Paridea 1Gennaio 2009

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n° 1 - Gennaio 2009

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Periodico della Consigliera di Parità della Provincia di Massa-Carrara di informazione, divulgazione e approfondimento sulle tematiche di genere, anche con funzione di aggiornamento normativo e giuridico

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Paridea

Rivista trimestrale della Consigliera di ParitàProvincia di Massa-Carrara

N. 1 Gennaio 2009Registrazione del Tribunale di Massa-Carrara n° 397 del 22/2/2008Edito dalla Provincia di Massa-Carrara

Direttore responsabileGiuliano Bianchi

Comitato di RedazioneLuisa Del Mancino, Francesca Frediani, Annalia Mattei

Hanno collaborato a questo numeroNadia Bellè, Barbara Dell’Amico, Carla Gassani, Annalia Mattei, Daniele Mocchi, Raffaele Pennoni, Ilaria Tarabella

Grafica e impaginazioneStudio Max snc

Le illustrazioni di questo numero sono di Annalia Mattei e le foto provengono dall’archivio personale della famiglia Mattei

In copertina foto rielaborate tratte dall’archivio “Amici del Guiterno”

StampaStamperia dell’ Amministrazione Provinciale

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Editoriale

Crash and restart

Le Donne e il Lavoro: un legame fecondo

Ma le opportunità sono davvero...”pari”?

L’esperienza spazio – temporale tra generi e generazioni

I volti della conciliazione. Un’esperienza locale

Il nuovo affido condiviso…verso la parità genitoriale

Si segnala che…

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OMMARIOS

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Come tutte le più fosche previsioni lasciavano presagire, non è stato un inizio brillante.Tutti gli studi di rilevazione di dati economici evidenziano come la fase recessiva coinvolga tutte le economie mondiali, e tutti i governi tirano un sospiro di sollievo quando scoprono

non che la crescita del Pil è positiva, ma semplicemente meno negativa del previsto. Negare tutto questo, è come negare il fatto che la Terra abbia una forma sferica detta “geoide”.Ma tutti gli inizi sono forieri di speranza, e non

è dicendo “non ci resta che piangere” che scopriremo come risolvere i gravi problemi che ci affliggono.Come già detto, non neghiamo che esistano problematiche pesanti da affrontare, ed abbiamo già fatto rilevare, in tempi non sospetti come da secoli l’inascoltata Cassandra – ma quanto doveva odiarla, Apollo! - come queste problematiche abbiano ricadute più pesanti nell’universo femminile piuttosto che in quello maschile.Piangerci addosso però è purtroppo

solo un modo per sprecare preziose energie.Di cui abbiamo bisogno per dare invece sostanza alla speranza. Ogni organismo vivente ( e l’economia , pur non avendo una vita come normalmente percepita, lo è ) ha fasi fisiologiche di espansione e contrazione. Si tratta di saper quindi affrontare la sfida di trasformare la fase recessiva nell’impulso in grado di sviluppare la fase espansiva. Cioè, si tratta di saper gestire ed influenzare il cambiamento necessario affinchè questo sia un cambiamento in positivo.Verrebbe da pensare- ed è sicuramente vero- che tale gestione ricada sulle spalle – capaci ? – della classe politica e dirigente del paese, dell’Europa, dei vari centri di potere. Ma è altrettanto vero che sulle nostre deboli spalle ricade la responsabilità di tutte quelle piccole scelte che così piccole non sono. Se queste nostre scelte diventeranno scelte consapevoli, e responsabili, saremo noi a dare forza alla speranza, a trasformare necessità in opportunità.Lo abbiamo già fatto, possiamo rifarlo.Sii il cambiamento che vuoi.

Annalia MatteiConsigliera di Parità Provincia di Massa Carrara

Editoriale

E’ iniziatoun nuovo anno

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Tira una brutta aria.La preoccupazione scurisce l’orizzonte come un velo nero molto spesso. Filtra poca luce.E quella che filtra illumina panorami non propriamente idilliaci.Il Pil cala – forse “crolla” rende meglio l’idea – la produzione industriale conosce solo numeri in negativo. L’unico dato in crescita sono le ore di cassa integrazione – e chi può disporne, perlomeno possiede un paracadute,per quanto sfilacciato sia - e la disoccupazione che galoppa come neppure Ribot in piena forma. Il solo dato positivo è la recessione dell’inflazione, ma questo dimostra ancor meglio che “bambole, non c’è ‘na lira” … Il quadro è dunque questo. Negarlo non è possibile, sta sotto gli occhi di tutti, e tattiche diversive come ludi circensi – qualche squadra italiana dovrebbe vincere la Champion, peccato che i mondiali più recenti siano ormai datati e che ai prossimi manchi ancora un secolo – o eclatanti casi di cronaca - ma rosa non basta, ci vuole un “noir” che grondi orrore e sangue- stanno perdendo la loro caratteristica di panacea nazionale per tutti i veri, grandi problemi.Ma il diavolo non è mai nero come lo si dipinge, per quanto mefistofelico possa essere.In fisica un momento epocale come questo potrebbe essere definito come “punto di rottura”.Siamo ad una svolta. Possiamo involgere, chiuderci all’interno di modelli socio- economici conosciuti ma decotti, oppure e-volvere, volgerci oltre, passare attraverso,

e rischiare con una nuova idea di universo sociale, che coniughi sviluppo e benessere, ambiente e progresso, salvaguardia della specie e del pianeta.Un nuovo sistema eco-sostenibile. Socialmente, eticamente, economicamente.Perché ne parlo oggi, e perché ne parlo qui?Certamente le soluzioni devono essere cercate anche su piani più “macro” di questa ribalta. Possiamo sperare che i lavori siano in corso, e che chi di dovere, stia davvero lavorando per noi. Qualcuno ha già tentato di lanciare qualche idea per uscire dall’impasse : settimana cortissima – se ne parla in Inghilterra - sostegno alla produzione di strumentazione per energie rinnovabili – più posti di lavoro e meno inquinamento, due centri con un’unica freccia, ed

è parte del pacchetto americano – sostegno alle imprese che non licenzino ma piuttosto accorcino i turni di lavoro – ci pensano in Francia ed in Germania….E tutti pensano di sostenere comparto auto e moto, purchè a basso impatto ambientale.Ho fiducia che troveremo la strada per uscirne, magari un po’ ammaccati, ma se la classe dirigente sapesse davvero fare il proprio mestiere, in fondo al tunnel troveremo una gran luce…E questo punto di rottura, il “crash” del sistema, può diventare una grande opportunità.Ma perché questa opportunità venga colta, non dobbiamo scordarci di un diverso universo… l’universo delle donne.Di donne se ne parla, ma poi.. Il voto femminile in Italia ha poco più di sessant’anni..Il delitto d’onore è stato rimosso dal codice penale appena qualche lustro fa.Nonostante il nostro sia il paese della mamme, le donne da noi non se la passano bene.Per una donna che arriva alla stanza dei bottoni, mille altre abbandonano per strada per mille motivi… spesso riconducibili al fatto che vengono lasciate sole a gestire tre vite.. la propria, quella dei figli, quella dei genitori, e spesso anche quella del marito…Se il lavoro femminile ( fuori e dentro casa ) venisse calcolato secondo il suo vero impatto economico il Pil italiano avrebbe un incremento di circa 17 punti.

Ciò detto, il lavoro femminile presenta rispetto al lavoro maschile

Crashand Restart

Annalia Mattei *

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un differenziale salariale negativo di circa il 25% .Nonostante il capo di Confindustria sia una donna, donne imprendici ad alto livello se ne contano pochissime. E la presenza di donne in Parlamento è una delle più basse d’Europa. Paesi di zone da noi considerate “ in via di sviluppo” – simpatico modo per dire che non li consideriamo al “nostro” livello di civiltà – hanno capi di governo di sesso femminile. Alcuni di questi ci hanno pure lasciato le penne, Indira Gandhi o Benazir Bhutto solo per citarne due. La guida di quel paese così privo di problemi chiamato Israele è affidata ad una donna… La popolazione mondiale ( e l’Italia non fa eccezione ) è a maggioranza femminile.Ma la classe dirigente mondiale è in grandissima maggioranza maschile. Forse è anche per questo che la società come la conosciamo non sta andando benissimo…Lasciando perdere l’ironia, è per quello che la ripartenza, il nuovo slancio della nostra società deve per forza di cose passare attraverso la considerazione anche della parte di cielo che nasce col fiocco rosa. Perché ?Perché se è vero che non possiamo non mettere in conto, come dice di fare il neo eletto presidente americano, la tutela del pianeta se su questo pianeta vogliamo , e per ora dobbiamo- continuare a restare, non possiamo ugualmente non considerare che la prosecuzione della nostra specie passa attraverso – almeno finchè la scienza non stravolgerà ciò che madre natura ha stabilito – quella funzione unicamente femminile che è la maternità.. nonostante tutti gli inconvenienti che questa comporta in una società poco dotata di lungimiranza.Non si tratta solo di romantiche idee dei “due che diventano un nuovo individuo frutto dell’amore” o di obbedienza a comandamenti morali o religiosi ( non lo fo per piacer mio ma per far piacere a Dio

le bis bis bis nonne ricamavano sulle camicie da notte… una sposa mussulmana che dopo sei mesi dal matrimonio ancora non sia incinta rischia il ripudio ) .. in realtà la maternità permette la riproduzione della società esistente…Ossia, i figli non sono solo “p’zz e core” ma la continuazione della civiltà come noi la conosciamo. Cinico ? Forse, ma realistico.Per i contadini di secoli scorsi i figli erano braccia per i campi e bastoni per la vecchiaia, se ci si arrivava.. Per Marx, erano la riproduzione di forza lavoro e perpetuazione delle classi sociali. Cipputi da Cipputi e Agnelli da Agnelli…e qualche eclatante eccezione per tener buona la massa… Per la società del nuovo millennio i figli sono consumatori in erba…che vanno “ educati” fin da piccoli…E se non ci credete, provate a pensare, a pensare davvero, alle pubblicità trasmesse in TV…E pensate ai regali che fate ai vostri figli…. O meglio, ai regali che loro vi chiedono…Quindi la maternità esprime quella funzione fondamentale per il mercato che è la riproduzione della domanda, la riproduzione del consumatore… che nel riprodursi incrementa quella stessa domanda…Ma se il beneficio della maternità in quest’ottica, ripeto cinica quanto vi pare, ma inconfutabile, è un beneficio “sociale” per la società dei consumi, i costi non sono socialmente distribuiti…La lavoratrice in maternità è un costo che il datore di lavoro può sopportare in maniera inversamente proporzionale alle sue dimensioni.. ed in Italia, la dimensione media dell’impresa.. è “piccola”…Quando il piccolo cresce, se la madre non dispone di una buona rete di legami interfamigliari, la sua cura è un costo che spesso paga da sola… e le famiglie mononucleari stanno crescendo in maniera esponenziale, mentre la mobilità territoriale spacca anche i legami più saldi…

Due semplici esempi per dire: poiché dobbiamo necessariamente avviare il reset del sistema che sta andando in crash, perché anche da qui non facciamo partire una nuova opportunità di crescita?I governi debbono per forza di cose intervenire a sostegno del ponte per attraversare la crisi: bene, perché non farlo aumentando anche i servizi offerti alla maternità, dato il valore economico che questa riveste? Ad esempio, sostenendo la nascita di asili nido, o centri per la cura degli anziani, si creerebbero posti di lavoro ( che tradotto in termini di mercato significa creare altri consumatori che possono indurre una crescita di produzione che porta a nuovi posti di lavoro che portano… etc etc , in pratica quello che si ripropone il presidente USA con il piano “verde” di sostegno alle energie rinnovabili) e si permetterebbe a molte donne una vita migliore, ed un più proficuo impegno lavorativo…E’ solo un esempio.Stessa cosa potremo dire del sostegno al part time o alla diversa gestione dei tempi di vita e dei tempi di lavoro…Paragonabili ad una settimana cortissima di cui si sta ragionando in Inghilterra, con la conseguenza che molte altre donne ( quelle che formano la maggioranza fra i lavoratori precari, quelle che faticano a rientrare nel mondo del lavoro magari dopo il divorzio ) potrebbero essere più facilmente collocate all’interno di quel mondo… con l’etc etc di cui sopra, che non sto qui a ripetere.Nel nostro “micro” che con moltissimi altri “micro” concorre a formare il “macro” del nostro sociale, possiamo cominciare intanto ad illuminare queste possibilità… parlandone e cercandone insieme alcune che possiamo realizzare all’interno del nostro piccolo orizzonte…I grandi movimenti iniziano sempre con piccoli passi.

* Consigliera di ParitàProvincia di Massa - Carrara

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Il nuovo millennio ha riportato al centro della scena, nelle dinamiche di sviluppo del mercato del lavoro nazionale ed europeo, la donna. Negli ultimi anni le politiche di welfare, a qualsiasi livello istituzionale, sono risultate attente più che in passato alle componenti deboli, come i giovani, e appunto le donne, prevedendo una serie di provvedimenti di stimolo alle capacità imprenditoriali, di riduzione delle barriere all’entrata al lavoro autonomo, di sostegno dei diritti d’eguaglianza e di responsabilizzazione femminile, nella consapevolezza che soltanto un modello sociale efficace può frenare il declino demografico, l’invecchiamento della popolazione, e creare ricadute positive per lo sviluppo economico futuro del territorio.Certo, in Italia e nella nostra provincia le disparità di genere ancora persistono e sono anche sensibili, nonostante il rendimento scolastico delle donne, da qualche anno a questa parte, risulti migliore di quello maschile. Oltre ad una bassa partecipazione al lavoro, vi è ancora una sorta di segregazione sociale verso la donna che lavora, che si manifesta, in senso orizzontale, con una più elevata concentrazione del lavoro femminile in attività a basso valore aggiunto e quindi a bassa remunerazione (terziario povero per intenderci), o in un impiego in settori meno strategici dell’unità aziendale; in senso verticale, in maggiori difficoltà a raggiungere posizioni apicali all’interno delle aziende, traducendosi in una palese inefficienza dei meccanismi allocativi

Le Donne e il Lavoro: un legame fecondo. Conquiste e prospettive alla luce dell’attuale crisi economica

Daniele Mocchi*

del talento. A questo proposito studi internazionali (McKinsey, 2007) dimostrano che imprese con un numero significativo di donne nel senior management producono migliori performance aziendali, così come un adeguato equilibrio di genere all’interno dei gruppi di lavoro ha influenze positive sull’innovazione.Inoltre, come noto, nel nostro Paese permangono ancora elevate le difficoltà nella conciliazione tra tempi di lavoro e organizzazione familiare, malgrado strumenti legislativi più accoglienti di un tempo. Tuttavia, rispetto agli anni addietro qualche passo in avanti è stato fatto. Quantomeno vi è una maggiore consapevolezza che le donne, oggi, rappresentano la chiave di sviluppo del nostro Paese, che esse sono e saranno le protagoniste essenziali del cambiamento di oggi e di domani. A tale riguardo, un recente studio della Banca d’Italia ha stimato che se si raggiungesse l’effettiva parità tra maschi e femmine sul mercato del lavoro, il nostro Paese avrebbe, sotto la sfera economica, una discreta fetta di ricchezza in più, poiché il Pil (a produttività invariata) crescerebbe addirittura del 17,5%, e per ogni 100 donne che entrerebbero nel mercato del lavoro si creerebbero 15 posti aggiuntivi nel settore dei servizi (dall´assistenza agli anziani e ai bambini, fino alle attività domestiche vere e proprie) prima non retribuiti. Non solo. Questa parità ci renderebbe più ricchi anche sotto l’aspetto sociale. A differenza del passato, infatti, si va affermando sul piano internazionale una correlazione

positiva tra occupazione e fertilità, con un’inversione di tendenza rispetto al trade off tra maternità e lavoro che aveva caratterizzato i decenni precedenti. Per cui una partecipazione più elevata delle donne favorisce oggi una maggiore propensione ad avere figli, condizione che vede, purtroppo, il nostro Paese agli ultimi posti tra i Paesi OCSE, e la nostra provincia messa non molto meglio nella classifica nazionale. Insomma la parità di genere rappresenta un vero e proprio effetto moltiplicatore, sia da un punto di vista economico che sociale. Sono quindi necessarie tutte quelle misure (sgravi fiscali, incentivazione al part-time, etc) perché finalmente alle donne italiane siano fornite le medesime opportunità di lavoro e di carriera delle colleghe europee, e sia data loro la possibilità di usufruire di quei tanto agognati servizi sociali (asili nido, etc) funzionali ad una migliore coniugazione carriera - impegni extralavorativi.Un più moderno sviluppo della società italiana passa anche da qui.Vediamo cosa è successo sul mercato del lavoro provinciale dal 2004 al 2007.Prendendo a riferimento soltanto l’evoluzione degli ultimi tre anni, secondo i recenti dati Istat sulle Forze di Lavoro, l’occupazione totale in provincia di Massa-Carrara è aumentata in questo arco di tempo ad un tasso di crescita medio annuo del 2,3%, contro l’1,4% toscano e l’1,2% nazionale. Protagonista indiscussa di questa crescita è stata l’occupazione femminile che nello stesso periodo di tempo ha registrato un saggio medio di crescita del +4,1%, a

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fronte di un +2,1% toscano e un +1,4% nazionale. In termini assoluti, significa che hanno trovato lavoro 3.700 donne in più nel giro di soli 3 anni. Questo spiega il perché, da qualche anno a questa parte, si parla con insistenza di femminilizzazione del mercato del lavoro. Tre in particolare sono stati i fattori più recenti che hanno portato allo sviluppo di questo fenomeno: le trasformazioni socio-demografiche, le quali hanno modificato il volto della famiglia ed il ruolo della donna al suo interno, la crescita della domanda di servizi, e la diffusione delle forme di flessibilità, soprattutto in termini di orario lavorativo. Unitamente a questi tre aspetti, dobbiamo tenere presente che, rispetto al secolo scorso, i sistemi produttivi occidentali si sono sempre più evoluti verso un processo di terziarizzazione, che ha registrato l’ingresso di mansioni lavorative sempre meno legate alla forza fisica degli individui e sempre più, invece, intelletto-dipendenti. A ciò va sommato un più alto grado di alfabetizzazione delle donne, che oggi tende a superare quello maschile, ed un contesto normativo più favorevole, che ha messo fine a pratiche poco ortodosse (licenziamento in caso di matrimonio) e a condizioni di lavoro precari (ambientali e di orario).Tutti questi aspetti hanno portato al risultato che leggiamo oggi, e che in chiave provinciale, è misurabile in oltre 32,8 mila donne al lavoro nel 2007, ovvero in un tasso di occupazione in età lavorativa (15-64) pari quasi al 50%. Se consideriamo che soltanto tre anni prima questo indicatore non raggiungeva il 45% possiamo comprendere che comunque in questi anni qualcosa si è mosso. Certo, resta ancora marcato il gap di genere, ma dal 2004 ad oggi il divario tra il tasso di occupazione dei maschi e quello delle femmine in provincia di Massa-Carrara si è accorciato da 23 a 20 punti percentuali. Così come si è accorciato il divario tra il saggio di occupazione femminile

locale e quello medio della Toscana (oggi è a meno di 6 punti, contro gli oltre 10 di tre anni fa), e al contempo, si è superato ampiamente il corrispondente tasso nazionale.Questo non vuol dire che nel nostro territorio siano scomparse sacche di non occupazione femminile, che invece continuano a persistere

rispetto ad altri contesti più evoluti, in particolare tra le componenti più giovani, e che talvolta si tramutano anche in situazioni peggiori, portando allo scoraggiamento totale nella ricerca di lavoro, fino a forme emigratorie per quei profili di offerta più qualificata. Così come non vuol dire che tutto

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l’incremento occupazionale generato in questi anni sia stato di buona fattura. Anzi, secondo una recente indagine ISR, esiste una fragilità del lavoro femminile, sia in termini di ore lavorate (quasi 1 donna su 5 lavora meno di 20 ore la settimana), sia in termini di contrattualistica (il 10% delle donne occupate convive con il lavoro a termine lungo tutto l’arco della propria vita), dovuta anche alla diffusa stagionalità. Più che di flessibilità, in questo caso dobbiamo parlare di precarietà. A questo, va poi aggiunto il fatto che strutturalmente le retribuzioni delle donne sono mediamente inferiori di quelle degli uomini, a parità di mansione, di circa il 15-20% a seconda delle mansioni esercitate (fonte Unioncamere).Parallelamente al fatto che nella nostra provincia più donne hanno trovato sbocchi occupazionali, il fenomeno nuovo di questi ultimi anni è che al contempo vi sono state altrettante donne che hanno abbandonato lo status di inattive e si sono affacciate per la prima volta nella ricerca attiva di lavoro. Molto probabilmente l’impulso della crisi economica, i nuovi bisogni economici familiari, ma anche una maggiore consapevolezza e autostima da parte delle donne stesse e del loro ruolo negli scenari di sviluppo attuali e futuri, stanno spingendo in massa queste nuove protagoniste ad entrare sul mercato del lavoro. Basti pensare nel nostro territorio il tasso di inattività femminile nella fascia d’età 15-64 anni è crollato da circa il 50% all’attuale 43% in tre anni, contro una riduzione di soli due punti percentuali in Toscana, e di una sostanziale stazionarietà in Italia.Da un punto di vista settoriale, su 100 donne al lavoro in provincia nel 2007, oltre 90 si ritrovano occupate nel settore del terziario e nello specifico nei servizi di mercato e sociali, nella Pubblica Amministrazione, nella distribuzione commerciale (20%) e nel turismo. In Italia, siamo tra le province con il più alto tasso di terziarità nel lavoro femminile. Nel resto della Toscana

non si arriva all’80%. Solo 7 donne su 100 nel nostro territorio sono impiegate nel settore manifatturiero, proprio per le caratteristiche “hard” del tessuto manifatturiero locale, poco concentrato su settori a più alta intensità di manodopera femminile, come il sistema moda e gli alimentari e le bevande.Un altro degli elementi caratterizzanti dell’occupazione femminile è la presenza di sempre più indipendenti. Le donne che nella nostra provincia sono considerate lavoratici autonome sono il 25% della forza attiva di lavoro. Le imprenditrici vere e proprie sono oltre 10 mila e sono a capo di 1 impresa su 4. Si tratta di imprese concentrate soprattutto nel settore commerciale ed in generale nei servizi.Certo, da ottobre 2008 il mondo è cambiato. La pesante crisi in atto sta determinando e determinerà pesanti effetti sull’occupazione, anche se non esistono ad oggi dati ufficiali completi e divisi per genere, ma solo alcuni indizi oltre ai noti fatti di cronaca. Uno di questi indizi è la Cassa integrazioni guadagni, pur con tutti i limiti legati alla sua circoscritta estendibilità e allo sfasamento temporale tra la sua attivazione e l’effettivo inizio della crisi aziendale. Dalla lettura di questo dato, di fonte Inps, emerge un 2008 che, sul fronte occupazionale può essere considerato a doppia faccia. Se guardassimo, infatti, al solo dato complessivo annuale, la situazione potrebbe risultare nemmeno tanto drammatica, visto che anno su anno la Cig totale è addirittura diminuita in provincia del -2%, mentre in Toscana è aumentata del +19%. Ma in realtà la situazione è un po’ più complessa, come anche altre indagini congiunturali ci dicono. Fino ai primi 8 mesi, in fondo, una parte del sistema produttivo locale ha retto in qualche modo alle prime avvisaglie di crisi, tant’è che il monte ore totale concesso con la Cig segnava addirittura un

-16,5% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, con riduzioni sia nell’ordinaria che nella modalità straordinaria. Sono stati gli ultimi 4 mesi, invece, ad essere drammatici, con la deflagrazione della crisi finanziaria globale, risultando tra i peggiori degli ultimi decenni. Basti pensare che delle circa 700 mila ore autorizzate complessivamente nel 2008, praticamente la metà sono state concesse da settembre a dicembre. Questo ha provocato un incremento della Cig totale, nell’ultimo quadrimestre, di circa il 20% rispetto a settembre-dicembre 2007, con una punta del +88% sulla modalità ordinaria, che è la tipica formula utilizzata per situazioni di difficoltà temporanea.E’ importante scindere i due periodi, poiché in chiave prospettica, ciò che più interessa è la parte finale dell’anno, e non la sua totalità, poiché è da ciò che si potrà capire a grandi linee quale impatto avrà il 2009 anche sul lavoro femminile. Non avendo dati a disposizione, al momento è difficile fare stime puntuali su come sia andata effettivamente l’occupazione in rosa nel 2008 e in questi primi mesi del 2009. Tuttavia, leggendo gli andamenti congiunturali dei settori della nostra economia, la sensazione è che proprio in virtù della peculiarità del lavoro femminile di riposare soprattutto nei comparti terziari pubblici e privati e nei ruoli impiegatizi, ad oggi questo segmento sia stato colpito solo parzialmente dalla “longa manus” della crisi e comunque sia stato colpito soprattutto sulle formule più deboli e atipiche. Certamente, se l’annata 2009 dovesse prospettarsi dura come è stata la parte finale del 2008, il crollo dei consumi avrà ricadute anche su quei segmenti (come commercio e turismo) ad alta intensità di manodopera femminile.

*Istituto di Studi e Ricerche della CCIAA di Massa - Carrara

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Lavoro e figli, due diritti sacrosanti, ma quando a volerli è una donna, da diritti diventano quasi un problema. Conciliare le due cose, infatti, è spesso molto difficile, e le donne continuano, così a scontare le scelte di una maternità, trovando ancora grandi difficoltà di ingresso, di permanenza e di rientro, e a scontrarsi con il permanere di una cultura di discriminazione. In Italia per quanto riguarda gli andamenti della fecondità, va osservato che non è possibile parlare di un unico modello di fecondità coniugale. Come ha mostrato Santini nella sua analisi della fecondità differenziale per regione, da almeno un secolo nel nostro paese esistono almeno due modelli di famiglia dal punto di vista della fecondità: uno, tipico delle regioni del Nord, caratterizzato da un numero contenuto di figli; l’altro tipico delle regioni meridionali e insulari, caratterizzato viceversa da un numero elevato di figli. Le regioni del centro si collocano in posizioni non solo geograficamente intermedia. Questa differenza permane ancora oggi, pur nel forte calo della fecondità in tutte le regioni. Al Centro-Nord sembra che basti un figlio, ma almeno un figlio, a fare una famiglia; laddove nel Mezzogiorno ce ne vogliono almeno due e anche i terzi figli non sono ancora una rarità. Anche se va osservato che è nelle regioni meridionali che è avvenuto il calo delle nascite più consistente e che si è drasticamente ridotto il numero di figli per famiglia.L’Italia è uno dei paesi a più bassa fecondità al mondo1,26 bambini per

mamma , e presenta anche uno dei tassi di fecondità naturale, cioè fuori dal matrimonio, più bassi tra i paesi sviluppati ancorché in aumento: l’8,7% delle nascite è avvenuto fuori dal matrimonio, rispetto al 44,9% della Danimarca, il 40,7% della Francia, il 38,8% del Regno Unito, il 33% degli Stati Uniti. La diminuzione della fecondità, che in tutti i paesi e in tutti i ceti ha portato le nascite al di sotto del cosiddetto tasso di sostituzione, non segnala solo o tanto una difficoltà a far fronte economicamente o organizzativamente alla presenza dei figli. Segnala innanzitutto un mutato posto della filiazione sia nel ciclo di vita individuale che in quello coniugale.Il nesso tra numero dei figli e attività extrafamiliare, in particolare nel mondo remunerato, delle donne adulte è uno dei più dibattuti, e anche dei meno chiari per quanto attiene alla individuazione dei rapporti causali e della loro direzione. Nelle società tradizionali le donne adulte con carichi familiari lavoravano probabilmente più di oggi, eppure avevano una fecondità più elevata (e ciò vale anche per le società meno sviluppate rispetto a quelle più sviluppate)1. Se oggi a livello transnazionale appare esistere un rapporto inverso tra fecondità femminile e lavoro della donna, a livello nazionale le cose appaiono meno lineari, almeno in Italia, perché sono le regioni a più alta occupazione femminile a essere meno feconde: confermando il nesso inverso tra tasso di occupazione femminile e tasso di fecondità coniugale segnalato dalle indagini

Ma le opportunità sono davvero……”pari”?

demografiche degli anni Settanta2. L’esistenza di questo nesso statistico non offre necessariamente una spiegazione causale lineare: se è vero che avere una occupazione e più di un figlio è complicato per una donna in Italia, potrebbe anche essere vero che le donne che intendono investire nella vita professionale sono comunque meno motivate di quelle che hanno un maggiore, o più esclusivo, orientamento alla famiglia ad avere più di uno o due figli, a prescindere da quanto accade loro nella vita professionale. Si aggiunga che le decisioni relative alla procreazione sono raramente prese una volta per tutte. Piuttosto si prendono e riprendono in rapporto a ciò che succede nella vita familiare e individuale: a ciò che succede nella vita professionale dell’una o dell’altra, alla esperienza avuta con un primo figlio/a , persino a ciò che succede nella rete parentale. La questione dei rapporti causa effetto può essere espressa anche in termini generazionali e di coorte. Se è vero, per quanto riguarda l’Italia almeno, che la figura della madre a tempo pieno, casalinga, è divenuta una esperienza di massa solo tra la fine degli anni Cinquanta e i primi Sessanta, essa ha riguardato coorti di donne-madri che hanno cresciuto le figlie e i figli in famiglie già più piccole di quella dei nonni: in cui emergeva già nettamente una fase della vita familiare nella quale non c’erano figli piccoli e i genitori, la madre, erano ancora abbastanza giovani. In questo senso i sociologi degli anni Cinquanta e Sessanta cominciavano a individuare una fase del “nido vuoto”, come una

Nadia Bellè*

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nuova e problematica, fase del ciclo familiare. Contemporaneamente , sempre negli anni Sessanta , è cresciuta sia la domanda che l’offerta di lavoro femminile nel settore dei servizi allora in espansione, spesso in attività legate ai consumi e alle attività familiari. Perciò, se la riduzione della fecondità può avere avuto effetti inattesi sull’organizzazione del tempo di vita delle donne adulte negli anni Cinquanta e Sessanta, per le loro figlie e per le coorti più giovani

questa stessa riorganizzazione può essere entrata a far parte di strategie consapevoli, di tappe previste, vuoi per scelta, vuoi per necessità: quasi un nuovo modello di normalità non solo familiare, ma anche femminile, che per certi versi ricorda la fecondità ridotta, il combinarsi di lavoro familiare e di lavoro produttivo proprio delle donne contadine e artigiane nella economia tradizionale.La centralità assunta dal lavoro extradomestico nella vita delle donne

si accompagna alla difficoltà di conciliare ruoli interni ed esterni alla famiglia; oggi, più che nel passato, è diffusa la consapevolezza della necessità di sostenere un profondo cambiamento culturale che non attribuisca in via esclusiva alla donna i “lavori di cura”. Fra i paesi d’Europa l’Italia è caratterizzata da elevati differenziali di genere sia per il tasso di occupazione che per quello di disoccupazione. L’inoccupazione in Italia è donna, senza una grande attenzione al lato femminile del mondo del lavoro, il paese non sarà in grado di raggiungere l’obbiettivo europeo che prevede il tasso d’occupazione pari al 70% entro il 2010. Ma la riduzione del gap di disoccupazione femminile non è l’unico ostacolo che sembrano incontrare nel mercato del lavoro. O mamme o lavoratrici, o figli o carriera è la difficoltà di compromesso o di mediazione che le donne europee si trovano ad affrontare. L’ultima indagine online effettuata da Monster Meter, osservatorio aperto sui temi del lavoro dal network europeo dei siti di Monster, ha rilevato che per le figlie come per le loro madri un tempo, avere figli e un lavoro professionalmente gratificante sono due situazioni difficilmente conciliabili. Secondo 17.600 visitatori, per il 60% uomini e per il 40% donne, dai 25 ai 35 anni con un livello d’istruzione medio o alto, che hanno partecipato online da Italia, Germania, Gran Bretagna, Belgio, Irlanda, Olanda e Svizzera emerge che proprio la nascita dei figli è il principale ostacolo per le donne nel mondo del lavoro. Ma anche la scelta di formare la famiglia soprattutto per le generazioni più giovani, talvolta finisce per intralciare o interrompere i percorsi formativi delle donne. Il secondo ostacolo per l’ascesa professionale delle donne sarebbero invece i pregiudizi dovuti al sesso, questa è la seconda risposta selezionata con il 22,5%, mentre il 13,5% dei visitatori dei siti Monster ritiene che le donne abbiano le stesse

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opportunità dei loro colleghi maschi. Il 9% dei partecipanti al “poll”online pensa invece che, se le donne fanno meno carriera, è perchè dimostrano una maggiore sensibilità sul posto di lavoro mentre il 5% è convinto che la ragione di discriminazione sia il salario inferiore rispetto a quello riconosciuto ai colleghi maschi, quindi poco motivante. In media, per la metà dei partecipanti, il difficile compromesso fra la famiglia e la professione è il più grande killer della carriera femminile e le percentuali sono superiori al 40% della maggior parte degli stati. La difficoltà a essere considerate alla pari dei colleghi uomini è collocata al secondo posto in sette degli otto paesi in cui Monster ha sottoposto il quesito. In Svezia, Germania, Belgio e Svizzera circa un quarto degli intervistati è convinto che il fattore culturale sia il principale problema. Gli irlandesi risultano particolarmente aperti in materia di pari opportunità: solo il 10,8% crede che gli uomini trovino difficile accettare le donne come loro pari nell’ambiente di lavoro. A conferma di questo atteggiamento il 15,9% dei partecipanti dell’Irlanda crede che gli uomini e le donne sul lavoro abbiano le stesse opportunità, percentuale inferiore solo a quella registrata in Inghilterra 20,5%, Germania e Svezia con il 17% ognuna. Tra le 1454 opinioni pervenute dall’Italia il 54,65 in totale indica gravidanza e bambini come primo sbarramento

opposto alle donne in carriera, meno del 20% degli italiani pensa invece che l’impedimento maggiore sia la difficoltà di essere considerate allo stesso modo di un uomo, il 19,7% contro la media europea del 22,6%. Si attesta sotto la media la posizione di coloro che ritengono che le donne abbiano le stesse opportunità degli uomini 12,6% contro il 13,5% della media europea. La maggiore sensibilità rilevata sul posto di lavoro è citata dall’8,9% degli italiani ed è una percentuale pari alla media europea e coloro che pensano che le differenze salariali siano la ragione più grave di discriminazione sono il 4,3% contro un 4,9% generale.La mondializzazione liberale si appoggia sulla divisione sessuale del lavoro. Anche se essa non è mai stata identificata dagli economisti classici né dai loro critici più radicali la divisione sessuale del lavoro è stata utilizzata dal capitalismo a partire dalla sua nascita in Europa. Il contributo delle donne alla soddisfazione dei bisogni collettivi, in ciò che concerne la riproduzione, il lavoro domestico, l’educazione dei figli, e la cura ai malati o persone anziane è sempre ignorata dalle teorie neoliberali dominanti. Questa forma di lavoro gratuito ed invisibile è invece indispensabile al funzionamento dell’economia, che si libera così dei costi di riproduzione e di mantenimento della forza lavoro facendoli sostenere dalle donne. Per Marx “il lavoro salariato

è la base del modo capitalistico di produzione”3 , il lavoro che conta è solo il lavoro salariato, quindi, dato per scontato che non esiste un salario diretto alle casalinghe in quanto tali, possiamo chiamare quella “cosa” che fanno le donne ogni giorno per tutta la loro vita e che gli uomini sono costretti a fare talvolta, in circostanze particolari4 ”fatica” legata alla riproduzione. Ma questa “fatica” che quotidianamente compiono, in prevalenza le donne, legata alla produzione e riproduzione della forza-lavoro è “lavoro”. Lavoro non solo non riconosciuto, “negazionismo retributivo di genere” , ma neppure sostenuto da politiche efficaci. Il mancato riconoscimento istituzionale del lavoro di cura è il risultato di un atteggiamento culturale/sociale secondo il quale il lavoro di cura è un affare relativo alla sola sfera della vita privata delle persone. In realtà, invece, si tratta di un affare pubblico perché strettamente connesso al sistema di welfare. Assumere il ruolo delle donne come motore di sviluppo economico e sociale significa assumere da un lato una terapia shock per l’occupazione femminile, intesa come mutamento culturale dove uomini e donne sono posti sullo stesso piano, e dell’altro creare un sistema di welfare adeguato ai bisogni della società.

*Docente Università degli Studi di Firenze

1 Saraceno, C. e Naldini, M. 2005, Sociologia della famiglia, Bologna, il Mulino pp.151-1532 Bielli, C., Pinelli, A. e Russo, A. 1973, Fecondità e lavoro della donna in quattro zone tipiche italiane, Roma, Istituto di Demografia; De Sandre, P. 1982, Indagine sulla fecondità in Italia,

Bologna , Istituto di Demografia; Federici, N. 1984, Procreazione, famiglia ,lavoro della donna, Torino, Loescher.3 Marx, C., Il Capitale,cit., II,p. 363;4 Si pensi in particolare ai giovani quando escono di casa e ancora non si sono formati una famiglia (studenti, giovani, single), tenendo presente che riproducono soltanto se stessi. Un’altra

situazione più interessante, è quella in cui si rovesciano (per brevi periodi e in circostanze straordinarie) i rapporti di forza all’interno della famiglia ed è il marito (o perché disoccupato, per scelta o meno, e la moglie lavora o perché a donna impossibilitata per malattia od altro) ad occuparsi del lavoro “domestico” o parte di esso;

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La compenetrazione tra generi e generazioni non può prescindere da processi di trasformazione spazio-temporali, ricchi di elementi di tradi-zione e di innovazione. I generi e le generazioni si alternano e si mesco-lano sulla base di strutture ancestrali quali padre-madre, figlio-figlia. “I rapporti fra generazioni sono uno dei principali fattori che determinano il grado di coesione di qualsiasi società, nel caso specifico delle nostre, e quin-di dell’entità geopolitica inevoluzione costituita dalla loro unione.”Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema I rapporti fra le generazioni (2005/C 157/28)

Le trasformazioni familiari hanno coinvolto l’esperienza di essere figli e figlie, insieme all’intera catena dei rapporti tra le generazioni.Inoltre, il forte mutamento dei ruoli familiari che si è verificato negli ultimi decenni ha visto una consi-stente presenza femminile per quanto riguarda la produzione del reddito familiare e, al contempo, un maggior impegno maschile nel campo della cura e delle incombenze domestiche. Ne conseguono una relativa atte-nuazione delle differenze tra i ruoli coniugali e un sostanziale esonero dei giovani da tali incombenze. Ciononostante, le ricerche evidenzia-no anche come il lavoro di cura tutto-ra rimanga a titolarità femminile(sia donne italiane che, da un po’ di anni a questa parte, straniere); in parti-colare, risulta centrale il ruolo delle donne dell’età di mezzo, nel loro ruolo di generazione “sandwich” tra quella degli anziani genitori e quella dei giovani figli. Tale sovraccarico

delle responsabi-lità familiari, in presenza dell’in-vecchiamento della popolazione e del consolidamento della coabitazione lunga tra genitori e giovani adulti, si è tradotto anche in una forte e persi-stente denatalità.La condizione giovanile viene col-pita da quelli che, antropologicamen-te parlando, sono definiti come riti (crisi) di passaggio, oggi permeati da quello che potrem-mo ironicamente definire un non sentimento: il nichi-lismo. (Umberto Galimberti “L’ospi-te Inquietante”, ed. Feltrinelli).I giovani non trovano più il loro spazio, una collo-cazione nel mondo e questo li spinge ad un annichilimento energetico.Certo non si può non considerare le problematiche odierne: la preca-rietà del lavoro e del vivere stesso, la solitudine di un individualismo alterato dal branco, l’assorbimento in quella che è realtà virtuale, ma di realtà ha ben poco (consideriamo il fenomeno delle Chat), l’inaridirsi degli affetti,nonostante la musica più gettonata sia Emo (che sta per emotional), la fragilità estrema davanti al lavoro, che spesso è meta irrag-giungibile, al sacrificio (tutto sembra dovuto), al dolore (anche le guerre

più truci appartengono solo ad un mondo televisivo). Né la famiglia né la scuola riescono più a trasmettere l’arte del vivere, la ricerca del senso, il limite e la responsabilità.Gli adulti, da parte loro, sono ancor più in difficoltà nel rapportarsi e confrontarsi con la nuova genera-zione così affaticata ed arrancante, e spesso come soluzione assumono un atteggiamento indifferente o pensano che comunque in confronto alla loro questa sia una generazione fortunata e piena di privilegi.Tuttavia, non si può restare indiffe-renti, né dare nulla per scontato, si parla comunque del nostro futuro.

L’esperienza spazio-temporaletra generi e generazioni

Ilaria Tarabella*

MaterMateria di Ilaria Tarabella (olio su tela)

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Innanzitutto dobbiamo prestare più attenzione ai termini e parlare di ragazzi e ragazze e di uomini e donne, troppo spesso si tende ad ignorare la distinzione dei generi, soprattutto tra le nuove generazioni. Infatti nella mia esperienza all’interno delle scuole non ho potuto fare a meno di notare la volontà di un appiattimento delle dif-ferenze e delle identità sia dal punto di vista dell’immagine che da quello del comportamento. Solo affrontando tematiche dure come stupro o aborto, arrivano a scontrarsi e ribellarsi gli uni alle altre.Se da un lato non si riescono più a trovare gli spazi di vita, dall’altro anche la concezione del tempo è cambiata, non si può più prescindere dal parlare di tempi senza parlare di lavoro. E questo è un elemento carat-terizzante della generazione mediana, di cui le donne sono le principali vittime. Non per niente è da anni che le donne, soprattutto, cercano di di-menarsi tra i cosiddetti tempi di vita e di lavoro (anche la L. 53/00 cerca di delinearne i confini e i contenuti).La generazione “sandwich” è la generazione più danneggiata dalla cosiddetta “società dell’incertezza”. Più danneggiata perché è quella che è già fuori dall’iter degli studi, ma che in realtà non può permettersi di finire di studiare mai, che si trova nel bel mezzo della crisi del lavoro, della precarietà e della destabilizzazione, che non ha garanzie neanche per un mutuo e di figli neanche a parlarne!È la generazione a cui appartengo e che se vogliamo proprio dirlo va dai 30 ai 45 anni circa.Una volta immerse nel trambusto del lavoro precario ci accorgiamo che non concilia affatto con la propria libertà d’azione che si concretizza in elemen-ti tangibili e scottanti quali: i soldi per un mutuo, la garanzia e le tutele per fare un figlio, il riconoscimento sociale e il potere per realizzare le proprie idee e i propri progetti. La precarietà è una condizione che da la-vorativa è diventata una condizione di vita e una condizione sociale. Di fatto inibisce la possibilità materiale di costruirsi uno spazio e, se lo si desi-dera, una famiglia. Da un lato perché

c’è una desertificazione della rete dei servizi, dall’altro perché comunque si ha un lavoro a scadenza.Da ciò scaturisce la rabbia. Siamo arrabbiate, perchè non ci sentiamo tutelate, ma anzi ostacolate nel nostro progetto di vita. Nell’equilibrismo quotidiano del vivere ci si chiede che spazio resti al tempo per sé. Siamo arrabbiate perchè le donne appartenenti alla precedente genera-zione, hanno subito un processo di mascolinizzazione sul versante politico e lavorativo che va ad ostacolare il sentimento di partenza del movimen-to femminista, che se da una parte si ritiene superato, dall’altra se ne porta ancora la bandiera.La ricerca della parità dei diritti è infatti in continua crescita e sviluppo. L’indagine condotta dall’Ires-Cgil (i cui risultati sono stati raccolti e ana-lizzati nel volume «Uomini e donne moderni - Le differenze di genere nel lavoro e nella famiglia, nuovi modelli da sostenere» _edizioni Ediesse_, curato da Giovanna Altieri) registra certamente un certo riequilibrio nei rapporti uomo-donna, in particolare nelle classi di età più giovani. Tra chi oggi ha dai 20 ai 40 anni, soprattutto se in possesso di un grado di istru-zione più elevato, si riscontra una maggiore propensione alla condivisio-ne dei lavori domestici e dei compiti di cura dei figli. C’è anzi, da parte dei maschi, un forte desiderio di espri-mere la propria paternità, in maniera più “fisica”, con un più frequente e intenso contatto con i bambini. An-che se molto spesso questo prendersi cura finisce per attenere più alla sfera ludico-affettiva che a quella, diciamo così, di assistenza materiale. Insom-ma, un conto è giocare coi bambini nel tempo libero, un altro ancora accompagnarli in piscina o seguirli quando fanno i compiti. Mansioni, queste, che finiscono per ricadere sempre e comunque sulle madri, così come la maggior parte delle faccende domestiche propriamente intese. Ma è soprattutto nel mondo del lavo-ro, ancor oggi centrato sulla figura maschile, che le differenze di genere restano assai marcate e finiscono per influenzare pesantemente e frenare

l’evoluzione complessiva del Paese. [...]Da un lato si registrano i nuovi orientamenti di valore dei giovani uomini, che non solo accettano ma si aspettano che anche le donne parteci-pino al sostentamento della famiglia – si legge nel volume –. Dall’altro, il ripiegamento delle giovani donne verso culture e modelli più tradizio-nali (un solo percettore di reddito, ndr) induce a pensare che la maternità in Italia per le nuove generazioni – quanto più è un obiettivo diffici-le da perseguire, un evento che si è costretti a ritardare e limitare, con inevitabili rinunce in ambito lavora-tivo – tanto più entra a far parte dei desideri in modo esclusivo».In questo intricarsi tra generi e gene-razioni è, dunque, importante consi-derare che i bisogni di conciliazione, per le donne sono particolarmente pressanti, soprattutto in due fasi della vita. La fascia di età sotto i 40 anni, quando si incrociano maternità e op-portunità professionali, di carriera e formative e quella sopra i 50, quando prevalgono le necessità legate alla cura degli anziani.“In questo scenario sulla dimensione temporale i sentimenti di sconforto si alternano ad istanze rivendicatrici ver-so le generazioni precedenti che poco spazio lasciano e poche opportunità hanno creato ed ancora a momenti di euforia per la possibilità di avere un percorso più creativo e non già predeterminato da altri”. “Se non si mette mano a politiche integrate e sistemiche sul lavoro, sul welfare, sulla famiglia, se non si rafforzano i servizi, rischiamo di non veder aumentare né il tasso di occupa-zione femminile né quello demogra-fico. Eppure bisognerebbe compren-dere che la conciliazione tra lavoro e famiglia non è un’istanza solo delle donne, ma del Paese intero se vuole crescere”(Indagine Ires-Cgil). E’ dun-que necessario ricostruire un’alleanza tra i generi e le generazioni, ed indi-viduare politiche di ricomposizione dei tempi di lavoro e di cura capaci di agire lungo tutto l’arco della vita.

*Esperta di Pari Opportunità del Centro per l’Impiego della Provincia di Massa Carrara

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Il rapporto Eurispes 2009 sulla situazione occupazionale ci presenta un quadro deludente per il nostro paese (ovviamente con le dovute differenze territoriali, come emerge anche dagli altri contributi conte-nuti in questo numero di Paridea): crescita a tasso zero e un tasso di occupazione tra i più bassi d’Europa fanno sì che il lavoro rappresenti un punto debole nella vita degli italiani e delle italiane sia per la sua man-canza ma anche per la sua precarietà. E questo è soprattutto vero per le donne, Eurispes ci mostra infatti un quadro caratterizzato dalla persi-stenza di disuguaglianze tra uomini e donne sia in ambito lavorativo che retributivo. Un elemento di ostacolo all’inseri-mento nel mercato del lavoro e alla carriera delle donne è ovviamente la maternità: in base ai dati forniti da Eurispes nel 2006 una donna su nove è uscita dal mercato del lavoro o momentaneamente o definitivamente dopo la nascita di un figlio (o di una figlia!!!) concludendo che “la mater-nità rappresenta il principale motivo di abbandono del lavoro da parte delle donne, il fattore che determina lo scivolamento verso l’inattività o il sommerso femminile oltre che fonte di discriminazioni sui luoghi di lavoro”. E’ per questo che “da sempre” si parla di conciliazione intendendo con questa parola la possibilità di raccordare la vita professionale di donne e uomini con la sfera familia-re/relazionale/sociale rendendo meno pesante il conflitto sul tempo della vita quotidiana. Il Parlamento Europeo ha recente-mente proposto alla Commissione Europea l’adozione di una nuova

direttiva volta a disciplinare i diritti che garantiscono la conciliazione della vita professionale con quella privata: orari di lavoro flessibili per i genitori, miglioramento dell’accesso ai servizi per le persone non autosuf-ficienti (minori, anziani e disabili), regimi pensionistici che tengano con-to del tempo dedicato alla cura della famiglia, regimi di congedo parentale a carico della collettività, politiche fiscali mirate. In una risoluzione approvata il 3 feb-braio 2009 dal Parlamento Europeo, viene messo in evidenza che il prin-cipio di solidarietà tra generazioni è uno degli assi portanti del modello sociale europeo e che, alla base del patto tra generi e generazioni ci deve essere la possibilità di organizzare la propria vita lavorativa e privata: in sostanza conciliare le esigenze economiche e produttive del lavoro con la facoltà di scegliere tempi e impegni, in un quadro di diritti e di responsabilità. La solidarietà tra i generi rappresenta pertanto un elemento centrale del modello sociale europeo. Anche se la conciliazione costituisce un proble-ma maggiormente sentito dalle don-ne, in realtà ne sono coinvolti tutti, in particolare gli uomini. Il lavoro remunerato al di fuori della famiglia ha cambiato lo stile di vita delle donne, affiancando al lavoro di cura quello produttivo, ciò solleva più che mai l’esigenza della condivisione di responsabilità familiari da parte del partner, che rappresenta anche un’op-portunità/diritto per la paternità. Come indicato in una Risoluzione dell’Unione Europea del 29 giugno 2000:“… conciliare la vita professiona-le con quella familiare, [è] diritto

I volti della conciliazione.Un’esperienza locale

Carla Gassani* Raffaele Pennoni**

degli uomini e delle donne, fattore di realizzazione personale nella vita pubblica, sociale, familiare e privata, … è necessario promuovere azioni per migliorare la qualità della vita di tutte le persone, nel rispetto e nella solidarietà attiva tra donne e uomini…” Uno dei principali strumenti che nel nostro paese affrontano il tema com-plesso della conciliazione è la Legge 53 del 2000, ed in particolare l’arti-colo 9, che prevede il finanziamento di azioni positive volte a favorire una diversa organizzazione ed articola-zione del tempo di lavoro (part time, job sharing, telelavoro, banca delle ore…), l’equilibrio tra responsabilità familiari e professionali, una migliore condivisione di responsabilità tra i generi, il diritto di ciascun genitore ai congedi parentali ed a vivere con serenità la maternità e la paternità. Questa legge finanzia sia azioni positive rivolte a lavoratori e lavora-trici (anche autonomi e a progetto), ma anche azioni positive rivolte ad imprenditori ed imprenditrici. Di questa ultima opportunità ne parlia-mo con Raffaele Pennoni, un giovane padre nonché imprenditore locale, che nel 2008 ha fatto richiesta di un finanziamento a valere proprio sull’articolo 9 della legge 53/00, lettera c, che prevede la sostituzione dell’imprenditore.Raffaele, puoi descriverci brevemente che cosa ti ha spinto a richiedere un finanziamento sull’articolo 9? Lo scorso settembre sono diventato padre per la prima volta, un evento che mi ha cambiato la vita! Non solo per la gioia che sa regalare un figlio, ma anche per la responsabilità che comporta (provare ad) essere un buon genitore. Il mio desiderio

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è stato da subito quello di voler essere un padre (e un marito) “presen-te”. In realtà, sapevo che gli impegni di lavoro mi avrebbero tenuto “fuori casa” molte ore. Il bando sulla conciliazione mi è parso subito un ottimo “aiuto” per riuscire a coniugare due aspetti così importanti (diventare genitore e andare avanti nel lavoro). Quali sono i principali contenuti del progetto che hai presentato al Ministero? Il progetto che ho pre-sentato è strettamente collegato all’azienda di cui sono titolare (e unico socio lavoratore) che si occupa di commercializ-zare “sistemi di accesso ad internet per strutture ricettive”; in altri termini, si tratta di macchine che consentono ad un hotel di far navigare i propri clienti su internet nel rispetto della legge. Immaginando che con la nascita di mio figlio avrei avuto molto meno tempo per ricercare nuovi clienti e gestire quelli attuali, ho fatto richie-sta di un finanziamento che coprisse i costi di una figura professionale con competenze in ambito ammini-strativo e commerciale. Nel progetto ho indicato una persona affidabile e qualificata capace di sostituirmi di-verse ore al giorno per circa un anno. Anche usufruendo di questa chance, il mio impegno lavorativo rimarrebbe consistente, tuttavia sarebbe possibi-le una gestione più flessibile di molte situazioni. Inoltre, questa esperienza se potrà essere attuata mi consentirà di sviluppare una collaborazione pro-fessionale proseguibile anche dopo la fine del progetto.Come sei venuto a conoscenza di questa opportunità? Ho conosciuto questa opportunità attraverso una ricerca su inter-net. Visitando i siti istituzionali del governo italiano sono entrato in contatto con la task force del

Ministero che a sua volta mi ha messo in contatto con l’ufficio della Consigliera di Parità Provinciale. Lì ho trovato, anche con una certa sorpresa, referenti molto attente e preparate che mi hanno guidato nella compilazione della domanda. Direi: “Un esempio di buon funzionamento delle Istituzioni”!. Quali sono secondo te i punti di forza e di debolezza di questa tipologia di finanzia-mento? Il punto di forza di questo tipo di finanziamento credo che stia nei motivi stessi che sono alla base della sua istituzione: creare opportunità di aiuto concreto rivolte alle famiglie con particolari necessità. Spesso si parla di crisi della famiglia e della genitorialità. Ancor più frequente è sentire parlare di “padri assenti”. Un bando capace di garantire una maggiore presenza in famiglia senza rischiare di compromettere “il lavo-ro”, credo sia una bella risposta. I punti di debolezza sono princi-palmente i tempi di risposta del Ministero: non viene dato un limite entro il quale si saprà se la richiesta è stata accettata o meno. Questo a mio avviso contraddice il senso stesso del bando. Inoltre, è noto che nel caso

della nascita di un figlio sono soprat-tutto i primi mesi quelli “critici”. Perché il bando non tiene conto di questi aspetti? In tempi di crisi economica come valuti queste opportunità di finanziamento?Il rischio di perdere il lavoro sembra essere aumentato e un senso di incer-tezza e precarietà sembra diffondersi in modo molto rapido. Se poi una persona per motivi familiari specifici (la nascita di un figlio, o la malattia di un coniuge…) si trova di fronte a scelte ancor più “difficili” (ad esempio, perdo gli affetti o perdo il lavoro?) la situazione può assumere livelli di disagio eccessivi. Un aiuto temporaneo così come è previsto dall’art 9 della legge 53/00 può esse-re una cosa importante!Secondo te cosa si potrebbe fare per migliorare la conciliazione tra tempi di vita e di lavoro? Mi sembrerebbe già un gran passo avanti poter usare questa opportunità con modalità di accesso rapide e tem-pi certi. Inoltre, credo che molti non conoscano questa opportunità.

*Esperta di Pari Opportunità del Centro per l’Impiego della Provincia di Massa Carrara** Imprenditore

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Si afferma finalmente in Italia, con la Legge n. 54 dell’8 febbraio 2006, il principio della “bigenitorialità”, inteso quale diritto dei figli ad avere un rapporto famigliare completo e stabile con entrambi i genitori anche in seguito alla separazione civile o di fatto dei due. Per comprendere la valenza e la portata innovatrice della riforma in esame, occorre ripercorrere, seppur a grandi linee, l’iter normativo e giuri-sprudenziale che vi ha dato vita.Con il Codice Civile del 1942 veniva affermata l’indissolubilità del matrimonio, dunque la separazione si poteva avere solo in caso di colpa di uno dei due coniugi, ne consegui-

va che l’affidamen-to dei minori era dato al così detto coniuge “senza colpa”.Solo nel 1970 con la Legge n. 898, entra nella realtà giuridica italia-na il divorzio, e quindi si comincia a perdere di vista la così detta colpa del coniuge e si pone l’accento alla tutela dell’interesse morale e materiale dei figli. Grazie alla rifor-ma al diritto di famiglia (Legge n. 151 del 21 maggio 1975) si fa strada l’inno-vativo criterio per cui la separazione, pronunciabile a prescindere da una condotta

“colposa”, assume solo funzione “curativa” di un rapporto coniugale ormai irrimediabilmente compro-messo, motivo per cui il giudice, nell’emettere un provvedimento di affido dei figli, dovrà tener conto solo ed unicamente dell’interesse del minore. Ed è proprio alla tutela di tale interesse, che risulta rivolta, la normativa ante-riforma, che si basa sull’articolo 6 della legge 898/70 e l’articolo 155 del codice civile. Tali disposizioni prevedono un affida-mento di tipo monogenitoriale, per cui il minore resta affidato al solo genitore considerato più idoneo a favorirne il pieno sviluppo della

Il nuovo affido condiviso…verso la parità genitoriale

Barbara Dell’Amico *

personalità, dotandolo di potestà esclusiva circa l’educazione, l’istru-zione e la cura; ciò senza escludere l’apporto e la presenza del genitore non affidatario, che mantiene la potestà congiunta solo in ordine alle scelte più importanti e alle questioni di straordinaria amministrazione. E’ grazie dunque all’influenza euro-pea, che in Italia si delinea un primo embrione dell’odiernoaffido condiviso, seppur inizial-mente denominato “congiunto” ed inteso, assieme all’ “alternato”, quale criterio residuale di affidamento del minore. Tuttavia nella prassi non ha riscontrato un’alta percentuale di successo dato che nella realtà giudiziaria, quello che era nato quale affidamento monogenitoriale, diviene affido quasi “esclusivo” alla madre, come dimostrano le indagi-ni ISTAT del 2000, dalle quali si evince che in Italia la percentuale di affidamento della prole alla madre sfiorava l’86,7% dei casi. Ma è solo la Legge 54/2006 che apre ad una novità legislativa dall’ampiezza non indifferente, modificando sensibilmente il conte-nuto dell’ art. 155 del codice civile, che con l’aggiunta di nuovi commi, sconvolge il quadro normativo rela-tivo all’affidamento dei figli, inver-tendone i criteri: il giudice potrebbe disporre l’affidamento ad uno solo dei genitori solo in presenza di un potenziale pregiudizio del minore, che dovrà correttamente motivare.Finalmente si usa il termine “ge-nitori” anziché “coniugi”, potendo trattarsi anche di genitori non coniugati, in linea con la normativa comunitaria (Regolamento CEE n. 2201/03 in vigore dal 01.03.2005 in tema di “responsabilità genito-

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riale”).Al fine di comprendere appieno la portata innovatrice della legge in essere, appare opportuno qui analiz-zarne la prima parte. Il nuovo articolo 155 del codice civile, intitolato “Provvedimenti riguardo ai figli”, nella sua prima parte, recita : “Anche in caso di separazione personale dei genito-ri il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conser-vare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale. Per realizzare la finalità indicata dal primo comma, il giudice che pronuncia la separa-zione personale dei coniugi adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa. Va valu-tata prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun geni-tore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli. Prende atto, degli accordi intervenuti tra i genitori, se non contrari all’interesse dei figli . Adot-ta ogni altro provvedimento relativo alla prole. La potestà genitoriale è esercitata da entrambi i genitori. Le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all’istruzione, all’edu-cazione e alla salute sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice. Limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria ammini-strazione, il giudice può stabilire che i genitori esercitino la potestà separatamente”. Balza subito agli occhi la portata rivoluzionaria della Legge n. 54:

l’affido congiunto, eccezione del previgente sistema normativo, oggi è la regola e prende il nome di affido condiviso; in altre parole, si riconosce al minore, in nome del suo preminente interesse, il diritto ad una continuità di rapporti con ambo i genitori, anche e soprattutto in corso di separazione, oltre ad elevare a rango di diritto, e non più di mero valore, il legame con nonni e parenti stretti. Non scompare, dunque, l’affidamen-to dei figli ad un solo genitore, ma viene relegato all’ipotesi, residuale, in cui l’interesse del minore po-trebbe risultare pregiudicato da un affidamento condiviso. Da un punto di vista pratico, oggi si giunge al provvedimento di affido per intervento giudiziale, solo in se-conda battuta, fallito ogni tentativo di accordo tra i genitori. L’accordo potrà essere stilato dai genitori da soli o, in caso di conflitto, con l’ausilio di organi di mediazione familiare necessariamente accreditati (nuovo 709 bis del codice proce-dura civile) che ora intervengono in via preventiva e non più in corso di causa.Posto che il così detto “progetto di affidamento condiviso” verrà sotto-posto al vaglio del giudice già nella prima udienza presidenziale, l’ob-bligo di allegazione dell’accordo all’ interno del ricorso per separazione, sottolinea come l’organo giudicante, si limiti nel “prendere atto” di detto accordo, lasciando che in primis la scelta spetti ai genitori. In materia di potestà, occorre rilevare che la norma, nel prevedere una responsa-bilità congiunta dei genitori circa le questioni più delicate attinenti la cura della prole, delinei, in ambito di ordinaria amministrazione, una sorta di divisione dei compiti, di potestà indivisa, da gestire secondo le singole esigenze e disponibilità; non passi inosservata la volontà del legislatore di conservare la differen-ziazione tra ordinaria e straordinaria amministrazione.

L’approvazione della Legge 54/2006 la si può definire una scelta corag-giosa, infatti fino ad oggi il genitore affidatario, in circa l’84% dei casi, e’ stata la madre ora anche il padre ha il diritto e il dovere di partecipare alla cura dei figli.Le situazioni a cui si rivolge questa Legge, non sono quelle in cui la separazione è vissuta serenamente dai genitori, che concordano per continuare a svolgere il proprio ruo-lo genitoriale in maniera paritaria. Per tali situazioni l’ordinamento già prevede che si possa scegliere l’affidamento congiunto. Questa Legge mira piuttosto, a tutte le altre coppie, dunque quelle che non sceglierebbero spontaneamente di comune accordo di condividere la cura dei figli, e punta ad imporre in maniera pressoché automatica il nuovo modello di affido condiviso che viene ritenuto il più idoneo, anzi l’unico idoneo a fare l’interesse dei figli.In una società, come quella italiana, dove da una recente ricerca del-l’ISTAT la maternità, per le donne separate, è un fattore di povertà, questa Legge ha un ampia portata innovativa, risulta un percorso ne-cessario per favorire il cambiamento sociale per sconfiggere l’idea che la maternità sia un destino e non una scelta. Con la Legge 54/2006 si tende concretamente ad affermare pari opportunità tra i generi, a facilitare la conciliazione tra tempi di cura e di lavoro, ad affermare un ruolo diverso delle donne nella società, nel lavoro e nella vita pubblica, a rompere la tradizionale distinzione dei ruoli all’interno della famiglia in modo che, soprattutto nelle giovani generazioni, la figura paterna sia arricchita di contenuti e funzioni nuove, prima di competenza solo delle madri.

*Tirocinante Ufficio Consigliera di Parità

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PROGETTI E INIZIATIVE

La Consigliera di Parità della Provincia di Massa-Carrara sta portando avanti un progetto dal titolo “Scuola: parità e lavoro” che prevede il coinvolgimento delle classi V delle scuole secondarie superiori. L’ obiettivo del percorso è quello di aprire una riflessione con gli studenti e le studentesse sulla presenza di stereotipi di genere nella società e sulla cultura della differenza, favorendo la consapevolezza che ognuno di noi può essere artefice del cambiamento. Alla fine degli incontri si prevede la proiezione di un film sul tema delle pari opportunità e mondo del lavoro a cui seguirà un dibattito coordinato da un’animatrice esperta su questi temi. Per informazioni e adesioni all’iniziativa rivolgersi al: 0585/816672-706

Avviso pubblico per la costituzione di un elenco di esperte/i in Diritto del Lavoro e in Materia Antidiscriminatoria – Riapertura dei termini di presentazione delle domande dal 1 al 30 giugno 2009L’avviso pubblico è finalizzato a costituire un elenco di Avvocate e Avvocati a supporto dell’ufficio della Consigliera di Parità, in esecuzione dell’articolo 36 del D. Lgs. 198/2006 “Legittimazione processuale”, che prevede la facoltà di ricorrere innanzi al Tribunale in funzione di giudice del lavoro o, per i rapporti sottoposti alla sua giurisdizione, al Tribunale Amministrativo territorialmente competente, su delega della persona che vi ha interesse, ovvero di intervenire nei giudizi promossi dalla medesima. Le persone interessate possono presentare domanda dal 1 al 30 giugno 2009. La modulistica è scaricabile dal sito www.provincia.ms.it (Sezione Consigliera di Parità sotto la voce “Bandi e finanziamenti”). Per informazioni rivolgersi all’Ufficio della Consigliera di Parità

Si segnale che la Consigliera di Parità sta organizzando un seminario, in collaborazione con l’Ordine degli Avvocati della Provincia di Massa – Carrara, sul tema delle discriminazioni di genere, che si terrà nel mese di maggio. Per informazioni rivolgersi all’Ufficio della Consigliera di Parità

LA CONSIGLIERA DI PARITÀ

E’ una figura istituzionale nominata dal Ministero del Lavoro, di concerto con il Ministro per le Pari Opportunità, su designazione della Provincia. La normativa prevede l’istituzione di una Consigliera Effettiva e di una Consigliera supplente.Nella nostra Provincia - con il decreto del 2 ottobre 2006 - sono state nominate Annalia Mattei, Consigliera effettiva e Francesca Freudiani, Consigliera supplente

Quando rivolgersi alla ConsiglieraSe sei una donna o un uomo che ha subito o pensa di aver subito una discriminazione fondata sul sesso:

- nell’accesso al lavoro e/o alla formazione professionale- nel livello di retribuzione- nello sviluppo di carriera- nel vivere serenamente la tua maternità e paternità nel lavoro

Se sei un ente pubblico e intendi:- costruire un Comitato d’Ente- presentare il Piano di Azioni Positive- accedere a finanziamenti previsti dalla legge per promuovere azioni positive

Se sei un’azienda privata e vuoi ricevere informazioni per:- presentare progetti di riorganizzazione aziendale sulla flessibilità- costituire un Comitato Pari Opportunità- accedere ai finanziamenti previsti dalla legge per promuovere azioni positive- redigere un Piano di Azioni Positive

L’ Ufficio della Consigliera si trova presso:Assessorato alle Politiche del Lavoro e FormativeVia delle Carre, 55 – 54100 MassaTel 0585 816729 - 706-672 Fax 0585 816685Cellulare 334 8509699E- mail: [email protected], [email protected], [email protected] internet: http://portale.provincia.ms.it/Apertura al pubblico: dal Lunedì al Venerdì, dalle ore 9.00 alle ore 13.00, sabato su appuntamento si

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Page 20: Paridea 1Gennaio 2009

Provincia di Massa-CarraraVia delle Carre, 55

54100 MassaTel. 0585 816729

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