papa giovanni giugno2012

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“Una mostra per tornare allo spirito del Concilio” Roncalli: “Amo la patria, l’onestà e la gente semplice” Aspettando la Pasqua ascoltò le sinfonie di Beethoven Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB BERGAMO - In caso di mancato recapito restituire al mittente che si impegna a pagare la relativa tassa (Anno XXIX) Nuova serie - Anno 11 n. 3 - Maggio/Guiugno 2012 - Amici di Papa Giovanni - CONTIENE I.R. MAGGIO - GIUGNO 2012 Con quell’abbraccio espresse tutto il suo amore per l’Italia Papa maggio-giugno2012.indd 1 09/05/12 09.43

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rivista bimestrale papa giovanni

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“Una mostraper tornare allo spirito

del Concilio”

Roncalli: “Amola patria, l’onestà

e la gentesemplice”

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MAGGIO - GIUGNO 2012

“ Con quell’abbraccio espressetutto il suo amore per l’Italia “

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Sotto la protezione di Papa Giovanni

Inviate la fotografi a dei vostri bambini ad: via Madonna della Neve, 24 - 24121 BergamoInviate la fotografi a dei vostri bambini ad: via Madonna della Neve, 24 - 24121 BergamoInviate la fotografi a dei vostri bambini ad: via Madonna della Neve, 24 - 24121 BergamoInviate la fotografi a dei vostri bambini ad: via Madonna della Neve, 24 - 24121 Bergamo

RICORDIAMO CHE PER RICEVERE UNO DEI SEGUENTI OMAGGI:CALENDARIO CON LA FOTOGRAFIA DEI BAMBINI, LA PERGAMENA PER

IL BATTESIMO, LA PRIMA COMUNIONE, IL MATRIMONIO, E’ NECESSARIO INDICARE L’INDIRIZZO COMPLETO A CUI INVIARLO

I nonni Giovanna e Mariochiedono e affidano

al Papa Buono la sua benedizionee protezione per la loro

nipotina Ludovica

E’ NECESSARIO INDICARE L’INDIRIZZO COMPLETO A CUI INVIARLO

”LUDOVICA

FEDERICO

La bisonna Federicaaffida a papa Giovanni

il piccolo Federico“

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“Una mostraper tornare allo spirito

del Concilio”

Roncalli: “Amola patria, l’onestà

e la gentesemplice”

Aspettando la Pasqua

ascoltò le sinfonie di Beethoven

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MAGGIO - GIUGNO 2012

“ Con quell’abbraccio espressetutto il suo amore per l’Italia “

Redazione: mons. Gianni Carzaniga mons. Marino Bertocchi

don Oliviero Giuliani Claudio GualdiPietro Vermigli

Giulia CortinovisMarta Gritti

Vincenzo Andraous padre Antonino Tagliabue

Luna Gualdi

Coordinamento redazionale: Francesco Lamberini

Fotografi e: Archivio del Seminario Vescovile di Bergamo, Archivio “Amici di Papa

Giovanni”, Archivio “Fondazione BeatoPapa Giovanni XXIII”

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n. 3 bimestralemaggio/giugno

Direttore responsabileMonsignor

Giovanni Carzaniga

Direttore editorialeClaudio Gualdi

EDITRICE BERGAMASCAISTITUTO EDITORIALE JOANNES

Anno XXIX

Direzione e Redazionevia Madonna della Neve, 26/24

24121 BergamoTel. 035 3591 011Fax 035 3591117

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CON QUELL’ABBRACCIO ESPRESSE TUTTO

IL SUO AMORE PER L’ITALIA)4

ASPETTANDO LA PASQUA ASCOLTÒ TUTTE

LE SINFONIE DI BEETHOVEN

RONCALLI: «AMO LA PATRIA, L’ONESTÀ

E LA GENTE SEMPLICE»

«UNA MOSTRA PER TORNARE ALLO SPIRITO

DEL CONCILIO»

«DEVO IMPARARE A FAR TESORO SEMPRE PIÙ

DEL MIO TEMPO»

PELLEGRINAGGIO NELLA TERRA NATALE DI KAROL WOJTYLA

MARCIA PER LA VITA, UNA SFIDA CHE VA RACCOLTA DAI GIOVANI

DON SEGHEZZI, UN EROE CRISTIANO SEMPRE ATTUALE

DA MEDICO A PRETE: «OGGI MI PRENDO CURA DELL’ANIMA»

GHIAIE: CATECHESI, STORIA E LEGGENDA A RADIO MARIA

S O M M A R I O

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della consegna del premio Balzan, per la pace, che gli era stato conferito». Monsignor Loris Capovilla parla nel suo studio di Cà Maitino, dalle � nestre si vede il sole che tramonta. Ha il � sico minuto, la memoria di ferro. Racconta: «Quando siamo passati davanti all’altare della Patria il Papa si è alzato nella vettura, c’era un sacco di gente nelle strade che lo acclamava. Si è alzato in piedi, ha benedetto il monumento del milite ignoto. E mi ha raccontato di Domenicuccio. Era il marzo del 1917, il Papa era cappellano negli ospedali militari di Bergamo, fra i tanti ricoverati c’era un ragazzo di Ascoli Piceno di diciannove anni, Domenico Orazi, aveva la polmonite, presa nella trincea».

Il sacco leggero«Don Angelo gli stette accanto, lo consolò, pregò per lui, scrisse di lui sul suo diario: “Che caro giovane questo Orazi Domenico... Umile contadino ha l’anima pura come un angelo. Gli traluce dagli occhi intelligenti, dal sorriso ingenuo e buono. Stamane e stasera sentendolo ragionarmi all’orecchio mi intene-riva... Per me, signor cappellano – mi disse – morire ora è una ricchezza, io muoio volentieri, perché sento ancora per grazia di Dio, di aver l’anima innocente. Se morissi più vecchio, chi sa, chi sa, il sacco diverrebbe pesante... E io invece, caro Menicuccio, voglio pregare tanto il Signore perché ti lasci vivo per lunghi anni. Il mondo ha bisogno della permanenza di queste anime elette e semplici... e anche noi sacerdoti ne abbiamo bisogno per sentirci edi� cati alla virtù e allo zelo”». Invece Menicuccio morì, morì nel giorno di Pasqua, l’8 aprile del 1917. Annotò il cappellano Roncalli: «Il mio caro soldato Domenico Orazi è morto oggi improvvisamente al Ricovero Nuovo, dove l’avevano trasportato per un’operazione chirurgica... Finché l’Italia ha di questi � glioli che salgono al cielo non

A V V E N I M E N T I

Nello scorso mese di dicembre si sono chiuse le celebrazioni per i 150 anni dell’unità d’Italia. Con il proposito di sollecitare ulteriori ri� essioni, il quotidiano L’Eco di Bergamo ha ritenuto oppor-tuno presentare all’inizio di gennaio due servizi, a � rma di Paolo Aresi, per stimolare il confronto con episodi che esprimono il sentimento di Patria che caratterizzava Papa Giovanni XXIII. Entrambi gli articoli, quello che segue e l’altro a pagina 6, li riproponiamo ai nostri lettori.

< Era l’11 maggio del 1963, il Papa era nell’ultimo mese della sua vita, era stanco, si muoveva con di� coltà. Ma Giovanni XXIII

amava la sua Italia e non poteva non recarsi al Quiri-nale dal presidente della Repubblica nell’occasione

CON QUELL’ABBRACCIO ESPRESSETUTTO IL SUO AMORE PER L’ITALIAMaggio 1963: Roncalli stravolse il protocollo incontrando il Presidente al Quirinale

nale dal presidente della Repubblica nell’occasione

Un primo piano sorridente di Papa Giovanni XXIII

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a v v e n i m e n t i

può dubitare delle benedizioni di Dio».Monsignor Capovilla si interrompe, guarda per un momento verso la � nestra, poi continua: «Papa Giovanni nell’auto mi raccontò questa storia. Era una delle manifestazioni di stima e di amore nei confronti dell’Italia».Capovilla, segretario del Roncalli cardinale a Venezia e poi Ponte� ce, ha novantasei anni, vive a Sotto il Monte, continua il suo lavoro infaticabile: tenere viva nel mondo e fare conoscere la testimonianza della vita di Papa Giovanni XXIII, il Ponte� ce che ha cambiato la storia della Chiesa con il suo atteg-giamento, con i suoi modi, le sue parole, e con la convocazione del Concilio Vaticano.

Un gesto d’a� ettoContinua il racconto di quell’11 maggio 1963: «Arri-vammo al Quirinale, per il Papa era un sacri� cio, ma lo aveva deciso proprio come atto di deferenza verso il suo Paese, riconoscendo di dovere molto non solo alla sua Bergamo, ma all’Italia intera. Me lo con� dò poco prima di arrivare. Il Papa scese dall’auto, tenne il discorso. Fu un discorso improntato al tema della pace, Papa Giovanni ribadì la necessità di una pace fra i popoli che fosse stabilita da un “retto ordine basato sulla verità, costruito secondo giustizia, vivi� cato e integrato dalla carità e posto in atto dalla libertà”. Terminò l’incontro, il protocollo prevedeva in� ne la stretta di mano con il presidente della Repubblica prima di risalire in auto; il Papa strinse la mano di Antonio Segni e poi stravolse il protocollo, abbracciò il presidente, disse: “A lei e all’Italia”».Roncalli e l’Italia. Da adolescente, Angelo Roncalli aveva divorato “Il Bel Paese” di Antonio Stoppani mandandone a memoria non poche pagine. Dice Capovilla, in questo freddo pomeriggio d’inverno: «Un’altra situazione in cui mi manifestò il suo amore per la Patria, intesa come radici comuni, come patrimonio di cultura e di valori, fu quando decise di recarsi in pellegrinaggio a Loreto e ad Assisi, in treno, attraversando i luoghi che erano appartenuti allo Stato Ponti� cio».

Viaggio in treno«Il Papa a� rontò quel viaggio non come un principe

deposto, ma come un padre, senza nessuna intenzione di qualsivoglia rivalsa. Il treno attraversò regioni “rosse”, passò da Terni dove c’erano le grandi acciaierie che non chiusero certo per il passaggio del convoglio papale. Ma furono gli stessi operai a lasciare il posto di lavoro per andare nelle stazioni, lungo i binari, e acclamare il Ponte� ce». Capovilla prende un volume dalla scrivania, lo apre, dice: «Papa Giovanni teneva un minuzioso diario, � n dalla giovane età; annotò in quella sera di giovedì 4 ottobre 1962, festa di San Francesco, patrono d’Italia: “Questa è data da scriversi aureo colore nella mia vita: il pellegrinaggio che volli fare – e pochi giorni bastarono al concepirlo, al farlo e a riuscirvi con l’aiuto del Signore – alla Madonna di Loreto e a S. Francesco di Assisi, come implorazione straordinaria di grazia per il Concilio Ecumenico, Vaticano II. Lo pensai, al solito, con semplicità... Scrivo questa nota al termine della giornata che di fatto resterà una delle più sante e felici del mio umile ponti� cato”».

deposto, ma come un padre, senza nessuna intenzione

Il Pontefi ce in treno mentre si reca in pellegrinaggio a Loreto

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Ha scritto monsignor Loris Capovilla, arcivescovo emerito di Mesembria, per tanti anni segretario del cardinale e poi Papa Roncalli: «Amico degli umili e degli ultimi, rimase col cuore sempre accanto ad essi, ne parlava e scriveva correntemente la lingua irta di asprezze aspirate e gutturali, ne intuiva le necessità, ne interpretava i profondi desideri. Non aveva di� coltà a conversare con loro, perché non gli erano estranei non solo gli assillanti problemi quotidiani, ma nemmeno le lontane motivazioni... Desiderò la pace religiosa d’Italia come premessa della e� ettiva unità degli italiani e dell’apporto di tutti alla edi� cazione di una società più giusta. Fece volentieri il servizio militare per dimostrare, giovane ventenne, che i cattolici hanno un alto concetto del nome di patria. Negli anni 1915-1918 assolse con impegno il servizio di sergente di sanità dapprima, di tenente cappellano poi con la certezza di coope-rare, in quell’ora di sacri� cio tremendo e misterioso, all’incontro e all’intesa per i giorni della pace». Il futuro Papa visse intensamente la Prima Guerra Mondiale così come la seconda. Nella Seconda viveva lontano dall’Italia, in Turchia, come nunzio apostolico, e si impegnò per la pace, per salvare i più deboli, gli ebrei.

Sorgenti del malumoreLeggiamo alcuni passi scritti dal futuro Papa durante il 1918. Ecco quanto annotava il 31 gennaio: «Attra-verso a piedi le vie di Milano sino al Duomo: quanto paganesimo rivivo! Breve preghiera a S. Carlo per me, per i miei soldati, per la Chiesa, per la patria. Il Card. Arciv. mi accoglie sempre amabilissimo. Parliamo di guerra. Rilievi e considerazioni meste e gravi, un saggio di ciò che si prepara sott’acqua: la confessione di un prete liberale: “Sono cinquant’anni che i governi d’Italia stavano preparando la situazione attuale”. Io

A N N O T A Z I O N I

N el pensiero di Papa Giovanni XXIII la parola Italia evocava la terra, evocava il mondo contadino, i lavoratori che ogni

giorno si sacri� cavano per portare avanti la famiglia e il Paese. Evocava la tradizione, i valori cristiani della gente semplice, la bontà, il reciproco aiuto, l’onestà delle mani ruvide, degli obiettivi raggiunti a prezzo di dura fatica.

RONCALLI: «AMO LA PATRIA,L’ONESTÀ E LA GENTE SEMPLICE»

Risultano significative alcune riflessioni scritte nel 1918 dal futuro Papa Giovanni

Il Papa bergamasco nel bassorilievo eseguito sul portale della chiesa parrocchiale di Sotto il Monte

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Papa Giovanni nel quadro realizzato con tecnica mista dal pittore bergamasco Angelo Capelli nel 2003

a n n o t a z i o n i

amo l’Italia ma detesto i governi che l’hanno guidata sin qui. Altro è la patria ed altro è lo Stato. Bisogna distinguere sempre. Purtroppo c’è poco da sperare. Le cause delle nostre iatture sono notissime: e chi sta in alto va a perdersi in piccinerie d’ogni specie. Si va a caccia del disfattismo dove non ce n’è, e si trascurano le vere sorgenti del malumore. Purché si faccia dell’anticlericalismo... Io però ripeto a S. E. che se il clero nostro sarà santo e disinteressato, l’Italia domani sarà della Chiesa e di Cristo ancora... Alla stazione di Milano piccola cena con due uova al tegame lire 1,40 senza il resto: siamo in guerra...».E il primo di febbraio annotava: «Mio fratello Zaverio è tornato da Ancona con alcuni giorni di licenza... Riferisce d’aver sentito dire che i Tedeschi ripetono degli Italiani: “Soldati di ferro: cannoni di legno: u� ciali di carta”. Sarà probabilmente una � aba però è espressiva». Il 9 maggio: «Molti soldati a S. Spirito per la messa consueta. Da Pasqua ad ora veramente la loro frequenza è confortante. Ascoltano volentieri la buona parola che loro rivolgo, anche se è quasi sempre la stessa: conforto, coraggio, e unione con Cristo so� erente nei dolori dell’umanità». Il 31 maggio: «Per domenica è indetta una grande dimostrazione cittadina in omaggio all’esercito. A tutto si è pensato fuorché a far sentire un po’ di messa ai nostri soldati; i quali si troveranno, come altre volte, in faccia alla solita contraddizione: si vuol sollevare il loro morale e si trascura l’elemento religioso che per moltissimi è il solo che ancora valga qualche cosa».

Accuse ingiusteIl 9 luglio, illustrando la conversazione con i profes-sori del Seminario, a tavola: «Per gli Imperi Centrali non vi sono che attenuanti: per l’Intesa non vi sono che accuse. Io non dissimulo a me stesso i torti dell’In-tesa, in particolare dell’Italia... ma che tutta l’anima

sacerdotale sia volta a deplorare con astio, con acre ironia, quasi con malcelato desiderio del fuoco dal cielo, questi difetti, questi errori dei governi e delle sette, senza che per la Patria ci sia una parola buona mai, mai e tutto sia volto in ridicolo, in sospetto, in condanna, mentre è pur certo che anche in Italia in mezzo a tanto male della guerra c’è pure tanto bene, e non si può ammettere che proprio tutti quelli che comandano siano dei male intenzionati, queste abitudini di mente, di spirito, di linguaggio io non le capisco e tanto meno comprendo come la si possa comporre coi buoni principi evangelici di cui siamo maestri ai popoli».

Papa Benedetto XVI ha festeggiato, nello scorso mese di aprile, una doppia ricorrenza: lunedì 16 il suo 85° compleanno e il 19 i sette anni dalla sua elezione avvenuta nel 2005. Signi-fi cative sono state le attività che hanno

contrassegnato fi nora il suo pontifi cato: tre encicliche, tre esortazioni aposto-liche conseguenti ad altrettanti Sinodi sull’Eucarestia, la Parola e l’Africa, due libri su Gesù, tre Giornate mondiali della gioventù, 26 viaggi apostolici in Italia e

23 fuori, 63 nuovi cardinali, innumerevoli udienze, discorsi, omelie e messaggi. In questo percorso Ratzinger ha avuto modo di farsi conoscere e apprezzare per le sue doti di maestro eccezionale, soprattutto nei confronti dei giovani.

Doppia ricorrenza ad aprile per Papa Benedetto XVI

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avvenuta l’11 ottobre del 1962, dal testo autografo del discorso di Giovanni XXIII per quell’occasione alla Bolla di apertura, «Humanae salutis», al calice che il Beato donò alla basilica il 25 gennaio del 1959, a copie anastatiche di tre pagine de L’Osservatore Romano di quel giorno. Sul pavimento una lastra d’acciaio traforata al laser riproduce la pianta della basilica, del chiostro e della sala del monastero dove Giovanni XXIII diede l’annuncio. Su due monitor scorrono fotogra� e digitalizzate del 1959 e del 1962, mentre ampio spazio è dedicato ai reperti � latelici e numismatici dell’epoca. Tra i documenti più suggestivi un’immagine in bianco e nero di Karol Wojtyla durante i lavori del Concilio e il passaporto di servizio che gli fu rilasciato dalla Santa Sede per l’occasione.La mostra, ideata dal cardinale Francesco Monte-risi, arciprete della basilica di San Paolo con i suoi collaboratori e dall’abate Edmund Power osb, con l’allestimento dell’architetto torinese Maria Pia Dal Bianco, rimarrà aperta � no al 24 novembre 2013. Gli orari sono quelli di apertura della basilica: tutti i giorni, dalle 7.30 alle 18.30.«Presso il Sepolcro glorioso dell’Apostolo delle genti, si è svolta ieri la prima visita di Giovanni XXIII all’abbazia e alla basilica di San Paolo». Iniziava così la cronaca riportata sull’Osservatore romano della visita del «Papa buono» alla tomba dell’apostolo il 25 gennaio 1959, destinata a rimanere nella storia perché Giovanni XXIII colse proprio quell’occasione per dare l’annuncio della prossima convocazione del Concilio Vaticano II. In pratica la mostra «Sanctus Paulus extra moenia et Concilium Oecumenicum Vaticanum II» racconta attraverso documenti, foto e altri oggetti il cammino di preparazione alla grande assemblea. Alcuni aspetti

I N I Z I A T I V E

< Stasera quanto tornerete a casa fate una carezza ai vostri bambini...»: può capitare di essere accolti in un chiostro dalla voce di

Giovanni XXIII con il suo famoso «Discorso della Luna» di cinquant’anni fa, all’apertura del Concilio Vaticano II. Se poi nella sala è distesa una giganto-gra� a dell’aula conciliare con le sue ordinate � le di vescovi attorno alla navata centrale di San Pietro, allora si è arrivati alla mostra «Sanctus Paulus extra moenia et Concilium Oecumenicum Vaticanum II» allestita nella Pinacoteca del chiostro della basilica di San Paolo fuori le Mura a Roma per ricordare il mezzo secolo trascorso dall’inizio del Concilio, il cui annuncio fu dato da Giovanni XXIII proprio in questo luogo il 25 gennaio del 1959. Questo l’inizio del servizio, a � rma di Chiara Santomiero, proposto su L’Eco di Bergamo alla � ne dello scorso febbraio, che poi così prosegue.Fanno parte dell’esposizione oggetti e documenti legati all’annuncio del Concilio e alla sua apertura

«UNA MOSTRA PER TORNAREALLO SPIRITO DEL CONCILIO»

Allestita nella basilica romana di S. Paolo, ricorda l’annuncio dato da Giovanni XXIII

La sala centrale della mostra, con la gigantografi a della navata di San Pietro durante il Concilio

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Santuari mariani, un patrimonio di fede e storia

dell’iniziativa sono spiegati dal cardinale arciprete di San Paolo, Francesco Monterisi, che ha risposto ad alcune domande.Come è nata l’idea di questa mostra?«Dopo l’annuncio, avvenuto proprio nella Basilica di San Paolo, dell’intenzione di convocare un Concilio, passarono tre anni prima della sua celebrazione, il tempo necessario per prepararlo. Anche tra la pubblicazione da parte di Benedetto XVI del “Motu proprio”” con il quale ha indetto uno speciale Anno della fede e l’inizio della sua celebrazione – l’11 ottobre prossimo, cinquantesimo anniversario del giorno di apertura del Concilio – trascorreranno alcuni mesi di preparazione. Abbiamo pensato di riunire degli oggetti che ricordano l’annuncio di Giovanni XXIII e i primi passi del Vaticano II in una mostra che svolga non solo una funzione di memoria storica di avvenimenti centrali per la vita della Chiesa e del mondo, ma sia anche di prepa-razione per i fedeli che la visitano durante questo

anno straordinario voluto dal Papa nel solco del Concilio».La basilica di San Paolo ha un legame particolare con i Ponte� ci?«I Papi hanno trovato spesso qui una sorta di pulpito particolare per annunciare eventi che riguardano non solo la Chiesa universale ma anche il mondo. Di sicuro questo avvenne a Giovanni XXIII quando dichiarò la sua intenzione ai cardinali e ai monaci benedettini dell’abbazia riuniti per la festa della conversione di San Paolo, nel 1959. Sempre qui, nel giugno di due anni fa, Benedetto XVI ha annunciato la creazione del Ponti� cio consiglio per la nuova evangelizzazione. In entrambi i casi l’intento dei Papi è stato quello di mettersi nella scia dell’apostolo San Paolo, il grande missionario entusiasta del Vangelo che percorse lungamente le strade del mondo per proclamare alle culture del suo tempo la buona notizia della vittoria di Cristo sulla morte attraverso la croce».

i n i z i a t i v e

La processione tenuta nel Comune di Ardesio

Si racconta che già i capitani della Serenissima Repubblica veneta che governavano il territorio di Bergamo (1428-1796) restavano meravigliati per la diffusione capillare di santuari mariani. Questa realtà era e rimane un patrimonio sentito dalla gente in ogni epoca. Lo «zelo per la casa di Maria» si esprime con restauri e feste solenni negli anniversari delle Appa-rizioni, ancor più se sono ricorrenze centenarie.Tra i più recenti anniversari va citato il 5° centenario dell’Apparizione (28 aprile 1510) nel santuario della Madonna della Castagna in località Fontana, sui Colli di Bergamo Alta, il più antico della città. Le iniziative reli-giose – durate un anno e concluse con l’intervento del vescovo Francesco Beschi – hanno raccolto vasta rispon-denza. C’è stata anche la ristampa anastatica della storia del santuario scritta nel 1910 dall’allora don Angelo Giuseppe Roncalli, futuro Papa Giovanni XXIII. Un altro anniversario è del 2007 nel santuario della Madonna

delle Grazie ad Ardesio (Bergamo) per il 4° centenario dell’Apparizione (23 giugno 1607). Fra le iniziative anche un convegno sulla fi gura di Maria e la rappresentazione sacra «Vestita di luce». Grandi solennità nel 2002 anche per il 4° centenario dell’Appa-rizione (18 giugno 1602) nel santuario di Bergamo dell’Addolorata in Borgo Santa Caterina, restituito all’antico splendore. Nell’occasione sono state predisposte diverse iniziative pastorali e un volume sulla storia del santuario.Anche gli anniversari dell’incorona-zione vengono ricordati con solennità. Nel 2009, il santuario della Madonna della Gamba a Desenzano di Albino (Bergamo) ha ricordato il 150° dell’in-coronazione (10 ottobre 1858): per l’occasione, dopo vent’anni è stato portato in processione il simulacro settecentesco dell’Apparizione. Nello stesso anno nel santuario del Buon Consiglio a Villa di Serio (Bergamo) è stato ricordato il 90° dell’incoronazione (27 aprile 1919), voluta dai reduci della Grande guerra

come ringraziamento. Nel 2008, è stata la volta del centenario dell’in-coronazione della Madonna della Cornabusa (4 ottobre 1908), nella grotta-santuario di Cepino Imagna (Bergamo). Venne incoronata dal cardinale Pietro Maffi , arcivescovo di Pisa. Presente il vescovo di Bergamo Giacomo Maria Radini Tedeschi con il segretario don Angelo Roncalli che, cardinale patriarca di Venezia, nell’agosto del 1958, a due mesi dell’elezione pontifi cia, presenziò al 50° dell’incoronazione.

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Il giovane vescovo polacco Karol Wojtyla (al centro) sui banchi del Concilio

nuovi dogmi ma – in senso pastorale – per una nuova presentazione del cristianesimo che fosse compresa dai contemporanei e accolta. Il Papa si preoccupava che la Chiesa presentasse il messaggio di Cristo in modo adeguato – “aggiornamento” era la parola chiave – alla società contemporanea». E’ lo stesso obiettivo della «nuova evangelizza-zione» di oggi?«Sostanzialmente lo stesso, dopo 50 anni. Nuove realtà sono sorte ma la continuità del Concilio rappresenta una garanzia dell’integrità della fede. Per questo Benedetto XVI insiste molto sulla sua corretta interpretazione: il Concilio non è stato una rivoluzione ma un aggiornamento nella continuità. Dobbiamo tornare allo stesso spirito di apertura al mondo contemporaneo con una presentazione del cristianesimo adatta ai nuovi problemi che l’umanità ora si pone». Su cosa mette l’accento la mostra?«Sul Vangelo. Durante le sessioni del Concilio ogni mattina un evangeliario veniva intronizzato al centro della navata di San Pietro per indicare che era quella la base delle discussioni e dei lavori. Per questo su una parete della mostra abbiamo collocato quattro quadri del 1600 che ra� gurano gli evangelisti. Un evento importante in questo percorso di prepara-zione è stata anche la beati� cazione di Giuseppe Toniolo che è avvenuta nella basilica lo scorso 29 aprile: nell’ottica di un annuncio del Vangelo con più entusiasmo, è importante ricordare quei cristiani che hanno avuto il coraggio di una serena testimo-nianza di fede in ambienti laici come l’Università».Quali sono gli oggetti più importanti esposti?«I due autogra� di Giovanni XXIII – uno è il testo del discorso con il quale annunciò il Concilio – il calice che o� rì in quell’occasione all’abbazia, e un oggetto che suscita una certa curiosità: il passaporto di servizio che la Santa Sede preparò per l’ausiliare di Cracovia monsignor Karol Wojtyla. Poiché era di� cile per un polacco ottenere il passaporto per venire in Italia, la Santa Sede ottenne il visto ma su un proprio passaporto di servizio: così Wojtyla poté venire al Concilio e iniziare quel percorso che lo avrebbe portato a diventare il Beato Giovanni Paolo II».

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Si può intravedere quindi una continuità tra i due annunci?«In mostra sono esposte le note autografe di prepa-razione del discorso che Giovanni XXIII pronunciò nel primo giorno del Concilio ecumenico, in italiano – anche se il discorso fu poi pronunciato in latino; e abbiamo anche il video e l’audio di quel discorso. Il primo obiettivo del Concilio è la ria� ermazione della fede nella sua integrità, non per proclamare

11 ottobre 1962: solenne apertura del Concilio ecumenico Vaticano II

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«DEVO IMPARARE A FAR TESOROSEMPRE PIÙ DEL MIO TEMPO»

Questa riflessione dominava il trentacinquenne Angelo Roncalli durante la Quaresima

< Faceva come aveva imparato nella sua Sotto il Monte, nella sua famiglia contadina. Faceva la Quaresima in modo semplice. Al mattino

beveva il ca� è senza mettere lo zucchero...». Monsi-gnor Capovilla parla di come Papa Giovanni a� ron-tava i «quaranta giorni di deserto», di preparazione alla passione e alla resurrezione di Gesù. L’articolo che pubblichiamo, a � rma di Paolo Aresi, è stato proposto a metà marzo su L’Eco di Bergamo, in vista della Pasqua che si è celebrata l’8 aprile.Dice Capovilla nel suo studio di Cà Maitino a Sotto il Monte: «Ogni giorno il Papa meditava sulla pas-sione di Cristo, ogni giorno. Sempre il Papa dedi-cava alla meditazione una parte della giornata, ma durante la Quaresima la sua ri� essione si occupava in particolare di quei temi. Papa Giovanni è sempre stato frugale, ma durante la Quaresima non pren-deva il suo bicchiere di vino né a pranzo né a cena. E alla sera non guardava la televisione, nemmeno il telegiornale. Era un digiuno televisivo, sì. Oggi ce ne sarebbe bisogno molto più di ieri».Digiuno televisivo, digiuno da Internet. Digiuno da una dimensione che per una parte della popolazio-ne è diventata una dipendenza. Condizionati dalle immagini, da Internet, dal proprio smartphone. Il senso del digiuno, dice Capovilla, non è la privazione pura e semplice. E’ il dimostrare che come uomini siamo di più delle nostre abitudini. Continua l’arcivescovo che è stato segretario del cardinal Roncalli a Venezia e poi di Papa Roncalli a Roma: «Alla sera Giovanni XXIII ascoltava una sin-fonia di Beethoven, diceva che quella musica aveva qualcosa di profondamente religioso. E al venerdì digiunava, sebbene avesse superato ampiamente l’età nella quale la Chiesa chiede ai suoi fedeli di astenersi dal cibo».Insieme all’arcivescovo Capovilla facciamo un salto

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indietro nel tempo. Era il mercoledì delle Ceneri del 1917. Don Angelo Roncalli aveva 35 anni, era im-pegnato come cappellano militare nell’ospedale di Bergamo che raccoglieva feriti e malati che arriva-vano dal fronte. Quel primo giorno di Quaresima scriveva: «Penitenza, raccoglimento, preghiera. Così intendo passare la S. Quaresima. Come richiamo a tutti i miei doveri propongo di levarmi sempre dal letto alle ore 6 tutte le mattine. Devo imparare a far tesoro sempre più del mio tempo, pensando che la mia età presente è quella dei frutti più abbondanti e migliori». Il discorso del tempo, del produrre frutto, dell’esse-re il meglio di se stessi è sempre presente nel futuro Papa. Ecco che cosa scriveva durante la Quaresima del 1945. Il vescovo Roncalli era appena stato no-minato nunzio apostolico a Parigi: «Ciò che è avve-nuto della mia povera vita in questi tre mesi, non cessa di recarmi stupore e confusione. Quante vol-te non mi accadde di confermare il buon principio di non preoccuparmi di nulla, di non cercare nulla

Papa Giovanni durante la visita alla parrocchia romana di Centocelle domenica 6 marzo 1960

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possa essere quaggiù, perché lo voglio santi� cato e santi� catore...». Ancora scriveva il futuro Papa in quei giorni in cui la terribile guerra volgeva al termine: «A dare sempli-cità a tutto ricorderò le virtù teologali e le cardinali. La prima delle cardinali è la prudenza. E’ qui che si battono, e spesso restano battuti, Papi, vescovi, re e comandanti. Questa è la virtù caratteristica del di-plomatico. Io debbo averne un culto di preferenza. A sera un esame rigoroso. La mia facilità di parola mi sospinge sovente alla esuberanza nelle mie manife-stazioni verbali. Attento, attento; saper tacere, saper parlare con misura; sapermi astenere dal giudicare le persone... Specialmente vigilare alla salvaguardia del-la carità. Questa è la mia regula».Nel 1930 monsignor Roncalli era visitatore aposto-lico in Bulgaria. Scriveva durante la Quaresima: «Di questa calma e letizia voglia il Signore sia sempre più penetrata dentro e fuori tutta la mia persona e tutta la mia vita. Ciò non costa moltissimo alla mia na-tura; ma le di� coltà e i contrasti possono turbarmi nell’avvenire. Sarò ben vigilante per la custodia di questa gioia interiore ed esteriore. Bisogna saper sof-frire senza neanche far intendere che si so� re: non fu questo uno degli ultimi insegnamenti di monsignor Radini?... L’immagine di S. Francesco di Sales che mi piace, “Io sono come un uccello che canta in un bo-sco di spine”, deve essere un perenne invito per me». E ancora nel periodo di Quaresima, in un’omelia del 1928: «Vorrei fare il giro del mondo e non predicare che questo, perché in realtà qui c’è veramente tutto. Nella carità splende la nostra comunione con Cristo, l’onore e la gioia della vita presente, il pegno della gloria futura. Fratelli, amiamoci fra di noi come il nostro Gesù ci ha amato».

quanto al mio avvenire! Eccomi da Istanbul a Pari-gi: ed ecco superate – parmi felicemente – le prime di� coltà della introduzione...». Sempre nel diario di quel mese di marzo, durante il ritiro spirituale a Solesmes, il vescovo Roncalli annotava: «Non debbo nascondere a me stesso la verità. Sono incamminato decisamente verso la vecchiaia. Lo spirito reagisce e quasi protesta sentendomi ancora così giovane, ed alacre, ed agile e fresco. Ma basta un’occhiata allo specchio per confondermi. Questa è la stagione della maturità: debbo dunque produrre il più e il meglio, ri� ettendo che forse il tempo concessomi a vivere è breve e che mi trovo già vicino alle porte della eter-nità. A questo punto Ezechia si voltò verso il muro e pianse. Io non piango. Io non piango e neppure desidero tornare indietro per fare meglio. A� do alla misericordia del Signore quello che ho fatto, male o meno bene, e guardo all’avvenire, breve o lungo che

Una via Crucis del cardinal Roncalli a Venezia nel 1958

Era conosciuta come «la monaca degli angioletti» perché li costruiva ricavandoli dal cartone, li colorava e li donava ai fedeli che frequentano la chiesa del monastero benedettino di Santa Grata. E’ morta lo scorso 18 febbraio suor Flavia Rossi. Aveva 76 anni. Era nata il 20 novembre 1935 a Fontanella al Piano (Bergamo) e battezzata con il nome di

Luigia. Il 27 agosto 1957 entrò in mona-stero, assumendo il nome di Flavia. Dopo alcuni anni si ammalò gravemente, ma poi si ristabilì. «Era veramente un’anima gioiosa e semplice, capace di trasmettere gioia a tutti», ricorda la madre badessa Clementina Salvioni. Suor Flavia era soprattutto famosa per la sua arte di fabbricante di angioletti, che ricavava dal

cartone e che poi colorava con i pastelli. In occasione delle feste natalizie, le sue abili mani riuscivano a fabbricarne oltre duemila. Li donava a parenti, benefattori, fedeli e amici del monastero. Pregava anche per le vocazioni. I funerali si sono tenuti nella chiesa del monastero. La salma è stata poi trasportata nella parroc-chiale di Fontanella.

Addio a suor Flavia, la «monaca degli angioletti»

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ASPETTANDO LA PASQUA ASCOLTÒTUTTE LE SINFONIE DI BEETHOVEN

Era il 1963 e rappresentò la colonna sonora dell’ultima primavera del futuro Beato

P enitenza e morti� cazione. E’ il binomio quaresimale che ha timbrato tutte le sta-gioni del cammino verso la Pasqua di

Angelo Giuseppe Roncalli. Dal giorno della Prima Comunione «ricevuta un mattino di Quaresima freddo e senza solennità nella chiesa di Santa Maria di Brusicco» � no all’ultima Quaresima del 1963, «la prima dopo l’inizio del Concilio», il giovane Angelino diventato Giovanni XXIII, non manche-rà mai di abbracciare questo tempo liturgico nella sua pienezza. Il seguente articolo che proponiamo, scritto da Emanuele Roncalli, pronipote del Papa bergamasco, è tratto da L’Eco di Bergamo che l’ha proposto lo scorso 18 marzo, nel suo inserto dome-nicale «Vita della Chiesa».Gli scritti del Ponte� ce, i diari personali aiutano a comprendere il senso della Quaresima per Roncalli. In altre pagine emergono ri� essioni attribuibili più a un Papa Pastore. E’ il caso delle lettere ai familia-ri, che in parte sono una vera e propria catechesi rivolta ai suoi cari sui tempi liturgici dell’anno. La Quaresima, dunque, spiegata alla gente semplice e umile, come quella del suo paese natale.

I ricordi d’infanzia«Serietà, temperanza, morti� cazione, raccoglimen-to, preghiere» sono i proponimenti del 24enne Roncalli (26 febbraio 1903). Non parla di digiuno, non ce n’era bisogno viste le ristrettezze della fami-glia. Sullo sfondo dei ricordi emerge la campagna sottomontese, vero preludio pasquale: l’odore delle zolle smosse dalla vanga, l’incedere lento del padre con il secchio della semina, la � oritura, una tavola senza carne e il venerdì l’arrivo del carretto del pe-sce dell’Adda portato da un ambulante di Brivio.Il digiuno – come segno del vivere la Parola di Dio – per Roncalli non poteva essere legato (solo) a pri-

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vazioni alimentari, all’astinenza dalle carni. In una lettera al fratello Giovanni, inviata da So� a il 28 marzo 1928, annoterà: «Nei prossimi giorni cercate di procurare buone impressioni ai bambini. Tutto parla alla loro immaginazione e ai loro cuori quello che vedono in chiesa nella settimana santa. Bisogna condurli e spiegar loro bene tutto. Attraverso que-sti piccoli � li che sono le impressioni dell’infanzia, il Signore attacca spesso le grandi grazie del loro avvenire».E più oltre. «Bisogna poi insegnare a tutti che il modo di piacere al Signore consiste non solo nella obbedienza e nella pietà, ma ancor nel saper mor-ti� carsi nelle piccole cose. I bambini non possono digiunare. Però bisogna abituarli al saper astenersi da qualche piccola cosa per amore del Signore; ed a fare poi liberamente le loro piccole morti� cazioni».Un concetto che il vescovo Roncalli declinerà da Papa 35 anni dopo, allorquando nel radiomessaggio del 27 febbraio 1963 così si esprimerà: «Le pratiche esterne hanno il loro valore, ma bisogna appro� tta-re della Quaresima per applicarsi al gravissimo do-vere dell’istruzione religiosa e per dare alla peniten-za vera ed e� cace il posto che le compete, secondo la vocazione e le condizioni di ciascuno». In un’altra missiva al nipote Battista da Parigi il 28 febbraio 1949 riecheggia ancora una volta la catechesi: «Ora comincia la Quaresima. Cerca di penetrarti dello spirito di penitenza e di morti� -cazione: non come tanti novellini che guardano a queste pratiche come a delle cose sorpassate, e non pensano che sono più necessarie che mai come rea-zione allo spirito del secolo che è tutto divertirsi, far quattrini ed imporsi. Colla Quaresima comincia il mese di San Giuseppe, che è il patrono della vita interiore. Tu sai quanto io l’ami e come io ponga in lui la con� denza più assoluta».

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Lasciata la Francia, il cardinale Roncalli farà il suo ingresso a Venezia come Patriarca proprio una do-menica di Quaresima. Da Papa ripristinerà le messe stazionali quaresimali.

Fino al XII secolo, era usanza che i fedeli cammi-nassero scalzi dalla basilica di Sant’Anastasia � no alla basilica di Santa Sabina, sull’Aventino, dove i Ponte� ci celebravano la messa stazionale. La pratica fu sospesa nel Settecento e poi ripresa da Giovanni XXIII nel 1962, con inizio dalla chiesa benedettina di Sant’Alselmo, a poca distanza da Santa Sabina. Nell’intento del Ponte� ce vi era anche la volontà di appro� ttare del tempo quaresimale per fare vi-sita alle chiese di Roma dei quartieri periferici. Un modo per avvicinarsi alla gente più lontana.Tornato dalle messe stazionali, Papa Roncalli (nel 1963 era già gravemente malato) si concedeva un riposo, leggendo o ascoltando musica classica. «Nell’ultima sua Quaresima – rivelerà il suo segre-tario monsignor Loris Capovilla – volle ascoltare tutte e nove le sinfonie di Beethoven». Una musi-ca carica di tensioni ed emozioni. Colonna sonora dell’ultima primavera del futuro Beato.

Pazienza e mitezzaCome già accennato, Papa Giovanni XXIII durante le domeniche di Quaresima usciva da San Pietro e si recava in diverse chiese della sua diocesi di Roma, la diocesi di cui il Papa è anche vescovo. Prediligeva i quartieri popolari, perciò lo si ritrova a Centocel-le, a Primavalle, al quartiere Nomentano... Arrivava con l’auto papale, scendeva sul sagrato, salutava la folla. C’era molta semplicità in questi spostamenti. E proprio in questa semplicità, testimonia l’arci-vescovo Loris Capovilla, Papa Giovanni si trovava benissimo. «Capitava – dice Capovilla – che, quan-do l’auto papale passava in mezzo al tra� co senza sta� ette della polizia, la gente la riconoscesse meno facilmente. Ma qualche volta la riconosceva e allo-ra salutava, si sbracciava e il Papa rispondeva con gioia. E qualche volta mi diceva che avrebbe voluto camminare in mezzo alla gente, per strada, sempli-cemente». «La Quaresima – aggiunge Capovilla – partiva con la celebrazione nella magni� ca basilica in Laterano. Il Papa invece decise di partire da una chiesa umile e andò a Centocelle. Le accoglienze cominciarono in forma trionfale � n dalle prime vie del quartiere, non si può immaginare il tripudio che caratterizzò

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Roncalli nel 1902 a Bergamo, soldato del 73° Reggimento fanteria

stazionali quaresimali.

Settembre 1918: Roncalli (il secondo seduto da sinistra) con i compagni dell’unità sanitaria durante la

prima guerra mondiale

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l’avvenimento. Il Papa disse: “Qui tutti i cuori sono tranquilli, tutti i cuori sono riposati; sgorga dall’in-timo il sentimento della lode al Signore e della dif-fusione della fratellanza”».Quando nel pomeriggio di domenica 20 marzo 1960 arrivò a Primavalle si trovò davanti alla nuo-vissima chiesa del quartiere e disse: «Si a� erma, di solito, che unicamente gli antichi sapevano costru-ire magni� che chiese. Anche i moderni riescono a farle, un po’ a modo loro, ma portando tuttavia qualche nota che risponde al sentire del momen-to... quando, in una comunità, si innalza una chie-sa, anche i cuori si elevano: e c’è un’aura di soavità che si propaga in tutte le case... Ma ancora più bella della chiesa è la presenza del popolo in essa; è la partecipazione data al rito quaresimale, tanto sem-plice e signi� cativo». E Papa Giovanni quel giorno andò alle radici della nostra religione, disse: «Che cosa si fa nella chie-sa? Innanzitutto il grande Sacri� cio. Ogni cristiano sa che la storia della propria fede incomincia con l’Angelus domini nuntiavit Mariae... Con la reden-zione la terra è unita al cielo... Il Salvatore redime l’uomo e lo fa attraverso il sacri� cio».Papa Giovanni venne de� nito «il Papa buono» pri-ma che l’aggettivo «buono» cadesse in disuso, so-stituito dalla sua accezione negativa, «buonismo», una sorta di condiscendenza – di comodo – verso tutto e tutti. Ma che cosa intendeva lo stesso Papa Roncalli per «bontà»? Disse quel giorno a Prima-valle: «L’esercizio della fraternità, della pazienza; la costanza nel compatire, nel sopportare, nella disci-plina interna del carattere e nei rapporti della vita sociale». Essere miti, essere umili di cuore.Pochi mesi prima di morire, il 27 febbraio del 1963, mercoledì delle Ceneri, il Santo Padre rivolse ai fedeli di tutto il mondo un radiomessaggio che venne trasmesso alle otto di sera. Parlò dalla sua biblioteca privata della Quaresima come del tem-po più indicato per realizzare «la legge dell’amore», disse: «Un amore che per edi� care gli uomini vuol dare ad essi la conoscenza di quelle verità che ri-schiarano il cammino, dissipano i dubbi, vincono ogni debolezza; di un amore che si o� re in esempio di austerità di costume, di gaudio sereno, di armo-

niosa convivenza domestica e sociale... Ecco come, con la istituzione della Quaresima, la Chiesa non conduce i suoi � gli a semplice esercizio di pratiche esteriori, ma ad impegno serio di amore e di gene-rosità per il bene dei fratelli, alla luce dell’antico insegnamento dei profeti: “Non è piuttosto questo il digiuno che io amo? Sciogli i legami dell’empie-tà – ammonisce Isaia – manda liberi gli oppressi, e rompi ogni gravame. Spezza il tuo pane all’a� ama-to e apri la tua casa ai poveri e ai raminghi... Allora la tua luce spunterà come il mattino”». E poi Papa Giovanni concludeva: «Salga questa preghiera, in questa sera di sereno raccoglimento, dalle singole case ove si lavora, si ama, si so� re».

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niosa convivenza domestica e sociale... Ecco come,

Papa Giovanni durante la visita nella parrocchia romana di Primavalle nel 1960

Un momento della predicazione del Papa durante la visita a Centocelle, il 6 marzo 1960

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GHIAIE: CATECHESI, STORIAE LEGGENDA A RADIO MARIA

Le risposte ai dieci capitoli della «leggenda» secondo monsignor Marino Bertocchi

faccendato; solo persone serie, oneste e preparate, ne hanno parlato: Padre Tentori, la dott.ssa Lucia Amour e tanti altri.c) Tutte le pubblicazioni sulle «Ghiaie» sono a favore delle apparizioni. Allora, caro don Marino, non è che tu sia infastidito dal fatto che nessuno abbia sposato la tua tesi?Vediamo i capitoli principali della «leggenda», trattati da mons. Bertocchi

1) Il silenzio sulla contrarietà delle apparizioni da parte dei parroci della zonaCome si fa a parlare di silenzio dei parroci, quando lo sapevano anche i sassi? Piuttosto, come spiegare la loro sicurezza, fondata su principi di teologia ascetica, manifestata già nelle prime settimane, senza bisogno di interrogare la bambina, senza conoscere i messaggi e tutto quanto avvenuto dopo le negazioni? «Non crediamo perché abbiamo veduto»: così af-fermarono i quattro parroci dell’Isola. Ma che cosa avranno mai visto? Mi lascia molto perplesso questa loro eccessiva sicurezza. I quattro parroci dell’Isola af-fermarono inoltre che «alla luce dei più elementari e sicuri principi di teologia ascetica, non vi è altra con-seguenza logica che questa: i fatti delle Ghiaie sono di origine umana».Caro don Marino, seguendo tali ragionamenti si po-trebbe sostenere che anche i fatti di Lourdes, Fatima ecc. siano di origine umana. E mi permetto di aggiun-gere che c’è stato chi ha manifestato, e manifesta, una sicurezza a favore delle apparizioni mariane, senza ri-correre ad alcun principio di teologia ascetica. Ne cito alcuni: Padre Stefano Lamera, don Piccardi, mons. Battaglia, � no a esponenti della vita religiosa dei gior-ni nostri come Padre Maria Tentori, Padre Tognetti, Padre Gabriele Amorth e tanti laici come la dott.ssa Lucia Amour.

T orniamo sull’argomento Ghiaie di Bonate. Lo spunto ci viene o� erto da una lettera pervenutaci da don Sandro Longo, seguita

da una serie di precisazioni.Carissimo Direttore, sulla rivista da lei diretta, «Amici di Papa Giovanni», a fatica trovo scritti a favore delle presunte apparizioni delle Ghiaie. Sempre e solo articoli di mons. Marino Bertocchi, visceralmente contrario alle presunte appa-rizioni; nell’articolo apparso nel numero di maggio-giugno della sopracitata rivista, è tornato con insi-stenza sulla leggenda «Ghiaie di Bonate», ripetendo la stessa tesi � no alla noia.a) Già la parola «leggenda» appare dispregiativa per un credente. Ho tentato di contare quante volte questa parola è stata usata nell’articolo, ma poi ci ho rinun-ciato.b) Seguo Radio Maria da anni e non mi risulta che l’emittente abbia più di tanto divulgato quanto si è detto o scritto riguardo a questo a� aire. Non ho mai sentito Padre Livio parlarne, in tutt’altre faccende af-sentito Padre Livio parlarne, in tutt’altre faccende af-

La piccola Adelaide Roncalli, a 7 anni, in un momento di estasi

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Fiori e ceri sul luogo delle apparizioni in un’immagine del 1947

La folla sui luoghi delle apparizioni in una foto del 1958

La testimonianza di don Stefano Lamera a favore delle apparizioni merita un accenno, visto che è contem-poranea a quella dei quattro parroci suddetti. Don Stefano, anche lui di origini bergamasche, un Paolino doc, collaboratore diretto di don Giacomo Alberione, sacerdote pubblicista di Famiglia Cristiana e di altre testate, responsabile di un movimento spirituale che raggruppa vescovi, sacerdoti e laici, grande innamora-to di Maria, morto in concetto di santità, si dichiara a favore delle apparizioni. La sua testimonianza fa da contrappeso a quella dei quattro parroci, ne riduce la forza, o, quantomeno, ha lo stesso valore. Perché è sta-ta snobbata la sua testimonianza?2) La reticenza sul numero delle negazioni di Ade-laideSulle negazioni della bambina non è ammessa reti-cenza, anzi, Adelaide stessa lo ha spiegato. Padre Ga-briele Amorth a� erma a tal proposito: «Non stupisce questa dichiarazione: era più facile seguire l’indirizzo del professor Cortesi, che dare credito a una bambi-na povera e ignorante […]. Due, quattro o quaranta siano le negazioni non fa alcuna di� erenza, perché era una piccola terrorizzata, e sappiamo da chi». Le a� er-mazioni positive di Adelaide non cambiano più � no all’ultima, fatta davanti al notaio in data 28.02.1989. Ma perché cercare di svuotare la ritrattazione di Ade-laide, fortemente condizionata da don Cortesi. Anche l’aver terrorizzato la fanciulla, dicendole che se avesse detto di aver visto la Madonna avrebbe fatto peccato, è una leggenda, caro don Marino?3) Il silenzio sui motivi del cambiamento di don CortesiDon Marino ha a� ermato a riguardo che «la leggenda ha o� erto un vuoto assoluto». Bravo, caro don Ma-rino, perché tu che sei così informato non ci spieghi questa a� ermazione? Io ho tentato di dare una spiega-zione nella mia relazione al vescovo. 4) La lamentela che Adelaide non ha avuto l’avvo-cato al processoRiguardo a questo punto, che cosa hai da dire, caro don Marino? Adelaide veramente in grado di rispon-dere da sola, senza l’ausilio di un avvocato? Ma ti rendi conto di ciò che dici? E’ vero o no che mons. Bramini fu presente una sola volta durante il processo? E’ vero che in quei giorni è andato a interrogare una veggente,

anch’essa interessata al fenomeno? E’ vero che scrive al cardinal Biondi della S. Congregazione «De propa-ganda � de», invitandolo a intervenire, perché aveva capito l’orientamento dei commissari? Nella lettera mandata a quest’ultimo, mons. Bramini dichiara: «Si deve intervenire prestissimo per arrestare almeno la marcia a grandi passi verso il pronunciamento nega-tivo». Anche per questo fatto si è dimesso prima del giudizio conclusivo della Commissione? E poi, quan-te cose dire sul processo. Che valore ha un interroga-torio a una bambina senza la presenza di un adulto? E la par condicio, dov’è in questo processo? A mio parere appare evidente solo il forte condizionamento di don Cortesi sui commissari, da grande � gura di statura morale e culturale qual era. E’ da considerare linciag-gio esprimere parere contrario, criticare il voltafaccia

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clamoroso di don Cortesi, essere favorevole, chiedere una revisione del processo?5) La lamentela che al processo non sono stati esa-minati i miracoliTu stesso lo ammetti e sposti il problema e, in questo modo, i miracoli registrati ai tempi delle presunte ap-parizioni e soprattutto le decine di avvenimenti che si sono riscontrati nei decenni successivi contano meno di zero. Caro don Marino, tu sposti il problema, di-cevo, con un ragionamento che ritengo contraddi-torio e viziato alle origini. Mi spiego meglio: in un primo momento a� ermi che «la cosa è certa, ma la leggenda non informa che la decisione risale al San-to U� cio». Ma certo, se al Santo U� cio si dice che non constat, era ovvio si arrivasse alla conclusione che «era inutile prendere in esame alcune guarigioni, se non risultavano su� cientemente provate», suggeren-do una clausola concernente le dette guarigioni, da aggiungere al giudizio de� nitivo. Come si vede, se è vero quanto dice il Santo U� cio, è altrettanto vero che tutto è condizionato dal giudizio della Commis-sione. Se secondo la commissione Adelaide era una bugiarda, allora è certo che anche il giudizio del Santo U� cio si sia posto sulla stessa linea d’onda. A confer-ma di questo ragionamento, ecco quanto dice mons. Bernareggi: «Si potrebbe anche dire che sono avvenuti dei miracoli, ma se la bambina dice che non è vero, che cosa me ne faccio di questa a� ermazione?». Mi permetto di ricordare una miracolosa guarigione: un reduce della campagna di Russia, rimpatriato cieco, causa una granata scoppiatagli in faccia, recuperò la vista alle «Ghiaie» il 13.07.1944, nonostante entram-be le cornee, da un punto di vista � siologico, fossero rimaste bruciate. Un miracolo che a Lourdes il bureau médical de� nì «supermiracolo». 6) La richiesta che il processo, ritenuto invalido, andrebbe rifattoCosì hanno chiesto e chiedono in molti, dai vesco-vi Battaglia e Benedetti rivolti a Papa Giovanni, da mons. Bramini che si è rivolto al Santo U� cio, ai vari Padri Testori, Tognetti, Amorth e Lucia Amour. «La risposta della Santa Sede fu sempre negativa: questo ri� uto continuo della Santa Sede di rivedere il pro-cesso, signi� cherà pur qualcosa?», così a� erma don Marino. Caro don Marino, per quale motivo ne sei

così sicuro? Non ti viene il dubbio che tutto sia sta-to condizionato da ciò che è stato detto a Bergamo? «Non essendovi norme giuridiche penali per processi di questo genere, il giudizio apparteneva alla potestà amministrativa». Va bene, ma allora chi decide? Il Santo U� cio, il CDC (Codice Diritto Canonico) o il giudizio amministrativo? Anche un profano come me, al quale non interessa disquisire in materia giuridica ma esaminare quanto avvenuto a diversi livelli, viene spontaneo chiedere una revisione in merito, non tan-to per a� ermare la veridicità delle apparizioni, ma per fare giustizia ad Adelaide e ai famigliari e per riparare un processo che lo stesso don Marino dice non essere esente da lacune. Che cosa aspettiamo? Adelaide ha 73 anni!Un processo senza avvocato difensore, inoltre, è una cosa che non sta né in cielo né in terra, come insegna qualsiasi civiltà. Come spiegare questo fatto? L’impu-tata è una ragazza di 7 anni! Che dire? C’è solo da ver-gognarsi! Anche questa andrebbe aggiunta alle tante vergogne per le quali Giovanni Paolo II si è scusato durante il Giubileo del 2000. Va aggiunto inoltre che il tribunale ecclesiastico esamina in sei sedute (dal 21 maggio 1947 al 10 giugno 1947) solo alcuni aspet-ti della vicenda, tralasciandone altri come messaggi, miracoli, relazioni mediche di Padre Gemelli e tutto quanto avvenuto successivamente. A Lourdes e a Fati-ma i processi sono durati rispettivamente 4 e 8 anni, per non parlare del processo di Medjugorie, tuttora in atto per opera di una commissione speciale pre-sieduta dal cardinal Ruini. L’esperta Commissione di Bergamo, invece, risolse tutto in 41 giorni e, questo, fa molto ri� ettere. A questo proposito il vescovo di Tarbes dice: «La Commissione non deve tralasciare nulla per avere chiarimenti e raggiungere la verità, qualunque essa sia». Come spiegare tutto quanto successo a Bergamo? Eccesso di zelo, fretta di concludere, troppa sicurezza dei commissari? Forse un po’ di umiltà, di prudenza e di pazienza in più non sarebbero state inappropriate. Manco a dirlo, tutti questi ragionamenti portano a una conclusione: il processo va ripreso. Don Sandro Longo

1 – continua

e v e n t i

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Piero Vavassori durante l’ordinazione diaconale a Roma. Il vescovo ordinante è mons. Javier Echevarria, vescovo

prelato della Prelatura dell’Opus Dei

P E R S O N A G G I

DA MEDICO A PRETE: «OGGIMI PRENDO CURA DELL’ANIMA»

Pronipote di don Bepo e gastroenterologo, Piero Vavassori si è dedicato al sacerdozio

F ra i ricordi di bambino c’è don Bepo Va-vassori che � nge che il cucù abbia porta-to le caramelle. C’è il Tilio, il giardiniere

matto che al Patronato di Bergamo aveva trovato quiete e dignità. Ci sono le strade e la parrocchia della Malpensata, tra la ferrovia e i quartieri ancora operai. Piero Vavassori, pronipote del fondatore del Patro-nato San Vincenzo, a 42 anni, lasciando il lavoro di medico e docente universitario, è stato ordinato sacerdote il 14 maggio dello scorso anno a Roma nella Basilica di Sant’Eugenio a Valle Giulia. Il 22 maggio alle 10,30 don Vavassori ha poi celebra-to la Messa nella parrocchia di Santa Croce alla Malpensata (Bergamo) con il parroco don Angelo Bettoni e con il superiore generale del Patronato don Giuseppe Bracchi. Su questa storia riportiamo un’intervista di Susanna Pesenti apparsa su L’Eco di Bergamo.Professor Vavassori, l’aspetta un bel cambia-mento.«Non così grande, è una storia lunga...».Proviamo dall’inizio.«All’inizio c’è la mia famiglia, mia madre Maliuc-ci, mio padre Sandro, che per molti anni è stato caporedattore a L’Eco di Bergamo, mia sorella Ma-ria. Sono andato alle elementari alla Malpensata e alle medie Mazzi. Ho frequentato il Liceo Lussana cercando di studiare il meno possibile. Una ragaz-za, amici, l’università. Lì ho cominciato a studiare davvero perché la medicina mi interessava».La laurea, la specializzazione in gastroentero-logia, il dottorato e poi la ricerca a Roma Tor Vergata.«Per quindici anni ho fatto il mio lavoro, diver-tendomi molto. D’estate prendevo i miei allievi e andavamo a lavorare come medici volontari in

Bolivia, in Polonia, in tutto il mondo. L’idea del sacerdozio non c’era proprio, però una vocazio-ne l’avevo, a 23 anni sono entrato nell’Opus Dei come numerario. I numerari sono coloro che de-cidono di restare celibi per essere a disposizione dell’organizzazione».Perché l’Opus Dei?«Mio padre ne faceva parte. La cosa non mi ave-va mai interessato, da studente frequentavo San Giorgio. Poi, mentre studiavo a Roma, mi sono avvicinato. Quando ne ho parlato con un gesuita mio amico, mi ha detto “se è questo che senti,

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devi seguire la tua strada”. In realtà la mia vita quotidiana non è poi cambiata, è cambiata la pro-spettiva. Avevo più di 35 anni quando ho capito che il sacerdozio mi interessava. A mio padre ho cominciato a dire che volevo lasciare la professione medica...».Non sarà stato entusiasta...«No, infatti. Per due anni sono andato a dirige-re una struttura dell’opera a Perugia, giusto per capire se resistevo lontano dalla ricerca. Poi sono tornato a Roma e ho a� rontato gli studi di teolo-gia, il primo grado in Italia, laurea e dottorato a Pamplona in Spagna».Che ricordi ha di don Bepo prete, che le possa-no essere utili ora?«I miei ricordi arrivano � no ai miei sette anni, an-davamo a trovarlo al Patronato e ci portava nel suo studio. Ricordo il suo modo di fare. Ricordo so-prattutto l’atmosfera del Patronato, quella capacità di accoglienza totale che ti faceva sentire a posto, perché accettato com’eri. E per com’eri, si trovava un posto per te, il posto giusto che ti rendeva utile. Questo è quello che ho respirato da bambino, a parte poi la presenza del prozio nella storia e nelle storie della nostra famiglia, e penso che questo mi sarà utile nel sacerdozio, perché lavorerò a contat-to con la gente: formazione, direzione spirituale».E dal lavoro di medico cosa si porta?«Tener conto della persona intera, come facevano i vecchi medici prima della tecnologia. La medi-cina ancora oggi può fare poco sui problemi dav-vero gravi. Un medico vero se ne rende conto e sa quando il suo compito diventa stare accanto, con-dividere, incoraggiare. Anche un prete tocca con mano le miserie umane. Può essere rigido oppure può dire: guardiamo in faccia la situazione, così non va, ma si può ricominciare. La fede è comin-ciare e ricominciare. L’obiettivo è diventare santi, cioè innamorarsi di Dio con il proprio cuore di uomini».Dalla gastroenterologia a qui, pare proprio un bel cambiamento...«Mah, io sono una persona pratica: la scelta vera è stata a 23 anni, ho lasciato la mia ragazza e pre-so una direzione precisa. Il resto, viene di conse-

guenza».A suo giudizio, qual è la priorità che mette in agenda, quello di cui questo momento storico ha bisogno?«Come cristiani abbiamo bisogno di più forma-zione ora, che in passato. In un mondo complesso e che va spesso da tutt’altra parte, senza idee chia-re e cultura solida rischiamo di perdere il senso di noi stessi».

La prelatura dell’Opus DeiL’Opus Dei è stato fondato nel 1928 e nel 1941 ricevette l’approvazione del vescovo di Madrid, nel 1947 quella della Santa Sede. Dal 1982 è una Prelatura personale della Chiesa Cattolica. Il Concilio Vaticano II ha creato la � gura giuri-dica delle prelature personali per permettere lo svolgimento di speci� che missioni pastorali. Le prelature personali formano parte della struttura gerarchica della Chiesa. Sono composte da laici e sacerdoti i quali, sotto l’autorità di un prelato, cooperano organicamente per portare avanti la missione propria di ciascuna prelatura. L’attività dell’Opus Dei si riassume nella forma-zione dei fedeli della Prelatura a� nché ciascuno possa svolgere, nel posto che occupa nella Chiesa e nel mondo, una multiforme attività apostolica. L’apostolato delle persone dell’Opus Dei si svolge nell’ambito del carisma speci� co della Prelatura: la santi� cazione nel lavoro e nelle realtà della vita ordinaria. In virtù del carattere esclusivamente spirituale della sua missione, la Prelatura non interviene nelle questioni temporali che i suoi fedeli devono a� rontare con completa libertà e responsabilità personali. Gli Statuti a� ermano che, per quanto riguarda l’attività professionale e le dottrine sociali, poli-tiche, ogni fedele della Prelatura, nei limiti della dottrina cattolica sulla fede e sui costumi, gode della stessa piena libertà degli altri cittadini cat-tolici. Su queste materie le autorità della Prelatura devo-no astenersi nel modo più assoluto anche solo dal dare consigli (sito internet: www.opusdei.it).

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La fi gura di don Antonio Seghezzi è stata al centro di un convegno organizzato dall’Anpi

DON SEGHEZZI, UN EROECRISTIANO SEMPRE ATTUALE

Un convegno ha evocato la figura del sacerdote deportato a Dachau e morto nel 1945

U n sacerdote che ha donato la propria vita per la conquista e la difesa della li-bertà nel nostro Paese e per evitare che

molti altri giovani fossero vittime, come lui, delle barbarie nazifasciste. La � gura e l’opera di don An-tonio Seghezzi, originario di Premolo (in provincia di Bergamo), morto nel campo di concentramento di Dachau il 21 maggio 1945, sono state al centro di un convegno promosso dall’Anpi (Associazione nazionale partigiani d’Italia) di Bergamo, presso la sede Cisl in via Carnovali, alla � ne dello scorso ottobre. L’evento è stato riportato su L’Eco di Ber-gamo a � rma di Gianluigi Ravasio. Don Seghezzi, ordinato sacerdote nel 1929, viene inviato come cappellano militare in Eritrea nel 1935. Rientrato a Bergamo due anni dopo, viene nominato assistente della Gioventù maschile di Azione cattolica dal ve-scovo di Bergamo mons. Adriano Bernareggi. Dal 1940 risiede al Patronato San Vincenzo e diventa guida e padre spirituale di centinaia di giovani.Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, don Se-ghezzi sostiene la Resistenza e segue i suoi ragazzi in montagna. Ricercato dai nazifascisti, si consegna il 4 novembre del 1943 per evitare rappresaglie con-tro l’Azione cattolica e la Chiesa di Bergamo; viene processato, condannato ai lavori forzati e deporta-to in Germania. Nell’aprile 1945 viene trasferito a Dachau: ormai minato gravemente nel � sico per il duro lavoro, muore pochi giorni dopo la libera-zione del campo. Le spoglie di don Seghezzi, per il quale è in corso la causa di beati� cazione, riposano nella cripta della chiesa parrocchiale di Premolo.Salvo Parigi, presidente provinciale Anpi, che ha conosciuto personalmente don Seghezzi, lo ricorda «come un punto di riferimento per i giovani che non sapevano come orientarsi dopo l’8 settembre. E’ stato un eroe: ha avuto il coraggio di presentarsi

P E R S O N A G G I

ai tedeschi per evitare rappresaglie». L’insegnamen-to di don Seghezzi, prosegue Parigi, «è quello di un cattolico con una grande considerazione per il ri-spetto della persona umana». Il convegno sulla sua � gura si è posto l’obiettivo di riscoprire l’insegna-mento di don Seghezzi. Mons. Go� redo Zanchi, docente di storia della Chiesa, che ha tenuto la re-lazione durante il convegno, sottolinea la necessità di «ribadire le alte � nalità civili e politiche dell’op-posizione al nazifascismo. In don Seghezzi c’è una forte ispirazione morale e religiosa, è un sacerdote che vive nello spirito delle Beatitudini, che lavora per il Vangelo nella dedizione totale ai giovani». «E’ sorprendente – prosegue mons. Zanchi – vede-re questo prete di fronte ai drammi dell’occupazio-ne nazifascista: si impegna non solo sul piano spiri-tuale, ma anche per sostenere in modo concreto le prime forme di resistenza».

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La facciata del santuario della Madonna dei Campi a Stezzano

una donna vide una luce misteriosa e Maria con il Bimbo. La popolazione decise di costruire una chiesa dove fu a� rescata un’immagine mariana. Nel 1586 si veri� carono due eventi prodigiosi. Il primo avvenne fra maggio e novembre: dal pi-lastro su cui è posta l’immagine mariana sgorgò acqua copiosa, ritenuta miracolosa per le grazie ricevute. Il secondo evento avvenne il 12 luglio: dalla � nestra della chiesa, due fanciulle stezzanesi, Bartolomea Bucarelli e Dorotea Battistoni, videro una Signora vestita in abito scuro. La mano sini-stra reggeva un libro, mentre la destra indicava il Cielo. Come nella precedente Apparizione, Maria rimase in silenzio.Il volume, caratterizzato da un bellissimo appa-rato fotogra� co, è suddiviso in capitoletti. Nei primi due, «La linea del tempo» e «Memorie del santuario», sono riportate sinteticamente le date, le persone e gli avvenimenti più signi� cativi delle vicende storiche del santuario dai secoli lontani � no ai giorni nostri. Si parla anche della � gura e dell’attività che ca-ratterizzò il parroco don Sperandio Carminati, il quale rilanciò il ruolo del santuario nel paese. Poi il capitolo «Arte e artisti», con ra� gurazione e presentazione delle numerose opere d’arte. Quin-di «Notizie dagli antichi documenti» e lo spazio giustamente riservato agli ex voto del santuario. Gli altri capitoli parlano di avvenimenti, cappel-lani, romiti, forme di religiosità e «Amici del san-tuario», gruppo nato nel 1985 che si prende cura della chiesa e dell’area circostante. Insieme alla pubblicazione è stato distribuito anche un agile volumetto, curato dalla parrocchia, intitolato «Ri-cordando la festa», dove sono raccolti fotogra� e e interventi che hanno caratterizzato le celebrazioni tenute nello scorso anno.

I l territorio bergamasco, che ha dato i natali a Papa Giovanni XXIII, è sicura-mente ricco di luoghi di culto. Uno dei

più frequentati può essere considerato il santuario della Madonna dei Campi di Stezzano, Comune che sorge a pochi chilometri dal capoluogo. Su questa chiesa, sulle sue vicende storiche e sulla sua arte, è stato pubblicato di recente il volume «Il santuario di Nostra Signora della Preghiera nei campi di Stezzano». Su questo argomento propo-niamo un servizio giornalistico, a � rma di Car-melo Epis, apparso all’inizio di febbraio su L’Eco di Bergamo.La pubblicazione è stata pensata in occasione del 425° anniversario dell’Apparizione e preparata dal locale gruppo di ricerca «Stezzano la storia», con il patrocinio di Comune e Parrocchia e il contri-buto economico del centro commerciale «Le due torri».La storia del santuario a� onda le radici in due eventi prodigiosi. Nel luogo dove sorge il santua-rio, c’era una cappelletta. Nel 1200, al suo interno

UN LIBRO RACCONTA LA STORIADELLA MADONNA DEI CAMPI

Nel 425° anniversario dell’Apparizione al santuario di Stezzano, vicino a Bergamo

P U B B L I C A Z I O N I

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Una giovane mamma con il suo bambino

A V V E N I M E N T I

MARCIA PER LA VITA, UNA SFIDACHE VA RACCOLTA DAI GIOVANI

La 34° «Giornata» è stata celebrata domenica 5 febbraio in tutte le parrocchie italiane

< Giovani aperti alla vita» è stato il tema della 34ª Giornata per la vita, che si è celebrata domenica 5 febbraio in tutte le parrocchie

italiane. Nella diocesi di Bergamo, così come ripor-tato da L’Eco di Bergamo nel seguente servizio a � rma di Carmelo Epis, la veglia diocesana di pre-ghiera per la vita si è invece tenuta sabato 4 febbra-io. L’appuntamento è stato ospitato nella chiesa del Carmine, da dove, alle 16, ha preso il via la marcia per la vita che è con� uita in Cattedrale per la veglia, presieduta dal vescovo Francesco Beschi, durante la quale sono state raccontate le testimonianze di dife-sa della vita.In occasione della Giornata, i vescovi italiani hanno inviato un messaggio. «Educare i giovani a cercare la vera giovinezza, a compierne i desideri, i sogni, le esigenze in modo profondo, è una s� da oggi centra-le. Se non si educano i giovani al senso e dunque al rispetto e alla valorizzazione della vita, si � nisce per impoverire l’esistenza di tutti, si espone alla deriva la convivenza sociale e si facilita l’emarginazione di chi fa più fatica». I vescovi denunciano due grandi mali. «L’aborto e l’eutanasia sono le conseguenze estreme e tremen-de di una mentalità che, svilendo la vita, � nisce per farli apparire come il male minore: in realtà, la vita è un bene non negoziabile, perché qualsiasi com-promesso apre la strada alla prevaricazione su chi è debole e indifeso. In questi anni non solo gli indici demogra� ci ma anche ripetute drammatiche notizie sul ri� uto di vivere da parte di tanti ragazzi hanno angustiato l’animo di quanti provano rispetto e am-mirazione per il dono dell’esistenza».E’ necessario un rinnovato investimento educativo. «Per educare i giovani alla vita – scrivono ancora i vescovi italiani – occorrono adulti contenti del dono dell’esistenza, nei quali non prevalga il cinismo, il

calcolo o la ricerca del potere, della carriera o del divertimento � ne a se stesso. I giovani di oggi sono spesso in balia di strumenti, creati e manovrati da adulti e fonte di lauti guadagni, che tendono a sof-focare l’impegno nella realtà e la dedizione all’esi-stenza. Molti giovani non aspettano altro che un adulto carico di simpatia per la vita che propon-ga loro senza facili moralismi e senza ipocrisie una strada per sperimentare l’a� ascinante avventura della vita». Chi ama la vita – concludono i vescovi – non nega le di� coltà: si impegna, piuttosto, a educare i gio-vani a scoprire che cosa rende più aperti al manife-starsi del suo senso, a quella trascendenza a cui tutti anelano».

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Ringraziamo le persone che hanno sottoscritto abbonamenti al giornale e inviato offerte all’associazione Amici di Papa Giovanni

ANTONIAZZO MARIA CAVAGNINOBAIARDI ADRIANOBARAGLIA RENATABARBERINI PINUCCIOBARBESINO GIANCARLOBARZAGHI ANGELA DONZELLIBAZAN VANIABERLANDA ARMIDABERNO MONFRINOTTI LUIGINABERTOLDI ANTONIABONI PAOLOBONOMI ADELEBRACCHI ADELEBRUNELLI MARIA GRAZIACANNA CLARACARACCIOLO GINACAROLINI MARIACARONE ANGELACARRARA LANDINOCASTIGLIONI ANNACATTANEO LUCIACHIAMETTI NATALINACHIODO ISABELLACOLOMBO MARIA LUISACOMELLI MANSUETOCOPES OSVALDOCRIVELLARO ANITACRUSCANTI BENOCCI ADADAMIANO ANTONIODEGREGORI MARCODELLE VILLE ANNA MARIADI LIBERTO VITTORIO EMANUELEDI MUCCIO GIUSEPPEDONIZETTI BIANCADOTTI TERSA

FARES ALDOFELINI MARIAFLORIAN SILVIOFONTANA GIUSIFRANCESCHINELLI PIERAFRANZINI ANNAGABBIAZZI FABIOGALBUSERA MARIANGELAGORLA ELSA IOLANDAGRECO MATILDEGRILLI GIUSEPPEGROPPO DONATELLAINVERNIZZI PINUCCIALAPORTA PIEROLEDDA MADDALENALEONARDI ELISALIVRAGA BOMBELLI MARIALOCATELLI ELIDELOT MARIALOTTINI SILLALOVATI VILMALUNARDI ALDALUZZI DILIAMANO MARIA ROSAMARTINUZZI GIANPAOLOMASCI MARIA GRAZIAMILESI DOMENICOMONACO ROSA ERRIQUESMONCAVALO CARMENMORO ROBERTOMULAS ADANARDI RAFFAELENOBERASCO MARIA TERESANOVELLI ERSILIANOVENTA VITTORIA

PACHER GIULIETTAPARIANI ELDAPAULON CRISTINAPEDRANA LINAPERETTI MADDALENAPELLIZZAROLI POMPEOPERANO NATALINAPERISSUTTI RUBEN E MANUELPOLITI GRAZIELLARASA DAFFINI MARIA C.RAVIZZA DOMENICAREICH LEONARDELLI TERESARICCA FEDERIGON POLINARI GIOVANNARINALDI MADDALENASALATO ROSALIASALVI MARIA LUIGIASAPPA GIOVANNISCAPINELLO STELLASIGNORELLI RITASOLDARINI MARIA ED AUGUSTATADDEII NORINATANGHETTI COSTANZATINCA GEROLAMATRENTO ANTONELLATRONCHINI MARGHERITAVASSALLO ESTERINAVERCELLONE ZANI EMILIAVICARDI MARCHESI ANNA ANTONIOVIGANO FLORAZANOLLI LUCIAZANONI MARIAZIGGIOTTI MARIAZINI GUIDO

Per decenni è stata economa del monastero domenicano Matris Domini. Fra i suoi impegni anche la realizzazione del progetto «Culla per la vita» per i bimbi abbando-nati. Un male incurabile ha stron-cato, lo scorso 9 febbraio, la vita di suor Sarina Pintaudi op, priora del monastero di via Locatelli a Bergamo. Aveva 62 anni. Era nata il 20 marzo 1949 a Sant’Angelo di Brolo (Messina). A 8 anni con la famiglia emigrò a Torino, dove si diplomò in ragioneria, lavorando

poi come segretaria nell’ospedale torinese delle Molinette. Da tempo sentiva la vocazione contempla-tiva, che confidò a una monaca di Matris Domini incontrata durante una vacanza in Valle d’Aosta. Nel 1978 lasciò famiglia e lavoro per il monastero di via Locatelli dove, dopo gli anni di formazione, emise la professione perpetua. Grazie alla sua esperienza amministrativa, venne scelta come economa del monastero. Nel 2006, insieme all’allora priora suor Antonella

Sana, fu protagonista della realiz-zazione concreta del progetto «Culla per la vita», portato avanti dal Soroptimist Bergamo con altre associazioni, enti e organismi. In pratica una moderna «ruota» all’esterno del monastero, realiz-zata come una culla termica con allarme acustico attivato da un sensore, dove genitori, madri o parenti lasciano un neonato invece di abbandonarlo per strada o altri luoghi. Nel 2009 suor Sarina venne eletta priora del monastero.

Matris Domini, morta la priora suor Sarina Pintaudi

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A V V E N I M E N T I

E’ con grande emozione che ho accettato di dare la mia testimonianza. Sono rimasta profondamente colpita dal fatto di aver bene� ciato di questa grazia di guarigione e di sapere che essa ha contribuito al processo di beati� cazione di Papa Giovanni Paolo II. Ero malata e sono guarita. So� rivo del morbo di Parkinson dal 2001. Ero ancora giovane, avevo solo 40 anni. Dopo la diagnosi, avevo molta di� coltà a guardare Papa Giovanni Paolo II in televisione. Proponiamo il testo della testimonianza fornita da suor Marie Simon-Pierre a L’Eco di Bergamo e che il quotidiano ha pubblicato lo scorso anno.

E gli mi rinviava l’immagine della mia stessa malattia. Tuttavia, rimanevo molto vicino a lui con la preghiera. L’ho sempre ammirato,

ammiravo la sua umiltà, la sua forza, il suo coraggio. Il suo esempio e la sua testimonianza di completa dimenticanza della sua persona per dedicarsi al suo ministero, mi stimolavano nella fede e nella lotta per accettare questa so� erenza e per o� rirla, poiché senza amore tutto ciò non avrebbe senso. Sapevo che egli comprendeva ciò che io vivevo. Papa Giovanni Paolo II era per me un Pastore colmo di bontà e di tenerezza, un apostolo della misericordia. Era vicino a tutti, ai più deboli, ai più poveri, ai più piccoli, ai malati... Era un difensore della vita, della famiglia, della pace. Alla sua morte, ho sentito un grande vuoto, la sensazione di chi perde un amico, una persona cara, qualcuno che mi comprendeva.I segni clinici della malattia si sono aggravati nelle settimane successive alla morte di Giovanni Paolo II. Nel pomeriggio del 2 giugno ho chiesto alla superiora suor Marie � omas di trovare un’altra suora che si assumesse la responsabilità del servizio delle Maternità Cattoliche essendo io priva di forze, s� nita. Le dicevo che accettavo, nel più profondo di

me stessa, di essere un giorno su di una sedia a rotelle: la mia consacrazione religiosa non ne sarebbe stata indebolita, nulla, neanche la malattia mi avrebbe impedito di viverla � no alla � ne. Potevo continuare a o� rire la mia vita per la vita. Tale prospettiva non mi faceva più paura. «Non abbiate paura» aveva detto Giovanni Paolo II. Non aveva lui stesso so� erto e dato la sua vita � no alla � ne?La madre superiora mi ha ascoltato con attenzione e mi ha chiesto di attendere il ritorno dal pellegrinaggio a Lourdes che avrei fatto in agosto, ricordandomi che tutte le comunità pregavano per invocare la mia guarigione per intercessione di Giovanni Paolo II. Ed ha aggiunto: «Giovanni Paolo II non ha detto l’ultima parola». Mi chiese di scrivere il suo nome quando non potevo più scrivere. Poiché insisteva, dopo la

«ERO MALATA E SONO GUARITAWOJTYLA MI HA FATTO RINASCERE»

Il racconto della suora colpita dal morbo di Parkinson e miracolata da Giovanni Paolo

Fedeli in attesa della beatifi cazione di Papa Giovanni Paolo II in piazza San Pietro

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terza volta, ho scritto il nome di Giovanni Paolo II. Davanti alla mia calligra� a così poco leggibile, siamo rimaste insieme per un lungo tempo a pregare.Dalla sera del 14 maggio, tutta la congregazione aveva cominciato, senza interruzioni, una novena per chiedere la mia guarigione sperando che un miracolo contribuisse alla causa di beati� cazione di questo Papa che era stato tanto importante per il nostro istituto.Sono guarita nella notte dal 2 al 3 giugno 2005. Nella notte mi sono alzata con un balzo e sono scesa all’oratorio della Casa della Comunità per pregare davanti al Santissimo Sacramento. Una grande pace mi aveva invaso, una sensazione di benessere. Succes-sivamente, sempre davanti al Santissimo Sacramento, ho meditato i misteri luminosi del rosario di Giovanni Paolo II. Sono rimasta raccolta in preghiera � no alle 6, poi ho raggiunto la Comunità nella cappella per il tempo di preghiera seguito dalle Lodi e dall’Euca-restia. Dovevo percorrere circa 50 metri. Mi accorsi allora, mentre camminavo, che il mio braccio sinistro che era come morto a causa della malattia, ricomin-ciava a muoversi. Nel contempo provai una leggerezza in tutto il corpo, un’agilità che non provavo da tanto tempo. Nel corso di quella Eucarestia, fui pervasa da grande pace e da grande gioia.Era il 3 giugno, il giorno della solennità del Sacro Cuore di Gesù. Il nostro istituto ha una devozione particolare al Sacro Cuore. All’uscita dalla Messa sono

convinta di essere guarita. La mia mano sinistra – sono mancina – non trema più. Il mio viso è trasformato. Ricomincio a scrivere e a mezzogiorno interrompo di colpo tutte le terapie. Nel pomeriggio metto al corrente la superiora e non diciamo niente � no al 7 giugno. Il 7 giugno, come previsto, mi reco dal neurologo che constata con grande stupore la sparizione totale di tutti i segni clinici, fatica a comprendere il mio stato, mentre sono cinque giorni che non assumo più farmaci. Le Comunità renderanno grazie dalla sera del 7 giugno e manterranno il silenzio su ciò che è accaduto durante due anni. La mia guarigione era prima di tutto il risultato della preghiera di tutta una famiglia religiosa, un miracolo di fede.Sono sei anni che non assumo più farmaci. Dalla mia guarigione ho ritrovato un ritmo normale. Ciò che il Signore mi ha donato di vivere per l’intercessione di Giovanni Paolo II è un grande mistero di� cile da spiegare a parole, talmente grande, talmente forte... A oggi, questo mistero rimane e mi sento piccolissima davanti a una tale grazia, ma niente è impossibile a Dio. E’ come una seconda nascita, una nuova vita. Niente è più come prima. Sono prima di tutto attirata dall’Eucaristia e dall’Adorazione eucaristica, e il rosario non mi abbandona mai. Il 2 di ogni mese, alle 21, dedico un lungo tempo alla preghiera per rendere grazie al Signore per ciò che ha reso grande in me.Resto una piccola suora fra le altre piccole suore e tengo a compiere il mio servizio nella semplicità e nella gioia presso le madri e i neonati. Il Signore mi ha donato un amore e una attenzione più sollecita per i più fragili, coloro che il nostro mondo così spesso ri� uta, quei neonati portatori di handicap e per i quali Giovanni Paolo II provava tanto amore. Ora porto nella mia consacrazione specialmente le famiglie più provate, i malati colpiti dal Parkinson e gli altri malati che domandano la preghiera di tutta la nostra famiglia religiosa. La nostra missione di Piccole Suore delle Maternità Cattoliche, ci invia anche presso di loro e ci chiama a dire al mondo che la loro vita ha un valore, che grande è la loro dignità.

Suor Marie Simon-Pierre

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Joaquin Navarro Valls con suor Marie Simon-Pierre miracolata da Wojtyla

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Il depliant del pellegrinaggio in Polonia con l’immagine di Karol Wojtyla

I T I N E R A R I

I l pellegrinaggio diocesano con il vescovo di Bergamo, Francesco Beschi, ha per mèta quest’anno la Polonia nella seconda setti-

mana del prossimo mese di luglio. Due le formule rivolte ai fedeli che hanno intenzione di prendere parte all’itinerario: dal 9 al 16 luglio in pullman oppure dal 10 al 15 luglio in aereo. L’iniziativa è organizzata dal Centro diocesano pellegrinaggi e dalla Ovet viaggi e vacanze, l’agenzia che ha sede in viale Papa Giovanni XXIII a Bergamo e che ogni anno accompagna nei luoghi simbolo della cristianità migliaia di bergamaschi e quanti decidono di aderire alle proposte.Quest’anno la scelta è caduta sulla terra natale di un grande Papa, Giovanni Paolo II, il cui operato ha contrassegnato il passaggio dal secondo al terzo millennio. Il pellegrinaggio toccherà quelle località che a vario modo hanno contribuito alla crescita e alla formazione del Ponte� ce polacco, come ad esempio Cracovia, Wielickza, Kalwaria, Auschwitz, Czestochowa e Katowice.E’ lo stesso vescovo Francesco Beschi, nella lettera che compare sul catalogo Ovet 2012, ad invitare i bergamaschi in Polonia per provare questa grati� cante esperienza. «E’ un invito – si legge – alimentato dal desiderio di condividere con voi personalmente e con le comunità che intenderanno partecipare, un’espe-rienza intensa di fede, di ricerca, di vita, nel segno di un viaggio e di un viaggio speciale».«Ci muoviamo di città in città – aggiunge monsignor Beschi – di chiesa in chiesa, non soltanto con il corpo, con la testa, con il cuore, ma anche con lo spirito: quello che per alcuni è luogo interiore di ricerca e per gli altri è già sede dell’incontro e della relazione con Dio. Quest’anno la dimensione del pellegrinaggio è mariana e ci farà da guida un innamorato di Maria come lo è stato Giovanni Paolo II. Andiamo nella sua terra, a distanza di poco tempo dalla sua Beati� cazione,

per raggiungere quelle sorgenti umane, culturali, storiche e spirituali che ne hanno fatto il Testimone che abbiamo conosciuto. Andiamo nella sua patria, che ci è diventata più familiare attraverso lui, per comprendere come una terra e una storia connotano la fede di una comunità e di chi vi appartiene». Il programma completo del viaggio può essere visionato consultando il sito www.ovetviaggi.it.

Luna Gualdi

PELLEGRINAGGIO NELLA TERRANATALE DI KAROL WOJTYLA

E’ organizzato in Polonia per metà luglio con il vescovo di Bergamo Francesco Beschi

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Un’illustrazione di Marta Carraro tratta dal libro di mons. Bruno Forte «Dio è amore»

Dio, che cos’è la fede. L’articolo che proponiamo, a � rma di Sabrina Penteriani, è stato pubblicato su L’Eco di Bergamo a metà gennaio.Le domande dei bambini mettono spesso in crisi genitori, educatori e preti. Insegnare ai piccoli chi è Gesù, educarli ai valori cristiani, in una società in cui gli stimoli e i messaggi che circolano sono tanti e contraddittori è una s� da non da poco. Il primo a raccoglierla è proprio Papa Benedetto XVI. E con lui alcune delle voci più forti e autorevoli che la Chiesa può esprimere: oltre a Martini anche il teologo Bruno Forte. Questo solo per citare tre interessanti albi illustrati appena usciti che parlano ai bambini dei fondamenti della fede.Maria, la mamma di Gesù, con l’introduzione di Angelo Scola e le illustrazioni di Franco Vignazia (Piccola casa editrice, pagine 40, euro 10) unisce in un solo racconto alcuni brani tratti da interventi di Papa Ratzinger sulla � gura della Madonna. Il Papa parla di Maria a partire dal rapporto speciale che ogni bambino ha con la propria mamma: è il primo volto che impara a conoscere, e insieme il volto dell’amore e della tenerezza di Dio. «Seguendo il racconto del Papa – a� erma il cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano, nell’introduzione – vi accorgerete che la mamma di Gesù, concepita senza peccato, è davvero una come noi».Particolarmente interessanti i due titoli della collana «Se non diventerete come bambini» della San Paolo: ne fanno parte il libro già citato del cardinal Martini, illustrato con tocco ra� nato da Angelo Ruta e Dio è amore dell’arcivescovo Bruno Forte (San Paolo, pagine 70, euro 16). Il cardinale Martini parla di Gesù a partire dalle domande che tutti si pongono sulla vita e sul mondo. Parte dalla realtà quotidiana e mostra come il Vangelo entra nella trama illuminandola.

P U B B L I C A Z I O N I

< Gesù è la luce che Dio accende per noi, a� nché non abbiamo più paura del buio. E questa luce, benché nasca piccola come

il bambino del presepe, illumina la notte, le tenebre non la spengono: una volta che si è accesa nel mondo è indistruttibile. Ha lo stesso calore dell’amore». E’ un’immagine potente, e� cace, quella che il cardinale Carlo Maria Martini sceglie per parlare di Gesù ai bambini nel suo Chi sei Gesù (San Paolo, pagine 70, euro 16), un’imma-gine che arriva al cuore. E colpisce che un grande come lui si pieghi, come uno specialissimo nonno, all’orecchio dei piccoli per iniziarli alla fede con un tono poetico e sognante, che ha la dolcezza di una favola, ma con un gusto in� nitamente più deciso. Molti credono che sia facile parlare ai bambini. Invece no. Soprattutto quando sono in gioco temi che prendono l’anima: la vita, la morte, dove va il mondo, che cosa sono il bene e il male, chi è

«GESÙ, LA LUCE ACCESA DA DIOPER SCACCIARE OGNI PAURA»

Papa Benedetto XVI, il cardinale Martini e Bruno Forte raccontano la fede ai piccoli

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Una veduta di Gerusalemme. Tre bergamaschi hanno messo a punto una guida singolare sui luoghi segreti

e nascosti della città

P U B B L I C A Z I O N I

M età del prezzo di copertina, vale a dire nove euro per copia, vanno dritti al Caritas Baby Hospital di Betlemme,

noto a molti pellegrini. Gli autori di questa singolare guida ai luoghi nascosti e segreti di Gerusalemme (pp. 124, edizioni Oltre) hanno infatti destinato all’ospedale a ridosso del muro tutti i diritti d’autore. L’iniziativa è stata resa nota attraverso un articolo di Susanna Pesenti pubblicato a metà marzo su L’Eco di Bergamo.Sono Raoul e Tommaso Tiraboschi e Andrea Gualazzi, che spiega: «Dietro la guida sta un pezzo della nostra vita e un poco della storia recente della diocesi». Il libretto è dedicato a don Silvio Agazzi «perché è stato lui, nel 1993 in parrocchia a Loreto e poi nel 1999 con il pellegrinaggio diocesano – 550 bergamaschi passati in Terra Santa fra luglio e settembre – , a di� ondere un modo diverso di essere pellegrini, con molto cammino a piedi, attraversando tratti di deserto, riducendo le comodità all’essen-ziale. «Non per esotismo spirituale – sottolinea Raoul Tiraboschi – ma per avvicinarsi meglio alla conoscenza di Gesù nella sua terra. Si può benissimo conoscere Gesù a casa propria, se si va in Palestina è per scoprirlo proprio in questa dimensione di luoghi e storie».Anche dietro la guida c’è una lunga storia. I tre autori sono tutti capi scout dell’Agesci e dagli anni ‘90 frequentano – Intifada a parte – le strade di Giudea e Galilea. Dall’esperienza è nata, dentro l’Agesci, la «Pattuglia Terra Santa» che a Bergamo comprende tra gli altri anche Anna Cremonesi e don Alberto Ma� eis. I componenti della Pattuglia si o� rono come guide per gruppi di giovani e di adulti che vogliano un pellegrinaggio il più possibile a contatto con la gente e gli ambienti di vita della Terra Santa. «Siamo stati dal vescovo Francesco Beschi a presentargli il

progetto – raccontano Gualazzi e Tiraboschi – e ne abbiamo ricevuto l’assenso, a patto che sia un accompagnamento a pellegrini». E la guida? «Nasce dalla nostra esperienza di decine di viaggi e anni di permanenza in città. Non una guida turistica, ma qualcosa da mettere nello zaino accanto alla Bibbia, che possa accompagnare il cammino spirituale facendo immergere nel contesto della città, angoli quotidiani, odori e sapori, persone e botteghe. I posti che si attraversano con il cuore teso verso il Cristo che si spera di incontrare al Sepolcro, al Getsemani, al Cenacolo». Nascosti nelle pagine ci sono suggerimenti di incontri, indirizzi di chiese crociate e conventi armeni che celano tesori di storia religiosa e che il pellegrino da solo non immagina o non può raggiungere. Perché a Gerusalemme la memoria dei luoghi santi vive sotto strati di pietre, secoli di stravolgimenti architettonici e leggende.

UN LIBRO USATO COME BUSSOLAPER VISITARE LA TERRA SANTA

I tre autori aiutano i pellegrini ad orientarsi. Note e consigli per scovare tesori nascosti

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- I NOMI DELLE PERSONE CHE INVIERANNO LE OFFERTE VERRANNO PUBBLICATI SUL GIORNALE “AMICI DI PAPA GIOVANNI”

Scopo principale di questo organismo è quello di promuovere, di mantenere ed amplifi care il messaggio di Papa Giovanni XXIII che racchiude una forte attualità così come rappresenta per l’intera umanità un progetto di costrut-tore all’insegna dell’amore e della pace. I soci fondatori del Comitato presie-

duto da Mons. Gianni Carzaniga in qualità di rappresentante delegato del vescovo di Bergamo, sono: Monsignor Marino Bertocchi, già parroco di Sotto il Monte, padre Antonino Tagliabue curatore della pinacoteca Giovanna di Baccanello, suor Gervasia Asioli assistente volontaria nelle carceri, padre Vittorino Joannes al servizio del personale di Angelo Roncalli Nunzio Apostolico a Parigi. A sostegno delle iniziative dell’Associazione, informiamo i nostri lettori, devoti di papa Giovanni XXIII, della possibilità di celebrare Sante Messe per sè e per i propri cari:

ASSOCIAZIONE AMICI DI PAPA GIOVANNI XXIIILe offerte vanno indirizzate sul C.C.P. 16466245 Amici di Papa Giovanni

Via Madonna della Neve, 26 - 24121 Bergamo specifi cando la destinazione

Bergamo Via Madonna della Neve, 24 - tel. 0353591011 - fax 035271021www.amicidipapagiovanni.it e.mail: [email protected]

OFFERTE PER SANTE MESSE

Per la celebrazione di una Santa Messa per i tuoi cari, vivi o defunti, inviare la richiesta e i dati all’Associa-zione Amici di Papa Giovanni.L’offerta è subordinata alla possibilità del richiedente.

ACCENDI UN CERO

L’Associazione si incarica di accendere un cero a Papa Giovanni XXIII su richiesta dei lettori.Per questo servizio si ri-chiede una simbolica offer-ta libera che verrà utilizzata interamente per le azioni benefi che sostenute dall’As-sociazione.

IL SUFFRAGIO PERPETUO

Il “perpetuo suffragio” è un’opera che si propone di dare un aiuto spirituale ai defunti, di stabilire un lega-me di preghiera fra l’Associazione Amici di Papa Gio-vanni XXIII e i fedeli del papa della Bontà e di dare anche un aiuto materiale per promuovere le iniziative dell’Associazione.Il “perpetuo suffragio” consiste in Sante messe, che l’Associazione è tenuta a far celebrare per i suoi so-stenitori.Si iscrivono i defunti o anche i viventi, a proprio van-taggio in vita e in morte. L’iscrizione può essere per un anno o in “perpetuo”.

• Iscrizioni perpetue € 200• Iscrizioni per un anno € 80

Per gli iscritti al suffragio annuale o perpetuo una San-ta messa viene celebrata ogni settimana, a tutti verrà inviata pergamena di attestazione

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Sotto la protezione di Papa Giovanni

Inviate la fotografi a dei vostri bambini ad: via Madonna della Neve, 24 - 24121 BergamoInviate la fotografi a dei vostri bambini ad: via Madonna della Neve, 24 - 24121 BergamoInviate la fotografi a dei vostri bambini ad: via Madonna della Neve, 24 - 24121 BergamoInviate la fotografi a dei vostri bambini ad: via Madonna della Neve, 24 - 24121 Bergamo

La nonna Dilia affida al Beato papa Giovanni

la piccola Simona“

SILVIA E G

IULIA

Nonno Felice e nonna Rosannaaffidano le loro nipotine Silvia e Giulia

alla protezione di Papa Giovanni XXIII , affinchè li protegga

per tutta la vita

simona

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la rivista di chi ama Papa Giovanni

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CALENDARIO 2012

Direttore responsabileMonsignor

Giovanni Carzaniga

Direttore editorialeClaudio Gualdi

EDITRICE BERGAMASCA

Direzione e Redazione:Via Madonna della Neve, 26

24121 BergamoTel. 035.3591.011Fax 035.3591.117

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