ho ragione, no?» Jace eraarrossito. «E questo spiega anche quelloche è successo a sua madre. Se era unaCacciatrice in esilio poteva avere deinemici negli Inferi.»

«Mia madre non è mai stata unaCacciatrice!»

«Allora tuo padre» disse Jace.«Cosa mi dici di lui?»

Clary rispose al suo sguardo conun’occhiataccia. «È morto. Quando eropiccola.»

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Jace fece una smorfia quasiimpercettibile. Fu Alec a rispondere. «È

possibile» disse incerto. «Se suopadre era un Cacciatore e sua madre unamondana, be’, sappiamo tutti che ècontro la Legge sposare un mondano.

Forse erano latitanti.»«Mia madre me lo avrebbe detto»

disse Clary, ma le venne in mente che incasa c’era solo una foto di suo padre eche sua madre non parlava mai di lui, ecapì che non era vero.

«Non necessariamente» disse Jace.«Abbiamo tutti dei segreti.»

«Luke» disse Clary. «Il nostroamico. Lui lo saprebbe.» Al pensiero diLuke, Clary fu colta da un lampo di

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senso di colpa e di orrore. «Sonopassati tre giorni… deve essereimpazzito per la preoccupazione. Possochiamarlo? C’è un telefono qui?» Sivoltò verso Jace. «Per favore.»

Jace esitò, poi guardò Hodge, cheannuì e si scostò dalla scrivania. Allesue spalle c’era un mappamondo diottone che non assomigliava agli altrimappamondi che Clary aveva visto inpassato: c’era qualcosa di strano nellaforma dei paesi e dei continenti.Accanto a esso c’era un telefono nerodall’aria antiquata, con una rotellad’argento per comporre i numeri. Clarysi portò il ricevitore all’orecchio e ilfamiliare segnale acustico la rinfrancò

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come acqua fresca.Luke rispose al terzo squillo.

«Pronto?»«Luke!» Clary si accasciò sulla

scrivania. «Sono io, Clary.»«Clary.» La ragazza sentì il sollievo

nella sua voce, insieme a qualcos’altroche non riuscì a identificare conprecisione. «Stai bene?»

«Sì» disse lei. «Scusa se non ti hochiamato prima. Luke, mia mamma…»

«Lo so. È stata qui la polizia.»«Allora non l’hai sentita.» Ogni

speranza residua che sua madre fossescappata e si fosse nascosta da qualcheparve svanì all’improvviso. Se fosseandata così avrebbe certamente

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contattato Luke. «Cosa ha detto lapolizia?»

«Solo che è scomparsa.» Clarypensò alla poliziotta con la manoscheletrica ed ebbe un brivido. «Dovesei?»

«In città» rispose Clary. «Non soesattamente dove. Con degli amici. Hoperso il portafogli, però. Se hai deicontanti potrei prendere un taxi e farmiportare da te…»

«No» la interruppe lui.Il telefono le scivolò tra le mani

sudate. Lo riprese al volo. «Cosa?»«No» ripeté lui. «È troppo

pericoloso. Non puoi venire qui.»«Potremmo chiamare…»

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«Ascoltami.» La voce di Luke eradura. «In qualsiasi guaio si sia caccia-tatua madre, la cosa non mi riguarda. Èmeglio che resti dove sei.»

«Ma io non voglio restare qui.»Clary si accorse di avere assunto untono piagnucoloso, come quello di unabambina. «Non conosco queste persone.

Tu…»«Io non sono tuo padre, Clary. Te

l’ho già detto.»Gli occhi della ragazza si

riempirono di lacrime. «Mi dispiace. Èsolo che…»

«Non chiamarmi più» disse lui. Eriappese.

Clary restò immobile a fissare il

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telefono col segnale di occupato che leronzava nell’orecchio come una grossavespa. Compose di nuovo il numero diLuke e attese. Questa volta partì lasegreteria telefonica. Clary sbatté ilricevitore al suo posto con le mani chetremavano.

Jace era appoggiato al bracciolodella poltrona di Alec e la osservava.

«Mi sembra di capire che non fossemolto contento di sentirti…»

Clary si sentiva come se il cuore lesi fosse ridotto alle dimensioni di unanoce, una minuscola pietra dura inmezzo al petto. Non piangerò, pensò.

Non davanti a queste persone.«Penso che farò una chiacchierata

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con Clary» disse Hodge. «Da solo»aggiunse in tono fermo, vedendo

l’espressione di Jace.Alec si alzò in piedi. «Va bene.

Pensaci tu.»«Non è giusto» obiettò Jace. «Sono

stato io a trovarla. Sono stato io asalvarle la vita! Tu preferisci che ioresti qui, vero?» chiese a Clary.

Clary distolse lo sguardo, sapendoche se avesse aperto la bocca sarebbescoppiata a piangere. Sentì Alec rideresommessamente.

«Non tutti ti vogliono sempreattorno, sai, Jace?» disse.

«Non essere ridicolo» gli risposeJace, ma sembrava deluso. «Va bene.

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Noi andiamo in armeria.»La porta si chiuse dietro di loro con

un piccolo scatto. A Clary pungevano gliocchi, come sempre quando cercava ditrattenere a lungo le lacrime.

Hodge le si parò davanti, unamacchia grigia indistinta. «Siediti» ledisse.

«Qui, sul divano.»Lei affondò grata tra i cuscini

morbidi. Aveva le guance bagnate.Sollevò una mano per asciugarsi lelacrime. «Di solito non piango molto» siritrovò a dire. «Non è niente. Adesso mipassa.»

«La maggior parte delle persone nonpiange quando è sconvolta o quando è

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spaventata, ma piuttosto quando èfrustrata. La tua frustrazione ècomprensibile. Hai passato dei momentidecisamente difficili.»

« Difficili? » Clary si asciugò gliocchi nell’orlo della camicia diIsabelle.

«Puoi dirlo forte.»Hodge tirò fuori la sedia da sotto la

scrivania e la portò in un punto adat-toper stare di fronte alla ragazza. I suoiocchi, notò solo ora Clary, erano grigicome i suoi capelli e la sua giacca ditweed, ma in loro c’era qualcosa digentile. «Posso offrirti qualcosa?»chiese. «Qualcosa da bere? Un tè?»

«Non voglio un tè» Clary trattenne a

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stento la rabbia. «Voglio trovare miamadre. E poi voglio scoprire chi l’haportata via e voglio ucciderlo.»

«Purtroppo» disse Hodge «almomento abbiamo esaurito la nostrascorta di vendetta-dolce-vendetta, percui dovrai accontentarti del tè.»

Clary lasciò cadere l’orlo dellacamicia, che adesso era pieno dimacchie umide: «Cosa dovrei fare,allora?»

«Potresti iniziare a raccontarmiquello che è successo» disse Hodgerovistando in tasca. Estrasse unfazzoletto stirato e inamidato, che porsealla ragazza. Clary lo prese consilenzioso stupore. Non aveva mai

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conosciuto qualcuno che se ne andassein giro con un fazzoletto di stoffa intasca.

«Quel demone che hai visto nel tuoappartamento… avevi mai visto primaun essere del genere? Avevi idea cheesistessero creature come quella?»

Clary scosse il capo, poi fece unapausa. «Ne ho visto un altro, prima, manon avevo capito cos’era. La primavolta che ho visto Jace…»

«Giusto, ma certo, che sciocco ascordarlo.» Hodge annuì. «AlPandemonium. Quella è stata la primavolta?»

«Sì.»«E tua madre non te ne ha mai

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parlato… non ti ha mai raccontato di unaltro mondo che la maggior parte dellepersone non possono vedere? Tisembrava particolarmente interessata aimiti, alle favole, alle leggende fan-tastiche…»

«No. Odiava tutta quella roba. Nonle piacevano neppure i film della Di-sney. Non le piaceva che leggessi imanga. Diceva che erano infantili.»

Hodge si grattò la testa. I suoicapelli non si mossero. «Decisamenteinteressante» mormorò.

«Ma figurati» disse Clary. «Miamadre non era interessante. Era lapersona più normale del mondo.»

«La gente normale di solito non si

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ritrova dei demoni che le assediano lacasa» osservò Hodge con una certagentilezza.

«Non può essere stato un errore?»«Se fosse stato un errore» continuò

Hodge «e tu fossi una ragazza qualsiasi,non avresti visto il demone che ti haattaccato… e se anche lo avessi visto, latua mente lo avrebbe trasformato inqualcosa di totalmente diverso. Un caneferoce, magari addirittura un altro essereumano. Il fatto che tu l’abbia visto, che tiabbia parlato…»

«Come fai a sapere che mi haparlato?»

«Jace mi ha riferito che tu hai dettoche parlava.»

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«Sibilava.» Clary ebbe un brivido aquel ricordo. «E diceva che mi volevamangiare, ma non penso che volessefarlo davvero.»

«I Divoratori di solito sono sotto ilcontrollo di un demone più forte»

spiegò Hodge. «Non sono moltointelligenti e da soli non sannocombinare granché.» Inclinò la testa daun lato. «Ha detto cosa stava cercando ilsuo padrone?»

Clary ci pensò sopra un po’. «Hadetto qualcosa su un certo Valentine,ma…»

Hodge scattò in piedi cosìall’improvviso che Hugo, fino a quelmomento comodamente appollaiato sulla

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sua spalla, si lanciò in aria con un versoirritato. « Valentine? »

«Sì» disse Clary sbalordita. «Hopensato di avere sentito male. Valentinenon sembra proprio un nome dademone…»

«Valentine non è un demone.» Lavoce di Hodge era ferma, ma Clary notòun leggero tremito nelle sue mani. Hugo,che era tornato a posarsi sulla suaspalla, arruffò le penne inquieto.

«Lo conosci?»«Sì. Valentine è… era… un

Cacciatore.»«Un Cacciatore? Perché dici era?»«Perché è morto» disse Hodge in

tono neutro. «È morto da quindici an-

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ni.»Clary sprofondò di nuovo tra i

cuscini del divano. Le pulsava la testa.Forse avrebbe dovuto accettarlo,

quel tè. «Non potrebbe essere qualcunaltro? Qualcuno con lo stesso nome?»

La risata di Hodge fu un latratoprivo di allegria. «No. Ma potrebbeessere qualcuno che usa il suo nome permandare un messaggio.» Si alzò e siavvicinò alla scrivania, le mani unitedietro la schiena. «E questo sarebbe ilmomento giusto per farlo.»

«Perché?»«A causa degli Accordi.»«I negoziati di pace? Jace mi ha

detto qualcosa in proposito. Pace con

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chi?»«I Nascosti» mormorò Hodge.

Sollevò lo sguardo su Clary. La suabocca era una linea sottile. «Scusami»aggiunse poi. «Per te deve essere tuttopiuttosto sconcertante.»

Clary annuì. «Direi proprio di sì.»Hodge si appoggiò alla scrivania e

iniziò ad accarezzare distrattamente lepenne di Hugo. «I Nascosti sono coloroche abitano insieme a noi nel MondoInvisibile. La pace tra di noi è semprestata estremamente instabile.»

«Sono tipo i vampiri, i lupi mannarie…»

«Il Popolo Fatato» disse Hodge. «Lefate. E i figli di Lilith, essendo mezzi

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demoni, sono stregoni.»«E voi Cacciatori cosa siete?»«A volte ci chiamano Nephilim»

disse Hodge. «Nella Bibbia erano ilfrutto dell’unione di angeli ed esseriumani. Secondo la leggenda, gliShadowhunters furono creati più dimille anni fa, quando gli umani stavanoper essere distrutti dalle invasioni didemoni provenienti da altri mondi.

Uno stregone evocò l’angelo Raziel,che mescolò in una ciotola un po’ delproprio sangue con del sangue umano elo diede da bere agli uomini. Coloro chebevvero il sangue dell’Angelodivennero Cacciatori, e così i loro figlie i figli dei loro figli. La ciotola da

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allora fu conosciuta come la CoppaMortale. Anche se forse la leggenda nonè del tutto vera, ciò che è vero è che nelcorso degli anni, quando le fila deiCacciatori si assottigliavano, erapossibile crearne di nuovi usando laCoppa.»

« Era possibile?»«La Coppa è andata perduta» disse

Hodge. «È stata distrutta da Valentine,poco prima che morisse. Ha appiccatoun grande incendio ed è bruciato coisuoi genitori, sua moglie e suo figlio. Laterra lì è diventata nera. Nessunocostruirà più nulla, in quel punto.Dicono che sia un posto maledetto.»

«È così?»

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«Può essere. Il Conclave ogni tantopronuncia delle maledizioni comepunizione per chi ha infranto la Legge.Valentine ha infranto la Legge piùimportante di tutte: ha preso le armicontro altri Shadowhunters e li hamassacrati. Lui e il suo gruppo, ilCerchio, uccisero decine di loro simili,oltre a centinaia di Nascosti, durante gliultimi Accordi. Li sorpresero con laguardia abbassata.»

«Perché si era messo contro gli altriCacciatori?»

«Non approvava gli Accordi.Odiava i Nascosti e riteneva cheandassero uccisi in massa per mantenerequesto mondo puro per gli esseri umani.

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Sebbene non siano demoni néinvasori, lui riteneva che avessero unanatura demoniaca, e per lui erasufficiente. Il Conclave non erad’accordo, i suoi membri pensavano chel’aiuto dei Nascosti fosse necessario sevole-vamo cacciare via i demoni unavolta per tutte. E, in effetti, come si fa adire che il Popolo Fatato non appartienea questo mondo dal momento che sitrova qui da prima di noi?»

«Gli Accordi furono firmati?»«Sì, furono firmati. Quando i

Nascosti videro che il Conclave sioppo-neva a Valentine e al suo Cerchioper difenderli, si resero conto che iCacciatori non erano loro nemici.

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Paradossalmente, fu proprio Valentineche, con la sua insurrezione, resepossibili gli Accordi.» Si risedette. «Miscuso per la lezione di storia nonrichiesta. Valentine era questo: unagitatore, un visionario, un uomo digrande fascino e carisma personale. E unassassino.

E ora qualcuno sta evocando il suonome…»

«Ma chi?» chiese Clary. «E cosac’entra mia madre con questa storia?»

Hodge si alzò di nuovo. «Non lo so.Ma farò quello che posso per scoprirlo.Manderò dei messaggi al Conclave eanche ai Fratelli Silenti. Potrebberovoler parlare con te.»

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Clary non chiese chi fossero iFratelli Silenti. Era stanca di faredomande le cui risposte la confondevanoancora di più. Si alzò in piedi. «C’è unaqualche possibilità che io possatornarmene a casa?»

Hodge parve preoccupato. «No,io… direi che non sarebbe prudente.»

«Ci sono delle cose che mi servono,a casa. Anche se resto qui. Vestiti…»

«Ti possiamo dare dei soldi percomprare vestiti nuovi.»

«Ti prego» disse Clary. «Devovedere se… devo vedere cosa èrimasto.»

Hodge esitò, poi le rivolse un brevecenno del capo. «Se Jace è d’accordo,

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potete andare insieme.» Si voltò versola scrivania e si mise a rovistare tra lecarte. Dopo un po’ guardò da sopra laspalla come se si fosse reso conto soloallora che Clary era ancora lì. «Tiaspetta in armeria.»

«Non so dov’è.»Hodge fece un sorriso scaltro. «Ti ci

porterà Church.»Clary guardò in direzione della

porta, dove il gattone persiano se nestava quietamente acciambellato.Quando lei gli giunse vicino, il felino sial-zò, la pelliccia che fremeva come lasuperficie di uno stagno. Con unmiagolio imperioso la condusse lungo ilcorridoio. Quando si voltò, Clary vide

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Hodge intento a scribacchiare su unfoglio. Probabilmente stava preparandoil messaggio per il misterioso Conclave.Non sembravano persone tropposimpatiche, i membri del Conclave,pensò Clary. E si chiese cosa avrebberorisposto.

L’inchiostro rosso sembrava sanguesulla carta bianca. Hodge Starkweathercorrugò la fronte mentre arrotolava lalettera in modo attento e metico-losofino a ottenere una specie di tubetto,dopodiché chiamò Hugo con un fischio.L’uccello gracchiò un poco e gli si posòsul polso. Hodge ebbe un sussulto. Anniprima, durante la Rivolta, era stato feritoalla spalla, e anche un peso lieve come

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quello di Hugo - o un cambio distagione, una varia-zione dell’umidità,un movimento brusco del braccio -risvegliavano vecchie fitte e ricordi disofferenze che avrebbe preferitodimenticare.

Vi erano però alcuni ricordi che nonscolorivano mai. Quando chiudeva gliocchi, dietro le sue palpebreesplodevano e si dissolvevano delleimmagini: sangue e cadaveri, terrasmossa, un podio bianco macchiato dirosso.

Le urla dei morenti. I prati verdi edolci di Idris e il suo infinito cielo blutrafitto dalle torri della Città di Vetro. Ildolore della perdita gli crebbe dentro

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come una marea; Hodge strinse il pugnoe Hugo sbatté le ali e gli beccòrabbiosamente le dita. Hodge aprì lamano insanguinata e liberò l’uccello,che gli girò in cerchiò sopra la testa,uscì dal lucernario e scomparve.

Hodge si scrollò di dosso i bruttipresentimenti e prese un altro fogliosenza notare le gocce rosse chemacchiavano la carta mentre scriveva.

capitolo 6

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I DIMENTICATIL’armeria corrispondeva esattamente

a quello che ci si aspetterebbe da unposto chiamato “l’armeria”. Alle paretidi metallo spazzolato era appesa ognisorta di spada, daga, picca, alabarda,baionetta, frusta, mazza, uncino e arco.Faretre di cuoio piene di freccependevano dai ganci, e c’erano anchepile di stivali, schinieri e protezioni perle braccia e i polsi. La sala odorava dimetallo e cuoio e lucido per acciaio.

Alec e Jace, non più a piedi nudi,sedevano a una lunga tavola al centrodella sala, le teste chine su un oggettoposato davanti a loro. Jace levò losguardo, mentre la porta si chiudeva alle

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spalle di Clary. «Dov’è Hodge?»chiese.«Sta scrivendo ai Fratelli Silenti.»Alec represse un brivido. «Ah.»Clary si avvicinò lentamente al

tavolo, consapevole di avere addosso losguardo di Alec. «Cosa fate?»

«Diamo gli ultimi ritocchi a queste.»Jace si spostò di lato, in modo che leipotesse vedere il piano del tavolo:c’erano tre bacchette sottili d’argentoscintillante. Non sembravano affilate néparticolarmente pericolose. «Sanvi,Sansanvi e Semangelaf. Sono spadeangeliche.»

«Non sembrano spade. Come leavete fatte? Con la magia?»

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Alec assunse un’espressioneindignata, come se Clary gli avessechiesto di indossare un tutù ed eseguireun perfetto en pointe. «La cosa buffa deimondani» disse Jace senza rivolgersi anessuno in particolare «è come sianoossessionati dalla magia, consideratoche non sanno nemmeno cosa vogliadire, questa parola.»

«Io so cosa vuol dire» ribatté Clary.«No, non lo sai. Credi di saperlo. La

magia è una forza oscura ed ele-mentare,non c’entra niente con bacchetteluccicanti, sfere di cristallo e pesci rossiparlanti.»

«Io non ho mai parlato di pesci rossiparlanti.»

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Jace tagliò corto con un movimentodella mano. «Non basta prendereun’anguilla elettrica e dire che è unapaperella di gomma perché diventidavvero una paperella di gomma, tipare? E tanto peggio per chi decide difarsi il bagno con quella paperella.»

«Stai dicendo sciocchezze» disseClary.

«Niente affatto» disse Jace conun’espressione altezzosa.

«E invece sì» ribatté abbastanzainaspettatamente Alec. «Senti, noi nonfacciamo nessuna magia, va bene?»aggiunse senza guardare Clary. «È tuttoquello che ti serve sapere al riguardo.»

Clary avrebbe voluto rispondergli

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per le rime, ma si trattenne. Dalmomento che Alec non aveva una grandesimpatia per lei, non aveva sensopeggiorare la situazione. Si rivolse aJace. «Hodge ha detto che posso andarea casa.»

Jace lasciò quasi cadere la spadaangelica che aveva in mano. «Cosa hadetto?»

«Per dare un’occhiata alle cose dimia madre» aggiunse lei. «Se tu vienicon me.»

«Jace» sospirò Alec, ma Jace loignorò.

«Se vuoi veramente dimostrare chemia mamma o mio papà eranoCacciatori, dovremmo cercare fra le

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cose di mia madre. O almeno tra quelloche è rimasto.»

«Dentro la tana del coniglio» disseJace con un sorriso. «Ottima idea. Separtiamo subito, avremo altre tre oquattro ore di luce.»

«Vuoi che venga con voi?» chieseAlec, mentre Clary e Jace siavvicinavano alla porta. Clary loguardò. Si stava alzando dalla poltrona,lo sguardo pieno d’aspettativa.

«No.» Jace non si voltò. «Va benecosì. Io e Clary ce la possiamo cavareda soli.»

Lo sguardo che Alec lanciò a Claryera corrosivo come un bicchiere diveleno. La ragazza fu ben contenta

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quando la porta si chiuse alle sue spalle.Jace le fece strada lungo il

corridoio. Clary dovette trotterellare pertener dietro alle sue falcate. «Hai lechiavi di casa tua?»

Clary si guardò le scarpe. «Sì.»«Bene. Riusciremmo a entrare

comunque, ma avremmo più probabilitàdi far scattare qualche incantesimodifensivo.»

«Se lo dici tu.» Si fermarono davantia una grata di metallo nero, alla fi-ne delcorridoio. Quando Jace premette unpulsante accanto alla grata Clary si reseconto che era un ascensore, che iniziò asalire scricchiolando e gemendo.«Jace?»

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«Sì?»«Come facevi a sapere che ho del

sangue di Shadowhunters? C’era unmodo per esserne sicuro?»

L’ascensore arrivò con un ultimobrontolio. Jace aprì la grata. L’interno,tutto metallo nero e decorazioni dorate,ricordò a Clary una gabbia per uccelli.«Ci ho provato» ammise lui chiudendosila porta alle spalle. «Mi sembrava laspiegazione più plausibile.»

« Ci hai provato? Dovevi esserneabbastanza sicuro, considerato cheavresti potuto uccidermi.»

Lui premette un pulsante sulla paretee l’ascensore si mise in azione con unsobbalzo e un grugnito vibrante che

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Clary si sentì nelle ossa dei piedi.«Ero sicuro al novanta per cento.»«Capisco» disse Clary.C’era qualcosa di strano nella sua

voce, perché Jace si voltò a guardarla.La mano di Clary lo colpì al volto

con uno schiaffo che lo fece sobbalzare.Lui si portò una mano alla guancia,

più per la sorpresa che per il dolore.«Perché diavolo l’hai fatto?»«Per l’altro dieci per cento» disse

lei, dopodiché trascorsero il resto delladiscesa fino al piano terra senza dire unaparola.

Sul treno per Brooklyn Jace restòchiuso in un silenzio rabbioso. Clary glirimase vicina lo stesso: si sentiva un po’

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in colpa, soprattutto quando guardava ilsegno che il suo schiaffo gli avevalasciato sulla guancia.

Il silenzio non le dispiaceva: le davala possibilità di pensare. Continuava aripercorrere nella propria mente laconversazione con Luke. Le faceva malepensarci, come quando si masticaqualcosa con un dente cariato, ma nonriusciva a smettere di farlo.

Un po’ più in giù, nella stessacarrozza, due ragazzine sedute su unsedile arancione ridacchiavano tra loro.Era il genere di ragazze che a Clary nonera mai piaciuto, alla St. Xavier’s, tutteinfradito di plastica rosa e abbron-zatureartificiali. Clary si chiese per un

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momento se stessero ridendo di lei, poisi rese conto che stavano guardandoJace.

Ripensò alla ragazza del bar, quellache continuava a fissare Simon. Leragazze hanno sempre quell’espressione,quando pensano che un tizio è carino.Con tutto quel che era successo, si eraquasi dimenticata che Jace era davverocarino. Non aveva i tratti delicati dacammeo di Alec, ma il suo viso era piùinteressante. Alla luce del giorno, i suoiocchi avevano il colore dello sciroppod’acero e… la fissavano. Jace sollevòun sopracciglio.

«Posso fare qualcosa per te?»Clary si trasformò immediatamente

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in una traditrice del proprio stessosesso: «Quelle ragazze laggiù ti stannofissando.»

Jace assunse un’espressionevagamente gratificata. «Ma certo»gongolò.

«Sono incredibilmente attraente.»«Non hai mai sentito dire che la

qualità più attraente in una persona è lamodestia?»

«Vale solo per le persone brutte»rispose Jace. «Forse un giorno gli ultimisaranno i primi, ma per ora sono ivanitosi a divertirsi di più.» Strizzòl’occhio alle ragazze, che ridacchiaronoe si nascosero dietro i capelli.

Clary sospirò. «Com’è che ti

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possono vedere?»«Gli incantesimi sono una rottura di

scatole. A volte li lasciamo perdere.»La faccenda delle ragazze sul treno

sembrava averlo messo di umore un po’migliore. Quando uscirono dallastazione e iniziarono a risalire la colli-na che portava verso la casa di Clary,trasse di tasca una spada angelica einiziò a rigirarsela tra le dita,canticchiando tra sé.

«Devi proprio farlo?» chiese Clary.«Mi dà fastidio.»

Jace si mise a canticchiare più forte.Era una specie di via di mezzo tra Tantiauguri a te e una marcetta militare.

«Scusami per lo schiaffo» aggiunse

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poi.Lui smise di canticchiare. «Sei stata

fortunata a fare una cosa del genere conme e non con Alec. Lui avrebbereagito.»

«Direi che non aspetta altro» disseClary tirando un calcio a una lattinavuota. «Che termine ha usato Alec pervoi due? Para-qualcosa…»

« Parabatai» precisò Jace. «È unaparola che indica due guerrieri checombattono in coppia… Siamo più chefratelli. Alec non è soltanto il miomigliore amico. Mio padre e suo padreerano parabatai, da giovani. Suo padreera il mio padrino… è per questo chevivo con loro. Sono la mia famiglia

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adottiva.»«Ma di cognome non ti chiami

Lightwood.»«No» disse Jace, e Clary stava per

chiedergli come si chiamava, ma ormaierano arrivati a casa sua, e il suo cuoreaveva iniziato a battere tanto forte cheera convinta che lo si potesse sentire perun raggio di chilometri.

Le ronzavano le orecchie, e i palmidelle sue mani erano madidi di sudore.

Si fermò davanti alla siepe vicino algarage e sollevò lentamente lo sguardo,aspettandosi di vedere i nastri giallidella polizia che bloccavano la portad’ingresso, vetri rotti sparsi per tutto ilprato, la casa ridotta in macerie.

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Ma non c’era alcun segno didistruzione. Immersa nella lucegradevole del pomeriggio, l’arenariadella casa sembrava brillare. Le apironzavano pigre attorno alle piante dirose, sotto le finestre di MadameDorothea.

«Sembra tutto identico a prima»disse Clary.

«All’esterno.» Jace infilò una manonella tasca dei jeans e tirò fuori uno diquegli aggeggi di metallo e plastica chelei aveva scambiato per un cellulare.

«Cos’è quel coso?»«È un sensore. Rileva le frequenze,

come una radio, solo che queste so-nofrequenze demoniache.»

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«Onde corte infernali?»«Una cosa del genere.» Jace sollevò

il sensore di fronte a sé, mentre siavvicinavano alla casa. Sulle scaleemise un lieve ticchettio, che smisesubito. Jace corrugò la fronte. «Starivelando tracce di attività, ma potrebbeessere una scia delle presenze dell’altranotte. Sono troppo deboli perché cisiano qui dei demoni, in questomomento.»

Clary sospirò e si accorse soloallora di avere trattenuto il fiato. «Bene»

si chinò per recuperare le chiavi.Quando si rialzò, vide i graffi sullaporta d’ingresso. L’ultima voltaprobabilmente non li aveva visti perché

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era troppo buio. Sembravano segni diartigli, lunghi e paralleli, incisi inprofondità nel legno. Sentì il sanguedefluirle dal volto.

Jace le toccò un braccio. «Entroprima io» disse. Clary avrebbe volutodirgli che non aveva bisogno dinascondersi dietro di lui, ma le parolenon le uscirono. Sentiva ancora il saporedel terrore che aveva provato quandoaveva visto il Divoratore, aspro eferroso come quello di una vecchiamoneta.

Jace spinse la porta e invitò Clary aseguirla, facendole un cenno con lamano che stringeva il sensore. Una voltagiunti nell’ingresso, Clary strizzò gli

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occhi per abituarsi alla semioscurità. Lalampadina del soffitto era bruciata, illucernario era chiuso e le ombre siallargavano pesanti sul pavimentosbeccato. La porta di Madame Dorotheaera chiusa. Sotto di essa non siintravedeva alcuna luce. Clary si chiesepreoccupata cosa fosse successo.

Jace sollevò una mano e la fecescorrere lungo la ringhiera della scala.

Quando la ritrasse era bagnata diqualcosa di rosso scuro. «Sangue.»

«Magari è mio.» La voce di Clarysuonava metallica. «Dell’altra sera.»

«A quest’ora sarebbe secco» disseJace. «Vieni.»

Iniziò a risalire le scale con Clary

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alle calcagna. Il pianerottolo era buio ela ragazza dovette trafficare parecchiocon le chiavi prima di riuscire a infilarequella giusta nella serratura. Jace erachino su di lei e la osservavaimpaziente. «Non fiatarmi sul collo»sibilò lei con le mani che tremavano.

E finalmente riuscì a far girare lachiave nella toppa.

Jace la tirò indietro. «Vado primaio.»

Clary esitò, poi si fece da parte e lolasciò passare. Aveva le maniappiccicose, e non era per il caldo. Ineffetti l’appartamento era fresco, quasifreddo: dalla porta d’ingresso uscì unafolata d’aria gelida che le punse la

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pelle. Sentì che le venivano i brividimentre seguiva Jace lungo il brevecorridoio che portava in salotto.

Era vuoto. Totalmente,spaventosamente vuoto, come la primavolta che erano entrati in quella stanza:le pareti erano nude, i mobili eranoscomparsi, e anche le tende erano statestrappate via dalle finestre. Solo deiriquadri di colore più chiaro sulle paretiindicavano i punti in cui stavano appesii quadri di sua madre. Come in un sogno,Clary si voltò verso la cucina. Ja-ce laseguì con gli occhi socchiusi.

Anche la cucina era vuota, eranoscomparsi anche il frigorifero, le sedie,il tavolo. I pensili erano aperti, e gli

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scaffali deserti le ricordavano unafilastrocca di quando era piccola. Sischiarì la gola. «Cosa se ne fanno idemoni del nostro forno a microonde?»chiese.

Jace scosse il capo, la bocca che siripiegava agli angoli. «Non lo so, manon sento presenze demoniache. Direiche se ne sono andati da un pezzo.»

Clary si guardò attorno ancora unavolta. Qualcuno aveva pulito anche lemacchie di tabasco, notò distrattamente.

«Sei soddisfatta?» chiese Jace.«Non c’è niente, qui.»

Lei scosse il capo. «Voglio vedere lamia stanza.»

Lui la guardò come per dirle

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qualcosa, ma ci ripensò. «Se non puoifarne a meno» disse facendosi scivolarein tasca la spada angelica.

La luce in corridoio era saltata, maClary non ne aveva bisogno per o-rientarsi in casa sua. Con Jace allecalcagna trovò la porta della sua camerada letto e allungò una mano verso lamaniglia. Era fredda, tanto fredda da farquasi male, come toccare un ghiaccioloa mani nude. Vide Jace che le scoccavauna rapida occhiata, ma Clary stava giàgirando la maniglia, o almeno ci stavaprovando. Si mosse lentamente, quasicome se fosse incol-lata, come sedall’altra parte fosse avvolta inqualcosa di gelatinoso e sci-ropposo…

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La porta esplose verso l’esterno e lafece schizzare via. Clary volò attraversoil corridoio, andò a sbattere contro laparete e rotolò a terra. Mentre sirimetteva in ginocchio, sentiva nelleorecchie un ronzio sordo.

Jace, appiattito contro il muro, sistava rovistando in tasca, il volto unamaschera di sorpresa. Sopra di luiincombeva un uomo enorme, come ilgigante di una favola. Era largo comeuna quercia e in una mano masto-donticae bianca come quella di un cadaverestringeva una grande ascia. La sua pellegrigiastra era coperta di stracci luridi elaceri e i suoi capelli erano una speciedi groviglio impastato di terra. Puzzava

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di sudore putrido e carne marcia. Claryfu contenta di non poterne vedere ilvolto: la schiena era già più chesufficiente.

Jace aveva in mano la spadaangelica. La sollevò e urlò: «Sansanvi!»

Una lama scattò fuori dallabacchetta. Clary pensò a quei vecchifilm in cui c’erano bastoni da passeggiocon una lama nascosta dentro. Ma nonaveva mai visto una spada del genere,prima d’allora: trasparente come vetro,con l’elsa luccicante, incredibilmenteaffilata, e lunga quasi comel’avambraccio di Jace. Il ragazzo tiròuna sciabolata e colpì il braccio delgigante, che arretrò con un urlo.

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Jace si voltò di scatto e corse versoClary. La prese per un braccio, lasollevò in piedi e la spinse davanti a sélungo il corridoio. Clary sentiva quellacosa che li inseguiva: i suoi passisembravano prodotti da blocchi dipiombo gettati sul pavimento, ma eranoanche veloci.

Schizzarono nell’ingresso e poi sulpianerottolo. Jace si voltò a chiudere laporta. Clary sentì il clic della serraturaautomatica e tirò un sospiro di sollievo.La porta tremò sui cardini quando uncolpo tremendo la investì da dentrol’appartamento. Clary arretrò verso lescale. Jace la guardò. Aveva gli occhiilluminati da un’esaltazione folle.

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«Scendi di sotto! Esci da…»Un altro colpo, più forte del primo.

Questa volta i cardini cedettero e laporta volò via: avrebbe colpito Jace sequesti non si fosse mosso tantovelocemente che Clary riuscì amalapena a vederlo. All’improvviso erasulle scale, la spada che gli ardeva inmano come una stella caduta. Clary sirese conto di essersi rannicchiata in unangolo del pianerottolo, incapace dimuoversi. Vide Jace che la guardava e leurlava qualcosa, ma non riuscì a sentirloper il ruggito della creatura gigantescache era schizzata fuori dalla portasfondata e si dirigeva dritta verso di lui.La ragazza si appiattì contro la parete

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mentre la creatura le passava davantilasciandosi dietro un’ondata di calore efetore… e la sua ascia stava volando,sibilando sopra di lei e fendendo l’aria,per colpire la testa di Jace. Lui siabbassò e l’arma andò a conficcarsinella ringhiera.

Jace rise. Quella risata parve farinfuriare la creatura, che abbandonòl’ascia e si lanciò verso di lui con glienormi pugni sollevati. Jace fece ruotarela spada angelica, compiendo un arcoperfetto e affondando la lama finoall’elsa nella spalla del gigante. Per unistante la creatura restò ferma,barcollando leggermente. Poi si tuffò inavanti, le mani tese e pronte ad afferrare

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l’avversario. Jace si spostò di latovelocemente, ma non abbastanza:l’enorme mano lo afferrò, mentre ilgigante cadeva a terra, trascinandolo consé. Jace lanciò un urlo, poi vi fu unaserie di colpi sordi, e infine… ilsilenzio.

Clary si rialzò in piedi e corse versoil piano di sotto. Jace era disteso aipiedi delle scale, il braccio piegatosotto di sé in una posizione innaturale.

Il gigante era caduto sopra le suegambe, con l’elsa della spada di Jaceche gli usciva dalla schiena. Non eramorto, ma si muoveva appena, e dallasua bocca usciva una schiumasanguinolenta. Ora Clary poteva vederlo

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in faccia: il suo volto era bianchissimo,simile a carta, attraversato da unaragnatela nera di cicatrici orribili che nenascondevano quasi completamente itratti. Le sue orbite erano pozzi rossi esuppuranti. Lottando contro i conati divomito, Clary scese le scale, passòsopra il gigante che si contorceva e siinginocchiò accanto a Jace.

Era immobile. Gli appoggiò unamano sulla spalla e sentì che aveva lacamicia intrisa di sangue. Era suo o delgigante? «Jace?»

Il ragazzo aprì gli occhi. «È morto?»«Quasi» disse Clary tetra.«Diavolo.» Fece una smorfia. «Le

mie gambe…»

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«Stai fermo.» Clary girò attorno allasua testa, gli mise le mani sotto lebraccia e tirò. Jace grugnì per il doloree le sue gambe scivolarono da sotto lacarcassa tremante della creatura. Clarylo lasciò andare e lui si rimise fa-ticosamente in piedi, il braccio stretto alpetto. Clary si alzò. «Come va ilbraccio?»

«Rotto» tagliò corto lui. «Mi puoiinfilare una mano in tasca?»

Clary esitò un po’ e poi annuì.«Quale?»

«Quella interna della giacca. Adestra. Prendi una spada angelica edammela.» Restò immobile, mentre leigli infilava nervosamente le dita nella

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tasca. Era così vicina che riusciva asentire il suo odore: sapeva di sudore,di sapone e di ragazzo. Il suo alito lefaceva il solletico alla nuca.

Le dita di Clary si chiusero su unabacchetta. La tirò fuori senza guardarlo.

«Grazie» disse Jace. Sfioròlievemente la bacchetta con le ditaprima di evocarla: «Sanvi!» Comeprima, la bacchetta si trasformò in unaspada dall’aria estremamentepericolosa, il cui bagliore illuminò ilvolto di Jace.

«Non guardare» disse luiavvicinandosi al corpo pieno dicicatrici. Sollevò la lama sopra la testae la abbassò di scatto. Il sangue

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zampillò dalla gola del gigante e schizzòsugli stivali di Jace. Clary restò afissare a bocca spa-lancata, senzariuscire a distogliere lo sguardo.

Si aspettava quasi che il gigantesvanisse, accartocciandosi su se stessocome il ragazzo del Pandemonium. Manon accadde. L’aria era saturadell’odore del sangue, pesante e ferroso.Jace emise un suono basso dalla gola.Era pallido, ma Clary non avrebbesaputo dire se era per il dolore o per ildisgusto. «Ti avevo detto di nonguardare» disse.

«Credevo che sarebbe scomparso»disse lei. «Avevi detto che… tornava-noalla loro dimensione.»

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«Ho detto che è quello che succedequando muore un demone.» Con unasmorfia si scosse dalle spalle la giacca,lasciando scoperta la parte superiore delbraccio sinistro. «Ma questo non era undemone.» Con la mano destra estrassequalcosa dalla cintura. Era il cilindrettolucido che aveva usato per incidere icerchi concentrici sulla pelle di Clary.Guardandolo, la ragazza si sentìbruciare l’avambraccio.

Jace vide che lo stava fissando e siprodusse nel fantasma di un sorriso.

«Questo» disse «è uno stilo.» Loavvicinò a un marchio che aveva appenasotto la spalla, una strana forma simile auna stella. Due punte della stella erano

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più lunghe delle altre, e non eranocollegate. «E questo» proseguì Jace «èquello che succede quando unCacciatore si ferisce.»

Con la punta dello stilo tracciò unalinea che collegava i due bracci dellastella e chiuse la runa. Quando abbassòla mano, il marchio scintillava co-mefosse inciso con inchiostrofosforescente. Mentre Clary loosservava, affondò nella pelle come unoggetto pesante nell’acqua. Si lasciòdietro un memento spettrale: unacicatrice pallida e sottile, quasiinvisibile.

Un’immagine sorse nella mente diClary. La schiena di sua madre, nei punti

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lasciati scoperti dal costume da bagno:le scapole e la curva della spinadorsale, cosparse di piccoli segnibianchi. Era come qualcosa visto insogno… Ora la schiena di sua madrenon aveva quell’aspetto, lo sapeva.

Ma quell’immagine continuò atormentarla.

Jace sospirò, e la tensione deldolore lasciò il suo volto. Mosse ilbraccio, prima lentamente e poi piùtranquillamente. Lo sollevò e loriabbassò, strinse il pugno.Evidentemente non era più rotto.

«È fantastico!» esclamò Clary.«Come…?»

«Era un iratze. Una runa guaritrice»

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spiegò Jace. «Finendo la runa con lostilo, la si attiva.» Si infilò lo stilo nellacintura e si rimise la giacca.

Con la punta dello stivale pungolò ilcadavere del gigante. «Dovremo farerapporto a Hodge» disse. «Che andràfuori di testa» aggiunse come sequell’idea lo riempisse disoddisfazione. Jace, pensò Clary, era ilgenere di persona a cui piaceva chesuccedesse qualcosa, anche se quelqualcosa era poco piacevole.

«Perché andrà fuori di testa?» chieseClary. «Ma se quel coso non è undemone… è per questo che il sensorenon lo ha rilevato, giusto?»

Jace annuì. «Vedi le cicatrici che ha

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in faccia?»«Sì.»«Sono state fatte con uno stilo. Come

questo» aggiunse sfiorando il cilindrettoappuntito che portava alla cintura.«Volevi sapere cosa succede quando faiun marchio a qualcuno che non ha sanguedi Cacciatori. Un marchio solo ti brucia.Ma se te ne fanno molti, e anche potenti,e se li in-cidono nella pelle di un essereumano qualsiasi, che non ha neppure unagoccia di sangue di Shadowhunters,ecco, il risultato è questo.» Indicò ilcadavere con il mento. «Le rune sonoterribilmente dolorose. I marchiatiimpazziscono, il dolore li fa uscire disenno. Diventano assassini feroci e folli.

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Non dormono e non mangiano di propriainiziativa e di solito muoiono presto. Lerune hanno un grande potere e possonoessere usate per fare il bene… ma ancheper fare il male. I Dimenticati sono dallaparte del ma-le.»

Clary lo guardò sconvolta. «Maperché qualcuno si farebbe una cosa delgenere?»

«Non sono loro a farsela. Viene fattacontro la loro volontà. Da uno stregone,magari, o da un qualche Nascostodegenerato. I Dimenticati re-stano fedelia colui che li ha marchiati, e sonoassassini spietati. Obbedi-scono asemplici comandi. È come avere… unesercito di schiavi.» Passò sopra la testa

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del Dimenticato e si voltò a guardareClary. «Io torno di sopra.»

«Ma non c’è niente.»«Potrebbero esserci altri

Dimenticati» disse lui, quasi come sesperasse che ci fossero. «È meglio chetu aspetti qui.» Si avviò su per le scale.

«Se fossi in te, non lo farei» disseuna voce stridula e familiare. «Ce nesono altri, nel posto da cui è venutoquesto qui.»

Jace, che era quasi giunto in cimaalle scale, si voltò di scatto. Clary fecealtrettanto, anche se aveva già capito chiaveva parlato. Quel timbro rauco erainconfondibile.

«Madame Dorothea?» sussurrò.

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La vecchia inclinò regalmente ilcapo. Era in piedi sulla soglia del suoappartamento, con indosso quella chesembrava una tenda di seta grezza viola.Catenelle d’oro le luccicavano ai polsi eintorno al collo. I lunghi capelli da tassole sfuggivano dalla crocchia che portavain cima alla testa.

Jace la stava ancora fissando.«Ma…»

«Altri cosa?» disse Clary.«Altri Dimenticati» rispose

Dorothea con una baldanza che a Clarynon sembrò affatto adatta allecircostanze. La vecchia guardò in giroper l’ingresso. «Avete fatto un bel caos,eh? E di sicuro non avete neanche

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pensato a dare una ripulita. Tipico.»«Ma lei è una mondana» finalmente

Jace parlò.«Che spirito d’osservazione!»

commentò Dorothea con gli occhi cheluccicavano. «Il Conclave ha fattoproprio un bel lavoro, con te.»

Lo stupore stava svanendo dal voltodi Jace, sostituito da una rabbia cre-scente. «Lei sa del Conclave?» chiese.«Lei sapeva di loro e sapeva chec’erano dei Dimenticati in questa casa enon ha avvisato il Conclave? Anche lasola esistenza di un Dimenticato è uncrimine contro l’Alleanza…»

«Né il Conclave né l’Alleanza hannomai fatto qualcosa per me» replicò

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Madame Dorothea con gli occhi chelampeggiavano di rabbia. «Io non glidevo un bel niente.» Per un istante il suopietroso accento newyorkesescomparve, sostituito da qualcos’altro,un accento più profondo, che Clary nonriconobbe.

«Jace, smettila» disse Clary. Sirivolse a Madame Dorothea. «Se sa delConclave e dei Dimenticati» disse«forse lei sa anche cosa è successo amia madre?»

Dorothea scosse il capo, facendoondeggiare gli orecchini. Sul suo voltocomparve qualcosa di simile allacompassione. «Il consiglio che ti do»disse «è di dimenticare tua madre. È

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andata.»Il pavimento sembrò vacillare sotto i

piedi di Clary. «Vuole dire che èmorta?»

«No.» Dorothea pronunciò quellaparola quasi con riluttanza. «Sono sicurache è ancora viva. Per ora.»

«Allora la devo trovare» disseClary. Il mondo aveva smesso divacillare; Jace era in piedi alle suespalle, una mano sul suo gomito, comeper abbracciarla, ma lei se ne accorseappena. «Ha capito? Devo trovarlaprima che…»

Madame Dorothea sollevò unamano. «Non voglio aver niente a chevedere con gli affari dei Cacciatori.»

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Clary insistette. «Ma lei conoscevamia madre. Era la sua vicina…»

«Questa è un’indagine ufficiale delConclave» la interruppe Jace. «Possosempre tornare coi Fratelli Silenti.»

«Oh, per il…» Le labbra diDorothea si contrassero in una smorfia.

Guardò la porta, poi Jace e Clary.«Direi che a questo punto potreste ancheentrare» concluse. «Vi dirò quello cheposso.» Si avviò verso la porta, ma sifermò sulla soglia. «Se riferirai aqualcuno che ti ho aiutato, Cacciatore,domani ti sveglierai con dei serpenti alposto dei capelli e con un paio dibraccia in più.»

«Non sarebbero male due braccia in

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più» rispose Jace. «Potrebbero tornareutili in combattimento.»

«Ma non se ti escono dal…»Dorothea fece una pausa e sorrise alragazzo, non senza una certa malizia.«… collo.»

«Accidenti» disse Jace.«Puoi ben dirlo, Jace Wayland»

disse Dorothea. Dopodiché entrò in casaa passo di marcia, con la tenda viola chele svolazzava attorno come una bandieraal vento.

Clary guardò Jace. «Wayland?»«È il mio cognome.» Jace sembrava

scosso. «E non posso dire che mi facciapiacere che lei lo sappia.»

Clary diede un’occhiata

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all’appartamento di Dorothea. Le lucierano accese e un forte odore di incensostava già invadendo l’ingresso,mescolan-dosi in modo tutt’altro chepiacevole al fetore di sangue. «Credoche dovremmo comunque provare aparlare con lei. Cosa abbiamo daperdere?»

«Quando avrai passato un po’ più ditempo nel nostro mondo» disse Jace

«non mi farai più domande delgenere.»

capitolo 7LÀ PORTA

PENTADIMENSIONALEL’appartamento di Madame

Dorothea aveva più o meno la stessa

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struttura di quello di Clary, anche se ladonna aveva fatto un uso molto diversodegli spazi. L’ingresso era un trionfo diincensi, tende di perline e posterastrologici. Uno riproduceva lecostellazioni dello zodiaco, un altro unaguida ai simboli magici cinesi, un terzomostrava una mano con le dita al-largatee ogni linea del palmo accuratamenteetichettata. Sopra la mano c’era lascritta IN MANIBUS FORTUNA.Scaffali stretti carichi di libri impilaticorrevano lungo la parete accanto allaporta.

Una delle tende di perline tintinnò ene spuntò la testa di Madame Dorothea.«Ti interessa la chiromanzia o sei solo

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una ficcanaso?» chiese notan-do losguardo di Clary.

«Nessuno dei due» disse Clary. «Leisa davvero predire il futuro?»

«Mia madre aveva un grande talento.Poteva vedere il futuro di un uomo sullasua mano o sulle foglie di tè sul fondo diuna tazza. Mi ha insegnato qualchetrucchetto.» Spostò lo sguardo su Jace.«E a proposito di tè, gio-vanotto, nevuoi un po’?»

«Cosa?» chiese Jace conun’espressione confusa.

«Un tè. Trovo che sia utile a calmarelo stomaco e concentrare la mente.

Magnifica bevanda, il tè.»«Io lo berrei, un tè» disse Clary,

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rendendosi conto di quanto tempo erapassato dall’ultima volta che avevamangiato o bevuto qualcosa. Si sentivacome se dal momento in cui si erasvegliata stesse andando avanti solograzie all’adrenalina.

Jace cedette. «Va bene. Basta chenon sia Earl Grey» aggiunse arric-ciando il naso sottile. «Odio ilbergamotto.»

Madame Dorothea ridacchiò escomparve al di là della tenda diperline, che ondeggiò delicatamente allesue spalle.

Clary guardò Jace sollevando unsopracciglio. «Tu odi il bergamotto?»

Jace si era avvicinato alla libreria e

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ne stava esaminando il contenuto.«Ti crea qualche problema?»«Probabilmente tu sei l’unico

ragazzo della mia età che io abbia maiincontrato a sapere cos’è il bergamotto,per non parlare del fatto che sta dentrol’Earl Grey.»

«Sì, be’» disse Jace con uno sguardosdegnoso. «Io non sono come tutti glialtri. E poi» aggiunse prendendo unlibro dallo scaffale «all’Istitutoseguiamo lezioni sull’erboristeria dibase e sull’uso medicinale delle piante.È

obbligatorio.»«Credevo che tutte le vostre lezioni

fossero roba del tipo Elementi di

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Sterminio o Decapitazione Comparata.»Jace voltò una pagina. «Molto

divertente, Fray.»Clary, che stava studiando il poster

di chiromanzia, si voltò di scatto versodi lui. «Non chiamarmi così.»

Lui sollevò lo sguardo sorpreso.«Perché no? È il tuo cognome, no?»

L’immagine di Simon le si manifestònella mente. L’ultima volta che l’avevavisto, la stava guardando scappare fuoridal Java Jones. Tornò a voltarsi verso ilposter socchiudendo gli occhi. «Perchéno.»

«Capisco» disse Jace, e dal suo tonodi voce Clary seppe che capivaveramente, capiva più di quanto lei

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avrebbe voluto. Lo sentì rimettere aposto il libro sullo scaffale. «Questadeve essere la roba che tiene qui perimpres-sionare i mondani creduloni»osservò con un tono disgustato. «Nonc’è un libro serio che sia uno, qui.»

«Solo perché non riguarda il tipo dimagia che fai tu…» iniziò Clary piccata.

Lui la zittì con uno scatto di rabbia.« Io non faccio nessuna magia» disse.«Ficcatelo in testa: gli esseri umani nonfanno magie. È parte di ciò che ci rendeumani. Le streghe e gli stregoni possonousare la magia solo perché hanno sanguedemoniaco.»

Clary impiegò un momento aelaborare queste informazioni. «Ma io ti

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ho visto usare la magia. Usi armiincantate…»

«Io uso strumenti magici» precisòJace con aria competente. «E anche perfare questo devo seguire unaddestramento molto rigoroso. E hoanche le rune tatuate sulla pelle perproteggermi. Se tu provassi a usare unadelle spade angeliche, per esempio,probabilmente ti brucerebbe la pelle, eforse ti ucciderebbe.»

«E se avessi i tatuaggi?» chieseClary. «Potrei usarle?»

«No» disse Jace bruscamente. «Imarchi sono solo una parte. Ci sono leprove, le ordalie, i livelli diaddestramento… Guarda, scordatelo

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proprio, va bene? Sta’ alla larga dallemie spade. Anzi, non toccare nessunadelle mie armi senza il mio permesso.»

«Uffa, ecco che se ne va a monte ilmio piano per venderle tutte su e-Bay»borbottò Clary.

«Venderle dove?»Clary gli fece un sorriso innocente.

«Un luogo mitico con un grande poteremagico.»

Jace parve confuso, poi scrollò lespalle. «La maggior parte dei miti èvera, almeno in parte.»

«Sto iniziando a farmene un’idea.»La tenda di perline tintinnò di nuovo

e ricomparve la testa di MadameDorothea. «Il tè è servito» annunciò. «E

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non statevene lì impalati, venite nelsalone dei ricevimenti.»

«In questa casa c’è un salone deiricevimenti?» chiese Clary.

«Ma certo» disse Dorothea. «Doveintratterrei gli ospiti, altrimenti?»

«Lascerò il cilindro almaggiordomo» disse Jace.

Madame Dorothea gli scoccòun’occhiataccia. «Se fossi divertente lametà di quello che credi, ragazzo mio,saresti il doppio più divertente di quelloche sei.» E scomparve di nuovo dietrola tenda con un’esclamazione didisappunto che fu quasi soffocata dalfruscio delle perline.

Jace aggrottò la fronte. «Non sono

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del tutto sicuro di cosa intendesse di-re.»

«Io invece non potrei essere piùd’accordo» disse Clary. Dopodichéattraversò di slancio la tenda di perline,prima che il ragazzo potesse rispondere.

Il salone dei ricevimenti era cosìpoco illuminato che gli occhi di Clary cimisero un po’ ad abituarsi. Una lucefioca orlava le tende di velluto nero checoprivano completamente la parete disinistra. Uccelli e pipistrelli im-pagliati,con perline scure e luccicanti al postodegli occhi, pendevano dal soffittoattaccati a fili sottili. Il pavimento eracoperto di tappeti persiani sfilacciati dacui si sollevavano nuvolette di polvere.

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Una serie di paffute poltrone rosa eradisposta attorno a un tavolino occupatoda un mazzo di tarocchi legato da unnastro rosa e da una sfera di cristallo suun piedestal-lo dorato. Al centro deltavolino era posato un servizio da tèd’argento: un bel vassoio di tramezzini,una teiera blu da cui usciva un filosottile di vapore e due tazze sistemateaccuratamente sui loro piattini di frontea due poltrone.

«Cavoli» disse Clary sottovoce.«Che bello!» Si accomodò su una dellepoltrone. Era proprio piacevole sedersi.

Dorothea sorrise, gli occhi illuminatida un lampo di divertita astuzia.

«Ecco il vostro tè» disse mentre

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sollevava la teiera. «Latte? Zucchero?»Clary guardò di sottecchi Jace, che

si era seduto accanto a lei e stavaesaminando da vicino il vassoio deitramezzini.

«Zucchero» disse la ragazza.Jace scrollò le spalle e prese un

tramezzino dal vassoio. Clary lo osservòdubbiosa mentre dava un morso alsandwich. Jace scrollò di nuovo lespalle. «Cetriolo» disse in risposta allosguardo della ragazza.

«Io sono dell’idea che i tramezzinial cetriolo siano perfetti con il tè, nontrovate?» chiese Madame Dorothea.

«Io odio i cetrioli» disse Jacementre passava il resto del tramezzino a

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Clary. Lei lo assaggiò: era condito conla quantità perfetta di pepe e maio-nese.Il suo stomaco rumoreggiò, grato delprimo cibo che gli arrivava do-po ilburrito che aveva mangiato con Simon.

«Cetrioli e bergamotto» disse Clary.«C’è qualcos’altro che odi di cui dovreiessere a conoscenza?»

Jace guardò Dorothea da sopra ilbordo della sua tazza di tè. «I bugiardi.»

La vecchia mise giù la teiera senzascomporsi. «Puoi darmi della bugiarda,se vuoi. È vero, non sono una strega. Mamia madre lo era.»

A Jace andò di traverso il tè. «Èimpossibile.»

«Perché sarebbe impossibile?»

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chiese Clary incuriosita. Prese un sorsodi tè. Era amaro e aveva un forteretrogusto torboso.

Jace sospirò. «Perché le streghesono mezze umane e mezze demoni.

Tutte le streghe e gli stregoni sonomezzosangue. Ed essendo mezzosangue,non possono avere figli. Sono sterili.»

«Come i muli» disse Clarysoprappensiero, ricordando qualcosache aveva studiato in biologia. «I mulisono incroci sterili.»

«La tua conoscenza del mondoanimale è stupefacente» ironizzò Jace.

«Tutti i Nascosti sono in partedemoni, ma solo streghe e stregoni sonofigli di demoni. È per questo che i loro

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poteri sono i più forti.»«I vampiri e i lupi mannari… sono

anche loro in parte demoni? E anche lefate?»

«I vampiri e i lupi mannari sono ilfrutto di malattie che i demoni hannoportato dalle loro dimensioni. Lamaggior parte delle malattie demoniacheè mortale per gli umani, ma in alcunicasi portano degli strani cambiamentinelle persone infettate, senza ucciderle.E le fate…»

«Le fate sono angeli caduti»intervenne Dorothea. «Esiliati dalparadiso per il loro orgoglio.»

«Questo è quello che dice laleggenda» commentò Jace. «Si dice

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anche che siano il frutto dell’unione didemoni e angeli, cosa che mi è sempresembrata più probabile. Il bene e il maleche si mescolano. Le fate sono bellecome teoricamente dovrebbero esseregli angeli, ma in loro c’è anche moltamalizia e crudeltà. E la maggior parte diloro evita la luce del giorno…»

«Perché il diavolo non ha alcunpotere» disse Dorothea sottovoce, comese recitasse una vecchia filastrocca «senon nelle tenebre.»

Jace le lanciò un’occhiataccia. Clarydisse: «Teoricamente? Vuoi dire che gliangeli non…»

«Basta con gli angeli» tagliò cortoDorothea assumendo improvvisamente

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un tono molto più pratico. «È vero chele streghe non possono avere figli. Miamadre mi adottò perché voleva che cifosse qualcuno che, dopo la sua morte,badasse a questo posto. Io non hobisogno di usare la magia: devo solofare la guardia.»

«Fare la guardia a cosa?» chieseClary.

«Già, a cosa?» La vecchia strizzò unocchio e fece per prendere untramezzino dal vassoio, ma si accorseche era vuoto. Clary aveva mangiatotutto. Dorothea ridacchiò. «Fa piacerevedere una signorina che ci dà dentrocol cibo. Ai miei tempi le ragazze eranocreature robuste e ben piantate, non

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degli scheletri ambulanti come al giornod’oggi.»

«Grazie» disse Clary. Pensò allebraccia snelle e alla vita sottile diIsabelle e si sentì improvvisamenteenorme. Mise giù la tazzina del tèfacendola tintinnare.

Madame Dorothea si chinòimmediatamente sulla tazza e vi guardòdentro con grande attenzione. Tra lesopracciglia disegnate a matita lecomparve una ruga.

«Cosa c’è?» domandò Clarynervosa. «Ho rotto la tazza?»

«Sta leggendo le tue foglie di tè»disse Jace. Aveva assunto un tonoannoiato, ma si chinò lo stesso in avanti

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insieme a Clary, mentre Dorotheaaggrottava la fronte e rigirava la tazzinatra le dita grassocce.

«Brutte notizie?» chiese Clary.«Né brutte né belle. È tutto confuso.»

Dorothea guardò Jace. «Dammi la tuatazza» ordinò.

Jace sembrò offeso. «Ma non hoancora finito il…»

La vecchia gli strappò di mano latazza e gettò il tè avanzato nella teiera.

Sollevò le sopracciglia e guardò ilfondo della tazza. «Nel tuo futuro vedoviolenza, vedo molto sangue versato date e da altri. Ti innamorerai dellapersona sbagliata. E hai un nemico.»

«Uno solo? È una buona notizia.»

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Jace si rilassò sulla sedia, mentreDorothea metteva giù la sua tazza eriprendeva quella di Clary. Scosse ilcapo.

«Qui non c’è niente che io possaleggere. Le immagini sono confuse,prive di senso.» Alzò gli occhi versoClary. «Hai un blocco mentale?»

«Un cosa?» rispose Clary perplessa.«Una specie di incantesimo per

tenere nascosto un ricordo, o perbloccare la tua Vista.»

Clary scosse il capo. «No. Certo cheno.»

Jace si chinò in avanti,improvvisamente all’erta. «Non essereprecipito-sa» disse. «In effetti Clary

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dice che non ricorda nemmeno di avereavuto la Vista, prima di questasettimana. Forse…»

«Forse ho soltanto uno svilupporitardato» sbottò Clary. «E non farequella faccia, sai cosa voglio dire!»

Jace assunse un’espressione ferita.«Non stavo facendo nessuna faccia.»

«E invece sì.»«Forse» ammise Jace. «Ma questo

non vuol dire che io abbia torto. C’èqualcosa che blocca i tuoi ricordi, nesono quasi sicuro.»

«Va bene, allora proviamoqualcos’altro.» Dorothea mise giù latazza e prese i tarocchi. Aprì le carte aventaglio e le porse a Clary. «Fai

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passare la mano sopra queste cartefinché non ne tocchi una che ti sembracalda o fredda o che resti attaccata alledita. Poi prendila e fammela vedere.»

Clary obbedì. Fece scorrere le ditasopra le carte. Erano fresche e lisce, manessuna le parve particolarmente calda ofredda e nessuna le restò attaccata. Allafine ne scelse una a caso e la tirò fuoridal mazzo.

«L’asso di coppe» disse Dorothea.Sembrava stupita. «La cartadell’amore.»

Clary la voltò per guardarla. Erapesante: l’immagine era dipinta con vericolori a tempera. Mostrava una manoche reggeva una coppa di fronte a un

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sole radioso dipinto in oro. Anche lacoppa era d’oro, con dei piccoli soliincisi sopra, ed era tempestata di rubini.Lo stile del dipinto era familiare a Claryquanto il suo respiro. «È una buonacarta, giusto?»

«Non necessariamente. Le cosepeggiori gli uomini le fanno proprio innome dell’amore» disse MadameDorothea con gli occhi chescintillavano.

«Però è una carta potente. Cosasignifica per te?»

«Che l’ha dipinta mia madre» disseClary lasciando cadere la carta sultavolo. «È stata lei, vero?»

Dorothea annuì e le comparve in

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volto un’espressione compiaciuta. «Hadipinto tutto il mazzo. Un regalo per me.Un gesto gentile, da parte sua.»

«Questo è quello che dice lei.» Jacesi alzò in piedi, gli occhi gelidi.

«Quanto conosceva la madre diClary?»

Clary sollevò il capo per guardarlo.«Jace, non devi…»

Dorothea si accomodò meglio sullasedia, le carte aperte a ventaglio davantial petto imponente. «Jocelyn sapevacos’ero io e io sapevo cos’era lei.

Non ne parlavamo molto. A volte mifaceva dei favori, ad esempio dipin-germi questo mazzo di carte, e io incambio le raccontavo qualche pettego-

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lezzo sul Mondo Invisibile. Mi avevachiesto di tenere le orecchie aperteriguardo un certo nome, e io lo facevo.»

L’espressione di Jace eraimperscrutabile. «Quale nome?»

«Valentine.»Clary si drizzò sulla sedia. Jace

sembrava imperturbabile. «E quando di-ce di sapere cos’era Jocelyn, cosa vuoldire? Cos’era?»

«Jocelyn era quello che era» disseDorothea. «Ma in passato era come te,una Cacciatrice. Un membro delConclave.»

«No» sussurrò Clary.Dorothea le rivolse uno sguardo

triste, quasi gentile. «È così. È venuta a

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vivere in questa casa proprio perché…»«Perché questo è un Rifugio» la

interruppe Jace. «È così, vero? Suamadre era una Guardiana, vero? Hacreato questo spazio protetto… il postoideale in cui rifugiarti se sei unNascosto in fuga. È questo che fa,nasconde qui dei criminali, giusto?»

«Siete voi a chiamarli così» disseDorothea. «Ti ricordi il mottodell’Alleanza?»

« Dura lex sed lex» risposeautomaticamente Jace. «La Legge è dura,ma è la Legge.»

«Certe volte la Legge è troppo dura.Io so che il Conclave mi avrebbe portatovia da mia madre, se avesse potuto. Vuoi

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che permetta loro di fare la stessa cosa aqualcun altro?»

«Quindi lei è una benefattrice.» Jacearriccio le labbra. «E magari si aspettache io creda che i Nascosti non lapaghino profumatamente per ilprivilegio di usare il suo Rifugio.»

Dorothea esibì un sorriso tanto largoda lasciar intravedere l’oro dei suoimolari. «Non possiamo vivere tutti disola bellezza, come te.»

Jace non sembrò colpito dalcomplimento. «Dovrei dire di lei alConclave…»

«Non puoi!» Clary scattò in piedi.«Hai promesso.»

«Io non ho promesso niente.» Jace

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assunse un’aria ribelle. Si avvicinò almuro e scostò bruscamente una delletende di velluto. «Mi vuol dire cos’èquesta?» chiese.

«È una porta, Jace» disse Clary. E ineffetti era proprio una porta, stranamenteposta nella parete fra le due finestre abovindo. Evidentemente non portava danessuna parte, perché altrimenti sarebbestata visibile dall’esterno della casa.Sembrava fatta di un qualche metallolucido, più morbido dell’ottone mapesante come il ferro. La maniglia era aforma di occhio.

«Zitta» Jace era furente. «È unPortale, vero?»

«È una Porta Pentadimensionale»

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disse Dorothea, rimettendo il mazzo deitarocchi sul tavolo. «Le variedimensioni non sono fatte solo di lineerette» aggiunse in risposta allo sguardointerrogativo di Clary. «Ci sonoavvallamenti e pieghe e angoli e fessuredappertutto. È un po’ difficile daspiegare, se non hai mai studiato TeoriaDimensionale, ma in sostanza questaporta ti può portare ovunque tu voglia.È…»

«Un’uscita di sicurezza» disse Jace.«È per questo che tua madre ha decisodi vivere qui. Poteva sempre scappareall’ultimo momento.»

«Ma allora perché non…» Clary siinterruppe in preda all’orrore. «Per me»

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disse. «Non voleva andarsene senza dime, quella sera. Così è rimasta.»

Jace scosse il capo. «Non puoiprenderti la colpa…»

Gli occhi di Clary si riempirono dilacrime. La ragazza superò Jace e siavvicinò alla porta. «Voglio vederedove sarebbe andata» disse allungandouna mano verso la porta. «Voglio vederedove sarebbe fuggita…»

«Clary no!» Jace cercò di prenderla,ma le dita di Clary si erano già chiuseattorno alla maniglia. Il pomello giròrapidamente sotto la sua mano e la portasi spalancò come se l’avesse spinta.Dorothea si alzò in piedi con un urlo, maera troppo tardi. Prima ancora che

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potesse terminare la frase, Clary siritrovò sbalzata in avanti, nello spaziovuoto.

capitolo 8L’ARMA PREFERITAEra troppo sbalordita per urlare. La

cosa peggiore era la sensazione dicadere: il cuore le volò in gola e lostomaco le si trasformò in acqua.Allungò le mani nel tentativo diafferrarsi a qualcosa, qualsiasi cosapotesse rallentare la sua caduta.

Strinse le mani su dei rami. Le fogliesi strapparono sotto la sua presa.

Cadde pesantemente a terra su unfianco e sulle spalle. Rotolò su sestessa.

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Respirava ancora. Stava per mettersia sedere, quando qualcuno le atterròsopra.

La forza dell’impatto la fece cadereall’indietro. Una fronte andò a sbatterecontro la sua, le sue ginocchia cozzaronocontro quelle di qualcun altro.

In un intrico di braccia e gambe,Clary sputacchiò una ciocca di capelli(non suoi) e cercò di liberarsi del pesoche sembrava stesse per spiaccicarlacome un cartone animato.

«Ahi» le disse Jace all’orecchio contono indignato. «Mi hai tirato unagomitata.»

«Be’, tu mi sei atterrato sopra.»Jace si sollevò sulle braccia e la

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guardò tranquillamente. Clary vide ilcielo blu sopra la testa del ragazzo, unpezzo di ramo e l’angolo di una casa dilegno grigia. «Be’, non mi hai lasciatomolta scelta, ti pare?» chiese lui.

«Non dopo che hai deciso di saltareallegramente dentro un Portale come sestessi prendendo al volo lametropolitana. Sei fortunata che non ciabbia portati in una qualche dimensionedemoniaca con un’atmosfera a base dicianuro.»

«Non eri obbligato a seguirmi.»«Sì, invece» disse lui. «Sei troppo

inesperta per cavartela da sola in unasituazione ostile.»

«Che carino! Può essere che ti

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perdoni.»«Perdonarmi? Per cosa?»«Per avermi detto di stare zitta.»Jace serrò gli occhi. «Io non ho…

be’, sì, l’ho fatto, però tu stavi…»«Lascia perdere.» Il braccio di

Clary, incastrato sotto la schiena, stavainiziando a farle male. Rotolò di lato perliberarlo e vide l’erba marrone di unprato morto, una staccionata di catenelledi ferro e un altro pezzo della casa dilegno grigia, che ora le risultòdolorosamente familiare.

Si bloccò. «So dove siamo.»Jace smise di farfugliare. «Cosa?»«Questa è la casa di Luke.» Si mise

a sedere, facendo scivolare Jace di lato.

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Il ragazzo si alzò con un movimentoaggraziato e le porse una mano.

Clary la ignorò e si sollevòscrollando il braccio informicolato.

Erano di fronte alla casetta grigia,annidata tra altre abitazioni che co-stellavano il fronte del porto diWilliamsburg. Una brezza decisasoffiava dall’East River, facendoondeggiare l’insegna appesa sopral’ingresso.

Clary guardò Jace leggere ad altavoce queste parole: Garroway Books.

Belli, usati, nuovi e fuori catalogo.Chiuso il sabato. Il ragazzo guardò laporta buia, la maniglia chiusa da unpesante lucchetto. La posta di alcuni

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giorni era posata sullo zerbino, intonsa.Jace guardò Clary. «Vive in unalibreria?»

«Vive nel retro del negozio.» Clarysi guardò attorno nella strada deserta: daun lato c’era un’arcata del WilliamsburgBridge, dall’altra uno zuc-cherificioabbandonato. Al di là del fiume, che simuoveva lentissimo, il sole stavatramontando dietro i grattacieli dellaparte sud di Manhattan, profilandolid’oro. «Jace, come siamo arrivati qui?»

«Grazie al Portale» disse Jacementre esaminava il lucchetto. «Ti portain qualsiasi posto tu stia pensando.»

«Ma io non stavo pensando a questoposto» obiettò Clary. «Non stavo

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pensando a nessun posto.»«Non può essere.» Jace lasciò

cadere l’argomento, che sembrava nonin-teressargli. «Dunque, visto che siamoqui…»

«Sì?»«Cosa vuoi fare?»«Andarmene, direi» disse Clary

amareggiata. «Luke mi ha detto di nonvenire qui.»

Jace scosse il capo. «E tu lo accettie basta?»

Clary strinse le spalle. Nonostante iltepore della giornata che volgeva altermine, aveva freddo. «Ho lapossibilità di scegliere?»

«Abbiamo sempre la possibilità di

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scegliere» disse Jace. «Se fossi in te,avrei parecchie curiosità su Luke, almomento. Hai le chiavi di casa?»

Clary scosse il capo. «No, ma avolte lascia aperta la porta sul retro.»Indicò un vicoletto tra la casa di Luke equella accanto. C’erano dei bidoni dellaspazzatura sistemati in perfetto ordineaccanto a pile di giornali ripie-gati ebottiglie vuote. Almeno Luke era ancoraun buon cittadino rispetta-bile.

Jace scese le scale due gradini allavolta e atterrò accanto a lei con un lievescricchiolio di ghiaia. «Sei sicura chenon sia a casa?»

Clary guardò il marciapiede deserto.«Be’, il suo furgone non c’è, il negozio è

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chiuso e le luci sono spente… direiproprio di sì.»

«Allora fai strada.»Il vicoletto tra le due case terminava

davanti a un’alta recinzione di retemetallica che circondava il giardino diLuke, dove le sole piante che se lapassavano bene erano le erbacce cheerano spuntate tra le lastre di porfido ele avevano riempite di crepe. La basedella recinzione era coperta di cespuglidall’aria selvatica. Il cancelletto erachiuso con una catena.

«Scavalchiamo» disse Jace infilandola punta del piede in un buco della rete.Iniziò ad arrampicarsi. La rete facevacosì rumore che Clary si guardò in giro

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nervosa, ma non c’erano luci accesenelle case dei vicini. Jace raggiunse lacima della rete e saltò giù dall’altrolato, atterrando nei cespugli conl’accompagnamento di un orribileguaito.

Per un istante Clary pensò che fosseatterrato su un gatto randagio. Sentì Jaceurlare dalla sorpresa mentre cadevasulla schiena. Un’ombra scura ai suoipiedi schizzò fuori dai rovi e sfrecciòattraverso il cortile, tenendosi rasoterra.Jace balzò in piedi e partìall’inseguimento dell’ombra conun’espressione tutt’altro cherassicurante.

Clary iniziò ad arrampicarsi. Mentre

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faceva passare la gamba sopra lastaccionata, i jeans di Isabelle siimpigliarono in un filo della retemetallica e il fianco dei pantaloni sistrappò. Clary saltò a terra con le scarpeda ginnastica che scalpicciarono sullaterra morbida, proprio nell’istante in cuiJace lanciava un urlo di trionfo.«Preso!» Clary si voltò e lo vide sedutosopra l’intruso steso a terra con lebraccia sollevate sopra la testa. Jace glistringeva un polso. «Forza, fattiguardare in faccia.»

«Mollami subito, cretinopresuntuoso» ringhiò l’intruso dando unospin-tone a Jace. Riuscì a mettersi asedere, gli occhiali mezzi rotti di

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traverso sul naso.Clary restò di sasso. « Simon? »«Oddio» disse Jace con un’aria

rassegnata. «E io che speravo di averecatturato qualcuno di interessante.»

«Ma cosa ci facevi nascosto nelgiardino di Luke?» chiese Clarytogliendo delle foglie secche dai capellidi Simon. Il ragazzo sopportavacontrovoglia le sue attenzioni. Quandolei si era immaginata il suo incontro conSimon, alla fine di tutta quella storia, luiaveva un umore decisamente migliore.«È questa la parte che proprio noncapisco.»

«Va bene, adesso basta Fray, me lisistemo da solo, i capelli» disse Simon

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allontanandosi di scatto dalla sua mano.Erano seduti sui gradini del portichettoposteriore. Jace era seduto sullabalaustra e stava fingendo con grandeimpegno di ignorarli limandosi le unghiecon lo stilo. Clary si chiese se ilConclave avrebbe approvato.

«Voglio dire, Luke lo sapeva che erilì?» chiese lei.

«Certo che no» disse Simon stizzito.«Non gliel’ho chiesto, ma sono certo cheabbia delle politiche abbastanzarestrittive sulla gente nascosta ingiardino.»

«Tu non sei gente, ti conosce.»Avrebbe voluto allungare una mano eaccarezzargli una guancia, che

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sanguinava ancora un po’ nel punto incui un ramo l’aveva graffiato. «Ma lacosa più importante è che tu stia bene.»

«Che io stia bene?» Simon scoppiò aridere, ma non c’era niente di allegronella sua risata. «Clary, hai la più vagaidea di quello che ho passato in questiultimi due giorni? L’ultima volta che tiho vista stavi correndo via come unapazza dal Java Jones e poi sei…scomparsa. Non rispondevi alcellulare… poi il tuo numero di casarisultava scollegato… poi Luke mi hadetto che eri andata a stare da alcuniparenti nell’interno, quando io soperfettamente che non hai nessunparente. Pensavo di aver fatto qualcosa

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che ti aveva fatto incavolare…»«Ma cosa potevi aver fatto?» Clary

fece per prendergli una mano, ma lui laritrasse senza guardarla.

«Non lo so» disse lui. «Qualcosa.»Jace, ancora occupato con lo stilo,

ridacchiò sotto i baffi.«Tu sei il mio migliore amico» disse

Clary. «Non ero arrabbiata con te.»«Sì, be’, però evidentemente non ti

sei preoccupata di chiamarmi e dirmiche ti stavi dando da fare con un fighettobiondo tinto che probabilmente haiincontrato al Pandemonium» risposeacido Simon. «Mentre io ho passato tregiorni a chiedermi se non fossi morta. »

«Non mi stavo dando da fare con

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nessuno» disse Clary, contenta che ilbuio nascondesse il rossore che le eraspuntato in volto.

«E io sono biondo naturale» precisòJace. «Tanto per la cronaca.»

«E allora cosa hai fatto in questi tregiorni?» chiese Simon con uno sguardosospettoso. «Hai veramente una proziache si chiama Matilda e ha preso unvirus africano e aveva bisogno diassistenza?»

«Luke ti ha detto veramente una cosadel genere?»

«No, ha detto solo che tu e tuamamma eravate andate a trovare unaparente ammalata e che probabilmente iltuo cellulare in campagna non prendeva.

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Naturalmente io non gli ho creduto.Dopo che mi ha cacciato via, ho fatto ilgiro della casa e ho guardato dallefinestre del retro. Ho visto chepreparava una borsa di stoffa verde,come se dovesse andare via per ilweekend. È stato a quel punto che hodeciso di restare da queste parti e teneregli occhi aperti.»

«Perché? Perché stava preparandouna borsa?»

«La stava riempiendo di armi» disseSimon mentre si puliva il sangue dallaguancia con la manica della maglietta.«Coltelli, un paio di pugnali, anche unaspada. La cosa strana è che alcune diquelle armi erano lumino-se.» Guardò

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Clary, poi Jace e poi di nuovo Clary. Iltono della sua voce era affilato comeuno dei coltelli di Luke. «E adesso midirai che mi sono immaginato tutto,vero?»

«No» fece Clary. «Non ti dirò nientedel genere.» Guardò Jace. Le ultime lucidel tramonto accendevano scintilledorate nei suoi occhi. «Ho intenzione diraccontargli la verità» gli disse.

«Lo so.»«Cercherai di fermarmi?»Jace guardò lo stilo che aveva in

mano. «Io sono vincolato dal giuramentoall’Alleanza» disse lui. «Tu no.»

Clary si voltò verso Simon e preseun respiro profondo. «Va bene»

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cominciò. «Ecco quello che devisapere.»

Il sole era scomparso all’orizzonte eil portichetto era al buio, quando Clarysmise di parlare. Simon aveva ascoltatoil suo lungo racconto con un’espressionequasi impassibile e aveva fatto solo unapiccola smorfia quando era arrivata allaparte del Divoratore. Lei passò oltresenza troppi dettagli, non troppo ansiosadi rivivere quella notte. Quando ebbefinito di parlare, si schiarì la gola:all’improvviso moriva dalla voglia dibere un bicchiere d’acqua. «Allora»disse. «Domande?»

Simon alzò la mano. «Oh, certo. Eanche parecchie.»

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Clary sospirò. «Ok, spara.»Simon indicò Jace. «Quindi lui è

un… come hai detto che si chiamanoquelli come lui?»

«È un Cacciatore» disse Clary.«Un cacciatore di demoni» aggiunse

Jace con la sua solita impazienza.«Uccido i demoni. Non è così

complicato, no?»Simon tornò a guardare Clary. «È

tutto vero?» Aveva gli occhi semichiusi,come se si aspettasse che lei gli dicesseche era tutta una bugia e che in realtàJace era uno psicopatico pericolososcappato dal manicomio con cui leiaveva deciso di fare amicizia a scopiumanitari.

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«È tutto vero.»Lo sguardo di Simon era

concentratissimo. «Ed esistono anche ivampiri? I lupi mannari, gli stregoni etutta quella roba?»

Clary si mordicchiò il labbroinferiore. «Così mi dicono.»

«E voi uccidete anche loro?» chieseSimon a Jace, che si era rimesso in tascalo stilo e stava cercando qualche difettonelle sue unghie impeccabili.

«Solo quando fanno i monelli.»Per un istante Simon se ne restò

seduto a fissarsi i piedi. Clary si chiesese non avesse sbagliato a gettargliaddosso tutto quel fardello diinformazioni. Fra tutti quelli che

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conosceva Simon era quello con lamentalità più pratica: avrebbe potutoodiare il fatto di venire a sapere unacosa del genere, per la quale nonesistevano spiegazioni logiche. Si chinòin avanti, ansiosa, mentre Simonsollevava il capo. «Che figata!» disselui.

Jace parve stupito quanto Clary. «Che figata? »

Simon annuì con tanto entusiasmoche i riccioli scuri gli saltellarono sullafronte. «Ma certo! È come Dungeons andDragons, però vero!»

Jace guardò Simon come se fosse unesemplare di una qualche bizzarraspecie di insetti. «È come cosa?»

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«È un gioco di ruolo» spiegò Clary.Si sentiva vagamente imbarazzata.

«Un gioco dove si fa finta di esserestregoni o elfi e si ammazzano i mostri eroba del genere.»

Jace era sbalordito.Simon sorrise. «Non hai mai sentito

parlare di Dungeons and Dragons?»«Be’, ho sentito parlare dei draghi.

Ma sono quasi completamente estin-ti.»Simon sembrò deluso. «Non hai mai

ucciso un drago?»«Probabilmente non ha neanche mai

incontrato un elfo femmina alta un metroe ottanta con un bikini di pelliccia»disse Clary infastidita. «Piantala,Simon.»

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«I veri elfi sono alti una ventina dicentimetri» precisò Jace. «E mordo-no.»

«Ma i vampiri sono fighi, vero?»insisté Simon. «Voglio dire, le vampiresono sexy, o no?»

Clary temette per un istante che Jacepotesse saltare addosso a Simon eprenderlo a botte. Invece sembròpensare un po’ alla sua domanda.«Qualcuna forse sì.»

«Che figata!» ripeté Simon. Clarydecise che li preferiva quando litiga-vano.

Jace scese dalla balaustra. «Allora,vogliamo perquisire la casa?»

Simon scattò in piedi. «Pronto! Cosastiamo cercando?»

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«Stiamo?» disse Jace. «Non ricordodi averti invitato.»

« Jace» sbottò Clary.L’angolo sinistro della bocca del

ragazzo si sollevò leggermente. «Stavoscherzando.» Si fece da parte perlasciarle via libera. «Diamoci da fare.»

Clary cercò la maniglia a tentoni, albuio. La porta si aprì facendo accenderela luce del portichetto, che illuminòl’ingresso. La porta che dava sullalibreria era chiusa. Clary provò lamaniglia. «È chiusa a chiave.»

«Con il vostro permesso, mondani»disse Jace spostando delicatamenteClary. Prese lo stilo e lo avvicinò allaporta. Simon lo guardò con un certo

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risentimento. Clary pensò che nonsarebbero bastate delle vampire sexyper far sì che Jace gli piacesse.

«È un bel tipo, eh?» borbottò Simon.«Come fai a sopportarlo?»

«Mi ha salvato la vita.»Simon la guardò. «Come…»La porta si aprì con un clic. « Et

voilà» disse Jace mentre si infilava lostilo in tasca. Il marchio sulla porta,appena più in alto della testa di Jace,scomparve mentre gli passavano sotto.La porta dava su un ripostiglio con lepareti scrostate. C’erano scatoloniimpilati dappertutto, con su scritto apennarello ciò che contenevano:NARRATIVA, POESIA, CUCINA,

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STORIA LOCALE, STORIED’AMORE.

«L’appartamento è da questa parte.»Clary si diresse verso la porta cheaveva indicato, all’estremità oppostadella stanza.

Jace la afferrò per un braccio.«Aspetta.»

Lei gli rivolse uno sguardo nervoso.«Qualcosa che non va?»

«Non lo so.» Jace si avvicinòlentamente a due pile di scatoloni e feceun fischio. «Clary, è meglio che tu vengaa vedere una cosa.»

Lei si guardò attorno. L’unica luceera quella del portico che entrava dallafinestra. «È buio…»

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Si accese una luce che riempì lastanza di un bagliore brillante. Simon sivoltò sbattendo gli occhi. «Cavoli!»

Jace ridacchiò. Era in piedi su unoscatolone sigillato, la mano sollevata.

Nel suo palmo brillava qualcosa e laluce filtrava attraverso le dita chiuse acoppa. «Stregaluce» spiegò.

Simon borbottò qualcosa. Clary sifece strada attraverso gli scatoloni peravvicinarsi a Jace. Il ragazzo era dietrouna pila malferma di romanzi gialli e lastregaluce gli inondava il volto di unbagliore inquietante. «Guarda qui» disseindicando un punto più in alto sullaparete. All’inizio Clary pensò che siriferisse a quella che sembrava una

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coppia di candelabri orna-mentali.Quando i suoi occhi si abituarono albagliore, si rese conto che si trattava dicerchi di metallo attaccati a cortecatene, le cui estremità affondavanonella parete. «Sono…»

«Ceppi» disse Simon mentre siavvicinava tra gli scatoloni. «È roba dagiochetti sadomaso…»

«Zitto.» Clary gli lanciòun’occhiataccia. «È di Luke che stiamoparlando.»

Jace fece scorrere una mano lungol’interno di uno dei cerchi di metallo.

«Niente giochetti» disse. «Questo èsangue. E guardate qui.» Indicò la pareteattorno al punto in cui erano attaccate le

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catene: l’intonaco era rigon-fio.«Qualcuno ha provato a strappare questecose dal muro. E ci ha dato dentro,direi.»

Il cuore di Clary iniziò a martellarleil petto. «Pensi che Luke stia be-ne?»

Jace abbassò la stregaluce. «Pensoche faremmo bene a cercare discoprirlo.»

La porta dell’appartamento non erachiusa a chiave e conduceva al salotto diLuke. Nonostante le centinaia di libriche c’erano in negozio, anchel’appartamento ne era pieno. Gli scaffaliarrivavano fino al soffitto, con i volumiparcheggiati in doppia fila. Si trattavaperlopiù di libri di poesia e narrativa,

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tra cui parecchi romanzi fantasy e gialli.Clary ricordò di avere letto tutte leinfinite La saga di Prydain in quellastanza, acciambellata davanti allafinestra mentre il sole calava sull’EastRiver.

«Credo non sia lontano» disseSimon dalla porta del cucinino di Luke.

«La macchinetta del caffè è accesa.»Clary guardò nella cucina. C’erano

dei piatti impilati nel lavandino. Legiacche di Luke erano appese in ordinedentro l’armadio a muro. Avanzò nelcorridoio e aprì la porta della piccolacamera da letto. Sembrava identica acome era sempre stata, il letto sfatto conla sua coperta grigia e i cuscini bassi, il

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ripiano della scrivania coperto dimonetine. Clary si voltò.

Una parte di lei era stata sicura,assolutamente sicura, che entrandoavrebbero trovato l’appartamentodistrutto e Luke legato, o ferito, o peggioancora. Ora non sapeva cosa pensare.

Attraversò l’anticamera e si diresseverso la stanza degli ospiti dove avevadormito tante volte quando sua madreera fuori città per lavoro. In quelleoccasioni restavano alzati fino a tardi aguardare vecchi film dell’orrore sullatremolante televisione in bianco e nerodi Luke. Clary in quella stanza tenevapersino uno zaino pieno di abiti diricambio per non dover portare avanti e

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indietro da casa le sue cose.Si inginocchiò e tirò fuori lo zaino

da sotto il letto afferrandolo per lamaniglia verde oliva. Era coperto dispille, che le aveva regalato perlopiùSimon: DAMIGELLA OTAKU,ANCORA UN LIVELLO E POI SMET-TO… All’interno c’erano degli abitipiegati, un po’ di biancheria, uno spaz-zolino da denti e anche un flacone dishampoo. Grazie a Dio, pensò Clarymentre chiudeva la porta della camerada letto con un calcio. Si cambiòvelocemente: si strappò via i vestiti diIsabelle - troppo grandi e ora anchemacchiati di erba e sudati - e infilò unpaio dei suoi pantaloni di velluto

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consunti e ormai sottili come cartavelina e una canottiera blu con unascritta a caratteri cinesi. Gettò i vestitidi Isabelle nello zaino, lo chiuse e uscìdalla stanza con quel peso familiare chele rimbalzava sulle scapole.

Era bello avere di nuovo qualcosa disuo.

Trovò Jace nello studio tappezzatodi libri di Luke. Stava esaminando unaborsa di stoffa verde aperta sullascrivania. Come aveva detto Simon, erapiena di armi: coltelli coi loro foderi,una frusta arrotolata e una cosa cheassomigliava a un disco di metalloaffilato come un rasoio.

«È un chakram» disse Jace

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toccandolo con circospezione. «Un’armadei Sikh. Te lo fai girare intornoall’indice e poi lo lanci. Sono rari edifficili da usare. Strano che Luke neavesse uno» aggiunse, sollevando losguardo mentre Clary entrava nellastanza. «Era l’arma preferita di Hodge,ai suoi tempi. O almeno così mi hadetto.»

«Luke è un collezionista. Oggettid’arte e cose del genere» disse Claryindicando lo scaffale dietro la scrivaniasu cui erano allineati degli idoli indianie russi, compresa la sua preferita, unastatuetta della dea indiana delladistruzione, Kali, che brandiva unaspada e una testa mozzata mentre

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danzava con il capo reclinatoall’indietro e gli occhi semichiusi.Accanto alla scrivania c’era un anticoparavento cinese di palissandrointagliato.

«Cose belle.»Jace spostò il chakram con una certa

cautela. Una manciata di vestiti u-scìdalla borsa di Luke come se ce li avesseinfilati solo all’ultimo momento. «Credoche questa sia tua.»

Tirò fuori un oggetto rettangolarenascosto tra i vestiti: era una foto conuna cornice di legno e una lunga crepaverticale. La crepa disegnava unaragnatela di rughe sui volti sorridenti diClary, Luke e Jocelyn. «Certo che è

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mia!» disse Clary prendendogli di manola fotografia.

«È rotta» osservò Jace.«Lo so. Sono stata io… quando l’ho

tirata al Divoratore.» Guardò Jace, evide che gli si stava affacciando un’ideaalla mente. «Questo vuol dire che Luke èandato all’appartamento dopo l’attacco.Forse oggi…»

«Deve essere stato lui l’ultimo apassare dal Portale» disse Jace. «È perquesto che ci ha portati qui. Tu non stavipensando a niente, così il Portale ci haspedito nell’ultimo posto in cui era statolui.»

«Dorothea avrebbe anche potutodircelo» disse Clary furente.

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«Probabilmente l’ha pagata per starezitta. Oppure lei si fida di lui più che dinoi. Il che vuol dire che lui potrebbe nonessere…»

«Ragazzi!» Era Simon, che entrònello studio in preda al panico. «Gentein arrivo.»

Clary lasciò cadere la foto. «ÈLuke?»

Simon guardò verso il corridoio eannuì. «Sì. Ma non è solo… ci sono dueuomini con lui.»

«Uomini?» Jace attraversò la stanzaa grandi falcate, guardò al di là dellaporta e sputò un’imprecazione.«Stregoni.»

Clary lo fissò a bocca aperta.

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«Stregoni? Ma…»Jace scosse il capo e si allontanò

dalla porta. «C’è un’altra uscita? Unaporta sul retro?»

Ora toccò a Clary scuotere il capo.Il rumore di passi nell’ingresso lescatenò delle fitte di terrore nel petto.«No, c’è solo la porta da cui siamoentrati.»

Jace si guardò intornodisperatamente. I suoi occhi sifermarono sul paravento di palissandro.«Andate là dietro» disse. « Subito. »

Clary ripose la fotografia crepatasulla scrivania e si infilò dietro ilparavento, tirandosi dietro Simon. Jaceli seguì con lo stilo in mano. Aveva

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appena fatto in tempo a nascondersi,quando si sentì la porta aprirsi e ilrumore di qualcuno che entrava nellostudio di Luke. E poi delle voci,perfettamente udibili. Tre uomini. Claryguardò nervosamente Simon, che erapallidissimo, e poi Jace, che avevasollevato lo stilo e lo muovevalentamente disegnando una specie diquadrato sul retro del paravento. Sottogli occhi di Clary il riquadro divennetrasparente come una lastra di vetro.

Sentì Simon emettere un fischioappena percepibile. Jace scosse il capo.

« Loro non ci possono vedere, manoi possiamo vedere loro» mosse lelabbra senza emettere alcun suono.

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Mordendosi nervosamente le labbra,Clary si avvicinò al bordo del riquadroe guardò, sentendosi il respiro di Simonsulla nuca. Vedeva perfettamente lastanza: gli scaffali di libri, la scrivaniacon la borsa di stoffa verde… e Luke, inpiedi accanto alla porta, con un’ariastravolta e un po’

curvo, gli occhiali spinti sopra latesta. Era strano, anche se sapeva chenon poteva vederla. La finestra creata daJace era come i vetri delle salette dainterrogatorio in una centrale di polizia:a senso unico.

Luke si voltò e guardò fuori dallaporta. «Prego, date pure un’occhiata ingiro» disse con un tono carico di

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sarcasmo. «È gentile da parte vostramostrare tanto interesse.»

Una risatina giunse dall’angolo dellostudio. Con un movimento impazientedel polso, Jace toccò il bordo della“finestra”, che si aprì un po’ di più,mostrando una parte più ampia dellastanza. C’erano due uomini con Luke,entrambi con lunghi mantelli rossastridai cappucci abbassati. Uno era magro,con degli eleganti baffi grigi da dandy euna barba a punta.

Quando sorrideva, mostrava denti diun bianco accecante. L’altro era grande egrosso, massiccio come un lottatore, concapelli rossi a spazzola. La sua pelle eraviola scuro e appariva lucida sugli

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zigomi, come se fosse stata tirata troppo.«Sono stregoni?» sussurrò Clary.Jace non rispose. Era diventato

rigido come una sbarra di ferro. Hapaura che cercherò di parlare conLuke, pensò Clary. Avrebbe volutorassicu-rarlo. C’era qualcosa in queidue uomini, nei loro pesanti mantelli delcolore del sangue venoso, che facevaterribilmente paura.

«Considerala una visita amichevole,Graymark» disse l’uomo coi baffi grigi.Il suo sorriso mise in mostra denti tantoappuntiti che sembravano essere statilimati.

«In te non c’è niente di amichevole,Pangborn.» Luke si sedette sul bordo

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della scrivania, in modo che gli uomininon vedessero la borsa di stoffa e il suocontenuto. Ora che era più vicino, Claryvide che aveva il volto e le mani pienidi lividi e le dita escoriate einsanguinate. Un lungo taglio sul colloscompariva sotto la camicia. Cosadiavolo gli è successo?

«Blackwell, non toccarla… ha unvalore inestimabile» disse Luke secco.

Il colosso dai capelli rossi, cheaveva afferrato la statua della dea Kali,la accarezzò con le sue grosse dita.«Carina.»

«Ah» disse Pangborn prendendo lastatuetta al suo compagno. «Colei che fucreata per combattere un demone che

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non poteva essere ucciso né dagli dei nédagli uomini. Oh, Kali, madre miabeata! Incantatrice dell’onnipotenteShiva! Nella tua delirante gioia tudanzi battendo le mani.

Tu sei il Motore di tutto ciò che simuove, e noi non siamo che i tuoiindifesi balocchi. »

«Interessante» disse Luke. «Nonsapevo che fossi uno studioso di mitiindiani.»

«Tutti i miti sono veri» recitòPangborn, e Clary sentì un piccolobrivido risalirle la schiena. «O te lo seidimenticato?»

«Io non dimentico nulla» disse Luke.Per quanto sembrasse rilassato, Clary

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vedeva la tensione nella postura dellesue spalle e della sua bocca.

«Immagino vi abbia mandatiValentine?»

«Sì» disse Pangborn. «Ha pensatoche magari avevi cambiato idea.»

«Non c’è niente su cui potreicambiare idea. Vi ho già detto che nonso nulla. A proposito: complimenti per imantelli.»

«Grazie» disse Blackwell con unghigno astuto. «Li abbiamo presi a unpaio di stregoni morti.»

«Sono i mantelli ufficiali degliAccordi, vero?» chiese Luke. «Sono deitempi della Rivolta?»

Pangborn ridacchiò. «Bottino di

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guerra.» Poi accarezzò l’orlo delmantello. «Ti ricordi la Rivolta,Lucian?» sussurrò. «Quello sì che fu ungiorno grandioso e terribile. Ti ricordiquando ci addestrammo insieme per labattaglia?»

Luke fece una smorfia. «Il passato èpassato. Non so cosa dirvi, signori.

Non posso aiutarvi. Non so nulla.»« Nulla è una parola così generica,

così vaga» disse Pangborn conun’espressione melanconica. «Unapersona che possiede così tanti librideve sapere almeno qualcosa. »

«Se volete sapere dove trovare unusignolo a primavera, potrei consi-gliarvi il manuale che fa per voi. Ma se

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volete sapere dov’è scomparsa la CoppaMortale…»

« Scomparsa potrebbe non essere laparola giusta» mormorò mellifluoPangborn. «Sarebbe meglio direnascosta. Nascosta da Jocelyn, per laprecisione.»

«Può essere. Quindi non vi haancora detto dove si trova?»

«Non ha ancora ripreso conoscenza»disse Pangborn graffiando l’aria con unamano dalle lunghe dita. «Valentine èdeluso. Desiderava tanto rivederla…»

«Sono certo che la cosa non eraaffatto reciproca» mormorò Luke.

Pangborn ridacchiò. «Geloso,Graymark? Forse non provi più per lei

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quello che provavi un tempo…»Le dita di Clary iniziarono a tremare

così forte che dovette intrecciare le maniper farle stare ferme. Jocelyn? Non erapossibile che stessero parlando di suamadre!

«Non ho mai provato nulla diparticolare per lei» disse Luke. «DueCacciatori esiliati dai loro simili, era unmotivo sufficiente per stare vicini. Manon interferirò nei piani di Valentine perlei, se è questo che lo preoccupa.»

«Non direi che sia preoccupato»disse Pangborn. «Più che altro curioso.

Ci chiedevamo tutti se eri ancoravivo. Se eri ancora umano.»

Luke sollevò un sopracciglio.

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«E…?»«Sembri abbastanza in forma»

ammise Pangborn con una certariluttanza. Rimise la statuetta di Kalisullo scaffale. «C’è anche una figlia,vero?»

Luke parve colto di sorpresa.«Cosa?»

«Non fare il finto tonto» ringhiòBlackwell. «Sappiamo che quella put-tana ha avuto una figlia. Hanno trovatodelle foto nell’appartamento…»

«Pensavo che voleste sapere se ioavevo una figlia» lo interruppetranquillamente Luke. «Sì, Jocelyn haavuto una figlia. Clarissa. Immagino siascappata. Valentine vi ha mandati a

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cercarla?»«No» disse Pangborn. «Ma ha

incaricato qualcun altro.»«Potremmo perquisire questo posto»

aggiunse Blackwell.«Non ve lo consiglio» disse Luke

mentre scendeva dalla scrivania. Nelsuo sguardo c’era una sorta di freddaminaccia, anche se la sua espressionenon era cambiata. «Cosa vi fa pensareche sia ancora viva? Pensavo cheValentine avesse mandato un Divoratorea controllare la casa. Con una buonadose del suo veleno, la maggior partedei mondani finirebbe in cenere senzalasciare traccia.»

«Un Divoratore è morto» gli riferì

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Pangborn. «La cosa ha insospettitoValentine.»

«Tutto insospettisce Valentine» disseLuke. «Lo avrà ucciso Jocelyn. Di certone sarebbe stata in grado.»

«Può essere» grugnì Blackwell.Luke scrollò le spalle. «Senti, io non

ho idea di dove sia la ragazza, ma perquello che vale credo che sia morta. Incaso contrario, a questo punto si sarebbegià fatta sentire. E comunque non è ungran pericolo. Ha quindici anni, non hamai sentito parlare di Valentine e noncrede ai demoni.»

Pangborn ridacchiò. «Ragazzafortunata.»

«Non più» disse Luke.

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Blackwell sollevò un sopracciglio.«Sembri arrabbiato, Lucian.»

«Non sono arrabbiato, sonoesasperato. Non ho intenzione diinterferire nei piani di Valentine, lovolete capire? Non sono un idiota.»

«Davvero?» disse Blackwell. «Mifa piacere vedere che nel corso deglianni hai sviluppato un salutare rispettoper la tua pelle, Lucian. Non sei semprestato così pragmatico.»

«Lo sai, vero» disse Pangborn intono amichevole «che siamo disposti ascambiare Jocelyn con la Coppa?Consegna garantita a domicilio. Hai laparola di Valentine.»

«Lo so» disse Luke. «Ma non mi

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interessa. Non so dove sia la vostrapreziosa Coppa e non voglio avere a chefare con i vostri intrighi politici.

Odio Valentine» aggiunse «però lorispetto. Ho sempre saputo che un giornosarebbe tornato e che volendo potrebbespazzare via qualsiasi avversario. Nonho intenzione di trovarmi in mezzo,quando succederà. È un mostro… unamacchina assassina.»

«Senti chi parla» ringhiò Blackwell.«Suppongo che questi siano i tuoi

preparativi per levarti di torno» dissePangborn puntando un lungo dito sullaborsa di stoffa seminascosta sullascrivania. «Lasci la città, Lucian?»

Luke annuì lentamente. «Vado in

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campagna. Preferisco tenere un profilobasso, per un po’.»

«Potremmo fermarti» lo minacciòBlackwell. «Costringerti a restare.»

Luke sorrise e il suo volto sitrasformò. All’improvviso non era più ilsecchione attempato e gentile che avevaspinto Clary sull’altalena del parco e leaveva insegnato ad andare in triciclo.Ora c’era qualcosa di ferino nei suoiocchi, qualcosa di malvagio e freddo.«Provateci.»

Pangborn diede un’occhiata aBlackwell, che scosse il capo una volta,lentamente. Pangborn tornò a voltarsiverso Luke. «Avvisaci, se ti tornaall’improvviso la memoria.»

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Luke stava ancora sorridendo.«Sarete i primi che chiamerò.»

Pangborn annuì lentamente.«Togliamo il disturbo. Che l’Angelo tipro-tegga, Lucian.»

«L’Angelo non protegge quelli comeme» disse Luke. Prese la borsa di stoffadalla scrivania e diede un colpetto conle nocche al ripiano di legno.

«Vogliamo andare, signori?»I due sollevarono i cappucci a

coprire i loro volti e uscirono dallastanza.

Luke si fermò un istante sulla soglia,si guardò attorno come se avessel’impressione di aver dimenticatoqualcosa, poi uscì e si chiuse la porta

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alle spalle.Clary restò dov’era, immobile, ad

ascoltare la porta d’ingresso che sichiudeva e poi un tintinnio lontano dichiavi e della catenella, mentre Lukechiudeva il lucchetto. Continuava arivedere l’espressione del volto di Lukequando diceva di non essere interessatoa ciò che sarebbe successo a sua madre.

Sentì una mano sulla spalla.«Clary?» Era Simon, la voce esitante,gentile. «Stai bene?»

La ragazza scosse il capo senzaparlare. Si sentiva tutt’altro che bene,anzi, si sentiva come se non dovesse maipiù star bene.

«Non va affatto bene.» Era Jace, la

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voce tagliente e fredda come unascheggia di ghiaccio. Afferrò ilparavento e lo spostò con un colposecco.

«Almeno adesso sappiamo chi hamandato un demone a cercare tua madre.

Quegli uomini pensano che lei abbiala Coppa Mortale.»

Clary sentì che le labbra le siserravano in una linea sottile. «Ma èassolutamente ridicolo. E impossibile.»

«Forse» disse Jace appoggiandosialla scrivania di Luke. «Intanto peròdobbiamo uscire di qui prima che torniLucian e ci consegni agli uomini diValentine. Ammesso che lo sianoveramente.»

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«Luke non lo farebbe mai» disseClary cercando di trattenere le lacrime.

«Non lo farebbe mai. Forse è troppovigliacco per aiutare mia madre, forsesta scappando via, ma non direbbe loroche sono ancora viva. Finora mi hasempre protetto.»

Jace la fissava con occhi opachicome vetri affumicati. «Avevi mai vistoquei due uomini prima?»

«No.» Clary scosse il capo. «Mai.»«Lucian sembrava conoscerli.

Sembravano amici.»«Non direi proprio amici» disse

Simon. «Direi che stavano tenendo afreno la loro ostilità.»

«Però non l’hanno ucciso» ribatté

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Jace. «Quindi pensano che sappia più diquanto dice.»

«Forse» disse Clary. «O forse non sela sentono di uccidere un altroCacciatore.»

Jace scoppiò a ridere, producendoun suono aspro e quasi malevolo chefece rizzare i peli delle braccia di Clary.«Ne dubito.»

Lei lo fissò. «Come fai a essere cosìsicuro? Li conosci?»

Quando Jace rispose, nella sua vocenon c’era più traccia di quella risata.

«Se li conosco?» le fece eco. «Puoidirlo forte. Sono gli uomini che hannoucciso mio padre.»

capitolo 9

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IL CIRCOLOClary fece un passo avanti per

toccare il braccio di Jace, dire qualcosa,qualsiasi cosa… Ma cosa si può dire aqualcuno che ha appena vistol’assassino di suo padre? L’esitazionedella ragazza non cambiò le cose. Jacesi scostò da lei come se il tocco dellesue mani potesse bruciarlo. «Ce nedobbiamo andare» decise uscendo apasso di marcia dallo studio per entrarein salotto. Clary e Simon gli corserodietro. «Non sappiamo quando torneràtuo zio.»

«Non è veramente mio zio» sussurròClary a voce così bassa che nessunoriuscì a sentirla.

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Uscirono dalla porta sul retro e Jaceusò lo stilo per chiudere a chiave.

La strada era immersa nel silenzio.La luna incombeva sulla città come unciondolo, gettando riflessi perlacei sulleacque dell’East River. Il ronzio distantedelle auto che passavano sulWilliamsburg Bridge riempiva l’ariaumida di un suono che ricordava unbattere d’ali. Simon disse: «Qualcunomi vuole dire dove stiamo andando?»

«Alla fermata della metropolitana»rispose Jace tranquillamente.

«Mi prendi in giro?» disse Simonsbattendo gli occhi. «I cacciatori didemoni prendono la metro?»

«Si fa prima che in auto.»

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«Pensavo a qualcosa di più figo,tipo un furgone con scritto MORTE AIDEMONI sulla fiancata o…»

Jace non si preoccupò nemmeno diinterromperlo. Clary lo guardò con lacoda dell’occhio. A volte, quando eradavvero furiosa per qualcosa o quandoera di cattivo umore, Jocelyn assumevaun atteggiamento che Clary chiamava“spaventocalma”. Era una calma che lefaceva venire in mente lo splendoreingannevole del ghiaccio poco primache si spezzi sotto il tuo peso. In quelmomento Jace era spaventocalmo. Il suovolto era privo d’espressione, ma c’eraqualcosa che bruciava nei suoi occhicolor bronzo.

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«Simon» disse Clary. «Basta.»Simon le lanciò un’occhiata che

voleva dire qualcosa del tipo “Ma tu dache parte stai?” che Clary ignorò. Stavatenendo d’occhio Jace, che svoltò inKent Avenue. Le luci del ponte alle lorospalle circondavano i capelli di Jacecon una sorta di improbabile aureola.Clary si chiese se era giusto essere inqualche modo contenta che gli uominiche avevano preso sua madre fossero glistessi che avevano ucciso il padre diJace, tanti anni prima.

Comunque, almeno per il momento,lui l’avrebbe aiutata a trovare Jocelyn,che lo volesse o no. Almeno per ilmomento, non l’avrebbe abbandonata.

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«Tu vivi qui?» Simon siimmobilizzò a guardare la vecchiacattedrale con le sue finestre rotte e leporte sigillate col nastro giallo dellapolizia.

«Ma è una chiesa.»Jace infilò una mano nel colletto

della camicia e prese una chiaved’ottone appesa a una catenella. Era ilgenere di chiave che si potrebbe usareper aprire un vecchio baule in unasoffitta. Clary lo guardò incuriosita: nonaveva chiuso a chiave la porta quandoavevano lasciato l’Istituto, si era limi-tato a sbatterla. «È utile abitare suterreni consacrati.»

«Lo immagino, ma, senza offesa,

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questo posto è un cesso» disse Simonguardando perplesso l’inferriata ricurvache circondava l’antico edificio el’immondizia impilata accanto aigradini.

Clary lasciò che la sua mente sirilassasse. Immaginò di prendere unodegli stracci imbevuti di trementina disua madre e passarlo sulla vista che le siapriva davanti, pulendo vial’incantesimo come se fosse uno stratodi vernice.

Ed eccola: la visione reale chebrillava dietro quella fasulla come unalu-ce attraverso un vetro scuro. Vide ipinnacoli svettanti della cattedrale, ilbagliore spento delle finestre istoriate,

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la targa d’ottone fissata alla parete dipietra accanto al portone, il nomedell’Istituto inciso su di essa. Trattennequella visione per un istante prima dilasciarla andare con un sospiro.

«È un incantesimo, Simon» disse.«Questo posto non è davvero così.»

«Be’, già che c’erano non potevanodargli un’aria più decente?»

Jace infilò la chiave nella serraturaguardando Simon da sopra una spalla.«Non credo che tu ti renda contodell’onore che ti sto facendo» gliricordò. «Sei il secondo mondano chemette piede dentro l’Istituto.»

«Probabilmente è la puzza a teneregli altri a distanza.»

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«Ignoralo» disse Clary a Jace mentretirava una gomitata tra le costole aSimon. «Dice sempre quello che glipassa per la testa. Niente filtri.»

«I filtri vanno bene per le sigarette eper le macchinette del caffè» borbottòSimon mentre entravano. «Due cose chenon mi dispiacerebbe avere in questomomento, tra l’altro.»

Clary pensava a quanto avrebbevoluto una tazza di caffè mentre salivanouna scala a chiocciola di pietra. Ognigradino era ornato da un simbolo inbassorilievo. Clary stava iniziando aimparare a riconoscerne alcuni che lestuzzicavano la mente, così come a voltequalche parola straniera sentita di

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sfuggita le stuzzicava l’udito con l’ideache, concentrandosi, avrebbe potutocomprenderne il significato.

Raggiunsero l’ascensore e salironoin silenzio. Clary stava ancora pensandoal caffè, alle enormi tazze di caffelatteche sua madre preparava la mattina. Avolte Luke portava dei sacchetti didolcetti che comprava alla panetteriaGolden Carriage di Chinatown. Quandopensò a Luke, il suo stomaco si strinse inun nodo e il suo appetito svanìall’improvviso.

L’ascensore si fermò con un sibilo esi ritrovarono nell’anticamera con lepareti a pannelli di legno che Claryricordava. Jace si scrollò il giubbotto di

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dosso, lo gettò sullo schienale di unasedia e fischiò a denti stretti. Qualchesecondo dopo comparve furtivo Church,gli occhi gialli che scintillavano cometorce nell’aria polverosa. «Church»salutò Jace inginocchiandosi adaccarezzare la testa grigia del gatto.«Dov’è Alec, Church? Dov’è Hodge?»

Church inarcò la schiena e miagolò.Jace arricciò il naso, cosa che in altrecircostanze Clary avrebbe potuto trovarecarina. «Sono in biblioteca?»

Si alzò in piedi e Church si diedeuna scrollata, trotterellò un po’ lungo ilcorridoio e si guardò alle spalle. Jaceseguì il gatto come se fosse la cosa piùnaturale del mondo, indicando con un

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cenno della mano a Clary e Simon diseguirlo.

«Non mi piacciono i gatti» dichiaròSimon con le spalle che sbattevanocontro quelle di Clary mentreavanzavano nell’angusto corridoio.

«Conoscendo Church» disse Jace «èimprobabile anche che tu piaccia a lui.»

Stavano attraversando uno deicorridoi ai cui lati c’erano le stanze daletto. Simon assunse un’espressioneinterrogativa. «Quante persone vivonoqui, esattamente?»

«È un istituto» rispose Clary. «Unposto dove gli Shadowhunters possonostare quando si trovano in città. Un mistotra un rifugio e un laboratorio di

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ricerca.»«Credevo che fosse una chiesa.»«È dentro una chiesa.»«Adesso sì che è tutto chiaro.» Clary

percepiva il nervosismo di Simon sottoquel suo tono irriverente. Anzichézittirlo, allungò una mano, prese quelladi lui e intrecciò le sue dita gelide aquelle dell’amico. La mano di Simon eraumidiccia, ma le restituì la stretta congratitudine.

«Lo so che è strano» sussurrò lei«ma devi solo accettarlo. Fidati di me.»

Gli occhi scuri di Simon erano seri.«Di te mi fido» disse. «È di lui che nonmi fido.» Lanciò un’occhiata a Jace, checamminava qualche passo davanti a loro

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e sembrava stesse conversando con ilgatto. Clary si chiese di cosa parlassero.Di politica? Di teatro? Del prezzo deltonno?

«Be’, fai uno sforzo» disse. «Almomento lui è la mia migliorepossibilità per ritrovare mia mamma.»

Simon ebbe un piccolo brivido.«Questo posto ha qualcosa che non va»

bisbigliò.Clary ripensò a come si era sentita

quella mattina. Le era sembrato che tuttole fosse al tempo stesso estraneo efamiliare. Per Simon evidentemente nonc’era traccia di quella familiarità, solouna sensazione di estraneità, diavversità. «Non sei obbligato a restare

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con me» disse lei, nonostante avesselitigato con Jace sul treno perché Simonpotesse rimanere, afferman-do che, dopoaver passato tre giorni a sorvegliareLuke, forse sapeva qualcosa cheavrebbe potuto tornare utile anche aloro, una volta analizzata per bene lasituazione.

«Sì, invece» ribatté Simon. Lasciò lamano di Clary mentre svoltavano in unaporta che li condusse in una cucina.

Era una cucina enorme e, adifferenza del resto dell’Istituto,modernissi-ma, con banconi d’acciaio evetrinette con file di stoviglie. Accanto auna cucina di ferro rossa, c’era Isabellecon un mestolo in mano, i capelli neri

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raccolti sopra la testa. La pentolafumava e c’erano ingredienti sparsidappertutto: pomodori, aglio e cipolle afettine, mazzetti di erbe, cumuli diformaggio grattugiato, nocciolinesgusciate, una manciata di olive e unpesce intero che fissava il soffitto consguardo vitreo.

«Sto preparando la zuppa» disseIsabelle ondeggiando il mestolo indirezione di Jace. «Avete fame?» Poiguardò alle spalle del ragazzo e vide cheinsieme a Clary c’era anche Simon.«Oddio» disse secca. «Hai portato quiun altro mondano? Hodge ti ucciderà.»

Simon si schiarì la voce. «Io sonoSimon.»

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Isabelle lo ignorò. «JACEWAYLAND» disse. «Giustificati!»

Jace scoccò un’occhiataccia al gatto.«Ti avevo detto di portarmi da Alec!Giuda traditore!»

Church si gettò sulla schiena e iniziòa fare le fusa soddisfatto.

«Non dare la colpa a Church» disseIsabelle. «Non è colpa sua se Hodge tiucciderà.» Immerse di nuovo il mestolonella pentola. Clary si chiese che saporepotesse avere una zuppa di noccioline,pesce, olive e pomodoro.

«Non potevo fare altrimenti» disseJace. «Isabelle… oggi ho visto due degliuomini che hanno ucciso mio padre.»

Le spalle della ragazza si

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irrigidirono, ma quando si voltòsembrava più arrabbiata che sorpresa.«Immagino che lui non sia uno di loro,vero?»

chiese indicando Simon con ilmestolo.

Con grande sorpresa di Clary, Simonnon ribatté. Era troppo impegnato afissare Isabelle, rapito e a bocca aperta.Naturalmente, pensò Clary, provandouna fitta acuta di irritazione. Isabelle eraesattamente il tipo di Simon: alta,affascinante e bellissima. A dire laverità, probabilmente era il tipo dichiunque. Clary smise di interrogarsisulla zuppa di noccioline, pesce, olive epomodoro e si chiese cosa sarebbe

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successo se avesse rovesciato in testa aIsabelle il contenuto della pentola.

«Ovviamente no» disse Jace. «Pensiche se lo fosse sarebbe ancora vi-vo?»

Isabelle rivolse un’occhiataindifferente a Simon. «Immagino di no»disse lasciando cadere distrattamente unpezzo di pesce sul pavimento.

Church gli balzò addosso in unistante.

«Non c’è da meravigliarsi che ciabbia portati qui» disse Jace disgustato.

«Non ci posso credere che gli stiadando dell’altro pesce. È decisamenteuna botte.»

«Non è una botte. E poi voi nonmangiate mai niente. Ho avuto questa

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ricetta da un folletto acquatico alChelsea Market, ha detto che eradelizio-sa…»

«Se tu sapessi cucinare, forse iomangerei» borbottò Jace.

Isabelle si bloccò, soppesandominacciosamente il mestolo. «Cosa haidetto?»

«Ho detto che mi andrò a cercarequalcosa da mettere sotto i denti.»

«Ah, ecco.» Isabelle tornò adedicarsi alla sua zuppa. Simoncontinuava a fissarla. Clary,inspiegabilmente furiosa, gettò per terrala sua borsa di stoffa e seguì Jace versoil frigorifero.

«Non posso credere che tu riesca a

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pensare a mangiare» sibilò.«E cosa dovrei fare, sennò?» chiese

Jace con una calma irritante spalancandolo sportello del frigorifero. L’interno erapieno di cartoni di latte scaduti dadiverse settimane e contenitori diplastica con delle etichette scritte ininchiostro rosso: HODGE. NONTOCCARE.

«Wow! È come un compagno distanza pazzo!» osservò Clary divertita.

«Chi, Hodge? È solo che gli piaceche tutto sia al proprio posto.» Jaceprese uno dei contenitori dal frigoriferoe lo aprì. «Mmm… spaghetti.»

«Non rovinarti l’appetito» urlòIsabelle.

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«È esattamente quello che intendofare» disse Jace chiudendo il frigoriferocon un calcio e prendendo una forchettada un cassetto. Poi guardò Clary: «Nevuoi un po’?»

Lei scosse il capo.«Per forza» disse lui con la bocca

piena. «Ti sei mangiata tutti queitramezzini…»

«Non erano così tanti.» Clary guardòSimon, che era riuscito ad avviare unaconversazione con Isabelle. «Adessopossiamo andare a cercare Hodge?»

«Sembra proprio che tu abbia unagran voglia di uscire di qui.»

«Non vuoi raccontargli quello cheabbiamo visto?»

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«Non ho ancora deciso.» Jace misegiù il contenitore e si leccòdistrattamente il sugo dalle nocche. «Mase proprio vuoi andare…»

«Sì» lo incalzò Clary.«Bene.» Adesso era veramente

calmo, pensò, non spaventocalmo comeprima, persino più contenuto di quantoavrebbe dovuto essere. Clary si chiesequante volte lasciasse che barlumi delsuo vero sé facessero capolino dalla suafacciata dura e lucida come la laccadelle scatole giapponesi di sua madre.

«Dove andate?» Simon sollevò losguardo su di loro mentre raggiungevanola porta. Qualche ciocca di capelli scurigli cadde davanti agli occhi, dandogli

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un’aria imbambolata, pensò Clary pocogentilmente, come se qualcuno gliavesse tirato una bastonata alla nuca.

«A cercare Hodge» disse Clary «Glidevo raccontare quello che è successoda Luke.»

Isabelle la guardò. «Hai intenzionedi dirgli che hai visto quegli uomini,Jace? Quelli che…»

«Non lo so» la interruppe lui.«Quindi per ora tientelo per te.»

Isabelle scrollò le spalle. «Va bene.Hai intenzione di tornare? Vuoi un po’ dizuppa?»

«No» disse Jace.«Pensi che Hodge ne voglia un

po’?»

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«Nessuno vuole la tua zuppa.»«Io la voglio, la tua zuppa» disse

Simon.«No che non la vuoi» disse Jace.

«Vuoi soltanto andare a letto conIsabelle.»

Simon rimase di stucco. «Non èvero!»

«Grazie tante» borbottò Isabelleguardando la pentola, ma stavaridacchiando.

«Oh, sì che è vero» disse Jace.«Dai, chiediglielo, così lei può dirti dino e noi possiamo continuare a farci ifatti nostri mentre tu ti crogioli nell’u-miliazione.» Schioccò le dita. «Muoviti,mondano, abbiamo del lavoro da fare.»

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Simon distolse lo sguardo, rossod’imbarazzo. Clary, che un istante primaavrebbe malvagiamente goduto di quellascenetta, sentì un impeto di rabbia neiconfronti di Jace. «Lascialo stare»scattò. «Non c’è bisogno che tu faccia ilsadico solo perché non è uno di voi.»

«Uno di noi» disse Jace, ma il suosguardo affilato se n’era andato dai suoiocchi. «Io vado a cercare Hodge… tupuoi venire o restare, fai come vuoi.» Laporta della cucina si chiuse alle suespalle, lasciando Clary sola con Simon eIsabelle.

Isabelle versò un po’ di zuppa in unaciotola e la spinse sul bancone versoSimon, senza guardarlo. Ma Clary

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sentiva che stava ancora sorridendo.La zuppa era verde scuro e c’erano

delle cose marroni che galleggiavano insuperficie.

«Io vado con Jace» disse Clary.«Simon…?»

«Crdcrstrquì» borbottò il ragazzoguardandosi i piedi.

«Cosa?»«Credo che resterò qui.» Simon si

parcheggiò su uno sgabello. «Ho fa-me.»«Va bene.» Clary sentì una stretta in

gola, come se avesse inghiottitoqualcosa di molto caldo o molto freddo.Uscì dalla cucina a passo di marcia,mentre Church le sgattaiolò attorno aipiedi come un’ombra grigia e vaporosa.

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In corridoio Jace stava rigirandositra le dita una spada angelica. Quandovide Clary la infilò in tasca. «Carino daparte tua lasciare soli i due pic-cioncini.»

Clary gli fece una smorfia. «Maperché devi sempre essere così idiota?»

«Idiota, io?» Jace la guardò come sestesse per scoppiare a ridere.

«Quello che hai detto a Simon…»«Stavo solo cercando di

risparmiargli qualche sofferenza.Isabelle gli strapperà via il cuore e poici camminerà sopra con i tacchi a spillo.Fa sempre così coi ragazzi.»

«Ha fatto così anche con te?» chieseClary, ma Jace si limitò a scuotere il

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capo per poi rivolgersi a Church.«Da Hodge» disse. «E questa volta

che sia davvero Hodge. Se ci porti daqualche altra parte ti trasformo in unaracchetta da tennis.»

Il gatto sbuffò e si incamminò lungoil corridoio. Clary, rimasta dietro aJace, notò la sua stanchezza e il suostress dalla postura delle spalle. Sichiese se quella tensione loabbandonasse mai. «Jace.»

Lui la guardò. «Cosa?»«Scusa se sono scattata.»Lui ridacchiò. «Quale delle tante

volte?»«Anche tu però scatti con me, sai?»«Lo so» ammise lui sorprendendola.

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«In te c’è qualcosa di così…»«Irritante?»Lui rise ancora. «Spiazzante.»Clary avrebbe voluto chiedergli se

era un complimento o un insulto, ma nonlo fece. Aveva troppa paura che laprendesse in giro. Cercò qualcos’altroda dire. «È sempre Isabelle a cucinareper voi?» chiese.

«No, grazie a Dio. Perlopiù ci sono iLightwood, ed è Maryse, la madre diIsabelle, che cucina. È una cuocafantastica.» Assunse uno sguardo so-gnante simile a quello di Simon mentreguardava Isabelle.

«E com’è che non ha insegnato acucinare a Isabelle?» Stavano

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attraversando la sala della musica, dovela mattina aveva trovato Jace chesuonava il pianoforte. Gli angoli eranostati conquistati dalle ombre.

«Perché» disse Jace lentamente «èsolo da poco tempo che le donnepossono diventare Cacciatrici come gliuomini. Voglio dire, ci sono sempre statedonne nel Conclave. Studiavano le rune,creavano le armi, insegnavano le ArtiMortali. Ma pochissime erano guerriere,solo quelle che avevano abilitàeccezionali. Dovevano lottare per essereaddestrate. Maryse fa parte della primagenerazione di donne del Conclave chesono state addestrate e credo che nonabbia mai insegnato a Isabelle a

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cucinare per timore che, se l’avessefatto, Isabelle sarebbe stata relegata persempre in cucina.»

«E sarebbe successo?» chiese Clarycuriosa. Pensò a Isabelle alPandemonium, a quanto era sicura di sée all’abilità con cui usava la sua frusta.

Jace sorrise. «No di certo. Isabelle èuno dei migliori Cacciatori che io abbiamai conosciuto.»

«È più brava di Alec?»Church, che stava avanzando

silenziosamente davanti a loro, si bloccòall’improvviso e miagolò verso unascala a chiocciola di ferro che siinsinuava nella semioscurità sopra diloro. «Ah, è nella serra» disse Jace.

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Clary impiegò un istante a rendersiconto che stava parlando con il gatto.

«Non c’è da stupirsi.»«La serra?» chiese Clary.Jace salì sul primo gradino. «A

Hodge piace andarsene lassù. Coltivapiante medicinali, cose che ci possonoservire. La maggior parte di esse crescesolo a Idris. Credo che gli ricordinocasa sua.»

Clary lo seguì. I suoi passirisuonavano sui gradini di ferro, quellidi Ja-ce no. «È più bravo di Isabelle?»chiese di nuovo. «Alec, intendo.»

Jace si fermò a guardarla,chinandosi dal gradino su cui si trovavacome se stesse cadendo. Lei ricordò il

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sogno che aveva fatto: angeli checadevano e bruciavano. «Più bravo?» lefece eco Jace. «A uccidere i demoni?No, direi di no. Non ne ha mai uccisouno.»

«Davvero?»«Non so perché. Forse perché si

preoccupa sempre di proteggere me eIzzy.» Erano arrivati in cima alle scale.Li accolse una porta doppia decoratacon bassorilievi di foglie e pianterampicanti. Jace la aprì con una spallata.

L’odore la colpì nell’istante in cuioltrepassò la porta: un odore verde,pungente, odore di cose che vivono ecrescono, di terra e radici che si al-lungano. Si era aspettata qualcosa di più

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piccolo, qualcosa come la piccola serradietro la St. Xavier’s dove gli studentidi biologia clonavano i baccelli deipiselli e roba del genere. Questa inveceera un’enorme sala dalle pareti di vetrofiancheggiata da alberi i cui rami carichidi foglie davano all’aria un respirofresco e verde. C’erano cespugli pienidi bacche rosse, viola e nere, e alberellida cui pendevano bizzarri frutti che nonaveva mai visto.

Clary sospirò. «Profuma di…»Primavera, pensò. Prima che arrivi ilcaldo a bruciare le foglie e a farappassire i petali dei fiori.

«Casa» disse Jace. «Almeno perme.» Spostò di lato un grosso ramo

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frondoso e abbassò la testa per passarvisotto. Clary lo seguì.

La serra, agli occhi non abituati diClary, non corrispondeva ad alcunoschema particolare, ma ovunqueguardasse c’era un’esplosione di colori:fiori violacei che si riversavano dalfianco di una siepe verdissima, unrampicante in cui erano incastonatiboccioli arancione simili a gioielli. Al-la fine, emersero in uno spazio apertodove una bassa panchina di granitopoggiava contro il tronco di una speciedi salice piangente con foglie dallesfumature argentee. In una vasca dipietra scintillava dell’acqua. Hodge eraseduto sulla panchina, col suo corvo

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appollaiato sulla spalla. Stava fissandol’acqua con aria pensosa, ma quando siavvicinarono sollevò lo sguardo.

Clary seguì la direzione dei suoiocchi e vide il tetto di vetro della serrache brillava sopra di loro come lasuperficie di un lago alla rovescia.

«Hai l’aria di uno che sta aspettandoqualcosa» osservò Jace staccando unafoglia da un ramo vicino e rigirandoselatra le dita. Per una persona tantocontrollata, aveva un sacco di ticnervosi. Ma forse era solo perché glipiaceva essere sempre in movimento.

«Ero perso nei miei pensieri.»Hodge si alzò in piedi e allungò unbraccio verso Hugo. Il sorriso svanì dal

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suo volto quando guardò bene i dueragazzi. «Cosa è successo? Sembrate…»

«Siamo stati attaccati» tagliò cortoJace. «Un Dimenticato.»

«Dei guerrieri Dimenticati? Qui?»«Un guerriero» disse Jace. «Ne

abbiamo visto uno solo.»«Ma Dorothea ha detto che ce

n’erano degli altri» aggiunse Clary.«Dorothea?» Hodge sollevò una

mano. «Sarà meglio che mi raccontiatetutto dall’inizio.»

«Va bene.» Jace rivolse uno sguardoammonitore a Clary, interrompen-dolaprima che iniziasse a parlare. Poi silanciò nel resoconto degli eventi di quelpomeriggio, tralasciando un solo

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dettaglio: il fatto che gli uomini cheavevano visto nell’appartamento di Lukeerano gli stessi che sette anni primaavevano ucciso suo padre. «Lo zio diClary… o chiunque sia… si fa chiamareLuke Garroway» concluse Jace. «Maquei due uomini che dicevano di essereemissari di Valentine lo chiamavanoLucian Graymark.»

«E i loro nomi erano…»«Pangborn» disse Jace «e

Blackwell.»Hodge era impallidito. La cicatrice

che gli attraversava la guancia risal-tavacome un filo rosso sulla pelle ingrigita.«È come temevo» disse quasi tra sé. «IlCircolo sta risorgendo.»

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Clary si voltò verso Jace, che peròsembrava perplesso quanto lei. «IlCircolo?» chiese il ragazzo.

Hodge scosse il capo come perliberarsi il cervello dalle ragnatele.«Venite con me» disse. «È tempo che vimostri una cosa.»

Le lampade a gas della bibliotecaerano accese e le lucide superfici deimobili di tek scintillavano come gioielli.I volti severi e rigati dalle ombre degliangeli di legno che sorreggevanol’enorme scrivania sembravano ancorapiù addolorati. Clary si sedette suldivano rosso e si strinse le gambe alpetto. Jace si appoggiò irrequieto albracciolo del divano, accanto a lei.

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«Hodge, se ti serve aiuto percercare…»

«No.» Hodge emerse da dietro lascrivania spazzandosi via un po’ dipolvere dalle ginocchia dei pantaloni.«L’ho trovato.»

Aveva in mano un grosso librorilegato in pelle marrone. Lo sfogliò condita ansiose, socchiudendo gli occhicome un gufo dietro gli occhiali eborbottando: «Dove… dove… ah,eccolo!» Si schiarì la voce, prima diiniziare a leggere: Giuro incondizionataobbedienza al Circolo e ai suoiprincipi… Sarò pronto a rischiare lavita in qualsiasi momento perché ilCircolo preservi la purezza del sangue

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di Idris e per il mondo mortale dellacui sicurezza ci facciamo carico.

Jace fece una smorfia. «Che cos’è?»«Questo, vent’anni fa, era il

giuramento di fedeltà del Circolo diRaziel»

disse Hodge. Sembrava stranamentestanco.

«È inquietante» disse Clary.«Ricorda un’organizzazione nazista oroba del genere.»

Hodge mise giù il libro. Sembravaaddolorato e stanco come gli angeli dilegno sotto la scrivania. «Era ungruppo» disse lentamente «di Cacciatoriguidati da Valentine che perseguival’eliminazione di tutti i Nascosti e la

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restaurazione di un mondo più “puro”. Illoro piano era aspettare che i Nascostiarrivassero a Idris per firmare gliAccordi. Devono essere firmati ogniquindici anni affinché la loro magiaconservi la propria potenza» aggiunse abeneficio di Clary. «Progettarono dimassacrarli tutti mentre erano disarmatie indifesi. Questo atto terribile,pensavano, avrebbe scatenato una guerratra gli umani e i Nascosti… una guerrache avevano intenzione di vincere.»

«È la Rivolta» disse Jacericonoscendo nella storia di Hodge unevento che gli era già familiare. «Losapevo già. L’unica cosa che non sapevoera che Valentine e i suoi seguaci

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avessero un nome.»«È un nome che non viene

pronunciato spesso, oggigiorno» spiegòHodge. «La loro esistenza è ancora unafonte di imbarazzo per il Conclave.

La maggior parte dei documenti cheli riguardano è stata distrutta.»

«Allora come mai tu hai una copia diquel giuramento?» chiese Jace.

Hodge esitò. Fu solo un istante, maClary se ne accorse e sentì un piccolo einspiegabile brivido di apprensionerisalirle la schiena. «Perché» disseinfine Hodge «ho contribuito ascriverlo.»

Jace lo guardò. «Tu facevi parte delCircolo?»

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«Sì. Molti di noi ne facevano parte.»Hodge guardava dritto davanti a sé.

«Anche la madre di Clary.»Clary balzò indietro come se

l’avesse schiaffeggiata. « Cosa? »«Ho detto…»«Lo so cosa hai detto! Mia madre

non avrebbe mai fatto parte di una co-sadel genere. Una specie… una specie digruppo di fanatici.»

«Non era…» cominciò Jace, maHodge lo interruppe.

«Dubito» disse lentamente, come sequelle parole gli provocassero dolore«che avesse molta scelta.»

Clary lo guardò. «Di cosa staiparlando? Perché non aveva molta

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scelta?»«Perché» disse Hodge «era la

moglie di Valentine.»parte secondaLO SCENDER È COSA

AGEVOLELo scender ne l’Averno è cosa

agevoleché notte e dì ne sta l’entrata aperta;ma tornar poscia a riveder le stelle,qui la fatica e qui l’opra consiste.(VIRGILIO, Eneide, VI, I26)capitolo 10LA CITTÀ DI OSSAVi fu un momento di sbalordito

silenzio prima che Jace e Clary simettessero a parlare

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contemporaneamente.«Valentine aveva una moglie? Era

sposato? Pensavo…»«È impossibile! Mia madre non

avrebbe mai… lei è stata sposata solocon mio padre! Non aveva un exmarito!»

Hodge sollevò le mani, comeesausto. «Figlioli miei…»

«Non sono la sua figliola. » Claryvoltò le spalle alla scrivania. «E nonvoglio sentire altro.»

«Clary» disse Hodge. La gentilezzanella sua voce era una ferita aperta.

Clary si girò lentamente e lo guardò.Era strano che coi suoi capelli grigi e ilsuo volto segnato apparisse molto più

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vecchio di sua madre. Eppure erano statigiovani insieme, erano entrati insiemenel Circolo, avevano conosciuto insiemeValentine. «Mia madre non avrebbe…»iniziò a dire la ragazza, ma poi siinterruppe. Non era più sicura diconoscere Jocelyn. Sua madre eradiventata un’estranea per lei, unabugiarda, una donna che nascondeva deisegreti. Che cosa non avrebbe fatto?

«Tua madre lasciò il Circolo»continuò Hodge. Non si avvicinò aClary, ma la guardò con l’attentaimmobilità di un uccello. «Quandocapimmo quanto fossero diventateestremiste le idee di Valentine… e cosaera pronto a fare… molti di noi

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lasciarono il Circolo. Lucian fu il primo.Per Valentine fu un duro colpo. Eranomolto vicini.» Hodge scosse il capo.«Poi fu la volta di Michael Wayland.Tuo padre, Jace.»

Jace sollevò un sopracciglio, ma nondisse nulla.

«Vi fu anche chi gli restò fedele.Pangborn, Blackwell, i Lightwood…»

«I Lightwood? Vuoi dire Robert eMaryse?» Jace sembrava sconvolto.

«E tu? Quando te ne sei andato?»«Non l’ho fatto» disse Hodge con un

filo di voce. «E nemmeno loro…avevamo paura, troppa paura di ciò

che lui avrebbe potuto fare. Dopo laRivolta, i lealisti come Blackwell e

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Pangborn fuggirono. Noi restammo ecooperammo con il Conclave. Facemmodei nomi. Li aiutammo a rintracciarequelli che erano scappati. E per questofurono clementi con noi.»

«Clementi?» Lo sguardo di Jace fuveloce, ma Hodge lo vide.

«Stai pensando alla maledizione chemi tiene legato a questo posto, ve-ro?»disse. «Hai sempre dato per scontatoche fosse un incantesimo lanciato pervendetta da un demone o da unostregone. Ma non è così. La maledizioneche mi tiene qui è stata lanciata dalConclave.»

«Per il fatto che facevi parte delCircolo?» chiese Jace. Il suo volto era

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una maschera di stupore.«No, per non esserne uscito prima

della Rivolta.»«Ma i Lightwood non sono stati

puniti» disse Clary. «Perché no?Avevano fatto la stessa cosa che hai fattotu.»

«Nel loro caso c’erano delleattenuanti. Erano sposati, avevano unfiglio.

E comunque non è che vivono inquesto avamposto lontano da Idris perlo-ro scelta. Siamo stati esiliati qui tuttie tre. Tutti e quattro, dovrei dire. Alecera molto piccolo, quando abbiamolasciato la Città di Vetro. Loro possonotornare a Idris solo per questioni

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ufficiali e solo per brevi periodi. Io nonposso tornare. Non rivedrò mai più laCittà di Vetro.»

Jace lo guardava basito. Era come selo vedesse per la prima volta. « Du-ralex, sed lex» disse.

«Te l’ho insegnato io» mormoròHodge con una nota di amarodivertimento nella voce. «E ora usi lemie lezioni contro di me. Egiustamente.»

Sembrò volersi abbandonare sullapoltrona lì vicina, ma restò in piedi, inuna posizione rigida che conservavaqualcosa del soldato che era stato untempo, pensò Clary.

«Perché non me l’hai detto prima?»

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chiese la ragazza. «Che mia madre erasposata con Valentine, voglio dire.Conoscevi il suo nome…»

«Io la conoscevo come JocelynFairchild, non come Jocelyn Fray»rispose Hodge. «E tu hai tanto insistito adire che non era a conoscenza delMondo Invisibile che mi hai convintoche non potesse essere la Jocelyn checonoscevo… e forse non volevocrederlo. Nessuno potrebbe volere ilritorno di Valentine.» Scosse di nuovo ilcapo. «Quando questa mattina homandato un messaggio ai Fratelli dellaCittà di Ossa non avevo idea di qualinotizie avremmo avuto per loro» disse.«Quando il Conclave scoprirà che

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Valentine è tornato, che sta cercando laCoppa, scoppierà il caos. Spero soloche questo non vada a discapito degliAccordi.»

«Scommetto che Valentine nesarebbe contento» osservò Jace. «Maperché vuole così tanto la Coppa?»

Il volto di Hodge era grigio. «Non èovvio?» disse. «Per potersi creare unesercito.»

Jace parve sbalordito. «Ma non…»«La cena è pronta!» Era Isabelle, in

piedi sulla porta delle biblioteca.Aveva ancora il mestolo in mano. I

suoi capelli erano sciolti e lericadevano sulle spalle. «Scusatel’interruzione» aggiunse, come se ci

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avesse pensato solo in quel momento.«Oddio» disse Jace. «L’ora del

giudizio è arrivata.»Hodge parve allarmato. «Io… io…

ho fatto una colazione moltoabbondante» balbettò. «Voglio dire… unpranzo… un pranzo molto abbondante.

Non ho molta fame…»«Ho buttato via la zuppa» disse

paziente Isabelle. «E ho ordinato damangiare dal ristorante cinese.»

Jace si staccò dalla scrivania e sistiracchiò. «Fantastico» disse. «Stomorendo di fame.»

«Forse potrei cercare di mangiarequalcosina…» ammise Hodgeimbarazzato.

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«Siete due pessimi bugiardi» disseIsabelle. «Sentite, lo so che non vi piacecome cucino…»

«E allora smetti di farlo» leconsigliò Jace. «Hai ordinato il maialemu shu? Lo sai che vado matto per ilmaiale mu shu… »

Isabelle levò gli occhi al cielo. «Sì.È in cucina.»

«Grande.» Jace le passò accantoscompigliandole amorevolmente icapelli. Hodge lo seguì, fermandosi soloper sfiorare solidale una spalla diIsabelle, poi scomparve con un buffocenno di scusa del capo. Clary si chiesecome qualche minuto prima avessepotuto vedere in lui l’ombra del suo

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vecchio io guerriero.Isabelle seguì Jace e Hodge con lo

sguardo, rigirandosi il mestolo tra ledita pallide e coperte di cicatrici. «Lo èdavvero?» chiese Clary.

Isabelle non la guardò neppure. «Chiè davvero cosa?»

«Jace. È davvero un pessimobugiardo?»

Isabelle si voltò verso Clary e laguardò coi suoi grandi occhi scuri einaspettatamente seri. «Non è affatto unbugiardo. Non sulle cose che con-tano.Preferisce dirti una verità orribile chementirti.» Fece una pausa, e poiaggiunse sottovoce. «È per questo che disolito è meglio non chiedergli niente se

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non sei sicura di non poter sopportare larisposta.»

La cucina era calda e piena di luce edell’odore agrodolce del cibo cinese.Quel profumo ricordava a Clary casasua: si sedette ad ammirare il suo piattoluccicante di spaghetti di soia,giocherellò un po’ con la forchetta ecercò di non guardare Simon, che stavafissando Isabelle con un’espressione piùcotta di un’anatra alla pechinese.

«Be’, secondo me è una cosaromantica» disse Isabelle mentresucchiava perline dolci di tapioca conun’enorme cannuccia rosa.

«Che cosa?» chiese Simon,improvvisamente attento.

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«Tutta quella faccenda della madredi Clary che era sposata con Valentine»disse Isabelle. Jace e Hodge le avevanoraccontato tutto, anche se Clary notò cheavevano tralasciato la parte sul ruolodei Lightwood nel Circolo e sullemaledizioni del Conclave. «Così adessoè tornato dal mondo dei morti ed èvenuto a cercarla. Forse vuole rimettersicon lei.»

«Ho qualche dubbio che vogliarimettersi con lei dopo che ha mandatoun Divoratore a casa sua» disse Alec,che si era presentato quando la cena eraormai in tavola. Nessuno gli avevachiesto dove fosse stato e lui non avevadetto nulla. Sedette accanto a Jace e di

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fronte a Clary, evitando di guardarlanegli occhi.

«In effetti non sarebbe una grandemossa» concordò Jace. «Meglio prima ifiori, poi una lettera di scuse e soltantodopo le orde di demoni asseta-ti disangue.»

«Magari glieli ha mandati, i fiori»disse Isabelle «per quello che nesappiamo.»

«Isabelle» la richiamò pazienteHodge. «Stiamo parlando dell’uomo cheha portato su Idris una distruzione maivista prima, che ha messo i Cacciatoricontro i Nascosti e ha inondato disangue le strade della Città di Vetro.»

«Be’, i cattivi sono sempre dei gran

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fighi, no?»Simon cercò di assumere uno

sguardo minaccioso, ma rinunciò quandosi accorse che Clary lo stava guardando.«Ma perché Valentine vuole così tantoquesta Coppa? E perché pensa che cel’abbia la mamma di Clary?»

chiese.«Tu hai detto che la vuole per

crearsi un esercito» disse Clary rivolta aHodge. «Vuoi dire che potrebbe usare laCoppa per creare altri Cacciatori?»

«Sì.»«Così Valentine, con quella Coppa,

potrebbe prendere un tizio qualsiasi efarlo diventare un Cacciatore?» Simonsi protese in avanti. «Funzione-rebbe

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anche con me?»Hodge gli rivolse una lunga

occhiata. «Forse sì» disse. «Maprobabilmente tu sei troppo grande. LaCoppa funziona con i bambini. Su unadulto non avrebbe alcun effetto, oppurelo ucciderebbe.»

«Un esercito di bambini» mormoròIsabelle con un filo di voce.

«Solo per qualche anno» disse Jace.«I bambini crescono in fretta. Non cimetterebbero molto a diventare veri epropri guerrieri.»

«Non capisco» disse Simon.«Trasformare un branco di ragazzini inguerrieri. Ho sentito cose peggiori. Nonvedo tutta questa necessità di tenere la

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Coppa lontana da lui.»«Valentine userebbe senza alcun

dubbio questo esercito per lanciare unattacco contro il Conclave» risposesecco Hodge. «E la ragione per cui po-chissimi umani vengono scelti per esseretrasformati in Nephilim è che quasinessuno sopravvive alla trasformazione.Ci vogliono una forza e una resistenzaeccezionali. Prima di poter esseretrasformati, devono passare attraversonumerose prove… Ma Valentine nonperderebbe certo tempo in prove.Userebbe la Coppa su tutti i bambini econ i sopravvissuti creerebbe il suoesercito.»

Alec stava guardando Hodge con lo

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stesso orrore che provava anche Clary.«Come fai a sapere cosa farebbe?»

«Perché» disse Hodge «quandofaceva parte del Circolo il piano eraproprio questo. Diceva che era l’unicomodo per costruirsi la potenza bellicanecessaria per difendere il nostromondo.»

«Ma questo è omicidio!» esploseIsabelle, che era diventata un po’ verde.«Si sta parlando di uccidere deibambini.»

«Diceva che avevamo reso il mondopiù sicuro per gli umani per mille anni»disse Hodge. «E che era giunto ilmomento di ripagarci con il lorosacrificio.»

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«Dei bambini?» chiese Jace con leguance arrossate. «Questo va controtutto ciò che dovremmo difendere.Proteggere i deboli, salvaguardarel’umanità…»

Hodge allontanò il proprio piatto.«Valentine era pazzo» disse. «Geniale,ma pazzo. L’unica cosa che gliimportava era di uccidere i demoni e iNascosti. Purificare il mondo. Luiavrebbe sacrificato il proprio figlio perla causa e non capiva come qualcunaltro non intendesse farlo.»

«Aveva un figlio?» chiese Alec.«Parlavo per ipotesi» disse Hodge

tirando fuori di tasca il fazzoletto. Lousò per asciugarsi la fronte e lo rimise

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nel taschino. Clary notò che gli tremavaleggermente la mano. «Quando la suaterra bruciò e la sua casa fu distrutta, sipensò che si fosse dato fuoco insiemealla Coppa piuttosto che arrendersi alConclave. Tra le ceneri vennero trovatele sue ossa insieme a quelle di suamoglie.»

«Ma mia madre è sopravvissuta»disse Clary. «Non è morta inquell’incendio.»

«E neanche Valentine, a quantopare» disse Hodge. «Il Conclave non sa-rà contento di essere stato preso in giro.E soprattutto vorrà mettere le mani sullaCoppa. E, cosa ancor più importante,vorrà assicurarsi che non lo faccia

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Valentine.»«Direi che la prima cosa da fare è

trovare la madre di Clary» suggerì Ja-ce. «Trovare lei e la Coppa prima diValentine.»

A Clary pareva una buona idea, madall’espressione di Hodge sembrava cheJace avesse proposto di fare ilgiocoliere con delle palle di nitroglice-rina. «Assolutamente no.»

«E allora cosa faremo?»«Niente» disse Hodge. «È meglio

lasciare questa faccenda aShadowhunters abili ed esperti.»

«Io sono abile» disse Jace. «E ancheesperto.»

Il tono di Hodge si fece deciso,

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simile a quello che avrebbe usato unpadre. «Lo so, Jace, ma sei ancora unbambino, o quasi.»

Jace guardò Hodge con gli occhisocchiusi. Le sue lunghe ciglia gli di-segnavano delle ombre sugli zigomi. Inun altro avrebbe potuto sembrare unosguardo timido, quasi di scuse, ma sulvolto di Jace risultava piuttostominaccioso. «Io non sono un bambino.»

«Hodge ha ragione» disse Alec.Stava guardando Jace, e Clary pensò cheprobabilmente era uno dei pochi almondo a guardare Jace non come seavesse paura di lui, ma come se avessepaura per lui. «Valentine è pericoloso.Lo so che sei un buon Cacciatore.

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Probabilmente sei il migliore fra quellidella nostra età. Ma Valentine è uno deimigliori che ci siano mai stati. C’èvoluta una grande battaglia persconfiggerlo.»

«E non ci sono neanche riusciti finoin fondo» aggiunse Isabelle mentreesaminava una forcina per capelli. «Aquanto pare.»

«Ma noi siamo qui» protestò Jace.«Siamo qui e grazie agli Accordi nonc’è nessun altro. Se non facciamoqualcosa…»

«Faremo qualcosa» concluse Hodge.«Manderò un messaggio al Conclavequesta sera stessa. Possono far arrivarequi dei Nephilim già domani.

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Se ne occuperanno loro. Voi avetefatto più che abbastanza.»

Jace si arrese, ma i suoi occhiscintillavano ancora. «Non mi piace.»

«Non ti deve piacere» disse Alec.«Devi solo stare zitto e non fare stupi-daggini.»

«E mia madre?» chiese Clary. «Nonpuò aspettare che si presentino irappresentanti del Conclave. Èprigioniera di Valentine, lo hanno dettoPangborn e Blackwell, e luipotrebbe…» Non riuscì a pronunciare laparola torturarla, ma sapeva che nonera stata l’unica a pensarla.All’improvviso nessuno attorno a queltavolo riusciva a guardarla negli occhi.

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A parte Simon. «Farle del male»disse, terminando la frase. «Però hannoanche detto che non aveva ripresoconoscenza e che Valentine non ne eracontento. Sembra che aspetti che lei sisvegli.»

«Se fossi in lei non lo farei»mormorò Isabelle.

«Ma potrebbe succedere in qualsiasimomento» disse Clary ignorandoIsabelle. «Credevo che il Conclaveavesse il compito di proteggere lepersone. Non dovrebbero esserci qui deiCacciatori, adesso? Non dovrebberoessere già alla sua ricerca?»

«Sarebbe più facile» scattò Alec «seavessimo almeno una vaga idea di dove

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cercare.»«Ma ce l’abbiamo» disse Jace.«Ah, sì?» Clary lo guardò, allarmata

e impaziente.«È qui.» Jace si chinò in avanti e

toccò con le dita la tempia di Clary inmodo tanto delicato che la ragazzaarrossì. «Tutto quello che ci servesapere è chiuso dentro la tua testa, sottoquesti bei riccioli rossi.»

Clary sollevò una mano per toccarsii capelli. «Non penso…»

«E allora cosa pensi di fare?» loaggredì Simon. «Aprirle la testa a colpidi spada?»

Gli occhi di Jace scintillarono, maparlò con un tono molto calmo.

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«Niente affatto. I Fratelli Silentipossono aiutarci a recuperare i suoiricordi.»

«Ma tu odi i Fratelli Silenti»protestò Isabelle.

«Non li odio» replicò Jace candido.«Ho paura di loro. Non è la stessacosa.»

«Sbaglio o avevi detto che sono deibibliotecari?» disse Clary.

«E infatti lo sono.»Simon fischiò. «Devono far pagare

delle multe belle salate per le consegnein ritardo.»

«I Fratelli Silenti sono archivisti, manon sono soltanto questo» intervenneHodge, che sembrava aver quasi

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esaurito la pazienza. «Per rafforza-re leloro menti, hanno scelto di prendere sudi sé le rune più potenti mai create. Ilpotere di quelle rune è tale che,usandole…» Si interruppe, e Clary sentìnella propria testa la voce di Alec chediceva: si mutilano. «Be’, distorce laloro forma fisica. Non sono guerriericome gli altri Cacciatori. I loro poteririsiedono nella mente, non nel corpo.»

«Possono leggere il pensiero?»chiese Clary sottovoce.

«Tra le altre cose. Sono tra icacciatori di demoni più temuti.»

«Non mi sembrano così pericolosi»disse Simon. «Io preferirei averequalcuno che mi pasticcia dentro la testa

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piuttosto che uno che me la vuoletagliare via.»

«Allora sei ancora più idiota diquello che sembri» disse Jaceguardandolo con disprezzo.

«Jace ha ragione» disse Isabelle.«Non sul fatto di essere idiota» aggiunsevelocemente quando Simon si voltò aguardarla. «Ma i Fratelli Silenti fannovenire davvero i brividi.»

La mano di Hodge stringeva ilripiano del tavolo. «Sono molto potenti»

disse. «Camminano nelle tenebre enon parlano, ma possono aprire la mentedi un uomo come tu faresti con unanoce… e poi possono lasciarlo a urlareda solo al buio, se è quello che

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vogliono.»Clary guardò Jace sconvolta. «E tu

vorresti mettermi nelle loro mani?»«Io voglio solo aiutarti.» Jace si

protese sopra il tavolo, tanto vicino cheClary poteva vedere le schegge di ambrascura nei suoi occhi chiari. «Forse nonpossiamo andare a cercare tua madre»disse sottovoce. «Forse lo fa-rà ilConclave. Ma quello che hai nella testaappartiene a te. Qualcuno ti ha nascostodei segreti, là dentro, segreti che tu nonpuoi vedere. Non vuoi sapere la veritàsulla tua vita?»

«Non voglio qualcun altro nella miamente» disse lei senza troppaconvinzione. Sapeva che Jace aveva

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ragione, ma l’idea di affidarsi a degliesseri che anche i Cacciatori ritenevanospaventosi le faceva gelare il sangue.

«Io verrò con te» disse Jace.«Resterò con te mentre lo fanno.»

«Basta così.» Simon si alzò daltavolo, rosso di rabbia. «Lascialastare.»

Alec guardò Simon come se si fosseaccorto di lui solo in quel momento,mentre si levava un ciuffo di capelli neridalla fronte e sbatteva gli occhi.

«Che ci fai ancora qui, mondano?»Simon lo ignorò. «Ti ho detto di

lasciarla stare.»Jace gli rivolse un’occhiata lenta e

dolcemente velenosa. «Alec ha ragione»

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disse. «L’Istituto è tenuto a dare rifugioagli Shadowhunters, non ai lo-ro amicimondani. Soprattutto quando hannosmesso da un pezzo di essere ibenvenuti.»

Isabelle si alzò e prese Simon per unbraccio. «Lo accompagno fuori.»

Per un istante sembrò che il ragazzovolesse resisterle, ma poi incrociò losguardo di Clary, che scosse appena ilcapo. Simon si arrese. Col mentosollevato, permise a Isabelle discortarlo fuori dalla stanza.

Clary si alzò. «Sono stanca» disse.«Voglio andare a dormire.»

Jace disse: «Ma non haipraticamente mangiato…»

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Lei scostò la mano che il ragazzo leaveva avvicinato. «Non ho fame.»

In corridoio faceva più fresco che incucina. Clary si appoggiò al muro esollevò leggermente la camicia, che sistava incollando al sudore freddo delsuo petto. Più in là, lungo il corridoio,vide le sagome di Isabelle e Simon chevenivano inghiottite dalle ombre. Liosservò allontanarsi in silenzio, con unasensazione sempre più strana einquietante alla bocca dello stomaco. Daquando in qua Simon era diventato unaresponsabilità di Isabelle anziché sua?Se c’era una cosa che stava imparandoda tutta quella faccenda era quanto fossefacile perdere tutto ciò che pensavi

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sarebbe stato tuo per sempre.La stanza era color oro e bianca,

con pareti alte che luccicavano comesmalto e un soffitto distante, chiaro escintillante come un diamante. Claryindossava un abito di velluto verde eaveva in mano un ventaglio dorato. Isuoi capelli, stretti in un nodo da cuisfuggivano alcuni riccioli, le facevanosentire la testa stranamente pesanteogni volta che si voltava per guardarsialle spalle.

«Vedi qualcuno più interessante dime?» chiese Simon. Nel sogno era unballerino incredibilmente bravo. Laguidava attraverso la folla come sefosse una foglia portata dalla corrente

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di un fiume. Era tutto vestito di ne-ro,come un Cacciatore, il che dava risaltoai suoi colori naturali: i capelli scuri,la pelle leggermente ambrata, i dentibianchi. Era bello, pensò Clary stupita.

«Non c’è nessuno più interessantedi te» disse. «È solo questo posto.

Non ho mai visto niente delgenere.» Si voltò di nuovo, mentrepassavano davanti a una fontana dichampagne: era un enorme piattod’argento, la cui parte centrale eraoccupata da una sirena con una giarache versava il vino frizzante lungo lasua schiena nuda. La gente si riempivai bicchieri da quel piatto, ridendo echiacchierando. La sirena voltò il capo

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al passaggio di Clary e sorrise,mettendo in mostra denti bianchiaffilati come quelli di un vampiro.

«Benvenuta nella Città di Vetro»disse una voce che non era quella diSimon. Clary scoprì che Simon erascomparso e ora stava danzando conJace. Era vestito di bianco, la suacamicia era di cotone leggero e Clarypoteva vedere i marchi neri attraversola stoffa sottile. Aveva al collo unacatenella di bronzo e i suoi capelli e isuoi occhi sembravano più dorati chemai. Clary pensò a quanto le sarebbepiaciuto dipingere un suo ritratto conla vernice dorata che si vede a voltenelle icone russe.

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«Dov’è Simon?» chiese mentrefacevano un altro giro attorno allafontana di champagne. Clary videIsabelle insieme ad Alec, tutti e duevestiti di blu reale. Si tenevano permano come Hansel e Gretel nellaforesta.

«Questo è un posto per i vivi» disseJace. Le sue mani erano fresche controle sue e Clary era consapevole del lorotocco come non era mai stata conSimon.

Strinse gli occhi e chiese a Jace:«Cosa vuoi dire?»

Lui le si avvicinò. Clary sentì le suelabbra contro le proprie orecchie.

Non erano affatto fredde.

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«Svegliati, Clary» le sussurrò.«Svegliati. Svegliati.»

Clary balzò a sedere sul lettoansimando, i capelli incollati al collodal sudore freddo. I suoi polsi eranostretti in una presa salda: cercò diliberarsi prima ancora di rendersi contodi chi la stesse tenendo. «Jace?»

«Sì.» Il ragazzo era seduto sul bordodel letto - come era finita in quel letto? -con un’aria arruffata esemiaddormentata.

«Lasciami.»«Scusa.» Le sue dita scivolarono via

dal polso di lei. «Hai cercato dicolpirmi quando ti ho chiamata.»

«Mi sa che sono un po’ nervosa…»

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Clary si guardò attorno. Era in unapiccola camera da letto con mobili dilegno scuro. Dalla qualità della lucefioca che entrava dalla finestrasemichiusa immaginò che fosse l’alba, opoco dopo. La sua borsa di stoffa era aterra vicino a una parete. «Come sonoarrivata qui? Non ricordo…»

«Ti ho trovata addormentata sulpavimento del corridoio.» Jacesembrava divertito. «Hodge mi haaiutato a metterti a letto. Abbiamopensato che saresti stata più comoda inuna stanza degli ospiti che ininfermeria.»

«Cavoli. Non mi ricordo niente.» Sipassò le mani tra i capelli, levandosi dei

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ciuffi rossi dagli occhi. «Ma che oresono?»

«Più o meno le cinque.»«Del mattino?» chiese con

un’occhiataccia. «Spero che tu abbia unabuona ragione per avermi svegliato.»

«Perché, stavi facendo un belsogno?»

Clary sentiva ancora la musica nelleorecchie, sentiva ancora gli orecchinipesanti contro le guance. «Non ricordo.»

Jace si alzò. «Uno dei FratelliSilenti è qui per vederti. Hodge mi hamandato a svegliarti. In realtà si eraofferto di farlo di persona, ma visto chesono le cinque ho pensato che sarebbestato un risveglio migliore se tu avessi

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avuto qualcosa di bello da guardare.»«Ovvero te?»«E chi sennò?»«Non ho mai detto che ero

d’accordo» scattò lei. «Con questafaccenda dei Fratelli Silenti, vogliodire.»

«Vuoi trovare tua madre o no?»Lei lo fissò.«Devi solo incontrare Fratello

Geremia. Tutto qui. Potrebbe anchepiacerti. Ha un grande sensodell’umorismo, per essere uno che nondice mai niente.»

Clary si prese la testa tra le mani.«Esci. Mi devo cambiare.»

«Se proprio insisti…» Si avviò

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lentamente verso la porta. «Ti aspetto incorridoio.»

Saltò fuori dal letto non appena laporta si chiuse alle spalle di Jace.Nonostante fosse l’alba, il caldo umidostava già iniziando ad addensarsi nellastanza. Chiuse la finestra e andò inbagno a lavarsi la faccia e sciacquarsi labocca, che sapeva di carta vecchia.

Cinque minuti dopo stava infilando ipiedi nelle sue scarpe da ginnasticaverdi. Poi si mise un paio di jeanstagliati e un t-shirt nera. Se solo le suegambe sottili e lentigginose fossero stateun po’ più simili a quelle flessuo-se diIsabelle… Ma non poteva farci nulla. Siraccolse i capelli a coda di cavallo e

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raggiunse Jace in corridoio.Church era con lui e continuava a

miagolare e a girare in tondo.«Cos’ha il gatto?» chiese Clary.«I Fratelli Silenti lo rendono

nervoso.»«A quanto pare rendono nervosi

tutti.»Jace sorrise. Church miagolò,

quando si avviarono lungo il corridoio,ma non li seguì. Almeno le spesse paretidi pietra della cattedrale avevanotrattenuto un po’ del freddo della notte: icorridoi erano bui e freschi.

Quando arrivarono in biblioteca, laporta era chiusa. Jace bussò una volta.Vu fu un momento di silenzio, prima che

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Clary sentisse la voce di Hodge:«Avanti.»

Le lampade della biblioteca eranospente. La stanza era illuminata solo dalbagliore lattiginoso che filtravaattraverso le finestre del soffitto a volta.Hodge era seduto dietro la sua enormescrivania, coi capelli sale e pepe resiargentei dalla luce dell’alba. Per unistante Clary pensò che ci fosse so-lo luinella stanza, che Jace le avesse fatto unoscherzo. Poi vide una figura uscire dalbuio e si rese conto che quella cheaveva creduto un’ombra più scura dellealtre era un uomo. Un uomo alto con unmantello pesante che lo coprivacompletamente dal collo ai piedi. Il

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cappuccio del mantello era alzato anascondergli il volto. Il mantello avevail colore della pergamena e i complessidisegni lungo l’orlo e le manichesembravano tracciati con sangue secco. Ipeli delle braccia e della nuca di Clarysi rizzarono in mo-do quasi doloroso.

«Questo» disse Hodge «è FratelloGeremia della Città Silente.»

L’uomo si avvicinò. Il mantellopesante si muoveva con lui e Clary capìcosa c’era di strano in quel personaggio:mentre camminava non produceva alcunsuono, nemmeno un lievissimoscalpiccio. Anche il suo mantello, cheavrebbe dovuto frusciare, era silenzioso.Si chiese se non fosse un fantasma… Ma

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no, pensò, mentre l’uomo si fermava difronte a loro. C’era uno strano odoredolciastro attorno a lui, come di incensoe sangue, l’odore di qualcosa di vivo.

«E questa, Geremia» continuòHodge alzandosi in piedi «è la ragazzadi cui ti ho scritto, Clarissa Fray.»

Il volto incappucciato si voltòlentamente verso di lei. Clary sentìfreddo alla punta delle dita. « Ciao. »

«Avevi ragione tu, Jace» disseHodge. «Ieri sera ho mandato una letteraal Conclave sulla Coppa, ma i ricordi diClary sono soltanto suoi. Solo lei puòdecidere cosa fare di ciò che c’è dentrola sua testa.»

Clary non disse nulla. Dorothea

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aveva detto che nella sua mente c’era unblocco che nascondeva qualcosa.Ovviamente voleva sapere di cosa sitrattava. Ma la figura tenebrosa delFratello Silente era così… be’… cosìsilen-te. Il silenzio sembrava fluire dalui come una corrente scura e densacome inchiostro. Le gelava le ossa.

Il volto di Fratello Geremia eraancora girato verso di lei, ma sotto ilcappuccio non si vedeva altro cheoscurità. « È la figlia di Jocelyn? »

Clary ebbe un sussulto e fece unpasso indietro. Quelle parole erano e-cheggiate dentro la sua testa, come se leavesse pensate lei… solo che non eracosì.

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«Sì» disse Hodge. «Ma suo padreera un mondano.»

« Non ha importanza» disseGeremia. « Il sangue del Conclave èdomi-nante. »

«Perché hai chiamato mia madre pernome?» chiese Clary cercando in-vanoqualche segno di un volto sotto quelcappuccio. «La conoscevi?»

«I Fratelli tengono traccia di tutti imembri del Conclave» spiegò Hodge

«con grande zelo…»«Non così tanto» disse Jace «visto

che non sapevano neppure se era ancoraviva.»

« È probabile che per scompariresia stata aiutata da uno stregone. Di

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solito, per i Cacciatori, non è cosìfacile sfuggire al Conclave. » Non viera alcuna emozione nella voce diGeremia, non sembrava approvare nédi-sapprovare le azioni di Jocelyn.

«C’è una cosa che non capisco»disse Clary. «Perché Valentine pensa chemia mamma abbia la Coppa Mortale? Sesi è data tanto da fare per scomparire,come dite voi, perché se la sarebbeportata dietro?»

«Per impedire che se neimpadronisse lui» disse Hodge. «Lei sapiù di chiunque altro cosa succederebbese Valentine mettesse le mani sullaCoppa. Credo che non si sia fidata dilasciarla al Conclave. Non dopo che

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Valentine gliel’aveva già sottratta unavolta.»

«Sarà…» Clary sembravadecisamente perplessa. Tutta quellafaccenda le sembrava improbabile.Provò a immaginare sua madre chefuggiva nelle tenebre con una grandecoppa d’oro nascosta sotto la salopette,e non ci riuscì.

«Jocelyn ha abbandonato il maritoprima della fine» disse Hodge. «Ed èprobabile che abbia fatto in modo dievitare che la Coppa finisse nelle suemani. Anche il Conclave avrebbepensato che ce l’aveva lei, se avessesaputo che era ancora viva.»

«Mi sembra» disse Clary con un

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tono pungente «che tutti quelli che ilConclave pensa siano morti non lo sonomai per davvero. Forse dovrebbeassumere un bravo medico legale.»

«Mio padre è morto» disse Jace conlo stesso tono. «E non ho bisogno cheme lo dica un medico legale.»

Clary si voltò verso di luiesasperata. «Scusa, non volevo…»

« Basta così» la interruppe FratelloGeremia. « C’è una verità da appren-dere, ora, se avrai la pazienza diascoltarla. »

Con un gesto veloce sollevò le manie si scostò il cappuccio dal volto.

Clary si scordò immediatamente diJace e dovette lottare contro l’impulso

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di urlare. La testa dell’archivista eracalva, liscia e bianca come un uovo, condue cavità buie dove un tempo c’eranogli occhi. Le sue labbra eranoattraversate da un intreccio di lineescure che assomigliavano a punti di su-tura. Ora Clary comprese cosa intendevaAlec quando aveva parlato di mu-tilazioni.

« I Fratelli della Città Silente nonmentono» disse Geremia. « Se vuoi laverità da me, la avrai, ma ti chiederò difare lo stesso con me. »

Clary sollevò il mento. «Nemmenoio sono una bugiarda.»

« La mente non può mentire. »Geremia le si avvicinò. « E io voglio i

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tuoi ricordi. »L’odore di sangue e inchiostro era

soffocante. Clary sentì un’ondata dipanico. «Aspetta…»

«Clary.» Era Hodge. Il suo tono divoce era molto gentile. «È moltoprobabile che ci siano dei ricordi chehai sepolto o represso, ricordi risalen-tia quando eri troppo giovane per avernememoria in modo consapevole.

Ma Fratello Geremia li puòraggiungere. Potrebbero esserci digrande aiuto.»

Lei non disse nulla e si mordicchiòl’interno del labbro. Detestava l’ideache qualcuno le potesse frugare nellatesta e toccare ricordi tanto privati e

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nascosti che neppure lei potevaraggiungere.

«Clary non deve fare niente che nonvoglia fare» disse all’improvviso Jace.«Vero?»

Clary intervenne prima che Hodgepotesse replicare. «Va bene. Lo fa-rò.»

Fratello Geremia annuì e le siavvicinò in modo così silenzioso che lediede i brividi. «Farà male?» sussurròla ragazza.

Lui non rispose, ma le sue manibianche affusolate si sollevarono a toc-carle il volto. La pelle delle dita erasottile come pergamena e coperta dirune. Clary poteva percepire il loropotere, che vibrava come elettricità

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statica a pungerle la pelle. Chiuse gliocchi, non prima di aver coltoun’espressione ansiosa sul volto diHodge.

Un vortice di colori si scatenò dietrole sue palpebre chiuse. Sentì una speciedi pressione, come se qualcosa le tirassela testa, le mani e i piedi.

Strinse i pugni e cercò di opporsi aquel peso, a quell’oscurità. Si sentivacome se venisse spinta contro qualcosadi duro e inamovibile, come se venisseschiacciata molto lentamente. Ebbe unsussulto, e all’improvviso sentì freddo,come in una giornata d’inverno. In unlampo vide una strada gelata, edificigrigi che incombevano su di lei,

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un’esplosione di bianco che le pungevagelidamente il volto…

«Basta così.» La voce di Jace laceròla coltre di gelo invernale e la nevescomparve in una spruzzata di scintillebianche. Clary spalancò gli occhi.

Lentamente la biblioteca tornò afuoco: le pareti costellate di libri, la lu-ce fioca che filtrava dall’esterno, i voltiansiosi di Hodge e Jace. FratelloGeremia era immobile come un idoloscolpito nell’avorio e decorato coninchiostro rosso. Clary sentìall’improvviso un dolore acuto allemani, abbassò lo sguardo e vide cheaveva delle lineette rosse nella pelle deipalmi, dove aveva affondato le unghie.

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«Jace» disse Hodge conriprovazione.

«Guarda le sue mani.» Jace indicòClary, che chiuse le dita per coprire ipalmi feriti.

Hodge le appoggiò una mano sullaspalla. «Tutto bene?»

La ragazza annuì lentamente. Quelpeso terribile era scomparso, ma sentivaancora il sudore che le inzuppava icapelli e scendeva sotto la camicia,lungo la schiena.

« C’è un blocco nella tua mente»disse Fratello Geremia. « I tuoi ricordinon possono essere raggiunti. »

«Un blocco?» gli fece eco Jace.«Vuoi dire che ha represso i suoi

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ricordi?»« No. Voglio dire che sono stati

bloccati con un incantesimo. Io nonposso entrare. Dovrà venire alla Cittàdi Ossa e comparire di fronte allaFratellanza. »

«Un incantesimo?» disse Claryincredula. «E chi mi avrebbe fatto unincantesimo?»

Nessuno le rispose. Jace guardò ilsuo tutore. Era sorprendentementepallido, pensò Clary, considerando cheera stata un’idea sua. «Hodge, Clary nonè costretta ad andare se…»

«Va bene.» Clary prese un respiroprofondo. Le facevano male i palmidelle mani e aveva una gran voglia di

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stendersi al buio a riposare. «Ci an-drò.Voglio sapere la verità. Voglio saperecos’ho nella testa.»

Jace annuì brevemente. «Alloraverrò con te.»

Lasciare l’Istituto fu come entrare inuna sacca di stoffa calda e bagnata.

L’umidità opprimeva la cittàtrasformando l’aria in una zuppa tetra.

«Non capisco perché non partiamoinsieme a Fratello Geremia» borbottòClary. Erano fermi all’angolo fuoridall’Istituto. Le strade erano deserte, aeccezione di un camion dell’immondiziache caracollava giù per l’isolato.

«Cos’è, si vergogna di farsi vederein giro con dei Cacciatori?»

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«I Fratelli sono Cacciatori» precisòJace. In qualche modo riusciva aconservare la sua aria da figo anche conquel caldo, il che fece venire a Clary lavoglia di tirargli un pugno.

«Immagino sia andato a prendere lasua auto, vero?» chiese sarcastica.

Jace sorrise. «Qualcosa del genere.»Clary scosse il capo. «Sai, mi

sentirei molto meglio se Hodge fossecon noi.»

«Non ti basto io come guardia delcorpo?»

«Non è di una guardia del corpo cheho bisogno adesso, ma di qualcuno chemi aiuti a pensare.» Si portò una manoalla bocca come se si fosse ricordata

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qualcosa all’improvviso. «Oh…Simon!»

«No, sono Jace» Jace finse dispazientirsi. «Simon è quello sfigato conla faccia da furetto, i capelli orrendi eun gusto per l’abbigliamento davveroimbarazzante.»

«Piantala» rispose Clary, ma erastata una reazione automatica più chesentita. «Volevo chiamarlo, prima diandare a dormire, per vedere se eraarrivato a casa sano e salvo.»

Jace scosse il capo e levò gli occhial cielo come se potesse aprirsi e sve-largli i segreti dell’universo. «Con tuttoquel che sta succedendo tu ti preoccupidi Faccia da Furetto?»

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«Non chiamarlo così. Nonassomiglia a un furetto.»

«Forse hai ragione» disse Jace. «Miè capitato di vedere dei furetti che nonerano male. Lui sembra più un topo.»

«Non…»«Probabilmente è a casa sdraiato in

una pozzanghera di bava. Aspetta soloche Isabelle si stanchi di lui e dovrairaccogliere i suoi pezzi con ilcucchiaino.»

«Ed è probabile che succeda?»chiese Clary.

Jace ci pensò sopra un momento.«Sì» disse.

Clary si chiese se Isabelle non fossepiù sensibile di quanto credesse Ja-ce.

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Forse avrebbe capito che tipo fantasticoera Simon, quanto era divertente,intelligente, affettuoso. Forse avrebberoiniziato a uscire insieme.

L’idea la riempì di un imprecisatoorrore.

Persa nei suoi pensieri, ci mise unpo’ a rendersi conto che Jace le stavadicendo qualcosa. Quando lo guardò,vide un sorriso sarcastico dipinto sulsuo volto. «Cosa c’è?» gli chiesesgarbata.

«Vorrei che la smettessi di cercaredisperatamente di attirare la miaattenzione in questo modo» disse lui.«Sta diventando imbarazzante.»

«Il sarcasmo è l’ultimo rifugio di chi

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ha finito tutte le altre idee» rispose lei.«Non posso farci niente. Uso il

sarcasmo per nascondere il mio doloreinteriore.»

«Il tuo dolore tra poco diventeràesteriore se non sali sul marciapiede.

Stai cercando di farti investire da untaxi?»

«Non essere ridicola» disse lui. «Losanno tutti che è impossibile trovare untaxi a quest’ora nell’Upper East Side.»

Come in risposta a quella frase,un’auto nera e affusolata, coi vetrioscurati, si avvicinò al marciapiede e sifermò davanti a Jace col motore chefaceva le fusa. Era lunga, stretta e bassacome una limousine, e i finestrini erano

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curvati verso l’esterno in modo curioso.Jace rivolse a Clary un’occhiata di

traverso: nel suo sguardo c’eradivertimento, ma anche una certaurgenza. Clary si voltò di nuovo versol’auto, lasciò che il suo sguardo sirilassasse, affinché la forza di ciò cheera reale trapassasse il velodell’incantesimo.

Ora l’auto sembrava la carrozza diCenerentola, solo che invece che esseredorata, rosa e blu come un uovo diPasqua, era nera come velluto, ifinestrini schermati. Le ruote erano nere,gli interni in pelle nera. Sul sedile dimetallo nero del conducente era sedutoFratello Geremia, che stringeva delle

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briglie nelle mani inguantate. Il suovolto era nascosto dal cappuccio delmantello color pergamena. All’estremitàopposta delle briglie c’erano due cavallineri come il petrolio che sbuffavano escalpitavano.

«Entra» disse Jace. Dato che Claryse ne stava immobile a bocca aperta, leprese un braccio e la sospinsedelicatamente attraverso la portieraaperta, salendo dietro di lei. La carrozzainiziò a muoversi prima che Jace avessechiuso lo sportello dietro di sé. Poiricadde sul sedile morbido e lucido eguardò Clary. «Una carrozza personaleper la Città di Ossa non è una cosa dasnobbare.»

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«Non la stavo snobbando. Ero solosorpresa. Non mi aspettavo… Vogliodire… Pensavo fosse un’auto.»

«Rilassati» disse Jace «e goditiquesto profumo di carrozza nuova.»

Clary levò gli occhi al cielo e sivoltò per guardare fuori dal finestrino.

Si aspettava che una carrozzatrainata da cavalli non se la potessecavare tanto bene nel traffico diManhattan, invece stava procedendotranquillamente verso Downtown,silenziosa in mezzo al ringhiare di taxi,autobus e Suv che soffocava il viale. Difronte a loro, un taxi cambiò corsia,tagliando la strada alla carrozza ebloccandole il passo. Clary si irrigidì,

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preoccupata per i cavalli… ma poi lacarrozza fece un balzo e loro saltaronolegge-rissimi sopra il taxi. Clary soffocòun sussulto. La carrozza, anziché restarea terra, seguì i cavalli, veleggiandolieve e silenziosa sopra il tettuccio deltaxi per ridiscendere dall’altro lato.Clary si guardò alle spalle mentre toc-cavano di nuovo terra: il tassista stavafumando, guardava dritto davanti a sé,ed evidentemente non aveva notato nulladi strano. «Ho sempre pensato che itassisti non prestassero molta attenzioneal traffico, ma questo è grot-tesco»farfugliò.

«Solo perché adesso puoi vedere aldi là degli incantesimi…» Jace lasciò

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che la fine della frase restasse sospesanell’aria.

«Riesco a farlo solo quando miconcentro» disse lei. «Ma mi fa un po’

male la testa.»«Scommetto che è per il tuo blocco

mentale. Se ne occuperanno i Fratelli.»«E poi?»«E poi tutto apparirà com’è:

infinito» disse Jace con un sorrisoamaro.

«Questa l’hai copiata da WilliamBlake.»

Il sorriso di Jace si addolcì un po’.«Non pensavo che l’avresti ricono-sciuta. Non hai l’aria di una che leggemolta poesia.»

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« Se le porte della percezionefossero ripulite, tutto apparirebbeall’uomo come realmente è: infinito»recitò Clary. «Questi versi li conosconotutti, grazie ai Doors.»

Jace le rivolse uno sguardoinespressivo.

«I Doors. Erano un gruppo rock»spiegò Clary.

«Se lo dici tu.»«Immagino tu non abbia molto tempo

per ascoltare musica» disse Clarypensando a Simon, per cui la musica eratutta la vita. «Con il tuo lavoro e tuttoquanto…»

Lui alzò le spalle. «Soltanto qualchelamento di dannati di tanto in tanto.»

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Clary lo guardò immediatamente percapire se scherzasse, ma l’espressionedi Jace era impenetrabile. «Ieri peròall’Istituto stavi suonando il piano…»

La carrozza fece un altro salto. Clarysi afferrò al bordo del sedile e guardòfuori: stavano passando sopra a unautobus. Da quel punto vedeva i pianisuperiori dei vecchi palazzi checosteggiavano il viale, decorati conelaborati doccioni e bassorilievi.

«Stavo solo strimpellando» disseJace senza guardarla. «Mio padre havoluto che imparassi a suonare unostrumento.»

«Doveva essere uno severo, tuopadre.»

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Il tono di Jace si fece secco. «Perniente. Mi viziava. Mi ha insegnato ditutto: uso delle armi, demonologia,scienze arcane, lingue antiche. Mi davatutto quello che volevo. Cavalli, armi,libri, anche un falco da caccia.»

Ma le armi e i libri non sonoesattamente quello che la maggiorparte dei bambini vuole per Natale,pensò Clary mentre la carrozza toccavadi nuovo l’asfalto. «Perché non hai dettoa Hodge che conoscevi gli uomini cheerano con Luke?» gli chiese. «E chesapevi che erano quelli che uccisero tuopadre?»

Jace si guardò le mani. Erano maniaffusolate e agili, le mani di un artista,

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non di un guerriero. L’anello che avevagià notato in precedenza lampeggiò alsuo dito. Aveva sempre pensato che cifosse qualcosa di femminile, in unragazzo che porta un anello, ma non eracosì. Era un anello massiccio edall’aspetto pesante, di un argento scuro,come brunito, con delle stelle incisetutt’attorno a una lettera, la W. «Perchése lo avessi fatto» rispose Jace «orasaprebbe che voglio uccidere Valentine.E non mi permet-terebbe mai diprovarci.»

«Vuoi dire che vuoi ucciderlo pervendicarti?»

«Per fare giustizia» la corresse Jace.«Non ho mai saputo che avesse ucciso

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mio padre. Ora lo so. È la miaoccasione di pareggiare i conti.»

Clary non capiva come uccidere unapersona potesse pareggiare la morte diun’altra, ma sentì che dirlo non sarebbeservito a nulla. «Ma tu sapevi chi l’haucciso» disse invece. «Sono stati quegliuomini. Hai detto che…»

Jace non la stava guardando, cosìClary lasciò che la sua voce sfumasse.

Stavano attraversando Astor Place,evitando per un soffio un tram violadella New York University. I pedoni dipassaggio sembravano schiacciati alsuolo dall’umidità come insetti infilzatiin una bacheca. Gruppi di senza-tetto sene stavano attorno al basamento di una

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grande statua di ottone, di fronte deicartelli di cartone con le loro richiestedi elemosina. Clary vide una ragazzaall’incirca della sua età con la testacompletamente rasata, appoggiata a unragazzo con la pelle scura, i capelli darasta e la faccia ador-na di decine dipiercing. Il ragazzo si voltò al passaggiodella carrozza, come se potesse vederla,e Clary colse un luccichio nel suosguardo. Uno dei suoi occhi era spento,come se non avesse la pupilla.

«Avevo dieci anni» disse Jace.Clary si voltò a guardarlo. Era privo diespressione. Quando parlava di suopadre sembrava che il colore gli fug-gisse via dal volto. «Vivevamo in una

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tenuta in campagna. Mio padre dicevasempre che era più sicuro starsenelontani dalla gente. Li sentii arrivare nelvialetto e andai a dirglielo. Lui mi dissedi nascondermi e io mi nascosi. Sotto lescale. Vidi quegli uomini entrare. Conloro c’erano altri.

Non uomini. Guerrieri Dimenticati.Sconfissero mio padre e gli tagliarono lagola. Il sangue schizzò sul muro alle suespalle. Disegnò una specie di ventaglio.Ricordo che pensai proprio così.»

Clary ci mise un istante a capire cheaveva finito di parlare, e un altro istantea trovare la voce. «Mi dispiace, Jace.»

Gli occhi del ragazzo brillavano nelbuio. «Non capisco perché i mondani si

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scusino sempre per cose delle quali nonhanno colpa.»

«Non mi sto scusando. È solo unmodo per… per esserti vicina. Per direche mi dispiace che tu sia infelice.»

«Non sono infelice» disse lui. «Solole persone che non hanno uno scoposono infelici. Io ce l’ho.»

«Vuoi dire uccidere demoni ovendicare la morte di tuo padre?» chieseClary.

«Entrambe le cose.»«Pensi che tuo padre vorrebbe

davvero che tu uccidessi quei due? Pervendetta? Sono esseri umani, nondemoni.»

«Un Cacciatore che uccide uno dei

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suoi fratelli è peggio di un demone edeve essere abbattuto come si fa coidemoni» disse Jace. Sembrava stessecitando un manuale a memoria.

«Ma i demoni sono tutti cattivi?»chiese lei. «Voglio dire, se non tutti ivampiri sono cattivi, e nemmeno tutti ilupi mannari, forse…»

Jace si voltò verso di lei conun’espressione esasperata. «Non èaffatto la stessa cosa. I vampiri, i lupimannari e gli stregoni sono in parteumani.

Fanno parte di questo mondo, cisono nati. Vi appartengono. I demoniinvece arrivano da altri mondi. Sonoparassiti interdimensionali. Arrivano in

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un mondo e lo consumano. Non sannocostruire, solo distruggere… Non sannocreare, solo usare. Prosciugano un postofino a ridurlo in cenere, e quando èmorto passano a quello successivo. È lavita, quello che vogliono… non solo latua o la mia, ma tutta la vita di questomondo, i suoi fiumi, le sue città, i suoioceani, tutto. E l’unica cosa che sifrappone tra loro e la distruzione di tuttoquesto…» Indicò il finestrino dellacarrozza, muovendo la mano come aindicare tutto ciò che la città conteneva,dai grattacieli del centro agli ingorghistradali di Houston Street «… sono iNephilim.»

«Oh» disse Clary. Non sembrava

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esserci molto altro da aggiungere.«Quanti mondi esistono?»«Non lo sa nessuno. Centinaia?

Milioni, forse.»«E sono tutti… mondi morti?

Consumati?» Clary sentì una stretta allostomaco, anche se forse era solamentel’effetto del salto che la carrozza stavacompiendo sopra una Mini viola. «Ècosì triste…»

«Non ho detto questo.» La lucearancione scuro della foschia cittadinaentrava dal finestrino, mettendo inevidenza il suo profilo affilato.«Probabilmente ci sono altri mondi vivicome il nostro. Ma solo i demonipossono viaggiare tra i mondi, forse

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perché sono in parte incorporei, anchese nessuno sa esattamente come. Moltistregoni ci hanno provato, ma non ha maifunzionato. Niente che appartenga allaTerra può superare le barriere tra imondi. Se potessimo farlo» aggiunse«potremmo tentare di bloccare l’arrivodei demoni, ma nessuno c’è mai riuscito.In effetti arrivano sempre più demoni. Inpassato c’erano solamente piccoleinvasioni e contenerle non era difficile.Ma all’incirca da quando sono nato io, idemoni che oltrepas-sano i confini dellaTerra sono sempre più numerosi. IlConclave deve continuare a mandareShadowhunters ovunque, e spesso nonritornano.»

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«Ma se aveste la Coppa Mortalepotreste crearne degli altri, giusto? Altricacciatori di demoni?» chiese incertaClary.

«Certo» disse Jace. «Ma sonodiversi anni ormai che non l’abbiamopiù, e molti di noi muoiono giovani.Così i nostri ranghi si assottiglianosempre di più.»

«Ma voi non… ehm…» Clary cercòla parola giusta. «… non vi riprodu-cete?»

Jace scoppiò a ridere, propriomentre la carrozza svoltava bruscamentea sinistra. Il ragazzo riuscì ad afferrarsial sedile, ma Clary fu sbalzata contro dilui. Jace la afferrò. Le sue mani la

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tenevano delicatamente ma saldamente.Lei, prima di ritrarsi, sentì la pressionefredda del suo anello come una scheggiadi ghiaccio sulla propria pelle sudata.«Certo» disse Jace. «Ci piace un saccoriprodurci. È una delle nostre attivitàpreferite.»

Clary si allontanò da lui con il voltoin fiamme. «Sono contenta per voi»

borbottò, voltandosi a guardare fuoridal finestrino. Stavano passando sotto unmassiccio ponte di ferro battuto.

«Eccoci» annunciò Jace, mentre ilfrusciò regolare delle ruote sull’asfaltocedeva il passo ai sobbalzidell’acciottolato. Clary intravide delleparole scritte sull’arco sotto il quale

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stavano passando: CIMITERO MONU-MENTALE DI NEW YORK CITY.

«Ma non ci sono cimiteri, a NewYork» disse. Stavano percorrendo unvicolo stretto fra due alte pareti dipietra. «Hanno smesso di seppellire lagente qui un secolo fa perché non c’erapiù spazio.»

«La Città di Ossa si trova qui damolto più tempo.» La carrozza si fermòall’improvviso. Clary fece un salto,quando Jace allungò una mano, ma vi-deche si stava solo sporgendo per aprire losportello dal suo lato. Il braccio di Jaceera muscoloso e coperto da peli doratileggeri come polline.

«Non si può scegliere, vero?» gli

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chiese all’improvviso. «Se essere unCacciatore, dico. Non si può rifiutare?»

«No» disse lui. Lo sportello si aprì,lasciando entrare una folata d’aria afosa.La carrozza si era fermata su un grandeprato quadrato, circondato da pareti dimarmo coperte di muschio. «Comunque,se potessi scegliere, sceglierei questo.»

«Perché?» domandò Clary.Lui sollevò un sopracciglio, il che

rese particolarmente invidiosa laragazza. Aveva sempre desiderato essercapace di farlo. «Perché» disse Jace

«è la cosa che mi riesce meglio.»Saltò giù dalla carrozza. Clary si

spostò sul bordo del sedile e fececiondolare fuori le gambe. Era un bel

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salto, fino all’acciottolato. Saltò.L’impatto le fece un po’ male ai piedi,ma non cadde. Si voltò trionfante e videche Jace la guardava. «Ti avrei aiutataio a scendere» le disse.

Lei socchiuse gli occhi. «Non c’èproblema. Non era necessario.»

Lui si guardò alle spalle. FratelloGeremia stava scendendo dal sedile delconducente in un vortice silenzioso distoffa nera. Non proiettava alcuna ombrasull’erba cotta dal sole. Jace abbassò lamano mentre l’archivista si avvicinava.

« Venite» disse Fratello Geremia. Siallontanò come scivolando dallacarrozza e dalle luci confortanti della2nd Avenue alle sue spalle, per dirigersi

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verso il centro oscuro del giardino. Eraevidente che si aspettava che lo se-guissero.

L’erba era secca e scricchiolavasotto i loro piedi, i muri di marmo liscie perlacei al chiaro di luna. C’eranodelle date e dei nomi incisi nella pietra:PHELPS, ELLSWORTH, HALL. Claryimpiegò un istante a capire che eranolapidi. Un brivido le corse lungo laschiena. Dov’erano i corpi? Dentro lepareti, sepolti in piedi, come se fosserostati murati vivi?

Dimenticò di guardare dove stavamettendo i piedi. Quando andò a sbatterecontro qualcosa di inequivocabilmentevivo, lanciò un urlo.

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Era Jace. «Non strillare a quelmodo. Sveglierai i morti.»

Lei gli fece una smorfia. «Perché cisiamo fermati?»

Jace indicò Fratello Geremia, che siera bloccato davanti a una statua appenapiù alta di lui, la base coperta dimuschio. Era un angelo. Il marmo eracosì liscio da sembrare trasparente. Ilvolto dell’angelo era insieme feroce,bellissimo e triste. Nelle sue lunghemani bianche, stringeva una coppa con ilbordo tempestato di gioielli. Qualcosa,in quella statua, solleticava la memoriadi Clary con inquietante familiarità.C’era una data incisa sul basamento,1234, e attorno a essa le parole:

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NEPHILIM: FACILISDESCENSUS AVERNI. «Quella

sarebbe la Coppa Mortale?» chieseClary.

Jace annuì. «E quello è il motto deiNephilim… dei Cacciatori.»

«Cosa vuol dire?»Il sorriso di Jace fu un lampo bianco

nell’oscurità. «Significa “Cacciatori:strafighi in nero dal 1234”.»

«Jace…»« Significa» disse Geremia « “La

discesa all’Inferno è facile”. »«Carino» disse Clary. La sua pelle

fu percorsa da un brivido, nonostante ilcaldo.

«È uno scherzetto dei Fratelli, quella

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scritta» aggiunse Jace. «Vedrai.»Clary guardò Fratello Geremia.

Aveva estratto uno stilo lievementeluminoso da una tasca interna dellatunica, e con la punta disegnò una runasulla base della statua. La boccadell’angelo di pietra si spalancòall’improvviso in un urlo silenzioso equesta volta Clary emise un gridosoffocato di raccapriccio. Fece un passoindietro, mentre una nera cavità siapriva nella terra erbosa ai piedi diGeremia. Sembrava una tombascoperchiata.

Si avvicinò lentamente al bordo esbirciò dentro. Dei gradini di granitoscendevano nella fossa, i bordi consunti

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dagli anni. A intervalli regolari c’eranodelle torce che mandavano luci colorverde e blu ghiaccio. Il fondo dellescale si perdeva nell’oscurità.

Jace iniziò a scendere con latranquillità di chi trova una situazionefamiliare, anche se non del tuttogradevole. Non aveva ancora raggiuntola prima torcia quando si voltò e sollevòlo sguardo su Clary. «Vieni» disseimpaziente.

Clary aveva appena messo piede sulprimo gradino quando si sentì stringereil braccio in una morsa gelida. Alzò losguardo sbalordita. Fratello Geremia lateneva per un polso, le sue dita bianchee fredde che le affondavano nella pelle.

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Clary vide il bagliore ossuto del suovolto devastato oltre l’orlo delcappuccio.

« Non temere» disse la voce diGeremia dentro la testa della ragazza. «Ci vuol molto più di un urlo umano persvegliare questi morti. »

Quando le lasciò il braccio, Clary siaffrettò giù per le scale all’inseguimentodi Jace, col cuore che le martellava nelpetto. La stava aspettando ai piedi dellescale. Aveva preso una delle torce dalsuo anello e la teneva all’altezza degliocchi. Quel fuoco dava una sfumaturaverde alla sua pelle e offuscava ilcolore dei suoi occhi. «Tutto bene?»

Clary annuì. Non osava parlare. Le

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scale terminavano in una sorta dipianerottolo: davanti a loro si allungavaun tunnel, lungo e nero, venato dalleradici ricurve degli alberi. Una fiocaluce bluastra era visibile in fondo. «Ècosì… buio» disse Clary con un filo divoce.

«Vuoi che ti tenga la mano?»Clary si portò entrambe le mani

dietro la schiena, come una bambina.«Piantala di guardarmi dall’alto in

basso.»«Be’, sarebbe difficile fare il

contrario. Sei un tale tappo…» Jaceguardò al di là di Clary. Dalla torciapiovevano scintille a ogni suomovimento.

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«Non c’è bisogno di fare cerimonie,Fratello Geremia» disse. «Vai avanti tu.Noi ti seguiamo.»

Clary fece un salto e si guardò allespalle: non era ancora abituata aimovimenti silenziosi dell’archivista.Fratello Geremia si spostò senzaprodurre alcun suono dal punto in cui siera fermato, dietro di lei, e si incamminòlungo il tunnel. Dopo un istante Clary loseguì, spostando con uno schiaffo lamano tesa di Jace.

La prima visione che Clary ebbedella Città Silente fu quella di file e filedi alti archi di marmo che si perdevanoin lontananza come i filari ordinati di unfrutteto spogliato dal freddo invernale. Il

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marmo, duro e lucido, era di un coloreavorio cinereo, e a tratti vi eranoincastonate sottili strisce di onice,diaspro e giada. Mentre si allontanavanodal tunnel per addentrarsi in quellaforesta d’archi, Clary notò che ilpavimento era coperto delle stesse runeche decoravano la pelle di Jace, conlinee, vortici e spirali.

Quando passarono sotto il primoarco, la ragazza vide qualcosa di grossoe bianco che incombeva sulla sinistra,come un iceberg a prua del Titanic.

Era un blocco di pietra bianca,liscio e squadrato, con una specie diporta incassata nella parete frontale. Lericordava una casetta da gioco per i

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bambini, alta poco meno di lei.«È un mausoleo» disse Jace

illuminandolo con la torcia. Clary notòche sulla porta, chiusa da chiavistelli diferro, era incisa una runa. «Una tomba.

Noi seppelliamo qui i nostri morti.»«Tutti i vostri morti?» chiese lei, che

avrebbe voluto domandargli se anchesuo padre era sepolto lì. Ma Jace si eragià allontanato. Clary lo rincorse: nonvoleva restare sola con FratelloGeremia in quel posto spaventoso.

«Credevo avessi detto che era unabiblioteca.»

« Vi sono molti livelli nella CittàSilente» intervenne Geremia alle suespalle. « E non tutti i morti vengono

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sepolti qui. Abbiamo un altro ossario aIdris, naturalmente, molto più grandedi questo. Ma su questo livello ci sono imausolei e i crematori. »

«I crematori?»«Chi muore in battaglia viene

cremato e le sue ceneri vengono usateper costruire gli archi di marmo chevedi qui. Il sangue e le ossa degliShadowhunters sono una potente difesacontro il male. Anche da morti, i membridel Conclave servono la causa.»

Che condanna, pensò Clary colpitada un’improvvisa tristezza. Combatteretutta la vita e poi dover continuare afarlo anche da morti. Con la co-dadell’occhio vide i mausolei bianchi che

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sorgevano su due lati, in file or-dinate,con le porte chiuse dall’esterno. Oracapiva perché la chiamavano CittàSilente: i suoi unici abitanti erano iFratelli Silenti e i morti ai quali iFratelli facevano la guardia.

I tre raggiunsero un’altra scala chescendeva nel crepuscolo: Jace protese latorcia davanti a sé, disegnando delleombre sulle pareti. «Ora scendere-mo alsecondo livello, dove si trovano gliArchivi e le Sale del Consiglio»

disse come per rassicurarla.«E dove vivono i Fratelli?» chiese

Clary, un po’ per educazione e un po’per curiosità. «Dove dormono?»«Dormire?»

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Quella parola fluttuò nell’aria inmezzo a loro. Jace rise piano e lafiamma della sua torcia tremò. «Doveviproprio chiederlo, eh?» disse.

Ai piedi delle scale c’era un altrotunnel, che alla fine si allargava in unpadiglione quadrato i cui angoli eranosegnati da alte guglie di osso intagliato.Alcune torce bruciavano dentro anelli dionice lungo i lati del quadrato e l’ariaodorava di cenere e fumo. Al centro delpadiglione c’era un lungo tavolo dibasalto nero venato di bianco. Al tavolosedevano in fila alcuni Fratelli Silenti,tutti avvolti e incappucciati nella stessastoffa color pergamena di Geremia.

Geremia non perse tempo. « Siamo

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arrivati. Clarissa, presentati alConsiglio. »

Clary guardò Jace, che però stavasbattendo gli occhi, confuso.Evidentemente Fratello Geremia avevaparlato solo dentro la sua testa. Claryguardò il tavolo e la lunga fila di figuresilenziose avvolte nei loro pesantimantelli. Il pavimento del padiglione eracomposto da una scacchiera di quadratidi colore oro scuro e di un rosso ancorapiù fosco. Esattamente di fronte altavolo c’era un quadrato più grandedegli altri, in marmo nero, sul qualeerano incise a sbalzo delle stelled’argento.

Clary si mise al centro del quadrato

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nero come se si trovasse di fronte a unplotone d’esecuzione. Sollevò il capo.«Va bene» disse. «E adesso?»

I Fratelli produssero un suono, unsuono che fece sollevare i peli dellanuca e delle braccia di Clary. Era unavia di mezzo tra un sospiro e ungrugnito. All’unisono, sollevarono lemani e abbassarono i cappucci,esponen-do i volti devastati e le orbitevuote.

Anche se aveva già visto il voltoscoperto di Fratello Geremia, lostomaco di Clary si chiuse di colpo. Eracome guardare una fila di scheletri cheprendevano vita, come in una di quellexilografie medioevali in cui i morti

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camminavano, parlavano e danzavanosopra cataste di corpi vivi. Le bocchecucite dei Fratelli sembravanosogghignare.

« Il Consiglio ti dà il benvenuto,Clarissa Fray» sentì, e quella dentro lasua testa non era una voce silenziosa, mauna dozzina di voci, alcune basse eroche, altre più levigate e monotone, matutte autoritarie e insistenti nel forzare lefragili barriere della sua mente.

«Fermatevi» disse Clary. E con suogrande stupore la sua voce risuonòferma e forte. Il vociare nella sua testa siinterruppe all’improvviso, come undisco che avesse smesso di girare.«Potete entrare nella mia testa» disse.

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«Ma solo quando sarò pronta.»« Sei tu che hai chiesto il nostro

aiuto. Non abbiamo chiesto noi il tuo. »«Be’, scommetto che però anche voi

volete sapere cosa c’è nella mia mente»replicò Clary.

Il Fratello seduto al centro deltavolo si portò un dito bianco eaffusolato sotto il mento. « È unrompicapo interessante, in effetti»ammise, e la voce nella testa di Clarysuonò aspra e indifferente. « Ma non cisarà alcun bisogno di usare la forza, senon opporrai resistenza. »

Clary strinse i denti. Avrebbe volutoresistere, strapparsi via quelle vociinvadenti dalla testa. Restare lì e

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permettere una simile violazione dellasua essenza più intima e personale…

Ma era decisamente probabile chequesto fosse già successo, si disse.

Quello che ora la aspettava erasemplicemente fare luce su un criminedel passato, il furto della sua memoria.Se avesse funzionato, ciò che le era statosottratto sarebbe tornato al suo posto.Chiuse gli occhi.

«Procedete» disse.Il primo contatto fu un sussurro nella

sua testa, delicato come il movimento diuna foglia che cade. « Dichiara il tuonome alla Fratellanza. »

«Clarissa Fray.»Alla prima voce se ne unirono altre.

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« Chi sei? »«Sono Clary. Mia madre è Jocelyn

Fray. Vivo all‘807 di Berkeley Place, aBrooklyn. Ho sedici anni. Il nome di miopadre era…»

La sua mente parve scattare come unelastico e Clary iniziò a turbinaresilenziosamente in un vortice diimmagini proiettate all’interno delle suepalpebre chiuse. Sua madre camminavavelocemente insieme a lei lungo unastrada buia tra cumuli di neve sporca.Un cielo basso, grigio e plum-beo, filedi alberi spogli e neri. Un rettangolovuoto scavato nella terra.

Una bara vi viene calata. Cenerealla cenere. Jocelyn avvolta nella sua

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tra-punta patchwork, lacrime che lerigano le guance, chiude velocementeuna scatola e la infila sotto il cuscinoquando Clary entra nella stanza. Claryvede le iniziali sulla scatola: J.C.

Le immagini accelerarono, come lepagine di uno di quei libri i cui disegnisembrano muoversi, quando li sfogli.Clary era in piedi, in cima a una rampadi scale, e guardava lungo uno strettocorridoio, e c’era di nuovo Luke, laborsa di stoffa verde ai suoi piedi.Jocelyn era di fronte a lui e scuoteva ilcapo: «Perché adesso, Lucian? Pensavofossi morto…» Clary batté gli occhi.Luke sembrava diverso, quasi unestraneo, con la barba, i capelli lunghi e

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arruffati… E poi dei rami le bloccaronola vista, ed era di nuovo al parco, e fateverdi, piccole come stuzzicadenti,ronzavano attorno ai fiori rossi.Affascinata, allungò una mano perafferrarne una e sua madre la prese inbraccio con un urlo di terrore. Poi era dinuovo inverno nella strada nera estavano camminando in fretta, strettesotto l’ombrello, con Jocelyn che un po’spingeva e un po’ tirava Clary, tra icumuli di neve che incombevano su diloro. Una porta di granito uscì da tuttoquel biancore.

C’era una parola incisa sopra laporta. IL MAGNIFICO. Poi si ritrovò inun ingresso che odorava di ferro e neve

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mezza sciolta. Le sue dita erano in-torpidite dal freddo. Una mano sotto ilsuo mento le fece sollevare lo sguardo.Vide una fila di parole scarabocchiatelungo la parete. Due parole le balzaronoaddosso, come incidendosi a fuoco neisuoi occhi: MAGNUS

BANE.Un dolore improvviso le trafisse il

braccio destro. Urlò, mentre le immaginisi allontanavano e lei cadeva in avanti,infrangendo la superficie dellacoscienza come un tuffatore che spezzaun’onda. Qualcosa di freddo le premevacontro una guancia. Aprì gli occhi e videdelle stelle argentate.

Sbatté un paio di volte le palpebre

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prima di rendersi conto di essere sulpavimento di marmo, le ginocchia stretteal petto. Quando si mosse, un dolorebruciante le attraversò il braccio.

Si mise a sedere con grande cautela.Il gomito sinistro aveva un taglio chesanguinava. Doveva esserci atterratasopra quando era caduta. C’era delsangue, sulla camicia. Si guardò attorno,disorientata, e vide Jace che la fissava,immobile e bianchissimo attorno allabocca.

Magnus Bane. Quelle parolesignificavano qualcosa, ma cosa?Prima che potesse dare voce a quelladomanda, il più alto dei Fratelli lainterruppe. Ora che era dentro la sua

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testa, Clary lo riconobbe, era FratelloGeremia.

« Il tuo blocco mentale è piùresistente di quanto credessimo» disse.

« Può essere dissolto senza recaredanni solo da chi lo ha eretto. Se lo fa-cessimo noi, ti uccideremmo. »

Clary si alzò in piedi barcollando estringendosi al petto il braccio ferito.

«Ma io non so chi è stato. Se losapessi, non sarei venuta qui.»

« La risposta a questa domanda èintessuta al filo dei tuoi pensieri» disseFratello Geremia. « L’hai vista scrittanella tua visione. »

«Magnus Bane? Ma… non è neancheun nome!»

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« Lo è quanto basta. » FratelloGeremia si alzò in piedi. Gli altriFratelli si alzarono con lui, come fossestato un segnale. Chinarono la testaverso Jace in segno di silenzioso saluto,si allontanarono in fila indiana in mezzoalle colonne e scomparvero. SoloFratello Geremia restò con loro eguardò impassibile Jace che correva daClary.

«Il braccio ti fa male? Fammivedere» le disse prendendole il polso.

«Ahi! È a posto. Non fare così, che èpeggio» Clary cercò di liberarsi ilbraccio.

«Hai sporcato di sangue le StelleParlanti» disse lui. Clary vide che aveva

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ragione: sul marmo bianco e argenteoc’era una macchia del suo sangue.

«Scommetto che da qualche partec’è una Legge contro questa cosa.» Legirò il braccio con più delicatezza diquanto Clary l’avrebbe creduto capace.Si strinse il labbro inferiore tra i denti efischiò: lei abbassò lo sguardo e videche uno strato di sangue le coprival’avambraccio, dal gomito al polso. Ilbraccio pulsava, era rigido e facevamale.

«Questa è la parte in cui tu ti strappila maglietta e mi fasci la ferita?»

scherzò lei con un filo di voce.Odiava la vista del sangue, soprattuttodel proprio.

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«Se tutto quello che volevi era chemi togliessi i vestiti, bastava chiedere.»Si infilò una mano in tasca e tirò fuori lostilo. «Sarebbe stato molto menodoloroso.»

Ricordando la sensazione pungenteche aveva provato quando lo stilo leaveva toccato la mano, si irrigidì, matutto ciò che sentì quando lo strumento siilluminò debolmente sopra la sua feritafu un leggero calore. «Ec-co» disse Jacerialzandosi. Clary piegò il bracciosbalordita: il sangue c’era ancora, ma laferita era scomparsa insieme al dolore ealla rigidità. «E la prossima volta chedecidi di farti male per attirare la miaattenzione, ricor-dati che basta qualche

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parolina dolce, per fare miracoli.»Clary si ritrovò a sorridere suo

malgrado. «Lo terrò a mente» disse, ementre si voltava aggiunse: «E grazie.»

Lui si infilò lo stilo nella tascaposteriore dei pantaloni senza guardarla,ma Clary pensò di aver visto un certocompiacimento nella postura delle suespalle. «Fratello Geremia» disse ilragazzo strofinandosi le mani. «Non haiancora detto nulla. Avrai di sicuroqualche considerazione da proporci,vero? Qualche idea su chi possa essereMagnus Bane?»

« Ho l’incarico di scortarvi fuoridalla Città Silente, nient’altro» risposel’archivista. Clary si chiese se l’avesse

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immaginato o se nel tono della sua“voce” non vi fosse una sfumatura di

risentimento.«Possiamo andarcene anche da soli»

propose speranzoso Jace. «Sono sicurodi ricordare la strada…»

« Le meraviglie della Città Silentenon sono per gli occhi dei non iniziati»scattò Geremia. Dopodiché voltò loro laschiena con una muta sferzata del suomantello. « Da questa parte. »

Quando emersero allo scoperto,Clary respirò profondamente la densaaria del mattino, godendosi lo smog, losporco e l’umanità della città. Jace siguardò attorno pensieroso. «Sta perpiovere» disse.

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Aveva ragione, pensò Claryguardando il cielo grigio ferro.«Prendiamo una carrozza per tornareall’Istituto?»

Jace guardò prima Fratello Geremia,immobile come una statua, poi lacarrozza che stazionava come un’ombranera sotto l’arco che dava sulla strada. Einfine sorrise.

«Non ci penso proprio» disse. «Io leodio, quelle carrozze. Prendiamo untaxi.»

capitolo 11

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MAGNUS BANEJace si chinò in avanti e picchiò la

mano contro il divisorio di plexiglas cheli separava dal tassista. «Giri a sinistra!A sinistra! Ho detto di prendere laBroadway, razza di imbecille!»

Il tassista reagì sterzando tantobruscamente che Clary venne sbalzatacontro il suo compagno di viaggio elanciò un urletto rabbioso. «Perchéprendiamo la Broadway?»

«Sto morendo di fame» disse Jace.«E a casa ci sono solo gli avanzi deltakeaway cinese.» Tirò fuori di tasca iltelefono e iniziò a digitare un numero.«Alec! Sveglia!» urlò. Clary sentì unbrusio irritato all’altro capo della linea.

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«Vediamoci da Taki. Colazione. Sì, haisentito bene. Colazione.»

Interruppe la chiamata e si ficcò iltelefono in tasca mentre il taxi accostavaal marciapiede. Jace diede al tassistauna manciata di banconote e spinseClary fuori dall’auto. Quando atterròaccanto a lei si stiracchiò come un gattoe allargò le braccia. «Benvenuta nelmigliore ristorante di New York.»

Il posto non sembrava un granché: unedificio di mattoni che si abbassava alcentro come un soufflé sgonfio.Un’insegna al neon malconcia, storta esfarfallante annunciava il nome delristorante. Due uomini con giacchelunghe e cappelli abbassati sugli occhi

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erano stravaccati davanti all’ingresso.Niente finestre.

«Sembra una prigione» fu ilcommento di Clary.

Lui le puntò un dito addosso. «Ma inprigione potresti ordinare degli spaghettialla fra’ Diavolo da leccarsi le dita?Non credo proprio.»

«Non voglio gli spaghetti. Vogliosapere cos’è un Magnus Bane.»

«Non è un cosa.» disse Jace. «È unnome.»

«E tu sai chi è questo Magnus?»«No» ammise Jace. «E non so

nemmeno se è un uomo o una donna.Ma…»«Ehi!» Era Alec. Aveva l’aria di

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essere appena caduto dal letto e diessersi infilato i jeans sopra al pigiama.I capelli spettinati sparavano da tutte leparti. Si affrettò verso di loro con gliocchi puntati su Jace e ignorando Clarycome sempre. «Izzy sta arrivando»disse. «Si porta dietro il mondano.»

«Simon? Da dove è uscito?» chieseJace.

«Si è presentato stamattina presto.Non riusciva a stare lontano da Izzy.

Patetico.» Alec sembrava divertito.Clary avrebbe voluto tirargli un calcio.

«Allora, entriamo o no? Stomorendo di fame.»

«Anch’io» disse Jace. «Non midispiacerebbe farmi un po’ di code di

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to-po fritte.»«Un po’ di cosa?» chiese Clary,

certa di avere sentito male.Jace le fece un sorriso. «Tranquilla»

disse. «È un ristorante normalissi-mo.»Vennero fermati all’ingresso da uno

dei due tizi stravaccati. Mentre si alzavain piedi, Clary intravide il suo voltosotto il cappello. Aveva una pelle rossoscura e le sue mani squadrateterminavano con delle unghie tra il ne-roe il blu. Clary si irrigidì, ma Jace e Alecnon sembravano preoccupati.

Dissero qualcosa all’uomo, cheannuì e si scostò per lasciarli passare.

«Jace» sibilò Clary mentre la portasi chiudeva alle loro spalle. «Chi era

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quello?»«Vuoi dire Clancy?» chiese Jace

guardandosi in giro nel ristorante benilluminato. L’interno era gradevole,nonostante l’assenza di finestre. C’eranodegli accoglienti separé di legno, tuttidotati di cuscini dai colori vivaci.

Delle stoviglie spaiate eranoallineate lungo il bancone, dietro ilquale c’era una ragazza bionda con ungrembiule rosa e bianco da camerierache stava dando il resto a un tiziocorpulento con una camicia di flanella.La ragazza vide Jace, lo salutò con lamano e gli fece segno di sedersi dovepreferiva.

«Clancy tiene fuori le persone

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indesiderabili» disse Jace mentredirigeva Clary verso uno dei separé.

«È un demone!» sibilò Clary.Diversi clienti si girarono a guardarla:un ragazzo coi dreadlock blu e unabellissima ragazza indiana con lunghicapelli neri e ali dorate leggere comecarta velina aggrottarono lesopracciglia. Clary era contenta che ilristorante fosse quasi vuoto.

«No» disse Jace infilandosi nelseparé. Clary fece per sederglisiaccanto, ma Alec aveva già occupato ilposto. Clary si sedette sulla panca difronte, stando attenta a non urtare nullacon il braccio ancora un po’ rigidononostante le cure di Jace. Si sentiva

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svuotata, come se i Fratelli Silenti lefossero entrati dentro e l’avesseroscavata dall’interno, lasciandola leggerae confusa. «È un ifrit» spiegò Jace.«Stregoni privi di magia, mezzi demoniche non possono fare incantesimi.»

«Poveri mezzosangue» aggiunseAlec prendendo il menu. Lo prese ancheClary, e restò a bocca aperta. Locuste emiele erano indicate come spe-cialitàdella casa, come anche piatti di carnecruda, pesci crudi interi e una cosachiamata sandwich di pipistrello fritto.La pagina delle bevande era dedicata adiversi tipi di sangue alla spina: connotevole sollievo di Clary, si trattava divari tipi di sangue animale, anziché di

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A, 0 o B negativo.«Chi mangia pesci crudi interi?»

chiese ad alta voce.«I kelpie» disse Alec. «I selkie. E

ogni tanto anche i nixie.»«Non ordinare i piatti delle fate»

disse Jace guardandola da dietro il me-nu. «Tendono a mandare fuori di testa gliumani. Un minuto prima ti staiingozzando di prugne fatesche e unminuto dopo ti ritrovi a correre nudolungo Madison Avenue con delle cornadi legno che ti spuntano dalla testa.

Non» aggiunse immediatamente «chequesto sia mai successo a me.»

Alec scoppiò a ridere. «Tiricordi…» iniziò, e si lanciò in una

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storia che conteneva così tanti nomi dicose e creature misteriose che Clary noncercò nemmeno di seguirla. Neapprofittò per osservare Alec mentreparlava con Jace. C’era in lui un’energiacinetica quasi febbrile che non avevaprima.

Era qualcosa in Jace ad attivarla, adaccendere quella scintilla. Se avessedovuto disegnarli insieme, pensò,avrebbe fatto Jace un po’ sfocato e Alecben distinto, tutto piani e angoli netti.

Mentre Alec parlava, Jace guardavain basso, sorridendo leggermente etamburellando con le dita sul suobicchiere d’acqua. Clary sentiva chestava pensando a qualcos’altro. Provò

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un improvviso lampo di solidarietà neiconfronti di Alec. Non doveva esserefacile voler bene a Jace. Stavo ridendoperché le dichiarazioni d’amore midivertono, soprattutto quando si trattadi amori non corrisposti.

Jace sollevò lo sguardo al passaggiodella cameriera. «Credi che prima o poici arriverà un po’ di caffè?» disse adalta voce interrompendo Alec a metà diuna frase.

Alec si spense, come se avessefinito le energie. «Io…»

Clary intervenne velocemente. «Perchi è tutta quella carne cruda?»

chiese indicando la terza pagina delsuo menu.

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«Lupi mannari» disse Jace. «Anchese una bistecca al sangue ogni tanto nondispiace neanche a me.» Allungò unamano sopra al tavolo e voltò il menu diClary. «I piatti umani sono dietro.»

Clary studiò quella sezioneperfettamente normale del menu con unsenso di sbalordimento. Era troppo perlei. «In questo posto servono i sorbet-ti?!»

«Hanno un sorbetto di albicocca eprugna con miele millefiori che èsemplicemente divino» le consigliòIsabelle, che era comparsa con Simon alsuo fianco. «Stringiti un po’» disse tuttaallegra a Clary, che si spostò così vicinaal muro da sentire i mattoni freddi

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contro il braccio. Simon si sedetteaccanto a Isabelle e offrì a Clary unsorriso un po’ imbarazzato che lei nongli restituì. «Dovresti provarlo.»

Clary non capì se Isabelle stesseparlando con lei o con Simon, perciònon disse nulla. I capelli di Isabelle,profumati di vaniglia, le facevano ilsolletico alla guancia, e cercò di nonstarnutire. Odiava il profumo allavaniglia. Non aveva mai capito perchécerte ragazze sentissero il bisogno diprofumare come un budino.

«Allora, com’è andata alla Città diOssa?» chiese Isabelle mentre apriva ilmenu.

«È stato fantastico» disse Jace.

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«Un’orgia continua.»«Avete scoperto cosa c’è nella testa

di Clary?»«Abbiamo un nome» disse Jace.

«Magnus…»«Zitto!» lo interruppe Alec colpendo

Jace con il menu.Jace sembrò offeso. «Ehi!» Si

massaggiò il braccio. «Che problemihai?»

«Questo posto è pieno di Nascosti,lo sai benissimo. Dovresti cercare ditenere segreti i dettagli della nostraindagine.»

« Indagine? » Isabelle scoppiò aridere. «Cosa siamo adesso? Detective?

Forse dovremmo inventarci dei nomi

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in codice.»Alec risputò nel bicchiere l’acqua

che aveva in bocca. In quel momento lacameriera arrivò a prendere leordinazioni. Da vicino era una bellaragazza bionda, ma i suoi occhicompletamente blu, senza bianco népupilla, erano inquietanti. Sorrisemostrando i suoi piccoli denti affilati.«Sapete già cosa ordinare?»

Jace sorrise. «Il solito» disse, e lacameriera gli rispose con un altrosorriso tutto miele.

«Anch’io» disse Alec, che peròrimase serio. Isabelle ordinò un sorbettoalla frutta. Simon chiese un caffè, eClary, dopo un momento di esitazione,

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prese un caffè con dei pancake al coccoe miele. La cameriera le fecel’occhiolino e schizzò via.

«È anche lei un’ifrit?» chiese Claryguardandola mentre si allontanava.

«Kaelie? No. Credo sia una mezzafata» disse Jace.

«Ha gli occhi da nixie» commentòIsabelle soprappensiero.

«Non sapete esattamente cosa sia?»chiese Simon.

Jace scosse il capo. «Io rispetto lasua privacy.» Diede una gomitata adAlec. «Ehi, fammi uscire un momento.»

Alec fece una smorfia e si spostò.Clary guardò Jace che si avvicinava aKaelie, appoggiata contro il bancone a

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parlare con il cuoco attraverso ilpassavivande. Tutto ciò che Claryriusciva a vedere del cuoco era un capochino col suo cappello bianco. Un paiodi orecchie a punta pelose spuntavanoda due buchi ai lati del cappello.

Kaelie si voltò e sorrise a Jace, chele mise un braccio attorno alle spalle.

Lei si rannicchiò tra le sue braccia.Clary si chiese se era questo che Jaceintendeva a proposito del rispetto dellaprivacy.

Isabelle levò gli occhi al soffitto.«Non dovrebbe stuzzicare il personale aquel modo.»

Alec la guardò. «Credi che facciasul serio? Che lei gli piaccia davvero,

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voglio dire?»Isabelle scrollò le spalle. «È una

Nascosta» disse, come se bastassequello a spiegare tutto.

«Non capisco» disse Clary.Isabelle la guardò distrattamente.

«Cosa non capisci?»«Questa faccenda dei Nascosti. Non

gli date la caccia, perché non sonoesattamente dei demoni, però non sononeanche esattamente esseri umani.

I vampiri uccidono, bevono ilsangue…»

«Solo i vampiri criminali bevonosangue umano da persone vive»intervenne Alec. «E quelli li possiamouccidere.»

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«E i lupi mannari cosa sono? Deiteneri cuccioloni troppo cresciuti?»

«Uccidono i demoni» risposeIsabelle. «Pertanto, se non dannofastidio a noi, noi non diamo fastidio aloro.»

Come lasciar vivere i ragni perchémangiano le zanzare, pensò Clary.

«Quindi va bene lasciarli vivere, vabene se vi servono da mangiare, va beneflirtare con loro… Ma loro non vannoabbastanza bene, giusto? Voglio dire,non vanno bene come le persone.»

Isabelle e Alec la guardarono comese parlasse in aramaico. «Sono diversidalle persone» disse infine Alec.

«Meglio dei mondani?» chiese

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Simon.«No» disse sicura Isabelle. «Un

mondano si può trasformare in unCacciatore. Voglio dire, noidiscendiamo dai mondani. Ma non sipuò trasformare un Nascosto in unmembro del Conclave. Non sono ingrado di sopportare le rune.»

«Quindi sono deboli?» chiese Clary.«Non direi questo» intervenne Jace

mentre si rimetteva a sedere accanto adAlec. Aveva i capelli scompigliati e unsegno di rossetto su una guancia.«Almeno non i djinn, gli ifrit e chiunquealtro sia all’ascolto.» Sorrise a Kaelie,comparsa per servire le loroordinazioni. Clary guardò con spirito

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critico i propri pancake. Avevano unaspetto fantastico: dorati e innaffiati dimiele. Mise in bocca il primo boccone,mentre Kaelie si allontanavaondeggiando sui suoi tacchi a spillo.

Erano deliziosi.«Te lo avevo detto che questo è il

migliore ristorante di Manhattan» disseJace mentre mangiava le patatine con lemani.

Clary guardò Simon, che stavamescolando il caffè a testa bassa.

«Mmm» concordò Alec con la boccapiena.

«Giusto» disse Jace. Guardò Clary.«Non è una cosa a senso unico»continuò. «A noi non piacciono sempre i

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Nascosti, ma nemmeno noi piaccia-mosempre a loro. Qualche secolo diAccordi non può cancellare mille an-nidi ostilità.»

«Temo che lei non sappia cosa sianogli Accordi, Jace» disse Isabelle mentresi dava da fare con il suo sorbetto.

«Sì, invece» replicò Clary.«Io no» disse Simon.«No, ma a nessuno interessa quello

che sai tu.» Jace esaminò una patati-naprima di morderla. «Al momento giustoe nel posto giusto non mi dispiace lacompagnia di alcuni Nascosti» disse.«Ma diciamo che non ve-niamo invitatialle stesse feste.»

«Aspettate un momento.» Isabelle si

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raddrizzò improvvisamente sulla panca.«Come hai detto che era quel nome?»chiese voltandosi verso Jace.

«Quello nella testa di Clary?»«Non l’ho detto» disse Jace. «O

almeno non ho finito di dirlo. MagnusBane.» Rivolse un sorriso canzonatorioad Alec. «Mmm, non è che vi verrebbein mente una rima con “rompiscatoleansioso”?»

Alec borbottò qualcosa che invecefaceva rima con “faccia di bronzo”.

Clary ridacchiò sotto i baffi.«Non può essere, però sono quasi

sicura che…» Isabelle si mise arovistare nella borsa e tirò fuori unfoglio di carta blu ripiegato. «Guardate

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questo» disse tenendolo tra le dita.Alec allungò una mano, prese il

foglio, lo guardò con una scrollata dispalle e lo diede a Jace. «È un invito auna festa. Da qualche parte a Brooklyn»disse. «E io odio Brooklyn.»

«Non fare lo snob» disse Jace. «Poiebbe uno scatto, proprio come Isabellepoco prima.» Dove lo hai preso, Izzy?

Lei agitò una mano a mezz’aria. «Daquel kelpie al Pandemonium. Mi ha dettoche sarebbe stata una festa pazzesca. Neaveva una pila intera, di questi.»

«Che cos’è?» chiese Claryimpaziente. «Avete intenzione di farlovedere anche a noi o no?»

Jace lo girò in modo che potessero

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leggerlo tutti. Era stampato su una cartasottile, simile a pergamena, con unacalligrafia leggera, elegante, sinuosa.Annunciava un raduno presso la umiledimora dello stregone Magnus ilMagnifico e prometteva ai partecipanti“un’estatica serata di piacere al di là deivostri sogni più sfrenati”.

«Magnus» disse Simon. «Magnuscome Magnus Bane?»

«Non credo che ci siano moltistregoni di nome Magnus, in questa zonadegli Stati Uniti» gli fece notare Jace.

Alec sbatté gli occhi. «Questosignifica che dobbiamo andare a unafesta?»

«Non dobbiamo fare un bel niente»

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disse Jace, che stava leggendo le partiscritte in piccolo dell’invito. «Masecondo quello che si dice, Magnus è ilSommo Stregone di Brooklyn.» GuardòClary. «Per quanto mi riguarda sonoabbastanza curioso di scoprire cosa cifaccia il nome del Sommo Stregone diBrooklyn nella tua testa. Tu no?»

La festa non sarebbe iniziata primadi mezzanotte, così, alla prospettiva diaspettare per diverse ore, Jace e Alecsparirono nell’armeria, mentre Isabellee Simon annunciarono che sarebberoandati a fare una passeggiata a CentralPark, così lei avrebbe potuto mostrarglii circoli delle fate. Simon chiese a Claryse volesse andare con loro. Reprimendo

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una rabbia assassina, Clary disse cheera troppo stanca.

Non era esattamente una bugia: sisentiva effettivamente esausta e il suocorpo era ancora indebolito dai postumidel veleno e della levataccia. Si sdraiòsul suo letto all’Istituto, scalciò via lescarpe e cercò di dormire, ma il sonnonon voleva saperne di arrivare. Lacaffeina frizzava nelle sue vene comeacqua gassata e la sua mente era piena diimmagini frenetiche e terrificanti.Continuava a vedere il volto di suamadre che la guardava dall’alto, la suaespressione spaventata. Continuava avedere le Stelle Parlanti, a sentire nellapropria mente le voci dei Fratelli

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Silenti. Perché c’era un blocco nella suatesta? Chi poteva avercelo messo? E ache scopo? Quali ricordi poteva averperso? Quali esperienze avevadimenticato? O forse tutto ciò checredeva di conservare nella memoriaera solo una bugia?

Si mise a sedere, incapace ditollerare oltre quei pensieri. Uscì incorridoio a piedi nudi e si diresse versola biblioteca. Forse Hodge potevaaiutarla, ammesso che si trovasse lì.

Ma la biblioteca era deserta. La lucedel pomeriggio entrava attraverso letende aperte, disegnando sbarre scuresul pavimento. Sulla scrivania giace-vail libro che Hodge aveva letto prima, la

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copertina di pelle consunta cheluccicava leggermente. E accanto a essoHugo dormiva sul suo trespolo, il beccoinfilato sotto un’ala.

Mia madre conosceva quel libro,pensò Clary. Lo ha toccato, lo ha letto.

Il desiderio di tenere in manoqualcosa che aveva fatto parte della vitadi sua madre fu come un colpo allabocca dello stomaco. Attraversòvelocemente la stanza e posò le mani sullibro. Era tiepido, la pelle riscaldata dalsole. Sollevò la copertina.

Un foglio piegato in due scivolòfuori dalle pagine e fluttuò sulpavimento, fra i suoi piedi. Si chinò perraccoglierlo e lo aprì.

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Era la fotografia di un gruppo dipersone giovani, al massimo dell’età diClary. Capì che era stata scattata almenovent’anni prima, non grazie agli abiti -che, come la maggior parte delle coseindossate dai Cacciatori, erano neri esemplici - ma perché riconobbeimmediatamente sua madre: Jocelyn, cheavrà avuto non più di diciassette odiciott’anni, con i capelli che learrivavano a metà schiena, il volto unpo’ più rotondo e il mento e la boccameno definiti. È identica a me, pensòClary confusa.

Jocelyn stava abbracciando unragazzo che Clary non riconobbe. Fu unpiccolo shock. Non aveva mai pensato a

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sua madre con un uomo che non fossesuo padre. Jocelyn non usciva mai connessuno e non sembrava affattointeressata all’altro sesso. Non era comela maggior parte delle madri single chepassavano al setaccio i consigli diclasse alla ricerca di maschi appetibili,o come la mamma di Simon, che nonfaceva altro che controllare la propriascheda su un sito di annunci personali.Quel ragazzo era bello, coi capelli tantochiari da sembrare bianchi e gli occhineri.

«È Valentine» disse una voceaccanto a lei. «Quando aveva diciassetteanni.»

Clary fece un salto e lasciò quasi

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cadere la foto. Hugo gracchiò infastiditoe si risistemò sul suo trespolo, con lepenne arruffate.

«Scusami» disse Clary rimettendo lafoto sulla scrivania e arretrandovelocemente. «Non avevo intenzione disbirciare tra le tue cose.»

«Non c’è problema.» Hodge toccò lafoto con la sua mano piena di cicatrici erovinata dal tempo, uno strano contrastocol candore immacolato dei suoi polsini.«In fondo è un pezzo del tuo passato.»

Clary si riavvicinò alla scrivania,come se la foto esercitasse un’attrazio-ne magnetica su di lei. Il ragazzo coicapelli bianchi della foto stavasorridendo a Jocelyn, con gli occhi un

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po’ socchiusi come fanno i ragazzi versoqualcuno che li attrae parecchio. Clarypensò che nessuno l’aveva mai guardataa quel modo. Valentine, con i suoi trattifreddi e delicati, aveva un aspetto deltutto diverso da suo padre, col suo voltoaperto e i capelli accesi che lei avevaereditato. «Valentine mi sembra…carino.»

«Non lo definirei carino» disseHodge con un sorriso amaro. «Ma eraaffascinante e intelligente, e moltopersuasivo. Riconosci qualcun altro?»

Clary guardò di nuovo la foto. Allespalle di Valentine, sulla sinistra, c’eraun ragazzo magro con una zazzeramarrone. Aveva le spalle larghe e la

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posa sgraziata di chi non ha ancora finitodi crescere. «Quello sei tu?»

Hodge annuì. «E…»Clary dovette guardare due volte la

foto prima di identificare un altro voltonoto, tanto giovane da essere quasiirriconoscibile. Alla fine furono gliocchiali a tradirlo, e gli occhi chestavano dietro di essi, azzurri come ilmare. «Luke» disse.

«Lucian. E qui…» Hodge si chinòsulla foto e indicò una coppia di ragazzidall’aria elegante, entrambi coi capelliscuri, lei più alta di lui di una mezzatesta. I tratti della ragazza erano affilatie rapaci, quasi crudeli. «I Lightwood»disse. «E questo…» Indicò un bel

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ragazzo abbronzato, coi capelli scuri ericci e la mascella squadrata. «… èMichael Wayland.»

«Non assomiglia per niente a Jace»notò Clary.

«Ha preso tutto da sua madre.»«Ma questa è tipo una foto di

classe?» chiese Clary.«Non esattamente. È una fotografia

del Circolo, scattata nell’anno in cui fufondato. È per questo che Valentine, ilcapo, è davanti agli altri, e Luke è allasua destra: era il comandante in secondadi Valentine.»

Clary distolse lo sguardo. «Nonriesco ancora a capire perché mia madresia entrata in un’organizzazione del

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genere.»«Tu devi capire…»«Continui a ripeterlo» disse Clary

piccata. «Non vedo cosa ci sia dacapire. Tu dimmi la verità e io decideròcosa pensarne.»

L’angolo della bocca di Hodge ebbeuno spasmo. «Come vuoi.» Fece unapausa per allungare una mano eaccarezzare Hugo, che zampettavaimpettito lungo il bordo della scrivania.«Gli Accordi non hanno mai avuto ilsostegno di tutto il Conclave. Soprattuttole famiglie più venerabili rim-piangevano i vecchi tempi in cui iNascosti venivano uccisi. Non solo perodio, ma anche perché li faceva sentire

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più sicuri: è più facile affrontare unaminaccia come una massa, un gruppo, enon come individui da valuta-re uno peruno… E la maggior parte di noiconosceva qualcuno che era stato feritoo ucciso da un Nascosto. Sai, non c’ènulla» aggiunse «che regga il confrontocon l’assolutismo morale dei giovani. Èfacile, quando sei un ragazzino, crederenel bene e nel male, nella luce e nelbuio. Valentine non perse mai questecaratteristiche: né il suo idealismodistruttivo né il suo appassionatodisprezzo per qualsiasi cosaconsiderasse “non umana”.»

«Però amava mia madre» disseClary.

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«Sì» rispose Hodge. «Amava tuamadre. E amava Idris…»

«Cosa c’era di così speciale aIdris?» chiese Clary, sentendol’irritazione nella propria voce.

«Era…» iniziò Hodge, ma poi sicorresse. «È la patria dei Nephilim, illuogo dove possono essere se stessi,dove non c’è bisogno di nascondersi nédi fare incantesimi. Il luogo benedettodall’Angelo. E non puoi dire di avervisto una città finché non hai vistoAlicante dalle torri di vetro. È più belladi quanto tu possa immaginare.» C’eraun dolore vivo nella sua voce.

Clary pensò all’improvviso al suosogno. «C’erano mai dei… balli, ad

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Alicante?»Hodge sbatté gli occhi come se si

fosse appena svegliato da un sogno.«Tutte le settimane. Io non

partecipavo mai, ma tua madre sì. Eanche Valentine.» Ridacchiò piano. «Ioero più un secchione. Passavo le miegior-nate nella biblioteca di Alicante. Ilibri che vedi qui sono solo una partedei tesori conservati in quellabiblioteca. Speravo che un giorno sareipotuto entrare nella Fratellanza, madopo quello che ho fatto naturalmentenon mi avrebbero più accettato.»

«Mi dispiace» disse Clary a disagio.Aveva la mente ancora piena del ricordodel suo sogno. C’era una fontana con la

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statua di una sirena nel posto in cui siballava? Valentine si vestiva di bianco,in modo che mia madre potesse vedere imarchi sulla sua pelle anche attraversola camicia?

«Posso tenerla?» chiese indicando lafotografia.

Sul volto di Hodge passò un lampodi esitazione. «Preferirei che non lafacessi vedere a Jace» disse. «Ha giàabbastanza cose con cui fare i conti,senza che spuntino fuori anche delle fotodi suo padre.»

«Certo.» Clary si strinse la foto alpetto. «Grazie.»

«Di nulla.» La guardò con ariainterrogativa. «Sei venuta in biblioteca

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per vedere me o per qualche altromotivo?»

«Mi chiedevo se avevi notizie dalConclave. Sulla Coppa e… su miamamma.»

«Sì. Questa mattina ho ricevuto unabreve risposta da Idris.»

«Hanno mandato qualcuno? DeiCacciatori?» Clary sentì l’impazienzanella propria voce.

«Sì.»«E perché non sono qui?» chiese

Clary domandandosi perché le rispostedi Hodge fossero così asciutte.

«Si teme che l’Istituto sia tenutod’occhio da Valentine. Quindi, meno sisa e meglio è.» Vide lo sguardo deluso

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della ragazza e sospirò. «Mi dispiace,ma non posso dirti altro, Clarissa. Temoche il Conclave non si fidi di me. Mihanno detto pochissimo. Vorrei potertiaiutare.»

Nella tristezza della sua voce c’eraqualcosa che rendeva Clary riluttante acercare di estorcergli altre informazioni.«Una cosa ci sarebbe» gli disse.

«Non riesco a dormire. Continuo apensare troppo. Non c’è un modo…»

«Ah, la mente inquieta,» La sua voceera piena di solidarietà. «Sì, posso dartiqualcosa per questo. Aspetta qui.»

La pozione che Hodge le offrì avevaun buon odore di ginepro e fogliefresche. Clary continuò ad aprire

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l’ampolla e annusarla mentre camminavalungo il corridoio. Purtroppo era ancoraaperta quando entrò in camera sua ètrovò Jace steso sul letto che guardava ilsuo album da disegno. Con un urletto disorpresa Clary lasciò cadere l’ampolla,che rimbalzò sul pavimento versando ilproprio contenuto verdino sul parquet.

«Oh, cavoli» disse Jace mettendosi asedere e abbandonando l’album dadisegno. «Spero che non fosse niente diimportante.»

«Era una pozione per dormire»spiegò lei arrabbiata sfiorandol’ampolla con la punta di una scarpa daginnastica. «E adesso è andata.»

«Se solo fosse qui Simon.

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Probabilmente riuscirebbe a fartiaddormenta-re dalla noia.»

Clary non era dell’umore giusto perdifendere Simon. Si sedette sul letto eprese l’album. «Di solito non facciovedere a nessuno le mie cose.»

«Perché no?» Jace aveva un’ariaarruffata, come se si fosse appenasvegliato. «Non sei niente male comedisegnatrice. A tratti sei davveronotevole.»

«Be’, perché… è come un diario.Solo che io non penso per parole, pensoper immagini, così è tutto fatto didisegni. Comunque è una cosa privata.»

Si chiese se sembrasse pazza esospettò che fosse proprio così.

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Jace assunse un’espressione ferita.«Un diario senza neanche un mioritratto? Dove sono le torride fantasieromantiche? Le immagini da romanzorosa? I…»

«Ma tutte le ragazze che incontri siinnamorano di te?» chiese Clary.

La domanda sembrò sgonfiarlo,come uno spillo con un palloncino.

«Non è amore» disse dopo unabreve pausa. «O almeno…»

«Potresti provare a non fare sempreil fascinoso» disse Clary. «Sarebbe unbel sollievo per tutti.»

Lui si guardò le mani. Erano giàcome quelle di Hodge, punteggiate diminuscole cicatrici bianche, anche se la

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pelle era giovane e priva di rughe.«Se sei davvero stanca posso

metterti a letto io» disse lui con un tonoquasi gentile. «Ti racconto la storiadella buonanotte.»

Clary lo guardò. «Dici sul serio?»«Io dico sempre sul serio.»La ragazza si chiese se la stanchezza

non li avesse fatti andare un po’fuori di testa tutti e due. Ma Jace non

sembrava stanco. Sembrava triste.Clary appoggiò l’album da disegno

sul comodino e si stese, posando la testadi lato sul cuscino. «Va bene.»

«Chiudi gli occhi.»Lei li chiuse. Vedeva gli spettri della

luce della lampada riflessi contro

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l’interno delle palpebre, come piccoleesplosioni di stelle.

«C’era una volta un bambino»cominciò Jace.

Clary lo interruppe subito. «Unbambino Cacciatore?»

«Certo.» Per un istante la sua vocefu colorata da un’ironia nera che svanìsubito dopo. «Quando il bambino compìsei anni suo padre gli regalò un falco daaddestrare, perché i falchi sono rapaci,uccelli assassini, gli disse suo padre, iCacciatori del cielo. Al falco quelbambino non piaceva, e al bambino nonpiaceva il falco. Il suo becco affilato lorendeva nervoso e i suoi occhi acutisembravano sempre osservarlo. Quando

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gli si avvicinava, il falco lo colpiva conil becco o con gli artigli. Per settimane isuoi polsi e le sue mani furonocostantemente coperti di sangue. Ilbambino non lo sapeva, ma suo padreaveva scelto un falco che aveva vissutolibero per più di un anno ed era quindiquasi impossibile da addomesticare. Mail bambino ci provò, perché suo padregli aveva detto di insegnare al falco aobbedire, e lui voleva compiacerlo.

«Stava sempre con il falco, e loteneva sveglio parlandogli e anche suo-nandogli della musica, perché gliavevano detto che un uccello stanco erapiù facile da addomesticare. Imparòtutto sull’equipaggiamento da falco-

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niere: i geti, il cappuccio, i ganci, ilguinzaglio che legava il falco al suopolso. Avrebbe dovuto tenere il falcosempre incappucciato, ma decise di nonfarlo: provò a sedersi dove l’uccello lopoteva vedere mentre gli accarezzava leali, per fare in modo che si fidasse dilui. Lo nutriva con le proprie mani:all’inizio il falco non mangiava, poiiniziò a mangiare tanto sel-vaggiamenteche il suo becco tagliava la pelle delpalmo del bambino. Ma il bambino erafelice dei suoi progressi e voleva chel’uccello imparasse a conoscerlo, anchese doveva versare il proprio sangueperché questo succedesse.

«Il bambino iniziò ad apprezzare la

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bellezza del falco, a vedere che le sueali erano fatte per volare veloce, che eraforte e agile, feroce e delicato.

Quando si tuffava in picchiata, simuoveva come la luce. Quando imparò agirare in cerchio e a posarsi sul suopolso, il bambino quasi urlò per lagioia. A volte l’uccello gli saltava sullaspalla e gli infilava il becco in mezzo aicapelli. Il bambino sapeva che il suofalcone lo amava e quando fu certo chenon era solo addomesticato, maperfettamente addomesticato, andò dasuo padre e gli mostrò ciò che avevafatto, aspettandosi che fosse fiero di lui.

«Suo padre invece prese in mano ilfalco, che ora era addomesticato e

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fiducioso, e gli spezzò il collo. “Tiavevo detto di insegnargli a obbedire”,disse suo padre gettando a terra il corposenza vita del falco. “Tu invece gli haiinsegnato ad amarti. I falchi non devonoessere cuccioli affettuosi: so-no animaliferoci e selvaggi, aggressivi e crudeli.Questo uccello non è stato addestrato, èstato rovinato.”

«Più tardi, quando suo padre lolasciò solo, il bambino pianse sulcadavere del suo animale, finché ilpadre non mandò un servitore a prendereil corpo dell’uccello per seppellirlo. Ilbambino non pianse mai più e nondimenticò mai ciò che aveva imparato:che amare significava distruggere e che

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essere amati significava esseredistrutti.»

Clary, che era rimasta immobile,quasi senza respirare, si voltò sullaschiena e aprì gli occhi. «È una storiaterribile» disse indignata.

Jace si era portato le gambe al petto.«Davvero?» chiese pensoso.

«Il padre del bambino era unapersona orribile. È una storia diviolenza psicologica. Avrei dovutosaperlo che le storie della buonanottedei Cacciatori non potevano che esserecosì. Qualsiasi cosa ti faccia fare degliincubi terrificanti…»

«A volte i marchi possono farti faredegli incubi terrificanti» disse Jace.

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«Se te li fanno quando sei troppogiovane.» La guardò con un’espressioneconcentrata. La luce del tardopomeriggio entrava attraverso le tende eda-va un carattere contrastato al voltodel ragazzo. Chiaroscuro, pensò Clary.

L’arte delle luci e delle ombre. «Èuna bella storia, se ci pensi» disse Jace.

«Il padre del bambino sta solocercando di renderlo più forte. Piùinflessi-bile.»

«Ma bisogna imparare a piegarsi unpo’» obiettò Clary sbadigliando.

Nonostante il contenuto della storia,il ritmo della voce di Jace le aveva fattovenire sonno. «Se non vuoi spezzarti.»

«No, se sei abbastanza forte» disse

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sicuro Jace. Allungò una mano, e leisentì che le carezzava una guancia e siaccorse di avere gli occhi chiusi. Lastanchezza le rendeva liquide le ossa: sisentiva come se potesse scorrere via esvanire. Mentre si addormentava, risentìl’eco di alcune parole nella propriamente. Mi dava tutto quello che volevo.Cavalli, armi, libri, anche un falco dacaccia.

«Jace» cercò di dire. Ma il sonnol’aveva ormai ghermita tra i suoi artigli:la trascinò giù e fu il silenzio.

Clary venne svegliata da una voceincalzante. «Sveglia!»

Aprì lentamente gli occhi. Se lisentiva collosi, appiccicati. Qualcosa le

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faceva il solletico alla faccia. Eranocapelli. Scattò a sedere e colpì con latesta qualcosa di duro.

«Ahi! Mi hai dato una testata!» Erauna voce femminile. Isabelle. Accese laluce accanto al letto e guardò Claryrisentita, massaggiandosi il cranio.Sembrava brillare alla luce dell’abat-jour: indossava una lunga gonnaargentata e un top di Strass e aveva leunghie smaltate come monete scintillanti.Tra i capelli neri erano intrecciateciocche di filo d’argento. Sembrava unadea lunare. Clary la odiava.

«Be’, nessuno ti ha detto di chinartisu di me a quel modo. Mi hai spaventataa morte.» Anche Clary si massaggiò la

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testa. C’era un punto che le faceva maleappena più in alto del sopracciglio. «Ecomunque cosa vuoi?»

Isabelle indicò il cielo buio. «Èquasi mezzanotte. Dobbiamo andare allafesta e tu non ti sei ancora vestita.»

«Pensavo di venire così» disseClary indicando i suoi jeans e la suamaglietta. «È un problema?»

«Se è un problema?» Isabellesembrava sul punto di svenire. «Macerto che è un problema! NessunNascosto si vestirebbe mai così. E poi èuna festa. Ti farai notare come una zuccain un campo di meloni se ti presente-raicosì… ehm… sportiva.»

«Non sapevo che ci si dovesse

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mettere eleganti» disse Clary. «Non honessun vestito da festa, qui.»

«Te li presterò io.»«Oh, no!» Clary pensò alla maglietta

e ai jeans troppo grandi. «Voglio dire,non voglio approfittare, davvero…»

Il sorriso di Isabelle scintillavacome le sue unghie. «Insisto.»

«Preferirei mettere i miei vestiti»protestò Clary, contorcendosi a disagiomentre Isabelle la piazzava davanti allospecchio a figura intera della camera daletto.

«Be’, non puoi» tagliò corto laCacciatrice. «Sembri una bambina diotto anni, anzi, peggio ancora, sembriuna mondana.»

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«Io sono una mondana» borbottòClary.

«Ma nessuno deve saperlo» spiegòIsabelle paziente. «Per questo ti devitravestire.»

Clary serrò la mandibola conun’espressione ribelle. «I tuoi vestitinon mi vanno bene.»

«Vediamo.»Clary osservò Isabelle nello

specchio mentre setacciava il suoguardaroba. Nella sua stanza sembravafosse esplosa una lampadastroboscopica.

Le pareti erano nere e sopra di essescintillavano vortici di vernice dorata.

C’erano abiti sparsi ovunque: sul

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letto nero sfatto, appesi agli schienalidelle sedie, mezzi dentro e mezzi fuoridal guardaroba e dall’alto armadioappoggiato al muro. Il tavolino datoilette, il cui specchio era orlato dipelliccia rosa decorata di lustrini, eracoperto di glitter, paillettes e vasetti difard e fondotinta.

«Bella stanza» disse Clary pensandocon rimpianto alle pareti arancioni dicasa sua.

«Grazie. L’ho dipinta io.» Isabelleemerse dall’armadio con in manoqualcosa di nero e aderente. Lo lanciò aClary. «Mettiti questo.»

Clary sollevò il vestito e gli diedeun’occhiata. «Ma è microscopico!»

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«È stretch» disse Isabelle. «Eadesso infilatelo.»

Clary si ritirò di corsa nel piccolobagno dipinto di blu elettrico. Sì infilò ilvestito da sopra la testa: era attillato,con delle spalline minuscole. Cercandodi non respirare troppo a fondo, tornò incamera, dove Isabelle si era seduta sulletto e stava mettendo degli anelli aglialluci dei piedi, infilati in un paio disandali. «Sei fortunata ad avere il pettocosì piatto» disse Isabelle. «Io nonpotrei mai mettermi quel vestito senzareggiseno.»

Clary fece una smorfia. «È troppocorto.»

«Non è corto. Va bene» disse

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Isabelle mentre cercava qualcosa sotto illetto. Tirò fuori un paio di anfibi. «Ecco,puoi metterti questi. Ti faranno sembrarepiù alta.»

«Giusto, perché oltre a essere piattasono anche nana, vero?» Clary si ti-ròverso il basso l’orlo del vestito, chearrivava appena a coprirle l’inizio dellecosce. Portava di rado le gonne, per nonparlare delle mini, per cui vedere tuttaquella pelle scoperta era parecchioimbarazzante. «Se è corto su di me, su dite cosa dev’essere?» chiese a Isabelle.

Isabelle sorrise. «Su di me è unamaglietta.»

Clary si lasciò cadere sul letto e siinfilò gli anfibi. Erano un po’ larghi

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sulle caviglie, ma non le ballavano. Liallacciò fino in cima e si alzò perguardarsi allo specchio. Dovevaammettere che l’abbinamento del vestitocorto nero con gli stivali alti non eraniente male. L’unica cosa che rovina-val’insieme erano…

«I tuoi capelli» disse Isabelle. «Letue trecce sono un disastro. Se avessi icapelli del tuo colore, io… be’…»Indicò imperiosamente il tavolino datoilette. Clary si sedette e chiuse gliocchi, mentre Isabelle le disfaceva letrecce - non troppo delicatamente - e laspazzolava e le ficcava tra i capelliquelle che a Clary sembrarono dellemollette. Riaprì gli occhi proprio mentre

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un piumino da cipria le colpiva lafaccia, rilasciando una densa nu-be diglitter. Clary tossì e guardò Isabelle conaria accusatoria.

La ragazza scoppiò a ridere. «Nonguardare me. Guarda te stessa,piuttosto.»

Quando si girò verso lo specchio,Clary vide che Isabelle le avevaraccolto i capelli in un elegante chignonsopra la testa, tenuto fermo da spillo-niluccicanti. Clary ripensòimprovvisamente al suo sogno, al pesodei capelli sulla sua testa mentre ballavacon Simon… e iniziò ad agitarsi.

«Aspetta ad alzarti» disse Isabelle.«Non abbiamo finito.» Prese l’eyeliner.

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«Apri gli occhi.»Clary spalancò gli occhi, il che

peraltro le impedì di piangere.«Isabelle, posso chiederti una cosa?»

«Certo» disse Isabelle brandendocon aria esperta l’eyeliner.

«Alec è gay?»Il polso di Isabelle ebbe uno spasmo

e l’eyeliner tracciò una lunga riga neradall’angolo dell’occhio di Clary finoall’attaccatura dei suoi capelli.

«Oh, maledizione» disse Isabellemettendo giù il pennellino.

«Non c’è problema» iniziò a direClary portandosi una mano all’occhio.

«Sì, invece.» Isabelle sembravasull’orlo delle lacrime mentre rovistava

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tra le pile di roba accumulata sul suotavolino da toilette. Alla fine trovò unbatuffolo di cotone che porse a Clary.«Tieni. Usa questo.» Si sedette sulbordo del letto con un tintinnio dicavigliere e guardò Clary attraverso unatendina di capelli. «Come l’hai capito?»chiese alla fine.

«Io…»«Non devi assolutamente dirlo a

nessuno» disse Isabelle sgranando gliocchi.

Clary iniziò a sfregare la riga nera,che sbavò. «Neanche a Jace?»

«Soprattutto a Jace!» Il tono diIsabelle era quasi isterico. «Ti prego.

Senti, mi dispiace se sono stata

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scortese con te. Non era niente dipersonale. Qualsiasi cosa vuoi chefaccia…»

«Non lo dirò a Jace.» Clary sentì larigidità nella propria voce. «Non lofarò. Solo non pensavo che fosse tuttaquesta gran cosa.»

«Lo sarebbe per i miei genitori»disse Isabelle sottovoce. «Lo diserede-rebbero e lo butterebbero fuori dalConclave…»

«Cosa? Un Cacciatore non puòessere gay?»

«Non ci sono regole ufficiali inproposito. Ma alla gente non piace.Voglio dire, con quelli della mia età nonè un grosso problema… credo» aggiunse

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insicura, e Clary ricordò quante pochepersone della sua età avesse conosciutoIsabelle. «Ma quelli della generazioneprecedente non la pensano così. Secapita, non devi parlarne.»

«Ah» mormorò Clary. Erasconcertata e avrebbe voluto non avermai tirato in ballo quella faccenda.

«Io voglio bene a mio fratello» disseIsabelle. «Darei qualsiasi cosa per lui.Ma non c’è niente che io possa fare.»

«Almeno lui ha te» disse Clary unpo’ goffamente, e pensò per un istante aJace, che credeva che l’amore fosse unacosa che ti faceva a pezzi. «Credidavvero che per Jace… sarebbe unproblema?»

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«Non lo so» disse Isabelle con untono che indicava chiaramente che neaveva avuto abbastanza diquell’argomento. «Ma non è una sceltache spetta a me.»

«Immagino di no» disse Clary. Sichinò sullo specchio e usò il cotone cheIsabelle le aveva dato per eliminarel’eyeliner in eccesso. Quando si rimise asedere, lasciò quasi cadere il cotone cheteneva in mano. Cosa le aveva fattoIsabelle? I suoi zigomi sembravanoscolpiti, gli occhi ben definiti,misteriosi, di un verde luminoso.

«Sembro mia mamma» dissesorpresa.

Isabelle sollevò un sopracciglio.

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«Dici? È un trucco troppo serio? Magaricon un po’ di glitter…»

«Basta glitter» la fermò subito Clary.«Va benissimo. Mi piace.»

«Ottimo.» Isabelle saltò giù dal lettocon le cavigliere che tintinnavano.

«Andiamo.»«Devo passare in camera mia a

prendere una cosa» disse Clary mentresi alzava in piedi. «E poi… non miservono delle armi? E a voi?»

«Ne ho più che a sufficienza.»Isabelle sorrise e mosse i piedi in mododa far tintinnare ancora le cavigliere.«Queste, per esempio. Quella di sinistraè d’oro, che per i demoni è un veleno, equella di destra è di ferro benedetto, nel

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caso incontriamo qualche vampiro oqualche fata poco amichevole. Le fateodiano il ferro. E poi sulle caviglieresono incise delle ru-ne della forza, percui posso tirare dei calci da paura.»

«Caccia ai demoni e moda» disseClary. «Non ho mai pensato chepotessero andare d’accordo.»

Isabelle scoppiò a ridere. «Non puoiimmaginare quanto!»

I ragazzi le stavano aspettandonell’ingresso. Isabelle aveva avutoragione: erano tutti vestiti di nero, ancheSimon, che aveva addosso un paio dipantaloni neri un po’ troppo grandi e lasua maglietta girata al contrario pernascondere il logo della band. Se ne

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stava un po’ in disparte, a disagio,mentre Jace e Alec erano appoggiati almuro con un’aria annoiata. Simonsollevò lo sguardo quando Isabelle entrònell’atrio, la frusta d’oro avvolta attornoal polso, le cavigliere che tintinnavanocome campanelle. Clary si aspettava cherestasse a bocca aperta, Isabelle eradavvero fantastica. Ma gli occhi diSimon la oltrepassarono per fermarsi suClary, dove restarono conun’espressione sbalordita. «Cos’èquella cosa?» chiese. «Quella che haiaddosso, voglio dire.»

Clary si diede un’occhiata. Avevamesso una giacca leggera per sentirsimeno nuda e aveva preso anche lo

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zainetto. Lo aveva messo a tracolla suuna spalla, il peso familiare che lerimbalzava sulle scapole. Ma Simon nonstava guardando lo zainetto: stavaguardando le sue gambe come se non leavesse mai viste prima. «È un vestito,Simon» disse Clary. «Lo so che non mivesto spesso così, però dai…»

«È corto» disse lui confuso. Anchemezzo agghindato da cacciatore didemoni, pensò Clary, Simon aveva l’ariadel bravo ragazzo che ti viene aprendere a casa ed è educato coi tuoigenitori e fa le coccole al tuo cane.

Jace, invece, sembrava il tipo diragazzo che viene a casa tua e le dàfuoco. «Mi piace quel vestito» disse

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scollandosi dal muro. Il suo sguardo lapercorse tutta, pigro come la carezza diun gatto. «Anche se gli ci vorrebbequalcosina in più.»

«Adesso sei anche un esperto dimoda?» La voce le uscì un po’ incerta:Jace era vicinissimo, così vicino chesentiva il calore del suo corpo e l’odorevagamente bruciato dei marchi che si eraappena fatto.

Jace estrasse qualcosa da dentro lagiacca e glielo porse. Era un pugnalelungo e sottile in un fodero di cuoio.Nell’elsa del pugnale era incastonatauna pietra rossa tagliata a forma di rosa.

Clary scosse il capo. «Non sapreinemmeno come usarlo…»

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Lui glielo mise in mano e le strinsele dita attorno all’elsa. «Imparerai.»

E poi, a voce più bassa: «Ce l’hainel sangue.»

Clary ritrasse lentamente la mano.«Va bene.»

«Potrei darti una giarrettiera in cuiinfilarlo» propose Isabelle. «Ne ho atonnellate.»

«Assolutamente no!» si lasciòscappare Simon.

Clary gli lanciò un’occhiata irritata.«Grazie, ma non sono proprio il tipo dagiarrettiera» disse con evidente sollievodi Simon. Dopodiché fece scivolare ilpugnale nella tasca esterna dellozainetto.

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Quando risollevò lo sguardo, trovòJace che la guardava con gli occhisocchiusi: «Un’ultima cosa.» Allungòuna mano e le tolse i fermagli scintillantidai capelli, che le ricaddero in grossiboccoli attorno al collo. La sensazionedei capelli che le solleticavano la pelleera insolita e stranamente piacevole.

«Molto meglio» disse Jace, e Clarypensò che questa volta forse anche lasua voce era un po’ incerta.

«Vogliamo andare o avete intenzionedi restare qui tutta la notte?» sbottòAlec. Clary sollevò gli occhi e siaccorse che c’erano tre volti girati versodi loro: Alec sembrava irritato, Isabelleintrigata e Simon pallido come una

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statua.«Certo che andiamo» disse Jace, e le

voltò le spalle senza rivolgerle un altrosguardo.

capitolo 12

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LA FESTA DEI MORTILe indicazioni stradali sull’invito li

portarono in una zona industrialesemiabbandonata di Brooklyn, dove lestrade erano costeggiate da fabbri-che emagazzini. Alcuni, notò Clary, eranostati convertiti in loft e in galle-ried’arte, ma c’era ancora qualcosa diinquietante nelle loro forme impo-nenti esquadrate in cui si aprivano pochissimefinestre coperte da inferria-te.

A partire dalla fermata dellametropolitana, si orientarono con ilsensore di Isabelle, che aveva unnavigatore integrato. Simon, che adoravai gadget elettronici, ne era affascinato…o almeno fingeva che fosse il sensore ad

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af-fascinarlo. Clary, nella speranza dievitarli, si attardò mentre attraversavanoun parco malridotto, l’erba non curata ebruciata dal caldo estivo. Alla suadestra le guglie di una chiesascintillavano grigie e nere contro il cieloprivo di stelle.

«Non restare indietro» le disseall’orecchio una voce irritata. Era Jace,che aveva rallentato il passo per starleaccanto. «Non voglio continuare aguardarmi alle spalle per essere sicuroche non ti succeda nulla.»

«E allora non farlo.»«L’ultima volta che ti ho lasciata

sola sei stata attaccata da un demone»le ricordò lui.

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«Be’, mi dispiacerebbe davverointerrompere la tua passeggiata seralecon un evento fuori luogo come la miamorte.»

Jace sbatté gli occhi. «C’è unconfine sottile tra il sarcasmo e l’ostilitàpura e semplice, e direi che tu lo haisuperato. Cosa c’è?»

Clary si morse le labbra. «Questamattina dei tizi inquietanti mi hannoscavato nel cervello. Adesso lo faràanche un altro tizio inquietante. E se nonmi dovesse piacere, quello chescoprirà?»

«Cosa ti fa pensare che non tipiacerà?»

Clary si allontanò i capelli dalle

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pelle sudata. «Ti odio quando rispondi auna domanda con un’altra domanda.»

«No, non è vero. Mi troviaffascinante. E comunque nonpreferiresti conoscere la verità?»

«No. Voglio dire, forse. Non lo so.»Sospirò. «E tu?»

«È questa la strada!» urlò Isabelle,che era quasi mezzo isolato più avanti.Si trovavano in uno stretto vialefiancheggiato da vecchi magazzini,anche se adesso la maggior partemostrava i segni della trasformazione inunità residenziali: fioriere alle finestre,tende di pizzo che ondeggiavano nell’afanotturna, bidoni della spazzaturanumerati sui marciapiedi.

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Clary socchiuse gli occhi, ma nonsapeva dire se questa strada fosse quellache aveva visto alla Città di Ossa: nellasua visione era coperta di neve.

Sentì le dita di Jace sfiorarle lespalle. «Assolutamente. Sempre» lesussurrò.

Lei lo guardò senza capire. «Cosa?»«La verità» disse. «Io…»«Jace!» Era Alec. Era poco distante,

e Clary si chiese perché avesse parlatocosì forte.

Jace si voltò, staccando la manodalla schiena di Clary. «Sì?»

«Pensi che siamo nel posto giusto?»Alec stava indicando qualcosa che Clarynon poteva vedere perché era nascosto

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dietro una grossa auto nera.«Cos’è quello?» Jace raggiunse

Alec, e Clary lo sentì ridere. Quandopassò dall’altro lato dell’auto, laragazza vide ciò che stavano guardando:diverse moto snelle e cromate col telaionero ribassato. Attorno a esse ser-peggiavano vari tubi dall’aria unta,viscosi come vene. C’era qualcosa distranamente organico in quelle moto,come nelle biocreature di un dipinto diGiger.

«Vampiri» disse Jace.«A me sembrano moto» disse Simon

quando li raggiunse con accantoIsabelle. La ragazza corrugò la frontealla loro vista.

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«E infatti lo sono, ma sono statemodificate per funzionare con motoridemoniaci» spiegò. «Le usano ivampiri… con queste di notte possonoandarsene in giro a tutta birra.L’Alleanza non è del tutto favorevole,ma…»

«Ho sentito dire che alcune di questemoto possono volare» disse Alecaffascinato. Sembrava Simon davanti aun nuovo videogame. «O diventareinvisibili nel giro di un secondo. Oandare sottacqua…»

Jace era saltato giù dal marciapiedee stava girando attorno alle moto peresaminarle. Allungò una mano e la passòsul telaio affusolato di una di es-se.

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C’erano delle parole dipinte in argentosulla fiancata: NOX INVICTUS.

«Notte vittoriosa» tradusse.Alec lo guardava con un’espressione

strana. «Cosa stai facendo?»A Clary sembrò di vedere Jace che

si infilava una mano dentro la giacca.«Niente.»«Be’, sbrigati» disse Isabelle. «Non

mi sono vestita così per vederti perderetempo con un branco di moto.»

«Sono belle da guardare» disse Jacetornando sul marciapiede. «Lo deviammettere.»

«Anch’io, se è per questo» disseIsabelle, che non sembrava disposta adammettere un bel niente. «E adesso

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andiamo.»Jace stava guardando Clary. «Questo

edificio» disse indicando il magazzinodi mattoni rossi. «È quello giusto?»

Clary sospirò. «Penso di sì» disseinsicura. «Sembrano tutti uguali.»

«C’è solo un modo per scoprirlo»disse Isabelle salendo decisa gli scalinid’entrata. Gli altri la seguirono,ammassandosi nell’ingresso angusto ema-leodorante. Una lampadina appesa aun filo illuminava una grande porta dimetallo e una serie di campanelli sullaparete di sinistra. Solo su uno c’era unnome: BANE.

Isabelle suonò. Non accadde nulla.Suonò di nuovo. Stava per farlo una

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terza volta, quando Alec le prese ilpolso. «Non fare la maleducata.»

Lei gli lanciò un’occhiataccia:«Alec…»

La porta si aprì.Un uomo magro comparve sulla

soglia e li osservò con curiosità. FuIsabelle a riprendersi per prima dallasorpresa e a sfoggiare un sorrisoscintillante. «Magnus? Magnus Bane?»

«In persona.» L’uomo che bloccaval’entrata era alto e magro come unapertica e i suoi capelli erano una coronadi fitte guglie nere. Dal taglio dei suoiocchi assonnati e dalla tonalità della suapelle leggermente brunita Clary dedusseche fosse in parte asiatico. Portava dei

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jeans e una camicia nera coperta dadozzine di fibbie di metallo. I suoi occhierano coperti da una mascherina diglitter color carbone, le labbra dipintedi blu scuro. Si fece passare una manoinanellata tra i capelli a punta e liguardò pensieroso. «Figli dei Nephilim»disse. «Dunque, dunque. Non ricordo diavervi invitati.»

Isabelle tirò fuori l’invito e losventolò come una bandiera bianca. «Houn invito. E loro» e indicò il resto delgruppo con un ampio movimento delbraccio «sono con me.»

Magnus le strappò l’invito di mano elo guardò con evidente disgusto.

«Dovevo essere ubriaco» disse.

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«Vabbe’.» Spalancò la porta. «Entrate. Ecercate di non uccidere nessuno dei

miei ospiti.»Jace si avvicinò alla porta e guardò

Magnus dritto negli occhi. «Nemmeno serovesciano un bicchiere sulle mie scarpedi pelle nuove?»

«No.» La mano di Magnus si mossetanto velocemente da essere poco più diun lampo sfocato e strappò lo stilo dallamano di Jace. Clary non si era nemmenoaccorta che fosse lì. Jace assunseun’aria vagamente imbarazzata. «Equanto a questo» disse Magnusfacendolo scivolare in una tasca deijeans di Jace «tienilo nei pantaloni,Cacciatore.»

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Magnus sorrise e si avviò su per lescale, lasciando un Jace dall’ariasorpresa a tenere aperta la porta.«Andiamo» disse il ragazzo con un gestodella mano. «Prima che qualcuno pensiche è la mia festa.»

Gli passarono davanti ridacchiandonervosamente. Solo Isabelle si fermò escosse il capo. «Cerca di non farloincavolare, per favore, se vuoi che ciaiuti.»

Jace sembrava annoiato. «So quelloche faccio.»

«Lo spero.» Isabelle gli passòdavanti in un mulinare di stoffe.

L’appartamento di Magnus era incima a una lunga rampa di scale trabal-

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lanti. Simon allungò il passo perraggiungere Clary, che si stava pentendodi avere appoggiato la mano allabalaustra. Era sporca di un liquidoappiccicoso che mandava una deboleluce verde e malsana.

«Bleah» disse Simon, e le offrì unangolo della sua maglietta per pulirsi lamano. Clary lo fece. «Va tutto bene?Sembri… distratta.»

«È solo che ha un’aria familiare.Magnus, voglio dire.»

«Dici che va anche lui alla St.Xavier’s?»

«Molto divertente.» Clary lo guardòmale.

«Hai ragione. È troppo vecchio per

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essere uno studente. Mi sa che l’hoavuto come prof di chimica l’annoscorso.»

Clary scoppiò a ridere. Isabelle le fuimmediatamente accanto. «Mi stoperdendo qualcosa di divertente,Simon?»

Simon ebbe l’accortezza di assumereun’espressione imbarazzata, ma nondisse nulla. Clary borbottò: «No, non tistai perdendo niente» e lasciò che ladistanziassero. Gli anfibi con le suolespesse stavano iniziando a farle male aipiedi. Quando arrivò in cima alle scaleormai zoppicava, ma si dimenticò ildolore non appena superò la portadell’appartamento di Magnus.

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Il loft era enorme e quasicompletamente vuoto. Le finestre a tuttaaltezza erano coperte da una spessapellicola di polvere e vernice cheteneva fuori quasi tutta la luce esterna.Grossi pilastri di metallo attorno aiquali erano avvolti cavi di lampadinecolorate sorreggevano un caliginososoffitto ad arco. Le porte erano statestrappate dai cardini e poggiate sopradei bidoni dell’immondizia per farne unbancone improvvisato a un’estremitàdella sala. Una donna dalla pelle lillacon un bustino metallico serviva da beredentro alti bicchieri di vetro dai colorisgargianti, che tingevano il liquido checontenevano: rosso sangue, blu

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cianotico, verde veleno. Anche per glistandard di una barista di New York, ladonna lavorava con un’effi-cienza e unavelocità affascinanti, aiutata dal fattoche aveva un altro paio di lunghe eaggraziate braccia oltre alle classichedue. A Clary fece venire in mente lastatua della dea indiana di Luke.

Il resto degli invitati era altrettantostrano. Un bel ragazzo coi capelli umidiverdi e neri sorrise a Clary da sopra unvassoio che sembrava conte-nere pescecrudo. I suoi denti erano affilati e serraticome quelli di uno squalo. Accanto a luic’era una ragazza con lunghi capellibiondo cenere intrecciati con dei fiori.Sotto la gonna del suo miniabito verde, i

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piedi avevano degli zoccoli da capra.Giovani donne così pallide che Clary sichiese se avessero del fondotinta dateatro sorseggiavano un liquido scar-latto troppo denso per essere semplicevino. Il centro della stanza era affollatodi corpi che danzavano al ritmomartellante che rimbalzava tra le pareti,anche se Clary non vedeva da nessunaparte una band che suonava.

«Ti piace la festa?»Si voltò e vide Magnus appoggiato a

uno dei pilastri. I suoi occhi brillavanoal buio. Clary si guardò intorno e videche Jace e gli altri si erano al-lontanati,inghiottiti dalla folla.

Cercò di sorridere. «Cosa si

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festeggia?»«Il compleanno del mio gatto.»«Oh.» Clary si guardò attorno. «E

dov’è?»Magnus si staccò dal pilastro con

aria solenne. «Non lo so. È scappato.»Clary non fu costretta a replicare

grazie alla ricomparsa di Jace e Alec.Alec aveva un’aria imbronciata,

come al solito. Jace portava attorno alcollo una fila di piccoli fiori luminosi esembrava compiaciuto di sé. «Dovesono Simon e Isabelle?» chiese Clary.

«In pista.» Li indicò. Clary riuscivaa malapena a vederli ai confini delquadrato ingombro di corpi. Simon stavafacendo quello che faceva di solito

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anziché ballare, ovvero rimbalzare su egiù sulla punta dei piedi, come un pescefuor d’acqua. Isabelle gli girava attornoflessuosa e sinuosa come un serpente,passandogli le dita sul petto. Loguardava come se stesse pensando diportarlo in un angolo a fare sesso. Clarysi strinse tra le braccia e i suoibraccialetti tintinnarono. Se si mettono aballare ancora un po’ più vicini nonavranno bisogno di andare in unangolo, pensò.

«Senti» disse Jace voltandosi versoMagnus. «Noi dobbiamo assolutamenteparlare con…»

«MAGNUS BANE!» Quella voceprofonda e tonante apparteneva a un

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uomo sulla trentina sorprendentementebasso. Aveva una muscolatura compatta,con la testa calva perfettamente rasata eil pizzetto a punta. Puntò un ditotremante contro Magnus, il volto chiaroarrossato dalla rabbia.

«Qualcuno mi ha messo dell’acquasanta nel serbatoio della moto. Èrovinata. Distrutta. Tutti i tubi si sonosciolti.»

«Sciolti?» mormorò Magnus. «Checosa terribile!»

«Voglio sapere chi è stato.» L’uomoscoprì i denti mostrando dei caninilunghi e appuntiti. Clary li fissòaffascinata. Non assomigliavano perniente a come si era immaginata le zanne

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dei vampiri: erano sottili e acuminaticome spilli. «Avevi giurato che questanotte qui non ci sarebbero stati uomini-lupo, Bane.»

«Non ho invitato nessun Figlio dellaLuna» disse Magnus esaminandosi leunghie coperte di Strass. «È colpa dellavostra stupida faida. Se qualcuno di loroha deciso di sabotare la tua moto, nonera un mio ospite, quindi…» offrì alvampiro un sorriso seducente «… non èuna mia responsabilità.»

Il vampiro ruggì di rabbia e puntò undito contro Magnus. «Stai cercando didirmi che…»

L’indice scintillante di Magnus simosse leggermente, così poco che Clary

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quasi pensò che fosse rimasto fermo. Ilvampiro si strozzò a metà ruggito e siportò le mani alla gola. Mosse la bocca,ma non ne uscì alcun suono.

«Non sei più il benvenuto» dissepigramente Magnus spalancando gliocchi. Clary notò che le sue pupilleerano verticali, come quelle di un gatto.«E adesso vattene.» Distese le dita e ilvampiro si voltò come se qualcuno loavesse afferrato per le spalle e lo avessegirato, dopodiché fendette deciso lafolla diretto verso la porta.

Jace fischiò piano. «Notevole.»«Vuoi dire quella piccola crisi

d’asma?» Magnus levò gli occhi alsoffitto. «Lo so. Cosa è successo

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davvero a quella moto?»Alec emise un suono strozzato. Dopo

un istante Clary si rese conto che era unarisata. Avrebbe dovuto farlo più spesso,pensò. «Gli abbiamo messo dell’acquasanta nel serbatoio» disse.

« Alec» lo rimproverò Jace.«Lo immaginavo» fece Magnus con

un’espressione divertita. «Siete deipiccoli bastardi vendicativi, eh? Sapeteche le loro moto vanno a energiademoniaca. Non credo che riuscirà più aripararla.»

«Una sanguisuga con un bel ferro inmeno» disse Jace. «Ho il cuorespezzato.»

«Ho sentito dire che alcuni di loro

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riescono a far volare le moto» buttò lìAlec, che per una volta sembrava averperso il proprio aplomb. Stava quasisorridendo.

«È solo una vecchia favola» disseMagnus con gli occhi di gatto chescintillavano. «Allora è per questo chevi siete infiltrati alla mia festa? So-loper mandare allo sfasciacarrozze lamoto di qualche succhiasangue?»

«No.» Jace era di nuovo serio.«Dobbiamo parlarti. Preferibilmente inprivato.»

Magnus sollevò un sopracciglio.Cavoli, pensò Clary, eccone un altro.

«Sono nei guai con il Conclave?»«No» disse Jace.

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« Probabilmente no» aggiunse Alec.«Ahi!» esclamò lanciandoun’occhiataccia a Jace, che gli avevatirato un calcio negli stinchi.

«No» ripeté Jace. «Possiamo parlaresotto il sigillo dell’Alleanza. Se ci aiuti,tutto ciò che ci dirai sarà confidenziale.»

«E se non vi aiuto cosa succede?»Jace spalancò le braccia. I tatuaggi

delle rune sui suoi palmi si stagliaro-noneri e ben delineati. «Forse niente.Forse una visita dalla Città Silente.»

La voce di Magnus era miele versatosopra schegge di ghiaccio. «Mi lasci unabella scelta, giovane Cacciatore.»

«Non è affatto una scelta» disseJace.

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«Già» riconobbe lo stregone. «Èesattamente quello che intendevo.»

La camera da letto di Magnus era unsabba di colori: lenzuola e coprilettogiallo canarino che drappeggiavano unmaterasso steso a terra, un tavolino datoilette blu elettrico con più confezionidi cosmetici di quello di Isabelle, tendedi velluto arcobaleno che nascondevanole finestre a tutta altezza e uno spessotappeto di lana che copriva ilpavimento.

«Bel posto» disse Jace spostandouna tenda. «Direi che si guadagna bene afare il Sommo Stregone di Brooklyn.»

«Abbastanza» ammise Magnus. «Ifringe benefit però non sono granché.

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Nessuna copertura dentistica.» Sichiuse la porta alle spalle e vi siappoggiò contro. Quando incrociò lebraccia, la sua maglietta si sollevòmostrando un po’ del suo stomaco piattoe ambrato. Non c’era traccia di om-belico. «Allora» disse. «Cosa passa perle vostre piccole menti deviate?»

«Non si tratta di loro» intervenneClary prima che Jace potesserispondere. «Sono io che ti volevoparlare.»

Magnus le puntò addosso i suoiocchi inumani. «Tu non sei una di loro»

disse. «Non fai parte del Conclave.Ma puoi vedere il Mondo Invisibile.»

«Mia madre era un membro del

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Conclave.» Era la prima volta che Clarylo diceva ad alta voce ed eraconsapevole del fatto che era vero. «Manon me l’ha mai detto. Lo ha tenutosegreto. Non so perché.»

«Chiediglielo.»«Non posso. È…» Clary esitò. «È

scomparsa.»«E tuo padre?»«È morto prima che io nascessi.»Magnus si produsse in un sospiro

irritato. «Come disse Oscar Wilde,“Perdere un genitore è una tragedia.

Perderli entrambi rischia di sembraredistrazione.”»

Clary sentì Jace emettere un piccolosibilo, come se avesse risucchiato

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dell’aria tra i denti. «Non ho perso miamadre» rispose. «Mi è stata portata via.Da Valentine.»

«Non conosco nessun Valentine»negò Magnus, ma i suoi occhi sfarfal-larono come due fiammelle tremolanti dicandele e Clary capì che stavamentendo. «Mi dispiace per le tuetragiche vicende personali, ma non vedocome questo possa avere a che fare conme. Se tu mi dicessi…»

«Non può dirtelo, perché non se loricorda» disse Jace con un tono secco.«Qualcuno le ha cancellato i ricordi.Così siamo andati alla Città Silente pervedere cosa potevano estrarre i Fratellidalla sua testa. Hanno ottenu-to due

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parole. Credo tu possa indovinarequali.»

Vi fu un breve silenzio. Alla fineMagnus lasciò che l’angolo della suabocca si sollevasse un poco. Il suo eraun sorriso amaro. «La mia firma»

disse. «Quando l’ho fatto sapevo cheera un’idiozia. Un atto di vanità…»

«Tu hai firmato la mia mente?»disse Clary incredula.

Magnus sollevò una mano e tracciòin aria il profilo infuocato di alcunelettere. Quando riabbassò la manoqueste rimasero lì, roventi e dorate,facendo risplendere di luce riflessa icontorti dipinti dei suoi occhi e dellasua bocca. MAGNUS BANE.

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«Ero fiero del lavoro che avevofatto su di te» disse lentamenteguardando Clary. «Così pulito. Cosìperfetto. Avresti dimenticato quello chevedevi, anche mentre lo vedevi.Nessuna immagine di pixie o folletti obestioli-ne dalle lunghe zampe sarebberimasta a turbare il tuo irreprensibilesonno mortale. Era così che voleva.»

La voce di Clary era resa più affilatadalla tensione. «Di chi stai parlando?»

Magnus sospirò e al tocco del suofiato le lettere di fuoco si ridussero incenere luccicante. Alla fine parlò, eanche se Clary non fu sorpresa dallarisposta, anche se sapeva esattamentecosa avrebbe detto, quelle parole per lei

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furono un tremendo colpo al cuore.«Di tua madre» disse Magnus.capitolo 13

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LA PERSISTENZADELLA MEMORIA

«È stata mia madre a farmi questo?»chiese Clary, ma il suo sdegno e il suostupore non convinsero nemmeno lei. Siguardò attorno e vide la pietà negliocchi di Jace e di Alec… anche Alec loaveva immaginato ed era dispiaciuto perlei. «Perché?»

«Non lo so.» Magnus allargò lelunghe mani bianche. «Nel mio lavoronon si fanno domande. Io faccio quelloper cui mi pagano.»

«Entro i limiti dell’Alleanza» gliricordò Jace con una voce morbida co-me la pelliccia di un gatto.

Magnus inclinò il capo. «Entro i

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limiti dell’Alleanza, certo.»«E il Conclave non è contrario a

questo… a questo stupro mentale?»chiese Clary amareggiata. Nessuno

le rispose e la ragazza si abbandonò sulbordo del letto di Magnus. «È successouna volta sola? C’era qualcosa dispecifico che lei voleva che iodimenticassi? Sai che cos’era?»

Magnus si mise a camminare agrandi passi verso la finestra, poi sivoltò. «Non credo che tu capisca. Laprima volta che ti vidi dovevi avere piùo meno due anni. Stavo guardando fuorida questa finestra…» picchiettò sulvetro, scatenando una piccola tempestadi polvere e schegge di tempera

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«… e la vidi che camminava speditagiù per la strada, con in braccio unacosa avvolta in una coperta. Mi sorpresevedere che si era fermata davanti allamia porta. Aveva un’aria così ordinaria,così giovane.»

La luce della luna tinse d’argento ilprofilo aquilino di Magnus. «Quandoraggiunse la mia porta scostò la coperta.Dentro c’eri tu. Ti mise per terra e tuiniziasti ad andartene in giro, adafferrare ogni cosa, a tirare la coda almio gatto… eri una cosetta parecchiovivace. Quando il gatto ti graffiò ur-lasticome una sirena, così chiesi a tua madrese non avessi per davvero un po’ disangue di sirena. Lei non rise.» Magnus

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fece una pausa. Ora lo guardavano tutticon grande attenzione, Alec compreso.«Mi disse che era una Cacciatrice. Nonaveva motivo di mentire: i marchidell’Alleanza si vedono anche quandosono sbiaditi dal tempo, sono comecicatrici argentate appena percepibilisulla pelle. I suoi si vedevano ogni voltache si muoveva.» Si massaggiò il glitterattorno agli occhi. «Disse che speravache tu fossi nata con l’Occhio Interiorecieco… Ad alcuni Cacciatori bisognainsegnare a vedere il Mondo Invisibile.Ma quel pomeriggio ti aveva sorpresa astuzzicare una pixie che era rimastaintrappolata in una siepe. Avevascoperto che avevi la Vista. Così mi

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chiese se era possibile levartela. Ac-cecarti.»

Clary emise un piccolo suono, unsospiro addolorato, ma Magnus proseguìimplacabile.

«Le dissi che azzoppare quella partedella tua mente ti avrebbe lasciatadanneggiata, probabilmente addiritturapazza. Non pianse. Non era il genere didonna che si mette a frignare per unnonnulla, tua madre. Mi chiese se c’eraun altro modo e io le dissi che avreipotuto farti dimenticare le parti delMondo Invisibile che riuscivi a vedere,anche nel momento in cui le vedevi.L’unica controindicazione era cheavrebbe dovuto venire da me ogni due

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anni per rinnovare l’incantesimo.»«E lo fece?» chiese Clary.Magnus annuì. «Dopo quella volta ti

ho visto ogni due anni… ti ho vistocrescere. Sei l’unica bambina che abbiamai guardato crescere in quel mo-do,sai? Quando fai il mio lavoro non è chesei proprio il benvenuto, dove ci sonobambini umani.»

«Così quando siamo entrati hairiconosciuto Clary» disse Jace.

«Certo.» Magnus sembravaesasperato. «Ed è stato uno shock. Ma tuco-sa avresti fatto? Non mi conosceva.Non avrebbe dovuto conoscermi mai.

Anche solo il fatto che si trovassequi significava che l’incantesimo aveva

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iniziato a dissolversi… E infatti l’ultimavisita avrebbe dovuto avvenire circa unmese fa. Quando sono tornato dallaTanzania sono venuto a casa tua, maJocelyn mi ha detto che avevate litigatoe tu eri scappata via. Mi disse che miavrebbe chiamato quando tu fossi tornatada lei, ma» Magnus si produsse inun’elegante scrollata di spalle «non loha mai fatto.»

La pelle di Clary venne sferzata dauna doccia fredda di ricordi. Si ricordòdi quando era sul marciapiede caldoaccanto a Simon cercando di ripor-tarealla mente qualcosa che sembravasfuggirle… Hai visto qualcosa?

Sembri distratta. No, niente. Era

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solo il gatto di Dorothea.Ma Dorothea non aveva un gatto.

«Tu eri lì, quel giorno» disse Clary.«Ti ho visto uscire

dall’appartamento di Dorothea. Miricordo i tuoi occhi.»

Magnus sembrava sul punto di farele fusa. «Sono un tipo memorabile, èvero» si vantò. Poi scosse il capo. «Matu non dovresti ricordartelo. Appena tiho visto, ho eretto un incantesimo durocome un muro. Avresti dovuto sbatterciil muso contro… psichicamenteparlando.»

Se vai a sbattere il muso contro unmuro psichico ti ritrovi dei lividi psi-chici o un naso rotto psichico? , si

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chiese Clary. «Se mi levi di dossoquell’incantesimo» disse «sarò in gradodi ricordare tutte le cose che hodimenticato? Tutta la mia vita? Tutta lamemoria che mi hai rubato?»

«Non posso farlo.» Magnussembrava a disagio.

«Cosa?» chiese Jace furente.«Perché no? Il Conclave ti imponedi…»

Magnus lo guardò gelido. «Non mipiace che mi si dica cosa fare, piccoloCacciatore…»

Clary vide quanto a Jace nonpiacesse essere chiamato “piccolo”, maAlec parlò prima che potesserispondere. La sua voce era morbida,

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ragionevole. «Non sai come invertirlo?»chiese. «L’incantesimo, dico.»

Magnus sospirò. «Dissolvere unincantesimo è molto più difficile checrearlo» spiegò. «La complessità diquesto incantesimo, la cura che homesso nel tesserlo… Se facessi anchesolo il minimo errore nel disfarlo, lamente di Clary potrebbe restaredanneggiata per sempre. E poi» aggiunse

«ha già iniziato a svanire. Gli effettisi dissolveranno da soli con il passaredel tempo.»

Clary lo guardò. «E a quel puntoriavrò tutti i miei ricordi? Tutto quelloche è stato portato via dalla mia testa?»

«Non lo so. Potrebbero tornare tutti

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insieme, oppure un po’ alla volta.Oppure potresti non ricordare mai

quello che hai dimenticato nel corsodegli anni. Ciò che mi chiese di fare tuamadre è stata una cosa unica, per quantomi riguarda. Non ho idea di cosasuccederà.»

«Ma io non voglio aspettare.» Clarysi strinse forte le mani in grembo, le ditacosì strettamente intrecciate che le puntedivennero bianche. «Per tutta la vita hosentito che c’era qualcosa che nonandava in me. Qualcosa che mancava,qualcosa di danneggiato. Adesso so…»

«Io non ti ho danneggiata. » Questavolta era stato Magnus a interrom-perla,le labbra ritratte rabbiosamente a

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mostrare denti bianchi e affilati.«Ogni adolescente del cavolo di

questo mondo sente quello che sentivitu: si sente rotto, fuori posto, diverso,come un principe nato per sbaglio in unafamiglia di contadini. La differenza èche nel tuo caso è vero. Tu sei diversa.Forse non migliore… ma diversa. Edessere diversi non è una passeggiata.Vuoi sapere com’è quando i tuoi genitorisono delle brave persone che vanno inchiesa e tu nasci con addosso il marchiodel Diavolo?» Si indicò gli occhi con ledita contratte. «Quando tuo padrerabbrividisce solo a vederti e tua madresi impicca nel fienile, impazzita allavista di suo figlio? Quando avevo dieci

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anni mio padre cercò di affogarmi in untorrente.

Io lo colpii con tutta la forza dellamia mente. Lo carbonizzai dove sitrovava. Alla fine andai a rifugiarmi daisacerdoti della chiesa. Mi nascosero.

Dicono che la compassione è uncibo amaro, ma è sempre megliodell’odio. Quando scoprii cos’ero inrealtà, un essere solo per metà umano,mi odiai. E qualsiasi cosa è meglio diquesto.»

Quando Magnus finì di parlare calòun silenzio assoluto. Con grandesorpresa di Clary, fu Alec a romperlo.«Non è stata colpa tua» disse. «Non sipuò decidere come nascere.»

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L’espressione di Magnus eraimpenetrabile. «L’ho superato» disse.

«Credo tu abbia capito cosa volevodire. Essere diversi non ènecessariamente un bene, Clarissa. Tuamadre stava cercando di proteggerti.Non fargliene una colpa.»

Le mani di Clary si rilassarono unpo’. «Non mi importa se sono diversa»disse. «Voglio solo essere quello chesono.»

Magnus imprecò in una lingua cheClary non conosceva. Assomigliava alloscoppiettio di un fuoco. «Va bene.Ascolta. Io non posso disfare ciò che hofatto, ma posso darti qualcos’altro. Unpezzo di ciò che sarebbe stato tuo se tu

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fossi stata cresciuta come una vera figliadei Nephilim.» Attraversò la stanza digran passo, raggiunse la libreria edestrasse un pesante volume rilegato divelluto verde mezzo marcio. Sfogliò lepagine spargendo in giro polvere e pezzidi stoffa annerita. Le pagine eranosottili, di una pergamena quasitrasparente, e su ognuna era tracciata unaruna nera.

Le sopracciglia di Jace si alzarono.«È una copia del Libro Grigio?»

Magnus non rispose e continuò asfogliare le pagine.

«Ce l’ha anche Hodge» osservòAlec. «Me l’ha fatto vedere una volta.»

«Ma non è grigio» non poté fare a

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meno di far notare Clary. «È verde.»«Se prendere le cose alla lettera

fosse una malattia mortale, tu sarestimorta da piccola» disse Jace spazzandovia della polvere dal davanzale dellafinestra e guardandolo come se stessedecidendo se era abbastanza pulito persedercisi sopra. «”Grigio” è unadeformazione dell’antica parola

“Grimorio”, che indica unaconoscenza magica e nascosta. NelGrimorio sono copiate tutte le rune chel’angelo Raziel scrisse nel Librodell’Alleanza originale. Non ne esistonomolte copie perché ognuna di esse deveessere creata in modo speciale. Alcunerune sono così potenti che brucerebbero

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la carta normale.»Alec sembrava colpito. «Io non

sapevo tutte queste cose sul Libro.»Jace si sedette sul davanzale con un

salto e fece ciondolare le gambe.«Non tutti dormono durante le ore di

storia.»«Io non…»«Sì che lo fai, e sbavi anche sul

banco.»«Zitti» disse Magnus, ma lo disse

con un tono abbastanza bonario. Infilò undito tra due pagine del libro, si avvicinòa Clary e glielo depose piano in grembo.«Ora, quando aprirò il libro, voglio chetu studi bene la pagina.

Guardala finché non senti qualcosa

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cambiare dentro la tua mente.»«Farà male?» chiese nervosa Clary.«La conoscenza fa sempre male»

rispose lui. Si alzò in piedi e lasciò cheil libro le si aprisse in grembo. Claryguardò la pagina bianca e la runa nerache si stagliava sopra come una macchiadi sangue sulla neve. Assomigliava auna spirale con le ali, ma poi Clarypiegò la testa di lato, e allora le sembròun bastone attorno al quale erano avvoltidei rampicanti. Gli angoli mutevoli deldisegno le solleticavano la mente comepiume che sfiorano la pelle sensibile.Sentì il brivido di una reazione che laspingeva a chiudere gli occhi, ma litenne aperti finché non le fecero male e

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la sua vista si an-nebbiò. Stava perbatterli quando sentì un clic dentro latesta, come una chiave che apre unaserratura.

La runa sulla pagina parve mettersi afuoco con uno scatto e Clary pensò senzavolerlo: Ricorda. Se la runa fosse statauna parola, sarebbe stata proprio quella,ma in essa vi era più significato che inqualsiasi parola la ragazza riuscisse aimmaginare. Era il primo ricordoinfantile della luce che passa fra lesbarre di una culla, il ricordo delprofumo della pioggia e delle stradedella città, il dolore di una perdita maidimenticata, la fitta di un’u-miliazionericordata e la crudele smemoratezza

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della vecchiaia, quando i ricordi piùantichi si stagliano con inquietanteprecisione e gli eventi più vicini siperdono per strada.

Con un piccolo sospiro Clary voltòpagina e poi ancora, lasciando cheimmagini e sensazioni scorressero in lei.Tristezza. Pensiero. Protezione.

Grazia… e poi urlò d’indispettitasorpresa quando Magnus le strappò illibro dal grembo.

«Basta così» decise lo Stregonerimettendo il libro sul suo scaffale. Sipulì le mani dalla polvere sui pantalonicolorati, lasciandovi delle strisce grigie.«Se leggessi tutte le rune in una voltasola, ti verrebbe un gran mal di testa.»

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«Ma…»«La maggior parte dei giovani

Cacciatori impara una runa alla volta»spiegò Jace. «Il Libro Grigio

contiene rune che non conosco nemmenoio.»

«Da non credere…» disse Magnussottovoce.

Jace lo ignorò. «Magnus ti hamostrato la runa della comprensione edel ricordo. Serve ad aprire la menteper leggere e riconoscere gli altrimarchi.»

«E può anche innescare l’attivazionedi ricordi dormienti» aggiunse Magnus.«Ti possono tornare più velocemente diquanto accadrebbe senza la runa. È il

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massimo che posso fare per te.»Clary abbassò lo sguardo. «Però

continuo a non ricordare niente dellaCoppa Mortale.»

«È di questo che si tratta allora?»Magnus sembrava sinceramentesbalordito. «State cercando la Coppadell’Angelo? Senti, io sono stato inmezzo ai tuoi ricordi e non c’era nienteche riguardasse gli Strumenti Mortali.»

«Strumenti Mortali?» gli fece ecoClary. «Io pensavo…»

«L’Angelo diede tre oggetti ai primiShadowhunters. Una coppa, una spada euno specchio. La Spada la hanno iFratelli Silenti, la Coppa e lo Specchiosi trovavano a Idris, almeno finché non è

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arrivato Valentine.»«Nessuno sa dove si trovi lo

Specchio» disse Alec. «Non lo sanessuno da secoli.»

«A noi interessa la Coppa» disseJace. «Valentine la sta cercando.»

«E voi volete prenderla prima dilui?» chiese Magnus sollevando unsopracciglio.

«Mi sembrava avessi detto che nonsapevi chi è Valentine» fece notareClary.

«Ho mentito» ammise candidamenteMagnus. «Io non faccio parte del PopoloFatato, sai? Non sono costretto a dire laverità. E solo un idiota si metterebbe traValentine e la sua vendetta.»

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«È questo che pensi stia cercando?Vendetta?» chiese Jace.

«Direi di sì. Ha subito una tremendasconfitta e non sembrava proprio…

anzi, non sembra proprio… il tipo diuomo che sa perdere con eleganza.»

Alec guardò Magnus. «Tu eripresente alla Rivolta?»

Gli occhi di Magnus si strinsero suisuoi, blu e verdi. «Sì. E ho uccisoparecchi dei vostri.»

«Parecchi membri del Circolo» locorresse subito Jace. «Non dei nostri…»

«Se continuerete a rinnegare quantoc’è di brutto in ciò che fate» disseMagnus senza staccare gli occhi da Alec«non imparerete mai dai vostri errori.»

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Alec si mise a trafficare colcopriletto con una mano e arrossìviolentemente. «Non sembri sorpreso disentire che Valentine è ancora vivo»disse evitando lo sguardo di Magnus.

Lo stregone allargò le braccia. «Voisì?»

Jace aprì la bocca e poi la richiuse.Sembrava confuso. Alla fine disse:

«Quindi non ci aiuterai a trovare laCoppa Mortale?»

«Non lo farei nemmeno se potessi»disse Magnus. «E comunque si dà ilcaso che non posso. Non ho idea di dovesi trovi e non mi interessa. Solo unidiota, come ho già detto…»

Alec si mise a sedere più dritto.

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«Ma senza la Coppa non possiamo…»«Creare altri Shadowhunters, lo so»

disse Magnus. «Forse non tutti loconsiderano un disastro come voi. Sedovessi scegliere tra il Conclave eValentine» aggiunse «sceglierei ilConclave. Almeno non ha giurato dieliminare quelli come me. Ma ilConclave non ha fatto niente permeritarsi la mia lealtà assoluta. Per cuiquesta volta me ne starò a guardare. Eadesso, se qui abbiamo finito, vorreitornare alla festa prima che i miei ospitiinizino a mangiarsi tra loro.»

Jace, che continuava a serrare eriaprire le mani, sembrava sul punto diinsultare Magnus, ma Alec si alzò in

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piedi e gli mise una mano sulla spalla.Clary nella semioscurità non vide bene,ma sembrava che Alec stesse stringendoabbastanza forte. «Dici sul serio?»chiese.

Magnus lo guardò con aria divertita.«Non sarebbe la prima volta.»

Jace sussurrò qualcosa ad Alec, chelo lasciò andare. Il ragazzo si avvicinò aClary. «Stai bene?» le chiese sottovoce.

«Credo di sì. Non mi sentodiversa…»

Magnus, in piedi accanto alla porta,schioccò le dita con un gesto impaziente.«Sbrigatevi, ragazzini. L’unica personache ha il permesso di fare ciccipuccinella mia camera da letto è il vostro

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splendido ospite Magnus Bane.»«Fare ciccipucci?» ripeté Clary che

non aveva mai sentito quell’espressione.«Splendido?» ripeté Jace per fare

l’attaccabrighe. Magnus ringhiòqualcosa che suonava come: «Fuori.»

Uscirono dalla stanza e Magnusrestò indietro per chiudere a chiave laporta. L’atmosfera della festa a Claryparve essere leggermente cambiata.

Forse era solo la sua visionelievemente alterata, ma tutto sembravapiù chiaro e i contorni erano piùcristallini e definiti. Guardò un gruppodi musicisti salire sul piccolo palco alcentro della sala. Indossavano abitisgargianti, color oro, viola e verde, e le

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loro voci alte erano nitide e affilate.«Io odio le band di fate» borbottò

Magnus, mentre i musicisti eseguiva-noun’altra canzone inquietante, la cuimelodia era delicata e trasparente comeil cristallo. «Non fanno altro chesuonare ballate strappalacrime.»

Jace scoppiò a ridere mentre siguardava attorno. «Dov’è Isabelle?»

Un’ondata di senso di colpa assalìClary. Si era scordata di Simon. Si voltòper cercare le sue ben note spalle ossutee la sua zazzera di capelli scuri. «Non lovedo. Non li vedo, volevo dire.»

«Eccola.» Alec aveva individuato lasorella e le fece segno di avvicinarsicon un’espressione sollevata. «Vieni

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qui, Iz. E stai attenta al puka.»«Stai attenta al puka?» ripeté Jace

guardando un tizio magro con la pellemarrone e un gilet a disegno cashmereverde che stava fissando Isabelle.

«Prima, quando gli sono passatodavanti, mi ha dato un pizzicotto» disserigido Alec. «In una zona estremamentepersonale.»

«Be’, mi sa che se è interessato alletue zone estremamente personali,probabilmente non lo è a quelle di tuasorella.»

«Non necessariamente» disseMagnus. «Il Piccolo Popolo non va tantoper il sottile.»

Jace fece una smorfia allo stregone.

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«Sei ancora qui?»Isabelle li raggiunse prima che

Magnus potesse rispondere: aveva ilvolto di un rosa più intenso, con dellemacchioline rosse e l’alito che sapevad’alcol. «Jace! Alec! Dove siete stati?Vi ho cercati dappertutto…»

«Dov’è Simon?» la interruppe Clary.Isabelle barcollò. «È un ratto» disse

sottovoce.«Ti ha fatto qualcosa?» Alec era

tutto preoccupazione fraterna. «Ti hatoccata? Se ha provato a…»

«No, Alec» disse Isabelle irritata.«Voglio dire che è un ratto. Letteral-mente. »

«È ubriaca» disse Jace iniziando a

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voltarsi disgustato.«No» si indignò Isabelle. «Be’,

forse un pochino, ma non è questo ilpunto. Il punto è che Simon ha bevutouno di quei cocktail blu… io gli ho dettodi non farlo, ma non ha volutoascoltarmi… e si è trasformato in untopo.»

«Un topo?» ripeté Clary incredula.«Non vorrai dire…»

«Voglio dire un topo» ripetéIsabelle. «Piccolo. Grigio. Coda lunga.»

«Al Conclave non piacerà» disseAlec. «Sono abbastanza sicuro chetrasformare i mondani in topi sia controla Legge.»

«Tecnicamente non è stata lei a

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trasformarlo in un topo» puntualizzò Ja-ce. «Il peggio di cui possa essereaccusata è negligenza.»

«Ma chi se ne frega della vostrastupida Legge!» urlò Clary afferrandoIsabelle per un polso. «Il mio miglioreamico è un topo!»

«Ahi!» Isabelle cercò di liberarsi ilpolso. «Lasciami andare!»

«Solo dopo che mi hai detto dov’è.»Clary non aveva mai desideratoprendere a pugni qualcuno come volevafare con Isabelle in quel momento.

«Non ci posso credere che tu loabbia abbandonato… saràterrorizzato…»

«Se non lo hanno calpestato»

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sottolineò Jace con scarso tatto.«Non sono stata io a lasciarlo lì… è

corso sotto il bancone» protestò Isabelleindicando la zona bar. «Mollami! Mistai rovinando il braccialetto.»

«Stronza» disse Clary furentelasciando andare il polso di Isabelle,che assunse un’espressione sbalordita.Clary non aspettò la sua reazione, ma silanciò di corsa verso il bancone. Sibuttò in ginocchio e sbirciò nello spaziobuio sotto il bar. In quella semioscuritàmuffosa le sembrò di intravedere unpaio di occhietti luccicanti.

«Simon?» disse con la vocestrozzata. «Sei tu?»

Simon-il-topo si fece un po’ più

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vicino, coi baffi che tremavano. Clarydistinse il contorno delle sue piccoleorecchie tondeggianti appiattite contro latesta e la punta affilata del naso. Cercòdi reprimere un senso di re-pulsione…non le erano mai piaciuti i topi, con iloro denti squadrati e pronti a mordere.Avrebbe preferito che Simon fosse statotrasformato in un criceto.

«Sono io, Clary» disse lentamente.«Stai bene?»

Jace e gli altri la raggiunsero.Adesso Isabelle sembrava più infastiditache preoccupata. «È là sotto?» chieseJace curioso.

Clary, ancora a carponi, annuì. «Ssh.Lo farete scappare.» Infilò le dita con

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molta cautela sotto il bancone e le mossepiano. «Dai, vieni fuori, Simon. Diremoa Magnus di annullare l’incantesimo.Andrà tutto bene.»

Si sentì uno squittio e il nasino rosadel topo spuntò da sotto il bancone.

Con un’esclamazione di sollievoClary lo prese in mano. «Simon! Haicapito quello che ho detto?!»

Il topo, accucciato nel palmo dellasua mano, emise uno squittio depres-so.Clary se lo strinse al petto, felicissima.«Oh, povero piccolo» cantilenò, quasicome se fosse un vero animalettodomestico. «Povero Simon, andrà tuttobene, te lo prometto…»

«Io non sarei tanto dispiaciuto per

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lui» disse Jace. «Probabilmente non èmai stato abbracciato così da unaragazza in tutta la sua vita.»

«Piantala!» Clary lo guardò furente,ma allentò la presa sul topo.L’animaletto aveva i baffi chetremavano, ma la ragazza non avrebbesaputo di-re se era per la rabbia,l’agitazione o il terrore. «ChiamateMagnus» disse secca. «Dobbiamoritrasformarlo.»

«Non c’è fretta.» Jace stavaridacchiando, il bastardo. Allungò unamano verso Simon, come se volessecoccolarlo. «È carino così. Guarda chebel nasino rosa.»

Simon scoprì i lunghi denti gialli e

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fece per morderlo. Jace ritrasse la mano.«Izzy, vai a cercare il nostro splendidoospite.»

«Perché io?» protestò Isabelle.«Perché è colpa tua se il mondano è

diventato un topo, imbecille» disse, eClary fu colpita da quanto raramente, aeccezione di Isabelle, pronun-ciassero ilvero nome di Simon. «E non possiamolasciarlo qui.»

«Saresti più che felice di lasciarloqui, se non fosse per lei» disse Isabelleriuscendo a iniettare in quell’unicasillaba una quantità di veleno sufficientea uccidere un elefante. Se ne andò conpasso deciso, la gonna che le svolazzavasui fianchi.

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«Non ci posso credere che ti abbialasciato bere quella roba blu» disseClary a Simon-il-topo. «Adesso avraiimparato cosa succede a fare glistupidi.»

Simon squittì nervosamente. Clarysentì qualcuno ridacchiare, e quandosollevò lo sguardo vide Magnus che sichinava su di lei. Isabelle era alle suespalle, l’espressione furiosa. « Rattusnorvegicus» disse Magnus guardandoSimon. «Un comune topo grigio, nientedi esotico.»

«Non mi interessa che tipo di topoè» sbottò Clary. «Voglio che tu lo facciatornare normale.»

Magnus si grattò la testa pensieroso,

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sollevando una nuvoletta di glitter.«Non serve» disse.«È quello che ho detto anch’io.»

Jace sembrava contento.«NON SERVE?» urlò Clary tanto

forte che Simon nascose la testolinasotto il suo pollice. «COME FAI ADIRE CHE NON SERVE?!»

«Perché tornerà normale da solo nelgiro di poche ore» disse Magnus.

«L’effetto dei cocktail è temporaneo.Non ha senso fargli un incantesimo ditrasformazione: servirebbe solo atraumatizzarlo. Troppa magia è difficileda reggere per i mondani, il loro sistemanon ci è abituato.»

«Non credo che il suo sistema sia

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abituato a essere un topo» fece notareClary. «Tu sei uno stregone, non puoisemplicemente annullarel’incantesimo?»

Magnus ci pensò un po’ sopra. «No.»«Vuoi dire che non vuoi farlo.»«Non gratis, cara. E tu non ti puoi

permettere i miei servigi.»«Non posso nemmeno portarmi

dietro un topo in metropolitana» silamentò Clary. «Potrei farlo cadere,oppure mi arresterebbero per avereportato degli animali infestanti sui mezzipubblici.» Simon emise uno stridiooffeso. «Non che tu sia veramenteinfestante, certo.»

Una ragazza che urlava accanto alla

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porta era stata raggiunta da sei o settealtre persone. Il suono di voci arrabbiatesi levò sopra il brusio della festa e lenote della musica. Magnus levò gli occhial soffitto. «Vogliate scu-sarmi» disseinfilandosi fra la folla, che gli si chiusesubito dietro.

Isabelle sospirò barcollando suisandali. «È stato proprio d’aiuto…»

«Be’» disse Alec «potresti sempreinfilartelo nello zainetto.»

Clary gli lanciò un’occhiataccia, manon riuscì a trovare nulla di sbagliato inquell’idea. E comunque non avevatasche in cui metterlo: il vestito diIsabelle era troppo aderente perchépotesse avere delle tasche. Clary

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trovava sorprendente anche solo il fattoche Isabelle potesse starci dentro.

Si scrollò lo zainetto dalle spalle etrovò un nascondiglio per il topino cheera stato Simon, annidato tra la sua felpaarrotolata e l’album da disegno. Il toposi acciambellò sopra il portafogli conun’espressione risentita.

«Mi dispiace» disse Clary.«Lascia perdere» disse Jace. «Non

capisco proprio perché voi mondanicontinuiate a prendervi la responsabilitàdi cose che non sono colpa vostra.

Non sei stata tu a costringere questoidiota a bersi quel cocktail.»

«Se non fosse per me, lui nonsarebbe nemmeno qui» disse piano

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Clary.«Non sopravvalutarti. Lui è venuto

per Isabelle.»Clary chiuse lo zainetto con uno

strattone rabbioso e si alzò in piedi.«Andiamo via. Questo posto mi ha

stufato.»Il gruppo di persone urlanti sulla

porta era composto da altri vampiri,facilmente riconoscibili dalla pellepallida e dai capelli corvini. Se lidevono tingere, pensò Clary. Non puòessere che siano tutti mori naturali, epoi alcuni hanno le sopraccigliabionde. Si stavano lamentandorumorosamente del fatto che qualcunoaveva danneggiato le loro moto e che

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dei loro amici erano scomparsi nelnulla. «Probabilmente si sono ubriacatie sono svenuti da qualche parte» disseMagnus agitando annoiato un lungo ditobianco. «So benissimo come voialtritendete a trasformarvi in pipistrelli o inmucchietti di polvere quando aveteingollato qualche Bloody Mary ditroppo.»

«È un cocktail di vodka e sangue»spiegò Jace all’orecchio di Clary.

La pressione del suo respiro la fecerabbrividire. «Sì, l’avevo immaginato,grazie.»

«Non possiamo andarcene in giro araccogliere tutta la polvere che c’è quiintorno nella speranza che domani

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mattina si trasformi in Gregor» disse unaragazza con la bocca imbronciata e lesopracciglia disegnate.

«Gregor non corre alcun rischio, nonpasso quasi mai la scopa qua dentro» latranquillizzò Magnus. «Domani saròlieto di rispedire a casa tutti i dispersi…in un’auto con i vetri oscurati,naturalmente.»

«E le nostre moto?» chiese unragazzo magro con la crescita biondasotto una pessima tintura. Dal lobosinistro gli pendeva un orecchino aforma di paletto. «Ci vorranno ore peraggiustarle.»

«Avete tempo fino all’alba» disseMagnus che stava evidentemente

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perdendo la pazienza. «Vi consigliereidi iniziare a darvi da fare.» E poi, a vo-ce più alta: «Va bene, basta così! Lafesta è finita! Tutti fuori!» Agitò lebraccia spargendo in giro nuvolette diglitter.

La band smise di suonare con unforte pizzicato all’unisono. Un brusio dilamentele si alzò dagli invitati, che peròsi avviarono obbedienti verso la porta.Nessuno si fermò a ringraziare Magnusper la festa.

«Andiamo.» Jace spinse Clary versol’uscita. C’era un sacco di gente.

Clary si tenne lo zainetto davanti alpetto, proteggendolo con le mani.

Qualcuno la spintonò e lei urlò e si

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spostò di lato, andando quasi a sbatterecontro Jace. Una mano le sfiorò lozainetto. Clary sollevò lo sguardo e vi-de il vampiro coi capelli argentati el’orecchino a forma di paletto che lesorrideva. «Ehi, carina» le disse.«Cos’hai nella borsa?»

«Acqua santa» disse Jacecomparendo accanto a Clary come sefosse stato un genio biondo, sarcastico edal pessimo carattere evocato lì per lì.

«Perché, hai sete?»«Oooh, un Cacciatore» disse il

vampiro. «Che paura!» Strizzò l’occhioe tornò a confondersi nella folla.

«I vampiri sono delle taliprimedonne» sospirò Magnus sulla

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porta.«Non so proprio perché mi ostino a

dare queste feste.»«Per il tuo gatto» gli ricordò Clary.Magnus si rianimò. «È vero. Il

presidente Miao merita tutti i mieisforzi.» Guardò la ragazza e il gruppettodi Cacciatori alle sue spalle. «Ve neandate?»

Jace annuì. «Non vorremmo abusaredella tua ospitalità.»

«Ma quale ospitalità?» disseMagnus. «Vorrei poter dire che è statoun piacere, ma non è così. Non che nonsiate tutti dei tipi carini. E per quantoriguarda te…» strizzò un occhioglitterato ad Alec, che reagì con

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un’espressione sbalordita «… chiamamiquando vuoi.»

Alec arrossì e balbettò qualcosa, eprobabilmente sarebbe andato avanticosì tutta la notte se Jace non lo avessepreso per un gomito e trascinato verso laporta. Isabelle li seguì. Clary stava perfare lo stesso quando qualcosa le sfioròun braccio: era Magnus. «Ho unmessaggio per te» le disse.

«Da parte di tua madre.»Clary restò tanto sbalordita che

lasciò quasi cadere lo zainetto. «Da miamadre? Vuoi dire che ti ha chiesto didirmi qualcosa?»

«Non esattamente» disse Magnus.Per una volta i suoi occhi felini, attra-

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versati dalle pupille verticali comebrecce in un muro verde e dorato, eranoseri. «Però la conoscevo, in un mododiverso da come la conoscevi tu. Hafatto quello che ha fatto per tenerti fuorida un mondo che odiava. Tutta la suaesistenza, la sua fuga, la latitanza… lesue bugie, come le chiami tu…

avevano lo scopo di tenerti alsicuro. Non sprecare tutti i suoi sacrificiri-schiando la vita. Lei non lovorrebbe.»

«Non vorrebbe che la salvassi?»«Non se questo vuol dire metterti in

pericolo.»«Ma io sono l’unica persona a cui

importa di ciò che le accadrà…»

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«No» disse Magnus.Clary sbatté gli occhi. «Non capisco.

C’è… Magnus, se sai qualcosa…»Lo stregone la interruppe con brutale

determinazione. «E c’è un’ultima cosa.»I suoi occhi si spostarono velocementeverso la porta, dove Jace la stavaaspettando in mezzo ad Alec e Isabelle.«Non dimenticare che quando tua madrefuggì dal Mondo Invisibile, non era daimostri che si stava nascondendo. Enemmeno dagli stregoni, dai licantropi,dal Piccolo Popolo o dai demoni. Stavafuggendo da loro. Dai Cacciatori.»

Loro. I Cacciatori. La stavanoaspettando fuori dal magazzino. Jaceaveva le mani in tasca e se ne stava

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appoggiato alla balaustra della scala aguardare i vampiri che si aggiravanoattorno alle loro moto imprecando ebestemmiando. Aveva un lievissimosorriso sul volto. Alec e Isabelle eranoun po’ più lontani. Isabelle si stavaasciugando gli occhi e Clary sentìun’ondata di rabbia irrazionale: Isabelleconosceva appena Simon, questo non erail suo disastro. Era Clary che aveva ildiritto di fare storie, non quellaCacciatrice.

Quando Clary uscì dal magazzino,Jace si staccò dalla balaustra es’incamminò di fianco a lei senzaparlare. Sembrava perso nei suoipensieri.

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Isabelle e Alec, che camminavanospediti davanti a loro, stavanodiscutendo di qualcosa. Clary acceleròun po’ il passo, allungando il collo persen-tirli.

«Non è colpa tua» stava dicendoAlec. Mostrava un certa cautela inquello che diceva, come se si fosse giàtrovato in quella situazione con suasorella. Clary si chiese quanti nuovispasimanti le fosse capitato ditrasformare in topi. «Però questodovrebbe insegnarti a non andare tantospesso alle feste dei Nascosti» aggiunse.«Sono sempre una fonte di guai.»

Isabelle tirò su forte con il naso. «Segli fosse successo qualcosa io… io non

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so cosa avrei fatto.»«Probabilmente la stessa cosa che

stavi facendo prima» disse Alec conun’aria annoiata. «Non puoi certo dire diconoscerlo da una vita…»

«Questo non vuol dire che io non…»«Cosa? Che non lo ami?» sbottò

Alec alzando la voce. «Bisognaconoscere una persona per amarla… èquesto l’amore.»

«Ma non è solo questo.» Isabellesembrava triste. «Tu ti sei divertito allafesta, Alec?»

«No.»«Ho pensato che magari Magnus ti

piaceva. È carino, vero?»«Carino?» Alec la guardò come se

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fosse pazza. «I gattini sono carini, Izzy.Gli stregoni sono…» Esitò. «Un’altracosa» terminò tenendosi sul va-go.

«Pensavo che potesse succederequalcosa.» Isabelle sembrava di nuovotriste. Il suo ombretto scintillava comelacrime mentre guardava il fratello.

«Che poteste fare amicizia.»«Ce li ho già degli amici» disse

Alec guardandosi alle spalle e cercandocon gli occhi, quasi involontariamente,Jace.

Ma Jace aveva gli occhi bassi, eraperso nei suoi pensieri e non se neaccorse.

«Hai bisogno di amici diversi» disseIsabelle con una voce tanto tenue che

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Clary la sentì appena. Si sorprese aprovare un senso di solidarietà nei suoiconfronti. Evidentemente voleva bene asuo fratello: qualcosa nel modo in cuigli parlava le ricordò la propria vocequando si rivolgeva a Simon.

D’istinto allungò una mano peraprire lo zaino e dare un’occhiataall’interno… e aggrottò le sopracciglia.Era aperto. Tornò con la memoria allafine della festa: aveva sollevato lo zainoe chiuso la cerniera. Ne era certa.

Spalancò la borsa con il cuore chebatteva a tutto spiano.

Le tornò in mente la volta in cui leavevano rubato il portafogli inmetropolitana. Ricordò come avesse

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aperto la borsa e, non vedendo ilportafogli, le si fosse prosciugata labocca per la sorpresa. L’ho fattocadere?

L’ho perso? E poi si era resa contodi una cosa: È andato. Era come quellavolta, solo mille volte peggio. Con labocca asciutta come un deserto, Claryrovistò nello zainetto, buttando in giro ivestiti e l’album da disegno, con leunghie che raccoglievano lo sporco sulfondo della borsa. Niente.

Si fermò. Jace si stava attardandopoco più avanti e sembrava impaziente.Alec e Isabelle erano già a un isolato didistanza. «Cosa c’è che non va?» chieseJace, e Clary capì che stava per

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aggiungere qualche commentosarcastico, ma probabilmente vide intempo l’espressione della ragazza,perché aggiunse solamente: «Clary?»

«È sparito» sussurrò lei. «Simon.Era nel mio zainetto…»

«Si è arrampicato fuori?»Non era una domanda irragionevole,

ma Clary, esausta e in preda al panico,reagì irragionevolmente. «Certo cheno!» urlò. «Cosa credi, che non vedal’ora di farsi schiacciare da unamacchina, ammazzare da un gatto o…»

«Clary…»«Stai zitto!» strillò lei mulinandogli

contro lo zainetto. «Sei stato tu a di-reche non era il caso di farlo tornare

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normale…»Lui afferrò al volo lo zainetto, glielo

prese di mano e lo esaminò. «Lacerniera è stata strappata» disse.«Dall’esterno. Qualcuno ha aperto laborsa con la forza.»

Clary, confusa, scosse il capo esussurrò: «Io non…»

«Lo so.» La voce di Jace era gentile.Si mise le mani a coppa attorno allabocca. «Alec! Isabelle! Andate avanti!Vi raggiungiamo.»

Le due figure, ormai distanti, sifermarono: Alec esitò, ma sua sorella loprese per un braccio e lo spinse condecisione verso la fermata dellametropolitana. Clary sentì qualcosa

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premerle contro la schiena: era la manodi Jace che la faceva giraredelicatamente. Lei si lasciò guidare,inciampando nelle crepe delmarciapiede. La mano di Jace sulla suaschiena era ferma e solida, ma la sentivaappena.

«Perché hai…» sussurrò.«Perché ho che cosa?»«Perché li hai fatti andar via? Alec e

Isabelle?»Jace non rispose. Erano di nuovo

nell’ingresso della casa di Magnus.Quello spazio angusto era invaso

dalla puzza stagnante di alcol edall’indefinibile odore dolciastro cheClary era arrivata ad associare ai

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Nascosti. Ja-ce allontanò la mano dallaschiena di Clary e suonò il citofono diMagnus.

«Jace» disse lei.Lui la guardò, gli occhi come due

monete ossidate. «Cosa?»Clary cercò le parole. «Pensi che

stia bene?»«Simon?» Era la prima volta che

pronunciava il nome di Simon. Jaceebbe un’esitazione e Clary ripensò alleparole di Isabelle: Non fargli unadomanda a meno che tu non sappia dipoter reggere la risposta. Jace nondisse nulla e suonò ancora ilcampanello, questa volta un po’ più alungo.

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Magnus rispose, la voce cherimbombava nel piccolo ingresso: «CHIOSA DISTURBARE IL MIO RIPOSO?»

Jace sembrava quasi nervoso. «JaceWayland. Ti ricordi? Sono delConclave.»

«Oh, sì.» Magnus sembravaringalluzzito. «Sei quello con gli occhiazzurri?»

«Parla di Alec» suggerì Clary.«No. I miei occhi vengono

solitamente definiti dorati» disse alcitofono.

«E luminosi, tanto per la cronaca.»«Ah, sei quell’altro.» Magnus

sembrava deluso. Se non fosse statatanto sconvolta, Clary sarebbe scoppiata

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a ridere. «Sarà meglio che tu salga.»Lo stregone andò ad aprire la porta

con addosso un kimono di seta con ildisegno di un drago, un turbante dorato eun’espressione di fastidio appenacontenuto.

«Stavo dormendo» disse stizzito.Jace sembrava sul punto di dire

qualcosa di maleducato, probabilmentea proposito del turbante, così Clary loprevenne. «Ci dispiace disturbarti…»

iniziò.Qualcosa di piccolo e bianco spuntò

da dietro le caviglie dello stregone.Aveva delle strisce grigie a zigzag e

delle orecchie rosa impennacchiate chelo facevano assomigliare più a un grosso

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topo che a un piccolo gatto.«Il presidente Miao?» tentò Clary.Magnus annuì. «È tornato.»Jace guardò con un certo disgusto il

gatto. «Ma quello non è un gatto»osservò. «È grande come un

criceto.»«Sarò tanto gentile da dimenticare

quello che hai appena detto» disseMagnus spingendo il presidente Miaoverso la scala alle sue spalle.

«E io dimenticherò la tua delusionenel vedere me invece di Alec. Lamaggior parte delle persone tende adavere la reazione opposta.»

«Me ne rendo conto perfettamente»ammise Magnus. «Ma c’è qualcosa nel

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tuo amico. Non è come voi.»«È più gentile» disse Jace. «E non è

pronto per i tuoi giochetti. Stagli al-lalarga.»

Magnus lo guardò con gli occhisocchiusi. «È un ordine ufficiale delConclave?»

«Più che altro un consiglio.»«Non sarà per questo che siete

venuti?»«No.»«Allora sarà meglio che mi diciate

di cosa si tratta prima che debba ti-rarvelo fuori con un incantesimo dellaVerità.»

«Usare la magia su un membro delConclave è proibito dall’Alleanza»

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cantilenò Jace.Magnus puntò un dito su Clary. «Ma

lei non è un membro del Conclave.»«Non ce n’è bisogno» disse Clary

mostrandogli lo zaino strappato. «ÈSimon. È scomparso.»«Ah» disse Magnus con delicatezza.

«Sarebbe a dire?»«Scomparso» ripeté Jace. «Andato.

Sparito. Assente. Svanito.»«Magari si è nascosto sotto

qualcosa» suggerì Magnus. «Non deveessere facile abituarsi a essere un topo,soprattutto per uno già così idiota.»

«Simon non è un idiota» protestòrabbiosa Clary.

«È vero» concordò Jace. «È solo

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che sembra idiota. In effetti è discreta-mente intelligente.» Il suo tono eraleggero, ma le sue spalle erano tesementre si voltava verso Magnus.«Mentre stavamo uscendo, uno dei tuoiospiti è andato a sbattere contro Clary.Credo le abbia aperto lo zainetto e abbiapreso il topo. Simon, voglio dire.»

Magnus lo guardò. «E…?»«E devo scoprire chi era» disse Jace

in tono fermo. «Immagino tu lo sappia.In fondo sei il Sommo Stregone diBrooklyn, no? Suppongo che a casa tuanon succedano molte cose di cui tu restiall’oscuro.»

Magnus si stava ispezionandoun’unghia glitterata. «Non ti sbagli.»

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«Diccelo, per favore» scattò Clary.La mano di Jace si strinse attorno al suopolso. Clary sapeva che lui voleva chestesse zitta, ma era impossibile.

«Ti prego.»Magnus abbassò la mano con un

sospiro. «Va bene. Ho visto uno deivampiri motociclisti della tana diUptown che se ne andava con un topogrigio in mano. Sinceramente ho pensatoche fosse uno dei loro. A volte i Figlidella Notte si trasformano in topi o inpipistrelli, quando si ubriaca-no.»

A Clary tremavano le mani. «E tupensi che fosse Simon?»

Magnus ebbe una specie di ticnervoso. «Tiro a indovinare, ma mi

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sembra probabile.»«C’è un’altra cosa.» Jace parlava

con una certa calma, ma adesso eraall’erta, come nell’appartamento primadi trovare il Dimenticato. «Dov’è latana?»

«Che cosa?»«La tana dei vampiri. È lì che sono

andati, no?»«Immagino di sì.» Magnus aveva

l’aria di chi avrebbe preferito trovarsida qualche altra parte.

«Ho bisogno che tu mi dica dove sitrova.»

Magnus scosse il capo pieno di gel edi glitter. «Non ho intenzione di i-nimicarmi i Figli della Notte per un

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mondano che non conosco neppure.»«Aspetta» lo interruppe Clary.

«Cosa possono volere da Simon?Credevo non avessero il permesso difare del male agli umani…»

«Vuoi che provi a indovinare?»disse Magnus con una certa gentilezza.

«Hanno pensato fosse un animaleaddomesticato e che sarebbe statodivertente uccidere la bestiolina di unCacciatore. Voi non gli piacete molto,qualsiasi cosa dicano gli Accordi… Enell’Alleanza non si dice niente riguardoall’uccisione di animali.»

«Lo uccideranno?» chiese Clary congli occhi sbarrati.

«Non necessariamente» si affrettò a

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dire Magnus. «Forse hanno pensato chefosse uno dei loro.»

«E in quel caso cosa glisuccederebbe?»

«Be’, al sorgere del sole riprenderàla forma umana e loro lo ucciderannocomunque. Però questo potrebbe darviqualche ora in più.»

«Allora ci devi aiutare» disse Claryallo stregone. «O Simon morirà.»

Magnus la guardò per bene conun’espressione di realistica solidarietà.

«Tutti muoiono, cara» disse. «Èmeglio che ti ci abitui.»

Fece per chiudere la porta, ma Jacevi infilò un piede per impedirglielo.

Magnus sospirò. «Cosa c’è ancora?»

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«Non ci hai detto dov’è la tana»disse Jace.

«E non ho intenzione di farlo. Vi hodetto…»

Fu Clary a interromperlo, passandodavanti a Jace e trovandosi faccia afaccia con lo stregone. «Tu hai preso lamia infanzia» disse. «I miei ricordi. Nonpuoi fare almeno questa cosa per me?»

Magnus socchiuse i suoi scintillantiocchi di gatto. Da qualche parte, inlontananza, il presidente Miao stavastrillando. Lo stregone abbassòlentamente la testa e la picchiò unavolta, nemmeno troppo piano, contro ilmu-ro. «Il vecchio Hotel Dumont» disse.«Uptown.»

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«So dov’è.» Jace sembravasoddisfatto.

«Quanto è lontano? Dobbiamoandarci subito. Hai un Portale?» chieseClary rivolgendosi a Magnus.

«No.» Lo stregone era infastidito. «IPortali sono abbastanza difficili dacostruire e comportano notevoli rischiper i loro proprietari. Se non sono benprotetti ne possono uscire creaturedecisamente spiacevoli. Gli unici checonosco a New York sono quello a casadi Dorothea e uno da Renwick, ma sonotutti e due troppo lontani perché valga lapena andarci, sempre ammesso che iloro proprietari accettino di farveliusare, cosa che probabilmente non

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farebbero. Tutto chiaro? E adessoandatevene.» Magnus si mise a fissare ilpiede di Jace, che bloccava ancora laporta. Jace non si mosse.

«Ancora una cosa» disse. «C’è unluogo consacrato da queste parti?»

«Ottima idea. Se avete intenzione diattaccare da soli una tana di vampiri,sarà meglio che prima preghiate i vostridei.»

«Ci servono armi» tagliò corto Jace.«Oltre a quelle che abbiamo addosso.»

«C’è una chiesa cattolica inDiamond Street. Vi va bene?»

Jace annuì e fece un passo indietro.«Andr…»

La porta gli si chiuse in faccia. Clary

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ansimava come se stesse correndo erestò a fissarla finché Jace non la preseper un braccio e la trascinò giù per gliscalini, verso la notte.

capitolo 14L’HOTEL DUMORTDi notte la chiesa di Diamond Street

aveva un aspetto lugubre. Le sue finestread arco gotiche riflettevano la luce dellaluna come specchi d’argento. L’edificioera circondato da una balaustra di ferrobattuto dipinta di nero opaco. Claryprovò ad aprire il cancello principale,ma era chiuso con un lucchettomassiccio. «È chiuso a chiave» disseguardando Jace.

Il ragazzo brandì il suo stilo. «Ci

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penso io.»Clary lo guardò trafficare con il

lucchetto, osservò la curva asciutta dellasua schiena, i rigonfiamenti dei muscolisotto le maniche corte della maglietta.La luce della luna gli schiariva i capelli,conferendo loro una tonalità piùargentata che dorata.

Il lucchetto cadde a terra con unrumore secco, ridotto a un ammassocontorto di metallo. Jace sembravasoddisfatto di sé. «Come al solito»disse. «Sono incredibilmente bravo inqueste cose.»

Clary provò un improvviso senso difastidio. «Quando la parteautocelebrativa della serata sarà

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finita…»«La parte autocelebrativa della

serata non finisce mai.»«… magari potremo tornare a

salvare il mio migliore amico dallamorte per dissanguamento?»

«Dissanguamento» ripeté Jacecolpito. «Che parolona…»

«E tu sei un gran…»«Ehi» la interruppe lui. «Non si

dicono parolacce in chiesa.»«Non siamo ancora in chiesa»

borbottò Clary seguendolo lungo ilviotto-lo che conduceva al portale.L’arco di pietra sopra le porte eramagnifica-mente scolpito e sulla suasommità era posto un angelo che

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guardava verso il basso. Gugliepuntutissime si stagliavano nere contro ilcielo notturno e Clary si rese conto chequella era la chiesa che aveva intravistoqualche ora prima da McCarren Park. Simorse un labbro. «Forzare la porta diuna chiesa non mi sembra il massimodella legalità.»

Il profilo di Jace era sereno alla lucedella luna. «Infatti non lo faremo»

disse infilandosi in tasca lo stilo.Appoggiò una mano scura e affusolata,segnata ovunque da delicate cicatricibianche che creavano una specie di velodi pizzo, contro il legno della porta,poco sopra la serratura. «In nome delConclave» disse «io chiedo di avere

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accesso a questo luogo sacro. In nomedella Battaglia-che-non-ha-mai-fine, iochiedo di poter usare le tue armi. E innome dell’angelo Raziel, chiedo la tuabenedizione sulla mia missione contro letenebre.»

Clary lo fissò. Jace non si mosse,nemmeno quando la brezza notturna glisoffiò i capelli negli occhi. Sbatté lepalpebre, e Clary stava per direqualcosa, quando la porta si aprì con unclic e un cigolio dei cardini. Si spalancòdolcemente di fronte a loro, aprendosisu uno spazio deserto, fresco e buio,illuminato da punti di fuoco.

Jace fece un passo indietro. «Dopodi te.»

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Quando Clary entrò nella chiesa, fuavvolta da un’ondata di aria fresca edall’odore di pietra e cera di candele.Le file poco illuminate di panchearrivavano fino all’altare, e contro laparete opposta una montagna di candelesplendeva come un letto di lucciole.Clary si rese conto che, a parte l’Istituto,che in effetti non contava, non era maistata in una chiesa prima d’allora. Avevavisto l’interno delle chiese nellefotografie e nei film e nei cartoni animatigiapponesi alla televisione, dovecomparivano spesso. Una scena di unodei suoi anime preferiti si svolgeva inuna chiesa con un mostruoso prete-vampiro. Dentro una chiesa, in teoria,

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avresti dovuto sentirti al sicuro, ma perlei non era così. Delle strane formesembravano spiarla dalle ombre. Ebbeun brivido.

«Le pareti di pietra tengono fuori ilcaldo» disse Jace, che se n’era accorto.

«Non è per quello» disse lei. «Sai,non ero mai stata in chiesa.»

«Sei stata all’Istituto. E alPandemonium.»

«Voglio dire in una vera chiesa. Perla messa e roba del genere.»

«Be’, questa è la navata, dove cisono i banchi, e dove si siede la gentedurante le funzioni.» Si spostarono inavanti e le loro voci echeggiaronocontro le pareti di pietra. «Questo è

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l’abside. E questo è l’altare, dove ilprete officia il rito dell’eucarestia. Sitrova sempre sul lato orientale dellachiesa.» Si inginocchiò di fronteall’altare e, per un momento, Clarypensò che stesse pregando. L’altare digranito scuro era alto e coperto da undrappo rosso. Alle sue spalle c’era unaspecie di paravento dorato su cui eranoincise figure di santi e martiri, tutti conun disco d’oro dietro la testa a rap-presentare l’aureola.

«Jace» sussurrò. «Cosa staifacendo?»

Il ragazzo aveva appoggiato le manisul pavimento di pietra e le muovevarapidamente avanti e indietro, come se

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stesse cercando qualcosa, con le ditache sollevavano la polvere. «Cercodelle armi.»

«Qui?» Clary era sbalordita.«Di solito sono nascoste vicino

all’altare. Per i casi di emergenza.»«Cos’è, una specie di accordo che

avete con la Chiesa cattolica?»«Non solo. I demoni sono sulla Terra

da quando ci siamo noi. Sono in tutto ilmondo, in forme diverse… i daemongreci, i deva persiani, gli asma hindi, glioni giapponesi. La maggior parte dellereligioni tengono conto sia della loroesistenza sia della lotta contro di essi.Gli Shadowhunters non si schierano connessuna religione in particolare e, in

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cambio, loro ci forniscono assistenza.Avrei potuto andare anche in unasinagoga ebraica, in un tempio scintoistao in… ah, eccola.» Spazzò via un po’ dipolvere e Clary gli si inginocchiòaccanto. Incisa in una delle pietreottagonali davanti all’altare c’era unaruna. Clary la riconobbe quasi con lastessa facilità con cui avrebbe letto unaparola in inglese. Era la runa chesignificava Cacciatore.

Jace prese il suo stilo e toccò lapietra. Con un cigolio, essa si spostò,rivelando un anfratto buio. Lì dentroc’era una lunga scatola di legno. Jacesollevò il coperchio e guardòsoddisfatto gli oggetti perfettamente

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allineati all’interno della scatola.«Cosa sono queste cose?» chiese

Clary.«Boccette di acqua santa, pugnali

benedetti, lame d’acciaio e d’argento»rispose Jace impilando le armi sul

pavimento accanto a sé. «Filo d’acciaioper i demoni… al momento non ci servea molto, ma fa sempre comodo averne unpo’ di riserva… proiettili d’argento,incantesimi di protezione, crocifissi,stelle di Davide…»

«Gesù!» disse Clary.«No, lui non credo ci starebbe,

dentro una scatola.»«JACE!»«Cosa?»

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«Non lo so, non mi sembra giustofare battute del genere in chiesa.»

Jace alzò le spalle. «Io non sonocredente.»

Clary lo guardò stupita. «No?»Il ragazzo scosse il capo. I capelli

d’argento gli ricaddero davanti al volto,ma non li spostò, mentre esaminava unafiala con un liquido trasparente. Le ditadi Clary prudevano per il desiderio difarlo. «Pensavi fossi reli-gioso?» lechiese lui.

«Be’…» Clary esitò un po’. «Seesistono i demoni, allora deveesserci…»

«Deve esserci cosa?» Jace si infilòla boccetta in tasca. «Ah, vuoi dire che

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se c’è questo…» e indicò il pavimento«… deve esserci anche questo.»

Indicò il soffitto.«Mi sembra una deduzione sensata,

no?»Jace abbassò la mano e raccolse una

spada, di cui esaminò l’elsa. «Ti di-ròuna cosa» disse poi. «Sono dieci anniche uccido demoni. Devo avernerispediti più o meno cinquecento nelladimensione infernale da cui eranoarrivati. E in tutto questo tempo - in tuttoquesto tempo - non ho mai visto unangelo. E non ho mai sentito nessuno chene avesse visto uno.»

«Ma è stato un angelo a creare iCacciatori» disse Clary. «È quello che

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ha detto Hodge.»«Una bella storia, vero?»«Io credevo che voi foste i guerrieri

prescelti da Dio» disse Clary.Jace la guardò con gli occhi

semichiusi, come un gatto. «Mio padrecredeva in Dio» disse. «Io no.»

«Per niente?» Clary non sapeva beneperché gli stesse dando il tormento…Lei, da parte sua, non si era mai chiestase credesse in Dio o negli angelieccetera, e se gliel’avessero chiestoavrebbe risposto che non ci credeva. Main Jace c’era qualcosa che la spingevaad attaccarlo, a rompere il suo guscio dicinismo e a fargli ammettere checredeva in qualcosa, che sentiva

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qualcosa, che gli importava di qualcosa.«Mettiamola così» disse il ragazzo

mentre si infilava un paio di pugnalinella cintura. La luce fioca dei lampionie del traffico che filtrava attraverso lefinestre colorate gettava dei riquadricolorati sul suo volto. «Mio padrecredeva in un Dio giusto. Deus volt erail suo motto: “Dio lo vuole”.

Era il motto dei Crociati, e iCrociati andarono in battaglia e furonomassacrati, proprio come mio padre. Equando l’ho visto morto in una pozza delsuo sangue ho capito che non avevosmesso di credere in Dio. Avevo solosmesso di credere che gliene importassequalcosa di noi. Dio forse esiste, Clary,

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o forse no, ma non credo che abbiaimportanza. In ogni caso ce la dobbiamocavare da soli.»

Erano gli unici passeggeri dellacarrozza diretta verso Uptown. Clarysedeva in silenzio con le ginocchia sottoil mento e pensava a Simon. Ogni tantoJace la guardava come se volesse direqualcosa, ma poi sprofondava anche luiin un insolito silenzio.

Quando uscirono dallametropolitana, le strade erano deserte,l’aria pesante e metallica, i negoziettilatinoamericani, le lavanderieautomatiche e le agenzie finanziariesilenziose dietro le loro serrande. Dopoun’ora di ri-cerche, trovarono finalmente

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l’albergo in una laterale della 116th. Cierano passati davanti due volte,pensando che fosse uno dei tanticondomini ab-bandonati di quella zona,ma poi Clary vide l’insegna. Si erastaccata da un lato e penzolava mezzanascosta dietro un albero rinsecchito.Avrebbe dovuto recitare HOTELDUMONT, ma qualcuno aveva dipintouna R al posto della N.

«Hotel Dumort» disse Jace quandoClary gliela indicò. «Divertente.»

Clary aveva studiato francese soloper due anni, ma le bastò per capire ilgioco di parole. « Du mort» disse.«Della morte.»

Jace annuì. Era di nuovo all’erta,

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come un gatto che vede un topostrisciare dietro un divano.

«Ma non può essere questo,l’albergo» disse Clary. «Le finestre sonosbarrate e la porta è murata e… oh…» siinterruppe quando vide lo sguardo diJace. «Giusto. Vampiri. Ma come fannoa entrare?»

«Volano» spiegò Jace indicando ipiani più alti dell’edificio. In passatoera evidentemente stato un bell’albergodi lusso. La facciata di pietra eradecorata elegantemente con fregi efiordalisi, scuri ed erosi da anni di e-sposizione all’aria inquinata e allepiogge acide di New York.

«Noi però non voliamo» fece notare

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Clary.«No» concordò Jace «non voliamo.

Facciamo una piccola effrazione.»Attraversò la strada per avvicinarsi

all’hotel.«Volare suonava più divertente»

disse Clary affrettando il passo perraggiungerlo.

«Al momento qualsiasi cosasuonerebbe più divertente.» Clary sichiese se dicesse sul serio. In lui c’erauna sorta di eccitazione, di attesa dellacaccia che non glielo faceva sembrareaffatto scontento della situazione. Haucciso più demoni di chiunque altroalla sua età. Non potevi uccidere tuttiquei demoni se non ti piaceva

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combattere.Si era alzato un vento caldo che

muoveva le foglie degli alberi rachiticidavanti all’hotel e trascinava laspazzatura raccolta nei canaletti di scoloe sui marciapiedi facendola volteggiaresulla strada piena di crepe. Quella zonaera stranamente deserta, pensò Clary. Disolito a Manhattan c’era semprequalcuno per strada, anche alle quattrodel mattino. Diversi lampioni eranospenti, mentre quello più vicinoall’albergo gettava un fioco baglioregiallo sul vialetto che portava a quellache un tempo era la porta d’ingresso.

«Stai lontana dalla luce» Jace la tiròverso di sé per una manica del

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giubbotto. «Potrebbero fare la guardiadalle finestre. E non guardare in su»

aggiunse, ma era troppo tardi. Claryaveva già sollevato lo sguardo verso lefinestre rotte dei piani superiori. Per unistante pensò di avervi visto un accennodi movimento, un lampo bianco cheavrebbe potuto essere un volto o unamano che apriva una tenda pesante…

«Vieni» disse Jace, e la trascinò afondersi nelle ombre proiettate dai muridell’albergo. Clary sentì i nervi tesi delCacciatore nella spina dorsale, nelpulsare dei suoi polsi, nel martellare delsangue nelle sue orecchie. Il flebileronzio delle auto sembrava lontanissimoe l’unico suono che contasse era quello

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delle sue scarpe che scricchiolavanosull’asfalto cosparso d’immondizia.Avrebbe voluto essere capace dicamminare senza produrre alcun rumore,come un Cacciatore. Forse un giornoavrebbe chiesto a Jace di insegnarglielo.

Sgattaiolarono oltre l’angolodell’albergo, in un vicolo cheprobabilmente in passato veniva usatoper la consegna delle merci. Era strettoe stipato di immondizia: scatoloni marci,bottiglie vuote, pezzi di plastica, oggettisparsi che a Clary parvero dapprimastuzzicadenti, ma che più da vicinosembravano…

«Ossa» disse Jace inespressivo.«Ossa di cani e gatti. Non avvicinarti

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troppo: guardare la spazzatura deivampiri di solito non è un bellospettacolo.»

Clary cercò di trattenere la nausea.«Va bene» disse. «Almeno sappiamo chesiamo nel posto giusto» e furicompensata dal lampo di rispetto checomparve brevemente nello sguardo diJace.

«Oh, ci puoi scommettere che siamonel posto giusto» disse. «Adessodobbiamo solo capire come fare aentrare.»

In quel punto un tempo c’erano statedelle finestre, che ora erano murate.

Non c’erano porte né tracce di uscitedi sicurezza. «Quando questo era un

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albergo» disse lentamente Jace «leconsegne dovevano arrivare qui. Vogliodire, non potevano far passare i fornitoridalla porta principale e non ci so-noaltri posti per parcheggiare un furgone.Per cui ci deve essere un modo perentrare…»

Clary pensò ai negozietti e allebodegas dalle parti di casa sua, aBrooklyn. Li vedeva ricevere leconsegne, la mattina presto, mentreandava a scuola. Aveva visto iproprietari del negozio di alimentaricoreano aprire le porte basse di metallo,di fianco all’ingresso, affinché potesseroportare in cantina le scatole di tovagliolidi carta e di cibo per gatti. «Scommetto

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che ci sono delle porte basse.Probabilmente sono sepolte sotto questaspazzatura.»

Jace annuì immediatamente. «Èquello che stavo pensando anche io»

sussurrò. «Mi sa che ci toccheràspostare queste schifezze. Possiamoiniziare con il cassonetto.» Lo indicòcon un’espressione decisamente pocoentusiasta.

«Preferiresti affrontare un’orda didemoni affamati, vero?» gli chieseClary.

«Almeno non sarebbero pieni divermi. Be’» aggiunse dopo avercipensato sopra «non tutti almeno. Unavolta ho incontrato un demone nelle fo-

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gne sotto la Gran Central…»«Lascia perdere.» Clary sollevò una

mano per fermarlo. «Non sonodell’umore giusto.»

«Dev’essere la prima volta che unaragazza mi dice una cosa del genere»

la prese in giro Jace.«Stammi vicino e non sarà l’ultima.»Jace sorrise con un angolo della

bocca. «Questo non è certo il momentogiusto per le scaramucce. Abbiamodell’immondizia da spostare.» Siavvicinò al cassonetto e lo prese da unlato. «Tu prendilo dall’altra parte. Lo ri-baltiamo.»

«Così faremmo troppo rumore»ribatté Clary mentre prendeva posto

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dall’altro lato del cassonetto. Era uncassonetto standard della nettezza ur-bana, verde scuro e pieno di macchieindefinibili. Puzzava ancora di più diquanto puzzino normalmente i cassonetti,puzzava di spazzatura e di qualcos’altro,qualcosa di denso e dolce che le invasela gola e le fece venire da vomitare.«Dovremmo spingerlo.»

«Senti un po’…» iniziò a dire Jace,quando una voce parlò all’improvvisodalle ombre alle loro spalledistruggendo la loro precariatranquillità.

«Siete proprio convinti di volerlofare?» chiese la voce.

Clary si immobilizzò, fissando le

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ombre all’imboccatura del vicolo. Perun terribile istante si chiese se non sifosse immaginata quella voce, ma ancheJace si era bloccato con un’espressionesbalordita. Era raro che qualcosa lostupisse e ancora più raro che qualcunoriuscisse ad avvicinarsi a lui senza farsisentire. Jace si allontanò dal cassonetto,la mano che scivolava verso la cintura,la voce calma. «C’è qualcuno laggiù?»

« Dios mio. » La voce era maschilee aveva un tono divertito e un liquidoaccento spagnolo. «Voi non siete diquesto quartiere, vero?»

Fece un passo avanti, uscendo dalleombre più buie. Il suo contorno si definìlentamente: un ragazzo, non molto più

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anziano di Jace e di circa quindicicentimetri più basso. Aveva un’ossaturaesile, grandi occhi scuri e la pelle colormiele che sembrava uscita da un dipintodi Diego Rivera. Indossava deipantaloni neri, una camicia bianca con ilcolletto aperto e una collana d’oro alcollo che scintillò un po’ mentre siavvicinava alla luce.

«Direi di no» disse cauto Jace.«Non dovreste essere qui.» Il

ragazzo si fece scorrere una mano tra ifol-ti riccioli neri che gli ricadevanosulla fronte. «Questo posto èpericoloso.»

Vuol dire che è un brutto quartiere.Clary ebbe quasi l’impulso di scoppiare

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a ridere, anche se la situazione non eraaffatto divertente. «Lo sappiamo» disse.«È solo che ci siamo un po’ persi, tuttoqui.»

Il ragazzo indicò il cassonetto.«Cosa stavate facendo con quello?»

Non sono molto brava a inventareballe al volo, pensò Clary, dopodichéguardò Jace che invece se la sarebbecavata benissimo, o almeno cosìsperava.

Jace la deluse immediatamente.«Stavamo cercando di entrare nell’hotel.

Pensavamo che ci potesse essere unaporta nascosta, dietro il cassonetto.»

Gli occhi del ragazzo sispalancarono increduli. « Puta madre…

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e perché dovreste fare una cosa delgenere?»

Jace scrollò le spalle. «Per scherzo,sai, tanto per divertirci un po’.»

«Tu non capisci. Questo posto èinfestato, è maledetto. Malocchio.»

Scosse vigorosamente il capo edisse alcune cose in spagnolo. Claryebbe il sospetto che avessero a che farecon la stupidità dei ragazzini bianchi vi-ziati e con la loro in particolare. «Venitecon me. Vi accompagno allametropolitana.»

«Lo sappiamo, dov’è lametropolitana» disse Jacetranquillamente.

Il ragazzo sfoggiò una risata morbida

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e vibrante. « Claro che lo sapete, ma sevi ci porto io, nessuno vi darà fastidio.E voi non siete in cerca di guai, vero?»

«Dipende» disse Jace muovendosi inmodo che la sua giacca si aprisseleggermente mostrando il luccichio dellearmi che portava alla cintura.

«Quanto ti pagano per tenere la gentelontana dall’albergo?»

Il ragazzo si guardò alle spalle, e inervi di Clary si tesero mentre imma-ginava l’imboccatura del vicolo che siriempiva di figure scure coi voltibianchi e le bocche rosse, il luccichiodelle zanne improvviso come quando ilmetallo fa scintille sfregando control’asfalto. Quando tornò a guardare Jace,

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la bocca del ragazzo era una lineasottile: «Quanto mi pagherebbe chi,chico?»

«I vampiri. Quanto ti pagano? O c’èqualcos’altro? Ti hanno detto che tifaranno diventare come loro, ti hannoofferto la vita eterna, nessun dolore,niente malattie eccetera? Perché guardache non ne vale la pena. La vita diventauna noia quando non vedi mai la luce delsole, chico» disse Jace.

Il ragazzo era privo d’espressione.«Mi chiamo Raphael, non chico. »

«Però sai di cosa stiamo parlando.Tu sai dei vampiri?» chiese Clary.

Raphael si voltò di lato e sputò.Quando tornò a guardarli, i suoi occhi

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erano pieni di faville d’odio. « Losvampiros, sì, quegli animalisucchiasangue. Ancora prima che l’hotelvenisse murato giravano delle storie…risate a notte fonda, piccoli animali chescomparivano, rumori di risucchi…» Sifermò e scosse il capo. «Tutti in questoquartiere sanno che è meglio stare allalarga, ma cosa possiamo fare? Non sipuò chiamare la policia per dire che iltuo problema sono i vampiri.»

«Li hai mai visti?» chiese Jace. «Oconosci qualcuno che li ha visti?»

Raphael parlò lentamente. «C’eranodei ragazzi, una volta, un gruppo diamici. Pensavano di avere avuto unabuona idea: entrare nell’albergo e

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uccidere i mostri. Hanno preso dellepistole e dei coltelli, tutti benedetti daun prete. Non sono mai usciti. Mia zia,qualche tempo dopo, ha trovato i lorovestiti di fronte a casa.»

«Di fronte a casa di tua zia?» chieseJace.

«Sì. Uno dei ragazzi era miofratello» rispose secco Raphael. «Cosìadesso sapete perché a volte vengo quiin piena notte, mentre torno dalla ca-sadi mia zia, e perché vi ho detto diandarvene. Se entrate là dentro, nonuscirete più.»

«C’è un mio amico, dentro» disseClary. «Siamo venuti a prenderlo.»

«Ah, allora forse non riuscirò a

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convincervi ad andarvene.»«No» disse Jace. «Ma non

preoccuparti. Non ci succederà quelloche è successo ai tuoi amici.» Sfilòdalla cintura una delle spade angeliche ela sollevò. La luce fioca che emanavadalla spada gli illuminò gli zigomi,mettendo in ombra gli occhi. «Ho giàucciso un sacco di vampiri. Il loro cuorenon batte, ma possono morire lo stesso.»

Raphael inspirò di colpo e dissequalcosa in spagnolo a voce troppobassa e veloce perché Clary potessecapire. Avanzò verso di loro, quasiinciampando in una pila di confezioni diplastica accartocciate. «Io so cosasiete… ho sentito parlare di quelli come

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voi dal vecchio prete della chiesa diSanta Cecilia. Siete los Cazadores.Credevo che fosse solo una storia.»

«Tutte le storie sono vere» disseClary a voce tanto bassa che Raphaelparve non sentirla. Il ragazzo stavaguardando Jace, i pugni stretti, le spalleirrigidite dalla tensione.

«Voglio venire con voi» disse.Jace scosse il capo. «No.

Assolutamente no.»«Posso farvi vedere come entrare»

propose Raphael.Jace esitò. La tentazione sul suo

volto era evidente. «Non possiamoportarti con noi.»

«Va bene.» Il ragazzo gli si affiancò

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e scalciò via un mucchio di spazzaturaimpilata contro un muro. Sotto laspazzatura c’era una grata di ferro, lesbarre sottili coperte da uno strato diruggine. Si inginocchiò, afferrò le sbarree spostò la grata. «Mio fratello e i suoiamici sono entrati da qui.

Porta giù nelle cantine, credo.»Sollevò lo sguardo, mentre Jace e Clarylo raggiungevano. Clary respiravaappena: l’odore della spazzatura erafortissimo e anche al buio si vedevanole sagome frenetiche degli scarafaggiche si spostavano tra i cumuli di avanzi.

Un sorriso sottile si era formato agliangoli della bocca di Jace. Avevaancora in mano la spada angelica. La

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stregaluce che si diffondeva dalla spadadava al suo volto un carattere spettrale ele ricordò quando Simon si metteva latorcia elettrica sotto il mento perraccontarle le storie dell’orrore, quandoavevano entrambi undici anni. «Grazie»disse Jace a Raphael.

«Andrà benissimo.»Il volto dell’altro ragazzo era

pallido. «Andate là dentro e fate per ilvostro amico quello che io non ho potutofare per mio fratello.»

Jace si infilò nella cintura la spadaangelica e diede un’occhiata a Clary.

«Seguimi» le disse prima di infilarsinell’apertura con una mossa felina.

Clary trattenne il respiro in attesa di

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sentire un urlo di dolore o di stupore, masentì solo un rumore sordo di piedi cheatterravano su qualcosa di solido. «Tuttobene» la incoraggiò Jace. «Salta giù, tiprendo io.»

Clary guardò Raphael. «Grazie.»Raphael non disse nulla e si limitò a

porgerle la mano. Clary la usò pertenersi in equilibrio mentre si metteva inposizione. Le dita del ragazzo eranofredde. La lasciò andare e Clary caddeattraverso l’apertura. Fu questione di unsecondo, poi Jace la prese al volo,l’abito che le risaliva sulle cosce e lamano del giovane Cacciatore che leaccarezzava le gambe mentre lei gliscivolava tra le braccia.

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Jace la rimise giù quasiimmediatamente. «Tutto bene?»

Clary si abbassò il vestito, feliceche lui non potesse vederla, al buio. Lesue calze a rete avevano una grossasmagliatura. «Sì.»

Jace estrasse la spada angelica, cheemetteva una luce fioca, e la sollevò percercare di capire dove si trovassero.Erano in uno spazio dal soffitto bassocon il pavimento di cemento pieno dicrepe. Riquadri di terra polverosaindicavano i punti in cui il cemento siera rotto, e Clary vide che deirampicanti neri avevano già cominciatoa risalire le pareti. Un vano privo diporta si apriva su un’altra stanza.

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Un forte colpo sordo la fecesobbalzare. Quando si voltò videRaphael che atterrava con le ginocchiapiegate, a pochi centimetri da lei. Liaveva seguiti attraverso la grata. Ilragazzo si rialzò e rivolse loro unsorriso folle:

« Holà!»Jace, con la stregaluce in una mano e

la spada angelica nell’altra, lo guardòfurente. «Ti avevo detto…»

«E io ti ho sentito.» Raphael liquidòla frase di Jace con un movimento dellamano. «Cosa pensi di fare? Non possouscire da dove siamo entrati e non puoilasciarmi qui da solo per farmi trovaredai morti… vero?»

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«Non è detto» disse Jace, ma il suotono non era troppo minaccioso. Avevaun’aria stanca, notò Clary con un certostupore, e le ombre sotto i suoi occhierano più pronunciate.

Raphael indicò la strada.«Dobbiamo andare da quella parte,verso le scale. Loro stanno ai piani piùalti dell’albergo. Vedrete.» Superò Jacee oltrepassò il vano della porta. Jace loguardò scuotendo il capo.

«Sto decisamente iniziando a odiarei mondani» disse.

Il piano più basso dell’albergo eraun dedalo di corridoi labirintici che siaprivano su magazzini vuoti, su unalavanderia deserta - con pile di asciu-

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gamani di lino ammuffiti ammucchiatidentro cesti di vimini marci - e su unacucina spettrale, i cui banchi di acciaioinossidabile affondavano nell’ombra.Quasi tutte le scale che portavano alpiano di sopra erano scomparse: nonmarcite, ma abbattute deliberatamente,ridotte a mucchi di legna da ardereimpilati alle pareti, con attaccati pezzidi tappeti persiani un tempo preziosi eora ridotti a infiorescenze di muffapelosa.

Le scale mancanti sconcertaronoClary. Cosa avevano i vampiri contro lescale? Alla fine ne trovarono unaintegra, nascosta dietro la lavanderia.

Probabilmente le cameriere la

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usavano per trasportare la biancheria sue giù dai piani, prima dell’introduzionedegli ascensori. I gradini erano ricopertidi polvere, come uno strato di nevegrigia e asciutta che fece tossire Clary.

«Ssh» sibilò Raphael. «Tisentiranno. Siamo vicini al posto dovedormono.»

«Come fai a saperlo?» gli sussurròlei scocciata. Quel tipo non avrebbedovuto nemmeno essere lì, cosa gli davail diritto di darle lezioni su cosa fare ecosa non fare?

«Lo sento.» L’angolo dell’occhio diRaphael ebbe uno spasmo e Clary capìche era spaventato quanto lei. «Tu no?»

La ragazza scosse il capo. Non

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sentiva niente, a parte uno strano freddo:dopo il caldo soffocante all’esterno, ilfresco dentro l’albergo era notevole.

In cima alle scale c’era una portacon la parola HALL appena leggibilesotto la polvere accumulata negli anni.Quando Jace la aprì, schizzò rugginedappertutto. Clary si strinse le braccia alpetto…

Ma la hall era vuota. Erano in ungrande ingresso con la moquette marciae sollevata a mostrare il parquetscheggiato sottostante. Un tempol’elemento centrale della sala era statala grande scalinata dalle curveaggraziate, affiancata da corrimanodorati e con una ricca passatoia rossa e

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dorata. Ora restavano solo i gradini piùalti, che portavano verso il buio. Lascala, infatti, finiva a mezz’aria, appenasopra le loro teste. Era una visionesurreale che sembrava uscire da uno diquei quadri di Dalì o di Magritte che aJocelyn piacevano tanto. Questo, pensòClary, si sarebbe intitolato La scala peril nulla.

La sua voce suonò secca e polverosacome quell’ambiente. «Cos’hanno ivampiri contro le scale?»

«Niente» disse Jace. «Solo che nonhanno bisogno di usarle.»

«È un modo di mostrare che questoposto è loro.» Gli occhi di Raphaelerano luminosi. Sembrava eccitato. Jace

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lo guardò di traverso.«Hai mai visto un vampiro,

Raphael?» chiese.Raphael lo guardò con

un’espressione quasi assente. «So cheaspetto hanno. Sono più pallidi e piùmagri degli esseri umani, ma molto forti.

Camminano come gatti e scattanocon l’agilità dei serpenti. Sono belli eterribili. Come questo albergo.»

«Tu lo trovi bello?» chiese Clarysorpresa.

«Puoi vedere com’era anni fa. Ècome una donna anziana che in passato èstata bella, ma ormai il tempo le haportato via la sua bellezza. Immaginaquesta scala com’era un tempo, con le

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lampade a gas accese come lucciole nelbuio, e le terrazze piene di persone. Noncom’è adesso, così…» Si interruppe,alla ricerca della parola giusta.

«Monco?» suggerì secco Jace.Raphael sembrò quasi spaventato,

come se Jace lo avesse risvegliato da unsogno a occhi aperti. Fece un risolinoincerto e si voltò.

Clary si rivolse a Jace. «Dove sono?I vampiri, voglio dire.»

«Di sopra, probabilmente. A loropiace stare in alto quando dormono,come ai pipistrelli. Ed è quasi giorno.»

Come burattini attaccati a dei fili,Clary e Raphael guardaronocontemporaneamente in alto. Sopra di

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loro non c’era nulla, a parte il soffittoaffre-scato, crepato e a tratti anneritocome se vi fosse scoppiato un incendio.

Un arco alla loro sinistra dava suuno spazio buio: le colonne malconcesui due lati erano coperte di bassorilievidi foglie e fiori. Mentre Raphaelabbassava lo sguardo, una cicatrice allabase della sua gola, bianchissima controla pelle scura, lampeggiò come se lefacesse l’occhiolino. Clary si chiesecome se la fosse fatta.

«Credo che dovremmo tornare allascala di servizio» sussurrò la ragazza.

«Qui mi sento troppo esposta, e poinon c’è modo di salire.»

Jace annuì. «Lo sai, vero, che

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quando ci arriveremo dovrai chiamareSimon e sperare che ti senta? Non c’èaltro modo di trovarlo.»

Clary si chiese se le si vedeva infaccia la paura che provava. «Io…»

Le sue parole furono interrotte da unurlo da gelare il sangue. Clary si voltòdi scatto.

Raphael. Era scomparso, nemmenoun’impronta nella polvere a indicare dache parte fosse andato… o fosse statotrascinato. Istintivamente allungò unamano verso Jace, ma lui si stava giàmuovendo, correva verso l’arco che siapriva nella parete opposta e verso leombre dietro di esso. Clary non riuscivaa vederlo, ma seguì la stregaluce che

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aveva in mano, come un viaggiatoreguidato attraverso una palude da uninaffidabile fuoco fatuo.

Dietro l’arco c’era quella che untempo doveva essere stata una grandiosasala da ballo. Il pavimento in rovina eradi marmo bianco, ma ora era cosìdistrutto da sembrare un tratto di icebergalla deriva. Lungo le pareti correvanoterrazze curve con balaustre velate diruggine, e a intervalli regolari c’eranospecchi con le cornici dorate, tuttisormontati da una testa di cupi-doanch’essa dorata. L’aria stagnante eraattraversata da ragnatele chericordavano antichi veli nuziali.

Raphael era in piedi al centro della

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sala, le braccia lungo i fianchi. Clarycorse da lui, con Jace che la seguiva piùpiano. «Stai bene?» chiese la ragazzasenza fiato.

Il ragazzo annuì lentamente. «Mi erasembrato di vedere qualcosa che simuoveva nell’ombra. Non era niente.»

«È tutto a posto» disse Clary, senzariuscire a convincere nemmeno sestessa. C’era qualcosa nell’espressionedi Jace…

«Abbiamo deciso di tornare allescale di servizio» disse Jace. «Non c’èniente su questo piano.»

Raphael annuì. «Ottima idea.»Si diresse verso la porta senza

guardare se qualcuno li seguiva. Aveva

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fatto solo qualche passo quando Jacechiamò il suo nome. «Raphael?»

Raphael si voltò, gli occhispalancati come a chiedere cosa stavasuccedendo, e Jace lanciò il suopugnale.

I riflessi di Raphael furono veloci,ma non abbastanza. La lama colpì ilbersaglio e la forza dell’impatto lo gettòa terra. I piedi gli si sollevarono dalpavimento e cadde pesantemente sulmarmo crepato. Nella penombra dellastregaluce il suo sangue sembrava nero.

« Jace!» sibilò Clary incredula escioccata. Aveva detto che odiava imondani, ma non avrebbe mai…

Mentre si voltava per andare a

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soccorrere Raphael, Jace la gettòbrutalmente da una parte, si lanciò sulragazzo a terra e afferrò il pugnale chespuntava dal suo petto.

Ma Raphael fu più veloce. Prese ilcoltello e urlò quando la sua mano entròin contatto con l’elsa a forma di croce.L’arma cadde sul pavimento di marmo,la lama sporca di nero. Jace aveva unamano chiusa sulla stoffa della camicia diRaphael e la Sanvi nell’altra. La spadabrillava di una luce tanto intensa cheClary riuscì a distinguere i colori: il bluelettrico stinto della carta da parati, gliintarsi dorati del pavimento di marmo,la macchia rossa che si allargava sulpetto di Raphael.

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Ma Raphael stava ridendo. «Haisbagliato mira» disse con un ghigno chegli scoprì per la prima volta un paio diincisivi bianchi e appuntiti. «Haimancato il cuore.»

Jace strinse la presa. «Ti sei mossoall’ultimo momento» disse.«Decisamente maleducato.»

Raphael fece una smorfia e sputòrosso. Clary indietreggiò guardandolocon orrore man mano che capiva.

«Quando lo hai capito?» chieseRaphael. Il suo accento era scomparso,le sue parole erano diventate piùprecise.

«Ci ho pensato nel vicolo» disseJace. «Ma immaginavo che ci avresti

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fatti entrare nell’albergo, prima diattaccarci. Una volta entrati nonsaremmo più stati protetti dall’Alleanza.Bella mossa. Quando non l’hai fatto hopensato che forse mi ero sbagliato. Poiho visto la cicatrice sulla gola.» Sirilassò un po’, senza spostare la lamadalla gola di Raphael. «Quando ho vistoquella catenella ho pensato che era unadi quelle a cui si appendono le croci. Edera così, vero? C’era una croce appesaalla catenella, quando sei uscito perandare dalla tua famiglia. In fondo èdomenica sera, e cos’è la cicatrice diuna piccola bruciatura per quelli comete che guariscono così in fretta?»

Raphael scoppiò a ridere. «Tutto

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qui? La mia cicatrice?»«Quando sei uscito dalla hall, i tuoi

piedi non hanno lasciato tracce nellapolvere. A quel punto non ho più avutodubbi.»

«Non è stato tuo fratello a entrarequi alla ricerca dei mostri, vero?» disseClary. «Eri tu.»

«Siete tutt’e due molto intelligenti»sogghignò Raphael. «Ma nonabbastanza. Guardate su» dissesollevando una mano per indicare ilsoffitto.

Jace allontanò quella mano senzaspostare lo sguardo da Raphael.

«Clary. Cosa vedi?»La ragazza sollevò lentamente la

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testa con il terrore che le stringeva labocca dello stomaco.

Devi immaginare questa scalacom’era un tempo, con le lampade agas accese come lucciole nel buio e leterrazze piene di persone. E adessoerano piene di persone, file su file divampiri con i loro volti bianchi e morti,le loro bocche rosse spalancate, che liguardavano sbalorditi.

La bocca di Clary era così asciuttache fece fatica a farne uscire delleparole. «Sono qui. Sono tutti qui, Jace.»

Jace stava ancora guardandoRaphael. «Li hai chiamati tu, vero?»

Raphael stava ancora sorridendo. Ilsangue aveva smesso di scorrere dalla

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ferita al petto. «Ha importanza? Sono introppi anche per te, Wayland.»

Jace non disse nulla. Sebbene non sifosse mosso, aveva il respiro acce-lerato, e Clary sentiva quasi la forza delsuo desiderio di uccidere il ragazzovampiro, di infilargli il pugnale nelcuore e cancellare per sempre quelsorriso dal suo volto. «Jace» gli disse.«Non ucciderlo.»

«Perché no?»«Forse possiamo usarlo come

ostaggio.»Gli occhi di Jace si spalancarono.

«Come ostaggio?»Clary li vide stagliarsi sulla porta ad

arco, ancora più numerosi, silenziosi

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come i Fratelli della Città di Ossa. Ma iFratelli non avevano la pelle co-sìbianca e incolore e nemmeno maniripiegate a formare degli artigli…

Clary si leccò le labbra secche. «Soquello che dico. Fallo alzare in piedi,Jace.»

Jace la guardò, poi scrollò le spalle.«Come vuoi.»

Raphael scattò: «Non è divertente.»«È proprio per questo che nessuno

sta ridendo.» Jace si alzò, trascinandocon sé Raphael e puntandogli il coltellotra le scapole. «Ti posso bucare il cuoreanche passando dalla schiena»minacciò. «Se fossi in te non mimuoverei.»

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Clary si voltò e si rivolse alle figurescure che si stavano avvicinando.

Sollevò una mano. «Fermatevi lì»disse «o infilerà quella lama nel cuoredi Raphael.»

La folla fu percorsa da una specie dimormorio che avrebbe potuto essere siaun sussurro sia una risata. «Fermi!»ripeté Clary, e questa volta Jace fecequalcosa che lei non vide ma che fecelanciare a Raphael un urlo di dolorestupito.

Uno dei vampiri alzò una mano perfermare i propri compagni. Clary loriconobbe come il ragazzo magro ebiondo con l’orecchino che aveva vistoalla festa di Magnus. «Non sta

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scherzando» disse. «Sono Cacciatori.»Una vampira si fece strada

attraverso la folla per piazzarglisiaccanto: era una bella ragazza asiaticacoi capelli blu e una gonna argentata.Clary si chiese se ci fossero vampiribrutti, o magari grassi. Forse la gentebrutta non veniva vampirizzata. «QuestiShadowhunters sono entrati nel nostroterritorio» disse. «Non sono più protettidall’Alleanza. Io dico di uccider-li…loro hanno ucciso molti dei nostri.»

«Chi di voi è il Signore di questoposto?» chiese Jace con voce inespres-siva. «Che si faccia avanti.»

La ragazza scoprì i denti appuntiti.«Non usare il tuo linguaggio da

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Conclave con noi, Cacciatore. Entrandoqui hai infranto la tua preziosa Alleanza.La Legge non ti proteggerà.»

«Basta così, Lily» disse secco ilragazzo biondo. «La nostra Signora nonè qui. È a Idris.»

«Qualcuno deve avere il comando alsuo posto» osservò Jace.

Scese il silenzio. I vampiri sulleterrazze si sporgevano dalle balaustreper ascoltare meglio. Alla fine ilvampiro biondo capitolò: «È Raphaelche ha il comando.»

Lily, la ragazza coi capelli blu,emise un sibilo di disapprovazione.«Jacob…»

«Vi propongo uno scambio» disse

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velocemente Clary interrompendo lasfuriata di Lily e la risposta di Jacob.«Ormai avrete capito di avere portato acasa dalla festa qualcuno di troppo, ierisera. È il mio amico Simon.»

Jacob sollevò un sopracciglio. «Seiamica di un vampiro?»

«Non è un vampiro. E nemmeno unCacciatore» aggiunse vedendo che Lilysocchiudeva gli occhi pallidi. «È soloun ragazzo qualsiasi. Un mondano.»

«Non abbiamo portato a casa nessunragazzo umano dalla festa di Magnus.Sarebbe stata una violazionedell’Alleanza» disse Jacob.

«Era stato trasformato in un topo. Unpiccolo topo grigio» spiegò Clary.

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«Qualcuno potrebbe avere pensatoche fosse un animale domestico o…»

La sua voce si spense. La stavanoguardando come se fosse pazza. Unagelida disperazione le penetrò nelleossa.

«Fammi capire» chiese Lily. «Ci staiproponendo di scambiare la vita diRaphael con quella di un topo?»

Clary guardò Jace conun’espressione disperata. Il ragazzo lerivolse uno sguardo che voleva dire:L’idea è stata tua e adesso te la devicavare da so-la.

«Sì» disse tornando a voltarsi versoi vampiri. «È questo lo scambio che viproponiamo.»

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I vampiri la fissarono per un po’, ivolti bianchi quasi privi d’espressione.

In un altro contesto Clary avrebbedetto che sembravano confusi.

Sentiva la presenza di Jace dietro disé, sentiva il suo respiro teso. Le nocchedi Jace erano bianche nel punto in cuistringeva la spalla di Raphael. Clary sichiese se facesse male. Si chiese se Jacesi stesse scervellando nel tentativo dicapire perché le avesse permesso ditrascinarli in quel posto. Si chiese senon stesse iniziando a odiarla.

«È questo il topo di cui parli?»Clary sbatté gli occhi. Un altro

vampiro, un ragazzo nero e magro coidreadlock, si era fatto strada fino alla

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prima fila. Teneva qualcosa tra le mani,qualcosa di grigio che squittiva piano.«Simon?» sussurrò Clary.

Il topo squittì più forte e iniziò adagitarsi nella morsa delle mani delragazzo. Il vampiro guardò il roditoreprigioniero con un’espressionedisgustata. «Accidenti, credevo fosseZeke, anche se non capivo perché sicom-portasse così.» Scosse il capo e isuoi dreadlock frustarono l’aria. «Iodico che può prenderselo, amico. Mi hagià morso cinque volte.»

Clary allungò una mano per prendereSimon, ma Lily le si piazzò di fronteprima che potesse fare un altro passoverso l’amico. «Aspetta» disse la

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vampira. «Come facciamo a sapere chedopo aver preso il topo non uc-cidereteRaphael?»

«Vi diamo la nostra parola» risposesubito Clary, aspettandosi che i vampiriscoppiassero a ridere.

Non rise nessuno. Raphael imprecòqualcosa sottovoce in spagnolo. Lilyguardò Jace con un’espressioneincuriosita.

«Clary.» C’era una vena diesasperazione nella voce del giovanecacciatore. «È davvero un…»

«Niente giuramento, niente scambio»disse subito Lily approfittando del suotono incerto. «Lee, non mollare il topo.»

Il ragazzo coi dreadlock strinse la

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presa su Simon, che gli affondò i dentinella mano. «Ahi!» esclamò Lee. «Chemale!»

Clary colse l’opportunità persussurrare a Jace. «Giura e basta! Cosati costa?»

«Per noi un giuramento non è comeper voi mondani» sbottò lui rabbioso.«Un giuramento mi vincola per sempre.»

«Ah, sì? E cosa succederebbe se loinfrangessi?»

«Io non lo infrangerei mai, è questoil punto…»

«Lily ha ragione» disse Jacob.«Devi giurare. Giura che non farai delmale a Raphael. Nemmeno dopo che viavremo dato il topo.»

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«Non farò male a Raphael» disseimmediatamente Clary. «In nessun ca-so.»

Lily le rivolse un sorriso tollerante.«Non è di te che ci preoccupiamo.»

Lanciò uno sguardo indagatore aJace, che teneva Raphael tanto stretto daavere le nocche bianche. Una chiazza disudore scuriva il tessuto della suamaglietta appena sotto le scapole.

«Va bene. Lo giuro» disse.«Pronuncia il giuramento» ribatté

Lily. «Giura sull’Angelo. Dillo tutto.»Jace scosse il capo. «Prima tu.»Le sue parole caddero nel silenzio

come pietre, generando un’increspatu-radi mormorii tra i vampiri. Jacob

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sembrava preoccupato, Lily furiosa.«Non ci sperare, Cacciatore.»«Noi abbiamo il vostro capo.» La

punta del pugnale di Jace affondò unpoco nella gola di Raphael. «E voicos’avete? Un topo.»

Simon, prigioniero tra le mani diLee, squittì furiosamente. Clary avrebbevoluto cercare di prenderselo, ma sitrattenne. «Jace…»

Lily guardò Raphael. «Signore?»Raphael aveva la testa bassa e i

riccioli scuri gli nascondevano il volto.Il colletto della sua camicia era

macchiato di sangue, che sgocciolavalungo la pelle nuda marrone. «Un topoabbastanza importante» disse «se siete

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venuti fino a qui per lui. Sarai tu,Cacciatore, a giurare per primo.»

La presa di Jace si serrò su di lui.Clary vide i suoi muscoli contrarsi sottola pelle, le dita farsi ancora più bianche,come gli angoli della sua bocca, mentrelottava contro la propria rabbia. «Il topoè un mondano» disse. «Se lo uccidetesarete soggetti alla Legge…»

«È nel nostro territorio. Gli intrusinon sono protetti dall’Alleanza, lo saibenissimo…»

«Ma lo avete portato voi qui!»intervenne Clary furente. «Non è unintruso.»

«Questi sono dettagli» disse Raphaelsorridendole nonostante il pugnale

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puntato alla gola. «E poi credi che nonsentiamo le voci che girano, le notizieche scorrono nel Mondo Invisibile comeil sangue scorre nelle vene?

Valentine è tornato. Presto nonesisteranno più né gli Accordi nél’Alleanza.»

La testa di Jace si alzò di scatto.«Dove lo hai sentito?»

Raphael fece una smorfia sdegnosa.«Lo sa tutto il Mondo Invisibile.

Una settimana fa ha pagato unostregone per evocare un branco diDivoratori. Ha inviato i suoi Dimenticatialla ricerca della Coppa Mortale.Quando la troverà non ci sarà più falsapace tra noi, solo guerra. Nessuna Legge

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mi impedirà di strapparti il cuore inmezzo alla strada, Cacciatore…»

Clary non riuscì più a resistere. Situffò verso Simon spostando Lily conuna spallata e strappò il topo dalle manidi Lee. Simon le si arrampicò su per ilbraccio avvinghiandosi alla manica condei movimenti frenetici delle zampette.

«Va tutto bene» gli sussurrò laragazza. «Va tutto bene.» Ma sapeva chenon era così. Si voltò per tornaredov’era prima e sentì delle mani che leaf-ferravano la giacca e la trattenevano.Cercò di divincolarsi, ma i suoi sforziper liberarsi dalle mani che lastringevano, le mani di Lily, affusolate eossute e con le unghie nere, erano

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ostacolati dalla paura di far cadereSimon, appeso alla sua camicia con leunghie e con i denti. «Mollami!» urlòmentre tirava un calcio alla ragazzavampira. Il suo anfibio colpì il bersagliocon forza e Lily urlò per il dolore e larabbia, dopodiché fece saettare unamano e colpì la guancia di Clary contanta forza da farle scattare la testaall’indietro.

Clary barcollò e fu lì lì per cadere.Sentì Jace urlare il suo nome e quando sivoltò vide che aveva lasciato andareRaphael e stava correndo da lei e sistava infilando una mano in tasca. Clarycercò di andare verso di lui, ma Jacob laafferrò per le spalle, affondandole le

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dita nella pelle.Clary urlò… e il suono del suo urlo

si perse in un altro, molto più forte,quando Jace tirò fuori una delle boccettedi vetro dalla giacca e scagliò ilcontenuto verso di lei. Clary sentìqualcosa di bagnato e freddo colpirle ilvolto e sentì Jacob alle sue spalle urlarequando l’acqua toccò la sua pelle.

Dalle sue dita si levò del fumo elasciò andare Clary con un ululatoferino.

Lily schizzò verso di lui, urlando ilsuo nome, e in quel pandemonio Clarysentì che qualcuno le afferrava un polsoe cercò di liberarsi.

«Smettila, idiota, sono io» le ansimò

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Jace all’orecchio.«Oh!» Clary si rilassò per un istante,

ma tornò a irrigidirsi quando vide unprofilo familiare avvicinarsi alle spalledi Jace. Lanciò un urlo e Jace si chinò esi voltò proprio mentre Raphael glisaltava addosso con i denti scoperti,veloce come un gatto. Le sue zannepresero la maglietta di Jace vicino allaspalla e strapparono il tessuto. Jacebarcollò. Raphael gli restò avvinghiatocome un ragno, i denti che scattavanoverso la gola del Cacciatore. Le mani diClary corsero alla cintura, alla ricercadel pugnale che le aveva dato Jace…

Una piccola figura grigia sfrecciòsul pavimento, schizzò tra i piedi di

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Clary e si lanciò contro Raphael.Il vampiro urlò. Simon era appeso al

suo avambraccio, i denti acuminatiaffondati nella carne. Raphael lasciòandare Jace e si gettò all’indietroschizzando sangue ovunque, mentre unfiume di oscenità in spagnolo siriversava dalla sua bocca.

Jace restò a guardarlo a boccaaperta. «Figlio di…»

Raphael ritrovò l’equilibrio, sistrappò il topo dal braccio e lo lanciòsul pavimento di marmo. Simon lanciòuno squittio di dolore e poi schizzòverso Clary. La ragazza si chinò e loraccolse, tenendoselo al petto il piùstretto possibile senza fargli male.

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Sentiva il suo piccolo cuore chemartellava contro le sue dita. «Simon»sussurrò. «Simon…»

«Non c’è tempo. Tienilo bene.» Jacel’aveva presa per il braccio destro e lastava stringendo tanto da farle male.Nell’altra mano impugnava una spadaangelica luccicante. «Muoviti.»

Iniziò ora a trascinarla ora aspingerla verso la periferia del gruppodi vampiri, che si ritraevano dalla lucedella spada angelica soffiando comegatti furiosi.

«Piantatela di starvene lì impalati,idioti!» Era Raphael, il braccioattraversato da un rivolo di sangue, lelabbra ritratte sopra gli incisivi

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appuntiti.Guardò la massa formicolante dei

vampiri che si agitava confusa. «Prende-te gli intrusi» urlò. «Uccideteli tutti…compreso il topo!»

I vampiri iniziarono ad avvicinarsi aJace e Clary, alcuni camminando, altrifluttuando, altri calando dalle terrazzecome pipistrelli neri. Jace accelerò ilpasso: si staccarono dalla folla earretrarono verso la parete opposta.

Clary si dimenò e si voltòparzialmente a guardarlo. «Nondovremmo metterci schiena controschiena o qualcosa del genere?»

«Cosa? Perché?»«Non lo so. Nei film fanno così

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quando si trovano in questo tipo di…situazione.»

Lo sentì tremare. Era spaventato?No, stava ridendo. «Tu…» sospirò Ja-ce. «Tu sei la più…»

«La più cosa?» chiese Claryindignata. Stavano ancora arretrando,facendo attenzione a evitare i pezzi dimobili rotti e le schegge di marmo checoprivano il pavimento. Jace teneva laspada angelica alta sopra le loro teste.Clary notò come i vampiri girasseroattorno ai bordi del cerchio di luceproiettato dalla spada. Si chiese perquanto tempo li avrebbe potuti tenere abada.

«Niente» disse Jace. «Questa non è

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una situazione, va bene? Quella parolateniamola per quando le cose simetteranno veramente male.»

«Veramente male? Adesso non tisembra che vadano veramente male?

Cosa vuoi, che una testatanucleare…»

Si interruppe per lanciare un urloquando Lily sfidò la luce e si lanciòcontro Jace, i denti scoperti in un ringhiorovente. Jace prese la seconda lamadalla cintura e la vibrò in aria. Lilycadde a terra strillando: un grosso tagliole sfrigolava lungo il braccio. Mentre sirimetteva in piedi barcollando, gli altrivampiri si fecero avanti per circondarla.Erano tantissimi, pensò Clary, così

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tanti…Portò la mano alla cintura e le sue

dita si chiusero sull’elsa del pugnale.Era freddo e alieno contro la sua

pelle. Non sapeva usare un pugnale. Nonaveva mai tirato un pugno a nessuno,figuriamoci una coltellata. Non eranemmeno andata a scuola il giorno in cuiavevano spiegato come difender-si darapinatori e stupratori usando oggettiquotidiani tipo le chiavi della macchinao le matite. Sguainò il pugnale e losollevò. Le tremava la mano.

La finestra implose in una doccia divetri rotti. Clary si sentì urlare e vi-de ivampiri, a meno di un braccio didistanza da lei e Jace, voltarsi in preda

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allo stupore, e lo shock mescolarsi alterrore sui loro volti. Perché dallefinestre rotte stavano entrando decine difigure snelle, a quattro zampe, pancia aterra, mentre raggi di luna e frammenti divetro si rifrangevano sulla loropelliccia. I loro occhi erano fiamme blue dalle loro gole usciva un ringhio bassoe composito che ricordava il tramestiotorbido di una cascata.

Lupi.«Ecco» disse Jace. «Questa sì che è

una situazione.»capitolo 15

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ABBANDONATII lupi si prepararono a saltare,

acquattati e ringhianti, e i vampiri, coltidi sorpresa, arretrarono. Solo Raphaeltenne la posizione. Si stringeva ancora ilbraccio ferito, la camicia un pasticcio disangue e polvere. « Niños de la Luna»sibilò. Anche Clary, il cui spagnolo eraquasi inesistente, capì ciò che avevadetto. «I Figli della Luna… i lupimannari.» Pensavo si odiassero

«sussurrò a Jace.» I vampiri e ilicantropi, dico.

«E infatti è così. Non vanno mainelle tane degli altri. Mai. L’Alleanza lovieta.» Sembrava quasi indignato.«Deve essere successo qualcosa. E non

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è una buona notizia. Proprio per niente.»«Be’, come potrebbe andare peggio

di prima?»«Può» disse Jace. «Perché stiamo

per trovarci nel bel mezzo di unaguerra.»

«Come osate entrare nella nostratana?» urlò Raphael. Aveva il voltoviolaceo dalla rabbia. «Se è la morteche volete, vi daremo la morte!»

Il lupo più grosso, un mostro grigiochiazzato, con denti che sembravanoquelli di uno squalo, emise un colpo ditosse ansimante, quasi canino.

Mentre avanzava, tra un passo el’altro, cambiava forma, come seun’onda lo stesse percorrendo e

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deformando. Ora era un uomo alto emuscoloso con lunghi capelli chependevano a ciocche grigie simili acorde. Portava dei jeans e un pesantegiubbotto di pelle e c’era qualcosa chericordava un lupo nei tratti del suo voltoasciutto e segnato. «Non siamo venutiper combattere» disse. «Siamo venutiper la ragazza.»

Raphael riuscì a sembrare al tempostesso furioso e sbalordito. «Per chi?»

«Per la ragazza umana.» Illicantropo allungò un braccio rigido e lopuntò su Clary.

La ragazza era troppo scioccata permuoversi. Simon, che le si stavaagitando tra le mani, si immobilizzò.

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Alle spalle di Clary, Jace borbottò tra séqualcosa che suonò decisamenteblasfemo. «Non mi avevi detto diconoscere dei licantropi.» Clary percepìla leggera titubanza sotto il suo tonoinespressivo: era sorpreso quanto lei.

«Infatti non ne conosco» disse.«Non è una buona notizia.»«Lo hai già detto prima.»«Mi è sembrato che valesse la pena

di ripeterlo.»«Direi di no.» Clary si strinse a lui.

«Jace. Mi stanno guardando tutti.»Tutti gli sguardi erano rivolti verso

di lei. Perlopiù erano sguardi esterre-fatti. Raphael aveva gli occhi socchiusi.Si voltò lentamente verso il licantropo.

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«Non puoi averla. È entrata nel nostroterritorio, per cui è nostra.»

Il licantropo scoppiò a ridere. «Sonoproprio contento che tu lo abbia detto»disse, dopodiché si lanciò in avanti. Amezz’aria il suo corpo si deformò etornò a essere un lupo con la pelliccialuccicante, le zanne spalancate, pronto asbranare. Atterrò sul petto di Raphael ecaddero a terra in un groviglioringhiante. Dopo uno scambio di ululatirabbiosi, i vampiri si lanciarono contro ilicantropi, che li affrontarono a testabassa al centro della sala da ballo.

Il rumore che si levò era qualcosache Clary non aveva mai sentito prima.Se i dipinti dell’ Inferno di Bosch

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avessero avuto una colonna sonora,sarebbe stata quella.

Jace fischiò. «Raphael sta avendoproprio una serataccia, eh?»

«E allora?» Clary non provavaalcuna solidarietà per il vampiro. «Noicosa facciamo?»

Jace si guardò attorno. Eranoinchiodati in un angolo dalla massaribol-lente di corpi: per il momento listavano ignorando, ma la cosa nonsarebbe durata a lungo. Prima che Clarypotesse dar voce a questi pensieri,Simon si liberò all’improvviso dalla suapresa e balzò sul pavimento. «Simon!»

urlò mentre il topo correva versol’angolo dove erano impilate delle tende

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di velluto ammuffite. «Simon, fermati!»Le sopracciglia di Jace disegnarono

dei picchi interrogativi. «Cosa sta…»Afferrò Clary per un braccio e la tiròverso di sé con uno strattone.

«Clary, non seguirlo. Sta scappando.È quello che fanno i topi.»

Lei gli sparò uno sguardo furioso.«Non è un topo. È Simon. E ha morsoRaphael per te, cretino di un ingrato.» Siliberò il braccio e si lanciò dietro aSimon, che era accucciato tra le pieghedelle tende, dove squittiva nervosamentee agitava le zampette verso di loro.Capendo finalmente ciò che Simon stavacercando di dirle, Clary scostò le tende.Erano viscide e ammuffite, ma dietro di

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esse c’era…«Una porta» sussurrò. «Genio di un

topo!»Simon squittì modestamente, mentre

Clary lo prendeva in mano. Jace era allesue spalle. «Una porta, eh? Be’, siapre?»

Clary afferrò la maniglia e la girò,delusa. «È chiusa a chiave. Oppureincastrata.»

Jace si lanciò contro la porta, chenon cedette. Imprecò. «La mia spallanon sarà più la stessa. Spero proprio chevorrai farmi da infermiera finché nonsarà guarita.»

«Tu pensa solo ad aprire quellaporta, ti dispiace?»

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Lui guardò alle spalle della ragazzacon gli occhi spalancati. «Clary…»

Clary si voltò. Un enorme lupo si eraallontanato dalla mischia e stavacorrendo verso di lei, le orecchieappiattite contro la testa affusolata. Eraenorme, a chiazze grigie e nere, con unalunga lingua rossa penzolante.

Clary urlò. Jace si lanciò di nuovocontro la porta, con un’altraimprecazione. Clary allungò una manoverso la cintura, prese il pugnale e lolanciò.

Non aveva mai lanciato un’arma,non aveva mai neppure pensato di farlo.La cosa più vicina alle armi che avessefatto prima di quella settimana era stata

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disegnarle, per cui Clary fu più stupitadi chiunque altro quando il pugnaleprese il volo, tremolante ma preciso, eaprì un lungo squarcio nel fianco dellicantropo.

Il lupo urlò e rallentò, ma tre suoicompagni stavano già correndo verso diloro. Uno si fermò accanto al lupo ferito,ma gli altri due si lanciarono all’attacco.Clary urlò ancora, mentre Jace siscagliava una terza volta contro la porta,che cedette con un’esplosione di rugginee legno. «Il tre è il numero perfetto»ansimò Jace tenendosi la spalla. Sichinò nello spazio bu-io che si apriva aldi là della porta rotta e si voltò adallungare una mano impaziente. «Clary,

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sbrigati.»La ragazza sussultò, schizzò dietro di

lui e chiuse la porta con un colpo seccoproprio nel momento in cui due corpimassicci vi sbattevano contro.

Cercò il chiavistello, ma erascomparso, caduto a pezzi quando Jaceaveva sfondato la porta.

«Abbassati» ordinò lui, e mentreClary gli obbediva lo stilo le sibilòsopra la testa, incidendo linee scure nellegno ammuffito della porta. Claryallungò il collo per vedere di cosa sitrattasse: una curva simile a una falce,tre linee parallele, una stella radiante.Resistere contro il nemico.

«Ho perso il pugnale» confessò la

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ragazza. «Mi dispiace.»«Succede.» Jace infilò in tasca lo

stilo. Clary sentì dei colpi quando i lu-pisi lanciarono ripetutamente contro laporta, che però resistette. «La runa lifermerà, ma non per molto. È meglio checi sbrighiamo.»

Clary guardò in su. Erano in uncorridoio umido e una scala strettasaliva nell’oscurità. I gradini erano dilegno, la balaustra coperta di polvere.Simon tirò fuori il naso dal taschinodella sua giacca, gli occhietti neri chescintillavano nella semioscurità. «Vabene» disse facendo cenno a Jace.

«Vai prima tu.»Jace sembrò sul punto di sorridere,

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ma era troppo stanco per farlo. «Saiquanto mi piaccia essere il primo. Maandiamoci piano» aggiunse. «Non sonosicuro che queste scale riescano areggere il nostro peso.»

Non ne era sicura nemmeno Clary. Igradini scricchiolavano e gemevanosotto i loro passi, come una vecchia chesi lamenta dei propri malanni. Laragazza strinse la balaustra e dei pezzidi legno si staccarono e le rimasero inmano, facendole lanciare uno strillo e unrisolino esausto. Jace le prese la mano.«Tranquilla.»

Simon emise un suono che, per untopo, si avvicinava abbastanza a unaspecie di sbuffata. Jace sembrò non

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sentirlo. Stavano salendo le scale contutta la velocità che potevanoraggiungere su quel legno marcio. Larampa saliva a spirale attraversol’edificio. Superarono un pianerottolodopo l’altro, tutti privi di porte.Avevano raggiunto la quarta svoltaidentica a quelle precedenti, quandoun’esplosione attutita fece tremare lescale e una nuvola di polvere si levònell’aria.

«Hanno superato la porta» disseJace per nulla soddisfatto.«Maledizione… pensavo avrebbe rettoun po’ di più.»

«È il momento di mettersi acorrere?»

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«Direi proprio di sì» rispose Jace, esi lanciarono su per le scale, chestridettero e si lamentarono sotto il loropeso mentre i chiodi saltavano via comecolpi di mitragliatrice. Erano al quintopianerottolo e Clary sentì il leggerotramestio delle zampe dei lupi suigradini più bassi, o forse era so-lo lasua immaginazione. Sapeva che nonc’era nessun alito caldo a sfiorarle ilcollo, ma i ringhi e gli ululati semprepiù forti e vicini erano reali eterrificanti.

Il sesto pianerottolo si parò lorodavanti come un iceberg che spuntavadalle acque scure del mare e loro vi siarrampicarono sopra. Clary aveva il

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fiato corto che le segava dolorosamentei polmoni, ma quando vide la portariuscì a lanciare un gridolino di felicità.Era di acciaio pesante, rinforza-ta conchiodi e tenuta aperta da un mattone.Ebbe a malapena il tempo di chiedersi ilperché, prima che Jace spalancasse laporta con un calcio, la spingesse al di làdi essa e, dopo averla seguita, se larichiudesse alle spalle. Clary sentì unclic definitivo quando la porta si chiusedietro di loro.

Grazie a Dio, pensò.E poi si voltò.Il cielo notturno si apriva sopra di

lei, cosparso di stelle simili a unamanciata di diamanti. Non era nero, ma

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di un blu scuro e pulito, il coloredell’alba imminente. Erano su un tettopiatto e nudo, con dei comignoli dimattoni. Una vecchia cisternadell’acqua, nera e abbandonata, siergeva su una piattaforma sollevata aun’estremità. Un pesante telone ceratonascondeva una grossa pila di qualcosa,probabilmente immondizia, all’estremitàopposta. «Dev’essere da qui che entranoed escono» disse Jace guardando laporta. Clary ora lo vedeva meglio inquella luce fioca, i segni dellastanchezza come piccoli tagli attornoagli occhi. Il sangue sulla sua camicia,perlopiù di Raphael, era nero. «Volanoquassù ed entrano ed escono dalla porta.

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Non che questo ci serva granché.»«Magari c’è una scala antincendio»

azzardò Clary. Si avvicinarono insieme,con cautela, al bordo del tetto. A Clarynon era mai piaciuta l’altezza: l’idea diun volo verticale di dieci piani fino allastrada le rivoltò lo stomaco. Ealtrettanto fece la vista della scalaantincendio, un ammasso contorto einservibile di metallo ancoraavvinghiato a un lato della facciatadell’hotel. «Forse no» disse. Diedeun’occhiata alla porta alle loro spalle.Si apriva in una piccola strutturasquadrata al centro del tetto. Stavavibrando e la maniglia si muoveva ascatti. Avrebbe retto ancora qualche

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minuto, forse meno.Jace si premette il dorso delle mani

contro gli occhi. L’aria plumbea liopprimeva, facendo il solletico allanuca di Clary. La ragazza vide il sudoresgocciolare lungo il collo di Jace.Desiderò che piovesse, per quanto fossefutile in quel momento. La pioggiaavrebbe fatto esplodere quella bolla dicalore così come una puntura di spillosgonfia un palloncino.

Jace stava mormorando qualcosa trasé: «Pensa, Wayland, pensa…»

Qualcosa iniziò a prendere formanella mente di Clary. Una runa danzòall’interno delle sue palpebre: duetriangoli rivolti verso il basso uniti da

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una sbarra… una runa che rappresentavaun paio di ali…

«Giusto» sospirò Jace, lasciandocadere le mani, e per un inquietantemomento Clary si chiese se le avesseletto nel pensiero. Jace sembrava e-saltato e i suoi occhi dorati eranoluminosissimi. «Non posso credere dinon averci pensato prima.» Corse versol’estremità opposta del tetto, poi sifermò un istante a guardare Clary,ancora immobile e confusa, i pensieripieni di forme luccicanti. «Muoviti,Clary.»

Lei lo seguì, allontanando dallapropria mente ogni pensiero sulle rune.

Jace aveva raggiunto il telone cerato

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e lo stava tirando per un angolo. Iltelone si spostò rivelando nonimmondizia, ma cromature scintillanti,pelli borchiate e vernice metallizzata.«Delle moto?»

Jace raggiunse la più vicina,un’enorme Harley rosso scuro con dellefiamme dorate sul serbatoio e suiparafanghi. Balzò in sella e guardòClary da dietro la spalla. «Sali.»

Clary lo guardò incredula. «Ma seiscemo? Lo sai come si guida una diqueste? E le chiavi? Ce le hai lechiavi?»

«Non mi servono le chiavi» spiegòlui con infinita pazienza. «Funziona aenergia demoniaca. Hai intenzione di

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salire o vuoi prenderne una tutta per te?»Clary salì dietro di lui sulla moto. In

una qualche parte del suo cervello unavocina le stava urlando che era unapessima idea.

«Va bene» disse Jace. «Adessoabbracciami forte.» Lei lo fece, e sentì imuscoli duri dell’addome del ragazzocontrarsi mentre si piegava in avanti einfilava la punta dello stilonell’avviamento. Con grande stupore diClary, la moto prese immediatamentevita. Simon, dentro la sua tasca, squittìforte.

«Va tutto bene» disse lei con tutta lacalma che riuscì a mettere insieme.

«Jace!» urlò poi per superare il

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rombo del motore della moto. «Cosa staifacendo?»

Lui le urlò qualcosa che suonava piùo meno: «Sto tirando un po’ l’aria.»

Clary socchiuse gli occhi. «Be’,sbrigati! La porta…»

Come a un suo comando, la porta sispalancò con un rumore secco, strappatadai cardini. I lupi mannari si riversarononel vano e iniziarono ad attraversare dicorsa il tetto per raggiungerli. Sopra diessi volavano i vampiri, sibilando,strillando e riempiendo l’aria di urla dapredatori.

Clary sentì il braccio di Jacescattare all’indietro e la moto balzare inavanti, dopodiché si ritrovò lo stomaco

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più o meno schiacciato sulla spinadorsale. Si strinse convulsamente allacintura di Jace mentre sfrecciavano inavanti, le gomme che fischiavano sulpavimento di cemento, i lupi che sibuttavano di lato al loro passaggio.Clary sentì Jace urlare qualcosa, ma lesue parole le furono strappate via dalfrastuono delle ruote, del vento e delmotore. Il bordo del tetto si avvicinavavelocissimo e Clary avrebbe volutochiudere gli occhi ma qualcosa glielitenne ben aperti mentre la mo-to balzavaoltre il parapetto e precipitava come unsacco verso il terreno, dieci piani piùsotto.

Se aveva urlato, più tardi non lo

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ricordava più. Era stato come la suaprima discesa su un ottovolante, quandoil binario scompare e tu ti senti sbalzatonello spazio, le mani che si agitanoinutilmente per aria e lo stomacoincastrato all’altezza delle orecchie.Quando la moto si rimise in posizioneorizzontale con un rombo e uno scattoClary non ne fu quasi sorpresa. Anzichécadere in picchiata, adesso stavanosalendo verso il cielo cosparso didiamanti.

Clary si guardò alle spalle e videdue uomini in piedi sul tetto dell’hotel,circondati da un branco di lupi. Uno siteneva un fianco. Distolse lo sguardo…sperava proprio di non doverlo rivedere

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più, quell’albergo.Jace stava lanciando grandi urla di

piacere e sollievo. Clary si protese inavanti, le braccia strette a lui. «Miamamma mi ha sempre detto che se fossiandata in moto con un ragazzo miavrebbe uccisa» urlò per coprire ilrombo assordante del motore e il rumoredel vento che le frustava le orecchie.

Non sentì la sua risata, ma sentì ilsuo corpo tremare. «Non lo avrebbedetto se avesse conosciuto me» lerispose Jace facendo sfoggio di grandesicurezza. «Sono un ottimo guidatore.»

A Clary venne all’improvviso inmente qualcosa. «Pensavo che avessidetto che solo alcune moto dei vampiri

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potessero volare.»Jace virò sopra un semaforo che

stava passando dal rosso al verde. Piùsotto Clary sentiva i clacson delle auto,le sirene delle ambulanze e gli autobusche arrancavano verso le loro fermate,ma non osava guardare in giù.

«E infatti è così» disse Jace.«Come facevi a sapere che questa

era una di quelle?»«Non lo sapevo!» urlò lui

allegramente, dopodiché fece impennarela moto quasi in verticale, a mezz’aria.Clary lanciò un urlo selvaggio e gliafferrò di nuovo la cintura.

«Dovresti guardare giù!» le urlòJace. «È fantastico!»

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La curiosità sconfisse il terrore e levertigini: Clary deglutì a fatica e aprì gliocchi.

Erano più in alto di quanto credesse,e per un istante la terra ondeggiò sotto dilei, un paesaggio confuso di luci eombre. Stavano volando verso est,allontanandosi dal parco, versol’autostrada che serpeggiava lungo lasponda destra della città.

Le mani di Clary erano comeinsensibili e sentiva una forte pressioneal petto. Era bello, doveva ammetterlo:la città che si stendeva sotto di lei comeuna foresta torreggiante di acciaio evetro, lo smorzato luccichio grigiodell’East River che si insinuava tra

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Manhattan e gli altri quartieri come lacicatrice lasciata in ricordo da unduello. Il vento era fresco tra i suoicapelli, sulle gambe nude e sullebraccia, delizioso dopo tanti giorni dicaldo appiccicoso. Ma Clary non avevamai volato, nemmeno in aereo, e ilgrande spazio vuoto tra lei e il terreno laterrorizzava. Non riusciva a impedirsi distrizzare gli occhi fino quasi a chiuderli,mentre sfrecciavano al di là del fiume.Subito dopo il Queensboro Bridge, Jacevirò a sud, verso la parte più bassadell’isola. Il cielo si stava illuminando ein lontananza Clary vedeva l’arcoscintillante del ponte di Brooklyn e,ancora più in là, la Statua della Libertà,

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una massa confusa all’orizzonte.«Tutto bene?» urlò Jace.Clary non disse nulla, si limitò a

stringerlo più forte. Jace virò e fecerotta verso il ponte. Clary vedeva lestelle al di là dei cavi di sospensione.Un treno del mattino stava avanzandorumorosamente sul ponte. Era la linea Q

con il suo carico di pendolarisemiaddormentati. La ragazza pensò aquanto spesso aveva preso quel treno.Un’ondata di vertigine la assalì, e chiusegli occhi boccheggiando per la nausea.

«Clary?» urlò Jace. «Clary, staibene?»

Lei scosse il capo senza aprire gliocchi, con la sola compagnia del

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martellare del suo cuore nel buio e nelvento battente. Qualcosa di affilato legrattò il petto. Lo ignorò finché nonaccadde di nuovo, questa volta con piùinsistenza. Socchiuse un occhio e videche era Simon, con la testa che spuntavadalla tasca, che le tirava la camicia conuna zampetta frenetica.

«Va tutto bene, Simon» si sforzò didire senza guardare in basso. «Sto be-ne. È stato solo il ponte…»

Simon la grattò di nuovo e poiindicò con la zampetta il fronte del portodi Brooklyn che si alzava sulla lorosinistra. Clary, nonostante il capogiro ela nausea, guardò e vide, al di là deicontorni dei magazzini e delle fabbri-

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che, una scheggia di alba appenavisibile, come il bordo di una monetadorata. «Sì, è molto carino» disse Clarychiudendo di nuovo gli occhi. «Unabella alba.»

Jace si irrigidì all’improvviso comese gli avessero sparato. «L’alba?» ur-lò,dopodiché virò bruscamente a destra.Gli occhi di Clary si spalancarono,mentre scendevano in picchiata versol’acqua, che aveva iniziato a scintillaredel blu dell’alba imminente.

Clary si avvicinò a Jace quanto leera possibile senza stritolare Simon.

«Cosa c’è che non va nell’alba?»«Te l’ho detto! Questa moto va a

energia demoniaca! E Simon…»

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Impennò la moto in modo che fosseroparalleli all’acqua, con le ruote chesollevavano un po’ di schiuma. L’acquadel fiume schizzò sul volto di Clary.

«Appena il sole sarà sorto…»La moto iniziò a scoppiettare. Jace

imprecò e diede un’accelerata. La motobalzò in avanti e poi si ingolfò,sobbalzando sotto di loro come uncavallo recalcitrante. Jace stava ancoraimprecando quando il sole fece capolinosopra le banchine fatiscenti di Brooklyn,illuminando il mondo con devastantechiarezza. Clary poté vedere ogni sasso,ogni ciottolo sotto di loro, mentreabbandonavano il fiume e arrancavanoal di sopra dell’argine.

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Sotto di loro c’era l’autostrada, giàingombra del traffico del primo mattino.

La mancarono di poco, e le ruotedella moto sfiorarono il tetto di uncamion in corsa. Davanti a loro adessoc’era il parcheggio disseminato di ri-fiuti di un enorme supermercato. «Tienitiforte!» urlò Jace mentre la motosobbalzava e scoppiettava sotto di loro.«Tieniti, Clary, e non lasciare…»

Il vento gli strappò le parole dibocca, mentre la moto si inclinava inavanti e toccava l’asfalto del parcheggiocon la ruota anteriore. La Harley schizzòin avanti barcollando furiosamente e siesibì in una lunga sgomma-ta,rimbalzando e sbattendo contro il

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terreno irregolare e facendo saltareavanti e indietro la testa di Clary a unavelocità terrificante. L’aria puzzava digomma bruciata. Ma la moto stavarallentando, stava per fermarsi… e poiandò a sbattere contro una barriera dicemento del parcheggio con tanta forzache Clary venne sollevata per aria escagliata di lato, la mano strappata dallacintura di Jace. Ebbe appena il tempo distringersi a formare una specie di pallaprotettiva, con le braccia avvolte attornoal corpo, pregando che Simon nonvenisse schiacciato, quando colpì ilterreno.

Il colpo fu duro e un dolorelancinante partì dal gomito per risalirle

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tutto il braccio. Qualcosa le andò asbattere contro la faccia, e iniziò atossire mentre si girava sulla schiena.Portò la mano alla tasca della giacca.Era vuota. Cercò di chiamare Simon, maera rimasta senza fiato. Mentre cercavadi respirare emise una specie di sibilo.Il suo volto era bagnato e c’era qualcosadi liquido che le scorreva sul collo.

È sangue? Aprì gli occhi, ancoraconfusa. Le sembrava che tutta la suafaccia fosse un unico, grande livido,mentre le braccia le facevano male e lepungevano come carne viva. Si eramessa su un fianco ed era sdraiata permetà dentro e per metà fuori da unapozzanghera di acqua sudicia. Il sole era

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sorto del tutto e Clary vide i resti dellamoto trasformarsi in un mucchietto dicenere quando i raggi la colpirono.

Jace si stava rimettendo in piedi,dolorante. Iniziò a correre verso di lei,ma quando le fu più vicino rallentò. Ilsuo volto, sotto la massa dei ricciolidorati sporchi di sudore, polvere esangue, era bianco come uno straccio.

La manica della sua giacca si erastaccata e lungo il suo braccio sinistroc’era una lunga escoriazionesanguinolenta. Clary si chiese perché lastesse guardando a quel modo. Le si erastaccata una gamba o qualcosa delgenere?

Fece per alzarsi e sentì una mano

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che le toccava la spalla. «Clary?»«Simon!»Il suo amico era in ginocchio

accanto a lei e sbatteva gli occhi comese nemmeno lui riuscisse a credere aquello che era successo. I suoi abitierano stropicciati e luridi e aveva persogli occhiali, ma per il resto sembravastesse bene. Senza gli occhiali avevaun’aria più giovane, più indifesa e unpo’ confusa. Allungò una mano pertoccare il volto di Clary, che si ritrassedi scatto. «Ahi!»

«Stai bene? Hai un aspettofantastico» disse con una voce strana.«La cosa più bella che abbia maivisto…»

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«È perché non hai gli occhiali» glifece notare lei con un filo di voce, ma sesi era aspettata una risposta arguta, nonla ottenne: Simon le buttò le braccia alcollo e la strinse forte. I suoi vestitipuzzavano di sangue e sudore e polveree il suo cuore batteva a tutto spiano e lestava schiacciando i lividi, ma eracomunque un sollievo sentire il suoabbraccio e sapere, sapere per certo,che stava bene.

«Clary» disse con una voce roca.«Pensavo… Pensavo che tu…»

«Che non sarei tornata a prenderti?Ma certo che sì» disse lei. «Certo chesì.»

Lo abbracciò anche lei. Tutto in lui

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era familiare, dal tessuto consumatodella sua maglietta alla spigolosità dellesue clavicole. Simon pronunciò il suonome e lei lo accarezzò rassicurante.Quando si guardò alle spalle per unistante, Clary vide Jace che si voltavadall’altra parte, come se la lucedell’alba gli ferisse gli occhi.

capitolo 16

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ANGELI CADUTIHodge era arrabbiatissimo. Era

fermo nell’ingresso, con Alec e Isabellealle spalle, quando Clary e i ragazzientrarono zoppicando, sporchi e copertidi sangue, e si era immediatamentelanciato in una ramanzina di cui lamadre di Clary sarebbe stata fiera. Nontralasciò la parte in cui gli avevanomentito sul posto in cui sarebbero andati- cosa che, a quanto pareva, Jace avevafatto - o quella sul fatto che non sisarebbe mai più fidato di Ja-ce, e infineaggiunse anche qualche orpello sufaccende tipo le infrazioni di Jace allaLegge, il fatto che sarebbe stato buttatofuori dal Conclave e che aveva coperto

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di vergogna il nome antico e rispettatodei Wayland. Verso la fine del suomonologo puntò uno sguardo minacciososu Jace: «Hai messo a rischio altrepersone con la tua sciocca ostinazione.E questa volta non te la caverai con unascrollata di spalle!»

«Non era mia intenzione» risposeJace. «E anche volendo non potrei. Hola spalla lussata.»

«Se solo pensassi che il dolorefisico fosse davvero un deterrente perte…» disse Hodge furente. «E invecepasserai i prossimi giorni in infermeriacon Alec e Isabelle che si daranno dafare attorno a te. Probabilmente tipiacerà anche.»

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Hodge aveva ragione per due terzi:Jace e Simon finirono entrambi ininfermeria, ma quando qualche ora dopoClary, che nel frattempo si era data unaripulita, andò a trovarli, solo Isabelle sistava dando da fare attorno a loro due.Hodge aveva medicato il livido sulbraccio di Clary e venti minuti di docciaavevano tolto la maggior partedell’asfalto che le si era attaccatoaddosso, ma si sentiva ancora tuttadolorante.

Alec, seduto sul davanzale conun’espressione tempestosa, fece unasmorfia quando la porta si chiuse allespalle della ragazza. «Ah. Sei tu.»

Clary lo ignorò. «Hodge ha detto che

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sta arrivando e spera che voi dueriuscirete a resistere all’abbraccio dellagrande mietitrice finché non sarà qui»disse a Simon e Jace sorridendo beata.«O qualcosa del genere.»

«Preferirei che si sbrigasse» disseJace di pessimo umore. Era seduto sulletto con la schiena appoggiata a duemorbidi cuscini bianchi, con ancoraaddosso i suoi vestiti luridi.

«Perché? Fa male?» chiese Clary.«No. Ho una soglia del dolore

piuttosto alta. Però mi annoiofacilmente.» Le rivolse uno sguardoallusivo. «Ti ricordi quando eravamoall’hotel e mi hai promesso che sefossimo sopravvissuti ti saresti vestita

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da infermiera e mi avresti lavato con unaspugna?»

«Temo che tu abbia sentito male»disse Clary. «È stato Simon a promet-tertelo.»

Jace guardò involontariamenteSimon, che gli fece un grande sorriso.

«Appena sarò di nuovo in piedi,tesoruccio» gli disse.

«Lo sapevo che avremmo dovutofarti restare topo» disse Jace.

Clary scoppiò a ridere e si voltòverso Simon, che sembrava decisamentea disagio circondato da decine dicuscini e con le coperte impilate soprale gambe. Isabelle fece un passo indietrocon un’espressione nervosa quando

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Clary si avvicinò e si sedette sul bordodel letto di Simon.

«Come stai?»«Come se qualcuno mi avesse fatto

un massaggio con una grattugia»disse Simon mentre sollevava le

gambe con una smorfia. «Mi sono rottoun osso di un piede. Era così gonfio cheIsabelle ha dovuto tagliarmi la scarpa.»

«Sono felice che si sia presa cura dite.» Clary lasciò che una piccolaquantità di acido si insinuasse nella suavoce.

Simon si piegò in avanti senzadistogliere lo sguardo dagli occhi diClary. «Dobbiamo parlare.»

Clary annuì, un po’ riluttante. «Vado

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in camera mia. Vieni a trovarmi dopoche Hodge ti avrà rimesso a posto, vabene?»

«Certo.» Con grande sorpresa diClary, Simon si sporse in avanti e lebaciò una guancia. Fu un bacioleggerissimo, un veloce incontro dilabbra e pelle, ma quando si ritrasseClary sapeva di essere arrossita.Probabilmente, pensò alzandosi, era peril modo in cui gli altri li stavanofissando.

In corridoio si toccò la guancia,confusa. Un bacetto sulla guancia nonvoleva dire granché, ma era così stranoper Simon. Forse stava cercando di direqualcosa a Isabelle? I maschi, pensò

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Clary, erano un tale casino. E Ja-ce, conla sua scenetta del principe ferito… Sen’era andata prima che lui iniziasse alamentarsi della scarsa qualità deltessuto delle lenzuola.

«Clary!»Si voltò stupita. Alec stava correndo

verso di lei. Quando la raggiunse sifermò. «Ti devo parlare» le disse.

«Di cosa?»Alec esitò. Con la sua pelle chiara e

gli occhi azzurri era bello quanto lasorella, ma a differenza di lei facevatutto il possibile per non farlo notare,con le sue felpe consumate e i suoicapelli tagliati a casaccio. Nonsembrava stare bene con se stesso.

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«Penso che te ne dovresti andare. Acasa» disse.

Clary sapeva di non piacergli, ma fucomunque uno schiaffo. «Alec, l’ultimavolta che sono stata a casa mia erainfestata di Dimenticati. E di Divoratori.Con le zanne. Nessuno vorrebbe tornarea casa più di me, ma…»

«Mi era sembrato di sentirti dire chehai uno zio. Non puoi andare da lui?»Nella sua voce c’era una vena didisperazione.

«No. E poi Hodge vuole che resti»tagliò corto la ragazza.

«Non può» replicò Alec. «Vogliodire, non dopo quello che hai fatto…»

«Quello che ho fatto?»

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Alec deglutì. «Hai quasi uccisoJace.»

«Ho quasi… ma di cosa staiparlando?»

«Correre dietro al tuo amico in quelmodo… lo sai in che razza di pericololo hai messo? Lo sai…»

«Stai parlando di Jace?» lointerruppe Clary. «Per tua informazione,è stata una sua idea. È stato lui achiedere a Magnus dov’era la tana. Èstato lui ad andare alla chiesa aprendere le armi. Se non fossi andatacon lui, lo avrebbe fatto lo stesso.»

«Non capisci» disse Alec. «Tu nonlo conosci. Io lo conosco. Pensa didover salvare il mondo e sarebbe pronto

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a uccidersi per farlo. A volte penso chevoglia morire, ma questo non vuol direche tu debba incoraggiarlo a farlo.»

«Ma cosa dici?» disse Clary. «Jaceè un Cacciatore. Questo è quello che fatevoi: salvate la gente, uccidete i demoni,vi mettete in pericolo. Cosa c’era didiverso, questa notte?»

Alec perse il controllo. « Che mi halasciato indietro!» urlò. «Di solito cisono io con lui, a coprirlo, a guardarglile spalle, a fare in modo che sia alsicuro. Ma tu… tu sei un peso morto, seiuna mondana…» Sputò fuori quellaparola come se fosse un’oscenità.

«No» disse Clary per la prima volta.«Non lo sono. Sono una Nephilim…

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proprio come te.»Le labbra di Alec si sollevarono in

un sorriso amaro. «Può essere» disse.«Ma senza addestramento né niente

non servi a molto, non ti pare? Tuamadre ti ha cresciuta tra i mondani, e tuappartieni al loro mondo. Non sei una dinoi, e fai comportare Jace come se…come se non fosse uno di noi.

Gli fai dimenticare i suoi doveri neiconfronti del Conclave, gli fai infrangerela Legge…»

«Ho una notizia fresca di stampa perte» sbottò Clary. «Io non faccio fa-re unbel niente a Jace. Jace fa quello chevuole. Dovresti saperlo.»

Alec la guardò come se lei fosse un

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tipo particolarmente disgustoso didemone mai visto prima. «Voi mondanisiete così egoisti, vero? Non hai idea diquello che ha fatto per te, dei rischipersonali che si è assunto? Non stoparlando solo della sua sicurezza…avrebbe potuto perdere tutto. Ha giàperso il padre e la madre, vuoi fargliperdere anche la famiglia che gli resta?»

Clary indietreggiò un po’. La rabbiacrebbe dentro di lei come un’ondatanera… rabbia contro Alec, perché inparte aveva ragione, e rabbia controtutto e tutti: contro la strada ghiacciata diBoston che le aveva portato via suopadre prima ancora che nascesse, controSimon per essersi quasi fatto uccidere,

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contro Jace perché faceva il martire enon gliene fregava niente di vivere o dimorire. Contro Luke per aver fatto fintadi volerle bene quando invece era tuttauna bugia. E contro sua madre per nonessere la noiosa, normale madrequalunque che le aveva sempre fattocredere di essere, ma una personatotalmente diversa, una persona eroica espettacolare e coraggiosa che Clary nonconosceva affatto. Una persona che nonera lì, in quel momento, quando Clary neaveva disperatamente bisogno.

«Parli proprio tu di egoismo» sibilòcon tanta cattiveria da farlo arretrare.«Non te ne frega niente di nessuno almondo, tranne che di te stesso, Alec

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Lightwood. Non c’è da stupirsi se haisempre avuto troppa paura anche peruccidere un solo demone.»

Alec era sconvolto. «Chi te lo hadetto?»

«Jace.»Il ragazzo sembrava aver ricevuto

uno schiaffo. «Non lo farebbe mai.Non direbbe mai una cosa del

genere.»«E invece l’ha detta.» Clary capì

quanto gli stesse facendo male, e ne fufelice. Tanto per cambiare, sarebbetoccato a qualcun altro stare male.

«Puoi blaterare quanto ti pare dionore e onestà e di come i mondani nonhanno né l’uno né l’altra, ma se tu fossi

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onesto, ammetteresti che stai facendotutta questa scena solo perché seiinnamorato di lui… e non ha niente a chefare con…»

Alec si mosse con una velocitàincredibile. Un rumore secco risuonònella testa di Clary. L’aveva spinta versoil muro tanto forte che con la nu-caaveva sbattuto contro i pannelli delrivestimento di legno. La faccia di Alecera a pochi centimetri dalla sua, gliocchi enormi e neri. «Non dire mai»sussurrò, la bocca ridotta a una sottilelinea bianca « mai una cosa del genere aJace o ti uccido, giuro sull’Angelo che tiuccido.»

Il dolore alle braccia, dove Alec la

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stringeva, era fortissimo. Clary sussultòcontro la propria volontà. Alec sbatté gliocchi come se si stesse sve-gliando daun sogno… e la lasciò andare, staccandole mani da lei come se il contatto con lasua pelle lo stesse bruciando. Senza direun’altra parola, si voltò e corse via,verso l’infermeria. Barcollava come unubriaco.

Clary si massaggiò le bracciaindolenzite e restò immobile aguardarlo, sbalordita da ciò che avevafatto. Ottimo lavoro, Clary. Adesso sìche sei riuscita a farti odiare perdavvero.

Clary avrebbe dovuto crollareappena toccato il letto, ma con sua

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grande sorpresa scoprì di non riuscire adormire. Allora tirò fuori l’album dallozainetto, se lo appoggiò sulle ginocchiae cominciò a disegnare. All’inizio eranodegli scarabocchi casuali: un particolaredella facciata in rovina dell’albergo deivampiri, un doccione zannuto con gliocchi sporgenti. Una strada deserta, ununico lampione che gettava un cerchiogiallo di luce, una figura in ombra allimite di questo cerchio. DisegnòRaphael con la camicia biancainsanguinata e la cicatrice della crocesul petto. Poi disegnò Jace in piedi sultetto, intento a guardare quel baratro didieci piani. Non era spaventato, eracome se il precipizio lo stesse sfidando,

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come se non ci fosse uno spazio vuotoche non potesse riempire con la fiducianella propria invincibilità. Come nel suosogno, Clary lo disegnò con ali cheformavano un arco dietro le sue spalle,come quelle della statua dell’angelodella Città di Ossa.

Alla fine cercò di disegnare suamadre. Aveva detto a Jace che non sisentiva diversa dopo avere letto il LibroGrigio, e tutto sommato era vero.

Ora però, mentre cercava divisualizzare il volto di sua madre, sirese conto che una cosa diversa c’era: isuoi ricordi di Jocelyn. Ora vedeva lecicatrici di sua madre, i minuscoli segnibianchi che le coprivano la schiena e le

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spalle come fosse stata sotto unanevicata.

Le faceva male sapere che il modoin cui aveva sempre visto sua madre, pertutta la sua vita, era stata una menzogna.Infilò l’album sotto il cuscino, gli occhiche bruciavano.

Sentì bussare alla porta… dei colpimorbidi, esitanti. Si strofinòvelocemente gli occhi. «Avanti.»

Era Simon. Non si era davvero resaconto fino a quel momento di come fosseridotto. Non aveva fatto la doccia e isuoi vestiti erano strappati e sporchi, icapelli tutti aggrovigliati. Esitò un po’sulla porta, stranamente formale.

Clary si spostò un poco per

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lasciargli spazio sul bordo del letto.Non c’e-ra niente di strano a stareseduta su un letto con Simon: avevanodormito l’uno a casa dell’altra per anni,avevano costruito tende e fortini con lelenzuola quando erano piccoli, e quandoerano diventati più grandi erano rimastialzati fino a tardi a leggere fumetti.

«Hai ritrovato gli occhiali» disse.Una lente era crepata.

«Li avevo in tasca. Se la sono cavatameglio di quanto pensassi. Dovròscrivere una lettera di ringraziamentoalla LensCrafters.» Le si sedette accantocon una certa cautela.

Clary gli sfiorò la spalla. «Hodge tiha rimesso a posto?»

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Simon annuì. «Sì, mi sento ancoracome se mi avesse tirato sotto un treno,ma non ho niente di rotto… non più,almeno.» Si voltò a guardarla. I suoiocchi dietro le lenti erano gli stessi chelei ricordava: scuri e seri, in-corniciatidal genere di ciglia delle quali a unragazzo non importava nulla ma per lequali una ragazza avrebbe ucciso.«Clary… il fatto che tu sia venuta lì perme… che abbia rischiato tutto…»

«Lascia stare.» Clary alzò una manoimbarazzata. «Tu avresti fatto lo stessoper me.»

«Certo» disse lui senza arroganza népretenziosità «ma ho sempre pensato chele cose non stessero così, tra noi…

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sai…»Clary si voltò per rivolgergli uno

sguardo perplesso. «In che senso?»«Voglio dire» disse Simon, come se

fosse sorpreso di dover spiegarequalcosa che gli pareva ovvio «che sonostato sempre io quello che avevabisogno di te, e non il contrario.»

«Questo non è per niente vero.»Clary era sbalordita.

«E invece sì» disse Simon con lastessa calma snervante. «Tu non mi haimai dato l’impressione di avere davverobisogno di qualcuno, Clary. Sei semprestata così… trattenuta. Tutto ciò che tiserviva erano le tue matite e i tuoi mondiimmaginari. Mi è capitato un sacco di

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volte di ripetere le cose sei o sette volte,prima che tu rispondessi… eri semprecosì distante… E poi ti voltavi verso dime e mi facevi uno dei tuoi sorrisi buffi,e io capivo che ti eri completamentedimenticata di me… Ma questa cosa nonmi ha mai fatto arrabbiare. Metà dellatua attenzione è meglio di tutta quella dichiunque altro.»

Clary provò a prendergli la mano,ma gli raggiunse il polso. Sentiva lepulsazioni sotto la sua pelle. «Io hoamato solo tre persone in vita mia» glidisse. «Mia mamma, Luke e te. E hoperso tutti, a parte te. Non pensarenemmeno di non essere importante perme… non pensarci nemmeno.»

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«Mia mamma dice che bastano trepersone su cui fare affidamento persentirsi realizzati» disse Simon. Il suotono era leggero, ma a metà della parola“realizzati” gli si incrinò la voce. «Diceche tu sei sufficientemente realizzata.»

Clary gli rivolse un sorriso furbo.«Tua mamma ha altre perle di saggez-zain serbo su di me?»

«Sì.» Simon rispose al suo sorrisocon uno altrettanto ironico. «Ma non hoalcuna intenzione di rivelartele.»

«Non è giusto!»«Chi ha mai detto che il mondo è

giusto?»Alla fine si sdraiarono a letto come

facevano quando erano bambini, spalla a

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spalla, le gambe di Clary sopra quelle diSimon. La punta delle sue dita arrivavaappena sotto il ginocchio di lui. Stesisulla schiena, parlarono fissando ilsoffitto, un’abitudine che era rimastaloro da quando il soffitto della stanza diClary era coperto di stelle fosforescentiadesive. Se Jace profumava di sapone elimone, Simon puzzava come uno che siera rotola-to nel parcheggio di unsupermercato, ma a Clary non davafastidio.

«La cosa strana» disse Simonavvolgendosi attorno a un dito unaciocca dei capelli di Clary «è che stavoscherzando con Isabelle sui vampirisubito prima che succedesse. Cercavo di

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farla ridere un po’, no? “Cosa usate perfar sclerare i vampiri ebrei? Stelle diDavid d’argento? Fegato tritato? As-segni da diciotto dollari?”»

Clary scoppiò a ridere.Simon parve gratificato. «Isabelle

non ha riso.»Clary pensò a una serie di cose che

avrebbe voluto dire, ma non le disse.«Non sono sicura che questo sia il

genere di umorismo che fa per Isabelle.»Simon le lanciò un’occhiata di

traverso. «Va a letto con Jace?»Il gridolino di sorpresa di Clary si

trasformò in un colpo di tosse,dopodiché lanciò un’occhiatacciaall’amico. «Ma no! Sono praticamente

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parenti.Non lo farebbero mai.» Fece una

pausa. «O almeno credo.»Simon scrollò le spalle. «Non che

me ne freghi qualcosa» disse deciso.«Certo, come no.»«Neanche un po’!» Si voltò di lato.

«Sai, all’inizio pensavo che Isabellefosse… non so… fantastica. Eccitante.Diversa. Poi alla festa ho capito che inrealtà era pazza.»

Clary lo guardò con gli occhisocchiusi. «È stata lei a dirti di berequel cocktail blu?»

Lui scosse il capo. «Quella è stataun’idea mia. Ti ho visto mentre ti al-lontanavi insieme a Jace e Alec e… non

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lo so… avevi un aspetto così diversodal solito. Sembravi proprio un’altra.Non ho potuto fare a meno di pensareche fossi già cambiata e che io sareirimasto fuori dal tuo nuovo mondo.Volevo fare qualcosa per entrare almenoun po’ a farne parte. Così, quando si èavvicinato quel piccoletto verde con ilvassoio dei cocktail…»

Clary sbuffò. «Sei un idiota.»«Non ho mai sostenuto il contrario.»«Scusa. È stato orribile?»«Essere un topo? No. All’inizio ero

disorientato. All’improvviso arrivavoalle caviglie di tutti quanti. Ho pensatodi avere bevuto una pozione rim-picciolente, ma non riuscivo a capire

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come mai avessi tutta quella voglia dimasticare le carte delle cicche.»

Clary ridacchiò. «No… volevodire… all’albergo dei vampiri… è statoorribile?»

Qualcosa tremolò negli occhi diSimon, che distolse subito lo sguardo.

«No. A dire la verità non è chericordi un granché, tra la festa el’atterrag-gio nel parcheggio.»

«Probabilmente è meglio così.»Simon fece per dire qualcosa, ma fu

bloccato da uno sbadiglio. La luce nellastanza era svanita lentamente.Districandosi da Simon e dalle lenzuola,Clary si alzò e aprì le tende dellafinestra. All’esterno la città era immersa

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nel bagliore rossastro del tramonto. Iltetto argentato del Chrysler Building, acinquanta isolati di distanza, brillavacome un attizzatoio lasciato troppo alungo sul fuoco. «Il sole statramontando. Forse dovremmo cercarequalcosa da mangiare.»

Non vi fu alcuna risposta. Clary sivoltò e vide che Simon si eraaddormentato, le mani intrecciate sottola testa, le gambe spalancate. La ragazzasospirò, si avvicinò al letto, gli tolse gliocchiali e li appoggiò sul comodino.Non si contavano le volte che Simon siera addormentato con addosso gliocchiali ed era stato svegliato dalrumore delle lenti che si rompevano.

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E adesso dove vado a dormire? Nonche le creasse problemi dividere il lettocon Simon, ma non le aveva lasciatomolto spazio. Prese in considerazione lapossibilità di spostarlo un po’, ma avevaun’aria così serafica. E

poi lei non aveva sonno. Stava perprendere l’album da disegno sotto ilcuscino, quando qualcuno bussò allaporta.

Attraversò la stanza a piedi nudi egirò la maniglia cercando di non farerumore. Era Jace. Ripulito, in jeans emaglietta grigia, i capelli lavati aformare un’aureola umida e dorata. Ilividi sul volto stavano già passando dalviola al grigio chiaro. Aveva le mani

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dietro la schiena.«Dormivi?» chiese. Non c’era

nemmeno un’ombra di scuse nella suavo-ce, solo curiosità.

«No.» Clary uscì in corridoiochiudendosi la porta alle spalle. «Perchélo pensavi?»

Lui diede un’occhiata al pigiamaazzurrino di lei. «Per nessun motivo inparticolare.»

«Ho passato quasi tutta la giornata aletto» disse Clary, il che era tecni-camente vero. Vedendolo, il suo livellodi agitazione era schizzato in su almenodel mille per cento, ma non trovò alcunmotivo per comunicarglie-lo. «E tu?Non sei esausto?»

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Jace scosse il capo. «I cacciatori didemoni sono come il servizio posta-le,non dormono mai. “Né neve né pioggiané caldo né tenebre possono fermarequesti…”»

«Saresti in guai grossi, se le tenebrepotessero fermarti» fece notare lei.

Jace sogghignò. A differenza deisuoi capelli, i suoi denti non eranoperfetti. Un incisivo superiore eraleggermente sbeccato, e la cosa gli davaun’aria ancora più carina.

Clary si strinse le braccia al petto. Incorridoio faceva freddo e sentì la pelled’oca che le si stava formando sullebraccia. «Cosa ci fai qui?»

« Qui nel senso di “in camera tua” o

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qui nel senso della grande domandaspirituale riguardo a qual è il nostroscopo in questo mondo? Se mi staichiedendo se è tutto una grande casualitàcosmica o se la vita ha un senso moralesuperiore, be’, sono secoli che l’uomocerca di dare una risposta a questadomanda. Voglio dire, il meroriduzionismo ontologico è chiaramenteun’argomentazione fallace, ma…»

«Io torno a letto.» Clary fece pergirare la maniglia.

Jace si infilò agilmente tra lei e laporta. «Sono qui» disse «perché Hodgemi ha detto che era il tuo compleanno.»

Clary sospirò esasperata. «Non finoa domani.»

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«Non c’è motivo per non iniziare afesteggiare subito.»

Lei lo guardò. «Stai evitando Alec eIsabelle.»

Jace annuì. «Vogliono tutt’e duedecidere cosa devo e non devo fare.»

«Per lo stesso motivo?»«Non saprei.» Guardò su e giù per il

corridoio. «E anche Hodge. Tuttivogliono parlarmi. A parte te.Scommetto che tu non vuoi parlare conme.»

«No» disse Clary. «Voglio mangiare.Sto morendo di fame.»

Jace fece uscire una mano da dietrola schiena. Stava tenendo un sacchetto dicarte un po’ stropicciato. «Ho soffiato un

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po’ di cibo dalla cucina mentre Isabellenon guardava.»

Clary sorrise. «Un picnic? È un po’tardi per Central Park, non ti pare? È

pieno di…»Jace mosse una mano. «Fate. Lo so.»«Stavo per dire “rapinatori”» disse

Clary. «Anche se non invidio un ra-pinatore che dovesse decidere diprendersela con te.»

«Questo è un atteggiamento saggioper il quale non posso che lodarti» sipavoneggiò Jace. «Ma non stavopensando a Central Park. Cosa ne direstidella serra?»

«Adesso? Di sera? Non è… buio?»Jace sorrise come se avesse un

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segreto. «Vieni. Ti faccio vedere.»capitolo 11

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IL FIORE DIMEZZANOTTE

Il sole era tramontato del tuttoquando raggiunsero la porta d’accessoal tetto. Nella semioscurità, le grandistanze mezze vuote davanti alle qualipassarono erano deserte comescenografie teatrali, e i mobili copertida lenzuola bianche uscivano dalletenebre come iceberg nella nebbia.

Quando Jace aprì la porta dellaserra, l’odore colpì Clary, morbidocome il soffice colpo di zampa di ungatto: l’odore ricco e scuro di terra equello più forte e saponoso dei fiorinotturni - gli occhi di bue, le maurandie,le belle di notte - e altri ancora che non

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riconobbe, come un fiore giallo a formadi stella i cui petali erano ornati da unpolline dorato.

Attraverso le pareti di vetro dellaserra, vide le luci fredde di Manhattanche bruciavano di un verde ghiaccio e diun azzurro zaffiro.

«Cavoli!» Si voltò lentamente pergodersi la vista. «È bellissimo qui disera.»

Jace sorrise. «Ed è tutto per noi.Alec e Isabelle detestano questo posto.

Hanno delle allergie.»Clary ebbe un brivido, anche se non

faceva affatto freddo. «Che fiori so-noquesti?»

Jace scrollò le spalle e si sedette

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con una certa cautela accanto a uncespuglio verde lucido, punteggiato danumerosissimi boccioli. «Non ne hoidea. Credi che stia attento durante lelezioni di botanica? Non ho intenzionedi fare l’archivista. Non mi serve saperequella roba.»

«Tu sai soltanto uccidere?»Jace la guardò e sorrise. Poteva

sembrare un angelo biondo di un quadrodi Rembrandt se non fosse stato perquella bocca demoniaca. «Infatti.»

Prese dal sacchetto qualcosa avvoltoin un tovagliolo e lo offrì a Clary. «E

poi» aggiunse «so fare dei panini alformaggio fantastici. Provane uno.»

Clary sorrise con riluttanza e si

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sedette di fronte a Jace. Il pavimento dipietra della serra era freddo contro lesue gambe nude, ma era una sensazionepiacevole, dopo tutti quei giorni dicalura implacabile. Jace tirò fuori dalsacchetto un po’ di mele, una tavoletta dicioccolato alla frutta e cereali e unabottiglia d’acqua. «Niente male, comebottino» disse lei ammirata.

Jace fece la ruota.Il panino al formaggio era tiepido e

un po’ molliccio, ma aveva un buonsapore. Da una delle innumerevolitasche interne della sua giacca, Jaceprodusse un coltello con il manicod’osso che sembrava in grado di sven-trare un grizzly. Si mise al lavoro sulle

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mele, dividendole in ottavi perfetti.«Be’, non è una torta di

compleanno» disse porgendole una fettadi mela

«ma spero sia meglio di niente.»«Quello che mi aspettavo era

proprio una bella fetta di niente, quindigrazie.» Diede un morso alla mela: eraun po’ acerba e fresca.

«Tutti quanti dovrebbero riceverequalcosa per il loro compleanno.» Ja-cestava sbucciando la seconda mela,togliendo la buccia in lunghe striscericurve. «I compleanni dovrebberoessere giorni speciali. Il mio era l’unicogiorno in cui mio padre diceva chepotevo fare o avere qualsiasi cosa

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volessi.»«Qualsiasi cosa?» Clary scoppiò a

ridere. «E tu che qualsiasi cosa volevi?»«Be’, quando ho compiuto cinque

anni ho voluto fare il bagno neglispaghetti.»

«Ma lui non te lo ha lasciato fare,giusto?»

«No, è proprio questo il bello, me loha permesso. Ha detto che non era unacosa costosa, e perché non avrei dovutofarlo, se era quello che volevo? Dissealla servitù di riempire la vasca dabagno di acqua bollente e pasta, equando si raffreddò…» scrollò le spalle«ci feci il bagno.»

La servitù? , pensò Clary. Ma ad

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alta voce disse soltanto: «E come èstato?»

«Scivoloso.»«Ci credo.» Cercò di immaginarsi

Jace da bambino che ridacchiava tuttoallegro, con gli spaghetti che gliarrivavano alle orecchie. Non ci riuscì.Sicuramente Jace non ridacchiava tuttoallegro nemmeno a cinque anni.

«Cos’altro hai chiesto?»«Soprattutto armi» disse lui. «Il che

certamente non ti stupirà. Libri.Leggo molto per conto mio.»«Tipo libri di scuola?»Jace scosse il capo. «No, quelli mio

padre ce li aveva. Mi faceva lui dainsegnante di storia occulta,

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demonologia, alchimia e arti marziali.La lettura era un hobby… lo facevo perdivertimento.»

«Quindi non andavi a scuola?»«No» disse Jace. Aveva iniziato a

parlare più lentamente, come se sistessero avvicinando a un argomento dicui non voleva discutere.

«Ma i tuoi amici…»«Non avevo amici» disse. «A parte

mio padre. Lui era tutto ciò di cui avevobisogno.»

Clary lo fissò. «Neanche un amico?»Lui resse il suo sguardo. «Quando

vidi Alec» disse «avevo dieci anni ed èstata la prima volta che ho incontrato unaltro bambino della mia età. La prima

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volta che ho avuto un amico.»Clary abbassò lo sguardo. Ora le si

formò nella mente un’immaginedecisamente sgradita: pensò ad Alec, acome l’aveva guardata. Lui non direbbemai una cosa del genere, non Jace.

«Non sentirti dispiaciuta per me»disse Jace, come se avesse indovinato isuoi pensieri, anche se non era per luiche era dispiaciuta. «Mi ha dato lamigliore istruzione e il miglioreaddestramento possibili. Mi ha portatoin tutto il mondo. Londra. SanPietroburgo. L’Egitto. Ci piaceva moltoviaggiare.» I suoi occhi si erano fatti piùscuri. «Non sono stato da nessuna parteda quando è morto. Soltanto a New

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York.»«Sei fortunato» disse Clary, felice di

poter cambiare argomento. «Io non sonomai uscita da questo Stato in vita mia.Mia mamma non mi ha nemmenolasciato andare in gita scolastica aWashington, anche se adesso forse hocapito il perché» aggiunse infine.

«Aveva paura che tu sclerassi? Cheiniziassi a vedere demoni dentro la CasaBianca?»

Clary mordicchiò un pezzo dicioccolato. «Ci sono dei demoni dentrola Casa Bianca?»

«Stavo scherzando» disse Jace.«Almeno credo.» Scrollò le spalle confilosofia. «Sono certo che qualcuno me

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lo avrebbe detto.»Clary era dubbiosa. «Probabilmente

voleva che non mi allontanassi troppoda lei. Mia mamma, voglio dire. Dopola morte di mio padre, lei è cambiatamolto.» Una frase di Luke echeggiò nellasua testa. Non sei mai stata la stessadopo quello che è successo a Jonathan.Ma Clary non è Jonathan.

Jace alzò un sopracciglio. «Tiricordi di tuo padre?»

Clary scosse il capo. «No, è mortoprima che nascessi.»

«Sei fortunata» disse lui. «Così nonti manca.»

Detta da chiunque altro sarebbe statauna cosa spaventosa, ma per una volta

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nella voce di Jace non c’era traccia diamarezza, solo il dolore per l’assenza disuo padre. «È una cosa che passa?» glichiese. «Il fatto che ti manchi, vogliodire.»

Lui la guardò di traverso, ma nonrispose. «Stai pensando a tua madre?»

No. Non avrebbe pensato in quelmodo a sua madre. «In realtà pensavo aLuke.»

«Non che quello sia veramente il suonome.» Jace diede un morso pensierosoalla mela e disse: «Ho pensatoparecchio a lui. C’è qualcosa che non mitorna, nel suo comportamento…»

«È un vigliacco.» La voce di Claryera amareggiata. «Lo hai sentito.

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Non si metterà contro Valentine.Nemmeno per mia madre.»

«È proprio questo che…» Unriverbero sonoro lo interruppe. Daqualche parte stava suonando unacampana. «Mezzanotte» disserimettendosi in tasca il coltello. Si alzòin piedi e le porse le mani per aiutarla asollevarsi.

Le sue dita erano un po’ appiccicosedi succo di mela. «E adesso guarda.»

Il suo sguardo era fisso sul cespuglioverde accanto al quale erano stati seduti,coi suoi numerosi boccioli luccicanti.Clary fece per chiedergli cosa avrebbedovuto guardare, ma lui sollevò unamano per zittirla. Aveva gli occhi lucidi.

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«Aspetta» disse.Le foglie del cespuglio erano

immobili. All’improvviso uno deiboccioli chiusi iniziò a vibrare etremare. Si gonfiò fino a raddoppiare leproprie dimensioni e poi si aprì. Fucome guardare la ripresa acceleratadello sbocciare di un fiore: i delicatisepali verdi che si aprivano versol’esterno, liberando i petali chiusi alloro interno. I petali erano cosparsi dipolline dorato e leggero come talco.

«Oh!» disse Clary, e quando sollevòlo sguardo vide che Jace la stavaguardando. «Sbocciano tutte le notti?»

«A mezzanotte» disse lui. «Buoncompleanno, Clarissa Fray.»

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Clary si sentiva stranamentecommossa. «Grazie.»

«Ho una cosa per te» disse Jace.Rovistò in tasca e ne trasse fuoriqualcosa che le mise in mano. Era unapietra grigia, leggermente irregolare, inalcuni punti consumata fino a essereliscia.

«Uh» disse Clary rigirandosela tra ledita. «Sai, quando la maggior parte delleragazze dice che vorrebbe una grossapietra, non intende proprio, let-teralmente, una grossa pietra.»

«Molto divertente, mia sarcasticaamica. Non è una pietra qualsiasi. Tutti iCacciatori hanno una pietra runica distregaluce.»

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«Oh.» Clary la guardò con rinnovatointeresse, chiudendola tra le dita comeaveva visto fare a Jace nella cantina.Non ne era certa, ma le parve di vedereuna piccola luce che faceva capolino frale dita.

«Ti illuminerà» disse Jace «in tutti iluoghi oscuri di questo e di altri mondi.»

Clary se la fece scivolare in tasca.«Be’, grazie. È stato carino da parte tuafarmi un regalo.» Le sembrava che latensione tra di loro la schiaccias-secome aria umida. «Decisamente megliodi un bagno negli spaghetti.»

«Se racconti a qualcuno questa cosadegli spaghetti, forse sarò costretto aucciderti» la minacciò lui assumendo

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un’aria tenebrosa.«Be’, quando io avevo cinque anni

volevo che mia madre mi facesse giraredentro l’asciugatrice insieme ai vestiti»gli rivelò Clary. «La differenza è che leinon me lo ha lasciato fare.»

«Probabilmente perché girare dentroun’asciugatrice può essere fatale»

fece notare Jace «mentre la pastarisulta raramente letale. A meno che nonl’abbia cucinata Isabelle.»

Il fiore di mezzanotte stava giàperdendo i petali, che veleggiavanoverso terra scintillando come schegge diluce stellare. «Quando avevo dodici an-ni volevo un tatuaggio» disse Clary. «Emia mamma non mi ha permesso di fare

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nemmeno quello.»Jace non rise. «La maggior parte dei

Cacciatori ricevono il loro primomarchio a dodici anni. Dovevi avercelonel sangue.»

«Forse. Anche se dubito che moltiCacciatori si facciano tatuare Dona-tellodelle Ninja Turtles sulla spallasinistra.»

Jace parve sbalordito. «Tu voleviuna tartaruga sulla spalla?»

«Volevo coprire la cicatricedell’antivaiolosa.» Spostò un po’ di latola spallina della canottiera, mostrando ilsegno bianco a forma di stella che avevain cima al braccio. «Visto?»

Lui distolse lo sguardo. «Si sta

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facendo tardi» disse. «Dovremmoscendere.»

Clary si risollevò la spallina,imbarazzata. Come se lui potesse averevoglia di vedere la mia cicatricedell’antivaiolosa…

Le parole successive le uscironodalla bocca senza che volesse. «Tu eIsabelle siete mai… usciti insieme?»

Ora fu lui a guardarla stupito. Laluce della luna stemperava il colore deisuoi occhi. Ora erano più d’argento ched’oro. «Isabelle?» chiese con un tonoinespressivo.

«Pensavo…» Ora si sentiva ancorapiù imbarazzata. «Simon era curioso disaperlo.»

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«Forse dovrebbe chiederlo aIsabelle.»

«Non sono sicura che voglia farlo»disse Clary. «Comunque lascia stare.

Non sono affari miei.»Jace sorrise nervosamente. «La

risposta è no. Voglio dire, possonoesserci stati dei momenti in cui l’uno ol’altra hanno considerato la cosa, ma leiper me è quasi una sorella. Sarebbestrano.»

«Vuoi dire che tu e Isabelle nonavete mai…»

«Mai» disse Jace con lo stessosorrisetto nervoso.

«Lei mi odia» osservò Clary.«No, non ti odia» la stupì lui. «È

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solo che la rendi nervosa perché èsempre stata l’unica ragazza in ungruppo di maschi adoranti e adesso nonlo è più.»

«Ma è così bella…» Clary eradavvero stupita.

«Anche tu» disse Jace. «E in unmodo molto diverso da lei, e lei non puòfare a meno di notarlo. Ha sempredesiderato essere minuta e delicata, sai?

Detesta il fatto di essere più altadella maggior parte dei ragazzi.»

Clary non disse nulla, perché nonaveva niente da dire. Bella. Lui avevadetto che era bella. Nessuno glieloaveva mai detto prima, a parte suamadre, che però non contava. Le madri

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pensano che sei bella per contratto.Fissò Jace.«Probabilmente dovremmo scendere

di sotto» ripeté il ragazzo. Clary erasicura che fissandolo lo metteva adisagio, ma non riusciva proprio asmettere.

«Va bene» disse alla fine. Con suogrande sollievo, la sua voce sembravanormale. E fu un sollievo ancoramaggiore distogliere lo sguardo da lui evoltarsi. La luna, che ora si trovavaproprio sopra di loro, illuminava tuttoquasi a giorno. Tra un passo e l’altro,Clary vide una scintilla biancasprigionarsi da qualcosa sul pavimento.Era il coltello che Jace aveva usato per

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tagliare le mele. Clary scattòvelocemente indietro per evitare dicalpe-starlo e le sue spalle andarono asbattere contro quelle di lui… Jaceallungò una mano per sorreggerlaproprio mentre lei si voltava perscusarsi e in qualche modo Clary siritrovò nel cerchio delle sue braccia elui la baciò.

All’inizio fu quasi come se nonavesse voluto farlo: la sua bocca erarigida contro quella di lei. Poi le misetutte e due le braccia attorno e la tiròcontro di sé. Le sue labbra siammorbidirono. Clary sentì il battitorapido del suo cuore, assaggiò ladolcezza delle mele ancora nella sua

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bocca. Infilò le mani nei capelli di Jacecome aveva desiderato fare dalla primavolta che lo aveva visto. Li arricciòattorno alle dita, serici e sottili. Il suocuore martellava e si sentiva un rombonelle orecchie, come un battito d’ali…

Jace si staccò da lei conun’esclamazione soffocata, anche se nonsmise di tenerla abbracciata. «Non fartiprendere dal panico, abbiamo deglispet-tatori.»

Clary voltò il capo. Appollaiato suun ramo lì vicino c’era Hugo che liguardava fisso coi suoi luminosiocchietti neri. Ma allora il suono cheaveva sentito era veramente quello di unpaio d’ali, e non della sua folle

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passione. Che delusione!«Se l’uccello è qui, Hodge non può

essere lontano» disse Jace sottovoce.«Dobbiamo andare.»«Ti spia?» sussurrò Clary. «Hodge,

voglio dire.»«No… è solo che gli piace venire

quassù a pensare. Peccato… stavamoavendo una conversazione davverobrillante.» Rise sommessamente.

Ridiscesero le scale seguendo lastrada da cui erano saliti, ma a Claryparve un tragitto del tutto diverso. Jacele teneva la mano e le dava minuscolescosse elettriche che le attraversavanole vene partendo da tutti i punti in cui luila sfiorava: le dita, il polso, il palmo

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della mano. La mente di Clary ronzavadi domande, ma aveva troppa paura chese le avesse poste avrebbe rovinatol’atmosfera. Jace aveva detto “peccato”,per cui Clary supponeva che la loroserata fosse finita, perlomeno per quantoriguardava i baci.

Raggiunsero la porta della suacamera da letto. Clary si appoggiò almu-ro accanto alla porta, guardandolo.«Grazie per il picnic di compleanno»

disse. Si stupì di constatare che lasua voce suonava perfettamente normale.

Jace sembrava riluttante a lasciarlela mano. «Vai a dormire?»

Vuole solo essere educato, si disselei. Ma si trattava di Jace. Jace non era

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mai educato. Decise di rispondere alladomanda con una domanda. «Tu non haisonno?»

«Non sono mai stato più sveglio»disse lui a voce bassa.

Si chinò per baciarla, prendendole ilvolto con la mano libera. Le loro labbrasi toccarono, prima leggermente e poicon più forza. Fu proprio in quell’istanteche Simon spalancò la porta dellacamera da letto e uscì in corridoio.

Aveva gli occhi semichiusi e icapelli scompigliati ed era senzaocchiali, ma li vide perfettamente. «Macosa diavolo…?» chiese a voce tantoalta che Clary si staccò da Jace con unsalto, come se le sue mani l’avessero

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bruciata.«Simon! Cosa… voglio dire…

pensavo che stessi…»«Dormendo? Infatti» disse lui. Le

guance gli erano diventate rossissimecome succedeva sempre quando eraimbarazzato o arrabbiato. «Poi mi so-nosvegliato e tu non c’eri, così hopensato…»

A Clary non venne in mente niente dadire. Perché non aveva pensato cheavrebbe potuto succedere una cosa delgenere? Perché non aveva proposto aJace di andare in camera da lui? Lariposta era semplice quanto orribile: siera completamente dimenticata diSimon.

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«Mi dispiace» disse a bassa vocesenza sapere bene a chi lo stessedicendo. Con la coda dell’occhio lesembrò che Jace le stesse lanciando unosguardo di pura rabbia, ma quando loguardò sembrava lo stesso di sempre:tranquillo, sicuro di sé, un po’ annoiato.

«In futuro, Clarissa» disse «potrebbeessere saggio far presente che c’è già unuomo nel tuo letto, per evitare questesituazioni incresciose.»

«Lo hai invitato a letto?» chieseSimon, che sembrava scosso.

«Che cosa ridicola, vero?» disseJace. «Non ci saremmo stati tutti e tre.»

«Non l’ho invitato a letto» scattòClary. «Ci stavamo solo baciando.»

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«Solo baciando?» Jace la prese ingiro adottando un tono falsamente ferito.«Come fai in fretta a liquidare il nostroamore…»

«Jace…»Clary vide la malevolenza negli

occhi di lui e si interruppe. Non servivaa nulla. Si sentì improvvisamente unpeso allo stomaco. «Simon, è tardi»

disse con un’aria stanca. «Midispiace di averti svegliato.»

«Anche a me.» Simon rientrò incamera di gran carriera, sbattendosi laporta alle spalle.

Il sorriso di Jace era stucchevolecome la melassa. «Prego, seguilo pure.

Accarezzagli la testa e digli che è

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ancora il tuo amichetto superspeciale.Non è quello che vorresti fare?»«Smettila» disse Clary. «Smettila di

fare così.»Il sorriso di Jace si allargò. «Così

come?»«Se sei arrabbiato, dillo e basta.

Non fare come se niente ti potesse maitoccare. È come se non provassi mainulla.»

«Forse avresti dovuto pensarciprima di baciarmi.»

Clary lo guardò incredula. «Io hobaciato te?»

Jace la guardò con una scintillantemalizia. «Non preoccuparti» le disse.

«Non è stato troppo memorabile

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nemmeno per me.»Clary lo guardò allontanarsi

sentendo allo stesso tempo il bisogno discoppiare a piangere e di correrglidietro per tirargli un calcio negli stinchi.

Sapendo che entrambe le cose gliavrebbero fatto solo piacere, non fece nél’una né l’altra, ma tornò mesta incamera sua.

Simon era in piedi al centro dellastanza, con un’aria persa. Si era rimessogli occhiali. Clary risentì nella propriatesta la voce di Jace: Cosa haiintenzione di fare? Accarezzargli latesta e dirgli che è ancora il tuoamichetto superspeciale?

Clary fece un passo verso di lui, ma

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si fermò quando vide cosa aveva inmano. Il suo album, aperto sul disegnoche stava facendo, quello in cui Ja-ceaveva le ali da angelo. «Bel disegno»disse. «Tutte quelle lezioni con la Tischstanno dando i loro frutti.»

Normalmente Clary gli avrebbedetto che aveva fatto male a guardare ilsuo album, ma non era il momentogiusto. «Simon, senti…»

«Riconosco che andare in cameratua a mettere il broncio non è stata unagran mossa» la interruppe mentrebuttava l’album sul letto. «Ma dovevoprendere la mia roba.»

«Dove vai?» chiese lei.«A casa. Sono rimasto qui già

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troppo. I mondani come me nondovrebbero stare in un posto comequesto.»

Clary sospirò. «Senti, mi dispiace,va bene? Non avevo intenzione di ba-ciarlo, è successo e basta. Lo so cheJace non ti piace.»

«No» disse Simon, sempre piùimpettito. «La coca sgasata non mipiace.

Le orrende canzoni delle boy bandnon mi piacciono. Non mi piace restareimbottigliato nel traffico. Non mipiacciono i compiti di matematica. Jacelo odio. È chiara la differenza?»

«Ti ha salvato la vita» gli fecenotare Clary, anche se sapeva di barare:

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in fondo Jace aveva partecipato a quellamissione perché temeva di finire neiguai se lei si fosse fatta ammazzare.

«Dettagli» disse Simon noncurante.«È un cretino. Pensavo che tu fossimeglio.»

Clary perse la pazienza. «Oh, adessovieni a farmi la predica proprio tu?»scattò. «Sei tu quello che avevaintenzione di invitare a uscire la ragazza“con il corpo più da paura” dellascuola» disse mimando il tono di vocepigro di Eric. La bocca di Simon si teseper la rabbia. «E anche se Ja-ce ognitanto è un po’ uno stronzo? Tu non seimio fratello e neanche mio padre e non tideve piacere per forza. A me le tue

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ragazze non sono mai piaciute, maalmeno ho avuto la decenza di tenermeloper me.»

«Questa» disse Simon tra i denti «èun’altra faccenda.»

«Ah, sì? E perché?»«Perché ho visto come lo guardi!»

urlò lui. «E io non ho mai guardato cosìnessuna di quelle ragazze! Era solo unacosa da fare, per me, un modo pertenermi occupato finché…»

«Finché cosa?» Clary si rendevaconto che si stava comportando in mo-do orribile, che tutta quella situazioneera orribile. Non avevano mai litigatoprima per qualcosa di più serio di chiaveva mangiato l’ultimo biscotto della

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scatola nel loro fortino. Ma non riuscivaa smettere. «Finché non fosse arrivataIsabelle? Non posso credere che tu mistia facendo la predica su Jace quandohai fatto la figura del cretino sbavandodietro a lei!» Clary stava ormai urlando.

«Stavo cercando di ingelosirti!»gridò Simon. Aveva le mani strette apugno lungo i fianchi. «Sei così stupida,Clary, sei così stupida! Ma non capisciproprio niente?»

Lei lo fissò sbalordita. Cosa diavolovoleva dire? «Stavi cercando di in-gelosirmi? E perché avresti dovuto fareuna cosa del genere?»

Capì subito che era la cosa peggioreche potesse chiedergli.

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«Perché» rispose lui con tantaamarezza da scioccarla «sono dieci anniche sono innamorato di te e mi sembravache fosse ora di scoprire se anche tuprovavi lo stesso per me. E direi che larisposta è no.»

Era come se le avesse tirato uncalcio allo stomaco. Clary non riuscivaa parlare. L’aria le era stata risucchiatafuori dai polmoni. Lo fissò cercando dimettere insieme una risposta, unarisposta qualsiasi.

Simon la bloccò in malo modo.«Lascia perdere. Non c’è niente che tupossa dire.» Clary lo guardò avvicinarsialla porta come se fosse stata pa-ralizzata: non riusciva a muovere un

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muscolo per trattenerlo, per quantodesiderasse farlo. Cosa avrebbe potutodirgli? Anche io ti amo? Ma non eravero. Oppure sì?

Simon si fermò sulla porta, una manosulla maniglia, e si voltò verso di lei. Isuoi occhi, dietro gli occhiali, orasembravano più stanchi che arrabbiati.«Vuoi sapere qual era l’altra cosa chemia mamma diceva su di te?»

Clary scosse il capo.Lui sembrò non accorgersene.

«Diceva che mi avresti spezzato ilcuore»

disse, e poi uscì dalla stanza. Laporta si chiuse dietro di lui con un clicdeciso e Clary restò sola.

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Quella sì, pensò con un sarcasmoche apparteneva più a Jace che a lei, cheera una battuta fulminante per un’uscitadi scena.

Dopo che Simon se ne fu andato,Clary sprofondò nel letto e raccolsel’album. Se lo strinse al petto: nonaveva voglia di disegnare, aveva solobisogno di sentire e annusare qualcosadi familiare: inchiostro, carta, ges-so.

Pensò di rincorrere Simon, dicercare di raggiungerlo. Ma cosa gliavrebbe detto? Cosa gli poteva dire? Seicosì stupida, Clary, le aveva detto lui.Come fai a essere così stupida?

Pensò a centinaia di cose che Simonaveva detto o fatto, alle battute che Eric

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e altri avevano fatto su di loro, alleconversazioni interrotte quando leientrava in una stanza. Jace lo avevacapito dall’inizio. Stavo ridendo perchéle dichiarazioni d’amore mi divertono,soprattutto quando si tratta di amorinon corrisposti. Lei non si era fermata achiedersi di cosa stesse parlando, maora lo sapeva. Per quello che potevaservirle…

Aveva detto a Simon che in vita suaaveva amato solo tre persone: suamadre, Luke e lui. Si chiese se fosseveramente possibile perdere nellospazio di una settimana tutte le personeche amavi. Si chiese se era il genere dicosa a cui si riusciva a sopravvivere.

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Eppure per quei brevi istanti nella serracon Jace aveva dimenticato sua madre.Aveva dimenticato Luke.

Aveva dimenticato Simon. Ed erastata felice. Quella era la cosa peggiore:era stata felice.

Forse questa cosa… pensò …ilfatto di perdere Simon… forse è la miapunizione per l’egoismo di esserefelice, anche solo per un momento,mentre mia madre è ancora chissàdove. Ma in ogni caso non c’era statoniente di reale. Jace poteva anche esserebravissimo a baciare, ma non leimportava nulla di lei, lo aveva dettomolto chiaramente.

Clary si abbassò l’album da disegno

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in grembo. Simon aveva ragione: quellodi Jace era un bel ritratto. Aveva colto lalinea dura della sua bocca, gli occhiincoerentemente vulnerabili. Le alisembravano così reali che Clary pensòche se vi avesse passato sopra le ditasarebbero state morbide.

Lasciò che la sua mano vagassesopra la pagina, che la sua menteviaggias-se…

E poi ritrasse la manoall’improvviso. Le sue dita non avevanotrovato carta, ma morbide piume. I suoiocchi corsero alle rune che aveva scara-bocchiato nell’angolo della pagina.Erano luccicanti come quelle disegnateda Jace con il suo stilo.

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Il cuore di Clary aveva iniziato abattere con un ritmo rapido e regolare.

Se una runa poteva portare in vita undisegno, allora forse…

Senza togliere gli occhi dal foglio,cercò le sue matite. Senza fiato, cercòuna pagina intonsa e iniziò a disegnarein fretta la prima cosa che le venne inmente. Era la tazza da caffè appoggiataal comodino accanto al suo letto.

Attingendo ai suoi ricordi del corsodi natura morta, la disegnò in ognidettaglio: il bordo sbeccato, la crepanella maniglia. Quando ebbe finito era ilmassimo della precisione che lei fossein grado di ottenere. Guidata da unistinto che non comprendeva bene,

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allungò una mano verso la tazza e laappoggiò sopra la carta. Poi, facendomolta attenzione, iniziò a tracciare lerune accanto a essa.

capitolo 18

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LA COPPA MORTALEJace era steso sul suo letto e fingeva

di dormire - anche se nessuno era lì adassistere alla sua recita - quando i colpialla porta divennero insopporta-bili. Sialzò in piedi con una smorfia. Per quantonella serra avesse dato mostra di starebene, gli faceva ancora male tutto ilcorpo per i colpi della notte precedente.

Sapeva chi era ancora prima diaprire la porta. Magari Simon erariuscito a farsi trasformare di nuovo inun topo. E questa volta, per quantoriguardava Jace Wayland,quell’imbecille poteva anche restare untopo per sempre.

Clary stringeva in mano il suo album

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da disegno e i capelli rossi lesfuggivano dalle trecce. Jace siappoggiò allo stipite della portaignorando la botta di adrenalina prodottadalla vista di lei. Si chiese perché, e nonera la prima volta. Isabelle usava la suabellezza allo stesso modo della suafrusta, ma Clary non sapeva nemmeno diessere bella. Forse era proprio quella laragione.

Poteva pensare a un solo motivo percui lei si trovava lì, anche se dopoquello che le aveva detto non avevamolto senso. Le parole sono armi, glieloaveva insegnato suo padre, e in quelmomento aveva voluto ferirla più diquanto avesse mai desiderato fare con

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qualsiasi altra ragazza. In effetti non erasicuro di aver mai voluto ferire un’altraragazza. Di solito si limitava prima avolerle e poi a volere che lo lasciasseroin pace.

«Non mi dire» disse, pronunciandole parole nel modo più fastidiosopossibile. «Simon si è trasformato in unocelot e tu vuoi che io risolva lasituazione prima che Isabelle ne facciauna stola. Be’, dovrai aspettare fino adomani. Sono fuori servizio.» Si indicò:indossava un pigiama blu con un buco inuna manica. «Guarda. Sono in pigiama.»

Clary sembrò non averlo neppuresentito. «Jace» disse. «È importante.»

«Davvero?» disse indicando l’album

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da disegno. «Hai un’emergenza ar-tistica? Ti serve un modello che posinudo? Be’, non sono dell’umore.Potresti chiedere a Hodge» aggiunse,come se gli fosse appena venuto inmente. «Mi hanno detto che farebbequalsiasi cosa per…»

«JACE» lo interruppe Clary urlando.«STAI ZITTO UN SECONDO E

ASCOLTA!»Jace sbatté gli occhi.Clary prese un bel respiro e lo

guardò. Un bisogno poco familiare sorsedentro Jace, quello di abbracciarla edirle che andava tutto bene. Non lo fe-ce. In base alla sua esperienza,raramente andava tutto bene. «Jace»

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disse lei a voce così bassa che luidovette chinarsi in avanti per sentirla.«Credo di sapere dove mia madre hanascosto la Coppa Mortale. È dentro unquadro.»

«Cosa?» Jace la stava ancorafissando come se gli avesse detto cheaveva trovato uno dei Fratelli Silentiche faceva le capriole nudo in corridoio.

«Vuoi dire che è nascosta dietro unquadro? Tutti i quadri a casa tua sonostati strappati via dalle cornici.»

«Lo so.» Clary diede uno sguardoalla sua camera, dietro di lui. Nonsembrava ci fosse qualcun altro, con suogrande sollievo. «Senti, posso entrare?Voglio farti vedere una cosa.»

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«Jace si scostò pigramente dallaporta.» Se proprio devi.

Clary si sedette sul letto e appoggiòl’album sulle ginocchia. I vestiti cheJace aveva addosso prima erano gettatisopra le coperte, ma il resto della stanzaera ordinato come la cella di un monaco.Non c’erano quadri alle pareti, né posterné foto di amici o parenti. Le lenzuolaerano bianche e perfettamente tese sulletto. Non era esattamente la tipicacamera da letto di un ragazzo. «Ecco»disse Clary sfogliando l’album finchénon ebbe trovato il disegno della tazzada caffè. «Guarda questo.»

Jace le si sedette accanto dopo averespostato una maglietta sporca. «È

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una tazza.»L’irritazione nella sua voce era

evidente. «Lo so che è una tazza.»«Non vedo l’ora che tu disegni

qualcosa di davvero complicato, tipo ilponte di Brooklyn o un’aragosta.Probabilmente mi manderai un tele-gramma musicato.»

Clary lo ignorò. «Guarda. È questoche volevo farti vedere.» Passò la manosopra al disegno e poi, con unmovimento rapidissimo, la infilò dentrola carta. Quando la estrasse un istantedopo, c’era una tazza da caffè che ledondolava tra le dita.

Aveva immaginato che Jace sarebbebalzato su dal letto sbalordito e avrebbe

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urlato senza fiato qualcosa del tipo:«Santi numi!» Non successe.

Soprattutto, sospettò Clary, perchéJace aveva visto cose molto più stranein vita sua e perché nessuno usava piùl’esclamazione “Santi numi”.

Però sgranò gli occhi dalla sorpresa.«Sei stata tu?» le chiese.

Clary annuì.«Quando?»«Adesso, nella mia stanza, dopo…

dopo che Simon se n’è andato.»Lo sguardo di lui si fece più affilato,

ma non fece alcun commento. «Hai usatole rune? Quali?»

Clary scosse il capo indicando lapagina che ora era bianca. «Non lo so.

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Mi sono venute in mente da sole e iole ho disegnate esattamente come levedevo.»

«Erano rune che hai visto nel LibroGrigio?»

«Non lo so.» Stava scuotendo ancorail capo. «Non te lo so dire.»

«E nessuno ti ha mai insegnato a farequesta cosa? Tua madre, per esempio?»

«No. Te l’ho già detto, mia madre miha sempre ripetuto che non esisteva lamagia…»

«Scommetto che te lo ha insegnato»la interruppe Jace «e poi te lo ha fattodimenticare. Magnus ha detto che i tuoiricordi torneranno un po’ alla volta.»

«Forse.»

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«Naturalmente.» Jace si alzò in piedie iniziò a camminare avanti e indietro.«Probabilmente la Legge non consentedi usare le rune senza licen-za. Maadesso non importa. Pensi che tua madreabbia messo la Coppa dentro un quadro?Come hai fatto tu con la tazza?»

Clary annuì. «Ma non in uno diquelli che avevamo a casa.»

«E dove, allora? In una galleria? Inun murale? Potrebbe essere ovunque…»

«Non è esattamente un quadro» disseClary. «È una carta.»

Jace si zittì e si voltò verso di lei.«Ti ricordi quando ti ho detto che

avevo riconosciuto quel mazzo ditarocchi da Madame Dorothea?»

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Il ragazzo annuì.«Era perché l’aveva dipinto mia

madre per lei. E ricordi quando hodisegnato l’Asso di Coppe? Più tardi,quando ho visto la statua dell’Angelo, laCoppa mi è sembrata familiare. Eraperché l’avevo già vista, sull’Asso. Miamadre ha dipinto la Coppa Mortale nelmazzo di tarocchi di MadameDorothea.»

Jace la stava seguendo. «Perchésapeva che sarebbe stata al sicuro conuna Guardiana e così avrebbe potutodarla a Dorothea senza dirle veramentecosa fosse e perché doveva tenerlanascosta.»

«E, a parte il perché, non doveva

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neppure dirle di tenerla nascosta.Dorothea non esce mai, non la darebbemai via…»

«E tua madre era in una posizioneperfetta per tenere sott’occhio siaDorothea sia la carta.» Jace sembravaabbastanza colpito. «Una mossa nientemale.»

«Direi di no.» Clary cercò dicontrollare il tremito della sua voce.«Vorrei non fosse stata così brava anasconderla.»

«Cosa vuoi dire?»«Voglio dire che se l’avessero

trovata, forse non avrebbero portato viamia mamma. Se tutto ciò che volevanoera la Coppa…»

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«L’avrebbero uccisa, Clary» disseJace con una specie di intensità mo-nocorde. Clary sapeva che stavadicendo la verità. «Sono gli stessiuomini che hanno ucciso mio padre.L’unico motivo per cui tua madre èancora vi-va è che non riescono atrovare la Coppa. Devi essere contentache l’abbia nascosta tanto bene.»

«Non capisco proprio cosa abbia ache fare questa cosa con noi» disse Alecguardando confuso attraverso un ciuffodei suoi capelli. Jace aveva svegliato glialtri abitanti dell’Istituto all’alba e liaveva trascinati in biblioteca per - comeaveva detto lui - “ideare una strategia”.Alec era ancora in pigiama, Isabelle in

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accappatoio rosa. Hodge, con addosso ilsuo solito abito di tweed, stava bevendoun caffè da una tazza sbeccata diceramica blu.

Solo Jace, con lo sguardo accesononostante i lividi in via di guarigione,sembrava ben sveglio. «Pensavo cheormai la ricerca della Coppa fosse nellemani del Conclave.»

«È meglio se ce ne occupiamo noi»rispose Jace impaziente. «Io e Hodge neabbiamo già discusso e abbiamo decisocosì.»

«Bene.» Isabelle si infilò dietrol’orecchio una treccina legata con unnastro rosa. «Io ci sto.»

«Be’, io no» disse Alec. «Ci sono

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degli agenti del Conclave in questa cittàin cerca della Coppa. Passiamol’informazione a loro e lasciamo chevadano a prendersela.»

«Non è così semplice» disse Jace.«E invece sì.» Alec si drizzò a

sedere con un’espressione furente.«Questo non c’entra niente con noi,c’entra solo con la tua… la tuadipendenza dal pericolo.»

Jace scosse il capo, palesementeesasperato. «Non capisco perché tu tiopponga tanto a questa cosa.»

Perché non vuole che tu ti facciamale, pensò Clary, stupita dalla totaleincapacità di Jace di capire cosa stessesuccedendo ad Alec. Ma in fondo anche

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a lei era capitata la stessa cosa conSimon. Chi era quindi per parlare?«Senti, Dorothea… la proprietaria delRifugio… non si fida del Conclave.Anzi, lo odia. Però si fida di noi» disseJace.

«Si fida di me» aggiunse Clary.«Non so se si fida di te. Non sonemmeno se le piaci.»

Jace la ignorò. «Dai, Alec, saràdivertente. E pensa alla gloria seriporte-remo la Coppa Mortale a Idris! Inostri nomi non saranno maidimenticati.»

«Non mi interessa la gloria» disseAlec senza smettere di guardare il voltodi Jace. «Mi interessa non fare niente di

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stupido.»«In questo caso però Jace ha

ragione» disse Hodge. «Se il Conclavedovesse andare al Rifugio sarebbe undisastro. Dorothea fuggirebbe con laCoppa e probabilmente non verrebbemai più ritrovata. No, Jocelyn volevache una sola persona fosse in grado diritrovare la Coppa, e questa persona èClary e Clary soltanto.»

«E allora che ci vada da sola» disseAlec.

Anche Isabelle ebbe un sussultonell’udire quella frase. Jace, che erapiegato in avanti con le mani appoggiatealla scrivania, si raddrizzò e guardòAlec con aria noncurante. Solo Jace,

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pensò Clary, poteva assumere un’arianoncurante con addosso dei pantalonidel pigiama e una vecchia maglietta, malui ci riusciva con un puro esercizio divolontà.

«Se hai paura di qualcheDimenticato, resta a casa, miraccomando» sussurrò.

Alec sbiancò. «Io non ho paura.»«Bene» disse Jace. «Allora non c’è

problema, giusto?» Si guardò attorno.«Ci stiamo tutti?»

Alec borbottò un sì e Isabelle annuìvigorosamente. «Certo» disse.

«Sembra divertente.»«Non so se sarà divertente» disse

Clary. «Però ovviamente io ci sto.»

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«Clary» intervenne subito Hodge.«Se sei preoccupata per i pericoli chepotresti correre, non devi andare perforza. Possiamo avvisare ilConclave…»

«No» disse Clary, stupendo sestessa. «Mia mamma voleva che la tro-vassi io. Non Valentine e nemmenoloro.» Non era dai mostri che sinascondeva, le aveva detto Magnus. «Sedavvero ha passato tutta la sua vita acercare di tenere Valentine lontano daquella cosa, questo è il meno che iopossa fare.»

Hodge le sorrise. «Credo chesapesse che avresti detto questo.»

«E comunque non preoccuparti»

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disse Isabelle. «Andrà tutto bene.Possiamo gestire tranquillamente unpaio di Dimenticati. Sono pazzi, ma nonsono molto intelligenti.»

«E sono molto più facili daaffrontare rispetto ai demoni» disseJace.

«Meno problematici. Ah, ci serviràun’auto» aggiunse. «Preferibilmentebella grossa.»

«Perché?» chiese Isabelle. «Nonabbiamo mai avuto bisogno di un’autofinora.»

«Finora non abbiamo mai dovutopreoccuparci di trasportare un oggetto divalore inestimabile. Non voglioportarmi dietro la Coppa sulla linea L

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della metropolitana» spiegò Jace.«Ci sono i taxi» suggerì Isabelle. «E

i furgoni a noleggio.»Jace scosse il capo. «Voglio un

ambiente che possiamo controllare. Nonvoglio avere a che fare con tassisti oautonoleggi mondani per una faccendacosì importante.»

«Tu non hai la patente e lamacchina?» chiese Alec a Clary,guardandola con malcelato disgusto.«Credevo che tutti i mondani leavessero.»

«Non se hanno quindici anni»rispose scontrosa Clary. «Dovreiprendere la patente l’anno prossimo, maper ora niente.»

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«Sei proprio una palla al piede.»«Almeno i miei amici sanno

guidare» sbottò lei. «Simon ha lapatente.»

Si pentì immediatamente di averlodetto.

«Ah, davvero?» disse Jace conun’espressione pericolosamentemeditabonda.

«Però non ha la macchina» aggiunsesubito Clary.

«Quindi usa quella dei suoigenitori?» chiese Jace.

Clary sospirò e si appoggiò allascrivania. «No. Di solito usa il furgonedi Eric. Per i concerti eccetera. A volteEric glielo presta, tipo se deve uscire

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con una.»Jace sbuffò. «Va a prendere le

ragazze con un furgone? Non c’è dameravigliarsi che abbia tanto successocon le signore.»

«È soltanto un’auto» disse Clary.«Tu sei arrabbiato perché Simon haqualcosa che tu non hai.»

«Ha molte cose che io non ho» disseJace. «Tipo la miopia, una posturapenosa e un’incredibile mancanza dicoordinazione.»

«Lo sai» disse Clary «che secondomolti psicologi l’ostilità è in realtà at-trazione sessuale sublimata?»

«Ah!» disse Jace tutto allegro.«Questo potrebbe spiegare perché mi

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capita così spesso di incontrare dellepersone che mi detestano.»

«Io non ti detesto» disse subito Alec.«È perché noi abbiamo un rapporto

fraterno» rispose Jace avvicinandosialla scrivania. Prese il telefono rosso elo passò a Clary. «Chiama.»

«Chiama chi?» chiese Clarycercando di guadagnare un po’ di tempo.

«Eric? Non mi presterebbe mai ilsuo furgone.»

«Simon» disse Jace. «Chiama Simone chiedigli se ci porta in auto a ca-satua.»

Clary fece un ultimo tentativo. «Nonconoscete nessun Cacciatore adulto cheabbia la macchina?»

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«A New York?» il sogghigno di Jacescomparve. «Senti, qualsiasi Cacciatoreadulto ci farebbe consegnare la Coppaal Conclave nel momento stesso in cuidovessimo metterci sopra le mani. Èquesto che vuoi?»

I loro sguardi si incrociarono per unistante. In quelli di lui c’eraun’espressione di sfida, e anchequalcos’altro, come se la stesseprovocando perché spiegasse la propriaesitazione. Clary gli strappò il telefonodi mano con una smorfia.

Non dovette pensare prima dicomporre il numero. Il numero di Simonle era familiare quanto il proprio. Sipreparò a parlare con sua madre o con

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una delle sue sorelle, ma fu lui arispondere al secondo squillo.«Pronto?»

«Simon?»Silenzio.Jace la stava guardando. Clary

chiuse gli occhi e cercò di fare finta chelui non fosse lì. «Sono io» disse.«Clary.»

«Lo so chi sei.» Simon sembravainfastidito. «Stavo dormendo.»

«Lo so. È presto. Scusa.» Si fecerigirare il filo del telefono attorno alledita. «Ti devo chiedere un favore.»

Vi fu un altro lungo silenzio primache lui scoppiasse in una risata amara.«Stai scherzando, vero?»

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«No» disse lei. «Sappiamo dov’è laCoppa Mortale e siamo pronti ad andarea prenderla. L’unica cosa che ci manca èun’auto.»

Simon rise un’altra volta. «Scusa, mistai dicendo che i tuoi amici am-mazzademoni hanno bisogno che miamamma li accompagni in macchina alloro prossimo appuntamento con le forzedelle tenebre?»

«In realtà pensavo che potrestichiedere a Eric di prestarti il furgone.»

«Clary, se pensi che io…»«Se prendiamo la Coppa Mortale

avrò una possibilità di riavere miamamma. È l’unico motivo per cuiValentine non l’ha ancora uccisa né

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liberata.»Simon emise un lungo e rumoroso

sospiro. «Credi che sarà così facile fareuno scambio? Clary, non lo so…»

«Non lo so neanche io. So solo che èuna possibilità.»

«Questa cosa è potente, giusto? Neigiochi di ruolo di solito è meglio lasciarstare gli oggetti potenti finché non saicosa fanno.»

«Io non voglio farci nulla. Vogliosolo usarla per riavere mia mamma.»

«Questo non ha senso, Clary.»«Questo non è un gioco di ruolo,

Simon!» disse quasi urlando. «Non è ungiochetto in cui la cosa peggiore che puòcapitare è fare un tiro sfortu-nato con i

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dadi. È di mia mamma che stiamoparlando, e Valentine forse la statorturando e potrebbe ucciderla. Io devofare qualsiasi cosa per liberar-la…proprio come ho fatto con te.»

Pausa. «Forse hai ragione… non loso, questo non è il mio mondo. Senti,dove dobbiamo andare di preciso? Cosìposso dirlo a Eric.»

«Non portarlo!» disse subito Clary.«Lo so» rispose lui con un tono

esasperatamente paziente. «Non sono unidiota.»

«Andiamo a casa mia. È lì.»Vi fu un breve silenzio, questa volta

causato dallo stupore. «A casa tua?Pensavo che casa tua fosse piena di

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zombi.»«Guerrieri Dimenticati» lo corresse

lei. «Non sono zombi. E comunque se nepossono occupare Jace e gli altri mentreio prendo la Coppa.»

«Perché devi essere tu a prenderla?»Simon sembrava preoccupato.

«Perché sono l’unica che può farlo»disse Clary. «Vieni a prenderciall’angolo appena puoi.»

Simon borbottò qualcosa che lei nonsentì e poi, più forte: «Va bene.»

Clary riaprì gli occhi. Il mondo lenuotava davanti in una foschia dilacrime. «Grazie, Simon» disse. «Seiun…»

Ma lui aveva messo giù.

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«Stavo pensando» disse Hodge «chei dilemmi del potere sonosorprendentemente coerenti.»

Clary lo guardò di traverso. «In chesenso?»

La ragazza era seduta sotto lafinestra della biblioteca, Hodge sullasua sedia, con Hugo sul bracciolo. I restidella colazione - marmellata, briciole dipane tostato e macchie di burro -tenevano compagnia a una pila di piattisul tavolino che nessuno sembravaintenzionato a sgomberare. Dopo lacolazione si erano separati perprepararsi, e Clary era stata la prima atornare.

Non c’era da stupirsene,

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considerando che tutto ciò che avevadovuto fare era stato infilarsi i jeans euna maglietta e darsi una spazzolata aicapelli, mentre tutti gli altri avevanodovuto armarsi pesantemente.

«Stavo pensando al tuo Simon»disse Hodge «e ad Alec e Jace, tra glialtri.»

Clary guardò fuori dalla finestra.Stava piovendo ancora, grosse gocceche picchiettavano contro i vetri. Il cieloera di un grigio impenetrabile.

«Cosa c’entrano?»«Dove c’è un sentimento non

ricambiato» disse Hodge «c’è unosquilibrio di potere. È uno squilibriofacile da sfruttare, ma non è saggio farlo.

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Dove c’è amore, spesso c’è ancheodio. Possono esistere fianco a fianco.»

«Simon non mi odia.»«Ma potrebbe arrivare a farlo, se

sentisse che lo stai usando.» Hodgesollevò una mano. «Lo so che non ne haiintenzione e che in alcuni casi i finigiustificano i mezzi, ma questasituazione me ne ha fatta ricordareun’altra. Hai ancora la fotografia che tiho dato?»

Clary scosse il capo. «Non qui. È incamera mia. Posso andare a…»

«Non è necessario.» Hodgeaccarezzò le penne di ebano di Hugo.

«Quando era giovane, tua madreaveva un migliore amico, proprio come

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adesso tu hai Simon. Erano vicini comefratello e sorella. In effetti moltipensavano che lo fossero. Quandocrebbero tutti coloro che li conoscevanocapirono che lui era innamorato di lei,ma lei non se ne accorse mai. Per lei erasempre e solo un amico.»

Clary stava fissando Hodge. «Staiparlando di Luke?»

«Sì» disse Hodge. «Lucian hasempre pensato che lui e Jocelyn sisarebbero messi insieme. Quando leiincontrò Valentine e se ne innamorò, luinon riuscì a sopportarlo. Dopo che sifurono sposati, lasciò il Circolo esparì… lasciando credere a tutti noi chefosse morto.»

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Clary ricordò con dolorosachiarezza l’arrivo di Luke a casa loro,fradicio di pioggia e con la sua borsaverde ai piedi, e la voce incredula disua madre, Pensavo che fossi morto.

Clary aveva sempre liquidato quellafrase come una battuta rivolta a unapersona che sua madre non vedeva damolto tempo, ma Jocelyn intendevaesattamente quello che aveva detto.Vedere Luke in quel modo, come ilfantasma di un marinaio annegato chesorgeva dalle acque tenebrose, dovetteessere uno shock bellissimo e terribileinsieme. Clary cercò di immaginarecome si sarebbe sentita se Simon fossemorto… era impensabile, sarebbe stato

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come se le avessero strappato unagamba… e poi la gioia che avrebbeprovato se fosse tornato. La stessa gioiache doveva avere riempi-to il cuore disua madre quando aveva visto Luke.

«Lui non ha mai detto… non ha mainemmeno accennato a niente del genere»disse Clary. «In tutti questi anni, avrebbepotuto chiederle…»

«Sapeva quale sarebbe stata larisposta» disse Hodge guardando al dilà della ragazza, verso il lucernariobagnato dalla pioggia. «Lucian non èmai stato il genere di uomo che si fafalse illusioni. No, si accontentava distarle vicino… pensando che forse, nelcorso del tempo, i sentimenti di Jocelyn

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potessero cambiare.»«Ma se l’amava, perché ha detto a

quegli uomini che non gli importava diquello che le sarebbe successo? Perchénon ha voluto che gli dicesserodov’era?»

«Come ho già detto, dove c’è amorec’è anche odio» spiegò Hodge.

«Tanti anni fa lei gli fece moltomale. Gli voltò le spalle. Eppure lui daallora ha sempre giocato a fare il suocagnolino da compagnia senza mailamentarsi, senza mai fare accuse, senzamai metterla di fronte ai proprisentimenti. Forse un giorno ha visto unapossibilità di cambiare le carte intavola. Di farla soffrire come aveva

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sofferto lui.»«Luke non farebbe mai una cosa del

genere.» Ma Clary ripensò al tonogelido con cui le aveva detto di starelontana da lui, di non chiamarlo mai più.Rivide il suo sguardo duro, quandoaveva affrontato gli uomini di Valentine.Quello non era il Luke che leiconosceva, il Luke con cui era cresciuta.Quel Luke non avrebbe mai volutopunire sua madre per non averlo amatoabbastanza o nel modo giusto. «Ma leilo amava» disse Clary senza rendersiconto di parlare ad alta voce. «Solo chenon era lo stesso tipo di amore cheprovava lui. Non è sufficiente?»

«Forse lui pensava di no.» Hodge si

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mise a rovistare sulla scrivania. «Epoi è tutta una congettura. Puoi

benissimo pensare che sia infondata.»«Cosa succederà dopo che avremo

preso la Coppa?» chiese lei. «Comecontatteremo Valentine per fargli sapereche ce l’abbiamo noi?»

«Ci penserà Hugo a trovarlo.»La pioggia picchiava contro le

finestre. Clary ebbe un brivido. «Vado aprendere un giubbotto» disse mentre sialzava in piedi.

Trovò una felpa con il cappuccioverde e rosa in fondo al suo zainetto.

Quando la tirò fuori, sentì qualcosache si accartocciava. Era la fotografiadel Circolo, con sua madre e Valentine.

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La guardò per un lungo istante, prima dirimetterla dentro lo zainetto.

Quando tornò in biblioteca, gli altrierano già tutti lì: Hodge seduto me-ditabondo sulla sua sedia con Hugo sullaspalla, Jace tutto in nero, Isabelle con isuoi stivali scalciademoni e la sua frustadorata, e Alec con una faretra a tracollae un bracciale di cuoio a coprire ilbraccio destro dal polso al gomito. Aparte Hodge, erano tutti tatuati conmarchi appena fatti, ogni centimetro dipelle nuda coperto da intricati disegni.Jace aveva la manica sinistra arrotolata,il mento contro la spalla, e stavafacendo una smorfia mentre si disegnavaun marchio ottagonale sulla parte più

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alta del braccio.Alec lo guardò. «Stai facendo un

casino» disse. «Ci penso io.»«Sono mancino» si giustificò Jace,

ma parlò con un tono tranquillo e gliporse il proprio stilo. Alec parvesollevato nel prenderlo, come se fino aquel momento non fosse stato sicuro seJace l’avesse perdonato per il suocomportamento di poco prima. «È unitatze di base» disse Jace mentre Alecchinava il capo sul suo bracciotracciando attentamente le linee dellaruna guaritrice. Jace fece una smorfiamentre lo stilo scivolava sopra la suapelle, gli occhi semichiusi e il pugnoserrato finché i muscoli del braccio

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sinistro non si gonfiarono. «Perl’Angelo, Alec…»

«Sto cercando di fare attenzione»disse Alec. Lasciò andare il braccio diJace e fece un passo indietro perammirare la propria opera. «Ecco.»

Jace aprì il pugno e abbassò ilbraccio. «Grazie.» A quel punto percepìla presenza di Clary e la guardò con gliocchi socchiusi. «Clary.»

«Sembrate pronti» disse lei, mentreAlec, improvvisamente arrossito, siallontanava da Jace e si metteva atrafficare con le sue frecce.

«Lo siamo» disse Jace. «Hai ancoraquel pugnale che ti ho dato?»

«No. L’ho perso al Dumort,

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ricordi?»«Giusto.» Jace la guardò

compiaciuto. «Ci hai quasi ucciso unlicantropo, con quel pugnale, vero?»

Isabelle, in piedi davanti allafinestra, levò gli occhi al soffitto. «Miero dimenticata come ti fanno perdere latesta le ragazze che ammazzano i mostri,Jace.»

«Mi piace chiunque ammazzi imostri» disse lui. «Soprattutto mestesso.»

Clary guardò ansiosa l’orologiosulla scrivania. «Dovremmo scendere.

Simon sarà qui da un momentoall’altro.»

Hodge si alzò in piedi. Sembrava

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molto stanco, pensò Clary, come se nondormisse da giorni.

«Possa l’Angelo vegliare su di voi»disse, e Hugo si alzò dalla sua spalla eprese il volo gracchiando forte, proprionell’istante in cui la campana batteva ledodici.

Stava piovigginando quando Simonaccostò con il furgone e suonò due volteil clacson. Il cuore di Clary fece unsalto: una parte di lei temeva che non sisarebbe presentato.

Jace guardò la strada attraverso lapioggia. Si erano riparati sotto una dellecornici di pietra accanto al portone dellacattedrale. «Quello è il furgone? Sembrauna banana mezza marcia.»

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Era innegabile: Eric aveva dipinto ilfurgone di giallo fosforescente su cuispiccavano delle chiazze di rugginesimili alle macchie scure delle ba-nanetroppo mature. Simon suonò ancora ilclacson. Clary lo vide, una formaconfusa attraverso il finestrino bagnato.Sospirò, e tirò su il cappuccio percoprirsi i capelli. «Andiamo.»

Guadarono le pozzanghere d’acqualurida che si erano formate sull’asfalto.A ogni passo Isabelle vi immergeva isuoi enormi stivali con grandesoddisfazione. Simon lasciò il motore infolle e scivolò sul retro per aprire laportiera, rivelando dei sedili con latappezzeria mezza marcia. Delle molle

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dall’aria pericolosa spuntavano fra ibuchi dei cuscini. Isabelle arricciò ilnaso. «È sicuro sedersi?»

«Più sicuro che farsi legare al tetto»disse Simon tranquillamente «che èl’altra possibilità che avete. Salutò Jacee Alec con un cenno del capo, ignorandocompletamente Clary.» Ehi.

«Ehi» disse Jace sollevando laborsa di stoffa tintinnante che contenevale armi. «Questa dove la possomettere?»

Simon gli indicò il retro, dove iragazzi di solito tenevano gli strumentimusicali, mentre Alec e Isabelle siarrampicavano dentro il furgone e siappollaiavano sui sedili. «Copilota!»

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annunciò Clary mentre Jace siavvicinava alla portiera.

Alec toccò l’arco che portava atracolla. «Cosa?»

«Intende dire che vuole sedersidavanti» disse Jace allontanandosi icapelli bagnati dagli occhi.

«Bell’arco» disse Simon con uncenno del capo rivolto ad Alec.

Alec sbatté gli occhi, la pioggia chegli cadeva dalle ciglia. «Sei un espertodi tiro con l’arco?» chiese in un tono chelasciava intendere che ne dubitava.

«Ho fatto tiro con l’arco in colonia»disse Simon. «Sei anni di fila.»

La risposta a questa frase furono tresguardi inespressivi e un sorriso

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complice di Clary, che Simon ignoròguardando il cielo sempre più plum-beo.«Dovremmo andare, prima chericominci a piovere a dirotto.»

Il sedile anteriore era coperto dipacchetti di biscotti e briciole dipatatine. Clary spazzò via quello chepoteva. Simon fece partire il furgoneprima che avesse terminato, facendolafinire contro il sedile. «Ahi!» disse lei.

«Scusa» rispose Simon senzaguardarla.

Clary sentiva gli altri parlaresottovoce tra loro. Probabilmentediscute-vano di strategie di battaglia edel modo migliore per decapitare undemone senza ritrovarsi gli stivali nuovi

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pieni di fluidi corporei. Anche se nonc’era nulla a separare il sedile anterioredal resto del furgone, Clary sentì ilsilenzio imbarazzato tra lei e Simon,come se fossero soli.

«Cos’è questa faccenda dell‘“ehi”?»chiese mentre Simon faceva entrare ilfurgone sulla FDR Parkway lasuperstrada che correva lungo l’EastRiver.

«Quale faccenda dell‘“ehi”?»rispose lui tagliando la strada a un Suvil cui guidatore, un tizio elegante con ilcellulare in mano, fece un gestaccioattraverso i finestrini oscurati.

«La faccenda dell‘“ehi” che fatesempre voi maschi. Tipo quando hai

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visto Jace e Alec, tu hai detto “ehi” eloro hanno risposto “ehi”. Cosa c’è chenon va nel “ehi”?»

A Clary parve di vedere un muscoloche guizzava nella guancia di Simon.«”Ehi” è da ragazze» la informò lui. «Iveri uomini sono secchi. La-conici.»

«Per cui più sei uomo e meno dici?»«Già.» annuì Simon. Clary vedeva la

nebbia che si abbassava sull’East River,avvolgendo il fronte del porto in unafoschia grigia che aveva qualcosa disolido. L’acqua era come acciaiosbattuto dal vento fino ad assumere laconsistenza della panna montata. «È perquesto che quando i tipi più strafighi siincontrano nei film non dicono niente,

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fanno solo un cenno con la testa che vuoldire: “Io sono uno strafigo e riconoscoche anche tu sei uno strafigo”. Ma nondicono niente perché sono Wolverine eMagneto, e dare spiegazioni glirovinerebbe il personaggio.»

«Non ho la minima idea di quelloche stai dicendo» era una voce dadietro. Era Jace.

«Bene» disse Clary, e furicompensata dal più piccolo sorrisoche Simon potesse fare mentre svoltavaa sinistra sul Manhattan Bridge, versoBrooklyn. Verso casa.

Quando raggiunsero la casa di Claryaveva finalmente smesso di piovere. Iraggi del sole stavano dissolvendo

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quanto restava della foschia e lepozzanghere si stavano asciugando suimarciapiedi. Jace, Alec e Isabelledissero a Simon e Clary di aspettareaccanto al furgone mentre loro andavanoa controllare, come disse Jace, i “livellidi attività demoniaca”.

Simon guardò i tre Shadowhuntersincamminarsi lungo il vialettofiancheggiato da piante di rose. «Livellidi attività demoniaca? Hanno unostrumento che misura se i demoni nellacasa stanno facendo ginnastica ae-robica?»

«No» disse Clary abbassando ilcappuccio fradicio per godersi lasensazione del sole sui capelli. «Il

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sensore dice quanto sono potenti idemoni…

se ce ne sono.»Simon parve colpito. «Decisamente

utile.»Clary si voltò verso di lui. «Simon,

a proposito di ieri sera…»Lui sollevò una mano. «Non siamo

costretti a parlarne. Anzi, preferirei nonfarlo.»

«Lasciami dire solo una cosa.»Clary parlò sottovoce. «Lo so chequando hai detto che eri innamorato dime, quello che ho risposto non è quelloche avresti voluto sentire.»

«Vero. Ho sempre sperato chequando alla fine avessi detto “ti amo” a

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una ragazza lei avrebbe risposto “lo so”,come Leila ad Han nel Ritorno delloJedi. »

«Ma è troppo una cosa da sfigato!»esclamò Clary, incapace di trattener-si.

Lui le lanciò un’occhiataccia.«Scusa» disse lei. «Guarda, Simon,

io…»«No» disse lui. «Guarda tu, Clary.

Guardami e prova a vedermi perdavvero. Riesci a farlo?»

Lei lo guardò. Guardò i suoi occhiscuri, con venature più chiare alleestremità dell’iride, guardò lesopracciglia leggermente irregolari, lelunghe ciglia, i capelli scuri e il sorrisoesitante e le mani aggraziate da

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musicista.Tutto questo faceva parte di Simon, e

Simon faceva parte di lei. Se avessedetto la verità, avrebbe detto davvero dinon avere mai saputo che era innamoratodi lei? O solo di non sapere comeavrebbe reagito a questa cosa?

Sospirò. «Vedere al di là degliincantesimi è facile. Sono le persone chesono difficili.»

«Tutti vediamo quello che vogliamovedere» disse lui tranquillamente.

«Jace no» disse Clary suo malgrado,pensando ai suoi occhi chiari e im-passibili.

«Lui più di chiunque altro.»Clary corrugò la fronte. «Tu cosa

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ne…»«Tutto a posto» li interruppe la voce

di Jace. Clary si voltò di scatto.«Abbiamo controllato ogni angolo

della casa… niente. Attività bassa.Probabilmente solo Dimenticati, chepotrebbero anche non darci fastidio senon saliamo al piano di sopra.»

«E se dovessero farlo» disseIsabelle con un sorriso sfavillantequanto la sua frusta «saremo pronti ariceverli.»

Alec tirò fuori dal retro del furgonela pesante borsa di tela e la lasciòcadere sul marciapiede. «Pronti»annunciò. «Andiamo a spaccare lafaccia a qualche demone!»

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Jace lo guardò con un’espressionestrana. «Tutto a posto?»

«Sì.» Alec stava trafficando conl’apertura del bracciale, che si era slac-ciato.

Jace fece per aiutarlo. «Aspetta, tiaiuto io…»

Alec si scostò di colpo come sel’amico lo avesse punto con qualcosa.

«Faccio da solo.»Sul volto di Jace passò

un’espressione di ferita sorpresa. Clarysi sentì salire in gola un senso di colpaacido come bile.

Jace non disse un’altra parolamentre si allacciava le armi, facendosiscivolare diverse spade angeliche nelle

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polsiere. Alec, senza guardarlo, misegiù l’arco e le frecce per sostituirle conuna picca di legno lucido con due lamescintillanti che scattarono all’infuori aun lieve tocco delle sue dita.

«Questa andrà meglio.»Isabelle guardò preoccupata suo

fratello. «Ma l’arco…»Alec la interruppe. «So quello che

faccio, Isabelle.»L’arco restò abbandonato sul sedile

posteriore, scintillando alla luce delsole. Simon disse: «Un arco del generedeve costare parecchio.» Ritrasse lamano mentre delle giovani donne ridentipassarono lì accanto dirette verso ilparco con dei passeggini. Non si

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accorsero della presenza dei treadolescenti armati fino ai dentiaccucciati accanto al furgone giallo.

«Com’è che io vi posso vedere?»chiese Simon. «Cosa è successo alvostro incantesimo di invisibilità?»

«Tu ci puoi vedere» spiegò Jace«perché ora conosci la verità di ciò chestai guardando.»

«Già» disse Simon. «Mi sa che èproprio così.»

Protestò un po’ quando gli dissero direstare nel furgone, ma Jace gli spiegòl’importanza di avere un veicolo prontoper la fuga. «La luce del so-le è fataleper i demoni, ma non fa niente aiDimenticati. E se ci inseguis-sero? E sei

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ci rimuovessero il furgone?»L’ultima cosa di Simon che Clary

vide mentre si voltava per salutarlo dalportico furono le sue lunghe gambeappoggiate al cruscotto mentre passavain rassegna la collezione di cd di Eric.Clary tirò un sospiro di sollievo.

Almeno Simon era al sicuro.L’odore la colpì dal momento in cui

attraversarono la porta d’ingresso.Era un odore quasi indescrivibile,

come di uova marce e carne andata amale e alghe che imputridiscono su unaspiaggia calda. Isabelle arricciò il nasoe Alec divenne verde. Jace invecesembrava stesse inalando un profumodelizioso. «I demoni sono stati qui»

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annunciò con gelido piacere. «Eanche di recente.»Clary lo guardò ansiosa. «Ma non

sono più…»«No.» Scosse il capo. «Li avremmo

rilevati. Ma…» mosse di scatto il mentoverso la porta di Dorothea, dalla qualenon filtrava nemmeno un filo di luce.«Lei potrebbe dover rispondere aqualche domanda se il Conclave venissea sapere che riceve dei demoni.»

«Credo che il Conclave non saràmolto contento di tutta questa faccenda»disse Isabelle. «E magari, alla fine, leine uscirà meglio di noi.»

«Se riusciremo a mettere le manisulla Coppa non avranno niente da ri-

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dire.» Alec si stava guardando in giro,gli occhi azzurri che esaminavanol’ingresso, la scala curva che portava alpiano di sopra, le macchie sulle pareti.«Soprattutto se già che ci siamomassacriamo un po’ di Dimenticati.»

Jace scosse il capo. «Sono al pianodi sopra. Credo che se non entriamonell’appartamento di Clary non cidaranno fastidio.»

Isabelle si soffiò via dalla faccia unaciocca di capelli e fece una smorfia aClary. «Cosa stai aspettando?»

Clary guardò senza volerlo Jace, chele rivolse un sorriso di traverso.

Vai, dicevano i suoi occhi.La ragazza attraversò l’ingresso e si

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avvicinò cauta alla porta di Dorothea.Con il lucernario oscurato dalla polveree la lampadina dell’ingresso ancorabruciata, l’unica fonte di illuminazioneera la stregaluce di Jace.

L’aria era calda e stantia e le ombresembravano sollevarsi davanti a leicome piante che per magia crescessero avelocità supersonica in una foresta daincubo. Allungò una mano per bussarealla porta, prima piano e poi con piùforza.

La porta si aprì riversando un’ondadi luce dorata nell’ingresso. Dorotheaera lì, massiccia, familiare e imponente,nei suoi drappeggi verdi e arancioni.Quel giorno portava un turbante giallo

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fosforescente ornato da un canarinoimpagliato e un nastrino con un disegnoa zigzag. Due orecchini pendentiondeggiavano sotto la sua chioma rossa,e i suoi grandi piedi erano nudi. Claryne fu stupita: prima d’allora non avevamai visto Dorothea a piedi nudi, senza lesue pantofole di stoffa stinta.

Aveva le unghie dei piedi dipinte diun rosa pallido e molto elegante.

«Clary!» esclamò travolgendo laragazza con un abbraccio. Per un istantelei cercò di opporre resistenza, avvoltain un mare di profumo, velluto e frange.Quando alla fine si liberò, sentì dellerisatine alle sue spalle. Sperò cheDorothea non li avesse sentiti: non

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voleva ferire i suoi sentimenti.«Santo cielo» disse la strega

scuotendo il capo finché i suoi orecchininon suonarono come campane tibetanedurante un temporale. «L’ultima voltache ti ho visto stavi scomparendo nelmio Portale. Dove sei finita?»

«Williamsburg» disse lei mentreriprendeva fiato.

Le sopracciglia di Dorotheaschizzarono verso l’alto. «E poi diconoche a Brooklyn i trasporti pubblici nonsono efficienti.» Spalancò la porta efece cenno ai ragazzi di entrare.

L’appartamento non sembravacambiato dall’ultima volta che Claryl’aveva visto: c’erano gli stessi tarocchi

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e la stessa sfera di cristallo sul tavolo.Le dita della ragazza avrebbero

voluto correre ad afferrare le carte pervedere cosa fosse nascosto dietro laloro superficie dipinta.

Dorothea affondò tutta felice in unapoltrona e puntò sui Cacciatori unosguardo luccicante quanto quello delcanarino impagliato che aveva sulcappello. Delle candele profumatebruciavano sopra dei piatti all’altraestremità del tavolo, il che non servivamolto a coprire l’odore sgradevole chepervadeva ogni centimetro della casa.«Immagino che non abbiate ancoratrovato tua madre» disse a Clary.

Clary scosse il capo. «No. Ma so chi

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l’ha rapita.»Gli occhi di Dorothea passarono da

Clary ad Alec e Isabelle, che stavanoesaminando la Mano del Fato allaparete. Jace era appoggiatotranquillamente al bracciolo di unapoltrona, tutto compreso nel suo ruolo diguardia del corpo. Dopo essersiassicurata che nessuno dei suoi benifosse sul punto di essere distrutto,Dorothea tornò a guardare Clary. «Èstato…?»

«Valentine» le confermò la ragazza.«Sì.»

Dorothea sospirò. «Lo temevo.» Siappoggiò meglio ai cuscini dellapoltrona. «Sai cosa vuole da lei?»

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«So che sono stati sposati…»La strega emise una specie di

grugnito. «Un amore sbagliato. Ilpeggiore.»

Jace si produsse in un piccolorumore quasi impercettibile, unarisatina.

Le orecchie di Dorothea sidrizzarono come quelle di un gatto.«Cosa c’è di così divertente, ragazzo?»

«E tu cosa ne sai?» chiese lui. «Dell’amore, dico.»

Dorothea incrociò le morbide manibianche davanti a sé. «Più di quanto tupensi» rispose. «Non ti avevo letto lefoglie del tè, Cacciatore? Ti sei giàinnamorato della persona sbagliata?»

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Jace disse: «Purtroppo, Signora delRifugio, il mio unico vero amore restoio stesso.»

Dorothea scoppiò in una risata:«Almeno non ti devi preoccupare diessere respinto, Jace Wayland.»

«Non necessariamente. A volte midico di no, tanto per non farmi perdereinteresse.»

Dorothea rise di nuovorumorosamente. Clary la interruppe.«Probabilmente si sta chiedendo perchésiamo qui, Madame Dorothea.»

Dorothea cedette e si massaggiò gliocchi con le mani. «Ti prego» disse

«di chiamarmi con il titolo che mispetta. Puoi chiamarmi Signora. E

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pensavo che foste venuti per il piaceredella mia compagnia» aggiunse. «Misbagliavo?»

«Non ho tempo per il piacere dellacompagnia di nessuno. Devo aiutare miamadre, e per farlo mi serve qualcosa.»

«E sarebbe?»«È una cosa chiamata Coppa

Mortale» disse Clary. «Valentinepensava che l’avesse mia madre. È perquesto che l’ha rapita.»

Dorothea parve sinceramentesbalordita. «La Coppa dell’Angelo?»disse con la voce venata di incredulità.«La Coppa di Raziel, in cui l’Angelomescolò il sangue degli angeli e quellodei demoni e diede questo composto da

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bere a un uomo e creò il primoCacciatore?»

«Proprio lei» disse Jace con un tonoun po’ aspro.

«E perché diavolo dovrebbeavercela lei?» chiese Dorothea.«Proprio Jocelyn?» Il suo volto siilluminò prima che Clary potesseparlare. «Perché non era affatto JocelynFray, naturalmente» disse. «Era JocelynFairchild, sua moglie, che tutticredevano morta. Aveva preso la Coppaed era fuggita, non è così?» Qualcosalampeggiò nello sguardo dellachiromante, ma poi abbassò le palpebretanto velocemente che Clary pensò cheforse l’aveva solo immaginato. «Così»

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proseguì Dorothea «adesso sapete cosafare?

Ovunque l’abbia nascosta, non saràfacile trovarla… se pure volete trovarla.

Valentine potrebbe fare delle coseterribili se mettesse le mani sullaCoppa.»

«Voglio che sia ritrovata» disseClary. «Noi vogliamo…»

Jace la interruppe. «Noi sappiamodov’è» disse. «Adesso si tratta solo direcuperarla.»

Dorothea spalancò gli occhi. «Be’, edove sarebbe?»

«Qui» disse Jace in un tono tantocompiaciuto che Isabelle e Alec si di-strassero dalla loro perlustrazione della

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libreria per vedere cosa succedeva.«Qui? Vuoi dire che l’avete con

voi?»«Non proprio, cara signora» fece

Jace. Clary vide che si stava godendoquella situazione in modo davverosconcertante. «Voglio dire che ce l’halei.»

La bocca di Dorothea si richiuse dicolpo. «Non è divertente» disse con untono tanto secco che Clary temette chetutto potesse andare nel peggiore deimodi. Perché Jace doveva sempresfidare tutti quanti?

«Ce l’ha davvero lei» intervennesubito la ragazza. «Ma non…»

Dorothea si alzò dalla poltrona in

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tutta la sua spettacolare altezza e liguardò dall’alto in basso. «Vi sbagliate»disse gelida. «Sia a immaginare che ioabbia la Coppa sia a osare venire qui adarmi della bugiarda.»

La mano di Alec corse alla suapicca. «Oh, cavoli» sussurrò.

Clary scosse il capo sconcertata.«No» disse velocemente. «Non le stodando della bugiarda, glielo assicuro.Sto dicendo che la Coppa è qui, ma leinon lo ha mai saputo.»

Madame Dorothea la fissò. I suoiocchi, seminascosti tra le pieghe del suovolto, erano duri come biglie.«Spiegati.»

«Sto dicendo che mia madre l’ha

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nascosta qui» disse Clary. «Anni fa. Alei non l’ha mai detto perché non volevacoinvolgerla.»

«Così gliel’ha data travestita daregalo» spiegò Jace.

Dorothea lo guardò senza capire.Non ricorda? , si chiese Clary. «Il

mazzo dei tarocchi» disse. «Le carte cheha dipinto per lei.»

Lo sguardo della strega si spostòsulle carte, posate sul loro contenitore diseta, sopra il tavolo. «Le carte?» Mentrei suoi occhi si facevano più grandi,Clary si avvicinò al tavolo e raccolse ilmazzo. Le carte erano fresche al tatto,quasi scivolose. Ora, a differenzadell’altra volta, attraverso la punta delle

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dita sentiva pulsare il potere delle runedipinte sul dorso delle carte. Trovòl’Asso di Coppe senza guardare ilmazzo e lo tirò fuori, rimettendo le altrecarte sul tavolo.

«Eccola» disse.Tutti la stavano fissando in attesa,

perfettamente immobili. Girò lentamentela carta e guardò di nuovo l’opera di suamadre: la snella mano dipinta con le ditaavvolte attorno al gambo dorato dellaCoppa Mortale.

«Jace» disse. «Dammi il tuo stilo.»Lui glielo mise in mano, caldo e

pulsante. Clary voltò la carta e ripassòle rune disegnate sul dorso aggiungendouna curva qui e una linea là finché non

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ebbero assunto un senso totalmentediverso. Quando voltò di nuovo la cartal’immagine era leggermente differente:le dita avevano allentato la presa sulgambo della coppa e la mano sembravaquasi porgerle la Coppa, come sedicesse: Forza, prendila.

Benché il rettangolo dipinto nonfosse più grande della sua mano, Clarysi trovò a sporgersi dentro di esso comese fosse stato un grande spazio vuoto. Lasua mano si strinse attorno alla basedella Coppa, le sue dita si chiusero su diessa, e mentre ritraeva la mano con laCoppa saldamente in suo possesso, lesembrò di avere sentito un piccolissimosospiro prima che la carta, ora vuota e

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bianca, si trasformasse in cenere che levolò via tra le dita per spargersi sullamoquette.

capitolo 19

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IL DEMONE DEGLIABISSI

Clary non sapeva bene cosa siaspettava… esclamazioni di tripudio,magari una salva di applausi. E invecevi fu il silenzio, spezzato solo quandoJace disse: «Però, pensavo fosse piùgrande.»

Clary guardò la Coppa che aveva inmano. Era grande come un qualsiasibicchiere da vino, solo molto piùpesante. Pulsava di potere, come ilsangue nelle vene di un essere vivente.«Va benissimo così» disse indignata.

«Oh, sì, è grande abbastanza» disselui con un tono paternalistico «ma inqualche modo mi aspettavo qualcosa…

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sai…» Fece un gesto con le mani aindicare più o meno le dimensioni di ungatto.

«È la Coppa Mortale, Jace, non laTazza del Cesso Mortale» disseIsabelle. «Abbiamo finito qui? Possiamoandare?»

Dorothea aveva la testa piegata daun lato. I suoi occhi erano luccicanti eattenti. «Ma è rotta!» esclamò. «Come èsuccesso?»

«Rotta?» Clary guardò la Coppasconcertata. A lei sembrava a posto.

«Dammela» disse la strega. «Tifaccio vedere» e fece un passo versoClary tendendo le lunghe mani dalleunghie rosse verso la Coppa. Clary,

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senza sapere il perché, si ritrasse.All’improvviso Jace si mise tra loro, lamano accanto alla spada che teneva allacintura.

«Senza offesa» disse tranquillamente«ma nessuno tocca la Coppa Mortale aparte noi.»

Dorothea lo guardò per un istantecon una strana assenza di espressione.

«Cerchiamo di non farci prenderedalla fretta» disse. «Valentine nonsarebbe contento se dovesse accaderequalcosa alla Coppa.»

«Valentine?» Fu Alec a parlare,allarmato. «Ma…»

Con un lieve snick la spada di Jacelasciò il proprio fodero. La sua punta si

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parcheggiò appena sotto il mento diDorothea. Lo sguardo di Jace eratranquillo. «Non so cosa stiasuccedendo» disse. «Ma noi ce neandiamo.»

Gli occhi della vecchiascintillarono. «Ma certo, mio piccoloCacciatore» disse arretrando verso laparete coperta dalla tenda. «Vuoi usareil Portale?»

La punta della spada tentennò mentreJace la guardava confuso. Poi Claryvide la sua mascella irrigidirsi. «Non lotocchi…»

Dorothea ridacchiò. «Benissimo»disse per niente preoccupata, e con lavelocità di un lampo strappò via le tende

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appese al muro, che caddero con unmorbido fruscio. Il Portale dietro di esseera aperto.

Clary sentì Alec restare senza fiatoalle sue spalle. «E quello cos’è?» Laragazza colse solo uno scorcio di ciòche si vedeva attraverso la Porta: nuvolerosse e turbinanti, attraversate da lampineri, una forma scura e terrificante cheavanzava a grande velocità verso diloro. Jace urlò all’improvviso dibuttarsi a terra, si gettò sul pavimento etrascinò Clary con sé. Stesa sullamoquette a pancia in giù, la ragazzasollevò la testa e vide quella cosa scuracolpire Madame Dorothea, che urlò ealzò le braccia di scatto. Anziché

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abbatterla, la cosa nera la avvolse comeun sudario mentre la sua oscurità lapervadeva e la imbeveva comeinchiostro che si spande su un foglio dicarta. La schiena di Dorothea si ingobbìmostruosamente e tutto il suo profilo siallungò mentre saliva sempre più in altoe la sua grande massa si stirava e sideformava. Un tintinnio acuto di oggettiche colpivano il pavimento indusseClary a guardare in basso: erano ibraccialetti di Dorothea, contorti espezzati. Sparse tra i gioielli c’eranoquelle che sembravano piccole pietrebianche. Clary impiegò un momento perrendersi conto che erano denti.

Accanto a lei Jace sussurrò

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qualcosa. Le sembrò un’esclamazione diincredulità. Alec, lì vicino, disse conuna voce strozzata: «Ma avevi detto chenon c’era molta attività demoniaca…avevi detto che i livelli erano bassi!»

« Erano bassi» sibilò Jace.«La tua idea di basso è molto

diversa dalla mia, allora!» urlò Alec,mentre la cosa che era stata Dorotheaululava e si contorceva. Sembrava sistesse espandendo, piena di gobbe ebitorzoli e grottescamente deformata.

Clary distolse lo sguardo, mentreJace si alzava e se la trascinava dietro.

Isabelle e Alec si misero in piedibarcollando e afferrandosi alle loroarmi.

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La mano di Isabelle che teneva lafrusta tremava leggermente.

«Muoviti!» Jace spinse Clary versola porta dell’appartamento. Quandoprovò a guardarsi alle spalle, Clary videsolo un grigiore denso e vortican-te,come di nuvole temporalesche, con unaforma scura al centro…

Schizzarono fuori nell’ingresso,Isabelle in testa. La ragazza corse versola porta, provò ad aprirla e si voltò conun’espressione sconvolta. «È bloccata.»

Jace imprecò e rovistò nella giacca.«Dove diavolo è il mio stilo?»

«Ce l’ho io» disse Clary mentreglielo porgeva. Jace fece per prenderloquando un rumore come di tuono esplose

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nella stanza. Il pavimento si sollevòsotto i loro piedi. Clary barcollò e stavaper cadere, ma riuscì ad ag-grapparsialla balaustra. Quando sollevò losguardo vide, nella parete che separaval’ingresso dall’appartamento diDorothea, un buco dai bordi fra-stagliaticontornato da macerie di legno eplastica. E attraverso il buco stavastrisciando… quasi colando… qualcosa.

«Alec!» urlò Jace. Alec era di fronteal buco, con il volto bianco eun’espressione di puro orrore. Jaceimprecò e corse a prenderlo per poitrasci-narlo indietro proprio mentre lacosa colante si liberava dal muro eraggiungeva l’ingresso.

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Clary dimenticò di respirare. Lacarne della creatura era livida, simile alcolore delle escoriazioni. Dalla suapelle sgocciolante fuoriuscivano delleossa… non ossa bianche e vive, ma ossache sembravano essere state sotto terramille anni, nere e crepate e luride. Lesue dita erano ridotte al loro scheletro,le braccia scarne punteggiate davesciche nere suppuranti attraverso lequali si vedevano altre ossa gialle. Ilvolto era un teschio, il naso e gli occhidelle cavità. Le dita artigliatestrisciavano sul pavimento. Attorno aipolsi e alle spalle erano avviluppatipezzi di stoffa colorata: era tutto ciò cherestava delle sciarpe di seta e del

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turbante di Madame Dorothea. Il mostroera alto quasi tre metri.

Guardò i quattro adolescenti con lesue orbite vuote. « Datemi la CoppaMortale» disse con una voce chericordava la spazzatura soffiata dalvento lungo una strada deserta. «Datemela e vi lascerò vivere. »

Clary, in preda al panico, guardò isuoi compagni. Isabelle daval’impressione che la vista di quella cosal’avesse colpita come un pugno allostomaco. Alec era immobile. Fu Jace,come sempre, a parlare. «Che cosasei?» chiese con voce ferma, anche seClary non l’aveva mai visto così turbato.

La cosa inclinò il capo. « Io sono

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Abbadon. Io sono il Demone degli A-bissi. Miei sono gli spazi deserti tra imondi. Mio è il vento e l’ululante te-nebra. Io sono differente da quelle cosemiagolanti che voi chiamate demoniquanto un’aquila è diversa da unamosca. Non potete sperare disconfiggermi. Datemi la Coppa omorirete. »

La frusta di Isabelle tremò. «È unDemone Superiore» disse rivolgendosiai ragazzi. «Jace, se noi…»

«E Dorothea?» La voce di Clary leuscì tremula dalla bocca prima chepotesse impedirsi di parlare. «Cosa le èsuccesso?»

Gli occhi vuoti del demone si

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voltarono per guardarla. « Lei era soloun vettore» disse. « Ha aperto ilPortale e io ho preso possesso di lei.La sua morte è stata veloce. » Il suosguardo passò alla Coppa che Claryaveva in mano. « La vostra non lo sarà.»

Iniziò a muoversi verso di lei. Jacegli bloccò la strada con la spadaluminosa in una mano e quella angelicanell’altra. Alec lo guardò conun’espressione sconvolta dall’orrore.

«Per l’Angelo» disse Jaceguardando il demone da capo a piedi.«Sapevo che i Demoni Superiori eranobrutti, ma nessuno mi aveva mai parlatodella puzza.»

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Abbadon aprì la bocca e sibilò.Dentro la sua bocca c’erano due file didenti irregolari e affilati come cocci divetro. « Tu osi… »

«Ma in realtà» proseguì Jace «nonposso dare a te la colpa del tuo aspetto.La colpa è di tua madre, del troll e delbarista…»

Il demone gli balzò addosso. Jacefece scattare le sue lame in fuori e versol’alto a una velocità spaventosa.Affondarono entrambe nella parte piùcarnosa del demone, il suo addome. Ilmostro ululò e colpì il ragazzo, get-tandolo da parte come un gatto potrebbefare con un topo. Jace rotolò su unfianco e si rimise in piedi, ma Clary

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vide dal modo in cui si teneva il braccioche si era fatto male. Il suo volto erabianco.

Poi Isabelle ne ebbe abbastanza.Sfrecciò in avanti e attaccò il demonecon un colpo di frusta. Colpì la sua pellegrigia e vi disegnò una scudiscia-tarossa da cui sgorgava sangue. Abbadonla ignorò e si mosse verso Jace.

Lo aveva fatto infuriare e ora ildemone era deciso a ucciderlo.

Con la sua mano ferita, Jace estrasseuna seconda spada angelica. Sussurròqualcosa alla spada e questa si feceluminosa. La sollevò mentre il demonegli si piazzava davanti: Jace sembravaun bambino incredibilmente piccolo

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davanti al mostro. E sorrideva, anchequando il demone cercò di afferrarlo eIsabelle con un urlo lo colpì di nuovocon la frusta, schizzando unasventagliata di sangue sul pavimento…

Il demone attaccò e la sua manosimile a un rasoio si abbatté su Jace. Ilragazzo barcollò all’indietro, ma restòilleso. Qualcosa si era lanciato tra lui eil demone, un’ombra nera e snella conuna spada luminosa in mano.

Alec. Il demone urlò… la picca diAlec gli aveva trapassato la pelle. Conun ringhio colpì di nuovo e i suoi artiglid’osso inflissero ad Alec un colpoterribile che lo sollevò per aria e loscagliò contro la parete opposta. Il

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ragazzo colpì il muro con un orribilescricchiolio e scivolò a terra come sefosse stato disossato.

Isabelle urlò il nome del fratello. Luinon si mosse. La ragazza abbassò lafrusta e iniziò a correre verso di lui. Ildemone si voltò e le tirò un colpo che lagettò a terra. Isabelle cercò di rimettersiin piedi, sputando sangue.

Abbadon la atterrò di nuovo, equesta volta la giovane Cacciatrice restòimmobile.

Il demone iniziò ad avanzare versoClary.

Jace era immobile. Fissava il corpoaccartocciato di Alec come se fossestato prigioniero di un incubo. Clary

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urlò quando Abbadon le si avvicinò.Iniziò ad arretrare su per le scale,

inciampando nei gradini sconnessi. Lostilo le bruciava contro la pelle. Se soloavesse avuto un’arma… qualsiasicosa…

Isabelle era riuscita a mettersi asedere. Si gettò i capelli insanguinatiall’indietro e urlò qualcosa a Jace.Clary sentì Isabelle che gridava il suonome e vide Jace sbattere gli occhicome se fosse stato svegliato da unoschiaffo, voltarsi verso di lei e iniziare acorrere. Il demone ora era tanto vicinoche Clary poteva vedere le vescichenere sulla sua pelle, vedere che c’eranodelle cose che strisciavano al loro

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interno. Il mostro allungò gli artigliverso di lei…

Ma Jace la raggiunse in quelmomento e colpì la mano di Abbadon.Poi lanciò contro il mostro la spadaangelica, che gli si piantò nel petto,accanto alle altre due. Il demone ringhiòcome se quelle lame fossero un semplicefastidio. « Cacciatore» sibilò. «Pioverò piacere a ucciderti, a sentirescricchiolare le tue ossa come hannofatto quelle del tuo amico… »

Jace saltò la balaustra e si lanciòcontro Abbadon. La forza del salto gettòil demone all’indietro: il mostrobarcollò, con Jace aggrappato allaschiena. Il ragazzo strappò una spada

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angelica dal petto del demone facendozampillare liquidi organici e poi infilòpiù e più volte la lama nella schiena delmostro, le cui spalle si coprirono difluido nero…

Abbadon ringhiò e indietreggiòverso il muro. Jace dovette saltare giùper non essere schiacciato, riuscendo adatterrare con una certa leggerezza e asollevare di nuovo la lama… maAbbadon era troppo veloce per lui: lasua mano compì un arco e sbatté Jacecontro le scale. Il ragazzo cadde a terra,un cerchio di artigli attorno alla gola.

« BASTA!» urlò il demone.Isabelle, vedendo il pericolo, si

bloccò. Quegli artigli erano lunghi più

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di venti centimetri e affilati comecoltelli. « Di’ loro di darmi la Coppa»sibilò il demone con gli artigli apochissima distanza dalla gola di Jace. «Di’ loro di darmela e io li lasceròvivere. ..»

Jace deglutì. «Clary…»Ma Clary non seppe mai cosa

avrebbe fatto, perché in quell’istante sispalancò la porta d’ingresso. Per unistante tutto ciò che vide fu la luce.

Poi, strizzando gli occhi peroscurare i riflessi del sole, vide Simonin piedi sulla porta aperta. Simon.Aveva dimenticato che era là fuori,aveva quasi dimenticato che esistesse.

Lui la vide accucciata sulle scale e

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il suo sguardo si spostò da lei adAbbadon e a Jace. Portò una manodietro le spalle. Clary si accorse cheSimon impugnava l’arco di Alec e avevala faretra a tracolla sulla schiena. Ilragazzo tirò fuori una freccia, laappoggiò alla corda e sollevò l’arco conun’aria esperta, come se l’avesse giàfatto centinaia di volte prima d’allora.

La freccia partì. Produsse un ronziobasso, come quello di un enorme ca-labrone, mentre passava alta sopra latesta di Abbadon, proseguiva verso ilsoffitto e…

E rompeva il vetro del lucernario.Vetri neri caddero come pioggia eattraverso il pannello rotto si riversò

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un’ondata di luce solare, grandi striscedorate che allagarono l’ingresso.

Abbadon urlò e indietreggiòbarcollando e proteggendosi la testadeforme con le mani. Jace si portò unamano alla gola, fissando incredulo ildemone che cadeva a terra ululando.Clary si aspettava quasi di vederloprendere fuoco, mentre invece iniziò aripiegarsi su se stesso, come aveva fattoil demone Du’sien quando era morto. Lesue gambe si contrassero verso il torso,il cranio si piegò come carta in fiamme enel giro di un minuto il demone erascomparso completamente, lasciandosidietro solo qualche piastrellabruciacchiata.

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Simon abbassò l’arco. Stavasbattendo le palpebre dietro gli occhiali,la bocca socchiusa. Sembravasbalordito quanto Clary.

Jace era steso sulla scale nel puntoin cui l’aveva lanciato il demone.

Stava cercando di mettersi a sedere,quando Clary scivolò in giù di qualchegradino e cadde in ginocchio accanto alui. «Jace…»

«Sto bene.» Si alzò a sedereasciugandosi via del sangue dalla bocca.

Con suo grande sollievo, Clary videche i tagli alla gola sanguinavano moltoma erano poco profondi.

Jace tossì e sputò rosso. «Alec…»«Il tuo stilo» lo interruppe lei mentre

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glielo porgeva. «Prendilo e sistemati.»Lui la guardò. La luce del sole che si

riversava dal lucernario distrutto lecolpiva il volto. Jace sembrò sforzarsimolto per impedirsi di dirle qualcosa.«Sto bene» ripeté poi spingendola daparte non troppo delicatamente.

Si alzò in piedi, barcollò e fu lì lìper cadere… la prima cosa un po’ goffache gli avesse mai visto fare. «Alec!»

Clary infilò lo stilo in tasca e sialzò. Isabelle aveva strisciato fin dovesi trovava suo fratello. Gli teneva latesta in grembo e gli accarezzava icapelli. Il petto di Alec si alzava eabbassava… lentamente, ma respirava.Simon, appoggiato alla parete a

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guardarli, sembrava totalmenteprosciugato.

Clary gli prese una mano mentre glipassava davanti. «Grazie» sussurrò.

«È stato incredibile.»«Non ringraziare me» disse lui.

«Ringrazia il corso di tiro con l’arcodella colonia estiva.»

«Simon, io non…»«Clary!» Era Jace che la chiamava.

«Portami il mio stilo.»Simon la lasciò andare con

riluttanza. Clary si inginocchiò accantoai Cacciatori, la Coppa Mortale che lebatteva pesante contro il fianco. Il voltodi Alec era bianco e tempestato digoccioline di sangue. Strinse il polso di

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Jace, lasciandovi delle macchie disangue. «L’ho…» iniziò a dire, poiparve vedere Clary per la prima volta.Nel suo sguardo c’era qualcosa che leinon si aspettava: un senso di trionfo.«L’ho ucciso?»

Jace fece una smorfia riluttante.«Tu…»

«Sì» disse Clary. «È morto.»Alec la guardò e scoppiò a ridere. Il

sangue gli gorgogliò in bocca. Jace siliberò il polso e con le dita toccò i iatidel volto di Alec. «No. Stai fermo»disse. «Non muoverti.»

Alec chiuse gli occhi. «Fai quelloche devi» sussurrò.

Isabelle porse il suo stilo a Jace.

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«Tieni.»Lui annuì e avvicinò la punta dello

stilo alla maglietta di Alec. La stoffa siseparò come se l’avesse tagliata con uncoltello. Isabelle lo guardò irre-quietamentre apriva la maglietta, scoprendo ilpetto nudo di Alec. La sua pelle erabianchissima, segnata qua e là davecchie cicatrici traslucide. C’eranoanche altre ferite, comprese dellemezzelune più scure, segni di artigli,rosse e suppuranti. Jace, la mandibolarigida, avvicinò lo stilo alla pelle diAlec, muovendolo avanti e indietro conla scioltezza data da una lunga pratica.Ma c’era qualcosa che non andava. Ognivolta che disegnava un marchio

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guaritore, questo scompariva subitocome se fosse stato tracciato sull’acqua.

Jace gettò da parte lo stilo.«Maledizione…»

Isabelle sembrava sull’orlo di unacrisi isterica. «Cosa c’è?»

«Lo ha morso» disse Jace. «Ha delveleno di demone in circolo. I marchinon funzionano.» Toccò di nuovo il voltodi Alec, delicatamente. «Alec»

disse. «Riesci a sentirmi?»Alec non si mosse. Le ombre sotto i

suoi occhi erano blu come lividi. Se nonfosse stato perché lo vedeva respirare,Clary avrebbe pensato che era giàmorto.

Isabelle chinò il capo, i capelli che

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ricadevano davanti al suo volto e aquello di Alec. Lo abbracciò. Era laprima volta che Clary si sentivadispiaciuta per lei. «Forse» sussurrò«potremmo…»

«Portarlo all’ospedale» disseSimon, in piedi sopra di loro con l’arcoancora in mano. «Vi aiuto a trasportarlofino al furgone. Sulla 7th Avenue c’èl’ospedale metodista…»

«Niente ospedali» disse Isabelle.«Dobbiamo portarlo all’Istituto.»

«Ma…»«In ospedale non saprebbero come

curarlo» disse Jace. «È stato morso daun Demone Superiore. Nessun dottoremondano saprebbe guarire quelle

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ferite.»«È già successo» disse Isabelle.Simon annuì. «Va bene. Portiamolo

al furgone.»Furono fortunati: il furgone era

ancora lì. Isabelle stese sul sedileposteriore una coperta sporca presa dalbaule e vi fecero sdraiare sopra Alec, latesta nel grembo della sorella. Jace siaccucciò sul fondo dell’auto accantoall’amico. La sua maglietta era scuritadal sangue lungo le maniche e sul petto,sangue demoniaco e sangue umano.Quando Jace guardò Simon, Clary videche tutto l’oro sembrava essere statorubato dai suoi occhi e sostituito daqualcosa che non vi aveva mai visto

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prima: il panico.«Vai veloce, mondano» disse.

«Corri come se avessi l’Inferno allecalcagna.»

Simon partì.Schizzarono giù per Flatbush e

salirono a razzo sul ponte, tenendo ilpasso della linea Q della metropolitanache ruggiva sopra l’acqua blu. Il so-leabbagliava gli occhi di Clary,sollevando scintille roventi dal fiume.La ragazza si attaccò al sedile quandoSimon affrontò la rampa di discesa delponte a ottanta chilometri all’ora.

Clary pensò alle cose orribili cheaveva detto ad Alec, al modo in cui luisi era lanciato contro Abbadon, allo

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sguardo di trionfo sul suo volto.Quando voltò la testa, vide Jace

inginocchiato accanto al suo amicomentre il sangue colava attraverso lacoperta. Clary pensò al bambino con ilsuo falco morto. Amare vuol diredistruggere. Jace sarebbe morto seavesse saputo perché Alec aveva fattociò che aveva fatto.

Clary tornò a voltarsi. Aveva ungroppo alla gola. Vide nello specchiettoretrovisore Isabelle che avvolgeva lacoperta attorno alla gola di Alec. Laragazza sollevò lo sguardo e incontròquello di Clary. «Quanto manca?»

«Una decina di minuti. Simon staandando il più in fretta possibile.»

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«Lo so» disse Isabelle. «Simon…quello che hai fatto… è statoincredibile. Ti sei mosso così in fretta.Non pensavo che a un mondano potessevenire in mente un’idea del genere.»

Simon non sembrò particolarmentecolpito dal fatto che gli giungesserodelle lodi da una direzione tantoinattesa. Aveva gli occhi fissi sullastrada.

«Vuoi dire di avere tirato allucernario? Ci ho pensato dopo cheeravate entrati. Stavo pensando allucernario e al fatto che avevate dettoche i demoni non possono stare alla lucediretta del sole. Quindi ci ho messo unpo’ a mettermi in azione. Ma non sentirti

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da meno» aggiunse. «Quel lucernario senon sai che c’è non lo vedi nemmeno.»

Io sapevo che c’era, pensò Clary.Avrei dovuto pensarci anch’io. Anche senon avevo l’arco e le frecce comeSimon, avrei potuto lanciargli controqualcosa o dire a Jace di farlo. Si sentìstupida, inutile e lenta, come se avessela testa piena di bambagia. La verità erache aveva avuto paura.

Troppa paura per pensare. Sentìun’ondata di senso di colpa esploderledietro le palpebre come un piccolo sole.

Fu Jace a parlare. «Ben fatto» disse.Gli occhi di Simon si socchiusero.

«Allora, se non vi dispiace dirmelo…quella cosa, quel demone… da dove

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è arrivato?»«Era Madame Dorothea» disse

Clary. «Cioè, almeno in un certo senso,ecco.»

«Non è mai stata una fotomodella,ma non mi ricordavo che avessequell’aspetto.»

«Credo fosse posseduta» disse Clarylentamente, cercando di mettere insiemei pezzi nella propria testa. «Voleva chele dessi la Coppa. Poi ha aperto ilPortale…»

«È stata una mossa intelligente»disse Jace. «Il demone l’ha posseduta epoi ha nascosto la maggior parte dellapropria forma eterea poco fuori dalPortale, dove il sensore non poteva

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rilevarlo. Così siamo entrati aspettan-doci di dover affrontare qualcheDimenticato e invece ci siamo trovati difronte un Demone Superiore.Abbadon… uno degli Antichi. Il Signoredei Caduti.»

«Be’, pare proprio che i Cadutidovranno imparare a cavarsela senza dilui» disse Simon mentre affrontava unacurva.

«Non è morto» disse Isabelle.«Credo che nessuno abbia mai ucciso unDemone Superiore. Li devi ucciderenella loro forma fisica ed eterea perchémuoiano. Lo abbiamo solo fattoscappare.»

«Ah» disse Simon deluso. «E

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Madame Dorothea? Starà bene adessoche…»

Si interruppe perché Alec avevainiziato a soffocare, il respiro cheproduceva uno strano rumore nel petto.Jace imprecò sottovoce. «Perché nonsiamo ancora arrivati?»

«Ci siamo. È solo che non voglioandare a sbattere contro un muro.»

Mentre Simon accostava con cautelaall’angolo, Clary vide che la portadell’Istituto era aperta e Hodge era inpiedi sotto l’arco. Il furgone si fermò eJace saltò fuori e si infilò sul sedileposteriore per sollevare Alec come sepesasse come un bambino. Isabelle loseguì lungo il marciapiede con in mano

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la picca insanguinata del fratello. Laporta dell’Istituto si chiuse alle lorospalle.

Clary guardò Simon esausta. «Midispiace. Non so come farai a spiegare aEric tutto quel sangue.»

«Chi se ne frega di Eric» disse luisenza convinzione. «Tu stai bene?»

«Neanche un graffio. Si sono ferititutti tranne me.»

«È il loro lavoro, Clary» disse luigentilmente. «Combattere i demoni… èquello che fanno loro. Non è quello chefai tu.»

«E io cosa faccio, Simon?» chieselei cercando una risposta sul volto delragazzo. «Cosa faccio io?»

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«Be’… hai recuperato la Coppa»disse lui. «O no?»

Lei annuì e aprì la giacca per farglivedere la Coppa che spuntava dallatasca interna. L’utilità delle tascheinterne, pensò, era qualcosa che avevaimparato da Jace. «Sì» annuì.

Simon sembrò sollevato. «Avevoquasi paura a chiederlo» disse. «Ma losperavo. È una buona cosa, vero?»

«Sì» ripeté Clary. Pensò a suamadre, e la mano le si strinse attornoalla Coppa. «È una buona cosa.»

Church la aspettava in cima allescale miagolando come una sirena danebbia. La accompagnò in infermeria. Ledoppie porte erano aperte e attraverso di

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esse Clary vide la figura immobile diAlec su uno dei letti bianchi. Hodge erachino su di lui. Isabelle, accanto aHodge, reggeva un vassoio d’argento.

Jace non era con loro. Non era conloro perché era fuori dall’infermeria,appoggiato al muro, le mani insanguinatesui fianchi. Quando Clary gli si fermò difronte, le sue palpebre si aprirono dicolpo e Clary notò che le sue pupilleerano dilatate, tutto l’oro affogato nelnero.

«Come sta?» gli chiese con tutta ladelicatezza possibile.

«Ha perso molto sangue. E il morsodel demone gli ha messo in circolo unveleno, e dato che era un Demone

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Superiore, Hodge non è sicuro che gliantidoti che usa di solitofunzioneranno.»

Clary gli toccò un braccio. «Jace…»Lui si ritrasse. «No.»Lei trattenne il fiato. «Non avrei mai

voluto che succedesse qualcosa ad Alec.Mi dispiace.»

Lui la guardò come se la vedesse lìper la prima volta. «Non è colpa tua»

disse. «È colpa mia.»«Tua? Jace, no…»«E invece sì» disse Jace con una

voce fragile come una scheggia dighiaccio. « Mea culpa. Mea maximaculpa. »

«Cosa vuol dire?»

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«Mia colpa» disse lui. «Miagrandissima colpa. In latino.» Le spostòuna ciocca di capelli dalla fronte conaria assente, come se non si accorgesseneppure di farlo. «Fa parte della liturgiadella messa.»

«Pensavo che non credessi nellareligione.»

«Forse non credo nel peccato»disse. «Ma mi sento in colpa lo stesso.

Noi Shadowhunters viviamo in basea un codice e quel codice non è fles-sibile. Onore, colpa, pena, sono tuttecose reali per noi, e non hanno nulla ache vedere con la religione, ma solo conchi siamo. Questo è quello che sono,Clary» disse disperatamente. «Sono un

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membro del Conclave. È nel mio sanguee nelle mie ossa. E allora dimmi, se seicosì sicura che non è stata colpa mia,perché il primo pensiero che ho avutoquando ho visto Abbadon non è stato peri miei compagni ma per te?» Sollevòl’altra mano e si nascose il volto tra ipalmi. «Sapevo… sapevo… Alec sistava comportando in modo strano.Sapevo che c’era qualcosa che nonandava. Ma riuscivo a pensare soltanto ate…»

Chinò il capo in avanti e le lorofronti si toccarono. Clary sentì il suoalito incresparle le ciglia. Chiuse gliocchi e lasciò che la sua vicinanza la i-nondasse come una marea delirante. «Se

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muore, sarà come se lo avessi uccisoio» disse lui. «Ho lasciato morire miopadre e ora ho ucciso l’unico fratelloche abbia mai avuto.»

«Non è vero» sussurrò Clary.«Sì.» Erano abbastanza vicini per

baciarsi. «Clary» continuò Jace. Lei nonaveva mai sentito il suo nomepronunciato con un tale misto di amore eangoscia. «Cosa mi sta succedendo?»

Dietro di loro qualcuno si schiarì lagola. Clary aprì gli occhi. Hodge erasulla porta dell’infermeria, l’abitomacchiato da chiazze di ruggine. «Hofatto il possibile. Ora è sedato, nonsoffre, però…» Scosse il capo. «Devocontattare i Fratelli Silenti. Questo va al

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di là delle mie capacità.»Jace si staccò lentamente da Clary.

«Quanto ci metteranno ad arrivare qui?»«Non lo so.» Hodge si avviò lungo il

corridoio scuotendo il capo.«Manderò subito Hugo, ma i Fratelli

si spostano come e quando vogliono.»«Ma per questo…» Anche Jace

doveva affrettarsi per tenere dietro allelunghe falcate di Hodge. Clary erarimasta indietro e dovette tendere leorecchie per sentire ciò che stavadicendo. «Potrebbe morire.»

«Potrebbe, sì» si limitò a direHodge.

La biblioteca era buia e odorava dipioggia: una delle finestre era stata

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lasciata aperta e una pozza d’acqua siera formata sotto le tende. Hugo emiseuno stridio e saltellò sul suo posatoiomentre Hodge gli si avvicinavavelocemente, fermandosi solo peraccendere la lampada sulla scrivania.«È

un peccato» disse Hodge prendendoun foglio di carta e una penna stilo-grafica «che non abbiate recuperato laCoppa. Credo che darebbe qualcheconforto ad Alec e certamente allasua…»

«Ma io l’ho recuperata, la Coppa»lo interruppe Clary sbalordita. «Nonglielo hai detto, Jace?»

Jace sbatté le palpebre, ma Clary

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non sapeva dire se era per la sorpresa oper la luce improvvisa. «Non c’è statotempo… stavo portando di sopraAlec…»

Hodge si era bloccato, la pennaimmobile tra le sue dita. «Avete laCoppa?»

«Sì.» Clary aprì la giacca edestrasse la Coppa dalla tasca interna:era ancora fredda, come se il contattocol suo corpo non potesse riscaldare ilmetallo. I rubini le ammiccarono cometanti occhi rossi. «Eccola.»

La penna scivolò dalla mano diHodge e cadde a terra. Clary si chiesese si fosse rovinato il pennino, ma ilmodo in cui Hodge la guardava bandì

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subito quel pensiero dalla sua mente. Laluce della lampada, diretta verso l’alto,non giovava al suo volto scavato emostrava ogni centimetro delle sue rughedi severità e preoccupazione edisperazione. «Quella è la Coppadell’Angelo?»

«Sì» disse Jace. «Era…»«Adesso non importa» disse Hodge.

Appoggiò la carta sulla scrivania, siavvicinò a Jace e gli strinse le spalle.«Jace Wayland, sai cos’hai fatto?»

Jace sollevò lo sguardo su Hodge,sorpreso. Clary notò il contrasto tra ilvolto devastato dell’uomo e quelloperfetto del ragazzo. Le ciocche chiareche ricadevano sugli occhi di Jace lo

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facevano sembrare ancora più giovane.«Non capisco» disse.

Il respiro di Hodge sibilò tra i suoidenti. «Gli assomigli tantissimo.»

«A chi?» disse Jace confuso;evidentemente non aveva mai sentitoHodge parlare così prima di allora.

«A tuo padre» disse Hodge mentresollevava lo sguardo sul punto in cuiHugo volteggiava con le ali nere chespostavano l’aria umida.

Hodge socchiuse gli occhi. «Hugin»disse, e con uno stridio ultraterrenol’uccello allargò gli artigli e si tuffò inpicchiata verso il volto di Clary.

Clary sentì l’urlo di Jace e poi ilmondo divenne tutto un turbinio di penne

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e artigli e un becco che colpiva a destrae a manca. Un dolore acuto le trafisseuna guancia e strillò, sollevandod’istinto le mani a coprirsi il volto.

Sentì che la Coppa Mortale leveniva strappata via di mano. «No!»urlò afferrandola. Un dolore terribile leassalì il braccio. Le gambe le cedetteroall’improvviso, scivolò e cadde a terra,picchiando forte le ginocchia contro ilduro pavimento. Degli artigli legraffiarono la fronte.

«Basta così, Hugo» disse Hodgetranquillamente.

L’uccello si allontanò obbediente daClary. La ragazza si pulì via il sanguedagli occhi singhiozzando. Si sentiva la

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faccia a pezzi.Hodge non si era mosso: era in

piedi, immobile, con in mano la CoppaMortale. Hugo gli volteggiava sopra inampi giri agitati, gracchiando piano. EJace… Jace era a terra ai piedi diHodge, perfettamente immobile, come sesi fosse addormentato all’improvviso.

Ogni altro pensiero lasciò la mentedi Clary. «Jace!» Parlare le facevamale: il dolore alla guancia erafortissimo e sentiva in bocca il saporedel sangue. Jace non si mosse.

«Non è ferito» disse Hodge. Clary sirimise in piedi con l’intenzione dilanciarsi contro Hodge… e rimbalzòindietro quando colpì qualcosa di

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invisibile ma duro e forte come vetro.Furente, tirò un pugno contro l’aria.

«Hodge!» urlò. Tirò un calcio,rompendosi quasi un piede contro ilmuro invisibile. «Non essere stupido.Quando il Conclave scoprirà quello chehai fatto…»

«A quel punto me ne sarò giàandato» disse inginocchiandosi accantoa Jace.

«Ma…» Fu attraversata da unoshock, un’illuminazione dolorosamenteelettrica. «Non hai mai mandato unmessaggio al Conclave, vero? È perquesto che ti sei comportato in modotanto strano quando ti ho fatto delledomande in proposito. Volevi la Coppa

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per te.»«No» disse Hodge. «Non per me.»La gola di Clary era asciutta come la

sabbia. «Lavori per Valentine» sussurrò.«Non lavoro per Valentine» disse

Hodge. Sollevò una mano di Jace eprese qualcosa. Era l’anello inciso cheJace portava sempre. Hodge se lo infilòal dito. «Ma sono un uomo di Valentine,è vero.»

Con un movimento agile si fecegirare l’anello tre volte intorno al dito.

Per un istante non accadde nulla. PoiClary sentì il rumore di una porta che siapriva e si voltò d’istinto per vedere chistava entrando in biblioteca.

Quando si girò di nuovo verso

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Hodge, vide che l’aria accanto a luistava brillando, come la superficie di unlago vista da lontano. Il muro d’ariascintillante si aprì come una tendaargentata e un uomo alto comparveaccanto a Hodge, come se si fossematerializzato dal nulla.

«Starkweather» disse l’uomo. L’ariaalle sue spalle scintillava ancora.

«Hai la Coppa?»Hodge sollevò la Coppa tra le mani

ma non disse nulla. Sembrava para-lizzato, ed era impossibile dire se fosseper la paura o lo stupore. A Clary erasempre sembrato alto, ma adessosembrava piccolo e ingobbito. «MioSignore Valentine» disse infine. «Non ti

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aspettavo così presto.»Valentine. Assomigliava poco al bel

ragazzo della fotografia, anche se i suoiocchi erano ancora neri. Il suo volto nonera come se lo era aspettato.

Era il volto trattenuto, chiuso espirituale di un prete con gli occhi tristi.

Dai polsini neri del suo abito disartoria spuntavano le cicatrici biancheche raccontavano di anni passati a usarelo stilo. «Ti avevo detto che sarei venutoda te attraverso un Portale» disse. Lasua voce era risonante. «Non micredevi?»

«Sì. È solo che… pensavo cheavresti mandato Pangborn o Blackwell,non che saresti venuto di persona.»

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«Pensavi che li avrei mandati aprendere la Coppa? Non sono un idiota.

Conosco le sue tentazioni.»Valentine allungò una mano e Clary videsul suo dito un anello identico a quellodi Jace. «Dammela.»

Ma Hodge la strinse a sé. «Voglioprima quello che mi avevi promesso.»

«Prima? Non ti fidi di me,Starkweather?» Valentine sorrise, e nelsuo sorriso non c’era traccia didivertimento. «Farò come hai chiesto.Un patto è un patto. Anche se devo direche il tuo messaggio mi ha sbalordito.Non immaginavo certo che ti sarebbedispiaciuta una vita di contemplazioneappartata, per così dire. Non sei mai

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stato portato per i campi di battaglia.»«Tu non sai cosa vuol dire» disse

Hodge con un sospiro che sembrava unsibilo «avere sempre paura…»

«È vero, non lo so.» La voce diValentine era triste come i suoi occhi,come se provasse pietà per Hodge… Main essi c’era anche dell’avversione, unatraccia di disprezzo. «Se non aveviintenzione di darmi la Coppa» disse«non avresti dovuto chiamarmi. Sei statotu a contattarmi, e non vice-versa.»

Hodge fece una smorfia. «Non èfacile tradire ciò in cui credi… lepersone che si fidano di te…»

«Stai parlando dei Lightwood o deiloro figli?»

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«Di entrambi» disse Hodge.«Ah, i Lightwood.» Valentine

allungò un braccio e accarezzò con unamano il mappamondo di ottoneappoggiato sulla scrivania, le lunghedita che tracciavano i confini dicontinenti e mari. «La tua punizioneavrebbe dovuto toccare a loro. Se nonavessero avuto tutte quelle conoscenzealto-locate nel Conclave sarebbero statimaledetti insieme a te. E invece sonoliberi di andare e venire, di camminarealla luce del sole come chiunque altro.Sono liberi di tornare a casa. » Avevapronunciato la parola “casa” con tutta lasua carica di significati. Il suo ditosmise di muoversi lungo la superficie

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del mappamondo. Clary era certa chestesse toccando il punto in cui si trovavaIdris.

Gli occhi di Hodge ebbero unlampo. «Hanno fatto quello che avrebbefatto chiunque.»

«Tu non l’avresti fatto. Io non l’avreifatto. Lasciar soffrire un amico al mioposto? E certamente deve avertiamareggiato, Starkweather, sapere chehanno lasciato con tanta leggerezza chequesto fato toccasse a te…»

Hodge scrollò le spalle. «Ma non ècolpa dei ragazzi. Loro non hanno fattoniente…»

«Non ho mai saputo che tipiacessero tanto i bambini, Hodge»

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disse Valentine, come se quell’idea lodivertisse.

Hodge sembrava respirare a fatica.«Jace…»

«Non parlare di Jace.» Per la primavolta Valentine sembrava arrabbiato.

Guardò la figura immobile sulpavimento. «Sta sanguinando» osservò.

«Perché?»Hodge si strinse la Coppa al cuore.

Le sue nocche erano bianche. «Non èsangue suo. È svenuto ma non è ferito.»

Valentine sollevò la testa con unsorriso affabile. «Mi stavo chiedendo»

disse «cosa penserà di te quando sisveglierà. Il tradimento non è mai unabella cosa, ma tradire un ragazzo… è

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come un doppio tradimento, non pensi?»«Non gli farai del male» sussurrò

Hodge. «Hai giurato di non fargli delmale.»

«Non l’ho mai giurato» disseValentine. «E adesso…» Si allontanòdalla scrivania e si avvicinò a Hodge,che si ritrasse come un animaletto intrappola. I suoi occhi incontraronoquelli di Clary alle spalle di Valentine.La ragazza vide la sua infelicità. «Ecosa faresti se ti dicessi che ho decisodi fargli del male? Combatteresti controdi me? Non mi daresti la Coppa?

Anche se riuscissi a uccidermi, ilConclave non ritirerebbe mai la suamaledizione. Cosa non saresti disposto a

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dare pur di non avere più paura? Co-sanon daresti per tornare di nuovo acasa?»

Clary distolse lo sguardo. Nonsopportava più la vista del volto diHodge. Con voce strozzata, questi disse:«Dimmi che non gli farai del male e iote la darò…»

«No» disse Valentine con un tonoancora più morbido. «Me la darai inogni caso.» E allungò una mano.

Hodge chiuse gli occhi. Per unistante il suo volto fu quello di uno degliangeli sotto la scrivania, addolorato egrave, e schiacciato da un peso terribile.Poi imprecò tra i denti e porse la Coppaa Valentine.

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Clary urlò. Si lanciò contro il muroinvisibile e vi rimbalzò contro. Urlò aHodge di non farlo, che lui era miglioredi così, che era migliore di Valentine.Hodge non la guardò, ma la mano chestringeva la Coppa tremò come unafoglia al vento.

«Grazie» disse Valentine. Prese laCoppa e la guardò soprappensiero.

«Temo che tu abbia sbeccato ilbordo.»

Hodge non disse nulla. Il suo voltoera grigio. Valentine si chinò araccogliere Jace. Mentre lo sollevavasenza alcuno sforzo, Clary vide la suagiacca impeccabile tendersi sullebraccia e sulla schiena e si rese conto

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che era un uomo molto più massiccio diquanto non sembrasse a prima vista, conun torso come il tronco di una quercia.Jace, privo di sensi tra le sue braccia,sembrava un bambino piccolo.

«Sarà presto insieme a suo padre»disse Valentine guardando il voltobianco di Jace. «Nel posto che glispetta.»

Hodge fece una smorfia. Valentinegli diede le spalle e si incamminò versoil sipario d’aria luccicante da cui eraentrato. Doveva essersi lasciato ilPortale aperto alle spalle, pensò Clary.Guardarlo era come guardare il soleriflettersi sulla superficie di unospecchio.

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Hodge allungò una mano implorante.«Aspetta!» urlò. «E quello che mi avevipromesso? Avevi giurato di porre finealla mia maledizione…»

«È vero» disse Valentine. Si fermòper un istante, guardando fisso in facciaHodge, che arretrò con un sussulto, lamano che correva al petto come sequalcosa l’avesse colpito al cuore. Unfluido nero colò fuori dalle sue dita esgocciolò sul pavimento. Hodge sollevòil volto pieno di cicatrici su Valentine.«È finita?» chiese. «La maledizione… èscomparsa?»

«Sì» disse Valentine. «E ti auguroche la libertà che ti sei comprato possadarti la felicità.» E con quelle parole

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oltrepassò il sipario di aria scintillante.Per un istante sembrò scintillare anche ilsuo corpo, come se fosse sotto un gettod’acqua. Poi scomparve, e con luiscomparve anche Jace.

capitolo 20

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NEL VICOLO DEI TOPIHodge restò a guardarlo ansimando,

i pugni che si aprivano e si chiudevanolungo i fianchi. La sua mano sinistra eraricoperta dal fluido scuro che gli erauscito dal petto. L’espressione sul voltodi Hodge era un misto di esultanza edisprezzo per se stesso.

«Hodge!» Clary picchiò la mano sulmuro invisibile che li separava. Ildolore le attraversò tutto il braccio, manon era nulla in confronto a quello cheprovava nel petto. A Clary sembrava cheil suo cuore stesse per aprirle in due iltorace. Jace, Jace, Jace… quella parolale echeggiava nella mente e avrebbevoluto urlarla con tutto il fiato che aveva

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in gola, ma si trattenne.«Hodge, fammi uscire!»Hodge si voltò e scosse il capo.

«Non posso» disse usando il fazzolettoperfettamente piegato per strofinarsi lamano sporca. Sembrava sinceramentedispiaciuto. «Cercheresti soltanto diuccidermi.»

«Non lo farò» disse lei. «Loprometto.»

«Ma tu non sei stata cresciuta comeuna Cacciatrice» disse Hodge «e le tuepromesse non significano nulla.» L’orlodel suo fazzoletto stava fumando, comese lo avesse intinto nell’acido, e la suamano non era meno nera di prima.Hodge fece una smorfia e abbandonò il

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progetto.«Ma non l’hai sentito?» disse lei

disperata. «Ucciderà Jace.»«Non ha detto questo.» Hodge era

tornato alla scrivania e stava aprendo uncassetto e prendendo un foglio di carta.Tirò fuori una penna dal taschino e lapicchiettò contro il bordo dellascrivania per far scorrere l’inchiostro.Clary lo guardò sbalordita. Si stavamettendo a scrivere una lettera?

«Hodge» disse cercando di nonperdere il controllo. «Valentine ha dettoche Jace sarebbe stato presto insieme asuo padre. Il padre di Jace è morto.

Cos’altro poteva voler dire, secondote?»

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Hodge non sollevò lo sguardo dalfoglio di carta su cui stava scrivendo.

«È complicato. Non capiresti.»«Ho capito abbastanza.» Le

sembrava che l’amarezza che provavaavrebbe potuto bruciarle la lingua. «Hocapito che Jace si fidava di te e tu lo haiconsegnato a un uomo che odiava suopadre e probabilmente odia anche lui,solo perché sei troppo vigliacco perconvivere con una maledizione che ti seimeritato.»

Lo sguardo di Hodge scattò su di lei.«È questo che pensi?»

«È quello che so.»L’uomo mise giù la penna e scosse il

capo. Sembrava stanco e vecchis-simo,

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molto più vecchio di Valentine, anche seavevano la stessa età. «Tu conosci solodei pezzi di questa storia, Clary. Ed èmolto meglio così.» Ripiegò il foglio inun quadrato e lo gettò nel fuoco, chemandò una fiamma-ta di un vivace verdeacido.

«Cosa stai facendo?» chiese Clary.«Mando un messaggio.» Hodge voltò

le spalle al fuoco. Era vicino a lei, liseparava solo il muro invisibile. Clarypremette le dita contro di esso edesiderò poterle piantare negli occhi diHodge, anche se erano così tristi, tristiquanto quelli di Valentine eranorabbiosi. «Tu possiedi» disse lui

«l’assolutismo morale dei giovani,

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che non ammette eccezioni. Non capisci,Clary, che a modo mio sto cercando diessere una brava persona?»

Clary scosse il capo. «Non è cosìche funziona. Le buone azioni noncancellano quelle pessime. Ma…» simorse un labbro «… se mi dicessi dov’èValentine…»

«No» sussurrò Hodge. «Si dice che iNephilim siano i figli degli uomini edegli angeli. Tutto ciò che ci ha lasciatoquesta discendenza dagli angeli è unamaggiore altezza da cui precipitarequando cadiamo.» Toccò con la puntadelle dita la superficie invisibile dellaparete. «Tu non sei stata cresciuta comeuna di noi. Non fai parte di questa vita

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di cicatrici e morte.Puoi ancora andartene. Lascia

l’Istituto, Clary. Vattene il primapossibile e non tornare più indietro.»

Le scosse il capo. «Non posso»disse. «Non posso farlo.»

«E allora ti faccio le miecondoglianze» disse Hodge mentreusciva dalla stanza.

La porta si chiuse alle sue spallelasciando Clary nel silenzio. C’eranosolo il suo respiro affannoso, ilticchettio della pioggia e il rumore dellesue dita contro la barriera trasparente eimpenetrabile che la separava dallaporta. Fece esattamente ciò che si eradetta che non avrebbe fatto: si lanciò più

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e più volte contro la barriera, finché nonfu esausta e dolorante. Poi si lasciòcadere a terra e cercò di non piangere.

Da qualche parte, dall’altro latodella barriera, Alec stava morendo,mentre Isabelle aspettava che Hodge losalvasse. Da qualche parte, al di là diquella stanza, Jace veniva risvegliatobruscamente da Valentine. Da qualcheparte, le possibilità di sopravvivenza disua madre stavano svanendo un momentodopo l’altro, un secondo dopo l’altro. Elei era intrappolata lì, inutile e indifesacome la ragazzina che era.

Ma poi si mise a sedere di scattoquando ricordò all’improvviso ilmomento a casa di Madame Dorothea in

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cui Jace le aveva messo in mano lo stilo.Glielo aveva ridato? Trattenendo il fiatotastò la tasca sinistra della giacca: eravuota. La sua mano si spostò lentamentenella tasca destra, do-ve le sue ditasudaticce raccolsero qualche cartacciaper poi trovare qualcosa di duro, liscioe stondato: lo stilo.

Balzò in piedi con il cuore chebatteva a mille e cercò con la manosinistra il muro invisibile. Quando lotrovò si fece coraggio e avvicinò lapunta dello stilo con l’altra mano finchénon toccò quell’aria solida e liscia. Lesi stava già formando un’immagine nellamente, come un pesce che viene a gallanell’acqua torbida, il disegno delle sue

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squame sempre più chiaro mano a manoche si avvicina alla superficie. Iniziò -prima lentamente, poi con più decisione- a muovere lo stilo sulla parete,lasciando delle linee bianco cenere afluttuare nell’aria davanti a lei.

Dopo un po’ sentì di avere finito ditracciare le rune e abbassò la mano, colfiato corto. Per un istante tutto restòimmobile e silenzioso, e le parolerestarono a mezz’aria come luci al neon,bruciandole gli occhi. Poi si sentì unsuono fortissimo, come di una grandevetrata che andava in pezzi, come se sitrovasse sotto una cascata di vetri eascoltasse le schegge rompersitutt’attorno a lei. La runa che aveva

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disegnato divenne nera e si dispersecome polvere: il pavimento tremò sotto isuoi piedi e poi fu tutto finito, e leiseppe, senza alcun dubbio, di esserelibera.

Con ancora lo stilo in mano corsealla finestra e aprì le tende. Si stavaavvicinando il crepuscolo e le stradeerano inondate di un bagliore rosso-violaceo. Per fortuna erano anche quasideserte, e Clary vide perfettamenteHodge che attraversava la strada.Sembrava uno spaventapasseri con ilsuo soprabito nero e il suo cappellomalandato.

Schizzò fuori dalla biblioteca e giùper le scale, fermandosi solo per

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rimettere lo stilo nella tasca dellagiacca. Infilò di corsa le scale e, quandoraggiunse la strada, aveva già iniziato afarle male la milza. La gente che portavaa spasso i cani nell’umidità della sera siscostava bruscamente quando leipassava loro accanto a tutta velocità,lungo la passeggiata che costeggiaval’East River. Mentre svoltava l’angolo,Clary si intravide nella vetrata oscuratadi un palazzo. Aveva i capelli sudati eincollati alla fronte e il volto incrostatodi sangue secco.

Raggiunse l’incrocio che aveva vistoHodge attraversare dalla finestra.

Per un momento pensò di averloperso. Sfrecciò attraverso la folla,

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vicino all’entrata della metropolitana,spostando la gente a spallate e usando iginocchi e i gomiti come armiimproprie. Sudata e ammaccata, siliberò dalla folla appena in tempo perintravedere un abito di tweed chescompariva dietro l’angolo di unvicoletto di servizio tra due edifici.Clary si diede un’occhiata: la suamaglietta, che era stata rosa, erainzuppata di sudore e macchiata disangue. Rivoli di sudore le correvanolungo la nuca. Avrebbe voluto togliersila giacca, ma non avrebbe più avuto unposto in cui tenere lo stilo.

Girò attorno a un cassonetto eraggiunse l’angusta entrata del vicolo.

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Ogni volta che respirava le bruciavail fondo della gola. Anche se per lestrade era il tramonto, in quel vicolo erabuio come fosse già notte. Vide amalapena Hodge all’estremità oppostache terminava sul retro di un fast foodpieno di immondizie: sacchi di cibo,vassoi di carta sporchi e posate diplastica che scricchiolaronosgradevolmente sotto le scarpe di Hodgequando si voltò a guardarla. A Claryvenne in mente una poesia che avevanoletto a lezione di inglese: Eccoci nelvicolo dei topi dove i morti hannolasciato le loro ossa.

«Mi hai seguito» disse lui. «Nonavresti dovuto farlo.»

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«Se vuoi che ti lasci stare, basta chemi dica dove si trova Valentine.»

«Non posso farlo. Saprebbe che tel’ho detto io e la mia libertà sarebbebreve come la mia vita.»

«Lo sarà comunque quando ilConclave scoprirà che hai dato la CoppaMortale a Valentine» gli fece notareClary. «Dopo averci convinti con l’in-ganno a trovarla. E dopo quello che haifatto a Jace…»

Lui la interruppe con una breverisata. «Ho più paura di Valentine chedel Conclave, e tu faresti lo stesso, sefossi saggia» disse. «Alla fine avrebbetrovato comunque la Coppa, con o senzail mio aiuto.»

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«E non ti interessa il fatto che lauserà per uccidere dei bambini?»

Uno spasmo attraversò il volto diHodge mentre faceva un passo avanti, eClary vide qualcosa che gli luccicava inmano. «Tutto questo ha davvero tantaimportanza, per te?»

«Te l’ho già detto» rispose lei. «Nonposso semplicemente andarmene via.»

«È un peccato» disse Hodge, e lei lovide sollevare un braccio, e ricordòall’improvviso quando Jace aveva dettoche l’arma preferita di Hodge era ilchakram, la lama rotante. Si chinòancora prima di vedere il cerchioluccicante di metallo volare ruotandoverso la sua testa: la superò con un

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ronzio, passando a pochi centimetri dalsuo volto, e si conficcò nella scalaantincendio di metallo alla sua sinistra.

Clary si rimise in piedi. Hodge lastava guardando e intanto teneva in manoun secondo dischetto di metallo. «Puoiancora scappare» disse.

Lei alzò istintivamente le mani,anche se la logica le diceva che ilchakram gliele avrebbe semplicementefatte a fette. «Hodge…»

Qualcosa le sfrecciò davanti,qualcosa di grosso, grigio-nero e vivo.

Sentì Hodge urlare in predaall’orrore. Arretrando gattoni, Claryvide la co-sa più chiaramente mentre sipiazzava tra lei e Hodge. Era un lupo

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lungo quasi due metri, con una pellicciacorvina attraversata da un’unica strisciagrigia.

Hodge, il disco di metallo stretto inmano, era bianco come uno straccio.

«Tu!» sussurrò, e Clary si rese contocon una sorta di distaccato stupore chestava parlando con il lupo. «Valentinemi aveva detto che eri scappato…»

Le labbra del lupo si ritrassero daidenti, e Clary vide la lingua rossadell’animale. Nei suoi occhi c’era odio,mentre guardava Hodge, un odio puro edel tutto umano.

«Sei venuto per me o per laragazza?» chiese Hodge. Il sudore gliscendeva lungo le tempie, ma la sua

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mano era ferma.Il lupo gli si avvicinò emettendo un

basso ringhio di gola.«Sei ancora in tempo» disse Hodge.

«Valentine ti riprenderebbe…»Il lupo ululò e spiccò il salto. Hodge

urlò ancora. Vi fu un lampo d’argento esi udì un rumore rivoltante quando ilchakram si piantò nel fianco del lupo.L’animale arretrò sulle zampe posteriori,e mentre balzava addosso a Hodge.Clary vide il bordo del disco chespuntava in mezzo alla sua pellicciainsieme a un fiotto di sangue.

Hodge lanciò un altro urlo mentrecadeva a terra e le zanne del lupo sichiudevano sulla sua spalla. Una

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sventagliata di sangue sporcò il muro dicemento dietro di lui. Il lupo sollevò latesta dal corpo esanime dell’uomo erivolse il suo sguardo grigio e ferinoverso Clary, coi denti che sgocciola-vano sangue.

Clary non urlò. Non avevaabbastanza aria nei polmoni peremettere un qualsiasi suono. Si rimisegoffamente in piedi e corse, corse versol’imboccatura del vicolo e le familiariluci al neon della strada, corse verso lasicurezza del mondo reale. Sentì il lupoche ringhiava dietro di lei, sentì il suofiato caldo sulle gambe nude. Fece unultimo sforzo e si lanciò verso lastrada…

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Le mascelle del lupo si chiuserosulla sua gamba e la strattonaronoall’indietro. Poco prima che la sua testacolpisse l’asfalto e lei sprofondassenell’oscurità, Clary scoprì che in fondoai polmoni aveva abbastanza aria perurlare.

Fu svegliata dallo sgoccioliodell’acqua. Clary aprì molto lentamentegli occhi. Non c’era molto da vedere.Era stesa su una branda piazzata in unastanzetta dalle pareti sporche. C’era untavolo dall’aria poco stabile acco-statoa una parete e, sopra, un candeliered’ottone da quattro soldi con una grossacandela rossa da cui proveniva l’unicaluce della stanza. Il soffitto era pieno di

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crepe e di chiazze d’umidità, chepenetrava tra le fessure nella pietra.Clary provò la vaga sensazione che aquella stanza mancasse qualcosa, maquel pensiero fu sopraffatto dal forteodore di cane bagnato.

Scattò immediatamente a sedere esubito desiderò di non averlo fatto.

Un dolore rovente le trafisse la testacome uno spillone, seguito da un’ondatadi nausea. Se avesse avuto qualcosanello stomaco, lo avrebbe vomi-tato.

Sopra la branda era appeso unospecchio, che penzolava da un chiodoinfilato tra due pietre. Gli diedeun’occhiata e restò sbalordita. Non c’erada stupirsi se le faceva male la faccia:

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aveva dei lunghi graffi paralleli checorrevano dall’angolo dell’occhiodestro al bordo della bocca. La guanciadestra era incrostata di sangue, comeanche il collo e il davanti della camiciae della giacca. In preda a un improvvisoattacco di panico, portò una mano allatasca e si rilassò. Lo stilo c’era ancora.

Fu a quel punto che capì cosa c’eradi strano in quella stanza. Una parete erafatta di sbarre: pesanti sbarre di ferroche andavano dal pavimento al soffitto.Era in una cella.

Si alzò in piedi barcollando, conl’adrenalina che le correva nelle vene.

Ebbe un capogiro e si aggrappò altavolo per non cadere. Non devo

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svenire, si disse. E poi sentì dei passi.Qualcuno stava arrivando dal

corridoio che portava alla cella. Eranopassi distanti ma si avvicinavano infretta. Clary arretrò contro il tavolo eportò la mano alla cintura per cercare lostilo.

Era un uomo. Portava in mano unalampada. La luce era più intensa diquella della candela: le fece sbattere lepalpebre e trasformò il nuovo arrivato inun’ombra in controluce. Vide una figuraalta, con le spalle squadrate e i capelliispidi: fu solo quando aprì la porta dellacella ed entrò che Clary capì chi era.

Il pugnale le scivolò di mano. Caddesul pavimento con la punta verso il

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basso e si incastrò in quella posizione,vibrando un po’. «Luke?»

Lui annuì senza parlare. Sembrava lostesso di sempre: jeans consumati,camicia sportiva e scarponi da lavoro,gli stessi capelli tagliati come veniva,gli stessi occhiali abbassati sulla puntadel naso. Le cicatrici che, l’ultima voltache lo vide, aveva notato ai lati dellasua gola, ora erano strisce di pellelucida in via di guarigione.

Fu troppo per Clary. La stanchezza,la mancanza di sonno e di cibo, ilterrore e la perdita di sangue laassalirono come un’ondata di piena.Sentì che le ginocchia le cedevano einiziò a scivolare verso il pavimento.

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Luke attraversò la stanza in men chenon si dica: si mosse tanto velocementeche riuscì a prendere Clary al voloprima che toccasse terra e la sollevòcome faceva quand’era piccola. Larimise giù sulla branda e fece un passoindietro, lo sguardo ansioso. «Clary?»disse allungando una mano verso di lei.«Tutto bene?»

Lei si ritrasse e sollevò le mani perallontanarlo. «Non toccarmi.»

Un’espressione profondamenteaddolorata attraversò il volto di Luke,che si passò una mano sulla fronte conun gesto esausto. «Immagino di es-sermelo meritato.»

«Sì, infatti.»

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Lo sguardo di Luke era turbato.«Non mi aspetto che tu ti fidi di me…»

«Bene, perché non mi fido per nientedi te.»

«Clary…» Luke iniziò a camminareavanti e indietro per la cella. «Quelloche ho fatto… non mi aspetto che tu locapisca. So che pensi che ti hoabbandonato…»

«Tu mi hai abbandonato» disse lei.«Mi hai detto di non chiamarti mai più.Non mi hai mai voluto bene. Non haimai voluto bene a mia mamma.

Hai mentito su tutto.»«Non su tutto» disse lui.«Allora ti chiami veramente Luke

Garroway?»

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Le spalle di Luke si abbassarono unpo’. «No» disse, poi ebbe un piccolosobbalzo e guardò in basso. Una chiazzarosso scuro si stava allargando suldavanti della sua camicia. Lukeimprecò.

Clary si mise a sedere. «Ma quello èsangue?» chiese, dimenticando per unistante di essere arrabbiata con lui.

«Sì» disse Luke stringendosi unfianco con le mani. «Quando ti hosollevato mi si dev’essere riaperta laferita.»

«Quale ferita?» non poté fare a menodi chiedere Clary.

«I dischi di Hodge sono affilati,anche se le sue braccia non sono più

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quelle di una volta. Credo che potrebbeavermi rotto una costola.»

«Hodge?» disse Clary. «Maquando…?»

Lui la guardò senza dire nulla e leiricordò all’improvviso il lupo nelvicolo, tutto nero, a parte quell’unicastriscia grigia sul fianco, e ricordò ildisco che lo aveva colpito e capì.

«Tu sei un licantropo?»Luke allontanò la mano dalla

camicia: le sue dita erano sporche disangue. «Già» disse laconico. Siavvicinò alla parete e le diede qualcheleggero colpetto: uno, due, tre. Poi sivolto verso di lei: «Sono un licantropo.»

«Hai ucciso Hodge» disse lei.

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«No.» Luke scosse il capo. «Gli hofatto parecchio male, credo, ma quandosono tornato a cercare il suo corpo, nonc’era più. Deve essersi trascinato via.»

«Gli hai morso la gola» disse Clary.«L’ho visto.»

«Sì. Anche se varrebbe la pena dimenzionare il fatto che in quel momentostava cercando di ucciderti. Ha fatto delmale a qualcun altro?»

Clary si morse un labbro. Sentì ilsapore del sangue, ma era vecchiosangue di quando era stata attaccata daHugo. «Jace» sussurrò. «Hodge lo hafatto svenire e lo ha consegnato a…Valentine.»

«A Valentine?» disse Luke con

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un’espressione sbalordita. «Sapevo cheHodge ha dato a Valentine la CoppaMortale, ma non avevo capito…»

«Come facevi a saperlo?» iniziò adire Clary, ma poi ricordò. «Mi haisentita parlare con Hodge nel vicoloprima di saltargli addosso.»

«Gli sono saltato addosso, come dicitu, perché stava per staccarti la testa»disse Luke, poi si voltò a guardare laporta della cella che si apriva di nuovo.Un tizio alto entrò, seguito da una donnatanto minuta e delicata da sembrare unabambina. Indossavano entrambi abitisemplici e informali: jeans e camicie dicotone, e avevano tutti e due gli stessicapelli arruffati, anche se quelli della

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donna erano biondi e quelli dell’uomogrigi e neri come il manto di un tasso.Entrambi avevano lo stesso aspettoinsieme giovane e vecchio, senzanemmeno una ruga ma con gli occhistanchi.

«Clary» disse Luke «ti presento ilmio secondo e il mio terzo, Gretel eAlaric.»

Alaric chinò la testa massiccia versola ragazza. «Ci siamo già incontra-ti.»

Clary lo guardò allarmata.«Davvero?»

«All’Hotel Dumort» disse lui. «Mihai piantato un pugnale nelle costole.»

Clary arretrò contro il muro. «Io…ehm… mi dispiace.»

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«No, perché?» disse lui. «È stato unottimo lancio.» Infilò una mano neltaschino e prese il pugnale di Jace, conil suo occhio rosso. Glielo porse.

«Credo che questo sia tuo.»Clary lo fissò. «Ma…»«Non preoccuparti» la rassicurò lui.

«Ho pulito la lama.»Lei lo prese senza dire nulla. Luke

ridacchiava sotto i baffi. «Col senno dipoi» disse «forse l’intervento al Dumortnon è stato progettato come avrebbedovuto. Avevo messo un gruppo dei mieilupi a vegliare su di te, con l’ordine diseguirti se sembravi in pericolo. Quandosei entrata al Dumort…»

«Io e Jace avremmo potuto

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cavarcela da soli.» Clary si infilò ilpugnale nella cintura.

Gretel le rivolse un sorriso paziente.«È per questo che ci ha chiamati,signore?»

«No» disse Luke. Si toccò il fianco.«La mia ferita si è aperta e Clary haalcune ferite che avrebbero bisogno dicure. Se non vi dispiace andare aprendere quello che serve…»

Gretel annuì. «Torno subito con il kitdi pronto soccorso» disse, e uscì dallacella con Alaric che la seguiva comeun’ombra troppo cresciuta.

«Ti ha chiamato “signore”» disseClary non appena la porta della cella sifu chiusa alle loro spalle. «E cosa vuol

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dire che sono il tuo secondo e il tuoterzo? Secondo e terzo cosa?»

«Secondo e terzo ufficiale» disselentamente Luke. «Io sono il comandantedi questo branco di lupi. È per questoche Gretel mi ha chiamato “signore”.Credimi, c’è voluto parecchio lavoroper farle perdere l’abitudine dichiamarmi “padrone”.»

«Potrebbe andarti peggio» disseClary. «Potrebbe chiamarti Lupo deLupis.»

«Come quello dei cartoni animati?»Luke le sorrise, ma lei non fecealtrettanto. «Immagino che il fatto che tufaccia delle battute non voglia dire chemi hai perdonato.»

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«Nemmeno per idea.» Prese ilcuscino della branda, se lo mise dietrola schiena e vi si appoggiò contro. «Miamamma lo sapeva?»

«Cosa?»«Che sei un lupo mannaro.»«Sì. Lo sa da quando è successo.»«E naturalmente nessuno dei due ha

mai pensato di dirmelo, vero?»«Io avrei voluto dirtelo» rispose

semplicemente Luke. «Ma tua madre nonvoleva assolutamente che tu sapessinulla dei Cacciatori o del MondoInvisibile. E non avrei potuto spiegartiche sono un licantropo, perché tuttorientra in un grande disegno che tuamadre non voleva che tu vedessi. Non so

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cosa tu abbia scoperto…»«Parecchio» disse Clary. «So che

mia mamma era una Cacciatrice. So cheera sposata con Valentine e che gli harubato la Coppa Mortale e poi si ènascosta. So che dopo avermi messa almondo mi portava ogni anno da MagnusBane per farmi togliere la Vista. So chequando Valentine ha provato a farti diredove fosse la Coppa in cambio dellavita di mia mamma, tu gli hai detto chenon te ne importava nulla.»

Luke avevo lo sguardo fisso sullaparete. «Non sapevo dove fosse laCoppa» disse. «Jocelyn non me l’ha maidetto.»

«Avresti potuto provare a trattare…»

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«Valentine non tratta. Non lo ha maifatto. Se non è in una posizione divantaggio, non inizia nemmeno agiocare. È determinatissimo e del tuttoprivo di compassione, e anche se untempo forse amava tua madre, non e-siterebbe a ucciderla. No, non potevotrattare con Valentine.»

«E allora hai semplicemente decisodi abbandonarla?» chiese Clary furente.«Sei il comandante di un branco di lupimannari e hai deciso che lei non avevabisogno del tuo aiuto? Sai, era già bruttoquando pensavo che tu fossi unCacciatore e le avessi voltato le spalleper uno di quegli stupidi voti daCacciatore o qualcosa del genere, ma

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adesso so che sei soltanto un viscidoNascosto a cui non importa neppure ilfatto che in tutti questi anni lei ti abbiatrattato come un amico… come un suopari… ed è così che la ripaghi!»

«Ma sentiti» disse Luketranquillamente. «Parli già come unaLightwood.»

Clary socchiuse gli occhi. «Nonparlare di Alec e Isabelle come se li co-noscessi.»

«Parlavo dei loro genitori» disseLuke. «Che conoscevo molto bene,quando eravamo tutti quantiShadowhunters.»

Clary sentì che le labbra le sidischiudevano per la sorpresa. «So che

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eravate tutti nel Circolo… Ma come haifatto a non fargli scoprire che eri unlicantropo? Non lo sapevano?»

«No» disse Luke. «Perché io nonsono nato così. Lo sono diventato. E aquanto ho capito, se voglio convincertiad ascoltare quello che ho da dire,dovrò raccontarti la mia storia sindall’inizio. È una lunga storia, ma credoche abbiamo abbastanza tempo.»

parte terza

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LA DISCESA RECLAMALa discesa reclamacome reclamò l’ascesa.(WILLIAM CARLOS WILLIAMS,

La discesa)capitolo 21

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IL RACCONTO DELLICANTROPO

La verità è che conosco tua madredal giorno in cui è nata. Siamo cresciutia Idris. È un posto magnifico e mi èsempre dispiaciuto tantissimo che tu nonl’abbia mai visto: adoreresti i suoi pinilucidi d’inverno, la terra scura e i fiumicristallini. C’è una piccola rete di paesie una sola città, Alicante, dove siriunisce il Conclave. La chiamano laCittà di Vetro: le sue torri sono fattedella stessa sostanza antidemoni deinostri stilo e alla luce del solescintillano come fossero di vetro.

Quando io e Jocelyn fummo grandiabbastanza, venimmo mandati a scuola

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ad Alicante. Fu lì che conobbi Valentine.Aveva un anno più di me ed era

decisamente il ragazzo più popolaredella scuola. Era bello, intelligente,ricco, coscienzioso, un guerrieroeccezionale. Io non ero niente, né ricconé brillante, provenivo da una qualsiasifamiglia di campagna e dovevo darmi dafare per restare a galla con gli studi.Jocelyn era una Cacciatrice nata, io no.Non sopportavo nemmeno il più leggerodei marchi e non riuscivo a imparareneanche le tecniche più semplici. Avolte pensavo di scappare via, ditornarmene a casa coperto divergogna… addirittura di diventare unmondano. Ero distrutto.

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Fu Valentine a salvarmi. Venne nellamia stanza… io credevo che non sapesseneppure il mio nome. Si offrì diaddestrarmi. Disse che sapeva chefacevo fatica, ma che vedeva in me ilseme di un grande Cacciatore. E sotto lasua tutela migliorai. Passai gli esami,presi il mio primo marchio, uccisi il mioprimo demone.

Lo adoravo. Dio, se lo adoravo!Pensavo che il sole sorgesse e tramon-tasse solo per Valentine Morgenstern. Loseguivo come un cagnolino. Luisembrava gentile… era gentile. Io nonero l’unico sbandato che aveva salvato,naturalmente. Ce n’erano degli altri.Hodge Starkweather, che andava

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d’accordo più coi libri che con lepersone. Maryse Trueblood, il cuifratello aveva sposato una mondana…Robert Lightwood, che aveva il terroredei marchi. Valentine li aveva presi tuttisotto la sua ala. E loro lo amavano,come me.

Era pieno di passione già allora. Eraossessionato dall’idea che a ognigenerazione ci fossero sempre menoCacciatori, che fossimo una specie invia d’estinzione. Era sicuro che se ilConclave avesse usato di più la Coppadi Raziel si sarebbero potuti creare piùShadowhunters. Per gli insegnanti questaidea era un sacrilegio… Non tuttipossono decidere chi può o no diventare

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un Cacciatore. “Ma allora” chiedevaValentine “perché non trasformare tuttigli uomini in Cacciatori? Perché nondonare a tutti la capacità di vedere ilMondo Invisibile? Perché tenere questopotere egoistica-mente solo per noi?”

Gli insegnanti non sapevano cosarispondere e Valentine era tantoaffascinante quando poneva questadomanda - tanto onesto e serio - cheraramente si arrabbiavano con lui. Perquanto riguardava gli studenti, molti loritenevano un rivoluzionario. Il nostrogruppo fondò il Circolo con l’intentodichiarato di trovare la Coppadell’Angelo e salvare la razza deiCacciatori dall’estinzione.

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Naturalmente, avendo diciassette anni,le nostre attività consistevano soprattuttonell’andarcene in giro di notte per lecampagne e ubriacarci. Ma eravamosicuri che alla fine avremmo fattoqualcosa di si-gnificativo, anche se nonsapevamo bene cosa né come.

Poi giunse la notte in cui il padre diValentine fu ucciso in un’incursione diroutine in un accampamento di lupimannari. Quando Valentine tornò ascuola dopo il funerale, portava i marchirossi del lutto. Ma era diverso anche inaltre cose. Ora la sua gentilezza sialternava a lampi di rabbia cherasentavano la crudeltà. Io diedi lacolpa di questo nuovo comportamento al

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dolore per la perdita del padre e cercaidi compiacerlo ancora più di prima.Non rispondevo mai alla sua rabbia conaltra rabbia. Avevo soltanto l’orribilesensazione di averlo deluso.

L’unica persona che riusciva asedare i suoi accessi di rabbia era tuamadre. Lei si era sempre tenuta un po’ indisparte dal nostro gruppo e a volte ciprendeva in giro chiamandoci il “fanclub di Valentine”. Questa cosa cambiòcon la morte di suo padre. Il dolore diValentine risvegliò l’empatia di tuamadre. E si innamorarono.

Anche io lo amavo: era il miomigliore amico ed ero felice di vedereJocelyn con lui. Quando terminammo la

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scuola, si sposarono e andarono a viverenella tenuta della famiglia di lei. Ancheio tornai a casa, ma il Circolo non smisedi esistere. Era nato come una specie diavventura scolastica, ma era cresciutosia per dimensioni sia per potere, eValentine era cresciuto con esso. IlCircolo chiedeva ancora a gran vocel’uso della Coppa Mortale, ma dopo lamorte di suo padre, Valentine eradiventato un fervido sostenitore dellaguerra contro i Nascosti, e non soloquelli che infrangevano gli Accordi.Questo mondo era per gli umani, diceva,non per i mezzi demoni. Non ci si potevafidare dei demoni.

Io non approvavo la nuova direzione

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presa dal Circolo, ma gli restai fedele,in parte perché non tolleravo il pensierodi deludere Valentine, in parte perchéme lo chiese Jocelyn. Lei sperava che iopotessi portare un po’ di moderazioneall’interno del Circolo, ma eraimpossibile. Non c’era modo dimoderare Valentine, e Robert e Maryse -che ora si erano sposati - erano ancorapeggio. Solo Michael Wayland eraincerto, come me, ma nonostante lanostra riluttanza restavamo fedeli algruppo. Eravamo instancabili nel dare lacaccia ai Nascosti, cercando quelli cheavevano commesso anche la più piccoladelle infrazioni. Valentine uccise unacreatura che non aveva infranto gli

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Accordi, e fece anche altre cose… Io lovidi personalmente legare delle moneted’argento sugli occhi di una bambinalicantropo e poi farle diventareincandescenti per farsi dire dov’era suofratello… lo vidi…

ma perdonami, non è necessario chetu senta queste cose.

Ciò che accadde in seguito fu cheJocelyn scoprì di essere incinta. Ilgiorno in cui me lo disse mi confessòanche che ormai aveva paura di suomarito. Il suo comportamento eradiventato strano, arbitrario. Sparivanelle loro cantine per notti intere. Avolte lei sentiva delle urla attraverso lepareti…

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Andai da lui. Valentine scoppiò aridere, liquidando le paure di Jocelyncome i vaneggiamenti di una donna allasua prima gravidanza. Mi invitò adandare a caccia con lui quella notte.Stavamo ancora cercando di ripuli-re latana dei licantropi che avevano uccisosuo padre anni prima. Noi due eravamoparabatai, una coppia perfetta diCacciatori, guerrieri pronti a morirel’uno per l’altro. Così, quando quellanotte Valentine mi disse che mi avrebbeguardato le spalle, gli credetti. Non vidiil lupo finché non mi fu addosso.Ricordo i suoi denti che affondavanonella mia spalla e poi nient’altro.Quando mi svegliai ero sdraiato in casa

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di Valentine, la spalla fasciata, e Jocelynera lì con me.

Non tutti i morsi di lupo mannaroportano alla licantropia. Io guarii dallaferita e passai le settimane successivenel tormento dell’attesa. Stavoaspettando la luna piena. Il Conclave miavrebbe chiuso in una cella diosservazione, se l’avesse saputo. MaValentine e Jocelyn non dissero nulla.Tre settimane dopo, la luna era piena eio iniziai a cambiare. Il primo Cambia-mento è sempre il più difficile. Ricordolo smarrimento dell’agonia, il buio, ilrisveglio ore più tardi in un prato achilometri di distanza dalla città, nu-doe coperto di sangue, il corpo a brandelli

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di qualche piccolo animale sel-vatico aimiei piedi.

Tornai alla tenuta e loro mi venneroincontro sulla porta. Jocelyn miabbracciò in lacrime, ma Valentine laallontanò da me. Mi gettò una copertaper coprirmi. Io restai lì immobile,insanguinato e tremante. Riuscivo amalapena a pensare, e sentivo ancora inbocca il sapore della carne cruda.

Non so cosa mi aspettassi, ma avreidovuto immaginarlo.

Valentine mi trascinò giù per le scalee poi tra gli alberi. Mi disse cheavrebbe dovuto uccidermi, mavedendomi in sembianze umane nonriuscì a farlo. Mi diede un pugnale che

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era appartenuto a suo padre… erad’argento, e quando lo toccai mi bruciò.Disse che avrei dovuto fare una cosapulita e onorevole e mettere fine allamia vita. Baciò la lama quando me laporse e poi tornò in casa e sbarrò laporta.

Io mi vestii e corsi per tutta la notte,a tratti in forma d’uomo e a tratti di lupo,finché non superai il confine. Corsi inmezzo all’accampamento dei licantropibrandendo il mio pugnale e chiesi diincontrare in duello il lupo che mi avevamorso e mi aveva trasformato in uno diloro. Loro risero e mi indicarono ilcapobranco, che si alzò ad affrontarmicon le mani e i denti ancora insanguinati

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per la caccia.Non sono mai stato un granché nelle

mischie. La mia arma era la bale-stra.Avevo una mira e una vista ottime. EraValentine quello bravo nelcombattimento corpo a corpo. Mavolevo solo morire e portare con me lacreatura che mi aveva rovinato. Credodi aver pensato che, se avessi ven-dicato me stesso e ucciso i lupi cheavevano assassinato suo padre,Valentine avrebbe pianto la mia morte.Mano a mano che lottavamo, ora comeuomini e ora come lupi, il mioavversario iniziò a stancarsi, ma la miarabbia non diminuiva. E mentre il soleiniziava a tramontare un’altra volta af-

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fondai il pugnale nel collo dellicantropo, che morì inondandomi delsuo sangue.

Mi aspettavo che il branco misaltasse addosso e mi facesse a pezzi.Invece si inginocchiarono ai miei piedi emi mostrarono la gola in segno disottomissione. I lupi hanno una legge:chiunque uccida il capobranco prende ilsuo posto. Io ero venuto alla casa deilupi e anziché trovare la morte e lavendetta avevo trovato una nuova vita.

Mi lasciai alle spalle la mia vecchiaidentità e quasi dimenticai cosa volessedire essere un Cacciatore. Ma nondimenticai Jocelyn. Il pensiero di lei nonmi abbandonava mai. Avevo paura per

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lei, in compagnia di Valentine, masapevo che se mi fossi avvicinato allaloro tenuta il Circolo mi avrebbe dato lacaccia e mi avrebbe ucciso.

Alla fine fu lei a venire da me. Stavodormendo all’accampamento, quando ilmio secondo venne a dirmi che c’era unagiovane Cacciatrice che volevavedermi. Capii immediatamente di chi sitrattava. Mentre correvo a incontrarla,vidi la disapprovazione nello sguardodel mio secondo. Sapevano tutti che erostato un Cacciatore, naturalmente, maera considerato un segreto di cuivergognarsi e del quale non si facevamai parola. Valentine l’avrebbe trovatodavvero divertente.

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Lei mi stava aspettando appena fuoridall’accampamento. Non era più incintae sembrava provata e pallida. Suo figlioera nato, mi disse. Un ma-schio. Loaveva chiamato Jonathan Christopher.Quando mi vide scoppiò a piangere. Erafuriosa, perché non le avevo fatto sapereche ero ancora vivo.

Valentine aveva detto al Circolo chemi ero tolto la vita, ma lei non gli avevacreduto. Sapeva che non avrei mai fattouna cosa del genere. Pensai che la suafiducia in me era malriposta, ma erotanto felice di rivederla che non lacontraddissi.

Le chiesi come avesse fatto atrovarmi. Lei disse che ad Alicante si

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parlava di un licantropo che un tempoera stato un Cacciatore. Anche Valentineaveva sentito quelle voci e lei eravenuta a mettermi in guardia. E infattipoco dopo arrivò anche lui, ma io minascosi come sanno fare i lupi mannari,e lui se ne andò senza spargimenti disangue.

Dopo quella volta, iniziai aincontrare Jocelyn in segreto. Era l’annodegli Accordi, e tutto il MondoInvisibile non parlava che di questo edei probabili progetti di Valentine permandarli a monte. Mi giunse voce cheaveva parlato con veemenza al Conclavecontro gli Accordi, ma senza alcunsuccesso. Così il Circolo elaborò un

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nuovo piano segreto. Noi allora non losapevamo, ma l’obiettivo finale era laguerra. Il Circolo si era allea-to con idemoni - i peggiori nemici deiCacciatori - per procurarsi le armi daintrodurre di nascosto nella Saladell’Angelo, dove sarebbero statifirmati gli Accordi. E da un demoneValentine aveva recuperato anche laCoppa Mortale. Al suo posto avevalasciato una copia: sarebbero passatimesi prima che il Conclave siaccorgesse che la Coppa era scomparsa,e a quel punto sarebbe stato troppo tardi.

Jocelyn cercò di scoprire cosaavesse intenzione di fare Valentine conla Coppa, ma non ci riuscì. Scoprì però

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che il Circolo progettava di attaccare iNascosti disarmati e massacrarli tuttinella Sala. Dopo un macello tantobrutale, gli Accordi sarebbero saltati.

Incredibilmente, e nonostante ilcaos, quelli furono dei giorni felici. Io eJocelyn mandammo di nascosto deimessaggi alle fate, agli stregoni epersino ai più antichi nemici deilicantropi, i vampiri, per avvisarli deipiani di Valentine e chiedere loro diessere pronti a dare battaglia.Lavorammo insieme, licantropo eNephilim.

Il giorno degli Accordi, io guardaida un punto nascosto Jocelyn e Valentineche lasciavano la loro tenuta. Ricordo

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come lei si chinò, avvolta in uno scialledorato e rosso, a baciare la testabiondissima di suo figlio. Ricordo comeil sole illuminava i capelli di Jocelyn.Ricordo il suo sorriso.

Andarono ad Alicante in carrozza. Ioli seguii a quattro zampe e il mio brancocorse con me. La grande Saladell’Angelo era affollata: c’erano ilConclave al gran completo enumerosissimi Nascosti. Quandovennero presentati gli Accordi per lafirma, Valentine si alzò in piedi e ilCircolo si alzò con lui, liberandosi deimantelli per sollevare le armi. Mentrenella Sala esplodeva il caos, Jocelyncorse verso le grandi porte e le

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spalancò.Il mio branco fu il primo a

raggiungere la porta. Irrompemmo nellaSala lacerando la notte con i nostriululati, seguiti dai cavalieri delle fatecon armi di vetro e spine ritorte. Dopodi loro entrarono i Figli della Notte conle zanne scoperte e gli stregoni armati diferro e fuoco. Mentre la folla in preda alpanico lasciava la Sala, noi cilanciammo sui membri del Circolo.

La Sala dell’Angelo non aveva maivisto un tale spargimento di sangue.

Cercammo di non fare del male aiCacciatori che non facevano parte delCircolo: Jocelyn li marchiò uno a unocon un incantesimo da stregoni. Ma

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molti morirono, e temo che la colpa dialcune di queste morti fu nostra. Sta difatto che in seguito ci incolparono dimolte di esse. Per quanto riguarda ilCircolo, i suoi membri erano molto piùnumerosi di quanto avessimoimmaginato e lottarono valorosamentecontro i Nascosti. Io fendetti la folla allaricerca di Valentine. Il mio unicopensiero era lui. Volevo essere io aucciderlo. Alla fine lo trovai accantoalla grande statua dell’Angelo cheuccideva un cavaliere delle fate con uncolpo del suo pugnale insanguinato.Quando mi vide, sorrise, feroce e ferino.«Un lupo mannaro che combatte conspada e pugnale» disse «è innaturale

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come un cane che mangia con forchetta ecoltello.»

«Conosci la spada, conosci ilpugnale» replicai io «e sai chi sono. Seti devi rivolgere a me, usa il mio nome.»

«Non conosco il nome deimezzosangue» disse Valentine. «Unavolta avevo un amico, un uomo d’onoreche sarebbe morto piuttosto chepermettere che il suo sangue venisseinquinato. Ora ho di fronte un mostrosenza nome con il suo volto.» Sollevò lasua arma. «Avrei dovuto uccidertiquando era il momento» urlò mentre silanciava contro di me.

Parai il colpo e combattemmo su egiù per il palco, mentre la battaglia ci

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infuriava attorno e i membri del Circolocadevano uno a uno. Vidi i Lightwoodgettare le armi e scappare, mentreHodge se l’era data a gambe già da unpezzo. E vidi Jocelyn che correva su perle scale, verso di me, il voltotrasformato in una maschera di terrore.«Valentine, fermati!» urlò.

«È Luke, il tuo amico, il tuo fratellodi sangue…»

Valentine la afferrò con un ringhio ese la strinse al petto portandole ilcoltello alla gola. Io arretrai. Se nonavessi avuto i riflessi di un animale, piùveloci di quelli di un uomo, sarebbemorta in quel momento. Lasciai caderela spada. Non volevo rischiare che le

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facesse del male. Lui lo capì.«L’hai sempre voluta» sibilò. «E

adesso voi due avete complottatoinsieme per tradirmi. Vi pentirete diquello che avete fatto finché avretevita.» Finché non lo disse Valentine, nonavevo capito che cosa provavo per lei.Lui lo aveva capito prima di me.

Valentine strappò il ciondolo dallagola di Jocelyn e me lo lanciò. Lacatenella d’argento mi bruciò come unafrusta. Urlai e arretrai e in quel momentolui svanì in mezzo alla mischia,trascinando con sé Jocelyn. Lo seguii,ustionato e sanguinante, ma era troppoveloce, si faceva strada a colpi di spadaattraverso la folla e passava sopra ai

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cadaveri.Uscii barcollando alla luce della

luna. La Sala stava bruciando e il cieloera illuminato dalle fiamme. Potevovedere tutto, dai prati verdi della capi-tale al fiume scuro, e la strada lungo gliargini dove tutti stavano fuggendo nellanotte. Alla fine trovai Jocelyn sulla rivadel fiume. Valentine era scomparso e leiera terrorizzata per quello che sarebbepotuto succedere a Jonathan e voleva atutti i costi tornare a casa. Trovammo uncavallo e lei partì al galoppo. Presiforma di lupo e mi lanciaiall’inseguimento.

I lupi sono veloci, ma un cavalloriposato lo è di più. Restai indietro e lei

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arrivò alla tenuta prima di me.Mentre mi avvicinavo alla casa,

capii che c’era qualcosa di terribilmentesbagliato. Anche qui l’odore del fuocoappesantiva l’aria e c’era qualcos’altroche gli si sovrapponeva, qualcosa didenso e dolce… il fetore della magiademoniaca. Ripresi forma umana, mentrezoppicavo per il lungo viale d’ingresso,bianco alla luce della luna, come unfiume d’argento che portava… a dellerovine. La casa padronale era stataridotta in cenere, strati su strati dileggerissima polvere bianca dispersa suiprati dalla brezza notturna. Solo lefondamenta erano ancora visibili, comeossa bruciate: qui una finestra, là un

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comignolo inclinato… ma la sostanzadella casa, i mattoni e la malta, i libriinestimabili e gli antichi arazzitramandati da generazioni diShadowhunters, erano cenere che volavasotto la luna.

Valentine aveva distrutto la casa conil fuoco demoniaco. Deve essere andatacosì. Nessun fuoco di questo mondo ètanto caldo e si lascia dietro di sé cosìpoco.

Io avanzai tra le rovine ancorafumanti. Trovai Jocelyn inginocchiata suquelli che forse erano stati i gradinidell’ingresso. Erano anneriti dal fuoco.

E… c’erano delle ossa. Ossacarbonizzate, indubbiamente umane, con

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dei brandelli di stoffa qua e là e pezzi digioielli che il fuoco non aveva recla-mato. Dei fili rossi e dorati erano ancoraattaccati alle ossa della madre diJocelyn, e il calore aveva fuso ilpugnale della donna alla sua manoschele-trita. In mezzo a un’altra pila diossa, scintillava l’amuleto d’argento diValentine, con lo stemma del Circoloancora incandescente… E in mezzo aisuoi resti, sparse come se fossero statetroppo fragili per restare attaccate,c’erano le ossa di un bambino, unbambino piccolo…

Vi pentirete di quello che avetefatto, aveva detto Valentine. E mentre miinginocchiavo accanto a Jocelyn sulle

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pietre bruciate del pavimento, seppi cheaveva ragione. Me ne pentii, e da quelgiorno me ne sono sempre pen-tito.

Tornammo in città quella notte, tra ifuochi ancora accesi e la folla ur-lante, epoi ci allontanammo nel buio dellecampagne. Passò una settimana primache Jocelyn tornasse a parlare. La portaifuori da Idris. Volammo a Parigi. Nonavevamo soldi, ma lei rifiutò di andareall’Istituto di quella città e chiedereaiuto. Non voleva più avere a che farecon i Cacciatori, mi disse, e nemmenocon il Mondo Invisibile.

Ci sedemmo nella minuscola stanzad’albergo che avevamo preso in af-fittoe cercai di farla ragionare, ma non servì

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a nulla. Era ostinata. Almeno mi disse ilperché: portava dentro di sé un altrobambino e lo sapeva da settimane. Sisarebbe costruita una nuova vita per sé eil suo piccolo e in futuro non voleva piùsentir parlare né di Conclave né diAlleanza. Mi mostrò l’amuleto cheaveva preso dalle ossa di Valentine: lovendette al mercato delle pulci diClignancourt e con quei soldi comprò unbiglietto aereo.

Non volle dirmi dove era diretta.Più lontano fosse riuscita ad andare daIdris, mi disse, meglio sarebbe stato.

Sapevo che lasciarsi alle spalle lasua vecchia vita per lei voleva direlasciarsi alle spalle anche me, e cercai

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di convincerla a non farlo, ma non servì.Sapevo che se non fosse stato per ilfiglio che portava in grembo si sarebbetolta la vita, e dato che saperla in mezzoai mondani era sempre meglio chesaperla morta, alla fine accettaicontrovoglia il suo piano. E fu così chela salutai all’aeroporto di Orly.Eravamo come bambini sbalorditi,circondati da tutto quell’acciaio e quelvetro. Gli aeroplani che sibilavanosopra le nostre teste come demoni alatimi fecero rabbrividire mentre michinavo a baciarle una guancia.

Dopo che se ne fu andata, io tornaial mio branco, ma non trovai più pa-ce.C’era già un vuoto doloroso dentro di

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me, e mi svegliavo sempre con il suonome sulle labbra: Jocelyn, Jocelyn.Non ero più il capobranco che ero stato,e lo sapevo benissimo. Ero giusto edequo, ma distante. Tra i lupi nonriuscivo a trovare né amici né unacompagna. Ero troppo umano…

troppo Cacciatore… per trovarepace tra i licantropi. Cacciavo, ma lacaccia non mi dava soddisfazione, equando alla fine giunse il momento difirmare gli Accordi, andai in città perfarlo, pensando forse che nella capi-tale,dove non ero conosciuto, avrei potutotrovare requie.

Nella Sala dell’Angelo, ripulita dalsangue, i Cacciatori e i quattro rami dei

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semiumani si sedettero di nuovo insiemeper firmare i documenti che avrebberoportato tra noi la pace. Mi sbalordìtrovare lì i Lightwood, che sembravanoaltrettanto stupiti di vedermi ancoravivo. Mi dissero che loro, insieme aHodge Starkweather e Michael Wayland,erano gli unici membri del Circolo aessere sfuggiti alla morte quella nottenella Sala. Michael, distrutto dal doloreper la perdita della moglie, si erarifugiato nella sua tenuta di campagnainsieme al figlio. Il Conclave avevapunito gli altri tre con l’esilio:sarebbero partiti per New York, doveavrebbero gestito l’Istituto. I Lightwood,che avevano delle conoscenze tra le

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famiglie più in vista del Conclave, se lacavarono con una sentenza decisamentepiù mite di quella di Hodge. Su di luivenne scagliata una maledizione:sarebbe andato con loro ma se maiavesse lasciato la terra consacratadell’Istituto sarebbe statoimmediatamente abbattuto. Si era moltodedicato agli studi, dissero, e sarebbestato un buon tutore per i loro figli.

«È una fortuna per lui che Valentinesia morto» dissi a Lightwood,ricordando come Hodge era fuggitodalla Sala non appena erano iniziati icombattimenti. «La sua vendetta sarebbestata molto più severa della giustizia delConclave.»

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Vidi la mano di Robert Lightwoodtremare mentre firmava gli Accordi.

«Sì» disse senza convinzione.«Forse siamo stati tutti fortunati.»

Poi ricordai le ultime parole che miaveva detto Jocelyn nella spaventosasala d’aspetto dell’aeroporto di Parigi:Valentine non è morto. Mi alzai dallasedia, uscii dalla Sala e scesi al fiume,dove l’avevo incontrata la notte dellaRivolta. Guardando scorrere le acquescure, capii che non avrei mai potutotrovare pace nella mia patria: dovevostare con lei o da nessun’altra parte.Decisi che l’avrei cercata.

Il mio viaggio verso New York fumolto lento. Lasciai il mio branco,

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nominando un altro al mio posto: credofossero sollevati di vedermi partire,anche se finsero di essere dispiaciuti emi caricarono di regali d’addio.

Viaggiai come viaggiano i lupi senzaun branco: da solo, di notte, per stradesecondarie e viottoli di campagna.Tornai a Parigi, ma non vi trovai alcunindizio, poi a Londra. Da Londra presiuna nave per Boston e passai unasettimana a barcollare per i ponti,nauseato e in preda ai deliri. I lupi nonsi adattano bene ai viaggi per mare.

Restai per un po’ nelle città, poisulle Montagne Bianche del gelido nord.

Viaggiai molto, ma mi ritrovaisempre più spesso a pensare a New

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York e ai Cacciatori esiliati in quellacittà. Anche Jocelyn, in un certo senso,era in esilio. Alla fine arrivai a NewYork con solo una borsa di tela e senzala minima idea di dove cercare tuamadre. Per me sarebbe stato faciletrovare un branco a cui unirmi, maresistetti alla tentazione. Come avevofatto in altre città, diffusi nel MondoInvisibile la notizia che cercavoqualsiasi segno di Jocelyn, ma nontrovai nulla, come se fossesemplicemente scomparsa tra i mondanisenza lasciare traccia. Iniziai adisperare.

Alla fine la trovai per caso. Stavovagando per le strade di SoHo. In

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Broome Street un dipinto appeso nellavetrina di una galleria d’arte catturò lamia attenzione.

Era lo studio di un paesaggio chericonobbi immediatamente: la vistadalle finestre della magione diValentine, i prati verdi che scendevanofino alla linea di alberi che nascondevala strada retrostante. Riconobbi il suostile, la sua pennellata, tutto quanto.Bussai alla porta della galleria, ma erachiusa. Tornai a guardare il dipinto equesta volta vidi la firma. Era la primavolta che vedevo il suo nuovo nome:Jocelyn Fray.

La trovai quella sera stessa in unappartamento senza ascensore al quinto

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piano nel quartiere degli artisti, il WestVillage. Salii quelle scale tetre esemibuie con il cuore in gola e bussaialla sua porta. Mi aprì una bambina conle trecce rosso scuro e uno sguardoindagatore. E poi, dietro di lei, vidiJocelyn che veniva verso di me, le manisporche di vernice e il volto identico acome era quando eravamo bambini.

Il resto lo sai.capitolo 22

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LE ROVINE DIRENWICK

Per un lungo momento dopo cheLuke ebbe terminato di parlare, nellastanza regnò il silenzio. Gli unici suonierano il lieve sgocciolio dell’acqualungo le pareti piastrellate e loscoppiettio del fuoco nel camino. Allafine Luke disse: «Di’ qualcosa, Clary.»

«E cosa vuoi che dica?»L’uomo sospirò. «Magari che adesso

capisci?»Clary sentiva il sangue che le

pulsava nelle orecchie. Si sentiva comese la sua vita fosse stata costruita su unalastra di ghiaccio sottile come un fogliodi carta e ora quel ghiaccio stava

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iniziando a creparsi, minacciando digettarla nel buio gelido sotto di lei.Nell’acqua scura, pensò, dove tutti isegreti di sua madre galleggiavano nellacorrente, i relitti mai dimenticati di unavita naufragata.

Sollevò lo sguardo su Luke.Sembrava vacillante, indistinto, come selo vedesse attraverso uno strato d’acqua.«Mio padre» disse. «La fotografia che lamamma ha sempre tenuto sul camino…»

«Quello non era tuo padre» disseLuke.

«È mai esistito, almeno?» Clary alzòla voce. «È mai esistito un John ClarkFray o mia mamma si è inventata anchelui? Perché io ho visto la fo-to… le sue

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medaglie dell’esercito…»«John Clark Fray è esistito. Ma non

era tuo padre. Era il figlio di due vicinidi tua madre quando vivevate nel WestVillage. Morì durante delle manovremilitari in Medio Oriente, ma lei nonl’ha mai conosciuto. Aveva la sua fotoperché i vicini le avevanocommissionato un suo ritratto inuniforme. Diede loro il ritratto ma sitenne la foto e finse che quell’uomofosse tuo padre. Penso che le sembrassepiù facile così… in fondo, se ti avessedetto che era scappato o scomparso,avresti voluto cercarlo. Un uomomorto…»

«Non verrà mai a contraddire le tue

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bugie» terminò la frase Clary,amareggiata. «Non ha pensato che fossesbagliato farmi credere per tutti queglianni che mio padre era morto, quando ilmio vero padre…»

Luke non disse nulla e lasciò chefosse lei a trovare la fine di quella frase,che fosse lei a pensare da sola quelpensiero impensabile.

«È Valentine.» Le tremò la voce. «Èquesto che mi stai dicendo, vero?

Che Valentine era… è… miopadre?»

Luke annuì, le dita intrecciatel’unico segno della tensione cheprovava.

«Sì.»

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«Oh, mio Dio.» Clary balzò in piedi.Non riusciva più a stare ferma. Siavvicinò a grandi passi alle sbarre dellacella. «Non è possibile. Non è propriopossibile.»

«Clary, per favore, non agitarti…»«Non agitarti? Mi stai dicendo che

mio padre è un Signore del Male e vuoiche non mi agiti?»

«Non era malvagio, all’inizio» disseLuke come se volesse giustificarlo.

«Oh, scusa se non sono d’accordo,sai? Io penso che fosse chiaramentemalvagio. Tutta quella roba che andavain giro a dire sul mantenere pura la razzaumana e sull’importanza di un sanguenon corrotto… Era come uno di quei

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nazisti invasati. E voi due ci sietecascati in pieno.»

«Non ero io a parlare di “viscidiNascosti”, pochi minuti fa» disse Luke abassa voce. «O di come non ci si possafidare di loro.»

«Non è la stessa cosa!» Clarysentiva di essere sul punto di scoppiarea piangere. «Avevo un fratello» proseguìappena trovò la calma sufficiente perriprendere a parlare. «E dei nonni. Sonomorti?»

Luke annuì guardandosi le grandimani posate in grembo. «Sono morti.»

«Jonathan» disse lei con un filo divoce. «Sarebbe stato più grande di medi un anno, giusto?»

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Luke non rispose nulla.«Ho sempre voluto un fratello.»«Non torturarti» disse Luke con

un’espressione triste. «Lo capisciperché tua madre non ti ha mai dettonulla, vero? A cosa ti sarebbe servitosapere cosa avevi perso ancora prima dinascere?»

«Quella scatola» disse Clary con lamente che funzionava a velocità folle.«Quella con su scritto J.C. JonathanChristopher. Era su quella scatola chestava piangendo, su quella ciocca dicapelli… era di mio fratello, non di miopadre.»

«Sì.»«E quando hai detto “Clary non è

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John”… parlavi di mio fratello. Miamamma era iperprotettiva con me perchéle era già morto un figlio.»

Prima che Luke potesse rispondere,la porta della cella si aprì ed entròGretel. Il kit del pronto soccorso, cheClary aveva immaginato come unascatola di plastica con sopra una crocerossa, si rivelò essere qualcosa disimile a un vassoio di legno carico dibende piegate, ciotole fumanti di liquidinon identificati ed erbe chediffondevano un profumo aspro epungente. Gretel appoggiò il vassoioaccanto alla branda e fece segno a Clarydi sedersi, cosa che la ragazza fececontrovoglia.

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«Brava ragazza» disse la donna-lupointingendo un panno in una delle ciotolee portandolo al volto di Clary. Le lavòvia delicatamente il sangue secco.«Cosa ti è successo?» chiese con un’ariacontrariata, come se pensasse che Clarysi era grattugiata la faccia apposta.

«Me lo stavo chiedendo anch’io»disse Luke mentre osservava la scena abraccia conserte.

«Hugo mi ha attaccata.» Clary cercòdi non ritrarsi, mentre il liquido aspro lefaceva bruciare le ferite.

«Hugo?» Luke sbatté le palpebre.«Il corvo di Hodge. O almeno credo

fosse suo. O forse era di Valentine.»«Hugin» disse Luke sottovoce.

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«Hugin e Munin erano gli uccelli dacaccia di Valentine. I loro nomisignificano Pensiero e Memoria.»

«Be’, dovrebbero significareAttacca e Uccidi» disse Clary. «Hugo miha quasi strappato gli occhi.»

«È quello che è addestrato a fare.»Luke stava tamburellando con le dita diuna mano su un braccio. «Hodge deveaverlo preso dopo la Rivolta. Ma è unacreatura di Valentine.»

«Proprio come Hodge» disse Clarycon una smorfia, mentre Gretel le pulivail lungo taglio sul braccio, incrostato dipolvere e sangue secco, e iniziava afasciarla.

«Clary…»

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«Non voglio più parlare delpassato» lo aggredì lei. «Voglio saperecosa faremo adesso. Ora Valentine hadue ostaggi… e la Coppa. E noi nonabbiamo niente.»

«Non direi che non abbiamo niente»disse Luke. «Abbiamo un piccoloesercito. L’elemento problematico è chenon sappiamo dove sia Valentine.»

Clary scosse il capo, qualche ciuffole ricadde sugli occhi e lei se lo spinseindietro con un gesto impaziente. Dio,quanto era sporca! La cosa chedesiderava più di ogni altra (be’, quasipiù di ogni altra) era una doccia.

«Valentine non ha una specie dinascondiglio? Un covo segreto?»

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«Se lo ha» rispose secco Luke «èstato molto bravo a tenerlo segreto.»

Gretel lasciò andare Clary, chemosse il braccio con cautela. Il balsamoverdastro che le aveva spalmato sultaglio aveva ridotto molto il dolore, masi sentiva ancora il braccio rigido elegnoso. «Aspetta un secondo»

mormorò Clary.«Non ho mai capito perché la gente

dica frasi del genere» disse Luke.«Non me ne sto affatto andando.»«Valentine è da qualche parte a New

York. Questo lo dicono tutti.»Luke annuì. «Così pare.»«Quando l’ho visto all’Istituto, è

uscito da un Portale. Magnus ha detto

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che ci sono solo due Portali a NewYork, uno da Dorothea e uno daRenwick. Quello a casa di Dorothea èstato distrutto, e comunque non me lovedo Valentine a nascondersi lì, percui…»

«Renwick?» Luke sembravasconcertato. «Nessun Cacciatore sichiama Renwick.»

«E se Renwick non fosse unapersona?» disse Clary. «Se fosse unposto?

Tipo un ristorante o un albergo oqualcosa del genere.»

Gli occhi di Luke si allargaronoall’improvviso. Si voltò verso Gretel,che si stava avvicinando con il kit del

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pronto soccorso. «Portami l’elenco deltelefono» disse.

Lei si bloccò, mostrandogli ilvassoio con aria accusatoria. «Ma,signore, le sue ferite…»

«Dimenticati delle mie ferite e vai aprendermi l’elenco del telefono»

scattò lui. «Siamo in una stazione dipolizia, maledizione, ci saranno decinedi vecchi elenchi, no?»

Con un’espressione di sdegnataesasperazione, Gretel appoggiò ilvassoio sul pavimento e uscì dallastanza a passo di marcia. Luke guardòClary da sopra gli occhiali, che glierano un po’ scivolati giù per il naso.«Bella pensata.»

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Lei non rispose. Aveva come unnodo al centro dello stomaco e stavacercando di respirare nonostantequell’ingombrante presenza. L’accennodi un pensiero le solleticò i confini dellacoscienza: voleva trasformarsi inun’idea chiara e definita, ma lei locacciò giù. Non poteva permettersi diusare le sue risorse e le sue energie perqualsiasi cosa oltre a ciò che stavafacendo.

Gretel tornò con delle Pagine Gialledall’aria umidiccia e le lanciò a Lu-ke.Lui aprì il volume stando in piedi,mentre la donna-lupo medicava il suofianco ferito con bende e unguenti.«Sull’elenco ci sono sette Renwick»

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disse dopo un po’. «Nessun ristorante,albergo o altro.» Si spinse sul naso gliocchiali, che scivolarono giù subitodopo. «Non sono Shadowhunters»aggiunse «e mi sembra improbabile cheValentine stabilisca il proprio quartiergenerale nella casa di un mondano o diun Nascosto. Anche se forse…»

«Hai un telefono?» lo interruppeClary.

«Non qui.» Luke, con ancora inmano le Pagine Gialle, rivolseun’occhiata a Gretel. «Puoi andare aprendere il telefono?»

Con uno sbuffo disgustato, la donnagettò sul vassoio il pugno di panniinsanguinati che aveva in mano e uscì

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un’altra volta dalla stanza. Lukeappoggiò sul tavolo l’elenco telefonico,raccolse la benda arrotolata e iniziò adavvolgersela attorno al taglio diagonaleche gli attraversava il costato.

«Scusa» disse a Clary che lo stavafissando. «Lo so che è disgustoso.»

«Se troviamo Valentine» chiese laragazza all’improvviso «possiamoucciderlo?»

Luke lasciò quasi cadere le bende.«Cosa?»

Lei giocherellò con un filo chespuntava dalla tasca dei jeans. «Haucciso mio fratello e i miei nonni. Non ècosì?»

Luke appoggiò sul tavolo le bende e

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si abbassò la camicia. «E ucciden-dolocosa pensi di fare? Di cancellare tuttoquanto?»

Gretel tornò prima che Clary potessedire altro. Aveva un’espressione damartire e portava in mano un vecchiocellulare scassato. Clary si chiese chipagasse le bollette del telefono. Luke?L’Associazione Americana Licantropi?

«Fammi fare una telefonata» disseallungando una mano.

Luke parve esitante. «Clary…»«Riguarda Renwick. Ci vorrà un

secondo.»Lui le consegnò il telefono senza

molta convinzione. Lei compose unnumero dando le spalle a Luke per avere

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l’illusione di un po’ di privacy.Simon rispose al terzo squillo.

«Pronto?»«Sono io.»La voce del ragazzo salì di

un’ottava. «Stai bene?»«Abbastanza. Perché? Hai sentito

Jace e gli altri?»«No, è che tu mi chiami solo quando

c’è qualcosa che non va. E comunquecosa avrebbe dovuto dirmi Jace? C’èqualcosa che non va? È Alec?»

«No» disse Clary. Non volevamentire e dire a Simon che Alec stavabe-ne. «Non è Alec. Senti, ho bisognoche cerchi una cosa su Google per me.»

Simon sbuffò. «Stai scherzando?

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Non ce l’hanno un computer all’Istituto?No, guarda, non rispondere, è meglio.»Clary sentì il rumore di una porta che siapriva e il miagolio del gatto dellamadre di Simon che veniva sloggiatodalla sua postazione sopra la tastiera delcomputer nello studio.

Si immaginò Simon che si sedeva, ledita che si muovevano veloci sui tasti.«Cosa ti devo cercare?»

Glielo disse. Sentì lo sguardopreoccupato di Luke su di sé mentreparlava. Era lo stesso modo in cui laguardava quando aveva undici anni e leera venuta una febbre da cavallo. Leaveva portato dei cubetti di ghiaccio dasucchiare e le aveva letto i suoi libri

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preferiti, facendo tutte le voci deipersonaggi. Clary si chiese perchél’avesse fatto. Non erano parenti. Nonerano nulla l’uno per l’altra, soprattuttonon nel mondo del Conclave, dovecontava solo il sangue.

«Hai ragione» disse Simondistogliendola dai suoi pensieri. «È unposto.

O almeno era un posto. Adesso èabbandonato.»

La mano sudata di Clary scivolò sulcellulare e dovette stringere la presa.«Dimmi tutto.»

« Il più famoso di una lunga seriedi manicomi, carceri per debitori eospedali costruiti su Roosevelt Island

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nell’Ottocento» lesse Simon obbediente« è il Renwick Smallpox Hospital,progettato dall’architetto newyorkeseJacob Renwick per ospitare le vittimein quarantena dell’incontrollabileepidemia di vaiolo che colpìManhattan. L’eccezionale architetturagotica fu costruita interamentesfruttando il lavoro dei carcerati delvicino penitenziario di Blackwell’sIsland. Nel corso del Novecentol’ospedale fu abbandonato e cadde inrovina. L’accesso alla struttura,inquietante e priva di tetto, è vietato. »

«Va bene, basta così» disse Clarycol cuore che batteva all’impazzata.

«Direi che ci siamo. Ma ci vive

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qualcuno, a Roosevelt Island?»«Mica tutti abitano nei quartieri alti,

principessa» disse Simon con fintosarcasmo. «Hai bisogno di unpassaggio?»

«No!» La sua risposta esplosivasorprese anche lei. «È tutto a posto, nonmi serve niente. Volevo solol’informazione.»

«Va bene.» Simon sembrava un po’ferito, pensò Clary, ma si disse che nonaveva importanza. Ciò che importava èche restasse a casa, al sicuro.

Interruppe la chiamata e si voltòverso Luke. «C’è un ospedaleabbandonato all’estremità meridionaledi Roosevelt Island. Si chiama Renwick.

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Penso che Valentine sia lì.»Luke si spinse di nuovo in su gli

occhiali. «Blackwell’s Island. Macerto.»

«Cosa c’entra Blackwell’s Island?Ti ho detto…»

Lui la interruppe con un gesto. «È ilvecchio nome di Roosevelt Island.

Era di proprietà di un’anticafamiglia di Shadowhunters. Avreidovuto ri-cordarmene.» Si voltò versoGretel. «Vai a chiamare Alaric.Abbiamo bisogno di tutti quanti, qui, ilprima possibile.» Le sue labbra eranosollevate in un mezzo sorriso chericordò a Clary il ghigno freddo di Jacedurante i combattimenti. «Di’ loro di

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prepararsi per la battaglia.»Uscirono dalla cella e risalirono in

strada passando per un labirinto di altrecelle e corridoi che alla fine si aprì suquello che in passato era stato l’ingressodi una stazione di polizia. La luceobliqua del tardo pomeriggio gettavastrane ombre sulle scrivanie vuote, sugliarmadietti chiusi a chiave coi buchi neridelle termiti, sul pavimento crepato conle piastrelle che componevano il mottodella polizia di New York: Fidelis admortem.

«Fedeli fino alla morte» tradusseLuke, seguendo lo sguardo di Clary.

«Lasciami indovinare» disse Clary.«All’interno è una stazione di polizia

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abbandonata, ma dall’esterno i mondanivedono solo un palazzo in attesa didemolizione o un cantiere o…»

«In effetti dall’esterno sembra unristorante cinese» disse Luke. «Solopiatti da asporto, niente servizio aitavoli.»

«Un ristorante cinese?» gli fece ecoClary incredula.

Luke scrollò le spalle. «Be’, siamo aChinatown. Questa una volta era lacentrale del secondo distretto.»

«La gente troverà strano che non cisia un numero di telefono da chiamareper le ordinazioni.»

Luke sorrise. «E invece c’è. Soloche non rispondiamo spesso. A volte, se

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si annoia, qualche lupacchiotto va a farele consegne.»

«Mi stai prendendo in giro.»«Per niente. Le mance tornano utili.»

Aprì la porta d’ingresso, lasciandoentrare un po’ di luce solare.

Ancora incerta se Luke la stesseprendendo in giro o no, Clary lo seguìattraverso Baxter Street fino al punto incui aveva parcheggiato. L’interno delfurgone era piacevolmente familiare. Ilvago odore di legno e carta vecchia esapone, i vecchi dadi di peluche appesiallo specchietto retrovisore che lei gliaveva regalato quando aveva dieci anniperché assomigliavano ai dadi appesiallo specchietto del Millennium Falcon.

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Le cartine di cicca vuote e i bicchieridel caffè che rotolavano sul pavimento.Clary si issò al posto del passeggero esi accomodò contro il poggiatesta con unsospiro. Era più stanca di quanto fossedisposta ad ammettere.

Luke le chiuse la portiera. «Restalì.»

Lei lo guardò parlare con Gretel eAlaric, in piedi sui gradini della vecchiastazione di polizia, in paziente attesa.Clary si divertì a lasciare che i suoiocchi vedessero al di làdell’incantesimo, per poi tornareall’immagine iniziale. Ora era unavecchia stazione di polizia, poi unavetrina male in arnese con un’insegna

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gialla che diceva CUCINA CINESELUPO DI GIADA.

Luke stava indicando qualcosa lungola strada ai suoi due ufficiali. Il suopickup era il primo automezzo di unafila di furgoni, moto, fuoristrada, conanche un vecchio scuolabus mezzoscassato. La coda di veicoli si estendevalungo tutto l’isolato, per poi svoltarel’angolo. Un convoglio di licantropi.Clary si chiese come avessero fatto afarsi prestare, rubare o requisire tuttiquei mezzi in così poco tempo. Il latopositivo era che non avrebbero dovutoprendere i mezzi pubblici.

Luke prese un sacchetto di cartabianca da Gretel e con un cenno del ca-

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po indicò il furgone. Mentre incastravail proprio corpo allampanato dietro ilvolante, consegnò il sacchetto a Clary.«Tu sei responsabile di questo.»

Clary rivolse un’occhiata sospettosaal sacchetto. «Cosa sono? Armi?»

Le spalle di Luke vibrarono di unarisata muta. «Panini cinesi al vapore»

disse mentre partivano. «E caffè.»Clary aprì il sacchetto mentre si

dirigevano verso Uptown. Il suostomaco stava rumoreggiandofuriosamente. Divise in due un panino egustò il ricco sapore salato del maiale ela gommosità dell’impasto bianco. Lobuttò giù con una sorsata di caffè nerodolcissimo e offrì un panino a Luke. «Ne

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vuoi uno?»«Certo.» Era quasi come ai vecchi

tempi, pensò Clary mentre si infila-vanoin Canal Street, quando prendevano unsacchetto di ravioli al vapore allarosticceria Golden Carriage e nemangiavano la metà mentre tornava-no acasa passando per il Manhattan Bridge.

«Allora, raccontami di Jace» disseLuke.

Clary si strozzò quasi con il panino.Prese la tazza di caffè e affogò nelliquido caldo il boccone che le erarimasto in gola. «Cosa vuoi sapere?»

«Hai idea del perché Valentinepossa volerlo?»

«So che odiava il padre di Jace»

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disse lei. «Anche se è morto, magarivuole vendicarsi tramite Jace.»

Luke aggrottò le sopracciglia.«Pensavo che Jace fosse uno dei figlidei Lightwood.»

«No.» Clary morse il terzo panino.«Di cognome fa Wayland. Suo padreera…»

«Michael Wayland?»Clary annuì. «E quando Jace aveva

dieci anni, Valentine lo uccise. UcciseMichael, voglio dire.»

«È il tipo di cosa che può benissimoaver fatto» disse Luke. Il suo tono eraneutro, ma c’era qualcosa nella sua voceche spinse Clary a guardarlo di traverso.Non le credeva?

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«Jace l’ha visto morire» aggiunse,come per avvalorare quello che af-fermava.

«Che cosa orribile» disse Luke.«Povero ragazzo.»

Stavano percorrendo il ponte della59th Street. Clary guardò in basso e videil fiume tinto d’oro e di sangue dal soleal tramonto. Da lì poteva vederel’estremità meridionale di RooseveltIsland, anche se era solo una macchiaindistinta verso nord. «Poteva andarglipeggio» disse. «I Lightwood si sonopresi cura di lui.»

«Lo immagino. Sono sempre statimolto vicini a Michael» osservò Lukementre passava sulla corsia di sinistra.

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Nello specchietto retrovisore Clarypoteva vedere il convoglio di veicoliche li seguivano. «Non mi stupisce chesi siano voluti occupare di suo figlio.»

«Piuttosto, cosa succede quandosorge la luna?» gli chiese lei. «Vi tra-sformerete tutti in lupi all’improvviso ocosa?»

Luke sorrise. «Non esattamente.Solo i più giovani, quelli che sonoappena cambiati, non riescono acontrollare le loro trasformazioni. Lamaggior parte di noi ha imparato a farlonel corso degli anni. Adesso solo ilplenilunio potrebbe costringermi atrasformarmi.»

«Quindi quando la luna è piena solo

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in parte vi sentite tutti un po’… lu-pi?»chiese Clary.

«Diciamo così.»«Be’, se vuoi sporgere la testa fuori

dal finestrino, fai pure.» Sorridere lefaceva male, ma in un modo buono.

Luke scoppiò a ridere. «Guarda chesono un lupo mannaro, non un la-brador.»

«Da quanto tempo sei il capo diquesto branco?» chiese all’improvviso.

Luke esitò. «Da circa unasettimana.»

Clary si voltò di colpo a guardarlo.«Una settimana?»

Lui sospirò. «Sapevo che era statoValentine a prendere tua madre» disse.

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«Sapevo che da solo contro di lui nonavevo molte chance e che non potevoaspettarmi aiuto da parte del Conclave.Ci ho messo un giorno per rintracciare ilbranco di licantropi più vicino…»

«E hai ucciso il capobranco perprendere il suo posto?»

«È il modo più veloce che mi siavenuto in mente per mettere insieme unbuon numero di alleati in poco tempo»disse Luke senza alcun rimpianto maanche senza traccia di orgoglio. Claryripensò a quando lo avevano spiato acasa sua, ai graffi profondi che avevasulle mani, al suo volto fa-sciato e almodo in cui sussultava quando muovevail braccio. «L’ho già fatto una volta. Ero

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abbastanza sicuro di poterlo rifare.»Scrollò le spalle.

«Tua madre era scomparsa. Sapevodi averti spinta a odiarmi. Non avevoniente da perdere.»

Clary appoggiò le scarpe daginnastica verdi al cruscotto. Attraversoil parabrezza crepato, la luna si stavaalzando sopra il ponte.

«Be’» disse. «Adesso sì.»L’ospedale all’estremità meridionale

di Roosevelt Island era illuminato dariflettori e il suo profilo spettrale eraperfettamente visibile sullo sfondo buiodel fiume e delle luci di Manhattan. Lukee Clary tacquero mentre il furgonecosteggiava l’isoletta e la strada

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lastricata su cui viaggiavano lasciava ilposto alla ghiaia e infine alla terrabattuta. La strada seguiva la curva diun’alta staccionata di rete metallica,agghindata con festoni di filo spinato.

Quando il fondo si fece tropposconnesso per procedere in auto, Lukefermò il furgone e spense le luci. GuardòClary. «C’è una qualche possibilità chese ti chiedo di aspettare tu miobbedirai?»

Clary scosse il capo. «Non è dettoche sarò più al sicuro stando inmacchina. Chissà chi hanno messo dipattuglia intorno all’ospedale…»

Luke rise piano. «Di pattuglia. Masentila.» Saltò giù dal furgone e fece il

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giro per aiutarla a scendere. Avrebbepotuto farlo da sola, ma era carino chelui la aiutasse come quando era piccola.

I piedi di Clary colpirono la terrabattuta sollevando nuvolette di polvere.Il convoglio di auto che li aveva seguitisi stava fermando, creando una sorta dicerchio attorno al furgone di Luke. I faridelle macchine spazzaro-no il campovisivo della ragazza, dando alla retemetallica una sfumatura bianco-argentata. Dietro la staccionata,l’ospedale era una rovina inondata daluci fredde che ne evidenziavano lo statodi abbandono: le pareti senza tetto chespuntavano dal terreno sconnesso comedenti rotti, i parapetti merlati di pietra

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coperti da un tappeto verde di edera. «Èun rudere» sussurrò Clary, con untremolio di apprensione. «Non vedocome Valentine possa nascondersi qui.»

Luke guardò l’ospedale alle suespalle. «È un incantesimo forte» disse.

«Cerca di guardare al di là delleluci.» Alaric stava camminando verso diloro e la brezza gli apriva il giubbotto dijeans, mostrando il suo petto pieno dicicatrici. I licantropi che camminavanoalle sue spalle sembravano personeperfettamente normali, pensò Clary. Se liavesse visti tutti in gruppo da qualcheparte, avrebbe potuto pensare che siconoscessero in qualche modo: c’erauna certa rassomiglianza non fisica, un

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disincanto nei loro sguardi, un fatalismonelle loro espressioni. Avrebbe potutopensare che fossero agricoltori, dato chesembravano tutti più abbronzati, snelli eossuti dei classici cittadini, o magari liavrebbe scambiati per una banda dimotociclisti. Ma di certo nonsembravano dei mostri.

Si radunarono intorno al furgone diLuke per una riunione volante, come unasquadra di football. Clary, che si sentìdecisamente esclusa, si voltò di nuovo aosservare l’ospedale. Questa voltaprovò a guardare oltre le luci, oattraverso di esse, come a volte si riescea fare attraverso un sottile stato divernice per vedere cosa è stato dipinto

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sotto. Come al solito, pensare allapittura la aiutò: le luci parverodissolversi, e ora vedeva un prato pienodi querce e, più oltre, un’elaboratastruttura in stile neogotico che sembravaincombere sugli alberi come il parapettodi una grande nave. Le finestre dei pianipiù bassi erano buie e chiuse, maattraverso le finestre ad arco del terzopiano si riversava all’esterno la luce,come una serie di fuochi accesi lungo ilcrinale di una catena montuosa inlontananza. Un massiccio portico dipietra sul fronte dell’edificionascondeva la porta d’ingresso.

«Lo vedi?» Era Luke, che le eraarrivato alle spalle con la grazia

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silenziosa di… be’… un lupo.Clary stava ancora fissando davanti

a sé. «Sembra più un castello che unospedale.»

Luke la prese per le spalle e la fecegirare verso di sé. «Clary, ascolta-mi.»La sua presa era dolorosamente stretta.«Voglio che tu stia vicino a me. Muovitiquando mi muovo io. Tieniti alla miamanica, se devi farlo.

Gli altri ci staranno attorno, ciproteggeranno, ma se esci dal cerchionon potranno difenderti. Ciaccompagneranno verso la porta.»Abbassò le mani e le liberò le spalle, equando si mosse, lei vide qualcosa dimetallico all’interno della sua giacca.

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Non si era accorta che portasse un’arma,ma ricordò quello che le aveva dettoSimon sul contenuto della vecchia borsadi stoffa verde di Luke e pensò cheaveva un senso. «Mi prometti che faraiquello che ti dico?» le chiese lui.

«Lo prometto.»La rete metallica era vera, non

faceva parte dell’incantesimo. Alaric,ancora in prima fila, la scosse un po’,poi sollevò pigramente una mano. Dasotto le unghie delle mani gli spuntaronodei lunghi artigli e con essi colpì larecinzione, facendo a fette il metallo. Ipezzi di rete caddero a terra in una pilatintinnante, come elementi del meccano.

«Via.» Fece cenno agli altri di

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passare. Scattarono in avanti come unsol uomo, una grande onda coordinata inmovimento. Luke strinse il braccio diClary e la spinse davanti a sé,chinandosi per seguirla. Una voltasupera-ta la rete si raddrizzarono eguardarono verso l’ospedale, dovealcune figure scure, ammassate sotto ilportico, stavano iniziando a scendere igradini…

Alaric sollevò la testa e annusò ilvento. «L’aria è appesantita dal fetoredella morte.»

Luke emise una specie di sibilo. «IDimenticati.»

Spinse Clary dietro di sé e lei gliobbedì, inciampando un po’ sul terreno

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sconnesso. Il branco iniziò a muoversiverso lei e Luke. Mentre siavvicinavano, si buttarono carponi, lelingue che si ritraevano dalle fauci aogni secondo più lunghe, gli arti che sitrasformavano in lunghe estremitàpelose, gli abiti che cadevano. Unavocetta istintiva in fondo al cervello diClary le stava urlando: Lupi! Scappa! ,ma lei non le obbedì e restò dov’era,anche se sentiva i sussulti e il tremoredei nervi delle sue mani.

Il branco li circondò, un anello dilupi rivolto verso l’ospedale. Altri lupisi accostarono al cerchio su entrambi ilati. Era come se lei e Luke fossero ilcentro di una stella che si irradiava

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verso l’esterno. Iniziarono a muoversiverso il portico dell’ospedale. Semprealle spalle di Luke, Clary nemmeno siaccorse quando il primo dei Dimenticatili attaccò. Sentì un lupo ululare, come inpreda al dolore… l’ululato si fecesempre più forte, fino a trasformarsi inun ringhio. Vi fu un rumore sordo e poiun urlo gorgogliante, e un suono come dicarta strappata…

Clary si ritrovò a chiedersi se iDimenticati fossero commestibili.

Guardò Luke. Il suo volto eradeterminato. Ora Clary li poteva vedere,al di là dell’anello dei lupi, illuminati agiorno dai riflettori e dal bagliore diManhattan: decine di Dimenticati, la

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pelle pallida come quella di un cadavereal chiaro di luna, ricoperti di rune chesembravano tante ferite. I loro occhierano vuoti, mentre si scagliavano versoi lupi. I lupi li affrontarono a testa bassa.Gli artigli lacerarono, le zannescavarono e strapparono.

Clary vide uno dei guerrieriDimenticati, una donna, cadereall’indietro con la gola aperta e lebraccia che ancora si contorcevano. Unaltro guerriero colpì un lupo con unmoncone di braccio, mentre l’altromoncherino giace-va a terra a un metrodi distanza, il sangue che schizzavapulsando. Il sangue nero e torbido comeacqua di palude scorreva a fiumi,

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rendendo viscida l’erba e facendoscivolare Clary. Luke la prese prima checadesse a terra. «Stammi vicina.»

Sono qui, avrebbe voluto dire lei,ma non le uscirono di bocca le parole.

Stavano ancora attraversando ilprato in direzione dell’ospedale.Procede-vano lentissimi. La presa diLuke era rigida come il ferro. Clary nonavrebbe saputo dire chi stesse vincendo:i lupi avevano dalla propria parte ledimensioni e la velocità, ma iDimenticati erano implacabili esorprendentemente difficili da uccidere.Vide il grande lupo chiazzato, che informa umana era Alaric, abbattere unavversario strappandogli le gambe di

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sotto per poi balzargli alla gola. IlDimenticato continuò a muoversi anchedopo esser stato fatto a pezzi, e la suaascia aprì un lungo taglio rosso nellapelliccia del lupo.

Clary, distratta dalla battaglia, nonnotò quasi il Dimenticato che avevasuperato il cerchio protettivo finché nonse lo trovò di fronte, come se fossespuntato da sottoterra. L’essere con gliocchi bianchi e i lunghi capelli sudicisollevò un coltello sporco di sangue…

Clary urlò. Luke si voltò di scatto, laspostò di lato, afferrò il polso dellacreatura e lo girò. La ragazza sentì loschiocco dell’osso e il coltello caddenell’erba. La mano del Dimenticato gli

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pendeva inerte dal polso, ma il mostrocontinuò ad avanzare verso di loro senzamostrare di provare alcun dolore. Lukestava urlando qualcosa ad Alaric. Clarycercò di prendere il pugnale che portavaalla cintura, ma la presa di Luke sul suobraccio era troppo forte. Prima chepotesse urlargli di lasciarla andare, unlampo di fuoco argentato si precipitò inmezzo a loro. Era Gretel. Atterrò con lezampe anteriori sul petto delDimenticato e lo buttò a terra. Unuggiolio rabbioso sorse dalla gola diGretel, ma il Dimenticato era moltoforte, la gettò da parte come unabambola di pezza e si alzò in piedi…

Qualcosa sollevò Clary da terra. La

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ragazza urlò, ma era Alaric, metà umanoe metà lupo. Le sue mani artigliate lasorressero delicatamente.

Luke stava gesticolando verso diloro. «Portala via di qui… alla porta»

stava urlando.«Luke!» Clary si dimenò in braccio

ad Alaric.«Non guardare» disse lui con un

ringhio.Ma lei guardò. Guardò abbastanza a

lungo per vedere Luke avviarsi versoGretel ed estrarre la spada dal fodero.Ma era troppo tardi. Il Dimenticatoraccolse il suo coltello, caduto sull’erbainsanguinata, e lo affondò nel dorso diGretel più e più volte, mentre lei tirava

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artigliate e lottava. Alla fi-ne crollò e laluce nei suoi occhi d’argento cedette ilpasso al buio. Luke con un urlo affondòla lama nella gola del Dimenticato…

«Ti ho detto di non guardare»ringhiò Alaric voltandosi, in modo chela vista di Clary fosse ostacolata dal suocorpo massiccio. Stavano correndo super le scale e il suono dei suoi piediartigliati sul granito ricordava quello deigessi su una lavagna.

«Alaric» disse Clary.«Sì?»«Mi dispiace di averti tirato quel

coltello.»Nel petto del licantropo rombò una

risata. «Lascia stare. È stato un buon

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lancio.»Lei provò a guardare al di là delle

sue spalle larghe. «Dov’è Luke?»«Sono qui» disse Luke. Alaric si

voltò. Luke stava salendo i gradinimentre infilava la spada nel fodero. Lalama era nera e viscida.

Alaric lasciò che Clary scivolassegiù. Lei, una volta atterrata, si voltò.

Da dove si trovavano non riusciva avedere Gretel né il Dimenticato chel’aveva uccisa, solo una massaondeggiante di carne e metallo. Il suovolto era bagnato. Si portò una mano alviso per capire se stesse sanguinando,ma si rese conto che stava piangendo.Luke la guardò incuriosito. «Era so-lo

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una Nascosta» disse.Gli occhi di Clary divennero due

tizzoni ardenti. «Non dirlo.»«Capisco.» Si voltò verso Alaric.

«Grazie per esserti occupato di lei. Oranoi andiamo…»

«Io vengo con voi» disse Alaric. Siera quasi completamente trasformato inuomo, ma gli occhi erano ancora quellidi un lupo e le labbra erano sollevatesopra denti lunghi come stuzzicadenti.Strinse le mani dalle lunghe unghie.

Lo sguardo di Luke era preoccupato.«Alaric, no.»

La voce ringhiante di Alaric erapiatta. «Tu sei il capobranco. Adessoche Gretel è morta, io sono il tuo

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secondo. Non sarebbe giusto lasciartiandare da solo.»

«Io…» Luke guardò Clary e poitornò a guardare il campo di fronteall’ospedale. «Ho bisogno di te quafuori, Alaric. Mi dispiace. È un ordine.»

Gli occhi di Alaric ebbero un lamporisentito, ma si fece da parte. La portadell’ospedale era di legno intagliato.Clary conosceva quei disegni: rose diIdris, rune svolazzanti, soli irradianti.Luke tirò un calcio alla porta, checedette col rumore secco di unchiavistello che saltava. Luke spinseavanti Clary mentre la porta sispalancava. «Entra.»

Lei gli passò davanti incespicando e

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si voltò sulla soglia. Colse una visionefugace di Alaric che li guardava coi suoiocchi di lupo che scintillavano. Alle suespalle, il prato di fronte all’ospedale eradisseminato di corpi, la terra eramacchiata di sangue, nero e rosso.Quando la porta si chiuse dietro di lei,escludendo la vista sull’esterno, Claryne fu confortata.

Lei e Luke si fermarono nellasemioscurità, in un ingresso di pietrailluminato da un’unica torcia. Dopo ilfrastuono della battaglia, il silenzioall’interno era come una cappasoffocante. Clary si ritrovò a inspirarefreneticamente quell’aria che nonodorava più di umidità e di sangue.

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Luke le strinse la spalla con unamano. «Tutto bene?»

Lei si asciugò le guance. «Nonavresti dovuto dirla, quella cosa cheGretel è solo una Nascosta. Io non lopenso.»

«Lo so.» Allungò una mano perprendere la torcia dall’anello di metallocui era fissata. «E mi dispiace.Detestavo l’idea che i Lightwood tiavessero potuto trasformare in una lorocopia.»

«Be’, non l’hanno fatto.»«Sono felice di sentirtelo dire.» La

torcia non voleva saperne di staccarsidalla parete. Clary affondò le mani intasca, prese la pietra runica che Jace le

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aveva regalato per il suo compleanno ela sollevò in alto. La luce le esplose trale sue dita come se avesse rotto un semedi oscurità liberando un raggio che viera prigioniero. Luke lasciò andare latorcia.

«Stregaluce?» chiese.«Me l’ha regalata Jace.» La sentiva

pulsare nella sua mano, come il cuore diun uccellino. Si chiese dove fosse Jace,in questo ammasso pietroso di stanze, seavesse paura, se si stesse chiedendo sel’avrebbe rivista ancora.

«Sono passati anni da quandocombattevo al chiaro di stregaluce»disse Luke avviandosi su per le scale. Igradini scricchiolarono sotto i suoi

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scarponi. «Seguimi.»Il bagliore della stregaluce

disegnava le loro ombre, bizzarramenteal-lungate, sulle pareti di granito liscio.Si fermarono su un pianerottolo di pietrache formava un arco. Sopra di loroClary vide della luce. «Questo èl’aspetto che aveva l’ospedale centinaiadi anni fa?» chiese sottovoce.

«Oh, le ossa di ciò che Renwickcostruì sono ancora qui» disse Luke.

«Ma immagino che Valentine,Blackwell e gli altri abbianoristrutturato questo posto per renderlopiù rispondente ai loro gusti. Guardaqui.» Strofinò il pavimento con unoscarpone: Clary guardò in basso e vide

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una runa incisa nel granito sotto i loropiedi: un cerchio, al centro del quale sitrovava un motto latino: In hoc signovinces.

«Cosa vuol dire?»«”Sotto questo segno, vincerai”. Era

il motto del Circolo.»Clary sollevò lo sguardo verso la

luce. «Quindi sono qui.»«Sono qui» disse Luke, e nel

nervosismo del suo tono c’era anche unasorta di impazienza. «Andiamo.»

Risalirono la scala a chiocciola,girando in cerchio sotto la luce finchénon fu tutta attorno a loro, e si trovaronoall’ingresso di un corridoio lungo estretto. Il passaggio era illuminato da

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numerose torce. Clary chiuse la manosopra la stregaluce, che si spense comeuna scintilla bagnata.

Lungo il corridoio, a intervalliregolari, si trovavano delle porte, tuttechiuse. Clary si chiese se quandol’edificio era un ospedale, quello fosseun reparto, o magari delle camereprivate. Mentre percorrevano ilcorridoio, Clary vide delle impronte discarpe infangate. Qualcuno era stato lì direcente.

La prima porta che provarono si aprìfacilmente, ma la prima stanza era vuota:c’erano solo il parquet lucido e le paretidi pietra illuminate in modo un po’inquietante dalla luce lunare che entrava

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dalla finestra. Il ruggito smorzato dellabattaglia penetrava da fuori, ritmicocome il rumore dell’oceano. La secondastanza era piena di armi, come l’armeriadell’Istituto. Il chiaro di luna scorrevacome acqua argentata su file e file diacciaio freddo e sguainato. Luke fischiòpiano. «Una bella collezione.»

«Pensi che Valentine le usi tutte?»«È improbabile. Credo che siano per

il suo esercito.» Luke si voltò.La terza stanza era una camera da

letto, anche se evidentemente non ciaveva mai dormito nessuno. Le tende delletto a baldacchino erano blu, il tappetopersiano aveva un disegno blu, nero egrigio, e i mobili erano bianchi, come

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quelli della cameretta di un bambino. Unsottile strato di polvere copriva tuttoquanto, e le pesanti tende blunascondevano il cielo notturno.

E sul letto dormiva Jocelyn.Era sdraiata sulla schiena, una mano

appoggiata con noncuranza al petto, icapelli aperti a ventaglio sul cuscino.Indossava una specie di camicia da nottebianca che Clary non aveva mai visto eil suo respiro era regolare e tranquillo…alla luce penetrante della luna, Claryvide muoversi le ciglia di sua madre:stava sognando.

Clary lanciò un urletto e schizzò inavanti, ma il braccio di Luke le si strinseattorno al petto come una sbarra di ferro,

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trattenendola. «Aspetta»disse, la voce tesa per lo sforzo.

«Dobbiamo stare attenti.»Clary gli lanciò un’occhiataccia, ma

lui stava guardando al di là dellaragazza con un’espressione rabbiosa eaddolorata. Clary seguì la linea del suosguardo e vide ciò che non aveva volutovedere prima. I ceppi stretti attorno aipolsi e alle caviglie di Jocelyn, leestremità delle loro catene af-fondate inprofondità nel pavimento di pietra ai duelati del letto. Il tavolo accanto al lettoera coperto da un bizzarro campionariodi tubetti e bottiglie, vasetti di vetro estrumenti a punta di acciaio chirurgico.Un tubetto di gomma usciva da uno dei

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vasetti di vetro per finire in una vena delpolso di Jocelyn…

Clary si liberò dalla stretta di Luke,si lanciò verso il letto e gettò le bracciaattorno al corpo inerte di Jocelyn… mafu come abbracciare un ma-nichino, unabambola costruita male. Jocelyn restòimmobile e rigida, il respiro regolare.

Una settimana prima Clary avrebbepianto, come aveva fatto in quella prima,terribile notte in cui scoprì che suamadre era scomparsa. Avrebbe pianto eurlato. Ma ora non le uscì nemmeno unalacrima, mentre si staccava da suamadre e si raddrizzava stringendosi lebraccia al petto. In lei ora non c’eranoné terrore né autocommiserazione, solo

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una rabbia amara e il bisogno di trovarel’uomo che aveva fatto questo, ilresponsabile di tutto.

«Valentine» disse.«Certo.» Luke era accanto a lei e

stava toccando delicatamente il volto diJocelyn, sollevandole le palpebre. Gliocchi di sua madre erano azzurri einespressivi come biglie. «Non èdrogata» disse Luke. «Un incantesimo,credo.»

Clary emise un mezzo sospiro.«Come facciamo a portarla fuori diqui?»

«Io non posso toccare i ceppi» disseLuke. «Argento. Tu hai…?»

«La stanza delle armi» si ricordò

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Clary rimettendosi in piedi. «Ho vistoun’ascia là dentro. Anzi, più di una.Potremmo tagliare le catene…»

«Queste catene non si possonorompere.» La voce che aveva parlatodalla soglia era bassa, pietrosa efamiliare. Clary si voltò e videBlackwell.

Stava sogghignando e indossava lostesso mantello color sangue coagulatodell’altra volta, il cappuccio abbassatosulle spalle, gli stivali infangati visibilisotto l’orlo. «Graymark» lo salutò. «Chebella sorpresa!»

Luke si alzò. «Se sei sorpreso, sei unidiota» disse. «Non sono esattamentearrivato di soppiatto.»

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Le guance di Blackwell divenneroviolacee, ma non si avvicinò a Luke.

«Di nuovo capobranco, vero?» dissecon una risata sgradevole. «Non riesci aliberarti dell’abitudine di far fare illavoro sporco ai Nascosti, eh? Leguardie di Valentine sono occupate aspargere i loro pezzi per tutto il prato etu sei quassù al sicuro con la tuaamichetta.» Rivolse un’occhiata a Clary.

«Mi sembra un po’ giovane per te,Lucian.»

Clary arrossì, furente, e le sue manisi chiusero a pugno, ma la voce di Luke,quando rispose, era educata. «Non lechiamerei esattamente guardie,Blackwell» disse. «Sono Dimenticati.

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Tormentati esseri ex umani. Se ricordobene, il Conclave non vede di buonocchio tutta quella faccenda di torturarele persone e usare la magia nera. Noncredo che saranno conten-ti…»

«Al diavolo il Conclave!» ringhiòBlackwell. «Non abbiamo bisogno diloro e dei loro atteggiamenti daamichetti dei mezzosangue. E poi iDimenticati non resteranno Dimenticatiancora per molto. Quando Valentineuserà la Coppa su di loro, sarannoCacciatori come noi… meglio di quelliche il Conclave fa passare per guerrierial giorno d’oggi. Mammolette amichedei Nascosti.» Scoprì i denti smussati.

«Se il suo piano con la Coppa era

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questo» disse Luke «perché non lo hagià fatto? Cosa sta aspettando?»

Le sopracciglia di Blackwell sialzarono. «Non lo sapevi? Ha trovatosu-o…»

Una risata di seta li interruppe.Pangborn era comparso accanto a lui,tutto in nero, con una cinghia di cuoioattorno alle spalle. «Basta così,Blackwell» disse. «Parli troppo, comesempre.» Mostrò i denti appuntiti a Lu-ke. «Mossa interessante, Graymark. Nonpensavo che avessi il fegato per guidareil tuo nuovo branco in una secondamissione suicida.»

Un muscolo guizzò nella guancia diLuke. «Jocelyn» disse. «Cosa le ha

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fatto?»Pangborn ridacchiò allegramente.

«Credevo che non te ne importassenulla.»

«Non capisco cosa voglia ancora dalei, a questo punto» proseguì Lukeignorando la frase di Pangborn. «Ha laCoppa. Lei non gli serve più. Valentinenon è mai stato un uomo dedito aomicidi inutili. Gli omicidi utili,

be’, quelli sono tutta un’altra storia,per lui.»

Pangborn scrollò le spalle conindifferenza. «Non mi importa nulla dicosa vuole fare con lei» disse. «Era suamoglie. Forse la odia. Un buon movente,no?»

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«Non credo» rispose Luke.«Lasciatela andare e noi ce ne andremocon lei. Richiamerò il branco e vi saròdebitore.»

«No!» L’esclamazione rabbiosa diClary fece spostare gli sguardi diPangborn e Blackwell su di lei.Entrambi sembravano vagamenteincreduli, come se la ragazza fosse unoscarafaggio parlante. Clary si voltòverso Luke: «C’è anche Jace… è qui, daqualche parte…»

Blackwell ridacchiò. «Jace? Maisentito nessun Jace» disse. «Bene, potreichiedere a Pangborn di lasciarla andare,ma preferisco di no. Con me Jocelyn hasempre fatto la bastarda. Pensava di

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essere migliore di noi, con la suabellezza e la sua discendenza. Unabastarda con il pedigree, ecco cos’è. Loha sposato solo per mettercelo controe…»

«Ci sei rimasto male perchéValentine non ha sposato te,Blackwell?» fu ciò che rispose Luke,anche se Clary sentì la rabbia gelidanella sua voce.

Blackwell, rosso in viso, fece unpasso rabbioso verso il centro dellastanza.

E Luke, spostandosi con tanta agilitàche Clary quasi non lo vide muoversi,afferrò un bisturi appoggiato sulcomodino e lo lanciò. Il bisturi ruotò

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due volte su se stesso a mezz’aria eaffondò nella gola di Blackwell,interrompendo sul nascere la suaringhiante risposta. Blackwell tossì, gliocchi ribaltati, e cadde in ginocchioportandosi le mani alla gola. Aprì labocca come per parlare, ma ne uscì soloun sottile rivolo di sangue. Le sue maniscivolarono via dalla gola e luiprecipitò a terra come un alberoabbattuto. L’impatto fece tremare ilpavimento.

«Accidenti» disse Pangbornguardando il corpo caduto del compagnocon infastidito disgusto. «Che cosasgradevole.»

Il sangue che usciva dalla gola di

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Blackwell si stava allargando sulpavimento in una viscosa pozzangherarossa. Luke prese Clary per le spalle ele sussurrò qualcosa all’orecchio. Clarynon capì nulla, sentì soltanto un ronzioinsensato dentro la testa. Era l’ennesimamorte a cui assisteva in meno di un’ora.Le venne in mente una poesia che avevaletto durante l’ora di inglese, qualcosain cui si parlava di come dopo la primamorte che vedi nessun’altra conta più. Ilpoeta non sapeva di cosa stavaparlando.

Luke la lasciò andare. «Le chiavi,Pangborn» disse.

Pangborn diede un colpetto aBlackwell con un piede e poi sollevò lo

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sguardo. Sembrava infastidito. «Sennòcosa fai? Mi tiri una siringa? C’era solouna lama, su quel tavolino. No»aggiunse, allungando una mano dietro lespalle ed estraendo una lunga spadadall’aria molto pericolosa. «Te-mo che,se vuoi le chiavi, dovrai venire aprendertele. Non che mi importiqualcosa di Jocelyn Morgenstern, sai,ma il fatto è che sono anni che ho unagran voglia di ucciderti…»

Pronunciò l’ultima parolaassaporandola con deliziata esultanzamentre si faceva avanti. La sua lamalampeggiò, un lancia di luce nellasemioscurità. Clary vide Luke allungareuna mano verso di lei… una mano

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stranamente lunga che terminava conunghie appuntite simili a piccolipugnali…

e si rese conto di due cose: che Lukestava per trasformarsi, e che quella chele aveva sussurrato all’orecchio era unasola parola.

Corri.Clary corse. Zigzagò attorno a

Pangborn, che la degnò a malapena diun’occhiata, circumnavigò il corpo diBlackwell e fu fuori dalla porta colcuore che martellava prima ancora chela trasformazione di Luke fossecompleta. Non si guardò alle spalle, masentì un ululato lungo e penetrante, ilsuono di metallo contro metallo e un

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rumore di vetri rotti. Forse avevanoribaltato il tavolino, pensò.

Sfrecciò verso la camera delle armi.All’interno afferrò una vecchia asciacon il manico d’acciaio. L’arma rimaseattaccata alla parete, per quanto latirasse. Provò con una spada e poi conuna picca e infine con un piccolopugnale, ma non riuscì a liberarenemmeno quelli. Alla fine, con le unghierotte e le dita insanguinate per gli sforzifatti, dovette cedere. In quella stanza eraall’opera un incantesimo, e non sitrattava di magia runica, ma di qualcosadi selvaggio e bizzarro, qualcosa dinero.

Uscì dalla stanza camminando

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all’indietro. Su quel piano non c’eranient’altro che potesse aiutarla. Enemmeno al piano di sotto: le porteerano state sprangate. Zoppicò lungo ilcorridoio - iniziava a sentire il doloredella vera stanchezza nelle gambe enelle braccia - e si ritrovò sulpianerottolo di una scala. Su o giù? Disotto, si disse, era tutto senza luce,vuoto. Naturalmente aveva in tasca lastregaluce, ma qualcosa dentro di leitremava al pensiero di entrare da sola inquegli spazi bui. Al piano di sopra videil bagliore di altre luci e colse losfarfallio di quello che avrebbe potutoessere un movimento.

Andò di sopra. Le gambe le

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facevano male, e anche i piedi e tutto ilresto. Le sue ferite erano state medicate,ma questo non impediva ai tagli dibruciare. Il suo volto era dolorante,dove Hugo le aveva colpito la guancia, ein bocca aveva un sapore metallico eamaro.

Raggiunse l’ultimo pianerottolo.Faceva una curva dolce, come la prua diuna nave. Il silenzio era lo stesso cheregnava di sotto, e le sue orecchie noncoglievano alcun rumore delcombattimento che si svolgevaall’esterno. Un altro lungo corridoio siestendeva di fronte a lei, con le stesseporte allineate, ma alcune erano aperte eriversavano altra luce nel corridoio.

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Clary avanzò: una sorta di istinto laattirava verso l’ultima porta sullasinistra. Guardò all’interno, con cautela.

All’inizio la stanza le ricordò unodei diorami storici del MetropolitanMuseum of Art. Era come se fosseentrata nel passato: i pannelli di legnosui muri erano lucidissimi, come ancheil lunghissimo tavolo da pranzoapparecchiato con delicate stoviglie diporcellana. Elaborati specchi doratiornavano le pareti, insieme a ritratti aolio dalle cornici massicce. Tuttoscintillava alla luce delle torce: i vassoiin tavola, carichi di cibo, i calici aforma di giglio, la tovaglia e i tovagliolitanto bianchi da accecare. All’estremità

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opposta della stanza c’erano due grandifinestre drappeggiate di tende di velluto.Jace era in piedi davanti a una dellefinestre, tanto immobile che per unistante Clary pensò che fosse una statua,finché non vide la luce che scintillavasui suoi capelli… la mano sinistra diJace teneva aperta la tenda e nellafinestra scura Clary vide i riflessi delledecine di candele che illuminavano lastanza, intrappolati nel vetro comelucciole.

«Jace» disse. Sentì la propria vocecome in lontananza e vi percepì lostupore, la gratitudine, il desiderio, tantoacuto da fare male. Lui si voltò, lasciòandare la tenda e Clary vide lo sguardo

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interrogativo sul suo volto.«Jace!» disse lei di nuovo correndo

verso di lui. Jace la prese al volo e laabbracciò forte.

«Clary.» La sua voce era quasiirriconoscibile. «Clary, cosa ci fai qui?»

La voce di Clary era attutita dallamaglietta di lui. «Sono venuta acercarti…»

«Non avresti dovuto…» La suastretta si allentò all’improvviso e feceun passo indietro, tenendola a distanza.«Mio Dio» disse toccandole il volto.

«Sei una pazza! Che cosa sciocca dafare…» La sua voce era arrabbiata, mail suo sguardo e le sue dita, che lespostarono delicatamente i capelli,

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erano teneri. Non lo aveva mai vistocosì: c’era in lui una sorta di fragilità,come se toccandolo si sarebbe potutorompere. «Ma perché non ti fermi mai apensare?» sussurrò.

«Ho pensato» disse lei. «Ho pensatoa te.»

Jace chiuse gli occhi per un istante.«Se ti fosse successo qualcosa…» Lesue mani percorsero delicatamente ilprofilo delle braccia di Clary fino aipolsi, come per assicurarsi che fossedavvero lì. «Come hai fatto a trovarmi?»

«Luke» rispose lei con una certaincoerenza. «Sono venuta con Luke.

Per salvarti.»Jace, senza staccare le mani da lei,

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spostò lo sguardo da Clary alla finestra,con una piccola smorfia che gli piegaval’angolo della bocca. «Quindi quellisono… sei venuta con il branco deilupi?» chiese con uno strano tono divoce.

«È il branco di Luke» rispose lei. «Èun licantropo e…»

«Lo so» la interruppe Jace. «Avreidovuto arrivarci… i ceppi nella suacantina…» Guardò verso la porta.«Dov’è?»

«Al piano di sotto» disse Clarylentamente. «Ha ucciso Pangborn. Io so-no salita a cercarti…»

«Li deve richiamare» disse Jace.Clary lo guardò senza capire.

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«Cosa?»«Luke. Deve richiamare il suo

branco C’è stato un malinteso.»«Cioè? Ti sei rapito da solo?»

Avrebbe voluto suonare scherzosa, ma lasua voce era troppo incerta. «Dai,Jace.»

Lo tirò per un polso, ma luiresistette. La stava guardando conun’espressione attenta e Clary notòsbalordita una cosa che prima, in predaall’ondata iniziale di sollievo, nonaveva notato.

L’ultima volta che l’aveva visto erastato ferito e picchiato, i suoi abiti eranosporchi di sangue e polvere, i suoicapelli luridi di sangue di demoni e

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terra. Ora portava una camicia biancalarga e dei pantaloni scuri, i capellispazzolati gli ricadevano attorno al viso,dorati e leggeri. Jace si spostò qualcheciocca dagli occhi con una manoaffusolata e Clary vide che aveva dinuovo al dito il suo grosso anellod’argento.

«Sono tuoi quei vestiti?» chiese unpo’ confusa. «E poi… sei tutto benda-to…» La sua voce si fece più debole.«Sembra che Valentine si sia presomolta cura di te.»

Lui le sorrise con cauto affetto. «Seti dicessi la verità, diresti che sonopazzo.»

Lei sentì il cuore che le batteva

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rapidissimo nel petto, come il frullodelle ali di un colibrì. «No, non lofarei.»

«È stato mio padre a darmi questivestiti» disse lui.

Il frullo divenne un rapidomartellare. «Jace» gli disse. «Tuo padreè morto.»

«No.» Il ragazzo scosse il capo.Clary ebbe la sensazione che stessetrattenendo una grande ondata diemozioni: orrore o gioia o entrambe lecose insieme. «Lo credevo, ma non ècosì. È stato tutto un errore…»

A quel punto Clary ricordò quelloche aveva detto Luke sulla capacità diValentine di raccontare bugie

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affascinanti e coinvolgenti. «È una cosache ti ha detto Valentine? Perché lui è unbugiardo, Jace, ricorda quello che hadetto Hodge, e se ti ha detto che tuopadre è vivo, è una bugia per farti farequello che vuole…»

«Ho visto mio padre» la interruppeJace. «Gli ho parlato… e lui mi ha datoquesta…» Si tirò la camicia nuova epulita come se fosse una provaschiacciante. «Mio padre non è morto.Valentine non lo ha ucciso. Hodge mi hamentito. Per tutti questi anni ho credutoche fosse morto, ma non era così.»

Clary si guardò attorno. «Be’, se tuopadre è in questo posto, dove si trova?Valentine ha rapito anche lui?»

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Gli occhi di Jace scintillavano. Ilcolletto della sua camicia era aperto eClary vide le piccole cicatrici sottili chegli coprivano le clavicole, come crepesulla sua pelle liscia e dorata. «Miopadre…»

La porta, che Clary si era chiusa allespalle, si aprì con un cigolio e un uomoentrò nella stanza.

Era Valentine. Ora Clary potevavederlo meglio, senza alcuna parete adividerli. I suoi corti capelli argentatibrillavano come un elmetto d’acciaiocromato e la sua bocca era dura. Portavaun lungo fodero alla cintura, dal qualespuntava l’elsa di una spada. «Allora»disse appoggiando una mano sull’elsa

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mentre parlava. «Hai raccolto le tuecose? I nostri Dimenticati non possonotrattenere troppo a lungo i licantropi…»

Vedendo Clary, si interruppe a metàfrase. Lui non era il genere di uomo chesi facesse cogliere di sorpresa, ma Claryvide un’ombra di stupore nei suoi occhi.«Cosa succede qui?» chiese guardandoJace.

Ma Clary stava già cercando ilpugnale infilato nella cintura. Lo afferrò,lo strappò fuori dal fodero e tiròindietro la mano. La rabbia lemartellava gli occhi come tamburi diguerra. Avrebbe potuto ucciderequell’uomo. Lo avrebbe ucciso.

Jace le prese il polso. «No.»

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Clary non riuscì a trattenere lapropria incredulità. «Ma Jace…»

«Clary» disse lui con voce ferma.«Questo è mio padre.»

capitolo 23

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VALENTINE«Ho interrotto qualcosa, vedo» disse

Valentine con una voce arida come unpomeriggio nel deserto. «Figliolo, tidispiacerebbe dirmi chi è questaragazza? Forse una figlia deiLightwood?»

«No» disse Jace. Sembrava stanco einfelice, ma la mano sul polso di Clarynon cedette di un millimetro. «È Clary.Clarissa Fray… è una mia amica. È…»

Lo sguardo grigio di Valentine fucome acqua ghiacciata su di lei. Le siavvicinò. Clary provò a ritrarsi, ma Jacela trattenne, mentre gli occhi di Valentinela passavano al setaccio dalla cimadella testa spettinata alle punte delle

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scarpe scalcagnate. Si fermarono sulpugnale che stringeva ancora in mano.

Un’espressione indefinibile gliattraversò il volto… in partedivertimento, in parte fastidio. «Dovehai trovato quella lama, signorina?»

Clary rispose gelida: «Me l’ha dataJace.»

«Ma certo» disse Valentineinespressivo. «Posso vederla?»

«No!» Clary fece un passo indietro,come se Valentine potesse lanciarsi su dilei, e sentì che il pugnale le venivasfilato agilmente dalle dita. Ritrasse dicolpo la mano e guardò. Jace stringevail pugnale guardandola come perscusarsi. «Jace» sibilò lei, mettendo nel

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suo nome tutta l’indigna-zione cheprovava per quel tradimento.

Per un istante Jace parvevergognarsi di ciò che aveva fatto, matutto ciò che disse fu: «Continui a noncapire, Clary.» Con una sorta diattenzione riverente che le fece venire lanausea, andò da Valentine e gli consegnòil pugnale. «Eccolo, padre.»

Valentine prese il pugnale con la suagrande mano e lo esaminò. «Questo è unkindjal, un pugnale circasso. Questoesemplare faceva parte di una coppia.Ecco, guarda la stella dei Morgensternincisa nella lama.» Voltò il pugnale permostrarlo a Jace. «Mi stupisce che iLightwood non l’abbiano mai notato.»

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«A loro non l’ho mai fatto vedere»disse Jace. «Mi hanno sempre permessodi avere le mie cose private e non mihanno mai spiato.»

«Certo che no» disse Valentine.Restituì il kindjal a Jace. «Credevanoche tu fossi il figlio di MichaelWayland.»

Jace si infilò nella cintura il pugnaledall’elsa rossa e sollevò lo sguardo.

«Lo credevo anch’io» dissesottovoce, e in quel momento Clary capìche non era uno scherzo, che Jace nonstava interpretando una parte in attesa divedere cosa sarebbe successo, ma eraveramente convinto che Valentine fossesuo padre.

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Il padre che ti picchiava, pensò, ilpadre che ha spezzato il collo al tuoprimo e unico animale domestico, ilpadre che ti ha insegnato che l’amore èun veleno che uccide lentamente.

Ma non disse nulla. Una freddadisperazione si stava diffondendo nellesue vene. Avrebbe potuto affrontare unJace arrabbiato, un Jace ostile, un Jacefurioso, ma questo nuovo Jace, fragile eilluminato dalla luce del suo miracolopersonale, per lei era uno sconosciuto.

Valentine la guardò da sopra la testadorata di Jace: i suoi occhi erano freddie divertiti. «Forse» disse «sarebbe unabuona idea che tu ora ti se-dessi, Clary.»

La ragazza incrociò le braccia sul

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petto con un’espressione testarda.«No.»«Come preferisci.» Valentine prese

una sedia e si accomodò a capotavo-la.Dopo un istante anche Jace si sedetteaccanto a una bottiglia piena per metà divino. «Ti avverto che stai per ascoltaredelle cose che potrebbero farti pentiredi non esserti seduta.»

«Se succederà» gli disse Clary «telo farò sapere.»

«Molto bene.» Valentine si rilassòsulla sedia, le mani dietro la nuca. Ilcollo della sua camicia si aprìleggermente, mostrando le sue clavicolepiene di cicatrici. Cicatrici come quelledi suo figlio, come quelle di ogni Figlio

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dei Nephilim. Una vita di cicatrici emorte, aveva detto Hodge.

«Clary» disse, come assaporando ilsuono del suo nome. «È un diminutivo diClarissa? Non è il nome che avrei sceltoio.»

Le sue labbra si tesero in un sorrisoprivo di allegria. Sa che sono sua figlia,pensò Clary. Ma non lo dice. Perchénon lo dice?

Per Jace, si rispose. Jace avrebbepensato… non riusciva a immaginarecosa avrebbe pensato. Valentine li avevavisti abbracciarsi quando era entrato,probabilmente sapeva di avere in manoun’informazione devastante.

Da qualche parte, dietro quei gelidi

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occhi grigi, la sua mente acuta stavafunzionando a tutta velocità per deciderequale fosse il modo migliore di usarla.

Clary lanciò un altro sguardosupplicante a Jace, ma il ragazzo stavaguardando il bicchiere che aveva nellamano sinistra, pieno per metà di vi-no.Clary notò che il suo petto si alzava eabbassava velocemente al ritmo del suorespiro: era più agitato di quantovolesse dare a vedere.

«Non mi interessa cosa avrestiscelto tu» disse Clary.

«Non ne dubito» ribatté Valentinechinandosi in avanti.

«Tu non sei il padre di Jace» disse.«Stai cercando di ingannarci. Il padre di

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Jace era Michael Wayland. I Lightwoodlo sanno. Lo sanno tutti.»

«I Lightwood sono stati maleinformati» disse Valentine. «Tutticredevano… credono… che Jace siafiglio del loro amico Michael. E cosìanche il Conclave. Nemmeno i FratelliSilenti sanno chi è in realtà. Anche sepresto lo sapranno.»

«Ma l’anello dei Wayland…»«Ah, già» disse Valentine guardando

la mano di Jace su cui l’anello brillavacome le scaglie di un serpente.«L’anello. Curioso, vero, come una M

guardata al contrario assomigli a unaW? Naturalmente, se ti fossi data la penadi pensarci, probabilmente avresti

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trovato un po’ strano che il simbolodella famiglia Wayland fosse una stellacadente, mentre non è affatto strano chesia il simbolo dei Morgenstern.»

Clary lo guardò. «Non so di cosastai parlando.»

«Dimentico sempre quanto siainsulsa l’istruzione dei mondani» disseValentine. «Morgenstern significa stelladel mattino. Conosci i versetti Comemai sei caduto dal cielo, / astromattutino, figlio dell’aurora? / Co-memai sei atterrato, / tu che calpestavi lenazioni? »

Clary fu colta da un brivido. «Staiparlando di Satana.»

«O di qualsiasi grande potere

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perduto» disse Valentine «per il rifiutodi diventare servi. Come è successo nelmio caso. Non ero disposto a servire ungoverno corrotto. Per questo ho perso lamia famiglia, le mie terre, ho quasiperso la vita…»

«La Rivolta è stata colpa tua!»scattò Clary. «Sono morte delle persone!

Cacciatori come te!»«Clary» disse Jace chinandosi in

avanti e facendo quasi cadere ilbicchiere con il gomito. «Ascoltalo, tidispiace? Non è come pensavi. Hodge ciha mentito.»

«Lo so» disse Clary. «Ci ha tradito.Era una pedina di Valentine.»

«No» disse Jace. «È sempre stato lui

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a volere la Coppa Mortale… È stato luia mandare i Divoratori da tua madre.Mio padre… Valentine lo ha scopertosolo in seguito ed è venuto a fermarlo…Ha portato qui tua madre per curarla,non per farle del male.»

«E tu credi a queste balle?» chieseClary disgustata. «Non è vero. Hodgelavorava per Valentine. C’erano dentroinsieme. Volevano la Coppa. Ci haingannati, è vero, ma lui era solo unburattino.»

«Ma era lui ad avere bisogno dellaCoppa Mortale» disse Jace «per poterdissolvere la sua maledizione e fuggire,prima che mio padre dicesse alConclave tutto quello che aveva fatto.»

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«Non è vero!» si accalorò Clary. «Ioc’ero!» Si voltò verso Valentine.

«Ero nella stanza quando sei venutoa prendere la Coppa. Hodge mi avevanascosta… ma ero lì. Ti ho visto. Haipreso la Coppa e hai dissolto lamaledizione di Hodge. Non avrebbepotuto farlo da solo. Lo ha detto lui.»

«L’ho fatto, è vero» disse Valentinesenza scomporsi «ma solo per pietà neisuoi confronti. Mi sembrava cosìpatetico.»

«Tu non provi pietà. Tu non proviniente.»

«Basta così, Clary!» Era Jace. Lei loguardò. Le sue guance erano diventaterosse, come se fosse ubriaco, e i suoi

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occhi troppo lucidi. «Non parlare così amio padre.»

« Ma non è tuo padre! »Jace la guardò come se gli avesse

tirato uno schiaffo. «Perché sei cosìdecisa a non crederci?»

«Perché ti ama» disse Valentine.Clary si sentì il sangue defluire dal

volto. Guardò Jace senza sapere cosa luiavrebbe potuto dire, ma avendonecomunque paura. Si sentiva comesull’orlo di un precipizio, orrido,spaventoso e senza fondo. Le vertigini lestringevano lo stomaco.

«Cosa?» Jace sembrava sorpreso.Valentine guardava Clary con

un’espressione divertita, come se avesse

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capito di averla inchiodata come unafarfalla in una bacheca. «Ho paura diessermi approfittato di te» disse. «Diaverti fatto il lavaggio del cervello.

Ma naturalmente non è così. Seguardassi nei tuoi ricordi, Clary, losapre-sti anche tu.»

«Clary» disse Jace mentre si alzavain piedi, gli occhi su di lei. Clary vi-dele sue occhiaie nere, la tensione a cuiera sottoposto. «Io…»

«Siediti» disse Valentine. «Lasciache ci arrivi da sola, Jonathan.»

Jace obbedì immediatamente e sirimise a sedere. Attraverso la foschiadelle sue vertigini, Clary stava cercandodi capire. Jonathan? «Credevo che ti

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chiamassi Jace» disse. «Hai mentitoanche su questo?»

«No. Jace è un diminutivo.»Clary si sentì avanzare verso il

precipizio, così vicina da poter quasiguardare di sotto. «Un diminutivo dicosa?»

Lui la guardò come se non capisseperché la facesse tanto lunga su una cosacosì insignificante. «Sono le mieiniziali» disse. «J.C.»

Il precipizio si aprì di fronte a lei.Vide la lunga caduta nelle tenebre.

«Jonathan» disse con un filo di voce.«Jonathan Christopher.»

Jace sollevò le sopracciglia.«Come…?»

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«J.C. Le iniziali sulla scatola. Eri tu,non mio padre, la ciocca di capelli…era tua. Sei sempre stato tu.»

Jace la guardò incerto, picchiettandocon le unghie sullo stelo del bicchiere.«Non so di cosa tu stia parlando.»

«Io sì» intervenne Valentine. La suavoce era rasserenante. «Jace, avevopensato di risparmiartelo. Pensavo chela storia di una madre morta ti avrebbefatto meno male della storia di unamadre che ti ha abbandonato prima checompissi un anno.»

Le dita snelle di Jace si strinseroattorno al bicchiere. Clary pensò per unistante che si sarebbe rotto. «Miamamma è viva?»

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«Sì» disse Valentine. «È viva e inquesto momento sta dormendo in unadelle stanze del piano inferiore. Sì»ripeté interrompendo Jace prima chepotesse parlare «Jocelyn Fairchild è tuamadre, Jonathan. E Clary… Clary è tuasorella.»

Jace ritrasse la mano di colpo. Ilbicchiere si rovesciò, versando il suorosso contenuto sulla tovaglia bianca. Ilvino gorgogliò come se fosse statoacido.

«Jonathan» protestò Valentine.Jace era diventato di un colore

orribile, una specie di bianco verdastro.«Non è vero» disse. «C’è stato un

errore. Non può essere vero.»

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Valentine guardò suo figlio negliocchi. «Pensavo che sarebbe stato unmotivo per festeggiare» disse con unavoce bassa e meditabonda. «Ieri eri unorfano, Jonathan. E ora hai una padre,una madre e una sorella che non avevimai saputo di avere…»

«Non è possibile» ripeté Jace.«Clary non è mia sorella. Se lo fosse…»

«Cosa succederebbe?» chieseValentine.

Jace non rispose, ma la suaespressione di orrore nauseato fusufficiente per Clary. Lei fece il giro deltavolo barcollando un po’, siinginocchiò accanto alla sedia di Jace egli prese la mano. «Jace…»

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Lui si ritrasse di scatto e affondò ledita nel tovagliolo fradicio. «No.»

L’odio per Valentine bruciava nellagola di Clary come un pianto trattenuto.Lui aveva taciuto, non aveva dettoquello che sapeva, l’aveva resacomplice del proprio silenzio, e adesso,dopo avere sganciato loro addosso laverità come un macigno, se ne stavaseduto a osservare i risultati con gelidointeresse. Come faceva Jace a nonvedere quanto fosse odioso?

«Dimmi che non è vero» disse Jacefissando il tovagliolo.

Clary deglutì a fatica. «Non posso.»«Così ora ammetti che ho detto la

verità?» disse Valentine sorridente.

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«No» rispose lei senza guardarlo.«Tu stai raccontando delle menzognecon solo qualche brandello di verità,ecco tutto.»

«Sto iniziando a stancarmi» disseValentine. «Se vuoi ascoltare la verità,Clarissa, questa è la verità. Tu haisentito raccontare la Rivolta da Hodge,per cui pensi che io sia malvagio. Ècosì?»

Clary non disse nulla. Stavaguardando Jace, che sembrava sul puntodi vomitare. Valentine proseguìimplacabile. «In realtà è moltosemplice. La storia che ti ha raccontatoera vera in alcune parti e non in altre…“menzogne con solo qualche brandello

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di verità”, come hai detto tu. Il fatto èche Michael Wayland non è mai stato ilpadre di Jace. Wayland fu ucciso durantela Rivolta. Io assunsi il suo nome e ilsuo posto quando fuggii da Idris con miofiglio. Fu abbastanza facile: Waylandnon aveva veri rapporti con nessuno, e isuoi amici più intimi, i Lightwood,erano in esilio. Anche lui era indisgrazia per la parte che aveva avutonella Rivolta, così io mi presi la sua vitae vissi abbastanza tranquillamente conJace nella tenuta dei Wayland. Leggevo imiei libri, crescevo mio figlio, passavoil tempo.»

Fece scorrere un dito sul bordofiligranato di un bicchiere. Era mancino,

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notò Clary. Come Jace.«Dopo dieci anni, ricevetti una

lettera. Il mittente diceva che conoscevala mia vera identità e che se non fossistato disposto a fare alcune cosel’avrebbe rivelata. Io non sapevo chiavesse scritto quella lettera, ma nonaveva importanza. Non ero disposto adare al suo autore quello che chiedeva.E poi sapevo che la mia sicurezza eracompromessa e sarebbe rimasta tale, ameno che costui non mi credesse morto,immune alle sue minacce.

Misi in scena la mia morte per laseconda volta con l’aiuto di Blackwell ePangborn, e per il bene di Jace feci inmodo che lui venisse mandato qui, sotto

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la protezione dei Lightwood.»«Così per tutti questi anni hai

lasciato che Jace pensasse che erimorto?

Che cosa meschina!»«No» disse ancora Jace. Aveva

sollevato una mano per coprirsi il volto.Parlò attraverso le dita, con una

voce soffocata. «No, Clary.»Valentine guardò suo figlio con un

sorriso che Jace non poté vedere.«Jonathan doveva credere che io

fossi morto. Doveva credere di esserefiglio di Michael Wayland, o iLightwood non l’avrebbero protettocome hanno fatto. Era con Michael cheavevano un debito, non con me. È per

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Michael che gli hanno voluto bene, nonper me.»

«Forse gliene hanno voluto per lui»disse Clary algida.

«Un’ammirevole interpretazionesentimentale» commentò Valentine

«per quanto improbabile. Tu nonconosci i Lightwood come li conoscevoio.» Sembrò non vedere come Jacesobbalzò o, se lo vide, lo ignorò. «Maalla fine ha poca importanza» aggiunse.«I Lightwood dovevano essere unaprotezione per Jace, non una famigliasostitutiva. Lui ha una famiglia.

E ha un padre. Io.»Jace si schiarì la gola e si scostò le

mani dal viso. «Mia madre…»

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«Fuggì dopo la Rivolta» disseValentine. «Io ero caduto in disgrazia, ilConclave mi avrebbe dato la caccia seavesse pensato che ero ancora vivo.

Lei non sopportava di essereassociata a me e scappò.» Il dolorenella sua voce era palpabile e… falso,pensò amareggiata Clary. Che schifosomani-polatore! «Io all’epoca nonsapevo che fosse incinta. Di Clary.»Fece un piccolo sorriso mentre sfioravacon un dito il bicchiere. «Ma il sanguenon è acqua» disse. «Il fato ci ha riunititutti qui. La nostra famiglia, ancorainsieme. Possiamo usare il Portale»disse guardando Jace. «Andare a Idris.

Tornare alla nostra tenuta…»

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Jace ebbe un piccolo brivido, maannuì, senza staccare gli occhi dalle suemani.

«Staremo insieme» disse Valentine.«Come dovrebbe essere.»

Ma che bella idea! , pensò Clary.Soltanto tu, tua moglie in coma, tuofiglio in preda a shock post-traumaticoe tua figlia che ti odia con tutta sestessa. Per non parlare del fatto che ituoi due bambini potrebbero essereinnamorati. Sì, mi sembra proprio lariunione di famiglia migliore che sipossa immaginare. Ma ad alta vocedisse soltanto: «Io non vado da nessunaparte con te, e nemmeno mia madre.»

«Ha ragione lui, Clary» disse Jace

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con la voce roca. Piegò le mani: le puntedelle dita erano macchiate di rosso. «Èl’unico posto in cui possiamo andare. Lìrisolveremo tutto.»

«Non puoi parlare seriamente…»Dal piano di sotto arrivò un colpo

fortissimo, come se fosse crollata unaparete dell’ospedale. Luke, pensò Clarybalzando in piedi.

Jace, nonostante la sua espressionedi orrore nauseato, reagì istintivamente,e stava per alzarsi dalla sedia, la manoche correva alla cintura.

«Padre, hanno…»«Hanno sfondato le porte.» Valentine

si alzò. Si sentì un rumore di passi. Unmomento dopo, la porta della stanza si

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spalancò e Luke comparve sulla soglia.Clary riuscì a fatica a non urlare.

Era coperto di sangue, i jeans e lacamicia scuri e fradici, la metà inferioredel volto come dipinta di rosso. Le suemani erano coperte fino ai polsi disangue ancora caldo e fluido. Clary nonsapeva se parte di quel sangue fosse suo.Sentì urlare il suo nome, poi attraversòdi corsa la stanza, quasi inciampandoper la fretta di afferrare la camicia diLuke e restarvi attaccata come nonfaceva più da quando aveva otto anni.

Per un istante la grande mano diLuke salì ad accarezzarle la nuca, strin-gendola a sé con un abbraccio da orso.Poi la scostò delicatamente. «Sono

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coperto di sangue» disse. «Nonpreoccuparti… non è mio.»

«E allora di chi è?» Era la voce diValentine, e Clary si voltò mentre Lu-kele appoggiava un braccio protettivodietro la schiena. Valentine li stavaosservando, gli occhi socchiusi ecalcolatori. Jace si era alzato in piedi,aveva fatto il giro del tavolo e si eramesso dietro il padre conun’espressione esitante. Clary nonricordava di avergli mai visto fareprima di allora nulla di esitante.

«Di Pangborn» disse Luke. La suamano strinse la spalla di Clary tantoforte da farle male.

Valentine si passò una mano sul

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volto, come se quella notizia lo addolo-rasse. «Capisco. Lo hai sgozzato con identi?»

«A dire la verità» disse Luke «l’houcciso con questo.» Con la mano liberasollevò il lungo pugnale sottile cheClary gli aveva visto addosso, quellocon le pietre blu sull’elsa. «Te loricordi?»

Valentine lo guardò e Clary lo videirrigidire la mascella. «Sì» disse, eClary si chiese se anche lui stesseripensando alla conversazione cheavevano avuto poco prima.

Questo è un kindjal , un pugnalecircasso. Questo esemplare inparticolare faceva parte di una coppia.

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«Me lo desti diciassette anni fa e midicesti di usarlo per togliermi la vi-ta»disse Luke stringendo in manoquell’arma. Clary notò che la lama erapiù lunga del kindjal dall’elsa rossa allacintura di Jace. Era una via di mezzo traun pugnale e una spada, e la sua lamaera appuntita come uno spillo. «E io fuisul punto di farlo.»

«Ti aspetti che lo neghi?» C’eradolore nella voce di Valentine, ilricordo di un antico lutto. «Ho cercatodi salvarti da te stesso, Lucian. Ho fattoun grave errore. Se solo avessi avuto laforza di ucciderti, avresti potuto morireda uomo.»

«Come te?» chiese Luke, e in quel

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momento Clary vide in lui qualcosa delLuke che aveva sempre conosciuto, ilLuke che riusciva a capire se lei stavamentendo o fingendo, che quando sicomportava in modo arrogante o falsoglielo faceva sempre notare.Nell’amarezza della sua voce, sentìl’amore che aveva provato un tempo perValentine e che si era trasformato in unodio esausto. «Un uomo che incatena lamoglie priva di conoscenza a un lettonella speranza di estorcerle delleinformazioni con la tortura quando sisarà svegliata? È questo il tuocoraggio?»

Jace stava fissando suo padre. Claryvide lo spasmo di rabbia che attraversò

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brevemente i tratti contorti di Valentine,e poi svanì, e il suo volto tornò quello diprima. «Non l’ho torturata» disse. «Ed èincatenata per la sua stessa sicurezza.»

«Da cosa?» chiese Luke avanzandonella stanza. «L’unica cosa che la mettein pericolo sei tu. L’unica cosa chel’abbia mai messa in pericolo. Hapassato la sua vita a fuggire da te.»

«Io la amavo» disse Valentine. «Nonle avrei mai fatto del male. Sei stato tu ametterla contro di me.»

Luke scoppiò a ridere. «Non avevabisogno di me per mettersi contro di te.Ha imparato da sola a odiarti.»

«Questa è una menzogna!» ruggìValentine con uno scoppio di rabbia

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improvviso mentre estraeva la spada cheportava in vita. La lama era piatta enera, con un disegno di stelle argentate.Puntò la spada al cuore di Luke.

Jace fece un passo verso Valentine.«Padre…»

«Jonathan, stai zitto!» urlò Valentine,ma era troppo tardi. Clary vide lo shocksul volto di Luke mentre fissava Jace.

«Jonathan?» sussurrò.La bocca di Jace si contrasse. «Non

chiamarmi così» disse conun’espressione feroce e gli occhi doratiin fiamme. «Se mi chiami così tiuccido.»

Luke, ignorando la lama puntata alsuo cuore, non staccò gli occhi da Ja-ce.

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«Tua madre sarebbe fiera di te» dissecosì piano che anche Clary che gli stavaaccanto fece fatica a sentirlo.

«Io non ho una madre» gli risposeJace. Le sue mani stavano tremando.

«La donna che mi ha partorito mi haabbandonato prima che imparassi aricordare il suo volto. Non ero nienteper lei e lei non è niente per me.»

«Non è stata tua madre adabbandonarti» disse Luke spostandolentamente lo sguardo su Valentine.«Credevo che neppure uno come tepotesse abbassarsi a usare come esca latua carne e il tuo sangue. Ma immaginodi essermi sbagliato.»

«Basta così.» Il tono di Valentine era

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quasi languido, ma c’era in lui dellaferocia, una minaccia affamata diviolenza. «Lascia mia figlia o tiucciderò immediatamente.»

«Io non sono tua figlia» risposeClary, ma Luke la allontanò da sé contanta forza che la ragazza quasi cadde.

«Esci di qui. Mettiti al sicuro.»«Io non ti lascio!»«Clary, non sto scherzando. Esci di

qui!» Luke stava già sollevando il suopugnale. «Questa non è la tua battaglia.»

Clary si allontanò barcollando e sidiresse verso la porta che dava sulpianerottolo. Forse avrebbe potutochiedere aiuto, cercare Alaric…

E poi Jace fu di fronte a lei,

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bloccandole la via d’uscita. Avevadimenticato quanto si muoveva in fretta,morbido come un gatto e veloce come illampo. «Sei impazzita?» sibilò. «Hannosfondato la porta d’ingresso. Questoposto è pieno di Dimenticati.»

Lei lo spinse via. «Lasciamiandare…»

Jace la afferrò con una presad’acciaio. «Perché possano farti apezzi?

Non ci penso neppure.»Un forte rumore metallico risuonò

alle spalle di Clary, che si scostò daJace e vide che Valentine avevaattaccato Luke, che aveva risposto al suocolpo con una parata spaccatimpani. Le

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lame si separarono e i due iniziarono agirare in un vortice di finte e affondi.«Oh, mio Dio» sussurrò Clary. «Siuccideranno.»

Gli occhi di Jace divennero quasineri. «Tu non capisci» disse. «È cosìche si fa…» Si interruppe ed emise unpiccolo risucchio quando Luke superò laguardia di Valentine e lo colpì sopra laspalla. Il sangue iniziò a scorrerecopioso, macchiandogli la camiciabianca.

Valentine gettò la testa all’indietro escoppiò a ridere. «Bel colpo» disse.

«Non credevo ne fossi ancoracapace, Lucian.»

Il coltello di Luke impediva a Clary

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di vedere il suo volto. «Me l’hai in-segnata tu, questa mossa.»

«Ma è successo anni fa» disseValentine con una voce che ricordava laseta grezza «e da allora non hai avutomolto bisogno di usare un’arma, giusto?Avevi artigli e zanne a disposizione.»

«Li userò per strapparti il cuore.»Valentine scosse il capo. «Lo hai già

fatto anni fa» disse, e nemmeno Claryavrebbe saputo dire se la tristezza nellasua voce fosse vera o finta.

«Quando mi hai tradito eabbandonato.» Luke fece un altroaffondo, ma Valentine si spostòagilmente. Per essere un uomo tantogrosso, si muoveva con sorprendente

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leggerezza. «Sei stato tu a mettere miamoglie contro la sua stessa gente. L’haicercata quando era più debole. Io erolontano, e lei ha pensato che tu laamassi. È stata una stupida.»

Jace era teso come una corda diviolino accanto a Clary. Lei lo sentivacome si sentono le scintille rilasciate daun cavo elettrico abbattuto. «È di tuamadre che Valentine sta parlando» glidisse.

«Mi ha abbandonato» disse Jace.«Bella madre.»

«Pensava che fossi morto. E saicome faccio a saperlo? Perché tenevauna scatola in camera sua. Sopra c’eranole tue iniziali, J.C.»

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«Dunque aveva una scatola. Unsacco di persone hanno delle scatole. Citengono dentro le cose. Mi dicono cheva molto di moda.»

«Dentro c’era una ciocca dei tuoicapelli. Capelli di bambino. E unafotografia, forse due. Le tirava fuori unavolta all’anno e piangeva. Piangeva adirotto, come se avesse il cuorespezzato…»

La mano di Jace si strinse a pugnolungo il suo fianco. «Smettila» mormoròtra i denti.

«Di fare cosa? Di dirti la verità?Pensava che fossi morto… Non tiavrebbe mai lasciato se avesse saputoche eri vivo. Tu pensavi che tuo padre

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fosse morto…»«Io l’ho visto morire! Non l’ho

solo… sentito dire, come lei!»«Ha trovato le tue ossa

carbonizzate» disse sottovoce Clary.«Tra le rovine di casa sua. Insieme aquelle di suo padre e sua madre.»

Finalmente Jace la guardò. Lei videl’incredulità nei suoi occhi, e attorno aessi la fatica di conservare intattaquell’incredulità. Vide, come attraversoun incantesimo, la fragile struttura dellasua fiducia in suo padre che indossavacome un’armatura trasparente perproteggersi dalla verità. Da qualcheparte, pensò Clary, c’era una crepa inquell’armatura. Da qualche parte, se

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fosse riuscita a trovare le parole giuste,avrebbe potuto penetrarla.

«È ridicolo» disse lui. «Io non sonomorto… non potevano esserci delle os-sa.»

«C’erano.»«E allora era un incantesimo.»«Chiedi a tuo padre cosa è successo

ai suoi suoceri» disse Clary. Allungòuna mano per toccarlo. «Chiedigli se eraun incantesimo anche quello…»

«Stai zitta!» Jace perse il controllo esi voltò verso di lei, livido. Clary videLuke spostare lo sguardo su di loro,preoccupato da quel rumore, e inquell’istante di distrazione Valentine siinfilò sotto la sua guardia e, con

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un’unica stoccata, infilò la lama dellasua spada nel petto di Luke, appena sottola clavicola.

Gli occhi di Luke si spalancaronopiù per lo stupore che per il dolore.

Valentine ritrasse la mano e la lamascivolò fuori, macchiata di rosso finoall’elsa. Con una risata secca Valentineaffondò di nuovo. Il pugnale di Lu-kecadde sul pavimento con un rumoresordo e Valentine gli tirò un calcio e lospedì sotto il tavolo, mentre le ginocchiadi Luke cedevano e lui crol-lava a terra.

Valentine sollevò la spada nerasopra il corpo prono di Luke, pronto amettere a segno il colpo fatale. Le stelleargentate brillavano lungo la lama, e

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Clary pensò, come congelata in unmomento di orrore, Come può una cosacosì letale essere così bella?

Jace, come se sapesse cosa avrebbefatto Clary prima ancora di lei, si voltòverso la ragazza. «Clary…»

Il momento di stasi era terminato.Clary si allontanò da Jace, evitò le suemani tese verso di lei e corse da Luke.Era a terra e si reggeva su un braccio,Clary gli si gettò addosso, propriomentre la spada di Valentine iniziava lasua discesa.

Vide gli occhi di Valentine mentre lalama scendeva verso di lei. Sembraronopassare dei secoli, anche se fu solo unafrazione di secondo. Vide che, se avesse

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voluto, lui avrebbe potuto fermare ilcolpo. Vide che, se non l’avesse fatto,avrebbe potuto colpirla. Vide chel’avrebbe fatto comunque.

Alzò le mani e chiuse gli occhi…E ci fu un rumore secco seguito da

un sibilo, mentre qualcosa le sfrecciavadavanti al volto. Sentì Valentine urlare, equando sollevò lo sguardo vide la suamano disarmata e sanguinante. Il kindjaldall’elsa rossa era a qualche metro didistanza, sul pavimento di pietra,accanto alla spada nera.

Clary si voltò sbalordita e vide Jaceaccanto alla porta, il braccio ancorasollevato, e si rese conto che dovevaavere lanciato il pugnale con abbastanza

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forza da sbalzare la spada nera dallamano del padre.

Abbassò lentamente il braccio. Erapallidissimo. I suoi occhi, spalancati eimploranti, incontrarono quelli diValentine. «Padre, io…»

Valentine si guardò la manoinsanguinata e per un istante Clary videuno spasmo di rabbia attraversargli ilvolto, come una luce che si spegne tre-molando. Ma la sua voce, quando parlò,era calma. «Ottimo lancio, Jace.»

Jace esitò. «La tua mano… iovolevo solo…»

«Non avrei fatto del male a tuasorella» disse Valentine, muovendosivelocemente per recuperare la spada e il

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kindjal dall’elsa rossa, che si infilònella cintura. «Avrei fermato il colpo.Comunque il tuo attaccamento allafamiglia è encomiabile.»

Bugiardo. Ma Clary non avevatempo per le mistificazioni di Valentine.

Si voltò a guardare Luke ed ebbe unattacco di nausea. Era steso sullaschiena, gli occhi semichiusi, il respiroirregolare. Dal buco nella camiciastrappata usciva del sangue. «Miservono delle bende» disse Clary convo-ce strozzata. «Dei tovaglioli,qualsiasi cosa… Jace, il tuo stilo…»

«Fermo, Jonathan» disse Valentinecon una voce d’acciaio, e Jace si bloccòdov’era, con la mano a metà strada

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verso la tasca dove teneva lo stilo.«Clarissa» proseguì Valentine con unavoce untuosa come acciaio im-burrato«quest’uomo è un nemico della nostrafamiglia, un nemico del Conclave. Noisiamo Shadowhunters, e questo vuoldire che a volte dobbiamo uccidere.Certamente questo lo capisci.»

«Cacciatori di demoni» disse Clary.«Uccisori di demoni. Non assassini.

È diverso.»«Lui è un demone, Clarissa» replicò

Valentine nello stesso tono morbido.«Un demone con un volto da uomo. Io soquanto possono essere in-gannevoliquesti mostri. Ricordi? Io stesso l’horisparmiato una volta.»

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«Mostri?» gli fece eco Clary. Pensòa Luke, a Luke che la spingeva inaltalena quando aveva cinque anni, inalto, sempre più in alto; a Luke allacerimonia per il diploma delle medie,con la macchina fotografica che scattavaa mitraglia come quella di un padreorgoglioso; a Luke che passava inrassegna tutti gli scatoloni di libriappena arrivavano in negozio percercare qualcosa che potesse piacerle etenerglielo da parte; a Luke che lasollevava per cogliere le meledall’albero accanto alla sua fattoria. ALuke di cui questo uomo sadico,bugiardo e omicida voleva prendere ilposto di padre. «Luke non è un mostro»

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disse con una voce tanto dura da reggereil confronto con quella di Valentine. «Enemmeno un assassino. Tu sì.»

«Clary!» Era Jace.Clary lo ignorò. I suoi occhi erano

fissi in quelli grigi e freddi di suo padre.«Tu hai ucciso i genitori di tua moglie,non in battaglia ma a sangue freddo»disse. «E scommetto che hai uccisoanche Michael Wayland e suo figlio ehai gettato i loro corpi insieme a quellidei miei nonni, in modo che mia madrepensasse che tu e Jace eravate morti.Hai messo il tuo ciondolo al collo diMichael Wayland prima di bruciarlo, inmodo che tutti pensas-sero che quelleossa erano le tue. Dopo tutto il tuo

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parlare della purezza del sangue delConclave, non hai pensato per un attimoal loro sangue e alla loro innocenzaquando li hai uccisi, vero? Massacrarevecchi e bambini a sangue freddo,questo è mostruoso.»

Un altro spasmo di rabbia contorse ilineamenti di Valentine. «Basta co-sì!»ruggì sollevando di nuovo la spada nera,e Clary sentì nella sua voce la verità suchi era suo padre, la rabbia che lo avevasorretto per tutta la vi-ta. L’odioimplacabile. «Jonathan! Porta via tuasorella o per l’Angelo giuro che laucciderò insieme al mostro che staproteggendo!»

Per un brevissimo istante Jace esitò,

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poi sollevò il capo. «Certo, padre»disse avvicinandosi a Clary. Prima

che lei potesse sollevare le mani perallontanarlo, lui l’aveva afferratabrutalmente per un braccio. La rimise inpiedi di peso, allontanandola da Luke.

«Jace» sussurrò lei sgomenta.«No» disse lui. Le sue dita

affondarono dolorosamente nel bracciodi lei.

Odorava di vino e metallo e sudore.«Non parlarmi.»

«Ma…»«Ho detto di non parlare.» La

scosse, forte. Lei inciampò, ritrovòl’equilibrio e quando sollevò losguardo, vide Valentine che torreggiava

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trionfante sopra il corpo contorto diLuke. Allungò un piede e fece rotolareLu-ke sulla schiena con una spinta. Lukeemise un suono strozzato.

«Lascialo stare!» urlò Clarycercando di liberarsi dalla presa diJace. Fu inutile… era troppo forte.

«Smettila» le sibilò il ragazzoall’orecchio. «Stai solo rendendo lecose più difficili. È meglio che nonguardi.»

«Come fai tu?» gli rispose.«Chiudere gli occhi e far finta chequalcosa non stia succedendo non servea niente, Jace, dovresti saperlo bene…»

«Clary, basta.» Il suo tono di voceriuscì quasi a zittirla. Sembrava di-

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sperato. Valentine stava ridendo. «Sesolo mi fosse venuto in mente» disse

«di portare con me una spadad’argento, avrei potuto finirti come si facon quelli della tua specie, Lucian.»

Luke ringhiò qualcosa che Clary nonriuscì a sentire. Sperò fosse un insulto.Provò a divincolarsi. Le scivolò unpiede e lui la prese al volo, tiran-dola sucon una forza incredibile. Aveva lebraccia attorno a lei, pensò, ma noncome aveva sperato una volta, non comeaveva sempre immaginato.

«Almeno lasciami alzare» disseLuke. «Concedimi di morire in piedi.»

Valentine lo guardò da dietro la lamadella spada e scrollò le spalle.

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«Puoi morire sulla schiena o inginocchio» disse. «Solo un uomo meritadi morire in piedi, e tu non sei unuomo.»

«NO!» urlò Clary, mentre Luke,senza guardarla, iniziò a sollevarsidolorosamente in ginocchio.

«Perché devi rendere le cose cosìdifficili?» chiese Jace con un sussurrobasso e teso. «Ti ho detto di nonguardare.»

Clary stava ansimando per la fatica eil dolore. «E tu perché devi mentire a testesso?»

«Non sto mentendo!» La sua presa sistrinse anche se lei non aveva provato aliberarsi. «Voglio solo quel poco che c’è

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di buono nella mia vita…mio padre… la mia famiglia… non

posso perdere tutto un’altra volta…»Luke era ormai in ginocchio.

Valentine aveva sollevato la spadamacchiata di sangue. Gli occhi di Lukeerano chiusi e stava mormorandoqualcosa: le sue ultime parole, unapreghiera, Clary non lo sapeva. Sidivincolò tra le braccia di Jace perpoterlo guardare in faccia. Le labbra diJace erano una linea sottile, la suamascella era tesa, ma i suoi occhi…

La sua fragile armatura si stavaspezzando. Serviva solo un’ultimaspinta. Clary cercò le parole giuste.

«Tu hai già una famiglia» disse. «La

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tua famiglia sono le persone che tivogliono bene. Come i Lightwood…Alec, Isabelle…» La sua voce siincrinò. «La mia famiglia è Luke, e tustai per farmi assistere alla sua mortecome tu hai assistito a quella di tuopadre quando avevi dieci anni? È questoche vuoi, Jace? È questo il tipo di uomoche vuoi essere? Come…»

Si interruppe, improvvisamenteterrorizzata all’idea di essere andatatroppo oltre, di averlo perso.

«Come mio padre» disse lui.La sua voce era gelida, distante,

piatta come la lama di un coltello.L’ho perso, pensò Clary disperata.«Giù» disse lui spingendola con

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forza. Lei inciampò, cadde a terra, simise in ginocchio. Da quella posizionevide Valentine sollevare la spada soprala testa. La luce del candeliere appeso alsoffitto esplose sulla lama, scoccandolenegli occhi scintillanti punte di freccia.«Luke!» urlò.

La lama calò… sul pavimento. Lukenon era più lì. Jace, muovendosi piùvelocemente di quanto Clary credessepossibile anche per un Cacciatore, loaveva spinto via. E ora stava dritto difronte a suo padre, sopra l’elsa vibrantedella spada, il volto bianco ma losguardo fermo.

«Penso che dovresti andartene»disse.

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Valentine guardò incredulo suofiglio. «Cosa hai detto?»

Luke si era messo a sedere. La suacamicia era macchiata da altro sangue.Guardò Jace allungare una mano eaccarezzare in modo delicato, quasidisinteressato, l’elsa della spada che siera conficcata nel pavimento.

«Penso che tu mi abbia sentito,padre.»

La voce di Valentine era come unafrusta. «Jonathan Morgenstern…»

Veloce come un fulmine, Jace afferròl’elsa della spada, la strappò dalpavimento e la sollevò. La tenne dritta,con tocco leggero, la punta pochicentimetri sotto il mento del padre.

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«Non è quello il mio nome» disse. «Iomi chiamo Jace Wayland.»

Gli occhi di Valentine erano ancorafissi in quelli di Jace. Sembrò accor-gersi a stento della spada puntata allasua gola. «Wayland?» ruggì. «In te nonscorre il sangue dei Wayland! MichaelWayland non è nessuno per te…»

«E neanche tu» disse tranquillamenteJace. Mosse leggermente la spada versosinistra. «Allontanati da Luke.»

Valentine scosse il capo. «Mai. Nonprenderò ordini da un ragazzino.»

La punta della spada toccò la gola diValentine. Clary li fissava immobile, inpreda a una sorta di orrore affascinato.«Sono un ragazzino molto ben

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addestrato» disse Jace. «Mi haiinsegnato tu stesso la sottile arte diuccidere. Devo muovere solo due ditaper tagliarti la gola, lo sai, vero?» I suoiocchi erano d’acciaio. «Immagino disì.»

«Sei abbastanza abile» disseValentine. Aveva ancora un tono disuperiorità, ma Clary notò che restavaperfettamente immobile. «Ma non riusci-resti a uccidermi. Sei sempre stato undebole.»

«Forse lui non ci riuscirebbe.» Erastato Luke a parlare. Era di nuovo inpiedi, per quanto pallido e insanguinato.«Ma io sì. E non sono del tutto sicuroche lui potrebbe fermarmi.»

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Gli occhi febbrili di Valentine siposarono su Luke e poi di nuovo sulfiglio. Jace non si era voltato quandoLuke aveva parlato, era rimastoimmobile come una statua, la spadaperfettamente ferma nella sua mano.«Hai sentito il mostro minacciarmi,Jonathan» disse Valentine. «E tu tischieri con questo animale?»

«Non ha torto» rispose Jace in tonotranquillo. «Non sono sicuro che potreifermarlo se volesse farti del male. Ilicantropi guariscono così in fretta…»

Valentine fece una smorfia. «Così»sputò «sei come tua madre, preferisciquesta creatura, questo demonebastardo, al tuo sangue, alla tua

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famiglia?»Per la prima volta la spada di Jace

ebbe un tremito. «Tu mi hai lasciatoquando avevo dieci anni» disse con unavoce misurata. «Mi hai fatto credere chetu fossi morto e mi hai mandato a viverecon degli estranei. Non mi hai mai dettoche avevo una madre e una sorella. Mihai lasciato solo.»

L’ultima parola fu come un urlo.«L’ho fatto per te… perché fossi al

sicuro…» protestò Valentine.«Se ti fosse importato qualcosa di

Jace, se ti fosse importato della tuafamiglia, non avresti ucciso i suoi nonni.Tu hai assassinato degli innocenti…»intervenne Clary furiosa.

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«Innocenti?» rispose Valentine. «Inguerra non esistono innocenti! Si eranoschierati con Jocelyn, contro di me!Avrebbero lasciato che lei mi portassevia mio figlio!»

Luke sospirò. «Sapevi che tiavrebbe lasciato» disse. «Lo sapeviancora prima della Rivolta?»

«Ma certo che lo sapevo!» ruggìValentine. Il suo autocontrollo era crol-lato e Clary vide la rabbia fusa cheribolliva in lui stirare i tendini del suocollo e stringere le sue mani a formaredei pugni. «Ho fatto quello che dovevoper proteggere ciò che era mio e allafine ho dato loro più di quantomeritassero… la pira funebre riservata

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solo ai più grandi guerrieri delConclave!»

«Li hai bruciati» disse Clary.«Sì» urlò Valentine. «Li ho

bruciati.»Jace emise un suono strozzato. «I

miei nonni…»«Non li hai mai conosciuti» disse

Valentine. «Non simulare un dolore chenon provi.»

La punta della spada ora tremava piùvelocemente. Luke appoggiò una manosulla spalla di Jace. «Calmati» gli disse.

Jace non lo guardò. Ansimava comese avesse appena corso. Clary vide ilsudore scintillare lungo la linea marcatadelle sue clavicole e incollargli i capelli

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alle tempie. Sul dorso delle sue manierano ben visibili le vene. Lo ucciderà,pensò. Ucciderà Valentine.

Avanzò velocemente. «Jace…abbiamo bisogno della Coppa. Oppuresai che cosa ne farà.»

Jace si leccò le labbra. «La Coppa,padre. Dov’è?»

«A Idris» disse Valentine senzascomporsi. «Dove non la troverete mai.»

La mano di Jace stava tremando.«Dimmi…»

«Dammi la spada, Jonathan.» EraLuke, e la sua voce era calma,addirittura gentile.

Jace, invece, sembrava che parlassedal fondo di un pozzo. «Cosa?»

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Clary fece un passo avanti. «Dai laspada a Luke. Dagliela, Jace.»

Il ragazzo scosse il capo. «Nonposso.»

Lei avanzò. Un altro passo ancora esarebbe stata abbastanza vicina datoccarlo. «Sì, puoi» gli dissedolcemente. «Ti prego.»

Lui non la guardò. I suoi occhi eranofissi in quelli di suo padre. Il momentosi dilatò e parve interminabile. Alla fineil ragazzo annuì velocemente, senzaabbassare la mano. Però permise a Lukedi affiancarsi a lui e di mettere la manosopra la sua, sull’elsa della spada.«Adesso puoi lasciarla, Jonathan» disseLuke. Poi vide il volto di Clary e si

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corresse. «Jace.»Jace parve non averlo sentito.

Lasciò l’elsa e si allontanò da suopadre.

Gli era tornato un po’ di colore inviso e ora era leggermente meno pallido.

Clary avrebbe voluto toccarlo,gettargli le braccia al collo, ma sapevache lui non glielo avrebbe consentito.

«Avrei un suggerimento» disseValentine a Luke con un tonosorprendentemente leggero.

«Fammi indovinare» disse Luke. «È“non uccidetemi”, giusto?»

Valentine scoppiò a ridere, unarisata che non aveva nulla di allegro.

«Non mi abbasserei certamente a

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pregarti.»«Bene» Luke gli sfiorò il mento con

la spada. «Non ti ucciderò, a meno chetu non mi costringa, Valentine. Nonvoglio ucciderti davanti a tuo figlio.Quello che voglio è la Coppa.»

I ruggiti al piano di sotto si eranofatti più forti. Clary sentì quelli che leparvero dei passi nel corridoio cheportava alla stanza in cui si trovavano.

«Luke…»«Ho sentito» la rassicurò lui.«La Coppa è a Idris, ve l’ho già

detto» disse Valentine guardando al di làdi Luke.

Luke stava sudando. «Se è a Idris,hai usato il Portale per arrivarci.

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Andremo insieme a riprenderla.» Gliocchi di Luke si mossero velocemente.

C’era del trambusto in corridoio,urla, oggetti che andavano in pezzi.

«Clary resta con tuo fratello. Dopoche saremo andati via, usate il Portaleper andare in un posto sicuro.»

«Non ti lascio qui» disse Jace.«E invece sì.» Qualcosa picchiò

contro la porta. Luke alzò la voce.«Valentine, il Portale. Subito.»

Valentine allargò le braccia. «Comedesideri.»

Fece un passo indietro propriomentre la porta esplodeva versol’interno e i suoi cardini cadevano aterra. Luke si chinò per evitare di essere

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schiacciato dalla porta e mentre lofaceva si voltò, la spada ancora in mano.

Sulla porta c’era un lupo, unamontagna di pelliccia chiazzata eringhiante, le spalle ingobbite, le labbrasollevate sopra i denti. Il sanguesgorgava da innumerevoli ferite sparseper il suo corpo.

Jace imprecò sottovoce, una spadaangelica già in mano. Clary gli prese ilpolso. «No… è un amico.»

Il ragazzo le lanciò uno sguardoincredulo, ma abbassò l’arma.

«Alaric…» Luke poi urlò qualcosain una lingua che Clary non capiva:sembrava una candela che si stessespegnendo nel vento. Alaric ringhiò di

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nuovo, si acquattò sul pavimento, e perun istante Clary pensò che si sarebbelanciato addosso a Luke. Poi vide lamano di Valentine che correva allacintura, il lampo di gioielli rossi, e sirese conto di essersi dimenticata che suopadre aveva ancora il pugnale di Jace.

Sentì una voce urlare il nome diLuke e per un momento pensò che fossela sua. Poi si accorse che la sua gola eracome sigillata ed era stato Jace a urlare.

Luke si voltò con quella che sembròloro una spaventosa lentezza mentre ilcoltello lasciava la mano di Valentine evolava verso di lui come una farfallad’argento, roteando nell’aria. Lukesollevò la spada e qualcosa di enorme e

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grigio si frappose tra lui e Valentine.Clary sentì l’ululato di Alaric spegnersiall’improvviso, sentì la lama cheaffondava. Sussultò, e fece per correrein avanti, ma Jace la fermò.

Il lupo cadde ai piedi di Luke, ilsangue che gli macchiava tutta lapelliccia. Alaric sfiorò piano con lezampe l’elsa del pugnale che glispuntava dal petto.

Valentine scoppiò a ridere. Quelsuono fu come una luce che si spegne-va. «Ed è così che ripaghi la lealtàassoluta che hai comprato tanto a buonmercato, Lucian» disse. «Lasciandolimorire per te.» Stava arretrando, senzastaccare gli occhi da Luke.

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Luke, bianco in volto, lo guardò epoi guardò Alaric: scosse una volta ilcapo, e cadde in ginocchio, chinandosisopra il licantropo caduto. Jace, senzalasciare le spalle di Clary, sussurrò:«Resta qui, hai capito? Resta qui!» e simise a inseguire Valentine, che stavainspiegabilmente correndo verso ilmuro. Pensava di lanciarsi dallafinestra? Clary vide il suo riflesso nelgrande specchio dalla cornice dorata, el’espressione sul suo volto, una speciedi sollievo beffardo, la riempì di rabbiaomicida.

«Col cavolo che resto qui» mormoròmentre si muoveva per seguire Ja-ce. Sifermò solo per raccogliere il kindjal

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dall’elsa blu da sotto il tavolo, doveValentine l’aveva scalciato. L’arma nellasua mano le dava una sensazioneconfortante, rassicurante. Clary spinsevia una sedia caduta e si avvicinò allospecchio.

Jace aveva estratto la spada angelicae la sua luce si sprigionava verso l’alto,accentuando le sue occhiaie e le sueguance scavate. Valentine si era voltatoed era fermo con le spalle allo specchio.Clary guardò Luke: aveva messo giù laspada e stava estraendo con grandedelicatezza il kindjal rosso dal petto diAlaric. Clary fu colta dalla nausea estrinse più forte il suo pugnale.«Jace…» disse.

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Il ragazzo non si voltò a guardarla,ma la vedeva riflessa nello specchio.

«Clary. Ti avevo detto di aspettare.»«È come sua madre» disse Valentine.

Aveva una mano dietro la schiena, atastare il bordo della cornice dorata.«Non le piace obbedire.»

Jace non tremava più come prima,ma Clary capiva quanto il suoautocontrollo fosse stato messo allaprova. «Andrò con lui a Idris, Clary, eriporterò indietro la Coppa.»

«No, non puoi…» stava per direClary, e vide nello specchio la smorfiache comparve sul suo viso.

«Hai un’idea migliore?» le chieseJace.

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«E Luke…»«Lucian» disse Valentine con una

voce di seta «sta badando al suocommilitone caduto. Per quanto riguardala Coppa, e Idris, non sono lonta-ne.Oltre lo specchio, per così dire.»

Jace socchiuse gli occhi. «Lospecchio è il Portale?»

Le labbra di Valentine siassottigliarono, lasciò cadere la mano esi spostò dallo specchio, mentrel’immagine che esso contenevavorticava e cambiava come degliacquarelli che scorrono su una tela. Alposto della stanza con il suo legno scuroe le sue candele, Clary vide dei campiverdi, le foglie color smeraldo degli

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alberi e un grande prato che digradavaverso una grande casa di pietra, inlontananza. Sentì il ronzio delle api, ilfruscio delle foglie e l’odore deicaprifogli portati dal vento.

«Ve lo dicevo che non era lontana.»Valentine era in piedi, al centro di unarco dorato, i capelli mossi dallo stessovento che agitava le foglie sugli alberi.«È come la ricordavi, Jonathan? Ècambiato qualcosa?»

Il cuore di Clary le si strinse inpetto. Quella era certamente la casadell’infanzia di Jace, presentata pertentarlo come si potrebbe tentare unbambino con caramelle o giocattoli.Guardò Jace, ma lui non parve nemmeno

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notarla. Stava fissando il Portale, e quelpanorama di campi verdi e la tenuta dicampagna. Clary vide il suo voltoaddolcirsi e la sua bocca aprirsi in unsorriso, come se avesse visto unapersona amata.

«Puoi ancora tornare a casa» dissesuo padre. La luce della spada angelicaproiettava la sua ombra all’indietro,cosicché sembrava muoversi verso ilPortale, oscurare i campi luminosi e ilprato dietro di essi.

Il sorriso scomparve dal volto diJace. «Quella non è casa mia» disse.

«Adesso è questa la mia casa.»Uno spasmo di rabbia deformò il

volto di Valentine, che guardò il figlio.

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Clary non avrebbe mai dimenticatoquello sguardo… le fece provare undesiderio improvviso e struggente di suamadre. Perché, per quanto fosse stataarrabbiata con lei, Jocelyn non l’avevamai guardata a quel modo. L’avevasempre guardata con amore.

Se fosse stata in grado di provareper Jace più pena di quella che provavain quel momento, l’avrebbe fatto.

«Molto bene» disse Valentine. Feceun passo veloce dentro il Portale e toccòcon un piede il suolo di Idris. Le suelabbra si curvarono in un sorriso. «Ah»disse. «Casa.»

Jace barcollò fino al Portale primadi fermarsi, una mano sulla cornice

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dorata. Una strana esitazione sembravaessersi impadronita di lui, mentre Idrisluccicava di fronte ai suoi occhi comeun miraggio nel deserto. Gli sarebbebastato un passo…

«No, Jace» disse velocemente Clary.«Non seguirlo.»

«Ma la Coppa…» disse Jace. Clarynon sapeva dire cosa stesse pensando,ma la lama che lui aveva in manotremava violentemente. «Ci serve.»

«Lascia che la prenda il Conclave!Jace, ti prego.» Se attraversi quelPortale potresti non tornare più indietro.Valentine ti ucciderà. Tu non vuoicrederci, ma lo farà.

«Tua sorella ha ragione.» Valentine

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era fermo in mezzo all’erba verde e aifiori di campo mossi dal vento, e Clarysi rese conto che anche se erano a pochicentimetri di distanza, in realtà sitrovavano in due continenti diversi.«Credi davvero di poter vincere questabattaglia? Anche se tu hai una spadaangelica e io sono disarmato? Non sonosolo più forte di te, ma credo anche chetu non abbia il fegato per uccidermi. Edovrai uccidermi, Jonathan, prima che ioti dia la Coppa.»

Jace strinse più forte la spadaangelica. «Io posso…»

«No, non puoi.» Valentine allungòuna mano attraverso il Portale, afferrò ilpolso di Jace e lo tirò verso di sé, finché

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la punta della spada angelica non glitoccò il petto. Nel punto in cui eranopassati attraverso il Portale, la mano e ilpolso di Jace scintillarono come sefossero coperti d’acqua. «Fallo, allora»disse Valentine. «Infilami dentro quellalama. Dieci centimetri, o anche dipiù…» Strattonò la lama in avanti e lapunta tagliò il tessuto della sua camicia.Un cerchio rosso come un papaverosbocciò appena sopra il suo cuore. Jacesussultò, si liberò il braccio e barcollòindietro.

«Come pensavo» disse Valentine.«Troppo debole.» E con una velocitàsconvolgente tirò un pugno in direzionedi Jace. Clary urlò, ma il colpo non

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prese il ragazzo: colpì la superficie delPortale tra di loro e produsse un suonocome di mille oggetti fragili che vannoin pezzi. Minuscole crepe ricoprironoquel vetro-che-non-era-vetro; l’ultimacosa che Clary sentì prima che il Portalesi dissolvesse in un diluvio di scheggefu la risata sarcastica di Valentine.

Il vetro si sparse su tutto ilpavimento come una pioggia di ghiaccio,una bizzarra e magnifica cascata dischegge d’argento. Clary fece un passoindietro, ma Jace, mentre i vetri glipiovevano tutt’intorno, rimase immobilea fissare la cornice vuota dellospecchio.

Clary si era aspettata che

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imprecasse, che urlasse una maledizionea suo padre, mentre invece aspettò soloche le schegge smettessero di cadere.

Quando la pioggia di vetro cessò, siinginocchiò in silenzio e con grandeattenzione, fra quel tumulto di cocci,raccolse uno dei pezzi più grossi e se lorigirò tra le mani.

«No.» Clary gli si inginocchiòaccanto e appoggiò sul pavimento ilpugnale che stringeva in mano. Lapresenza dell’arma non le dava piùalcun conforto. «Non c’era nient’altroche tu potessi fare.»

«Sì, c’era.» Jace stava ancoraguardando i pezzi di vetro. Tra i capelliaveva dei minuscoli frammenti di

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specchio. «Avrei potuto ucciderlo.»Voltò la scheggia verso di lei. «Guarda»disse.

Clary guardò. Nella scheggia divetro si vedeva ancora un pezzo diIdris… uno scampolo di cielo azzurro,l’ombra delle foglie verdi. Sospirò.

«Jace…»«State bene?»Clary sollevò lo sguardo. Era Luke,

in piedi sopra di loro. Era disarmato, gliocchi cerchiati da occhiaie distanchezza. «Abbastanza» disse lei. Allespalle di Luke vide una figura stesa perterra, in parte coperta dal mantello diValentine. Una mano artigliata usciva dasotto la stoffa. «Alaric…?»

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«È morto» disse Luke. Nella suavoce c’era un’enorme dolorecontrollato: anche se conosceva appenaAlaric, Clary sapeva che il peso delsenso di colpa non lo avrebbe mai piùabbandonato. Ed è così che ripaghi lalealtà assoluta che hai comprato tantoa buon mercato, Lucian. Lasciandolimorire per te.

«Mio padre è scappato» disse Jace.«Con la Coppa.» La sua voce era spenta.«Gliela abbiamo praticamenteconsegnata noi. Abbiamo perso.»

Luke appoggiò una mano sulla testadi Jace e gli spazzolò via il vetro daicapelli. Aveva ancora gli artigli e le suedita erano macchiate di sangue, ma a

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Jace non parve dare fastidio il contattocon lui, e non si lamentò.

«Non abbiamo perso» disse Lukeguardando Clary. I suoi occhi azzurrierano fermi. Dicevano: Tuo fratello habisogno di te; stai con lui.

Clary annuì e Luke li lasciò e andòalla finestra. La aprì e fece entrare nellastanza una brezza che fece oscillare lafiamma delle candele. Clary lo sentìurlare e richiamare i lupi.

Lei si inginocchiò accanto a Jace.«Va tutto bene» gli disse, anche se eraevidente che non era così e forse non losarebbe mai stato. Poi gli appoggiò unamano sulla spalla. La stoffa della suacamicia era ruvida sotto le sue dita,

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fradicia di sudore, stranamenteconfortante. «Abbiamo ritrovato lamamma, abbiamo ritrovato te…abbiamo tutto ciò che conta. Nonabbiamo perso. Non abbiamo affattoperso.»

«Aveva ragione lui. È per questo chenon sono riuscito ad attraversare ilPortale» sussurrò Jace. «Non potevofarlo. Non potevo ucciderlo.»

«Solo se tu l’avessi fatto» disseClary «avremmo perso.»

Jace non rispose nulla, si limitò asussurrare qualcosa sottovoce. Lei nondistinse bene le parole, ma allungò unamano e gli prese il pezzo di vetro.

Nel punto in cui l’aveva tenuto, Jace

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sanguinava da due taglietti sottili. Leimise giù la scheggia, gli prese la mano egli chiuse le dita sopra il palmo ferito.«Senti, Jace» disse con la stessadelicatezza con cui lo stava toccando.«Non lo sai che non bisogna giocare coni vetri rotti?»

Lui produsse un suono cheassomigliava a una risata soffocata e poistrinse Clary tra le braccia. Lei sentì cheLuke li stava guardando dalla finestra,ma chiuse gli occhi e affondò il visonella spalla di Jace. Odorava di sale esangue, e solo quando la sua bocca siavvicinò all’orecchio di lei, Clary capìcosa stesse dicendo, cosa avevasussurrato prima, ed era la lita-nia più

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semplice di tutte: il suo nome, solamenteil suo nome.

epilogoCOME RECLAMÒ L’ASCESAIl corridoio dell’ospedale era di un

bianco accecante. Dopo tanti giornipassati al lume delle torce, dellelampade a gas e della stregaluce, il neonsembrava livido e innaturale. QuandoClary si presentò al bancone, si accorseche l’infermiera che le porgeva ilmodulo aveva una pelle stranamentegiallastra sotto quelle luci potenti. Forseè un demone, pensò Clary resti-tuendoleil modulo. «Ultima porta in fondo alcorridoio» disse l’infermiera con unsorriso cordiale. O forse io sto

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impazzendo.«Lo so» disse Clary. «Sono stata qui

anche ieri.» E il giorno prima e quelloprima ancora. Era metà pomeriggio e ilcorridoio non era affollato.

Un uomo anziano se ne andava ingiro in pantofole e vestaglia, trascinan-dosi dietro una bombola di ossigeno.Due dottori in tenuta chirurgica verdetenevano in mano dei bicchierini diplastica pieni di caffè, il vapore che sistaccava dalla superficie del liquido persalire nell’aria fredda. All’internodell’ospedale l’aria condizionataandava al massimo, anche se fuori iltempo aveva finalmente iniziato adassumere un carattere più autunnale.

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Clary raggiunse la porta alla fine delcorridoio. Era aperta. Sbirciò dentro.Non voleva svegliare Luke nel casostesse dormendo sulla poltrona accantoal letto, come le ultime due volte che eravenuta. Invece era alzato e stavaparlando con un uomo alto vestito con latunica color pergamena dei FratelliSilenti. L’archivista si voltò, come seavesse percepito l’arrivo di Clary, e laragazza vide che si trattava di FratelloGeremia.

Clary incrociò le braccia davanti alpetto. «Cosa succede?»

Luke sembrava esausto, con la barbadi tre giorni e gli occhiali spinti sopra latesta. Clary vide la massa di bende che

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gli avvolgevano ancora il petto sotto lacamicia di flanella larga. «FratelloGeremia sta per andare»

disse.Geremia si sollevò il cappuccio e si

avvicinò alla porta, ma Clary gli bloccòla strada. «Allora?» lo sfidò. «Aveteintenzione di aiutare mia madre?»

Geremia le si avvicinò. Clary sentìil freddo che emanava dal suo corpo,come il vapore gelido che si alza da uniceberg. « Non puoi salvare gli altrifinché non salvi te stesso» disse la vocedentro la sua testa.

«Queste frasette da biscotti dellafortuna mi stanno un po’ stufando» disseClary. «Cosa c’è che non va in mia

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madre? Lo sapete? I Fratelli Silentipossono aiutarla come hanno aiutatoAlec?»

« Noi non abbiamo aiutatonessuno» disse Geremia. « E non ènostro compito assistere coloro che sisono separati di propria volontà dalConclave. »

Clary si ritrasse, mentre Geremia lepassava davanti e usciva in corridoio.Lo guardò allontanarsi e mescolarsi allafolla senza che nessuno gli ri-volgesseuna seconda occhiata. Socchiuse gliocchi e vide l’aura luccicante di magiache lo circondava e si chiese cosavedessero gli altri. Un paziente? Undottore che camminava veloce verso le

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sale operatorie? Un visitato-re in lutto?«Ti ha detto la verità» disse Luke

alle sue spalle. «Non è stato lui a curareAlec. È stato Magnus Bane. E nemmenolui sa cosa ci sia che non va in tuamadre.»

«Lo so» disse Clary tornando nellastanza. Si avvicinò piano al letto. Eradifficile associare quella figura minuta ebianca attorniata da una selva di tubicinialla donna energica e coi capellifiammeggianti che era stata sua madre.Naturalmente i suoi capelli erano ancorarossi, ed erano aperti sul cuscino comeuno scialle di fili di rame, ma la suapelle era così pallida che le ricordava labella addormentata di cera del museo

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Madame Tus-sauds il cui petto si alzavae abbassava solo grazie a unmeccanismo.

Prese la mano sottile di sua madre ela tenne tra le proprie, come aveva fattoil giorno prima e quello prima ancora.Sentiva le pulsazioni nel polso di suamamma, regolari e insistenti. Lei sivuole svegliare, pensò Clary. Lo so chelo vuole.

«Certo che lo vuole» disse Luke, eClary si rese conto di avere parlato adalta voce. «Ha un sacco di motivi perguarire, più ancora di quanti ne possaimmaginare.»

Clary appoggiò delicatamente lamano di sua madre sul letto. «Vuoi dire

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Jace.»«Certo che voglio dire Jace» disse

Luke. «Sono diciassette anni che piangela sua morte. Se potessi dirle che non èpiù necessario che lo faccia…» siinterruppe.

«Dicono che a volte le persone incoma sentano quello che gli si dice.»

Naturalmente i medici avevano dettoanche che quello non era un comanormale: non era stato causato danessuna ferita, nessuna mancanza diossigeno, nessuna insufficienza cardiacao cerebrale. Era come se stessesemplicemente dormendo e non potesseessere svegliata.

«Lo so» disse Luke. «Le ho parlato

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spesso. Quasi ininterrottamente.» Siesibì in un sorriso stanco. «Le horaccontato di quanto sei statacoraggiosa.

Di come sarebbe fiera di te. La suabambina guerriera.»

Clary distolse lo sguardo dallafigura minuta sul letto. Qualcosa diaffilato e doloroso le risalì in gola. Lorespinse giù e spostò lo sguardo da Lukealla finestra. Guardando fuori, vedeva ilmuro di mattoni dell’edificio di fronte.Niente bei panorami di alberi e fiumi,qui. «Ho comprato le cose che mi avevichiesto» disse. «Ho preso il burro diarachidi, il latte, i cereali e il pane alnegozio dei fratelli Fortunato.» Infilò

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una mano nella tasca dei jeans. «Ho quiil resto…»

«Tienilo» disse Luke. «Puoi usarloper pagare il taxi per tornare a casa.»

«Mi dà un passaggio Simon» disseClary. Diede un’occhiata all’orologi-noappeso al suo portachiavi. «Anzi,probabilmente è già qua sotto.»

«Bene. Sono contento che passi unpo’ di tempo con lui.» Luke sembravasollevato. «I soldi tienili lo stesso estasera datti alla pazza gioia.»

Lei aprì la bocca per dire qualcosa,ma poi la richiuse. Luke, come dicevasua madre, era una roccia sicura neimomenti di tempesta: solido, affidabilee del tutto irremovibile. «Però a un certo

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punto torna a casa, va be-ne? Haibisogno di dormire.»

«Dormire? Chi ha bisogno didormire?» sbuffò Luke, ma Clary vide lastanchezza sul suo volto mentre tornavaa sedersi accanto al letto di Jocelyn.Allungò dolcemente una mano perlevarle una ciocca di capelli dallafaccia. Clary si voltò con gli occhi gonfidi lacrime.

Il furgone di Eric era parcheggiatoaccanto al marciapiede quando Claryuscì dall’ospedale. Il cielo sopra di leiera dell’azzurro di una ciotola diporcellana e si scuriva fino a diventarecolor zaffiro sopra il fiume Hudson,dove il sole stava tramontando. Simon si

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sporse per aprirle la portiera e lei siarrampicò sul sedile accanto a lui.«Grazie.»

«Dove andiamo? A casa?» chiese luimentre si infilava nel traffico della 1stAvenue.

Clary sospirò. «Non so neanche piùdove sia.»

Simon la guardò di traverso.«Giornataccia, Fray?» Il suo tono erascherzoso ma gentile. Guardando dietrodi lui, Clary poteva vedere ancora lemacchie scure sul sedile posteriore,dove Alec, sanguinante, si era steso conla testa appoggiata alle gambe diIsabelle.

«Sì. No. Non lo so.» Sospirò ancora,

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tirandosi un ricciolo di capelli colorrame. «È cambiato tutto. È tutto diverso.A volte vorrei poter tornare a com’eraprima.»

«Io no» disse Simon stupendola.«Non mi hai detto dove vuoi andare.

Dimmi almeno se verso Uptown oDowntown.»

«All’Istituto» rispose Clary.«Scusa» aggiunse mentre Simoneseguiva un’inversione a Uspaventosamente illegale. Il furgone perprotesta sgommò e si inclinò su dueruote. «Dovevo dirtelo prima.»

«Uh» disse Simon. «Non ci seiancora tornata, vero? Dopo…»

«No» replicò Clary. «Jace mi ha

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telefonato e mi ha detto che Alec eIsabelle stanno bene. A quanto pare iloro genitori stanno tornando di corsa daIdris, adesso che finalmente qualcuno haveramente detto loro cosa è successo.Saranno qui tra un paio di giorni.»

«È stato strano, sentire Jace?»chiese Simon facendo attenzione amantenere un tono di voce neutro.«Voglio dire… dopo che haiscoperto…»

La sua voce sfumò.«Sì?» lo aggredì Clary. «Dopo che

ho scoperto cosa? Che è un travestitoassassino che molesta i gatti?»

«Non c’è da stupirsi se il suo gattoodia tutti quanti.»

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«Oh, piantala, Simon» disse Claryscocciata. «Lo so cosa vuoi dire, no, nonè stato strano. E comunque tra noi non èmai successo niente.»

«Niente?» ripeté Simon pococonvinto.

«Niente» gli fece eco Clary decisa,guardando fuori dal finestrino in modoche lui non vedesse che era arrossita.Stavano passando davanti a una fila diristoranti e Clary vide le finestre delTaki’s illuminate in attesa delcrepuscolo. E da una finestra le sembròdi intravedere la cameriera bionda concui Jace aveva flirtato, quella con gliocchi tutti blu.

Svoltarono l’angolo proprio mentre

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il sole spariva dietro il rosonedell’Istituto, inondando la strada diconchiglie di luce che solo loropotevano vedere. Simon parcheggiò difronte alla porta, spense il motore e simise a giocherellare con le chiavi.«Vuoi che venga con te?»

Lei esitò. «No. Questa cosa devofarla da sola.»

Clary vide un’espressione delusaattraversare il volto di Simon, mascomparve velocemente. Simon eracresciuto molto in quelle ultime duesettimane, pensò Clary, proprio comelei. Il che era un bene, perché nonavrebbe voluto dimenticarle. Simonfaceva parte di lei, come il suo talento

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per il disegno, l’aria polverosa diBrooklyn, la risata di sua madre e il suosangue di Cacciatrice. «Va bene» disselui. «Avrai bisogno di un passaggio, piùtardi?»

Clary scosse il capo. «Luke mi hadato i soldi per il taxi. Ma domani tiandrebbe di venire da me?» aggiunse.«Potremmo scaricarci qualche film efare un po’ di popcorn. Ho voglia distarmene un po’ spaparanzata suldivano.»

Simon annuì. «Non mi sembra malecome idea.» Si chinò in avanti e le diedeun bacio sullo zigomo. Fu un bacioleggero come una foglia al vento, ma leisentì un brivido attraversarle le ossa. Lo

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guardò.«Sulla tua maglietta c’è scritto THE

RAT BASTARDS?» chiese.Lui annuì abbassando lo sguardo. «È

il nuovo nome della band.»«Non preferiresti non pensare più

ai… sai… ai roditori?»Simon scoppiò a ridere. «A New

York? È impossibile.»«Come nome» ammise lei «è meglio

degli altri.»«Grande successo di critica.»«Ci puoi scommettere.» Saltò giù

dal furgone e si sbatté la portiera allespalle. Sentì Simon suonare il clacsonmentre si avvicinava alla porta in mezzoall’erba troppo alta e lo salutò con una

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mano senza voltarsi.L’interno della cattedrale era fresco

e buio e odorava di pioggia e cartaumida. I suoi passi echeggiavano sulpavimento di pietra e ripensò a Jacenella chiesa di Brooklyn. Dio forseesiste o forse no, ma in ogni caso ce ladobbiamo cavare da soli.

In ascensore si diede un’occhiataallo specchio mentre la porta le sichiudeva alle spalle. La maggior partedei lividi e delle abrasioni era ormaiinvisibile. Si chiese se Jace l’avessemai vista tutta linda come quel giorno.

Per andare in ospedale si era messauna gonna nera a pieghe, il lucidalab-brarosa e una camicia vintage con il

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colletto alla marinara. Pensò che di-mostrava più o meno otto anni.

Non che avesse molta importanzaciò che Jace pensava del suo aspetto, sidisse, né ora né mai. Si chiese sesarebbero mai diventati come Simon esua sorella: un misto di noia eamorevole fastidio. Non riuscivaproprio a immaginarselo.

Sentì i miagolii prima ancora che leporte dell’ascensore si aprissero.

«Ehi, Church» disseinginocchiandosi accanto alla palla dipelo grigia che si contorceva per terra.«Dove sono tutti quanti?»

Church, che evidentemente volevache gli accarezzasse la pancia, emise un

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borbottio inquietante. Clary cedette conun sospiro. «Stupido di un gatto» dissestrofinandolo con decisione. «Dove…»

«Clary!» Era Isabelle, che arrivò inpicchiata nell’ingresso con addosso unalunga gonna rossa e i capelli raccolti incima alla testa con delle molletteingioiellate. «Che bello vederti!»

Le atterrò addosso con un abbraccioche la fece quasi cadere.

«Isabelle» sussultò Clary «Anch’iosono contenta di rivederti» aggiunsementre Isabelle la rimetteva dritta.

«Ero così preoccupata per te» disseIsabelle tutta allegra. «Dopo che sieteandati in biblioteca con Hodge e io sonorimasta con Alec, ho sentito

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un’esplosione spaventosa, e quandosono arrivata eravate scomparsi e c’eraun caos pazzesco e sangue e robaccianera dappertutto…» Ebbe un brivido.

«Che cos’era quello schifo?»«Una maledizione» rispose Clary

sottovoce. «La maledizione di Hodge.»«Tranquilla» disse Isabelle. «Jace

mi ha detto tutto di Hodge.»«Ah, sì?» Clary era sorpresa.«Che si è fatto togliere la

maledizione e se n’è andato? Sì, me loha detto. È strano che non sia rimastonemmeno per salutarci» aggiunseIsabelle.

«Sono un po’ delusa. Credo cheavesse paura del Conclave. Prima o poi

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scommetto che si farà sentire.»Così Jace non aveva detto loro che

Hodge li aveva traditi e che avevacercato di ucciderla. Clary non sapevacosa pensare al riguardo. Comunque, seJace stava cercando di risparmiare aIsabelle un po’ di confusione e didolore, forse non avrebbe dovutointerferire.

«Comunque» proseguì Isabelle «èstato orribile. Non so cosa avremmofatto se non si fosse presentato Magnus enon avesse guarito Alec a colpi dimagia, se così si può dire. Jace ci haraccontato quello che è successo poisull’isola. In effetti lo sapevamo ancheprima, perché Magnus è stato tutta la

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notte al telefono. Nel Mondo Invisibilenon si parlava d’altro. Sei famosa, sai?»

«Io?»«Certo. La figlia di Valentine.»Clary ebbe un brivido. «Quindi

immagino sia famoso anche Jace.»«Siete famosi tutti e due» disse

Isabelle con lo stesso tono superallegro.«I fratelli famosi.»Clary guardò Isabelle incuriosita.

«Non mi aspettavo che saresti statacontenta di vedermi, lo devoammettere.»

L’altra ragazza si portò le mani suifianchi, offesa. «Perché no?»

«Non pensavo di piacerti molto.»Isabelle la guardò per un momento,

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poi fu come se si sgonfiasse. La suaallegria svanì e abbassò lo sguardo sullepunte argentate dei piedi. «Anche iocredevo che tu non mi piacessi» ammise.«Ma quando sono andata a cercare te eJace, ed eravate scomparsi…» La suavoce si ridusse a un sussurro. «Non eropreoccupata solo per lui, lo ero ancheper te. C’è qualcosa di così…rassicurante in te. E Jace è moltomeglio, quando ci sei tu nei paraggi.»

Clary spalancò gli occhi.«Davvero?»

«Davvero. È meno intrattabile. Nonche diventi più gentile, è solo che tipermette di vedere la sua gentilezza.»

«Isabelle… hai detto una cosa

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bellissima.»Isabelle scrollò le spalle. «È la

verità. Insomma, all’inizio credo che cel’avessi un po’ con te, ma adesso mirendo conto che era una cosa stupida.

Solo perché non ho mai avutoun’amica non vuol dire che non possaimparare ad averne una.»

«Anche per me è lo stesso, a dire laverità» disse Clary. «E… Isabelle…»

«Sì?»«Non devi sforzarti di essere carina.

Mi piaci di più quando sei te stessa.»«Insopportabile, vuoi dire?» disse

Isabelle scoppiando a ridere.Clary stava per dire qualcosa,

quando Alec arrivò nell’ingresso

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dondolandosi su un paio di stampelle.Aveva una gamba fasciata, i jeansarroto-lati fino al ginocchio, e un’altrafasciatura alla tempia, sotto i capelliscuri.

A parte questo, sembrava in ottimasalute per essere una persona che quattrogiorni prima era quasi morta. Agitò unastampella in segno di saluto.

«Ciao» lo salutò Clary, stupita divederlo in piedi. «Come…»

«Come sto? Abbastanza bene» disseAlec. «Ancora qualche giorno e non miserviranno più nemmeno queste»aggiunse indicando una stampella.

Clary era devastata dal senso dicolpa. Se non fosse stato per lei, Alec

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non sarebbe stato ferito a quel modo.«Sono davvero contenta che tu stiabene» disse con assoluta sincerità.

Alec sbatté le palpebre. «Grazie.»«Quindi ti ha rimesso a posto

Magnus?» disse Clary. «Ha dettoLuke…»

«Cavoli se lo ha rimesso a posto!»intervenne Isabelle. «È stato fantastico.È arrivato e ha detto a tutti di usciredalla stanza e ha chiuso la porta. Incorridoio continuavano a esploderescintille blu e rosse e il pavimentotremava.»

«Io non ricordo niente» disse Alec.«Poi è stato seduto al capezzale di

Alec fino al mattino per assicurarsi che

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al suo risveglio stesse bene» aggiunseIsabelle.

«Non ricordo neanche questo» siaffrettò a dire Alec.

Le labbra rosse di Isabelle sicurvarono in un sorriso. «Chissà comeha fatto a venirlo a sapere Magnus?Gliel’ho chiesto, ma non me lo hadetto.»

Clary pensò al foglietto ripiegatoche Hodge aveva gettato nel caminettodopo che Valentine se n’era andato. Erauno strano uomo, pensò: si erapreoccupato di salvare lei e Alec anchementre stava tradendo tutti e tutto ciò acui teneva. «Non lo so» disse.

Isabelle scrollò le spalle. «L’avrà

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sentito da qualche parte. A quanto pareha degli agganci in un’enorme rete dipettegolezzi. È una tale ragazzac-cia…»

«È il Sommo Stregone di Brooklyn,Isabelle» le ricordò Alec, non senza unanota di divertimento nella voce. Poi sirivolse a Clary. «Jace è nella serra, sevuoi vederlo» disse. «Ti accompagno.»

«Davvero?» Clary non ci potevacredere.

«Ma certo.» Alec scrollò le spalle.Sembrava solo vagamente a disagio.

«Perché no?»Clary guardò Isabelle, che fece

spallucce. Qualsiasi cosa stessetramando Alec, non ne aveva parlato con

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sua sorella. «Andate» disse Isabelle. «Ioin ogni caso ho delle cose da fare.» Liliquidò con un cenno della mano.

«Sciò.»Si incamminarono insieme lungo il

corridoio. Il passo di Alec era veloce,anche con le stampelle. Clary faticava astargli dietro. «Ho le gambe corte» gliricordò ansimando.

«Scusa.» Alec rallentò, contrito.«Senti» le disse. «Quelle cose che mihai detto, quando ti ho urlato addosso, aproposito di Jace…»

«Lo so» disse lei con un filo divoce.

«Quando mi hai detto che tu… sai…che io ero… che era perché…»

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Sembrava avere difficoltà a formare unafrase completa. Ci riprovò. «Quando haidetto che ero…»

«Alec, lascia stare.»«Certo, va bene.» Serrò le labbra.

«Non ti va di parlarne.»Lei si rese conto di averlo turbato.

«Non è quello. È che mi sento così incolpa per quello che ho detto, è statoorribile, non era affatto vero…»

«Invece era tutto vero» disse Alec.«Fino all’ultima parola.»

«Questo non mi giustifica,comunque» disse lei. «Non èobbligatorio di-re qualsiasi cosa soloperché è vera. Sono stata cattiva. Equando ho raccontato che Jace mi aveva

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rivelato che tu non avevi mai ucciso undemone, mi aveva detto che era cosìperché tu proteggevi sempre lui eIsabelle. Era una cosa bella su di te,quella che mi aveva detto. Jace puòessere uno stronzo, ma lui…» Ti vuolebene, stava per dire, ma si fermò. Forseera troppo complicato. «… non mi hamai detto una parola cattiva su di te,mai, lo giuro» concluse, un po’ a cortodi fiato.

«Non c’è bisogno che giuri» disselui. «Lo so già.» Sembrava tranquillo esicuro di sé come non lo aveva maisentito prima. Lo guardò, sorpresa.

«So anche di non essere stato io auccidere Abbadon. Ma ho apprezzato il

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fatto che tu me l’abbia fato credere.»Clary scoppiò in una risata incerta.

«Hai apprezzato il fatto che ti abbiamentito?»

«Lo hai fatto per essere gentile»disse. «Significa molto, che tu abbiavoluto essere gentile con me, anchedopo il modo in cui ti avevo trattata.»

«Credo che Jace si sarebbearrabbiato parecchio con me, perchéavevo mentito, se in quel momento nonfosse stato tanto sconvolto» disse Clary.

«Anche se meno di quanto siarrabbierebbe se sapesse quel che tiavevo detto prima.»

«Ho un’idea» fece Alec con unsorriso. «Non diciamoglielo. Voglio

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dire, Jace potrà anche decapitare undemone Du’sien a venti metri di distanzacon un cavatappi e un elastico, ma avolte penso che non ci capisca moltodelle persone.»

«Direi di no» sogghignò Clary.Raggiunsero la base della scala a

chiocciola che portava sul tetto. «Io nonposso salire.» Alec picchiettò unastampella contro un gradino di metallo.

«Non c’è problema. Conosco lastrada.»

Lui fece per andarsene, ma poi laguardò un’ultima volta. «Avrei dovutoimmaginare che eri la sorella di Jace»disse. «Avete tutti e due lo stesso talentoartistico.»

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Clary si fermò sul primo gradino.Era stupita. «Jace sa disegnare?»

«No.» Quando Alec sorrise i suoiocchi si accesero come due lampadariblu e Clary capì cosa Magnus trovava dicosì affascinante in lui. «Scherza-vo.Non saprebbe disegnare una linea retta.»Se ne andò ridacchiando e dondolandosisulle sue stampelle. Clary lo guardòdivertita. Un Alec che faceva battute eprendeva in giro Jace era una cosa a cuipoteva decisamente abituarsi, anche se ilsuo umorismo era un po’ surreale.

La serra era esattamente come laricordava, anche se adesso il cielosopra il tetto di vetro era color zaffiro. Ilprofumo pulito e intenso dei fiori le

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schiarì le idee. Respirandoprofondamente si fece strada attraversole foglie e i rami.

Trovò Jace seduto sulla panchina dimarmo al centro della serra. Aveva latesta abbassata e sembrava si stesserigirando qualcosa tra le mani. Sollevòlo sguardo, mentre Clary si abbassavaper passare sotto un ramo. Jace nascosesubito l’oggetto misterioso tra le mani.«Clary.» Sembrava sorpreso. «Cosa cifai qui?»

«Sono venuta a trovarti» disse lei.«Volevo vedere come stavi.»

«Bene.» Portava dei jeans e unamaglietta bianca. Clary vide i lividi nonancora scomparsi del tutto, come

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ammaccature sulla polpa bianca di unamela. Naturalmente, pensò, le vere feriteerano interne, visibili solo dai suoiocchi.

«Cos’hai in mano?» chiese laragazza.

Jace aprì le dita. Nel palmo avevauna scheggia d’argento dalla formairregolare, coi bordi che scintillavano diblu e verde. «Un pezzo del Portale.»

Clary si sedette accanto a lui sullapanchina. «Ci si vede qualcosa?»

Lui la voltò un poco per lasciare chela luce vi scorresse sopra come acqua.«Pezzi di cielo. Alberi. Un sentiero…Continuo a girarlo per cercare di vederela casa. Mio padre…»

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«Nostro padre» lo corresse lei.«Perché vorresti vederlo?»

«Ho pensato che magari sareiriuscito a vedere cosa stava facendo conla Coppa Mortale» disse lui riluttante.«Dove si trovava.»

«Jace… non è più una nostraresponsabilità. Non è un nostroproblema.

Adesso finalmente il Conclave sacos’è successo, i Lightwood stannotornando a casa di corsa. Lascia che sene occupino loro.»

Jace la guardò. Clary si chiese comepotessero essere fratello e sorella eassomigliarsi così poco. Non avrebbepotuto avere almeno le sue ciglia lunghe

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e scure o i suoi zigomi scolpiti? Non eraaffatto giusto. Jace disse:

«Quando ho guardato attraverso ilPortale e ho visto Idris, ho saputoesattamente cosa stava cercando di fareValentine. Ho capito che voleva vederese avrei ceduto. E non ha avutoimportanza… desideravo tornare a casapiù di quanto avrei potuto immaginare.»

Clary scosse il capo. «Non capiscocosa ci sia di così eccezionale, a Idris.È solo un posto. Dal modo in cui neparlate tu e Hodge…» Si interruppe.«Dal modo in cui lui ne parlava, volevodire.»

Jace chiuse di nuovo la mano attornoalla scheggia. «Lì sono stato felice.

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È stato l’unico posto in cui sia maistato veramente felice.»

Clary strappò un rametto da uncespuglio e iniziò a staccargli le foglie.

«Hai avuto pena di Hodge. È perquesto che non hai raccontato ad Alec eIsabelle quello che ha fatto veramente.»

Jace scrollò le spalle.«Alla fine lo scopriranno, lo sai,

vero?» disse Clary.«Lo so. Ma non sarò stato io a

dirglielo.»«Jace…» La superficie dello stagno

era verde di foglie cadute. «Comepotevi essere felice lì? So cosa pensavi,ma Valentine è stato un padre terribile.Ha ucciso il tuo falco, ti ha mentito e so

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che ti picchiava… non provarenemmeno a fingere che non lo facesse.»

Un vago sorriso comparve sul voltodi Jace. «Solo un giovedì sì e uno no.»

«E allora…»«È stato l’unico periodo in cui io mi

sia sentito sicuro di chi fossi. Di qualefosse il mio posto. Sembra stupido,ma…» Sospirò. «Io uccido i demoniperché è la cosa che mi riesce meglio edè quello che mi è stato insegnato, ma nonè quello che sono. E in parte mi riescebene perché dopo la morte di mio padreio sono stato… libero. Nessunaconseguenza. Nessuno da rimpiangere.Nessuno che contasse nella mia vita peril fatto che aveva contribuito a

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donarmela.» Il suo volto sembravascavato nella pietra. «Adesso non misento più così.»

Il rametto era ormai completamentespoglio e Clary lo gettò per terra.

«Perché no?»«Per te» disse lui. «Se non fosse

stato per te, avrei seguito mio padreattraverso il Portale. Se non fosse per te,andrei da lui anche adesso.»

Clary abbassò lo sguardo sullostagno. Le bruciava la gola. «Credevo difarti sentire spaesato.»

«È passato tanto tempo» disse lui.«Ero spaesato all’idea di sentirmi co-mese appartenessi a qualsiasi posto. Ma tumi fai sentire come se ci fosse un posto

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per me.»Clary sollevò lo sguardo. «Voglio

che tu venga con me.»Lui inclinò la testa incuriosito. C’era

qualcosa nel modo in cui i capelli doratigli si arricciavano sopra le orecchie chefaceva sentire Clary stranamente eterribilmente triste. «Dove?»

«Speravo che volessi venire con meall’ospedale.»

«Lo sapevo.» I suoi occhi sistrinsero finché non sembrarono i bordidi due monete. «Clary, quella donna…»

«È tua madre, Jace.»«Lo so» disse lui. «Ma per me è

un’estranea. Ho sempre avuto un sologenitore, e se n’è andato. Peggio che se

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fosse morto.»«Lo so. E so che non serve a niente

dirti quanto è fantastica mia mamma, eche persona affascinante, pazzesca emagnifica è, e quanto saresti fortunato aconoscerla. Non lo sto dicendo per te, lodico per me. Penso che se sentisse la tuavoce…»

«Se sentisse la mia voce…?»«Potrebbe svegliarsi.» Lo guardò

dritto negli occhi.Jace resse il suo sguardo, poi

sorrise. Fu un sorriso un po’ storto emal-concio, ma comunque un verosorriso. «Ricattatrice. Va bene. Verròcon te.» Si alzò in piedi. «Non serve chemi parli bene di tua madre» aggiunse.

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«Le so già tutte, le cose belle che lariguardano.»

«Davvero?»Jace scrollò le spalle. «Ha cresciuto

te, no?» Sollevò lo sguardo verso ilsoffitto di vetro. «Il sole è quasitramontato.»

Clary si alzò in piedi. «Andiamoall’ospedale. Il taxi lo pago io» aggiunsepoi. «Luke mi ha dato un po’ di soldi.»

«Non sarà necessario.» Il sorriso diJace si allargò. «Vieni. Ho una cosa dafarti vedere.»

«Ma dove l’hai presa?» chiese Claryguardando la moto appollaiata sul bordodel tetto della cattedrale. Era di unverde acido luccicante, coi raggi

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cromati e delle fiamme sgargiantidipinte sul serbatoio.

«Magnus si stava lamentando chequalcuno l’ha lasciata davanti a casasua, dopo l’ultima festa» disse Jace. «Eio l’ho convinto a darla a me.»

«E sei volato fino a quassù?»«Uh uh. Sto diventando abbastanza

bravo.» Saltò in sella e le fece cenno disalire dietro di lui. «Vieni, ti facciovedere.»

«Be’, almeno questa volta sai giàche funziona» disse lei montando insella. «Se precipitiamo nel parcheggiodi un supermercato ti uccido, lo sai,vero?»

«Non essere ridicola» disse Jace.

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«Non ci sono supermercati nell’UpperEast Side.» La moto si avviò con unrombo che sovrastò la sua risata.

Clary strillò e si aggrappò alla suacintura, mentre la moto schizzava giù daltetto dell’Istituto e si lanciava in cielo.

Il vento le agitava i capelli mentresalivano, salivano sopra la cattedrale,salivano sopra i tetti dei palazzi e deigrattacieli vicini. E lì la vide, distesasotto di lei come un portagioiedimenticato aperto, questa città piùaffollata e affascinante di quanto avessemai immaginato: c’era il rettangolo dismeraldo di Central Park, dove le cortidelle fate si incontrano nelle notti dimezza estate, c’erano le luci dei locali e

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dei bar di Downtown, dove i vampiripassano la notte a ballare alPandemonium, c’erano i vicoli diChinatown, dove di notte si aggirano ilicantropi sulle cui pellicce si riflet-tonole luci della città, e gli stregoni,magnifici con le loro ali da pipistrello ei loro occhi di gatto. E mentre loro duesfrecciavano sopra il fiume, Clary videsotto la superficie argentata dell’acqualampi frenetici di code multi-colori e ilbaluginare di lunghi capelli ornati diperle, e sentì la risata acuta egorgogliante delle sirene.

Jace si voltò per guardarla, colvento che gli scompigliava i capelli. «Acosa stai pensando?» le urlò.

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«A quanto è tutto diverso laggiù,adesso che posso vedere. »

«Laggiù è tutto esattamente comeprima» disse lui virando verso l’EastRiver. Si stavano di nuovo dirigendoverso il ponte di Brooklyn. «Sei tu chesei diversa.»

Le mani di Clary si avvinghiaronoalla cintura di Jace mentre scendevanoin picchiata verso il fiume. «Jace!»

«Tranquilla.» Jace si stavadivertendo come un pazzo. «So quelloche faccio. Non ti farò annegare.»

Lei strinse gli occhi per ripararsi dalvento. «Vuoi mettere alla prova quel chediceva Alec sul fatto che alcune diqueste moto possono andare

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sott’acqua?»«No.» Riportò verso l’alto il muso

della moto, e si allontanarono dallasuperficie del fiume. «Credo che siasolo una storia.»

«Jace» disse lei. «Tutte le storiesono vere.»

Non lo sentì ridere, ma la risata diJace fece vibrare il suo petto per poitrasmettersi alle dita di lei. Clary sitenne forte, mentre lui virava, puntandoil muso in avanti e sfrecciando di fiancoal ponte di Brooklyn come un uccelloliberato dalla gabbia. Lo stomaco diClary ebbe un sobbalzo, quando il fiumed’argento sparì di colpo e le guglie delponte le scivolarono via sotto di loro.

Page 1388: Shadowhunters - Città di ossa · La ragazza era uno spettro pallido che ar-retrava nel fumo colorato. Raggiunse. la parete e si voltò. Raccolse la gonna ... orsacchiotto distribuiva

Ma questa volta Clary tenne gli occhiaperti, per vedere tutto.

FINE