papa giovanni settembre.otobre2012

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Folla di visitatori alla chiesa dedicata a Papa Giovanni Roma: in mostra studi e ricordi di Angelo Roncalli sulla Bergamasca Venezia: cinque i patriarchi che hanno avuto radici orobiche Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB BERGAMO - In caso di mancato recapito restituire al mittente che si impegna a pagare la relativa tassa (Anno XXIX) Nuova serie - Anno 11 n. 5 - Settembre/Ottobre 2012 - Amici di Papa Giovanni - CONTIENE I.R. SETTEMBRE - OTTOBRE 2012 Roncalli amava ritornare nei luoghi della sua infanzia 0 Papa settembre-ottobre2012.indd 1 04/09/12 15.55

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rivista bimestrale papa giovanni

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Folla di visitatorialla chiesa dedicata

a Papa Giovanni

Roma: in mostra studi e ricordi

di Angelo Roncalli sulla Bergamasca

Venezia: cinquei patriarchi

che hanno avutoradici orobiche

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“ Roncalli amava ritornare nei luoghi della sua infanzia “

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Sotto la protezione di Papa Giovanni

Inviate la fotografi a dei vostri bambini ad: via Madonna della Neve, 24 - 24121 BergamoInviate la fotografi a dei vostri bambini ad: via Madonna della Neve, 24 - 24121 BergamoInviate la fotografi a dei vostri bambini ad: via Madonna della Neve, 24 - 24121 BergamoInviate la fotografi a dei vostri bambini ad: via Madonna della Neve, 24 - 24121 Bergamo

RICORDIAMO CHE PER RICEVERE UNO DEI SEGUENTI OMAGGI:CALENDARIO CON LA FOTOGRAFIA DEI BAMBINI, LA PERGAMENA PER

IL BATTESIMO, LA PRIMA COMUNIONE, IL MATRIMONIO, E’ NECESSARIO INDICARE L’INDIRIZZO COMPLETO A CUI INVIARLO

la bisnonna Ambrogina, la nonna Lucilla e nonno Armando,

affidano la loro nipotinaalla protezione di Papa Giovanni XXIII

affinchè la protegga per tutta la vita

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Folla di visitatorialla chiesa dedicata

a Papa Giovanni

Roma: in mostra studi e ricordi

di Angelo Roncalli sulla Bergamasca

Venezia: cinquei patriarchi

che hanno avutoradici orobiche

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SETTEMBRE - OTTOBRE 2012

“ Roncalli amava ritornare nei luoghi della sua infanzia “

Redazione: mons. Gianni Carzaniga mons. Marino Bertocchi

don Oliviero Giuliani Claudio GualdiPietro Vermigli

Giulia CortinovisMarta Gritti

Vincenzo Andraous padre Antonino Tagliabue

Luna Gualdi

Coordinamento redazionale: Francesco Lamberini

Fotografi e: Archivio del Seminario Vescovile di Bergamo, Archivio “Amici di Papa

Giovanni”, Archivio “Fondazione BeatoPapa Giovanni XXIII”

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n. 5 bimestralesettembre/ottobre

Direttore responsabile

Claudio Gualdi

EDITRICE BERGAMASCAISTITUTO EDITORIALE JOANNES

Anno XXIX

Direzione e Redazionevia Madonna della Neve, 26/24

24121 BergamoTel. 035 3591 011Fax 035 3591117

Conto CorrentePostale n. 97111322

Stampa: Sigraf Via Redipuglia, 77Treviglio (Bg)

Aut. Trib. di Bg n. 17/2009 - 01/07/2009

www.amicidipapagiovanni.it

[email protected]

Attenzione: per eventuali ritar-di nella consegna del giornale o altri problemi postali con-tattare la redazione lasciando anche recapito telefonico.

RONCALLI AMAVA RITORNARE NEI LUOGHI

DELLA SUA INFANZIA)4

VENEZIA: CINQUE I PATRIARCHI LEGATI

ALLA TERRA BERGAMASCA

FOLLA DI VISITATORI ALLA CHIESA DEDICATA

A PAPA GIOVANNI

PAPA LUCIANI SULLE ORME DEL PONTEFICE

BERGAMASCO

ROMA: IN MOSTRA GLI STUDI DI RONCALLI

SU BERGAMO

IN UNA MOSTRA RISCOPERTE LE «MADONNE DA VESTIRE»

CARITAS, DA 40 ANNISEMPRE IN «PRIMA LINEA»

MONS. BESCHI: «LA MISSIONE È COME IL NOSTRO RESPIRO»

FRA TOMMASO: PER RONCALLI FU «UN MAESTRO DI SPIRITO»

QUANDO IL CARD. RATZINGER FECE VISITA A SOTTO IL MONTE

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fuori dalle mura Vaticane.Rileggendo le pagine di una storia ancora poco cono-sciuta, si scopre così che la campagna era soprattutto la meta da loro più ambita. Per Papa Roncalli – di fatto – lo è sempre stata. Ma molti secoli prima, vi fu chi si fece costruire case, palazzi e ville in mezzo ai campi. Per Eugenio III, eletto nel 1145, venne edi� cato un piccolo palazzo a Segni, dove in seguito si sarebbero recati alcuni suoi successori. Gregorio IX nel 1235 chiese che fosse costruita una dimora di campagna a Terni, mentre il suo successore Innocenzo IV (1243) scelse come meta Anagni. Martino V si recava invece nel castello di Genazzano: fu lui a far edi� care l’ala ovest, caratterizzata da splendide � nestre rinascimentali a croce guelfa.Nel XVI secolo altri Pontefici scelsero la quiete campestre per le ferie estive. Del resto in quel periodo Roma non era di certo urbanizzata come oggi e pertanto a pochi chilometri era già tutta campagna. Fra i tanti ricordiamo Sisto IV che soggiornava a Torre in Pietra e nel castello alla Magliana, Clemente VII Medici (1523) a Villa Madama, sotto Monte Mario, Paolo III Farnese ai Castelli Romani a Frascati, Sisto V (1585) al Quirinale.Urbano VIII scelse Castel Gandolfo. Nel maggio 1626 vennero ultimati i lavori di restauro della Rocca che sarebbe poi diventata la residenza estiva principale occupata da gran parte dei suoi successori. Un tempo per raggiungere Castel Gandolfo da Roma occorreva una giornata intera con soste a Tor di Mezza Via e alle Frattocchie, alle porte di Albano. Il Papa arrivava in carrozza con un tiro di sei cavalli e guardie svizzere al seguito. Oggi il viaggio si fa in elicottero. Almeno la fatica della trasferta è risparmiata.Su questo argomento un discorso a parte lo merita sicuramente Giovanni XXIII. Sbirciando tra le

I T I N E R A R I

D ove vanno i Pontefici in vacanza? La tradizione aperta da Giovanni Paolo II di sfuggire al caldo della capitale per

rifugiarsi sui monti sembra aver subito una brusca interruzione. In ogni caso per i Papi c’è sempre la residenza di Castel Gandolfo, vicino alla capitale, con i grandi giardini � oriti, la piscina fatta costruire da Papa Wojtyla, le fresche e ariose stanze dove la calura non entra. Castel Gandolfo è insomma la residenza estiva dei Ponte� ci, ormai ben conosciuta anche dai fedeli che nelle giornate festive la raggiungono per l’Angelus e la benedizione ponti� cia. Prima che la grande Villa venisse de� nitivamente destinata alle vacanze del successore di Pietro, i Papi in ogni caso potevano trascorrere un meritato riposo anche in altre località

RONCALLI AMAVA RITORNARENEI LUOGHI DELLA SUA INFANZIA

Per il suo riposo estivo prediligeva Sotto il Monte e altre località della Bergamasca

trascorrere un meritato riposo anche in altre località

Angelo Roncalli ritratto sull’altare durante una funzione

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immagini che lo immortalano, c’è una foto in bianco e nero che ritrae il patriarca di Venezia, il card. Angelo Giuseppe Roncalli, durante un’inconsueta passeggiata fra i campi � oriti del Cadore. Il futuro Giovanni XXIII si trovò lì nel maggio del 1955. Un piccolo fuori programma durante una visita a quei luoghi, non di certo una vacanza. Roncalli non era uno scalatore, né uno sciatore, ma di certo un buon camminatore. E per il suo riposo estivo prediligeva i suoi luoghi più cari, quelli dell’infanzia, della famiglia di origine. Dunque, come ripetono le biogra� e del Ponte� ce bergamasco, la casa-vacanze di Roncalli altro non era che la residenza di Camai-tino a Sotto il Monte, in precedenza appartenuta ai Baroni Scotti di Mapello e Bergamo Alta. In queste stanze – oggi museo che raccoglie testimonianze, doni e cimeli del Papa – Roncalli trascorse alcune estati, nonostante gli incarichi in Oriente e Occidente lo tenessero sempre molto lontano da Bergamo. Sotto il Monte costituì la base da dove Roncalli poi partiva per alcune brevi visite e gite. Fra le sue mete preferite, sicuramente la Valle Imagna e la Cornabusa dove celebrò la messa nell’agosto 1958, due mesi prima che diventasse Papa. Vi sono poi lettere e testimonianze che rivelano la presenza di Roncalli in altri Comuni bergamaschi come Serina nel 1939, per incontrare i familiari del cardinale Felice Cavagnis. Sempre per rimanere nella zona, si ricorda la visita che Roncalli fece a Bracca in occasione della festa della Madonna Addolorata il 16 settembre 1928. Di Bracca, Roncalli è stato anche inconsapevole testimonial, in particolare della sua celebre fonte. In quella località si recò più volte a

partire dal settembre 1927, quando di ritorno dalla Bulgaria, dov’era Visitatore Apostolico, fu ospitato dal parroco di Ambria don Giuseppe Gabigliani. Il mese precedente, annunciando alle sorelle Ancilla e Maria il suo arrivo, Roncalli una volta spiegò loro che la meta gli era stata suggerita «dal dottor Pizzini, a cui aveva scritto domandando un parere per la sua cura»; e in chiusura, aveva espresso una richiesta: «Sarebbe bene anche che mi faceste trovare al mio arrivo una cassa di bottiglie di acqua Bracca. Credo ne vendano in casse da 25 bottiglie. Che volete, risparmieremo sul vino».

Benedetto XVI a passeggio nella residenza estiva di Castel Gandolfo

Chiesa parrocchiale gremita lo scorso 13 luglio alla veglia funebre per don Italo Brumana, morto agli Ospedali Riuniti di Bergamo. Il feretro del sacer-dote di Costa Valle Imagna (Bergamo) è stato sistemato nella navata della chiesa. Il momento di preghiera che ha richiamato tutta la comunità è stato guidato dal parroco don Marco Martinelli. Don Italo, 71 anni, era fi glio di costesi che per lavoro sono

emigrati nel Comasco. E’ lì che è nato. Don Italo ha studiato al seminario di Como e ha svolto il suo ministero nelle parrocchie di quella diocesi, a Saltrio, Moltrasio e Montorfano. Negli ultimi anni per problemi di salute era tornato nel suo paese d’origine, a Costa Valle Imagna dove viveva con la sorella Milena. Vivo il ricordo che ha lasciato nella gente del paese. «Cono-scevo don Italo da molti anni – ha

detto Pasqualino Brumana, medico del paese – era un prete di grande cultura e spiritualità e che meditava molto. Qui a Costa era conosciuto e stimato da tutti. Purtroppo negli ultimi anni si era ammalato, era stato anche recentemente operato». Nel pomeriggio dello scorso 14 luglio, nella chiesa parrocchiale del paese, si sono tenuti i funerali e la salma è stata tumulata nel cimitero di Costa.

Costa Valle Imagna ha pianto la scomparsa di don Italo

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che hanno guidato l’ideazione della chiesa. Nell’arco di un’intera giornata un folto pubblico di autorità e cittadini ha visitato l’edi� cio di cui è già possibile intuire l’aspetto � nale.Tra gli ospiti il vescovo di Bergamo Francesco Beschi, che ha seguito la presentazione con attenzione e ha chiesto informazioni anche tecniche agli architetti Aymaric Zublena e Pippo Traversi. «La sensazione che comunica la struttura – ha commentato il vescovo al termine della visita – è di slancio verso l’alto, una proiezione verticale che induce alla ri� essione in un luogo che nasce per o� rire possibilità di risposta ai mille interrogativi che sorgono in chi vive il momento di� cile della malattia e in coloro che lavorano per la cura delle persone».L’edi� cio è un parallelepipedo posto all’ingresso del nuovo complesso ospedaliero, ma discosto dalla struttura, su un piano più basso. «Visto dall’alto – ha spiegato Traversi – si pone come un perno esterno rispetto al grande volume della struttura ospedaliera disposta circolarmente». Nei confronti dell’ospedale si pone come «un’altra cosa – ha rimarcato Zublena – caratterizzata dalla semplicità delle linee e dal velario esterno»: lastrini verticali alti 15 metri, larghi 28 centimetri e spessi 13, che creeranno sulla facciata giochi di luce. E la luce come una pioggia scende dall’alto all’interno della chiesa attraverso l’anello di vetro lasciato dal tetto.Apprezzate le opere d’arte, illustrate dagli stessi autori. Lungo le tre pareti, Stefano Arienti ha realizzato una sorta di serigra� a sul calcestruzzo, «che riproduce la parte più alta della vegetazione che sfuma nel cielo chiaro illuminato dalle aperture circolari realizzate dagli architetti. Ho voluto richiamare la natura, creando un giardino accogliente che favorisca la concentrazione». Sulla parete di fondo della chiesa saranno collocati i

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L uce, verticalità, leggerezza: questi gli elementi che contraddistinguono la chiesa dedicata a Papa Giovanni XXIII ormai in

via di ultimazione al nuovo ospedale che sorgerà sulla grande area della Trucca, alla periferia di Bergamo. Si tratta di una struttura in cemento ad alta tecnologia, dove luci e ombre giocano tra loro creando e� etti di grande suggestione. Dotata di volumi essenziali, la chiesa avrà una capienza di 230 posti a sedere e non sarà destinata soltanto ai frequentatori dell’o-spedale (dipendenti, pazienti e familiari) ma anche ai residenti del quartiere. Sull’argomento proponiamo un contributo gior-nalistico, a firma di Laura Arnoldi, apparso di recente sul quotidiano L’Eco di Bergamo. In vista del prossimo completamento della struttura, a metà dello scorso giugno gli architetti e gli artisti autori delle decorazioni interne hanno illustrato le � nalità

FOLLA DI VISITATORI ALLA CHIESADEDICATA A PAPA GIOVANNI

Edificata nel nuovo complesso ospedaliero di Bergamo che porta il suo stesso nome

Un momento della presentazione della chiesa del nuovo ospedale

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Il pittore Angelo Capelli durante la consegna della sua opera avvenuta nel 2006

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due pannelli realizzati da Ferrario Freres: «Una Via crucis in 15 stazioni secondo l’interpretazione di Giovanni Paolo II per cui la resurrezione è l’ultima stazione. Ho voluto portare Gerusalemme a Bergamo, che è sfondo dove sono collocate le � gure. Tra esse anche San Francesco che parla agli uccelli e al lupo come omaggio ai Frati Cappuccini vicini ai malati».L’opera più complessa e fulcro della chiesa dedicata a Giovanni XXIII è collocata nell’abside con «Il Croci-� sso», «La Madonna addolorata» e «Il Tabernacolo» realizzati da Andrea Mastrovita in vetro: «Questo materiale richiama la leggerezza e la luce divina ed interiore. Si tratta di 100 livelli di vetro alti 9 metri, ritagliati a mano, poi dipinti staccati l’uno dall’altro da pochi centimetri � no a 20 e collocati su un fondo dorato». Un’opera che richiede la collaborazione del mastro vetraio Lino Reduzzi.La chiesa, che ha richiesto un impegno di spesa di 3,5 milioni di euro � nanziati dalla Fondazione della Banca Popolare di Bergamo e dalla Cei, dovrebbe essere pronta entro la � ne di ottobre, periodo previsto per l’apertura della struttura ospedaliera, i cui lavori sono iniziati il 3 ottobre 2005.Già in occasione del 40° anniversario della morte di Papa Roncalli, l’Azienda ospedaliera (con una delibera dell’ottobre 2003) aveva formulato l’intenzione di dedicare il nuovo ospedale al Ponte� ce bergamasco, prendendo in considerazione alcuni episodi della sua vita. Durante la prima guerra mondiale l’allora don Angelo Giuseppe Roncalli, già cappellano militare con il grado di tenente, si prodigò nell’assistenza ai feriti ricoverati negli ospedali militari, con spirito di umanità e fraternità e accettò senza riserve di assistere i soldati malati di tubercolosi, ben sapendo di rischiare il contagio. Nel corso del suo pontificato manifestò in più occasioni la sua attenzione per i più piccoli e per i so� erenti, diventando protagonista di episodi ancora oggi vivi nel ricordo di tutti coloro che amarono la � gura del «Papa buono». In occasione della giornata di apertura del Concilio Vaticano II esortò i presenti alla cerimonia a non dimenticare i so� erenti. Al termine del suo ponti� -cato accettò la malattia «con spirito di obbedienza

a Dio», come egli stesso disse pubblicamente. Il cambio di denominazione degli Ospedali Riuniti è dunque anche una doverosa attenzione verso una � gura bergamasca che rimarrà indimenticabile. Da ricordare anche un episodio signi� cativo. Con una breve cerimonia avvenuta l’11 giugno 2006, il pittore Angelo Capelli ha donato, alla direzione degli Ospedali Riuniti di Bergamo, un suo dipinto ra� gurante Angelo Roncalli, destinato ad essere accolto nel grande nosocomio in quell’anno ancora in corso di costruzione e che prenderà appunto il nome del Ponte� ce bergamasco.Alle 11 c’è stata la cerimonia di consegna del quadro. Il ritratto, un olio su tela posto su un cavalletto, è stato scoperto dopo una breve introduzione fatta dallo stesso autore. «Non appena ho saputo che il nuovo complesso sarebbe stato dedicato a Papa Giovanni – ha sotto-lineato Angelo Capelli – ho ritenuto giusto dare un contributo artistico a questa realizzazione. Quando il quadro era quasi pronto l’ho fatto vedere a monsi-gnor Loris Capovilla, che l’ha molto apprezzato, e mi ha fatto aggiungere in basso lo stemma del suo Ponti� cato, cosa che in e� etti arricchisce l’opera». Nel ritratto si vede un Roncalli pensieroso il cui volto viene schiarito da un fascio di luce, segno eloquente che viene ispirato da una illuminazione venuta dal Cielo.

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Una biogra� a documentata«Sono teorie assurde, che non hanno riscontri. Piut-tosto può aver senso e si può provare con documenti la discussione sulla salute di Albino Luciani, un tema che emerse anche durante il conclave in cui l’allora patriarca di Venezia venne eletto Papa e, prima ancora, al momento dell’elezione episcopale del giovane monsignore veneto, così come alla sua nomina a vicepresidente della Cei»: così Marco Roncalli, ricercatore e saggista, esperto di storia della Chiesa, è autore di una corposa e documentata biogra� a di Albino Luciani, a cent’anni dalla sua nascita, appena uscita in libreria per i tipi della San Paolo (Giovanni Paolo I - Albino Luciani, Edizioni San Paolo, pp. 740, euro 34).Si tratta di un testo approfondito e ricco di spunti e documenti, frutto di un lavoro che ha valorizzato fonti scritte coeve, inediti scoperti in archivi inesplorati, risultati di convegni, ma anche i ricordi più atten-dibili degli ultimi testimoni (compresi i segretari e i collaboratori di Luciani).I ri� ettori sono puntati sul protagonista, ma nel corso delle pagine ecco tratteggiati con attenzione i di� erenti contesti attraversati da Albino Luciani – ecclesiali, politici, sociali, culturali –, a disegnare l’itinerario di un uomo di Chiesa nei suoi snodi cruciali, compreso anzitutto il Concilio Vaticano II, col tema forte del confronto tra cattolicesimo e s� de della contemporaneità.

Salute cagionevoleLa salute, dicevamo. «Quella di Albino Luciani non era certamente di ferro», dice Roncalli, che spiega: «Di fragile salute parlano diverse testimonianze � n dall’inizio della vita sacerdotale di Albino Luciani. Proprio per riserve sulla sua salute la Sacra Congre-gazione Concistoriale rispose negativamente alla

P U B B L I C A Z I O N I

C hissà come sarebbe la Chiesa di oggi se Papa Giovanni Paolo I avesse avuto a disposizione più tempo per il proprio ponti� cato, durato

solo 33 giorni. E’ un interrogativo che si è posto il giornalista Alberto Campoleoni nello scrivere il seguente articolo, pubblicato ad aprile su L’Eco di Bergamo, e che riproponiamo ai nostri lettori.Torna, a volte, questa domanda-ri� essione in chi si occupa di «a� ari di Chiesa», ma anche in tanti cristiani che, in quei giorni del 1978 – tra l’elezione di Albino Luciani, patriarca di Venezia, alla cattedra di Pietro, il 26 agosto e la sua improvvisa morte, nella notte tra il 28 e il 29 settembre successivi – rimasero fortemente impressionati dal «Papa del sorriso», come l’immaginario collettivo lo ha presto de� nito. Un Papato brevissimo, con la conclusione avvolta nel mistero, poiché proprio sulla morte di Giovanni Paolo I si sono spese le teorie più fantasiose e quella che è stata, secondo la versione u� ciale, una morte naturale, provocata da un infarto, è diventata per alcuni addirittura un omicidio, frutto di complotti oscuri.

PAPA LUCIANI SULLE ORMEDEL PONTEFICE BERGAMASCO

Ci sono delle somiglianze nella biografia di Giovanni Paolo I scritta da Marco Roncalli

Giovanni Paolo I, Papa per soli 33 giorni dal 26 agosto al 28 settembre 1978

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proposta del vescovo Muccin che l’aveva proposto per l’episcopato». Problema risolto da Papa Giovanni XXIII. «Saputo il motivo per cui la “pratica” s’era arenata – annota Marco Roncalli, che di Giovanni XXIII è pronipote e del quale ha curato una importante biogra� a – proprio il Papa commentò: “Se ha poca salute, vuol dire che morirà vescovo”. E così nominò Luciani vescovo di Vittorio Veneto motu proprio il 9 dicembre 1958. Ma della salute di Luciani si parlò anche nel conclave che lo elesse Papa – continua Roncalli – e soprattutto nel mese del suo ponti� cato, anche con testimonianze contrastanti, tirate poi in ballo nelle varie teorie dei complotti, tuttavia prive di fondamento».

Come Giovanni XXIIISe la questione salute suscita una curiosità particolare, sono invece altri i temi importanti legati alla � gura di Giovanni Paolo I in rapporto alla vita della Chiesa, approfonditi nel libro. Ed emerge anche qualche singolare somiglianza con Giovanni XXIII. «Ci sono anche tratti analoghi – conferma Roncalli –: le origini da famiglia modesta, l’ingresso � n da bambino in seminario, l’umiltà, l’obbedienza praticata tutta la vita e la fedeltà alla Chiesa. E poi l’attenzione ai più poveri, ai deboli, ai lavoratori, l’amore per la cultura. E anche lui è arrivato sulla cattedra di Pietro partendo da Venezia». C’è anche il tratto di una particolare umanità, riconosciutogli ad esempio dalla de� nizione di «Papa del sorriso». «Una de� nizione – annota Roncalli – che però va superata, andando oltre. Un po’ come per Papa Giovanni XXIII bisogna andare oltre il cliché del Papa buono». C’è, in� ne, il rapporto col Concilio, indetto proprio dal Papa bergamasco. «E’ stato un avvenimento che ha davvero segnato Luciani. Il Vaticano II – spiega Roncalli – gli fece percepire i limiti della sua forma-zione teologica e intraprendere una sorta di nuova “scuola”. Sarà fra i non molti presuli italiani pronti ad approvare in Concilio sia la libertà religiosa sia la dottrina della collegialità episcopale. Ma dalle pagine del libro emerge anche il Luciani “ricercatore”, propenso a ipotizzare un’evoluzione della dottrina sulla contraccezione, anche se accetta senza discutere

l’Humanae vitae. Così come si può scoprire il vescovo che si interroga o dice la sua su tanti temi disparati, come l’esperienza dei preti operai, ai quali dice di no, o la costruzione delle moschee, sulla quale si dichiara d’accordo».Sono molte le sfaccettature che emergono dall’opera di Roncalli, e davvero non scontate. Alla � ne della lettura si ha l’impressione di aver fatto un passo avanti nella comprensione della Chiesa contemporanea e della � gura di Giovanni Paolo I, lontana da stereotipi e ricostruzioni di maniera.Ricordiamo che Albino Luciani, spesso de� nito il «Papa del sorriso» per quel suo parlare alla gente con ottimismo, nacque il 17 ottobre del 1912 a Forno di Canale d’Agordo, (Belluno). In virtù della sua ridotta permanenza alla cattedra di Pietro, il suo viene indicato fra i 10 ponti� cati più brevi della storia della Chiesa.

p u b b l i c a z i o n i

l’Humanae vitae. Così come si può scoprire il vescovo

La copertina del libro di Marco Roncalli

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Cartolina di Angelo Roncalli, soldato nel 1902

E S P O S I Z I O N I

ROMA: IN MOSTRA GLI STUDIDI RONCALLI SU BERGAMO

Il materiale proposto, fino al 22 luglio, nel Complesso Monumentale del Vittoriano

L’esposizione al Vittoriano si è proposta di far sco-prire anche al grande pubblico quel vasto patrimo-nio di testimonianze storiche e documentarie del XIX e XX secolo che è spesso custodito da privati: tracce di memorie personali o familiari – foto, ci-meli, documenti – che acquistano il loro più spe-ci� co signi� cato se messe in relazione con un con-testo storico-documentario più ampio. La mostra, promossa dalla Presidenza del Consiglio dei Mini-stri – Dipartimento della Gioventù, e dall’Istitu-to per la storia del Risorgimento italiano – Museo centrale del Risorgimento di Roma, è stata curata da Marco Pizzo, vicedirettore dello stesso Museo. I materiali, provenienti da importanti musei e Isti-tuzioni nazionali e da molti privati, sono stati sud-divisi per tipologie: documentazione privata (let-tere, carteggi, memorie, diari); visiva (fotogra� e, � lmati); audio (registrazioni); cimeli (singoli ogget-ti). E proprio alla sezione «Reliquie e cimeli» sono stati ascritti i materiali provenienti dalla «Mai». Si tratta, per esempio, de «Gli atti della visita aposto-lica di S. Carlo Borromeo a Bergamo (1575)», co-pia con dedica autografa «Alla Biblioteca della mia città». O dello studio su «La Misericordia Maggiore di Bergamo» (Bergamo, 1912), anch’esso in copia con nota autografa. «La Biblioteca Mai – dice la direttrice Elisabetta Manca – ha aderito volentieri ad un progetto che ha coinvolto tutta l’Italia, è stato gestito da grandi istituzioni nazionali ed ha trovato la sua collocazio-ne espositiva in una sede di così grande prestigio. Ma si è trattato anche per noi di una sorta di pre-parazione in vista del 2013, cinquantenario della morte di Papa Giovanni, che la città non mancherà di celebrare. Noi conserviamo una raccolta giovan-nea importante non tanto per la quantità, ma per la qualità dei pezzi.

< Angelo Giuseppe Roncalli storico della sua città». Così inizia l’articolo di Vincen-zo Guercio apparso su L’Eco di Bergamo,

che così prosegue. Con una serie di studi del fu-turo Papa Giovanni XXIII dedicati alla storia della Chiesa a Bergamo, e altri documenti quasi tutti da lui autografati con dedica, la Biblioteca Civica «An-gelo Mai» di Bergamo ha partecipato a una mostra romana.Si tratta di «Radici. La memoria del passato e le nuove generazioni. Nuovi materiali e tecnologie per la costruzione dell’identità storica nazionale», ospitata dal Complesso Monumentale del Vittoria-no in Roma � no al 22 luglio. Materiali giovannei che per la prima volta sono stati esposti al pubblico fuori dalle sale della «Civica» bergamasca.

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Un’incisione che ritrae il patriarca bergamasco di Venezia Pietro Aurelio Mutti

A V V E N I M E N T I

VENEZIA: CINQUE I PATRIARCHILEGATI ALLA TERRA BERGAMASCA

L’ultimo è stato Roncalli che lasciò la città lagunare nel 1958 per entrare in conclave

I l patriarca di Venezia, monsignor Pietro Aurelio Mutti, non poteva accettare una situazione sociale così di� cile. Si impegnò

in prima persona, scrisse ai suoi parroci. Chiamò in causa il luogotenente veneto Toggenburg. Era il primo maggio 1853 quando gli scrisse: «Eccellenza, tra i disordini gravi che tendono a guastare questa mia buona popolazione veneziana, uno gravissimo che ho riscontrato è quello di una quantità formi-dabile di fanciulli appartenenti alla classe povera... che passano gran parte della giornata trascorrendo di sovente a gridi e percosse e bestemmie ed i più grandicelli talora anche a piccoli furti... Il disordine deriva principalmente dalla riprovevole trascuranza dei genitori... li lasciano vivere in un totale abban-dono, peggio che se fossero bestie».Il patriarca Mutti è uno dei cinque patriarchi a Venezia in qualche modo legati alla Bergamasca. Li ha voluti ricordare lo scorso 25 marzo L’Eco di Bergamo, attraverso un articolo di Paolo Aresi, in concomitanza con l’ingresso avvenuto a Venezia del nuovo patriarca, monsignor Francesco Moraglia. L’ultimo dei bergamaschi è stato Angelo Giuseppe Roncalli, che lasciò Venezia nel 1958 per il con-clave successivo alla morte di Papa Pio XII. An-gelo Roncalli non tornò a Venezia: divenne Papa Giovanni XXIII. Ma quando era patriarca, prese nota dei suoi predecessori bergamaschi. Il cardinale Roncalli aveva lo sguardo aperto sul futuro e lo di-mostrò bene da Papa, ma sentiva anche la necessità di stare in contatto con la storia, con la tradizione. Così andò a veri� care quali bergamaschi lo avessero preceduto. Il primo fu Giovanni Barozzi: pur essendo vene-ziano, quand’era vescovo di Bergamo, il 7 gennaio 1465, fu nominato patriarca al posto del cardinal Marco Barbo, succeduto al patriarca Giorgio Cor-

rer. La famiglia d’origine di Federico Maria Giova-nelli era nobile e della Val Gandino (nella Berga-masca). Monsignor Federico Maria nacque tuttavia a Venezia, dove la famiglia si era trasferita per ra-gioni di lavoro, il 26 dicembre 1726. Venne ordi-nato sacerdote nel 1754 e diciannove anni dopo fu nominato vescovo di Chioggia. Ricevette la consa-crazione episcopale dalle mani del cardinale Carlo Rezzonico. Morì il 10 gennaio del 1800 dopo ave-re guidato il patriarcato per ventiquattro anni, dal 1776. Anni di� cilissimi, il periodo in cui venne abbassata la bandiera della Serenissima in seguito alle guerre napoleoniche.Successivamente arrivò Francesco Maria Milesi, nato da Giuseppe Milesi e Margherita Occioni, nobili di origine bergamasca trasferitisi in laguna nella seconda metà del Seicento. Francesco Maria nacque il 21 marzo del 1747 a Venezia, si laureò in

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Roncalli sul Canal Grande accompagnato dai marinai

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giurisprudenza e poi decise di farsi prete: fu ordina-to a Venezia nel 1767. Nel 1807 fu nominato ve-scovo di Vigevano e il 23 settembre 1816 patriarca di Venezia per decisione governativa. Francesco Maria Milesi era un moderato che era riuscito a stabilire una buona relazione anche con i napoleonici (nel 1811 era presente a Parigi per il battesimo del � glio di Napoleone). Nelle biogra� e si ricorda il suo impegno, anche con l’uso di beni personali, per sollevare le classi più deboli dalla si-tuazione di indigenza. Rimase patriarca per poco tempo: morì il 18 settembre del 1819 quando ave-va settantadue anni.Pietro Aurelio Mutti non solo era di origine berga-masca, ma era proprio nato a Bergamo, il 10 set-tembre del 1775. Padre Mutti era un benedettino, ordinato a ventiquattro anni, il 21 dicembre 1799. Il 17 luglio 1841 fu consacrato vescovo di Verona e undici anni dopo venne elevato a patriarca di Ve-nezia. Morì dopo cinque anni di patriarcato, il 9 aprile 1857.Per incontrare un nuovo patriarca bergamasco di Venezia bisogna attendere il 12 gennaio 1953, qua-si un secolo dopo, quando venne nominato il car-dinale Angelo Giuseppe Roncalli. Ricorda monsi-gnor Capovilla, che divenne segretario del patriarca Roncalli: «Quello che ci colpì è che il cardinale di-plomatico che arrivava dalla nunziatura di Parigi era in realtà un pastore e che, arrivato a Venezia, seppe farsi profondamente veneziano». Scrisse Roncalli nel maggio 1953: «Inizio il mio ministero diretto in una età – anni settantadue – quando altri lo � nisce... Per gli anni che mi restano a vivere, voglio essere un santo pastore nella pienez-za del termine».Nel congedarsi da Venezia per il conclave, Roncalli scrisse queste profetiche parole: «Poiché il Papa è assunto in gloria, non resta che pregare a� nché il suo Successore, chiunque esso sia, non rappresen-ti una soluzione di continuità ma di progresso nel seguire la giovinezza perenne della santa Chiesa, la cui missione è sempre quella di condurre le anime verso le divine altezze della evangelica realizzazio-ne e della santi� cazione della vita umana, in vista dell’eterna vita».Angelo Giuseppe Roncalli

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L’allora cardinale Joseph Ratzinger in visita a Sotto il Monte

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QUANDO IL CARD. RATZINGERFECE VISITA A SOTTO IL MONTE

Era il 1986 e dopo una conferenza il futuro Papa si recò nei luoghi nativi di Roncalli

< Leggete e meditate le parole del Beato Gio-vanni XXIII. Il Papa impegnava i Padri ad approfondire e a presentare la dottrina cri-

stiana in continuità con la tradizione millenaria della Chiesa». L’esortazione arriva da Benedetto XVI. L’ha pronunciata a � ne maggio all’assemblea generale della Conferenza episcopale italiana. Pren-dendo spunto da questa citazione L’Eco di Bergamo ha proposto un articolo, a � rma di Emanuele Ron-calli, in cui si racconta la visita dell’attuale Ponte-� ce avvenuta nel 1986 a Sotto il Monte. Il servizio è apparso sul quotidiano, non a caso, lo scorso 3 giugno, 49° anniversario della morte di Giovanni XXIII. Non è la prima volta – ha scritto il giornalista – che Papa Ratzinger cita Papa Roncalli. Ma più che alle ricorrenze cronologiche, come appunto quella del 3 giugno, il pensiero del Papa tedesco è rivolto agli insegnamenti e alle opere del Ponte� ce bergamasco. E a proposito del Concilio, Benedetto XVI il 24 maggio ha esortato i vescovi ad «approfondirne i testi, condizione di una ricezione dinamica e fede-le», sottolineando anche il volere di Papa Roncal-li: «Trasmettere pura ed integra la dottrina, senza attenuazioni o travisamenti», ma in modo nuovo «secondo quanto è richiesto dai nostri tempi» (Di-scorso di solenne apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II, 11 ottobre 1962).E ha poi aggiunto: «Con questa chiave di lettura e di applicazione ascoltare il Concilio e farne nostre le autorevoli indicazioni, costituisce la strada per in-dividuare le modalità con cui la Chiesa può o� rire una risposta signi� cativa alle grandi trasformazioni sociali e culturali del nostro tempo, che hanno con-seguenze visibili anche sulla dimensione religiosa». Questa attenzione verso gli insegnamenti conciliari parte da lontano, da quell’incontro che il professor

Ratzinger, giovane teologo, ebbe con Joseph Frings, arcivescovo di Colonia, membro della commissio-ne centrale per la preparazione del Concilio. Fu quest’ultimo a portarlo a Roma insieme al suo se-gretario Luthe. Per Ratzinger arriverà anche la no-mina a perito del Concilio.Con il passare degli anni molte altre volte il futuro Benedetto XVI ha focalizzato la sua attenzione ver-so quella primavera della Chiesa da tutti auspicata. Da prefetto dell’ex Sant’U� zio si è ancor più con-solidata in quanto custode della fede. E nelle vesti di Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, il cardinale Ratzinger ha portato la sua testi-monianza anche in terra bergamasca.Molti ricordano quella mattina dell’ottobre del 1986 quando il porporato varcò il cancello del Se-minario vescovile di Bergamo. Era lunedì 27 – vigi-lia dell’anniversario dell’elezione di Papa Giovanni – e il porporato era atteso nell’auditorium per par-lare sul tema: «Libertà e liberazione: la visione an-

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Ratzinger vicino a una statua che ritrae Papa Giovanni

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tropologica della Istruzione Libertatis coscientia». Un’occasione straordinaria per assistere a una lectio magistralis del cardinale. A ricevere l’illustre presule furono l’allora vescovo di Bergamo Giulio Oggioni, il rettore del Seminario Roberto Amadei, il vescovo emerito di Bergamo Clemente Gaddi.«Sono lieto e onorato di parlare nella città di Papa

Giovanni, così caro a tutti noi, e di svolgere l’argo-mento spiritualmente unito al Papa in pensieri di pace», queste le parole di Ratzinger. Dopo la per-manenza in Seminario, il cardinale fece una visita a «L’Eco di Bergamo» e incontrò il direttore mons. Andrea Spada che gli narrò la storia passata e pre-sente del quotidiano bergamasco. Il cardinale ascol-tò con molta attenzione, rivolse alcune domande e poi visitò la redazione e la tipogra� a del giornale. Quindi nell’u� cio di monsignor Spada parlò della comunicazione sociale e della stampa di ispirazione cristiana.In� ne la giornata bergamasca del futuro Benedetto XVI si concluse con una visita ai luoghi nativi di Papa Giovanni a Sotto il Monte, sempre accompa-gnato dal vicario episcopale don Achille Belotti e dal suo segretario.Fu anche ricevuto dal parroco monsignor Marino Bertocchi e dai padri del Pime (Ponti� cio istituto missioni estere). «Mi colpirono profondamente – ricorda Bertocchi – l’umanità e la dolcezza del car-dinale. Visitò con me e con poche altre persone i luoghi di Papa Giovanni, rimanendo molto colpito dalla casa natale e dalla religiosità popolare attorno

«Nelle favelas, quartieri di miseria, dobbiamo far fronte a una realtà sociale tremenda. Non si può dire a una persona affamata o grave-mente ammalata che fra vent’anni il mondo sarà un paradiso. Si deve pensare ora alla sua sopravvivenza, insieme all’urgenza di realizzare delle opere che servono alla formazione dell’uomo, per renderlo dignitosa-mente suffi ciente...», così scriveva padre Pedro Balzi, per tutti «padre Pedro», morto nel 2009 nella sua missione di Teresina, in Brasile, a 83 anni, 59 dei quali trascorsi nei luoghi dell’umanità più bisognosa. La storia di padre Pedro è ora narrata dal fratello, Giovanni Balzi, e da Anna Carissoni nel libro «Costrut-tore d’amore». Dice Anna Carissoni:

«Don Pedro l’ho incontrato solo una volta, era una fi gura carismatica, mi colpì molto. Il fratello mi ha chiesto di aiutarlo, mi è sembrata una cosa bella, importante. Mi sono fatta l’idea che quando uno è convinto sposta davvero anche le montagne».Don Pietro Balzi fu tra i primi ad aderire alla Comunità missionaria del Paradiso che era stata creata dal vescovo Bernareggi e da don Giovanni Benzoni con lo scopo di preparare sacerdoti destinati al servizio pastorale agli emigranti italiani all’estero e alle zone socialmente arretrate della nostra Penisola. Don Pietro trascorse l’estate del 1950 e il suo primo anno da prete nella parrocchia di Mariano di Dal mine (Bergamo). Partì per il Polesine nell’e-

state del 1951. A novembre ci fu la terribile alluvione e don Pietro si salvò salendo al piano alto di una casa e lì rimase con altre persone per una settimana. Nel 1964 la partenza per la Bolivia con la prima missione della diocesi di Bergamo, voluta dal vescovo Clemente Gaddi. Venne destinato a Munaypata, sobborgo di La Paz. Poi padre Pedro iniziò la costruzione dell’ospedale dedicato a Papa Giovanni XXIII. Venne ultimato nel 1976 insieme alla scuola per infer-miere. Nel 1980 partirono i lavori per l’asilo. A sessant’anni, nel 1986, tornò in Italia, ma non volle sapere di tirare i remi in barca. Nel 1987 partì per la sua nuova missione, a Teresina, in Brasile, dove vi rimase fi no alla morte, avvenuta nel 2009.

In un libro la vita del missionario padre Pedro Balzi

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alla � gura del Ponte� ce bergamasco. Durante i vari itinerari salutò tutte le persone che incontrava. Si fermò a pregare nel Pime e nella chiesa parrocchia-le. Gli chiesi a che punto fosse la beati� cazione di Papa Giovanni e lui sorridendo mi rispose: “Per la gente è già santo”». La visita pomeridiana iniziò nella chiesa del Battesi-mo del Papa – la chiesa di Santa Maria di Brusicco –, poi la casa natale, la chiesa parrocchiale e in� ne il museo di Ca’ Maitino, residenza estiva di Angelo Roncalli � no alla vigilia dell’elezione a Ponte� ce, custodito dalle suore delle Poverelle dove il cardina-le rimase per la cena. «Durante il pasto – aggiunge monsignor Marino Bertocchi – gli dissi di essere rimasto ammirato dall’esempio che ci aveva dato. Poi gli chiesi perché avesse lasciato la sua importante arcidiocesi di Mo-naco per andare a chiudersi in un u� cio a Roma. Lui mi rispose che anche i cardinali devono dare il buon esempio. Nel Natale successivo mi mandò un suo libro autografato». In� ne il rientro del futuro Papa in Vaticano.Monsignor Bertocchi incontrò una seconda volta il cardinale il 3 settembre 2000 a Roma, durante la Messa di beati� cazione di Papa Giovanni. «Si tro-

Il futuro Pontefi ce durante la visita a L’Eco di Bergamo

vava proprio dietro di me – conclude monsignor Bertocchi – e allora ne appro� ttai per chiedergli quando sarebbe ancora tornato a Sotto il Monte. Lui aprì le braccia e mi sorrise».

Il XXII Capitolo generale dei Giuseppini del Murialdo, riunito a San Miguel alla periferia di Buenos Aires, ha confermato superiore generale il bergamasco padre Mario Aldegani. Era stato eletto per la prima volta il 18 giugno 2006 dal XXI Capitolo a Fazenda Souza (Caxias do Sul) in Brasile. La conferma è avvenuta all’unanimità e per il sessennio 2012-2018. E’ il 10° successore di San Leonardo, apostolo dei giovani e del mondo operaio. Mario Aldegani è nato l’8 ottobre 1953 a Sorisole (Bergamo), ha frequentato il Seminario minore dei Giuseppini a Valbrembo (Bergamo), ha conseguito il baccalau-reato in Teologia a Viterbo, è diven-tato giuseppino nel 1978 e sacer-dote nel 1980. Per nove anni è stato

nel Collegio San Giuseppe di Rivoli (Torino), poi direttore della scuola apostolica di Valbrembo, superiore provinciale del Piemonte, superiore d’Italia e presidente della Confe-renza italiana Superiori maggiori. La Congregazione di San Giuseppe è stata fondata il 19 marzo 1873 da San Leonardo Murialdo (1828-1900), il più geniale e moderno dei Santi sociali di Torino. L’istituzione si diffonde in Piemonte, Veneto e Italia. Dopo la morte del fondatore i primi missionari raggiungono la Libia nel 1904. Dopo il Concilio Vaticano II (1962-65) il Capitolo speciale del 1969 rivede le Costituzioni. Sulle orme dei primi missionari, centinaia di Giuseppini portano il Vangelo nei quattro angoli del mondo. La Congre-

gazione ha oggi 600 membri e opera in 14 Paesi. La provincia di Ecuador-Colombia conta 90 anni, quella di Argentina-Cile 75. L’ultima chiesa dedicata a San Leonardo Murialdo è quella di Popesti-Leordeni in Romania (2011). La «Famiglia del Murialdo» si dedica alla promozione umana e cristiana dei giovani poveri, orfani, abbandonati, bisognosi. L’attività educativa si esplica in scuole, centri professionali, case famiglia, oratori, colonie agricole, istituti di rieduca-zione, convitti, collegi, centri giovanili, missioni, parrocchie. Offre ai giovani una casa e una famiglia, lo studio e la formazione al lavoro, un luogo per il tempo libero, un ambiente educa-tivo, un centro di evangelizzazione e di vita cristiana.

Padre Aldegani rieletto alla guida dei Giuseppini

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P E R S O N A G G I

FRA TOMMASO: PER RONCALLIFU «UN MAESTRO DI SPIRITO»

La beatificazione del religioso di Olera si svolgerà fra un anno nel Duomo di Bergamo

to agli onori degli altari a Praga, assieme ad altri fra-ti minori con i quali fu martirizzato nel XVII seco-lo. Il religioso, infatti, curava il restauro della chiesa e del convento di Praga, era predicatore, confessore e insegnante di teologia, ma il 15 febbraio 1601 fu barbaramente ucciso con altri 13 frati da una folla inferocita, aizzata dai luterani al servizio del vesco-vo di Passau Leopoldo, che assalirono la chiesa e il convento di Santa Maria della neve di Praga.L’annuncio della beati� cazione di Fra Tommaso da Olera, religioso Cappuccino, mistico, scrittore, questuante e predicatore, era stato dato a maggio durante un’udienza privata concessa al cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, da Papa Benedetto XVI che aveva promulgato i decreti che riconoscono le guarigio-ni, scienti� camente inspiegabili, di alcuni Servi di Dio. La guarigione per intercessione del frate di Olera – già de� nito il «mistico illetterato», «l’idiota sapien-te» – è avvenuta nella notte fra il 29 e 30 gennaio 1906. Bartolomeo Valerio, 31 anni, vicentino di � iene, colpito da ileotifo complicato da pneumo-nite ipostatica, era in gravi condizioni. I suoi fa-miliari misero sotto il cuscino un’immagine di Fra Tommaso e il malato cominciò a respirare � no a guarire. Fra Tommaso è stato proposto alla venerazione come modello perché «non fu solo un frate peni-tente e pio, come tanti ve n’erano nel secolo d’oro della riforma cappuccina (1525-1625) – ha detto Padre Rodolfo Saltarin, vice postulatore della causa di beati� cazione – ma anche un frate mistico: ebbe in dono una singolare relazione con Dio. Passa alla storia della mistica del Seicento come il cantore dell’Immacolata, soprattutto con il santuario ma-riano a lei innalzato con il medico Ippolito Guari-

D omenica 22 settembre 2013 nel Duo-mo di Bergamo si svolgerà la cerimonia di beati� cazione di Fra Tommaso da

Olera. Si tratta della prima che avverrà nella Dioce-si bergamasca, da quando nel febbraio 2008 Papa Benedetto XVI ha deciso di non presiedere più, personalmente, le cerimonie di beati� cazione e di far svolgere le liturgie nella Diocesi d’origine del beato, riservandosi solo le canonizzazioni.Una scelta che sottolinea il valore per la Chiesa locale della beati� cazione e per avvicinare i fedeli alla santità. Papa Ratzinger ha anche deciso che le cerimonie siano presiedute dal prefetto della Con-gregazione per le Cause dei Santi in sua rappresen-tanza.L’annuncio per Fra Tommaso è stato dato il 13 giu-gno scorso dal vescovo di Bergamo Francesco Be-schi nel corso dell’assemblea del Clero. Oltre al fra-te di Olera, un altro bergamasco sarà beati� cato nel 2013. Si tratta di un religioso, originario di Ponte San Pietro, Bartolomeo Dalmasone, che sarà eleva-

Fra Tommaso da Olera, il religioso cappuccino, mistico e predicatore

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I martiri di Praga, fra i quali Bartolomeo Dalmasone, in un dipinto antico

noni a Ponte di Volders (Tirolo), e come l’innamo-rato del Cuore di Gesù con “vibrate sentenze” (G. Getto), a lui rivolte». Fra Tommaso da Olera fu un campione della difesa della Fede e della promozione della pietà popolare, nel Tirolo e nel Veneto, nella prima metà del ‘600. Si chiamava Tommaso Acerbis e nacque nel piccolo paese di Olera, in Val Seriana (Bergamo) nel 1563. Fece il pastorello � no ai 17 anni, dividendo con i genitori la povertà dell’epoca, rimanendo nel con-tempo analfabeta, perché nel suo piccolo paese non vi erano scuole. Entrò a 17 anni nell’Ordine Francescano dei Cap-puccini il 12 settembre 1580 nel convento di Ve-rona, ottenendo di imparare a leggere e scrivere, dimostrandosi subito un giovane novizio colmo di ogni virtù. Fece la sua professione il 5 luglio 1584 ricevendo l’incarico di addetto alla questua a Ve-rona � no al 1605 e poi a Vicenza � no al 1612 e a Rovereto dal 1613 al 1617. Nel suo giro fuori dal convento fra le popolazio-ni di allora, operava riappaci� cazioni e spingeva al perdono; visitava e confortava i malati; ascoltava ed incoraggiava i poveri, denunciava il male e opera-va molte conversioni. La sua opera d’apostolato era alimentata dalla preghiera spesso notturna, dalle penitenze che in� iggeva al suo corpo, dai digiuni ed austerità; fu suscitatore di vocazioni religiose, specialmente delle suore.A Vicenza promosse la costruzione del monastero delle cappuccine nel 1612-13, nei pressi di Porta Nuova; lo stesso interessamento ci fu per il mo-nastero delle clarisse a Rovereto, costruito poi nel 1624. Nel 1618 si trovò a Padova come portinaio del convento, intanto dall’anno precedente fu gui-da spirituale e amico dello scienziato Ippolito Gua-rinoni di Hall, medico di corte a Innsbruck; nel 1619 su richiesta dell’arciduca del Tirolo, Leopol-do V d’Asburgo, fu destinato ad Innsbruck quale questuante. Ma anche qui non fu solo un questuante, fu guida spirituale delle Vergini di Hall, che era un centro di educazione per le ragazze nobili tirolesi; con lette-re e colloqui guidò spiritualmente le arciduchesse d’Asburgo Maria Cristina ed Eleonora, sorelle di

Leopoldo V, al quale insieme alla moglie Claudia de’ Medici, dedicò frequenti incontri nel loro pa-lazzo e indirizzando loro anche delle lettere. Seguì pure la vita spirituale dell’imperatore d’Au-stria Ferdinando II, rimanendo suo consigliere durante la guerra dei Trent’anni (1618-48); amico e consigliere dei duchi di Baviera Massimiliano I ed Elisabetta, alla loro corte di Monaco, dove nel 1620 riuscì a convertire al cattolicesimo il lutera-no duca di Weimar; come pure convertì alla corte imperiale di Vienna nel 1620-21, dal luteranesimo la vedova di Giorgio Fleicher, Eva Maria Rettinger che divenne badessa nel monastero delle benedetti-ne di Salisburgo. In de� nitiva era un semplice frate laico, cioè non sacerdote, ma era in grado di parlare altamente di Dio, suscitando in chi lo ascoltava stupore e me-raviglia; istruì nella fede persone umili e nobili re-gnanti, impegnando tutti nell’amore. L’obbedienza e l’umiltà lo fecero diventare il «fratello della que-stua» per quasi 50 anni; fu consigliere dell’arcive-scovo Paride Lodron, principe di Salisburgo. Svolse opera sociale a favore degli operai delle miniere di Taufers e nelle Valli dell’Inn e dell’Adige, prese a combattere le ideologie luterane che si espandeva-no velocemente.

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Per ordine dei Superiori nel 1620 a Vienna, stese per iscritto le sue conversazioni a difesa della fede, dal titolo «Concetti morali contra gli heretici», pubblicati postumi nel 1692 e le sue parole indi-cano bene la sua spiritualità: «Né mai ho letto una sillaba di libri; ma bene mi fatico a leggere il passio-nato Christo». Nei suoi scritti riconosce già in quell’epoca l’’Im-macolata Concezione e l’Assunzione in cielo della Madonna; si recò in pellegrinaggio tre volte (1623, 1625, 1629) alla Santa Casa di Loreto; fu il pro-motore dell’erezione della prima chiesa in terra di lingua tedesca, dedicata all’Immacolata Concezio-ne, che iniziata nel 1620, con vari aiuti, superan-do di� coltà di ogni genere, venne completata nel 1654; viene considerata monumento nazionale

dell’Austria. Frate Tommaso da Olera morì piamente e santa-mente il 3 maggio 1631 a Innsbruck e sepolto nella cripta della Cappella della Madonna, nella locale chiesa dei Cappuccini, dopo alcuni giorni di inin-terrotta venerazione dei fedeli austriaci. Nei seco-li successivi, la Chiesa ha dato testimonianza alla fama di santità e all’opera fulgida dell’umile frate bergamasco, che seppe parlare di Dio ai poveri ed ai potenti del suo tormentato tempo. Papa Giovanni XXIII lo de� nì un «santo autentico e un maestro di spirito», Paolo VI lo ricordò come: «valido strumento della generale rinnovazione spi-rituale… tanto da brillare nella storia di quel glo-rioso periodo insieme coi più ardenti sostenitori della Riforma Cattolica».

«La cosa più bella del mio sacer-dozio? Immergermi nella vita dei santi e dei beati bergamaschi, respirando il loro insegnamento». E’ la frase che amava ripetere e che ha contraddistinto la vita del canonico monsignor Giuseppe Martinelli, morto nelle prime ore del 6 giugno nella Casa del clero. Aveva 80 anni e da tempo era stato colpito da una grave malattia e sottoposto a diversi interventi chirurgici. Nato a Fiorano al Serio (Bergamo) il 16 settembre 1931, dopo l’ordinazione sacerdotale (12 giugno 1954) era stato studente a Roma (1954-58), conseguendo la laurea in Diritto canonico alla Lateranense. Contemporanea-mente aveva frequentato tre anni di Giurisprudenza alla Statale e anche un biennio di Paleografi a nell’Archivio segreto vaticano, declinando la proposta di entrare come paleografo nella Biblioteca vaticana. Tornato in diocesi, oltre a insegnare Religione al liceo Sarpi, era stato coadiutore parrocchiale

della Cattedrale (1959-69), notaio attuario del Tribunale ecclesiastico diocesano (1960-65), docente in Seminario (1963-2009), giudice (1961-71) e vicepresidente del Tribunale regionale lombardo (1971-89), assistente diocesano di Rinascita (1972-78), vicario giudi-ziale del Tribunale ecclesiastico diocesano (1979-2011), delegato vescovile per le cause dei santi (1980-2011), membro del Consiglio Presbiterale diocesano (1985-97). Canonico onorario della Cattedrale nel 1981, nel 1987 era stato insi-gnito del titolo di prelato d’onore di Sua Santità.La prima causa di beatifi cazione di cui monsignor Giuseppe Marti-nelli si era occupato riguardava Pierina Morosini, la ragazza martire di Fiobbio. Nel suo impegno di giudice di Tribunali ecclesiastici aveva seguito 1.528 processi. Come delegato vescovile alle cause dei santi, fra quelle concluse, quelle ancora in corso e quelle da lui avviate, aveva seguito 14 cause di

beatifi cazione o canonizzazione di laici, sacerdoti, religiosi e religiose della diocesi bergamasca, come quelle di suor Paola Elisabetta Cerioli, fra Tommaso da Olera, madre Teresa Gabrieli. Di tutte, confi dava di essere stato particolar-mente colpito dalla vicenda e dalle scelte di don Antonio Seghezzi, l’assistente diocesano giovani di Azione cattolica, morto il 21 maggio 1945 nel lager di Dachau.

Addio al prete «giudice» dei santi e dei beati

Monsignor Giuseppe Martinelli

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Montini, sacerdote da due anni, con i genitori nel 1922

P U B B L I C A Z I O N I

I l ponti� cato di Paolo VI segnò certamen-te, dal 1963 al 1978, il vero, fondamen-tale e profondo momento del rinnova-

mento della Chiesa cattolica. Tuttavia, la � gura e l’opera di Papa Montini rischiano di sbiadirsi nella memoria storica, schiacciate tra il precoce e longe-vo mito del predecessore, Giovanni XXIII, e quello spettacolare e mediatico del successore, Giovanni Paolo II (seguito, sempre nel 1978, al brevissimo ponti� cato di Giovanni Paolo I). In un certo sen-so, ha voluto porre rimedio a questa dimenticanza Fulvio De Giorgi, docente di Storia dell’educazio-ne all’Università di Modena e Reggio Emilia, con il suo volume Mons. Montini. Chiesa cattolica e scontri di civiltà nella prima metà del Novecento (Il Mulino, pp. 358, euro 28). Il testo è stato pre-sentato dall’autore lo scorso 16 maggio al Centro Congressi Giovanni XXIII di Bergamo. «In queste pagine – ha spiegato De Giorgi – ho voluto prendere in esame un periodo della vita di Giovanni Battista Montini precedente l’elezione al soglio papale: quello che va dalla sua nascita, nel 1897, alla sua nomina ad arcivescovo di Milano, alla � ne del 1954. E’ un periodo relativamente poco noto, in cui però egli maturò una serie di idee che poi si tradussero nelle scelte di fondo del suo ponti� cato. Sono convinto che tali scelte abbiano segnato un passaggio decisivo nella storia del catto-licesimo moderno: Paolo VI è riuscito a condurre alla conclusione il Concilio Vaticano II evitando fratture all’interno dell’episcopato e si è assunto il compito di avviare l’attuazione delle deliberazioni conciliari».«Un testo ricco, impegnativo – lo ha de� nito il vescovo di Bergamo – in cui, oltre alla personali-tà emerge una profonda ri� essione sulla storia del pensiero, aprendo continuamente squarci che van-

no oltre la � gura stessa di Montini». Poi ha ricorda-to le comuni origini bresciane che lo legano a Paolo VI. «Io, bresciano nella diocesi di Papa Giovanni XXIII, mi trovo a contemplare queste due grandi � gure che uniscono le nostre terre». Fulvio De Giorgi ha parlato della � gura di Mon-tini quando non era ancora Papa. Con il passare degli anni, dopo l’ordinazione sacerdotale e i pri-mi incarichi, la sua � gura cresce. E’ tra il 1945 e il 1955 che i fermenti del mondo cattolico prendono forma nella politica e nell’associazionismo. Un pa-norama complesso, in cui Montini diventa «� gura di cerniera». «Teneva le � la di una serie di rapporti – ha aggiunto De Giorgi – ed era punto di riferi-mento e di equilibrio tra tanti mondi».

MONTINI, UNA FIGURA CHIAVENELL’EVOLUZIONE DELLA CHIESA

Nel libro dedicato al Papa l’autore dice: «La sua memoria ha rischiato di sbiadirsi»

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A T T I V I T À

MONS. BESCHI: «LA MISSIONE

È COME IL NOSTRO RESPIRO»

Il vescovo di Bergamo ha ribadito l’essenzialità dell’impegno della diocesi nel mondo

Il vescovo ha così raccolto la raccomandazione del Consiglio pastorale, che ha meditato sul futuro missionario della diocesi a 50 anni dall’avvio della prima missione diocesana, quella in Bolivia, nel 1962. Il vescovo ha accolto l’invito a una missione intesa sempre più come cooperazione, come scam-bio, come «camminare insieme». «Camminiamo insieme a queste chiese – ha det-to il vescovo – per arricchirci, per ri� ettere, per incontrare nuovi modi di vivere il cristianesimo e la vita stessa. In Costa d’Avorio circa il 50% del-la popolazione è animista e noi pensiamo allora a qualcosa di primitivo, di superato... Invece, que-sto considerare che tutto ha un’anima, che l’ani-ma sta in ogni luogo e in ogni elemento... Questo è suggestivo». Il vescovo una volta tornato dalla visita alla missione bergamasca in Costa d’Avorio ha detto: «E’ stato un viaggio missionario, qualche cosa di molto diverso da un semplice viaggio. Per-ché? Perché il viaggio missionario è quello che fai per vedere il mondo con gli occhi del Vangelo, a contatto con la gente che mai incontreresti in un viaggio tradizionale».Dal Consiglio è stata inoltre sottolineata l’im-portanza del ruolo dei laici, che in questi anni è continuamente cresciuto. Missionari laici che rag-giungono terre lontane non solo sulla base di uno slancio personale, ma come espressione di un’in-tenzione della diocesi che manda i propri missio-nari dopo un’attenta formazione.Sono attualmente circa 750 i missionari di origi-ne bergamasca tra sacerdoti Fidei donum – cioè i preti diocesani inviati dalla Chiesa di Bergamo a servizio delle Chiese sorelle – religiosi, religio-se e laici, impegnati nei 5 continenti nell’opera di evangelizzazione e di promozione umana delle popolazioni, scrivendo pagine di carità gigantesca.

L e missioni della diocesi di Bergamo continueranno. Il pubblico annuncio è stato fatto attraverso un servizio di Pa-

olo Aresi pubblicato su L’Eco di Bergamo. I sacer-doti, i laici, le suore bergamasche continueranno nel loro impegno in altre terre, che siano Cuba, Bolivia, Costa d’Avorio o altre. Perché la missio-ne è come il respiro. Lo ha sottolineato il vescovo Francesco Beschi durante un incontro del Consi-glio pastorale diocesano, che si è tenuto nella sede del Collegio vescovile S. Alessandro: «E’ come la respirazione, che richiede due movimenti, quello di inspirazione e poi di espirazione. Uno è im-possibile senza l’altro». Non si può inspirare sen-za espirare, l’esperienza della missione è qualcosa che rinnova, che ossigena il sangue che «inspira» e, al tempo stesso, è quel fare, quell’aiutare, quel costruire insieme a un altro popolo che è l’espira-zione, che investe, in realtà, non solo la terra di missione, ma ogni aspetto della Chiesa.

La missione bergamasca in Costa d’Avorio con don Elvio Nicoli

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L’ingresso del Santo Sepolcro

I T I N E R A R I

P ellegrinaggio in Terra Santa: a spiegare come fare per sfruttare questa opportu-nità è un articolo di Bruno Silini appar-

so alcune settimane fa su L’Eco di Bergamo. Questa una sintesi del servizio.La casa di Maria, la casa di Pietro, il lago di Galilea, il Giordano, Cafarnao, Nazareth. Quindi non un viaggio normale, un semplice pellegrinaggio. E’ il pellegrinaggio. Con l’articolo determinativo.Nell’intraprendere questo itinerario è come cammi-nare sul cuore della storia, nel fulcro delle tre gran-di religioni monoteistiche: cristianesimo, ebraismo e islam. Per gli ebrei si tratta della Terra Promessa, quel luogo verso cui Dio ha condotto il suo popolo tramite il profeta Mosè. Per i musulmani è la terra in cui Maometto ascese al cielo. Per i cristiani è la terra in cui è nato, morto e risorto Gesù Cristo. E lì ognuno può trovare quello che il suo cuore e la sua mente sono in grado di ascoltare, di vedere, di rintracciare. Quattro le opportunità di partenza che possono es-sere sfruttate con la Ovet Viaggi: dopo quelle dal 21 al 28 giugno e dal 23 al 30 agosto, restano an-cora valide da poter cogliere quelle dal 4 all’11 ot-tobre e dal 18 al 25 ottobre. Un’esperienza dettata dalla sete di conoscere, ascoltare, respirare i luoghi di Gesù è il comune denominatore dei viaggi pro-posti in Terra Santa. Appare quasi super� uo riba-dire la professionalità della Ovet se consideriamo che l’agenzia con sede in viale Papa Giovanni XXIII a Bergamo porta ogni anno in Israele e Palestina all’incirca 2 mila bergamaschi. A sostenere il pellegrinaggio in Terra Santa confor-tano le parole del vescovo di Bergamo, Francesco Beschi che de� nisce l’esperienza «essenzialmente come un percorso di conversione dove la parola del Vangelo assume i lineamenti di luoghi, testimo-

nianze e di provocazioni».Coloro che hanno avuto la fortuna di visitare la Terra Santa (è utile qualche lettura propedeutica prima di partire nonostante l’organizzazione a� an-chi ai pellegrini guide bibliche) parla di «un impat-to gioioso». Ciò che come cristiani si ascoltava da piccoli (durante la Messa, al catechismo, in fami-glia) diventa esperienza reale. Gli occhi e il cuore si riempiono della Grotta dell’Annunciazione, della basilica della Natività, delle sorgenti del � ume Giordano, della vetta della Tras� gurazione, del monte Sion, del luogo del Cal-vario e della chiesa della Resurrezione. Le partenze sono � ssate dall’aeroporto di Orio al Serio per Tel Aviv e l’itinerario avrà come prima tappa Nazareth (Chiesa di San Gabriele, Fontana della Vergine, Si-nagoga, Grotta e Basilica dell’Annunciazione, sca-vi, chiesa di San Giuseppe) e il Monte Tabor. Per il programma dettagliato è possibile telefonare allo 035-243723.

UNA VISITA A GERUSALEMMEPER CAMMINARE NELLA STORIA

Pellegrinaggio sui luoghi della Terra Santa: dalle sorgenti del Giordano al monte Sion

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Chiesa e di denunciare ingiustizie e stili di vita che ne fanno aumentare il numero. Bisogna dunque passare dalla elemosina alla carità, all’amore per chi è centrale nella visione del Vangelo. Da Paolo VI a Benedetto XVI, cioè dalla «Populo-rum progressio» alla «Caritas in veritate» è conte-nuto il cammino della Caritas italiana che nel 2011 ha compiuto 40 anni. Spiega monsignor Vittorio Nozza, bergamasco, direttore da una decina di anni di Caritas italiana: «Educare alla carità è stata la s� da permanente in questi anni, quando abbiamo cercato di intrecciare carità, cultura, competenze e spiritualità». Era proprio questo che voleva Paolo VI. C’è una grande discussione nella Chiesa attor-no alla «Populorum progressio», perché quell’en-ciclica non si fermava solo all’analisi, ma indicava una vita e insieme un progetto. E il grido dei po-veri che il Papa interpretava è lo stesso di cui anche la Chiesa italiana comincia a farsi carico. Si tratta del tema delle povertà che va unito a quello della pace e diventa stimolo dell’analisi e dell’azione del-la vita ecclesiale. Uno degli slogan di quegli anni era «Educare alla mondialità». E la carità è uno dei principi evangelici che sta alla radice dei ragiona-menti, come stimolo alla giustizia. Paolo VI dirà ai delegati della Caritas italiana ri-uniti per la prima volta dopo la fondazione il 28 febbraio 1972: «La carità è il completamento della giustizia». Ma poi aggiunge: «Una crescita del po-polo di Dio nello spirito del Concilio Vaticano II non è concepibile senza una maggiore presa di co-scienza da parte di tutta la comunità cristiana delle proprie responsabilità, perché la carità resterà sem-pre per la Chiesa banco di prova della sua credibi-lità nel mondo». Dopo 40 anni, osserva monsignor Nozza, «il bilan-cio può essere positivo», insomma la Caritas «ha

S i chiamava Ponti� cia opera di assistenza, un grande organismo assistenziale, nato per erogare gli aiuti nell’immediato dopo

guerra che venivano dai cattolici americani, indiriz-zati direttamente al Papa. Questo l’inizio dell’arti-colo di Alberto Bobbio pubblicato su L’Eco di Ber-gamo, che poi così prosegue.L’Opera aveva articolazioni diocesane che dipen-devano dai vescovi ai quali la Santa Sede mandava denaro e ingenti quantità di generi alimentari per le famiglie più povere, specialmente del sud del Paese. Nel 1970 Paolo VI sciolse la Ponti� cia opera di as-sistenza e l’anno dopo la Cei fondò la Caritas. E’ il Concilio che cambia le prospettive e la Caritas è l’invenzione più creativa della Chiesa post-concilia-re. Non si tratta più di erogare solo aiuti e di occu-parsi dei poveri con uno stile che assomigliava più alla � lantropia e all’elemosina. Si tratta invece di assumere i poveri come centro della pastorale della

CARITAS, DA QUARANT’ANNISEMPRE IN «PRIMA LINEA»

L’organismo è stato fondato dalla Cei nel 1971 per volontà del Pontefice Paolo VI

A T T I V I T À

assumere i poveri come centro della pastorale della

Il bergamasco monsignor Vittorio Nozza, presidente nazionale della Caritas

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a t t i v i t à

rispettato il mandato». Quello di Montini è stato de� nito un sogno, ma la de� nizione è sicuramente sbagliata. Paolo VI era consapevole che in qualche modo andavano tradotte e messe in pratica le parole della sua più famosa enciclica. Ma non ci si doveva limitare a «fare» e anche l’«agire» doveva avere una sorta di funzione politica, di denuncia e di stimolo per le scelte dei governanti nel mondo intero. E ciò vale ancor di più per l’Italia, per la quale Montini aveva sempre dimostrato vera passione. Il mandato dunque è chiaro e il Papa lo ripete all’incontro del 1972, il primo dopo la � rma del decreto da parte del cardinale Antonio Poma, arcivescovo di Bolo-gna e presidente della Cei, che istituiva la Caritas: «La vostra azione non può esaurire i suoi compiti nella pura distribuzione di aiuto ai fratelli bisogno-si, ma al di sopra di questo aspetto puramente ma-teriale, deve emergere la funzione pedagogica e il suo aspetto spirituale che non si misura con cifre e bilanci, ma con la capacità che essa ha nel sensibi-lizzare le Chiese locali e i singoli fedeli al senso e al dovere della carità». E’ la frase che indica con assoluta chiarezza la stra-da alla Caritas italiana e che la Caritas in questi 40 anni ha percorso. Ed è una strada assolutamente originale quella di Caritas italiana, rispetto alle al-

tre nel resto del mondo, perché essa è organismo ecclesiale e non solo semplice ong, come accade per quasi tutte le altre Caritas del pianeta. La Caritas italiana in questi anni ha pubblicato, insieme alla Fondazione Zancan, i Rapporti sulla povertà in Italia. Nessun altro lo fa. Ha denunciato i con� itti dimenticati e gli intrecci poco virtuosi tra � nanza, «bad economy» e il cosiddetto apparato militare in-dustriale con la complicità e l’oblio dei media in tre ponderosi studi pubblicati negli ultimi dieci anni. Ha o� erto alla forze politiche e al Parlamento ana-lisi e indicazioni per uscire dalla crisi in numerose audizioni davanti alle commissioni parlamentari. Spesso ha anticipato temi e problemi indicando soluzioni per tempo, che tuttavia non sono state prese in considerazione, come sulla questione degli immigrati. E l’attenzione al Sud era già diventata un’emergenza per la Caritas in un documento del 1974. Sempre in prima linea su tante questioni, ma sem-pre senza mai dimenticare la fede: «Siamo stati con il Vangelo in mano e abbiamo fatto aprire gli occhi sulle povertà e sui poveri e siamo riusciti ad educare alla giustizia la nostra Chiesa». Monsignor Nozza lo dice senza orgoglio e con un solo rammarico: «La politica ci ha poco ascoltato».

E’ stato il vescovo bergamasco monsignor Raffaello Martinelli, 64 anni, a ricevere lo scorso 15 luglio Papa Benedetto XVI a Frascati. Qui il Pontefi ce ha celebrato la Santa Messa nella piazza principale del popoloso centro dei Castelli Romani. Una giornata storica per la cittadina, che è giunta a quasi 32 anni di distanza dalla visita di Papa Wojtyla. Il primo Pontefice a visitare la diocesi di Frascati fu però Giovanni XXIII, il 19 maggio 1959. Seguì, il 1° settembre 1963, la visita di Paolo VI. L’8 settembre 1980 fu infine la volta di Giovanni Paolo II. Per

mons. Martinelli, originario di Villa d’Almé (Bergamo), dal 2009 vescovo di Frascati, è stato un incontro speciale. Del resto è nota la sua stretta collaborazione per ben 23 anni con l’allora cardi-nale Joseph Ratzinger, quando questi era Prefetto della Congre-gazione della Dottrina della fede. Era stato chiamato in Congre-gazione, nel 1980, un anno prima dell’arrivo di Ratzinger. Nel 1985 era stato nominato da Giovanni Paolo II presidente della Commissione per il nuovo Cate-chismo della Chiesa cattolica, il cardinale Ratzinger gli chiese di occuparsi della segreteria. Forte

anche di un dottorato in Teologia alla Lateranense e una laurea in Pedagogia, monsignor Marti-nelli fu assai vicino a Ratzinger nella preparazione del nuovo Catechismo e del Compendio del Catechismo. La visita di Benedetto XVI nella diocesi tuscolana era stata chiesta da mons. Martinelli per «celebrare e vivere con intensità e rinnovato impegno l’Anno della Fede», indetto dal Papa dall’11 ottobre al 24 novembre 2013. Mons. Martinelli, ordinato sacerdote nel 1972 dall’arcivescovo Clemente Gaddi, ha compiuto 64 anni lo scorso 21 giugno.

Un vescovo bergamasco ha accolto Ratzinger a Frascati

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Ringraziamo le persone che hanno sottoscritto abbonamenti al giornale e inviato offerte all’associazione Amici di Papa Giovanni

ANDREATTA CARLA

BENIGNI ARMIDA

BOLLA LUCIA

BONA ITALIA

CAMERAN VEGLIA

CASA MARIA GIOIA

CASTELLI LUCIA E ENRICA

CASTIGLIONI ANNA

CHIESA SEVERO

COLOMBO CAROLINA

D’AMBROSIO ANNAMARIA

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D’EMILIO CARLA

DAMIANO ANTONIO

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DE NADAL MARIA GRAZIA

DASSI PIERA

DI MUCCIO GIUSEPPE

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FORTUNATO FRANCESCO LETTA

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MOLINAROLI GIUSEPPE

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NACCARI LINO E TECLA

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PILIA ADELE

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PONTI GRAZIELLA

PULEDDA LUCIANO

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RIGON POLINARI GIOVANNA

ROTTOLI GIUSEPPINA

SANDRONI DANIELA

SAVOLDI GENOVEFFA

SCALVINI EGLE

SEPE LINA

SLOMP DON GIOVANNI

VALERA GRAZIA

ZAFFARONI ERNESTINA

ZAFFERONI ERNESTINA

ZOCCHI MARIUCCIA E AUGUSTO

Ugo Ghilardi e Manuel Ardenghi, dopo il ritorno dal pellegrinaggio compiuto in settanta giorni lungo la Via Francigena da Canterbury a Roma, per celebrare il 50° dell’avvio del Concilio Vaticano II e per onorare il 50° della morte di Papa Giovanni XXIII che cadrà il prossimo anno, hanno compiuto l’ultima tappa recandosi subito dopo Ferragosto a Sotto il Monte da monsignor Loris Capovilla, sostenitore della loro impresa. Da ricordare che i due, lo scorso 31 luglio, erano arrivati in Piazza San Pietro a Roma dopo parecchi giorni di cammino intra-preso a una media di 31 chilometri al giorno.Ma torniamo all’incontro fatto dai due

con il segretario di Papa Giovanni a Sotto il Monte. «E’ come se monsi-gnor Capovilla fosse stato sempre con noi, lungo tutto il percorso. Abbiamo spesso pensato a lui e l’ho sentito per telefono, l’ultima volta il giorno prima di arrivare a Roma. Per questo abbiamo voluto regalargli le credenziali del pellegrinaggio. A ogni tappa abbiamo fatto apporre un timbro anche sul foglio dedicato a lui», spiega Ugo Ghilardi, che per conoscere il sacerdote già segretario particolare del Papa bergamasco nello scorso febbraio ha compiuto una piccola, ma significativa impresa che così ricorda. «Era una mattina fredda. Di buon’ora sono partito da Lonno dove abito e sono andato a

piedi a Sotto il Monte. Non avevo alcun appuntamento, ma quando monsignor Capovilla ha saputo come ero arrivato mi ha voluto conoscere». Il sacerdote si è mostrato entusiasta dopo aver incontrato di nuovo i due cittadini di Nembro (Comune bergamasco della Valle Seriana) ed ha voluto sottolinearlo con queste parole: «Sono due persone eccezio-nali con lo stampo del vero berga-masco: nobile, generoso, aperto e soprattutto religioso. Ho ascoltato il loro racconto: dal viaggio hanno riportato solo impressioni positive e hanno parlato bene di chiunque abbiano incontrato. Sono stati accolti con affetto e con lo stesso amore hanno ricambiato».

E dopo il pellegrinaggio l’incontro con Capovilla

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D E V O Z I O N I

P uò essere de� nita una scoperta preziosa quella fatta a dicembre dello scorso anno al santuario della Madonna delle Lacrime

a Treviglio, in provincia di Bergamo: sono tornati alla luce, infatti, numerosi ex voto che giacevano accatastati in un deposito. Nel frattempo, grazie all’interessamento della parrocchia di San Martino e del Comune, si è provveduto a recuperarli e a sottoporli a restauro. Una scoperta preziosa per almeno due buoni motivi: per il valore materiale che li contrassegna e indubbia-mente per quello devozionale. Basti dire che stiamo parlando di opere che sul mercato dell’antiquariato raggiungono una valutazione media che si aggira sui 500 euro ciascuna. Non è invece quanti� cabile il valore a� ettivo che i trevigliesi, e non solo, rivolgono da circa mezzo millennio al santuario della Madonna piangente e a tutto ciò che in esso è custodito. Da ricordare, a tale proposito, che dall’a� resco situato sulla parete esterna della chiesina del convento delle Agostiniane, nel 1522 sgorgarono miracolosamente delle lacrime arrestando il generale francese Lautrec, intenzionato a devastare la città.Gli ex voto rinvenuti sono circa 200, taluni molto preziosi. Grazie all’impegno di tre restauratori volon-tari, Silvia Donesana, Franco Meni e Carluccio Senna, coordinati dall’architetto Barbara Oggionni, potranno essere esposti nel prossimo mese di novembre in occasione della mostra dedicata al santuario mariano. Come prima cosa i «tesori ritrovati», principalmente composti da tavole dipinte a olio, intarsi, ricami, ed elementi in argento, sono stati inventariati e raccolti in un paio di locali del museo archeologico della biblioteca comunale.Visto che il lavoro di recupero degli ex voto, per riportarli al loro antico splendore, sta procedendo ormai da parecchi mesi, tutto lascia supporre che sarà possibile presentarli nell’importante mostra autunnale.

A livello pratico i tre restauratori, dopo aver proce-duto alla pulizia degli oggetti, stanno provvedendo a «ricostruire» le parti danneggiate o mancanti nelle preziose cornici o nei manufatti in legno o gesso. Solo una decina di essi non sono risultati recuperabili.Molti degli ex voto ritrovati a dicembre 2011 risultano originariamente realizzati a metà del 1800, ma alcuni possono essere datati attorno alla � ne del 1950. Come accennato l’operazione di restauro è stata possibile attuarla grazie al contributo dell’Amministrazione comunale ma anche di uno sponsor privato e a quello dei volontari dell’associazione culturale «Peregrinatio ad erudiendum» (Pae). Dopo la mostra in programma a novembre, gli ex voto ritenuti più preziosi o signi-� cativi saranno esposti nel santuario e gli altri nel museo civico.

Luna Gualdi

RITROVATI E RESTAURATIDUECENTO ANTICHI EX VOTO

Il rinvenimento fatto al santuario bergamasco della Madonna delle Lacrime a Trevi-

Alcuni esempi di ex voto raccolti in un pannello

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di un doloroso dramma d’amore (Editrice Shalom, pag. 239, 5 euro), scritto dal vescovo emerito di Civitavecchia-Tarquinia, monsignor Girolamo Grillo. Un volumetto agile, tratto dal diario del prelato, che restituisce con immagini vivide e in presa diretta gli avvenimenti legati alla statuina di gesso proveniente da Medjugorje, che nel 1995 venne vista versare lacrime di sangue. Grillo, inizialmente scettico sul fenomeno, si sarebbe poi convinto della sua autenticità e della sua provenienza soprannaturale quando la statuina lacrimò mentre lui la teneva tra le mani, in casa sua, alla presenza di alcuni testimoni. In quella occasione il vescovo ebbe un malore per l’emozione e venne chiamato d’urgenza il suo cardio-logo, il quale, dopo aver soccorso il paziente, confermò di aver riscontrato una nuova � ebile traccia di sangue fresco che rigava le gote della piccola statua.Monsignor Grillo nel libro riproduce la prova scritta della venerazione da parte di Papa Wojtyla avvenuta in Vaticano il 9 giugno 1995: si tratta di una relazione scritta sugli eventi, che egli stesso inviò a Giovanni Paolo II, il quale gliene fece restituire una copia dopo avervi apposto la sua sigla autografa. «La cena con il Papa – scrive Grillo – non è stata programmata dal sottoscritto. Avevo ricevuto una telefonata da parte del segretario di Giovanni Paolo II, don Stanislao, il quale mi aveva fatto capire che avrei dovuto portare con me la Madonnina per espresso desiderio del Santo Padre».

«Un giorno il mondo saprà»Il vescovo era giunto nell’appartamento papale con la statuina che ancora recava i segni delle lacrime di sangue chiusa in un borsone. «Alla � ne della cena, abbiamo recitato assieme un’Ave Maria alla Regina della pace. Poi il Papa ha benedetto la statuina, la corona d’oro che ingemmerà il suo capo e il rosario

A V V E N I M E N T I

G li ingredienti del romanzo ci sono tutti: un Papa che in incognito, vestito da cacciatore, si presenta a pregare in una piccola chiesa

di periferia dov’è esposta una statuina che ha lacri-mato sangue. La statuina è quella di Civitavecchia, la chiesa è quella di Pantano, alla periferia della città laziale, il Papa è Giovanni Paolo II e, conoscendolo, si può credere che ciò che viene raccontato sia davvero accaduto. L’articolo di Angelo Sarto, che proponiamo ai nostri lettori è stato pubblicato su L’Eco di Bergamo.

L’incontro in VaticanoLa visita in incognito di Wojtyla alla Madonnina è una delle novità contenute nel libro La vera storia

WOJTYLA E QUELLE LACRIMESGORGATE DALLA STATUINA

Mons. Grillo rivela in un libro che il Pontefice pregò la Madonnina di Civitavecchia

Monsignor Girolamo Grillo

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Giovanni Paolo II raccolto in preghiera

a v v e n i m e n t i

che penderà dalla sua mano». Giovanni Paolo II decise di imporre il silenzio a monsignor Grillo, ma aggiunse: «Un giorno lo farà sapere al mondo, cioè farà sapere al mondo questo mio atto di venerazione». Poi disse ancora: «Mettiamo tutto nelle mani del cardinale Ratzinger…». Da allora, ogni qualvolta incontrava il segretario del Ponte� ce, don Stanislao, Grillo domandava: «Quando potrò rivelarlo?». «E lui mi rispondeva: “Lo capirà da solo”. Nel mio cuore – scrive l’autore – ne ho la certezza, quel giorno è � nalmente arrivato: il giorno della beati� cazione di Giovanni Paolo II».Ma inedita è soprattutto un’altra venerazione da parte di Wojtyla, successiva a quella avvenuta nell’apparta-mento papale e comprovata dall’autografo ponti� cio. «Le suore che in quegli anni erano addette al piccolo santuario di Sant’Agostino mi hanno raccontato che una sera è arrivato lì un pullman carico di guardie svizzere, le quali si sono presentate dapprima come persone venute a pregare la Madonnina, ma subito si sono posizionate attorno alla chiesa, � no a quando non è entrata a venerare la Madonnina una persona mimetizzata da cacciatore. In e� etti si trattava del Papa, come ebbe a confermarmi lo stesso don Stani-slao. Pare, inoltre, che lo stesso Papa sia stato a Pantano

una seconda volta; ne parlai pure con don Stanislao, il quale rispose soltanto con un sorriso».Giovanni Paolo II credeva dunque all’autenticità delle lacrimazioni di Civitavecchia, le considerava un segno. E durante il dialogo che ebbe con Grillo, la sera in cui il vescovo portò la Madonnina in Vaticano, Wojtyla citò a questo proposito le parole del grande teologo Hans Urs von Balthasar, il quale «sostiene che la Madonna segue molto da vicino i suoi � gli nel tempo, i loro a� anni, le loro preoccupazioni. Il suo pianto non è altro che un invito alla conversione».

Una stele raff igurante Papa Giovanni XXIII, opera dello scultore Luis (Luigi Paganessi), diplomato al liceo artistico di Bergamo e titolare, con i fratelli, di un’azienda di lavo-razione marmi, campeggia da qualche tempo a un’estremità della piazza del mercato di Casnigo, Comune della Bergamasca. Il profilo del Pontefice è stato inciso su «corte», una lastra di ferro ossidato trattato con mate-riale speciale per garantire che mantenga il colore ruggine marrone indelebile. L’opera è stata collocata nel piazzale dopo che questo era stato intitolato ad Angelo Roncalli. Il profilo del Papa risalta attra-

verso il taglio, effettuato con il laser, sul metallo. «L’essenza più profonda della stele – dice il sindaco Giuseppe Imberti – è data dall’utilizzo di un materiale povero e trascurato dagli artisti, ma che assume un profondo signifi cato in quanto rappresenta l’usura del tempo e la dimenticanza che spesso avvolge anche le figure luminose come il Beato Roncalli». Originali anche i due supporti lapidei scolpiti con gusto artistico barocco che sorreggono il metro quadrato di ferro «ritagliato» e ricordano Venezia dominatrice dei mari: raffigurano, infatti, un delfi no e un ippocampo, le meduse

e altri simboli acquatici. Sono stati rinvenuti dall’autore nel corso di uno scavo a Casnigo e qui sono tornati grazie alla fi lantropia del casnighese Giacomo Zucca che le ha acquisite e le ha donate ai suoi compaesani.

Una stele in piazza con il volto di Papa Giovanni XXIII

La stele raffi gurante Giovanni XXIII, opera dello scultore Luigi Paganessi

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Un primo piano di statua della Madonna «vestita»

e organizzata dall’Associazione Culturale Creatività Artistica, in collaborazione con la Parrocchia e il patrocinio del Comune. Su questo interessante e insolito tema riportiamo un articolo pubblicato ai primi di luglio su L’Eco di Bergamo a � rma di Barbara Mazzoleni.Si chiamavano «Madonne da vestire» perché la loro struttura era grezza o rozzamente intagliata, ad ecce-zione di viso, mani e piedi ri� niti con cura, e conce-pita con arti pieghevoli per agevolarne la vestizione. Erano poi dotate di un vero e proprio corredo di abiti e gioielli da o� erenti di ogni classe sociale, spesso giovani spose che a� davano alla Madonna il loro abito di nozze. Fu forse questa profonda «intimità» con l’immagine sacra, che rispondeva alle esigenze di «contatto» della religiosità popolare, a portare, tra la � ne dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, ai divieti emanati dalle autorità ecclesiastiche che le conside-rarono «paganeggianti» e a rischio di superstizione. «Non si trattò solo della perdita di qualche statua e degli abiti che componevano i ricchi corredi – ha scritto nel catalogo della mostra verdellese la storica dell’arte Francesca Bormetti – ma dell’interruzione forzata di usi devozionali ancora in essere. Certe consuetudini, � glie di un mondo contadino che andava scomparendo, probabilmente erano destinate comunque a perdersi o a snaturarsi; certo, però, la ferita inferta fu profonda, e forse anche per questa ragione si smise di parlarne e persino di nutrire il ricordo».Oggi le statue da vestire sopravvissute ai decreti di dismissione ci guardano dalle teche degli altari o dei musei diocesani e parrocchiali, porgendoci il rosario o mostrandoci il Bambino. Ma più spesso giacciono dimenticate, e talvolta abbandonate al più triste degrado, nelle so� tte o nei depositi dove qualche sacerdote o sacrestano che non condivideva

E S P O S I Z I O N I

R ivestite e agghindate dalle mani premu-rose delle «vestitrici», � no agli inizi del Novecento le cosiddette «Madonne da

vestire» erano un vero e proprio simbolo del sacro «familiare», di una religiosità spontanea e vicina ai fedeli. Simulacri da vestire e accudire per «s� lare» su orna-tissimi troni nelle processioni del giorno dell’Assunta o del Venerdì santo, portate a spalla dai devoti che si erano accaparrati questo onore all’incanto o, talvolta, a suon di risse e litigi.Ad esse è stata dedicata la mostra «Statue “da vestire” e “vestite” di Verdello: devozioni domestiche conta-dine», allestita � no allo scorso 8 luglio nell’ex Casa Parrocchiale di Verdello (in provincia di Bergamo)

IN UNA MOSTRA RISCOPERTELE «MADONNE DA VESTIRE»

L’appuntamento ha voluto evidenziare un modello di devozione domestica contadina

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Madonna con Bambino con abiti e gioielli

Un’altra immagine di Madonne «vestite»

e s p o s i z i o n i

le prescrizioni vescovili le aveva nascoste per salvarle dalla distruzione.Per molto tempo trascurate anche dagli studi, che le hanno relegate nell’ambito dell’arte «minore» o del folclore popolare, per le statue da vestire ha � nalmente preso il via un processo di recupero e «riabilitazione», e questi manufatti sono divenuti oggetto di interesse per l’etnogra� a, l’antropologia religiosa, la sociologia e la storia della devozione, ma anche per la storia dell’arte e del tessuto.Curata da Riccardo Scotti e Rinaldo Agostinelli, la mostra proposta di recente a Verdello si è rivelata una singolare occasione per riscoprire il mondo delle «Madonne da vestire», presentando un gruppo di statue a grandezza naturale, a� ancate da un nucleo di sculture da presepio e da una candida galleria di «Marie Bambine», altra e� gie di� usa nel culto dome-stico cui i devoti si a� davano per invocare guarigioni miracolose, una prole numerosa per le giovani spose e protezione per neonati e donne gravide.Tutto ruota attorno al ritrovamento a Verdello di due e� gi mariane di grandi dimensioni – la «Madonna Immacolata» del Colabiolo di sotto e la «Madonna del Rosario» del cortile di Levate – in origine scolpite per la parrocchiale e poi per decenni custodite in cortili privati e utilizzate per erigere altarini tempo-ranei, ornati di verde e � ori di carta, nell’occasione delle processioni solenni. Una peculiarità, questa, riscontrata solo a Verdello dove, come sottolinea Scotti, «ciascuna di queste statue fu oggetto di culto domestico e di contemplazione pubblica, nell’ambito di un cortile contadino». Le due Madonne sono state recuperate, restaurate e rivestite di nuovi abiti, con la sorpresa di riuscire a restituire dopo circa 70 anni alle braccia della Madonna del Rosario il suo Bambino, ritrovato tra gli arredi mobili della parrocchiale. Si è così scoperto che c’è ancora chi conserva grande interesse per il fascino emanato dalle statue da vestire, come il parroco monsignor Arturo Bellini, che ricorda con tenerezza: «una volta, quando ero in terza o quarta elementare, accompagnai mia madre per il rito della vestizione della Madonna, detta del Riscatto, posta all’altare laterale della parrocchiale di Villongo Sant’Alessandro… quando già la Madonna era

vestita e avvolta in un manto bellissimo, feci la mia parte, annodando sulla mano del Bambino Gesù una preziosa corona». O come testimonia il coinvolgimento della comunità di Verdello che nell’occasione della mostra ha eccezio-nalmente fatto «uscire» dalle proprie case le preziose campane di vetro che custodiscono Maria Bambina.

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- I NOMI DELLE PERSONE CHE INVIERANNO LE OFFERTE VERRANNO PUBBLICATI SUL GIORNALE “AMICI DI PAPA GIOVANNI”

Scopo principale di questo organismo è quello di promuovere, di mantenere ed amplifi care il messaggio di Papa Giovanni XXIII che racchiude una forte attualità così come rappresenta per l’intera umanità un progetto di costrut-tore all’insegna dell’amore e della pace. I soci fondatori del Comitato presie-

duto da Mons. Gianni Carzaniga in qualità di rappresentante delegato del vescovo di Bergamo, sono: Monsignor Marino Bertocchi, già parroco di Sotto il Monte, padre Antonino Tagliabue curatore della pinacoteca Giovanna di Baccanello, suor Gervasia Asioli assistente volontaria nelle carceri, padre Vittorino Joannes al servizio del personale di Angelo Roncalli Nunzio Apostolico a Parigi. A sostegno delle iniziative dell’Associazione, informiamo i nostri lettori, devoti di papa Giovanni XXIII, della possibilità di celebrare Sante Messe per sè e per i propri cari:

ASSOCIAZIONE AMICI DI PAPA GIOVANNI XXIIILe offerte vanno indirizzate sul C.C.P. 16466245 Amici di Papa Giovanni

Via Madonna della Neve, 26 - 24121 Bergamo specifi cando la destinazione

Bergamo Via Madonna della Neve, 24 - tel. 0353591011 - fax 035271021www.amicidipapagiovanni.it e.mail: [email protected]

OFFERTE PER SANTE MESSE

Per la celebrazione di una Santa Messa per i tuoi cari, vivi o defunti, inviare la richiesta e i dati all’Associa-zione Amici di Papa Giovanni.L’offerta è subordinata alla possibilità del richiedente.

ACCENDI UN CERO

L’Associazione si incarica di accendere un cero a Papa Giovanni XXIII su richiesta dei lettori.Per questo servizio si ri-chiede una simbolica offer-ta libera che verrà utilizzata interamente per le azioni benefi che sostenute dall’As-sociazione.

IL SUFFRAGIO PERPETUO

Il “perpetuo suffragio” è un’opera che si propone di dare un aiuto spirituale ai defunti, di stabilire un lega-me di preghiera fra l’Associazione Amici di Papa Gio-vanni XXIII e i fedeli del papa della Bontà e di dare anche un aiuto materiale per promuovere le iniziative dell’Associazione.Il “perpetuo suffragio” consiste in Sante messe, che l’Associazione è tenuta a far celebrare per i suoi so-stenitori.Si iscrivono i defunti o anche i viventi, a proprio van-taggio in vita e in morte. L’iscrizione può essere per un anno o in “perpetuo”.

• Iscrizioni perpetue € 200• Iscrizioni per un anno € 80

Per gli iscritti al suffragio annuale o perpetuo una San-ta messa viene celebrata ogni mese, a tutti verrà invia-ta pergamena di attestazione

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Direttore responsabileMonsignor

Giovanni Carzaniga

Direttore editorialeClaudio Gualdi

EDITRICE BERGAMASCA

Direzione e Redazione:Via Madonna della Neve, 26

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COME FARE L’ABBONAMENTOUtilizzate un modulo per il versamento su c/c postale n. 97111322 oppure tramite vaglia postale intestato a:

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