Per Edoardo De Candia speciale cinema del reale

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s p agi ne Periodico culturale dell’Associazione Fondo Verri Un omaggio alla scrittura infinita di F.S. Dòdaro e A. L. Verri Speciale Cinema del Reale - Repertorio di scritture su Edoardo De Candia Edoardo alla Festa di cinema del reale Luglio 2015

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Edoardo alla festa di Cinema del Reale di Specchia. Spagine lo omaggia dedicando a De Candia, un repertorio di scritture edite ed inedite che "inaugura" la "stanza" a lui dedicata dalla Festa di Cinema del Reale quest'anno titolata "Corpi - Inganni - Movimenti". L'appuntamento dal 22 al 25 luglio a Palazzo Risolo di Specchia. Nel numero qui pubblicato (e in limitatissima tiratura stampato) i contributi di Massimo Grecuccio, Rita Rucco, Mauro Marino, Edoardo De Candia, Francesco Aprile, Antonio L. Verri, Maurizio Nocera, Egidio Marullo, Maila Marasco, Ennio Bonea, Aldo Bello, Fernando Bevilacqua. Non posso non ringraziare Antonio Massari che con il suo "Edoardo" ha nutrito la mancanza.... MM

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spagine Periodico culturale dell’Associazione Fondo VerriUn om

aggio alla scrittura infinita di F.S. Dòdaro e A. L. VerriSpeciale Cinema del Reale - Repertorio di scritture su Edoardo De Candia

Edoardo alla Festa di cinema del reale

Luglio 2015

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Speciale Cinema del Reale luglio 2015 - Repertorio di scritture su Edoardo De Candiaspagine

Edoardo non c’è più da oltre vent’anni,ma il suo fantasma, per il tramite dellesue opere-lampo (queste sì, presenzeconcrete), aleggia non di rado tra dinoi. Ho sorseggiato un caffè in un bare ho ammirato un paesaggio marino

(il mare attraverso gli alberi di una pineta) a suafirma. Ho ascoltato il consulto di un medico specialistaalle cui spalle era appeso un suo foglio, in cui unadonna è evocata con pennellate rapide.Quanti quadri ha lasciato Edoardo? Un catalogoragionato e completo delle sue opere è possibile?Nutro forti dubbi.

La liberalità con cui Edoardo cedeva i suoi quadri–per poco denaro e senza l’intermediazione dialcun mercante– fa il paio con l’estrema rapiditàrealizzativa. I suoi quadri sono lampi pittorici. Unasorta di spontaneità, tra il naïf e il pop, che è l’esitodi una mano a lungo esercitata (come la scrittturacol pennello dell’ Estremo Oriente che presupponeun lunghissimo esercizio). Una mano anche este-nuata; cioè, non più sorretta dall’ambizione.Ogni biografia, e anche ogni autobiografia, crescesull’humus delle congetture.La rapidità delle realizzazioni non è propria dell’in-fanzia?

Ogni vita maledetta è affiancata da una leggenda.C’è stato un tempo, una manciata di anni (l’adole-scenza, i vent’anni) in cui Edoardo ha puntato lameta dell’arte. Un talento straordinario che si è in-terrotto (la voce è stata messa in circolo dai suoisodali-coetanei?). Ha scelto la frattura. La fratturaè stata subita. Semplificazioni. Alcune volte penso, anche io tra il naïf e il pop (edè già stato pensato e detto prima di me) che l’inco-scio di Freud potrebbe essere il discendente deldàimon degli antichi (attraverso il passaggio inter-medio dell’angelo custode?).

Il dàimon ha condotto Edoardo per mano al di làdel successo e dell’insuccesso. Su una terza via,perpendicolare a quelle due. Il sistema dell’arte?Te ne sei uscito. E pure dal sistema sociale. Timancava qualche rotella, eri affetto da una formadi autismo?Nihil humanum a me alienum puto.

Metà degli anni ottanta. Una calda giornata di lu-glio, di pomeriggio. Io sono con un amico greco inpiazza Mazzini, entrambi seduti su una panchina.Un po’ di persone, non molte, è la controra, attra-versano la piazza. Compare l’Edoardo. “Nah,l’Edoardu.” In pantoloncini e canottiera. Con la suaandatura lievemente barcollante e centrifuga si di-rige verso la fontana. Arrivato sul bordo, si piazzacon le gambe divaricate di qualche grado, le spallerilassate, abbassa i pantaloncini quanto basta e,senza sbagliare la mira, piscia nella fontana. Consovrana indifferenza. Si ricompone e riprende ilcammino. Aaah.

Un paio di anni dopo. È sera. Sono nel circolo Arci,a due passi da Porta Napoli, con alcuni amici. Inun tavolo accanto a noi, ci sono due ragazze, unaè italiana, l’altra è straniera (Erasmus era di là avenire, era qui per studiare l’italiano). Entra l’Edoardo, si guarda intorno e si dirige versole due ragazze. Poggia le mani sulle spalliere dellesedie da loro occupate. Si piega e rivolto a en-trambe dice: “Andiamo, andiamo sulla luna?”. “Si” – risponde prontamente la straniera - “con ilrazzo.” “No” – corregge con altrettanta prontezza lui - “conil cazzo.” Poi si volta e muovendosi a zig-zag tra i tavoli esce.

L’ultima volta che ho visto Edoardo è stata pochimesi prima che morisse. Era seduto da solo in unbar vicino porta Rudiae e beveva una birra.

Un ricordo a zig zag di Edoardo De Candia

“Aaah”di Massimo Grecuccio

Ad illustrare la copertina un’immagine giovanile di Edoardo De Candia tratta da “Edoardo” di Antonio Massari, edizioni D’Ars1998

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Edoardo in una foto di Fernando Bevilacqua tratta da “Edoar Edoar” di Maurizio Nocera, edizioni Il raggio verde, 2006

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Nelle parole di Edoardo una dichiarazione di poetica

“Creatoresono io”

L'eternità, per l'eternità, tutto si può per-mettere l'Artista, ogni cosa, la più as-surda, la più fottuta. Tutto. Mi chiedi seso leggere? ...mi son dimenticato purecome si scrive. Ho fatto il Tarzan, io.Vivevo nella giungla. Nelle foreste, nei

boschi, sulle spiagge. Ho fatto il Tarzan, adessomi sono rincoglionito. Son diventato civile,adesso vivo in città. Sto con la gente.Me ne andavo in giro, vagabondando.

Sono influenzabilissimo io?! Nessuno è influen-zabile! Semmai, io influenzo gli altri!Adesso l'arte la faccio perché sono manovale,prima la facevo per passione, perché mi piacevao ci godevo. La faccio automaticamente. Comeun robò sono diventato. Un robò!Non creo più, non creo più! Son morto! Non creopiù, non è più possibile. Sono morto.Lo spirito, l'anima. Mi hanno ammazzato questicoglioni! Mi fanno crepare.Non trovo più corrispondenza con la realtà! Chisono?Io so, che mi corico la sera, mi addormento, mialzo la mattina, mi sveglio, mi metto a cammi-nare, poi rientro, poi mi corico, poi mangio. Eratutto diverso prima.Ero un dio prima, vivevo a contatto con la natura,col mare, coi boschi. Stavo bene sai?Son diventato cittadino, porco giuda!

A mare ieri non ci sono potuto andare, l'altro ieri

manco... non riesco più a fare il bagno, sentofreddo quando arrivo al mare.Na merdata, no?

Gli artisti tutti merdosi sono, pieni di merda ecacciano fuori sta merda e la fanno prolificare.Tutta l'arte è vita! Tu piglia una pianta, se non glimetti la merda come cazzo fa a crescere? Con-cimi! La concimi! E' la vita l'arte!Tutto hanno espresso gli artisti, soltanto che 'stistronzi di borghesi, non lo vogliono capire.Non hanno mai capito l'arte. Gli artisti sono tuttiincompresi.Io so, tutti mi piacciono. Io so Picasso e Miche-langelo. Klee, Mirò, Braque. Io so il mistero.Tutti parassiti sono, vivono a spese degli artisti.Gli artisti creano e loro? Solo giudizi!Io do i quadri così, non prendo nomi, cognomi,indirizzi. Non li conosco. Non me ne frega!L'importante che mi diano diecimila lire.Il gusto estetico dominante è la frigidità e l'impo-tenza.Questo è il gusto, con il denaro.Io ho agito sempre come servo di Dio. Mi ha gui-dato sempre Dio. Sempre Lui, mi ha dato quelloche volevo. Credo in un Dio supremo, misericor-dioso.Degli anni belli per l'arte, verranno.Civilizzatore è l'artista e l'arte è dominatrice del-l'universo.Tutti artisti devono diventare. Vedrai! Tutti artistisaranno!

(1984, dall’ intervista a cura di Silvia Mangia a Edoardo De Candia)

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Pochi, ormai, lo ricordano, Edoardo De Candia, il pittore, quello che se ne andavain giro per la città, sempre a piedi con un rotolo delle sue pitture sotto il braccio,le vendeva a poco, a pochissimo, per placare la "sete"... Edoardo De Candianacque a Lecce nel 1933 da Giuseppe e Margherita Querzola. Il padre, guardiacarceraria, veniva dall’isola di Procida... E il mare, Edoardo, se lo portava dentro.Amava le pinete, la sabbia, fare il bagno nudo... Era come un ponte verso il mare,

Edoardo: percorso tutto il Corso Libertini in pantaloncini, dondolante, proseguiva a piedi versoSan Cataldo, la sua méta, il luogo della sua libertà.Era un uomo “liquido”, imprendibile! Un uomo della natura, uno che non capiva la città, il di-venire del “rumore” quel mormorare sempre dissacrante nel negare al corpo le sue necessità.Edorado De Candia era corpo, azione e volo. Chi ha avuto la “fortuna” di prendere dal suo ro-tolo, qualche sua "figurazione", può capirlo questo, scovando il gesto nella velocità del trattoche mostra una marina, una pineta, un cuore catturato, chissà quant’altro in quello “sbrigarsia fare” che, lasciando la pittura allo scambio, permetteva di far vivere la santità dell’essere,del suo esserci nella negazione. Una regalità la sua nudità, mai ostentata ma necessaria, per-formativa diremmo oggi: segno e monito, quell’essere Tarzan nella città, quel suo continuocamminare che neanche l’elettroshock è riuscito a fermare… "Il gusto estetico dominante è la frigidità e l'impotenza" - sue parole in una conversazione re-gistrata da Silvia Mangia nel 1984 - "questo è il gusto, con il denaro. Io ho agito sempre comeservo di Dio. Mi ha guidato sempre Dio. Sempre Lui, mi ha dato quello che volevo. Credo inun Dio supremo, misericordioso. Degli anni belli per l'arte, verranno. Civilizzatore è l'artista el'arte è dominatrice dell'universo. Tutti artisti devono diventare. Vedrai! Tutti artisti saranno!".Edoardo De Candia morì a Lecce il 6 luglio del 1992.

Mauro Marino

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Da “Il cielo in testa, Disegni erotici di Edoardo De Candia, excelsus magister”, a cura di A. Verri e M. Nocera, Ed. Dopopensionante, Lecce 1989

Pcome pittura, come“putea”, come podismo,come puttane, come prodi-gio, come pazzia. La set-tima P?, quella di puro oprimitivo, o perdente, o

forse solo provocatore.Sette P che non coincidono con i settepeccati di cui bisogna liberare la propriaanima per ascendere al paradiso terre-stre dantesco attraverso lavacri e purifi-cazioni catartiche.Sono le P che racchiudono le caratteri-stiche di un uomo, di un pittore, frequen-tatore di “putee”, podista, innamorato diallegre puttane, prodigioso nelle espres-sioni artistiche, e pazzo.Uomo particolare, forse poeta, bello, ai-tante, abbronzato in ogni stagione, anti-cipatore e precursore di modelli originalidi vita che hanno affascinato almeno unpaio di generazioni di donne e cittadiniliberi, non sempre, però, disponibili a ca-pire e comprendere la forza primitiva chesprigionavano la sua arte e la sua follia:Edoardo per tutti, Edoardo De Candia al-l’anagrafe.Edoardo, passo atletico e sicuro, mu-scoli larghi e guizzanti, faccia altera,sguardo lontano e lunghi capelli sottili, diun luminoso biondo ramato, che cade-vano liberi e morbidi sulle forti spallenude; nude anche in città, al rientro dallaspiaggia leccese a circa 10 chilometridal centro; lunga strada percorsa a piediall’andata e al ritorno.Mani grandi, dalle dita asciutte e ner-vose, bionde e calde. Bocca larga, sgan-gherata, lunghi capelli stopposi e bianchicon un lontano ricordo di biondo ramato,alito inavvicinabile, occhi liquidi e incerti,corpo sinuoso, ma carico di pesi e dolori,voce strascicata:- Me lo dai un bacio, bella pupa?Vent’anni prima ne sarei stata orgo-gliosa: sarebbe stato un vanto esserenotata per strada dal bell’Edoardo. Oraè solo un colpo al cuore. E’ una carica-tura del sé, di quel sé ancora vivo nel ri-cordo di tutti; ora è una spavalderia

drammatica, è un passo dalla fine. Era ilmarzo 1992…. Pochi mesi dopo, il 6 lu-glio, la città dava l’annuncio dolente dellasua vita conclusa; una vita originale eperdente.

Nel 1986 l’ "affascinazione”. Una mostracompleta delle sue opere, organizzatanella sede della Associazione dell’Arti-gianato salentino, regalava una lungaevoluzione di pezzi di vita d’arte edoar-diana. Vita non lineare: studi, bozzetti,profili di città realizzati a china dai tratticerti e raffinati, lucidi ed imperiosi, anchedel periodo francese, si accostavano alinee semplici, tondeggianti di nudi vol-gari di donne dai seni sodi e maestosi,dai ventri capienti e natiche e cosce ab-bondanti; tempere su grandi fogli bianchio colorati degli ultimi anni, periodo coin-cidente e/o seguente i frequenti interna-menti manicomiali: il nitore del tratto eralì sempre, ora nelle linee geometriche ri-proponenti architetture e lavori prospet-tici ed ora, con segno liberatorio, certo esicuro, nelle linee abbondanti di donne.Il mondo visto da fuori e il mondo vistoda dietro le sbarre. Le sbarre del nonascolto, della non accoglienza, della pro-pria isolata lucida follia solo a tratti ac-compagnata da gesti camerateschi diavventori degli stessi bar o delle stesseputee; gesti di chi gli offriva da bere, magesti vuoti, soli, senza seguito, senzacompassione.1985: vaso di fiori appena accennatocon steli che reggono, fermi e solidi, ma-linconiche corolle multicolori; un disegnosu cartoncino giallo, vissuto con trattopastoso.Disegnava, dipingeva e regalava, barat-tava, talvolta vendeva, spesso svendevalavori, arrotolati sotto il braccio orgo-glioso, disegni che respiravano la suavita girovaga.- Mi offri un caffè?- Solo caffè... gli rispondeva qualcuno.E poi: - Guarda, quale vuoi?E srotolava cartoncini e fogli bristol el’occhio opaco già a metà mattina, si ac-

cendeva di un lampo d’orgoglio ed unguizzo di luce. Era come se rinascesseogni volta.- Voglio questo, quanto viene?- Dammi 20.000 lire.Gli detti 20.000 lire e mi sembrò che melo avesse venduto, non svenduto. Avevonegli occhi i bozzetti, gli studi, le linee ri-gonfie, il tratto pensato e rigoroso di queilavori ammirati alla mostra. Pensai:- Chealmeno non li butti via in putee o puttanequei soldi!Pensiero egoistico. Perché non avrebbedovuto gestire i propri guadagni nel mi-gliore dei modi possibili che, per quellasua vita diversa, probabilmente rimane-vano le donne ed il vino?Vita agguantata, assalita; vita strappata,masticata e vomitata, talvolta. Vita distenti e furori, di ricchezze mai valutate,spesso denigrate, di regalie a pienemani. Mani ricche come nel tratto, prodi-ghe di denari e colori, di carezze impu-diche e scossoni violenti.Sinuoso e corposo il suo passo; anchevisto di spalle, si indovinava di lui il ta-lento.Divincolato da schemi preconcetti, libe-rava il suo andare con gesti sciolti e si-curi, poi sempre più gravi ed incerti.- Me lo dai un bacio, bella pupa?Come reagire? Cosa fare o dire per nonoffendere? Soffermarsi sul significatodella richiesta, non avrebbe avutosenso. Era lì con lui, faceva parte di luiquello sguardo umido e perso, lontanodalle parole, dalle domande, da even-tuali risposte.Una richiesta come un’altra, con voceprotesa verso il vuoto, l’etere, il vento.Sembrò più vuota, più grigia la città dopola morte del bell’Edoardo.Nel ricordo di molti le risate ingombrantiper strada, l’irriverenza dei gesti e del-l’arte. Le parole più scomode gridate convoce insicura.La mancanza più grande: un lungo na-stro multicolore che univa le P di un pit-tore-poeta--podista-avventore diputee-puttaniere-pazzo e puro.

Della purezza

di Rita Rucco

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Preferirei essere zoppo o cieco piut-tosto che essere così spento didentro. E' come non poter cammi-nare e vedere. Se fossi uomo conuna volontà ti dovrei raggiungerestare un po' con te, così come vuoi

tu. Lo sai che non stò con una donna da quandosono stato con te!E' assurdo tutto ciò.Sono uno smidollato ho vergogna di me stessoe il tempo serve solo ad avvilirmi sempre di più.Se fossi certo di questo mi ucciderei subito, ilfatto è che c'è qualcosa in me che non esce per-chè non può uscire. Sono impedito è tutta unaquestione che riguarda il mondo esterno. Sonobloccato!Io ho bisogno di conoscermi a fondo, ho bisognodi situazioni che mi riguardino per poter agire.Ho bisogno di coraggio, di ritmo, di vita.Mi sento come calato in un pozzo profondo, ap-peso ad una corda e sento che le mie forze nonce la fanno a tirarmi su, alla luce.Resisto così, fermo nella speranza che qualcunosi accorga di me e mi tiri di sopra.Sotto di me ci sono acque oscure che mi voglionoinghiottire sopra il buio, luminoso il passaggio allaluce, alla natura, alla vita. Se non mi muovo, nonho più scampo.

Sarebbe stato bello stare insieme, quei pochigiorni di Parigi.Ma perchè resto qui a marcire se c'è un altromondo che palpita, che mi accetta integralmente.Ho perduto il senso! Sto perdendo la vita senzaavere mai vissuto realmente.I giorni sono lunghi, stanchi, trascorrono pernulla, nel vuoto assurdo.Dice un proverbio africano: “il mondo è come unalbero marcio se ti appoggi ad esso caschi”.Il mio grande sbaglio!Bisogna muoversi e mantenersi in equilibrio dasoli.Non ce la faccio! Sono morto da lungo tempo.Trascino questo mio cadavere per la strada sinoa giungere al letto da dove vorrei non alzarmi più.Cose penose, tristi in un deserto senza la spe-ranza di poter raggiungere una meta.In che mondo mi trovo, non lo so (se lo so) di checosa ho paura.Della fame dei miei simili. Di non trovare un letto.A che serve mangiare se non si ha fame. Andarea letto se non si ha voglia di lavorare.Se non è necessario svegliarsi col sole chespunta e non avere niente da dare.

EdoardoLettera a Jeanne Maigre 1966,

da Edizioni Dopopensionante Cartella Edoardo

Letteraa Jeanne

Perchè resto qui a marcirese c'è un altro mondo che palpitache mi accetta integralmenteI giorni sono lunghi, stanchi, trascorrono per nulla, nel vuoto assurdo

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Edoardo De Candia, La casa del sole, 1987 - da Le carte del saraceno

Edoardo De Candia, Mai, 1970 tempera su cartoncino. Immagine tratta dalla tesi di laurea di Maila Marasco

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Nel 1988 il poeta Antonio L. Verri in un inter-vento a metà fra il racconto-intervista e lacronaca di uno spaccato di storia dell’artecontemporanea del novecento meridionale,pugliese, affrontava la genesi dell’opera pit-torica di Edoardo De Candia, dalle origini,

quando ancora ragazzo praticava una pittura tardo-im-pressionista di influenza massariana, all’incontro conFrancesco Saverio Dòdaro e il conseguente cambio diprospettiva. Dalle successive divaricazioni pittoricheemerge un De Candia che fra gli anni ’60 e ’70 sembravolto con forza ad una sintesi pittorica che lo vede muo-versi fra gli ambiti dell’espressionismo e della comunica-zione poetico-visiva, sono quelli infatti gli anni delle primeforme di poesia verbo-visiva. Se da un lato appare difficilerintracciare un punto d’ancoraggio fra Edoardo De Candiaed un possibile contatto avuto con i nascenti linguaggiverbo-visivi in ambito poetico, dall’altro va sottolineatocome il pittore fosse attento e aggiornato sulle dinamichedell’arte contemporanea, ma allo stesso tempo così istin-tivo e dinamico nel segno da liberare la sua opera da ognigabbia culturale.Questo ciclo di opere decandiane risalgono al periodo checorre fra gli anni ’60 e gli anni ’70. Nel racconto-intervistadi Verri, citato in apertura, e realizzato nel 1988, si fa rife-rimento a tali opere come coincidenti con il periodo delprimo internamento in manicomio, che corrisponde ap-punto allo stesso lasso temporale. È proprio De Candia adare questa indicazione, nel testo-intervista del 1988, af-fermando di essere entrato in manicomio circa vent’anniprima. Scrive Verri che sono di quegli anni infatti «le prime"forme" di vocali con la corona e dittonghi a tutto foglio: isuoi lettori, da questo momento in poi, prima di parlaredelle sue opere devono aver chiara tutta la cultura nove-centesca europea. Non solo pittorica.» (Verri A. L., 1988).La sottolineatura verriana intuisce chiaramente lo sposta-mento dell’asse dell’opera decandiana dalla rappresenta-zione pittorica, seppur non realistica, alla dimensionesimbolica della lettera, delle parole che campeggiano atutto foglio in dimensione di segno e colore, che in DeCandia vanno a coincidere, e si manifestano secondo unapproccio dinamico e performativo, desiderante e istintivo,

come materia densa di tutta la carne della vita. De Candia,infatti, spesso dipingeva dall’alto verso il basso, con la telao il foglio distesi per terra, così da avere ampia visione econtrollo dello spazio e piena possibilità di liberare il corpo,per intero, nella pratica performativa della sua pittura. Verriparla esplicitamente di “lettori” dell’opera decandiana, nona torto. Nel 1989 Antonio Verri e Maurizio Nocera curanola pubblicazione di una cartella di disegni erotici di Edo-ardo De Candia, al cui interno si trovano anche lettere escritti dell’artista risalenti agli anni ’60 e nei quali si riscon-tra un certo respiro poetico rintracciabile, anche, nell’operapittorica, di continuo attraversata da un afflato poetico chefavola il segno e le sue prospettive.De Candia apre al lettering, alla parola, utilizzata in unasorta di concretismo desiderante, laddove è la matriceconcreta del desiderio che si staglia sullo spazio compo-sitivo dell’opera, e diventa segno pittorico forte di una va-lenza poetico-comunicativa che poco ha a che vedere congli aspetti decorativi che la parola assume nelle opere diJasper Johns, dove la parola o il simbolo numerico, comeoggetti da rappresentare, mostrano come nella rappre-sentazione la preminenza spetti appunto alla modalità de-corativa, agli aspetti formali della composizione, incompleta antitesi col tracciato decandiano che propriodall’espressionismo muove i passi verso la comunica-zione poetica. E non è neppure il No di Mario Schifano del1960 a mostrarsi come precedente o vicinanza possibileall’opera di De Candia, in quanto ancora, anche in Schi-fano – influenzato fra l’altro proprio da Johns – restanovive nel No, come in altre opere, le istanze della compo-sizione e, d’altro canto, quelle più demistificatrici tipichedella pop art, senza il ribellismo vitale e fisico di un DeCandia che nell’esperienza del manicomio apre e squar-cia il desiderio gettandolo sullo spazio dell’opera in unaostinata richiesta di vita e calore.Amo, Ahi, Mai, Sola, e poi le M e le O sono solo alcunedelle parole e delle lettere espresse da De Candia e chesi modulano in forma di urlo, autentico, sentito, dilaniante.

* In utsanga.it. rivista di critica e linguaggi di ricerca, n°3, marzo 2015

Edoardo De Candia,tra espressionismoe comunicazione poetica

di Francesco Aprile*

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Uno degli ultimi ritratti di Edoardo De Candia, la fotografia qui posterizzata è di Fernando Bevilacqua

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Cominciamo con un falò. Duepittori ventenni - siamo aLecce, estate 1954 - chehanno respirato quel che dibuono si può trarre da unascrostata cultura di provin-

cia, e che hanno sul volto i segni eretici diquel che sarà il loro comportamento e laloro operatività, hanno accatastato unbuon numero di tele, legno, faesite o chealtro, e si accingono ad appiccare il fuoco.C'è tensione, e sotto sotto anche un po'd'allegria, speciale allegria. il fuoco è ac-ceso, man mano cresce. I due giovanisono come intontiti, e si godono il fuoco ogirano intorno al fuoco. I loro nomi: Fran-cesco Saverio Dodaro (viene dalle "sta-zioni" di Bari, Bologna, Parigi) ed EdoardoDe Candia.Pensateli, ancora per un attimo, intorno alfuoco, con sul volto tutta quella luce, congli occhi spalancati, i movimenti rapidi,pensate al fragore del fuoco, pensate al si-lenzio improvviso che scende sui due gio-vani artisti, pensate anche alle foro gridaimprovvise, a loro che forse vorrebberoesplodere... I due sono là per celebrarequalcosa: dalle ceneri, da quel fuoco unaloro totale rinascita. Dal falò in poi sareb-bero vissuti e avrebbero operato - comepoi in effetti è stato - come purissimi cava-lieri, morbidi, buffi, curiosi, rigorosi...Anzitutto. Che bruciavano? Si purificavanoda quali mostruosità? Cosa volevano af-fossare? Ecco: Dodaro bruciava le sue teleastratte - informali - surreali che comunquerappresentavano già una autentica viola-zione, per passare al versante dell'analisie della letteratura; De Candia tutte quelleopere, fino ai vent'anni, di ispirazione, di-ciamo, massariana (parliamo di MicheleMassari), con temi e pennellate non certo

degne del De Candia successivo.Perdonate se ci attardiamo ancora su que-sto falò, lo facciamo per due soli buoni mo-tivi. Uno: per dirvi che da quel fuoco sonovenuti fuori due trasgressori finissimi, dueinnovatori credibilissimi, ognuno col suocielo e con le sue stelle. La loro dimen-sione, cari signori, è europea, e a questosono approdati solamente con la loro spe-ciale cultura, il loro istinto, le loro intuizioni(lasciamo al tempo, a qualche grosso sto-rico attento la scoperta di quel che è stato,di quel che è, il Movimento Genetico fon-dato da Dodaro, a Lecce, ma con dirama-zioni e adesioni di operativitàinternazionali; di quel che è stato, di quelche è, il segno drammatico del vichingo divia Montesabotino (siccome tra un po', nelnostro articolo, Dodaro e De Candia nonprocederanno più insieme, visto che, per ilmomento, continueremo a parlare di Edo-ardo, ci permettiamo di segnalarvi l'interes-santissimo e vastissimo archivio del"Movimento Genetico" che per ragioni distupidi soldi non può venire alla luce!).

DuePer cercare di dare, anche se brevemente,l'idea di quel che era la cultura di queglianni a Lecce, più o meno 1953-54. Ecco,per quanto riguarda la letteratura è vera-mente buon periodo: ha già quattro cinqueanni l'esperienza dell'Albero di Corni, ar-riva nel '54 L'esperienza poetica di Bodini,nel '55 sarà la volta de Il campo di Lala -Bernardini, poi del Critone di Pagano: el'abbondanza di riviste, lo sappiamo un po'tutti, denuncia lo stato di grazia di una cul-tura.Sul piano artistico, esaurita un po' la venadi Geremia Re (resta sempre, a detta diDodaro, il nostro più grande), c'era preva-

lente l'influenza di Michele Massari (da noiconosciuto tramite l'insistito intervento diun altro validissimo artista salentino - a Mi-lano e nel mondo da diversi anni - AntonioMassari, figlio di Michele e grande amicodi Edoardo e numero tre del "MovimentoGenetico", il numero due è Franco Gelli),Michele Massari, che, a parte la sua irre-quietezza esistenziale, in pittura, come cidice Ilderosa Laudisa, "non fu né rivoluzio-nario né innovatore".C'era Suppressa che nel '53 dipingeva telepost-cubiste. Della Notte che "faceva unapittura moderna ma non trasgressiva,molto modesta anche" (Dodaro); Ciardosempre ben visto; Mandorino che comin-ciava a pensare ai suoi blu di Prussia, aisuoi cieli rossi; Calò che in questi due anni,1953-54, "operava nell'aria moorriana.Dopo qualche anno esplose ed è artista digrandissimo livello" (Dodaro). AntonioMassari, risulta dalla sua Autobiografia, fai "primi studi ad olio sulla realtà alla ma-niera impressionista e, parallelamente, di-segni lirico-simbolici", dopo sarà lostupendo principe delle acque, profeta deigiochi con le acque, del caso.

Ecco, così andavano le cose nell'anno deifalò, con Edoardo che, vicino di casa delMassari, egregiamente riusciva a sintoniz-zarsi a questa forma di impressionismo li-rico. E in questo contesto arriva nel '53 F.S.Dodaro, arriva con la novità dei colori "bru-ciati", dell'astrattismo informale-surreale"bruciato". Nel '54 riesce ad esporre alla"Olivetti", sul corso Vittorio Emanuele, unasua opera: "Svergognato incantesimo dibarca" (il quadro più avanzato prodotto inquegli anni nel meridione: è lo stesso Do-daro a dircelo). Lecce si scosse. L'operaprovocò scalpore, vivaci dibattiti, indigna-

In queste pagine lo straordinario ritratto di De Candia scritto da Antonio Verri e pubblicato

nel settembre del 1988 su “Sud Puglia” (oggi “Apulia”)rivista trimestrale della Banca Popolare Pugliese

Un riferimento imprescindibile per quanti voglionoapprofondire la conoscenza del pittore leccese

Edoardo,un cavaliere senza terra

di Antonio L. Verri*

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zione, solo si alzò il vecchio Massari a di-fenderlo: "Questo qua sa il fatto suo", disse(lo stesso quadro, con il titolo "La barca",ebbe, dopo, un riconoscimento al Maggiodi Bari). Edoardo, che stimava il vecchioMassari, rimase turbato, quasi sbigottitodalle sue parole: si avvicinò a Dodaro ealla contemporaneità!Il passo per il falò, per la rinascita, perquella voglia di purificazione, di chiarezza,conoscendo la vivacità intellettuale di Do-daro, fu breve (tempo fa riparlandone conEdoardo mi disse che con quel falò volevaprovare a fare una mostra in cielo; e lamadre Margherita - una dolce e disperatadonna che non faceva altro che raccoman-darsi di non far bere il figlio - a propositodel tempo del falò così si espresse in unaintervista sulla Gazzetta del Mezzogiornodel novembre 1979: "Fu sui vent'anni cheincominciò a cambiare, prima era norma-lissimo, poi ebbe una crisi, non abbiamocapito perché bruciò tutti i suoi quadri"). Efino a questo punto con F.S. Dodaro.

Qualche mese dopo, preda di quella puris-sima ansia che anima i disertori, Edoardolo troviamo a Milano. C'è arrivato con Er-cole Pignatelli. Pignatelli ha le idee moltochiare e sa che deve fare e dove vuole ar-rivare, e arriva. Edoardo è subito sparato -pare sia una regola dei veri artisti - in undolce far niente, in un buffo bighellonareavendo come punto di appoggio il glorioso"Giamaica", in via Brera.Il "Giamaica", a due passi dall'Accademiadi Brera, vicinissimo alla Scala e al Pa-lazzo della Stampa, ha un fascino spe-ciale. In quegli anni è il covodell'intellighentia e della bohème milanesee italiana, il quartier generale delle fre-quenti crisi, delle novità, delle diserzioni.Sono passati di là un po' tutti. Quei modestitavolini, tra pareti di vecchie mattonelle dismalto, hanno incredibilmente arricchito lacultura italiana; erano tutti là, Crippa, Dova,Fontana, Arbasino, Nanni Balestrini, PieroManzoni, Bay, Sassu, Guttuso...Edoardo lega con Giorgio De Gasperi,buon pittore, illustratore della Domenicadel Corriere, e vive soavemente - con la tri-stezza necessaria di queste esclusiveesperienze - questa sua immensa avven-tura.Intanto scrive a casa, scrive dietro alle fotoche manda ai genitori, con grafia calanteche ricorda quella di Morandi (c'è molta se-renità: i rapporti col padre sono buoni.Edoardo in testa allo scritto mette: "per de-siderio dei miei genitori che io amo tanto"."Pippetta", come Antonio Massari chiamò

il padre di Edoardo, il "terribile secondino",come lo definiva Ugo Tapparini, non avevaancora, forse, idea di nuocere al figlio,forse sperava ancora... in fondo quel suofiglio s'era sempre comportato così bene,ragazzino già faceva statue di cartapesta,aveva fatto culturismo, per qualche annoaveva anche frequentato la Biblioteca, unbravo figlio, ecco... solo che a volte per-deva troppo tempo, tantissimo, tempo, aguardare dipingere Massari, e si sa la vitache fanno i pittori ... ).Si preoccupa, Edoardo, di mettere moltipiatti dipinti sul marciapiede vicino alla suacasa, una tela appoggiata al muro, fa farela foto; dietro la foto, tra l'altro, scrive: "vela spedisco perché testimonia in parte ciòche io sto facendo a Milano". In realtà a Mi-lano non sta lavorando, non ha mai lavo-rato, questo ce lo ha confermato moltevolte, lui è là per cercare di dare volto e ra-gione alla sua ansia, alla sua ossessione,a chiedersi perché le cose, che pure sonointeressanti, adesso non lo interessanopiù. E' la con tutta la sua solitudine perchiedersi da dove diavolo viene questo im-provviso furore, questo lento svilimento...Ancora. Si fa ritrarre con amici pittori da-vanti al "Giamaica". Spedisce a casa,scrive, tra l'altro: "non preoccupatevi del-l'ambiente in cui vivo, è tutta brava gente".E' brava gente, certo, anche se morta almondo, per un solo attimo, per un solo ine-sauribile breve periodo (è la bohème el'avanguardia di tutti), è gente che facil-mente si innamora delle novità più audaci,delle scoperte le più eretiche, si innamoradel gioco soltanto, della solitudine, della ri-volta, di buffe e picaresche palingenesi.Contemporaneamente arriva una foto-sa-luti di Pignatelli avvolto in una nuvola difumo, si è fatto fotografare insieme al ri-tratto che ha fatto ad Edoardo. Ma Pigna-telli sa giocare bene le sue carte, sa comemuoversi in Milano, tra un po' incontreràCardazzo che ne farà un pittore quotato. IlNostro, invece, candido fino all'inverosi-mile, vive le sue giornate come un Cava-liere puro e sprezzante e, a volte - comecontinua ad essere - anche giocoso, ma-linconicamente divertito. (E' inutile chie-dere verso chi del due corre la nostrasimpatia).

Di questo Solitario dal portamento fiero ealtezzoso si accorge anche Lucio Fontana,intento in quegli anni, praticando tagli eperforazioni, al superamento di un limitegeometrico ed esistenziale; Fontana glicompra un po' di disegni, glieli compra a10.000 lire, in qualche modo cerca di aiu-

tarlo: ne ha percepito il guizzo, la genialità;fino a che, d'accordo con De Gaspari,trova il modo per mandarlo in Inghilterra, aLondra, presso un College, una buona Ac-cademia d'Arte. (Chiediamo oggi, a Edo-ardo, qualcosa su quel viaggio: le cose checi racconto o ci vuole raccontare sonoframmentarie, o meglio, ci racconta conti-nuamente le cose che a lui sono più caree per le quali si diverte: ragazze e ragazziche cercavano di sedurlo, immensi campisportivi, qualche disegno che aveva con séed è restato là, lui che faceva i cavoli suoi,la direzione - ci dice - che lo cacciò via per-ché non rispettava le regole dell'ospitalità.Aggiunge poi che ha cercato, subito dopo,di ritornarci a Londra, ma non l’hanno vo-luto... C'è stata una parentesi di qualchegiorno a Parigi, accampato al caffè "Se-lecta", e l'incontro col suo "olandese vo-lante").

Continuiamo a grosse linee a tracciare l'iti-nerario di Edoardo, faremo a questo se-guire una replica più colorata registratadurante tutta la giornata del 25 giugno '87,la mattina a San Cataldo, la sera a Brindisiper quella che lui chiamava "una serata in-ternazionale" (visto il porto, i turisti ...), fa-cendo anche riferimento a qualche notacaptata nell'aprile '88, durante uno stu-pendo servizio fotografico, e un film conEdoardo, realizzato da Fernando Bevilac-qua.

Allora. Siamo ancora a Parigi o a Londra.Edoardo tra un po' si ritufferà nella provin-cia salentina. Durante la nostra intervistaparla di altre esperienze fatte fuori, ci parlaanche dello studio di Cassinari, a Milano.Tapparini, in una fotocopia di un articolo digiornale (ma non abbiamo né titolo nédata: crediamo, però, si tratti della Tribunadel Salento), dopo Parigi parla di "unabreve parentesi in casa di Casorati, a To-rino, dove gli veniva servito il latte e biscottila mattina, e dove il maestro lo tenne comeallievo".

F.S. Dodaro, Tapparini, Franco Gelli, DeCandia, Caputo, Antonio Massari, e poiRina Durante, Paola Re, Annamaria Mas-sari, figlia di Michele e sorella di Antonio, eprimo vero amore di Edoardo, qualchealtro o qualche altra che saltuariamente aloro si univa, e dobbiamo dire tutti o quasisotto l'occhio vigile di Vittorio Pagano(come poteva un poeta come Pagano nonamare i segni sicuri e la luce delle marinee le donne dilatate di Edoardo?) (un'altraPagano, Elena, sorella del poeta, era la

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stupenda "zia" alla quale andare a venderequalche opera quando c'erano problemi disoldi), ecco, tutti, quasi tutti amici, irrequietiin un contesto che non tollerava l'irrequie-tezza, ognuno con una sua precisa identitàculturale, con un suo speciale sogno, chenegli anni Cinquanta-Sessanta hanno vis-suto in modo eccessivo una Lecce conqualche speranza, galoppando in spaziche non avevano certo confini provinciali,cercando - non sempre è andata bene,però - di dar peso e materia alle loro gene-rose intuizioni. Ai loro guizzi. (E alla presenza di quasi tutti gli amici suc-citati un bel giorno esplose, su di una ne-rissima Balilla, una valanga di fiori e scrittee smalti: era stato Dodaro a convincereCesare Potì da Melendugno, che spasi-mava per la Rina, ad infiorare l'austero vei-colo paterno. Tutta Lecce fu avvolta nei giridella scanzonata Balilla. Tutti giovani.Quanto si aspettavano... Potì fu cacciatoda casa!).

Edoardo approda a Lecce. Il falò primadella partenza, Milano, il vecchio "Gia-maica", e poi i viaggi a Parigi, a Londra,hanno in certo modo lasciato un segno,hanno corrotto quel metro e ottanta di can-dore di via Montesabotino. Quella che untempo, nel ragazzo De Candia, era asso-luta speranza di libertà, adesso, dopo tuttoquel che è stato, diventa isterica voglia direalizzare, inquietudine, colossale bisognodi rompere le norme, la vita solita e grigia,l'avventura nei segni: pensate un po'quanto una Lecce che è stata sempre unapiccola bomboniera di piccoli bottegai e al-trettanto piccoli e felici pantofolai, quantouna Lecce del genere poteva contenerequesto cavaliere che non ha mai toccatoterra, questo purissimo imbecille sul cui

faccione si leggono gli ampissimi spazi, lagioia di vivere, la disperazione.Si rimette a dipingere. Si grida al miracolo.La luce. Il cielo. Il mare. Il sogno di tutti. Etutti arrivano in tuba e pelliccia da ogniparte.Nel novembre del '59, viale Lo Re, a Lecce- là si trovava la Galleria d'Arte "La Cor-nice" - è affollatissimo, non si è mai vistatanta gente per strada per una mostra, nonsi parla d'altro che delle tele semplici e lu-minose di Edoardo, si civetta sulle suegiornate e sulla sua nudità a San Cataldo.Mario Proto, su di un giornale cittadino,parla di "cromia a volte aggressiva e cor-posa, a volte luminosa e serenante", parladi "lirismo primitivo che la luce, legger-mente diffusa, evidenzia con delicatezzadi tocco", parla di particolare precisione egeometria, di odio per il dettaglio, ecc.Antonio Caputo (è il nostro Tonino), dallecolonne del “Pensiero Nazionale”, in un"Panorama della giovane pittura italiana",quasi commosso per aver ricevuto segna-lazione sul suo vecchio Edoardo, parla en-tusiasticamente dell'amico, ci informa cheanche Ugo Moretti, lo scrittore, è sceso aLecce per la mostra di De Candia e ne haparlato su "Rotosei". Caputo chiude: "edora attendiamo l'amico ai cimenti più impe-gnativi di Roma e Milano".

Ma Lecce è stata sempre l'instabile donnaallegra e leggera che conosciamo: mentreda un lato celebrava, così all'aria apertacelebrava, dall'altro prendeva i provvedi-menti necessari. Non si può tollerare unoche tutti i santi giorni raggiunge a piedi SanCataldo, e che fa il bagno completamentenudo, non si può tollerare chi ha scardinatouna finestra, per avere più aria nellastanza, chi si mette nudo in terrazza, chi

ha scagliato un piatto di pasta sul biancodella parete, chi per piacere del botto harotto un vetro che due garzoni trasporta-vano, non si può tollerare. E allora? Allora,servendosi di "Pippetta", del "terribile se-condino" (che pure, per quanto ci riguarda,deve in qualche suo modo aver amato il fi-glio) (certamente non molto corrispostostando a quanto ci disse meravigliato e unpo' preoccupato Antonio Massari qualcheinverno fa: "è morto "Pippetta", Edoardomanca da casa da tre giorni e tre notti".Però, chissà ...), allora, servendosi delpadre la città ha aperto e porte del suoOspedale Psichiatrico, e lo ha curato cosìbene che le porte gliele ha aperte ognivolta per cinque mesi, e per dieci anni.

E il mite Edoardo in tutta questa tragediasi è difeso come ha potuto: accentuandola sua già notevole irrealtà, esponendosialla curiosità bacchettona con fare candidoe bonario (ma era facile, è facile, indovi-nare la ferocia...), vivendo per tre mesicome un primitivo in una casupola in ma-rina di Sant'Andrea, cavalcando buffa-mente purissimi e segretissimi suoi folletti,facendosi adorare come pittore - moltobella questa sua vendetta: far venire agalla, contando sulla sua creatività, la cu-pidigia e la stupidità di quella gente che peraltro lo dileggiava e che gli aveva così co-modamente aperto le vie del Manicomio.

Rapidamente, prima di tuffarci nella nostragiornata con Edoardo. Nel 1965 colpisceancora, a sentire Enzo Panareo dalla Tri-buna del Salento. la mostra dal 10 al 24aprile si tiene al "Sedile" ed Edoardoespone 27 tempere ed 8 olii: si sbraccianoun po' tutti, l'incantamento è completo, peraltro c'è pure una stupenda presentazione

...Lecce da sempre lo ama e lo odia, lo teme, teme la sua libertà... Lecce èstata sempre l'instabile donna allegra e leggera che conosciamo: mentreda un lato celebrava, così all'aria aperta celebrava, dall'altro prendeva i prov-vedimenti necessari. Non si può tollerare uno che tutti i santi giorni rag-giunge a piedi San Cataldo, e che fa il bagno completamente nudo, non sipuò tollerare chi ha scardinato una finestra, per avere più aria nella stanza,chi si mette nudo in terrazza, chi ha scagliato un piatto di pasta sul biancodella parete, chi per piacere del botto ha rotto un vetro che due garzoni tra-sportavano, non si può tollerare...

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in catalogo di Vittorio PaganoAncora Lecce. Dal 15 al 30 novembre1969 alla Galleria "3 A", nei pressi dellachiesa di Santa Croce.Lecce ancora nel 1971. Lecce che dasempre lo ama e lo odia, lo teme, teme lasua libertà. Stavolta è alla Galleria BelleArti-Caiulo, dal 1° al 10 dicembre: in cata-logo lo presenta, efficacemente, Bonea,che ci fa subito notare che la produzionealle pareti è ben diversa da quella di Edo-ardo "felice paesaggista", del "pittore ma-rino". Adesso è il simbolo il nuovo oggettodi De Candia, "la realtà agli occhi e nellapittura di De Candia assume dimensionistravaganti, grottesche, eccedenti comun-que le comuni misure del piccolo e delgrande".Qualcosa, dunque, s'è spezzato, o almenosi è allentato. O si è splendidamente dila-tato! La città e il suo Ospedale psichiatricosono serviti almeno a questo. De Condiacomincia a respirare intensamente. Le di-mensioni, nel rispetto del suo segno pla-stico e sicuro, sono stravolte.E' splendido. Veramente. Sono di questoperiodo anche le prime "forme" di vocalicon la corona e dittonghi a tutto foglio: isuoi lettori, da questo momento in poi,prima di parlare delle sue opere devonoaver chiara tutta la cultura novecentescaeuropea. Non solo pittorica.Soffia buon vento. Anche se sballottato da"geniali medici di follia" che Tapparini pa-ragona agli immortali dottori di Pinocchio,Edoardo attraversa un buon periodo crea-tivo. Siamo ad un passo dalla mostra diFerrara.E' il 1972. Al Ristorante Mazza (nationalclub), a Ferrara, viale Po, dal 22 aprile al25 maggio espone una quarantina di tem-pere quello che in catalogo viene chiamato"il pittore del Salento": molte nuove marinee altrettanti nudi di donna "dove ritroviamo- scrive molto semplicemente DanieleRubboli, che lo presenta in catalogo - unaopulenza femminile in candida offerta nelsapore d'antiche forme d'altre civiltà medi-terranee". Ferrara è ancora provincia, nonè certo da paragonare alla Roma e alla Mi-lano che gli augurava Tonino Caputo: perEdoardo non esce fuori il Cardazzo diturno, perché un Cardazzo deve arrivarglisopra ad Edoardo, impossessarsi violen-temente di tutto Edoardo, lui non è tipo daandarselo a cercare un Cardazzo, a lui vabene così la vita, anche se a volte sgo-mento ci dice: "Un disegno oggi lo vendoa te allo stesso prezzo che trentacinqueanni fa lo vendevo a Fontana". Colpito.Ferrara risponde benissimo, un entusia-

smo da non credere, Edoardo, come intutte le altre mostre, vende tutti i suoi lavori,la Gazzetta di Ferrara riprende la presen-tazione di Rubboli, il Resto del Carlino divenerdì 5 maggio '72 ricorda che De Can-dia "per l'originalità del suo tocco vieneconsiderato dalla critica come uno degli ar-tisti più interessanti delle nuove correnti".Altri giornali, a Ferrara, riprendono la mo-stra, mentre il Catalogo degli Autori, pub-blicato dalla Casa Editrice Alba, semprenel '72, dà vita, opere, giudizi e quotazionidel Nostro... E non si capisce se è durantequesta mostra oppure durante la sua per-manenza a Lecce che Edoardo incontraquello che lui chiama "il mio olandese vo-lante", col quale vola fino a Catania, noncerto per cercare spazio per nuova espo-sizione!

De Candia pittore si rivede in pubblico nelmaggio '81, a Lecce. Franco Gelli gli ha or-ganizzato una mostra al Consorzio Arti-giani, di fronte al Municipio. Molti nuovilavori, il simbolo anche qua la fa da pa-drone. Molte nuove esplosioni.E proprio in questa occasione che la no-stra conoscenza si trasforma in amicizia.Noi siamo, con la nostra prima edizione di"Al banco di Caffè Greco", al Circolo Citta-dino, ad una cinquantina di metri dalla sa-letta del Consorzio Artigiani. Viene atrovarci insieme a Paolo Arnesano. Dopodue giorni suggelliamo il tutto con una be-vuta e lui che spontaneamente ci dedicaun disegno di una purezza indicibile, unabbraccio, una fusione di due corpi stra-piena di grazia greca.Continuiamo a frequentarci, a bere anche,lui collabora stupendamente al secondofoglio giallo di Pensionante. Sarà protago-nista della seconda edizione "al banco". Ecorriamo... corriamo... siamo ai nostrigiorni.

Questa seconda parte non è che la regi-strazione di una giornata intera con Edo-ardo, la mattina a San Cataldo, la sera aBrindisi per "una serata internazionale".Dei frammenti di appunti frettolosi ma cherivelano il personaggio.Edoardo non è cambiato molto da quelgiorno. Qualche settimana fa sono andatoa trovarlo nella sua casa di via Montesa-botino. Come va? Come sempre. Verri, tusei un poeta... Guarda come sempre inalto. Che vedi, Edoardo? E lui, conti-nuando a guardare in alto: "mosche, mam-miferi, lucertole"... Manda dieci volte aldiavolo il mondo intero e poi sbuccia suqualche suo ricordo. Le pareti della stanza

sono una sorta di tazebao. La solitastanza: una vecchia credenza stracolma diriviste, sigarette e pennarelli, un armadiettocon sopra fogli usati e da usare, sulla sediaaccanto alla sua branda bicchieri e bic-chieri e bicchieri, qualche bottiglia, la "sca-tola diabolica" (così chiama un poverotransistor), una porta che comunica conl'esterno, chiusa da un parapetto in pietra,uno specchio, il lettino dei suoi sfatti o tor-mentati riposi addossato ad un muro pienodi segni e scritte, una piccola tela con unsole celeste di fronte al letto, sintesi del suocielo e del suo mare (i suoi occhi, quandoè sveglio o quando parla con qualcuno,sono sempre su quella piccola tela); lochiamano dalla strada, adesso è sullaporta-finestra, strani armeggi con una ra-gazza vicina di casa: "mi dà il saluto e io lariempio di sigarette e caramelle. Solo il sa-luto", puntualizza. Senza soldi sto meglio,dice, mi insozzano; chiedo soldi soloquando ho qualche debito (vale a direquasi sempre): s'è ormai abituato all'ideache scrivo su di lui e allora tira fuori ricordie sue particolarissime massime. Mi indicale sue tele, poi quasi sconfortato mi dice:"ti do le mie cacate, tu dammi la carta igie-nica (e si riferisce ai soldi)". E' nero, maquando è in casa è sempre di questoumore, la sorella che lo accudisce ne sop-porta di tutti i colori.Qualche tempo fa l'ho spinto a fare unomaggio a Toma poeta per un volume car-tella che chi scrive sta curando insieme aMaurizio Nocera; Salvatore Toma avevaun affetto speciale per De Candia (grandeamico di Edoardo è un altro Toma, AntonioToma, un alchimista, un personaggio diuna serenità sconvolgente, che abita tra ilSalento e l'Olanda); quando sono arrivatostava bofonchiando contro il responsabiledi una Galleria "in" leccese: mi ha fatto farecinquanta tele per una mostra, mi ha datoun milione, ma la mostra non la farà mai!Solita storia questa per Edoardo, nessunosi spreca a dargli una mano, chi lo avvicinapunta solo ad accaparrarsi delle opere inattesa di...

Torniamo al giugno '87. Siamo per stradaper andare a San Cataldo. Tappe obbli-gate qualche bettola e qualche bar. Solita,incredibilmente solita strada, piazza S.Oronzo, Piazza Mazzini, via per il mare...Eccoci arrivati. Ci si dirige verso il faro, na-turalmente, è quello il suo posto, da sem-pre. Siamo seduti sotto una tettoia dovevendono da bere. Sa che sono lì ancheper prendere appunti e, stranamente, co-mincia...

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Edoardo sempre accigliato, subito sorridente. Edoardo continuamente suibordi, trafitto da tutti, Edoardo dalla pancia di Budda, Edoardo con molti lun-ghi capelli bianchi e tanti ridicoli folletti... A Milano non facevo niente, andavonelle librerie, nelle gallerie, l'ho girata tutta a piedi... Sono tornato a Lecce,ho lavorato molto, ho incontrato un olandese, il mio olandese volante, e conla sua vecchia Ford, che serviva anche per dormire, siamo andati a Cataniaper fare una mostra, ma lo lasciai là con la sua francesina e me ne andai.L'ho rivisto a Parigi, io stavo andando a Londra... Dopo tutte le delusionidella città ho cominciato ad amare boschi e mare.

Un pacco di disegni li ho lasciati a Milano,forse a casa di Pignatelli, quello li avrà fir-mati e se li sarà venduti. è proprio unidiota: pensa, ha una villa a Santa Caterinae non se la gode, io che non ho niente migodo tanti posti....Brindiamo. Accenno a Carmelo Bene, loso suo amico di tanto tempo fa. CarmeloBene, ci tiene a dire, sono io che quandol'ho incontrato a Calimera non l'ho ricono-sciuto. Ha aperto la porta del camerino egli ho detto: "cerco Carmelo Bene". Sonoio, ha risposto. Era più basso di prima, piùpiccolo, prima si faceva sempre festa,sbornie, storie, a Lecce, a Roma. Era di-ventato più basso, non l'ho riconosciuto.Si sposta dove non c'è ombra, Edoardovive, si nutre di sole. Poi, aprendo un pac-chetto di "Gitanes Internationales", mi diceche ha intenzione di scrivere un libro.Lo guardo interessato. Lo intitolerò Il cieloin testa, dice ridendo. Aggiunge che Ero-strato pisciava da sopra i palazzi, qualchecosa la prende anche da Pavese.La cultura di Edoardo, tutto un sentito dire,da Pagano, da Massari, da altri; appenamette mano alla penna sono solo erroraccie cattiva scrittura. Poi ci sono i pennelli...Edoardo sempre accigliato, subito sorri-dente. Edoardo continuamente sui bordi,trafitto da tutti, Edoardo dalla pancia diBudda, Edoardo con molti lunghi capellibianchi e tanti ridicoli folletti.

Mi vuoi parlare delle tue mostre? Alza ilnaso al cielo. Quattro, cinque a Lecce,dice, poi Ferrara, tira fuori Catania. A Lon-dra ci sono andato senza una lira, a piedi,come pure a piedi ho fatto Catania-Milano.E sono tornato senza una lira dopo averlasciato delle tempere in un College d'arte.Edoardo è pronto - a questo è sempre

pronto - a far intendere questioni di sesso,ragazze, un negro, è pronto a parlareanche di rapporti diversi, lui ci gioca conqueste cose, si diverte. Mi hanno cacciatovia perché non rispettavo le regole del Col-lege, me ne andavo per i cavoli miei.Fontana a Milano mi prendeva disegni, midava i soldi però, e a volte mi ospitava. l'al-tro che mi ha ospitato spessissimo è DeGasperi, illustratore della Domenica delCorriere. Ho conosciuto là Munari, mi fa-ceva ascoltare musica cinese, poi gli hoaggiustato del manichini in una vetrina,nella vetrina della "Chatillon", e mi ha dato25.000 lire. Un paio d'anni a Milano, conmolta fame e senza molto dormire, gli altrihanno ingranato, io non lavoravo.Dopo tutte le delusioni della città ho comin-ciato ad amare boschi e mare. Sono arri-vato a Lecce. C'era una marsigliese cheveniva con me alle Cesine, era bionda,alta, robusta, gambalunga; poi c'era la se-dicenne di Francavilla con un seno giustoe uno piccolo, sembrava un'amazzone,con lei sono stato in Grecia.Mi lascia, vuole entrare in acqua. Mae-stoso, gigantesco, sprezzante, come in-tento ad un sacrificio, comincia a violarel'acqua, l'acqua si richiude, lui si dilata in li-bertà. Sto pensando a Toma che fino all'ul-timo suo giorno mi ha sempre detto: nontradire Edoardo... Stanotte ho sognato unsantone indiano che mi guardava; poi Car-melo Bene che stava nel mio giardino. Gliho preso le robe.A Milano stavo con Cassinari nel suo stu-dio: a Lecce, a quindici anni mi sono licen-ziato da un cartapestaio dove lavoravo, cisono stato sei anni, facevo bambole, sta-tue, dopo ho cominciato a fare i primi qua-dri. Beve di nuovo, e poi: sono andati poitutti bruciati. Per liberarmi, dice, sotto con-

siglio di Saverio Dodaro. A vent'anni hofatto la prima mostra al bar "La Torinese",poi dopo alla "Cornice", al "Sedile", a Ca-iulo. Ho fatto anche un periodo di cuituri-smo. A Milano non facevo niente, andavonelle librerie, nelle gallerie, l'ho girata tuttaa piedi; dipingevo solo qualche ceramica,qualcosa la vendevo, un piatto se lo preseCardazzo che aveva la Galleria del Navi-glio, per mille lire! Poi in Sicilia a fare unamostra; intanto la moglie di De Gasperi, in-glese (in realtà una scultrice irlandese),aveva spedito i miei disegni ad una acca-demia a Londra, così mi hanno invitato. Sirituffa.Continua. Lo lasciamo continuare in pienalibertà, solo interrompiamo qualche voltaper alzare il bicchiere. Sono tornato aLecce, ho lavorato molto, ho incontrato unolandese, il mio olandese volante, e con lasua vecchia Ford, che serviva anche perdormire, siamo andati a Catania per fareuna mostra, ma lo lasciai là con la suafrancesina e me ne andai. L'ho rivisto aParigi, io stavo andando a Londra.S'interrompe inspiegabiImente. Sta rispon-dendo a qualcosa che gli avevo chiestodue ore fa: non vogliono la mia morte per imiei quadri, mi vogliono morto perché micredono felice. Idioti!Dopo Londra vado a Milano - il direttore miaveva fatto Londra-Milano - da Milano ri-vado a Londra, ma non mi hanno più vo-luto, sono venuto via da Lille col foglio divia. Splendido Edoardo, è qui davanti ame, anche se con gli occhi in alto segue lemaglie della sua vita d'allora, magari unabiondissima ragazza inglese, con lentig-gini!Dopo Londra, Lecce, definitivamente, conTapparini e Caputo che ogni tanto mi por-tavano a Roma. Poi una volta, tre quattro

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anni fa, decisi di andarci da solo a Roma,per lavorare; andai con sotto il braccio unrotolo di opere erotiche, le più belle che homai fatto. Ne ho venduto solo due, per cin-quantamila lire, ad un leccese in via Ve-neto, gli altri fogli me li hanno rubati sultreno mentre dormivo.A Roma sono successe molte cose. Mihanno prima cacciato dalla Cappella Si-stina, poi sono andato in via Condotti dovedue questurini mi hanno chiesto i docu-menti, io non li avevo, mi hanno allorachiesto che cosa ero venuto a fare aRoma, io ho risposto che ero arrivato fin làper restaurare la Cappella Sistina, mihanno portato in questura; appena saputoil mio nome hanno telefonato a Lecce e quihanno saputo dire solo che ero stato moltotempo in manicomio, mi hanno portato al-lora in un manicomio a Montemario, aSanta Maria della Pietà, e lì mi hanno te-nuto per quindici giorni facendomi elettro-shock, iniezioni, pillole.Non è finita. Mi hanno messo su di untreno per Lecce, sono sceso a Bari, sullungomare è passata una bella donna, iole ho accarezzato i capelli e due tipi mihanno menato, mi hanno rotto quattro co-stole, quaranta giorni d'ospedale a Lecce.E mi hanno fatto anche tanti verbali!Ecco. Una ventina d'anni fa mi hannomesso per la prima volta in manicomio aLecce perché mi stendevo nudo sulla ter-razza, avevo rotto la finestra della mia ca-mera, bevevo un po', facevo la corte a unae non la fermavo mai, innaffiavo piantecontro la volontà del giardiniere; il risultatodel medici fu: paranoide schizofrenico; imiei genitori erano colpevoli, ma i medicierano ancora più fessi e colpevoli.Dopo Roma, a Lecce, mi sentivo cosìbene, tanto bene... Mi hanno messo dinuovo in manicomio. Appena mi sentivobene mi mettevano in manicomio. Intantodipingevo, vendevo agli infermieri, ai me-dici porci, e poi, e poi...Il tempo per una nuova entrata in acqua.Un panino con dentro dei salsicciotti man-giato in un bar là vicino, un caffè, ed eccocidi ritorno a Lecce. Sono le tre del pomerig-gio, Edoardo non l'ho mai visto così ben di-sposto. D'improvviso mi propone di andarea passare con lui una "serata internazio-nale" a Brindisi. Ci penso. Accetto. Due senon hanno qualcosa in comune non le-gano mai così bene. L'appuntamento è perle sei a casa sua.Sono le sei. Edoardo è pimpante. Vi assi-curo: mai visto Edoardo così in forma. Par-tiamo. Durante il viaggio mi racconta chequalche volta è andato a Brindisi con i suoiquadri. Niente, dice, i turisti hanno i soldicontati; al Café de Paris le consumazionile pagavo con un quadro...

Siamo a Brindisi. Qua la "carcassa"prende vita. Cammina per tutto il molo colnaso al cielo e la destra come un pendolo.Si ferma ad un pescivendolo e mangiapesce crudo, la gente comincia a guar-darlo come un mostro marino. lo, che nonho la sua stessa forza, non so dove guar-dare.I suoi lamenti, quello di cui si lagnava aSan Cataldo, qua tutto si dissolve. La fi-gura già eretta adesso assume un porta-mento burbero, aristocratico. Come uncavaliere solitario sa dosare benissimoquel che di sé deve dare o mostrare.Cerchiamo un posto per sederci ... ma nonpuò essere che il Café de Paris! La serataè splendida, sul tavolino abbiamo la primaCeres scura, Edoardo ride a bocca larga,tanti seni intorno ballonzolano.Affiora qualche malinconia. Si ricomincia.Una volta con un chiusino dell'acquedottoho rotto una vetrina sporca, non si vedevaniente: mi sono fatto cinque mesi. Altri cin-que mesi perché ho detto ad una ragazza,che s'era già tolto il reggiseno, di togliersianche le mutande per prendere il sole alculo. Altri cinque mesi perché distribuivosoldi ai passanti. Lecce era sempre piùstronza (la birra scura fa salire di tono, di-lata: "solo tu mi fai soffrir, solo tu mi faimorir" canticchia Edoardo, prima c'erastato "partirà, la nave partirà"). Passanomolte belle ragazze, quelle un po' turchesono le brindisine.Qui a Brindisi sono stato schedato, unanotte in camera di sicurezza perché nonavevo documenti e volevo mettere del di-schi verso l'una di notte. Il giorno dopo, acasa, ho sbattuto sul mura un piatto dipasta fredda, "attaccata": altri cinque mesi!La Ceres è finita. In camera a Londraavevo una modella nuda ma facevo dise-gnini per cavoli miei. Poi hanno fatto unafesta in costume, io mi sono presentato daAdamo dipinto, mi hanno cacciato. La mo-della continuava a dire che ero un pazzo...Adesso comincia a dar voce, in inglese (sifa per dire: in due parole di saluto che co-nosce), alla gente che possa, a vecchi, unpo' a tutti, invita a bere. Ride con la solitarisata pastosa e sicura, canticchia, fumacon avidità le sue Gitanes.

La sera, questa sera, ce la siamo ritagliataper non correre dietro alle solite osses-sioni. Una serata internazionale. Con turi-ste e navi. E l'Appia. lo gli consiglio di nonesagerare con i saluti e gli inviti alle turiste.Ricordati di Bari, gli dico: quattro costolerotte per una carezza ai capelli di unabionda. Non mi sente, naturalmente. Im-provvisamente. Al Club Mediterranée sonoarrivato nudo e dal mare. Denuncia e altri

cinque mesi.La nave per la Grecia sta per partirei. Ilcorso comincia a pullulare di brutti ceffi.Non più le dolcezze bionde. Il camerieredel Café de Paris è ormai un nostro amico.Fosse per me lo chiamerei Vassily. Una ra-gazza la invitiamo a farci una foto. Lui giàmi parla di una nuova serata internazio-nale a Otranto...

Tornato dall'Inghilterra mi sono sistematoalle Cesine, all'isola dei conigli, ci potevoarrivare da San Cataldo... mare mare. Iquadri per la mostra al Sedile, uscito dalmanicomio, li ho fatti in un pagliaro vicinoa San Cataldo. Vassily ci porta una nuovaCeres bruna con etichetta capisotto.Edoardo va per conto suo. Ho lasciato unquadro al ristorante Colomba, a Venezia,mi davano da mangiare e c'era una turistaamericana che mi fotografava di continuo.Quindici giorni nella città sul mare. Sognosvanito, dice, ed è come il mio cielo intesta...Con Carmelo Bene un tempo ci siamo di-vertiti. Una volta stavamo andando a piedia San Cataldo, la madre e il padre di Car-melo dietro con la macchina che gli grida-vano di salire e lui li mandavacontinuamente al diavolo. Ci siamo visti aRoma con Carmelo, Caputo, Tapparini egli altri. Arriva una nuova Ceres.Vassily vuole venire a trovarlo a Lecce.Edoardo gli da appuntamento alle "Dolo-miti". Nuova foto. Mi riparla di poesie cheha scritto da giovane. Mi mostro interes-sato. Lui continua, continua... davvero unEdoardo non solito! "L'unico che ha fatto ilmio bene è stato il dottor Guglielmi, gli altriche mi hanno organizzato mostre lo hannofatto solo per rubarmi dei quadri. Si fermaun po'. Poi: questa, dice, è una mia poesia:Voglio una casa di vetro, di che cosa midovrei vergognare...Prego, prego, ciao, hallò, si avvicina agliultimi turisti. Altri sorrisi. Chiede dovevanno. Atene, gli dicono. Ah! Atene, le Ci-cladi... Poi mi dice: manchi di cultura, nonsai chi ha fatto la "scuola di Atene"... E’ in-contenibile Edoardo. L'aria della sera correnella sua camicia aperta, non è il cavalierepuro e malinconico di sempre che ho da-vanti. Stiamo lasciando Brindisi. Ti farò, midice, una grande Betissa, grandissima...La macchina va. Sta un po' senza parlare,poi: hai visto come ridono queste turiste, lenostre donne sono tristi, sempre tristi...Sono una gran cosa i guerrieri che squar-ciano improvvisamente la notte. Di solitonuotano nella più nera disperazione e, gi-ganteschi, tentano il cielo.

* In “Sudpuglia”, 3 settembre 1988, N. 3

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Antonio L. Verri ritratto da Edoardo De Candia

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di Maurizio Nocera

Se ne andava in giro per la città con gli zoccoli aipiedi, una criniera leonina biondo-castano sullatesta e sotto all’avambraccio un rotolo di carteacquerellate a mano. Gridava: «Carte! Chi vuolecarte. Carte dipinte di giallo, di rosso, di verde,carte di colore blu! Vuoi una carta anche tu?».

Qualche buon arsapo si fermava e gli sfogliava il rotolo, poinon contento di quanto visto, tirava su il mento e continuavaper la sua strada. Il finto tonto-pazzo allora gridava ancora dipiù: «Ma chi vuole queste carte colorate, dipinte con i colori delladisperazione, della solitudine, della sofferenza, carte dolenticarte di una notte inquieta sospesa al davanzale della finestrabassa, nell’attesa che il corvo di turno passi per portarsi viala mia vita?».Fumava e fumava il finto tonto-pazzo e di notte, nel segretodella cella del suo inconscio, piangeva per essere solo almondo, per avere freddo, per non avere nessun profumo fem-minale, per non sapere cosa sia il calore di una carezza sullaguancia. Piangeva e piangeva il finto tonto-pazzo. E dispe-rava disperava disperava...Una notte Arsapo decise di passare dalle parti della casa delfinto tonto-pazzo e, un po’ camminando, un po’ volando, unpo’ facendo la serpe che striscia per non farsi vedere, edanche un po’ facendo la tartaruga scema che finge di non sa-pere correre, lo vide e lo sentì lamentarsi appeso sul davan-zale della finestra di via dei barboni divini, di/vino. Si fermò e lo guardò. Gli disse: «Angelo mio, perché piangi?». Il finto tonto-pazzo rispose: «Sono disperato, caro Arsapo.Tutti mi evitano, mi dicono che sono tonto, pazzo, e miopadre, sai che fa mio padre?, di notte, mi fa la pipì “su lla capusenza coppulo”. E poi nessuno vuole più le mie tempere, imiei dipinti. La stessa mia storia di Cavaliere senza terra, noninteressa più a nessuno. Allora mi tocca proprio morire?».A queste parole, Arsapo si commosse, pianse un po’ e ri-spose: «Angelo mio, non avere paura, sarò io a comprare letue carte dipinte di luce, perché io amo la luce. E per quantoriguarda il tonto-pazzo che gli altri ti danno, lasciali fare, tantosi tratta soltanto di poveri uomini che non sono riusciti a di-ventare arsapi, costretti come sono un giorno a dover diremale di uno, e un altro a dover dire male dell’altro. Si scan-nano fra di loro perché non sanno volare. Tu, invece, ora im-parerai a volere con me!».La leggenda narra che da allora il pittore finto tonto-pazzo diLecce cominciò a bere Vin santo e a ridere fragorosamentein faccia a tutti, anche a suo padre, che di notte, continuò afargli la pipì “su lla capu senza coppulo”. Ma ormai Odoacre sapeva volare ed era divenuto un artistaarsapo con le ali. Volava sul centro storico della città anticadipingendo arcobaleni di luce nel cielo.

L’arsapo finto tonto-pazzoEdoardo Leonesso e la signorinavecchina Evelina

Ho sempre avuto con me unafotografia di Edoardo con unavecchina, alla quale sta spie-gando come fare per vivere.Andava spiegando proprio luiche non sapeva come fare

per vivere. Un giorno mostrò questa fotogra-fia al suo amico Antonio Massari, il quale midice che su di essa egli vede Edoardo Leo-nesso e la vecchina, là per là soprannomi-nata Evelina, Canarina, Gelsomina,Cartilagine. Poi prosegue: La mano di Edoardo Leonesso è di pietra, lamano di Evelina Canarina, Gelsomina, Carti-lagine di velluto.Mi dice Antonio che questa è la più bella im-magine che il cinema neorealista francese(da Clair a Trouffaut) ed anche quello italianonon siano riusciti a produrre. Edoardo ciclopico, gentile, attento a non uc-cidere. La signorina vecchina con corpetto,sciarpetta, cappellino, soprabito, le due maniincernierate che fanno una colomba asimme-trica. La mano di pietra di Edoardo e la mano divelluto di Evelina suggeriscono un pensiero:IL LEONE ACCAREZZA UN GELSOMINOCOL TERRORE DI UCCIDERLO.Possibile fumetto decandiano:«Nna! Signorina sinti? Signorina? Addavvero,addavero? Nna! Ca puru ieu, puru ieu suntusignorino».Potrebbe trattarsi anche di un signorinoleone.Commento: gli adulti leccesi lo destavano, lotemevano. Invece i bambini, gli animali, i de-boli, come Evelina - Canarina - Gelsomina -Cartilagine, no! Ma forse che i bambini, glianimali, i deboli hanno il codice amico-ne-mico?

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Fascisti ancora sono i porticial centro di questa Lecce

- stupida betissa,dove due pazzi selvaggi tele di ragno ardono con forte puzzo di odoacri odori rilasciati da gonnelle cascanti di preti travestiti in seminario. Due eretici, due matti ridono sul rogo variopinto di edoardi colori rintronati di vino andato in fumo di testa:l'indiano fa unoe dal ramo alto del leccio antico i passanti a più non posso piscia,l'altro col pollice su e giùacquattato se ne sta per virtù.

Fuoco! Odoacre, fuoco!Fuoco su tuttoche tutto luce il volto tuo fa negli occhi infuocati di peperoncino sa-lentinocon l'anphalos del tuo ventre di mon-tone badischiano infiammato da stelle esplodenti. I pazzi ragionatori del cazzo salgono incattedra alle improvvise grida di gioia verginalee con mani di buldozer cercano nel fuoco del rogo di Edoardo le ceneri nere di corpi bellisimi di donneMesar-lì spentesi ormai come puttane andate infumo sulla strada battuta che da questa città

- stupida betissa,a san Cataldo porta. Bruciano le tele e brucia anche la carne sofferentele cavità violate,le purissime trasgressioni, gli incesti che di rose profumanola notte di selciato a morte segnata.

Tra crani infuocati e cuori al nucleareil cervello di Edoardo mangiato mi sono!

Nel rogo che il Vichingo ora ardeun cielo e tante stelle c'è:un universo di dolci nature,un incanto di femmine gatto,un amore che al palo si incatena,una donna che per nome ti chiama,un bambino che ti dice «Aoh! cosafai?»,un nido di uccellini che l'azzurro respira,un uomo grande e tragico,cavaliere solitario nella notte, che come Vulcano erutta e scoreggiacon un bicchiere di rossoin gola tracannato.

Fuoco! Odoacre, fuoco!Fuoco su tuttoche tutto luce il volto tuo fa su questa Lecce

- stupida betissa,

radice ancora dell'albero lucugnanodi un Comi Girolamo soffiatoe di un Bodini che scrivedi poetiche esperienze e di lune borbonichesui timidi campi laliani arati appenadai possenti critoni leccesiche il piccolo calvo uomo al biliardo di piazza sant'Oronzo si gioca.Vittorio Pagano di «Odoacre l'Anglo» sa tuttoe per la bigotta città grida forte il suonome,intanto che il critico in sottana nera come scorfano di mare tace e invidia; Francesco Saverio Dòdaro Efesto difuocosul fuoco del rogo di Odoacre soffia,e purifica purifica purifica,lasciando che il candido Antonio Massari teneramente in silenzio si commuovasul gomito artista di suo padre Micheleincisorea quei tempi con Geremia Re pittore.

Tra cieli rossi di fuoco e orizzonti dimare disperatila testa di Edoardo mangiato mi sono!

Nel rogo che l'Apache ora ardeun mare e tanti pesci c'è:un'immensità di profumi acquatici,una sirena dagli occhi di luna,un idiota che le onde guarda,l'uomo dei curli che dal fondo ti chiama,una murena che di Aoh! è sposa,un pesce-civetta che nell'abisso sprofonda,un uomo alto e triste,dio solitario tra i flutti, che come Nettuno erutta e scoreggiacon un bicchiere di rosso in gola tracannato.

Fuoco! Odoacre, fuoco!Fuoco su tuttoche tutto luce il volto tuo fasull'irrequietezza di merda artefattadi questa Lecce

- stupida betissa,che con camicia bianca e colletto inamidatoin giro se ne va barocca e fascista col culo stretto e il naso in su quasi che fosse un cielomare d'oltreblu:Lino Suppressa passa con strambi cubiin testa,e Nino Della Notte il trasgressivo vorrebbe fare,Francesco Ciardo vive e dipinge cutinella sua Gagliano estrema,mentre Lionello Mandorino a Collepasso un contadino Gesù Cristo storpiato crocefigge in tela,Calò a Roma dà forme tonde a suamadre morta

e Pignatelli a Milano con curve a gomito fiche di formacolossa sforna.Edoardo Odoacre, invece,elegantissimo uccello di vino e coloregonfioscalzo se va per le giravolte viecon una penna di gabbiano in testa,volatile pennuto di alto mare credeesserealla ricerca di una gabbianella sperduta.

Tra stelle cadenti infuocate e menhirall'ombelico spezzati le gambe le braccia le mani i piedidi Edoardo mangiato mi sono!

Nel rogo che l'Indio biondo ora ardeuna foresta e tanti alberi c'è:una montagna di foglie amanti,una bambola di pezza vestita a festa,una natura di donna spalancata,una crepa nel cuore,una strada bianca,una donna morta sul ciglio,un'ombra di un uomo mite e buono,gigante solitario nella notte, che come Polifemo erutta e scoreggiacon un bicchiere di rossoin gola tracannato.

Fuoco! Odoacre, fuoco!Fuoco su tuttoche tutto luce il volto tuo fasu questa Lecce

- stupida betissa, non ancora scossa, indignata,turbata, sbigottita.

Fuoco! Odoacre, fuoco!Fuoco su tuttoche tutto luce il volto tuo fasu questa Lecce

- stupida betissa,menzognera, traditora,vigliacca, coccodrilla.

Fuoco! Odoacre, fuoco!Fuoco su tutto.Fuoco! Odoacre Edoardo, fuoco!Fuoco su tutto.

Tra nature di donne infuocate e carezzeinfinite il cuore di Edoardo mangiato mi sono!

«Vieni, c'è una strada nel bosco,il suo nome conosco,vuoi conoscerlo tu?»

di Maurizio Nocera

(Il nome Odoacre è stato usato per la prima voltaconiato negli anni '50 da Vittorio Pagano;

successivamente, Antonio Massari l'ha ripresoriportandolo nel libro Edoardo,

edizioni D'Ars Narrativa n. 1, Milano 1998)

Fuoco! Odoacre, fuoco!

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Esistono, credo, diverse tipo-logie di espressionismo chenei secoli hanno tracciatoun solco trasversale nel ter-reno dei linguaggi visivi. Leopere e gli autori s’affollano

in tale definizione e corrono in fiera li-bertà lungo il filo dei secoli. L’“espres-sione” per molti versi mi apparesinonimo del “fare” artistico ove la figu-razione vive in una duplice dimensioneesprimendosi da un lato come stru-mento emozionale, dall’altro come pro-dotto della vita, carne viva, sentita esensibile. Vita essa stessa.

In De Candia emerge prepotente ilgesto espressionista, primitivo, primor-diale e autentico che lascia intuire la sa-cralità della forma, quindi la sua

perfezione. Per Edoardo il concetto diperfezione è indivisibile dal manifestarsidella vita, delle cose vive, dell’azione edel gesto appunto. In definitiva, neltratto decandiano si muovono, intrec-ciandosi, una remota autenticitàespressa da un indiscusso senso di vi-gore e virilità dei segni ed una animale-sca e biologica idea di sublimazionedella forma. Possiamo parlare in questocaso di Primitivismo Aureo: un’arcaicaperfezione si palesa nelle morfologieanatomiche quanto nelle visioni marine.In quest’ultime la sintesi del tratto cro-matico fissa sul foglio il senso d’immu-tabilità del paesaggio, contraltareall’evidente senso di caducità espressodagli elementi che sembrano deterio-rarsi, decomporsi appunto con il pas-sare del tempo. Nei suoi paesaggi De

Candia tratta il colore come fosse fruttodi un linguaggio segnico, frutto diun’azione e codice linguistico. Altresì lalinea diviene struttura cromatica. Altret-tanto chiaramente, tale idea di arcaicaed ancestrale perfezione si palesa conforza nei corpi nudi di De Candia, neimuscoli delle braccia, nei torsi e soprat-tutto nella sensualità greca ed etruscadegli sguardi, nella regalità Classicadelle barbe e delle labbra. Corpi che perleggerezza potrebbero volare ma hannorinunciato al senso decorativo insito nel-l’atto del volo e si appesantiscono ada-giandosi sulla terra nuda, intenti solo adoziare o a formicare.Tale Primitivismo Aureo è da conside-rarsi alternativo al fauvismo matissianoe “decorativo” al quale De Candia èstato finora accomunato. Un’associa-

La perfezione primitiva del gestodi Egidio Marullo*

Edoardo De Candia, al mare, l’immagine (qui in bianco e nero) compare sulla copertina del catalogo della mostra tenutasi a L’Osanna di Nardò nel 1993

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zione, se non del tutto sbagliata, sicura-mente approssimativa e che negli anniha contribuito a sminuire l’indiscussa elampante forza espressiva dell’artista,stemperandola in un costrutto troppoculturale e artificioso. Lo scatenarsidella carica decandiana è assoluta-mente gratuita e lontana dai misteridelle interpretazioni intellettualistiche,soprattutto non possiede alcuna sovra-struttura culturale: è pura estetica. Edo-ardo è Fauve senza “Cage”. La suapittura non è decorativa, non è sover-chiatrice di nessuna regola cromatica,non àltera alcuno schema percettivo esoprattutto non ha nessuna “missione”rivoluzionaria. Edoardo non ambisce adalcun mutamento, egli non ha bisognodi espedienti sillogici, rimandi e o raggiriculturali che consentano di esprimerealcunché. Egli mostra fiero e nobile tuttoil suo sapere, tutta la conoscenza dellecose del mondo e dell’arte. Egli è co-sciente di appartenere a quel rangod’uomo che affronta l’esistenza come ri-cerca dello stato ultimo di benessere,frutto di un rapporto a ciclo continuo congli elementi naturali e con il suo stessocorpo.Edoardo “Aguirre” in cerca dell’Eldoradoche, nell’attesa d’essere il primo a sco-prire ciò che nessuno conosce, di-strugge tutto ciò che lo circonda. Nelviaggio, che contemporaneamente è at-tesa, egli frantuma e consuma gli amori,gli ambienti, gli amici, “santi e matonne”,come egli stesso ama ripetere. Infineconsuma i suoi sandali, i piedi. Brucia lesue tele, brucia se stesso.Ancora, il De Candia “selvaggio” è lon-tano, lontanissimo dagli ambienti, daicircuiti, dalle alcove intellettuali. E’ lon-tano dalla visione ottocentesca del ruolodell’artista e dallo stereotipo conse-guente. Edoardo non è una sorta diGauguin salentino. Egli non ha bisognodi cercare un ambiente esotico e selva-tico per liberare la propria arte dai pre-concetti e dalle sovrastrutture identitariedell’uomo occidentale e civilizzato. Edo-ardo è un purosangue indomabile ed in-domato. Egli vive in un paesaggiocampestre, rurale, anch’esso indomato,colmo di rovi inestricabili, macchia me-diterranea odorosa e impenetrabile.La pittura di Edoardo è stata creata sue per un giaciglio di macchia.Non si fraintenda però: nulla nel Nostropuò dirsi Naif. La sua opera non è ricon-ducibile al mito del “buon selvaggio”così tanto vezzeggiato nel mondo del-l’arte, la gratuità del suo gesto è fruttodi una necessità fisiologica e consape-

vole di essere sempre in contatto fisicoe carnale con la terra, con la vita. Nonsi ravvede quindi nessun richiamo diesotismo nella linguistica decandiana,così come non v’è traccia della tanto vi-tuperata pittura di tradizione o popola-resca legata a doppio filo con ilterritorio. Territorio che invece egli ri-getta come idea di intorno sociale, ri-vendica invece il bisogno di esseredifensore e sentinella di alcuni luoghiove la natura risplende in tutto il suo ful-gore virginale. Edoardo è una sorta dibelva mediterranea che affonda i suoipiedi ciclopici nella terra appena aratache rimane appesa alle sue calcagna eaccompagna il suo vagabondare. DeCandia dimostra di essere abitante deiluoghi e dai luoghi attinge la luce, ma-teria unica della sua pittura. Gli ambientiavvertono il suo passaggio e non puòessere altrimenti. De Candia è condizio-nante per i luoghi e le persone che loaccolgono. Egli dimostra di conoscerele sovrastrutture culturali, civili e direi ci-viche della società in cui vive. Per que-sto le rifiuta in modo netto, chiaro edefinitivo, con parole e azioni lucide. Lasintesi grafica decandiana, più che ri-cordare i Ligabue o i Rousseau, ha ache fare con il segno di Raffaello o conil disegno picassiano. A tal proposito ea dimostrazione di ciò si vedano i dise-gni erotici. Si vedano quei pochi trattiunici e vivi, furenti eppure precisi cometagli di stiletto. Egli è pienamente con-sapevole del suo potenziale artistico epienamente cosciente che il suo mise-rabile destino di uomo, che nel corsodei decenni diventa sempre più inelut-tabile quanto più appare beffardo. Il suoè il cinismo della belva in fuga. Cinismoche lo allontana dalla civiltà, comeEnsor se ne allontana per scelta, pernecessità e per coraggio, per grazia ri-cevuta. Una maschera di Ensor è, ap-punto, il suo volto degli ultimi anni divita. Grottesco bestemmiatore e prin-cipe laido, pervaso sempre da un nobilefetore. Corteggiatore sboccato di fan-ciulle dalla pelle candida, lucifero autoe-siliato e inquieto, frequentatore di rovi dimirto, spiagge in gennaio ed osterie divino ed altri inferni in Vico delle Gira-volte o in via delle Bombarde.I suoi volti si stagliano sul bianco neutrodel foglio che d’un tratto prende a sem-brare anch’esso cosa viva, corpo, pelleche accoglie un tratto che ormai è vitavera, è rivolo di sudore, di sangue e li-quido seminale. I volti e gli sguardi trac-ciati dal Nostro sono da ricondurre eassociare ai Kouros, figli della Grecia

arcaica e protagonisti tragici delle cosedel mondo, travolti da eros e thanatosgiacciono in una ferma tensione, osser-vano il compiersi del destino attornoloro.Nell’approcciarsi alla definizione di “Pri-mitivismo Aureo” da cui siamo partiti perinquadrare la vicenda espressiva diEdoardo De Candia, si deve iniziare dalriconoscimento e poi dall’analisi di unospeciale tratto comune di un nutrito cor-pus di opere e di artisti riconducibili al-l’alveo geografico del mediterraneo eatemporale nel quale riconoscere parti-colari segnici comuni. T.S. Eliot defini-sce tali caratteristiche come “il donomediterraneo della Forma”. L’associa-zione di un modo espressivo primitivoall’idea di perfezione è da ricondurre, amio avviso al prodursi stesso della vita,dove l’esistente si genera al di là dellavolontà del singolo e risponde evidente-mente ad una regola o ad un codice na-turale che contemporaneamenteappare ai nostri occhi estremamentecomplesso ma altrettanto immediato esemplice nelle sue manifestazioni este-tiche. Nel corso dei tempi vi sono statiartisti che sono riusciti a riprodurre que-sto senso di appartenenza delle lorocreazioni alla vita organica, riuscendo agenerare opere che, nella loro sempli-cità appaiono simili ad altre espressionidell’ambiente, della natura appunto.L’uomo-artista, creatore, pantocratoreimita gli elementi, con essi lavora comeartigiano, li maneggia, riesce a trasfor-marli in modo che generino forme chesi direbbero venute direttamente dal-l’aria, dall’acqua, dal fuoco, dalla terra,nel caso di Edoardo dalla carne. Le fi-gure e i paesaggi decandiani appaionorispondenti al concetto caro allo gnosti-cismo di William Blake dove gli elementinaturali sono governati dalla necessità,ponendo in questo modo il concetto dibisogno al centro della creazione. Ognifenomeno risponde ad una necessitàben precisa, così come ogni segno gra-fico risponde ad un bisogno superiore diesistere prima che di esprimere. La na-tura, infatti comunica, emoziona perchéesiste e non perché ha la volontà difarlo. Gli elementi naturali, così comel’opera di certi autori risiedono nelcampo dell’esperienza che esprime eracconta senza mediazione alcuna, po-nendo il medium linguistico diretta-mente nel campo del vissuto.A suffragare questa tesi vi sono, lonta-nissime nel tempo, talvolta a millenni didistanza, esperienze artistiche di alcuniautori in cui è facile ritrovare assonanze

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con il lavoro di De Candia, che vannoperò oltre il semplice riferimento stili-stico. A mio avviso si tratta di un co-mune modo di sentire il manifestarsidella natura; nel rapporto con essa al-cune intelligenze hanno saputo estrarreun tratto che appare comunemente de-rivato da una reazione ad un certo tipodi luce. Il Mediterraneo quindi, al di là,beninteso, della sua connotazione an-tropologica e antropocentrica, identita-ria e culturale di una serie di popoli, ilMediterraneo è inteso qui come pae-saggio comune, insieme di elementi pri-mordiali che generano forme ed esseriviventi e situazioni. L’arte che ne derivaè il racconto dell’esperienza di un sin-golo uomo che tramite l’opera divienestrumento di connessione tra la natura,fiera e viva e gli altri uomini, coloro chespesso si affrancano da essa e dalle

sue leggi. Certamente molta parte del-l’opera De Candia può accostarsi adopere provenienti dall’area del mediter-raneo. Soprattutto la figura umana de-candiana è sicuramente riconducibilead un linguaggio comune nel bacino delmediterraneo che, partendo dal Paleo-litico sino a giungere ai giorni nostri,esprime nella ritrattistica i tratti di fie-rezza ancestrale e selvatica. Si vedanoe si confrontino con gli sguardi di Edo-ardo ad esempio con lo “Zeus” messa-pico di Ugento (LE) 530 a.c. e altre testefittili sia maschili che femminili di originemessapica risalenti al VI-VII secolo a.c.,oppure alcune “Teste d’Uomo” cipriotesempre di età arcaica risalenti al V se-colo a.c.. Risalendo la linea del tempoe le coste del Mediterraneo si vedano leaffinità tra il segno del Nostro e alcuniritratti etruschi, in particolare la “Testa

Barbuta” (Zeus) Museo di Villa Giulia(Roma).Allargando però il raggio dei riferimentie delle analogie si può parlare di un filorosso che attraversando i secoli tracciauna linea d’espressione mediterraneache, partendo dal segno preistorico, atal proposito si veda la sintesi gestualee linguistica dell’insieme dei segni pre-senti nella Grotta dei Cervi di Porto Ba-disco nei pressi di Otranto (Lecce), onell’ambito figurativo, la Venere di Bras-senpoy, nel sud-ovest della Francia, ar-riva alla luminosa pittura del ‘400 italicodi Piero Della Francesca, o alla evoca-tiva figurazione di Michelangelo, altratto di Raffaello, ad alcuni ritratti diPontormo o Lotto, passando per l’operadi riduzione sintattica delle civiltà arcai-che, dalla stilizzazione geometrica dellapittura vascolare cretese ai già citati

Edoardo De Candia, Topografia di una città. la dinamicità - 1987

L’arte... è il racconto dell’esperienza di un singolo uomo chetramite l’opera diviene strumento di connessione tra la natura,fiera e viva e gli altri uomini, coloro che spesso si affrancanoda essa e dalle sue leggi...

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* In utsanga.it. rivista di critica e linguaggi di ricerca27 gennaio 2015 - www.utsanga.it

Kouros Arcaici, dai guerrieri piceni emessapici al misticismo Etrusco.Allargando ancora i riferimenti temporalipossiamo associare l’opera di De Can-dia a quella di altri grandi autori all’in-terno di tale contenitore che quindicomincia ad essere molto esteso crono-logicamente ma circoscritto ad un certopaesaggio dal punto di vista geografico.Continuando in questo susseguirsi diesperienze espressive ritroviamo la de-finizione di partenza, “PrimitivismoAureo” alla quale può associarsi l’operadello stesso Blake o alcune divagazionidi Goya sino ad arrivare Ruoault, Nolde,Modigliani, Viani, ma soprattutto a granparte di quell’espressionismo astrattoeuropeo, rappresentato da Fontana, Ve-dova, De Kooning, Kline, Hartung masoprattutto si veda l’informale “orga-nico” di Fautrier, sia per ciò che con-cerne le “Hautes Pates” delgi “Otages”si per le opere precedenti ove la lineapossiede ancora un taglio netto ed unaltissimo valore espressivo.In definitiva la mia tesi vuole dimostrarecome Edoardo De Candia appartengaad una macro-corrente fuori da un con-tenitore temporale circoscritto, di artistiche nei secoli hanno lavorato, talvolta inmodo inconsapevole, ad un modellocreativo che non prevede mediazioneculturale alcuna. Un modello che esistesolo come struttura estetica propensaalla comunicazione automatica, natu-rale. Questa sorta di primitivismo sel-vaggio però possiede una sua eleganza

intrinseca, rimando di una perfezionenaturalistica, biologica, organica. Ele-ganza che non perde mai, anchequando l’uomo-artista, come nel caso diEdoardo è ad un passo solo dal bara-tro.Certo Edoardo ha condotto l’intera esi-stenza camminando sull’orlo del baratro,ciò nonostante egli ha tracciato i suoisegni con mano tesa e sicura dimo-strando di possedere un’incredibile ca-pacità di sintesi poetica, indipendentedal contingente. Edoardo è stato con-dotto sin da fanciullo sulla soglia della di-sperazione. I suoi drammi hannosempre avuto una regia più o meno oc-culta e più o meno unica. Il colpevole ditanta apparente follia è proprio quell’am-biente cittadino che davanti alla sua fi-gura non poteva che sentirsi umiliato datanto splendore. Gli autori di tanta di-sgrazia sono di certo i suoi famigliari, co-loro che, non riconoscendolo comemembro di un’enclave lo hanno traditoconsegnandolo ai lager della neuropsi-chiatria. Gli autori infami di tanta cru-dezza hanno affondato i loro dardi dibontà e benevolenza nel suo grandecuore facendone sgorgare il sangue fin-ché non avesse nemmeno più una goc-cia di luce per se e per il mondo.Edoardo andava lasciato in pace, neisuoi rovi e nei suoi pagliari di campagna,alle sue bettole, alla sua capacità unicadi ricoprire il ruolo di spina nel fianco diuna comunità, cassonetto cittadino del-l’immondizia che converte la morte in

vita. Edoardo con i suoi paradossi era uneccellente convertitore di bellezza. Lasua famiglia, la sua città, i suoi stessiamici d’infanzia, l’ambiente artistico, gliintellettuali e tutti coloro che lo hanno in-contrato non hanno fatto altro che attin-gere a piene mani dalla sua forzaimmensa e dalla sua sconfitta. Penso aitanti intellettuali e amici leccesi chehanno preferito pubblicare fotografie cheimpietose mostrano tutta la fragilità del-l’uomo e la sua insofferenza nei con-fronti vita, piuttosto che condurre unostudio storiografico, teso a dare undegno posto nel mondo dell’arte del ‘900all’artista Edoardo De Candia. EdoardoDe Candia meritava rispetto in vita edoggi merita un’attenzione onesta. Meritaun approfondimento critico ed uno studiosistematico della sua opera che, peraltro dev’essere ancora e quasi per in-tero rintracciata, catalogata e soprattuttostudiata e storicizzata. Oggi nel parlaredi Edoardo si ripetono da più parti le so-lite litanie romantiche; coloro che l’hannoconosciuto, degli appassionati d’arte, deisalottieri borghesi, lo raccontano ogginon come artista sommo quale è, macome un fenomeno folclorico e leggen-dario, sempre legato a quelle esterna-zioni folli che la città di Lecce haimparato a ricordare, talvolta con un velodi beffarda ironia ed un vezzo di nostal-gia, ultimo tradimento all’immenso co-raggio di Aguirre.

Edoardo ha condottol’intera esistenza cam-minando sull’orlo delbaratro, ciò nonostanteegli ha tracciato i suoisegni con mano tesa esicura dimostrando dipossedere un’incredi-bile capacità di sintesipoetica, indipendentedal contingente.

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C’era una volta Wiyot, il dio che muore eche risuscita. Mentre la sua gente era incammino, Wiyot viaggiava insieme congli altri, come uno dei tanti. Wahawut (laRana) era una bella donna di leggiadroaspetto con lunghi capelli. Una volta che

essa saltò nell'acqua, Wiyot rimase sorpreso nel ve-dere che non aveva carne sulla schiena, essendo tuttapiatta e sottile. Non disse nulla, ma ci ripensò. Essaera una fattucchiera, capace di leggere i suoi pensieri;e disegnò di ucciderlo. Wiyot cadde ammalato, emandò a chiamare la sua gente dal Nord. Si sentivaassai male, e quando vennero cercarono di scoprire diche si trattava. Erano fattucchieri, e pensavano di po-terlo curare; ma non riuscirono a trovare che cosafosse. Poi vennero quelli di levante e di mezzogiornoe di ponente; e fu lo stesso.Wiyot peggiorò; era paralizzato e non poteva cammi-nare; andava in giro carponi e si sentiva sempre peg-gio. Venne il Falco per curarlo e fu il solo a scoprirecome stavano le cose: era Wahawut - così disse - chelo faceva morire ad opera di magia. Wiyot sapeva chela sua fine era prossima e nominò uno dopo l'altro i sin-goli 'mesi', dicendo ogni volta che forse in quello sa-rebbe morto. Così passarono successivamente tutti imesi fino all'ultimo, nel quale egli mori; e allora per laprima volta entrò la morte nel mondo... Quand'egli moritutta la gente era là adunata, e non sapevano che fare,se bruciarlo o seppellirlo. Ma Topo-canguro senza per-der tempo si mise a fare una rete da carico per solle-vare Wiyot. Lucciola, dal canto suo, aveva un po' difuoco nascosto sotto il braccio... (Questo inizio di storiaècompreso in uno dei due libri - "Miti e Leggende", Utet- che Edoardo ci donò qualche anno fa. Sulle prime eultime pagine suoi disegni).

Abbiamo perduto un altro amico. Quello che segue èil diario sugli ultimi giorni di vita di un artista, come nes-sun altro da queste parti, feroce, ostile, ingenuo, con-traddittorio: piena espressione di quel che è defezionee profetismo nell'avventura artistica contemporanea.Parliamo di Edoardo De Candia. Edoardo era/è ancheuno di quei Giganti che, senza naturalmente saperlo -o forse solo intuendolo -, rispondono egregiamente aquel che è il "divenire" in arte per Deleuze, che non si-gnifica "conformarsi ad un modello", né significa maiavvenire o progredire: "divenire significa divenire sem-pre più sobrio, sempre più semplice, divenire sempre

più deserto e, attraverso ciò, popolare". Deleuze perspiegare il "divenire" in arte usa il termine involvere."Involvere vuol dire avere un'andatura sempre piùsemplice, economa, sobria".Buffa, aggiungiamo noi, giocosa, disarmonica, banale,col continuo senso dell'inutilità delle cose che si fanno(ma intanto si fanno...), con un procedere sempre, tor-niamo a dire, feroce, ostile, dando sempre più creditoalle proprie Cadute piuttosto che alle sottolineature oai tasselli di una qualsiasi Etica... Edoardo era così. In-sofferente, inutile, semplice, sobrio, impreciso, eco-nomo, feroce, ostile, contraddittorio, depresso, banale,irrazionale, disarmonico, "negativo" (per usare le pa-role di una nostra e sua amica), puro, barbaro, gio-coso... Questa la "simultaneità" del suo volto e,crediamo, dei volti della sua Opera. Non vorremmo ag-giungere niente altro.Abbiamo perduto un amico. Era una piccolissima partedi quel Nodo Continuo e Vitale a cui pare siamo legatifin dall'inizio dell'Universo. Era appena, soltanto -anche se giganteggiava - una minutissima virgola diquella immensa Anagrafe Universale che da un po' èoggetto dei nostri scritti.Non abbiamo sofferto granché per la sua fine: a volteaiuta una speciale Bellezza, la stessa Insonnia, le gior-nate piovose, quaranta sigarette, il giornale, la Parsi-monia nei gesti, il dialogo col merlo...Semplicemente.Il 23 giugno entra in ospedale, Geriatria. Occhi stra-volti, orbite in su, mano che porta spesso alla boccaper prendersi la lingua, lingua che non sa dove mettere(Totò Toma gli è vicino anche così), pancia dilatata, or-ribile, non risponde a niente. Stravolto, muto, assente,con una sola mezza frase che riesce a dire anchesenza aprir bocca: "maledetta...", continuamente...Che si riferisca a quella Grande Signora che sta per ri-cevere un nuovo 'cliente' da quest'altra Solare Ordina-ria Puttana...? Il dottor Fiore ci conferma che questavolta non ce la farà.Il 24 non è diverso. il fegato non funziona più, non fapiù la sua parte. Cominciano con i disinfettanti epatici.Parlano di trasfusione di plasma, ma si preparano alpeggio. Edoardo è un cavaliere stremato. Ancora nonci guarda. Mezze frasi senza senso. La mano vicinoalla bocca. Sulla lingua.Si riprende. Comincia a mangiare. Saluta gli amici - po-chissimi - che lo vanno a trovare. Molto mesto. Fronteed occhi, però, dominano ancora. Ci ringrazia di es-

Cronaca degli ultimi giornidi Antonio L. Verri*

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sere là, poi in una sorta di suo solito romanesco (chesignificava stupore, ironia, prendere distanza): "Vorreiproprio sapere chi mi ha fatto 'sto scherzo". Balbet-tiamo qualche cosa, cerchiamo di cavarcela con unabattuta. In realtà sapevamo che una Grande SignoraVelata, confusa con la notte, lo stava vegliando espiando...Il dottor Fiore tenta di tutto, prima una trasfusione diplasma (doveva aver l'effetto di abbassare tutti i tassi),tre giorni dopo una di sangue; Edoardo sembra starmeglio, spunta qualche volta un sorriso mestissimo,qualche sguardo di complicità, forse anche di terrore;brutto periodo questo inizio luglio, c'è nell'aria di questastanza il suo e il nostro perdere potere sulle cose; Wa-hawut, la bella donna che non aveva carne sullaschiena, era con noi nella stanza, stava disegnando diucciderci... I nostri incontri fino al 3 luglio. Stanza 597-599. Geriatria. Edoardo-Wiyot "sapeva che la sua fineera prossima" e forse nominò tutti i giorni, pensandoogni volta che forse in quello sarebbe morto... il suostar bene era solo apparente. Il dottor Fiore ci comu-nicava il suo disagio, si capiva anche che aveva acuore la vita di Edoardo. Non era come le altre volte...Sabato 4 e domenica 5 precipitò un po' tutto. Avevamoparlato ad un po, di amici perché Edoardo aveva biso-gno di sangue (Terri e Piero lo hanno donato il lunedìmattina, Edoardo non c'era più ... ). Era tornato a non

riconoscere più nessuno, tutto andava male, stavatutto precipitando. Wahawut (la Rana) rideva con osce-nità, Guglielmo Scozzi, che gli era stato vicino comediscepolo negli ultimi due anni, piangeva a dirotto. Ilvolto del Nostro cominciava a sposare una serenitàche non aveva mai cercato, stava sbiadendo quel cheera stata la sua antica Altezza e la sua Ferocia.Alle sei e mezzo di lunedì 6 telefonarono dall'ospedale.Edoardo non sarebbe durato... Alle sette meno unquarto la telefonata definitiva. Il Gigante, il Vichingo divia Monte Sabotino, il cavaliere visionario e purissimonon c'era più. Era entrata di nuovo la morte nelmondo... Edoardo, alto quanto il più alto dei pini, cosìMaestoso, così sempre Nauseato, così Puro... tuttoscricchiolava... in fondo la Bellezza è anche qualcosadi così difforme...L'acqua violata, i camuffamenti da uccello, non più si-lenzi, non più racconti. Né rutti. Né risate... Abbiamoimpedito un discorso di alcuni amici "volenterosi" sullasua bara, abbiamo imposto una sgroppata dietro alCarro che conteneva Edoardo. Le "Illuminazioni" diRimbaud, Maldodor, una sedia, un albero, un poveroletto, che disordinatamente volavano sul capo di pochiamici al Cimitero. Eravamo là per seppellire l'Uccellodel Tuono. Noi che invece sembravamo dei merli dalleali rosse...

* In Sud Puglia, n° 3, settembre 1992 con il titolo “Wiyot e Wahawut”, pag.139

Edoardo fa ginnastica sulla spiaggia in un montaggio di Motus di alcune fotografie realizzate da Roberto Gallo

...Un artista, come nessun altro da queste parti, feroce, ostile,ingenuo, contraddittorio: piena espressione di quel che è defe-zione e profetismo nell'avventura artistica contemporanea...

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Fedele alla sua etica, cioè alla condotta cheaveva delineato la sua esistenza nella con-dotta della sua vita e coerente nei suoi com-portamenti abituali, Edoardo De Candia èscomparso, come sempre, senza dare noti-zia di sé, senza dire dove andava né quanto

sarebbe mancato!Ma questa volta, non lo rivedremo più.Era una morte preannunciata, come quella del perso-naggio marquesiano a cui egli somigliava, nel suo disor-dinato ordine mentale, nel suo fatalismo senzaresistenze e ribellioni, nel suo sopravvivere ogni giorno,vivendo, nelle privazioni e nell'indigenza, come un riccoscialacquatore.Un personaggio romanzesco, di quelli che si ritrovanonei fermentati e colorati racconti di Jorge Amado, perse-guitati dalla sorte ma felici di vivere, emarginati dal con-sesso civile conformista, ma incuranti del disprezzoclassista, liberi di essere se stessi, inesauribili nel ritro-vare ogni filo di sopravvivenza senza condizionamenti,mai disposti ad un compromesso di comodo, liberi neipensieri e nella parola.Avrebbe potuto essere un grande protagonista di films,bello e ben modellato com'era, da giovane, ma egliavrebbe dovuto anche essere il regista e lo sceneggia-tore della pellicola; non concedeva a nessun altro la de-lega della guida a se stesso, come non consentiva anessuno che programmasse o indirizzasse la sua vita.Questo era l'uomo che, felicemente, consumava la suaforza vitale in una contesa continua con l'alcool, mai ri-tenuto suo nemico, né perfido consigliere, bensì gene-ratore di sensazioni più coinvolgenti di quelle che ledonne, pure amate da lui, potevano offrire.Era una morte preannunciata la sua, a cinquantanoveanni, se n'è andato eroso dalla cirrosi e rattristato, tutta-via, dal distacco dal mondo se, come mi diceva AntonioL. Verri, che sino alla fine gli è stato vicino, sembrava lot-tare con la "comare secca" che lo stava ghermendo.Questo era l'uomo Edoardo, un anarchico sognatore diuna esistenza senza vincoli e senza violenze che il per-benismo ipocrita della provincia si guardava bene dal-l'accettare, ma al tempo stesso, specie in questi ultimitempi quando girava, non inquieto né assillante, con unrotolo di disegni scarabocchiati in fretta, pronto a com-prare i suoi disegni, per decine di migliaia di lire, con lasperanza di una speculazione presto futura a morte av-venuta. E' ben triste dovere ammettere questa verità, enon paia cinismo il dichiararlo in un momento in cui eglinon è più l'uomo consumato e annientato dal male. Ma

resta il pittore sul quale si dovrà tornare a parlare per li-berarlo di tante contraffazioni che egli stesso ha operatocontro di sé.Si dovrà ripercorrere tutto il suo viaggio d'artista, prescin-dendo dall'uomo; non si vuole giungere a sproporzionicomparative di cattivo gusto, ma soltanto rendere evi-dente la storia tormentata dell'artista, parlando di unasorte smagliante oggi quanto fu oscura alla sua scom-parsa, quella di Amedeo Modigliani.Certo, oltre alla diversità di stile, di contatti, di risonanza,c'è la distanza geografica di questa città provinciale daicentri di dibattito e di analisi, che già hanno patito tantinostri artisti, poeti, pittori: il primo invalicabile "handicap''per chi riesca ad essere creativo in questa latitudine. Maè indubbio che dovrà farsi anche una radicale pulizia ditanta produzione funzionale al "campari soda" che se-guiva, quasi subito, la cessione del foglio "imbrattato".Si dovrà riandare indietro di venti, trent'anni, quandoEdoardo dopo la temporanea migrazione in Gran Breta-gna, in Francia, tornato nella sua "maledetta" Lecce,stentò a vivere la sua amata "bohème", quando sembròessere imbrigliato dal mecenatismo generoso e affet-tuoso di Fernando Guglielmi.Credo sia stato quello il momento più regolare, meglio,meno irregolare, della sua produzione su tela, che dovràessere ritrovata, catalogata, studiata e valutata. E' il mo-mento delle marine, un fantastico viaggio di colori e d'in-ventiva tratta dalla trasfigurazione di una realtà che piùtardi venne soppiantata, quando Guglielmi non riuscì nelsuo intento, dalla figurazione femminile e dai nudi pro-sperosi e dal disegno fulmineo alla Matisse. Seguì il pe-riodo del San Cataldo surreale, con le cabine senzapareti ed il mare debordava nel vuoto che delimitava igrandi fogli di disegno su cui Edoardo spandeva i suoiacquerelli.Sarà il suo temperamento a spiegare, forse con parteci-pazione dei medici che lo avevano in cura, il momentodel suo erotismo surreale, con i colori sgargianti di sola-rità interiore, che sottendeva al geometrismo fallo-vagi-nico delle composizioni che definirei "ospedaliere".E dovranno anche ricercarsi, perché più dispersi, i suoidisegni erotici che potrebbero essere messi a fianco,senza sfigurare e senza pretesa di "grandismo", di quellidi Picasso, non sul piano dello stile, non comparabile,ma della efficacia in resa artistica. Ora, la strada di Edo-ardo non è più quella di sua scelta, ma quella che trac-ceranno i suoi estimatori. Se ci saranno.

* In Sud Puglia, n° 3, settembre 1992 con il titolo “Lecce isola maledetta”, pag 142

di Ennio Bonea*

Di un anarchico sognatore

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Edoardo addormentato ritratto da Antonio Massari in “Edoardo”

Edoardo riposa, la fotocopia della foto è contnuta nella cartella “Il cielo in testa, Disegni erotici di Edoardo De Candia,excelsus magister”, a cura di A. Verri e M. Nocera, Ed. Dopopensionante, Lecce 1989, conservata dal Fondo Verri di Lecce

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“Ce l'hai una stanza? E una minestra? Allora,portami a Roma”. A Roma avrebbe ricomin-ciato a dipingere, sarebbe uscito col cavalletto,e con i colori e i pennelli. “Ci sono sempre i pinigrandi?”, i pini d'Aleppo ci sono ancora, mal-grado l'accanimento edilizio non sono riusciti

ad abbatterli tutti, cielo e ruderi sono un po' malconci, maanch'essi sono al loro posto, il Tevere è più cloaca del so-lito, il mare però è tornato limpido, si pesca sempre con lebilance. “Mi porti a Roma?”. Voleva proprio venire aRoma, alla stracittà di trent'anni addietro, a Via Venetodella dolce vita, alle trattorie delle baldorie trasteverine,alle passeggiate sotto i platani barocchi, ai musei foderatidi travertino. Voleva restituirsi alla vita che fu.“Non dipingo più”. Era immenso come un campo di grano,dentro un letto piccolo e stretto. Una sedia per comodino,un armadietto con ritagli di carta, forse nient'altro. La fine-stra aperta. L'aria agonizzava come in un orinatoio, al dilà di una porta a vetri un cane latrava odiosamente, lui siera proprio risvegliato, Verri gli dava corda: “Che cos'haida dirci?”. Usava il fazzoletto come un sudario: “Non hopiù idee, voglio andare a Roma”. Ricordava le domenicheai Castelli, pecorino e bianco di Frascati, frugava in unamemoria enfisematica, non riusciva a rattoppare i vuoti,allora cuciva segmenti di frasi e brandelli di pensieri. Verriinterpretava, era la sua memoria storica, lui i racconti e leconfidenze li aveva raccolti per intero, quando erano vivie animavano i vicoli e le piazze e le botteghe della carnedi cavallo di Lecce.(Sembrava impossibile che quel mastodontico tumulo dicarne custodisse un'anima. E invece c'era, o c'era stata,e a lungo, anche se si era dissipata così tanto e con taleeschilea determinazione; se aveva ostinatamente perse-guito la metamorfosi della larga pennellata da Matisse sa-

lentino nella larga scia di creatura kafkiana; se aveva poicapito l'inganno, e chiedeva alla macchina del tempo diriportarla indietro, in un impossibile replay da modificarelungo il nuovo itinerario in un mondo che non esiste più.Come il lutto ad Elettra, la fagogitazione si addice alle vit-time dei nostoi. Lecce non ha tradito il principio, la legge.Nessuna esecuzione sommaria, ma morte lenta, e ineso-rabile, del trasgressore. Secoli di scirocco hanno reso la"salentinità" un terreno infido e velenoso).Allora era morto da tempo, Edoardo De Candia. E quelloche mi parlava, agitando mani come mannaie, era un fan-tasma invendicato, un'anima - appunto - non placata in unparadiso delle Urì, nel giusto riposo del ribelle creatore,nell'appagamento dell'uomo e dell'artista compiuto.Gli aveva sottratto qualcosa d'importante, questa neraprovincia di intellettuali garantiti e di raccoglitori-affaristi abuon mercato. Un poco alla volta l'aveva svuotato, la-sciando solo una specie di gigantesca crisalide, un im-menso involucro, con gli ultimi bagliori per rare amicizie,per stupefatte parole, per fulminei incontri.E me lo porto a Roma, per quel che resta di lui, l'ultimastretta di mano, l'ultima immagine della sua stanza-cellacatacombale. Qui sopravvive la sua ultima beffa, le marinerapinategli a diecimila lire, gli olii e le tempere sciolte conl'acqua dell'Adriatico, paesaggi ghignanti mentre segreta-mente si auto-ossidano, disgregandosi giorno dopogiorno, come nelle dissolvenze narrative borgesiane.Splendido e saturnino De Candia, postumo terrorizzatoredi farisei, amico manicomiale, gran campo di grano bru-ciato: ti inebrino le stelle e i mondi remoti nei quali vai, fi-nalmente libero con un'altra pelle, anima negro-amara,buco nero in fuga dal micro-cosmo salentino.

* In Sud Puglia, n° 3, settembre 1992 con il titolo “Solitudine di maratoneti”, pag.145

di Aldo Bello*

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Era immensoun campo di grano,in un letto piccolo e stretto

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spagine

Edoardo De Candia, Bacio 1985 disegno tratto da “Libero Cantiere” settembre 1997

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spagine Speciale Cinema del Reale luglio 2015 - Repertorio di scritture su Edoardo De Candia

Per orientarsi - una bibliografiaM. PROTO, Le Mostre, E. De Candia eOronzo Tripoli, “La Tribuna del Salento”, 19nov 1959.Taccuino, “La voce del Sud”, 10 aprile1965.Personale al “Sedile” del pittore E. De Can-dia, “La Gazzetta del Mezzogiorno”, 15aprile 1965.Mostra a Lecce di De Carlo e De Candia,“La Gazzetta del Mezzogiorno”, 18 novem-bre 1969.T. CARPENTIERI, E. De Candia, “La Tri-buna del Salento”, 21 novembre 1969.Personale di Edoardo, (Galleria Belle ArtiCaiulo), 1 – 10 dicembre 1971.U.TAPPARINI, De Candia alle “Belle Arti”,“La Tribuna del Salento”, 3 dicembre 1971,pag 3.De Candia a Ferrara, “La Tribuna del Sa-lento”, 27 aprile 1972.Catalogo degli Autori, Casa Editrice Alba,Ferrara 1972, pp. 68 – 72.Edoardo De Candia, il pittore del Salento,(Ferrara, Galleria del Ristorante Mazza,National Club, 22 aprile - 25 maggio 1972),a cura di D.Rubboli.D. RUBBOLI, E. De Candia per cantare iMari del Sud, “La Gazzetta di Ferrara”,1972.Galleria, Le tempere di De Candia, “IlResto del Carlino”, 5 maggio 1972.L. BALDI, Un adulto fanciullo, pittore chenon dipinge, “La Gazzetta del Mezzo-giorno”, del 1979.F. SPADA, Un grande provocatore, vestitoda folle di professione pittore, “Quotidiano”,25 giugno 1981, pag. 8.A. VERRI, Edoardo, un cavaliere senzaterra, “Sudpuglia”, 3 sett. 1988, N. 3, pag.137.M. Nocera-A. Verri, Le rane hanno il pan-cino chiaro. Per Totò Toma, cartella Edi-zioni Dopopensionante, Lecce, 1988E. DE CANDIA, Il cielo in testa, Disegnierotici di Edoardo De Candia, excelsus ma-gister, a cura di M. NOCERA - A. VERRI,Ed. Dopopensionante, Lecce 1989.Le carte del saraceno: progetti e visualitàdella regione salento, a cura di A. VERRI,ed. Centro Culturale Pensionante dei Sara-ceni, Caprarica di Lecce 1990.S. SCIOLTI, Siamo sfottuti, ragazzi, “Filo-verde ecologia e informazione”, giugno-lu-glio 1992, pag.11.Lecce ha perso un grande artista, dal Tele-video Nazionale, 5 luglio 1992.T. CARPENTIERI, De Candia, un mare ditrasgressioni, “La Gazzetta del Mezzo-giorno”, 7 luglio 1992.T. CAPUTO, Maledetto t’amerò, “Quoti-diano” ,7 luglio 1992.T. PEPE, Le tante morti di Edoardo, “Quoti-diano”, 8 luglio 1992.S.CAZZATO, Addio Edoardo, ci mancheraiGenio e sregolatezza del poeta Edoardo,“Arte”. (forse 1992).A. BELLO, Solitudine di maratoneti, “Sud-puglia”, settembre 1992, N. 3, pag.145.E. BONEA, Lecce isola maledetta, “Sudpu-glia”, settembre 1992,N. 3, pag.142.

Edoardo De Candia, (Nardò, GalleriaL’OSANNA), Maggio 1993.A. VERRI, Wiyot e Wahawut, “Sudpuglia”,settembre 1992, N. 3, pag.139.Edoardo De Candia, “D’Ars Notizie”, NUM.Sette / Otto, Febbraio – Marzo 1993, pag.12.Edoardo De Candia (1933 – 1992), (CentroStudi Culturali Quartiere San Pio X), 26 ot-tobre 1996.T. CARPENTIERI, Edoardo il trasgressorecontinua a fare colpo, “La Gazzetta delmezzogiorno”, 26 ottobre 1996.A. MASSARI, Edoardo, Edizioni D’Ars,1998.P. PALUMBO, Ma guarda, Edoardo, “Lec-cesera”, 30 giugno-1 luglio 1998.F.S. DODARO, La memoria nel nome diEdoardo, “Leccesera”, 30 -31 ottobre 1998.E. BONEA, Vita di Edoardo specchio dialtre vite, “Quotidiano”, 23 dicembre 1998,pag.14.A. MASSARI, L’Arte e la vita che condu-ciamo, “Leccesera”, 31 dicembre 1998.Ribelle e trasgressivo: un genio, “La Gaz-zetta del Mezzogiorno”, 4 aprile 2003,pag.5.ODIO AMO, (Lecce, Galleria Atrium ArteContemporanea), dal 15 maggio 2004, acura di G. Terragno.G.TERRAGNO, Ricordiamo Edoardo DeCandia, “Atrium News”, anno II, N.2, mag-gio 2004.M. NOCERA, Il gesto “eroico” di Edoardo,“Arte e Luoghi”, anno I, Num.1,ottobre2005.L’Arcadia di Edoardo, (Lecce , Galleria“Russo Arte Contemporanea”), testi a curadi M.Pizzarelli, catalogo a cura di A.Ca-vallo. M. DESIATI, “Il folle pittore”, www.medici-neshow.net, anno III, N.2, marzo - aprile2006.R. ASTREMO, De Candia, un film per ritro-vare l’artista maledetto, “Nuovo Quotidianodi Puglia”, 7 agosto 2006, pag.17. M. NOCERA, Edoar Edoar, Edizioni il Rag-gioVerde, Lecce 2006.Inedito De Candia, cavaliere senza terra,“Nuovo Quotidiano di Puglia”, 2 settembre2006, pag.25.A. FULVIO, Edoardo De Candia, un artistacontrocorrente, “ Publinews”, 9 settembre2006, pag.5.A. CONTENTI, Il Cuore di Edoardo, L’arti-sta in fuga dai vincoli terreni, “Nuovo Quoti-diano di Puglia”, 29 gennaio 2007Artisti Salentini dell’Otto e Novecento, LaCollezione del Museo Provinciale di Lecce,a cura di A. Cassiano, catalogo della mo-stra, Lecce, 2007.E. SCARCIGLIA, Sembra quasi che il soletramonti, Associazione Culturale “TerraD’Ulivi”, Lecce, 2008, (documentario).G. AGNISOLA, Edoardo De Candia-Sem-bra quasi che il sole tramonti, inhttp://www.elioscarciglia.it.L. MADARO, Edoardo De Candia: artistamaledetto made in Lecce, www.belsa-lento.com.

Ecco di seguito la bibliografiache chiude la tesi di laurea inStoria dell'arte contempora-nea, “Edoardo De Candia(1933-1992)”, Università delSalento a.a. 2006/07 di Maila

Marasco, relatore Lucio Galante. Certo,in questo contributo bibliografico mancanoriferimenti ad altre cose pubblicate suEdoardo come ad esempio il libro di Ste-fano Donno “Edoardo De Candia/Consi-derazioni inattuali” (Lecce, 1998); i duearticoli di Francesco Aprile e Egidio Ma-rullo pubblicati in Utsaga (e in queste pa-gine); “Per una fortuna critica su EdoardoDe Candia” di Lorenzo Madaro pubbli-cato nell’aprile del 2011 su Apulia. Chissàquant’altro che speriamo di precisare eriunire in un auspicabile corpus completoin un prossimo impegno/appuntamentocon Edoardo, il suo sentire e la sua arte.

M.M.

Se arrivi a Lecce, da qualsiasiparte del mondo tu possagiungere, non puoi non cono-scere Edoardo De Candia, ilpittore. Trovi ovunque tracciadelle sue opere, nei bar del

centro storico (il Martinica su Corso Liber-tini dedica a Edoardo permanentemente unangolo rinnovando periodicamente l’espo-sizione di un quadro) o ristorante che sia,sotto forma di locandina in qualche centroculturale, nei versi dei poeti, nelle fotografiein bianco e nero o nelle opere gelosamenteancora custodite dai suoi amici e collezio-nisti privati. I racconti su di lui e la sua vitasono vari, poche le testimonianze della suaattività artistica dal punto di vista critico.Quando è arrivato il momento di concluderegli studi e scegliere l’argomento della tesi èstato inevitabile proporre al mio professoreLucio Galante una ricerca sulla produzioneartistica di Edoardo per poterla inserire al-l’interno di un contesto nazionale.Interes-santi i risvolti legati alla sua attività deglianni sessanta e settanta.Lecce non rimane estranea ai movimentiartistici più significativi che vanno dalla Con-ceptual Art alla Land e Body art, fino allaPoesia visiva, e De Candia viaggia, nean-che tanto, ma si trova a Roma negli annibellissimi della Galleria La Tartaruga (Schi-fano, Pascali, Angeli, Fioroni, Festa, Kou-nellis, Mauri, Rotella…) che lo porterannoa realizzare delle opere che non sono im-magini ma lettere e parole, scritture isolate.Opere che sono testimonianza di una con-sapevolezza e di una scelta a percorrerestrade in maniera indipendente e mai sle-gate dalla cultura dell’immagine.

Maila Marasco

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Alcuni dei libri citati nella bibliografia sono consultabili a Lecce nella sede del Fondo Verri, in via Santa Maria del Paradiso 8.a pressi Chiesa del Rosario/Porta Rudiae

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CORPI / INGANNI / MOVIMENTI

La Festa di Cinema del reale

dodicesima edizione Specchia dal 22 al 25 luglio 2015

*SpagineFondo Verri Edizioni

Spagine è un periodico di informazione dell’Associazione Cultu-rale Fondo Verri. Realizzato a cura di Mauro Marino nella sededi Via Santa Maria del Paradiso 8/a, Lecce.Esce come supplemento a “L’Osservatore in cammino” iscrittoal registro della stampa del Tribunale di Lecce n°4 del 28 gen-naio 2014.

Spagine è su: issuu.com/mmmotushttps://www.facebook.com/perspagineEsce in tiratura limitata stampato in digitale

Edoardo in Piazza Duomo a Lecce, la fotografia di Fernando Bevilacquaè tratta da “Edoardo” di Antonio Massari, edizioni D’Ars1998