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SCHEMA RIASSUNTIVO DELLE PRINCIPALI FORMULE di Economia Politica e finanziaria: (by Davide Benza) Tasso di non occupazione : Tutti quelli che non lavorano / Popolazione = = (Popolazione – Occupati) / Popolazione Tasso di disoccupazione : Disoccupati / Forza lavoro = = Disoccupati / (Lavoratori + in cerca di lavoro) = = Disoccupati / (Lavoratori + Disoccupati) Tasso di partecipazione alla forza lavoro : Forza Lavoro / Popolazione = = (Lavoratori + Disoccupati) / Popolazione Equazione dei salari : W = P e F(u,z) – + 1) u→↓W 2) z→↑W WS (Wage Settings ): W/P = F(u,z) È una curva. (sussidi WS) PS (Price Settings ): W/P = 1 / (1 + μ) È una retta parallela all’asse x. (antitrust PS) Un (tasso naturale di disoccupazione ): F(u,z) = 1 / (1 + μ) 1) P e t = P t ovvero: π e t = π t 2) P e W sono coerenti tra loro 3) NAIRU Domanda aggregata di moneta : g yt = g mt π t crescita produzione = crescita moneta – crescita inflazione AS (offerta aggregata ): Y P = P e (1+μ)F 1 - , z L AD (domanda aggregata ): M Y = F , G, T P + + - La curva di Phillips : π t = π e t + (μ + z) – αu t Ma se π e t = 0 (come negli anni analizzati da Phillips) allora: π t = (μ + z) – αu t Crescita della moneta di lungo periodo : moneta non influisce su: u, Y, r influisce su: ↑π e i Legge di Okun : u t – u t-1 = –β(g yt ğ y ) è la relazione tra crescita di Y e le variazioni di u. Cambio : ε dipende da: 1) ε e t+n 2) r – r* ε = (E x P*) / P Aspettative nel tasso di cambio : ε e t+ n ε t = -------------------- 1+n(r nt – r* nt ) Sacrifice Ratio : 1/α Tasso reale : r = i – π Stagflazione = π + u Signoraggio : M M M -------- = ------ * ------ P M P Signoraggio = offerta di moneta * saldi monetari reali (=D moneta ) Curva di Laffer : gettito = aliquota (α) * base imponibile (stessa curva) Shock di offerta aggregata : ↑π + u Base monetaria : M1 = H x moltiplicatore della moneta: moneta nominale = base monetaria x (riserve bancarie + contanti) Disavanzo (debito): B t – B t-1 = rB t-1 + G t – T t ovvero: debiti = interessi sul debito + disavanzo primario B/Y (Rapporto debito/PIL ): B t B t-1 G t – T t ------ = (1 + r – g) -------- + --------- Y t Y t-1 Y t Punto d’intersezione con l’asse Y : G t – T t --------- Y t Inclinazione della retta B/Y: (1 + r – g) r – g: se la differenza è negativa B Modello di Barro e Gordon : 1st best: la BC spiazza privati 2nd best: la BC è credibile 3rd best: i privati non le credono Se g>r ci si avvicina allo stato stazionario: si riduce il debito NB: nello Stato stazionario è al contrario: g – r Steady State (stato stazionario ): _ (Gt – Tt)/Yt b = ---------------- g – r Misura ufficiale del disavanzo: iB + G – T Misura corretta del disavanzo: rB + G – T (in termini reali) Variabili nei grafici: Sulle Y Sulle X WS e PS W/P u IS-LM i Y AS/AD P Y Phillips π u Phillips mod. ∆π u Deflazione r Y Signoraggio M/P (signoraggio) M/M (offerta mon.) Debito/PIL t t-1

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SCHEMA RIASSUNTIVO DELLE PRINCIPALI FORMULE di Economia Politica e finanziaria: (by Davide Benza)

Tasso di non occupazione: Tutti quelli che non lavorano / Popolazione = = (Popolazione – Occupati) / Popolazione

Tasso di disoccupazione: Disoccupati / Forza lavoro = = Disoccupati / (Lavoratori + in cerca di lavoro) = = Disoccupati / (Lavoratori + Disoccupati)

Tasso di partecipazione alla forza lavoro: Forza Lavoro / Popolazione = = (Lavoratori + Disoccupati) / Popolazione

Equazione dei salari: W = PeF(u,z) – +

1) ↑u→↓W 2) ↑z→↑W

WS (Wage Settings): W/P = F(u,z) È una curva. (↑sussidi → ↑WS)

PS (Price Settings): W/P = 1 / (1 + µ) È una retta parallela all’asse x. (↑antitrust → ↑PS)

Un (tasso naturale di disoccupazione): F(u,z) = 1 / (1 + µ) 1) Pe

t = Pt ovvero: πet = πt

2) P e W sono coerenti tra loro 3) NAIRU

Domanda aggregata di moneta: gyt = gmt – πt crescita produzione = crescita moneta – crescita inflazione

AS (offerta aggregata): Y P = Pe(1+µ)F 1 − ─, z L

AD (domanda aggregata): M Y = F ─, G, T P + + −

La curva di Phillips: πt = πe

t + (µ + z) – αut

Ma se πet = 0 (come negli anni

analizzati da Phillips) allora: πt = (µ + z) – αut

Crescita della moneta di lungo periodo: ↑moneta non influisce su: u, Y, r influisce su: ↑π e ↑i

Legge di Okun: ut – ut-1 = –β(gyt – ğy) è la relazione tra crescita di Y e le variazioni di u.

Cambio: ε dipende da: 1) εe

t+n 2) r – r*

ε = (E x P*) / P

Aspettative nel tasso di cambio: εe

t+n εt = --------------------

1+n(rnt– r*nt) Sacrifice Ratio: 1/α

Tasso reale: r = i – π Stagflazione = π + u

Signoraggio: ∆M ∆M M -------- = ------ * ------ P M P Signoraggio = offerta di moneta * saldi monetari reali (=Dmoneta)

Curva di Laffer: gettito = aliquota (α) * base imponibile

(stessa curva) Shock di offerta aggregata: ↑π + ↑u

Base monetaria: M1 = H x moltiplicatore della moneta: moneta nominale = base monetaria x (riserve bancarie + contanti)

Disavanzo (debito): Bt – Bt-1 = rBt-1 + Gt – Tt ovvero: debiti = interessi sul debito + disavanzo primario

B/Y (Rapporto debito/PIL): Bt Bt-1 Gt – Tt

------ = (1 + r – g) -------- + --------- Y t Y t-1 Y t

Punto d’ intersezione con l’asse Y: Gt – Tt

--------- Y t

Inclinazione della retta B/Y: (1 + r – g)

r – g: se la differenza è negativa ↓B

Modello di Barro e Gordon: 1st best: la BC spiazza privati 2nd best: la BC è credibile 3rd best: i privati non le credono

Se g>r ci si avvicina allo stato stazionario: si riduce il debito

NB: nello Stato stazionario è al contrario: g – r

Steady State (stato stazionario): _ (Gt – Tt)/Yt b = ---------------- g – r

Misura ufficiale del disavanzo: iB + G – T Misura corretta del disavanzo: rB + G – T (in termini reali)

Variabili nei grafici: Sulle Y Sulle X WS e PS W/P u

IS-LM i Y

AS/AD P Y

Phillips π u

Phillips mod. ∆π u

Deflazione r Y

Signoraggio ∆M/P (signoraggio)

∆M/M (offerta mon.)

Debito/PIL t t-1

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Capitolo 13: I l mercato del lavoro ↑ Domanda di beni → ↑ Y (produzione) → ↑ occupazione → ↑ W (salari) → ↑ Costi di produzione → ↑ P La forza lavoro è la somma dei lavoratori e delle persone in cerca di lavoro. Il tasso di disoccupazione è definito come il rapporto dei disoccupati rispetto alla forza lavoro. Un’occupazione costante può riflettere due situazioni totalmente differenti:

o Molte interruzioni e altrettante assunzioni o o Un mercato statico.

I lavoratori scoraggiati sono quelli che, pur non essendo in cerca di un lavoro, lo accetterebbero in caso se ne presentasse l’occasione. Per questa ragione gli economisti a volte considerano il tasso di non occupazione invece del tasso di disoccupazione. Dal tasso di disoccupazione aggregato dipende l’effetto della disoccupazione sui salari. Le imprese prima decidono di non assumere e, poi, eventualmente di licenziare, se la riduzione della domanda è cospicua. Una disoccupazione più elevata significa, quindi, per i disoccupati, una minor probabilità di trovare lavoro, e, per gli occupati, una maggior probabilità di perderlo. Il rischio di perdere il lavoro aumenta per i giovani ed i meno qualificati.

La determinazione dei salari Negli USA la contrattazione collettiva ha un’ importanza marginale. In Giappone ed in Europa, la contrattazione collettiva ha un ruolo importante. Nonostante ciò ravvisiamo elementi comuni:

1. I lavoratori di solito percepiscono un salario superiore al loro salario di riserva, cioè il salario che li rende indifferenti tra lavorare ed essere disoccupati.

2. Nota bene: quanto più basso è il tasso di disoccupazione, tanto maggiori sono i salari. La contrattazione

La forza contrattuale deriva da: 1. costi di turnover: sono dati dal fatto che, in caso di dimissioni, l’ impresa dovrebbe mettersi alla ricerca di un

altro lavoratore. Ad es., rimpiazzare un lavoratore da McDonalds non è costoso, ma in molti altri casi lo è. 2. Le condizioni sul mercato del lavoro (disoccupazione elevata o meno). Un aumento del tasso di

disoccupazione riduce i salari poiché indebolisce la forza contrattuale. La teoria degli “ Efficency Wages”

Le imprese potrebbero, quindi, voler pagare un salario superiore a quello di riserva per: 1. ridurre i costi di turnover; 2. aumentare la produttività; 3. rendere più costosa per i lavoratori la perdita del lavoro nel caso in cui vengano scoperti negligenti (Henry Ford)

Queste affermazioni suggeriscono che i salari dipendono sempre dalla natura del lavoro e dalle condizioni del mercato del lavoro. Salari e disoccupazione

Equazione dei salari: W = PeF(u,z) Il salario nominale aggregato, W, dipende da 3 fattori:

1. il livello atteso dei prezzi: Pe. Un aumento del livello atteso dei P provoca un aumento proporzionale del salario nominale.

2. il tasso di disoccupazione: u 3. la variabile generica: z (rappresenta tutte le altre variabili che influenzano i salari):

a. l’ indennità di disoccupazione fa aumentare i salari; b. se è più facile trovare lavoro, la prospettiva di diventare disoccupati è meno drammatica; c. z può rappresentare anche un aumento del tasso di cambiamento strutturale dell’economia.

I lavoratori e le imprese sono interessati ai salari reali (cioè ai salari in termini di beni: W/P), non a quelli nominali. Il tasso naturale di disoccupazione

Se Pe = P l’equazione dei salari diventa: W = PF(u,z) Dividendo entrambi i lati per il livello dei P, otteniamo: W/P = F(u,z) Quanto maggiore è il tasso di disoccupazione, tanto minore sarà il salario reale scelto da chi fissa i salari. Chiamiamo questa relazione equazione dei salari: Wage Settings (WS).

La determinazione dei Prezzi Assumiamo che le imprese producano beni usando il lavoro come unico fattore produttivo: Y = AN Dove Y è la produzione, N l’occupazione e A la produttività del lavoro. Data l’ ipotesi di produttività costante, Y = N. Il prezzo di un’unità di produzione sarebbe uguale al costo: P sarebbe uguale a W. Ma molte imprese caricano un prezzo superiore al costo marginale nel modo che segue: P = (1 + µ)W Dove µ è il ricarico (= markup = utile)

L’equazione dei Prezzi (PS = Price Settings) P = (1 + µ)W, dividiamo entrambi i lati per il salario nominale e otteniamo: P/W = 1 + µ Poi invertiamo entrambi i lati per ottenere il salario reale: W/P = 1 / (1 + µ)

Il tasso di non occupazione è il rapporto tra tutti quelli che non lavorano e la popolazione: (Popolazione – Occupati) / Popolazione.

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L’equazione dei prezzi è disegnata come una retta e comporta un salario reale costante, uguale a 1 / (1 + µ), quindi indipendente dal tasso di disoccupazione. Dall’ incrocio tra WS e PS otteniamo: F(u,z) = 1 / (1 + µ) Il salario reale scelto nella contrattazione salariale è una funzione decrescente del tasso di disoccupazione. Il salario reale derivante dalla fissazione dei prezzi è costante, indipendente dal tasso di disoccupazione.

W/P 1 / (1 + µ) PS WS u Nota bene: il tasso di disoccupazione in corrispondenza del quale le decisioni di prezzo e le decisioni di salario sono coerenti tra loro è detto “ tasso naturale di disoccupazione” . W/P PS’ ↑sussidi ↑antitrust A PS 1 / (1 + µ) WS’ WS u’ ’n un u’n L’equilibrio sul mercato del lavoro determina il tasso naturale di disoccupazione e, a sua volta, il livello naturale di produzione. Nel lungo periodo, la disoccupazione torna al suo tasso naturale.

Capitolo 14: Mercati reali, finanziar i e del lavoro

L’offerta aggregata L’equazione di offerta aggregata descrive gli effetti della produzione sul livello dei prezzi. Essa è derivata dall’equilibrio sul mercato del lavoro. Vediamo l’equazione di offerta aggregata: Y P = Pe(1+µ)F 1 − ─, z dove: u = 1 − Y/L L

o Un maggior livello atteso dei prezzi si riflette in un aumento proporzionale del livello effettivo dei prezzi (se chi fissa i salari si aspetta prezzi maggiori, fisserà salari maggiori: le aspettative si auto-realizzano)

o Un aumento della produzione (Y) provoca un aumento del livello dei prezzi: ↑ Y → ↑ N → ↓ u → ↑ W → ↑ costi per le imprese → ↑ P

Il livello naturale di produzione Quando il tasso di disoccupazione è naturale (u = un), i prezzi sono uguali al loro livello atteso (P = Pe). Bassa disoccupazione induce alti salari nominali e prezzi elevati (e viceversa).

La curva AS Nota bene: L’equazione di offerta aggregata, che mette in relazione la produzione ed il livello dei prezzi, è rappresentata dalla curva di offerta aggregata (aggregate supply) che è inclinata positivamente perché, dato il livello atteso dei prezzi, un aumento della produzione fa aumentare il livello dei Prezzi: AS Pe Yn La domanda aggregata LM’ M i’ A’ LM Y = F , G, T i A IS P Y’ Y P’ A’ P A AD Y’ Y

La posizione dei punti di equilibrio dipende sia da z sia da µ. Consideriamo, ad esempio, un aumento del sussidio di disoccupazione: esso sposta l’equazione dei salari da WS a WS’, provocando un aumento del tasso naturale di disoccupazione da un a u’n. Oppure consideriamo una legislazione antitrust più restrittiva, che riduca il markup e sposti l’equazione dei prezzi da PS a PS’ , provocando una riduzione del tasso naturale di disoccupazione da un a u’ ’n.

L’equazione della domanda aggregata descrive gli effetti del livello dei prezzi sulla produzione. Essa è derivata dall’equilibrio nei mercati reali (dei beni: IS) e finanziari (LM). La IS è inclinata negativamente: un aumento del tasso di interesse provoca una riduzione della domanda e della produzione. La LM è inclinata positivamente: un aumento della produzione induce un aumento della domanda di moneta e quindi del tasso di interesse. All’aumentare del livello dei Prezzi, la domanda di moneta nominale aumenta. Quando il prezzo dei beni aumenta, le persone vogliono detenere più moneta per le transazioni. Il tasso di interesse deve aumentare in modo da ridurre la domanda di moneta. L’aumento del tasso d’ interesse induce una riduzione della domanda di beni e quindi della produzione. ↑ P → ↑ Dmoneta → ↑ i → ↓ Dbeni → ↓ Y. Riassumendo: ↑ P → ↓ Y La relazione negativa tra produzione e livello dei prezzi è rappresentata dalla curva decrescente AD, o curva di domanda aggregata (aggregate demand): essa esprime la domanda di beni coerente con l’equilibrio nei mercati sia reali sia finanziari, quindi qualsiasi variabile, diversa dal livello dei prezzi, che sposti la IS o la LM, sposta anche la AD.

1 / (1 + µ): il salario è inversamente proporzionale al markup.

Y dipende positivamente da M/P e G, e negativamente da T.

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Variazioni delle produzioni e dei prezzi Assumiamo Pe

t = Pt-1. La produzione di equilibrio potrebbe essere maggiore o minore del livello naturale di produzione. AS’ ’ AS’ AS Pn A’ ’ Pt+1 A’ Pt A AD Yn Yt+1 Yt

o Nel breve periodo, la produzione può essere al di sopra o al di sotto del suo livello naturale (Yn). o Nel lungo periodo, la produzione torna al suo livello naturale poiché:

� una produzione superiore a Yn fa aumentare i P. � Una produzione inferiore a Yn fa diminuire i P.

Espansione monetaria (importante) Un’espansione monetaria fa aumentare la produzione nel breve periodo, ma non ha effetti nel lungo, perché (per il meccanismo di aggiustamento) si tornerà al livello naturale, ma con P più alti, generando, quindi, soltanto inflazione (π). P AS A’ ’ A’ AD’ A AD Yn Yt LM LM’ LM’ ’ i IS

Yn Y La neutralità della moneta

Nel lungo periodo, l’aumento dello stock nominale di moneta si riflette in un aumento proporzionale del livello dei prezzi. Esso non ha, invece, alcun effetto sulla produzione e sul tasso di interesse. Ma allora a cosa serve?

o Aiuta l’economia ad uscire da una recessione e o a tornare più velocemente al suo livello naturale.

Riduzione del disavanzo di bilancio Consideriamo una riduzione del disavanzo derivante da una diminuzione di G. P AS AS’ ’ AD AD’ Yt Yn Nel sottostante modello IS-LM, allo spostamento della AD in AD’ corrisponde uno spostamento della IS verso il basso. Ma, come accadeva con l’espansione monetaria, poiché i prezzi non sono fissi, anche nel breve c’è un lieve spostamento della LM, stavolta verso il basso. Nel lungo periodo, poi, la LM scenderà ulteriormente tornando al livello di produzione naturale. Quindi, proprio come un aumento di moneta, gli effetti di una riduzione del disavanzo non durano per sempre, ma portano ad un livello di prezzi e di tasso di interesse (nel corrispondente modello IS-LM) inferiori, così gli investimenti (I) saranno superiori. Stesso dicasi per un aumento della propensione marginale al risparmio.

Schema riassuntivo: Breve Periodo Lungo periodo Y i P Y i P Espansione monetaria

↑ ↓ ↑ (poco) - - ↑

Riduzione del disavanzo

↓ ↓ ↓ (poco) - ↓ ↓

Aumento del prezzo del petrolio

↓ ↑ ↑ ↓ ↑ ↑

Ogni shock ha effetti dinamici sulla produzione chiamati meccanismi di propagazione dello shock. AS e AD

AS ↑Y → ↑P L’offerta aggregata rappresenta l’equilibrio sul mercato del lavoro. AD ↑P → ↓Y La domanda aggregata rappresenta l’equilibrio sui mercati reali e finanziari.

Dinamica dell’aggiustamento al livello naturale dei prezzi: quando la produzione è superiore al suo livello naturale, i prezzi aumentano nel tempo, riducendo la domanda e la produzione. Nel lungo periodo, la produzione torna al suo livello naturale.

Nel breve periodo, l’aumento della moneta fa aumentare la produzione. La curva di domanda aggregata si sposta verso destra, da AD a AD’, e l’economia passa in A’ . Nel lungo periodo, l’economia si stabilizza nel punto A’ ’ : la produzione è di nuovo al suo livello naturale, ma il livello dei prezzi è maggiore. Se l’aumento iniziale dello stock di moneta è del 10%, allora il livello dei prezzi alla fine sarà anch’esso più alto del 10%.

Assumiamo che inizialmente la produzione sia a livello naturale. La diminuzione di G sposta la AD fino a AD’, dove produzione e prezzi sono più bassi: l’effetto iniziale è una recessione. La curva di offerta aggregata (AS), continuerà ad abbassarsi (visto che Pe

t↓) per raggiungere il livello naturale in corrispondenza della AD’, fino ad AS’ ’ .

Nel corrispondente modello IS-LM, inizialmente, l’aumento nominale della moneta sposta la LM verso il basso fino a LM’ ’ (e fa scendere i). Anche nel breve periodo, però, il livello dei P aumenta lievemente, insieme con la produzione Y. Questo genera lo spostamento da LM’ ’ a LM’ . Nel lungo periodo la LM tornerà al punto di partenza (il livello naturale di produzione) poiché il livello dei P aumenta, riducendo i salari monetari reali.

Il grafico rappresenta anche cosa accade a causa di uno shock petrolifero con ↑P petrolio: nel breve si passa ad AS’ e nel lungo ad AS’ ’ . Nel corrispondente modello WS-PS: la PS scende, a causa dell’aumento dei costi: ↑markup (µ) → ↑u.

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Capitolo 15: La curva di Phillips (studia bene i concetti, leggi le formule)

Storia Nel 1958, Phillips riportò il tasso di inflazione in funzione del tasso di disoccupazione e trovò una relazione negativa. Negli anni ’70, però, ci fu alta inflazione e alta disoccupazione. Iniziò, così, a manifestarsi una nuova relazione tra tasso di disoccupazione e variazione del tasso di inflazione.

L’ inflazione attesa La relazione tra tasso di inflazione, tasso atteso di inflazione e tasso di disoccupazione è la seguente: πt = πe

t + (µ + z) – αut (α = effetto della disoccupazione sull’ inflazione). o L’ inflazione dipende positivamente dall’ inflazione attesa e negativamente dalla disoccupazione (↑π→↓u, e

viceversa) o Inflazione attesa comporta essa stessa inflazione (↑πe

→↑π). o Se salgono il markup o i fattori che determinano i salari, l’ inflazione sale (↑µ/↑z→↑π). o Dato πe , quanto maggiore è la disoccupazione tanto minore è l’ inflazione (↑u→↓π).

Prima formulazione della curva di Phillips L’ inflazione media era vicina allo zero durante gran parte del periodo esaminato da Phillips. Era quindi ragionevole attendersi un’ inflazione nulla anche nel corso degli anni successivi. Ponendo πe

t = 0 otteniamo: πt = (µ + z) – αut Questa equazione altro non è che la curva di Phillips! Ovvero: π = β – αut (dove β = intercetta sulle ordinate; u “sulle ascisse” ; t “sulle ordinate” ; α = coefficiente angolare, che indica l’effetto della disoccupazione sull’ inflazione, infatti è un moltiplicatore). u↓ →↑ W →↑ P →↑ W →↑ P →↑ W →↑ P →↑ W etc. Questo meccanismo a volte è chiamato “spirale prezzi-salari” . Dal 1970 in poi non c’è più alcuna relazione tra disoccupazione e inflazione, i Prezzi salivano e Y scendeva. Perché?

o A causa del cartello dell’OPEC e del conseguente aumento del petrolio, che costrinse le imprese ad aumentare i prezzi rispetto ai salari (µ).

o N.B.: Le imprese ed i lavoratori modificarono il loro modo di formare le aspettative: “ inflazione oggi presume inflazione domani” : πe

t ≠ 0. o Quando l’effetto del tasso di inflazione dell’anno precedente sul tasso di inflazione atteso nell’anno corrente

(indicato con θ), è uguale ad 1 (non più a zero come nella curva di Phillips originaria), il tasso di disoccupazione non influenza il tasso di inflazione, ma piuttosto la variazione del tasso di inflazione (cioè: l’ inflazione c’è sempre, ma bisogna capire se sale o scende: se u↑→↓∆π o viceversa).

La curva di Phillips è allora chiamata “modificata” o “corretta per le aspettative” o “accelerata” . Curva di Phillips originaria Curva di Phillips modificata

π u

∆π u

Facciamo un esempio numerico: πt - πt-1 = 7,5 – 1,15ut. Un aumento dell’1% del tasso di disoccupazione comporta una riduzione dell’1,15% dell’ inflazione. Secondo la curva originale di Phillips, l’autorità economica poteva aumentare l’occupazione a proprio piacimento, semplicemente accettando un’ inflazione maggiore. Furono Milton Friedman e Edmund Phelps ad anticipare che

l’apparente trade-off tra inflazione e disoccupazione fosse solo un’ illusione, dovuta al tasso pressoché nullo di inflazione di quei tempi. Sostenevano inoltre che non fosse possibile andare al di sotto de…

Il tasso naturale di disoccupazione È quel tasso in corrispondenza del quale il livello effettivo dei prezzi è uguale al livello atteso dei prezzi, ovvero l’ inflazione effettiva è uguale a quella attesa. Se πt = πe

t otteniamo: 0 = (µ + z) – αun e risolvendo per il tasso naturale abbiamo: un = (µ + z)/α. o Maggiore è il markup, maggiore è il tasso naturale di disoccupazione (↑µ→↑z→↑W→↑un). o Maggiore è (α) l’effetto della disoccupazione sull’ inflazione, minore sarà il tasso naturale.

Questo è, come sempre, ovvio, visto che il markup è al numeratore e l’effetto al denominatore. La variazione dell’ inflazione dipende dalla differenza tra il tasso effettivo e il tasso naturale di disoccupazione:

o quando il tasso effettivo di disoccupazione eccede il suo tasso naturale, l’ inflazione diminuisce; o quando il tasso effettivo di disoccupazione è inferiore al tasso naturale, l’ inflazione aumenta. o Questa relazione potrà cambiare, come è già successo in passato.

Il tasso naturale di disoccupazione è il tasso di disoccupazione che mantiene costante l’ inflazione. Per questo è anche chiamato tasso di disoccupazione non inflazionistico, NAIRU (non accelerating inflation rate of unemployement).

L’ indicizzazione salariale Poiché l’ inflazione spesso varia velocemente, a volte si introduce l’ indicizzazione salariale, che allinea W a π. Quanto maggiore è il numero di contratti indicizzati, tanto più grande sarà l’effetto del tasso di disoccupazione sulla variazione dell’ inflazione. Insomma: con l’ indicizzazione l’ inflazione sale di più. Questo perché ogni aumento durante l’anno fa innescare la “spirale prezzi-salari” più velocemente, “allineandosi” più in fretta. Per questo, negli anni ’90, in Italia, i sindacati decisero di rinunciare alla scala mobile per tentare di frenare l’ inflazione. Vediamo le ultime due considerazioni del capitolo.

o Se i flussi di interruzioni e assunzioni sono piccoli, il tasso naturale di disoccupazione è inferiore. o Una riduzione dei salari pagati ai lavoratori non qualificati li induce ad una disaffezione nei confronti del loro

lavoro, portandoli a passare più tempo disoccupati fuori della forza lavoro e trasformandoli in disoccupati di lunga durata: chi è disoccupato da molto tempo, a sua volta, è meno appetibile per le imprese.

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Capitolo 16: Inflazione, disinflazione e disoccupazione Introduzione

Per analizzare le interazioni tra inflazione, produzione e disoccupazione, si devono tenere a mente 3 relazioni: 1. La Curva di Phillips: πt - πt-1 = – α(ut – un) ovvero: πt = πe

t – α(ut – un) 2. La Legge di Okun: nel capitolo 13 abbiamo assunto Y = N e L costante. Dobbiamo rimuovere queste ipotesi.

Se indichiamo con gyt il tasso di crescita della produzione, vale la seguente relazione: ut – ut-1 = –gyt

La variazione del tasso di disoccupazione è uguale all’opposto del tasso di crescita della produzione (↑Y→↓u). Confrontiamo questa relazione con la relazione effettiva tra crescita della produzione e variazione del tasso di disoccupazione, che è nota proprio come legge di Okun, ed è la seguente:

ut – ut-1 = –β(gyt – ğy) o dove ğy è il tasso normale di crescita dell’economia/della produzione (Y); o β esprime quanto una crescita oltre il normale si rifletta in una riduzione del tasso di disoccupazione.

Quest’ultima equazione presenta 2 differenze con la relazione sopra esposta. I. la crescita annua della produzione deve essere almeno di ğy per evitare un aumento del tasso di disoccupazione. La ragione risiede

nella crescita della forza lavoro e della produttività. II. Il coefficiente è uguale a –β invece che –1. A sua volta le ragioni sono due:

a. A seguito di deviazioni della crescita della produzione dal suo tasso normale, le imprese aggiustano l’occupazione in misura non proporzionale.

b. Non tutti i nuovi posti sono occupati dai disoccupati (alcuni vanno ai soggetti fuori della forza lavoro). Un’alta crescita della produzione è associata ad una riduzione del tasso di disoccupazione e viceversa. Il “ tasso normale di crescita” della produzione è il tasso di crescita necessario a mantenere un tasso di disoccupazione costante.

3. La domanda aggregata: se assumiamo che la domanda di beni, e quindi la produzione, sia proporzionale all’offerta reale di

moneta, aumenti dei saldi monetari reali fanno aumentare la domanda e la produzione (e viceversa). Se indichiamo con gmt il tasso di crescita dello stock nominale di moneta e πt il tasso di crescita dei prezzi (cioè il tasso di inflazione), segue che:

gyt = gmt – πt che sarebbe a dire: crescita produzione = crescita moneta – crescita inflazione

In sintesi: l’equazione di domanda aggregata comporta che, data la crescita della moneta, quanto maggiore è il tasso di inflazione, tanto minore sarà il tasso di crescita della produzione.

Nel lungo periodo Giungiamo a 3 ulteriori passaggi:

1. nel lungo periodo la produzione deve crescere al suo tasso normale. 2. π = ğm – ğy che sarebbe a dire:

crescita inflazione = crescita moneta – crescita produzione Ovvero: nel lungo periodo l’ inflazione è uguale alla crescita dello stock nominale di moneta meno la crescita normale della produzione, chiamata crescita aggiustata dello stock nominale di moneta. L’ inflazione si muove di pari passo con la crescita della moneta: l’ inflazione è sempre un fenomeno monetario, come sostenuto da Friedman.

3. Come ci dice la curva di Phillips, perché l’ inflazione sia costante il tasso di disoccupazione deve essere uguale al suo tasso naturale. Una riduzione della crescita dello stock nominale di moneta riduce proporzionalmente il tasso di inflazione, ma non c’è alcuna variazione della disoccupazione o della produzione. Questo implica, in sintesi, che, nel lungo periodo, le variazioni del tasso nominale di crescita della moneta sono neutrali.

La disinflazione Come ormai sappiamo, la disinflazione può essere ottenuta solo al costo di una disoccupazione più elevata. Definiamo “punto annuale di eccesso di disoccupazione” la differenza di un punto percentuale tra il tasso effettivo e il tasso naturale di disoccupazione per un anno. Ad esempio, se il tasso naturale è 6%, un tasso effettivo di disoccupazione del 9% per 4 anni consecutivi corrisponde a 12 punti annuali di eccesso di disoccupazione: 4x(9-6). La BC (banca centrale) può scegliere la distribuzione dell’eccesso di disoccupazione nel corso del tempo, ma non può variare il numero di punti annuali di eccesso di disoccupazione che sono necessari per raggiungere l’obiettivo prefissato. N.B.: Definiamo “sacrifice ratio” il numero di punti annuali di eccesso di disoccupazione necessari a ottenere una riduzione dell’1% dell’ inflazione. Questo tasso è indipendente dalla politica economica ed è semplicemente pari a 1/α. Un approccio ragionevole sembra essere quello di ottenere una disinflazione nel corso di un certo numero di anni, per evitare alta disoccupazione, soprattutto tra giovani e lavoratori non qualificati. Per iniziare la disinflazione, infatti, la BC deve indurre un aumento della disoccupazione, mediante una diminuzione dei saldi monetari reali e, quindi, con una diminuzione della domanda e della produzione e dell’occupazione. Alla fine del processo dovrà lasciare tornare la disoccupazione al suo livello naturale. La disoccupazione deve rimanere sopra al livello naturale per un periodo sufficiente a raggiungere la disinflazione. Questo approccio è stato criticato da Lucas e Sargent, che facevano notare che potrebbe essere fuorviante prendere per date le relazioni stimate sulla base dei periodi passati. Perché mai chi fissa i salari non dovrebbe tenere conto del cambiamento della politica economica? Se essi credono che la BC si sia impegnata a ridurre l’ inflazione, si aspetteranno un’ inflazione minore per il futuro. Fondamentalmente, l’annuncio di una politica volta a ridurre l’ inflazione è di per sé motivo di disinflazione, perché modifica le aspettative. Questo anche in presenza di una disoccupazione costante al suo livello naturale. In realtà, Lucas e Sargent non credevano che la disinflazione potesse avvenire senza sforzo, ma che esso potesse essere contenuto. Nota bene: l’ ingrediente essenziale per il successo di una disinflazione è, quindi, la credibilità della politica monetaria.

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Fischer e Taylor “criticavano la critica” di Lucas, enfatizzando la presenza di rigidità nominali: molti prezzi e salari non vengono istantaneamente modificati, in seguito ad un cambiamento di politica economica. Taylor ha mostrato che lo scaglionamento degli accordi salariali impone forti limiti al ritmo della disinflazione. La caratteristica principale del processo è la lentezza iniziale della disinflazione: i salari in vigore al tempo dell’annuncio sono il risultato di decisioni prese anteriormente. La moneta e l’ inflazione non possono ridursi alla stessa velocità.

La disinflazione statunitense tra il ’79 e l’85 È stata associata ad un considerevole aumento della disoccupazione. Ma questa stretta relazione è stata causata dalla mancanza di credibilità della Fed o dal fatto che la credibilità non è sufficiente a ridurre il costo della disinflazione? Laurence Ball è arrivato, mediante dati empirici, a 3 conclusioni:

1. La disinflazione produce quasi sempre disoccupazione, tranne nel lungo periodo. 2. Le disinflazioni più veloci sono associate ad un sacrifice ratio inferiore (questo conferma le teorie di Sargent e Lucas). 3. Il sacrifice ratio è minore nei paesi con accordi salariali più brevi (= mobilità del mercato).

Capitolo 17: Inflazione, tassi di interesse e tassi di cambio

Introduzione (appunti) Parliamo di cambi fissi quando l’autorità ha fissato il cambio nominale, non quello reale. Quando la valuta è sopravvalutata (ed, ha, quindi, necessità di deprezzamento reale) se si è in regime di cambi flessibili, si può modificare il cambio mediante azioni di politica monetaria, riducendo i tassi. Nel caso contrario (cambi fissi) non è possibile, perché il paese si è impegnato a mantenere la parità: quando il tasso varia, la BC emette o ritira moneta per compensare la variazione. Nel sistema a cambi fissi, quindi, non c’è lo strumento della politica monetaria. Nel sistema a cambi flessibili, il cambio è determinato dal rapporto tra cambio atteso e differenziale di tassi. In formula:

ε εet+n tasso di cambio reale atteso di lungo periodo

r – r* differenziale tra tassi di cambio interni ed esteri Nel breve periodo, tuttavia, si osservano spesso oscillazioni molto grandi, dovuti a fenomeni di overshooting: il cambio iper-reagisce rispetto a taluni eventi (ad es., un annuncio della BC). Nel medio/lungo periodo, con l’economia a cambi flessibili, il cambio si aggiusta automaticamente sino all’equilibrio naturale. Vediamone la formula: EP* = tasso di cambio nominale moltiplicato per i prezzi esteri

ε = --------------- (formula che ricordiamo anche dal corso di pol. eco. II, cap. 10 del Blanchard) P = prezzi interni Vediamo ora il grafico dell’aggiustamento di lungo periodo, ma a cambi fissi: AS P A AS’ P’ A’ AD Y Yn LM i IS Y Yn A volte capita che alcuni Paesi decidano (come l’ Italia nel ’92, quando uscì dallo SME) di uscire dal sistema dei cambi fissi, per poter svalutare, emettendo moneta. È una politica rischiosa perché induce inflazione (questo si ricollega con il fatto che nel ’93 i sindacati decisero di rinunciare alla scala mobile per tentare di frenare l’ inflazione) e poca fiducia nel Paese/Governo, che è uscito dal patto di cambio. Nota bene:

o Una svalutazione porta la AD verso l’alto (infatti: ↑Y→↑P→↑π). o Una politica economica restrittiva (cioè una riduzione del disavanzo di bilancio) porta la AD verso il basso.

Questi 2 effetti dovrebbero compensarsi, tuttavia, questo tipo di politica, che combina una riduzione della spesa pubblica con una svalutazione, è difficile da attuare per colpa dell’effetto “J” (di cui avevamo parlato nel capitolo 11, appunti di macroeconomia). Se funzionasse, invece, si potrebbe ridurre un disavanzo commerciale senza incorrere in una recessione iniziale.

Pro e contro di una svalutazione (appunti) Pro (teorizzati da Keynes in primis):

o combattere la recessione in fretta. o Poiché le aspettative si auto-realizzano, la recessione dovrebbe combattersi ancora più in fretta. Una volta

usciti dal patto, tutti gli operatori finanziari si aspetteranno un deprezzamento della valuta, e questa stessa aspettativa farà, come abbiamo già visto, sia aumentare l’ inflazione sia la produzione sia le esportazioni.

Contro: o L’economia, comunque, nel lungo periodo, si “auto-aggiusta” , tornando al suo livello naturale in maniera

endogena: anche senza interventi, attraverso spostamenti della AS. o È incoerente svalutare, dopo che si è aderito ad un accordo di cambio, e questo genera incertezza. o La reputazione e la credibilità del Governo scendono: diviene maggiormente soggetto agli attacchi speculativi.

* = estero

Nel medio/lungo periodo i P si aggiustano e fanno variare il cambio reale, quindi, NON ci sono differenze con il cambio flessibile. Da A ad A’ : ↓P → si deprezza la moneta → aumentano le esportazioni.

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Ma, quindi, è meglio stare in regime di cambi flessibili o di cambi fissi? Nel breve periodo, sicuramente, è preferibile essere in regime di cambi flessibili, perché si hanno più possibilità di utilizzare le politiche per variare i tassi. Nel lungo periodo, tuttavia, si dovrebbe riuscire a mantenere un tasso di cambio fisso. Anche per risolvere il problema di entrare o uscire dai cambi, è nato l’Euro. Esistono poi altri metodi di ancoraggio delle valute, oltre alla valuta comune:

o utilizzazione di moneta estera (è la c.d. “dollarizzazione” , poiché attuata nei Paesi sudamericani, che, in crisi inflazionistica, preferivano effettuare transazioni in dollari, moneta non soggetta a tali tassi inflazionistici);

o le “currency board” (lo Stato permette sempre la conversione di moneta interna con moneta estera); o la parità fissa (è un fenomeno estremo: quasi una rinuncia alla sovranità).

Teoria delle aree valutarie ottimali (appunti) In quali condizioni conviene avere tassi fissi? Es.: Negli USA hanno tutti la stessa moneta, quindi è definibile quale area valutaria ottimale (vedi anche appunti di economia monetaria internazionale). Quali sono i presupposti perché un insieme di Paesi si definiscano “area valutaria ottimale”? Mundell e Fleming hanno definito tali presupposti:

o devono sperimentare gli stessi shock → possono attuare politiche monetarie simili. o Se hanno, al contrario, shock diversi → devono avere un’elevata mobilità dei fattori economici. Facciamo un

esempio: la California è soggetta a shock nel terziario, mentre il Texas è soggetta agli shock petroliferi. Grazie all’ottima mobilità sul mercato del lavoro tali shock si compensano (infatti in media una persona negli USA cambia casa 8 volte nella vita).

In UE queste due condizioni non sussistono, ma l’euro è nato lo stesso. Le aspettative nella determinazione del tasso di cambio

La parità dei tassi di interesse afferma che i rendimenti attesi, quando espressi in unità comuni (es.: beni statunitensi) devono essere uguali. Approssimando, abbiamo: La teoria della parità dei poteri di acquisto (PPA) sostiene che nel lungo periodo il tasso di cambio reale è determinato da fattori reali. Nel lungo periodo la bilancia commerciale deve essere in pareggio: un Paese non può essere eternamente indebitato. Questo implica che il tasso di cambio reale rimarrà costante. La valuta di un Paese con un tasso di inflazione più alto rispetto al resto del mondo deve deprezzarsi e viceversa. Questo principio è chiamato parità del potere di acquisto in termini relativi. Unendo queste teorie e la neutralità della moneta concludiamo che il deprezzamento di lungo periodo dipende dalla differenza tra il tasso di crescita della moneta all’ interno e all’estero. Un aumento di interesse reale interno di lungo periodo rispetto al corrispondente tasso estero comporta una riduzione del tasso di cambio reale. La valuta nazionale oggi si apprezza fino a quando il deprezzamento futuro atteso compensa il fatto che il tasso di interesse reale interno di lungo periodo è maggiore del tasso di interesse reale estero di lungo periodo. In sintesi, come accennato in apertura di capitolo: il tasso di cambio reale è determinato da:

1. fattori relativi al commercio internazionale; 2. il tasso di cambio reale atteso di lungo periodo; 3. differenze tra tassi di interesse reali, a lungo termine, interni ed esteri.

Le ampie fluttuazioni dei tassi USA negli anni ‘80

Quanto detto sinora suggerisce il seguente approccio: calcolare per ciascun anno la differenza tra i tassi di interesse reali interno ed esterno di lungo periodo, per poi confrontarla con il tasso di cambio reale. Notiamo, dai dati empirici, rilevati durante gli anni ’80 negli USA, che esiste una stretta relazione tra l’andamento del tasso di cambio reale e l’andamento del differenziale di interesse reale di lungo periodo (vedi il punto 3, 5 righe sopra). A loro volta l’espansione/stretta fiscale e l’espansione/stretta monetaria modificano i tassi di interesse reali.

L’apprezzamento dello Yen nei primi anni ‘90 Le fluttuazioni del tasso di cambio reale sono sempre causate da variazioni dei tassi di interesse reali di lungo periodo? Non solo. In Giappone erano dovute all’andamento del tasso di cambio reale atteso di lungo periodo sin dal 1990. Ma cosa spiega la costante riduzione del tasso di cambio ed il costante apprezzamento dello yen? Perché l’avanzo commerciale del Giappone è cresciuto così tanto in quel periodo? Ci sono 3 possibili ragioni:

1. l’effetto J e la condizione di Marshall-Lerner (di cui abbiamo già parlato negli appunti di macroeconomia), che, se soddisfatta, in seguito ad un apprezzamento riduce l’avanzo commerciale;

2. un Paese in recessione registra generalmente un miglioramento della sua posizione nella bilancia commerciale; 3. una sopravvalutazione dello Yen.

1 1 + rt = ---- (1+r* t) εe

t+1

εt

L’equazione ci dà una relazione tra tasso di interesse reale interno ed estero, da un lato, e tassi di cambio reali corrente e futuro atteso, dall’altro.

εet+1 – εt

rt ≈ r* t + ---------------

εt

Il tasso di interesse reale interno deve essere (circa) uguale al tasso di interesse reale estero più il tasso atteso di deprezzamento reale.

εet+n

εt = --------------------

1+n(rnt– r*nt)

L’equazione esprime il tasso di cambio reale corrente in funzione del tasso di cambio reale futuro atteso fra n anni, e del differenziale tra i tassi di interesse reali a n anni interno ed estero.

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Tassi di cambio, politica economica e annunci Assumiamo che non esista l’ inflazione. E che le aspettative sui tassi inizialmente siano costanti ed uguali tra loro. Supponiamo che la BC annunci una riduzione dei tassi. Qual è l’effetto sul tasso di cambio corrente? Poiché il tasso di cambio atteso negli anni dopo è invariato, deve verificarsi un deprezzamento oggi, per generare apprezzamento domani. In altre parole, se la moneta nazionale subisce un deprezzamento del 10% oggi e se ci si attende un apprezzamento del 2% nei prossimi 5 anni, gli investitori saranno disposti a detenere titoli nazionali, nonostante il tasso di interesse interno sia inferiore del 2% rispetto al tasso estero. Inizialmente l’aggiustamento è detto “overshooting” . Tali fluttuazioni possono essere spiegate dalla risposta dei mercati finanziari ai differenziali attesi dei tassi di interesse futuri, ovvero: l’overshooting si genera per colpa di quel che si aspettano (aspettative) i mercati.

Politica economia e aspettative Se la BC decide di tagliare i tassi di interesse, i mercati finanziari devono valutare se si tratti di un intervento temporaneo. In pratica: la misura in cui i tassi di breve influenzano i tassi a lungo ed i tassi di cambio dipende dalle aspettative. Se i mercati anticipassero un taglio decisivo dei tassi, e la BC ne annunciasse uno inferiore, potrebbe verificarsi un apprezzamento invece di un deprezzamento. Questo è accaduto alla Bundesbank nel ’94 e ’95. È una questione di fiducia e di credibilità della BC.

Tassi di cambio fissi e svalutazione Il tasso di cambio nominale è definito come il prezzo della moneta estera in termini della moneta nazionale. Una svalutazione (un aumento del tasso di cambio nominale) rende la moneta nazionale più conveniente. Nei sistemi di cambio fissi, paradossalmente, una crisi può essere generata dal Governo, che deve riallineare i tassi. Perché i mercati finanziari dovrebbero aspettarsi una svalutazione?

o Potrebbero credere che la moneta sia sopravvalutata. Se c’è un disavanzo commerciale per eliminarlo prima o poi si dovrà svalutare.

o Le condizioni economiche lo richiedono: ad es., c’è troppa disoccupazione. Quali sono le alternative?

o Convincere i mercati (es.: comunicati stampa) che la svalutazione non avverrà. o Aumentare il tasso di interesse, ma meno di quanto necessario. Acquistare moneta nazionale e vendere l’estera. o Casi più gravi:

� accettare elevati tassi di interesse; � confermare la svalutazione.

In sintesi, anche se il Governo inizialmente non avesse intenzione di svalutare potrebbe esservi costretto per il semplice fatto che i mercati se lo aspettano.

AS e AD con cambi fissi Prima o poi, se si è aderito ad un accordo di cambio, si deve svalutare. Un tasso di cambio fisso, con perfetta mobilità di capitali, implica che il tasso di interesse nominale interno debba essere uguale a quello estero. Questa condizione vincola la capacità della BC di scegliere l’offerta di moneta. Il legame cruciale è la relazione inversa tra P e Y (↑P → ↓Y), che avevamo già visto parlando della domanda aggregata, la cui curva (AD) è inclinata negativamente. Un aumento della produzione, al contrario, fa aumentare il livello dei prezzi (↑Y → ↑P): la curva di offerta aggregata (AS) è inclinata positivamente. AS’ P’ C B AS P A AD’ AD Yn

A parole: una svalutazione genera inizialmente un deprezzamento reale, un aumento delle esportazioni e della produzione. Nel lungo periodo, l’ inflazione erode gli effetti positivi della svalutazione: il tasso di cambio nominale è neutrale. Un Governo ha quindi due possibilità:

1. non svalutare e attendere che l’economia si aggiusti nel lungo periodo; 2. svalutare e aggiustarla nel breve, generando inflazione.

Crescita della moneta, inflazione e tassi di interesse Le decisioni di spesa dipendono dal tasso di interesse reale: il tasso di interesse in termini di beni. Facciamo un ripasso:

o il tasso di interesse reale appare nell’equazione della curva IS (mercato dei beni); o nella LM appare il tasso nominale (mercato della moneta).

Il tasso di interesse reale è uguale al tasso di interesse nominale meno l’ inflazione attesa (πe). Nel breve periodo i due tassi camminano di pari passo. Nel lungo periodo:

o la crescita della moneta non influisce: � sulla disoccupazione � né sulla produzione � né sul tasso di interesse reale.

o il tasso di interesse nominale si muove di pari passo con l’ inflazione: questa è l’ ipotesi/effetto di Fisher. o Una crescita più elevata dello stock nominale di moneta provoca una riduzione dei saldi monetari reali:

� provoca inflazione; � provoca un maggior tasso di interesse nominale.

Equilibrio di breve: se si è al livello naturale, salvo uno shock, l’economia sta ferma. Se il Governo svaluta, aumentando il tasso di cambio, i beni nazionali sono più convenienti, le esportazioni aumentano, quindi anche la produzione: la AD va verso destra: passa ad AD’. Equilibrio di lungo: nel punto B, Y>Yn; per tornare a livello naturale, la AS passa ad AS’ , nel punto C.

Riassumendo: nel lungo per iodo: ↑moneta non influisce su: u, Y, r ↑π e ↑i

Ovvero: nel lungo periodo la crescita della moneta ha soltanto effetti nominali e non reali.

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Capitolo 18: I l ruolo della politica economica Incer tezza e politica economica Quanto ne sanno davvero i macroeconomisti? I ricercatori della Brookings Institution hanno chiesto agli autori dei 12 maggiori modelli macroeconomici, in uso ai nostri giorni, di rispondere ad alcune domande. Una delle domande era la seguente: consideriamo il caso in cui l’economia statunitense stia crescendo al suo tasso normale, con la disoccupazione al suo tasso naturale; definiamo questo caso standard. Supponiamo ora che la Fed aumenti la moneta più rapidamente che nel caso standard. Tutti questi modelli prevedono che la produzione aumenterà per qualche tempo in seguito all’espansione monetaria. In sintesi, se dovessimo misurare l’ incertezza in base al campo di variazione di queste risposte, concluderemmo che gli effetti della politica economica sono davvero estremamente incerti. L’ incertezza può giustificare un minor intervento pubblico nell’economia? Supponiamo che l’economia statunitense sia in recessione. Il tasso di disoccupazione è all’8%. Basandosi sulle sue previsioni, la Fed sa che il prossimo anno la disoccupazione rimarrebbe all’8%. Sa che il tasso naturale di disoccupazione è del 6%. Sa anche che una crescita della produzione dell’1% in più per un anno riduce il tasso di disoccupazione dello 0,4%. La Fed sa che se il prossimo anno potesse raggiungere una crescita del 5% in più, il tasso di disoccupazione diminuirebbe del 2%, raggiungendo il tasso naturale del 6%. La Fed dovrebbe quindi aumentare l’offerta di moneta del 23,8%. La conclusione è che, data l’ incertezza degli effetti della politica monetaria sulla produzione, aumentare la moneta del 23,8% sarebbe irresponsabile. La Fed dovrebbe aumentare l’offerta di moneta in misura inferiore al 23,8%; ad esempio potrebbe aumentarla del 10%, ottenendo in tal modo una disoccupazione tra il 5 e l’8%, un intervallo di variazione decisamente più sicuro. Incertezza e limiti agli interventi di politica economica L’obiettivo generale della politica economica dovrebbe essere quello di evitare recessioni prolungate, prevenire eccessive espansioni e debellare eventuale pressioni inflazionistiche. La politica macroeconomica non dovrebbe perseguire il cosiddetto fine tuning, cioè volere a tutti i costi raggiungere un obiettivo prefissato, come una disoccupazione costante o una crescita stabile della produzione. Oggi la maggior parte degli economisti ammette che la politica economica ha effetti estremamente incerti, e che le conseguenze di questa incertezza dovrebbero indurre i governi a usare una politica economica meno attiva a favore di un’autolimitazione dei responsabili della politica economica. Vediamo ora quali sono a favore di restrizioni imposte ai responsabili della politica economica. Aspettative e politica economica Una delle cause dell’ incertezza che caratterizza gli effetti della politica macroeconomica è l’ interazione tra quest’ultima e le aspettative. La politica macroeconomica può essere considerata come un gioco tra il governo e l’economia. Quindi abbiamo bisogno della teor ia dei giochi cioè l’ interazione strategica tra giocator i ossia il comportamento delle persone e delle imprese che dipende da cosa si aspettano dal governo. A sua volta, il comportamento del governo dipende da cosa succede nell’economia. A volte l’esito del gioco migliora se i giocatori rinunciano a priori ad alcune operazioni. Un riesame di inflazione e disoccupazione L’ inflazione dipende dall’ inflazione attesa, incorporata nei salari fissati nei contratti salariali, e dalla differenza tra il tasso effettivo e il tasso naturale di disoccupazione. In teoria dei giochi, l’ incentivo a deviare dalla politica annunciata una volta che gli altri giocatori hanno già fatto le loro mosse è noto come incoerenza temporale della politica ottimale. La politica migliore per la banca centrale è rinunciare all’opzione di deviare dalla politica annunciata raggiungendo un’ inflazione nulla e una disoccupazione pari al suo tasso naturale. Impegnandosi credibilmente a non compiere azioni che in un secondo momento sarebbero convenienti, il governo può ottenere un esito migliore cioè nessuna inflazione.

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Il problema dell’ incoerenza temporale: il modello di Barro e Gordon Il caso in cui la banca centrale riesce a sorprendere il settore privato è chiamato equilibrio di first best. Dal momento che la banca centrale non riesce a sorprendere il settore privato l’ inflazione è inutilmente elevata. Il caso in cui la banca centrale può credibilmente impegnarsi a tenere l’ inflazione pari a zero è chiamato equilibrio di second best o pre – commitment; invece, il caso in cui il settore privato non crede all’annuncio della banca centrale e incorpora nelle proprie aspettative l’ incentivo a fare una sorpresa inflazionistica è chiamato equilibrio di third best o “discrezionale” . La politica migliore è cercare di impegnarsi in modo credibile a non deviare dalla politica annunciata, accontentandosi del second best. Il problema dell’ incoerenza temporale consiste nella difficoltà che le autorità di politica economica incontrano per essere credibili. In un’economia senza incertezza non vi sono sorprese inflazionistiche poiché qualunque livello di inflazione viene incorporato nelle aspettative e quindi, in equilibrio, non si produce alcun effetto reale. In una economia con incertezza, invece, vi può essere inflazione inattesa, e quindi la banca centrale ha la possibilità di stabilizzare il livello di produzione. Qual è allora la politica migliore in presenza di incertezza? Fissare una regola semplice o lasciare la banca centrale libera di usare discrezionalmente la politica monetaria? In alcuni casi è tuttavia possibile rispondere con certezza alla domanda che ci siamo posti.

� Se non vi sono shock all’offerta la perdita attesa è certamente minore del costo nel caso di regola semplice;

� Se invece la probabilità che si verifichi uno shock è molto alta la perdita attesa sarà minore se la banca centrale non è vincolata da una regola, ma può operare con discrezionalità.

Ma vi sono modi alternativi, in alcuni casi migliori della regola semplice, per risolvere il problema dell’ incoerenza temporale come delegare un banchiere centrale “ conservatore” e “ indipendente” . Delegare la politica monetaria ad un agente le cui preferenze sono diverse da quelle dell’elettore mediano è possibile solo se il banchiere centrale è indipendente. Da qui l’ importanza che il banchiere centrale sia allo stesso tempo “conservatore” e “ indipendente” . L’ indipendenza della banca centrale è dunque un requisito essenziale per cercare anche solo di attenuare il problema dell’ incoerenza temporale. Come diventare credibili? Per gestire il problema dell’ incoerenza temporale nel caso della politica monetaria bisogna:

1. Rendere indipendente la banca centrale. Nominare un governatore per un lungo periodo di tempo e rendere difficile una sua eventuale sostituzione lo metterà al riparo dalle pressioni politiche a ridurre la disoccupazione al di sotto del tasso naturale;

2. Scegliere un governatore “conservatore” , cioè che sia particolarmente avverso all’ inflazione e non sia disposto in alcun caso ad accettare un’ inflazione più elevata in cambio di una riduzione della disoccupazione, quando la disoccupazione è al suo tasso naturale. Quando l’economia procede al suo tasso naturale, un governatore che ha queste preferenze non sarà tentato di espandere la moneta. E l’ incoerenza temporale non sarà più un problema.

Una maggior indipendenza della banca centrale è sistematicamente associata a un’ inflazione minore. Politica e politica economica I giochi tra le autorità di politica economica e gli elettori Se l’obiettivo dei politici è entrare nelle grazie degli elettori per essere rieletti, quale miglior politica di espandere la domanda aggregata prima delle elezioni, per stimolare la crescita e ridurre la disoccupazione? E’ vero che una maggior crescita oggi deve essere seguita da una minor crescita in futuro ma una maggior crescita oggi può far vincere le elezioni. In questo senso si parla di ciclo economico politico.

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La loro logica è molto convincente, eppure questa teoria non trova sufficiente supporto nei dati che non dimostrano che ci sia stata una manipolazione della politica economica a fini elettorali (la differenza media tra i diversi anni è piuttosto piccola). I giochi tra i responsabili della politica economica Un’altra linea di ricerca si è concentrata sui giochi tra i partiti politici. I repubblicani, da sempre a favore di un limitato ruolo del governo nell’economia, preferiscono una riduzione della spesa pubblica. Al contrario, i democratici sono più disposti ad aumentare le imposte. Gli studiosi definiscono queste situazioni guerre di attr ito. La speranza che prima o poi l’avversario finisca col cedere genera prolungati e costosi ritardi. La condizione di bilancio in pareggio Gli svantaggi della condizione di bilancio in pareggio. La condizione di pareggio di bilancio elimina completamente il problema dei disavanzi di bilancio. Ma elimina anche la possibilità di ricorrere alla politica fiscale come strumento di politica macroeconomica e questo sembra essere un costo troppo elevato rispetto ai benefici che ne deriverebbero. I vantaggi della condizione di bilancio in pareggio. Per alcuni economisti, invece, il ricorso a un emendamento costituzionale in favore del pareggio del bilancio è necessario. Essi concludono che solo un emendamento costituzionale è in grado di ridurre il disavanzo pubblico. Autolimitazioni e politica fiscale negli Stati Uniti negli anni Ottanta Stabilire restrizioni efficaci è importante e difficile. E’ importante sia per ridurre le scappatoie possibili sia per consentire clausole di fuga realistiche.

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Capitolo 19: La politica monetar ia (evitare gli esercizi numerici del libro su questo capitolo, bene la storia)

Nel breve e nel medio periodo, la politica monetaria influisce sia sul livello sia sulla composizione della produzione. Nel lungo periodo la politica monetaria è neutrale. I l tasso ottimale di inflazione L’ inflazione media dei paesi OCSE dagli anni ’80 è costantemente diminuita. Questo significa che le banche centrali hanno raggiunto il loro obiettivo? La risposta dipende dai costi e dai benefici dell’ inflazione. I costi dell’ inflazione La moneta ha tre funzioni:

� unità di conto: fissare i prezzi dei beni in una stessa unità di misura facilita le persone e le imprese nella valutazione dei prezzi relativi;

� mezzo di scambio; � riserva di valore: non paga alcun interesse o al massimo un basso tasso di interesse

nominale. Il dibattito nei paesi OCSE riguarda i vantaggi di un tasso di inflazione nullo rispetto ad uno moderatamente >0. In questo intervallo di valori, gli economisti individuano quattro tipi di costi. 1. I l costo delle suole. Nel lungo periodo, un maggior tasso di inflazione comporta maggiori tassi

di interesse nominali, e quindi un maggior costo – opportunità della moneta. Di conseguenza, le persone riducono i loro saldi monetari e si recano più spesso nelle banche per prelevare. Questo continuo ricorso allo sportello bancario potrebbe essere evitato se l’ inflazione fosse minore. Inoltre, se i tassi nominali sono più alti, gli investimenti sono più bassi.

2. Le distorsioni fiscali. Il secondo costo dell’ inflazione deriva dall’ interazione tra il sistema tributario e il fenomeno inflattivo. Quanto maggiore è il tasso di inflazione, tanto maggiore sarà l’ imposta (ad es.: ↑P→↑IVA; oppure si passa a scaglioni d’ imposta superiori solo per colpa dell’ inflazione).

3. L’ illusione monetar ia. Il terzo costo deriva dall’ illusione monetaria, secondo il quale pare che le persone commettano errori sistematici nel distinguere tra grandezze nominali e reali. Gli economisti hanno raccolto dei dati che suggeriscono che l’ inflazione induce le persone e le imprese a prendere decisioni sbagliate (perché percepiscono ↑P come costo e ↑W come ↑r).

4. La volatilità dell’ inflazione. L’ultimo tipo di costi deriva dal fatto che una maggior inflazione è di solito associata a un’ inflazione più variabile. E un’ inflazione più variabile significa che attività finanziarie come i titoli, che promettono pagamenti futuri fissati in termini nominali, diventano più rischiose; i segnali dei prezzi sono confusi: è più difficile fare piani d’ investimento.

Invece di emettere solo titoli nominali, i governi o le imprese potrebbero emettere anche titoli indicizzati, cioè titoli che promettono pagamenti corretti per l’ inflazione. Questi titoli indicizzati permettono ai risparmiatori di evitare il rischio associato a un’ inflazione elevata e hanno pertanto avuto un grande successo. I benefici dell’ inflazione 1. I l signoraggio. A parità di altri fattori, i ricavi dalla creazione di moneta – cioè il signoraggio –

consentono al governo di prendere a prestito una somma minore o di ridurre le imposte. Mentre l’ammontare del signoraggio è rilevante in alcuni casi, pare poco rilevante nell’ambito della discussione sull’opportunità per i paesi OCSE di ridurre il tasso di inflazione da un livello, diciamo, del 5% a zero.

2. La possibilità di ottenere tassi di interesse reali negativi. Tasso reale = tasso nominale – inflazione (r = i – π). Un tasso di inflazione positivo consente all’autorità monetaria di ottenere tassi di interesse reali negativi, possibilità che può essere utile nel caso in cui l’economia si trovi in una recessione: o i salari reali sono inferiori, quindi è possibile assumere più personale; o gli investimenti salgono, perché quel che si restituisce, in termini di capacità d’acquisto, è

inferiore a quanto preso a prestito.

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Se l’ inflazione attesa è positiva, il tasso può essere negativo. Se l’ inflazione attesa è uguale a zero, il tasso è zero. Infine, se c’è deflazione attesa, il tasso deve essere positivo. Si consideri il Giappone alla fine del 1995 dove il tasso di interesse reale era superiore al tasso nominale e l’effetto dei bassi tassi nominali sulla spesa piuttosto limitato cioè la possibilità che la politica monetaria favorisse una ripresa dell’economia giapponese era molto remota. Il Giappone, quindi, era in deflazione: la IS era verticale; ↓i → Y =. i IS LM Y Un r iesame dell’ illusione monetar ia. Il fenomeno dell’ illusione monetaria di fatto può costituire anche un’argomentazione a favore di un tasso di inflazione positivo. Il tasso ottimale di inflazione: il dibattito attuale In questo periodo nei paesi OCSE è in corso un dibattito tra coloro che sono a favore di un tasso positivo di inflazione (diciamo del 5%) e coloro che sono invece a favore della stabilità dei prezzi, cioè di un’ inflazione nulla.

o I primi ritengono che i costi di un’ inflazione tra lo 0 ed il 5% siano relativamente contenuti e che i benefici di un’ inflazione moderatamente positiva siano rilevanti.

o Coloro che preferiscono un’ inflazione nulla sostengono, invece, che l’ inflazione è di per sé un fenomeno negativo e sottolineano che la stabilità dei prezzi risolve i problemi molto meglio di un obiettivo di inflazione del 5%.

o Nessuno, tuttavia, ritiene che possa essere positivo avere inflazione >5% o <0%. Moneta e liquidità (da qui alla fine del capitolo solo leggere) Finora abbiamo mantenuto una netta distinzione tra la moneta e le altre attività finanziarie. Tuttavia, le innovazioni rendono questa distinzione del tutto irrealistica. La moneta e le altre attività finanziarie liquide M1 è la somma del circolante ed assegni turistici, dei depositi in conto corrente che include tutti i depositi a fronte dei quali possono essere emessi assegni. Le attività sotto elencate non sono moneta. Tuttavia esse possono essere scambiate con moneta a costi relativamente contenuti. Si dice che sono molto liquide.

� Le quote dei fondi comuni monetari sono emesse dai fondi comuni monetari; si tratta di intermediari finanziari che detengono attività finanziarie a breve scadenza e nelle passività registrano depositi.

� I depositi comuni monetari sono simili alle quote dei fondi comuni monetari, ma essi sono offerti dalle banche.

� I depositi vincolati sono meno liquidi delle attività che abbiamo elencato finora. Hanno una scadenza esplicita e prevedono una penalità in caso di prelievo anticipato.

La somma di M1 e delle attività sopra elencate è chiamata M2. M2 è chiamata moneta in senso esteso, M1 moneta in senso stretto. Potremmo continuare a elencare le attività finanziarie con minor grado di liquidità come M3 che sono misure chiamate aggregati monetar i. Un riesame della domanda di moneta La banca centrale controlla l’offerta di M1 dunque controlla direttamente la base monetaria; e poiché i depositi in conto corrente sono soggetti ai vincoli sulle riserve, la banca centrale indirettamente controlla anche l’offerta di depositi. La domanda di M1 dipende da quanto convenienti sono le componenti di M1 rispetto alle altre attività liquide. Quindi, una variazione dell’ insieme di attività finanziarie disponibili può modificare la domanda di M1.

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Conseguenze per la politica monetaria I l breve per iodo. L’offerta reale di M1 deve essere uguale alla domanda di M1. La banca centrale deve essere pronta a variare M1 a seguito di determinati spostamenti della domanda di moneta. Un modo per individuare tali spostamenti è osservare l’andamento dei diversi aggregati monetari. I l lungo per iodo. Un tasso di inflazione stabile potrebbe non essere associato a una crescita stabile di M1. Anche nel lungo periodo non ci sarà una relazione molto stretta tra la crescita di M1 e l’ inflazione. Potrebbe esistere una relazione più stretta tra il tasso di inflazione e il tasso di crescita di M2. Tuttavia la relazione non è sempre affidabile. La crescita media di M2 è stata insolitamente bassa rispetto all’ inflazione. La ragione di questo fenomeno sembra essere uno spostamento dai fondi comuni monetari ai fondi comuni azionari e obbligazionari. Tali considerazioni evidenziano le carenze di M2 come misura di liquidità. Questo problema ha indotto i ricercatori a cercare di costruire misure migliori della liquidità. Misure di liquidità e aggregati monetari Finora le misure che sono state costruite non sono migliori di M2. Quindi, a tutt’oggi M2 rimane la misura di liquidità maggiormente usata. La Fed in azione Il mandato della Fed E’ stato stabilito nella Legge Humphrey – Hawkins. La Fed ha il mandato non solo di ridurre l’ inflazione, ma anche di stabilizzare l’attività economica. L’organizzazione della Fed Il Federal Reserve System è composto da tre parti:

� un insieme di 12 Federal Reserve Distr icts, ciascuno con a capo una banca sottostante alla Fed. Le funzioni riguardano la gestione delle operazioni di compensazione e la vigilanza delle attività bancarie e finanziarie nel distretto;

� il Board of Governors, con sede a Washington, DC. Il Consiglio ha 7 membri, incluso il Governatore della Fed. Ha il compito di definire la politica monetaria degli Stati Uniti;

� il Federal Open Market Committee (FOMC) ha anch’esso sede a Washington. Il Comitato ha 12 membri. La funzione principale è di fornire istruzioni all’Open Market Desk, l’agenzia incaricata delle operazioni di mercato aperto – le compravendite di titoli da parte della Fed – con sede a New York.

Il Governatore della Fed di fatto è molto potente. E la maggior parte delle decisioni sono prese dal Federal Open Market Committee. La Fed è una delle banche centrali più indipendenti del mondo. La principale leva di controllo del Presidente e del Congresso è la nomina e l’approvazione del Governatore ogni 4 anni. Ma il Governatore è libero di scegliere la politica monetaria. Gli strumenti di politica monetaria La Fed ha tre strumenti per controllare l’offerta di moneta, M. Il primo, i vincoli sulle riserve, influenzano il moltiplicatore della moneta. Gli altri due, il prestito alle banche e le operazioni di mercato aperto, influenzano la base monetaria, H. Vincoli sulle r iserve. La Fed determina le riserve obbligatorie, cioè l’ammontare minimo di riserve che le banche devono detenere in proporzione ai depositi in conto corrente. La Fed impone vincoli superiori al livello che sceglierebbero liberamente le banche. Modificando i vincoli sulle r iserve, la Fed cambia il moltiplicatore della moneta e quindi l’offerta di moneta, senza variare la base monetaria. Gli aumenti dei vincoli sulle riserve possono costringere le banche ad esempio esigere il rimborso di prestiti già accordati. Per questa ragione, la Fed è diventata sempre più riluttante a utilizzare i vincoli sulle riserve come strumento di politica macroeconomica. Prestiti alle banche. La Fed può accordare prestiti alle banche. Quanto è disposta a prestare e a quali condizioni costituiscono gli elementi della cosiddetta politica di sconto. Il tasso al quale la banca centrale presta denaro alle banche è chiamato tasso di sconto. Attraverso un effetto sulle aspettative dei tassi di interesse futuri attesi, una riduzione del tasso di sconto si riflette in un calo dei tassi di interesse a medio e lungo termine.

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Operazioni di mercato aper to. Con le quali essa acquista e vende titoli sul mercato dei titoli. Le operazioni di mercato aperto si sono rivelate lo strumento più adatto e flessibile per cambiare la base monetaria, e quindi l’offerta di moneta, M. La riserva obbligatoria delle banche: una forma particolare di signoraggio Perché una banca centrale può avere interesse ad imporre alle banche un coefficiente di riserva particolarmente elevato? Il primo motivo è che le riserve costituiscono un’ imposta sulle banche. La riserva è quindi una forma particolare di tassazione, di fatto equivalente al signoraggio. Il coefficiente di riserva obbligatoria sono particolarmente alti quando un paese deve finanziarie un disavanzo pubblico elevato. Il secondo motivo è che un aumento del coefficiente di riserva attenua l’ impatto sull’offerta di moneta del disavanzo pubblico. Quando il mercato finanziario è aperto, tassare molto le proprie banche vuol dire spiazzarle rispetto ai loro concorrenti internazionali. In Europa, via via che cresceva l’ integrazione dei mercati finanziari, i paesi che imponevano alle loro banche una riserva elevata l’hanno dovuta rapidamente ridurre. La politica in pratica In che modo viene decisa la politica monetaria? Negli Stati Uniti, il punto di partenza per capire questo processo è dato dalle riunioni del FOMC, che hanno luogo ogni 6 settimane. Lo staff della Fed prepara previsioni e simulazioni degli effetti di diverse politiche monetarie. Il FOMC decide poi il corso della politica monetaria. Attualmente, la Fed annuncia i suoi obiettivi per due aggregrati monetari, M2 e M3. La conduzione delle operazioni di mercato aperto è delegata al responsabile dell’Open Market Desk che osserva l’andamento di tutti i tassi di interesse. Uno dei tassi più importanti è il tasso di interesse sul mercato dei federal funds, il mercato nel quale le banche che hanno riserve in eccesso prestano denaro giornalmente alle banche che hanno riserve insufficienti. Questo tasso di interesse overnight è chiamato tasso di interesse sui federal funds. Quando nuove informazioni sull’andamento dell’economia sono disponibili, il responsabili dell’Open Market Desk adegua la politica monetaria come meglio crede, fino alla successiva riunione del FOMC. Il ruolo degli obiettivi In che misura la Fed riesce a mantenere gli aggregati monetari all’ interno degli intervalli di variazione che si è posta come obiettivo? E’ evidente che la Fed non sempre riesce a raggiungere gli obiettivi prefissati. A che scopo allora annunciare un intervallo di variazione? Ci sono 2 ragioni:

1. L’ intervallo di variazione serve come segnale delle intenzioni della Fed. 2. L’ intervallo di variazione prefissato dalla Fed serve come punto di riferimento per giudicare

la condotta della Fed stessa da parte degli operatori economici. Questo modo di condurre la politica monetaria funziona? Negli Stati Uniti esso ha funzionato piuttosto bene negli ultimi 15 anni: la Fed è riuscita a preservare sia un certo grado di flessibilità sia la sua credibilità di fronte qai mercati finanziari, convincendoli del suo impegno a mantenere un basso tasso di inflazione. Allo stesso tempo, essa ha potuto utilizzare la politica monetaria per ridurre le fluttuazioni della produzione. Attualmente la condotta della Fed mostra che una banca centrale può mantenere credibilità e flessibilità allo stesso tempo.

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Capitolo 20: La politica fiscale Nel breve periodo, un disavanzo di bilancio fa aumentare la domanda e quindi la produzione. La politica fiscale, cioè variazioni nelle imposte e nella spesa pubblica, può quindi essere utilizzata per stabilizzare il livello del reddito e dell’occupazione. Tuttavia, l’ampiezza dell’ impatto della politica fiscale sulla produzione dipende in gran parte dalle aspettative. Nel lungo periodo, la produzione torna al suo livello naturale. Ma quest’ultimo può essere influenzato dalla politica fiscale: se, ad esempio, il disavanzo pubblico disincentiva gli investimenti, lo stock di capitale diminuisce e ciò si rifletterà, nel lungo periodo, in un minor livello di produzione. L’equivalenza r icardiana Come cambia la nostra analisi degli effetti del disavanzo pubblico sulla produzione, quando si tiene conto del vincolo di bilancio del governo? Né il disavanzo né il debito hanno effetti sull’attività economica. Questa proposizione è nota come teorema di equivalenza r icardiana o come proposizione di Barro – Ricardo. Il teorema di equivalenza ricardiana ci dice che se il governo finanzia una data spesa pubblica con debito, il risparmio privato aumenterà in misura pari alla riduzione del risparmio pubblico, lasciando invariato il risparmio totale. Di conseguenza, anche le risorse destinate all’ investimento rimarranno invariate. Il debito pubblico aumenterà, ma questo aumento non avverrà a scapito dell’accumulazione di capitale. In conclusione il disavanzo pubblico ha effetti rilevanti sull’attività economica. Nel breve periodo, forti disavanzi probabilmente fanno aumentare la domanda e la produzione. Nel lungo periodo, tuttavia, un maggior debito pubblico riduce l’accumulazione di capitale e quindi gli investimenti e la produzione. Una dimostrazione formale dell’equivalenza ricardiana Il modo in cui il governo finanzia la spesa pubblica (mantenendo le imposte basse nel primo periodo ed indebitandosi, oppure raccogliendo in ciascun periodo un volume di imposte sufficiente a pagare la spesa pubblica di quel periodo) è del tutto irrilevante. Questo è il risultato di equivalenza ricardiana. Un corollario di questo risultato è che il livello del debito pubblico è irrilevante. Un livello di debito più elevato è solo l’effetto della decisione del governo di spostare le imposte dal presente al futuro, e non ha alcun effetto sul comportamento delle famiglie. Anche questo corollario tuttavia si scontra con l’evidenza empirica. I limiti del teorema di equivalenza ricardiana Perché l’evidenza empirica mostra che la politica finanziaria del governo non è irrilevante? Per cercare di capire le ragioni di questa discrepanza tra il risultato teorico e l’evidenza empirica è necessario riflettere sulle ipotesi che abbiamo fatto per ottenere il risultato di irrilevanza. Sono 3:

1. Le imposte non sono distorsive, nella realtà invece lo sono: aliquote di imposta più elevate, sui redditi da lavoro e sui redditi da capitale, riducono gli incentivi a lavorare e a investire, con il risultato che il livello della produzione sarà, a parità di altre condizioni, più basso;

2. I consumatori possono prendere e dare a prestito al medesimo tasso di interesse, non abbiamo quindi distinto fra il tasso al quale il consumatore può prendere a prestito e il tasso al quale può investire il proprio risparmio. Nella realtà i due tassi di interesse sono diversi;

3. L’orizzonte temporale dei consumatori è uguale a quello del governo, nel nostro esempio consumatori e governo avevano il medesimo orizzonte: due periodi. Che cosa accade se il governo trasferisce dalla generazione presente a quelle future le imposte necessarie per pagare le spese correnti? Esistono due generazioni: ciascuna vive due periodi ed esse si sovrappongono parzialmente: i giovani della seconda generazione nascono quando sono vecchi gli individui della generazione precedente.

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I l ruolo di avanzi e disavanzi I disavanzi (o gli avanzi) di bilancio aiutano a stabilizzare l’attività economica e consentono di distribuire nel tempo il costo di eventi particolari, come una guerra o una spesa eccezionalmente elevata. Disavanzi, stabilizzazione della produzione ed il disavanzo corretto per il ciclo Per valutare se una data politica fiscale sia appropriata, gli economisti hanno costruito delle misure del disavanzo che dicono a che livello esso si collocherebbe se la produzione fosse al suo livello naturale, tenendo conto della legislazione fiscale e delle regole di spesa esistenti. Tali misure prendono nomi diversi, noi useremo disavanzo corretto per il ciclo. Se il disavanzo effettivo è positivo, ma il disavanzo corretto per il ciclo è nullo, allora la politica fiscale è compatibile con l’obiettivo di non aumentare sistematicamente il debito nel corso del tempo. In periodi di recessione, il governo potrebbe decidere di generare un disavanzo tale da rendere positivo anche il disavanzo corretto per il ciclo. In questo caso per stabilizzare il debito il governo dovrà in futuro produrre avanzi corretti per il ciclo. La teoria sottostante al concetto di disavanzo corretto per il ciclo è semplice, ma il calcolo di questo indicatore si è invece rilevato più problematico. Per capire le ragioni, dobbiamo spiegare come sono costruite le misure del disavanzo. La loro costruzione avviene in due passaggi. Il primo consiste nello stabilire di quanto diminuirebbe il disavanzo se la produzione aumentasse, diciamo, dell’1%. Il secondo consiste nel valutare la distanza della produzione effettiva dal suo livello naturale. Il primo passaggio è immediato. Una riduzione dell’1% della produzione comporta un aumento del disavanzo pari allo 0,5% del PIL. Il secondo passaggio si è rivelato più difficile. Una stima troppo bassa del tasso naturale di disoccupazione comporta quindi una stima troppo elevata del livello naturale di produzione, e quindi una stima troppo ottimistica del disavanzo corretto per il ciclo. Guerre e disavanzi E’ giusto che i governi ricorrano al disavanzo per finanziare le guerre? Si, per due motivi. Il primo è di natura distributiva: il disavanzo è un modo per attribuire parte dell’onere della guerra alle generazioni future, che beneficeranno anch’esse dello sforzo bellico. Il secondo è di natura strettamente economica: il disavanzo consente di ridurre le distorsioni fiscali. La distr ibuzione nel tempo dell’onere del debito. Da cosa dipende la distribuzione dell’onere del conflitto? Quanto più il governo ricorre al disavanzo, tanto minore sarà il calo dei consumi durante la guerra e tanto maggiore sarà invece la riduzione dell’ investimento. Un minor investimento comporta un minor stock di capitale dopo la guerra, e quindi un minor livello di produzione futura. Riducendo l’accumulazione di capitale, il disavanzo costituisce un modo per ridistribuire l’onere della guerra tra le generazioni future. L’effetto di imposte distorsive. Invece di variare le aliquote di imposta per mantenere il bilancio in pareggio, è meglio mantenere aliquote di imposta relativamente costanti nel tempo, cioè attuare il cosiddetto tax smoothing. In questo modo si generano disavanzi di bilancio solo quando la spesa pubblica è eccezionalmente elevata, mentre in tempi normali si registreranno modesti avanzi. L’esempio degli Stati Uniti. Nel tempo, tuttavia il governo americano soddisfa il vincolo di bilancio intertemporale: non vi è infatti una tendenza del debito a crescere senza limiti; periodi di rapida accumulazione del debito sono seguiti da periodi di altrettanto rapida riduzione. I l disavanzo di bilancio degli Stati Uniti (da qui alla fine del capitolo solo leggere) Per il bilancio federale esistono due serie di dati. Il governo utilizza un suo sistema di contabilità, esiste però anche un sistema contabile alternativo ossia il sistema della contabilità nazionale che è economicamente più significativo. Le principali differenze sono:

� I dati utilizzati dal governo si riferiscono a un particolare anno fiscale. Al contrario, i dati forniti dalla contabilità nazionale si riferiscono all’anno solare;

� I dati utilizzati dal governo sono distinti in due categorie: on – budget (dentro il bilancio) e off – budget (fuori dal bilancio, la voce più importante delle spese è la Previdenza sociale).

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Se la distinzione tra voci on – budget e off – budget può avere un significato politico, essa non ha alcun senso dal punto di vista economico. Per questo motivo i dati forniti dalla contabilità nazionale non fanno alcuna distinzione e riportano semplicemente la somma dei disavanzi on – budget e off – budget;

� I due sistemi contabili differiscono anche nel modo in cui trattano le privatizzazioni e cioè la vendita di attività da parte del governo. Il sistema contabile utilizzato dal governo considera tali vendite come ricavi. I conti di contabilità nazionale, invece, tengono conto del fatto che una privatizzazione aumenta le entrate correnti, ma riduce le entrate future per cui esse non sono incluse nelle entrate del governo;

� Infine, vi sono due dati diversi per il debito del governo federale. Il primo è il “debito lordo” , la somma delle passività finanziarie del governo federale. Il secondo dato è il “debito netto” , la somma di tutte le passività finanziarie del governo federale meno la somma delle sue attività finanziarie.

Perché mai la riduzione del disavanzo è un tema tanto dibattuto negli Stati Uniti? Ci sono due argomenti a favore di una riduzione del disavanzo. Il primo deriva dalla crescita attesa dei diritti acquisiti: se non si modificherà la legislazione, il disavanzo continuerà a crescere. La seconda è il basso tasso di risparmio degli Stati Uniti. La crescita dei dir itti acquisiti. Circa la metà della spesa federale statunitense riguarda capitoli di spesa che prevedono il pagamento di benefici e indennità a coloro che soddisfano requisiti fissati per legge. I tre capitoli principali sono la Previdenza sociale (che paga le pensioni), il Medicare (che fornisce assistenza sanitaria agli anziani) e il Medicad (che fornisce assistenza sanitaria ai poveri). Queste voci di spesa crescono nel tempo per due ragioni. La prima è l’ invecchiamento dell’America e cioè il rapido aumento della proporzione di persone con più di 65 anni che avverrà quando la generazione del baby boom raggiungerà l’età pensionabile, nel 2010. La seconda è il continuo aumento dei costi dell’assistenza sanitaria. Quindi, per evitare ulteriori aumenti del disavanzo, il governo dovrà aumentare le imposte o modificare alcuni diritti acquisiti. La seconda pare l’alternativa più probabile. I l basso tasso di r isparmio negli Stati Uniti. E’ un’altra buona ragione a favore di una riduzione del disavanzo pubblico. E’ tra i più bassi di tutti i paesi OCSE. Se crediamo che gli Stati Uniti non risparmino abbastanza per il futuro, dobbiamo riconoscere che la scarsità di risparmio privato potrebbe essere compensata da un maggior risparmio pubblico, e che pertanto ci sono buone ragioni per eliminare il disavanzo di bilancio o per produrre degli avanzi. I conti pubblici in Italia Anche in Italia esistono due diverse fonti di informazioni per i conti pubblici. I conti delle Amministrazioni pubbliche e relativi al Settore statale, le amministrazioni dello Stato in senso stretto tra le quali l’ INPS. Nonostante coprano solo un sotto – insieme delle Amministrazioni pubbliche, i conti del settore statale offrono un’ informazione abbastanza accurata dell’andamento del disavanzo pubblico. Per due motivi: il primo è che la gran parte del gettito fiscale affluisce allo Stato; il secondo è che solo lo Stato può indebitarsi. L’ informazione relativa ai conti del Settore statale deve tuttavia essere considerata con qualche cautela, per due motivi. Innanzitutto il processo di decentramento fiscale sta spostando il gettito fiscale dallo Stato alle amministrazioni locali. Infine, i dati sul debito pubblico in Italia fanno riferimento al debito lordo. Il ricavato dalla vendita di attività dello Stato non è considerato come una normale entrata fiscale. Il ricavato di queste vendite è invece usato per riacquistare titoli pubblici sul mercato, e quindi va direttamente a ridurre lo stock di debito pubblico.

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Capitolo 23: (prima patologia:) Disoccupazione elevata Nei prossimi 3 capitoli ci chiederemo: “Le crisi sono il risultato di shock insolitamente forti o di meccanismi che amplificano lo shock iniziale?”

La grande depressione (depressione = recessione profonda e prolungata) Nel 1929, la depressione fu un fenomeno mondiale. Sebbene il crollo della borsa ebbe un ruolo decisivo, essa non fu causata soltanto da quello: le azioni erano aumentate molto più rapidamente dei dividendi pagati dalle società (erano

lontane dal loro valore reale, la cui definizione ricordiamo dal corso di eco.pol. II). Analizziamo il processo che portò alla crisi: 1. scoppio di una bolla speculativa; 2. imprese e consumatori presero la decisione di rimandare gli investimenti. 3. La bassa produzione ridusse i prezzi (↓Y→↓P) 4. Il meccanismo dell’aggiustamento (☼) fallì, per 2 ragioni:

I. la deflazione, che ridusse ulteriormente la produzione ed i Prezzi. II. una forte riduzione della moneta nominale (↓M), che lasciò invariati i saldi monetari reali (M/P):

M1 = H x moltiplicatore della moneta � M1 = moneta nominale � H = base monetaria � Il moltiplicatore della moneta è, a sua volta, costituito da:

• riserve bancarie • moneta detenuta dai cittadini

La riduzione della moneta nominale fu causata da una serie di fallimenti bancari: c.d. “corsa agli sportelli” . La riduzione dell’offerta di moneta fu quasi proporzionale alla riduzione dei prezzi → i saldi monetari reali (cioè M/P) rimasero costanti (poiché ↓P ma anche ↓M), eliminando il meccanismo dell’aggiustamento. Per questo Milton Friedman e Anna Schwarz hanno affermato che la FED avrebbe dovuto emettere moneta.

Effetti negativi della deflazione Essa fu un ulteriore causa della depressione. Vediamolo sul grafico: r LM’ LM IS IS’

Y’ ’ Y’ Y Y Come possiamo osservare, il meccanismo che riporta la produzione nel suo stato di equilibrio naturale fallì: la LM, anziché spostarsi verso destra, si spostò verso sinistra, riducendo ulteriormente la produzione.

La ripresa Iniziò nel 1933, inseguito all’elezione, l’anno prima, di Roosvelt. Egli ordinò un drastico aumento della moneta, nonché un programma di risanamento: il c.d. New Deal, che prevedeva programmi volti a creare nuovi impieghi, controllare meglio le banche, regolamentare l’ industria, etc. Tuttavia, gli economisti sono concordi nell’affermare che non fu l’effetto del New Deal a generare la ripresa, bensì il miglioramento indiretto nelle aspettative che esso generò. Inoltre, in realtà, quasi tutti i Paesi registrarono alti tassi di crescita, anche senza New Deal. La deflazione fu scongiurata, anche grazie ad un aumento della produzione, che, come ormai sappiamo, riduce la disoccupazione e fa aumentare i Prezzi.

La disoccupazione Una lezione empirica importante, riguardo all’occupazione, è la seguente: come accadde durante la grande depressione, se la disoccupazione è rimasta elevata per lungo tempo, la disoccupazione non migliora, anche se i salari scendono. Questo è in contrasto con i luoghi comuni moderni, che vogliono una maggiore mobilità del mercato del lavoro: essa non è una medicina sufficiente per contrastare la disoccupazione. Vedremo, in seguito, che è altresì necessario un processo di riabilitazione dei disoccupati di lungo periodo ed un intervento di politica economica.

Fattori che aumentano la rigidità del mercato del lavoro: 1. “ i contributi” (che i datori di lavoro devono versare per il lavoratore) raddoppiano il costo del lavoro; 2. le indennità di licenziamento (che i datori devono pagare per licenziare un lavoratore); 3. i sindacati (che cercano sempre di spuntare salari superiori); 4. i sussidi di disoccupazione (che disincentivano i lavoratori a cercare un impiego); 5. i minimi salariali sono alti rispetto al salario medio (: è sconveniente assumere lavoratori non qualificati).

La storia: come si è giunti ad un tasso naturale di disoccupazione così elevato in Europa? La disoccupazione attuale europea è alta. i La linea in grassetto segna la crescita della disoccupazione europea rispetto alla statunitense (tratteggiata). 1970 1996 Negli anni ’70 l’aumento della disoccupazione è stato associato ad un aumento dell’ inflazione: tipico shock di offerta aggregata (al contrario, ricordiamo, che lo shock di domanda aggregata fa muovere i due valori in senso opposto). In seguito, negli anni ’80, per ridurre l’ inflazione, si è ulteriormente ridotta l’occupazione (↓π→↑u).

o La IS passa ad IS’ (↓Y) per colpa de: • il crollo del mercato azionario • la riduzione della ricchezza • l’aumento dell’ incertezza

o La LM passa ad LM’ (↓M) per colpa de: • la riduzione della base monetaria (l’offerta reale di moneta scese: ↓M/P) • la deflazione attesa

Entrambi gli spostamenti riducono la produzione (da Y a Y’ ’ ).

☼ Aggiustamento: ↓Y →↑u →↓W →↓P →↑M →↑M/P →↓LM →↑Y

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Oggi, il tasso di disoccupazione non è lontano da quello naturale, sebbene elevato. Ma capiamo perché. Il tasso naturale di disoccupazione è definito dall’ incrocio de:

• l’equazione dei salari (WS, wage setting): W/P = f(u, z) • l’equazione dei prezzi (PS, price settins): W/P = 1/(1+µ).

È chiaro, quindi, che tutti i fattori che fanno aumentare z o µ aumentano la disoccupazione. Vediamolo sul grafico: W/P (salario reale) PS PS’ WS’ WS

u (disoccupazione) un

Due motivi della disoccupazione elevata: 1. Isteresi Come già anticipato, negli anni ’70 le crisi petrolifere causarono:

o shock di offerta aggregata (↑π+↑u) o stagflazione: inflazione + disoccupazione

Nei primi anni ’80 i Paesi europei decisero di combattere l’ inflazione con una stretta monetaria, attuata per prima dal Governo

Tatcher. Negli USA la stretta monetaria fu seguita dalla politica fiscale espansiva dell’amministrazione Reagan. In Europa, invece, da allora le politiche sono rimaste restrittive, per colpa dei Trattati a cui i Paesi aderirono (es.: Maastricth). Gli economisti sono d’accordo nell’affermare che, nello stato attuale di costanti politiche restrittive, la disoccupazione non è solo colpa della poca flessibilità del mercato del lavoro. Ricordiamo, dall’esperienza statunitense della grande depressione, che la disoccupazione passata influisce su quella presente. Questo è proprio il principio dell’ isteresi, che sostiene che il valore assunto oggi da una variabile dipende dal suo valore assunto in passato (quindi la disoccupazione non dipende solo da z o µ). Secondo il principio dell’ isteresi, il tasso naturale di disoccupazione è salito nel tempo per colpa della disoccupazione passata. A loro volta, i Governi introdussero nuovi sussidi di disoccupazione, che tuttavia ebbero:

o Pro: cercarono di alleggerire i costi sociali della disoccupazione (es.: non si è costretti a rubare per vivere); o Contro: aumentarono il tasso naturale di u (disincentivando i lavoratori a cercare un impiego, come già detto);

Nasce qui un circolo vizioso: i datori sono riluttanti ad assumere disoccupati di lunga durata, disincentivandoli, però, a cercare lavoro. L’aumento della disoccupazione di lunga durata porta, quindi, ad una disoccupazione superiore.

2. La teoria dell’ insider-outsider Come l’ isteresi, anche questa teoria contribuisce a spiegare l’alto livello di disoccupazione attuale. La contrattazione del salario avviene tra:

o Lavoratori (insider) o e imprese.

I disoccupati (outsider) sono esclusi dalle contrattazioni salariali; tuttavia, se sono tanti, fanno aumentare la forza contrattuale delle imprese, che possono reperire lavoro altrove, probabilmente a salari inferiori.

Come uscire da questa situazione?(appunti, leggere) Considerando che non sia possibile smettere di aderire ai patti che limitano l’ inflazione, per motivi legali, non essendo, quindi, possibile una politica espansiva, una soluzione può essere la variazione della composizione della spesa. Non è possibile spendere più di “100” , senza oltrepassare i limiti concessi dai trattati internazionali. Si può, però, diminuire le spese militari per aumentare quelle per le opere pubbliche (per pura ipotesi: passare da un rapporto 50:50 a 10:90).

o Si passa da WS a WS’ per aumenti di z (es.: ↑sussidi) o Si passa da PS a PS’ per aumenti di µ (es.: ↓antitrust) Entrambe le variazioni fanno salire u.

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Capitolo 24: (seconda patologia:) Inflazione elevata Perché scoppia l’ inflazione? (appunti)

Nella Germania degli anni ’20 (ricordiamo da storia economica) si era passati da 6 milioni di marchi in tutto il Paese a 6 milioni di marchi per un panino. Dopo la prima guerra mondiale, infatti, il debito bellico la costrinse ad emettere moneta, perché né il pubblico né l’estero erano disposti a concederle altri tipi di prestito. In America Latina, dopo le guerre civili e le rivoluzioni, durante le quali nessuno pagava le tasse, parecchi Stati furono costretti ad emettere moneta. In Bolivia, la più grande esportatrice di stagno, in seguito al crollo del prezzo dello stagno, fu costretta ad affrontare un periodo di iper-inflazione. Ma tutti questi sono eventi macroscopici! Le piccole variazioni non portano all’ iperinflazione, per questo l’emissione di moneta è sempre “ l’ultima spiaggia” . L’elevata inflazione, infatti, è sempre associata ad una crescita proporzionale della moneta, ed essa è, a sua volta, alta, per colpa dei disavanzi di bilancio in Paesi colpiti da gravi shock (guerre civili o rivoluzioni) che non permettono altri metodi di finanziamento, se non l’emissione di banconote. Il meccanismo è il seguente: il Governo emette titoli, che la BC acquista con nuova moneta: questo processo è la c.d. monetizzazione del debito.

Rapporto signoraggio-inflazione (appunti) All’aumentare dell’ inflazione la capacità di signoraggio si riduce. Assumiamo che il disavanzo sia finanziato interamente con moneta:

∆M ∆M M = * P M P ovvero: signoraggio = off.mon. * saldi monetari reali (dove saldi monetari reali = domanda di moneta) Per finanziare un disavanzo del 10%, se il tasso reale è del 2%, basta emettere moneta per il 5 (10=5*2 ovviamente). N.B.: Le variazioni dell’ inflazione si traducono in variazioni opposte dei saldi monetari reali. Ad es., se il debito sale a 40, i saldi reali scenderanno (diciamo da 2 a 1), perché, nel caso di iperinflazione, le persone riducono i loro saldi monetari reali, essendo incentivati a liberarsi il prima possibile della moneta, ricorrendo al baratto o alla dollarizzazione. A questo punto sarà necessaria un’emissione di 40 (40=40*1). Ovvero: ↑disavanzo→↓saldi reali→↑offerta moneta→↓saldi reali→↑disavanzo. È un circolo vizioso! Esiste, quindi, una soglia oltre la quale il signoraggio non ha più potere: signoraggio

soglia Offerta di moneta

Questa relazione è identica alla curva di Laffer, la cui relazione è: gettito = α * base imponibile. Se l’aliquota d’ imposta, α (cioè la percentuale di tasse da pagare) sale troppo, nessuno è più incentivato a lavorare (e si incentiva il lavoro nero), ed il gettito (cioè l’entrata dello Stato dovuta alle imposte) scende dopo la soglia limite, similmente a quanto avviene nel grafico sopra, perché scende la base imponibile, cioè i guadagni da lavoro. In effetti, l’ inflazione può essere considerata come una tassa sui saldi monetari reali. L’aliquota d’ imposta è il tasso di inflazione, che riduce il valore reale della moneta. La base imponibile è costituita dai saldi monetari reali. Il prodotto di queste 2 variabili è chiamato tassa da inflazione.

Finanziare il disavanzo e uscire dall’ iperinflazione Nel lungo periodo, i Prezzi si aggiustano e i saldi monetari diminuiscono, quindi lo stesso tasso di crescita della moneta produrrà sempre meno signoraggio. L’unico modo per finanziare un disavanzo è aumentare continuatamene il tasso di crescita della moneta. Quando l’ inflazione diventa molto alta, il disavanzo peggiora, poiché le imposte vengono riscosse sulla base del reddito nominale passato ed il loro valore reale si riduce con l’ inflazione, riducendo, a sua volta, il gettito reale (cioè le entrate fiscali reali). Questo è noto come effetto Tanzi-Olivera. Le iperinflazioni devono essere arrestate con i c.d. “programmi di stabilizzazione” :

1. riforma fiscale: a. spesa: riduzione dei sussidi e sospensione del pagamento degli interessi sul debito estero; b. entrate: è inutile aumentare le tasse, bisogna modificare la composizione del gettito.

2. Annuncio credibile della BC di rinunciare alla monetizzazione del debito pubblico. 3. Politiche dei redditi:

a. se le imprese sapessero che i salari non aumenteranno non accrescerebbero i prezzi; b. se i lavoratori sapessero che i prezzi non aumenteranno non chiederebbero aumenti.

o I programmi di stabilizzazione che includono politiche dei redditi sono detti eterodossi. o I programmi di stabilizzazione che non includono politiche dei redditi sono detti ortodossi.

I programmi di stabilizzazione falliscono spesso, per vari motivi: o tentativi parziali; o opposizione politica; o conflitti sociali; o anticipazione dell’ insuccesso futuro del programma; o i salari sono fissati per determinati periodi e difficilmente possono essere tutti aggiornati insieme; o soprattutto per mancanza di credibilità: anche i programmi meglio congeniati possono fallire, se i mercati

finanziari se lo aspettano. In generale, per dimostrazione empirica, sappiamo che le stabilizzazioni comportano cali di attività economica (↓Y).

Diamo M/P costante: restano solo 2 variabili da inserire nel grafico sulle ascisse e sulle ordinate. Notiamo che esiste una soglia oltre la quale il signoraggio non ha più potere.

M/P π Inflazione e saldi monetari reali variano

tempo in senso opposto in t.

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Capitolo 25: (terza patologia:) Debito pubblico elevato Il disavanzo pubblico, in realtà, non è né un bene né un male: serve per distribuire nel tempo l’onere della tassazione. Il finanziamento dovrebbe essere usato in periodi di recessione o in casi eccezionali (es.: guerra).

Vincolo di bilancio Supponiamo che il Governo decida di ridurre le imposte, generando disavanzo. Possiamo indicare il disavanzo così: disavanzot = rBt-1 + Gt – Tt dove: B è il debito pubblico e t è ovviamente l’anno attuale di riferimento

Bt-1 è il debito pubblico alla fine dell’anno precedente r è il tasso di interesse reale rBt-1 è quindi l’ interesse da pagare sul debito passato G è la spesa pubblica T sono le imposte

L’equazione ha due caratteristiche: 1. tutte le variabili sono in termini reali 2. G non include i trasferimenti (mentre T è al netto dei trasferimenti)

Supponiamo che l’unico strumento di finanziamento sia l’emissione di titoli di Stato (es.: ricorso all’ indebitamento con BOT). L’eccesso di spesa al netto degli interessi è chiamato disavanzo primario. Vediamolo in formula: Bt – Bt-1 = rBt-1 + Gt – Tt ovvero: debiti = interessi sul debito + disavanzo primario Se il Governo avesse ridotto le imposte di 1$, per rimborsare l’ intero debito nell’anno t+1 dovrebbe produrre un avanzo pari a (1 + r), cioè il debito più gli interessi, attraverso una riduzione della spesa o tramite un aumento delle imposte. Finché il Governo mantiene un disavanzo primario pari a zero, il debito cresce nella misura degli interessi, che maturano sul debito stesso. Il Governo deve emettere più debito per pagare gli interessi sul debito esistente. È fondamentale sapere, quindi, in formula, che, per rimborsare il debito, il Governo dovrà produrre un avanzo primario uguale a (1 + r)t $. Quanto più tempo il Governo aspetta ad aumentare le imposte, maggiore sarà l’aumento delle imposte future. Stabilizzare il debito significa mantenerlo costante, ma ad un livello superiore a 0, in formula: B1 = B0. Per evitare un ulteriore aumento del debito, il Governo deve conseguire un avanzo primario pari agli interessi reali sul debito esistente. L’eredità dei disavanzi consiste in un maggiore debito corrente.

Il rapporto Debito/PIL Solo analizzando tale rapporto possiamo dire se il debito è troppo elevato. Per generare, in formula, questo rapporto, è sufficiente dividere per Yt (la produzione reale, ovvero il PIL, al tempo t). Approssimiamo (1 + r)(1 + g) ≈ (1 + r – g) e indichiamo con g il tasso di crescita, quindi otteniamo: NOTA BENE: Se il PIL cresce, il rapporto debito/PIL crescerà ad un tasso pari al tasso di interesse reale meno il tasso di crescita della produzione, cioè: r – g: se la differenza è negativa il debito si ridurrà.

I pericoli di un debito pubblico elevato Innanzitutto, esso rende difficile la condotta della politica monetaria. Supponiamo che aumenti il tasso di interesse dal 3 al 6% e che ciò inneschi una recessione. Con un aumento di r – g dall’1 al 6%, per mantenere costante il rapporto debito/PIL, il governo dovrebbe aumentare il suo avanzo primario di 5 punti. È a questo punto che il Paese può entrare in un circolo vizioso: ↑B/Y → ↑T → ↑crisi. È, quindi, indubbio che i Paesi ad alto debito dovrebbero ridurre al più presto il loro rapporto B/Y. In che modo e a quale ritmo? La risposta è: attraverso molti anni di disavanzi primari. L’ Inghilterra dopo le guerre napoleoniche aveva accumulato un rapporto debito/PIL superiore al 200%. Per ridurlo ci volle quasi un secolo. L’ idea di ripudiare il debito può consentire un immediato calo delle imposte e riduce il rischio del circolo vizioso, ma presenta il problema dell’ incoerenza temporale: se il Governo rinnega la sua promessa di rimborsare il debito, difficilmente potrà ricorrere al prestito in futuro.

Rientro dal debito pubblico Un debito troppo alto può generare crisi finanziarie. Il problema è che, spesso, i Governi sono miopi: guardano soltanto al breve periodo (quando sono in carica), rimandando ai Governi futuri scelte impopolari come l’aumento di T. I diversi strati sociali esercitano pressioni politiche per spostare su altri l’onere dell’aggiustamento. Per evitare di perdere consenso, il Governo ritarda la correzione fiscale, visto che capita soventemente che i Governi di destra e di sinistra si alternino al potere. Esistono solo 3 modi per rientrare dal debito:

1. generare avanzi primari, tagliando le spese o aumentando le imposte → difficile da attuare ma virtuoso. 2. emettere moneta 3. ripudiare il debito pubblico scelte semplici ma dannosissime nel lungo periodo.

Le manovre di aggiustamento (1) sono possibili solo se al Governo c’è una solida maggioranza, altrimenti esso potrebbe vedersi costretto ad una delle ultime due scelte.

Bt Bt-1 Gt – Tt

------ = (1 + r – g) -------- + --------- Y t Y t-1 Y t

Il 1° termine indica la spesa per interessi corretta per la crescita della produzione. Il 2° termine è il rapporto tra dis/avanzo (Gt – Tt>0) e Pil. r e g hanno effetti opposti sul rapporto B/Y.

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Il lungo periodo: 4 casi (grafici fondamentali per l’esame) Dati generali:

� Formula dello stato stazionario (b sopralineato): _ (Gt – Tt)/Yt b = ---------------- g – r Lo stato stazionario è il punto in cui il rapporto debito/PIL resta costante nel tempo, ovvero: Bt-1/Y t-1 = Bt/Y t. Nei grafici: lo stato stazionario è il punto dove la bisettrice incontra la retta del rapporto Debito/PIL.

o La bisettrice (retta a 45°) ha, ovviamente, inclinazione pari ad 1. o La retta del rapporto Debito/PIL ha inclinazione pari a (1 + r – g). � La retta del rapporto Debito/PIL ha la seguente formula (già citata a pag. precedente):

Bt Bt-1 Gt – Tt

------ = (1 + r – g) -------- + --------- Yt Yt-1 Yt

� La retta del rapporto Debito/PIL trova il proprio punto di intersezione con l’asse delle ordinate in: Gt – Tt

--------- Yt

� Sulle ascisse: rapporto Debito/PIL al tempo t-1 � Sulle ordinate: rapporto Debito/PIL al tempo t.

1. Se il tasso di crescita di Y è maggiore del tasso di interesse, qualunque sia il valore del debito ereditato, pur in presenza di disavanzi, il rapporto B/Y converge al valore di stato stazionario.

_ b

2. Se il tasso di crescita è minore del tasso di interesse, in presenza di un debito positivo ereditato e di disavanzi primari, il rapporto B/Y cresce allontanandosi gradualmente dal valore di equilibrio.

_ b

� g > r

� Gt – Tt > 0

� g < r

� Gt – Tt > 0 3. se il Governo genera avanzi di bilancio adeguati, pur

in presenza di un tasso di interesse > del tasso di crescita del PIL e di un debito iniziale positivo, il debito in rapporto al PIL si riduce nel tempo.

_ b

4. In presenza di disavanzi primari e di un tasso di crescita che eccede il tasso di interesse, qualunque sia il valore iniziale del debito in rapporto al PIL, si converge verso l’equilibrio.

_ b

� g < r

� Gt – Tt < 0

� g > r

� Gt – Tt < 0

Teoria politica del debito I 3 modi sopra citati, in realtà, altro non sono che una tassazione su gruppi economici distinti. Il ripudio, ad esempio, può essere visto come un’ imposta sui titoli di Stato; l’ inflazione colpisce i detentori di moneta. Alcuni economisti sostengono che la scelta di chi debba pagare sia un problema di re-distribuzione del reddito:

o i c.d. rentiers, detentori titoli di Stato, guardano con favore ad un aumento delle imposte; o gli imprenditori si oppongono alle imposte sul capitale, mentre favoriscono il ripudio del debito; o i lavoratori prediligono le imposte sulla ricchezza e sul capitale e il ripudio mentre si oppongono alle imposte

indirette, soprattutto sui beni di consumo, e sono danneggiati dall’ inflazione se i salari non sono indicizzati.