Perché è ancora necessario difendere la memoria e l’opera di...

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Contro la tratta delle donne Franco Frattini a pagina I Il Circolo passa all’azione Stefano Caliciuri a pagina I SOMMARIO COMMENTI 1 Lo show di Veltroni Daniele Capezzone a pagina 2 COMMENTI 2 Pd, partito di celluloide Alfredo Mantovano a pagina 2 CAFFÈ HAG Tommy Berger, espropriato Giuseppe Romano a pagina 3 CONVEGNI Mafalda, nave e principessa Carlo Corradini e Luciano Garibaldi a pagina 4 EVOLUZIONE Progetto non per scimmie Marco Respinti a pagina 5 SCRITTORI Bianciardi antimilanese Luigi Mascheroni a pagina 8 KIPLING Cent’anni fa, Nobel Davide Brullo a pagina 9 L’ANNUNCIATA Antonello in prospettiva Adriana Dragoni a pagina 11 MUSICA SACRA Lo spirito s’innalza Giuseppe Pennisi a pagina 11 non perdo mai occasione d’imparare a morire ANNO 6 NUMERO 42 SABATO 20 OTTOBRE 2007 A1,50 POSTE ITALIANE SPA SPED.ABB.POST. - 45% - ART.2 COMMA 20/b LEGGE 662/96 D.C. MILANO REGISTRAZIONE TRIBUNALE DI MILANO N.362 DEL 17/06/2002 [email protected] [email protected] Vittorio Alfieri (1749-1803), Giornali, 26 aprile 1777 REDAZIONE PIAZZA CAVOUR 2, 20121 MILANO TELEFONO 02 36560007 E-MAIL: [email protected] P ierluigi Collina è stato sempre con- siderato il nostro arbitro migliore, il più imparziale, attento e rigoroso. Tanto che il suo polso fermo e il suo fare fiero gli sono valsi il titolo di “uomo più sexy d’Italia” prima, e poi una deroga al regolamento richiesta a furor di popolo per rinviare di almeno un anno il suo “pensionamento”. Che è arrivato co- munque, prima o poi. Ma noi non poteva- mo proprio fare a meno di lui, e ancora una volta all’unanimità è stato scelto co- me nuovo designatore arbitrale. Perché, dopo il “caso passaporti”, Moggiopoli e la scomparsa dell’ispettore capo Filippo Raciti, il nostro calcio aveva bisogno a tut- ti i costi di ritrovare un’immagine pulita. Quella tutta agonismo e lealtà del pallone di una volta, insomma, quella di uno sport che, a dispetto dei tornelli e dei biglietti rigorosamente nominali, fosse ancora in grado di offrirsi come spettaco- lo adatto alle famiglie, ai papà con i bam- bini in spalla e una bandiera tra le mani. Ma il nostro (che rarissimi detrattori accusavano di essere sempre stato un po’ troppo protagonista) è andato oltre, resti- tuendoci un calcio a misura di bambino, con un nuovo regolamento interpretato nel segno di quelle infinite sfide che ani- mano ogni oratorio. Dove ogni tre angoli si batte un rigore e dove il fallo lo chiama chi lo subisce, e niente discussioni. Già, perché chiamato in diretta da La domenica sportiva a dire la sua su un gol di Iaquinta così irregolare che né Ranieri né Mughini (tanto per dirne due) hanno provato a difenderlo, il nostro ha serena- mente sentenziato: «La persona che po- trebbe togliere ogni dubbio sul gol della Juve a Firenze è Frey, solo lui può dire se sia stato disturbato da Trezeguet o meno». Per chi non si occupasse di calcio, Tre- zeguet è un attaccante della Juventus, compagno di quel Iaquinta che ha calcia- to il pallone, mentre Frey è il portiere della Fiorentina, quello che ha subito il gol. Il che lo farebbe sembrare il meno adatto a sentenziare sul caso. A tutti, ma non a Collina. Che forse, se fosse stato in Uefa avrebbe chiesto a Dida se aveva fatto finta o se quel cattivone di tifoso scozzese gli avesse fatto davvero tanto male M.T. LA FIGURA COME ALL’ORATORIO, CHI SUBISCE FALLO LO DICE, E OGNI 3 ANGOLI 1 RIGORE La bicicletta del professore Marco Biagi ucciso sotto casa sua a Bologna dalle Br il 19 marzo 2002© BENVENUTI/ANSA/COC Hamburger Hill, la polpetta di Collina Dopo anni di delegittimazione il governo Prodi sta varando una riforma del welfare che mantiene quasi per intero l’impianto progettato dal giurista assassinato dalle Brigate Rosse. Tardivo riconoscimento da parte di chi avrebbe dovuto difenderlo prima e invece per prona sottomissione all’ideologia ha lasciato che venisse preso a bersaglio. Ora bisogna tener d’occhio gli ultimi mercanteggiamenti con cui la sinistra radicale tenta di erodere lo spirito riformista della legge Biagi Maurizio Sacconi alle pagine 6 e 7 Perché è ancora necessario difendere la memoria e l’opera di Marco Biagi PER NON DIMENTICARE

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Contro la trattadelle donneFranco Frattinia pagina I

Il Circolo passaall’azioneStefano Caliciuria pagina I

SOMMARIO

COMMENTI 1Lo show di VeltroniDaniele Capezzone a pagina 2

COMMENTI 2Pd, partito di celluloideAlfredo Mantovano a pagina 2

CAFFÈ HAGTommy Berger,espropriatoGiuseppe Romanoa pagina 3

CONVEGNIMafalda, navee principessaCarlo Corradini e Luciano Garibaldi a pagina 4

EVOLUZIONEProgetto nonper scimmieMarco Respintia pagina 5

SCRITTORIBianciardiantimilaneseLuigi Mascheronia pagina 8

KIPLINGCent’anni fa,NobelDavide Brullo a pagina 9

L’ANNUNCIATAAntonello inprospettivaAdriana Dragonia pagina 11

MUSICA SACRALo spiritos’innalzaGiuseppe Pennisia pagina 11

non perdo mai occasione d’imparare a morire

ANNO 6 NUMERO 42SABATO 20 OTTOBRE 2007 A 1,50

POSTE ITALIANE SPA SPED.ABB.POST. - 45% - ART.2COMMA 20/b LEGGE 662/96 D.C. MILANO

REGISTRAZIONE TRIBUNALE DI MILANO N.362 DEL 17/06/2002

[email protected]@ILDOMENICALE.IT

Vittorio Alfieri (1749-1803), Giornali, 26 aprile 1777

REDAZIONE PIAZZA CAVOUR 2, 20121 MILANO

TELEFONO 02 36560007E-MAIL: [email protected]

P ierluigi Collina è stato sempre con-siderato il nostro arbitro migliore, ilpiù imparziale, attento e rigoroso.

Tanto che il suo polso fermo e il suo farefiero gli sono valsi il titolo di “uomo piùsexy d’Italia” prima, e poi una deroga alregolamento richiesta a furor di popoloper rinviare di almeno un anno il suo“pensionamento”. Che è arrivato co-munque, prima o poi. Ma noi non poteva-mo proprio fare a meno di lui, e ancorauna volta all’unanimità è stato scelto co-me nuovo designatore arbitrale. Perché,dopo il “caso passaporti”, Moggiopoli ela scomparsa dell’ispettore capo FilippoRaciti, il nostro calcio aveva bisogno a tut-ti i costi di ritrovare un’immagine pulita.

Quella tutta agonismo e lealtà delpallone di una volta, insomma, quella diuno sport che, a dispetto dei tornelli e dei

biglietti rigorosamente nominali, fosseancora in grado di offrirsi come spettaco-lo adatto alle famiglie, ai papà con i bam-bini in spalla e una bandiera tra le mani.

Ma il nostro (che rarissimi detrattoriaccusavano di essere sempre stato un po’

troppo protagonista) è andato oltre, resti-tuendoci un calcio a misura di bambino,con un nuovo regolamento interpretatonel segno di quelle infinite sfide che ani-mano ogni oratorio. Dove ogni tre angolisi batte un rigore e dove il fallo lo chiamachi lo subisce, e niente discussioni.

Già, perché chiamato in diretta da Ladomenica sportiva a dire la sua su un goldi Iaquinta così irregolare che né Ranieriné Mughini (tanto per dirne due) hannoprovato a difenderlo, il nostro ha serena-mente sentenziato: «La persona che po-trebbe togliere ogni dubbio sul gol dellaJuve a Firenze è Frey, solo lui può dire se siastato disturbato da Trezeguet o meno».

Per chi non si occupasse di calcio, Tre-zeguet è un attaccante della Juventus,compagno di quel Iaquinta che ha calcia-to il pallone, mentre Frey è il portiere dellaFiorentina, quello che ha subito il gol. Ilche lo farebbe sembrare il meno adatto asentenziare sul caso. A tutti, ma non aCollina. Che forse, se fosse stato in Uefaavrebbe chiesto a Dida se aveva fatto fintao se quel cattivone di tifoso scozzese gliavesse fatto davvero tanto male M.T.

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COME ALL’ORATORIO, CHISUBISCE FALLO LO DICE, EOGNI 3 ANGOLI 1 RIGORE

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Hamburger Hill, la polpetta di Collina

Dopo anni di delegittimazione il governo Prodi sta varandouna riforma del welfare che mantiene quasi per interol’impianto progettato dal giurista assassinato dalle Brigate Rosse. Tardivo riconoscimento da parte di chi avrebbe dovuto difenderlo prima e invece per pronasottomissione all’ideologia ha lasciato che venisse preso a bersaglio. Ora bisogna tener d’occhio gli ultimi mercanteggiamenti con cui la sinistra radicaletenta di erodere lo spiritoriformista della legge Biagi

Maurizio Sacconi alle pagine 6 e 7

Perché è ancora necessario difendere la memoria e l’opera di Marco Biagi

PER NON DIMENTICARE

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S A B AT O 2 0 O T T O B R E 2 0 0 72 I L D O M E N I C A L E LETTERE E COMMENTI

trodestra si aprono due strade.La prima è quella di adagiar-

si, e, per così dire, compiacersi,“contemplando” i limiti degliavversari. E, non vi è dubbio, inquesto senso c’è solo l’imbaraz-zo della scelta. Vi è un governoche è ai massimi livelli immagi-nabili d’impopolarità: ed è giu-

sto evidenziarlo. Così com’è ra-gionevole denunciare il fattoche queste “primarie” non han-no certamente avuto connotatistatunitensi: si pensi alla totaleassenza di “faccia a faccia”.V’immaginate cosa accadrebbese Hillary Clinton o Rudy Giulia-ni rifiutassero un confrontopubblico con i rispettivi compe-

di Daniele Capezzone

Non parteciperò al dibatti-to sulla “contabilità”delle primarie del Partito

Democratico del 14 ottobre. Disicuro, l’impressione è che gliorganizzatori abbiano un po’forzato la mano: domenicascorsa, faceva un certo effettovedere che il Comitato promo-tore aggiungeva qualche nuovocentinaio di migliaia di votantiogni quarto d’ora… Del resto cisi potrebbe a buon diritto chie-dere perché non siano stati uti-lizzati (né resi disponibili nel-l’ambito stesso del PD) gl’indi-rizzi dei 4 milioni di votanti alleprimarie dell’anno scorso: forseperché non erano 4 milioni…

Non insisterò. Resta il fattoche l’operazione ha rappresen-tato un successo d’immagineper il Centrosinistra. E al Cen-

titori? E, ancora, la Cdl potreb-be con validi argomenti conte-stare il fatto che, in tre mesi,Walter Veltroni non abbia pro-dotto una sola proposta concre-ta: alzi la mano chi ha capitodavvero, in dettaglio, la sua opi-nione sulle tasse, sulle pensionie su qualunque altra questione

precisa rispetto alla quale nonpossa bastare esporre un drap-po al Campidoglio…

Eppure, nonostante tuttiquesti limiti, il Centrodestra fa-rebbe bene, a mio avviso, a se-guire la seconda strada: quella,cioè, di non sottovalutare affat-to la vicenda mediatica e politi-ca orchestrata da Veltroni. In-

tanto perché non sono per nullacerti né la data né il modo concui si andrà a votare: e quindi,nel frattempo, ogni “trappola” èpossibile e ogni espediente po-trà essere messo in campo perimpedire a Silvio Berlusconid’incassare una vittoria eletto-rale che oggi sarebbe certa.

Ma soprattutto che il Cen-trodestra farebbe bene a consi-derare che non è affatto impos-sibile per Veltroni, soprattuttose gli sarà concesso un anno ditempo, provare a “distinguere”il proprio percorso politico daquello del governo. Veltroni,con il circo mediatico che da an-ni lo supporta, tenterà questo:apparire di “opposizione” (ocomunque distinto e distantedal governo), anche se è l’azio-nista di maggioranza dell’ese-cutivo. In fondo (con ben altricontenuti, mi rendo conto) è il

capolavoro riuscito a NicholasSarkozy: apparire lontano anniluce da Jacques Chirac non-ostante formalmente apparten-ga al suo stesso schieramento.

Per questo è a maggior ra-gione importante che il Centro-destra punti sui contenuti, suitemi. Per esempio partendo dal-le tasse. Ma, in ogni caso, nonpuò bastare dire che “gli altrihanno governato male”: perchéa contrapporsi in campagnaelettorale sarà qualcuno che fa-rà di tutto per chiarire che a go-vernare non era lui. Occorre in-vece riconquistare, con un pu-gno di proposte chiare e di nettaimpronta innovatrice, il respirodi novità del 1994. Quando aBerlusconi riuscì di dimostrareche i “conservatori”, gl’“immo-bilisti”, erano gli altri. È questoil cuore della sfida politica deiprossimi mesi. •

Lo show di Veltroni, una insidia per il Centrodestra

Chi ha capito cosa davvero voglia il leaderdel PD è bravo, ma lui farà comunquein modo che sembri “di opposizione”

di Alfredo Mantovano

Ora che il parto è avvenu-to, si può pure prose-guire con l’ironia a pro-

posito del buonismo che im-pregna il segretario annun-ciato. Ma l’ansia della pole-mica ad personam rischia dinon far comprendere il pro-prium del nuovo soggetto del-la Sinistra italiana. In realtà, ilveltronismo comincia già atrascendere la vicenda uma-na e politica di W e si presentacome una forma aggiornata diprogressismo. La sua caratte-ristica consiste nell’essere,parafrasando Karl R. Popper,politicamente non falsificabi-le: cioè nel basarsi su affer-mazioni di principio talmentegenerali da essere necessaria-mente condivisibili da ogni

persona di buon senso e dibuona volontà, ma per lorostessa natura slegate dallaconcreta prassi politica. Que-sta genericità non consenteperò loro di fungere da guidanelle scelte pubbliche concre-te, che di norma sono chiama-te a sciogliere dilemmi e spes-so finiscono per perseguire ilmale minore.

Un esempio. Uno dei pas-saggi più consueti dei discorsidi W è che “occorre dare unaprospettiva ai giovani”. C’èqualcuno che dissente? Il pro-blema è che per dare una con-creta prospettiva ai giovani so-no necessarie opzioni. Magariimpopolari. Come elevare l’e-tà pensionabile. Se fra le mis-sion di W vi è pure quella di fa-vorire una svolta nell’azionedel governo Prodi, si resta per-

plessi: l’accordo sul welfare,per il quale lo stesso RomanoProdi preannuncia ulterioripeggioramenti, sulla scia dellepressioni della Sinistra estre-ma, va nella direzione oppo-sta. Nelle stesse ore del votoper le primarie, la sorte di quelprotocollo dimostra quant’ègrande la distanza tra le buoneintenzioni e le politiche di cuic’è bisogno: alla prova dei fat-ti, il new deal veltroniano nonrappresenta una eccezionevirtuosa.

Ancora. L’evocazione si-stematica delle virtù tauma-turgiche del soft power, piùche l’ennesima moda di prove-nienza anglosassone, segnalala più recente metamorfosidella Sinistra. In luogo del fati-coso e prosaico presidio delleleve fondamentali di cui lo Sta-

to “statalista” s’impossessa invista del bene comune, pro-muove un potere diffuso, be-nevolo e conciliante, propensoal congiuntivo esortativo piùche all’imperativo della normadi legge, pronto all’appello ac-

corato più che alla risolutezza,orientato alla critica cinema-tografica piuttosto che al ver-bale di polizia. Ne viene fuori,dopo 15 anni di polemichecontro il “partito di plastica”,una forza politica “di celluloi-de”, che tira le fila dei pro-grammi di “modernizzazio-

ne” solo per via mediatica.Formulo una speranza: che

la sfida lanciata da W, paradig-ma del progressismo nella ver-sione 2007-2008, susciti, oltrealle critiche stucchevoli, unasalutare reazione nel campo

conservatore, elevando il livel-lo delle proposte politiche eculturali che in esso prendonovita, fondandosi su un sanorealismo, migliorando la capa-cità di coinvolgimento. E speroche questa speranza sfugga al-la regola secondo cui chi disperanza vive… •

Il Partito Democratico, un partito di celluloide

Il nuovo progressismo di W è solo un cumulo di banalità. Certo, non bastaperò prenderlo in giro. Occorre infatti

una reazione politica seria

di Marco Respinti

Forte l’Accademia Reale diSvezia, quella che da via iPremi Nobel...

Dopo i vari Nelson Mande-la, Henry Kissinger, Yasser Ara-fat, Rigoberta Menchú e DarioFo (Madre Teresa di Calcutta èl’eccezione che conferma la re-gola ), l’Accademia – oramai losanno anche i sassi – ha asse-gnato il Premio per la Pace 2007a nientepopodimeno che Al Go-re, l’ex vicepresidente USA cheper otto anni disastrosi ha fattotandem con Bill Clinton alla Ca-sa Bianca e che poi è divenutoun profeta di sventura. Nel sen-so che si è dato un gran da fareper convincere tutti noi del tre-mebondo pericolo climaticoche minaccerebbe (pare infatti

che Gore abbia truccato un po’le somme) la Terra per colpadell’uomo e del suo sviluppo in-dustriale, leggerlo su la Repub-blica del 16 ottobre per credere.Lui, i suoi istogrammi e le sue“torte”; lui, i suoi lucidi alproiettore e i suoi film da Oscar:

lui, il suo “Live Earth” e le suekermesse ambientaliste.

Ebbene, il fatto che uno cosìvinca il Nobel per la Pace fascappare da ridere, e molti neigiorni scorsi lo hanno notatoper iscritto e a voce. Uno dei do-cumenti più belli sul tema l’haperò proposto Jesse Walker, ca-

poredattore della rivista left-li-bertarian statunitense Reason,che ha sede a Los Angeles, in Se-pulveda Boulevard. Lo ha “po-stato” il 12 ottobre sul sito Inter-net del mensile e prontamentel’Istituto Bruno Leoni lo ha tra-sformato in un pamphlet scari-

cabile dal sito www.brunoleo-ni.it, “sezione Focus”. S’intitolaCome ti vinco il Nobel, sottotito-lo Se ci è riuscito Al Gore, puoifarlo anche tu.

Le “istruzioni per l’uso” diWalker dicono che è facilissi-mo: «La cosa più importanteda tenere a mente è che la pace

non c’entra nulla». Tre i puntinodali.

Primo, occorre essere un fi-lantropo famoso, ovvero «per-seguire le proprie finalità filan-tropiche lavorando con qualchegrande organizzazione globa-le»; e questo il Gore che sipreoccupa del bene della Terralo fa da tempo.

Secondo, occorre fondareuna organizzazione internazio-nale oppure esserla. E anchequesto Gore, che dividerà il pre-mio con l’IntergovernmentalPanel on Climate Change (l’or-ganismo creato ad hoc dall'O-NU), lo fa palesemente.

Terzo, occorre «uccidere unsacco di gente, e poi smettere».Assieme a Clinton, Gore ha fattobenone pure questo allorchédispose i bombardamenti sulla

Bosnia serba e sulla Serbia, ri-spettivamente nel 1995 e nel1999. «Condivisibili o meno –ha scritto bene Stefano Magnisu ragionpolitica.it il 13 ottobre–, si tratta di bombardamentiche hanno provocato molte piùvittime civili di quanto non neabbia provocate la campagnacombattuta da Israele nel 2002contro le basi dei terroristi di AlFatah, un'operazione militareche aveva indotto il comitato aOslo a proporre il ritiro del No-bel per la pace a Shimon Peres».

Pensare che sarebbe costa-to così poco dare il Nobel aimonaci birmani. Certo, nonsiamo né gli unici né i primi adirlo, ma di questo ci vantia-mo. Vorremo infatti essere so-lo di più. E ripeterci, continua-re in questi casi a ripeterci... •

Al Gore Nobel per la Pace. Se ti sforzi, ci riesci anche tu

L’Accademia Reale di Svezia ha premiatol’uomo che, alla guida degli USA con BillClinton, ordinò di bombardare la Serbia

ius iniuria

Caro Direttore,mi hanno moltocolpito le eccessivereazioni di protestasuscitate dallasentenza con cui un tribunaletedesco hariconosciuto le attenuanti “etnico-culturali”a uno stupratoresardo. Ciò, preciso subito,non perché quellapronuncia giudizialedebba considerarsicondivisibile, essendo essa chiaraespressione di unamentalità razzista,ma per il fatto che le reazioni smodatedei nostri opinionmaker denotano una sorprendenteinconsapevolezza di come gl’italianisono realmentepercepiti all’estero.Chiunque abbiaavuto un minimodi frequentazioniinternazionali sabenissimo di quantapoca considerazionegodiamo nel restod’Europae Oltreoceano. Nei Paesianglosassoni, per esempio,ci ritengonouna sortadi “etnia minore”, in compagnia di spagnoli e greci.Nel mondoscandinavo e in quello tedesconon si è ancoracompletamentesbiadita l’immaginedegl’italiani come di un popolodi immigranti conla valigia dicartone. E anche nella vicinaFrancia, che certo non avrebbe motiviper vantare alcunasupremazia storico-culturale sull’Italia, ci definisconospregiativamentecome Les ritals.Quindi, dinnanziall’aberrantesentenza delgiudice tedesco,invece di faregl’indignati,dovremmochiederci che cosaabbiamo fatto permigliorare la nostraimmagineinternazionalee che tipodi percezione si possa avere,dall’estero, di un Paeseche ha un mortodi mafia al giornoe Napoli sommersa da tonnellate di spazzatura.

A.G.G.

Laconico:uno stile

«O bbedisco». Ilpiù sinteticotelegramma

della storia d’Italia, e proba-bilmente anche il più econo-mico, fu firmato da uno chebadava più ai fatti che allechiacchiere. Come tutti san-no, fu la risposta di GiuseppeGaribaldi all’ordine di re Vit-torio Emanuele che gli in-giungeva di fermarsi dopo lavittoria di Bezzecca, mentregià stava marciando su Tren-to, ai tempi della Terza guerrad’indipendenza. Vi risuonaun’orgogliosa presa di di-stanza del condottiero dagliintrighi della diplomazia. Tut-to racchiuso in uno stile: lo sti-le laconico. La parola derivadal latino lacònicus, a sua vol-ta modellata sul greco lakoni-kòs, dal nome degli abitantidella Laconia, la regione del-l’antica Sparta, noti per il loroparlare sobrio e conciso. Siracconta che l’imperatore deipersiani avesse inviato a Spar-ta un messaggio di questo te-nore: «Se riuscirò a varcare imonti che mi separano dallevostre terre vi distruggerò». Eche gli Spartani avessero ri-sposto con quest’altro mes-saggio: «Se». In greco antico:«An». Laconici davvero.

Storia o leggenda, è unaneddoto edificante. Si puòdire che lo stile laconico abbiaretto bene in politica, fino al-l’altro ieri. E se aggiungiamoagli esempi il «Veni, vidi, vici»di Giulio Cesare e il «Mene-frego» mussoliniano, possia-mo anche dire che funzionameglio nelle dittature. In de-mocrazia le cose si complica-no, le parole si aggrovigliano,si tende a preferire le perifra-si, che trionfarono nell’era delpolitichese. Un ex segretariodella DC, durante un proces-so, per non pronunciare laparola “tangenti” ebbe a co-niare questa espressione:«contributi riconducibili acondizionamenti costrittivi».Chiaro, no? Paolo Pivetti

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UN CONSIGLIOD’EUROPALa risoluzione 1580,I pericoli del creazionismonell’educazione, approvatapochi giorni fa dal Consigliod’Europa dice tante cose.Almeno una sbagliata(che il concetto di “progettointelligente” è solola versione più recentedel creazionismo), un’altrafondamentale. Che è illecitospacciare per scienzaun credo. D’accordissimo.Motivo per cui è pericolosoinsegnare a scuola purel’evoluzionismo, il quale,sfuggendo a ogni verificaempirica a norma di metodo scientifico, è solouna ipotesi fra le tantesull’origine e lo sviluppodella vita, nemmeno tra lepiù plausibili. Un credo,spesso fanatico come molti.

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I L D O M E N I C A L E 3S A B AT O 2 0 O T T O B R E 2 0 0 7 COSE CHE CAPITANO

di Giuseppe Romano

Le fiabe classiche finiscono col“vissero felici e contenti”. Dopole difficili, complicate, straordi-

narie vicende di cui sono intrecciate,par scontato che la felicità sia un pre-mio meritato e ormai intangibile. Unarealtà così acquisita, normale e quoti-diana che non c’è bisogno di aggiun-gere e di sapere nient’altro. Fuori daiguai, principe e principessa, o spaz-zacamino e guardiana d’oche – in-somma, i protagonisti della fiaba –spariscono allo sguardo con la loropromessa di felicità privata, riservatasoltanto a loro oltre la parola “fine”che congeda il lettore.

Questo, almeno, raccontano lefiabe antiche. Invece ai giorni nostrile imprese eccezionali, le storie me-morabili, non è detto finiscano ingioia come le fiabe né in gloria come isalmi. Anche perché sono diventateben piùprosai-che. Inluogo dilupi, or-chi, draghi, maghi e fattucchiere pro-sperano scalate, trust, fiduciarie,banche, finanzieri, faccendieri e av-vocati. E dove un tempo s’esaltavanolealtà, fiducia, perseveranza e valore,spesso trionfano astuzia, ricatto, in-ganno e tradimento.

Da qualche decennio l’immagi-nario degli italiani si culla nel sognodi ricchezze subitanee e grandiose.Grandi acquisizioni, fusioni societa-

rie, vendite miliardarie, dividendiesagerati. Manager e finanzieri salgo-no al proscenio delle prime pagine, lisi esalta quasi fossero vincitori allalotteria. Mica per niente l’altro ver-sante del sogno dorato universale so-no proprio lotterie, riffe, bingo e garea premi (e non è un caso che la televi-sione, esaurita la sbornia volgare deireality show, quest’anno punti com-patta verso una programmazione fit-ta di quiz e trasmissioni basatesul“voler essere milionari”). Senzavolerne ai gerryscotti e soci, bisognadire che così vanno le cose. Questi so-no il panem e gli odierni circenses.

Impossibilitati al salto di classeche allettava i nostri operosi antenatinell’Italietta rampante negli anni Cin-quanta e Sessanta, recintati entro la-vori a perdere che fanno presagire unfuturo di pensionati nient’affatto ro-seo, ce ne stiamo lì a milioni, in stra-da, a contemplare da fuori la festa chequei pochi si godono dentro il palaz-zo degli appagati. Scorgiamo soltantoriflessi multicolori attraverso i vetriserrati. E sappiamo che lì entrano sol-tanto gli invitati, alcuni per abilità esagacia propria, altri per essersi tro-vati nel posto giusto al momento giu-sto, altri, infine, per quel bacio chepremia rari fortunati. Ha ragione Mo-randi, uno su mille ce la fa. D’altraparte, come obiettava qualcuno in ti-vù, chi lo va a dire agli altri 999?

C’era una volta...Le persone interessate a sapere

come vanno le fiabe moderne trova-no risposte esaurienti nella produzio-ne editoriale recente. A quanto parenon mancano imprenditori desidero-si di confidarsi dopo una vita di suc-cessi. Non lo fanno, però, per un vez-zo di autocompiacimento, bensì pernecessità. Anziché godersi il meritatoriposo, riprendono briglie e sciaboleper correre e combattere ancora. Hafatto scalpore il caso dell’ottantunen-ne Bernardo Caprotti, fondatore e pa-tron di Esselunga, che ha pubblicatoFalce e carrello (Marsilio, Venezia2007) per denunciare all’universomondo la concorrenza sleale delleCoop. Un signore ormai anziano matutt’altro che in disarmo, al punto daestromettere, qualche anno fa, dall’a-

zienda il proprio stesso figlio, rite-nendolo non in grado di guidarla.

Per i tipi della stessa casa editriceMarsilio è stato pubblicata un’altrafiaba imprenditoriale, Onora il padre(pp.208, e14,00). La firma TommyBerger, cognome al quale è legata unalunga e straordinaria sequenza diprodotti e marchi, dagli antichi Gutta-lin e Vegetallumina al più recente Caf-fè Hag e alle acque Sangemini, Fiug-gi, Levissima.

Si capisce subito che la fiaba nonseguirà i canoni classici. Accanto alsottotitolo, Autobiografia di un im-prenditore, nelle schede editoriali cheparlano del libro compare una fraseesplicita: «Mio figlio ha fatto un saccodi soldi. I miei». Eppure la storia diTommy Berger, ebreo nato a Viennanel 1929, all’inizio sembra propriouna fiaba. Non perché allegra e piace-vole bensì, al contrario, perché mal-grado le terribili peripezie il protago-nista non perde la compostezza irre-movibile che lo guida all’obiettivo.

All’inizio c’è suo padre. Trasferi-tosi in Italia per espandere l’aziendafamiliare e messa su una famiglia pro-

pria, Roberto Berger dovrà fare i conticon le leggi razziali che nel 1938 ob-bligano gli ebrei a svendere. Frattantocon l’Anschluss dell’Austria alla Ger-mania nazista alcuni Berger rimasti aVienna sono riusciti a fuggire negliStati Uniti, qualcuno invece ha prefe-rito scendere a compromessi, qual-cun altro è stato travolto dalle perse-

cuzioni. Per i Berger italiani ci saran-no tentativi fortunosi di espatriare, diottenere aiuto. Infine la famiglia Ber-ger – padre, madre e i due figli adole-scenti Tommy ed Enzo – saranno sal-vi in Svizzera, benché obbligati aicampi di lavoro fino a fine guerra.

La metafora della fiaba, in questafase, è particolarmente appropriata.Qua e là fanno capolino figure singo-

lari, apparendo dal nulla per risolveresituazioni impossibili. Dapprima èl’ufficiale che sul treno per Vienna faamicizia col signor Berger e si offre direcarsi al suo posto al domicilio dellamadre per portarla in salvo, primache le SS la facciano prigioniera. Seandasse Berger verrebbe certamentearrestato a sua volta; invece un te-nente dell’esercito alleato non avràproblemi. Così accade, e col generosoRiccardo Crippa nascono un’amici-zia e un sodalizio che aiuteranno lafortuna dei Berger negli anni a venire.

C’è poi don Carlo Gnocchi, diret-tore spirituale dell’istituto Gonzagafrequentato da Tommy. Sarà il futurobeato, nel corso della guerra, a farsivivo coi Berger perché dalla Svizzeraaiutino la Resistenza.

Viene il dopoguerra, ma non sep-pellisce i ricordi traumatici di un gio-vane ebreo che ha dovuto subire so-prusi e patimenti, che è fuggito permesi e mesi a rischio della vita, che halavorato due anni in un campo profu-ghi, trattato come un miserabile epezzente apolide, e ha visto sua non-na dissotterrata da una fossa comu-

ne. Che è diventato adulto a quattor-dici anni. Ma il dopoguerra è stagionedi rinascita. E per gente dotata di ta-lento e capacità d’iniziativa, il futuroè roseo. L’ascesa della Crippa & Ber-ger, benché turbata dalla morte pre-coce di entrambi i titolari, è imperio-sa. Dapprima nelle farmacie e poi nel-le drogherie: il caffè Hag fa fortuna tragl’italiani per l’aroma identico a quel-lo della bevanda comune, associato avantaggi cardiocircolatori. L’acquaminerale diventa man mano imman-cabile sulla tavola degli italiani e poianche all’estero.

Traditori e tradimentiTommy Berger, diventato capofa-

miglia e capitano d’industria a ven-tun anni, nel 1992 cede un’aziendacosì florida da ricavarne trecentoses-santa miliardi di lire in totale, la metàesatta per sé. A sessantatré anni è unuomo ricco che ha raggiunto la vettadopo una strada tortuosa e ripida, in-ventando o importando prassi inno-vative e superando ostacoli che sichiamano cessioni, acquisizioni,concorrenti, ricattatori, minaccia disequestri familiari. E, buon ultimo, ilciclone Mani pulite.

Sembrerebbe che a questo puntoci sia posto per il “vissero felici e con-tenti”. E invece no. L’imprenditoresoddisfatto che, con tre figli e un maredi soldi in banca (sul capitolo “mogli”è già stato e sarà poco fortunato),s’appresta a dedicarsi al giro del mon-do su uno yacht di 40 metri dotato dielicottero, sta per precipitare nell’a-bisso. I figli gli si rivoltano contro. Iconsulenti lautamente stipendiatiper vegliare sul patrimonio tramanocontro di lui. Comincia un incubokafkiano nel quale proprio ciò cheBerger aveva allestito per proteggeresé e i familiari – la figura giuridica deltrust, ideata per blindare i patrimoni– gli si rivolta contro fino a gettarlo,da solo, su una strada.

Intendiamoci, Berger non è rima-sto povero in canna. Ma fanno im-pressione il malanimo, la perfidia, laprotervia che denuncia in coloro chegli stanno attorno. Se le figlie sono in-capaci e i loro mariti sono buonan-nulla che tutt’al più meritano l’appel-lativo di “generi alimentari”, il figlioRoberto è descritto come un perdi-giorno dedito a scialacquare soldinon suoi e a sperperarli in investi-menti poco avveduti, oltre che gettar-si in avventure galanti tra le quali lecronache rosa non dimenticano laliaison con Loredana Bertè, dieci an-ni più anziana, appassita in pochimesi una volta cristallizzata in matri-monio.

Se il padre ha preferito venderel’azienda piuttosto che lasciarla inmano al figlio, quest’ultimo lo ricam-bia estromettendolo dal patrimonio.Nel 2003 Tommy Berger è fuori: datutto, perfino dalla barca su cui ama-va passare le giornate. Gli resta unafettina di patrimonio e un’enorme se-te di rivalsa. La battaglia è ricomin-ciata, e questo libro – col puntigliosoelenco di traditori e malefatte – rien-tra tra gli squilli di tromba.

Il tempo dirà se Berger, che non èun tipo arrendevole, l’avrà vinta an-che questa volta come quasi semprenella vita. Quel che è sicuro, in questafiaba postmoderna, è che nessuno vi-vrà felice e contento: troppo alto ilprezzo che tutti quanti hanno pagato,in termini di umanità, perché possa-no godersi ciò che ne ottengono incambio. E mentre ammiriamo la for-za del vecchio leone amareggiato chenon cede, e gli rendiamo l’onore chegli tocca, forse ci viene voglia di con-cepire un mondo, un’esistenza, dovesia possibile rimettere al centro quel-l’idea antica di puntare a vivere felicie contenti. Era per questo che unavolta si narravano le fiabe. •

EDITORIALEdi Angelo Crespi

CinAmerica,EurAmericapari non sono

Qualche giorno fa, inun seminario organiz-zato dalla Fondazione

Farefuturo (braccio culturaledi An), una ventina di autore-voli studiosi tra economisti,politilogi e scenaristi non solodi Centrodestra, hanno tenta-to di predire il futuro del no-stro mondo. L’occasione erala presentazione dell’ultimolibro di Carlo Pelanda, Lagrande alleanza. L’integra-zione globale delle democra-zie (Franco Angeli, pp.192,e19,00), che già nel titolo ri-assume un’analisi condivisi-bile. Cioè che nei prossimi an-ni le democrazie liberali, so-prattutto occidentali, dovran-no cercare di fare fronte comu-ne per ribattere i tentativi ege-monici di nuove civiltà o paesioggi in forte crescita. La cosa più interessante è che,contrariamente al senso co-mune e alle paure ingeneratedai mass media, la Cina non èvista con troppa preoccupa-zione. Anzi molti, vedi peresempio l’economista GiulioSapelli, ritengono quello cine-se un bluff e false le statistichedi crescita che provocano variincubi tra i nostri imprenditoi.L’analista Stefano Silvestri èaltresì convinto che l’inflazio-ne in Cina si aggiri sul 15%,cifra tale da determinare inpochi anni una grave crisi.Anche l’Islam integralista èguardato con ottimismo, vi-sto che alle spalle non ha unareale forza economica né una

sufficiente spinta emotiva. Diverso il discorso per la Rus-sia: un paese guardato con at-tenzione e le cui rinate vellei-tà imperialiste destano più diuna preoccupazione.In ogni caso, tutti sono d’ac-cordo nel pensare che gli Usasaranno ancora centrali sulloscacchiere internazionale.Dovranno però limitare i dan-ni di una eventuale implosio-ne della Cina che oggi deter-mina molta dell’economiaamericana. Magari allean-dosi con essa, cioè come dico-no gli esperti del settore, con-tenendola per inglobarla epoi condizionarla, oppure,che è lo stesso, condizionan-dola per inglobarla. In prati-ca si potrebbe prospettareuna CinAmerica. Oppure, sel’Europa lo capisse, una Eu-rAmerica contenente pure ilBrasile e l’India. Ma se noi occidentali non di-mostreremo lungimiranza, lapartita dopo anni di comuni-smo contro capitalismo, occi-dente contro Est, nord controsud, cristiani contro islamici,si giocherebbe tra democrazialiberale contro capitalismoautoritario. Cioè tra Americae Europa contro Russia e Ci-na. Solo che, questa volta,avremmo di fronte paesi cheimpugnano le nostre stessearmi, ma che le possono usarepiù velocemente.Al che sembrano sempre piùstringenti quei richiami, an-che del Papa, alla democraziaintesa non come semplicemeccanismo elettorale, bensìcome luogo di crescita dellapersona umana. Solo così, so-lo riconoscendo e rispettandola dignità della persona uma-na potremo ribattere a chi sa-rà più efficiente di noi in ter-mini economici. •

La partita delfuturo si gioca tra

democrazia liberalee capitalismo

autoritario

PASSO DOPO PASSO UNA VITA DOVE NON C’È STATO TEMPO PER LA NOIA

• 1926: Roberto Bergersi trasferisce aMilano per estenderel’azienda familiare

• 1929: nasce TommyBerger

• 1938: i tedeschi aVienna, le leggirazziali in Italia: ètragedia

• 1943: la famigliaBerger ripara inSvizzera

• 1946: nasce la Crippa

& Berger. Vende laVegetallumina,pomata per lenire ledistorsioni

• 1950: Berger rileva ilmarchio tedesco Hag

• 1955: morti il padre eil socio Crippa,Tommy Bergercomanda l’azienda

• 1955: il caffè Hag el’acqua Sangeminisono in vendita negli alimentari. Ilsuccesso è spianato

• 1958: Palma d’oroper uno spot tvpubblicitario. Ancheacqua Fiuggi tra imarchi distribuiti

• 1986: riassettosocietario eacquisizione diLevissima

• 1992: Berger vendel’azienda e compra labarca dei sogni

• 1993: nasce il trust,affidato in ottimemani (così pareva)

• 2002: si accertanoperdite per 16 milionidi dollari di investimentisbagliati del figlioRoberto e deiconsulenti

• 2003: Berger èespulso dallagestione e daibenefici del trust

• 2004: Tommy Bergerdeposita la citazioneper frode controfiglio e consulenti. La guerra continua

le persecuzionirazziali, i tentativi

di espatriare, i campi di lavoro in svizzera o i lager in germania

l’aspettativacontemporanea

si nutre di ascesesubitanee, di vincite

milionarie

proprio il trust ideatoper proteggere

il patrimonio si rivelauna trappola,

e gli amici serpenti

L’uomo che ha diffuso in Italia il caffè Hag e l’acqua Levissima prende la penna e accusa: mi hanno derubato di tutto

CHE FIABA AMARA, SIGNOR BERGERÈ stato un imprenditore nell’Italia della rinascita, unendo genio e pragmatismo. Finché figli e consulenti...

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S A B AT O 2 0 O T T O B R E 2 0 0 74 I L D O M E N I C A L E L’ALTRA STORIA

80 anni fa il più grave naufragio della Marina mercantile italiana. La nave portava il nome della sfortunata secondogenita Savoia

DUE TRAGEDIE DI NOME MAFALDAUn convegno a Gamalero (Alessandria) rievoca il disastro del piroscafo che era stato l’orgoglio della nostra flotta

LO SCAFFALEDELLA SAGGISTICA

ribelli

Letteraturafuori dal recinto

A llargare l’orizzonte, forni-re gli elementi, mostrarele alternative. Sarebbe

questo il ruolo principe della cultu-ra, che è o dovrebbe essere la ne-mica numero uno dell’ignoranza.Ma la storia del nostro Novecento,specie quella letteraria, è stata alungo picchettata da interpreta-zioni ufficiali, lastricata di doveri-smi imperiosi, sormontata da teo-remi preconfezionati. Questo libropropone, in maniera forzosamen-te sintetica e consapevolmente in-completa, di fare memoria diquanti si sottrassero, intellettual-mente e creativamente, ai luoghi

comuni ob-bligati del-l’egemoniacu l t u r a l erecente.

B a s t iquesta ra-pida elen-cazione dinomi: Car-lo Alianel-lo, Giovan-

ni Papini, Berto Ricci, MargheritaSarfatti, Corrado Alvaro, GiuseppePrezzolini, Giovan Battista Angio-letti, Sibilla Aleramo, Cesare Pave-se, Marcello Gallian, Francesco Jo-vine, Francesco Grisi, Pino Tosca.Tutta gente che, per la traiettoriaartistica e la personalità intellettua-le – oppure, è il caso di Pavese, percompletezza di lettura critica – ,non può restare fuori dalla storiadella cultura. A sua volta è azzecca-ta la scelta dei biografi che firmanoi profili: da Andrea Marcigliano aMario Bernardi Guardi, da Pier-franco Bruni a Enrico Nistri, per ci-tarne alcuni, spiccano per compe-tenza e cognizione di causa. Nonc’è pretesa di esaustività: piuttosto,sintesi premeditata in vista dell’o-biettivo essenziale: la lettura diret-ta dei “testi d’autore”. G.R.

GERARDOPICARDO,DESTRA ENOVECENTO(ITINERARI LETTERARIE STORIE DICOMUNITÀ)Editoriale Pantheon,Roma 2007,pp.192, E11,00

pazienti

Confrontocon Giobbe

Il confronto con Giobbe – perso-nale e interiore, ma anche epo-cale e collettivo – è connaturato

alla storia e alla cultura, almeno diquella che s’è millenariamente ri-ferita alla Bibbia e su ciò ha edifica-to la propria civiltà. Giobbe è l’uo-mo che viene messo alla prova, maè anche colui che verifica la propriafedeltà. Ancora, è il giusto che dia-loga col Maligno, e ancora l’uomoche viene investito dall’assurdo.Tutto questo è riecheggiato in par-ticolare nella letteratura del secoloda poco concluso, trovando inter-pretazioni frastagliate e spessoadeguate, per consonanza o per

contrasto,a ciò cheaccadevanei luoghi enei tempi incui filosofi,s c r i t t o r i ,music ist i ,pittori agi-vano e in-ventavano.

Se rimane essenziale la lettura psi-cologica di Jung, se è decisiva l’a-nalisi di Girard che applica la cate-goria del “capro espiatorio” all’in-terpretazione dei nostri tempi tra-vagliati, mirabili e adeguate a quelche siamo stati e siamo suonano leletture drammaturgiche di Becket,di Kafka, di Joseph Roth.

L’autore, giornalista di for-mazione filosofica, concentrabrillantemente il proprio ruolo neltessere le tappe di un percorso in-dubbiamente personale di lettu-ra, sollevandolo però al piano diuna ricognizione non idiosincra-tica ma, anzi, plausibile e stimo-lante, entro le pieghe del pensie-ro novecentesco: mostrandone ilversante più strettamente ebrai-co ma anche la presenza folgo-rante e universale nel cielo dellemetafore contemporanee. G.R.

EDOARDOCASTAGNA,L’UOMO DI UZ.GIOBBE E LA LETTERATURA DEL NOVECENTO, Medusa, Milano 2007, pp.132, E12,00

di Carlo Corradini

Quello capitato alla nave Princi-pessa Mafaldaè stato il più gra-ve incidente occorso alla Mari-

na mercantile italiana. In omaggio alle figlie del sovrano

d’Italia Vittorio Emanuele III vennerodenominate due navi gemelle varatenei cantieri navali di Riva Trigoso vici-no Genova. Quella messa in mare il 22ottobre del 1908 prese il nome dellasecondogenita, Principessa Mafalda.Avrebbero condiviso un drammaticodestino. C’era già stato un precedentenefasto: la nave gemella, la Principes-sa Jolanda, era affondata durante ilvaro il 22 settembre 1907.

L’incidente concentrò sulla Ma-falda molte aspettative. Era la navepiù veloce che collegava l’Italia aiporti dell’America meridionale e pertonnellaggio la più grande della no-stra Marina mercantile. Le sue dimen-sioni erano 141 metri di lunghezza, 17di larghezza, una stazza di 9.210 ton-nellate. Aveva due fumaioli, due mo-tori di 10.000 HP e una velocità di cro-ciera di 18 nodi. Disponeva di 100 po-sti in classe di lusso, 80 di prima clas-se, 150 di seconda e capacità di 1200emigranti. L’equipaggio era compo-sto da 290 marinai. Sul ponte superio-re si aprivano i saloni riservati allaclasse di lusso e alla prima. La secon-da classe, sistemata a poppa, era mol-to decorosa. Anche le sistemazioni diterza classe erano ritenute all’avan-guardia.

La Mafalda partì il 30 marzo 1909per il suo primo viaggio sulla linea Ge-nova-Buenos Aires con scali a Barcel-lona, Rio de Janeiro, Santos e Monte-video. Divenne la nave preferita dallericche famiglie argentine, uruguaya-ne e brasiliane per i viaggi in Europa.Trasportò anche migliaia d’emigrantiitaliani in America meridionale. Du-rante il primo conflitto mondiale fuutilizzata nel porto di Taranto qualenave albergo per gli ufficiali. Alla finedelle ostilità riprese servizio. In di-ciotto anni di navigazione compì uncentinaio di viaggi tra il Mediterraneoe il Rio de la Plata.

Quasi in disarmo Nel 1927 la società armatrice de-

cise di mettere in disarmo la nave poi-

ché tecnicamente obsoleta. La Mafal-da si apprestava a compiere l’ultimodei suoi numerosi viaggi transatlanti-ci. Salpò da Genova per Buenos Airesl’11 ottobre 1927, imbarcando 977passeggeri e 287 persone di equipag-gio. Aveva a bordo anche un carico di250.000 Lire italiane oro inviate dalgoverno italiano per l’Argentina.

Sembra che le difficoltà tecnichesiano iniziate alla partenza da Geno-va. A Barcellona ci fu una sosta forza-ta di 24 ore per riparare una pompa.Nel Mediterraneo le macchine si fer-marono otto volte. Anche a Dakar inAfrica furono eseguite delle ripara-zioni. La traversata dell’Atlantico fufatta con una caldaia a vapore chefunzionava male. Nonostante i pro-blemi, la vita a bordo scorreva tran-quilla. In occasione del passaggio del-l’equatore, sul ponte principale ven-ne organizzata una gran festa conmusica e un’enorme torta.

Martedì 25 ottobre 1927 era untiepido giorno primaverile, il cielolimpido, il mare tropicale calmo; lanave avanzava in direzione sud ovestal largo di Bahia. Verso le 17,00 un ru-more sordo scosse la nave, che si fer-

mò. Il rumore inquietò i passeggeriche, dopo le solite spiegazioni degliufficiali, ritornarono ai loro impegni.L’orchestra riprese a suonare, quellidella prima classe continuarono a gu-stare il thè, altri ripresero la passeg-giata in coperta.

Disastro nella notteNon si trattava dei soliti inconve-

nienti. Si era sfilato l’asse portaelicadi sinistra. L’acqua entrò da un por-tello di comunicazione fra i tunneldelle eliche. Le paratie stagne, ormaivecchie, non si chiusero a tenutad’acqua. Nel giro di poco tempo lasala macchine fu invasa e le caldaiesi spensero. Venne meno l’energiaelettrica.

Il segnale di S.O.S. era stato lan-ciato e ricevuto da diverse navi, manon fu poi possibile comunicare conle navi soccorritrici. Dall’esterno nonsi era ben capito cosa fosse successo abordo della Mafalda, così alcune navinon si avvicinarono troppo, per paurache scoppiassero le caldaie.

Il comandante della nave, capita-no di lungo corso Simone Gulì, ordinòl’evacuazione della nave e rimase in

coperta a dirigere le operazioni. L’o-pera di salvataggio divenne semprepiù difficoltosa a causa dell’oscuritàdella notte e della forte inclinazionedello scafo, che impedì di ammainaretutte le lance di salvataggio. Il panicos’impadronì di tutti. Scoppiarono ris-se per riuscire a salire a bordo dellescialuppe. Colme al di là del limite, al-cune facevano acqua o, spezzandosi,seminavano il mare di uomini e don-ne nel mare infestato di squali.

Il buio era appena rotto dai riflet-tori delle navi soccorritrici. Nella lotta

STORIA DI UNA NAVE E D’UNA PRINCIPESSAQuesto il titolo del convegno chesi terrà a Villa Odone diGamalero (Alessandria), sabato27 ottobre. Organizzato da Artes(Associazione Ricercatori Tesoridella Storia), vedrà tra ipartecipanti Riccardo Garosci,presidente di Artes, lo storicoLuciano Garibaldi, la scrittriceEnrica Magnani Bosio e ilconsulente della Marina MilitareGiorgio Giorgerini. Insiemerievocheranno la principaletragedia della marina passeggeriitaliana e quella della principessache diede il nome alla nave.

di Luciano Garibaldi

Fino all’autunno 2006, al-lorché Canale 5 mandò inonda la fiction Mafalda di

Savoia: il coraggio di una Prin-cipessa, tratta dal libro di Cristi-na Siccardi Mafalda di Savoia:dalla reggia al Lager di Buchen-wald, edito dalle Paoline nel1999 e praticamente passatosotto silenzio, quasi nessuno,in Italia, sapeva che Re VittorioEmanuele III e sua moglie, laRegina Elena avevano subito latragedia di una figlia morta inguerra.

Mafalda, figlia secondoge-nita del Re, morì all’età di 42 an-ni. Chi la conobbe e la frequen-tò nella sua infanzia e nella suaadolescenza, la descrisse comeuna ragazza spiritosa, simpati-ca, amabile. «È l’unica che rie-sce a far sorridere il Re», dicevadi lei sua madre. Durante laGrande guerra si distinse perl’opera di incoraggiamento esostegno ai combattenti, eserci-tata assieme alla madre e allesorelle visitando e confortandoi soldati ricoverati negli ospeda-li militari. Intanto si avvicinavail tempo dell’amore, che si pre-sentò nei panni del nobile prin-cipe tedesco Filippo d’Assia,classe 1896, nipote del KaiserGuglielmo II, già tenente dell’e-sercito prussiano. Le nozze fu-rono celebrate nella reggia diRacconigi il 23 settembre 1925.Il dono di nozze del re agli sposifu un piccolo casale, a Roma,tra i Parioli e Villa Savoia, VillaPolissena. Ebbero quattro figli.

Mentre il principe Filippo,rispondendo alla chiamata del-la sua patria, la Germania, eratornato in servizio quale uffi-ciale della Wehrmacht, pur noncondividendo gli scopi e i siste-mi adottati dal Führer, Mafaldaera rimasta a Roma con i figli. Ametà agosto 1943 fu raggiuntadalla notizia che il cognato, ReBoris di Bulgaria, gravementequanto misteriosamente am-malatosi (ancora oggi si sospet-ta sia stato avvelenato per ra-gioni politiche, in quanto erainviso sia ai nazisti di Hitler siaai comunisti di Stalin), rischia-va di morire da un momento al-l’altro. Mafalda, lasciati i tre fi-gli più piccoli alla cura dei non-ni (il maggiore, Maurizio, era aKassel, in Germania, arruolatodiciassettenne nella FLAK, la

contraerea della Wehrmacht),decise di raggiungere la sorellaGiovanna, Regina di Bulgaria,per starle vicina e confortarla.Data sepoltura a Re Boris, du-rante il periglioso rientro versol’Italia Mafalda apprese la noti-zia dell’armistizio. Giunta a Ro-ma e abbracciati i figli – che inonni, al momento della par-tenza per Brindisi, avevano af-fidato, in Vaticano, a monsi-gnor Montini, il futuro PapaPaolo VI – Mafalda ricevettel’invito a presentarsi la mattinadel 22 settembre all’Ambascia-ta germanica, dove – così le dis-sero – suo marito l’avrebbechiamata al telefono da Kassel,in Germania, dov’era in servi-zio. Invece era già stato arresta-to e rinchiuso nel campo di con-centramento di Flossenburg.Era dunque un tranello, orditoper arrestare la principessa.Che fu gettata in una cella, poicaricata su un treno merci gre-mito di prigionieri e trasportatanel Lager di Buchenwald.

Qui le fu assegnato il nomeposticcio di Frau Von Weber, levenne proibito di rivelare aglialtri prigionieri la sua identità, efu rinchiusa nella baracca nu-mero 15. La sua vita di interna-ta – come rivelarono testimo-nianze raccolte dopo la fine del-la guerra – non godette di alcunprivilegio.

Il 24 agosto 1944 si verificòil tragico bombardamento ame-

ricano contro le acciaierie Gust-loff, che sorgevano nelle imme-diate vicinanze del Lager. Alcu-ne bombe finirono sul campo diconcentramento. Una centrò inpieno la baracca 15. La princi-pessa Mafalda ebbe il bracciosinistro maciullato e riportò fe-rite e bruciature su tutto il cor-po a seguito dell’incendio dellabaracca. Soccorsa sommaria-mente e portata, sanguinante,in una infermeria da campo im-provvisata, venne di fatto ab-bandonata dai medici. Il brac-

cio finì in cancrena e le venneamputato dopo quattro giornidi sofferenze. La mattina se-guente Mafalda morì dissan-guata. Era il 28 agosto 1944.

Perché tanto accanimento?Perché proprio in quei giorni aBerlino la commissione d’inda-gine sull’attentato contro Hitlercompiuto dal colonnello Clausvon Stauffenberg il 20 luglioprecedente, aveva accertatoche il principe Filippo d’Assiaera a conoscenza del progettodei cospiratori e non aveva fattonulla per impedirlo. Mentre il

principe veniva trasferito a Da-chau, appare evidente comel’acrimonia e la voglia di ven-detta nei confronti dell’inno-cente principessa, colpevole –da una parte – di essere la figliadel Re d’Italia che aveva voltatole spalle al Reich, e – dall’altra –la moglie del presunto traditoreFilippo d’Assia, abbiano potutosfociare in un intervento chi-rurgico volutamente errato vol-to a causarne la morte.

Il corpo denudato dellaprincipessa fu gettato sul muc-chio dei 18 cadaveri vittime delbombardamento americano, inattesa della cremazione. Ma ilfrate agostiniano padre Her-man Joseph Tyl, anch’egli dete-nuto politico, ottenne che fossetolto dalla catasta, chiuso inuna bara di legno e sepolto nelvicino cimitero di Weimar. Il co-mandante del campo, forsespinto da scrupoli religiosi, a-derì alla richiesta. La bara fu ca-lata in una fossa anonima, con-trassegnata dal numero 262;sopra fu collocato un cartellocon la scritta «Eine unbekannteFrau» («Donna sconosciuta»).

Qualche mese dopo la finedella guerra, un gruppo di mari-nai di Gaeta, già prigionieri aBuchenwald, recuperò i resti eli consegnò al principe Filippod’Assia, fortunosamente riusci-to a salvarsi, nel castello deiprincipi, a Kronberg in Taunus,dove oggi riposano. •

La figlia del Re d’Italia finita a morire nel LagerFu vittimainnocentedella vendettatedesca controgli italianivoltagabbana e controil maritoFilippo d’Assiacospiratoreantihitleriano

arrestata con l’inganno,

fu caricata su un treno merci.meta: buchenwald

Le foto: al centro la PrincipessaMafalda; a fianco, il capitano Gulì e Luigi Pirandello (a sinistra); sopra, i superstiti del naufragio e sotto, Mafalda col fratello Umberto a Ostia nel 1925

disperata per salvare la propria e l’al-trui vita ci furono numerose vittime,ma anche esempi d’altruismo e abne-gazione. Alle 22.10 la nave alzò laprua al cielo e s’inabissò. Aveva im-piegato 4 ore e mezza per colare a pic-co. Il capitano, rimasto al posto di co-mando a dirigere le operazioni di eva-cuazione, anziché salvarsi preferì se-guire la nave in fondo all’oceano. Conlui alcuni ufficiali, i macchinisti e idue marconisti, tra cui Luigi Reschiadi Gamalero, rimasti eroicamentenella cabina inviando segnali di ri-chiesta soccorso fino alla fine.

Nel naufragio perirono 314 perso-ne: 9 membri dell’equipaggio e 305passeggeri; di questi molti a causadell’attacco degli squali. Oggi la Prin-cipessa Mafalda riposa nelle acquedell’oceano Atlantico a una profondi-tà di 1.400 metri, a circa 80 miglia daPorto Seguro e 90 miglia dalle isoleAbrolhos. Nessuno sa se il carico dimonete d’oro fu portato in salvo. •

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I L D O M E N I C A L E 5S A B AT O 2 0 O T T O B R E 2 0 0 7 POLIS

Adesso smetteranno di scimmiottare?Esce anche in italiano La scatola nera di Darwin, il classico del biochimico statunitense Michael J. Behe che sfidal’evoluzionismo a suon di scienza seria. E che, empiricamente, dimostra l’esistenza di un progetto intelligente

di Marco Respinti

Dopo il viaggio compiuto dal di-cembre 1831 all’ottobre 1836 abordo del Beagle, il naturalista

inglese Charles R. Darwin formulò l’i-potesi secondo cui gli esseri viventi sievolvono per selezione naturale do-vuta al caso. Inizialmente (certo con-scio della bomba che aveva fra mani)si limitò a predicarla di piante e ani-mali, ma poi, pubblicando nel 1871 Ladiscendenza dell’uomo e la selezionesessuale, applicò il tutto anche all’es-sere umano, in fin dei conti solo un al-tro animale fra tanti animali.

Selezione naturale e caso: questi imeccanismi che presiedono l’interouniverso, vita compresa. Né disegnoné progetto, nessuna intelligenza enemmeno alcuna volontà. Ha quindiragione da vendere Richard Dawkins– il più gettonato tra i divulgatori neo-darwinisti – a parlare, sin dal titolo diun suo famoso libro del 1986, di unorologiaio cieco. Ora, questi due pila-stri del darwinismo (e della “teoriasintetica” neodarwinista attuale, os-sia la riformulazione del concetto afronte della genetica) sono però fra lo-ro contradditori, ed entrambi e ognu-no lo sono pure rispetto al terzo e ulti-mo fondamento, la postulazione ditempi enormi affinché tutto si svolga.

La selezione affidata a un non me-glio identificato concetto di “natura”è infatti pur sempre una scelta, e piut-tosto oculata, anche se (con Daw-kins) cieca, se è vero – come dice l’i-potesi evoluzionistica – che il proces-so favorisce le caratteristiche piùadatte alla vita, penalizzando fino al-l’estinzione quelle non appropriate,meno forti, più deboli. La scelta –qualsiasi scelta – è però appunto ilcontrario esatto della casualità.

Quanto ai tempi abnormi tirati inballo per la presunta evoluzione (eutilissimi a dilatare talmente la que-stione da renderla non esperibile,sfuggente all’indagine empirica, ina-datta a qualsiasi verifica rigorosa anorma di metodo scientifico), sonol’opposto esatto di quanto serve a unessere vivente che – come dice il dar-winismo – se non sviluppa le caratte-ristiche che più lo rendono adatto allavita si estingue. Come tira, infatti, co-stui a campare lungo i milioni di annidell’evoluzione se non si ciba, se non

figlia, se non può difendersi da preda-tori, intemperie e iella in attesa che isuoi organi si facciano adatti?

Sono quisquilie come questequelle con cui l’ipotesi evoluzionisti-ca, darwinista classica o neo che sia,deve fare anzitutto i conti, ma che in-vece ignora dando per scontato pro-prio quanto va invece dimostrato. Né

la retorica darwinista guadagna puntise la scienza – come fa da un po’ – sigetta a capofitto fra i cromosomisnobbando i fenotipi, quei viventi incarne e ossa, o fronde e frasche, chestanno lì grandi e grossi e in bella vista(giganteschi pure nel caso di organi-smi unicellulari, a paragone di geni emateriali citoplasmatici vari), viventi

complessi e ricchi e spesso pure empi-ricamente diversi rispetto a certe af-fermazioni “teoriche” fatte solo al mi-croscopio, le quali oramai scordano,tra una provetta e un vetrino, di guar-dare in faccia animali e piante.

La sfida biochimicaCose così, accompagnate da am-

pia documentazione e meditazione,le dice da una vita anche ai genetistiuno che il genetista lo fa di professio-ne, uno che in materia ha pure all’atti-vo scoperte fondamentali. GiuseppeSermonti, che però, siccome alle pale-si aporie dell’evoluzionismo non cista, è confinato, nonostante la scienzadi cui è capace, nel limbo dei reprobi.Firma lui, Sermonti, l’introduzione allibro – fondamentale – di Michael J.Behe, La scatola nera di Darwin. Lasfida biochimica all’evoluzione.

Qualche dato saliente sul volume.Primo. In italiano lo pubblica Alfa eOmega (tel. 0934/516692 o02/3502233), braccio editoriale del-l’omonima associazione evangelicaledi Caltanissetta. Protestanti, cioè:

protestanti della bellascuola di Jonathan Ed-wards negli Stati Uniti delSettecento e di MarvinOlasky (quello del “con-servatorismo compassio-nevole”) in quelli di oggi.Bello perché l’autore, Be-he, è cattolico. Più belloancora perché il suo edi-tore italiano annuncia,sempre su questi temi,l’uscita di due testi di Wil-liam A. Dembski, mate-matico, fra le punte di dia-mante del famoso Disco-very Institute di Seattle, nello Stato diWashington, fondato nel 1990.

Secondo. La scatola nera di Dar-winuscì originariamente nel 1996 e fusubito un classico: la versione italianatraduce l’edizione 2006, arricchita diuna postfazione che recensisce un de-cennio di controversie e di sviluppi.

Terzo. L’autore, Behe, è uno spe-cialista nel campo tipico del neodar-winismo più à la page, cellule, mole-cole, genomi. Insegna Scienze biolo-

giche alla Lehigh Univer-sity di Bethlehem, inPennsylvania.

Quarto. Il titolo del li-bro ricorda questo. Ognigiorno usiamo con non-chalance un mucchio dicose che non sappiamominimamente come eperché funzionino. Anzi,più sono complesse, e ta-

lora complicate, più sonodiffuse. Cioè? Cioè ognidì, e fortunatamente, dia-mo per scontato, per ac-quisito e per normale una

perizia, una precisione, una compe-tenza e una fatica di cui non abbiamoidea, e seguiamo indicazioni e trac-ciati di esperti che ignoriamo, il cuilavoro altamente specializzato ren-de migliore e più adatto a noi il mon-do in cui stiamo.

Non è un caso (Darwin permet-tendo). Behe è stato infatti il primoscienziato a formulare compiuta-mente il concetto di “progetto intelli-gente” per l’universo, il quale così dacaos casuale si fa cosmo ordinato.Oggi Behe è il più noto propugnatoredi quel concetto, alla testa (se non al-tro per fama e carisma) dei suoi seris-simi colleghi del Discovery Institute,quell’organismo privato di ricerca ilcui Center for Science and Culture hafatto del “progetto intelligente” unabandiera, dando persino origine aquello che alcuni non esitano a defi-nire un “movimento”. Certo, l’espres-

sione Intelligent Design saltò fuori,negli USA, nel 1987 durante il proces-so Edwards v. Aguillard (i darwinistitrascinano sempre in tribunale i pro-pri avversari, così fu allora e così èstato di nuovo nel 2005 con il casoKitzmiller v. Dover Area School Dis-trict). Da lì nel 1989 l’espressionerimbalzò in un libro per le superiori,Of Pandas and People: The CentralQuestion of Biological Origins di Per-cival Davis e Dean H.Kenyon, alla cuiedizione riveduta del 1993 collaboròpure Behe. Ma è stato La scatola neradi Darwin a fare il salto di qualità.

Occhio per occhioSe, negandosi per definizione alla

verifica scientifica, l’evoluzionismo èuna ipotesi, esso vale né più né menodi altre ipotesi, “progetto intelligente”compreso. Ma non basta. Behe ha in-fatti il merito di avere fondato scienti-ficamente quella che appunto solouna ipotesi fra le tante non è. Scanda-lizzerà alcuni, ma il “progetto intelli-gente” è più scientifico dell’evoluzio-nismo. Si fonda infatti su 1) fenomeni2) riscontrabili nella realtà 3) e osser-vabili direttamente. Obbedisce cioè almetodo scientifico, quello induttivofondato a suo tempo da Galileo Gali-lei e, giustamente, “bibbia” di chiun-que voglia fare scienza. Quello che in-vece appunto non fa (lo notava raffi-natamente anche un evoluzionistaconvinto qual era Stephen Jay Gould)il darwinismo, classico e neo.

In natura, dice Behe, esistonomeccanismi che non funzionerebbe-ro se una sola delle parti che ne costi-tuisce l’ordito e che interagiscono perfar funzionare correttamente l’insie-me mancasse o facesse cilecca, e chequindi necessitano di un positore ilquale, con decisione e movimentounitari, li assembli complessivamen-te. La scatola di Darwin la definisce«complessità irriducibile» e ne offreesempi e spiegazioni. Il concetto di unprogettista intelligente dei meccani-smi dell’universo nasce da qui. Il pro-gettista di un occhio di una delle moltespecie viventi, per esempio. L’occhionon è meno sofisticato di una macchi-na fotografica e certo non deriva da unocchio “più semplice” per il solo fattoche il tempo scorre. Abbisogna di unpensiero. Anche perché occhi “piùsemplici” non ve ne sono. •

Acqui Storia,un premioalla memoriae alla scienza

L’arrivo di Carlo Sburlati allaguida dell’Assessorato allaCultura del Comune di Ac-

qui Terme, in provincia di Alessan-dria, ha determinato un forte rilan-cio della storica città termale. Ne ètestimonianza il Premio Acqui Sto-ria, giunto alla quarantesima edi-zione, che ha laureato vincitori Pie-ro Craveri per De Gasperi (il Muli-no) e Mario Calabresi, figlio delcommissario di polizia assassinatoda Lotta Continua, per Spingendola notte più in là (Mondadori).

L’aspetto più singolare della fi-gura di Sburlati è che non si trattadi un giornalista, né di uno scritto-re, né di un professore di lettere,ma di un illustre medico, apprezza-to sul piano nazionale (è primariodi ginecologia e ostetricia) con unagrandissima passione per lo studiodella storia, come documentanonumerosi suoi scritti, in particolarededicati a Codreanu il Capitano(scritto per l’editore romano Volpenell’ormai lontano 1970) e a Perone il giustizialismo (Volpe, 1971),solo per citarne alcuni.

Una doppia personalità dun-que, che tuttavia si fonde in quel-la, assolutamente univoca, di unamante della verità, del progressoe delle conquiste scientifiche.Sburlati ha peraltro definito il Pre-mio Acqui Storia dicendosi lieto«che i riconoscimenti speciali de-nominati “testimoni del tempo”siano stati assegnati a ClaudiaCardinale, all’editore Alberto Bo-laffi e al direttore del TG 2 MauroMazza. Non meno azzeccata, amio giudizio, è stata la decisionedella giuria di premiare, per la se-zione “la storia in TV”, la fictionNassirya. Per non dimenticare,che tanto seguito ha avuto tra ilpubblico italiano».

Organizzato dal Comune diAcqui Terme con il contributo diRegione Piemonte, Provincia diAlessandria, Terme di Acqui e con ilsignificativo intervento della Fon-dazione Cassa di Risparmio diAlessandria, l’Acqui Storia è unadelle competizioni più attese a li-

vello nazionale ed europeo, cometestimoniano l’alto patronato delPresidente della Repubblica e, perquesta 40a edizione, il patrociniodel Senato, della Camera e dellaPresidenza del Consiglio.

«Il lavoro attento delle giurie»,commenta Sburlati, «ha conse-gnato un verdetto che rispecchiain pieno il valore del premio comestrumento per conoscere e far co-noscere la storia della nostra pa-tria, anche la più recente e piùdrammatica. Dal canto nostro, ab-biamo organizzato, per i giorni acavallo della cerimonia di premia-zione che avrà luogo il 3 novem-bre, tutta una serie di avvenimenticulturali per avvicinare i lettori agliautori e ai vincitori dei premi spe-ciali. Siamo lieti che l’Acqui Storiariscuota così alto gradimento dipubblico, a conferma dell’intuizio-ne dei fondatori, che vollero legarela città ai tragici fatti di Cefalonia,avvenimenti drammatici che di-vennero punto di svolta in un pe-riodo di grande difficoltà per il no-stro Paese e che ancora oggi con-servano una valenza etica e civile».

Nato nel 1968, il Premio AcquiStoria venne, per espressa volontàdei fondatori, legato al ricordo deiCaduti della “Divisione Acqui”. Al-la memoria di quelle vite, si unì ildesiderio di dare forza e vigore allastoria e allo studio di essa comestrumento indispensabile per unapiena crescita sociale e culturaledelle giovani generazioni.

In quaranta edizioni, l’AcquiStoria ha visto dunque partecipare2200 autori e altrettante opereche sono così entrate nel patrimo-nio culturale europeo. •

Tutte le balle di Rigoberta MenchúIl Nobel ’92 per la Pace è una gran frode. Lo ricorda un pamphlet di Leonardo Facco

Dopo il crollo del comunismola Sinistra occidentale è ri-uscita a conservare la pro-

pria egemonia culturale riconver-tendosi al multiculturalismo. Que-sta Sinistra nuova non concentrapiù, dunque, le proprie critiche sul-le strutture economiche della so-cietà capitalistica, come prescrive-va il marxismo classico. Quasi nes-suno oggi ha più infatti il coraggiodi chiedere l’abolizione della pro-prietà privata o la collettivizzazio-ne dei mezzi di produzione. L’at-tacco attuale prende quindi di mirale “sovrastrutture” culturali dellasocietà, secondo la lezione di Anto-nio Gramsci e della Scuola di Fran-coforte. Dietro una facciata relativi-sta, il multiculturalismo combattecioè tutto quanto appartiene al pas-sato storico dell’Europa. Quest’o-dio profondo per il nostro retaggioreligioso e culturale, motivato daun intenso sentimento di rivalsa, simanifesta con l’esaltazione acriti-ca di tutte le culture estranee al-l’Occidente, comprese le più aber-ranti, e con il desiderio frenetico diripopolare il Vecchio Continentecon immigrati extraeuropei ancheapertamente ostili.

Una premessa necessaria, que-sta, per spiegare il senso di una del-le operazioni propagandisticheche negli ultimi decenni più sonoriuscite alla Sinistra internaziona-le: la creazione del mito di Rigober-ta Menchú, l’indigena guatemalte-

ca di etnia maya vincitrice nel1992, a soli 33 anni, del Premio No-bel per la Pace. La fama della Men-chú si deve al libro di memoriescritto nel 1983 dall’antropologaElisabeth Burgos Debray, l’ex mo-glie del famoso rivoluzionariofrancese Régis Debray, la quale nel1982 trascorse otto giorni nel pro-prio appartamento parigino solle-citando e registrando il lungo rac-conto di Rigoberta. Il Italia il libro èstato pubblicato nel 1987 dallaGiunti di Firenze con il titolo Michiamo Rigoberta Menchú, prefatoda Romano Bracalini.

Il successo nelle librerie, nellescuole e nelle università fu imme-diato, e fece della Menchú il simbo-lo degl’indigeni dell’emisfero occi-dentale depredati e oppressi daiconquistatori europei. Come pove-ra donna india, la Menchú era un’i-cona perfetta del multiculturali-smo giacché riassumeva in sé tuttele caratteristiche più apprezzatedalle ideologie alla moda tra gl’in-tellettuali progressisti.

Verso la metà degli anni Novan-ta cominciarono però a sorgere iprimi dubbi sulla veridicità del suoracconto, anche perché sembravastrano che una contadina illetteratadell’America Centrale usasse contanta disinvoltura il tipico frasariomarxista dei radical-chic occiden-tali. Così, l’antropologo statuniten-se David Stoll fece accurate verifi-che sul campo e nel 1999 pubblicò i

risultati delle ricerche: risultati chesmascheravano cumuli di menzo-gne presenti nella “testimonianza”della Menchú.

Una vicenda patetica, i cui re-troscena vengono ripercorsi ora neidettagli da Leonardo Facco, editoree giornalista libertario bergama-sco, esperto del mondo iberoameri-cano, con un libro agile ed efficace.

La famiglia della Menchú, ri-corda Facco, non era affatto poveraperché suo padre possedeva quasi

3mila ettari di terra coltivabile; ledispute per questo terreno non na-scevano dai tentativi di esproprioda parte dei ricchi proprietari ter-rieri discendenti dei conquistado-res, ma da squallide beghe fami-gliari; suo padre non venne brucia-to vivo dai militari all’interno del-l’ambasciata di Spagna, ma rimasevittima di un incendio causato dal-le bottiglie molotov dei dimostran-ti; e anche le uccisioni della madre,di tre fratelli e del nipotino attribui-te alla polizia sono un’invenzione.La Menchú sostiene pure di essererimasta analfabeta fino all’etàadulta, ma risulta che abbia fre-quentato per otto mesi all’anno un

ottimo collegio religioso privato,cosa che peraltro rendeva impossi-bile la sua partecipazione alle atti-vità politiche e insurrezionali de-scritte nel libro.

Non c’è da meravigliarsi che inGuatemala la Menchú non sia maistata popolare come all’estero. Isuoi concittadini sanno benissimoche le storie che racconta al pubbli-co occidentale sono piene di falsitàe di esagerazioni. Alle elezioni pre-sidenziali del 9 settembre, la “por-tavoce del popolo oppresso” ha ri-mediato solo un misero 3,05% deivoti, nel silenzio imbarazzato degliorgani d’informazione che hannocercato di dare il minor risalto pos-sibile alla notizia.

La Menchú si difende dalle de-nunce di frode accusando Stoll di“razzismo”, rispondendo elusiva-mente alle obiezioni specifiche, econtestando la trascrizione di Eli-sabeth Burgos, con la quale è in liteper i diritti d’autore del libro. Gl’in-tellettuali di sinistra continuano aesaltarla perché “qualche inesat-tezza nel racconto non inficia labontà della sua causa”, e il comita-to per il Nobel si è rifiutato di ritirar-le il premio. Come scrive Bracalininella prefazione del libro di Facco,la menzogna è sempre stata un por-tato della dottrina totalitaria e il co-munismo ne ha fatta un’arte insu-perata. La Menchú viene dalla me-desima scuola d’impostura. •

Guglielmo Piombini

ci sono cose, in cieloe in terra, talmente

complesse e finida necessitare

sì di un progettista

intento a frugarefra i cromosomi, spesso

il neodarwinismosi scorda di guardarein faccia agl’individui

UNA POVERA, REIETTAANALFABETA

CHE PERÒ ANDAVAALLA SCUOLA PRIVATA

Michael J. Beheinsegna alla LehighUniversity di Bethlehemin Pennsylvania

40 EDIZIONI TONDEED È GIOVANISSIMO.ORA PORTA IL SEGNO

INCONFONDIBILEDI CARLO SBURLATI

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FINESTRE APERTE S A B AT O 2 0 O T T O B R E 2 0 0 76 I L D O M E N I C A L E

di Maurizio Sacconi

Èoggi possibile una prima rifles-sione sull’intenso lavoro com-piuto a partire dal “Libro Bian-

co sul mercato del lavoro” dell’otto-bre 2001, pur nella consapevolezzadei contrasti che hanno accompa-gnato – e ancora accompagnano – ilcoraggioso processo riformatore av-viato dal Governo Berlusconi nellapassata legislatura.

Contrasti dettati da considerazio-ni di ordine tecnico giuridico, ma cheinevitabilmente sono alimentati an-che da esasperate letture ideologicheche contestano ogni approccio prag-matico e sperimentale.

Una delle frasi più belle di MarcoBiagi, consegnata alle pagine del Sole24 Ore poche ore prima della sua bar-bara uccisione, ce lo ricorda con tra-gica lucidità: «Ogni processo di mo-

dernizzazioneavviene con tra-vaglio, anche contensioni sociali,insomma pagan-do anche prezzialti alla conflit-tualità» (da Il da-do è tratto: mo-dernizzazione oconservazione?,in Il sole 24 Ore,21 marzo 2002).

La premessadel “Libro Bian-

co” non era affatto retorica e tantomeno scontata in un Paese dove il di-battito sui temi del lavoro era – ed è –ancora pesantemente afflitto da pro-vincialismo e pregiudiziali ideologi-che che alimentano una cultura anta-gonista e conflittuale nelle relazioniindustriali. Essa consisteva nel farcoincidere sviluppo economico e co-esione sociale investendo nel capita-le umano, nella occupabilità dellepersone, con effetti tanto sulla com-petitività quanto sul grado di inclu-sione dei più deboli.

Il riferimento alla strategia euro-pea di Lisbona faceva assumere infat-ti come linea di riferimento del pro-cesso riformatore il tasso di occupa-zione secondo gli obiettivi ben noti al2010, con una declinazione interme-dia articolata per genere e per fasce dietà. Solo agendo sul tasso di occupa-zione, il più basso in Europa, sarebbestato possibile incrementare la dota-zione di capitale umano necessariaper promuovere una società attiva einsieme un lavoro di qualità.

Questi non a caso furono i duesottotitoli del “Libro Bianco”.

Esattamente cinque anni dopo, il22 novembre 2006, la CommissioneEuropea ha promosso in tutti i Paesimembri un confronto destinato a co-involgere istituzioni e parti socialisulla base di un “Libro Verde” intito-lato Modernizzare il diritto del lavoroper rispondere alle sfide del XXI seco-lo. L’assonanza con il “Libro Bianco”è totale e riguarda l’impostazione, icontenuti, perfino il lessico. Per que-sta ragione il Governo Prodi ha man-tenuto sotto traccia il confronto sul“Libro Verde”, ha evitato ogni tenta-tivo di concertazione, ha fornito allaCommissione (con ritardo!) rispostecritiche isolandosi daglialtri Paesi.

Eppure realizzare unmodello di società atti-va, una società dell’in-clusione, avrebbe effettidi non poco conto in Ita-lia ove il punto di parten-za era allora – ma, nono-stante i progressi, è an-cora ora – particolar-mente arretrato.

Lavoro neroMarco Biagi era solito

dire che siamo il peggioremercato del lavoro in Eu-ropa e lo diceva con spiri-to costruttivo, semplice-mente riprendendo iRapporti della Commis-sione europea.

Il nostro mercato dellavoro gli appariva forte-mente spaccato per ses-so, età e territorio. Il tassodi occupazione delle per-

sone tra i 15 e i 64 anni era allora dipoco superiore al 50% e particolar-mente penalizzate risultavano ledonne e gli anziani i cui tassi specificierano ancor più lontani dagli obietti-vi europei. Quanto ai giovani si regi-strava un alto livello di abbandonoscolastico, unito alla patologia oppo-sta di percorsi universitari troppolunghi e dequalificati senza alcunaalternanza con esperienze lavorati-ve. Il tutto si aggravava in larghe areedel Mezzogiorno ove ancora oggi ilsottoimpiego del capitale umano co-stituisce ragione non secondaria del-la bassa crescita.

Ma soprattutto risul-tava abnorme la straordi-naria dimensione del la-voro nero tanto sotto ilprofilo dei rapporti di la-voro integralmente som-mersi quanto in terminidi spezzoni lavorativiche sommati determina-no, specie nei servizi,grandi volumi di evasio-ne fiscale e contributiva.Ancora oggi, accanto aicirca 23 milioni di perso-ne che lavorano nel mer-cato istituzionale, esisto-no almeno 4/5 milioni dilavoratori in tutto o inparte occulti.

Ricomporre la seg-mentazione che caratte-rizza il nostro mercatodel lavoro è stata la viache in questi anni si è ten-tato di percorrere nellaconvinzione che questa èl’unica garanzia per offri-

re soluzioni valide ed efficaci per unareale crescita dell’occupazione e perl’autosufficienza delle persone attra-verso il lavoro.

Così come ha evidenziato la di-mensione abnorme del nostro lavoro

autonomo dovuta a fenomeni di fugadal lavoro subordinato, da una certatipologia rigida del rapporto di lavorosubordinato, da norme ottuse pensa-te per modelli organizzativi superatie che fungono da vincoli all’emersio-ne del sommerso senza offrire alcunatutela ai lavoratori in carne e ossa.

La grande dimensione del lavoroautonomo rappresenta una bellaespressione della nostra diffusa in-traprendenza, della nostra diffusaimprenditorialità, ma è anche conse-guenza della diffusione di forme dilavoro atipico come, in particolare, lecollaborazioni coordinate e conti-nuative.

E ancora, nella grande dimensio-ne del lavoro dipendente da aziendeal di sotto dei 15 dipendenti traspareun fenomeno di segmentazione tantoaccentuata da essere in certa misurapatologico.

Ma non basta. A tutto ciò si devo-no aggiungere altre due, connesse,gravi patologie.

La grande dimensione dell’eco-

nomia sommersa, la diffusione dellemicroimprese, forme arretrate di eco-nomia turistica e di coltivazioni agri-cole, unite ad una disciplina rigida-mente formalistica delle tutele per lasalute e sicurezza nel lavoro, hannodeterminato un significativo livellodegli infortuni e delle malattie pro-fessionali.

Ultimo, ma non ultimo, si è pro-dotto negli ultimi quindici anni un si-stema inefficiente di distribuzionedella ricchezza attraverso i salari acausa di una invasiva contrattazionecentralizzata, ancorata alla bassa in-flazione ufficiale di questo periodo,che si è combinata con l’altissimoprelievo fiscale e contributivo. Ne èrisultato non solo un andamentopiatto e moderato delle retribuzionima anche un livello modestissimodella produttività del lavoro in quan-to questo assetto della contrattazionee della tassazione non la incentiva-no.

Che fare? Il “Libro Bianco” ha sol-lecitato la ricerca dei modi con cui ri-conciliare la tutela del lavoro e la pro-mozione dell’occupazione, attraver-so la definizione di un quadro legalecapace di comprendere la realtà so-cioeconomica in modo da superare ildivario tra le realtà dei lavori e la lororappresentazione giuridica.

La strada aperta dal cosiddetto“pacchetto Treu” era giusta ma si erarisolta in pochi, per quanto significa-tivi, cambiamenti. Il nuovo progettoriformatore è ripartito da quel tentati-vo in parte abortito orientandosi indue direzioni, quelle della adattabili-tà e della occupabilità, che sono i duepilastri fondamentali della strategia

europea per l’occupazione. Gli altridue pilastri europei sono quelli dellepari opportunità, che devono essereun mainstreaming di tutta la politicadel lavoro, e quello dell’imprendito-rialità. In particolare, tutta la riorga-nizzazione delle tutele nel mercatodel lavoro è stata riorientata secondoquesti criteri.

Era infatti evidente tanto l’enfasisulle tutele relative al singolo rappor-to di lavoro quanto l’abbandono a sestesso di colui che cerca lavoro in unmercato opaco.

I primi risultatiIl mercato del lavoro è già certa-

mente cambiato nel decennio avvia-to dal “pacchetto Treu” e successiva-mente segnato, in modo ancor più ro-busto, dal “Libro Bianco” e dai prov-vedimenti che ne sono conseguiti(collocamento, contratti a termine elegge Biagi ).

Il totale degli occupati era di20.384.000 nel 1997, di 21.913.000nel 2002 ed è stato di ben 23.298.000nel 2006. L’indicatore più evidenteparaltro consiste nel tasso di occupa-zione che nel 1997 era del 52,3%, nel2002 del 56,7% e nel 2006 è stato del58,9% nonostante il periodo sia statocaratterizzato, in particolare negli

Sotto, dall’alto: CesareDamiano, ministro delLavoro; il senatoreMaurizio Sacconi, già sottosegretario al Welfare

Il “Libro Bianco”dell’ottobre 2001ha fondato una riforma del lavororealistica,coraggiosa e coerente con le tendenze europee. Il Governo Prodi,subentrandoall’esecutivoBerlusconi, ne ha detto pestee corna ma si è ben guardatodal dare seguito ai proclami,sottraendosi al confronto. E confermando,implicitamente,che non c’è altra strada

OLTRE LA LEGGE BIAGI: RI

Sei anni di demagogia, diinutili recriminazioni, dicontinue deligittimazio-

ni. A partire dalla presentazio-ne del Libro bianco di MarcoBiagi avvenuta nell’ottobre2001, passando per il suo omi-cidio, fino alla recente votazio-ne del protocollo sul welfare, labattaglia della sinistra su que-sto tema è stata una delle peg-giori prove politiche dalla fon-dazione della Repubblica. Unareale vergogna.

Analizzando infatti il pro-tocollo presentato da Prodi chemantiene intatto l’impiantoprogettato da Biagi, appare ver-gognosa la precedente campa-gna diffamatoria nei confrontidi una legge e soprattutto di unuomo la cui proposta riformistaoggi è stata riconosciuta persi-no da quei lavoratori, circa l’80per cento, che hanno votato sìal cosiddetto referendum di set-timana scorsa.

Eppure, c’è stato bisognoche Marco Biagi venisse ucciso,barbaramente sparato sulla so-glia di casa. Un uomo qualsia-si, all’apparenza. Un professo-re di diritto del lavoro onesto ecaparbio, sulle cui spalle era pe-rò caduto il peso morale di pro-gettare la riforma di un setttoreirriformabile come è il mondodel lavoro. Un luogo di disputeideologiche, fonte di potere,spesso terreno di cultura per de-liri eversivi.

Preso di mira dalla sinistracomunista, Biagi è stato innal-zato a capro espiatorio, a bersa-glio. E per questo motivo “giusti-ziato”, secondo un barbaro

nonsense semantico caro ai bri-gatisti. Un uomo qualsiasi chenon è stato difeso a sufficienzadalla sinistra rifomista, partepolitica da cui pur provenivaBiagi. Lasciato. Denigrato per-ché aveva progettato la sua ri-forma con i riformisti del Cen-trodestra. E dopo morto, deni-grato pure il suo lascito. Disco-nosciuto da una sinistra arro-gante che si fa schermo definen-do la Legge Biagi, semplicemen-te Legge 30, forse vergognandosidi ricordarne l’ispiratore.

Chi sono gli assassini mate-riali di Biagi lo sappiamo. Laresponsabilità morale è però ditutti quei politici e intellettualiche ne hanno per calcolo, o perbanale sottomissione a unaideologia, infangato il nome el’opera, salvo poi di nascosto,senza ammetterlo, in modo ver-gognoso, recepirne gli insegna-menti.

Certo, c’è un minimo di sod-disfazione nel vedere i principifortemente difesi da Biagi oggidiventare senso comune e in-nervare anche le politiche delgoverno Prodi. Ma a che prezzoquesta constatazione.

E visto che il governo pensaancora di mercanteggiare con imassimalisti qualcuno deimeccanismi della Legge Biagi,vale la pena partecipare allamanifestazione di domenicache si opporrà a quella della si-nistra radicale. Tanto per difen-dere una delle poche, vere rifor-me degli ultimi trent’anni. •

An.Cr.

Un uomoqualsiasicostretto a farsi eroe

Charlot, alias Charlie Chaplin, in unfotogramma di Tempi moderni (1936)In alto: Marco Biagi

il libro bianco auspicala conciliazione

fra tutela del lavoroe promozione

dell’occupazione

ogni modernizzazioneavviene con travaglio,

pagando pegno allaconflittualità. quasi

un epitaffio?

Bisogna controllaregli ultimi

mercanteggiamentitra governo

e sinistra radicaleper svilire la riforma

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anni più recenti, da una bassa cresci-ta dell’economia.

Ed è stato proprio questo l’aspet-to più significativo: mentre in passa-to erano necessari almeno due puntidi Pil perché si potesse manifestareuna timida crescita dell’occupazio-ne, dal 2003 si è addirittura invertitoil rapporto tra l’incremento della ric-chezza e quello dei posti di lavoro.

A ciò si deve aggiungere un anda-mento favorevole – specie con i prov-vedimenti conseguenti al “LibroBianco” – delle fasce tradizional-mente deboli del mercato del lavoroitaliano. Le donne occupate, anchegrazie allo sviluppo del part-time, so-no passate, negli anni considerati,dal 38,5%, al 44,4% e al 46,3%,mentre gli “anziani” tra 55 e 64 annisono cresciuti dal 28,3% al 29,5%per arrivare nell’ultimo anno al32,5%.

Discorso a parte meritano i giova-ni sulla cui occupazione incide la po-sitiva riduzione dell’abbandono pre-coce dei percorsi educativi. Anzi, lalegge Biagi impone che un giovanepossa essere assunto, prima dell’as-solvimento del diritto-dovere dei 12anni di apprendimento, soltanto conil contratto di apprendistato che col-lega l’esperienza lavorativa al com-pletamento di questo percorso.

Nel complesso l’occupazione ri-mane per lo più stabile perché, tuttisommati, i contratti a termine, inclu-si quelli a contenuto formativo, ri-mangono ben al di sotto della mediaeuropea in quanto non raggiungonoil 10% del totale degli occupati e su-perano di poco il 13% dei lavoratoridipendenti nella media 2006.

Il tasso di disoccupazione, che ri-mane pur sempre un indicatore uni-versalmente considerato, crolla dal11,3% del 1997 al 8,6% del 2002 al6,8% del 2006 e nel Mezzogiorno sipassa, negli stessi anni, dal 18,9% al16,3% al 12;3%.

Avrà pesato anche il fenomenodello “scoraggiamento” che si produ-ce in coloro che rinunciano a cercareun posto regolare per la difficoltà direperirlo, ma è più probabile che co-storo si siano rivolti al lavoro nero an-che a causa degli altissimi costi indi-

retti del lavoro, che il Governo Prodiha portato, per la sola componenteprevidenziale, al 33% con la prospet-tiva di un ulteriore aumento per co-prire i costi della controriforma previ-denziale.

I tre diritti fondamentaliLa difesa della Legge Biagi dai

tentativi di controriforma invocatidalla sinistra politica e sindacale de-ve essere solo la premessa di un per-corso riformatore che il “Libro Bian-co” ha individuato compiutamentecon quella preveggenza che il suc-cessivo “Libro Verde” della Com-missione Europea inequivocamenteconferma.

Riassumiamo gli obiettivi. Al la-

I L D O M E N I C A L E 7S A B AT O 2 0 O T T O B R E 2 0 0 7 FINESTRE APERTE

voratore devono essere garantiti intermini di assoluta effettività tre dirit-ti fondamentali: 1) il diritto basico al-la salute e sicurezza in ogni contestoformale e sostanziale; 2) il diritto allaconoscenza che lo fa sempre occupa-bile; 3) il diritto ad una giusta remu-nerazione della sua specifica presta-zione lavorativa.

Per quanto riguarda la sicurezza,la riforma dovrebbe rappresentare ilpassaggio da un approccio per regolead uno, più sostanziale, per obiettivi.Ciò significa non solo semplificaremolti adempimenti tarati sulla gran-de dimensione d’impresa e, come ta-li, destinati a essere ineffettivi nellepiccole attività, ma, ancor più inve-

stire nell’informazione e nella forma-zione riconoscendo, in sussidiarietà,il ruolo delle parti sociali ove questedanno vita ad organismi bilaterali.

Il vero incentivo a questa collabo-razione consiste nel ridurre gli adem-pimenti e i controlli formali di fronteal controllo sociale esercitato da que-sti enti che, per definizione, sonoportati a promuovere reali condizionidi maggiore sicurezza e non solo ilformale rispetto di regole.

Purtroppo il Governo si sta muo-vendo nella direzione opposta attra-verso il nuovo testo unico in materiaperché muove dal presupposto ideo-logico del ruolo criminogeno dell’im-presa, di qualunque impresa, come sievince da uno sproporzionato appa-rato sanzionatorio che arriva a so-spendere l’attività produttiva perabuso degli straordinari. Il diritto alcontinuo aggiornamento delle cono-scenze e delle competenze è poi il ve-ro modo per combattere ogni formadi insicurezza in un mercato del lavo-ro necessariamente dinamico. Sonoinfatti precari tutti coloro che, nel ca-so di perdita del lavoro, fanno fatica atrovarne un altro per il basso livellodella loro professionalità. Per non di-re di quei giovani che si affacciano sulmercato del lavoro in tarda età, senzaesperienze lavorative, con titoli distudio poco appetibili.

Si tratta in primo luogo di attuareappieno una legislazione che è ungiacimento di opportunità chiamatea cogliere, in particolare, le Regioni,le parti sociali e i preposti alle risorseumane nelle imprese. Mancano pur-troppo ancora molte leggi regionali,essenziali per la diffusione dei servizidi collocamento nelle scuole, nei co-muni o nelle forme associative localie per la piena applicazione dei nuovicontratti di apprendistato. Il comple-tamento della borsa del lavoro è in-fatti compito congiunto del Governoe delle Regioni affinché la trasparen-za ed efficienza del mercato del lavo-ro costituisca la prima tutela del lavo-ratore in cerca di opportunità oltreche uno strumento per le imprese chetalora rinunciano alla nuova assun-zione per la difficoltà connessa al re-perimento della professionalità ido-nea.

Più in generale deve trovare con-creta attuazione quella politica di oc-cupabilità che consiste nella offertadi robuste opportunità formative tan-to nel passaggio dalla scuola al lavoroquanto in tutta la vita lavorativa. Ciòsignifica una politica degli investi-menti pubblici nella formazione tara-ta sulla domanda e non sull’offerta,con particolare attenzione ai nuovicontratti di apprendistato voluti daMarco Biagi per aiutare i giovani cheabbandonano precocemente gli stu-di, quelli che entrano tardi e male nelmercato del lavoro, quelli che voglio-no integrare percorsi universitari e la-vorativi. Tutto ciò è ancora largamen-te sulla carta per ritardi che riguarda-no Regioni e parti sociali.

Gli stessi enti bilaterali per la for-mazione, alimentati dal prelievo ob-bligatorio sul monte salari di ogni im-presa, procedono con lentezze ed in-certezze circa i propri obiettivi priori-

tari che dovrebbero ri-guardare i soggetti piùdeboli.

La tutela attiva deidisoccupati si realizzapoi promuovendo anchequei fondi bilaterali per ilsostegno al reddito su ba-se mutualistica che il Pat-to per l’Italia ha ipotizza-to quale secondo pilastroin aggiunta all’indennitàdi disoccupazione e che ilrecente Protocollo delGoverno Prodi non ha ri-proposto. Essi dovrebbe-ro assorbire la gestionedella cassa integrazione,tanto ordinaria quantostraordinaria, perché an-che essa è organizzatasulla base di contributidelle parti che libera-mente – e responsabil-mente – la possono an-che modificare, interes-sate come sono ad unequilibrio tra prestazionie contribuzioni.

Il collegamento aifondi per la formazionecontinua come ai servizipubblici e privati di ac-compagnamento al lavo-ro dovrebbe garantireuna compiuta ed efficacetutela del lavoratore co-stretto alla mobilità. Ilnodo delicato rimane pe-raltro la effettiva applicazione dellanorma già presente nell’ordinamen-to che sanziona con la perdita delsussidio chi rifiuta opportunità di la-voro o di formazione. Senza di essarisulta difficile determinare un circo-lo virtuoso che unisca le opportunitàalle responsabilità.

Revisione virtuosaIn un contesto di maggiore prote-

zione della disoccupazione diventapossibile riprendere il progetto delloStatuto dei Lavori voluto da MarcoBiagi, del quale il contratto a tutelaprogressiva costituisce il contenutopiù emblematico. Rilanciato ora da-gli economisti de La Voce Info, essoprevede un più lungo periodo di pro-va cui deve seguire un biennio nelquale il licenziamento senza giusta

causa è tutelato con il ri-sarcimento per applicarel’art,18 solo con il quartoanno. Come abbiamodetto sopra, esso consen-te di conciliare tutele epromozione dell’occupa-zione.

Per ridare fino in fon-do valore al lavoro, è tut-tavia necessario affronta-re il tema della giusta re-munerazione del lavoro,del suo costo lordo, dellasua tassazione, della suaproduttività. L’impresa èinteressata al costo del la-voro per unità di prodot-to, ovvero al rapporto trasalari lordi e produttività.I lavoratori in carne edossa sono interessati asalari netti più adeguati epiù corrispondenti allospecifico impegno di cia-scuno perché sanno chesolo in questo modo essipossono crescere oltrel’inflazione.

Un rigoroso controllodella spesa previdenzialedeve consentire di avvia-re il ridimensionamentodel prelievo contributivoi cui alti livelli sono causanon secondaria del lavo-ro sommerso. Il GovernoProdi ha la grave respon-sabilità di avere portato il

prelievo contributivo dal già elevatis-simo livello del 32,7% al 33% ed orasi accinge ad innalzarlo di un altrodecimale di punto per coprire la mag-giore spesa previdenziale determina-ta dall’anticipo dell’età di pensione.

La revisione della tassazione sullavoro riguarda in generale la ridu-zione delle aliquote per attenuareuna progressività che diventa iniquaquando mortifica il merito e la buonavolontà.

Appare tuttavia urgente agire suquelle componenti virtuose del sala-rio che, come i premi e gli straordina-ri, sono collegate alla flessibilità or-ganizzativa e alla produttività perchéstimolano la maggiore competitivitàdelle imprese premiando il merito edil particolare impegno dei lavoratori.

“Lavorare di più per guadagnare

di più” vuol dire prevedere una tassa-zione “secca”, ovvero definitiva, eagevolata degli straordinari, dei pre-mi e degli incentivi, senza cumulocon gli altri redditi e conseguenti ali-quote marginali penalizzanti.

Queste entrate del lavoratore nondevono quindi concorrere alla forma-zione del reddito complessivo nem-meno per la fruizione delle prestazio-ni sociali come gli assegni familiari o iservizi di cura all’infanzia. È questala via che può finalmente determina-re relazioni industriali cooperativenella dimensione aziendale ove leparti possono condividere obiettivi erisultati con comuni soddisfazioni.

Ragioni di equità e di generale in-teresse all’efficienza della macchinaamministrativa impongono infineuna crescente omologazione del la-voro pubblico al lavoro privato, rico-struendo in primo luogo nelle Pubbli-che Amministrazioni l’autorità del“datore di lavoro” e il necessario rap-porto gerarchico tra i vari livelli di re-sponsabilità in modo che si introdu-cano davvero meccanismi utili adidentificare meriti e demeriti con laconseguenza dei premi e delle san-zioni.

Il “Libro Bianco”, insomma, haaperto la strada a una modernizza-zione del lavoro e dei rapporti sinda-cali nel Paese industrializzato più se-gnato dai cascami del marxismo.

Marco Biagi ha pagato con la vita

il suo coraggio riformatore. Tutti coloro che lo vogliono ono-

rare non devono limitarsi a retorichedichiarazioni di stima per la sua ope-ra come se i risultati siano affidati aduna sorta di pilota automatico. Nullacome la politica del lavoro opera nelvivo dei comportamenti individuali ecollettivi. Occorre quindi l’impulsosoggettivo degli uomini di buona vo-lontà perché dalle intuizioni legislati-ve e progettuali di Biagi si dipaninorisultati in termini di autosufficienzadelle persone e di conseguente possi-bilità per ciascuno, per tutti, di espri-mere il proprio potenziale. Il doveredei riformisti consiste insomma nonnella venerazione passiva ma nel fa-ticoso impegno a continuarne l’operarifiutando di piegarsi al continuo ri-catto degli ultimi comunisti. •

L a legge Biagi costituiscela più importante riformadel mercato del lavoro

degli ultimi anni, acompletamento di quelprocesso di modernizzazioneavviato, in Italia, alla fine deglianni Novanta, grazie al“pacchetto” del ministroTiziano Treu di cui il professorebolognese fu amico e strettocollaboratore.Della legge Biagi si parla inEuropa come uno dei puntipositivi del nostro Paese perquanto riguarda lo stato diavanzamento del programmadi Lisbona 2000. In Italia ilprovvedimento è oggetto distudio, approfondimento epubblicazioni giuridiche edivulgative. Eppure, in una partedell’opinione pubblica la leggeBiagi continua a essereoggetto di quell’odioimplacabile e ideologico chetrasformò il giurista,consulente del ministroRoberto Maroni, nel tragicobersaglio di un commandodella Brigate Rosse che lo ferìa morte, sotto casa, la sera del19 marzo 2002.

Su questo temaindubbiamente centrale per lavita e per il futuro del Paese ilComitato per la difesa el'attuazione della legge Biagi(costituito nell'ambito dellaAssociazione Giovane Italia)ha organizzato per la giornataodierna un convegno: "Dalpacchetto Treu alla leggeBiagi: dare valore al lavoro",che si svolgerà dalla 9,30 alle13,30 a Roma presso il CinemaCapranica, in piazza Capranica.

QUESTO IL PROGRAMMA:

• Presiede: Ferdinando Adornato

• Ore 9,30: Apertura di Giuliano Cazzola

• Ore 9,45: 1° sessione sul tema: “Le nuove prospettive di un mercato del lavoro,equo ed efficiente”Renato Brunetta, Franco Debenedetti, Pietro Ichino, Alberto Mingardi, Nicola RossiCoordina: Paolo Reboani

• Ore 11: 2° sessione sul tema: “Il ruolo delle parti sociali:dal conflitto allacollaborazione” Luigi Angeletti, RaffaeleBonanni, Gianni Bocchieri,Paolo Galassi, GiorgioGuerrini, Luigi Marino, CarloSangalli, Giorgio Usai,Federico Vecchioni Coordina: Enrico Cisnetto

• Ore 12,15: 3° sessione sul tema: “Il compito dei riformisti”Daniele Capezzone, Pier Ferdinando Casini,Fabrizio Cicchitto, NataleD’Amico, Roberto Formigoni,Maurizio Gasparri, RobertoMaroni, Marco Pannella,Antonio Polito, LanfrancoTurciCoordina: Maurizio Sacconi

• Intervento conclusivo di Stefania Craxi, presidentedell’Associazione Giovane Italia

INFO: www.comitatoleggebiagi.it;[email protected]

Dal Pacchetto Treu alla legge Biagi: oggi a Romaun convegno fa il punto sul futuro del lavoro

Sopra, dall’alto: Tiziano Treu, già ministro del Lavoro,Guglielmo Epifani,segretario della CGIL, e Luca Montezemolo, presidente della Confidustria

il governo prodi ha elevato fino al 33% i costi

indiretti del lavoro. aumenteranno ancora

meno dichiarazioniretoriche, più impegno

riformista, senzapiegarsi ai ricatti

degli ultimi comunisti

il nuovo testo unicomuove dal presuppostoideologico del ruolo

criminogenodell’impresa

Il testo che compare in queste pagi-ne è stato anticipato dalla rivista Ir-cocervo, diretta da Fabrizio Cicchit-to (edizioni Bietti Media), dove com-parirà sul prossimo numero insieme

ad articoli di Stefania Craxi, RenatoBrunetta, Gianfranco Polllo, Gaeta-no Quagliariello, Altero Matteoli,Francesco Gironda. Info: www.trimestralebietti.it

DARE VALORE AL LAVORO

Page 8: Perché è ancora necessario difendere la memoria e l’opera di …malaspina/docs/domenicale-20102007.pdf · 2008-02-01 · ha lasciato che venisse preso a bersaglio. Ora ... come

S A B AT O 2 0 O T T O B R E 2 0 0 78 I L D O M E N I C A L E LA REPUBBLICA DELLE LETTERE

LO SCAFFALEDELLA CRITICA

photografica

Venezia, prima della fineChiaramonte fissa l’enigma di una città

Giovanni Chiaramonte è artista che alcuniluoghi, città principalmente, hanno sceltoper lasciarsi svelare da quello strumento

discretissimo e insieme sfacciato che è la macchinafotografica. E dire che una di quelle, Venezia,avrebbe potuto non concedersi più, stanca di la-sciarsi accarezzare i soliti tracciati umidi, miscela diacquaticità e telluricità, da architetti, poeti, pittori,da turisti perfino. Tuttavia Francesco Zanot, intro-ducendo l’ultimo, prezioso volume di Chiaramon-te, Come un enigma. Venezia, edito in forma im-peccabile dalle Edizioni della Meridiana, in colla-borazione con Bugno Art Gallery, ci ricorda qualestretto rapporto leghi da secoli la città sospesa allafotografia. Il sacro fuoco di Chiaramonte, che è di-venuto artista quel giorno in cui qualcuno decise diaffidargli, così come si fa con i figli, una macchinafotografica, ha trasformato quell’acqua di laguna,

che secondo la defini-zione di Zanot, e secon-do la scienza, dovrebbeessere «agente di disfa-cimento», in combusti-bile, cioè in nutrimentoper fiamme vivide. Sfo-gliando il libro, si è co-

stretti a riaccenderlo, quel cerino, pena (in questocaso sì, avrebbe ragione Zanot) sottoporsi alla ter-ribile volontà del demoniaco: lasciare che non s’in-tenda Venezia se non come idolo che ride di sé edella propria rovina.

Il fuoco acceso da Chiaramonte è fonte di lu-ce, prim’ancora che di calore e la luce non accademai secondo casualità. Sbaglia dunque Zanot acercare una presunta «vocazione antiprogettua-le» nell’arte del fotografo siculo-milanese. Alme-no nel senso che Chiaramonte sa esistere un pro-getto e sa di dovervisi adeguare. Solo, quel proget-to non è il suo. E sa bene anche che cosa sia la voca-zione. Eccome se lo sa, perché per aderirvi si paga,con pezzi dal conio della propria carne, del propriotempo, con tutto il proprio tempo (ci dirà mai,Chiaramonte, quanto tempo potrebbe esserglicostato uno solo dei suoi scatti?). La Venezia diqueste foto è tutt’altro che senile, e non per meritipropri, ma per l’adesione degli occhi di Chiara-monte allo svelarsi di ciò che nel momento stessoin cui si propone è di necessità nuovo. Finché c’ètempo c’è una chance perché l’imprevisto accada.L’azione dell’artista armato della macchina foto-grafica è attendere l’imprevisto: è questo che salvalui e l’oggetto osservato, anche Venezia dunque,dalla morte. Come e a che servirebbe riassumeretemi e sfondi delle 251 foto di questo libro? Pren-detevelo e godetevelo, prima che Venezia affondi.

Vito Punzi

scrittori di oggi

Dalla parte di Jason Bel libro di Mitchell con bimbo ciarliero

T redici mesi nella vita del tredicenne JasonTaylor, abitante del sonnolento paesino in-glese di Black Swan Green, “a casa di Dio”,

per l’appunto. Tredici episodi per raccontare l’in-gresso del ragazzino nel mondo dei grandi, e l’ini-zio di vite molto diverse dalle precedenti per imembri della sua famiglia, nel periodo che va dalgennaio 1982 al gennaio 1983.

David Mitchell è autore pluripremiato nelmondo anglosassone, e non ha deluso nessunocon questo nuovo scintillante romanzo, che a sor-presa, dopo tre ottimi lavori d’impronta “magi-ca”, sceglie la tappa obbligata del semi-autobio-grafico che di solito gli autori producono comeopera prima. Ma Mitchell ha un talento così sola-re e versatile da regalare il piacere abbastanza raro

di una storia minimali-sta sull’affacciarsi almondo scritta da unautore già completo,dove brilla una mae-stria unica nel padro-

neggiare anima e lingua di ogni singolo perso-naggio. Siamo in un angolo di Inghilterra quieto enoioso, in cui arrivano come da lontano, e soprat-tutto attraverso i trionfalismi dei media, i rumoridella Guerra delle Falklands e delle trasformazionidi Maggie. Ma siamo finalmente al cospetto di unpiccolo grande romanzo che ci parla di gentetranquilla che lavora e delle sue inquietudini,mentre intanto riesce ad abbracciare tutta la com-plessità dello scenario storico e sociale delle quin-te. La narrazione è condotta come un monologointeriore da Jason, che forse, se un solo appuntosi vuol fare alle acrobazie letterarie di Mitchell,arriva troppo spesso a pensieri decisamente sofi-sticati per un tredicenne, ma permette all’autorela libertà che gli serve per la storia.

Fatta di tante piccole storie, trattate conhumour, nostalgia, tenerezza, lampi di surreale,che producono una sorta di viaggio al confine frail meraviglioso e il comico. Il ragazzino si muovecome il personaggio di un videogame, immersonel sognante mondo della fanciullezza, dove leincursioni nei boschi, le prepotenze dei bulli dellascuola, l’incontro con il mondo misterioso delleragazze sono tutti eventi di portata gigantesca,come chiunque ricorda di aver vissuto.

Paola Vitali

GIOVANNICHIARAMONTE,COME UN ENIGMA, Edizioni della Meridiana,Firenze 2007, pp.220, e20,00

DAVID MITCHELL, A CASA DI DIO,Frassinelli, Milano 2007,pp.434, e18,00

di Luigi Mascheroni

Difficile trovare un tipo cheodiasse Milano così tanto, cosìprofondamente, così fino in

fondo: «Ma cosa credi?», scriveva a unamico tre mesi dopo esserci arrivato,«Che bastino tre mesi a Milano per di-struggere trentadue anni di Marem-ma? Credi che io mi voglia proprio fa-re mettere le mutande di latta da que-sti quattro coglioni? Perché i milanesi,credimi, sono coglioni come pocagente al mondo». Anarchico, anarca eanarcoide, lui Milano – «città grande esconosciuta, città operaia, svizzera,lavorativa» – l’avrebbe volentieri tira-ta giù. Fatta saltare, con una bomba,magari piazzata sotto al Torracchio-ne, alias Pirellone: bum! O meglio,boom. Quello economico, quello de-gli anni in cui Luciano Bianciardi –

nato a Grosseto nel ’22 da padre ban-cario e madre maestra, una laurea inFilosofia alla Normale di Pisa e un la-voro alla biblioteca comunale diGrosseto – lascia la maledetta-bene-detta Toscana per salire a Milano, an-no di scarsa grazia 1954, allettato dal-l’industria culturale che stava na-scendo qui al Nord.

«In quel momento GiangiacomoFeltrinelli stava fondando una “nuo-va e progressista casa editrice”. Si vo-leva circondare delle menti miglioridel momento per fare crescere il suogrande progetto. Luciano Bianciardivenne chiamato da Antonello Trom-badori a fare parte del gruppo comeredattore, insieme a Valerio Riva,Onofri e altri. Papà accetto». LucianaBianciardi – un carattere e un nomemolto simile al padre («non ha avutomolta fantasia») – ha una casa editri-ce, ExCogita, fondata nel 1999 con laquale ha ripubblicato molte opere delpadre ormai quasi sparite, ed è nataproprio quando papà – anzi Bianciar-di, come lo chiama lei – iniziò il lungoesilio milanese. «Erano gli anni di unaMilano in fermento: un fermento cul-turale, sociale, lavorativo che sarebbesfociato nel boom economico, o nel-l’illusione di ciò che fu definito cometale, al quale Bianciardi predisse unapessima fine, cosa peraltro verificata-si puntualmente. Ecco, di Bianciardisi potrebbe dire che aveva un grossofiuto per il futuro e che era capace divedere molto più in là, oltre gli avve-nimenti del suo tempo».

L’esperienza alla Feltrinelli si con-cluse in modo traumatico: fu licenzia-to per scarso rendimento. Come disseBianciardi: «La verità è che le case edi-trici sono piene di fannulloni freneti-ci: gente che non combina una ma-donna dalla mattina alla sera ma chedà l’impressione – fallace – di stare la-vorando. Si beccano persino l’esauri-mento nervoso». Completamentesprovvisto di senso pratico e incapacedi gestire la quotidianità, come è tipi-co del genio-ribelle, Bianciardi avevauna qualità straordinaria oltre al donodella scrittura: quella di demolire tut-to ciò che aveva faticosamente messoin piedi. Uscito poco gloriosamentedalla casa editrice, fu comunque so-stenuto da Feltrinelli, che gli affidò di-verse traduzioni dall’inglese, linguadi cui Bianciardi si era impadronitofacendo da interprete per il comandoinglese, in Puglia, durante la Secondaguerra mondiale. Sono gli anni in cui,in albergucci a Porta Venezia o in pen-sioncine in via Solferino, traduce unlibro al mese, più di cento in dieci an-ni, dai Tropici di Henry Miller, del qua-le divenne amicissimo, a Mille ideeper incrementare le vendite.

«In genere Bianciardi lavoravasenza sosta almeno otto ore al giorno,sei giorni alla settimana; si era datoun termine, per i libri che traduceva,di venti cartelle al giorno e non si alza-va dalla macchina da scrivere finchénon aveva raggiunto e finito l’ultima

cartella. Si può senz’altro dire che ilsuo hobby preferito fosse lo scrivereperché lui riteneva quello di tradutto-re il suo vero lavoro. Infatti scriveva“nel tempo libero, la domenica”. Co-munque, rimanere fuori dalla casaeditrice forse fu la sua fortuna perchéla libera professione, se così si può de-finire, gli consentì di sviluppare almeglio i temi a lui più congeniali chesi concentreranno ne La vita agra,pubblicata nel 1962».

La vita agra: storia di un provin-ciale che sale a Milano per vendicare iminatori morti nel maggio del ’54 aRibolla, ma che finisce per essere me-tabolizzato dalla società che volevadistruggere. «È per “vendicare” quel-le morti che lo scrittore viene a Mila-no. Vuole “mettere una bomba” allasede della Montecatini, responsabiledella morte dei suoi amici, e la bombache metterà sarà proprio il libro, La vi-ta agra. Ma la bomba non esplode, an-zi, gli si rivolta contro: diventa un ca-so letterario, un successo senza pre-cedenti, Bianciardi fa il salto di quali-tà, entra prepotentemente nell’élitedegli scrittori “milanesi”. Ecco che co-sa non amava Bianciardi di Milano, lacapacità della città di catturare un uo-mo e di trasformarlo in ciò che la cittàstessa vuole che esso diventi. Anchese, forse, qualcosa amò di questa cit-tà: la possibilità che offriva a tutti diemergere in vari campi, una possibili-tà democratica, una possibilità, tutta-via, che nella realtà non si verificavacome nelle speranze».

La Milano che sopportava e quel-la che amava: le bettole bohémien diBrera, gli amici e l’alcol del Giamaica«...e la latteria delle sorelle Pirovini,in via Fiori Chiari dove oggi c’è un ne-gozio chic: era il luogo di ritrovo permolti intellettuali. Le sorelle Pirovinierano delle vere sante secondo Bian-ciardi, e spiegava che chi mangiava inlatteria difficilmente dichiarava tuttoquello che aveva preso. In molti, neglianni ’50 e ’60, sono riusciti a soprav-vivere grazie alle sorelle Pirovini. E

poi il Derby di via Monte Rosa dove ènato il cabaret. Erano qui i suoi amici:Jannacci, Edoardo Franceschini, ilpittore, Carlo Ripa di Meana, MarioDondero, il mitico fotografo di Mila-no, e poi artisti, scrittori, giornali-sti...». Romanziere, giornalista, saggi-sta, polemista, critico televisivo, cro-nista sportivo, sceneggiatore, storico,traduttore. Fu tutto questo e altro an-cora, eppure Bianciardi, un genio del-la vita presa di sguincio, non fu maiun intellettuale, categoria che ama-bilmente disprezzava. «Certamentediverso, in senso intellettuale, nonamava coloro che facevano il mestie-re dell’intellettuale. Era un anarchiconella cultura così come lo era nella vi-ta, quando raggiungeva un obiettivoera capace di autodemolire la sua po-sizione con decisioni drastiche e con-trarie a ogni logica. Un esempio pertutti: quando Montanelli lo chiamò alCorriere della Sera, dove avrebbe rive-

stito un ruolo di collaborazione pre-stigioso, Bianciardi rifiutò l’incarico erinunciò al nome sulla grande testataper firmare articoli su giornali comeABC, Le Ore, Kent, Il Guerin Sportivodel suo amico Gianni Brera... Il lavoroculturale era visto da Bianciardi congrande ironia, direi addirittura al disopra delle parti».

Chi ha letto Il lavoro culturale,uscito nel ’57, lo sa. Dopo sarebberoarrivati L’integrazione, i romanzi “ri-sorgimentali”, il trasferimento a Ra-pallo, e nel 1969 il romanzo-rotturaAprire il fuoco, dove già si respira unvago senso della fine. Nel 1970 Bian-ciardi torna nell’odiata Milano, ab-bondantemente avanti sulla stradadell’autodistruzione: grappa balorda,“caffea”, venti Nazionali al giorno,notti aspre e bruschi risvegli. Moriràl’anno dopo, il 14 novembre, neppurecinquantenne. Ai suoi funerali si tro-vano in quattro. •

MA LO SAPETE CHE IL DOPPIATORE DI FAULKNER E DI MILLER È LUCIANO?

Quest’anno è un piccolo“rinascimento” bianciar-diano: ristampe, nuove

edizioni, inediti, studi critici. Gra-zie soprattutto ai due figli di Lu-ciano Bianciardi, Luciana e Etto-re, l’opera dello scrittore tosco-milanese è tornata nelle librerie,sui giornali, tra le mani dei lettori.Perfino sullo schermo: è stato ap-plauditissimo all’ultima Mostradel Cinema di Venezia il docu-mentario sulla sua vita intitolatoBianciardi! di Massimo Coppola(sua anche la sceneggiatura, fir-mata insieme con Alberto Piccini-ni) del quale si attende la versionein dvd.

Sul fronte editoriale, inveceLuciana Bianciardi dalla sua casaeditrice ExCogita in pochi mesi hafatto uscire Il convitato di vetro.Telebianciardi (Milano 2007,pp.198, e15,00), una splendidaraccolta di articoli giornalisticidella rubrica sulla televisione chenegli anni Sessanta teneva suABC («La famiglia italiana hasempre, a cena, un ospite, e ma-gari non lo sa... Il convitato sera-le, anziché di pietra, è fatto di val-

vole, legno e vetro: è il televisore.Non appena la famiglia si mette atavola, anche lui si siede, nonmangia ma parla e canta: non uc-cide, certo, ma può fare di peg-gio. Può imbottire teste, formareopinioni, indurre ai consumi»),poi una nuova biografia – DaGrosseto a Milano. La vita brevedi Luciano Bianciardi – firmata daAlvaro Bertani, e due “vecchi” ti-toli: Il prete lungo e il “classicissi-mo” Aprire il fuoco.

Intanto, in collaborazionecon Isbn, la stessa ExCogita sta ri-vedendo le bozze del secondo,attesissimo Antimeridiano, la cuiuscita è prevista a metà novem-bre: conterrà tutti gli scritti gior-nalistici di Bianciardi, oltre 980 intotale, e alcune lettere, con moltiinediti e molte sorprese. Non me-no attivo, l’altro figlio di tanto pa-dre, Ettore Bianciardi, che con isuoi nuovi “Bianciardini” diStampa Alternativa – la collana dilibretti che sulle orme dei miticiMillelire sono messi sul mercatoal prezzo di un centesimo – ci of-fre un Bianciardi in pillole feno-menale: il fulminate Come si di-

venta un intellettuale uscito laprima volta su ABC nel 1966; Lamamma maestra, l’ultimo scrittoprima della morte, del 14 novem-bre 1971; La tradotta per Mosca,un reportage pubblicato su IlGiorno nel 1963; e Un occhio aCracovia, un racconto del 1967.

E sempre Stampa Alternativa– non a caso nella collana “ereti-ca” – sta per pubblicare Ai miei

cari compagni. Diario inedito diun neo-garibaldino (pp.160,e10,00), una raccolta di scritti, inparte finora sconosciuti, di Bian-ciardi sul Risorgimento, uno deirari momenti – secondo l’autoredi Grosseto – in cui gli intellettualiriuscirono a fare davvero la rivolu-zione, prima culturale e poi civile,lasciandosi trasportare, e talvoltatravolgere, dalla passione.

E mentre la “sua” Feltrinellirimanda in libreria, nell’Universa-le economica, il testo-culto, metà

pamphlet e metà saggio di costu-me, Il lavoro culturale (pp.112,e7,00), dove si ripercorrono letappe di formazione di un intel-lettuale di provincia tra l’imme-diato dopoguerra e gli anni Cin-quanta, un originale studio di An-tonella De Nicola – La fatica di unuomo solo (Società Editrice Fio-rentina, pp.220, e16,00) affron-ta il Bianciardi-traduttore, uno

che lo stesso anno – il 1962 – incui pubblicava il suo romanzo piùfamoso, La vita agra, dava allestampe la traduzione delle 672pagine di Tropico del Cancro eTropico del Capricorno di HenryMiller e che nonostante i successicome narratore non smise mai ditradurre: da William Faulkner aStephen Crane, Bianciardi diedevoce a circa 140 opere straniere,con un lavoro ai limiti delle possi-bilità fisiche e intellettuali. •

L.M.

Luciano Bianciardi(1922-1972) in una sua celebre posa

al giamaica c’erano i suoi amici: jannacci,dondero e altri folli.e al “corriere” preferì

sempre il “guerino”

Tradusse circa 140 opere straniere, con un lavoro ai limiti delle possibilità fisiche

Il ritratto di Lucia-no Bianciardi, rac-contato dalla figliaLuciana, è trattodal libro di LuigiMascheroni Il clandei milanesi (Bookti-me, pp.138, e12,00)che raccoglie tren-ta interviste a figlidi milanesi illustri,

che nel secondo‘900 hanno segna-to il mondo dellacultura, dellospettacolo, dellosport e dell’indu-stria da Gianni Bre-ra a Walter Chiari eAmbrogio Fogar. Illibro sarà presenta-to mercoledì 24 ot-

tobre alle 21, alloSpazio Tadini (invia Jommelli 24), daStefano Zecchi,Alessandro Zaccurie Giovanni Chou-khadarian.

PREMI E PRESENTAZIONI

Resoconto (con commento di Luciana, la figlia) della vita di un balordo, di un anarchico, di un talento puro

BIANCIARDI, L’ANTIMILANESECe l’aveva a morte con la Milano dei «quattro coglioni», traduceva un libro al mese e sbevazzava con Brera

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I L D O M E N I C A L E 9S A B AT O 2 0 O T T O B R E 2 0 0 7 LA REPUBBLICA DELLE LETTERE

LO SCAFFALE DEIPICCOLI E GRANDI EDITORIa cura di Fabio Canessa

SHAKESPEARE SI DENUDA L’ANIMA NEI “SONETTI”

Iromantici erano convinti che Sha-kespeare scrivesse il teatro per na-scondersi e le poesie per rivelarsi:

fu nei Sonetti che, secondo Word-sworth, il bardo «aprì il suo cuore» e,secondo Schlegel, «denudò la suaanima». Abbaglio di un’epoca chevide nella lirica l’espressione sogget-tiva di chi la scrive? Facile trasposizio-ne biografica applicata a un autore lacui vita rimane, per molti aspetti,ignota e nebulosa? Fatto sta che i So-netti costituiscono uno dei vertici

della storia dellapoesia e che lanuova traduzio-ne di TommasoPisanti (con te-sto originale afronte), appena

pubblicata in un elegante libriccinotascabile, va salutata con giubilo. Ilpiacere di rileggerli tutti insieme cioffre la possibilità di verificare quan-to sia vero che quest’opera non è unasemplice raccolta di testi sparsi, maun libro di solida struttura, diviso ingruppi di testi collegati fra loro e riccodi echi, rimandi interni, variazioni eriprese, di cui lo smilzo e sobrio com-mento delle note di Pisanti rendeconto efficacemente. Così come l’in-troduzione, sintetica ma esaurienteper come scandaglia tutti gli interro-

gativi che la raccolta ha suscitato dasempre. E gran parte del suo fascinosi deve anche alla feconda ambiguitàe all’alone di mistero che circondanoil dedicatario indicato con le sole ini-ziali W. H. (lo stesso Shakespeare,cioè William Himself? il cognato Wil-liam Hathaway? il conte di Sou-thampton Wriothesley Henry? l’at-tore William Hughes?), nonché i dueprotagonisti dei sonetti, l’amato«fair youth», cantato per la sua bel-lezza in versi delicatamente omoero-tici, e la «dark lady» sensuale, di voltain volta identificata con una prostitu-ta nera, una Lucy maitresse o variedamigelle del bel mondo. Al gossipcolto, Pisanti affianca l’analisi stilisti-ca, metrica e strutturale del libro. Co-leridge arrivò a sostenere che «talistraordinari sonetti costituiscono difatto un poema composto di tantestanze di 14 versi». Leggendo questaedizione, possiamo gustare ciascunapoesia e cogliere, al tempo stesso,l’unità dell’insieme, pensato e cali-brato anche se il libro non fu pubbli-cato da Shakespeare ma dall’editoreThomas Thorpe. Dovessimo trarneun bilancio, ci sembra che il senso del“poema” sia quello di una suggesti-va e malinconica elegia, con parente-si appassionate e punte di amarezza,sulla natura illusoria del tutto.

WILLIAMSHAKESPEARE,I SONETTI, Salerno, Roma,pp.328, e22,00

LIBELLO ALLA FRANKFURT PIENO DI SCEMPIAGGINI

Proprio dal sonetto 138 di Sha-kespeare prende le mosse uncapitolo di questo libretto in-

centrato sul concetto di verità.Contraddicendo il luogo comunesecondo il quale la fiducia reciprocaè il fondamento dell’amore, il so-netto dimostra come la gioia degliamanti sia quella di ingannarsi con-sapevolmente a vicenda. L’assuntocostituisce l’antidoto salutare al cu-mulo di banalità e sciocchezze scio-

rinate da quell’-Harry G. Frank-furt che insegnafilosofia all’uni-versità di Prince-ton e che unpaio di anni fa cidivertì con un

delizioso saggio intitolato Stronza-te, mentre ora ci delude ricamandosull’acqua stronzate di sconcertan-te inutilità. «Il più incorreggibile di-fetto delle bugie è che mirano asviare e compromettere i nostri na-turali sforzi di sapere come stiano lecose». L’avreste mai detto? «Men-tendo il bugiardo intende confon-derci e convincerci che la situazionesia diversa da come è». Non sonofrasi che, estrapolate dal contesto,sembrano sceme, ma solo alcuniesempi di questa sagra dell’ovvio(l’avverbio più ricorrente è proprio

“ovviamente”, segno che ancheFrankfurt ha la consapevolezza discoprire l’acqua calda), di cui, con lamigliore buona volontà, non sa-premmo cosa salvare. Sentite que-sta: «Senza la verità non avremmoalcuna idea di come stanno le cose,oppure le avremmo, ma errate». Dacui consegue che «le convinzionisbagliate non sono un valido aiutoper andare avanti». Ancora: «Se lamaggioranza delle persone fossedisonesta e non degna di fede, va-cillerebbe la possibilità stessa di unavita sociale pacifica e produttiva».Inoltre: «Per ogni fatto c’è un enun-ciato vero che lo riferisce, e ognienunciato vero riferisce un fatto».Un capitolo è dedicato a rispondereall’intrigante quesito «Come fannole bugie a danneggiarci?». Perle disaggezza: «Non è solo nel fidanza-mento e nel matrimonio che la fidu-cia reciproca è un elemento impor-tante dei rapporti umani». Ma la ri-velazione più spassosa si trova al-l’ultima pagina, che contiene la bio-grafia dell’autore. Basti l’incipit:«Harry G. Frankfurt è uno dei piùeminenti filosofi morali del nostrotempo». Speriamo che sia una bu-gia. Di quelle «che mirano a sviare ecompromettere i nostri naturalisforzi di sapere come stanno le co-se». Altrimenti siamo fritti.

HARRY G.FRANKFURT, IL PICCOLO LIBRODELLA VERITÀ,Rizzoli, Milano,pp.98, e9,00

Noi fan della prima ora deiSimpson avevamo antennesensibili. Lo dimostra il film

più fresco e divertente dell’anno, di-retto da David Silverman con genialesenso dell’umorismo per parodiarecon affettuosa irriverenza la societàoccidentale. La politica americana, lospettro dell’inquinamento, la tradi-zione religiosa, l’irresponsabilità in-dividuale, il politically correct, l’ambi-valente centralità della famiglia, l’as-

surdo di un’esi-stenza format-tata dai mediavengono frullatiin una coloratasarabanda, in-sieme sofisticatae popolare, per

lo spasso di grandi e piccini. Gag irre-sistibili, battute memorabili, citazio-ni al passo coi tempi e il primo postonegli incassi da più di un mese. Il suc-cesso sul grande schermo arriva do-po vent’anni di programmazione,una media di 60 milioni di spettatoria settimana in oltre 70 Paesi e il risul-tato di un sondaggio della Bbc, chevede Homer Simpson considerato ilpiù grande americano dei nostritempi. Insomma, bisogna risalire aiPeanuts di Schulz negli anni Settantaper ritrovare le dimensioni di un car-

toon innovativo, capace di rispec-chiare l’aria del tempo e diventare l’i-cona macchiettistica di un’epoca.Molti saggi, nel frattempo, sono statidedicati al mondo di Springfield,buoni e meno buoni (iniziò anni faCastelvecchi con una monografia dinotevole interesse), ma quello diMarco Malaspina si segnala per il ta-glio originale e per la buona scrittura.Analizzando le puntate che riguarda-no l’attualità scientifica, raccontasenza sussiego come il serial rappre-senta la paura del nucleare e la di-scussione sugli ogm, l’evoluzionismoe il viagra, i rifiuti e gli psicofarmaci, lospazio e la divulgazione. Attuandouna sorta di transfert, il modo in cuiquesti temi vengono percepiti dagliabitanti di Springfield riflette fedel-mente l’immaginario collettivo occi-dentale. Anche la scienza, insomma,passa dallo spassoso tritatutto dellacommunis opinio del formidabileHomer. Nessun messaggio da partedegli autori: solo una gran voglia diprendere per il culo il mondo con-temporaneo con intelligente e tragi-ca allegria. Un’operazione che «nonlascia alcun retrogusto moralista e, altempo stesso, trasuda una causticitàcosì gioiosa e a tutto campo da farcisentire di non poter fare a meno diamarla, questa nostra assurda vita».

MARCOMALASPINA, LA SCIENZA DEI SIMPSON, Sironi, Milano,pp.192, e16,00

Mowgli scrittore da NobelTutti sapete che a vincere è stata lei, Doris Lessing, pochi si ricordano che cento anni fa lo ritirava Rudyard Kipling. Ricordo con consigli di lettura su un genio in soffitta

di Davide Brullo

Date retta a me, poteva andarepeggio, molto peggio. Ormaiun po’ tutti ci siamo resi conto

che il Nobel è l’analogo di un Oscarsvedese. Poteva vincere per la lettera-tura, chessò, un monaco birmanocon il taccuino a tracolla, un giornali-sta spedito tra le fauci dei fondamen-talisti, oppure Al Gore, per mescolarele carte, oppure Roberto Benigni, perfarci girare le palle. Infine, ha vintoDoris Lessing, che potrà non piacere,ma scrittrice è davvero, di quale sta-tura giudicate voi.

Buon modo per capire quanto po-co importa all’informazione della let-teratura. Da buoni giornalisti tutti asciorinare etichette: “femminista”,“comunista”, “iraniana” (che ormaiè un insulto, e in effetti a Teheran hanfatto i fuochi d’artificio per la vittoriadi una «concittadina» – Doris, per chiancora non lo sa, è nata a Kermans-hah, antico regno di Persia, nel 1919).Pochi, pochissimi hanno parlato deisuoi libri, perché i libri non fanno no-tizia, e il modo migliore per squalifi-care una persona – che ha un’irridu-cibile complessità da caleidoscopiomultiplo – è fiaccarla con un’etichet-ta sul ceffo. Date retta a me piuttosto,il meglio di Doris, edita per lungo eper largo in Italia (se la contendonoFeltrinelli e Fanucci, che finora hapubblicato i libri suoi di maggior inte-resse), in Italia non c’è ancora. Tratta-si di quel ciclo di romanzi di fanta-scienza, ma dall’argenteo retrogustofilosofico, dal titolo Canopus in Argos(1979-1983). In realtà, se siete buonie giusti, potete scovare il quarto volu-me della serie, tradotto come Pianeta8 nel 1989 dall’editore Lucarini di Ro-ma, per la cura di Paola Faini. Ne trar-rete più di un giovamento, è certo.

Siamo destinati a morire di troppae micidiale esegesi. Se tutto è inter-

pretazione c’è da dire che devi averela buona sorta di trovare un interpretenon troppo ottuso, altrimenti è la fi-ne. Cento anni fa, nell’inverno del1907, il Nobel passava nelle mani delpiù grande e più famoso scrittore inlingua inglese del tempo, Rudyard Ki-pling. Ecco, diciamo che il tempo hagiocato a suo sfavore, diciamo che

Paese che vai usanze che trovi, de-cennio che vivi pensiero dominanteche assimili. Poco ci manca, e aRuddy morto e sepolto comincia latrafila dei corvi, a gracchiare cattivoimperialista (è quello del fardello del-l’uomo bianco, do you remember?),guerrafondaio, boia e cose così.

Obiettivo: infangare il genioBenvenuti allo show, scopo: in-

fangare il genio. Henry James primasaluta il prodigio (a vent’anni lavoranella più prestigiosa Gazzette di La-hore e dell’India, a ventitré, dopoPlain Tales from the Hills, diventa unodegli scrittori più noti d’Inghilterra),è una «rauca sirena», il Balzac di suaMaestà, poi ritira il colpo, «ho rinun-ciato a quella speranza a mano a ma-no che l’ho visto passare metodica-mente dagli argomenti meno sempli-ci ai più semplici». Ed è solo il 1891.Un po’ tutti gli scagliano arpioni ofreccette. George Orwell ne farà il pro-prio bersaglio favorito, definendolopoco più che un «giornalista di regi-me». Quanto a Wystan H. Auden, co-stui propendeva per la prosa magma-tica e tortile di Thomas Hardy, Ki-pling era poeta e scrittore «arido» enulla più.

Anche chi vuole rimetterlo sulpalco gli propina sculacciate sonore.Leggi il pensiero di Thomas S. Eliotdel 1941, in cui riabilita la poesia diKipling per dire che resta comunqueuna poesia mediocre. Senza dubbio,aurea verità, le Barrack-Room Ballads(1892; in Italia da leggere nella ver-sione di Franco Buffoni, Mondadori,

1989), quelle che istituzionalizzano,per così dire, l’idea del “The WhiteMan’s Burden”, sono estratti narrati-vi, song da caserma, per l’appunto, eda osteria, fragranti e papali papali.Ma questo volevano essere, quei ver-si, depurati da sofismi e arabeschi vit-toriani. Di fatto, oggetto strano e uni-co in quella fine di secolo in cui un po’tutti ballavano valzer sfrenati sottolampadari a forma di luna.

Sì, Kipling, con quel suo genioimbarazzante perché speso per un’i-dea che una parte d’Albione ha voluto

celare, con senso di colpa e vergogna,stava simpatico a pochi. Eppure, è su-perbo narratore come pochissimi pri-ma e dopo di lui. Prendi Kim (1901),fantasmagoria dickensiana, non-ro-manzo che è già al di là di qualsiasi ot-tocentismo barricato. Eppure, Ki-pling meno lo si conosce meglio è. «Sela gente non sa nulla di Kipling puòleggerlo tranquillamente, e allora ar-riverà a conoscerlo», scrisse RandallJarrell. Già.

Partite dal secondo tempoFavola vuole che il “secondo Ki-

pling”, quello post Kim, valga pochis-simo. Palle pregiudiziali. Anzi, voi

partite dai magnetici racconti tardi(in Italia un’antologia speciale è in«Loro», Adelphi, 2001, per merito diun kiplinghiano di platino come Otta-vio Fatica, autore di una sublimeplacca in coda al volume), che tantosedussero Jorge Luis Borges, che li ri-teneva maggiori di ogni Kafka o diogni Henry James. Si parla di mondiantichi e di oroscopi, di enigmi e difantasmi, insaporiti da un grave sen-so del tragico, del fallimento. Leggetei sobri, lancinanti Epitaphs of the War1914-18. Perse il figlio diciottenneJohn, Rudyard, in quella guerra cheaveva politicamente sponsorizzato.Sono versi aspri, alessandrini: «Sen-za testa, con via un piede e una ma-no,/ Orribile giunsi a terra./ Sappia-no tutti i nati di donna/ Che un tempoio fui una madre».

Leggete i due libri di Puck (1906),giostre medioevali, come sempre gio-cate da bambini, in cui si ricerca ilsucco perduto della “vecchia Inghil-terra”. Bollati come l’esercizio di unconservatore crepuscolare, sono rac-conti di una felicità impareggiabile.Ma ancora, e sempre, è Mowgli lacreatura più grande, i Jungle Books(1894-95) i libri superiori. Nessunoscrittore ha messo il muso così dentroil mito, riplasmandolo in figura co-erente e inscalfibile. L’accusa scattòanche lì: il mondo della giungla èspecchio di quello imperiale, con leg-gi, doveri e via così. Vero. Peccato cheMowgli sia l’eroe perduto, che nonappartiene né alla Legge del Branconé a quella degli Uomini, apolide e so-litario. Come Kipling, del resto. •

La Sicilia è la terra del paradosso e degli dèi«Arcimboldesco campionario umano» della Trinacria, scritto divinamente e tendenzioso

Il sottotitolo, Viaggio dallaSicilia alla Sicilia, potreb-be far pensare ad appunti

impressionistici. Si tratta in-vece, per adottare una cate-goria brevettata dall’irpinoFranco Arminio, dei referti diun paesologo: la Sicilia nonesiste, esistono i singoli pae-si. E siccome la Sicilia «si di-stingue per la multanimitàdei suoi abitanti» solo la co-noscenza delle persone puòrestituire un’idea del reale:non i luoghi, in questo paeseaffollato da «leggende che di-ventano storia, credenze chediventano credi, miti che fini-scono in riti», dovrebbero es-sere tutelati dall’Unesco ma isingoli abitanti, le cui indivi-dualità, le cui ossessioni, icui lampi di genio paiononon avere uguali.

L’asserzione del principedi Salina, noi siamo dei, restala più appropriata presenta-zione dei siculi, e qui, nelleduecentosessanta pagine incaratteri piccoli, si stipano ledivine follie dei siciliani: ma-nie, inquietudini, esaspera-

zioni che attraversano ogniceto, ogni epoca, ogni territo-rio. Unica assente la medietà.

L’esame di Bonina è stra-tigrafico, verticale: nei suoipaesani sedimentano deità esanti e demoni e tradizioni efantasmi e genìe. Il mito, infondo, è l’unica chiave di let-tura semplice, universale edeterna (specie quello del veroeroe dei siciliani, Polifemo,colui che non vuole stranieritra i piedi).

Ma Bonina non indulgené al letterario né al pittore-sco: se indugia in paesi sper-duti o isolette remote non èper solleticare nostalgie emuseificare l’esotismo, bensìper meglio valutare l’impattodella modernità. E proprionella Sicilia più “autentica”capita di rintracciare quellafusione tra tradizione e mo-dernità che si stenta a ritene-re coltivabile, imbattendosiad esempio in pastori che«nella più fonda delle prate-rie nebroidee si esprimono inuna lingua da studio legale oambulatorio medico», giac-

ché le famiglie di allevatorisono riuscite a laureare i figlisenza raffreddarne l’amoreper la terra. Bonina non sor-vola certo sugli scempi per-petrati dagli isolani ma nespiega sardonicamente, at-traverso la conoscenza pro-fonda dei caratteri, l’originecontorta: se i siracusani riem-piono la costa di ville senzauna solo fogna in trenta chi-lometri per anticipare i vin-coli paesaggistici, è a causadella metis, questo lascito de-gli avi greci, intelligenza uni-ta alla premunizione, che liconduceva a sbertucciare gliateniesi assalendoli quandoerano assediati.

Considerando l’attenzio-ne che l’autore rivolge ai rac-conti dell’erudito locale, aiversi del poeta dialettale, alleimprese del matto del paese e

alle leggende delle grandi fa-miglie nobiliari, si avrebbemotivo di temere il solito li-bretto folcloristico e ammuf-fito da letterato di paese e in-vece le pagine dedicate allasorte dell’acqua del Simetodopo quell’«Auschwitz delleacque» che è il Ponte Barcasono un esempio di grandegiornalismo. Altrettanto ma-gnificamente è resa l’incon-ciliabilità delle due visionidel mondo rappresentate daldramma abitativo di MottaSant’Anastasia.

Gli americani (di Sigonel-la) ignorano il significato didistanza: hanno costruito unvillaggio a cinquanta chilo-metri dal posto di lavoro ecredono di avere l’ufficio sot-to casa, quando i disperatimottesi hanno case belle epronte tutte per loro a un col-po di gasoline dalla base. I si-ciliani vedono nella 417 unastrada «ortoforme e longitan-te, assolata e sprezzata, inuna landa inospitale»; gliamericani la trovano won-derful e ci si sentono a casa. E

la rete attorno al villaggioamericano divide «giardinie-ri compressi in tute sgargian-ti con i tosaerba in funzioneda contadini confitti in abitidimessi con i corbelli in so-spensione».

L’isola di questo libro nonè un luogo fisico, ma il regnodel paradosso, dove, per faresolo un esempio tra innume-revoli, il Comune più nasco-sto dalle alte cime montane,Tortorici, è anche il più vici-no a Bruxelles perché i pasto-ri sono divenuti lesti calcola-tori di contributi comunitari.

Resta il dubbio che que-sto sia il più falso dei reso-conti, che questa Sicilia vi-brante, tumultuosa, lavica,sia una scelta voluta, che unospirito originale, rigorosa-mente assente dalla narra-zione, abbia manifestato lasua personalità in una sceltatendenziosa, personalissimae appassionata. Che questo«arcimboldesco campionarioumano» disegni appunto unvolto, quello dell’autore. •

Elio Paoloni

• Gianni Bonina,L’Isola che trema,Avagliano, Roma2007, pp.260, ¤13,50

lassù al nord potevaandare peggio. l’oscarsvedese avrebbe potuto

vincerlo un monacobirmano. o al gore

quel fanciullo dellagiungla, né lupo né

uomo, rimane lacreazione più grande,

la più compiuta

HOMER SIMPSON, IL PIÙ GRANDE AMERICANO DEL SECOLO

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I L D O M E N I C A L E 1 1S A B AT O 2 0 O T T O B R E 2 0 0 7 ARTE E DINTORNI

Annunciazione di nuove prospettiveAncora per un mese, a Milano, la splendida Madonna di Antonello da Messina. Santa, per prima, insieme a tuttele madri, ma anche “celeste” testimone di un nuovo modo di disegnare lo spazio. Nato in Toscana, ma non solo

Goldoni fa 300e Lluís Pasqualfa l’Antiquario

Dopo il mediocre Ventaglioronconiano della passatastagione, giunge sulle ta-

vole del Piccolo di Milano (al TeatroGrassi), La famiglia dell’antiquario,uno dei testi di Goldoni allestiti inoccasione del terzo centenario del-la sua nascita. Prodotto dal TeatroStabile del Veneto unitamente alTeatro Stabile di Genova si è avval-so della prestazione registica delcatalano Lluís Pasqual.

Delle sedici commedie pro-grammate dall’autore veneziano èla sesta in ordine di tempo e fu ge-nerata precisamente nel 1750.Sfogliando le Memoires scopria-mo quanto Goldoni scrive, tra l’al-tro, a proposito della “Famiglia”:«Il nome d’Antiquario s’applica delpari in Italia a quelli che dànnosi al-lo studio dell’antichità, che a quelliche senza intelligenza raccolgonocopie originali, e cose inutili perpreziosi monumenti; ed è appuntofra questi ultimi che il mio sogget-to fu preso. Il Conte Anselmo piùricco di denaro, che di cognizioni,fassi dilettante di quadri, di meda-glie, di pietre incise, e di tutto ciòche ha l’apparenza di raro e antico.Si fida nel farne acquisto di certitruffatori che sempre lo inganna-no, e formasi a grandi spese una ri-dicola galleria. Questi ha una mo-glie, che è in età di esser nonna, maha tutte le pretensioni della gio-ventù…». Ed è, inevitabilmente, incontrapposizione alla nuora, Dora-lice, figlia del mercante PantaloniDe’ Bisognosi.

Costui è un borghese che in-consapevolmente usa a guisa digrimaldello il denaro (sotto formadi dote per la figlia) per scardinarela dicotomia sociale; ossia attuauna terza possibilità al di fuori dellamanichea impostazione borghe-sia-aristocrazia.

Con Goldoni sono evidenti iprodromi dei futuri sconvolgimen-ti politici, il principio della fine dellanobiltà a cui sta per subentrare, persostituirsi ad essa, il ceto produtti-vo, imprenditoriale, non scevro,tuttavia, da manchevolezze e dainadeguatezze comportamentali.

Goldoni non pratica sconti a nes-suno e la sua esposizione è chiara.

Quindi bene ha fatto Pasqual asottrarsi al tentativo di sovrapporsial testo, a eludere la forzatura ideo-logica, autentico canto delle sireneper taluni osannati maestri dell’ita-lica scena. Il regista catalano, purnon disdegnando di ricorrere al-l’inventiva attualizzando il testocon il mutamento degli abiti, fino agiungere ai giorni nostri (non man-ca il cellulare), rimane nel solco del-la tradizione. Si mette corretta-mente al servizio di Goldoni e degliinterpreti. Interpreti di talento chesono però messi in condizione dipalesare il proprio talento (la qualcosa, ahinoi!, non sempre accade):da Eros Pagni, un eccellente Panta-lone a Virginio Zernitz, lo scioccoantiquario, paradigma della vacui-tà e inutilità della nobiltà. Da AnitaBartolucci, una suocera traboccan-te di boria a tutti gli altri: GaiaAprea, Aldo Ottobrino, NunziaGreco, Enzo Turrin, Paolo Serra,Giovanni Calò, Massimo Cagnina.Apprezzate la funzionale scena diEzio Frigerio e i bei costumi di Fran-ca Squarciapino. Da vedere.

A Milano, si replica fino al 28ottobre. Poi in tournée, con par-tenza da Varese (29 e 30 ottobre) etermine a Palermo (dal 23 gennaioal 3 febbraio 2008), passando daUdine, Venezia, Genova, Brescia,Mestre, Padova, Monfalcone, Ce-sena e Verona. •

Luigi Pistillo

avevano cercato di trovare una tecni-ca che, meglio della tempera, «avreb-be potuto arrecare più grazia al dise-gno, vaghezza al colorito e maggiorefacilità nell’unire i colori insieme».

D’altronde, l’attenzione alla real-tà delle cose ben si adatta alla menta-lità pratica dei mercanti come a quel-la degli epicurei, che vogliono goderedelle cose del mondo e degli affetti.Essa suggerisce ai pittori di rendereperfino la trasparenza dell’acqua inun bicchiere, così come fa Antonello(nella pala di San Cassiano) e i pittoridelle antiche pitture magnogrechenel Museo Archeologico di Napoli.

Strano destino quello di Antonel-lo, le cui opere furono consideratefiamminghe (ma potreste mai direfiamminga questa Annunciata?) fin-ché non ci si accorse che lo spazioprospettico che esse realizzano è ita-liano. Lo spazio fiammingo quattro-centesco, infatti, è fatto di cose, piùaffollato; lo spazio italiano dalle cose,dalle loro proporzioni. È più ampio esembra che l’aria vi circoli dentro. Al-lora Antonello, da fiammingo che

era, fu detto “pierfrancescano”, cioèseguace di Piero della Francesca, che«si esercitò moltissimo nella prospet-tiva et ebbe buonissima cognizioned’Euclide» (Vasari).

Il fatto è invece che Napoli nonera più arretrata di altri luoghi, poichédovunque s’intrecciava la novità conil gotico fiorito e a volte, come a Vene-zia, ci si attardava a compiacersi deibagliori degli ori d’Oriente. La novitàprospettica fu espressione del nuovoumanesimo, che non fu solo toscano.Al tempo di Antonello, gli umanisti siriunivano nel palazzo di Antonio Bec-cadelli, dotto palermitano seguace diEpicuro. L’umanesimo napoletanoebbe un carattere poetico e filosofica-mente epicureo, sicché potremmo di-re che in Toscana si guardava alla ter-ra secondo le idee del cielo e che a Na-poli si guardava alle cose celesti con isensi terreni. Ne sono prova la pitturadi Antonello e la sua Annunciata.

Come l’umanesimo partenopeo èdiverso da quello toscano, così lo spa-zio della pittura di Antonello è diver-so da quello di Piero. C’è chi (Raffael-lo Causa), nel descrivere la sua pittu-ra, ha parlato di «corpi rotanti», hadetto che nella Crocifissione di Anver-sa «si apre dietro il Golgota una vedu-ta della sua Messina di vastissimaampiezza costruita non secondo i ca-noni convenuti ma almeno con duepunti di fuga» (mentre la prospettivatoscana ha un solo punto di vista), haosservato che nel polittico di San Gre-gorio i piedi dei santi sporgono a inva-dere lo spazio di noi osservatori e hanotato la «complessità dell’impiantoprospettico» del San Gerolamo nellostudio, dove «l’ambiente si squader-na in molteplici scorci aprendosi intutte le direzioni» e «lo spazio si mol-tiplica ad infinitum come in un magi-co incastro di scatole cinesi».

Proprio in quest’ultima opera sinota facilmente lo “spazio antonellia-no”. Basta guardare le linee definito-rie delle mattonelle del pavimento,che non si uniscono in un solo puntodi fuga, come dovrebbero canonica-mente fare, ma in più punti. D’altron-de già Erwin Panofsky aveva notatouna rappresentazione prospettica,seppur anomala, dello spazio in ope-re meridionali, magno greche, perfi-no del quarto secolo avanti Cristo. Èquindi nella tradizione meridionaleche vanno ricercate le origini dellapittura del messinese Antonello e diquesta sua Annunciata, donna realeche non è in un astratto spazio-scato-la euclideo né in un tempo progressi-vo perché si muove liberamente e vi-ve ora allora e sempre. In mente Dei,nel tempo del libro. •

Per Platone, la musica è lapiù alta delle filosofie. In-troducendo La notte del-

l’Epifania, William Shakespea-re afferma «se la musica è cibodell’amore, continua a suona-re». E quale amore è più forte diquello per l’Alto e, quindi, per ilproprio prossimo? Il 16 aprilescorso al termine del concertoper il suo 80simo compleanno,Papa Benedetto XVI ha detto:«Sono convinto che la musicasia il linguaggio universale del-la bellezza, capace di unire traloro gli uomini di buona volon-tà su tutta la terra e di portarliad alzare lo sguardo verso l’Altoe ad aprirsi al Bene e al Bello as-soluti, che hanno la loro ultimasorgente in Dio stesso».

Queste parole di un Papa te-desco ricordano che in Germa-nia, anche all’epoca dell’atei-smo di stato nei Länderorienta-li, l’educazione musicale è sta-ta sempre tenuta in gran consi-derazione, verosimilmente co-me (unico) nesso con l’Alto.

Nella seconda metà deglianni ’70, in un’Etiopia dilaniatada guerre civili, siccità e care-

stie, a Gondar, c’era un solo al-berghetto in collina. Uscendo-ne alle cinque del mattino persgranchirmi le gambe verso ilvillaggio, ricordo il silenzio rot-to da un coro, una monodia apiù voci proveniente da unapiccola grotta trasformata inChiesa rupestre.

La composizione avevamolto in comune con l’anticoExsultet di Avezzano, forse laprima partitura rimastaci (XIsecolo), ascoltata a fine aprile aRoma in Santa Maria Maggiore.Un repertorio solo per pochi fi-delizzati? Niente affatto. Nel2004, l’associazione di musicacontemporanea “Nuova Con-sonanza” ha dedicato alla Mu-sica dello spirito, il suo festivalannuale. E l’estate scorsa tre fe-stival italiani hanno consentitodi effettuare un viaggio dal tem-po dei canti di Gondar e dell’Ex-sultet sino alla più sfrenata con-temporaneità quale l’opera-vi-deo (con orchestra, solisti, mi-mi e live electronic) di AdrianoGuarnieri, Pietra di Diaspro.

C’è un nesso tra la monodiarupestre dei monaci etiopi, l’Ex-

sultet di Avezzano e le espres-sioni più moderne di musicaspirituale quali quelle che im-piegano declamato e live elec-tronic? Si può tentare una rispo-sta grazie a due grandi manife-stazioni appena concluse: a Ro-ma (il VI festival internazionaledi musica e arte sacra, dal 10 al13 ottobre nelle quattro Basili-che vaticane) e Pisa (il VII festi-val internazionale di musica sa-cra Anima Mundi, fino a oggi).

In ambedue si sono avvi-cendate grandi orchestre (daiWiener Philarmoniker all’Am-sterdam Baroque Orchestraand Choir, dalla Symphoni-sches Orchestre der Humbold-Universität alla Cappella Musi-cale della Cattedrale di Pisa) egrandi solisti, con programmiarticolati dal primo Seicento alBarocco, dal Romanticismo alNovecento Storico (principal-mente Britten) e alla contempo-raneità (con la Missa Solemnisdi Wolfgang Seifen in onore diBenedetto XVI), permettendoancora un viaggio nei secoli.

Anello importante per rac-cordare l’antico con la contem-

poraneità è un periodo spessodimenticato (in quanto travoltodal barocco e dal romantici-smo): la musica ambrosianadei decenni successivi al Conci-lio di Trento, uno stile in parteimposto dal Cardinal Carlo Bor-romeo che richiese di applicarecon rigore i precetti musicali delConcilio (che vietavano abbel-limenti, soprattutto vocali, inquanto le preghiere vanno ese-guite in modo chiaro e nella giu-sta velocità).

La musica ambrosiana di-venne monofonica, e asciutta,imperniata sul falsobordone incui il cantus firmus veniva ac-compagnato con voci parallelea intervalli consonanti. Non di-stante dal declamato di Britten(si pensi alla cantata Saint Ni-cholas) e dalle espressioni concui si apre questo XXI secolo. ARoma la si è ascoltata nel con-certo “Nova Metamorfosi” deLe Poème Harmonique guidatoda Vincent Dumestre. Ma restada chiedersi quando i milanesirivalorizzeranno questa loro si-gnificativa esperienza. •

Giuseppe Pennisi

Quelle melodie che innalzano lo spiritoDa Roma a Pisa, due festival di musica sacra riscoprono quella nata a Milano

di Adriana Dragoni

«Più la guardo e più me ne in-namoro». L’anziano custo-de di Palazzo Abatellis

guardava estatico l’Annunciata diAntonello da Messina appena tornataa Palermo dopo un lungo giro tra NewYork e Roma. Questa Madonna, ora inmostra al Museo Diocesano di Mila-no, sembra invero il ritratto “innamo-rato” di un’incantevole donna sicilia-na, forse quella Giovanna Cumminel-la che Antonello amò e sposò sebbenefosse già vedova e con una bambina.

Nella tradizione figurativa, daAmbrogio Lorenzetti a Leonardo e ol-tre, l’Annunciata è dipinta così: sedu-ta, preferibilmente sotto un portica-to, con l’angelo che annuncia «il frut-

to benedetto del ventre» suo inginoc-chiato davanti a lei, che a lui s’inchi-na con buona creanza. Nel dipinto diAntonello, invece, l’angelo non c’è.Né la Madonna volge lo sguardo ver-so di lui. Ma, sola protagonista, sem-bra guardare dentro di sé, avvertirenel suo seno il fenomeno comunquemisterioso della nascita di una nuovavita. In questo momento è concepitonel suo corpo di donna l’Uomo-Dio.L’Annunciazione sacralizza così an-che il figlio di ogni donna, ogni bam-bino, sin dal suo concepimento.

L’Annunciata di Antonello riceveil messaggio angelico in ogni luogo,ora e sempre. Infatti il pittore, due se-coli prima di Caravaggio, cancellal’ambiente, qui come in tutti i suoi ri-tratti, con un fondo scuro, denso dimistero. La Vergine vi si staglia nitidae, girando leggermente su stessa,sembra muoversi, mentre con unamano, «la più bella che io conoscanell’arte» scrisse Roberto Longhi, cheruota nello spazio, chiede una pausa,un attimo di attesa. C’è un libro, su unleggio anch’esso ruotato rispetto allatavola, le pagine si sfogliano mossedal vento: è lo svolgersi del tempo, ditutta la storia, che è scritta nel libro.

Così Antonello rinnova l’icono-grafia dell’Annunciata, esprimendouna individualistica e sincera religio-sità. È lui, secondo gli antichi, cheavrebbe introdotto la tecnica a olionella pittura veneta. Giorgio Vasari, iltoscano toscanocentrico, ci racconta

che, essendo arrivato da Firenze aNapoli un quadro a olio di Giovannida Bruggia (Jean van Eyck), dono adAlfonso d’Aragona, Antonello, aven-dolo veduto, fu preso da vaghezza diconoscere questa tecnica e si recò nel-le Fiandre. Vasari ci conferma che An-tonello, nei primi anni quaranta delsecolo decimoquinto, era a Napoli.

Qui c’era Colantonio, che già di-pingeva a olio. Antonello non ebbebisogno del viaggio in Fiandra per co-noscere questa tecnica, perché, gio-vanissimo, fu a lungo a bottega da lui.Una lettera scritta nel 1524 dal cardi-nale Pietro Summonte dice del pittorenapoletano: «Fu in costui una grandestrezza in imitar quel che volea; laqual imitazione aveva tutta converti-ta in le cose di Fiandra, che allora soleerano in prezzo». I pittori fiammin-ghi, infatti, erano stimatissimi per lacapacità che avevano di ritrarre il ve-ro, somma virtù, secondo il concettodell’arte, quale imitazione della natu-ra, che si aveva a quel tempo.

Ma il maestro napoletano non èun semplice copista di fiamminghi,ha una sua originale personalità. Isuoi dipinti si distinguono da quelli,sia per costruzione generale sia per itoni più caldi e per la maggiore affet-tuosità espressiva, qualità che sonoanche del suo allievo Antonello. Perdi più, gli esami scientifici hanno evi-denziato che la tecnica di Colantonio,come quella di Antonello, non è lastessa usata dai fiamminghi. E lo stes-so Vasari ci informa che molti pittori

UN CAPOLAVOROPER MILANO:ANTONELLO DA MESSINA. L’ANNUNCIATAMILANO,MUSEODIOCESANO, FINO AL 25NOVEMBRE

TEL. 02/89420019

Sopra: Antonelloda Messina,L’Annunciata, 1474,Palermo, Museo diPalazzo AbatellisA lato: San Gerolamonello studio, 1474,Londra, National Gallery

l’annunciata di antonello sembra

guardare dentro di sé,riceve il suo messaggioin ogni tempo e luogo

TEATRO

«T orniamo al-l’antico: saràun progres-

so», scriveva GiuseppeVerdi a Francesco Florimonel gennaio del 1871.Non un semplice calem-bour, ma un vero e pro-prio indirizzo program-matico, raccolto ancoraoggi da Don Luigi Garbi-ni, responsabile delle at-tività musicali della curiamilanese e curatore di900 in musica, un nuovociclo di sette concerti(tutti a ingresso libero;tel. 02/72000926) per tor-nare “alle radici della mu-sica contemporanea”.

Una rassegna che me-scola ritmo, melodia e spi-ritualità, ripercorrendo letappe di una musica com-

plessa e affascinante in-sieme come quella nove-centesca, grazie a una raf-finata antologia dei suoipiù significativi interpretiinternazionali.

Fin dal concerto diapertura (martedì 30 ot-tobre alle 21, presso la Ba-silica di San Marco a Mila-no), che vedrà protagoni-sti la giovanissima piani-sta Vanessa Benelli Mo-sell e l’Orchestra dei Du-cati diretta dal maestroFausto Pedretti. In pro-gramma, brani da We-bern, Schönberg, Stoc-khausen e Busoni, mentreDallapiccola, Solbiati, Ca-stiglioni e Ghedini sonogli autori scelti per l’ap-puntamento del 20 di-cembre. Sempre a SanMarco, come tutti gli altriconcerti, tranne l’omag-gio alla “Musica di NinoRota”, ospitato in pro-gramma il 18 febbraio2008 al Teatro Nuovo.

Poi, spazio a Pärt, Brit-ten, Bernstein, Berio, Co-pland, Stravinsky, Gersh-win e altri ancora. M.T.

MILANO: LA MUSICA DEL ’900IN SETTE “GIOVANI” CONCERTI

MUSICA

Page 12: Perché è ancora necessario difendere la memoria e l’opera di …malaspina/docs/domenicale-20102007.pdf · 2008-02-01 · ha lasciato che venisse preso a bersaglio. Ora ... come

OZI E NEGOZI

BIBLIOFILIAUn “diritto” dal ’700Nella biblioteca degli studio-si di diritto non dovrebbemancare il celebre Les règlesdu droit civile del giuristafrancese Jean-Baptiste Dan-toine. La libreria antiquariaBonfanti di Milano (tel.02/7496181) propone unacopia, in ottimo stato, dell’e-dizione lionese di quest’ope-ra, stampata presso ClaudePlaignard nel corso del 1725.La rilegatura in tutta pellecoeva e il prezzo (320 euro)la rendono un esemplaredavvero appetibile.

LA RASSEGNAUn sorso di Sudafrica“Artisti a Castagnoli” è il ti-tolo di una nuova interessan-te biennale di arte contem-poranea nata nell’omonimarocca di Gaiole in Chianti conlo scopo di fondere la culturadegli occhi con quella del gu-sto, vista la secolare vocazio-

ne vitivinicola di questo pic-colo borgo medievale. Maanche di far incontrare il no-stro patrimonio artistico conquello di altre regioni delmondo, e così è il Sudafrica lanazione ospite di questa pri-ma edizione (fino al 4 no-vembre; info: tel.0577/731004). In mostra,fotografie, disegni, sculturee installazioni a firma di alcu-ni tra i più interessanti giova-ni artisti sudafricani, selezio-nati in collaborazione con loStudio d’Arte Raffaelli.

IL CONCERTOBeneficenza da Scala “Pane Quotidiano” è un’as-sociazione senza scopo di lu-cro che da più di un secoloopera a Milano per distribui-re alimenti e generi di primanecessità ai più deboli e indi-fesi. In suo sostegno, martedì30 ottobre, scendono incampo anche la Filarmonicadella Scala e il maestro Da-niele Gatti, protagonisti di un“concerto-evento” doveproporranno la Sinfonia n. 4op. 90 “Italiana” di FelixMendelssohn-Bartholdy e laSinfonia n. 1 in Re maggiore“Titan” di Gustav Mahler. I biglietti con prezzi da 10 a200 euro si prenotano allo02/465467467.

L’APPUNTAMENTOSiena antiquariaSi apre oggi la dodicesimaedizione della celebrata“Mostra Mercato dell’Anti-quariato, Fine Art e GranMercato”, che ogni anno ri-empie di “cose d’arte” e “fa-scino antico” la Fortezza Me-dicea di Siena (www.comu-ne.siena.it).In mostra,d i p i n t i ,sculture, ar-redi e og-getti di ogniepoca e perogni tasca,ma soprat-tutto un in-c r e d i b i l enumero dicapolavori. Da una coppia diBattaglie tra cavalieri dellabottega napoletana di Mar-zio Nasturzio al settecente-sco Bambin Gesù e San Gio-vannino di Elisabetta Sirani,dall’ottocentesca Bambinasdraiata di Francesco DeGregorio a un suggestivoLungomare con viandanteal tramonto di Renato Natali(in foto).

Direttore ResponsabileAngelo CrespiCaporedattore Giuseppe RomanoRedazione Marco Respinti, Davide Brullo, Matteo Tosi,Giovanni Abruzzo, Elena Buffa (consulente grafico), Giovanna Dal Negro (segreteria di redazione)Illustrazioni di Gianni ChiostriAmministrazione via Senato 12,20121 Milano, Telefono 02-36560007 Fax 02-36560008, Registrazione Tribunale di Milano n.362 del 17/06/2002

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S E T T I M A N A L E D I C U L T U R A

NUMERO CHIUSO IN REDAZIONE IL 16 OTTOBRE 2007

La guida gourmet che si presenta “in tavola”

Fra gli italici riti che accompa-gnano verso la fine d’anno,uno dei più attesi, nel mon-

do del bere-mangiare, è l’appari-zione delle guide gastronomiche.Quasi in contemporanea (spessoaccompagnate da salaci polemi-che) eccole guadagnare pagine digiornale e vetrine delle librerie.

Fra le più amate dagli appas-sionati si annovera la Guida Ri-storanti d’Italia (Gambero Rossoeditore, Roma, 2007, pp. 716,¤22,00) del Gambero Rosso, daquest’anno diretta dal giovaneMarco Bolasco. Se di classifiche,forchette, cappelli e pneumatiche

stelle scriveremo più in là, ponia-mo oggi l’attenzione sulla pre-sentazione in sé. Fuggendo la for-mula della conferenza stampa, alGambero Rosso hanno da anniideato un’alternativa festa dellacucina. L’uscita della guida vienecelebrata a Roma, presso la Cittàdel Gusto, ove è preparata una ce-na gourmet per cinquecento ospi-ti dai top chef premiati, divisi ingruppi di cinque. Il tutto servitocon maestria e accompagnato datrenta fra i migliori vini italiani.

Può quindi capitare al fortu-nato ospite, mischiato a uominipolitici, direttori di telegiornali e

personaggi dello spettacolo, diiniziare il godurioso pasto con unpiatto di cacciagione di BrunoBarbieri, di continuare con un ri-sotto al pomodoro e burrata diGennaro Esposito, di proseguirecon dei tortelli di ricotta ed erbet-te di Nadia e Giovanni Santini equindi avviarsi alla conclusionecon un buon maialino dei Nebro-di di Ciccio Sultano e un tortinoalla pera e cioccolato di Ugo Al-ciati. Esempio da seguire. Dall’a-mabilità della serata, meno pole-miche e più fornelli, ne guadagnal’immagine della nostra cucina. •

Gianluca Montinaro

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