PADRE PORTHOS E IL FAZZOLETTO DI ARAMIS...

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I TRE MOSCHETTIERI.

di Alexander Dumas.

INDICE

I TRE MOSCHETTIERI

di Alexander Dumas

INDICE

PREFAZIONE

Capitolo 1 I TRE REGALI DEL SIGNOR D'ARTAGNANPADRE

Capitolo 2 L'ANTICAMERA DEL SIGNOR DI TREVILLE

Capitolo 3 L'UDIENZA

Capitolo 4 LA SPALLA D'ATHOS, LA BANDOLIERA DIPORTHOS E IL FAZZOLETTO DI ARAMIS

Capitolo 5 I MOSCHETTIERI DEL RE E LE GUARDIE DIMONSIGNOR CARDINALE

Capitolo 6 SUA MAESTA' IL RE LUIGI TREDICESIMO

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Capitolo 7 I MOSCHETTIERI

Capitolo 8 UN INTRIGO DI CORTE

Capitolo 9 SI DELINEA IL CARATTERE DI D'ARTAGNAN

Capitolo 10 UNA TRAPPOLA DEL DICIASSETTESIMOSECOLO

Capitolo 11 L'IMBROGLIO SI ANNODA

Capitolo 12 GIORGIO VILLIERS, DUCA DI BUCKINGHAM

Capitolo 13 IL SIGNOR BONACIEUX

Capitolo 14 L'UOMO DI MEUNG

Capitolo 15 UOMINI DI TOGA E UOMINI D'ARME

Capitolo 16 IN CUI IL GUARDASIGILLI SEGUIER CERCAPIU' VOLTE DI SUONARE LA CAMPANA, COMEFACEVA IN ALTRI TEMPI

Capitolo 17 I CONIUGI BONACIEUX

Capitolo 18 L'AMANTE E IL MARITO

Capitolo 19 PIANO DI CAMPAGNA

Capitolo 20 IL VIAGGIO

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Capitolo 21 LA CONTESSA DI WINTER

Capitolo 22 IL BALLO DELLA "CACCIA AL MERLO"

Capitolo 23 IL CONVEGNO

Capitolo 24 IL PADIGLIONE

Capitolo 25 L'AMANTE DI PORTHOS

Capitolo 26 LA TESI DI ARAMIS

Capitolo 27 LA MOGLIE DI ATHOS

Capitolo 28 RITORNO

Capitolo 29 LA CACCIA ALL'EQUIPAGGIAMENTO

Capitolo 30 MILADY

Capitolo 31 INGLESI E FRANCESI

Capitolo 32 UN PRANZO DA PROCURATORE

Capitolo 33 CAMERIERA E PADRONA

Capitolo 34 DOVE SI PARLA DELL'EQUIPAGGIAMENTODI ARAMIS E DI PORTHOS

Capitolo 35 DI NOTTE TUTTI I GATTI SONO BIGI

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Capitolo 36 SOGNO DI VENDETTA

Capitolo 37 IL SEGRETO DI MILADY

Capitolo 38 COME, SENZA SCOMODARSI, ATHOSTROVO' IL SUO EQUIPAGGIAMENTO

Capitolo 39 UNA VISIONE

Capitolo 40 IL CARDINALE

Capitolo 41 L'ASSEDIO DI LA ROCHELLE

Capitolo 42 IL VINO D'ANGIO'

Capitolo 43 L'ALBERGO DEL COLOMBO ROSSO

Capitolo 44 DELL'UTILITA' DEI TUBI DA STUFA

Capitolo 45 SCENA CONIUGALE

Capitolo 46 IL BASTIONE DI SAN GERVASIO

Capitolo 47 IL CONSIGLIO DEI MOSCHETTIERI

Capitolo 48 AFFARI DI FAMIGLIA

Capitolo 49 FATALITA'

Capitolo 50 CONVERSAZIONE FRA DUE COGNATI

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Capitolo 51 UFFICIALI

Capitolo 52 PRIMO GIORNO DI PRIGIONIA

Capitolo 53 SECONDO GIORNO DI PRIGIONIA

Capitolo 54 TERZO GIORNO DI PRIGIONIA

Capitolo 55 QUARTO GIORNO DI PRIGIONIA

Capitolo 56 QUINTO GIORNO DI PRIGIONIA

Capitolo 57 UN MEZZO DA TRAGEDIA CLASSICA

Capitolo 58 L'EVASIONE

Capitolo 59 CHE COSA ACCADDE A PORTSMOUTH IL23 AGOSTO DEL 1628

Capitolo 60 IN FRANCIA

Capitolo 61 IL CONVENTO DELLE CARMELITANE DIBETHUNE

Capitolo 62 DUE SPECIE DI DEMONI

Capitolo 63 UNA GOCCIA D'ACQUA

Capitolo 64 L'UOMO DAL MANTELLO ROSSO

Capitolo 65 IL GIUDIZIO

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Capitolo 66 L'ESECUZIONE

Capitolo 67 UN MESSAGGERO DEL CARDINALE

EPILOGO

PREFAZIONE

Nella quale si stabilisce che, a dispetto dei loro nomi, glieroi della storia che abbiamo l'onore di raccontare ai nostrilettori, non hanno nulla di mitologico.

Circa un anno fa, mentre facevo delle ricerche allaBiblioteca Reale per la mia storia di LuigiQuattordicesimo, mi capitarono tra le mani, percombinazione, le Memorie del signor d'Artagnan, stampatecome la maggior parte delle opere di quell'epoca nellaquale gli autori amavano dire la verità senza soggiornarepiù o meno lungamente alla Bastiglia - ad Amsterdam daPietro Rouge. Il titolo mi sedusse: col permesso deldirettore della biblioteca portai con me il libro e,naturalmente, lo divorai. Non è mia intenzione di far quiun'analisi di quest'opera curiosa; mi accontenterò di

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indicarla a quelli fra i miei lettori che apprezzano i quadristorici. Vi troveranno ritratti sbozzati da mano maestra e,benché questi schizzi siano per lo più tracciati sulle portedelle caserme o sui muri, vi riconosceranno ugualmenterassomiglianti come nella storia del signor Anquetil, leimmagini di Luigi Tredicesimo, di Anna d'Austria, diRichelieu, di Mazzarino e di molti altri cortigiani diquell'epoca. Ma, come ben si sa, ciò che colpisce lo spiritocapriccioso del poeta non è sempre ciò che impressionala massa dei lettori. Ora, pur ammirando, come gli altriammireranno senza dubbio, i particolari che abbiamoindicati, la cosa che ci colpì maggiormente è quella allaquale nessuno aveva quasi certamente posto mente primadi noi. D'Artagnan racconta che allorché fece la sua primavisita al signor di Tréville, capitano dei moschettieri del Re,incontrò nell'anticamera di questi, tre giovani soldatidell'illustre corpo nel quale desiderava ardentemente dientrare, che si chiamavano: Athos, Porthos e Aramis.Confessiamo che questi tre nomi stranieri ci colpirono eche avemmo subito la sensazione precisa non si trattasseche di pseudonimi coi quali D'Artagnan aveva celato nomiforse illustri; sempre che coloro che portarono questipseudonimi non li avessero scelti di proprio gusto, il giornoin cui per capriccio, per tristezza o per mancanza di denaroavevano indossato la semplice casacca di moschettiere.Da quel giorno non avemmo più pace finché nontrovammo, nelle opere del tempo, una qualunque traccia diquesti nomi strani che avevano in sì fatto modo risvegliatola nostra curiosità. Riempiremmo un capitolo col solo

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catalogo dei libri che leggemmo per raggiungere questoscopo; ciò sarebbe forse istruttivo, ma certamente nondivertirebbe i nostri lettori. Ci accontenteremo dunque didir loro che allorquando, scoraggiati da tante infruttuosericerche, stavamo per abbandonare l'impresa, trovammoinfine, per consiglio del nostro dotto amico Paris, unmanoscritto in folio, catalogato col N. 4772 o 4773, nonricordiamo bene, intitolato: "Memoria del signor conte deLa Fère, riguardante parte degli avvenimenti che sisvolsero in Francia verso la fine del regno di LuigiTredicesimo e il principio del regno di Luigi XIV." Siimmagini quale fu la nostra gioia, allorché sfogliandoquesto manoscritto, che era la nostra ultima speranza,ritrovammo alla ventesima pagina il nome di Athos, allaventisettesima il nome di Porthos e alla trentunesima ilnome di Aramis. La scoperta di un manoscrittointeramente sconosciuto, in un'epoca nella quale la scienzastorica ha raggiunto le più alte cime, ci parve quasimiracolosa. Ci affrettammo, quindi, a chiedere il permessodi farlo stampare per poter un giorno presentarci colbagaglio di un altro all'Accademia delle Iscrizioni e BelleLettere, nel caso che non arrivassimo, cosa assaiprobabile, a presentarci all'Accademia di Francia colnostro. Questo permesso, diciamolo subito, ci fugraziosamente accordato; e lo confessiamopubblicamente per dare una smentita a certi malevoli, iquali affermano che noi viviamo sotto un governo assai maldisposto verso i letterati. Ed è appunto la prima parte diquesto manoscritto che offriamo oggi ai nostri lettori,

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dandogli un titolo appropriato e impegnandoci, se, comenon dubitiamo, questa prima parte otterrà il successo chemerita, a pubblicare immediatamente la seconda.Nell'attesa, siccome il padrino è come un secondo padre,consigliamo i lettori a tener responsabili noi e non il contede La Fère della sua noia o del suo diletto. Ciò dettopassiamo alla nostra storia.

Capitolo 1 I TRE REGALI DEL SIGNOR D'ARTAGNANPADRE

Il primo lunedì del mese d'aprile del 1625, il borgo diMeung, dove nacque l'autore del 'Romanzo della Rosa',sembrava essere in completa rivoluzione, proprio come segli Ugonotti fossero giunti per farne una seconda Rochelle.Molti abitanti, vedendo le donne fuggire dalla parte dellaGran Via e sentendo i bimbi strillare sulle porte, siaffrettavano a indossare la corazza e, rafforzando il lorocoraggio, alquanto dubbio, con un archibugio o unapartigiana, si dirigevano verso l'osteria del Franc-Meunier,davanti alla quale si pigiava, ingrossando di minuto inminuto, un gruppo di popolo compatto, rumoroso e curioso.In quel tempo ci si spaventava con molta facilità e quasitutti i giorni una città o l'altra registrava nei propri archivifatti di questo genere. C'erano i signori cheguerreggiavano; fra loro; c'era il Re che faceva guerra alCardinale; c'era lo Spagnuolo che faceva guerra al Re.

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Poi, oltre queste guerre celate o pubbliche, segrete opalesi, c'erano i ladri, i mendicanti, gli Ugonotti, i lupi e iservi che facevano guerra a tutti. I cittadini s'armavanosempre per difendersi dai ladri, dai lupi, dai servi; spessodai signori e dagli Ugonotti, qualche volta dal Re; mai peròdal Cardinale o dagli Spagnuoli. Da questa abitudineormai inveterata, risultò che il già detto primo lunedì delmese d'aprile del 1625, gli abitanti di Meung, sentendorumore e non vedendo né la bandiera gialla e rossa, né lalivrea del duca di Richelieu, si precipitarono verso l'osteriadel Franc-Meunier dalla quale proveniva il chiasso. E nonappena arrivati, poterono appurarne la causa. Ungiovane... tracciamo con un tratto di penna il suo ritratto:figuratevi don Chisciotte a diciott'anni, ma un donChisciotte senza corazza e senza cosciali, vestito di unagiubba di panno il cui blu originario si era trasformato inuna sfumatura indescrivibile di feccia di vino e d'azzurropallido. Viso ovale e bruno dagli zigomi salienti, segnoindubbio di astuzia; muscoli mascellari enormementesviluppati, indizio infallibile dal quale si riconosce ilguascone, anche senza berretto, e il nostro giovanotto neportava uno ornato di una specie di piuma; occhio grandee intelligente, naso adunco, ma finemente disegnato,troppo grosso per un adolescente e troppo piccolo per unuomo maturo. Un occhio poco sperimentato avrebbepotuto scambiare il nostro giovane per il figlio di unfittavolo, senza la lunga spada che, appesa a unabandoliera di cuoio, batteva i polpacci del suo proprietarioallorché questi era a piedi e il pelo irto della sua

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cavalcatura allorché era a cavallo. Perché il nostro amicoaveva un cavallo, e questo cavallo era anzi così notevoleche fu notato: era un cavalluccio del Bearn dell'età di dodicio quattordici anni, col mantello giallo, senza crini nellacoda, ma non senza giarda nelle gambe, e che purcamminando con la testa più bassa delle ginocchia (il cherendeva inutile l'uso della martingala) faceva ancora le sueotto leghe al giorno. Disgraziatamente, le qualità di questocavallo erano così ben nascoste sotto il suo pelo strano ela sua andatura bizzarra che, in un'epoca nella quale tutti siintendevano di cavalli l'apparizione di una simile brenna aMeung dov'era arrivata circa un quarto d'ora prima, dallaporta di Beaugency, produsse un'impressione sfavorevoleche si ripercosse sul suo cavaliere. E questa impressioneera stata tanto più penosa al giovane d'Artagnan (così sichiamava il don Chisciotte di questo nuovo Ronzinante), inquanto comprendeva perfettamente che, per quanto abilecavaliere egli fosse, la sua cavalcatura lo rendeva ridicolo;per questo aveva sospirato con malinconia accettando ilregalo che di essa gli aveva fatto il signor d'Artagnanpadre. Egli non si faceva illusioni e sapeva perfettamenteche quella bestia non poteva valere più di venti lire; ma èanche vero che le parole da cui il dono era statoaccompagnato, non avevano prezzo. "Figlio mio" avevadetto il gentiluomo guascone in quel puro dialetto del Bearndel quale Enrico IV non era mai riuscito a liberarsi "figliomio, questo cavallo è nato nella casa di vostro padresaranno tra poco tredici anni, e da quell'epoca è semprestato della famiglia: questo solo deve rendervelo caro. Non

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vendetelo mai, lasciatelo morire di vecchiaia,tranquillamente e onoratamente: e se andrete in guerra conlui, trattatelo bene come fosse un vecchio servitore. Acorte" continuò il signor d'Artagnan padre "se pure avretel'onore di esservi ammesso, onore al quale, d'altronde, vidà diritto la vostra vecchia nobiltà, portate degnamente ilvostro nome di gentiluomo, nome che è stato portato cononore dai vostri antenati da più di cinquecento anni. Per voie per i vostri intendo riferirmi ai parenti e agli amici - nonsopportate offese se non dal Cardinale e dal Re. E' solocol proprio coraggio, mettetevelo ben in mente, che ainostri giorni un gentiluomo può farsi strada. Chiunqueabbia un solo attimo di paura lascia forse sfuggire l'escache, proprio in quell'attimo, la fortuna gli tendeva. Voi sietegiovane e avete due buone ragioni per essere coraggioso:la prima che siete guascone, la seconda che siete miofiglio. Non temete le occasioni e cercate le avventure. Vi hofatto insegnare a ben maneggiare la spada, avete ungarretto di ferro e un polso d'acciaio; battetevi perqualunque ragione; battetevi tanto più ora che i duelli sonovietati, e che, appunto per questo, ci vuole doppio coraggioa battersi. Figlio mio, non posso darvi che quindici scudi, ilmio cavallo e i consigli che avete ascoltati. Vostra madre viaggiungerà la ricetta di un certo unguento (che ebbe dauna zingara) miracoloso per guarire qualunque ferita chenon tocchi il cuore. Approfittate di tutto ciò e vivete semprefelice e per molti anni." "Non ho più che una parola daaggiungere, o per dir meglio, un esempio da porvi sotto gliocchi; non il mio perché io non sono mai stato a Corte e

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non ho fatto che le guerre di religione come volontario, maquello del signor di Tréville che nei tempi passati era miovicino, e che ebbe l'onore, allorché era bambino, di giocarecol nostro buon re Luigi Tredicesimo, che Dio lo conservi!Qualche volta i loro giuochi degeneravano in battaglie, e inqueste battaglie il Re non era sempre il più forte. Lebastonate che si prese allora fecero nascere in lui moltastima e molta amicizia per il signor di Tréville. Più avantinegli anni, il signor di Tréville, durante il suo primo viaggioa Parigi, si batté contro altri, per ben cinque volte. Dallamorte del nostro Re alla maggiore età del suo giovaneerede, senza contare le guerre e gli assedi, sette volte; e,d'allora in poi, un centinaio, forse. Così, nonostante glieditti, gli ordini e gli arresti, eccolo capitano deimoschettieri vale a dire capo di una legione d'eroi che il Retiene in grande considerazione, e che monsignor Cardinaleteme, lui che pur non teme alcuno, come ognun sa. Inoltre ilsignor di Tréville guadagna diecimila scudi all'anno, ed èquindi un gran signore. Egli ha cominciato come voi,presentatevi a lui con questa lettera e fate ciò che viconsiglierà di fare, se vorrete avere una fortuna pari allasua." Quindi il signor d'Artagnan padre cinse al figlio lapropria spada, lo baciò con effusione sulle due guance e lobenedisse. Uscendo dalla stanza paterna, il giovane trovòla madre che lo aspettava con la famosa ricetta di cui iconsigli che abbiamo riferiti dovevano rendere necessarioun uso frequente. I saluti furono da questa parte più lunghi epiù teneri; non che il signor d'Artagnan non amasse il suounico figlio, ma, essendo uomo, avrebbe reputato indegno

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di lasciar scorgere la propria emozione, mentre la signorad'Artagnan era donna e madre. Ella dunque pianse a lungoe, diciamolo a lode del signor d'Artagnan figlio, per quantisforzi egli tentasse di fare per restare impassibile come siconveniva a un futuro moschettiere, la natura ebbe ilsopravvento, ed egli versò molte lacrime, delle quali riuscìa gran fatica a nascondere una metà. Lo stesso giorno ilgiovane si mise in viaggio, munito dei tre doni paterni chesi componevano, come abbiamo detto, di quindici scudi,del cavallo e della lettera per il signor di Tréville; è inutiledire che i consigli erano stati dati per soprappiù. Conquesto vade-mecum, d'Artagnan si trovò a essere, siafisicamente che moralmente, una copia esatta dell'eroe diCervantes, al quale lo abbiamo felicemente paragonatoquando i nostri doveri di storico ci obbligarono a tracciarneil ritratto. Don Chisciotte pigliava i mulini a vento per gigantie i montoni per eserciti, d'Artagnan prese ogni sorriso perun insulto e ogni sguardo per una provocazione. E così fuch'egli ebbe sempre il pugno chiuso da Tarbes a Meung eche dieci volte al giorno portò la mano al pomo dellaspada; tuttavia il pugno non s'abbatté su nessuna mascellae la spada non uscì dal fodero. Non che la vista delmalavventurato giallo ronzino non facesse spuntare più d'unsorriso sul volto dei passanti; ma siccome sopra la rozzatintinnava una spada di misura rispettabile e al disopra diquesta spada fiammeggiava un occhio più feroce chealtero, i passanti reprimevano la loro ilarità o, se l'ilaritàaveva il sopravvento sulla prudenza, si sforzavano almenodi ridere da una parte sola, come le maschere antiche.

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D'Artagnan rimase dunque maestoso e intatto nella propriasuscettibilità sino a quella disgraziata città di Meung. Maqui, mentre scendeva da cavallo, alla porta del Franc-Meunier, senza che nessuno, oste, servo o palafreniere,venisse a tenergli la staffa, d'Artagnan scorse, affacciato auna finestra semiaperta del pianterreno, un gentiluomod'alta statura e d'aspetto superbo, dall'espressionearcigna, che discorreva con due persone che sembravanoascoltarlo con grande deferenza. Come al solito,d'Artagnan credette d'essere il soggetto dellaconversazione e ascoltò. Questa volta non s'era del tuttoingannato: non si parlava di lui, ma del suo cavallo. Ilgentiluomo ne enumerava tutte le qualità ai suoi ascoltatori,e siccome questi sembravano avere una grande deferenzaper il narratore, scoppiavano in risate a ogni istante. Ora,dato che un leggero sorriso era sufficiente per suscitarel'ira del giovane, è facile immaginare quale effettoproducesse una così rumorosa ilarità. Tuttavia, d'Artagnanvolle dapprima farsi un'idea della fisionomiadell'impertinente che lo burlava e fissò lo sguardo fierosullo sconosciuto. Era un uomo dai quaranta aiquarantacinque anni, dagli occhi neri e penetranti, dallacarnagione pallida, dal naso fortemente accentuato e daibaffi neri perfettamente tagliati. Indossava un farsetto ebrache violacee con stringhe dello stesso colore, senzaaltri ornamenti, se non le solite spaccature dalle qualipassava la camicia. Questo farsetto e queste brache,quantunque nuovi, parevano sgualciti come abiti daviaggio, da tempo rinchiusi in una valigia. D'Artagnan fece

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tutte queste osservazioni con la rapidità di un osservatoreminuzioso e senza dubbio mosso da un sentimentoistintivo che l'avvertiva di come quello sconosciuto dovesseavere una grande influenza sulla sua vita. Ora, nel momentoin cui d'Artagnan fissava il suo sguardo sul gentiluomo dalfarsetto viola, poiché questo faceva a proposito delcavalluccio bearnese una delle sue più dotte e piùprofonde dissertazioni, i suoi ascoltatori scoppiarono aridere, ed egli stesso, contro la sua abitudine, lasciòerrare, se così si può dire, un pallido sorriso sul suo volto.Questa volta non c'era più dubbio, d'Artagnan erarealmente insultato; per cui, pienamente persuaso di ciò, sicalcò il berretto fin sugli occhi, e, cercando di imitarequalcuno degli atteggiamenti di corte che aveva sorpresonei gentiluomini di passaggio in Guascogna, avanzò conuna mano sulla guardia della spada e l'altra sul fianco.Disgraziatamente, di mano in mano che avanzava lacollera lo accecava sempre più, talché, invece del discorsomisurato e altiero che si era preparato nella mente performulare la sua provocazione, egli non riuscì a trovare cheun insulto volgare che accompagnò con un gesto furioso."Ehi" esclamò" signore, voi che vi nascondete dietro quellaimposta! sì, voi, ditemi un po' di che ridete, e rideremoinsieme." Il gentiluomo guardò lentamente prima lacavalcatura poi il cavaliere, come se gli fosse necessarioun certo tempo per comprendere che era proprio a lui chevenivano rivolti così strani rimproveri; poi, allorché nessundubbio fu più possibile, aggrottò leggermente lesopracciglia e dopo una pausa abbastanza lunga, con

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un'espressione d'ironia e d'insolenza impossibile adescriversi, rispose a d'Artagnan: "Io non parlo a voi,signore." "Ma vi parlo io!" gridò il giovane esasperato daquel misto di insolenza e d'urbanità, di gentilezza e didisprezzo. Lo sconosciuto lo guardò ancora per un attimocon un lieve sorriso, poi si ritirò dalla finestra, uscìlentamente dall'albergo e si piantò a due passi dad'Artagnan, in faccia al cavallo. Il suo contegno tranquillo el'espressione canzonatoria del suo volto avevanoraddoppiata l'allegria di coloro ai quali stava parlando eche erano rimasti alla finestra. D'Artagnan vedendoloarrivare fece l'atto di levare la spada dal fodero."Decisamente, questo cavallo è, o meglio è stato nella suagioventù, giallo-oro" riprese lo sconosciuto continuando leosservazioni cominciate e rivolgendosi agli ascoltatori chestavano alla finestra, con l'aria di non accorgersidell'irritazione di d'Artagnan che purtuttavia si rizzava fra luie loro. "Un colore assai noto in botanica, ma fino ad orararissimo nei cavalli." "Qualcuno che ride del cavallo, nonoserebbe ridere del padrone!" gridò con furia l'emulo diTréville. "Io non rido spesso, signore" rispose losconosciuto "e potete vederlo voi stesso dall'espressionedel mio viso; ma tuttavia ci tengo a conservare il privilegiodi ridere quando mi pare e piace." "E io" ribatté d'Artagnan"non voglio che si rida quando ciò mi spiace!" "Davvero,signore?" continuò lo sconosciuto più calmo mai. "E'giustissimo!" E girando sui tacchi fece per rientrarenell'albergo passando dalla porta grande sotto la qualed'Artagnan aveva notato, arrivando, un cavallo sellato. Ma

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d'Artagnan non era il tipo da lasciare andare così un uomoche aveva avuto l'insolenza di burlarsi di lui. Sguainòcompletamente la spada e si diede a inseguirlo, gridando:"Voltatevi, voltatevi, signor beffatore, affinché non vicolpisca di dietro!" "Colpire me!" disse l'altro rigirandosisui tacchi e guardando il giovane con una meraviglia pari aldisprezzo. "Evvia, mio caro, voi siete pazzo!" Poisottovoce e come parlando a se stesso: "Peccato!"continuò. "Sarebbe stata una ottima recluta per SuaMaestà che cerca per mare e per terra dei valorosi da farentrare nei suoi moschettieri." Non aveva ancora finito diparlare, che d'Artagnan gli allungò un così furioso colpo dipunta che, probabilmente, se quel signore non fosse statopronto a saltare indietro, avrebbe scherzato per l'ultimavolta. Lo sconosciuto si accorse allora che la cosa andavapiù in là della burla, sfoderò la spada, salutò il suoavversario gravemente e si mise in guardia. Ma nellostesso tempo i due ascoltatori della finestra, insieme conl'oste, si lanciarono su d'Artagnan percuotendoloviolentemente con bastoni, palette e molle da fuoco. Ciòfece una diversione così rapida e completa all'attacco, chel'avversario di d'Artagnan, mentre questi si volgeva per farfronte a quella gragnuola di colpi, ringuainò con la stessaprecisione la spada, e da attore che stava per divenire,ridivenne spettatore del combattimento, compito cheassolvette con la sua ordinaria impassibilità, non senzatuttavia borbottare: "Maledetti siano i Guasconi!Rimettetelo sul suo cavallo arancione e che se ne vada!""Non prima di averti ucciso, vigliacco!" gridò d'Artagnan,

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tenendo testa il meglio che poteva e senza arretrare d'unpasso ai suoi tre assalitori che lo tempestavano di colpi."Ancora una guasconata" mormorò il gentiluomo. "Parolad'onore, questi Guasconi sono incorreggibili! Continuatedunque la danza, visto che lo vuole assolutamente. Quandosarà stanco, dirà che ne ha abbastanza." Ma losconosciuto non sapeva con che razza di testardo avessea che fare; d'Artagnan non era uomo da domandare grazia.Il combattimento continuò dunque per qualche secondoancora; infine d'Artagnan, stanco morto lasciò cadere laspada che un colpo di bastone aveva spezzata. Un altrocolpo, che lo ferì alla fronte, lo gettò quasi nello stessotempo al suolo tutto sanguinante e pressoché svenuto. Fuin questo momento che da tutte le parti si accorse sul luogodella scena. L'oste, temendo lo scandalo, sollevò il ferito econ l'aiuto dei suoi garzoni lo portò in cucina dove gli venneapprestata qualche cura. Quanto al gentiluomo, egli si erarimesso tranquillamente alla finestra e guardava con unacerta irritazione tutta quella folla che, rimanendo lì,sembrava provocare in lui una viva contrarietà. "Ebbene,come va questo arrabbiato?" riprese, voltandosi al rumoredella porta che si apriva e indirizzandosi all'oste che venivaa informarsi della sua salute. "Vostra Eccellenza è sana esalva?" chiese l'oste. "Perfettamente sano e salvo, carooste, e sono io che vi chiedo che cosa ne è stato del nostrogiovanotto." "Va meglio" disse l'oste "è completamentesvenuto." "Davvero?" fece il gentiluomo. "Ma prima disvenire ha riunito tutte le sue forze per chiamarvi e sfidarvia gran voce." "Ma è dunque il diavolo in persona

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quell'animale!" esclamò lo sconosciuto. "Oh! no,Eccellenza, non è il diavolo" riprese l'oste con una smorfiadi disprezzo "perché mentre era svenuto lo abbiamoperquisito; egli non ha nel suo involto se non una camicia enella sua borsa soltanto dodici scudi, ciò che non gli haimpedito di dire prima di cadere svenuto che se una similecosa gli fosse successa a Parigi, voi ve ne sareste pentitoimmediatamente mentre, così come sono andate le cose,non ve ne pentirete che più tardi." "Allora" dissefreddamente lo sconosciuto "è qualche principe inincognito." "Ve ne avverto, signore" riprese l'oste "perchéstiate in guardia." "E nella sua collera non ha nominatonessuno?" "Egli batteva sulla tasca del suo farsetto ediceva: 'Vedremo ciò che penserà il signor di Trévilledell'insulto fatto a un suo protetto'." "Il signor di Tréville?"chiese lo sconosciuto prestando maggior attenzione "sibatteva sulla tasca pronunciando il nome del signor diTréville?... Vediamo, caro oste, mentre il giovanotto erasvenuto, voi avrete certamente guardato anche in quellatasca. Che cosa c'era adunque?" "Una lettera indirizzata alsignor di Tréville, capitano dei moschettieri." "Davvero!""E' come ho l'onore di dirvi, Eccellenza." L'oste, che nonera dotato di grande perspicacia, non notò l'espressionedella fisionomia dello sconosciuto a queste parole. Questisi staccò dal davanzale della finestra al quale stavaappoggiato col gomito, e aggrottò le sopracciglia coninquietudine. "Diavolo!" mormorò fra i denti "che Tréville miabbia mandato questo Guascone? E' molto giovane! Maun colpo di spada è un colpo di spada, qualunque sia l'età

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di chi lo dà e si diffida meno di un ragazzo che di chiunquealtro; alle volte basta un debole ostacolo per contrastare ungrande progetto." E lo sconosciuto sprofondò in unameditazione che durò qualche minuto. "Oste" disse poi"non sareste capace di sbarazzarmi di questo pazzo? Incoscienza, non posso ucciderlo, e pur tuttavia" aggiunsecon un'espressione freddamente minacciosa "mi dàfastidio. Dov'è?" "Nella camera di mia moglie, al primopiano, stanno medicandolo." "I suoi abiti e il suo saccosono con lui? Non si è tolto il farsetto?" "Al contrario, tuttociò è da basso, in cucina. Ma poiché questo giovane pazzovi dà noia..." "Certamente. Egli dà uno scandalo tale nellavostra osteria che le persone oneste non possonorimanervi. Salite, fate il mio conto e avvertite il mio servo.""Come! Ci lasciate già, signore?" "Lo sapevate, giacché viavevo dato l'ordine di sellare il mio cavallo. Non mi hannoforse obbedito?" "Certamente; come vostra Eccellenza hapotuto vedere, il cavallo è sotto la porta grande già prontoper la partenza." "Bene; allora fate come vi ho detto." "Oh,oh!" pensò l'oste "avrebbe forse paura del ragazzo?" Ma un'occhiata imperiosa dello sconosciuto mise bruscamentetermine alle sue riflessioni. Salutò umilmente e uscì. "Nonbisogna che milady[1] sia vista da questo birbante"continuò lo sconosciuto "essa non può tardare a passare;è anzi già in ritardo. Decisamente, è meglio che salga acavallo e che le vada incontro... Se almeno potessi sapereciò che contiene la lettera indirizzata a Tréville!" E losconosciuto sempre borbottando, si diresse verso lacucina. Nel frattempo l'oste, che non poneva in dubbio che

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fosse la presenza del giovanotto la causa dell'improvvisapartenza dello sconosciuto, era salito in camera di suamoglie e aveva trovato d'Artagnan perfettamente in sé.Allora, facendogli comprendere che la polizia avrebbepotuto dargli delle noie per aver tentato di attaccar brigacon un gran signore (perché secondo lui lo sconosciuto nonpoteva essere che un gran signore) lo persuase,nonostante la sua debolezza, ad alzarsi e a continuar lasua strada. D'Artagnan, mezzo stordito, senza farsetto econ la testa tutta avvolta nelle bende, si alzò dunque e,spinto dall'oste, cominciò a discendere le scale ma,arrivato in cucina, la prima cosa che scorse fu il suoprovocatore che parlava tranquillamente allo sportello diuna pesante carrozza attaccata a due grossi cavallinormanni. La sua interlocutrice, di cui si vedeva la testainquadrata dal finestrino, era una donna di venti o ventidueanni. Noi abbiamo già detto con quale rapidità d'Artagnansi impadronisse di una fisionomia; gli bastò un'occhiataper vedere che la donna era giovane e bella. Ora, questabellezza lo colpì tanto più in quanto che era perfettamentesconosciuta nei paesi meridionali nei quali egli avevaabitato fino a quel giorno. Era una bellezza pallida ebionda, con lunghi capelli inanellati che ricadevano sullespalle, con grandi occhi languidi e azzurri, con labbra roseee mani d'alabastro. Essa parlava molto vivacemente con losconosciuto. "Dunque, Sua Eminenza mi ordina..." dicevala dama. "Di tornare immediatamente in Inghilterra, e diavvertirlo direttamente se il duca lasciasse Londra." "Equanto alle altre istruzioni?" chiese la bella viaggiatrice.

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"Sono chiuse in questa scatola che non aprirete se nonsull'altra riva della Manica." "Benissimo, e voi che farete?""Tornerò a Parigi." "Senza castigare quell'insolenteragazzino?" chiese la dama. Lo sconosciuto stava perrispondere: ma nello stesso momento in cui apriva labocca, d'Artagnan, che aveva udito tutto, si slanciò sullasoglia della porta. "E' questo insolente ragazzino checastiga gli altri" esclamò "e spero bene che questa voltacolui ch'egli deve castigare non gli sfuggirà come laprima." "Non gli sfuggirà?" disse lo sconosciutoaggrottando le sopracciglia. "No, immagino che davanti auna signora non oserete fuggire." "Pensate" esclamòmilady vedendo il gentiluomo portare la mano alla spada"pensate che il minimo ritardo può perdere tutto." "Aveteragione" esclamò il gentiluomo "andate dunque dallavostra parte; io vado dalla mia." E, salutata la dama con uncenno della testa, balzò sul suo cavallo mentre il cocchieredella carrozza frustava vigorosamente la sua pariglia. I dueinterlocutori partirono quindi contemporaneamente algaloppo, allontanandosi ognuno da un lato opposto dellastrada. "E ciò che mi dovete?" gridò l'oste, nel qualel'affetto per il suo viaggiatore si mutava in profondodisprezzo vedendo che egli se ne andava senza saldare ilconto. "Paga, canaglia" ordinò il viaggiatore, sempregaloppando, al suo servo che gettò ai piedi dell'oste due otre monete d'argento e si lanciò dietro al padrone. "Ah!vigliacco, ah! miserabile, ah! falso gentiluomo!" gridòd'Artagnan inseguendo a sua volta il servo. Ma il ferito eraancora troppo debole per sopportare una simile scossa.

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Non aveva fatto dieci passi che le sue orecchie si misero aronzare, si sentì girare la testa, una nube di sangue passòdavanti ai suoi occhi, ed egli cadde riverso in mezzo allastrada gridando ancora: "Vigliacco! Vigliacco! Vigliacco!""E' veramente un vigliacco" mormorò l'oste avvicinandosi ad'Artagnan e cercando con questa adulazione diriconciliarsi con il povero giovanotto, come l'airone dellafavola con la sua chiocciola della sera. "Sì, un granvigliacco" mormorò d'Artagnan "ma lei è una gran belladonna!" "Lei chi?" chiese l'oste. "Milady" balbettòd'Artagnan. E svenne una seconda volta. "Pazienza" dissel'oste "ne perdo due ma questo mi resta e sono sicuro diconservarlo almeno per qualche giorno. Sono sempreundici scudi guadagnati." Sappiamo già che undici scudiera proprio la somma che rimaneva nella borsa did'Artagnan. L'oste aveva contato su undici giorni dimalattia a uno scudo al giorno; ma aveva fatto i conti senzail viaggiatore. Il giorno dopo, alle cinque del mattino,d'Artagnan si alzò, scese da sé in cucina, domandò oltre aqualche altro ingrediente, il nome del quale non è giuntofino a noi, vino, olio, rosmarino e, con la ricetta di suamadre alla mano, compose un balsamo col quale unse lesue numerose ferite rinnovando le bende con le propriemani e rifiutando l'aiuto di qualsiasi medico. Certamente ingrazia al balsamo di Boemia e, forse, grazie ancheall'assenza di medici, d'Artagnan la sera stessa potéalzarsi e il giorno dopo era pressoché guarito. Ma almomento di pagare quel rosmarino, quell'olio e quel vino,sola spesa del giovane che aveva osservato una dieta

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assoluta, mentre il suo cavallo giallo, secondo l'oste, avevamangiato tre volte più di quanto si potesseragionevolmente supporre tenendo conto della suacorporatura, d'Artagnan non trovò nella sua tasca che lavecchia borsa di velluto spelato contenente gli undici scudi;ma la lettera indirizzata al signor di Tréville era sparita. Ilgiovanotto cominciò a cercarla con grande pazienza,voltando e rivoltando almeno venti volte le sue tasche e isuoi taschini, frugando e rifrugando nel sacco da viaggio,aprendo e chiudendo la sua borsa; ma allorché ebbe lacertezza che la lettera era introvabile, si abbandonò a unterzo accesso di rabbia che per poco non rese necessarioun nuovo impiego di vino e d'olio aromatizzati; giacché,vedendo quella giovane e pessima testa riscaldarsi eminacciare di rompere tutto nel locale se non si fosseritrovata la lettera, l'oste si era già armato di uno spiedo,sua moglie di un manico di scopa e i garzoni degli stessibastoni che avevano servito due giorni prima. "La mialettera di raccomandazione!..." esclamava d'Artagnan. "Lamia lettera di raccomandazione! Sangue di Dio! V'infilzotutti come tanti tordi!" Disgraziatamente una circostanza siopponeva a che il giovanotto mettesse in atto la suaminaccia; ed è che, come abbiamo detto, la sua spada siera rotta in due pezzi durante la prima tenzone, cosa cheegli aveva perfettamente dimenticata. Successe quindiche, allorché d'Artagnan volle effettivamente sguainarla, sitrovò puramente e semplicemente armato di un troncone dispada lungo non più di pochi centimetri, che l'oste avevacon cura rimesso nel fodero. Il cuoco si era abilmente

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impossessato del resto della lama per farne un coltello dacucina. Tuttavia neppure questa delusione avrebbearrestato il nostro focoso giovanotto se l'oste non avessepensato che il reclamo rivoltogli dal suo viaggiatore eraperfettamente giusto. "Ma insomma" disse abbassando lospiedo "dov'è questa lettera?" "Dov'è questa lettera?"esclamò d'Artagnan. "Prima di tutto, ve ne avverto, quellalettera è indirizzata al signor di Tréville, e bisogna che siritrovi; e, se non si trova, saprà ben lui farvela ritrovare!"Questa minaccia finì d'intimidire l'oste. Dopo il Re e ilCardinale, il signor di Tréville era l'uomo il cui nome venivapiù spesso ripetuto dai militari e anche dai borghesi. C'eraanche padre Giuseppe, è vero, ma il suo nome non eramai pronunziato se non sottovoce, tanto era il terrore cheincuteva l"'Eminenza grigia", come lo chiamavano ifamiliari del Cardinale. Così, gettato lontano da sé il suospiedo e ordinato a sua moglie e ai suoi servi di farealtrettanto del manico di scopa e dei bastoni, l'oste detteper primo il buon esempio, mettendosi alla ricerca dellalettera perduta. "Ma questa lettera conteneva delle cosepreziose?" chiese l'oste dopo molte inutili ricerche."Perbacco! lo credo bene!" esclamò il Guascone checontava su questa lettera per far carriera a corte. "Essaconteneva la mia fortuna." "Erano tratte sulla Spagna?"chiese l'oste inquieto. "Erano tratte sul tesoro particolare diSua Maestà" rispose d'Artagnan che, sperando, comesperava, di entrare al servizio del Re grazie a questaraccomandazione, credeva di poter fare senza mentirequesta affermazione alquanto arrischiata. "Diavolo!" fece

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l'oste assolutamente disperato. "Ma non importa" continuòd'Artagnan con la disinvoltura tipica della gente del suopaese. "Non importa, il danaro è nulla; la lettera è tutto.Avrei preferito perdere mille pistole!" Egli non rischiavagran che anche se avesse detto ventimila, ma un certopudore giovanile lo trattenne. Un lampo di luce attraversò aun tratto il cervello dell'oste che, non trovando nulla,avrebbe data l'anima al diavolo. "La lettera non si èperduta!" esclamò. "Oh!" fece d'Artagnan. "No, vi è statarubata." "Rubata! e da chi?" "Dal gentiluomo di ieri. Egli èsceso in cucina dov'era il vostro giubbetto. Vi è restatosolo. Scommetterei che è lui che l'ha rubata." "Credete?"rispose d'Artagnan poco convinto, perché egli soloconosceva perfettamente l'importanza affatto personale diquella lettera e sapeva come essa non potesse tentare lacupidigia. E in realtà, nessuno dei servitori, nessuno deiviaggiatori presenti avrebbe guadagnato nulla possedendoquel pezzo di carta. "Dunque" rispose d'Artagnan "voisospettate di quel gentiluomo impertinente?" "Vi dirò chesono sicuro" continuò l'oste "allorché gli annunciai chevostra signoria era il protetto del signor di Tréville e cheaveva anche una lettera per quell'illustre gentiluomo, egli miparve preoccupatissimo, mi chiese dov'era quella lettera eimmediatamente scese in cucina dove, com'egli sapeva, sitrovava il vostro giubbetto." "Allora il ladro è certamente lui"rispose d'Artagnan. "Farò le mie lagnanze al signor diTréville che ne parlerà al Re." Poi trasse regalmente ditasca due scudi, li dette all'oste che col cappello in mano loaccompagnò fino alla porta, e salì sul suo giallo ronzino che

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lo portò senz'altri incidenti fino alla Porta di Sant'Antonio aParigi, dove il suo proprietario lo vendette per tre scudi, ilche significa che fu assai ben pagato, visto che d'Artagnanlo aveva molto affaticato nell'ultima tappa. E infatti ilsensale al quale d'Artagnan lo cedette per le suddette novelire non nascose al nostro giovanotto che se lo pagava cosìcaro, era semplicemente per l'originalità del suo colore.D'Artagnan entrò quindi in Parigi a piedi portando il suopiccolo fagotto sotto il braccio e camminò finché non trovòuna camera da prendere in affitto, adatta alla scarsezzadei suoi mezzi. Questa camera era una specie di soffittasituata in via Fossoyeurs, vicino al Lussemburgo. Appenapagata la caparra, d'Artagnan prese possesso del suoalloggio e passò il resto della giornata a cucire al suogiubbetto e alle sue brache certi galloni che sua madreaveva staccato da una giubba quasi nuova del signord'Artagnan padre, e che gli aveva consegnato in segreto;poi andò sul lungofiume della Fenaille a far rimettere lalama alla spada e, infine, tornò al Louvre per chiedere alprimo moschettiere che incontrò dove fosse il palazzo delsignor di Tréville, e seppe che si trovava in via del Vieux-Colombier, vale a dire proprio vicino alla camera ch'egliaveva presa in affitto; circostanza che gli parve di buonaugurio per il successo del suo viaggio. Dopo di che,contento di come si era comportato a Meung, senzarimorsi per il passato, fiducioso nel presente e pieno disperanze per l'avvenire, si coricò e si addormentò delsonno del giusto. Questo sonno, ancor tutto provinciale, locondusse sino alle nove del mattino, ora in cui si alzò per

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andare da quel famoso signor di Tréville che era il terzopersonaggio del regno, stando alla valutazione paterna.

Capitolo 2 L'ANTICAMERA DEL SIGNOR DI TREVILLE

Il signor di Troisville, come si chiamava ancora la suafamiglia in Guascogna, o il signor di Tréville, come avevafinito per chiamarsi egli stesso a Parigi, aveva realmentecominciato come d'Artagnan, vale a dire senza il beccod'un quattrino, ma con quel fondo di audacia, di spirito e dibuon senso il quale fa sì che il più povero gentiluomoguascone riceva spesso, sotto forma di speranzenell'eredità paterna, più di quanto non riceva in realtà il piùricco signore del Périgord o del Berry. Il suo coraggioinsolente, la sua fortuna più insolente ancora in un tempo incui i colpi piovevano come la grandine, l'avevano issato alsommo di quella difficile scala che è il favore della Corte,della quale aveva scalati gli scalini a quattro a quattro. Egliera l'amico del Re, che, come si sa, onorava grandementela memoria di suo padre Enrico Quarto. Il padre del signordi Tréville aveva servito Enrico Quarto così fedelmentenelle sue guerre contro la Lega, che in mancanza di denarocontante (cosa che mancò tutta la vita al Bearnese, il qualepagò costantemente i propri debiti con la sola moneta chenon ebbe mai bisogno di prendere a prestito, lo spirito), inmancanza di denaro contante, dicevamo, lo avevaautorizzato, dopo la resa di Parigi, a prendere per stemma

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un leone d'oro passante in campo rosso con questo motto:'Fidelis et fortis'. Era molto per l'onore, ma poco per ilbenessere materiale. Cosicché, quando l'illustrecompagno del grande Enrico morì, lasciò a suo figlio persola eredità la spada e il motto. Grazie a questo doppioregalo e al nome senza macchia che lo accompagnava, ilsignor di Tréville fu ammesso nella casa del giovaneprincipe, dove servì così bene con la sua spada e simantenne così fedele al suo motto, che Luigi Tredicesimo,una delle buone lame del regno, usava dire che se un suoamico avesse dovuto battersi egli avrebbe dato il consigliodi prendere per padrino prima lui, Luigi, poi Tréville, e forseTréville prima di lui. Così Luigi Tredicesimo era veramenteaffezionato a Tréville, affezione da re, affezione egoista, èvero, ma pur sempre affetto. Il fatto è che in quei tempidisgraziati, ognuno cercava di circondarsi di uomini dellatempra di Tréville. Molti potevano prendere per divisa laparola forte, che costituiva la seconda parte del suo motto,ma pochi gentiluomini avrebbero potuto aspirare all'epitetodi fedele, che ne costituiva la prima. Tréville apparteneva aquesti ultimi: egli era una di quelle rare personalitàdall'intelligenza obbediente come quella del cane, dalcoraggio cieco, dall'occhio rapido e dalla mano pronta;sembrava che l'occhio gli fosse stato dato unicamenteaffinché potesse vedere se il re era malcontento diqualcuno e la mano affinché potesse colpire questospiacevole qualcuno, un Besme, un Maurevers, un Poltrotdi Méré, un Vitry. Infine, a Tréville, sino a quel momento,non era mancata che l'occasione; ma egli l'aspettava e si

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riprometteva di afferrarla per i suoi tre capelli, se mai fossepassata a portata di mano. Perciò Luigi Tredicesimo fecedi Tréville il capitano dei suoi moschettieri, i quali eranoper lui, dal punto di vista della devozione o meglio delfanatismo, quel che gli 'ordinari' erano stati per EnricoTerzo, ciò che la guardia scozzese era stata per LuigiUndicesimo. Dal suo canto, il Cardinale non era rimastoindietro al Re. Quando aveva visto il formidabile corposcelto di cui s'era circondato Luigi Tredicesimo, questosecondo, o piuttosto questo primo, Re di Francia avevavoluto anch'egli avere la sua guardia. Ebbe dunque i suoimoschettieri come Luigi Tredicesimo aveva i suoi e sivedevano queste due potenze rivali scegliere in tutte leprovincie di Francia e anche negli Stati stranieri per attrarlial loro servizio, gli uomini più celebri per grandi fatti d'armi.Così Richelieu e Luigi Tredicesimo disputavano spesso, lasera, quando facevano la loro partita a scacchi, circa ilvalore dei loro servitori. Ciascuno vantava il contegno e ilcoraggio dei suoi e, pur condannando a gran voce il duelloe le risse, li eccitavano sottovoce perché venissero allemani e provavano un vero dolore o una gioia smodata perla sconfitta o per la vittoria dei loro. Così almeno si dicenelle 'Memorie' di un uomo che si trovò presente aqualcuna di queste sconfitte e a molte di queste vittorie.Tréville conosceva il lato debole del suo padrone e aquesta abilità doveva la lunga e costante amicizia di un reche non ha lasciato fama di esser stato molto fedele nellesue amicizie. Egli faceva sfilare i suoi moschettieri davantial cardinale Armando du Plessis con un'aria così beffarda

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che faceva rizzare dalla collera i baffi grigi di SuaEminenza. Tréville comprendeva perfettamente la guerra diquell'epoca, nella quale quando non si viveva a spese delnemico, si viveva a spese dei propri compatrioti; i suoisoldati formavano una legione di diavoli scatenati,indisciplinati con tutti tranne che con lui. Rumorosi,avvinazzati, scapigliati, i Moschettieri del Re, o piuttostoquelli del signor di Tréville, sciamavano per le bettole, per ipasseggi, nei ritrovi pubblici, gridando forte, arricciandosi ibaffi, facendo tintinnare le loro spade, urtando con voluttà le guardie di monsignor Cardinale quando le incontravano;poi sguainavano la spada in mezzo alla strada, con millemotti di spirito; qualche volta venivano uccisi, ma in questocaso erano sicuri d'essere pianti e vendicati; più spessouccidevano, e in tal caso erano certi di non marcire inprigione perché il signor di Tréville era pronto a reclamarli.Cosicché il signor di Tréville era lodato su tutti i toni,cantato su tutte le gamme da questi uomini che l'adoravanoe che, pur essendo gente da sacco e da corda, tremavanodavanti a lui come scolaretti davanti al loro maestro,obbedivano a ogni suo minimo cenno, pronti a farsiuccidere pur di cancellare l'ombra di un suo rimprovero. Ilsignor di Tréville si era servito di questa leva possente,prima per il Re e per gli amici del Re, poi per se stesso eper i suoi amici. D'altronde, in nessuno dei libri di Memoriedi quel tempo, che ne ha lasciate tante, questo degnogentiluomo è stato accusato, sia pure dai suoi nemici (edegli ne aveva tra coloro che maneggiavano la penna nonmeno che tra coloro che maneggiavano la spada) in

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nessun luogo, dicevamo, questo degno gentiluomo è stato accusato di farsi pagare la collaborazione dei suoischerani. Con un raro genio per l'intrigo, che faceva di luil'eguale dei più grandi intriganti, egli era rimasto unonest'uomo. Né basta; a dispetto delle grandi stoccate chesfibrano e dei penosi esercizi che stancano, egli eradiventato uno dei più galanti frequentatori d'alcove, uno deipiù fini damerini, uno dei più lambiccati parlatori della suaepoca; si parlava delle avventure del signor di Trévillecome si era parlato vent'anni prima di quelle diBassompierre, e non era poco. Il capitano dei moschettieriera dunque ammirato, temuto e amato, il che costituiscel'apogeo delle umane fortune. Luigi Quattordicesimoassorbì tutti i piccoli astri della sua corte nella sua granluce, ma suo padre, 'sole pluribus impar', lasciò a ciascunodei suoi favoriti il suo splendore personale, e a ciascunodei suoi cortigiani il suo valore individuale. Oltre al 'lever'[2]del Re e a quello del Cardinale, si contavano allora aParigi più di duecento piccoli 'lever', piuttosto ricercati. Fraquesti ultimi, quello di Tréville era uno dei più apprezzati. Ilcortile del suo palazzo in via del Vieux-Colombierassomigliava a un campo di soldati, e ciò dalle sei delmattino in estate, e dalle otto in inverno. Da cinquanta asessanta moschettieri, che sembravano darsi il cambio peroffrirsi sempre in numero imponente, vi passeggiavanoincessantemente armati di tutto punto e pronti a tutto.Lungo una di quelle grandi scale, sull'area della quale lanostra civiltà costruirebbe una casa intera, salivano escendevano i parigini che avevano qualche favore da

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chiedere, i gentiluomini provinciali che volevano esserearruolati, i servi adorni di tutti i colori che venivano aportare al signor di Tréville i messaggi dei loro padroni. Nell'anticamera, su certe lunghe panche circolari,riposavano gli eletti, vale a dire quelli ch'erano staticonvocati. Dal mattino alla sera si udiva in quella sala unronzìo continuo, mentre il signor di Tréville nel gabinettoattiguo riceveva le visite, ascoltava le lamentele, davaordini e, come il Re al suo balcone del Louvre, non avevache da mettersi alla finestra per passare in rivista uomini earmi. Il giorno in cui d'Artagnan si presentò, l'assemblea era imponente, specialmente per un provinciale appenaarrivato dalla sua provincia; è vero che questo provincialeera guascone e che, soprattutto in quell'epoca, icompatrioti di d'Artagnan avevano fama di non lasciarsifacilmente intimidire. Una volta superata la porta massicciacostellata di grossi chiodi dalla testa quadrata, si arrivavain mezzo a una folla di soldati che s'incrociavano nel cortile,si chiamavano, discutevano e giocavano fra loro. Peraprirsi un varco fra tutte quelle onde turbolente, sarebbestato necessario essere un ufficiale, un gran signore o unabella donna. Fu dunque in mezzo a questo chiasso e aquesto disordine che il nostro giovanotto avanzò col cuorepalpitante, mantenendo la sua lunga durlindana parallelaalle gambe magre, e tenendo una mano sull'ala del suofeltro, con quel mezzo sorriso del provinciale imbarazzatoche vuol parere disinvolto. Allorché gli riusciva disorpassare un gruppo, respirava più liberamente, macapiva che i presenti si voltavano per guardarlo e, per la

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prima volta in vita sua, d'Artagnan, che aveva un'assaibuona opinione di se stesso, si sentì ridicolo. Arrivato allascala, fu ancor peggio: sui primi scalini c'erano quattromoschettieri che si divertivano al seguente esercizio,mentre dieci o dodici dei loro camerati aspettavano sulpianerottolo che venisse il loro turno per prender parte allapartita. Uno d'essi, posto sullo scalino superiore con laspada sguainata in mano, impediva, o per lo meno sisforzava di impedire, che gli altri tre salissero. Questi altritre si schermivano contro di lui con le loro spade moltoagili. D'Artagnan sul principio credette che si trattasse difioretti da scherma ma, ben presto, da certe graffiaturecapì che le spade erano bene affilate, e il bello era che aognuna di queste graffiature, non solo gli spettatori, maanche gli attori ridevano come pazzi. Quello che era sullo scalino in quel momento teneva meravigliosamente inrispetto i suoi avversari. Si era fatto circolo intorno a loro; ipatti erano che, a ogni colpo, il toccato avrebbe lasciato lapartita perdendo il proprio turno di udienza a favore delferitore. In cinque minuti tre furono sfiorati, uno al pugno,l'altro al mento e l'altro all'orecchio dal difensore delloscalino che, per conto suo non fu toccato, abilità che,secondo le convenzioni, gli valse tre turni di favore.Quantunque il nostro giovane viaggiatore ci tenesse a nonmeravigliarsi di nulla, questo strano passatempo lo colpì;egli aveva visto nella sua provincia, questa terra nellaquale purtuttavia le teste si scaldano tanto prontamente,qualche preliminare di più ai duelli, e la guasconata di queiquattro giocatori gli parve maggiore di quante ne avesse

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sentite raccontare sino allora, anche in Guascogna. Sicredette trasportato in quella famosa terra di giganti in cuiandò di poi Gulliver provandone tanta paura; e purtuttavianon era ancora alla fine: c'erano il pianerottolo el'anticamera. Sul pianerottolo non ci si batteva più: siraccontavano storie di donne, e nell'anticamera storie dicorte. Sul pianerottolo d'Artagnan arrossì, in anticamerarabbrividì. La sua immaginazione desta ed errabonda chein Guascogna lo aveva reso temibile fra le giovanicameriere e qualche volta anche fra le giovani padrone,non aveva mai sognato, nemmeno nei momenti di delirio,la metà di quelle meraviglie amorose e il quarto di quelleprodezze galanti, messe in risalto dai nomi più noti e daiparticolari meno velati. Ma se il suo amore per i buonicostumi fu ferito sul pianerottolo, il suo rispetto per ilCardinale ebbe un ben duro colpo nell'anticamera. Qui,con grandissima meraviglia di d'Artagnan, si udiva criticaread alta voce la politica che faceva tremare l'Europa, e lavita privata del Cardinale era messa a nudo, quantunquegrandi e potenti signori fossero stati puniti solo per avercercato d'investigarla. Questo grand'uomo per il quale ilsignor d'Artagnan padre aveva avuto tanta riverenza,serviva da zimbello ai moschettieri del signor di Tréville,che ridevano delle sue gambe storte e del suo dorso curvo;qualcuno cantava delle strofette sulla sua amante, signorad'Aiguillon, e su sua nipote, signora di Combalet, mentregli altri se la prendevano coi paggi e le guardie delCardinale; cose tutte che parevano a d'Artagnanmostruose assurdità. Tuttavia, quando il nome del Re

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veniva pronunciato all'improvviso fra i molti frizzi sulCardinale, ognuno si guardava d'intorno con esitazionequasi temendo che la porta stessa che chiudeva ilgabinetto del signor di Tréville potesse tradirlo; ma benpresto un'allusione riconduceva la conversazione su SuaEminenza, e allora il chiasso riprendeva più vivace chemai, e le malignità ricominciavano a fiorire. "Questa genteandrà presto alla Bastiglia o sarà impiccata" pensò conterrore d'Artagnan "e io senza dubbio avrò lo stessocastigo, poiché avendo ascoltati i loro discorsi, saròritenuto loro complice. Che direbbe il mio signor padre chemi ha tanto raccomandato il rispetto per il Cardinale, se misapesse in compagnia di simili pagani?" Così, come sipuò facilmente immaginare senza che io lo dica,d'Artagnan non osava intervenire nella conversazione; eglisi accontentava di guardare e di ascoltare attentamente.tendendo avidamente i suoi cinque sensi per non perderenulla della scena e, a dispetto della sua fiducia nelleraccomandazioni paterne, si sentiva spinto dalla sua indolee trascinato dai suoi istinti a lodare piuttosto che abiasimare le cose inaudite che accadevano in quel luogo.Purtuttavia, siccome era assolutamente straniero fra la folladei cortigiani del signor di Tréville e siccome era la primavolta che lo si vedeva lì, gli fu chiesto che cosa volesse. Aquesta domanda d'Artagnan rispose pronunciando moltomodestamente il proprio nome, fece valere la sua qualità dicompatriota, e pregò il domestico ch'era venuto ainterrogarlo di chiedere per lui al signor di Tréville unminuto d'udienza, domanda che quello gli promise con tono

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protettore di trasmettere a tempo e luogo. D'Artagnan,rimessosi dalla prima sorpresa, ebbe dunque tempo distudiare un po' le maniere e la fisionomia di coloro che locircondavano. Al centro del gruppo più animato stava unmoschettiere di statura altissima, di volto altiero, il qualeindossava un costume così bizzarro da attirare l'attenzionegenerale. Egli non indossava, per il momento, la casaccadi uniforme che, del resto, non era assolutamenteobbligatoria in quell'epoca di libertà minore ma di piùgrande indipendenza, bensì un giustacuore azzurro-cielo unpo' sciupato e spelato, e su questo abito una magnificatracolla ricamata in oro che brillava di riflessi lucentissimisimili a quelli che il sole di mezzogiorno trae dall'acqua delmare. Un lungo mantello di velluto cremisi ricadeva congrazia sulle sue spalle lasciando scoperta sul davantisoltanto la splendida bandoliera dalla quale pendeva unagigantesca spada. Quel moschettiere aveva appenaterminato il suo turno di guardia, si lamentava di essereraffreddato e tossiva tratto tratto con affettazione. Perquesto, diceva a quelli che gli erano intorno, avevaindossato il mantello e mentre parlava dall'alto della suastatura arricciandosi sdegnosamente i baffi, gli altriammiravano con entusiasmo, e d'Artagnan più di chiunquealtro, il bàlteo ricamato. "Che volete" diceva il moschettiere"stanno venendo di moda; è una pazzia, lo so, ma lo vuolela moda. D'altronde bisogna pure impiegare in qualchemodo il denaro della propria legittima." "Oh, Porthos!"esclamò uno dei presenti. "Non ci vorrai dare a intendereche questa bandoliera è un dono di tuo padre! Essa ti sarà

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stata regalata dalla dama velata con la quale ti hoincontrato domenica scorsa, verso porta Saint-Honoré.""No, sulla mia parola d'onore e sulla mia fede digentiluomo, vi dico che l'ho comperata io stesso e coi mieidenari" rispose quello ch'era stato chiamato col nome diPorthos. "Sì, come io ho comperato" disse un altromoschettiere "questa borsa nuova coi danari che la miaamante aveva messi in quella vecchia." "Ho detto il vero"disse Porthos "e la prova è che l'ho pagata dodici pistole."L'ammirazione raddoppiò, quantunque il dubbiocontinuasse a esistere. "Non è vero, Aramis?" dissePorthos rivolgendosi a un altro moschettiere Quest'altromoschettiere formava un perfetto contrasto con quello chelo interrogava e che lo aveva designato col nome diAramis: era un giovanotto di ventidue o ventitré anniappena, ingenuo e semplice, dall'occhio nero e dolce, dalleguance rosee e vellutate come una pesca d'autunno; i suoibaffi fini disegnavano sul suo labbro superiore una lineaperfettamente diritta; le sue mani sembravano temere diabbassarsi, per paura che le vene si gonfiassero; di tantoin tanto egli si pizzicava i lobi degli orecchi per mantenerlidi un incarnato tenero e trasparente. Abitualmente parlavapoco e lentamente, salutava molto e rideva senza rumoremostrando i denti, che aveva bellissimi e dei quali eglisembrava avere gran cura, come di tutta la sua persona.Alla domanda dell'amico rispose con un cenno di testaaffermativo. Questa affermazione parve aver dissipato ognidubbio circa la provenienza della bandoliera; si continuòdunque ad ammirarla, ma non se ne parlò più; e per un

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rapido mutamento di pensiero, la conversazione passò aun altro soggetto. "Che pensate di quello che racconta loscudiero di Chalais?" domandò un altro moschettieresenza interpellare direttamente nessuno, ma rivolgendosi atutti in generale. "E che cosa racconta?" chiese Porthoscon tono presuntuoso. "Racconta che ha trovato aBruxelles Rochefort, l'anima dannata del Cardinale,travestito da cappuccino; quel maledetto Rochefort, graziea questo travestimento si era burlato di quello sciocco delsignor Laigues." "Proprio uno sciocco" disse Porthos "mala cosa è sicura?" "Io la so da Aramis" disse ilmoschettiere. "Veramente?" "Eh? lo sapete benissimo,Porthos" disse Aramis "ve l'ho detto anche ieri, nonparliamone più dunque." "Non parliamone più, questa è lavostra opinione" rispose Porthos "non parliamone più!Diavolo! Come venite presto alla conclusione! Come! IlCardinale fa spiare un gentiluomo; fa rubare la suacorrispondenza da un traditore, da un brigante, da unpendaglio da forca; fa con l'aiuto di questo spione e graziea quella corrispondenza, tagliare il collo a Chalais, con lostupido pretesto che ha voluto uccidere il Re, e sposareMonsieur[3] con la Regina! Nessuno sapeva una parola diquesto enigma, voi ce ne avete parlato ieri con nostragrande soddisfazione, e mentre siamo ancora tutti storditida questa notizia, oggi ci dite: 'non parliamone più!'." "Eparliamone dunque, poiché lo desiderate" risposepazientemente Aramis. "Quel Rochefort" esclamò Porthos"se io fossi stato lo scudiero del povero Chalais, dovrebbepassare con me un ben brutto momento." "E voi

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passereste un bel triste quarto d'ora col duca rosso"riprese Aramis. "Oh il duca rosso! bravo bravo il ducarosso!" rispose Porthos battendo le mani e approvando colcapo. "Il 'duca rosso' è delizioso. Diffonderò questa trovata,mio caro, siatene certo. Ne ha dello spirito, questo Aramis!Che disgrazia che non abbiate potuto seguire la vostravocazione! Che delizioso abate sareste stato!" "Oh, non sitratta che di un ritardo momentaneo" riprese Aramis "verràil giorno in cui lo sarò. Sapete bene, Porthos, che continuoa studiare teologia per questo." "E farà come dice" ripresePorthos "lo farà, presto o tardi." "Presto" disse Aramis."Non aspetta che una cosa per decidersi completamente eriprendere la tonaca che è appesa dietro la sua uniforme"riprese un moschettiere. "E che cosa aspetta?" chiese unaltro. "Aspetta che la Regina abbia dato un erede allacorona di Francia." "Non scherziamo su questo, signori"disse Porthos. "La Regina, grazie a Dio, è ancora in età dapoterlo fare." "Si dice che il signor di Buckingham è inFrancia" riprese Aramis con un riso beffardo che dava aquesta frase così semplice in apparenza un significatoabbastanza scandaloso. "Aramis, amico mio, questa voltaavete torto" interruppe Porthos "la vostra mania di far dellospirito vi trascina sempre al di là dei limiti; se il signor diTréville vi udisse, non la passereste liscia." "Volete forsedarmi una lezione, Porthos!" esclamò Aramis e nellosguardo gli passò un lampo. "Mio caro, siate omoschettiere o abate, siate l'uno o l'altro ma non l'uno el'altro insieme" riprese Porthos. "Athos vi disse l'altrogiorno che voi mangiate a tutte le rastrelliere. Oh! non

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arrabbiamoci per questo, sarebbe inutile; sapete bene ciòche è stato stabilito fra voi, Athos e me. Voi andate dallasignora d'Aiguillon e le fate la corte; andate dalla signora diBois- Tracy, cugina della signora di Chevreuse, e si diceche siate molto innanzi nelle buone grazie della dama. Diomio, non voglio che confessiate la vostra fortuna; nessunovi domanda il vostro segreto; conosco la vostradiscrezione. Ma poiché possedete questa virtù, chediavolo! fatene uso nei riguardi di Sua Maestà. Si occupichi vuole e come vuole del Re e del Cardinale; ma laRegina è sacra, e se se ne parla, se ne parli bene.""Porthos, siete presuntuoso come Narciso, ve neprevengo" rispose Aramis. "Sapete che odio la morale aeccezione di quando mi è fatta da Athos. In quanto a voi,mio caro, avete una troppo magnifica bandoliera per esserforte in questa materia. Io sarò abate se mi converrà; nelfrattempo sono moschettiere: e in questa qualità dico ciòche mi piace, e in questo momento mi piace dire che miseccate." "Aramis!" "Porthos!" "Signori! Signori!" sigridava intorno a loro. "Il signor di Tréville aspetta il signord'Artagnan" interruppe il cameriere aprendo la porta delgabinetto. A questo annunzio, durante il quale la portarimase aperta tutti tacquero, e nel silenzio generale ilgiovane guascone attraversò l'anticamera in quasi tutta lasua lunghezza ed entrò dal capitano dei moschettieri,rallegrandosi in cuor suo di sottrarsi così al punto giustoalla fine di quella bizzarra lite.

Capitolo 3 L'UDIENZA

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Il signor di Tréville era, in quel momento, di pessimoumore; purtuttavia salutò gentilmente il giovanotto, che siinchinò fino a terra, e sorrise ricevendo il suo complimento,l'accento bearnese del quale gli ricordò insieme la suagioventù e il suo paese, doppio ricordo che fa sorriderel'uomo in tutte le età. Ma, avvicinandosi quasi subitoall'anticamera e facendo con la mano un cenno ad'Artagnan, come per chiedergli il permesso di terminarecon gli altri prima di cominciare con lui, chiamò a treriprese, rafforzando di mano in mano la voce, e passandodal tono imperativo all'accento irritato: "Athos! Porthos!Aramis!" I due moschettieri coi quali abbiamo già fattaconoscenza e che rispondevano ai due ultimi nomi,lasciarono prontamente il gruppo di cui facevano parte edentrarono nel gabinetto, la cui porta fu chiusa non appenane ebbero varcata la soglia. Il loro contegno, sebbene nonfosse perfettamente tranquillo, destò ugualmentel'ammirazione di d'Artagnan per la disinvoltura pienainsieme di sottomissione e di dignità; il giovane vedeva inquegli uomini dei semidei e nel loro capo un Gioveolimpico armato di tutte le sue folgori.Quando i duemoschettieri furono entrati, quando la porta fu chiusa dietroloro, quando il chiacchierio dell'anticamera, al quale quellachiamata aveva dato senza dubbio nuovo alimento dichiacchiere, ebbe ripreso a ronzare, quando, infine, ilsignor di Tréville ebbe misurato a gran passi, silenzioso e

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con le sopracciglia corrugate, per tre o quattro volte, il suogabinetto, passando a ripassando ogni volta davanti aPorthos e ad Aramis rigidi e muti come alla parata, siarrestò di colpo in faccia a loro, e squadrandoli dal capo apiedi con uno sguardo irritato: "Sapete che cosa mi hadetto il Re" esclamò "non più tardi di ieri sera, lo sapete,signori?" "No" risposero dopo un attimo di silenzio i duemoschettieri "no, signore, non lo sappiamo." "Ma spero cifarete l'onore di dircelo" aggiunse Aramis col suo tono piùgentile e col più grazioso degli inchini. "Mi ha detto che daora in poi recluterà i suoi moschettieri fra le guardie delCardinale!" "Fra le guardie del Cardinale! E perché?"chiese con vivacità Porthos. "Perché ha visto che il suovinello ha bisogno di essere rafforzato con un poco di vinobuono." I due moschettieri arrossirono fino al bianco degliocchi. D'Artagnan non sapeva dove fosse e avrebbe volutosprofondare cento piedi sotto terra. "Sì, sì" continuò ilsignor di Tréville animandosi. "Sì, Sua Maestà avevaragione, perché, sul mio onore, i moschettieri fanno unaben triste figura a corte. Monsignor Cardinale raccontavaieri sera al giuoco del Re, con un'aria di commiserazioneche mi dispiacque molto, che ieri l'altro quei dannatimoschettieri, quei diavoli a quattro, e appoggiava suqueste parole con un accento ironico che mi dispiacqueanche di più, quegli spaccamondi, aggiunse guardandomicoi suoi occhi di gattopardo, si erano attardati in via Férotin un'osteria e che una ronda delle sue guardie - credettiche stesse per ridermi in faccia - era stata costretta adarrestare i perturbatori. Giurabacco! Voi dovete saperne

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qualcosa! Arrestare dei moschettieri! Voi eravate delnumero e non vi difendeste, vi hanno riconosciuto e ilCardinale ha fatto i vostri nomi. E questa è colpa mia, ècolpa mia perché sono io che scelgo i miei uomini. Ditemi,ditemi voi, Aramis, perché mi avete chiesto la casacca delmoschettiere quando eravate così ben adatto per portarela tonaca del prete? E voi, Porthos, che avete una cosìbella bandoliera, l'avete forse soltanto per appendervi unaspada di legno. E Athos! Non vedo Athos. Dov'è?""Signore" rispose tristemente Aramis "è malato, moltomalato." "Malato? Molto malato dite? di quale malattia?""Si teme sia vaiuolo, signore" rispose Porthos che voleva asua volta mettere una parola nella conversazione "esarebbe una ben triste cosa perché certamente il suo visorimarrebbe sfigurato." "Malato di vaiuolo! Ecco una benstrana storia che mi raccontate, Porthos! Malato di vaiuolo,alla sua età? Non lo credo!... sarà ferito senza dubbio,ucciso forse. Ah! se lo sapessi... per Dio! Signorimoschettieri, esigo che non si frequentino così certipessimi ambienti, che si litighi per le strade e che ci sibatta a ogni crocevia. Non voglio infine che si offra motivodi riso alle guardie di monsignor Cardinale che sono brave,tranquille e furbe, che non si mettono mai in condizioni diessere arrestate e che d'altra parte non si lascerebberoarrestare, ne sono sicuro. Esse preferirebbero morire sulposto che fare un passo indietro... Scappare, darsela agambe, fuggire, questo è degno solo dei moschettieri delRe!" Porthos e Aramis fremevano di rabbia. Avrebberovolentieri strozzato il signor di Tréville se, in fondo in fondo,

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non avessero capito che era solamente il suo grandeaffetto per loro a farlo parlare così. Essi battevano il piedesul tappeto, si mordevano le labbra fino a farle sanguinaree stringevano con tutta la loro forza l'elsa della spada.Come s'è detto, coloro ch'erano in anticamera avevanosentito chiamare Athos, Porthos e Aramis, e, dal tono dellavoce del signor di Tréville, si erano resi conto ch'egli eranella più grande collera. Dieci teste curiose eranoappoggiate alla porta e impallidivano per l'ira, perché leloro orecchie incollate all'uscio non perdevano una sillabadi ciò che si diceva dentro, mentre le loro boccheripetevano sottovoce agli altri dell'anticamera le paroleinsultanti del capitano, a misura ch'egli le pronunciava. In unattimo, dall'anticamera alla porta di strada, tutto il palazzofu in ebollizione. "Ah! i moschettieri del Re si fannoarrestare dalle guardie del Cardinale" continuò il signor diTréville non meno furioso dei suoi soldati; ma scandendo leparole e immergendole a una a una, per così dire, comealtrettanti colpi di pugnale nel petto degli ascoltatori. "Ah!sei guardie di Sua Eminenza arrestano sei moschettieri diSua Maestà! Perbacco! Ho preso la mia decisione. Vadoimmediatamente al Louvre, mi dimetto da capitano deimoschettieri e domando il posto di luogotenente nelleguardie del Cardinale, e se me lo rifiuta, perbacco! mifaccio abate!" A queste parole il mormorio dell'esternodivenne un'esplosione: non s'udirono che esclamazioni ebestemmie. I 'perdio!' I 'sangue di Dio!' I 'morte di tutti idiavoli!' s'incrociavano nell'aria. D'Artagnan cercava unatenda dietro la quale nascondersi, e si sarebbe volentieri

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ficcato sotto il tavolo. "Ebbene, capitano" proruppe Porthosfuor dei gangheri "è vero, noi eravamo sei contro sei, mafummo presi a tradimento e prima che avessimo potutosguainare le spade due di noi erano caduti morti e Athos,gravemente ferito, non valeva più di loro. Voi conosceteAthos; ebbene, capitano, egli ha cercato per due volte dirialzarsi e per due volte è ricaduto. Purtuttavia noi non cisiamo arresi! Ci hanno trascinati a forza. Lungo la stradasiamo fuggiti. In quanto a Athos, lo avevano creduto mortoe lo avevano lasciato tranquillo sul campo di battaglia,credendo non valesse la pena di trasportarlo. Ecco com'èla storia. Diavolo, capitano, non si possono vincere tutte lebattaglie! Il gran Pompeo perdette quella di Farsaglia e ilre Francesco Primo che, per quanto ne so, valeva quantochiunque altro, perse quella di Pavia." "E io ho l'onore diassicurarvi che uno l'ho ucciso con la sua stessa spada"disse Aramis "perché la mia si spezzò alla prima parata...Ucciso o pugnalato come meglio vi piace, signore.""Questo non lo sapevo" riprese il signor di Tréville con tonoalquanto raddolcito. "A quanto vedo monsignor Cardinaleaveva alquanto esagerato." "Ma, di grazia, signore"continuò Aramis, che, vedendo calmarsi il suo capitano,osava arrischiare una preghiera "di grazia, signore, nondite che Athos è ferito; egli sarebbe disperato se ciòarrivasse alle orecchie del Re, e siccome la sua ferita è frale più gravi, poiché la spada dopo avergli attraversata laspalla è penetrata nel petto, ci sarebbe da temere..." Nellostesso istante la portiera si sollevò e una testa nobile ebella, ma spaventosamente pallida, apparve fra le frange.

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"Athos!" esclamarono i due moschettieri."Athos!" ripeté ilsignor di Tréville."Mi avete chiamato, signore" disse Athosal signor di Tréville, con voce debole ma perfettamentecalma "voi mi avete chiamato, mi hanno detto i mieicamerati, e mi sono fatto premura di accorrere ai vostriordini; che volete da me, signore?" E con queste parole, ilmoschettiere, in tenuta impeccabile, attillato come diconsueto, entrò con passo fermo nel gabinetto. Il signor diTréville, profondamente commosso da questa prova dicoraggio, si precipitò verso lui. "Stavo dicendo a questisignori" aggiunse "che proibisco ai miei moschettieri diarrischiare la loro vita senza necessità, poiché i valorosisono molto cari al Re, e il Re sa che i suoi moschettierisono i soldati più coraggiosi del mondo. Datemi la vostramano, Athos." E senza aspettare che il nuovo venutorispondesse da sé a questa prova d'affetto, il signor diTréville afferrò la sua mano destra e la strinse con tutte lesue forze, senza accorgersi che Athos, nonostante ildominio che aveva su se stesso, non poteva fare a menodi dare in un gemito di dolore e, cosa che si sarebbepotuta credere impossibile, diventava più pallido. La portaera restata socchiusa, tanta era stata la sensazioneprodotta dall'arrivo di Athos della cui ferita, a dispetto delsegreto, tutti erano informati. Un mormorio disoddisfazione accolse le ultime parole del capitano e, trascinate dall'entusiasmo, due o tre teste apparverodall'apertura della portiera. Il signor di Tréville si disponevacertamente a reprimere con vivaci parole questa infrazioneall'etichetta, quando sentì la mano di Athos contrarsi nella

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sua, e volgendo gli occhi su di lui si accorse ch'era lì lì persvenire. Nello stesso momento, Athos, che aveva fattoappello a tutte le sue forze per lottare contro il dolore,sopraffatto infine da questo, cadde sul pavimento comemorto. "Un chirurgo!" gridò il signor di Tréville. "Il mio,quello del Re, il migliore! Un chirurgo, perdio! Il miovaloroso Athos morirà!" Alle grida del signor di Tréville, tuttisi precipitarono nel suo gabinetto senza ch'egli pensasse arespingere nessuno, poiché tutti si affollavano intorno alferito. Ma ogni premura sarebbe stata inutile se il dottoreinvocato non fosse stato nel palazzo; egli fendette la folla,si avvicinò ad Athos sempre svenuto, e, siccome tutto quelrumore e quel movimento lo disturbavano assai, chiese perprima cosa e come cosa più urgente che il moschettierefosse trasportato in una camera vicina. Subito il signor diTréville aprì una porta e mostrò la via a Porthos e adAramis che trasportarono a braccia il loro camerata. Ilchirurgo seguì il gruppo, e la porta si richiuse subito dietroil chirurgo. Allora il gabinetto del signor di Tréville, quelluogo di solito così rispettato, divenne momentaneamente una succursale dell'anticamera.Ciascuno discuteva, perorava, parlava ad alta voce,bestemmiava, sacramentava mandando il Cardinale e lesue guardie a tutti i diavoli. Un momento dopo Porthos eAramis rientrarono; solo il chirurgo e il signor di Trévilleerano restati presso il ferito. Infine il signor di Trévillerientrò a sua volta. Il ferito aveva ripreso conoscenza; ilchirurgo dichiarava che lo stato del moschettiere non avevanulla che potesse preoccupare i suoi amici, il suo

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svenimento era stato provocato semplicemente dallaperdita di sangue. Poi il signor di Tréville fece un cennocon la mano e ciascuno si ritirò, eccetto d'Artagnan chenon dimenticava d'esser stato ammesso all'udienza e, conla sua tenacia di Guascone, rimaneva allo stesso posto.Allorché tutti furono usciti e la porta fu richiusa, il signor diTréville si volse e si trovò solo col giovanotto. Ciò che erasuccesso gli aveva fatto perdere un poco il filo delle idee.Chiese quindi che cosa desiderasse l'ostinatosollecitatore. D'Artagnan disse il suo nome e il signor diTréville, richiamando tutti i suoi ricordi del passato e delpresente, si ritrovò al corrente della situazione. "Scusate"disse sorridendo "scusate e, caro compatriota, vi avevocompletamente dimenticato. Che volete! Un capitano non èche un padre di famiglia carico di una responsabilità più,grande di quella di un padre normale di famiglia. I soldatisono dei grandi fanciulli; ma siccome ci tengo a che gliordini del Re e soprattutto quelli di monsignor Cardinalesiano eseguiti..." D'Artagnan non poté dissimulare unsorriso. A quel sorriso il signor di Tréville capì che nonaveva a che fare con uno sciocco e, cambiandoargomento, venne diritto al fatto: "Io ho amato molto ilvostro signor padre" disse. "Che posso fare per suo figlio?Ditelo presto perché il mio tempo è contato." "Signore"disse d'Artagnan "lasciando Tarbes e venendo qui, mi eroproposto di chiedervi in ricordo di questa amicizia di cuinon avete perduto la memoria, una casacca damoschettiere, ma da quanto osservo da due ore,comprendo che un tale favore sarebbe enorme e temo di

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non meritarlo." "In verità sarebbe un grande favore,giovanotto" rispose il signor di Tréville "ma non forse tantoal disopra di quanto voi credete o avete l'aria di credere.Tuttavia un decreto di Sua Maestà ha previsto questo casoe con dispiacere debbo dirvi che nessuno può essereaccolto nel corpo dei moschettieri prima che abbia dataprova di sé in qualche campagna, o prima di certe azionisegnalate o di un servizio di due anni in qualche altroreggimento meno favorito del nostro." D'Artagnan siinchinò senza rispondere. Egli desiderava ancora piùardentemente di indossare l'uniforme del moschettiere,visto che vi erano tante difficoltà per poterla ottenere. "Ma"continuò Tréville fissando sul suo compatriota uno sguardocosì acuto che pareva volesse leggergli in fondo al cuore"ma in favore di vostro padre, mio antico compagnod'arme come vi ho detto, voglio fare qualcosa per voi,giovanotto. I nostri cadetti del Bearn non sono ricchi disolito e credo che le cose non saranno molto mutatedacché ho lasciato la mia provincia. Il denaro che aveteportato con voi, non deve essere troppo per vivere aParigi." D'Artagnan si rizzò con aria fiera per significareche non chiedeva l'elemosina a nessuno. "Va bene,giovanotto, va bene" continuò Tréville "conosco benequeste arie; sono venuto a Parigi con quattro scudi in tascae mi sarei battuto con chiunque mi avesse detto che nonerano sufficienti per comperare il Louvre." D'Artagnans'irrigidì ancor più; in grazia alla vendita del suo cavallo,egli cominciava la sua carriera con quattro scudi più diquelli che aveva il signor di Tréville allorché cominciò la

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sua. "Dunque, dicevo, voi avete bisogno di conservare ildenaro che avete per quanto ingente sia questa somma;ma voi dovete aver bisogno anche di perfezionarvi negliesercizi che convengono a un gentiluomo. Oggi stessoscriverò una lettera al Direttore dell'Accademia reale e sinda domani egli vi riceverà senza nessuna retribuzione daparte vostra. Non rifiutate questa piccola facilitazione. Inostri gentiluomini più nobili e ricchi la sollecitano moltevolte senza poterla ottenere. Imparerete il maneggio delcavallo, la scherma e la danza, farete delle buoneconoscenze e, tratto tratto verrete a vedermi per dirmicome vi trovate e se posso fare qualcosa per voi."D'Artagnan, per quanto estraneo fosse ai modi di corte, siaccorse della freddezza di questa accoglienza. "Ahimé,signore" disse "vedo bene quanto mi nuoce non aver conme la lettera di raccomandazione che mio padre mi avevadata per voi!" "Infatti" rispose Tréville "mi meraviglio assaiche abbiate fatto un così lungo viaggio senza questoviatico, che è la sola risorsa di noi Bearnesi." "L'avevo,signore e, grazie a Dio, nella forma migliore" esclamòd'Artagnan "ma mi è stata perfidamente rubata." Eraccontò tutta la scena di Meung, descrisse il gentiluomosconosciuto nei suoi minimi particolari, il tutto con un caloree un'esattezza che piacquero molto al signor di Tréville."Ciò è ben strano" disse quest'ultimo dopo qualche istantedi meditazione. "Avevate dunque parlato ad alta voce dime?" "Sì, signore, dovevo certo aver commessoquest'imprudenza; che volete, un nome come il vostrodoveva servirmi da scudo lungo la strada; pensate se me

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ne sono servito!" L'adulazione era cosa di quei tempi e ilsignor di Tréville amava l'incenso al pari di un Re o di unCardinale. Non poté quindi fare a meno di sorridere convisibile soddisfazione, ma questo sorriso fu tostocancellato e Tréville tornò da sé all'avventura di Meung:"Ditemi" continuò "questo gentiluomo non aveva una leggera cicatrice a una guancia?" "Sì, come la scalfitturafatta da una palla." "Era un uomo di bella presenza?" "Sì.""Alto di statura?" "Sì." "Pallido e di capelli scuri?" "Sì, sì,proprio così. Come fate a conoscere quest'uomo, signore?Ah, se lo trovo, e lo ritroverò, vi giuro, fosse pureall'inferno..." "Aspettava una donna?" continuò Tréville. "Perlo meno, è partito dopo aver parlato per un attimo conquella che attendeva." "Non sapete di che parlassero?""Egli le consegnò una scatola e le disse che in quellascatola erano le sue istruzioni e le raccomandò di nonaprirla che a Londra." "Quella donna era inglese?" "Lachiamava milady." "E' lui!" mormorò Tréville. "E' lui! e locredevo ancora a Bruxelles!" "Oh, signore, se sapete ilnome di quest'uomo" esclamò d'Artagnan "ditemi chi è edove è, dopodiché vi considererò sciolto da ogni impegnonei miei riguardi, anche dalla vostra promessa di farmientrare nei moschettieri, perché prima di tutto, vogliovendicarmi." "Astenetevene assolutamente, giovanotto"esclamò Tréville "anzi, se lo vedete arrivare da un lato dellastrada, passate dall'altro! Non urtatevi a simile roccia;sareste frantumato come vetro." "Ciò non mi impedirà"disse d'Artagnan "se lo trovo..." "Intanto" riprese Tréville"non cercatelo, ascoltate il mio consiglio." D'un tratto

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Tréville ammutolì, colpito da un subito sospetto. Quelgrande odio che il giovane viaggiatore proclamava a granvoce per quell'uomo che, cosa assai inverosimile, gli avevarubata la lettera di suo padre, quell'odio non nascondevaqualche insidia? Quel giovanotto non era forse un inviato diSua Eminenza? Non veniva a tendergli qualche tranello?Questo preteso d'Artagnan non era un emissario che ilCardinale cercava di introdurre nella sua casa e che gliveniva messo vicino per sorprendere la sua fiducia e perperderlo più tardi, come era successo molte volte? Egliguardò d'Artagnan più fissamente ancora della prima volta;e fu mediocremente rassicurato da quell'espressionescintillante di astuzia e di ostentata umiltà. "So bene che èGuascone" pensò "ma può esserlo tanto per il Cardinalequanto per me: mettiamolo alla prova." "Amico mio" disselentamente "io voglio, come figlio del mio anticocompagno, dato che considero vera la storia della letteraperduta, io voglio, dicevo, anche per riparare allafreddezza che voi avete notata nella mia accoglienza,mettervi a conoscenza dei segreti della nostra politica. IlRe e il Cardinale sono i migliori amici di questo mondo. Iloro apparenti contrasti servono soltanto per ingannare glisciocchi. Non voglio che un compatriota, un gentilecavaliere, un bravo ragazzo nato per far carriera, siazimbello di tutte queste finte e cada nella pania come tantialtri che si sono perduti. Ricordatevi che io sono devoto aquesti due potentissimi padroni e che mai le cose serieche faccio avranno altro scopo che di servire il Re emonsignor Cardinale che è uno dei più illustri geni che la

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Francia abbia prodotti. Dunque, giovanotto, regolatevi diconseguenza e se voi avete, o per legami di famiglia, od'amicizia, o per vostro istinto contro il Cardinale una diquelle inimicizie che vediamo manifestarsi in qualchegentiluomo, ditemi addio, e lasciamoci. Io vi aiuterò in millecircostanze, ma senza prendervi alle mie dipendenze.Spero, ad ogni modo, che la mia franchezza farà di voi unmio amico; giacché voi siete, a tutt'oggi, il solo giovanottoal quale abbia parlato come ho fatto." Intanto Trévillepensava: "Se il Cardinale mi ha mandato questa giovanevolpe, non avrà certamente mancato, lui che sa sino a chepunto lo detesti, di dire alla sua spia che il miglior modoper entrare nelle mie grazie è di dirmi le peggiori cose sulsuo conto; per cui, nonostante le mie proteste, il furbocompare mi dirà che odia Sua Eminenza." Ma la cosaandò in modo del tutto diverso da come si aspettavaTréville; d'Artagnan rispose con la più grande semplicità:"Signore, arrivo a Parigi coi vostri stessi sentimenti. Miopadre mi ha raccomandato di non sopportar nulla se nondal Re, da monsignor Cardinale e da voi, ch'egli consideracome le tre principali personalità della Francia".D'Artagnan, come si noterà, aggiungeva il signor di Trévilleai primi due; ma pensava che questa aggiunta non potesseguastar nulla. "Io ho dunque la massima venerazione permonsignor Cardinale" continuò "e il massimo rispetto perciò che egli fa. Tanto meglio per me, signore se mi parlatecon franchezza, perché, in questo caso, mi farete l'onore distimare questa identità di sentimenti; ma se voi avetequalche diffidenza, d'altra parte ben naturale, sento che,

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dicendo la verità, mi perdo; ma tanto peggio per me, nonper questo voi cesserete di stimarmi, ed è alla vostra stimache io tengo soprattutto." Il signor di Tréville rimasegrandemente stupito: tanta penetrazione e tanta franchezzadestavano la sua ammirazione, ma non facevanoscomparire del tutto i suoi dubbi: più il giovanotto erasuperiore ai suoi simili, più era da temersi se eglis'ingannava. Nondimeno strinse la mano a d'Artagnan e glidisse: "Voi siete un ragazzo onesto, ma per il momentonulla più di quanto ho detto posso fare per voi. Il miopalazzo vi sarà sempre aperto, più tardi, potendo chiederedi me a tutte le ore, e, per conseguenza, essendo così ingrado di afferrare tutte le occasioni, otterreteprobabilmente ciò che desiderate." "Vale a dire, signore"riprese d'Artagnan "che voi aspettate ch'io me ne rendadegno. Ebbene, potete essere sicuro" aggiunse con lafamiliarità dei Guasconi "che non aspetterete molto." Esalutò mentre stava ritirandosi, come se ormai il restoriguardasse solo lui. "Aspettate dunque" disse il signor diTréville fermandolo "vi ho promesso una lettera per ildirettore dell'Accademia. Siete dunque così orgoglioso danon accettarla, mio giovane gentiluomo?" "No, signore"disse d'Artagnan "e vi assicuro che con questa non micapiterà come con l'altra. La custodirò così bene chearriverà a destinazione, ve lo giuro, e sventura a colui chetentasse di togliermela!" Il signor di Tréville sorrise aquesta fanfaronata; e, lasciando il suo giovane compatriotanel vano della finestra dove si trovavano e dove si erasvolto il loro colloquio, andò a sedersi a un tavolo e si mise

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a scrivere la lettera di raccomandazione promessa.Frattanto d'Artagnan, che non aveva niente di meglio dafare, si mise a battere una marcia sui vetri guardando imoschettieri che se ne andavano gli uni dopo gli altri eseguendoli con gli occhi finché sparivano alla svolta dellavia. Il signor di Tréville, dopo avere scritta la lettera, lasigillò e, alzatosi, si avvicinò al giovanotto per dargliela, manello stesso momento in cui d'Artagnan stendeva la manoper riceverla, il signor di Tréville fu altamente meravigliatodi vedere il suo protetto trasalire, arrossire di collera eslanciarsi fuor del gabinetto gridando: "Ah, per Giove!questa volta non mi scapperà!" "Chi mai?" domandò ilsignor di Tréville. "Il mio ladro!" rispose d'Artagnan. "Ah,traditore!" e disparve. "Diavolo d'un pazzo!" mormoròTréville. "Purché" aggiunse "non sia questa una manieraassai abile di svignarsela, visto che ha mancato il colpo."

Capitolo 4 LA SPALLA D'ATHOS, LA BANDOLIERA DIPORTHOS E IL FAZZOLETTO DI ARAMIS

D'Artagnan, furioso, aveva attraversato l'anticamera in tresalti e si slanciava per le scale sperando di poternescendere gli scalini a quattro a quattro, allorché, trascinatodalla sua corsa, andò a urtare a testa bassa contro unmoschettiere che usciva dall'appartamento del signor diTréville per una porta secondaria, lo urtò con la fronte allaspalla e gli strappò un grido di dolore. "Scusate" disse

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d'Artagnan, cercando di riprendere la corsa "scusate, maho fretta!" Ma non aveva disceso ancora il primo scalinoche una mano di ferro lo afferrò per la sciarpa e lo fermò."Avete fretta!" esclamò il moschettiere pallido come un lino"con questo pretesto mi urtate, mi dite 'scusate' e credeteche questo basti? Niente affatto, giovanotto. Credete forseperché avete udito il signor di Tréville parlarci un po'vivamente, che ci si possa trattare così come egli ci parla?Disingannatevi, amico mio; voi non siete il signor diTréville." "In fede mia" replicò d'Artagnan, che riconobbeAthos, il quale dopo le fasciature e le cure del dottore,tornava a casa sua "in fede mia non l'ho fatto apposta e viho detto 'Scusate!'. Mi sembra dunque che sia abbastanza.Purtuttavia vi ripeto, e questa volta è forse di troppo, viripeto sulla mia parola d'onore che ho fretta, molta fretta.Lasciatemi dunque, ve ne prego, lasciatemi andare dovedevo andare." "Signore" disse Athos lasciandolo "nonsiete educato. Si vede che venite da lontano." D'Artagnanaveva già fatti tre o quattro scalini, ma alle ultime parole diAthos si fermò di colpo. "Perbacco, signore!" disse "perquanto da lontano venga, non sarete voi che mi darete unalezione d'educazione, ve ne prevengo." "Chissà" disseAthos. "Ah! se non avessi tanta fretta" esclamò d'Artagnan"e se non dovessi correre dietro a qualcuno..." "Signorfrettoloso, voi mi troverete sempre senza bisogno dirincorrermi; mi capite?" "E dove, di grazia?" "Vicino aiCarmelitani scalzi." "A che ora?" "Verso mezzogiorno.""Verso mezzogiorno, benissimo, ci sarò." "Cercate di nonfarmi attendere, perché a mezzogiorno e un quarto, ve ne

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prevengo, sarò io a corrervi dietro e vi taglierò le orecchiealla corsa." "Bene" gridò d'Artagnan "arriverò amezzogiorno meno dieci." E si mise a correre quasi ildiavolo lo sospingesse, nella speranza di trovare ancora ilsuo sconosciuto, che il suo passo tranquillo non dovevaaver condotto molto lontano. Ma alla porta di stradaPorthos stava parlando con un soldato di guardia. Fra i duec'era giusto lo spazio per un uomo. D'Artagnan credetteche quello spazio gli sarebbe bastato e si slanciò perpassare fra di loro come una freccia. Ma d'Artagnan avevafatto i conti senza il vento. Mentre stava per passare, ilvento s'ingolfò nel lungo mantello di Porthos, e d'Artagnanvi si impigliò. Senza dubbio Porthos aveva delle buoneragioni per non abbandonare questa parte essenziale delsuo costume perché invece di lasciarne andare la faldache teneva, la tirò a sé, cosicché d'Artagnan si trovòavvolto nel velluto per un movimento di rotazione di cui laresistenza ostinata di Porthos dà una spiegazionesufficiente. D'Artagnan, sentendo bestemmiare ilmoschettiere, volle sortire di sotto il mantello che loaccecava e cercò la strada fra le pieghe. Temevasoprattutto di aver sciupata la freschezza della magnificabandoliera che conosciamo; ma, aprendo timidamente gliocchi, si trovò col naso incollato alle spalle di Porthos, valea dire proprio sulla bandoliera. Ahimè! come la maggiorparte delle cose di questo mondo, che non hanno valore senon per la loro apparenza, la bandoliera era d'oro suldavanti e di semplice bufalo di dietro. Porthos daquell'orgoglioso che era, non potendo avere una

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bandoliera tutta d'oro, ne aveva almeno una meta: sicomprende quindi la necessità del raffreddore e l'urgenzadel mantello. "Corpo di bacco!" gridò Porthos facendo deigrandi sforzi per sbarazzarsi di d'Artagnan che gligorgogliava alle spalle "siete arrabbiato per gettarviaddosso alle persone in questo modo!" "Scusatemi" dissed'Artagnan comparendo da sotto la spalla del gigante "maho molta fretta, corro dietro a qualcuno, e..." "Dimenticateforse gli occhi, quando correte?" chiese Porthos. "No"rispose d'Artagnan urtato "no, e grazie ai miei occhi vedoanzi ciò che gli altri non hanno visto." Porthos, avessecompreso o no l'allusione, si lasciò trasportare dallacollera. "Signore" disse "sarete strigliato a dovere, ve neprevengo, se vi strofinate così ai moschettieri." "Strigliato,signore!" esclamò d'Artagnan "la parola è ben dura." "E'quale si conviene a un uomo abituato a guardare in faccia isuoi nemici." "Perdio! So bene che voi non mostrate ildorso ai vostri!" E il giovane, soddisfatto della sua malizia,si allontanò ridendo di gran gusto. Porthos schiumò dirabbia e fece un movimento per precipitarsi su d'Artagnan."Più tardi; più tardi" gridò quest'ultimo "quando non avretepiù il mantello." "All'una dunque, dietro il Lussemburgo.""Benissimo, all'una" rispose d'Artagnan svoltandoall'angolo della via. Ma né nella strada percorsa né inquella che abbracciava con lo sguardo, non vide animaviva. Per quanto lo sconosciuto avesse camminato adagio,doveva aver fatta della strada; poteva anche darsi chefosse entrato in qualche casa. D'Artagnan chiese di lui atutti quelli che incontrò, scese fino al traghetto, risalì per via

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Seine e via Croix-Rouge, ma non vide nulla, assolutamentenulla. Purtuttavia questa corsa gli servì in questo senso: chea misura che il sudore gli inondava la fronte, il suo cuore siraffreddava. Si mise dunque a riflettere sugli avvenimentirecenti; essi erano numerosi e nefasti; erano appena leundici del mattino, e già era riuscito a spiacere al signor diTréville, che certo doveva giudicare alquanto disinvolto ilmodo con cui d'Artagnan lo aveva lasciato. Inoltre, avevaraccolti due buoni duelli con due uomini capaci di uccideretre d'Artagnan per ciascuno, con due moschettieri,insomma, vale a dire con due di quegli esseri che eglistimava tanto da metterli, nel suo pensiero e nel suo cuore,al disopra di tutti gli altri uomini. La congettura era triste.Sicuro di essere ucciso da Athos, si capisce che ilgiovanotto non si preoccupasse gran che di Porthos. Però,siccome la speranza è l'ultima a spegnersi nel cuoredell'uomo, arrivò a sperare di poter sopravvivere,beninteso con ferite gravissime, a questi due duelli, e, pelcaso che la vita gli fosse concessa, si fece i seguentirimproveri in vista dell'avvenire: "Che scervellato e chezoticone sono! Quel coraggioso e disgraziato Athos eraferito proprio alla spalla contro la quale ho urtato come unmontone. La sola cosa che mi meravigli è che non miabbia ucciso immediatamente; ne aveva diritto, poiché ildolore che gli ho causato deve essere stato atroce. Oh! inquanto a Porthos, in fede mia, la cosa è più buffa." E, suomalgrado, il giovane si mise a ridere, non senza badare ache quella risata isolata, e priva di causa per coloro che lovedevano ridere, non offendesse qualche passante. "In

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quanto a Porthos, la cosa è più buffa, ma non per questo iosono un miserabile scervellato. E' forse lecito gettarsiaddosso alla gente come ho fatto, senza neppur dire'attenzione'? No. Ed è lecito guardare sotto il loro mantelloper vedere quel che non c'è? Egli mi avrebbe certamenteperdonato se non gli avessi parlato di quella maledettabandoliera, con parole sibilline, è vero; oh, graziosamentesibilline! Ah! maledetto Guascone, farei dello spirito anchese stessero friggendomi in padella. Andiamo, d'Artagnan,'amico mio' continuò parlando fra sé con tutta la affabilitàche credeva dovere a se stesso "se per questa volta te lacavi, ciò che è poco probabile, dovrai essere in avvenire diuna educazione perfetta. Da ora in avanti bisogna che tuttiti ammirino e ti citino a modello. Essere gentile ed educatonon equivale a essere vile. Prendi esempio da Aramis;Aramis è la dolcezza e la grazia personificate. Eppurenessuno si sarà mai sognato di dire che Aramis è un vile.Ebbene, da ora in poi voglio imitarlo. Ah! eccolo qui."D'Artagnan, camminando e monologando, era arrivato aqualche passo dal palazzo d'Aiguillon, e davanti a questopalazzo aveva scorto Aramis che parlava allegramente contre gentiluomini delle guardie del Re. A sua volta, Aramisscorse d'Artagnan; ma siccome non poteva dimenticareche proprio dinanzi a quel giovanotto Tréville, nellamattinata, si era lasciato trasportare dall'ira, e poiché, nellasua qualità di testimonio dei rimproveri che i moschettieriavevano ricevuti, d'Artagnan non gli era punto gradito, finsedi non vederlo. D'Artagnan, al contrario, tutto preso dai suoipiani di conciliazione e di cortesia, si avvicinò ai quattro

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giovani, facendo loro un grande saluto accompagnato dalpiù grazioso del sorrisi. Aramis chinò leggermente il capo,ma non sorrise. Tutti e quattro, d'altronde, interrupperoimmediatamente la conversazione. D'Artagnan non eracosì sciocco da non accorgersi d'essere di troppo, ma nonera ancora tanto pratico dei modi della buona società dasapersi trarre con semplicità da una situazione falsa qual ègeneralmente quella di un uomo che è venuto a mischiarsicon persone che conosce appena e a una conversazioneche non lo riguarda. Stava dunque cercando un mezzo percavarsela il meno goffamente possibile, allorché notò cheAramis aveva lasciato cadere il suo fazzoletto e, certoinavvertitamente, vi aveva messo un piede sopra; ilmomento di riparare alla sua sconvenienza gli parvegiunto; si abbassò dunque e, con l'aria più graziosa chepoté assumere, tirò il fazzoletto di sotto al piede delmoschettiere, quantunque l'altro lo trattenesse con forza, egli disse porgendoglielo: "Ecco, signore, un fazzoletto cheforse vi spiacerebbe di perdere." Infatti il fazzoletto eraelegantemente ricamato e aveva in un angolo una corona euno stemma. Aramis arrossì fino alle orecchie e, più cheprenderlo, strappò il fazzoletto dalle mani del Guascone."Ah! Ah!" esclamò una delle guardie "ci dirai ancora,discretissimo Aramis, che tu sei in cattive relazioni con lasignora di Bois-Tracy quando questa graziosa signora hala bontà di prestarti i suoi fazzoletti?" Aramis lanciò ad'Artagnan una di quelle occhiate che fanno ben capire aun uomo come si sia acquistato un nemico mortale; poi,riprendendo la sua aria melata: "Vi sbagliate, signori"

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disse "questo fazzoletto non è mio e non so perché questosignore abbia avuto il capriccio di darlo a me piuttosto chea uno di voi, e in prova di ciò che dico eccovi il mio, nellemie tasche." E, così dicendo, mostrò il suo fazzoletto cheera anch'esso elegantissimo, di fine batista, benché labatista di quell'epoca fosse assai cara, ma senza ricami,senza stemmi, e con una sola iniziale, quella del suoproprietario. Questa volta d'Artagnan non disse nulla; si eraaccorto del granchio preso; però gli amici di Aramis non silasciarono convincere dalle sue parole e uno di loro,rivolgendosi al giovane moschettiere con serietà affettata,disse: "Se la cosa fosse come tu dici, caro Aramis, sareicostretto a domandarti quel fazzoletto perché, come tu sai,Bois-Tracy è uno dei miei intimi e non voglio che sitengano come trofei gli oggetti di sua moglie." "Tu me lodomandi in malo modo" rispose Aramis "e purriconoscendo la giustezza della tua richiesta per quantoriguarda la sostanza, rifiuterei a causa della forma." "Il fattoè che" arrischiò timidamente d'Artagnan "io non ho vistouscire il fazzoletto dalle tasche del signor Aramis. Egli loaveva sotto il piede, ecco tutto; e, poiché era sotto il suopiede, ho creduto che il fazzoletto fosse suo." "E vi sieteingannato, caro signore" rispose freddamente Aramispoco sensibile alla riparazione. Poi, rivolgendosi allaguardia che si era detta amica di Bois-Tracy, continuò:"D'altronde ho riflettuto, mio caro intimo di Bois-Tracy, cheio sono per lui un amico non meno tenero di quanto lo seitu, di modo che, a stretto rigore, questo fazzoletto puòessere uscito tanto dalla tua quanto dalla mia tasca." "No,

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sul mio onore!" esclamò la guardia di Sua Maestà. "Tugiuri sul tuo onore e io sulla mia parola; dunque è benchiaro che uno di noi due mente. E allora facciamo così,Montaran, prendiamone metà per ciascuno." "Delfazzoletto?" "Sì." "Benissimo" esclamarono le altre dueguardie "il giudizio di Salomone. Decisamente, Aramis, tusei la saggezza in persona." I giovani risero di cuore e,come ci si può immaginare, la cosa finì lì. Dopo poco laconversazione cessò e le tre guardie e il moschettiere,dopo essersi stretta cordialmente la mano, andaronoognuno per la propria strada. "Ecco il momento di far lapace con questo gentiluomo" pensò d'Artagnan che erarimasto un po' in disparte durante le ultime battute dellaconversazione, e, armato delle migliori intenzioni, siavvicinò ad Aramis che si allontanava senza badare a lui."Signore" gli disse "spero che vorrete scusarmi." "Ah!signore" l'interruppe Aramis "permettetemi di farviosservare che in questa occasione non avete agito comeavrebbe dovuto fare un gentiluomo." "Come, signore!"esclamò d'Artagnan "voi supponete.. ." "Suppongo,signore, che non siate uno sciocco e che, pur venendodalla Guascogna, sappiate che non si calpestano senzauna buona ragione i fazzoletti da naso. Diavolo! Parigi nonè pavimentata di fazzoletti di batista." "Signore, fate malecercando di umiliarmi" disse d'Artagnan, in cui la naturaportata alle dispute cominciava a parlare più forte delle suedecisioni pacifiche. "Io sono di Guascogna, è vero, epoiché lo sapete non ho bisogno di dirvi che i Guasconihanno poca pazienza di modo che quando si sono scusati

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una volta, fosse pure per una sciocchezza, son persuasi diaver già fatto più di quanto dovevano fare." "Signore, quelche vi dico" rispose Aramis "non lo dico per attaccar litecon voi; grazie a Dio, io non sono uno spadaccino, epoiché son moschettiere soltanto per interim, non mi battose non quando vi sono costretto e sempre con ripugnanza;ma questa volta l'affare è grave perché c'è di mezzo unadama compromessa da voi." "Vale a dire da noi!" esclamòd'Artagnan. "Perché avete avuto la goffaggine di restituirmiil fazzoletto?" "Perché avete avuta quella di lasciarlocadere?" "Ho detto e ripeto, signore, che quel fazzolettonon è uscito dalla mia tasca." "Ebbene, avete mentito perdue volte perché l'ho visto io coi miei occhi." "Ah! laprendete in questo modo, signor Guascone! Ebbene,v'insegnerò a vivere!" "E io vi rimanderò a dir messa,signor abate. Sguainate la vostra spada, di grazia, esubito." "No, se non vi spiace, mio bell'amico, non qui perlo meno. Non vedete che siamo davanti al palazzod'Aiguillon, che è pieno di gente del Cardinale? Chi miassicura che non sia stata Sua Eminenza a incaricarvi diprocurargli la mia testa? Ora, io ci tengo stupidamente allamia testa, visto che mi pare stia abbastanza bene sulle miespalle. State dunque tranquillo, io voglio uccidervi, mauccidervi alla chetichella, in un luogo chiuso e coperto dovenon possiate vantarvi con nessuno della vostra morte.""Sono d'accordo con voi, ma non fate troppo affidamentosulla fortuna e prendete con voi il vostro fazzoletto, viappartenga o no, perché forse vi potrà servire." "Il signoreè Guascone?" chiese Aramis. "Sì. Il signore non rimanda

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forse la nostra partita per prudenza?" "La prudenza,signore, è virtù abbastanza inutile per i moschettieri, lo so,ma è indispensabile per coloro che appartengono allachiesa, e siccome non sono moschettiere cheprovvisoriamente, ci tengo a restar prudente. Alle due viaspetterò al palazzo del signor di Tréville. Là vi indicherò ilposto buono." I due giovani si salutarono, poi Aramis siallontanò risalendo la via che conduceva al Lussemburgo,mentre d'Artagnan, vedendo che si faceva ormai tardi,prese la strada dei Carmelitani scalzi, dicendo fra sé:"Decisamente non potrò cavarmela, ma almeno, se saròucciso, sarò ucciso da un moschettiere."

Capitolo 5 I MOSCHETTIERI DEL RE E LE GUARDIE DIMONSIGNOR CARDINALE

D'Artagnan non conosceva nessuno a Parigi. Andò dunqueal convegno di Athos senza secondi, ben deciso adaccontentarsi di quelli del suo avversario. D'altronde, erasua ferma intenzione di fare al bravo moschettiere tutte lepossibili scuse, senza debolezze, beninteso, giacchétemeva che il risultato di questo duello potesse esserequello, spiacevole, di tutti gli scontri in cui un uomo giovanee vigoroso si batte contro un avversario ferito e indebolito:vinto, egli raddoppia il trionfo dell'avversario; vincitore, èaccusato di fellonia e di facile audacia. Del resto, seabbiamo ben reso il carattere del nostro cercatore

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d'avventure, il lettore deve aver capito che d'Artagnan nonera un uomo comune. Per cui, pur ripetendo a se stessoche la sua morte era inevitabile, non si adattava a morirecon rassegnazione come un altro meno coraggioso di luiavrebbe fatto nei suoi panni. Egli rifletté sul diversotemperamento di coloro coi quali doveva battersi ecominciò a vedere più chiaro nella sua situazione.Sperava, grazie alle scuse leali che gli riserbava, di farsi diAthos un amico, poiché l'aria austera e da gran signore delmoschettiere destava la sua ammirazione Egli si lusingavadi far paura a Porthos con la storia della bandoliera che, senon fosse stato ucciso sul colpo, avrebbe potutoraccontare a tutti il che, se egli avesse saputo trarreabilmente dal racconto il dovuto effetto, avrebbe copertoPorthos di ridicolo; infine, per quanto riguardava quelsornione di Aramis, egli non ne aveva gran che paura e,supponendo che fosse arrivato fino a lui, si faceva forte dispacciarlo in quattro e quattro otto, o quanto meno,colpendolo al viso, come Cesare aveva raccomandato aisuoi soldati di fare con Pompeo, di rovinare per semprequella bellezza della quale era tanto orgoglioso. Inoltrec'era in d'Artagnan quel fondo incrollabile di risolutezza cheavevano deposto nel suo cuore i consigli di suo padre,consigli la cui sostanza era: "Non sopportare mortificazionise non dal Re, dal Cardinale e dal signor di Tréville". Eglidunque volò, più che non camminasse, verso il conventodei Carmelitani scalzati, o piuttosto "scalzi" come si dicevaa quell'epoca, una specie di fabbricato senza finestre,circondato da prati risecchiti, succursale del Pré-aux-Clerc,

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e che usualmente serviva agli scontri fra le persone chenon avevano tempo da perdere. Allorché d'Artagnan arrivòin vista del prato che si stendeva ai piedi del monastero,Athos attendeva da cinque minuti appena e mezzogiornosuonava in quel punto. Era dunque puntuale come laSamaritana e il più scrupoloso casista in materia di duellinon avrebbe avuto nulla da ridire. Athos che soffrivasempre per la sua ferita, benché questa fosse stataaccuratamente fasciata dal chirurgo del signor di Tréville,si era seduto su di un paracarro e aspettava il suoavversario con l'aria tranquilla che non l'abbandonava mai.Quando vide d'Artagnan, si alzò e fece cortesementequalche passo verso di lui. L'altro, a sua volta, accostò ilsuo avversario col cappello in mano, e la piuma di questosfiorava il terreno. "Signore" disse Athos, "ho fatto avvertiredue dei miei amici che mi serviranno da secondi, ma essinon sono ancora arrivati. E questo ritardo mi meravigliaperché non è nelle loro abitudini." "Io non ho secondi,signore" disse d'Artagnan "perché arrivato solo ieri aParigi, non vi conosco altri che il signor di Tréville, al qualesono stato raccomandato da mio padre che ha l'onore diessere suo amico." Athos rifletté un istante. "Nonconoscete che il signor di Tréville?" chiese. "Non conoscoche lui, signore." "Ah! ma..." continuò Athos parlando unpoco per se stesso, un poco per d'Artagnan "se vi uccido,passerò per un mangiaragazzi!" "Non tanto, signore"rispose d'Artagnan con un saluto non privo di dignità "nontroppo perché voi mi fate l'onore di sfoderare la spadacontro di me pur avendo una ferita che deve dolervi assai."

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"Mi duole assai, parola d'onore; e voi mi avete fatto unmale indiavolato, devo pur dirlo; ma mi batterò con lasinistra, come son solito fare in simili casi. Non dovetedunque credere che io vi faccia un favore, giacché miservo benissimo di entrambe le mani; anzi lo svantaggiosarà tutto vostro; un mancino non è comodo per chi non visia abituato. Mi spiace anzi di non avervi messo prima alcorrente di questa particolarità." "Signore" dissed'Artagnan inchinandosi ancora "voi siete veramente d'unacortesia di cui vi sono riconoscentissimo." "Voi miconfondete" rispose Athos con la sua aria di gentiluomo"parliamo dunque d'altro, ve ne prego, se ciò non vi spiace.Ah! perbacco! che male mi avete fatto! la spalla mi brucia.""Se voleste permettermi..." disse timidamente d'Artagnan."Che cosa, signore?" "Ho per le ferite un balsamomiracoloso, un balsamo che mi ha dato mia madre, e cheho già sperimentato su di me." "Ebbene?" "Ebbene, sonocerto che in meno di tre giorni questo balsamo viguarirebbe; e passati i tre giorni, allorché sarete guarito,ebbene sarò sempre onorato di battermi con voi."D'Artagnan disse queste parole con una semplicità taleche pur facendo onore alla sua cortesia, non facevadisonore al suo coraggio. "Perbacco, signore" disse Athos"ecco una proposta che mi piace, non che io l'accetti, maessa annuncia il gentiluomo lontano una lega. Cosìparlavano e agivano gli eroi del tempo di Carlomagno, suiquali ogni cavaliere dovrebbe modellarsi.Disgraziatamente non siamo più ai tempi del grandeImperatore. Noi siamo ai tempi di monsignor Cardinale e,

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di qui a tre giorni, per quanto il nostro segreto fosse bencustodito, si saprebbe che dobbiamo batterci e si farebbein modo di impedircelo. Ma, perbacco, questi bighelloninon arriveranno dunque mai?" "Se avete fretta, signore"disse d'Artagnan a Athos con la stessa semplicità con cuipochi istanti prima aveva proposto di rimandare il duello atre giorni dopo "se avete fretta e volete spacciarmi subito,non abbiate riguardi, vi prego." "Ecco ancora una propostache mi piace" disse Athos chinando gentilmente la testaverso d'Artagnan "non è scervellata e viene certo da unuomo di fegato. Signore, io amo gli uomini della vostratempra e vedo bene che se uno di noi non resterà ucciso,avrò più tardi gran piacere a conversare con voi.Aspettiamo questi signori, vi prego, ho tempo e sarà piùcorretto. Ah! eccone uno, mi pare." Infatti, in fondo allastrada Vaugirard, appariva il gigantesco Porthos. "Come!"esclamò d'Artagnan "il vostro primo testimonio è il signorPorthos?" "Sì, vi dispiace?" "Nemmeno per sogno." "Edecco l'altro." D'Artagnan si volse dal lato indicato da Athos,e riconobbe Aramis. "Come!" esclamò con un accento distupore ancora più grande "il vostro secondo testimonio èil signor Aramis?" "Senza dubbio; non sapete che nessunoci ha mai visti l'uno senza gli altri, e che moschettieri eguardie, alla corte e in città, ci chiamano Athos Porthos eAramis, o i tre inseparabili? Ma, tutto sommato, siccomearrivate da Dax o da Pau..." "Da Tarbes" disse d'Artagnan."... vi è permesso d'ignorare questo particolare" disseAthos. "In fede mia" disse d'Artagnan "il vostrosoprannome è giusto, e la mia avventura se farà qualche

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rumore, proverà che la vostra unione non è fondata suicontrasti." "Frattanto Porthos s'era avvicinato, avevasalutato Athos con la mano; poi, volgendosi versod'Artagnan, rimase immobile per la meraviglia. Notiamocosì di sfuggita che aveva cambiata bandoliera e nonaveva mantello. "Ah ah! Che vuol dir ciò?" disse. "Lapersona con cui mi batto è il signore" rispose Athosmostrando con la mano d'Artagnan e salutando con lostesso gesto. "Ma anch'io mi batto con lui" disse Porthos."Ma soltanto all'una" rispose d'Artagnan. "E anch'io mibatto col signore" disse Aramis arrivando a a volta sulterreno. "Ma soltanto alle due" fece d'Artagnan con lastessa calma. "Ma qual è la ragione per cui ti batti, Athos?"domandò Aramis. "In fede mia, non lo so bene, mi ha fattomale alla spalla; tu, Porthos?" "Mi batto perché mi batto"rispose Porthos arrossendo. Athos, che non si lasciavasfuggire nulla, vide passare un fine sorriso sulle labbra delGuascone. "Abbiamo avuto una discussione sul modo diabbigliarsi" disse il giovanotto. "E tu, Aramis?" domandòAthos. "Io mi batto per una ragione teologica" risposeAramis pregando con un cenno d'Artagnan di tacere lacausa del duello. Athos vide passare un secondo sorrisosulle labbra di d'Artagnan. "Veramente?" disse Athos. "Sì,un punto di Sant'Agostino sul quale non eravamod'accordo" disse il Guascone. "Decisamente è un uomo dispirito" mormorò Athos. "E ora che siete riuniti, signori"disse d'Artagnan "permettetemi di farvi le mie scuse." Allaparola 'scuse' una nube passò sulla fronte di Athos, unsorriso altiero scivolò sulle labbra di Porthos, e Aramis per

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tutta risposta fece col capo un cenno negativo. "Voi non micapite, signori" disse d'Artagnan, rialzando testa sullaquale cadeva in quel momento un raggio di sole e nefaceva risaltare le linee fini e ardite "vi chiedo scusa soloper il caso in cui non potessi pagare il mio debito a tutti tre;perché il signor Athos ha il diritto di uccidermi per primo,ciò che toglie molto valore al vostro credito, signor Porthos,e rende quasi nullo il vostro, signor Aramis. E ora, signori,vi ripeto di scusarmi, ma solo di questo. In guardia!" Edopo ciò, col gesto più cavalleresco che si possaimmaginare, d'Artagnan snudò la spada. Il sangue gli erasalito al capo, e in quel momento si sarebbe battuto controtutti i moschettieri del regno come stava per fare conAthos, Porthos ed Aramis. Era mezzogiorno e un quarto. Ilsole splendeva allo zenit e il posto scelto quale teatro delduello era esposto a tutto il suo ardore. "Fa molto caldo"disse Athos sfoderando a sua volta la spada "e tuttavia nonposso togliermi la giubba perché ancor poco fa ho sentitoche la mia ferita sanguinava, e temerei d'incomodare ilsignore con la vista del sangue che non è stato lui a farscorrere." "E' vero, signore" disse d'Artagnan "ma vi giuroche vedrò sempre con dolore il sangue di un valorosogentiluomo quale voi siete, sia che l'abbia fatto scorrere ioo un altro; mi batterò dunque senza togliermi la giubba,come voi." "Suvvia, suvvia" disse Porthos "basta coicomplimenti, pensate che aspettiamo il nostro turno.""Quando dovete dire simili sciocchezze, parlate per voisolo, Porthos" interruppe Aramis. "Per quanto mi riguarda,trovo che questi signori parlano bene e da veri

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gentiluomini!" "Quando volete, signore" disse Athosmettendosi in guardia. "Attendevo i vostri ordini" risposed'Artagnan incrociando il ferro. Ma le due spade avevanoappena tintinnato toccandosi, che una squadra di guardiedi Sua Eminenza, comandata dal signor di Jussac,comparve all'angolo del convento. "Le guardie delCardinale" esclamarono insieme Porthos e Aramis. "Laspada nel fodero, signori! La spada nel fodero!" Ma eratroppo tardi. I due combattenti erano stati visti in una posache non poteva lasciar dubbi sulle loro intenzioni. "Alto là!"gridò Jussac avanzandosi e facendo segno ai suoi uominid'imitarlo. "Alto là! Qui dunque ci si batte, moschettieri? Eche ne facciamo degli editti?" "Come siete generose,signore guardie" disse Athos con rancore, perché Jussacera uno degli aggressori di due giorni prima. "Se noi vivedessimo duellare, vi avverto che non ci passerebbeneppure per il capo di impedirvelo. Lasciateci dunque fare,e vi divertirete senza fatica." "Signori" disse Jussac a midispiace molto di dovervi dire che la cosa è impossibile. Ildovere avanti tutto. Ringuainate dunque le spade eseguiteci." "Signore" disse Aramis parodiando Jussac"con gran piacere obbediremmo al vostro gentile invito sedipendesse da noi; ma disgraziatamente la cosa èimpossibile: ce l'ha proibito il signor di Tréville. Andatevenedunque per la vostra strada, è quanto di meglio vi resta afare." Questa canzonatura esasperò Jussac. "Noi vicostringeremo a obbedire." "Sono cinque" disse Athos amezza voce "e noi siamo solamente in tre; saremo battutiancora una volta e dovremo morir qui, poiché io non

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ricomparirò vinto, davanti al mio capitano." Athos, Porthose Aramis si strinsero immediatamente l'uno all'altro mentreJussac allineava i suoi soldati. Quest'attimo bastò perchéd'Artagnan prendesse la sua decisione; era questo uno diquegli avvenimenti che decidono della vita di un uomo; sitrattava di scegliere fra il Re e il Cardinale; fatta la scelta,bisognava perseverare. Battersi voleva dire disobbedirealla legge, voleva dire rischiare la testa, voleva dire farsi diun sol colpo un nemico di un ministro più potente dellostesso Re. Ecco ciò che passò in un secondo per la mentedel giovanotto, e purtuttavia, diciamolo a sua lode, egli nonebbe un minuto di esitazione. Volgendosi verso Athos e isuoi amici, disse: "Signori, modificherò qualche paroladelle vostre. Avete detto che siete soltanto in tre, ma a mesembra che siamo in quattro." "Voi non siete dei nostri"disse Porthos. "E' vero" rispose d'Artagnan "non indosso ilvostro abito, ma ho la stessa vostra anima. Ho il cuore diun moschettiere, lo sento bene, signore, e ciò mi trascina.""Allontanatevi, giovanotto" gridò Jussac, che senza dubbiodai gesti e dall'espressione del viso di d'Artagnan avevaintuito i suoi propositi. "Voi potete ritirarvi, ve lopermettiamo. Salvate la vostra pelle; andatevene subito."D'Artagnan non si mosse. "Decisamente siete ungiovanotto impagabile" disse Athos stringendogli la mano."Suvvia, suvvia, decidiamoci" riprese Jussac. "Dunque"dissero Porthos e Aramis a facciamo qualche cosa" "Ilsignore è pieno di generosità" aggiunse Athos. Ma tutti etre pensavano alla giovinezza di d'Artagnan e temevano lasua inesperienza. "Noi non saremo che tre, dei quali uno

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ferito e in più un ragazzo… e non per questo non si diràche eravamo quattro uomini." "Sì, ma tirarsi indietro…"disse Porthos. "E' difficile" riprese Athos. D'Artagnan capìla loro indecisione. "Signori, provatemi a ogni modo" disse"e vi giuro sul mio onore che non voglio andarmene di quise siamo vinti." "Come vi chiamate, coraggiosogiovanotto?" chiese Athos. "D'Artagnan, signore.""Ebbene! Athos, Porthos, Aramis e d'Artagnan, avanti!"disse Athos. "Ebbene signori, vi deciderete a prendereuna decisione?" gridò per la terza volta Jussac. "E' fatto,signori" disse Athos. "E che cosa avete deciso?" chieseJussac. "Avremo l'onore di batterci con voi" risposeAramis togliendosi il cappello con una mano e sguainandola spada con l'altra. "Ah! voi fate resistenza" esclamòJussac. "Perbacco! E questo vi meraviglia?" E i novecombattenti si precipitarono gli uni sugli altri con una furianon priva di un certo metodo. Athos affrontò un certoCahusac, favorito del Cardinale. A Porthos toccò Bicarat, eAramis si vide di fronte due avversari. Quanto ad'Artagnan, si trovò lanciato contro lo stesso Jussac. Ilcuore del giovane Guascone batteva da spezzargli il petto,non per paura, grazie a Dio! Egli non ne aveva neppurel'ombra, ma per l'emulazione; si batteva come una tigrefuriosa, girando dieci volte intorno al suo avversario,cambiando venti volte guardia e terreno. Jussac era, comesi diceva allora, ghiotto della lama, e si era molto battuto,purtuttavia faceva un'immensa fatica contro un avversarioche, agile e balzante, si scostava a ogni tratto dalle regoleconsacrate, attaccando da tutti i lati nello stesso momento,

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non senza, tuttavia, parare da uomo che ha il massimorispetto per la propria pelle. Alla fine questa lotta feceperdere la pazienza a Jussac. Furioso di essere tenuto abada da colui che aveva considerato un ragazzo, si scaldòe cominciò a commettere degli sbagli. D'Artagnan, checompensava la mancanza di pratica con una profondateoria, raddoppiò di agilità. Jussac, deciso a farla finita,tirò un colpo terribile al suo avversario con una spaccata afondo; ma d'Artagnan prima parò, poi, mentre Jussac sirialzava, strisciando come un serpente sotto il suo ferro, glipassò la propria spada attraverso il corpo. Jussacstramazzò a terra. D'Artagnan gettò allora uno sguardorapido e inquieto sul campo di battaglia. Aramis aveva giàucciso uno dei suoi avversari; ma l'altro lo stringeva dapresso. Tuttavia Aramis era in una buona situazione epoteva ancora difendersi. Bicarat e Porthos si erano colpitiscambievolmente: Porthos aveva ricevuto un colpo dispada che gli aveva attraversato il braccio, e Bicarat unoche gli aveva trapassato la coscia. Ma siccome nessunadelle due ferite era grave, l'unico risultato era che essi sibattevano con maggior accanimento. Athos, ferito di nuovoda Cahusac, impallidiva a vista d'occhio, ma nonindietreggiava d'un pollice: aveva solamente cambiato laspada di mano e si batteva con la sinistra. D'Artagnan,secondo le leggi del duello di quell'epoca, potevaoccorrere chi gli piacesse meglio; mentre cercava con losguardo quale dei suoi compagni avesse bisogno di lui, sorprese un'occhiata di Athos. Quell'occhiata era diun'eloquenza sublime Athos sarebbe morto piuttosto che

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chiedere aiuto, ma guardare e guardando chiederesoccorso. D'Artagnan lo comprese e con un balzoprodigioso si precipitò sul fianco di Cahusac, gridando: "Ame, signora guardia; vi uccido!" Cahusac si volse, eratempo. Athos che non si sosteneva se non grazie al suoenorme coraggio, cadde su un ginocchio. "Perbacco"gridò a d'Artagnan "non uccidetelo, ve ne prego; ho unavecchia storia da aggiustare con lui, e lo farò non appenasarò guarito. Disarmatelo soltanto. Bene! Così!Benissimo!" Questa esclamazione era strappata ad Athosdal vedere che la spada di Cahusac saltava a venti passida lui. D'Artagnan e Cahusac si lanciarono insieme, l'unoper riafferrarla, l'altro per impadronirsene; ma d'Artagnan,più pronto, arrivò per primo e vi mise il piede sopra.Cahusac corse presso la guardia uccisa da Aramis,s'impadronì della sua spada e volle tornare a d'Artagnan;ma sulla sua strada incontrò Athos che durante la pausa diun istante procuratogli da d'Artagnan aveva ripreso lena eche, per tema che d'Artagnan gli uccidesse il suo nemico,voleva ricominciare a battersi. D'Artagnan capì chesarebbe stato scortese verso Athos se non lo avesselasciato fare; infatti, qualche secondo dopo, Cahusaccadde con la gola attraversata da un colpo di spada. Nellostesso momento Aramis appoggiava la spada al petto delsuo avversario rovesciato e lo forzava a chiedergli grazia.Restavano Porthos e Bicarat. Porthos faceva millefanfaronate, chiedeva a Bicarat che ora potesse essere elo complimentava sulla compagnia che suo fratello avevaottenuto nel reggimento di Navarra; ma così scherzando

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non guadagnava niente. Bicarat era uno di quegli uomini diferro che non cadono se non quando sono morti.Purtuttavia bisognava finire. La scorta poteva arrivare earrestare tutti i combattenti, feriti o no, realisti o cardinalisti.Athos, Aramis e d'Artagnan circondarono Bicarat e gliingiunsero di arrendersi. Sebbene solo contro tutti e con uncolpo di spada attraverso la coscia, Bicarat, che eraGuascone come d'Artagnan, voleva tener duro, ma Jussac,che si era rialzato sul gomito, gli gridò di arrendersi.Bicarat fece orecchie da mercante, rise e fra due paratetrovò il tempo di indicare un punto per terra con la puntadella spada: "Qui" disse parodiando un versetto dellaBibbia "qui morrà Bicarat rimasto solo fra quelli ch'eranocon lui." "Ma sono quattro contro di te, finiscila, te l'ordino.""Oh! se me l'ordini è un altro paio di maniche e, visto chesei il mio brigadiere, debbo ubbidirti." E, facendo un saltoindietro, spezzò sul ginocchio la spada per nonconsegnarla ai vincitori, ne gettò i pezzi al di là del murodel convento e incrociò le braccia fischiettando un'ariacardinalista. Il coraggio incute rispetto anche ai nemici. Imoschettieri salutarono Bicarat con le spade e le rimiseronel fodero. D'Artagnan fece altrettanto, poi aiutato daBicarat, il solo che fosse rimasto in piedi, portò sotto alportico del convento Jussac, Cahusac e quello degliavversari di Aramis che era soltanto ferito. Il quarto, comeabbiamo detto, era morto. Poi sonarono la campana eportando seco quattro spade su cinque, si incamminarono,ebbri di gioia, verso il palazzo di Tréville. Camminavano abraccetto, tenendo tutta la larghezza della strada e

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siccome ogni moschettiere che incontravano li seguiva, laloro finì per essere una marcia trionfale. Il cuore did'Artagnan nuotava nell'ebrezza; camminava fra Athos ePorthos che stringeva teneramente. "Se non sono ancoramoschettiere" disse ai suoi nuovi amici varcando la portadel palazzo del signor di Tréville "per lo meno eccomiaccolto come apprendista, non è vero?"

Capitolo 6 SUA MAESTA' IL RE LUIGI TREDICESIMO

La faccenda fece molto rumore. Il signor di Trévilletempestò molto ad alta voce contro i suoi moschettieri e licomplimentò sotto voce; ma siccome non c'era tempo daperdere per prevenire il Re, il signor di Tréville si affrettò arecarsi al Louvre. Era già troppo tardi, il Re era a colloquiocol Cardinale e il signor di Tréville si sentì rispondere chein quel momento lavorava e non poteva ricevere. La sera ilsignor di Tréville andò al giuoco del Re. Il Re vinceva esiccome Sua Maestà era avarissimo, era di ottimo umore;cosicché appena scorse Tréville gli disse: "Venite qui,signor capitano, debbo farvi dei rimproveri; sapete cheSua Eminenza è venuta a lamentarsi dei vostrimoschettieri? E con una tale emozione che questa seraSua Eminenza ne è ammalata. Ma, dite un po'! i vostrimoschettieri sono dei diavoli a quattro, gente da forca!""No, Sire" rispose Tréville vedendo di primo acchito che lacosa si metteva bene "no, al contrario, sono delle buone

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creature, dolci come agnelli, che hanno un solo desiderio,me ne rendo garante: quello che la loro spada non esca dalfodero se non per il servizio di Vostra Maestà. Ma, chevolete, le guardie di monsignor Cardinale cercano sempredi attaccar briga con loro, per cui, per l'onore stesso delcorpo, quei poveri ragazzi sono costretti a battersi.""Ascoltate un po' il signor di Tréville!" disse il Re"ascoltatelo! non si direbbe che parli di una comunitàreligiosa? In verità, mio bravo capitano, mi fate venire ildesiderio di togliervi il brevetto e la carica e di dar l'uno el'altra alla signorina di Chemerault, alla quale ho promessoun'abbazia. Ma non crediate che vi presti fede sulla parola.Mi chiamano Luigi il Giusto, signor di Tréville, e fra poco cirivedremo." "Ed è appunto perché fido nella vostragiustizia. Sire, che attenderò tranquillamente epazientemente le buone grazie di Vostra Maestà.""Aspettate, dunque, signore" disse il Re "aspettate, chenon vi farò aspettare a lungo." Infatti, siccome la fortunacambiava, e il Re cominciava a perdere ciò che avevaguadagnato, non era spiacente di avere un pretesto per'faire Charle Magne' (ci si consenta di servirci di questaespressione da giocatore, della quale, confessiamo, nonconosciamo l'origine)[4]. Il Re si alzò dunque in capo a unistante, e intascando il denaro che era davanti a lui e che,nella massima parte, proveniva dalla sua vincita, disse: "LaVieuville, prendete il mio posto, ho urgenza di parlare alsignor di Tréville per una faccenda importante. Ah!…Avevo davanti a me ottanta luigi, mettete la stessa somma,perché quelli che hanno perduto non debbano lamentarsi.

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La giustizia prima di tutto." Poi, voltandosi verso il signor diTréville e andando con lui nel vano di una finestra, continuò:"Ebbene, signore, voi dite che sono le guardie di SuaEminenza che hanno provocato i vostri moschettieri?" "Sì,Sire, come sempre." "Com'è andata la cosa, vediamo?Perché voi lo sapete, mio caro capitano, è necessario cheun giudice ascolti entrambe le parti." "Ah! mio Dio! Nelmodo più semplice e naturale del monto. Tre dei mieimigliori soldati che Vostra Maestà conosce di nome e dicui ha più volte apprezzato la devozione, e che hanno,posso affermarlo al Re, il suo servizio molto a cuore, tre deimiei migliori soldati, dico, i signori Athos, Porthos eAramis avevano fatta una scampagnata con un giovane,cadetto di Guascogna, che avevo loro raccomandatoproprio quella mattina. La scampagnata doveva aver luogoa Saint-Germain, credo, ed essi si erano datiappuntamento ai Carmelitani Scalzi, quando la loro festa futurbata dal signor di Jussac, dai signori di Cahusac,Bicarat e da altre due guardie, che non venivano certo là incosì numerosa compagnia senza cattive intenzioni controgli editti." "Ah! mi ci fate pensare" disse il Re "senzadubbio, erano andati là per battersi." "Io non li accuso,Sire, ma lascio giudicare a Vostra Maestà, ciò chepotessero andare a fare cinque uomini armati, in un luogocosì deserto come lo sono i paraggi dei Carmelitani." "Sì,avete ragione, Tréville, avete ragione." "Allora, quandohanno visto i miei moschettieri, hanno cambiato idea ehanno dimenticato i loro odi particolari per l'odio di corpo.Vostra Maestà sa che i moschettieri, che sono del Re e

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solo del Re, sono i nemici naturali delle guardie dimonsignor Cardinale." "Sì, Tréville" disse il Remalinconicamente "è ben triste, credete a me, che inFrancia vi siano due partiti, due teste alla regalità; ma tuttociò finirà, Tréville, tutto ciò finirà. Dunque voi dite che leguardie hanno provocato i moschettieri?" "Dico che èprobabile le cose siano andate così. Ma non lo giuro, Sire.Voi sapete come sia difficile conoscere la verità, a menodi non essere dotati di quell'istinto ammirevole che ha fattosì che Luigi Tredicesimo sia chiamato il Giusto…" "Aveteragione, Tréville; ma non erano soli i vostri moschettieri,con loro c'era un fanciullo?" "Sì, Sire, e un ferito, di modoche tre moschettieri del Re, di cui uno ferito, e un fanciullo,non solo hanno tenuto a bada cinque delle più terribiliguardie del Cardinale, ma ne hanno stese a terra quattro.""Ma questa è una vittoria!" esclamò il Re raggiante "unavittoria completa!" "Sì, Sire, non meno completa di quelladei Ponts-de-Cé[5]." "Quattro uomini, di cui uno ferito e unfanciullo, dite?" "Un ragazzo appena, il quale si è anzi cosìben condotto in questa occasione che mi prenderò lalibertà di raccomandarlo caldamente a Vostra Maestà.""Come si chiama?" "D'Artagnan, Sire. E' il figlio d'uno deimiei più antichi amici; il figlio di un uomo che ha fatto laguerra partigiana col Re vostro padre di gloriosamemoria." "E voi dite che questo giovanotto si è condottobene? Raccontatemi la cosa, Tréville; sapete bene cheamo i racconti di guerra e di combattimento." E il Re LuigiTredicesimo rialzò fieramente i baffi mettendosi una manosul fianco. "Sire" riprese Tréville "come vi ho detto, il signor

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d'Artagnan è quasi un fanciullo e siccome non ha l'onore diessere moschettiere, era in abito borghese; le guardie delCardinale, notando la sua giovine età e, inoltre, che nonapparteneva al corpo, lo invitarono ad allontanarsi primadell'attacco." "Allora vedete bene che sono stati loro adattaccare, Tréville." "E' vero, Sire, non possono sussisterepiù dubbi; dunque, gli imposero di ritirarsi, ma egli risposeche per sentimento si sentiva moschettiere, e che era tuttoper Vostra Maestà e che restava perciò con i signorimoschettieri." "Bravo giovanotto!" mormorò il Re. "E infattirimase con loro; e Vostra Maestà ha in lui un così valorosocampione che fu proprio lui a dare a Jussac quel terribilecolpo di spada che mette tanto in collera monsignorCardinale." "E' lui che ha ferito Jussac?" esclamò il Re."Ma se avete detto che è un ragazzo! La cosa mi pareimpossibile, Tréville." "E' come ho avuto l'onore di dire aVostra Maestà." "Jussac, una delle prime lame del regno!""Ebbene, Sire, ha trovato il suo maestro." "Voglio vederequesto giovanotto, Tréville, voglio vederlo e se si può farqualche cosa per lui, la faremo." "Quando si degnerà diriceverlo, la Maestà Vostra?" "Domani a mezzogiorno,Tréville." "Dovrò accompagnare soltanto lui?" "No,accompagnateli tutti e quattro insieme. Voglio ringraziarlitutti in una volta. Gli uomini devoti sono rari, Tréville,conviene ricompensarne l'abnegazione." "A mezzogiorno,Sire, saremo al Louvre." "Passate dalla scala privata,Tréville. E' inutile che il Cardinale sappia…" "Sareteobbedito, Sire." "Voi mi capite, Tréville, un editto è pursempre un editto, e in fin dei conti abbiamo decretato che

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non ci si deve battere." "Ma questo scontro, Sire, non è unodei soliti duelli; è piuttosto una rissa e la prova di ciò è chele guardie del Cardinale erano cinque contro tremoschettieri e d'Artagnan." "E' giusto" disse il Re "ma nonimporta, Tréville, venite ugualmente dalla scala privata."Tréville sorrise. Ma siccome era già molto per lui averottenuto che quel fanciullone si ribellasse al suo mentore,tacque; e salutando rispettosamente si congedò. La serastessa i tre moschettieri furono avvertiti dell'onore loroaccordato. Ma siccome da lungo tempo conoscevano ilRe, non si entusiasmarono troppo. D'Artagnan invece, conla sua fantasia di Guascone, immaginò di avere giàraggiunto la fortuna e passò la notte in sogni dorati, eappena alle otto del mattino era da Athos. D'Artagnan trovòil moschettiere già pronto per uscire. Siccome nondovevano presentarsi al Re che a mezzogiorno, egli si eraproposto di andare, insieme con Porthos e Aramis, a fareuna partita di pallacorda in una bisca vicinissima allescuderie del Lussemburgo. Athos invitò d'Artagnan aseguirlo, e quantunque egli ignorasse assolutamente quelgiuoco al quale non aveva mai preso parte, accettò di buongrado non sapendo come impiegare il suo tempo dallenove a mezzogiorno. I due moschettieri erano già arrivati eavevano cominciato il giuoco. Athos, che era fortissimo intutti gli esercizi fisici, passò con d'Artagnan dal latoopposto e li sfidò. Ma al primo movimento, sebbenegiocasse con la mano sinistra, capi che la sua ferita eraancora troppo recente per permettergli un simile sforzo.D'Artagnan restò dunque solo, e siccome dichiarò che era

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troppo maldestro per sostenere una partita in regola,continuarono a lanciarsi le palle senza contare i punti. Mauna palla lanciata dall'erculeo Porthos passò così vicina alviso di d'Artagnan che questi pensò che, se invece dipassare di fianco, lo avesse colpito in pieno, l'udienzareale sarebbe andata in fumo, perché gli sarebbe statoimpossibile presentarsi al Re. Ora, poiché da questaudienza, nella sua immaginazione di Guascone, dipendevatutto il suo avvenire, salutò gentilmente Porthos e Aramis,dichiarò che non avrebbe ripreso la partita se non quandofosse stato degno dei suoi avversari, e andò a mettersivicino alla corda, fra gli spettatori. Per sua disgrazia, fra glispettatori c'era una guardia di Sua Eminenza che, ancoratutta ardente per la sconfitta dei suoi compagni, arrivata incittà soltanto il giorno prima, si era ripromessa di coglierela prima occasione per farne vendetta, Egli credette quindiche l'occasione fosse propizia e indirizzandosi al suovicino disse: "Non c'è da meravigliarsi che questogiovanotto abbia avuto paura di una palla, è certamente unaspirante moschettiere." D'Artagnan si volse come fossestato morsicato da un serpente e guardò fissamente laguardia che aveva pronunciato quelle parole insolenti."Perbacco!" riprese questa arricciandosi i baffi con ariainsolente "guardatemi pure finché vi piacerà, mio piccolosignore, quello che ho detto ho detto." "E siccome quelloche avete detto è chiarissimo" rispose a bassa voced'Artagnan "vi prego di seguirmi." "E quando?" disse laguardia con la stessa aria canzonatoria "Subito, se vipiace." "Certamente voi sapete chi sono?" "Non lo so e

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non mi importa saperlo." "Avete torto, perché se sapeste ilmio nome, avreste forse meno fretta." "Come vichiamate?" "Bernajoux, per servirvi." "Ebbene, signorBernajoux" disse tranquillamente d'Artagnan "vado adattendervi alla porta." "Andate, signore, vi seguo." "Nonaffrettatevi troppo, affinché non ci si accorga che usciamoinsieme; capirete che per fare ciò che dobbiamo fare, unpubblico troppo numeroso ci disturberebbe." "Va bene"rispose la guardia meravigliata che il suo nome avessefatto così poco effetto sul giovanotto. Infatti il nome diBernajoux era conosciutissimo da tutti tranne che dad'Artagnan; egli era uno di quelli che prendevano parte ilpiù sovente alle risse giornaliere a cui tutti gli editti del Re edel Cardinale non avevano potuto porre fine. Porthos eAramis erano così occupati nella loro partita e Athos liguardava con tanta attenzione che non si accorsero che illoro giovane compagno usciva. Questi, come aveva dettoalla guardia di Sua Eminenza, si fermò sulla porta; unistante dopo, la guardia discese a sua volta. Poichéd'Artagnan non aveva tempo da perdere essendo l'udienzadel Re fissata per mezzogiorno, si guardò intorno e,vedendo che la strada era deserta, disse al suo avversario:"In fede mia, è una bella fortuna per voi, quantunque vichiamiate Bernajoux, di avere a che fare con un sempliceaspirante moschettiere; tuttavia, state tranquillo checercherò di fare del mio meglio. In guardia!" "Ma" dissecolui che d'Artagnan provocava in questo modo "misembra che questo non sia un luogo bene scelto per ilnostro affare, staremmo meglio dietro l'abbazia di Saint-

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Germain o nel Pré-aux-Clercs." "Ciò che dite è pieno dibuon senso" rispose d'Artagnan "disgraziatamente non hotempo da perdere perché ho un appuntamento permezzogiorno preciso. In guardia dunque, signore, inguardia!" Bernajoux non era uomo da farsi ripetere duevolte un simile invito. Nello stesso istante la sua spadabrillò nella sua mano ed egli si slanciò sul suogiovanissimo avversario, sperando di intimidirlo. Mad'Artagnan, che il giorno prima aveva fatte le sue primeprove e, fresco e orgoglioso della sua vittoria e pieno disperanza per l'avvenire, era ben risoluto a nonindietreggiare di un passo, non si mosse e le due lame siincrociarono fino alla guardia, e siccome il Guascone sitenne fermo al suo posto, fu l'avversario che dovette fare unpasso indietro. Ma d'Artagnan colse il momento in cui, perquesto movimento, la lama di Bernajoux deviava dalla lineadi guardia, si disimpegnò, tirò una botta a fondo e toccò ilsuo avversario alla spalla. Immediatamente, d'Artagnanarretrò a sua volta di un passo e rialzò la spada; maBernajoux gli gridò che non era niente, e, gettandosiciecamente su di lui, si infilzò da sé. Tuttavia, poiché noncadeva, poiché non si dichiarava vinto, ma si limitava aindietreggiare verso il palazzo del signor de La Trémouilleal servizio del quale aveva un parente, d'Artagnan,ignorando egli stesso la gravità dell'ultima ferita ricevutadal suo avversario, lo incalzava da vicino e senza dubbio loavrebbe finito con un terzo colpo. Senonché, in quelmomento, al rumore che si alzava dalla strada e che siudiva sin dentro la pallacorda, due amici della guardia,

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che l'avevano sentita scambiare qualche parola cond'Artagnan e l'avevano vista uscire, si precipitarono con laspada in pugno fuori della bisca e piombarono sulvincitore. Ma subito Athos, Porthos e Aramis apparvero aloro volta, e nel momento in cui le due guardie attaccavanoil loro giovane camerata, le costrinsero a voltarsi. Proprioallora Bernajoux cadde, e poiché le guardie erano soltantodue contro quattro, si misero a gridare: "A noi, casa LaTrémouille!" A queste grida, tutti coloro che erano nelpalazzo uscirono, avventandosi contro i quattro compagniche, dal canto loro, si misero a gridare: "A noi,moschettieri!". Questo grido di solito era inteso perché sisapeva che i moschettieri erano nemici di Sua Eminenzaed erano amati appunto per l'odio che tutti avevano per ilCardinale. Cosicché le guardie delle altre compagnie chenon appartenevano al Duca Rosso, come lo avevachiamato Aramis, in simili casi facevano lega con imoschettieri del Re. Di tre guardie della compagnia delsignor Des Essarts che passavano in quel mentre, duevennero dunque in aiuto ai quattro compagni e l'altra corseverso il palazzo del signor di Tréville, gridando: "A noimoschettieri, a noi!". Come di solito, il palazzo del signor diTréville era pieno di soldati appartenenti a quest'arma, etutti si precipitarono in soccorso dei loro camerati; lamischia divenne generale, ma i moschettieri erano i piùforti e le guardie del Cardinale e le genti del signor LaTrémouille si rifugiarono nel palazzo e fecero appena intempo a chiuderne le porte per impedire che i moschettierivi facessero irruzione. In quanto al ferito, era già stato

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trasportato nel palazzo in pessimo stato. L'agitazione fra imoschettieri e i loro alleati era al colmo, e si stava giàdiscutendo se per punire l'insolenza dei domestici delsignor di La Trémouille che avevano osato fare una sortitacontro i moschettieri, non fosse opportuno appiccar fuocoal palazzo. La proposta anzi era già stata accolta conentusiasmo, allorché, per fortuna, sonarono le undici;d'Artagnan e i suoi compagni si ricordarono della loroudienza, e poiché sarebbero stati spiacenti che un così belcolpo fosse fatto senza di loro, riuscirono a calmare glispiriti. Ci si accontentò, dunque, di gettare qualche ciottolocontro le porte, ma le porte resistettero e gli assalitori sistancarono. D'altronde, coloro che avrebbero dovutoessere considerati come i capi dell'impresa, avevanoormai abbandonato il gruppo e si incamminavano verso ilpalazzo del signor di Tréville, che li aspettava, già alcorrente della nuova bravata. "Presto al Louvre" egli disse"al Louvre senza perdere un istante, e tentiamo di vedere ilRe prima che venga messo al corrente dei fatti dalCardinale; gli racconteremo la cosa come unaconseguenza della faccenda di ieri, e tutto passerà in unavolta sola." Il signor di Tréville, accompagnato dai quattrogiovani, si incamminò dunque verso il Louvre; ma, congrande meraviglia del capitano dei moschettieri, gli venneannunciato che il Re era andato alla caccia al cervo nellaforesta di Saint-Germain. Il signor di Tréville si feceripetere due volte questa notizia, e ogni volta i suoicompagni videro il suo volto rannuvolarsi. "Sua Maestà"domandò egli "aveva in progetto sin da ieri questa

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caccia?" "No, Eccellenza" rispose il cameriere "questamattina il gran venatore è venuto ad annunciargli che nellanottata era stato scovato un cervo per lui. Sulle prime il Reha detto che non si sarebbe mosso, poi non ha saputoresistere all'idea del piacere che gli avrebbe procuratoquesta caccia ed è partito dopo colazione." "E il Re haveduto il Cardinale?" chiese il signor di Tréville. "Secondoogni probabilità lo ha visto" rispose il cameriere "perchéstamane ho visto la carrozza di Sua Eminenza; hodomandato dove andasse e mi è stato risposto: "A Saint-Germain"." "Siamo stati prevenuti" disse il signor diTréville. "Signori, vedrò il Re questa sera; ma quanto a voi,vi consiglio di non farvi vedere." Il consiglio era fin tropporagionevole e soprattutto veniva da un uomo checonosceva troppo bene il Re, perché i quattro giovanitentassero di discuterlo. Il signor di Tréville li invitò atornare alle loro case e ad aspettare tranquillamente suenotizie. Ritornato al palazzo, il signor di Tréville pensò cheera meglio fare il primo passo e avanzare subito le proprielamentele. Mandò quindi un suo domestico al signor di LaTrémouille con una lettera nella quale lo pregava di nondare asilo alle guardie di monsignor Cardinale e dirimproverare le sue genti per l'audacia che avevanodimostrato facendo una sortita contro i moschettieri. Ma ilsignor di La Trémouille, che era già stato prevenuto dal suoscudiero, di cui, come si sa, Bernajoux era parente, gli fecerispondere che non spettava né al signor di Tréville né aisuoi moschettieri lamentarsi, ma a lui solo inquantoché imoschettieri avevano assalito i suoi servitori e minacciato

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di bruciare il suo palazzo. Ora, siccome la disputa fraquesti due signori sarebbe durata molto a lungo perchéciascuno doveva necessariamente intestardirsi nellapropria opinione, il signor di Tréville pensò di porvi fine conun espediente: andare in persona dal signor de LaTrémouille. Andò dunque immediatamente al suo palazzo esi fece annunciare. I due signori si salutarono gentilmentegiacché, se non c'era grande amicizia tra loro, c'era peròuna stima reciproca. Erano entrambi uomini di cuore ed'onore; e poiché il signor de La Trémouille, protestante epoco assiduo presso il Re, non apparteneva a nessunpartito, in generale non portava nelle sue relazioni socialinessuna prevenzione. Questa volta, però, la suaaccoglienza, benché cortese, fu più fredda del solito."Signore" disse il signor di Tréville "noi crediamo di averragione di lamentarci l'uno dell'altro e sono venuto dipersona affinché insieme si metta in chiaro la cosa.""Volentieri" rispose il signor de La Trémouille "ma viavverto che sono bene informato e che tutto il torto è deivostri moschettieri." "Voi siete un uomo troppo giusto etroppo ragionevole, signore" disse Tréville "per nonaccettare la mia proposta." "Dite, vi ascolto." "Come sta ilsignor Bernajoux?" "Malissimo, signore. Oltre alla ferita albraccio, che non è pericolosa, ne ha ricevuta un'altra chegli ha attraversato il polmone, di modo che il medico fadelle previsioni tutt'altro che belle." "Ma il ferito è in sé?"Perfettamente." "Parla?" "Con difficoltà, ma parla.""Ebbene, signore, rechiamoci presso di lui escongiuriamolo in nome di Dio, di fronte al quale potrebbe

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comparire fra poco, di dirci la verità. Io lo prendo pergiudice nella sua stessa causa, e quel che dirà, locrederò." Il signor de La Trémouille rifletté un istante, poi,siccome sarebbe stato difficile fare una proposta piùragionevole, accettò. Tutti e due discesero nella cameradel ferito. Questi, vedendo entrare quei due nobili signoriche venivano a fargli visita, cercò di sollevarsi sul letto, maera così debole che, spossato dallo sforzo, ricadde quasisenza conoscenza. Il signor de La Trémouille gli si avvicinòe gli fece respirare dei sali che lo richiamarono in vita.Allora Tréville, non volendo che si potesse accusarlo diavere influito sul malato, pregò il signor de La Trémouilled'interrogarlo egli stesso. Ciò che aveva preveduto Trévilleavvenne. Sospeso fra la vita e la morte, Bernajoux nontentò neppure di tacere per un istante la verità e raccontòcome erano andate precisamente le cose. Era quantovoleva Tréville. Egli augurò a Bernajoux una prontaguarigione, si congedò dal signor de La Trémouille, rientròal suo palazzo e fece avvertire i quattro amici che liaspettava a pranzo. Il signor di Tréville riceveva un'ottimacompagnia, ma tutta anticardinalista. Si comprende quindiche la conversazione durante tutto il pranzo si aggirò suidue scacchi subiti dalle guardie di Sua Eminenza. Ora,poiché d'Artagnan era stato l'eroe di quelle due giornate, fusu di lui che caddero tutte le felicitazioni e Athos, Porthos eAramis gliele abbandonarono non soltanto da buonicamerati, ma da uomini che troppo spesso avevano avutoil loro turno per non concedergli il suo. Verso le sei, ilsignor di Tréville annunciò che doveva andare al Louvre.

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Ma siccome l'ora dell'udienza accordata da Sua Maestàera passata, invece di reclamare l'ingresso per la scalaprivata, egli prese posto nell'anticamera insieme con iquattro giovani. Il Re non era ancora tornato dalla caccia. Inostri amici attendevano da mezz'ora mischiati alla folladei cortigiani, allorché tutte le porte si aprirono e venneannunciata Sua Maestà. A quest'annunzio d'Artagnan sisentì fremere fino al midollo; quell'istante avrebbe decisoprobabilmente tutta la sua vita, per cui i suoi occhi sifissavano con ansia sulla porta dalla quale il Re dovevaentrare. Luigi Tredicesimo apparve: era in costume dacaccia, ancora tutto polveroso, in stivaloni e col frustino inmano. Al primo colpo occhio d'Artagnan giudicò che il Reera in collera. Questa disposizione, per quanto evidente inSua Maestà, non impedì ai cortigiani di far ala al suopassaggio: nelle anticamere reali val meglio essere scortida un occhio sia pure irritato, che non esser scorti affatto. Itre moschettieri non esitarono e fecero un passo avantimentre, al contrario, d'Artagnan rimase nascosto dietroloro. Ma benché il Re conoscesse personalmente Athos,Porthos e Aramis passò davanti a loro senza guardarli,senza rivolger loro la parola, come se non li avesse maivisti. In quanto al signor di Tréville, allorché gli occhi del Resi posarono un istante su di lui, sostenne quello sguardocon tanta fermezza che fu il Re a distogliere il suo, dopo diche, brontolando, Sua Maestà rientrò nel suoappartamento. "Gli affari vanno male" disse Athossorridendo "e nemmeno questa volta saremo fatti cavalieridell'ordine." "Aspettatemi qui dieci minuti" disse il signor di

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Tréville "e se fra dieci minuti non mi vedrete uscire,ritornate al mio palazzo: sarà inutile che mi aspettiate più alungo." I quattro giovani attesero dieci minuti, un quartod'ora, venti minuti, ma vedendo che Tréville non compariva,uscirono inquietissimi per ciò che sarebbe successo. Ilsignor di Tréville era entrato arditamente nel gabinetto delRe e aveva trovato Sua Maestà di pessimo umore; sedutoin una poltrona si batteva gli stivali col manico del frustino, ilche non aveva impedito al capitano di chiedergli con lamassima flemma notizie della sua salute. "Cattiva, signore,cattiva" rispose il Re "mi annoio." Questa era infatti lapeggior malattia di Luigi Tredicesimo, che spessoprendeva uno dei suoi cortigiani, lo attirava presso unafinestra e gli diceva: "Signor Tal dei Tali, annoiamociinsieme". "Come! Vostra Maestà si annoia!" disse il signordi Tréville. "Non si è dunque divertita oggi a caccia?" "Beldivertimento, signore! Tutto degenera, in fede mia, e nonso se sia la selvaggina che non lascia più traccia o i caniche non hanno più naso! Lanciamo un cervo di dieci palchi,lo inseguiamo per tre ore e quando siamo per raggiungerloe Saint-Simon sta per portare il corno alle labbra e suonarel'hallalì, ecco che improvvisamente i cani si danno ainseguire un cerbiatto di due anni. Vedrete che saròcostretto a rinunciare alla caccia a cavallo come horinunziato a quella al volo. Ah! sono un re ben disgraziato,signor di Tréville. Non avevo più che un solo girifalco ed èmorto ieri l'altro." "Comprendo il vostro dolore, Sire; peròmi pare che abbiate ancora un buon numero di falchi e disparvieri." "E non un uomo che sappia istruirli; i falconieri

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scompaiono, ormai solo io conosco l'arte della falconeria.Dopo di me tutto sarà finito e non si caccerà più che con letagliuole, le trappole, i lacciuoli. Se almeno avessi il tempodi formare degli allievi! Ma monsignor Cardinale mi èsempre alle costole e non mi lascia un minuto di riposo; miparla della Spagna, dell'Austria, dell'Inghilterra. Ah! aproposito di monsignor Cardinale, signor di Tréville, iosono assai malcontento di voi." Il signor di Trévilleaspettava il Re a questo varco. Lo conosceva da troppianni e sapeva benissimo che tutte le sue lamentele nonerano che una prefazione, una specie di eccitamento perinfondersi coraggio e arrivare poi dove voleva arrivare. "Inche cosa ho avuto la disgrazia di spiacere a VostraMaestà?" chiese Tréville fingendo la massima meraviglia."E' così che adempite la vostra missione, signore?"continuò il Re senza rispondere direttamente alla domandadel signor di Tréville. "E' per questo che vi ho nominatocapitano dei miei moschettieri? perché essi assassininoun uomo, mettano a soqquadro un rione, e si proponganodi bruciare Parigi senza che voi fiatiate? Ma forse"continuò il Re "io vi accuso con troppa fretta, forse iperturbatori sono già in prigione e voi siete venuto appuntoper dirmi che giustizia è fatta." "Sire" rispose contranquillità Tréville "vengo al contrario per chiedervela." "Econtro chi?" esclamò il Re. "Contro i calunniatori" rispose ilsignor di Tréville. "Ah! questa è nuova" riprese il Re. "Nonvorrete dirmi che i vostri tre dannati moschettieri, Athos,Porthos e Aramis, e il vostro cadetto del Bearn non sisiano gettati come anime dannate sul povero Bernajoux e

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non l'abbiano maltrattato in così malo modo che aquest'ora, forse, sta morendo! Non vorrete negarmi chedopo di ciò abbiano assediato il palazzo del duca de LaTrémouille e che siano stati lì lì per incendiarlo, il che, a direil vero, non sarebbe stata una gran disgrazia in tempo diguerra, visto che è un nido di Ugonotti; ma in tempo dipace, è un cattivo esempio. Non vorrete negarmi tuttoquesto, spero?" "E chi vi ha fatto questo bel racconto, Sire?" chiese tranquillamente Tréville. "Chi mi ha fattoquesto bel racconto, signore? E chi volete che sia se noncolui che veglia mentre io dormo, che lavora quanto midiverto, che dirige tutto dentro e fuori del regno, in Franciacome in Europa?" "Sua Maestà vuole certamente parlaredi Dio" disse il signor di Tréville "perché solo Dio è tantosuperiore a Vostra Maestà." "No, signore, vi parlo delsostegno dello Stato, del mio solo servitore, del mio soloamico, di monsignor Cardinale." "Sua Eminenza non è suaSantità, Sire." "Che cosa intendete di dire, signore?" "Chesolo il Papa è infallibile, e che questa infallibilità non siestende ai cardinali." "Volete dire ch'egli m'inganna, chemi tradisce. Allora voi l'accusate? Suvvia, confessatemifrancamente che lo accusate." "No, Sire, non dico questo,dico che egli si inganna, dico che è stato male informato,dico che ha avuto troppa fretta di accusare i moschettieri diVostra Maestà, verso i quali egli è sempre ingiusto, dicoche non ha attinto a una buona fonte le sue informazioni.""L'accusa parte dal signor de La Trémouille, dal ducastesso. Che sapete rispondere a ciò?" "Potrei rispondere,Sire, che egli è troppo interessato nella questione, per

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essere un testimonio imparziale: ma lungi da me questopensiero; io conosco il duca e so che è un galantuomo, mirimetto dunque a lui, ma ad una condizione, Sire." "Quale?" "Che Vostra Maestà lo faccia venire e lo interroghidirettamente, ma da solo a solo e senza testimoni; e che iorivedrò Vostra Maestà non appena il duca sia partito.""Bene" fece il Re "e vi rimetterete completamente a quantodirà il signor de La Trémouille?" "Sì, Sire." "Accetterete ilsuo giudizio?" "Senza dubbio." "E vi assoggetterete alleriparazioni che esigerà?" "Perfettamente." "La Chesnaye!"fece il Re. "La Chesnaye!" Il cameriere privato di LuigiTredicesimo, che stava sempre fuori della porta, entrò. "LaChesnaye" disse il Re "mandate subito a cercare il signorde La Trémouille, voglio parlargli questa sera." "VostraMaestà mi dà la sua parola d'onore che non parlerà connessuno tra il signor de La Trémouille e me?" "Connessuno, sulla mia parola di gentiluomo." "Allora a domani,Sire." "A domani, signore." "A che ora, di grazia, Maestà?""All'ora che vorrete!" "Ma venendo troppo presto temo disvegliare Vostra Maestà." "Svegliarmi? Dormo io forse? Ionon dormo più, signore, tutt'al più qualche volta sogno.Venite dunque presto come vorrete, anche alle sette, maguai a voi se i vostri moschettieri sono colpevoli!" "Se imiei moschettieri sono colpevoli li rimetterò nelle mani diVostra Maestà che li punirà come le piacerà meglio.Vostra Maestà vuole altro da me? Parli, sono pronto aobbedire." "No, signore; non è senza ragione che michiamano Luigi il Giusto. A domani dunque, a domani.""Sino allora, Dio guardi Vostra Maestà." Per quanto poco

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dormisse il Re, Tréville dormì meno ancora; la sera stessaaveva fatto avvertire i tre moschettieri e il loro compagnoperché si recassero da lui la mattina dopo alle sei emezzo. Egli li condusse con sé senza affermare nulla,senza nulla promettere, e non nascondendo loro che la lorofortuna e la sua stessa erano alla mercé di un gittata didadi. Arrivati ai piedi della scala privata, li fece aspettare.Se il Re era sempre irritato contro di loro, si sarebberoallontanati senza farsi vedere; se il Re acconsentiva ariceverli, li avrebbe fatti chiamare. Arrivato nell'anticameraparticolare del Re, il signor di Tréville trovò La Chesnayeche gli disse che la sera prima non si era trovato il duca deLa Trémouille al suo palazzo, che egli era rincasato troppotardi per presentarsi al Louvre, che era arrivato poco primae che in quel momento era dal Re. Questa coincidenzasoddisfece molto Tréville il quale fu così ben sicuro chenessuna interferenza estranea si sarebbe inserita tra ladeposizione del signor de La Trémouille e lui. Infatti, eranoappena trascorsi dieci minuti, che la porta del gabinetto delRe si aprì e Tréville vide uscirne il duca de La Trémouilleche venne a lui e gli disse: "Signor di Tréville, Sua Maestàmi ha mandato a chiamare per sapere da me comeandarono le cose ieri mattina al mio palazzo, Gli ho detto laverità, vale a dire che la colpa era delle mie genti e che eropronto a farvi le mie scuse. Poiché v'incontro ve le facciosubito e vi prego di volermi considerare sempre vostroamico". "Signor duca" disse il signor di Tréville "ero cosìpieno di fede nella vostra lealtà che non ho voluto altridifensori che voi, presso Sua Maestà. Vedo che non mi

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ero ingannato e vi ringrazio poiché per merito vostro,posso affermare che in Francia esistono ancora uomini deiquali si può dire ciò che io ho detto di voi." "Bene, bene"disse il Re che aveva ascoltato tutti questi complimenti trale due porte "soltanto ditegli, Tréville, poiché egli afferma diessere vostro amico, che anch'io vorrei essere compresotra i suoi, ma che egli mi trascura; che sono tre anni chenon l'ho visto e che non lo vedo se non quando lo mando achiamare. Ditegli tutto ciò da parte mia, perché si tratta dicosa che un re non può dire egli stesso." "Grazie, Sire,grazie" disse il duca "Vostra Maestà ricordi che non sonocoloro, e non dico ciò per il signor di Tréville, non sonocoloro ch'essa vede in ogni ora del giorno che gli son piùdevoti." "Ah! avete inteso ciò che ho detto, tanto meglio,duca, tanto meglio" disse il Re avanzando sino alla porta."Ah, Tréville, siete voi; dove sono i nostri moschettieri? Ieril'altro vi dissi di condurmeli, perché non lo avete fatto?""Sono dabbasso, Sire, e col vostro permesso LaChesnaye può farli salire." "Sì, vengano subito. Sono ormaile otto e alle nove attendo una visita. Andate, signor duca,fatevi rivedere. Entrate, Tréville." Il duca salutò ed uscìmentre i tre moschettieri e d'Artagnan guidati da LaChesnaye apparivano sull'alto della scala. "Venite, mieivalorosi" disse il Re "venite ché debbo rimproverarvi." Imoschettieri si avvicinarono inchinandosi; d'Artagnan liseguì ma rimase dietro a loro. "Come diavolo avete fatto"continuò il Re "voi quattro soli a mettere in due giorni setteguardie del Cardinale fuori combattimento? E' troppo,signori, è troppo. Di questo passo, Sua Eminenza sarà

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costretta a rinnovare la sua compagnia in tre settimane, eio dovrei fare applicare gli editti col massimo rigore. Una,per combinazione, passi, ma sette in due giorni è troppo,lo ripeto, è troppo!" "Per questo, Sire, essi vengono contritie pentiti a farvi le loro scuse." "Contriti e pentiti! Uhm!" feceil Re "non mi fido delle loro facce ipocrite, specialmente diquel Guascone laggiù. Venite qui, signore." D'Artagnan,avendo compreso che questo complimento era rivolto a lui,si avvicinò assumendo la sua aria più contrita. "Ebbene!che cosa mi dicevate che era un giovanotto, signor diTréville? Questo è un ragazzo, un vero ragazzo! Ed è luiche ha dato quel famoso colpo di spada a Jussac?" "Equei due bei colpi a Bernajoux." "Davvero?" "Senzacontare" disse Athos "che se egli non mi avesse difeso daBicarat, io non avrei ora certamente l'onore di inchinarmiumilmente alla Maestà Vostra." "Ma questo Bearnese èdunque un vero demonio, 'ventre saint-gris!' signor diTréville, come avrebbe detto il Re mio padre. In questomodo egli bucherà molte giubbe e spezzerà molte spade.Ora, i Guasconi sono sempre poveri, è vero?" "Sire, devoconfessarvi che non hanno ancora trovate delle miniered'oro nelle loro montagne, sebbene il Signore dovesse loroquesto miracolo in premio del coraggio con cui sostenneroi diritti di vostro padre." "E poiché io sono figlio di miopadre, ciò vuol dire che sono i Guasconi che mi hanno fattoRe, è vero Tréville? Ebbene! alla buon'ora, non dico di no.La Chesnaye, andate a vedere se, frugando in tutte le mietasche, trovate quaranta pistole e portatemele. E ora,giovanotto, ditemi, con la mano sulla coscienza, come

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sono andate le cose." D'Artagnan raccontò con tutti iparticolari l'avventura del giorno prima; disse come nonpotendo dormire per la gioia che provava all'idea di vedereSua Maestà si fosse recato dai suoi amici tre ore primadell'udienza, come fossero andati insieme a una bisca ecome, avendo egli dimostrato di aver paura di ricevere unapalla sul viso, Bernajoux lo avesse canzonato ed avessecorso il rischio di pagare con la vita la sua canzonatura e ilsignor de La Trémouille, che non c'entrava per nulla, fossestato lì lì per avere il palazzo incendiato. "Va bene"mormorò il Re "è proprio così che il duca mi ha raccontatola cosa. Povero Cardinale! Sette uomini in due giorni e fra ipiù cari! Però ora basta, signori, basta, mi capite? Voiavete ben presa la vostra rivincita per l'attacco subìto in viaFérou e dovete essere soddisfatti." "Se lo è VostraMaestà" disse Tréville "lo siamo anche noi." "Sì, lo sono"rispose il Re prendendo un pugno d'oro dalle mani di LaChesnaye e, mettendolo in quelle di d'Artagnan "ed ecco"aggiunse "una prova della mia soddisfazione." Inquell'epoca certe idee di fierezza che sono di prammaticaai nostri giorni, non erano ancora di moda, e un gentiluomonon si sentiva umiliare se il Re gli regalava del denaro.D'Artagnan intascò dunque le quaranta pistole di buongrado e ringraziò con effusione Sua Maestà. "E ora" disseil Re guardando la pendola "poiché sono le otto e mezzo,ritiratevi: alle nove, come vi ho detto, attendo qualcuno.Grazie della vostra devozione, signori. Posso contarci, nonè vero?" "Oh, Sire!" esclamarono ad una voce i quattrocompagni "ci faremo tagliare a pezzi per Vostra Maestà!"

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"Bene, bene; ma restate intieri; è meglio e mi servirete dipiù. Tréville" aggiunse il Re a mezza voce mentre gli altri siritiravano "dato che per ora non ci sono posti neimoschettieri, e siccome d'altronde abbiamo, deciso chenon si possa entrare in quel corpo senza aver fatto primaun noviziato, fate entrare il giovanotto nella compagniadelle guardie del signor Des Essarts, vostro cognato.Perbacco, Tréville, come mi diverto all'idea delle smorfieche farà il Cardinale; egli sarà furioso ma non me nepreoccupo perché sono nel mio diritto." E il Re salutò conla mano Tréville che uscì e andò a raggiungere i suoimoschettieri; li trovò che stavano dividendosi cond'Artagnan le quaranta pistole. Il Cardinale, come avevadetto il Re, fu così furioso che per otto giorni non andò algiuoco di Sua Maestà; ciò che non impediva al Re di fargliogni volta che lo incontrava la più graziosa accoglienza e dichiedergli con la voce più carezzevole: "Ebbene,monsignor Cardinale, come stanno quei poveri Jussac eBernajoux che vi sono tanto fedeli?"

Capitolo 7 I MOSCHETTIERI

Allorché d'Artagnan uscì dal Louvre consultò i suoi amicisul miglior modo di impiegare la sua parte delle quarantapistole. Athos gli consigliò di ordinare un buon pranzo allaPigna, Porthos di prendere un servo e Aramis di trovarsiuna amante confacevole. Il pranzo ebbe luogo lo stesso

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giorno e il domestico servì a tavola. Il pranzo era statoordinato da Athos e il domestico fornito da Porthos. Era unPiccardo che l'orgoglioso moschettiere aveva impegnatoquel giorno stesso. Lo aveva trovato sul ponte dellaTournelle intento a fare dei circoli sputando nell'acqua.Porthos aveva affermato che quell'occupazione indicava unuomo riflessivo e contemplativo e lo aveva preso senzaaltra raccomandazione. La bella presenza di quelgentiluomo per il quale si credette impegnato avevasedotto Planchet (era il nome del Piccardo) ed egli fu unpoco deluso allorché vide che il posto era già preso da unsuo confratello chiamato Mousqueton e allorché Porthos glidisse che lo stato della sua casa, benché grande, non gliconsentiva di tenere due domestici; egli quindi sarebbeentrato al servizio di d'Artagnan. Purtuttavia, allorchéassisté al pranzo dato dal suo padrone e allorché vide cheper pagarlo questo estraeva dalle sue tasche un pugnod'oro, credette che la sua fortuna fosse fatta e ringraziò Diod'averlo fatto entrare al servizio di un simile Creso; eglipersistette nella sua opinione fino dopo al festino, coi restidel quale riparò alle sue lunghe astinenze. Ma alla sera,facendo il letto del suo padrone, tutte le illusioni di Planchetsvanirono. Quel letto era il solo esistente dell'appartamentoche si componeva di un'anticamera e di una camera daletto. Planchet dormì in anticamera, sopra una coperta toltadal letto di d'Artagnan e che d'Artagnan non reclamòneppure in seguito. Athos, dal canto suo, aveva un servo,che aveva educato in un modo tutto suo particolare e che sichiamava Grimaud. Quel degno signore, parliamo

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naturalmente di Athos, era molto taciturno. Nei cinque o seianni dacché viveva nella più grande intimità con Porthos eAramis, essi, che pur l'avevano visto sorridere qualchevolta, non l'avevano mai udito ridere. Le sue parole eranobrevi ed espressive, dicevano ciò che dovevano dire eniente di più, niente abbellimenti, niente ricami, nientearabeschi; la sua conversazione era come un fatto senzaepisodi. Sebbene Athos avesse trent'anni appena, e fossebellissimo e intelligentissimo, non gli si conoscevanoamanti. Non parlava mai di donne. Si limitava a lasciareche gli altri ne parlassero davanti a lui, sebbene fossefacile indovinare che questo genere di conversazione, allaquale non partecipava che con qualche parola amara equalche considerazione da misantropo, gli era sgradito. Lasua discrezione, la sua selvatichezza e il suo mutismo nefacevano quasi un vecchio; per non derogare dunque dallesue abitudini egli aveva insegnato a Grimaud ad obbedirglisu un semplice gesto o su un lieve movimento delle labbra.Non gli parlava che in circostanze gravissime. Qualchevolta Grimaud, che temeva il suo padrone come il fuoco puravendo un grande attaccamento per la sua persona e unagrande venerazione per la sua intelligenza, credeva di avercapito perfettamente, si slanciava per eseguire l'ordinericevuto, e faceva tutto il contrario. Allora Athos scrollava lespalle e, senza adirarsi, bastonava Grimaud. In quei giorniegli parlava poco. Porthos, come abbiamo visto, aveva uncarattere perfettamente opposto a quello di Athos. Nonsolo parlava molto, ma parlava a alta voce; del resto,bisogna rendergli questa giustizia, poco gli importava se lo

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stessero o no ad ascoltare. Egli parlava per il piacere diparlare e per il piacere di ascoltarsi; parlava di tuttoeccetto che di scienza, risentendo ancora dell'odioprofondo che fin da ragazzo, a sentirlo, aveva provato pergli scienziati. Non aveva l'aria di gran signore di Athos, e ilsentimento della sua inferiorità in questo campo l'aveva, sulprincipio della loro amicizia, reso spesso ingiusto per quelgentiluomo, che allora si era sforzato di offuscare con laricchezza delle sue vesti. Ma anche con la semplicecasacca di moschettiere, Athos, col solo modo di gettareindietro la testa e di avanzare il piede, prendeva di colpo ilposto che gli era dovuto e relegava il fastoso Porthos inseconda fila. Porthos si consolava riempiendo l'anticameradel signor di Tréville e i corpi di guardia del Louvre conl'eco dei suoi successi amorosi, di cui Athos non parlavamai; e, per il momento, dopo essere passato dalla nobiltàdi toga alla nobiltà di spada, dalla signora di un legale auna baronessa, Porthos aveva per le mani una principessastraniera che gli voleva un bene enorme. Un vecchioproverbio dice: "Tale il padrone, tale il servo". Passiamodunque dal servo di Athos a quello di Porthos, da Grimauda Mousqueton. Mousqueton era un normanno, e il suopadrone aveva cambiato il suo pacifico nome di Bonifacioin quello infinitamente più sonoro di Mousqueton. Eraentrato al servizio di Porthos a condizione d'esserealloggiato e abbigliato solamente, ma in modo magnifico;egli voleva soltanto due ore al giorno di libertà perdedicarle a un'industria privata che doveva procurargli ildenaro necessario per gli altri suoi bisogni. Porthos aveva

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accettato queste condizioni; la cosa gli andava ameraviglia; egli faceva tagliare per Mousqueton dei farsettinei suoi vecchi abiti e nei suoi mantelli di ricambio, egrazie a un sarto molto intelligente che gli rimetteva anuovo i vestiti rivoltandoli e la cui moglie era sospettata divoler far derogare Porthos dalle sue abitudiniaristocratiche, Mousqueton faceva una bellissima figura alseguito del suo padrone. Quanto ad Aramis, del qualecrediamo di aver sufficientemente descritto il carattere,carattere, d'altronde, che, come quello dei suoi compagni,ci sarà dato seguire nei suoi sviluppi, aveva un domesticoche si chiamava Bazin. Siccome il suo padrone sperava dientrare negli ordini sacri, egli vestiva sempre di nero, comesi conviene al servo di un ecclesiastico. Era nativo delBerry, aveva da trentacinque a quarant'anni; grassottello,dolce, pacifico, preparava al suo padrone dei pranzisemplici ed eccellenti, e allorché non aveva nulla da fare,leggeva opere di devozione. Era cieco, muto e sordo e diuna fedeltà a tutta prova. Ora che conosciamo, almenosuperficialmente, padroni e servitori, passiamo alle dimoreoccupate da ciascuno di essi. Athos abitava in via Féroux,a due passi dal Lussemburgo; il suo appartamento sicomponeva di due piccole camere, ammobiliate con moltaproprietà, in una bella casa la cui proprietaria, ancorgiovane e bella, gli faceva inutilmente gli occhi dolci.Qualche ricordo di una passata grandezza si scorgeva quae là alle pareti di quel modesto alloggio: c'era, peresempio, una spada riccamente damaschinata che risalivaall'epoca di Francesco Quinto e la cui sola impugnatura,

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incrostata di pietre preziose, poteva valere duecentopistole, e che purtuttavia, anche nei momenti di maggioristrettezze, Athos non aveva voluto né vendere néimpegnare. Quella spada per lungo tempo aveva destato lapiù viva cupidigia di Porthos, che avrebbe dato dieci annidella sua vita per possederla. Un giorno in cui avevaappuntamento con una duchessa, cercò di ottenerla inprestito da Athos che, senza parlare, vuotò le sue tasche,mise insieme i suoi gioielli: borse, aghetti, catene d'oro, edoffrì tutto a Porthos; ma la spada, disse, era sigillata al suoposto e non avrebbe dovuto lasciarlo se non quando eglistesso lasciasse l'appartamento. Oltre la spada, c'eraanche un ritratto che raffigurava un signore del tempo diEnrico Terzo, vestito con la più grande eleganza e conl'ordine dello Spirito Santo al collo, e quel ritratto aveva conAthos certe somiglianze di linee, una cert'aria di famigliache indicavano come quel gran signore, cavaliere degliordini del Re, fosse un suo antenato. Infine, un cofano,opera magnifica di oreficeria, adorno dello stesso stemmache figurava sulla spada e nel ritratto, era sul caminetto estonava maledettamente per la sua ricchezza col restodella mobilia. Athos portava sempre con sé la chiave diquel cofano; ma un giorno lo aprì presente Porthos, equesti vide benissimo che non conteneva altro che lettere ecarte; certo lettere d'amore e carte di famiglia. Porthosabitava in via del Vieux-Colombier, un appartamentovastissimo e di sontuosa apparenza. Ogni volta chepassava con qualche amico davanti alle sue finestre a unadelle quali stava sempre Mousqueton in gran livrea;

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Porthos alzava il capo e la mano e diceva: 'Ecco la miadimora!' Ma nessuno era mai riuscito a trovarlo in casa,non invitava nessuno ad entrare, e nessuno potevaimmaginare quali reali ricchezze contenesse quellalussuosa apparenza. In quanto ad Aramis, egli abitava unpiccolo appartamento, composto di un salottino, di unastanza da pranzo e di una stanza da letto. Quest'ultima,come tutto il resto dell'appartamento, era al piano terra edava sopra un piccolo giardino, fresco, verde, ombroso, eimpenetrabile agli occhi dei vicini. Circa d'Artagnan,sappiamo già com'era alloggiato, e abbiamo già fatto laconoscenza del suo domestico, mastro Planchet.D'Artagnan, che era curiosissimo come sono, d'altronde,tutti coloro che hanno il genio dell'intrigo, fece tutti gli sforzipossibili per sapere che cosa fossero in realtà Athos,Porthos ed Aramis, giacché sotto questi nomi di guerraognuno di quei giovani nascondeva il suo vero nome digentiluomo, Athos, soprattutto, che si rivelava gran signorea un miglio di distanza. Si rivolse dunque a Porthos peravere informazioni su Athos ed Aramis, e ad Aramis perconoscere Porthos. Disgraziatamente, lo stesso Porthosnon sapeva della vita del suo silenzioso camerata se nonciò che ne era traspirato. Si diceva che fosse stato moltodisgraziato in faccende d'amore, e che uno spaventevoletradimento avesse per sempre avvelenato la vita di questogalantuomo. Di che tradimento si trattava? Tutti loignoravano. In quanto a Porthos, eccettuato il suo veronome, che il solo signor di Tréville conosceva, comeconosceva quelli dei suoi camerati, la sua vita era facile da

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conoscere. Vanitoso e indiscreto, si poteva leggere nelsuo animo come attraverso un cristallo. La sola cosa cheavrebbe potuto trarre in inganno l'investigatore, sarebbestato il credere ciecamente a tutto il bene che egliraccontava di sé. Aramis, invece, pur avendo l'aria di nonavere segreti, era un giovanotto tutto impastato di misteri,che rispondeva poco allorché gli chiedevano informazionisugli altri ed eludeva le domande quando si riferivano a lui.Un giorno d'Artagnan, dopo avergli fatto molte domande suPorthos e aver appreso le voci che correvano sulla suaavventura amorosa con una principessa, volle sapere checosa gli convenisse pensare delle avventure amorose delsuo interlocutore, e gli disse: "E voi, mio caro compagno,voi che parlate delle baronesse, delle contesse e delleprincipesse degli altri?" "Scusate" interruppe Aramis "io neho parlato perché è Porthos che ne parla, perché egli hagridato tutte queste belle cose davanti a me. Ma siatecerto, mio caro d'Artagnan che se le avessi sapute da altrafonte, o mi fossero state confidate da lui, non ne avrei fattoparola." "Non ne dubito" riprese d'Artagnan "ma, infine, misembra che anche voi siate abbastanza familiare con learmi gentilizie, e ne è prova un certo fazzoletto ricamato alquale devo l'onore di aver fatta la vostra conoscenza."Aramis questa volta non s'inquietò, ma assunse l'aria piùmodesta e rispose affettuosamente: "Caro mio, nondimenticate che un giorno apparterrò alla Chiesa, e cherifuggo da ogni mondanità. Quel fazzoletto, non mi erastato affidato, lo aveva dimenticato da me un amico. Iodovetti accettarlo per non compromettere lui e la dama che

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ama. Quanto a me, io non ho né voglio avere amantiseguendo in ciò il molto giudizioso esempio di Athos.""Ma, che diamine! voi non siete abate, ma moschettiere!""Moschettiere 'ab interim', come dice il Cardinale,moschettiere per forza, ma col cuore sono uomo di chiesa,credetelo. Athos e Porthos per occuparmi, mi hanno fattoentrare nei moschettieri. Pochi giorni prima ch'io fossiordinato sacerdote ebbi un piccolo incidente con… maquesto non può interessarvi e vi faccio perdere un tempoprezioso." "Al contrario, questo mi interessa molto"esclamò d'Artagnan "e per il momento non ho nulla dafare." "Ma io debbo dire ancora il breviario" risposeAramis, "e debbo comporre dei versi per la signorad'Aiguillon, che me li ha chiesti; poi debbo passare in viaSaint-Honoré per comperare del rosso per la signora diChevreuse: come vedete, caro amico, se voi non avetenulla da fare, io sono occupatissimo." Aramis teseaffettuosamente la mano al suo giovane compagno, e sicongedò da lui. Per quanto facesse, d'Artagnan non riuscìa sapere nulla di più sui suoi nuovi amici. Egli quindi sirassegnò a credere nel presente tutto quanto si diceva delloro passato, nella speranza di ottenere informazioni piùsicure e ampie in avvenire. Frattanto considerò Athoscome un Achille, Porthos come un Ajace ed Aramis comeun Giuseppe. La vita dei quattro giovanotti trascorreva delresto allegramente. Athos giocava e perdeva sempre.Purtuttavia, non domandava mai un soldo in prestito ai suoiamici sebbene la sua borsa fosse sempre a lorodisposizione. E allorché aveva giocato sulla parola, faceva

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svegliare il suo creditore alle sei della mattina per pagargliil debito del giorno prima. Porthos subiva degli alti e bassi;allorché guadagnava era splendido e insolente, allorchéperdeva, spariva per qualche giorno e ricompariva col visopallido e lungo, ma con le tasche piene. In quanto adAramis, non giocava mai. Egli era veramente il peggioremoschettiere e il peggiore convitato che si potesseimmaginare. Aveva sempre bisogno di lavorare. Qualchevolta sul più bello di un pranzo, quando ciascuno, neltrasporto del vino o nel calore della conversazione,pensava che ci fossero ancora due o tre ore da trascorrerea tavola, Aramis guardava l'orologio, si alzava con ungrazioso sorriso e salutava la compagnia per andare,diceva, a consultare un teologo col quale avevaappuntamento. Altre volte doveva tornare a casa perscrivere una tesi, e pregava i suoi amici di non disturbarlo.In questi casi Athos sorrideva di quel delizioso sorrisomelanconico che ben si addiceva alla nobiltà del suo volto,e Porthos beveva affermando che Aramis non sarebbestato mai se non un povero parroco di villaggio. Planchet, ilservo di d'Artagnan, sopportò nobilmente la fortunacapitatagli; riceveva trenta soldi al giorno, e per un mesetornò a casa ogni giorno allegro come un uccellino e pienodi affabilità verso il suo padrone. Ma quando il ventocontrario cominciò a soffiare nell'appartamento della viadei Fossoyeurs, vale a dire quando le quaranta pistole diLuigi Tredicesimo furono mangiate o press'a poco, eglicominciò certe lamentele che Athos giudicò nauseabonde,Porthos indecenti e Aramis ridicole. Athos consigliò quindi

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a d'Artagnan di licenziare quell'imbecille, Porthos volevache prima lo si bastonasse a dovere e Aramis dichiarò cheun padrone non doveva sentire se non i complimenti che unservo faceva di lui. "Ciò è facile" osservò d'Artagnan "pervoi, Athos, che vivete con Grimaud senza mai aprir bocca,che non gli permettete di parlare e che per conseguenzanon udite mai da lui una parola mal detta, per voi, Porthos,che conducete una vita lussuosa e siete come un dio per ilvostro Mousqueton, infine per voi, Aramis, che sempreoccupato nei vostri studi teologici, ispirate un profondorispetto al vostro servitore Bazin, uomo dolce e religioso;ma io che non ho base né risorse, io che non sonomoschettiere o, quanto meno, guardia, che posso fare perispirare l'affezione, il terrore o il rispetto di Planchet?" "Lacosa è grave" risposero i tre amici; "è una questione cheriguarda l'intimità della casa; i domestici sono come ledonne; occorre metterli subito nei limiti in cui si vuole cherestino. Pensateci su." D'Artagnan ci pensò su e si decisea bastonare Planchet di santa ragione in conto stipendi,cosa che fu eseguita con la coscienza che il nostroGuascone poneva in tutto ciò che faceva; dopo di che gliproibì di lasciare il suo servizio senza permesso: "Perché"disse "l'avvenire non può ingannarmi; io aspettoinfallibilmente tempi migliori. La tua fortuna è dunque sicurase stai con me e io sono un troppo buon padrone perpermetterti di dare un calcio a questa fortuna accordandotiil congedo che mi domandi". Questo modo d'agireriscosse l'approvazione dei tre moschettieri. Planchet fuanch'egli preso d'ammirazione e non parlo più di

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andarsene. La vita dei quattro giovanotti era diventatacomune, d'Artagnan, che non aveva abitudini, dato chearrivava dalla sua provincia e piombava in un mondo nuovoper lui, prese quelle dei suoi amici. D'inverno si alzavanoverso le otto, d'estate verso le sei, e andavano a prenderegli ordini dal signore di Tréville. D'Artagnan, quantunquenon fosse moschettiere, faceva servizio con una puntualitàcommovente; era sempre di guardia perché tenevasempre compagnia a quello dei suoi amici, che montava laguardia. Tutti lo conoscevano al palazzo dei moschettieri eciascuno lo considerava un buon camerata; il signore diTréville, che lo aveva apprezzato dal primo momento,aveva per lui grande affetto e lo raccomandava al Re coninsistenza. Dal canto loro, i tre moschettieri volevano moltobene al loro giovane compagno. L'amicizia che univa queiquattro uomini e il bisogno di vedersi tre o quattro volte algiorno, sia per un duello, sia per affari, sia per divertirsi,faceva si che corressero l'uno dietro l'altro come ombre; esi incontravano sempre gli inseparabili che si cercavanodal Lussemburgo alla piazza Saint-Sulpice, o dalla via delVieux-Colombier al Lussemburgo. Intanto, le promesse delsignor di Tréville seguivano il loro corso. Un bel giorno, ilRe ordinò al cavalier Des Essarts di prendere d'Artagnancome cadetto nella sua compagnia di guardie. D'Artagnanindossò sospirando l'uniforme delle guardie che, a costo didieci anni di vita, avrebbe voluto cambiare con quella delmoschettiere. Il signor di Tréville promise che questofavore gli sarebbe stato concesso dopo due anni dinoviziato, noviziato che, d'altronde, avrebbe potuto essere

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abbreviato, se si fosse presentata per d'Artagnanl'occasione di rendere qualche servizio al Re o di farequalche azione segnalata. D'Artagnan si ritirò con questapromessa, e il giorno dopo cominciò il suo servizio. Allorafurono Athos, Porthos e Aramis che montarono la guardiacon d'Artagnan allorché egli era di guardia. La compagniadel cavalier Des Essarts guadagnò così quattro uominiinvece di uno, il giorno in cui accolse d'Artagnan.

Capitolo 8 UN INTRIGO DI CORTE

Frattanto le quaranta pistole di re Luigi Tredicesimo, cometutte le cose del mondo, dopo aver avuto un inizio avevanoavuto una fine, e da quel momento i nostri quattrocompagni si erano trovati in strettezze. Sulle prime Athosaveva sostenuto l'associazione coi propri denari. Porthosgli era subentrato, e, grazie a una delle solite spartizionialle quali gli amici erano abituati, per circa quindici giorniaveva fatto fronte ai bisogni di tutti; infine era arrivata lavolta di Aramis che aveva fatto il suo dovere di buonagrazia e ci era riuscito, così diceva, vendendo i suoi libri diteologia e ricavandone alcune pistole. Si ricorse poi,secondo il solito, al signor di Tréville che fece qualcheanticipo sulle loro paghe; ma questi anticipi non potevanocondurre lontano i nostri moschettieri che avevano molticonti arretrati, e una guardia che non ne aveva ancora.Quando s'accorsero di essere vicini alla povertà, i nostri

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amici riuscirono a mettere insieme otto o dieci pistole chePorthos giuocò. Disgraziatamente, non era in vena e persetutto più venticinque pistole sulla parola. Allora le strettezzesi cambiarono in angustia; si videro gli affamati seguiti dailoro domestici, correre per il lungofiume e i corpi diguardia, raccogliendo dai loro amici estranei al gruppo tuttigli inviti a pranzo che poterono procurarsi; poiché, secondol'opinione di Aramis, durante la prosperità convenivainvitare gente a destra e a manca per raccogliere qualchepranzo nei momenti di carestia. Athos fu invitato a pranzoquattro volte e portò seco ogni volta i suoi amici e i loroservi. Porthos ebbe sei inviti e ne fece analogamente parteai camerati; Aramis otto. Era un uomo, come si era potutovedere, che faceva poco rumore ma molti fatti. Quanto ad'Artagnan, che non conosceva ancora nessuno nellacapitale, fu invitato soltanto a una colazione a base dicioccolata da un prete del suo paese e ad un pranzo da unalfiere delle guardie. Egli condusse dal prete la sua armatache gli divorò le provviste di due mesi e dall'alfiere, chefece meraviglie; ma, come diceva Planchet, anche quandosi mangia molto, non si mangia che una volta. D'Artagnanfu quindi umiliatissimo di non aver avuto che un pasto emezzo, dato che la cioccolata in casa del prete suocompaesano non poteva contare che per un mezzo pasto,da offrir ai suoi compagni in cambio dei festini che si eranoprocurati Athos, Porthos e Aramis. Egli si credeva a caricodella società, dimenticando con la sua buona fedegiovanile di aver nutrito questa società per più di un mesee il suo spirito preoccupato si mise a lavorare attivamente.

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Pensò che quattro uomini giovani, coraggiosi,intraprendenti e attivi dovevano avere ben altro scopo chequello di passeggiare senza mèta, di prendere lezioni discherma e di fare burle più o meno spiritose. E infatti,quattro uomini come loro, quattro uomini devoti l'un all'altrodalla borsa alla vita, quattro uomini decisi a sostenersiscambievolmente, a non arretrare mai, a compiereisolatamente o insieme ciò che avevano risoluto incomune; quattro braccia minaccianti i quattro punticardinali o, riunite, un sol punto, dovevano inevitabilmente,sotterraneamente o in piena luce, servendosi di mine o ditrincee, dell'astuzia o della forza, aprirsi una strada verso lamèta che volevano raggiungere, per quanto lontana edifesa fosse. La sola cosa che stupiva d'Artagnan, era chei suoi compagni non ci avessero pensato. Egli vi pensavaseriamente, scervellandosi per trovare una direzione aquesta forza unica moltiplicata per quattro e mediante laquale non dubitava che, come la leva che cercavaArchimede, non si riuscisse a sollevare il mondo, quandosentì battere piano alla porta. D'Artagnan svegliò Planchete gli ordinò di andare ad aprire. Questa frase: "D'Artagnansvegliò Planchet" non deve indurre il lettore a pensare chefosse notte o che il giorno non fosse ancora spuntato. No!le quattro erano sonate da poco. Due ore prima, Planchetera venuto a chiedere da desinare al suo padrone, il qualegli aveva risposto, con il proverbio che "chi dorme, pranza".E Planchet pranzava dormendo. Fu introdotto un uomo,dall'apparenza assai semplice e che aveva l'aria di unborghese. Come frutta al suo pranzo, Planchet avrebbe

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desiderato ascoltare la conversazione; ma il borghesedichiarò a d'Artagnan che ciò che aveva da dirgli eraimportante e confidenziale, per cui desiderava rimanere aquattr'occhi con lui. D'Artagnan congedò Planchet e fecesedere il visitatore. Ci fu un momento di silenzio durante ilquale i due uomini si guardarono come per fare unaconoscenza preventiva, dopo di che d'Artagnan si inchinòper significare che ascoltava. "Ho inteso parlare del signord'Artagnan come di un uomo molto coraggioso" disse losconosciuto "e questa reputazione, di cui godegiustamente, mi ha indotto a confidargli un segreto.""Parlate, signore, parlate" disse d'Artagnan, cheistintivamente subodorò qualcosa di vantaggioso. Ilvisitatore tacque ancora un attimo, poi continuò: "Miamoglie è guardarobiera della regina ed è bella e saggia.Sono tre anni che me l'hanno fatta sposare, sebbene nonpossedesse gran che, perché il signor de La Porte,portamantello della regina, è il suo padrino e laprotegge…" "E con questo?" chiese d'Artagnan. "Conquesto" riprese lo sconosciuto "con questo voglio dirvi chemia moglie è stata rapita questa mattina mentre uscivadalla sua stanza di lavoro." "E da chi è stata rapita?" "Nonne so nulla, signore, ma ho qualche sospetto." "E chisospettate?" "Un uomo che la perseguita da lungo tempo.""Diavolo!" "Ma se volete che vi dica ciò che penso,signore" continuò lo sconosciuto "vi dirò che sonopersuaso che in tutto ciò si tratti più di politica ched'amore." "Più di politica che d'amore?" fece d'Artagnancon l'aria di riflettere. "E che cosa sospettate?" "Non so se

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debbo dirvi ciò che sospetto..." "Signore, vi faccioosservare che non vi chiedo assolutamente nulla. Siete voiche siete venuto a trovarmi, che mi avete detto che avevateda confidarmi un segreto. Fate dunque come vi pare, sieteancora in tempo a ritirarvi." "No, signore, no; voi avete l'ariadi un onesto giovanotto e io avrò fiducia in voi. Credodunque che mia moglie non sia stata arrestata per i suoiamori, ma a causa di quelli di una dama più grande di lei.""Ah! ah! sarebbe forse a causa degli amori della signora diBois-Tracy?" fece d'Artagnan che voleva dimostrare al suointerlocutore d'essere al corrente degli affari di corte." "Piùin alto, signore, più in alto." "Della signora d'Aiguillon?""Più in alto ancora." "Della signora di Chevreuse?" "Più inalto, molto più in alto." "Della…" e d'Artagnan si fermò. "Sì,signore" rispose a bassissima voce lo sconosciutospaventato. "E con chi?" "Con chi può essere se non colduca di…" "Il duca di…" "Sì, signore!" continuò il visitatoredando alla sua voce un'intonazione più sommessa ancora."Ma come sapete tutto questo voi?" "Come lo so?" "Sì,come lo sapete? Per via di mezze confidenze, o… micapite?" "Lo so da mia moglie, signore, proprio da lei." "Elei… da chi lo ha saputo?" Dal signor de La Porte. Non viho detto che è la figlioccia del signor de La Porte, l'uomo difiducia della Regina! Ebbene, il signor de La Porte l'avevamessa presso Sua Maestà perché la nostra povera reginaavesse almeno qualcuno di cui fidarsi, abbandonata com'èdal Re, spiata com'è dal Cardinale, tradita com'è da tutti.""Ah! ora comincio a capire" disse d'Artagnan. "Mia mogliequattro giorni fa venne a vedermi, signore; io ho messo per

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condizione ch'essa venisse a trovarmi due volte persettimana, perché, come ho l'onore di dirvi, mia moglie miama molto. Ebbene, essa è venuta e mi ha confidato che inquesto momento la Regina aveva dei grandi timori.""Davvero?" "Sì, il Cardinale, a quanto pare, la perseguitapiù che mai. Non può perdonarle la storia della Sarabanda.Sapete la storia della Sarabanda[6]." "Perbacco, se la so!"rispose d'Artagnan che non sapeva nulla, ma che volevaaver l'aria di essere al corrente. "Di modo che ora nonagisce più soltanto per odio, ma per vendicarsi.""Veramente?" "E la Regina crede…" "Che cosa crede laRegina?" "Crede che sia stato scritto a monsignor duca diBuckingham a nome suo." "A nome della Regina?" "Sì, perfarlo venire a Parigi e, una volta che sia a Parigi, attirarlo inqualche tranello." "Diavolo! Ma in tutto questo che c'entravostra moglie, caro signore?" "La sua devozione per laRegina è nota, e si vuole allontanarla dalla sua padrona, ointimidirla per sapere i segreti di Sua Maestà, o cercare disedurla per servirsi di lei come di una spia." "E' probabile"disse d'Artagnan "ma l'uomo che l'ha rapita, l'hoconoscete?" "Vi ho detto che credo di conoscerlo.""Sapete il suo nome?" "Non lo so; so solamente che è unacreatura del Cardinale, che è la sua anima dannata.""L'avete visto?" "Sì, un giorno mia moglie me lo indico.""Ha qualche segno particolare che possa farloriconoscere?" "Certo; è un signore altiero, di capelli neri,tinta abbronzata, occhio penetrante, denti bianchi, con unacicatrice alla tempia." "Una cicatrice alla tempia!" esclamòd'Artagnan. "Ma è il mio uomo di Meung!" "Il vostro uomo

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di Meung?" "Si, sì; ma ciò non fa nulla. No, m'inganno, ciòsemplifica molto la cosa, al contrario; se il vostro uomo è ilmio, farò in una volta sola due vendette, ecco tutto. Madove trovarlo, quest'uomo?" "Non lo so." "Non avete alcunaidea di dove abiti?" "Nessuna; un giorno cheriaccompagnai mia moglie al Louvre, egli vi entrava o neusciva, ed essa me lo indicò." "Diavolo! Diavolo!"mormorò d'Artagnan "tutto ciò è molto vago; da chi aveteavuta notizia della sparizione di vostra moglie?" "Dalsignor de La Porte." "Vi ha dato qualche particolare?""Nessuno." "E non avete saputo nulla da qualcun altro?""Si, ho ricevuto…" "Che cosa?" "Non so se commetto unagrande imprudenza." "Ci risiamo. Tuttavia questa volta vifarò osservare però che ora è un po' tardi per tornareindietro." "Non indietreggio, perbacco!" esclamò losconosciuto gridando per darsi coraggio. "D'altra parte,parola di Bonacieux." "Vi chiamate Bonacieux?" lointerruppe d'Artagnan. "E' il mio nome." "Dicevate dunque:parola di Bonacieux… Scusate se vi ho interrotto; ma misembrava che questo nome non mi fosse sconosciuto." "E'possibile, signore. Sono il vostro padrone di casa." "Ah"fece d'Artagnan alzandosi a metà e salutando "siete il miopadrone?" "Si, signore. E siccome nei tre mesi dacchéabitate in casa mia, distratto senza dubbio dalle vostregrandi occupazioni, avete dimenticato di pagarmi l'affitto,siccome, dicevo, non vi ho importunato un solo istante, hopensato che mi sareste stato grato della mia delicatezza.""E come, caro signor Bonacieux" riprese d'Artagnan"credete che io vi sono riconoscente per il vostro modo di

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agire e che, come vi ho detto, se posso esservi utile inqualche cosa…" "Vi credo signore, vi credo e, come stavoper dirvi, parola di Bonacieux, ho fiducia in voi." "Finitedunque la narrazione cominciata." Il signor Bonacieuxtrasse da una tasca una lettera e la porse a d'Artagnan."Una lettera!" fece il giovane. "Che ho ricevuto stamane."D'Artagnan l'aprì e siccome la luce cominciava a calare, siavvicinò alla finestra e l'altro lo seguì. Il moschettiere lesse:"Non cercate vostra moglie; vi sarà resa quando non siavrà più bisogno di lei. Se farete un solo passo perritrovarla, sarete perduto". "Ecco qualcosa di positivo" feced'Artagnan "ma, tutto sommato, non è che una minaccia.""Sì, ma questa minaccia mi spaventa, signore; io non sonoun uomo di spada e ho paura della Bastiglia." "Uhm!" feced'Artagnan. "La Bastiglia non piace neppure a me. Seinvece non si trattasse che di un colpo di spada, il malesarebbe poco." "Eppure, signore, avevo contato su voi, inquesta occasione." "Come mai?" "Vedendovi semprecircondato da moschettieri dall'aria molto terribile, ericonoscendo in questi moschettieri quelli del signor diTréville, nemici del Cardinale, avevo pensato che voi e ivostri amici, aiutando la nostra povera Regina, sarestestati felici di giocare nello stesso tempo un brutto tiro a SuaEminenza." "Certamente." "E poi avevo pensato chedovendomi tre mesi d'affitto dei quali non vi ho maiparlato…" "Sì, sì, questo me lo avete già detto, e io trovoquesta ragione eccellente." "Contando, inoltre, qualora voimi faceste l'onore di restare in casa mia, di non parlarvimai delle rate d'affitto avvenire…" "Benissimo." "E

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aggiungete a ciò, se è necessario, che contavo di offrirviuna cinquantina di pistole, qualora, contro ogni probabilità,voi vi trovaste momentaneamente imbarazzato…" "Di benein meglio; ma voi siete dunque molto ricco, mio caro signorBonacieux!" "Sono agiato, signore, è la parola; hoammassato qualcosa come due o tremila scudi di renditanel commercio delle mercerie e investendo qualchesomma nell'ultimo viaggio del celebre navigatore JeanMocquet; di modo che, voi capite, signore… Ah! Ma…"esclamò il signor di Bonacieux a un tratto. "Che c'è?"chiese d'Artagnan. "Chi vedo." "Dove?" "Giù nella strada,proprio in faccia alle vostre finestre, nel vano di quellaporta; un uomo avvolto in un mantello…" "E' lui!"esclamarono ad una voce d'Artagnan e il suo padrone dicasa che avevano riconosciuto il loro uomo. "Ah! questavolta non mi sfuggirai!" gridò d'Artagnan afferrando laspada che sguainò precipitandosi fuori dall'appartamento.Sulla scala incontrò Athos e Porthos che venivano atrovarlo. Essi si tirarono da una parte, e d'Artagnan passòcome una freccia. "Dove corri in questo modo?" gligridarono insieme i due moschettieri. "L'uomo di Meung!"rispose d'Artagnan. D'Artagnan aveva più di una voltaraccontato ai suoi amici la sua avventura con losconosciuto e l'apparizione della bella viaggiatrice allaquale sembrava che l'uomo avesse affidata un'importantemissiva. L'opinione di Athos era che d'Artagnan avesseperduta la lettera nel parapiglia. Secondo lui, ungentiluomo, e dal ritratto che d'Artagnan aveva fatto dellosconosciuto, non poteva trattarsi che di un gentiluomo, non

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poteva essere capace di una simile bassezza. Porthos nonaveva visto in tutto ciò che un semplice appuntamentoamoroso dato da una dama a un cavaliere o da uncavaliere a una dama, che d'Artagnan e il suo cavallo gialloerano venuti a turbare. Aramis aveva detto che questogenere di cose erano misteriose e che era meglio nonapprofondirle. Dalle poche parole di d'Artagnan,compresero quindi di che si trattava, e siccome pensaronoche raggiungesse o no il suo uomo, egli sarebbecertamente tornato a casa, continuarono a salire le scale.Allorché entrarono nella camera di d'Artagnan, la cameraera vuota; il padrone di casa, temendo per il risultatodell'incontro che senza dubbio stava per aver luogo tra ilgiovanotto e lo sconosciuto, aveva, fedele all'esposizioneche egli stesso aveva fatto del suo carattere, giudicatoprudente eclissarsi.

Capitolo 9 SI DELINEA IL CARATTERE DI D'ARTAGNAN

Come Athos e Porthos avevano previsto, dopo mezz'orad'Artagnan rientrò. Anche questa volta l'uomo era sparitocome per incanto. D'Artagnan, con la spada in mano,aveva corso per tutte le strade delle vicinanze, ma nonaveva trovato nessuno che somigliasse a colui che cercavae aveva finito col fare quello che avrebbe dovuto faresubito, era andato cioè a picchiare alla porta contro laquale era appoggiato lo sconosciuto. Ma inutilmente aveva

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fatto ricadere il battente dieci o dodici volte, nessuno avevarisposto e i vicini che, attirati dal rumore, erano corsi sulleporte o avevano messo il naso fuori dalle finestre, gliavevano assicurato che quella casa, della quale,d'altronde, tutte le aperture erano ermeticamente chiuse,era completamente inabitata da più di sei mesi. Nel tempoche d'Artagnan correva le strade e picchiava alle porte,Aramis aveva raggiunto i compagni, in modo che quandorincasò, d'Artagnan trovò la riunione al completo."Ebbene?" dissero insieme i tre moschettieri vedendoentrare d'Artagnan con la fronte sudata e il volto sconvoltodalla collera. "Ebbene!" esclamò gettando la spada sulletto "bisogna che quell'uomo sia il diavolo in persona; èsparito come un fantasma, un'ombra, uno spettro!""Credete alle sparizioni?" chiese Athos a Porthos. "Io noncredo che a ciò che vedo, e siccome non ho mai vistoapparizioni, non ci credo." "La Bibbia" disse Aramis "ci faobbligo di crederci: l'ombra di Samuele apparve a Saul; edè un articolo di fede che sarei spiacente di veder messo indubbio da Porthos." "In tutti i casi, diavolo o uomo, corpood ombra, illusione o realtà, quest'uomo è nato per la miadannazione; perché la sua fuga ci fa perdere un superboaffare, signori, un affare nel quale avremmo guadagnatocento pistole e forse più." "E come?" dissero ad una solavoce Porthos e Aramis. In quanto ad Athos, fedele al suosistema di mutismo, si accontentò di interrogared'Artagnan con gli occhi. "Planchet" disse d'Artagnan alsuo domestico che in quel momento aveva introdotto latesta per la porta socchiusa onde cercare di capire di che

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si trattava "scendete dal padrone di casa e ditegli dimandarci mezza dozzina di bottiglie di vino di Beaugency,è quello che preferisco." "Ah! avete dunque credito apertocol vostro padrone?" chiese Porthos. "Sì" risposed'Artagnan "a datare da oggi. E state sicuri che se il vinosarà cattivo, gliene manderemo a chiedere dell'altro.""Bisogna usare e non abusare" sentenziò Aramis. "Hosempre detto che d'Artagnan era il più intelligente fra noi"fece Athos e, dopo aver emessa questa opinione, ricaddenel suo solito mutismo. "Ma intanto diteci: che c'è dinuovo?" chiese Porthos. "Sì, confidateci tutto, caro amico"disse Aramis "a meno che l'onore di qualche dama non siaimplicato in questa confidenza, nel qual caso sarà meglioche la teniate per voi." "State tranquillo" rispose d'Artagnan"ciò che vi dirò non comprometterà l'onore di nessuno."Dopo di che raccontò parola per parola ciò che eraavvenuto fra lui e il suo padrone di casa, e aggiunse comecolui che aveva rapito la moglie del brav'uomo altri non erache lo sconosciuto con cui aveva litigato all'osteria delFranc-Meunier. "L'affare non è cattivo" disse Athos dopoaver gustato il vino da vero conoscitore e averne approvatola bontà con un cenno "da questo brav'uomo potremoavere certamente cinquanta o sessanta pistole. Ma resta asapersi se valga la pena di rischiare quattro teste percinquanta o sessanta pistole." "Ma tenete presente"esclamò d'Artagnan "che in questa faccenda v'è di mezzouna donna, una donna rapita, certo minacciata, forsetorturata, e tutto ciò perché è fedele alla sua padrona!""State in guardia d'Artagnan, state in guardia" disse

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Aramis "secondo me, voi vi riscaldate un po' troppo per lasignora Bonacieux. La donna è stata creata per la nostraperdizione, e da lei provengono tutti i nostri mali." A questasentenza, Athos aggrottò le sopracciglia e si morse lelabbra. "Non è per la signora Bonacieux che mipreoccupo" disse d'Artagnan "ma per la Regina che il Reabbandona, il Cardinale perseguita, e che vede caderel'una dopo l'altra le teste di tutti i suoi amici." "Perchédunque ama ciò che noi detestiamo di più al mondo: gliSpagnuoli e gli Inglesi?" "La Spagna è la sua patria"rispose d'Artagnan "ed è ben naturale che ami gliSpagnuoli che sono figli della sua stessa terra. In quanto alsecondo rimprovero che le fate, ho inteso dire che essaamava non già gli inglesi, ma un inglese." "E in verità"disse Athos "bisogna confessare che quell'inglese era bendegno di essere amato. Non ho mai visto un uomo piùdistinto!" "Senza contare che veste come nessun altro almondo" disse Porthos. "Ero al Louvre il giorno in cuiseminò le sue perle e, in fede mia!, ne raccolsi due chevendetti a dieci pistole l'una. E tu, Aramis, lo conosci?""Non meno bene di voi, signori, perché ero fra quelli chel'arrestarono nel giardino di Amiens[7], dove mi aveva fattoentrare il signore di Putange, lo scudiero della Regina. Aquell'epoca ero in seminario, e la faccenda mi parvecrudele per il Re." "Il che non toglie" disse d'Artagnan "chese sapessi dov'è il duca di Buckingham, lo andrei aprendere per mano e lo condurrei dalla Regina nonfoss'altro che per far arrabbiare il Cardinale; perché ilnostro vero, il nostro solo, il nostro eterno nemico, signori,

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è il Cardinale, e confesso che arrischierei volentieri la testaper trovar modo di giocargli qualche tiro crudele." "E"riprese Athos "il merciaio vi ha detto che la Regina erapersuasa che Buckingham sia stato fatto venire medianteuna lettera falsa?" "Lo teme." "Aspettate" disse Aramis."Che cosa?" domandò Porthos. "Non ci badate; cerco diricordarmi certe circostanze." "Ora sono convinto" dissed'Artagnan "che la scomparsa della guardarobiera dellaRegina si ricollega agli avvenimenti di cui parliamo, e forsealla presenza di Buckingham a Parigi." "Quante idee ha ilGuascone!" disse ammirato Porthos. "Mi piace sentirloparlare" aggiunse Athos "il suo dialetto mi diverte.""Signori" riprese Aramis "ascoltatemi." "Ti ascoltiamo,Aramis" dissero a una voce i tre amici. "Ieri ero da unsapiente dottore in teologia che qualche volta vado aconsultare per i miei studi…" Athos sorrise. "Abita in unrione deserto" continuò Aramis "poiché i suoi gusti e la suaprofessione esigono ciò. Ora, nel momento in cui uscivodalla sua casa…" "Ebbene" chiesero i suoi uditori "nelmomento in cui uscivate da casa sua?…" Aramis parvefare uno sforzo su se stesso come un uomo che, mentresta mentendo sfacciatamente, si vede arrestare da unostacolo imprevisto; ma poiché gli occhi dei suoicompagni erano fissi su di lui, e le loro orecchieattendevano spalancate, non v'era modo di arretrare. "Queldottore ha una nipote" continuò Aramis. "Ah! c'è unanipote?" interruppe Porthos. "Rispettabilissima" disseAramis. I tre amici scoppiarono a ridere. "Se ridete e senon ci credete" riprese Aramis "non saprete nulla." "Siamo

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creduli come Maomettani e muti come catafalchi" disseAthos. "Dunque continuo" riprese Aramis; "questa nipoteva di tanto in tanto da suo zio e ieri appunto, percombinazione, c'era contemporaneamente a me, per cuidovetti offrirle di accompagnarla sino alla sua vettura." "Ah!la nipote del dottore ha una carrozza!" interruppe Porthosche tra gli altri difetti aveva quello di non saper star zitto"bella conoscenza, amico mio!" "Porthos" riprese Aramis"vi ho già fatto osservare in altre circostanze che sietetroppo indiscreto e che ciò vi nuocerà con le donne.""Signori, signori" gridò d'Artagnan che intravedeval'essenziale dell'avventura "la cosa è seria; cerchiamodunque di non scherzare, se è possibile. Dite Aramis,dite." "A un tratto un uomo grande, bruno, dall'aspetto digentiluomo… sul tipo del vostro, d'Artagnan." "Forse lostesso." "E' possibile" continuò Aramis "si avvicina a me,accompagnato da cinque o sei uomini che lo seguivano adieci passi di distanza e col tono più gentile di questomondo mi disse: 'Signor duca, e voi signora' aggiunserivolgendosi alla dama che avevo sotto il braccio…" "Allanipote del dottore?" "Silenzio, Porthos" disse Athos "sieteinsopportabile." "Siate tanto cortesi da salire in questacarrozza e senza far resistenza, senza il minimo rumore.""Vi aveva preso per Buckingham!" esclamò d'Artagnan."Lo credo" rispose Aramis. "Ma quella signora" dissePorthos. "L'aveva scambiata per la Regina" dissed'Artagnan. "Appunto" rispose Aramis. "Questo Guasconeè un diavolo!" esclamò Athos "non gli sfugge nulla." "Sta difatto" disse Porthos "che Aramis è della statura e ha

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qualche rassomiglianza col bel duca; ma mi sembra che ilsuo abito da moschettiere…" "Avevo un enorme mantello"disse Aramis. "Nel mese di luglio, diavolo!" fece Porthos."Il dottore teme dunque che qualcuno ti riconosca?""Capisco ancora che la spia si sia lasciata trarre ininganno dalla tua figura" disse Athos "ma il viso…" "Avevoun cappello grandissimo" disse Aramis. "Oh, Dio mio,quante precauzioni per studiare teologia!" esclamòPorthos. "Signori, signori" disse d'Artagnan "non perdiamotempo in chiacchiere; andiamocene ognuno per contonostro a cercare la moglie del merciaio; la chiavedell'intrigo è lei." "Una donna di così infima condizione!"fece Porthos con mossa sprezzante. "E' la figlioccia di LaPorte, il cameriere segreto della Regina. Non ve l'ho giàdetto, signori? E, d'altronde, si tratta forse di un calcolo daparte di sua Maestà, di cercare un appoggio così in basso.Gli alti papaveri si vedono da lontano e il Cardinale haottima vista." "Ebbene" disse Porthos "stabilite prima ilprezzo con il merciaio, e un buon prezzo." "E' inutile" dissed'Artagnan "credo che se lui non ci paga, saremo benpagati da altri." In quel momento un rumore di passiaffrettati si udì per le scale, la porta si aprì con fracasso el'infelice merciaio si slanciò nella camera in cui si teneva ilconsiglio. "Ah! Signori, signori!" esclamò "salvatemi innome di Dio! Ci sono quattro uomini che vengono perarrestarmi. Salvatemi. Salvatemi!" Porthos e Aramis sialzarono. "Un momento" esclamò d'Artagnan, facendosegno di ricacciare nel fodero le spade sfoderate a metà"un momento, in questo caso è più necessaria la prudenza

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che il coraggio." "Tuttavia" esclamò Porthos "nonpossiamo lasciare…" "Lasciate fare a d'Artagnan" disseAthos "è, lo ripeto, il più intelligente fra noi, e per mio contodichiaro di obbedirgli. Fa' ciò che vuoi, d'Artagnan." In quelmomento quattro guardie apparvero sulla portadell'anticamera e vedendo quattro moschettieri in piedi conla spada al lato, esitarono ad avanzare. "Entrate, signori,entrate" gridò d'Artagnan "qui siete in casa mia e noisiamo tutti fedeli servitori del Re e di monsignorCardinale." "Allora, signori, voi non vi opponeteall'esecuzione degli ordini ricevuti?" domandò quello chepareva il capo della squadra. "Al contrario, signori, anzisiamo pronti ad aiutarvi se ce ne sarà bisogno." Ma checosa dice" mormorò Porthos. "Sei uno sciocco" disseAthos "sta' zitto." "Eppure mi avevate promesso…"sussurrò il povero merciaio. "Non possiamo salvarvi cherestando liberi" rispose in fretta e a bassa voce d'Artagnan"e se facciamo vedere di volervi aiutare, ci arresterannoinsieme con voi." "Però, mi sembra…" "Entrate, signori,entrate!" disse forte d'Artagnan "non ho nessuna ragioneper difendere il signore. L'ho visto oggi per la prima volta, ein quale occasione ve lo dirà egli stesso; è venuto achiedermi il denaro dell'affitto. E' vero, signor Bonacieux?Rispondete!" "E' la pura verità" esclamò il merciaio "ma ilsignore non vi dice…" "Non parlate di me, non parlate deimiei amici, e, soprattutto, della Regina, o voi perderestetutti senza salvarvi. Andate, signori, conducete con voiquest'uomo!" E d'Artagnan spinse il merciaio sbalordito frale mani delle guardie, dicendogli: "Voi siete un briccone,

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mio caro; venite a chiedere del denaro a me, a unmoschettiere! In prigione, signori, ancora una volta,portatelo in prigione, e tenetelo sotto chiave il più a lungopossibile; ciò mi darà il tempo di pagarlo." Gli sbirri siprofusero in ringraziamenti e portarono via la loro preda.Nel momento in cui scendevano le scale, d'Artagnan battésulla spalla del capo: "Non berremo alla nostra reciprocasalute?" disse riempiendo due bicchieri col vino diBeaugency dovuto alla generosità del signor Bonacieux."Sarà un onore per me" disse lo sbirro "accetto conriconoscenza." "Dunque alla vostra salute, signor… comevi chiamate?" "Boisnerard." "Signor Boisnerard!" "Allavostra, signor mio: e, a vostra volta, come vi chiamate?""D'Artagnan." "Alla vostra, signor d'Artagnan!" "E soprattutto a quella" gridò d'Artagnan come trasportatodall'entusiasmo "del Re e di monsignor Cardinale." Il capodegli sbirri avrebbe forse dubitato della sincerità did'Artagnan se il vino fosse stato cattivo, ma siccome eraottimo, non ebbe dubbi. "Ma che razza di porcheria avetecombinato?" disse Porthos quando l''alguazil' in capo ebberaggiunto i suoi compagni, e i quattro amici si trovaronosoli. "Vergogna! Quattro moschettieri lasciare arrestare inmezzo a loro un disgraziato che grida aiuto! Un gentiluomotrincare con uno sbirro!" "Porthos" disse Aramis "Athos tiha già detto che sei uno sciocco e io la penso come lui.D'Artagnan, sei un grande uomo, e quando avrai il postodel signor di Tréville vorrai proteggermi, spero, e farmiavere un'abbazia." "Non ci capisco più nulla" dissePorthos; "voi approvate ciò che d'Artagnan ha fatto?"

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"Perbacco se lo approvo" disse Athos "non solo approvociò che ha fatto, ma me ne congratulo con lui." "E ora,signori" concluse d'Artagnan senza perder tempo aspiegare a Porthos il suo modo di agire "tutti per uno e unoper tutti, è questa la nostra divisa, non è vero?" "Però…"disse Porthos. "Stendi la mano e giura!" gridarono insiemeAthos e Aramis. Vinto dall'esempio, ma brontolando piano,Porthos stese la mano, e i quattro amici ripeterono ad unavoce la formula dettata da d'Artagnan: "Tutti per uno, unoper tutti." "Benissimo; e ora, ognuno a casa propria" dissed'Artagnan come se nella sua vita non avesse fatto altroche comandare "e state attenti perché da questo momentosiamo alle prese col Cardinale."

Capitolo 10 UNA TRAPPOLA DEL DICIASSETTESIMOSECOLO

L'invenzione della trappola non è cosa dei nostri giorni; dalmomento che le società, formandosi, ebbero inventata unapolizia qualsiasi, questa, a sua volta, inventò le trappole.Ma siccome non tutti i nostri lettori hanno dimestichezza colgergo di via Gerusalemme[8], e poiché è la prima volta dache scriviamo - il che vuol dire una quindicina d'anni - checi serviamo di questa parola, in questo senso, convienespiegar loro che cosa sia una trappola. Quando, in unacasa qualunque, viene arrestato un individuo sospettato diun delitto qualsiasi, l'arresto è tenuto segreto; si

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nascondono quattro o cinque uomini all'agguatonell'anticamera, Si apre la porta di casa a tutti coloro chebussano e la si richiude alle loro spalle; in questo modo,nel giro di due o tre giorni, si hanno in mano tutti o quasitutti i familiari della casa. Ecco che cos'è una trappola.Dell'appartamento di mastro Bonacieux si fece dunque unatrappola, e chiunque apparve fu preso e interrogato dallegenti del Cardinale. Naturalmente, siccome un'entrataspeciale conduceva al primo piano abitato da d'Artagnan,coloro che andavano a far visita a quest'ultimo nonvenivano minimamente inquietati. D'altra parte da lui nonandavano che i moschettieri; questi, ciascuno per contoproprio, si erano messi alla ricerca della scomparsa, manon avevano trovato nulla e nulla avevano scoperto. Athosaveva interrogato persino il signor di Tréville, e la cosaaveva assai meravigliato il capitano che ben conosceva ilmutismo del bravo moschettiere. Ma il signor di Tréville nonpoté dire se non che l'ultima volta che aveva visto insieme ilCardinale, il Re e la Regina, il Cardinale aveva l'ariapreoccupata, il Re era inquieto e la Regina aveva gli occhirossi, segno evidente che aveva vegliato o pianto.Quest'ultima circostanza non lo aveva meravigliato troppodato che, dal suo matrimonio in poi, la Regina vegliava epiangeva molto. Ad ogni modo, il signor di Trévilleraccomandò molto ad Athos il servizio del Re e soprattuttoquello della Regina, pregandolo di fare la stessaraccomandazione ai suoi camerati. Quanto a d'Artagnan,non usciva più di casa perché aveva convertito la suacamera in osservatorio. Dalle finestre vedeva arrivare

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quelli che andavano a farsi prendere; poi, avendo tolto unapiastrella dal pavimento e avendone forato lo spessore,così che un semplice soffitto lo separava ormai dallacamera sottostante nella quale si facevano gli interrogatori,egli ascoltava tutto ciò che avveniva tra gli inquisitori e gliaccusati. Gli interrogatori, preceduti sempre da unaminuziosa perquisizione operata sulla personadell'arrestato, erano presso a poco sempre gli stessi: "Lasignora Bonacieux vi ha dato qualcosa da portare a suomarito o a qualcun altro?" "Il signor Bonacieux vi ha datoqualcosa per sua moglie o per qualcun altro?" "L'una ol'altro vi hanno fatta qualche confidenza a voce?" "Sesapessero qualche cosa non farebbero queste domande"pensava d'Artagnan. "Ma che cosa cercavano di sapere?Se il duca di Buckingham sia a Parigi e se non abbia avutoo debba avere qualche incontro con la Regina?"D'Artagnan si fermò a questa idea, perché, dopo ciò cheaveva inteso, la cosa poteva essere probabile. Frattanto latrappola era continuamente in azione e la vigilanza did'Artagnan non aveva soste. La sera del giorno seguente aquello dell'arresto del povero signor Bonacieux, dopo cheAthos lo ebbe lasciato per recarsi dal signor di Tréville, ementre Planchet, che non aveva ancora rifatto il letto,benché fossero già suonate le nove, si metteva al lavoro, siudì bussare alla porta di strada; subito, la porta si aprì e sirichiuse; qualcuno era venuto a farsi prendere in trappola.D'Artagnan si slanciò verso il punto in cui il pavimento erastato forato, si sdraiò ventre a terra e stette in ascolto. Siudirono delle grida, poi dei gemiti che qualcuno cercava di

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soffocare. Evidentemente, non si trattava di uno dei solitiinterrogatori. "Diavolo!" si disse d'Artagnan "mi sembrauna voce di donna: la frugano, resiste, le fanno violenza!Miserabili!" E d'Artagnan, nonostante la sua prudenza,doveva fare i più grandi sforzi per non intervenire nellascena che si svolgeva sotto di lui. "Vi dico che sono lapadrona di casa, signori; vi dico che sono la signoraBonacieux e sono al servizio della Regina" esclamò ladisgraziata donna. "La signora Bonacieux" mormoròd'Artagnan; "sarei forse così fortunato da aver trovato ciòche tutti stanno cercando?" "Aspettavamo proprio voi"ripresero gli inquisitori. La voce femminile divenne semprepiù soffocata: un'agitazione tumultuosa si ripercosse nellepareti. La vittima resisteva, come può resistere una donnaa quattro uomini. "Scusate, signori, scu…" mormoròancora la voce, poi non si intesero che suoni inarticolati."La imbavagliano, la trascineranno via" esclamòd'Artagnan rizzandosi di scatto. "La mia spada, ah, eccola.Planchet!" "Signore?" "Corri a cercare Athos, Porthos eAramis. L'uno dei tre sarà certamente in casa, forsesaranno rincasati tutti e tre. Prendano le loro armi evengano di corsa. Ah! ora me ne ricordo, Athos è dalsignor di Tréville." "Ma che fate, signore, dove andate?""Scendo dalla finestra" esclamò d'Artagnan "per arrivarepiù presto; tu rimetti a posto la piastrella, spazza ilpavimento, esci dalla porta e corri dove ti ho detto.""Signore, signore, vi ucciderete!" gridò Planchet. "Sta'zitto, imbecille" disse d'Artagnan, e, attaccandosi con lamano allo sporto della finestra, si lasciò cadere dal primo

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piano, che fortunatamente non era molto alto, senzaneppure farsi una graffiatura. Dopo di che andò subito abussare alla porta mormorando: "A mia volta vado a farmiprendere in trappola, ma disgraziati i gatti che avranno ache fare con questo topo." Non appena il battente risonòsotto la mano vigorosa del giovanotto, il tumulto cessò, deipassi si avvicinarono, la porta si aprì e d'Artagnan, con laspada sguainata, si slanciò nell'appartamento di padronBonacieux la cui porta, mossa cautamente da una molla, sirichiuse da sé alle sue spalle. Allora, coloro che abitavanoancora la disgraziata casa di Bonacieux e i vicini piùprossimi udirono alte grida, un confuso trepestìo, uncozzare di spade e un prolungato rumore di mobili. Poi, unmomento dopo, coloro che, sorpresi da questi rumori, sierano affacciati alla finestra per conoscerne la causa,poterono vedere la porta riaprirsi e quattro uomini vestiti dinero uscirne o meglio involarsi come corvi spaventati,lasciando a terra e agli angoli qualche penna delle loro ali,vale a dire qualche brandello dei loro abiti e qualche pezzodei loro mantelli. D'Artagnan aveva vinto senza troppafatica perché uno solo degli sbirri era armato e anchequesto non si era difeso che per la forma. E' vero che glialtri tre avevano cercato di accoppare il giovanotto con lesedie, i panchetti e le stoviglie; ma due o tre graffiaturefatte dallo spadone del Guascone erano bastate aspaventarli. Dieci minuti erano stati più che sufficienti persconfiggerli e d'Artagnan era rimasto padrone del campodi battaglia. I vicini, che avevano aperto le finestre, colsangue freddo peculiare ai Parigini che vivevano in quei

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tempi di sommosse e di risse perpetue, le richiusero nonappena ebbero visto fuggire i quattro uomini neri: il loroistinto li avvertiva che per il momento tutto era finito. D'altraparte era ormai tardi e nel quartiere del Lussemburgo ci sicoricava assai di buon'ora. D'Artagnan, rimasto solo con lasignora Bonacieux, si volse verso di lei; la poveretta eracaduta riversa su una poltrona ed era semisvenuta.D'Artagnan l'osservò con una rapida occhiata. Era unagraziosa donnina fra i venticinque e i ventisei anni, bruna,con occhi azzurri, un naso leggermente voltato in sù, dentimagnifici, un colorito misto di gigli e di rose. Qui, tuttavia, siarrestavano i segni che avrebbero potuto farla confonderecon una signora. Le mani erano bianche, ma prive difinezza, i piedi non erano sicuramente quelli di una grandama. Per fortuna, d'Artagnan non era ancora giunto apreoccuparsi di particolari di questo genere. Mentre stavaesaminando la signora Bonacieux, ed era giunto ai piedi,come s'è detto, egli vide a terra un fine fazzoletto di batista;lo raccolse, secondo la sua abitudine, e in un angolo diesso scorse lo stemma e le stesse cifre del fazzoletto cheper poco non era stato la causa di un duello fra lui eAramis. Da allora d'Artagnan diffidava dei fazzolettistemmati, rimise quindi quello che aveva raccolto nelletasche della signora Bonacieux e non fiatò. In quel mentrela signora Bonacieux riprendeva i sensi. Aprì gli occhi, siguardò intorno con terrore e vide la camera vuota e il suosalvatore solo con lei. Sorrise e gli tese le mani. Il suosorriso era affascinante. "Ah, signore!" disse "voi mi avetesalvato! Permettetemi di ringraziarvi." "Signora" disse

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d'Artagnan "ho fatto soltanto ciò che al mio posto avrebbefatto qualsiasi gentiluomo; non mi dovete dunque nessunringraziamento." "Non è così che la penso, e sperodimostrarvi che non avete aiutato un'ingrata. Ma che cosavolevano da me quegli uomini, che lì per lì ho preso per deiladri? E perché il signor Bonacieux non è qui?" "Signora,quegli uomini erano ben più pericolosi che dei sempliciladri, giacché si tratta di agenti del Cardinale. Quanto alsignor Bonacieux, vostro marito, non è qui perché ieri èstato arrestato e portato alla Bastiglia." "Mio marito allaBastiglia!" esclamò la signora Bonacieux. "Oh! mio Dio!che cosa ha dunque fatto? povero e caro uomo! Lui,l'innocenza in persona!" E qualche cosa di simile a unsorriso spuntò sul viso ancora spaventato della giovanedonna. "Che ha fatto, signora?" ripeté d'Artagnan. "Credoche l'unico suo delitto sia quello di avere la fortuna e lasciagura d'esservi marito." "Signore, voi dunque sapete…""So che siete stata rapita, signora." "E sapete da chi? losapete? Oh! se lo sapete, ditemelo." "Da un uomo fra iquaranta e quarantacinque anni, dai capelli neri, dallacarnagione bruna e con una cicatrice sulla tempia sinistra.""E' lui! E' lui! Ditemi il suo nome!" "Il suo nome? E' proprioquello che non so!" "E mio marito sapeva che ero statarapita?" "Ne era stato avvertito da una lettera scrittaglidallo stesso rapitore." "E" chiese la signora con imbarazzo"supponeva la ragione di questo fatto?" "Lo attribuiva,credo, a motivi politici." "Anch'io temevo questo, ed ora lapenso come lui. Cosicché quel caro Bonacieux, non hadubitato di me, neppure per un attimo…" "Oh, al contrario!

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era troppo orgoglioso della vostra onestà e del vostroamore!" Un secondo quasi impercettibile sorriso sfiorò lerosse labbra della bella giovane. "Ma" continuò d'Artagnan"come avete potuto fuggire?" "Ho approfittato di unmomento in cui mi lasciarono sola, e poiché da stamanesapevo che cosa pensare del mio rapimento, aiutandomicon le mie lenzuola, sono fuggita dalla finestra. Allora,credendo che mio marito fosse in casa, sono corsa qui.""Per mettervi sotto la sua protezione?" "Oh! no! poverocaro uomo! So che è incapace di difendermi; ma siccomepoteva ugualmente essermi utile per un'altra cosa, volevoprevenirlo…" "Prevenirlo di che?" "Questo non è unsegreto mio e non posso quindi parlarvene." "D'altronde"disse d'Artagnan "(scusatemi, signora, se pur essendo unaguardia, vi richiamo alla prudenza), d'altronde, credo chequesto non sia luogo adatto per farsi delle confidenze. Gliuomini che ho fatto fuggire torneranno con un rinforzo e seci trovano ancora qui, siamo perduti. Ho già fatto avvertiretre amici miei, ma chissà se li avranno trovati in casa!""Oh, sì, avete ragione" esclamò la signora Bonacieux,"fuggiamo, mettiamoci in salvo!" E così dicendo, passò ilsuo braccio sotto quello di d'Artagnan e lo trascinò versol'uscita. "Ma dove fuggire? dove porci in salvo?" chiese ilGuascone. "Cominciamo con l'allontanarci da questa casa,poi si vedrà." E i due giovani, senza neppure chiudere laporta di casa, percorsero rapidamente via dei Fossoyeurs,via Fossés-Monsieur-le Prince e non si fermarono che apiazza San Sulpizio. "E ora, che facciamo?" chiesed'Artagnan "dove volete che vi conduca?" "Vi confesso che

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sono imbarazzata a rispondervi" disse la signoraBonacieux. "Volevo far avvertire, per mezzo di mio marito,il signor de La Porte e sapere da lui con precisione checosa era successo al Louvre in questi ultimi tre giorni e sepotevo recarmi là senza pericolo." "Ma io" dissed'Artagnan "io posso andare a prevenire il signor de LaPorte." "Certo; ma vi è un ostacolo a ciò. Ed è che il signorBonacieux è conosciuto al Louvre e potrebbe entrarvi,mentre voi non siete conosciuto e sarete fermato allaporta." "Già" disse d'Artagnan "ma ci sarà anche a qualcheporticina del Louvre un portiere che vi sia devoto e chegrazie e una parola d'ordine…" La signora Bonacieuxguardò fissamente il giovanotto: "E se vi dico la parolad'ordine" disse "saprete dimenticarla non appena ve nesarete servito?" "Sulla mia parola d'onore e in fede digentiluomo!" esclamò d'Artagnan con un accento sullasincerità del quale era difficile ingannarsi. "Ebbene, vicredo; avete l'aria di un bravo ragazzo, e forse la vostrafortuna può essere il premio della vostra devozione." "Tuttoquanto potrò fare per difendere il Re e far cosa gradita allaRegina, lo farò senza miraggi di fortuna" disse d'Artagnan"disponete dunque di me come di un amico devoto." "Manel frattempo, dove mi metterete?" "Non avete nessunopresso cui rifugiarvi finché il signor de La Porte non vengaa prendervi?" "No, non voglio fidarmi di nessuno.""Aspettate" disse d'Artagnan. "Siamo alla porta di Athos.Proprio così." "Chi è questo Athos?" "Uno dei miei amici.""Ma se è in casa e mi vede?" "Non è in casa; d'altronde vichiuderò nell'appartamento e prenderò la chiave con me."

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"E se ritorna?" "Non tornerà. Ma in ogni caso gli dirannoche ho portato con me una donna e che questa donna è incasa sua." "Tutto questo mi comprometterà terribilmente,ve ne rendete conto?" "Che ve ne importa? Non sieteconosciuta e poi, noi siamo in una di quelle situazioni nellequali bisogna passar sopra alle convenienze." "Ebbeneandiamo dal vostro amico. Dove abita?" "Via Féroux, adue passi da qui." "Andiamo." E insieme ripresero lacorsa. Come d'Artagnan aveva previsto, Athos non c'era:egli prese la chiave che il portiere era solito consegnarglicome a un amico di casa, salì le scale e fece entrare la signora Bonacieux nel piccolo appartamento che noi giàconosciamo. "Siete in casa vostra" disse; "chiudete laporta dal di dentro e non aprite a nessuno, a meno che nonudiate picchiare tre colpi in questo modo" ed egli bussò trevolte: due colpi vicinissimi e forti e un colpo più spaziatodagli altri e più leggero." "Va bene" disse la signoraBonacieux "ed ora vi darò le mie istruzioni." "Ascolto.""Presentatevi alla porticina del Louvre in via della Scala echiedete di Germano." "Bene; e poi?" "Egli vi domanderàche volete, e voi gli risponderete con queste parole: Tourse Bruxelles. Subito si porrà ai vostri ordini." "E che cosa gliordinerò?" "Di andare a chiamare il signor de La Porte, ilcameriere della Regina." "E quando sarà andato achiamare il signor de La Porte e questo sarà venuto?" "Lomanderete qui." "Va bene; ma dove e come vi rivedrò?""Ci tenete molto a rivedermi?" "Certo." "Ebbene, lasciate ame la cura di ciò e state tranquillo!" "Conto sulla vostraparola." "Contateci." D'Artagnan salutò la signora

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Bonacieux gettandole lo sguardo più innamorato che gli fupossibile di concentrare sulla sua deliziosa personcina, ementre scendeva le scale udì chiudere la porta a doppiamandata dietro di sé. In due salti fu al Louvre; sonavano ledieci ch'egli entrava dalla porticina di via della Scala. Tuttigli avvenimenti che abbiamo narrato si erano svolti inmezz'ora. Tutto andò come aveva previsto la signoraBonacieux. Alla parola d'ordine, Germano s'inchinò; dieciminuti dopo, La Porte era nello stanzino del portinaio; indue parole il giovanotto lo mise al corrente degliavvenimenti e gli disse dov'era rifugiata la signoraBonacieux. La Porte si assicurò per due voltedell'esattezza dell'indirizzo e partì di corsa. Ma non avevafatto dieci passi che ritornò e disse a d'Artagnan:"Giovanotto, volete un consiglio?" "Quale?" "Voi potresteavere qualche noia per ciò che è successo." "Credete?""Certo. Avete qualche amico che abbia un orologio cheritarda?" "Perché?" "Andate da lui immediatamente,affinché possa testimoniare che alle nove e mezzo eravateda lui. I giudici chiamano ciò un alibi." D'Artagnan trovò ilconsiglio prudente e, volando più che correndo, andò dalsignor di Tréville; ma invece di fermarsi in anticameracome tutti, chiese il permesso di entrare direttamente nelsuo studio; d'Artagnan era ormai di casa, e lo lasciaronoentrare senza far difficoltà. Il cameriere andò poi adavvertire il signor di Tréville che il suo giovane compatriota,avendo qualche cosa di urgente da dirgli, sollecitavaun'udienza particolare. Cinque minuti dopo, il signor diTréville domandava a d'Artagnan che cosa potesse fare

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per lui e perché si presentava a ora così tarda. "Scusatesignore" disse d'Artagnan che aveva approfittato delmomento in cui era rimasto solo per far retrocederel'orologio di tre quarti d'ora "ma credevo, visto che sonosolamente le nove e venticinque, d'essere ancora in tempoper presentarmi a casa vostra." "Le nove e venticinque!"esclamò il signor di Tréville guardando la pendola "ma èimpossibile!" "Eppure il vostro stesso orologio ne fa fede!"rispose d'Artagnan. "E' vero" disse il signor di Tréville "maavrei giurato che fosse assai più tardi! Ebbene, ditemi chedesiderate." Allora d'Artagnan raccontò al signor di Trévilleuna lunga storia a proposito della Regina. Gli espresse itimori che aveva concepito per Sua Maestà, gli raccontòciò che aveva udito raccontare dei disegni del Cardinaleriguardo a Buckingham, e tutto ciò con una tranquillità euna faccia tosta che convinsero tanto più il signor diTréville, in quanto egli stesso, come si è detto, avevanotato qualche cosa di nuovo tra il Cardinale, il Re e laRegina. Sonavano le dieci quando d'Artagnan lasciò ilsignor di Tréville, che lo ringraziò delle sue informazioni, gliraccomandò di essere sempre pronto per il servizio del Ree della Regina e rientrò nel suo salotto. Ma giunto in fondoalle scale, d'Artagnan ricordò di aver dimenticato ilbastone: risalì precipitosamente, rientrò nello studio, e conun colpetto del dito, rimise a punto l'orologio perché ilgiorno dopo nessuno potesse notare che era stato toccato;poi, ormai sicuro del proprio alibi, scese le scale e si trovòsubito in strada.

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Capitolo 11 L'IMBROGLIO SI ANNODA

Compiuta la visita al signor di Tréville, d'Artagnan, tuttopreso dai suoi pensieri, scelse la via più lunga per tornarea casa. A che cosa pensava d'Artagnan che si scostavacosì dalla sua strada e guardava le stelle ora sospirandoora sorridendo? Pensava alla signora Bonacieux. Per unaspirante moschettiere la giovane era quasi un idealeamoroso. Graziosa, misteriosa, iniziata a quasi tutti isegreti di Corte, che infondevano una sì deliziosa gravità aisuoi lineamenti delicati, essa autorizzava la supposizioneche non fosse insensibile, il che costituisce un'attrazioneirresistibile per gli amanti novizi; inoltre, d'Artagnan l'avevastrappata alle mani di quei demoni che volevanoperquisirla e maltrattarla; e questo importante servizioaveva stabilito tra loro uno di quei sentimenti diriconoscenza che assumono tanto facilmente un caratterepiù tenero. D'Artagnan (tanto rapidamente volano i sognisulle ali dell'immaginazione) si vedeva già avvicinare da unmessaggero della giovane donna che gli consegnava unbiglietto amoroso, una catena d'oro, un diamante.Abbiamo già detto che gli eleganti cavalieri di quel temporicevevano doni, senza arrossire, dal Re; aggiungiamo chenon erano più vergognosi nei riguardi delle loro amanti, eche queste lasciavano quasi sempre preziosi e duraturiricordi, quasi che sperassero di consolidare la fragilità deiloro sentimenti con la solidità dei loro doni. A quell'epoca si

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faceva carriera grazie alle donne, senza arrossirne. Quelleche erano soltanto belle davano la loro bellezza, e da ciò,senza dubbio, viene il proverbio secondo il quale la piùbella donna del mondo non può dare che quello che ha.Quelle ricche davano, in più, una parte del loro denaro, e sipotrebbe citare un discreto numero di eroi di quest'epocagalante che non avrebbero né guadagnato dapprima i lorosperoni, né vinte poi le loro battaglie, senza la borsa più omeno ben fornita che un'amante aveva appesa all'arcionedella loro sella. D'Artagnan non possedeva nulla;l'esitazione del provinciale, simile a una vernice leggera, aun fiore effimero, alla peluria di una pesca, era evaporataal vento dei consigli che i tre moschettieri davano al loroamico. Seguendo gli strani usi del tempo, d'Artagnan siconsiderava a Parigi come in guerra, né più né meno chese si fosse trovato in Fiandra; laggiù lo Spagnuolo, qui ladonna. Dappertutto, un nemico da combattere, contributida esigere. Ma, convien dirlo, per il momento d'Artagnanera mosso da un sentimento più nobile e piùdisinteressato. Il merciaio gli aveva detto di essere ricco; eil giovanotto aveva potuto intuire che, con uno scioccocome il signor Bonacieux, i cordoni della borsa dovevatenerli la moglie. Ma tutto ciò non aveva influito per nulla sulsentimento prodotto in lui dal bel viso della signoraBonacieux e l'interesse era rimasto quasi completamenteestraneo a quel principio d'amore che ne era stato ilrisultato. Diciamo 'quasi', giacché l'idea che una giovanedonna, bella, graziosa, intelligente, sia anche ricca, nontoglie nulla a questo principio d'amore, e, al contrario, lo

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corrobora. La ricchezza consente alla bellezza una quantitàdi cure e di capricci aristocratici che le si addicono assaibene. Una calza bianca e fine, un abito di seta, un soggolodi merletto, una graziosa scarpetta al piede, non rendonocerto bella una donna brutta, ma fanno bella una donnagraziosa, senza parlare delle mani, che traggono vantaggioda tutto ciò; le mani, soprattutto quelle delle donne, hannobisogno di rimanere oziose per restar belle. Inoltred'Artagnan, come il lettore, al quale non abbiamo nascostolo stato della sua fortuna, sa bene, non era milionario;sperava, certo, di diventarlo prima o poi, ma il tempo cheegli stesso si era fissato per questo felice mutamento eramolto lontano. E nell'attesa, che disperazione vedere unadonna che si ama desiderare quei mille nonnulla di cui ledonne fanno la loro felicità, e non poterglieli offrire. Per lomeno, quando la donna è ricca e l'amante è povero, quelloche egli non può offrirle, se lo offre da sé; e benché ciòavvenga abitualmente grazie al denaro del marito, è raroche la riconoscenza ricada su quest'ultimo. Poi ancora,d'Artagnan, disposto a essere il più tenero degli amanti,era per il momento il più devoto degli amici. Intanto, inmezzo ai suoi progetti amorosi riguardanti la moglie delmerciaio, egli non dimenticava il proprio vantaggio. Lagraziosa signora Bonacieux era donna da portare apasseggio nella pianura Saint-Denis o alla fiera di SanGermano in compagnia di Athos, di Porthos e di Aramis, aiquali d'Artagnan sarebbe stato orgoglioso di mostrare unasimile conquista. E infine, quando si è molto passeggiato,la fame si fa sentire; da qualche tempo d'Artagnan si era

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reso conto di ciò. Si sarebbero fatti molti di quei pranzettideliziosi nei quali si tocca da una parte la mano d'un amicoe dall'altra il piedino di un'amante. Il che significa, che neimomenti gravi, nelle situazioni estreme, d'Artagnansarebbe stato il salvatore dei suoi amici. E il signorBonacieux che d'Artagnan aveva consegnato nelle manidegli sbirri rinnegandolo a gran voce, dopo averglisussurrato all'orecchio che lo avrebbe salvato? Siamocostretti a confessare ai nostri lettori che in quel momentod'Artagnan non ci pensava affatto, o che, se ci pensava eraper dirsi che egli stava bene dov'era, qualunque fosse illuogo in cui si trovava. L'amore è la più egoistica di tutte lepassioni. Tuttavia, i lettori si rassicurino: se d'Artagnandimentica il suo padrone di casa o fa finta di dimenticarlo,col pretesto che non sa dove sia stato condotto, noi non lodimentichiamo. Ma, per ora, facciamo come l'innamoratoguascone. Quanto al degno merciaio, torneremo a lui piùtardi. D'Artagnan, pur riflettendo ai suoi amori futuri,parlando alla notte e sorridendo alle stelle, risaliva la viaCherche-Midi o Chesse-Midi, come si diceva allora.Siccome era quello il rione dove abitava Aramis, gli venneidea di andare a fare una visita al suo amico per spiegarglile ragioni per cui aveva mandato da lui Planchet con l'invitodi recarsi immediatamente alla trappola. Ora, se Aramis siera trovato in casa quando Planchet era venuto a cercarlo,doveva certamente essere corso in via dei Fossoyeurs, e,non trovandovi che gli altri suoi due amici, sia lui che questiultimi non avevano dovuto capire le ragioni di quellachiamata. Questo disturbo meritava; dunque una

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spiegazione; ecco ciò che d'Artagnan si dicevaesplicitamente. Poi, sottovoce, pensava che questa eraper lui un'occasione di parlare della graziosa piccolasignora Bonacieux, della quale il suo spirito, se non proprioil suo cuore, era già tutto pieno. Non è certo a chi ama perla prima volta che conviene chiedere d'essere discreto.Questo primo amore è accompagnato da una sì gran gioia,che essa deve traboccare, senza di che soffocherebbe chila prova. Da due ore, Parigi era ormai buia e deserta.Sonarono le undici a tutti gli orologi del sobborgo SanGermano; la temperatura era mite. D'Artagnan percorrevauna viuzza tracciata nell'area dove ai nostri giorni è la viad'Arras, e respirava a pieni polmoni le emanazioniimbalsamate che giungevano col vento dalla via diVaugirard e che inviavano i giardini rinfrescati dallarugiada e dalla brezza notturna. Si udivano in lontananzacanti di bevitori avvinazzati, rinchiusi in qualche osteriasperduta nel piano. Arrivato alla fine del viottolo, d'Artagnanvolse a sinistra. La casa di Aramis era fra via Cassette evia Servandoni. D'Artagnan aveva appena passato viaCassette e riconosciuto la porta di casa del suo amico,seminascosta da un bel gruppo di sicomori e di clematidi,allorché scorse qualche cosa di simile a un'ombra cheusciva dalla via Servandoni. Questo qualche cosa eraavviluppato in un mantello e d'Artagnan credette da primache si trattasse di un uomo, ma dalla bassa statura,dall'incertezza dell'andatura, dall'imbarazzo del passo,riconobbe ben presto ch'era una donna. Per di più questadonna, come non fosse stata ben certa di riconoscere la

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casa che cercava, guardava continuamente intorno a sé, sifermava, tornava indietro, si avanzava di nuovo. D'Artagnannon seppe che pensare. "Se le offrissi il mio aiuto" pensò."Mi sembra giovane e forse è bella. Già, ma una donnasola che corre per le strade a quest'ora, non può recarsiche dal suo amante. Diavolo! se disturbassi unappuntamento, sarebbe un pessimo inizio per entrare inrelazione con lei!" Frattanto la giovane si avanzavacontando le case e le finestre. La cosa non era né lunga nédifficile. Non c'erano che quattro palazzi in quella partedella strada e due sole finestre. Una era quella di una casaparallela alla casa abitata da Aramis, l'altra era quella dellostesso Aramis. "Perbacco" si disse d'Artagnan che pensòin quel momento alla nipote del teologo "perbacco,sarebbe buffo che questa colomba attardata cercasse lacasa dei mio amico! In fede mia, è proprio così. CaroAramis, questa volta voglio sapere di che si tratta!" Ed'Artagnan, facendosi più piccolo che poté, si nascose nellato più oscuro della strada, vicino a un banco di pietraposto in fondo ad una nicchia. La giovane donna continuòad avvicinarsi, giacché oltre alla leggerezza della suaandatura, che l'aveva tradita, essa aveva fatto udire unapiccola tosse che annunciava una fresca voce. D'Artagnanpensò che questa tosse fosse un segnale. Comunque, siache nessuno avesse risposto a questa tosse con unsegnale equivalente tale da risolvere i dubbi dellacercatrice notturna, sia che senza bisogno di aiuto essaavesse riconosciuto d'essere giunta al termine del suocammino, la giovane donna si avvicinò risolutamente

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all'imposta di Aramis e bussò a tre intervalli uguali con lamano affusolata. "La visita è proprio per Aramis!" mormoròd'Artagnan. "Signor ipocrita, saprò che rispondervi allorchémi parlerete dei vostri studi teologici!" Non appenapicchiati i tre colpi, le imposte interne della finestra siaprirono e una luce apparve attraverso i vetridell'impannata. "Ah! ah! La visita era attesa" si disse ilGuascone. "Suvvia, ora l'impannata si aprirà e la donnaentrerà scalando la finestra. Benissimo." Ma con suagrande meraviglia, i vetri rimasero chiusi. Inoltre, la luceche aveva brillato per un istante, si spense, e tutto ripiombònel buio. D'Artagnan pensò che le cose non potevanocontinuare così, e continuò a guardare e ad ascoltare congli occhi e le orecchie bene aperti. Aveva ragione. Dopoqualche secondo si udirono due colpi secchi nell'internodella casa. La giovane dalla strada rispose con un colpo ele imposte si riaprirono. Pensi il lettore se d'Artagnanguardasse ed ascoltasse avidamente. Disgraziatamente, illume era stato portato in un'altra stanza; ma gli occhi delgiovanotto s'erano ormai abituati al buio. D'altronde, gliocchi dei Guasconi, a quel che si dice, hanno come quellidei gatti, il potere di vedere nell'oscurità. D'Artagnan videdunque che la giovane donna levava di tasca un oggettobianco che, spiegato vivacemente, prese la forma di unfazzoletto. Spiegato che fu, ella ne fece notare un angolo alsuo interlocutore. Ciò ricordò a d'Artagnan quel fazzolettoche aveva trovato ai piedi della signora Bonacieux, il quale,a sua volta, gli aveva ricordato quello trovato ai piedi diAramis. Che cosa poteva significare quel fazzoletto? Dal

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posto in cui era nascosto, d'Artagnan non poteva vedere ilvolto di Aramis. Diciamo Aramis, perché il giovanotto nondubitava minimamente che fosse il suo amico a dialogaredall'interno con la dama che stava all'esterno. La curiositàebbe dunque il sopravvento sulla prudenza, per cui,approfittando della perplessità che sembrava essersiimpadronita dei due personaggi che abbiamo posto inscena alla vista del fazzoletto, d'Artagnan uscì dal suonascondiglio e, rapido come un lampo, ma soffocando ilrumore dei suoi passi, andò a schiacciarsi contro unangolo del muro dal quale il suo occhio poteva spingersifacilmente sin dentro l'appartamento di Aramis. Qui giunto,per poco non gettò un grido di stupore; non era Aramiscolui che parlava con la visitatrice notturna; era una donna.D'Artagnan ci vedeva abbastanza per riconoscere la formadei suoi abiti, ma non per distinguere i suoi lineamenti.Nello stesso istante, la donna dell'interno trasse unsecondo fazzoletto e lo scambiò con quello che le era statomostrato. Poi qualche parola fu scambiata tra le duedonne, e, infine, l'impannata si richiuse. La donna che sitrovava all'esterno della finestra si volse e venne a passarealla distanza di quattro passi da d'Artagnan, abbassandosul viso il cappuccio del suo mantello; ma la precauzioneera stata presa troppo tardi perché egli aveva riconosciutola signora Bonacieux. La signora Bonacieux! Il sospettoche fosse lei gli aveva già attraversato lo spirito quandoessa aveva levato di tasca il fazzoletto; ma non gli parevapossibile che la signora Bonacieux, la quale lo avevamandato a chiamare La Porte per farsi ricondurre al

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Louvre, corresse poi tutta sola le strade di Parigi alle undicie mezzo di sera, col rischio di farsi rapire una secondavolta. Occorreva che l'affare fosse ben grave. Ma cheaffare poteva avere tanta importanza per una donna diventicinque anni? L'amore! Era per conto suo o per contod'altri che si metteva a simili rischi? Ecco ciò che sichiedeva il giovanotto, mentre il dèmone della gelosia lopungeva già al cuore né più né meno che se fosse unamante in titolo. C'era d'altronde un mezzo ben sempliceper appurare la cosa e sapere dove andava la signoraBonacieux: seguirla. Il mezzo era così semplice ched'Artagnan lo adottò istintivamente. Ma alla vista delgiovanotto che si staccava dal muro come una statua dallasua nicchia e al rumore dei passi che risonarono alle suespalle, la signora Bonacieux gettò un grido e si mise afuggire. D'Artagnan la inseguì. Non era difficile per luiraggiungere una donna impacciata dal mantello. Laraggiunse dunque a un terzo della via in cui era entrata. Ladisgraziata era spossata non dalla fatica, ma dal terrore equando d'Artagnan le posò una mano sulla spalla, caddeginocchioni gridando con voce soffocata: "Uccidetemi secosì vi pare, ma non saprete nulla." D'Artagnan la rialzòcingendole con un braccio la vita, ma, accorgendosi dalsuo peso che essa stava per svenire, si affrettò arassicurarla con le espressioni più devote. Ma questeproteste erano nulla per la signora Bonacieux, perché leproteste di devozione possono essere fatte con le peggioriintenzioni del mondo. Tuttavia il suono della voce la colpì, lepareva di riconoscerlo; riaprì gli occhi, guardò l'uomo che

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l'aveva tanto spaventata e riconoscendo d'Artagnan ebbeun grido di gioia. "Ah! siete voi! siete voi! Grazie, graziemio Dio!" "Sono proprio io! E Dio mi ha mandato, perchévegli su di voi." "Ed è per questo che mi seguivate?"chiese con un sorriso pieno di civetteria la giovane donnanella quale il carattere un po' canzonatorio riprendeva ilsopravvento, dato che ogni timore era scomparso in lei dalmomento in cui aveva riconosciuto un amico in colui cheaveva preso per un nemico. "No" disse d'Artagnan "no, loconfesso; è stato il caso a mettermi sul vostro cammino; hovisto una donna che picchiava alla finestra di uno dei mieiamici..." "D'uno dei vostri amici?" interruppe la signoraBonacieux. "Certamente; Aramis è uno dei miei più grandiamici!" "Aramis? E chi è?" "Andiamo; non vorrete farmicredere che non conoscete Aramis." "E' la prima volta chesento pronunciare questo nome." "Dunque è la prima voltache venite in questa casa?" "Certamente." "E nonsapevate che fosse abitata da un giovanotto?" "No." "Daun moschettiere?" "Meno che meno." "Non era dunque luiche cercavate?" "Neppur per sogno. D'altronde, lo aveteben visto; la persona con cui ho parlato era donna." "E'vero, ma questa donna è un'amica di Aramis..." "Io non loso." "Poiché è in casa sua!" "Questo non mi riguarda." "Machi è?" "Oh! questo non è un mio segreto." "Cara signoraBonacieux, voi siete deliziosa, ma nello stesso tempo sietela donna più misteriosa." "E questo mi nuoce?" "Alcontrario, siete adorabile!" "Datemi il braccio.""Volentierissimo. Ed ora?" "Ora conducetemi a casa.""Dove?" "Dove vado." "E dove andate?" "Lo vedrete

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poiché mi condurrete fino alla porta." "E dovrò attendervi?""Sarà inutile." "Ritornerete sola?" "Forse sì e forse no.""Ma la persona che vi ricondurrà sarà un uomo o unadonna?" "Non lo so ancora." "Lo saprò ben io!" "E come?""Vi aspetterò per vedervi uscire." "In questo caso, addio!""Addio?" "Non ho più bisogno di voi." "Ma mi avevatechiesto…" "Avevo chiesto l'aiuto di un gentiluomo, non lasorveglianza di una spia." "La parola è un po' dura.""Come si chiamano coloro che seguono una persona suomalgrado?" "Indiscreti." "La parola è troppo dolce." "Vedobene, signora, che è necessario fare tutto ciò che volete.""Perché non lo avete fatto senza discutere?" "Il pentimentonon ha dunque alcun merito?" "Siete veramente pentito?""Non lo so con sicurezza. Ma ciò che vi prometto è di faretutto quanto vorrete purché mi permettiate diaccompagnarvi fin dove andrete." "E mi lascerete subitodopo?" "Sì." "Senza spiarmi all'uscita?" "Certo." "Sullavostra parola d'onore?" "In fede di gentiluomo!" "Alloradatemi il braccio e camminiamo." D'Artagnan dette ilbraccio alla signora Bonacieux, che vi si appoggiò metàridente, metà tremante; così uniti i due giovani raggiunserovia La Harpe. Qui giunti la giovane parve esitare cosìcome aveva fatto in via Vaugirard. Purtuttavia parve chericonoscesse una porta alla quale si avvicinò: "Ora,signore" disse "sono in porto; mille grazie per la vostracavalleresca compagnia che mi ha salvato da tutti i pericoliai quali sarei stata esposta da sola. Ma è giunto ilmomento di mantenere la vostra parola: io sono arrivata adestinazione." "Ma non avrete nulla da temere durante il

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ritorno?" "Non avrò da temere che i ladri." "E' già molto.""Che volete che possano rubarmi se non ho con meneppure l'ombra di un quattrino?" "Dimenticate quel belfazzoletto ricamato, con lo stemma? "Quale?" "Quello cheho trovato ai vostri piedi ed ho rimesso nella vostra tasca.""Tacete, disgraziato!" esclamò la giovane. "Volete dunqueperdermi?" "Vedete che correte ancora qualche pericolopoiché basta una parola per farvi tremare; e poichéconfessate che se questa parola fosse intesa saresteperduta. Ah! signora" proruppe d'Artagnan afferrandole lamano e guardandola con ardente tenerezza "siategenerosa, confidatevi con me. Non avete dunque letto neimiei occhi che non c'è che devozione e simpatia nel miocuore?" "Certo" rispose la signora Bonacieux "e voi potetechiedermi i miei segreti e ve li dirò; ma non posso dirviquelli degli altri." "Va bene" disse d'Artagnan "li scoprirò.Poiché questi segreti possono mettere a repentaglio lavostra vita, bisogna che diventino anche i miei.""Guardatevene bene" esclamò la giovane con tale serietàche d'Artagnan ne fremette suo malgrado. "Oh! nonmischiatevi in nulla di quanto mi riguarda e non cercated'aiutarmi in quello che faccio. Ve lo chiedo in nome dellasimpatia che vi ispiro, in nome del favore che mi avetereso e che non dimenticherò fin che vivo. Credete a ciò chevi dico. Non occupatevi di me, da questo momento nonesisto più per voi, fate come se non mi aveste maiconosciuto." "Aramis deve fare come me, signora?" dissed'Artagnan urtato. "Ecco la seconda o la terza volta chepronunciate questo nome, signore, eppure vi ho detto che

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non lo conosco." "Non conoscete l'uomo alla finestra delquale avete picchiato! Evvia, signora, mi credete invero diuna credulità superlativa!" "Confessatemi che inventatequesta storia per farmi parlare e che Aramis è unpersonaggio creato dalla vostra immaginazione." "Noncreo e non ho creato nulla, signora. Dico la pura esemplice verità." "E voi dite che un vostro amico abitaquesta casa?" "L'ho detto e lo ripeto per la terza volta:quella casa è abitata da un mio amico, e questo amico sichiama Aramis." "Questo l'appureremo dopo" mormorò lagiovane donna "ora, signore, tacete!" "Se poteste vedere ilmio cuore a nudo" disse d'Artagnan "vi leggereste una talecuriosità che avreste pietà di me, e tanto amore chesoddisfereste immediatamente la mia curiosità. Non c'ènulla da temere da chi ama." "Fate presto a parlared'amore, voi!" disse la giovane scotendo il capo. "E' chel'amore mi ha soggiogato di colpo e non ho ancoravent'anni." La giovane lo guardò furtivamente."Ascoltatemi" disse d'Artagnan "ho già una traccia. Circatre mesi fa, fui per battermi a duello con Aramis per unfazzoletto eguale a quello che voi avete mostrato a quelladonna che si trovava in casa sua; un fazzoletto marcato conle stesse cifre e lo stesso stemma, ne sono ben sicuro.""Signore" disse la giovane donna "voi mi stancate molto,ve lo giuro, con tutte queste domande." "Ma voi cosìprudente, signora, pensate: se foste arrestata con quelfazzoletto, e il fazzoletto fosse sequestrato, non sarestecompromessa?" "Nulla potrebbe succedere poiché leiniziali sono le mie: C. B Costanza Bonacieux." "O Camilla

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di Bois-Tracy." "Zitto, per carità, ancora una volta, zitto! Ah,se i pericoli che mi minacciano non vi arrestano, pensate aquelli che possono minacciare voi." "Minacciare me?" "Sì,voi! Vi è pericolo di essere rinchiusi in carcere, vi èpericolo di morte a conoscermi." "Allora non vi lascio più.""Signore" disse la giovane supplicandolo a mani giunte"signore, in nome del cielo, in nome dell'onore di unmilitare, in nome della cortesia di un gentiluomo,andatevene. Ecco, suona mezzanotte, è l'ora in cui sonoattesa." "Signora" disse il giovanotto inchinandosi "nulla soricusare quando mi si prega in tal modo. State contenta;me ne vado." "E non mi spierete, non mi seguirete?""Torno a casa, immediatamente." "Ah, lo sapevo cheeravate un bravo ragazzo!" esclamò la signora Bonacieuxtendendogli una mano mentre con l'altra alzava il battentedi una porticina quasi incastrata nel muro. D'Artagnanafferrò quella mano che gli era tesa e la coprì di baci. "Ah!Io preferirei non avervi conosciuto!" esclamò con quellaingenua brutalità che le donne molte volte preferiscono allesvenevolezze della cortesia, perché essa rivela il fondo delpensiero e prova che il sentimento ha il sopravvento sullaragione. "Ebbene" riprese la signora Bonacieux con vocecarezzevole, stringendo forte la mano di d'Artagnan, chenon aveva abbandonata la sua "io non la penso come voi.Ciò che per questa volta è perduto, non è perso persempre! Chi sa che un giorno, quando sarò slegata dallemie promesse, io non possa soddisfare la vostracuriosità." "E fate la stessa promessa al mio amore?"esclamò d'Artagnan al colmo della gioia. "Per questo non

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voglio impegnarmi; tutto dipenderà da voi." "Cosicché peril momento, signora…" "Per il momento non ho per voi,signore, che un'immensa riconoscenza." "Ah! voi sietetroppo seducente" disse d'Artagnan con tristezza aabusate del mio amore!" "No, approfitto della vostragenerosità, ecco tutto. Ma siate sicuro… con certepersone, nulla si perde." "Ah! voi fate di me il più felice fragli uomini. Non dimenticate questa sera e questapromessa." "State tranquillo. A tempo e luogo mi ricorderòdi tutto. E ora partite, partite, per carità! Mi aspettano amezzanotte in punto e sono già in ritardo." "Di cinqueminuti soli." "Sì, ma in certi casi, cinque minuti sono cinquesecoli." "Quando si ama." "Ebbene, chi vi dice che non miaspetti un amante?" "E' dunque un uomo che vi attende?"gridò d'Artagnan. "Un uomo!" "Ecco che ricominciate adiscutere" disse la signora Bonacieux sorridendo di unlieve sorriso non scevro di una certa impazienza. "No, no,me ne vado! Vi credo e voglio abbiate tutto il merito dellamia abnegazione, anche se questa abnegazione dovesseessere una stupidaggine. Addio, signora, addio!" E comese non si fosse sentito la forza di staccarsi dalla mano cheteneva la sua se non con una certa violenza, si allontanòcorrendo, mentre la signora Bonacieux picchiava, comeaveva fatto alla finestra di Aramis, tre colpi lenti e regolari:poi, arrivato all'angolo della strada, si volse: la porta si eraaperta e richiusa, la vezzosa merciaia era scomparsa.D'Artagnan continuò il suo cammino; aveva dato la suaparola d'onore di non spiare la signora Bonacieux, equand'anche la sua vita fosse dipesa dal luogo in cui si

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recava o dalla persona che doveva accompagnarla, eglisarebbe rincasato perché così aveva promesso. Cinqueminuti dopo era in via Fossoyeurs. "Povero Athos" si disse"non saprà spiegarsi l'enigma. Si sarà addormentatoaspettandomi o sarà tornato a casa sua dove gli avrannodetto che una donna era stata da lui. Una donna da Athos!Tutto sommato ce n'era pur una da Aramis. Questafaccenda è ben strana e sarei curioso di sapere comefinirà." "Male, signore, male" disse una voce che riconobbeper quella di Planchet. Perché monologando ad alta vocecome fanno le persone molto preoccupate, egli era entratonel vialetto in fondo al quale era la scala che conducevaalla sua camera. "Perché male? Che vuoi dire, imbecille?"domandò d'Artagnan. "Che cosa è dunque successo?""Ogni specie di disgrazie." "Quali?" "Prima di tutto il signorAthos è stato arrestato." "Athos arrestato! e perché?" "Erain casa vostra e hanno creduto che foste voi." "E chi l'haarrestato?" "Le guardie, signore, che gli sbirri che voimetteste in fuga hanno condotto qui." "Ma perché non hadetto il suo nome? Perché non ha detto che non sapevanulla di questa faccenda?" "Se ne è ben guardato, signore;anzi mi si è avvicinato e mi ha detto: 'E' il tuo padrone cheha bisogno di restar libero in questo momento e non io,visto ch'egli sa tutto e io non so niente. Si crederà di averloarrestato e questo gli farà guadagnar tempo. Fra tre giornidirò chi sono e dovranno ben rimettermi in libertà'." "BravoAthos! nobile cuore!" mormorò d'Artagnan "questo è ungesto degno di lui! E che cosa hanno fatto gli sbirri? ""Quattro lo hanno condotto con loro, non so se alla

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Bastiglia o al Fort-l'Eveque; due sono restati con gli uominineri che hanno frugato in ogni luogo e hanno portato viatutte le carte; e altri due nel frattempo stavano di guardiaalla porta; poi, a cose fatte, se ne sono andati lasciando lacasa vuota e tutto aperto." "E Porthos e Aramis?" "Non liho trovati e non sono venuti." "Ma possono venire da unmomento all'altro poiché hai lasciato detto loro che liaspetto?" "Sì, signore." "Ebbene, non muoverti di qui; e sevengono avvertili di quanto mi è successo e pregali diraggiungermi all'osteria della Pigna; qui sarebbepericoloso, la casa può essere sorvegliata. Corro dalsignor di Tréville per narrargli l'accaduto, poi liraggiungerò." "Va bene, signore" disse Planchet. "Turimarrai, non avrai paura?" disse d'Artagnan tornando suisuoi passi per raccomandare al suo domestico di avercoraggio. "State tranquillo, signore" disse Planchet "voinon mi conoscete ancora; quando mi ci metto, sonocoraggioso, state tranquillo. Tutto sta che mi ci metta! enon dimenticate che sono Piccardo!" "Allora, è stabilito! Tifarai uccidere piuttosto che abbandonare il posto." "Sì, faròtutto quanto potrò per dimostrarvi la mia devozione." "Pareproprio" pensò d'Artagnan "che il metodo usato con lui siastato quello buono. Me ne servirò ancora all'occasione." Econ tutta la rapidità di cui le sue gambe, già un po' stancheper le corse della giornata, erano capaci, d'Artagnan sidiresse verso via del Vieux-Colombier. Il signor di Trévillenon era a palazzo, la sua compagnia era di guardia alLouvre ed egli era al Louvre con la sua compagnia.Bisognava arrivare sino al signor di Tréville, era urgente

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che egli sapesse quanto succedeva. D'Artagnan decise ditentare d'entrare al Louvre. La sua uniforme di guardianella compagnia del signor Des Essarts doveva servirglida passaporto. Discese dunque la via dei Petits-Augustinse risalì la riva per passare il Ponte Nuovo. Per un attimoaveva pensato di servirsi del traghetto, ma arrivato al livellodell'acqua, aveva posto macchinalmente una mano intasca, s'era accorto di non possedere neppure quel pocoche era necessario per pagare il traghettatore. Mentrearrivava all'altezza di via Guénégaud, vide sbucare dallavia Dauphine un gruppo composto di due persone il cuimodo di fare attirò la sua attenzione. Le due persone checomponevano il gruppo erano un uomo e una donna. Ladonna aveva la figura della signora Bonacieux e l'uomorassomigliava in modo impressionante ad Aramis. Inoltrela donna aveva quello stesso mantello nero che d'Artagnanvedeva ancora profilarsi sull'imposta della via Vaugirard esulla porta di via La Harpe. Di più, l'uomo indossaval'uniforme dei moschettieri. Il cappuccio della donna eraabbassato sul viso, l'uomo teneva un fazzoletto sul volto;dunque entrambi, e lo indicava questa doppia precauzione,avevano grande interesse a non essere riconosciuti.Presero il ponte: era la via di d'Artagnan che dovevarecarsi al Louvre, ed egli li seguì. Dopo venti passid'Artagnan fu ben convinto che la donna era la signoraBonacieux e l'uomo Aramis. Egli si sentì doppiamentetradito, e dall'amico e dalla donna che amava già come unamante. La signora Bonacieux gli aveva giurato espergiurato di non conoscere Aramis e, appena un quarto

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d'ora dopo avergli fatto questo giuramento, essacamminava al braccio di Aramis. D'Artagnan non stetteneppure a riflettere che conosceva la bella merciaia da treore sole, che essa non gli doveva che un po' diriconoscenza per averla liberata dagli uomini neri chevolevano rapirla, e che nulla gli aveva promesso. Egli siconsiderava un amante tradito, oltraggiato, schernito; ilsangue e la collera gli salirono alla testa e decise di porretutto in chiaro. I due giovani avevano avvertito di esserepedinati e avevano accelerato il passo. D'Artagnan presela corsa e li sorpassò, poi tornò verso di loro nel momentoin cui essi erano davanti alla Samaritaine, illuminata da unfanale che diffondeva il suo chiarore su tutta quella partedel ponte. D'Artagnan si fermò davanti a loro ed essi sifermarono davanti a lui. "Che volete, signore?" chiese ilmoschettiere indietreggiando di un passo e con un accentostraniero dal quale d'Artagnan capì di essersi sbagliato inuna parte delle sue congetture." "Non è Aramis?" esclamò."No, signore, io non sono Aramis! E siccome dalla vostraesclamazione capisco che mi avete scambiato con unaltro, vi perdono." "Mi perdonate!" esclamò d'Artagnan."Sì" rispose lo sconosciuto. "E poiché non sono quello checercate, lasciatemi passare." "Avete ragione; non è a voiche debbo parlare, ma alla signora." "Alla signora! ma voinon la conoscete!" disse lo straniero. "Vi sbagliate,signore, la conosco benissimo." "Ah!" disse la signoraBonacieux con tono di rimprovero "ah! signore! Mi avevatedato la vostra parola di militare e la vostra fede digentiluomo e credevo di poterci contare!" "Ed io,

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signora…" fece d'Artagnan con imbarazzo "io credevo…""Datemi il braccio, signora" disse lo straniero "eproseguiamo per la nostra strada." Frattanto d'Artagnan,stordito, atterrito, annientato per tutto ciò che gli capitava,restava a piedi, a braccia incrociate, davanti almoschettiere e alla signora Bonacieux. Il moschettiere fecedue passi avanti e con la mano scostò d'Artagnan.D'Artagnan fece un salto indietro e sfoderò la spada. Nellostesso tempo e con la rapidità del lampo lo sconosciutosguainò la sua. "In nome di Dio, milord!" esclamò lasignora Bonacieux, gettandosi fra i combattenti eafferrando le loro spade con entrambe le mani. "Milord!"esclamò d'Artagnan illuminato da un pensiero improvviso."Milord! Scusate, signore; sareste forse…" "Milord, duca diBuckingham" disse la signora Bonacieux a mezza voce"ed ora potete perderci tutti." "Milord, signora, vi chiedocento volte perdono; milord, io l'amo, milord, e sonogeloso! Voi sapete che cosa significhi amare, milord;perdonatemi e ditemi come posso farmi uccidere perVostra Grazia." "Siete un coraggioso giovanotto" disseBuckingham tendendo a d'Artagnan una mano che questistrinse rispettosamente. "Voi mi offrite il vostro aiuto, loaccetto; seguiteci a venti passi di distanza fino al Louvre;se qualcuno ci spia, uccidetelo!" D'Artagnan si mise laspada sguainata sotto il braccio, lasciò che la signoraBonacieux e il duca prendessero un vantaggio di ventipassi e li seguì pronto a eseguire alla lettera le istruzionidel nobile ed elegante ministro di Carlo Primo. Ma perfortuna il giovane fanatico non ebbe bisogno di dare al

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duca la prova della sua abnegazione, e la giovane donna eil bel moschettiere rientrarono al Louvre dalla porticinadella Scala senza essere disturbati. Quanto a d'Artagnan,andò immediatamente all'osteria della Pigna, dove trovòPorthos e Aramis che lo aspettavano. Ma senza dar loroalcuna spiegazione sui motivi per cui li aveva scomodati,disse di aver ormai sistemato da solo la faccenda per laquale aveva per un istante creduto necessario il loro aiuto.E ora, trasportati come siamo dal nostro racconto,lasciamo che i tre amici rientrino alle rispettive case eseguiamo nei loro labirinti del Louvre il duca diBuckingham e la sua guida.

Capitolo 12 GIORGIO VILLIERS, DUCA DI BUCKINGHAM

La signora Bonacieux e il duca entrarono senza difficoltà alLouvre; la signora Bonacieux era conosciuta comeguardarobiera della Regina e il duca indossava l'uniformedei moschettieri del signor di Tréville che, come sappiamo,quella sera erano di guardia al palazzo. D'altrondeGermano era assolutamente devoto alla Regina e sequalcosa fosse trapelato si sarebbe detto che la signoraBonacieux aveva ricevuto al Louvre il suo amante, eccotutto; essa prendeva su di sé ogni colpa; avrebbe perso lasua riputazione, è vero; ma che valore ha nel mondo lariputazione di una semplice merciaia? Non appena furonoentrati nel cortile, il duca e la giovane costeggiarono il muro

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per circa venticinque passi; dopo di che la signoraBonacieux spinse una porticina di servizio aperta di giorno,ma generosamente chiusa durante la notte; la portacedette e i due si trovarono nella oscurità. Ma la signoraBonacieux conosceva tutti i giri e rigiri di quella parte delLouvre, destinata alle persone del seguito. Ella chiuse laporta dietro di sé, prese per mano il duca, fece qualchepasso a tentoni, afferrò una ringhiera, toccò col piede unoscalino e cominciò a salire una scala, seguita dalcompagno; il duca contò due piani. Allora essa prese adestra, seguì un lungo corridoio, ridiscese un piano, fecequalche passo ancora, introdusse una chiave in unaserratura, aprì una porta e spinse il duca in una salarischiarata solamente da una lampada da notte, dicendo:"Restate qui, milord, non aspetterete a lungo". Poi essauscì per la stessa porta che chiuse a chiave, di modo che ilduca si trovò letteralmente prigioniero. Purtuttavia, perquanto isolato, bisogna dirlo, non ebbe neppure un attimodi timore; uno dei caratteri salienti della sua personalità erala ricerca dell'avventura e l'amore del romanzesco.Coraggioso, ardito, intraprendente, non era quella la primavolta che rischiava la vita in tentativi del genere; egli avevasaputo che il preteso messaggio di Anna d'Austria, sullafede del quale era venuto a Parigi, era un tranello, mainvece di tornare in Inghilterra, abusando della situazionenella quale era stato posto, aveva fatto noto alla Reginache non sarebbe ripartito senza averla riveduta. La Regina,sulle prime, aveva recisamente rifiutato, poi era stata presadal timore che il duca, esasperato, potesse commettere

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qualche follia. Era ormai decisa a riceverlo e a supplicarlodi partire senza indugio, allorché, la sera stessa di quelladecisione, la signora Bonacieux, che era incaricata diandare a cercare il duca per condurlo al Louvre, fu rapita.Per due giorni non si seppe nulla di lei e tutto rimasesospeso. Ma non appena essa fu libera, non appena potérimettersi in relazione con La Porte, le cose ripresero il lorocorso ed ella compì il pericoloso incarico che, senza il suoarresto, avrebbe compiuto tre giorni prima. Buckingham,rimasto solo, si avvicinò ad uno specchio. L'uniforme delmoschettiere gli stava benissimo. A quell'epoca, egli avevatrentacinque anni e passava giustamente per il più belgentiluomo e il più elegante cavaliere di Francia ed'Inghilterra. Favorito di due re, ricco a milioni,onnipossente in un regno che poteva sconvolgere ecalmare a suo capriccio, Giorgio Villiers, duca diBuckingham aveva intrapreso una di quelle esistenzefavolose che suscitano nel corso dei secoli lo stupore dellaposterità. Cosicché, sicuro di sé, convinto della propriapotenza, certo che le leggi da cui sono retti gli altri uomininon potevano raggiungerlo, egli andava diritto allo scopoche si era proposto, fosse pure quello scopo così alto eabbagliante che per un altro sarebbe stato follia solamenteprenderlo in considerazione. In tal modo egli era riuscito adavvicinare più volte la bella e orgogliosa Anna d'Austria e afarsi amare da lei, stordendola a forza di splendori. Giorgiodi Villiers si piantò dunque davanti a uno specchio, comeabbiamo detto, ridiede alla sua bella chioma biondal'ondulazione che il peso del cappello le aveva fatto

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perdere, arricciò i baffi e col cuore traboccante di gioia,felice e orgoglioso di essere sul punto di toccare la metache aveva così lungamente desiderato, rivolse a se stessoun sorriso di fierezza e di speranza. In quel momento unaporta, nascosta dalla tappezzeria, si aprì e una donnaapparve. Buckingham vide nello specchio quell'apparizionee gettò un grido: era la Regina! Anna d'Austria aveva alloraventisei o ventisette anni, vale a dire ch'era al culmine dellasua bellezza. Il suo incedere era quello d'una regina o d'unadea, i suoi occhi, che avevano i riflessi dello smeraldo,erano bellissimi e pieni insieme di dolcezza e di maestà.La sua bocca era piccola e rossa e sebbene il labbroinferiore, come quello di tutti i prìncipi della casa d'Austria,fosse un poco più sporgente dell'altro, essa eraestremamente graziosa nel sorriso, ma ancheprofondamente sdegnosa nel disprezzo. La sua pelle eracelebrata per la sua dolcezza vellutata, le sue mani e le suebraccia erano di una bellezza sorprendente e tutti i poetidel tempo le cantavano come insuperabili. Infine i suoicapelli che, biondi nella prima gioventù, erano diventaticastani, e che essa portava arricciati leggermente e moltoincipriati, inquadravano mirabilmente un viso al quale ilcensore più severo non avrebbe potuto augurare ched'essere un po' meno truccato e lo scultore più esigente dipossedere un naso un po' più delicato. Buckingham restòper un attimo abbagliato: mai Anna d'Austria gli erasembrata più bella, durante i balli, le feste, i caroselli, dicome gli apparve in quell'attimo, vestita di un sempliceabito di seta bianca e accompagnata da donna Estefania,

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l'unica delle sue cameriere spagnole che non fosse statacacciata dalla gelosia del Re o dalla persecuzione diRichelieu. Anna d'Austria avanzò di due passi,Buckingham si precipitò ai suoi piedi e, prima che laRegina potesse impedirglielo, baciò il lembo della suaveste. "Duca, voi sapete già che non sono stata io a farviscrivere." "Oh! sì, signora, sì, maestà" esclamò il duca "soche sono stato un pazzo, un insensato credendo che laneve potesse scaldarsi, il marmo animarsi; ma, che volete,quando si ama si crede facilmente all'amore; e d'altraparte, poiché posso vedervi, il mio viaggio non è stato deltutto inutile." "Sta bene" rispose Anna "ma voi sapeteperché e come vi vedo, milord. Vi vedo per pietà verso voistesso; vi vedo perché, insensibile alle mie pene, vi sieteostinato a rimanere in una città nella quale correte il rischiod'essere ucciso e fate correre a me quello di perdere il mioonore; vi vedo per dirvi che tutto ci separa: la profondità deimari, l'inimicizia dei regni, la santità dei giuramenti. E'sacrilegio lottare contro tante cose, milord. Infine vi vedoper dirvi che è necessario che non ci vediamo mai più!""Parlate, signora; parlate, Regina" disse Buckingham; "ladolcezza della vostra voce copre la durezza delle vostreparole. Voi parlate di sacrilegio! ma il sacrilegio sta nellaseparazione dei cuori che Dio ha creato l'uno per l'altro.""Milord, voi dimenticate che non vi ho mai detto di amarvi.""Ma voi non mi avete neppure detto di non amarmi; e, inverità, dirmi ciò sarebbe da parte di Vostra Maestàun'ingratitudine troppo grande. Giacché, ditemi un po',dove troverete mai un amore simile al mio, un amore che

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né il tempo, né la lontananza, né la disperazione riescono aspegnere, un amore che si accontenta di un nastrosmarrito, di uno sguardo perduto, d'una parola sfuggita?"Sono tre anni, signora, da che vi vidi per la prima volta eda tre anni vi amo così. Volete che vi dica come eravatevestita la prima volta che vi vidi? volete che vi enumeri ogniguarnizione del vostro vestito? Vi vedo ancora: eravateseduta su un mucchio di cuscini, alla moda di Spagna;avevate un abito di seta verde ricamato d'oro e d'argento,a larghe maniche cadenti e annodate sulle vostrebellissime braccia con dei grossi diamanti; avevate unagorgiera chiusa; un piccolo cappello sul capo del coloredell'abito e su questo berretto, una penna d'airone. "Oh!ecco, io chiudo gli occhi e vi vedo come eravate allora; liriapro, e vi vedo come ora siete, vale a dire cento volte piùbella!" "Che follia!" mormorò Anna d'Austria che non avevail coraggio di irritarsi col duca per il fatto d'aver conservatocon tanta religione la sua immagine nel cuore "che folliaalimentare un'inutile passione con simili ricordi!" "E di chevolete che viva, se non di ricordi? Sono la mia gioia, il miotesoro, la mia speranza. Ogni volta che vi vedo, è come serinchiudessi un nuovo brillante nello scrigno del mio cuore.Questo è il quarto che lasciate cadere e che raccolgo;perché in tre anni, signora, non vi ho vista più di quattrovolte: la prima fu quella di cui vi ho parlato, la seconda fudalla signora di Chevreuse, la terza nel giardino diAmiens." "Duca" disse la Regina arrossendo "non parlatedi quella sera." "Oh! Parliamone invece, signora,parliamone; è la sola serata felice e radiosa della mia vita.

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Vi ricordate che bella notte? Come l'aria era dolce eprofumata, il cielo azzurro e trapunto di stelle? Quella sera,signora, avevo potuto rimanere un momento solo con voi;quella sera voi eravate disposta a dirmi tutto, l'isolamentodella vostra vita, la pena del vostro cuore. Eravateappoggiata al mio braccio, ecco, a questo. Se chinavo latesta dalla vostra parte, sentivo sfiorarmi il viso dai vostrimorbidi capelli, e ogni volta ch'essi mi sfioravano, tremavodalla testa ai piedi. Ah! mia Regina! voi non sapete quale equanta gioia paradisiaca possa essere contenuta in unsimile istante! Darei tutto quanto possiedo, la miaposizione, la mia gloria per rivivere un istante come quello,una notte come quella! Perché quella notte, signora, voi miamavate, ve lo giuro." Milord, forse è possibile chel'influenza del luogo, la suggestione di quella seraincantevole, il fascino dei vostri occhi, infine le millecircostanze che si uniscono a volte per perdere una donna,si siano adunate intorno a me in quella sera fatale; macome avete potuto costatare, milord, la Regina venne insoccorso della donna che stava per soccombere: allaprima parola che osaste pronunciare, al primo atto ardito alquale mi trovai impegnata a rispondere, chiamai." "Oh! sì,sì, questo è vero, e un altro amore che non fosse il mio nonavrebbe superato la prova; ma il mio, al contrario, ne èuscito più vivo ed eterno. Avete creduto fuggirmi tornandoa Parigi, avete creduto che io non avrei osatoabbandonare il tesoro sul quale il mio signore mi avevaordinato di vegliare! Ma che mi importano tutti i tesori delmondo e tutti i re della terra? Otto giorni dopo ero già di

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ritorno, signora. Questa volta non avete nulla darimproverarmi: avevo rischiato la mia fortuna e la mia vitaper rivedervi e non toccai neppure la vostra mano e voi miperdonaste rivedendomi confuso e pentito." "Sì, ma lacalunnia si è impadronita di tutte queste follie nelle quali ionon entravo per nulla, e voi lo sapete bene, milord. Il Re,istigato dal Cardinale ha fatto uno scandalo: ha scacciatola signora di Vernet, ha esiliato Putange, non vuol piùvedere la signora di Chevreuse e allorché voi avete tentatodi tornare come ambasciatore, il Re stesso, ricordatelobene, si è opposto." "Sì, e la Francia sconterà questooltraggio con la guerra. Io non potrò rivedervi, signora;ebbene voglio che ogni giorno sentiate parlare di me. "Chescopo credete che abbiano la spedizione di Re e la legache ho intenzione di proclamare coi protestanti dellaRochelle? Vedervi, solamente vedervi. "Non spero di poterentrare a mano armata sino a Parigi; ma questa guerrapotrà concludersi con una pace per la quale sarànecessario un negoziatore, e questo negoziatore sarò io.Allora non si oserà rifiutare di ricevermi, tornerò dunque aParigi e vi rivedrò e sarò felice per un attimo. Migliaia diuomini, è vero, avranno con la loro vita preparata la miafelicità, ma che importa perché vi riveda? Tutto ciò è forsepazzo, insensato; ma ditemi, quale donna ha un amante piùinnamorato? quale regina ha un servo più ardente?""Milord, milord, voi invocate a vostra difesa cose che viaccusano maggiormente; milord, milord, tutte queste proved'amore che volete darmi son quasi dei delitti." "Perchénon mi amate, signora; se mi amaste vedreste la cosa con

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altri occhi. Se mi amaste, oh! ma se mi amaste sarebbeuna felicità troppo grande e io ne impazzirei. Ah! la signoradi Chevreuse di cui parlavate poco fa, la signora diChevreuse fu meno crudele di voi; Rolland[9] l'amava edella lo riamò!" "La signora di Chevreuse non era regina!"mormorò Anna d'Austria, vinta suo malgrado da un amorecosì profondo. "Dunque mi amereste se non foste regina,signora? Dite, mi amereste? Posso dunque pensare che èsoltanto la dignità del vostro rango a rendervi così crudelecon me? Posso credere che se foste stata semplicementela signora di Chevreuse, il povero Buckingham avrebbepotuto sperare? Grazie per queste dolci parole, mille voltegrazie!" "Milord, voi avete capito male, avete maleinterpretato; non volevo dire che…" "Silenzio, silenzio!"disse il duca "se un errore può rendermi felice, non siatecosì crudele da togliermelo. L'avete detto voi stessa, mihanno teso una trappola, forse vi lascerò la vita, perché,vedete, è strano, ma da qualche tempo ho il presentimentoche sto per morire." "Mio Dio!" esclamò Anna con unaccento di terrore che dimostrava come il suo interesseper il duca fosse più grande di quanto ella stessa volesseammettere. "Non dico questo per spaventarvi, signora, no;ciò che dico è anzi ridicolo, e potete credere che io non mipreoccupo granché di simili sogni. Ma la parola che voi miavete detta, questa speranza che mi avete quasi data, avràtutto pagato, anche la vita, se la perdessi." "Ebbene!"disse Anna d'Austria "anch'io, duca, anch'io ho deipresentimenti. Ho sognato di vedervi a terra, sanguinante,ferito." "Al lato destro, vero? con un coltello?" l'interruppe

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Buckingham. "Sì, proprio così, milord, proprio così, al latodestro con un coltello. Chi ha potuto dirvi che ho fattoquesto sogno? Non l'ho confidato che a Dio, e soltantonelle preghiere." "Non voglio saperne di più; voi mi amate,signora, è certo." "Io vi amo, io?" "Sì, voi, poiché Dio non vimanderebbe il mio stesso sogno, se ciò non fosse.Potremmo avere gli stessi presentimenti se le nostre dueesistenze non avessero un punto di contatto: il cuore? Voimi amate, o Regina, e mi piangete." "Oh! Dio mio! Diomio!" esclamò Anna d'Austria "è più di quanto possasopportare! in nome del cielo, partite, duca, andatevene;non so se vi amo o no, ciò che so con sicurezza è che nonsarò spergiura. Abbiate dunque pietà di me e partite. Se vicolpissero, se vi uccidessero, in Francia, se potessisupporre che il vostro amore per me è stato la causa dellavostra morte, non avrei pace mai più, impazzirei. Partitedunque, partite vi supplico." "Come siete bella così! ecome vi amo" disse Buckingham. "Partite, partite! viscongiuro, e tornate più tardi: tornate come ambasciatore,come ministro, tornate circondato di guardie che vidifendano, di servi che veglino su voi, e allora non temeròpiù per la vostra vita e sarò felice di rivedervi." "Ma è veroquanto dite?" "Sì…" "Ebbene! datemi un pegno dellavostra indulgenza, datemi un oggetto che vi appartenga eche mi dimostri che non ho sognato; un oggetto che voiabbiate portato e che possa portare a mia volta: un anello,una collana, una catena." "E se aderisco al vostrodesiderio partirete subito?" "Sì." "Immediatamente?" "Sì""Lascerete la Francia? tornerete in Inghilterra?" "Sì, ve lo

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giuro." "Allora aspettate." Anna d'Austria rientrò nel suoappartamento e ne uscì poco dopo tenendo in mano uncofanetto di legno rosa con le sue cifre, tutto incrostatod'oro. "Prendete, milord, prendete e serbatelo per mioricordo." Buckingham prese il cofanetto e caddeginocchioni per la seconda volta. "Mi avete promesso dipartire" disse la Regina. "E mantengo la parola. Datemi lavostra mano, signora, e partirò." Anna d'Austria tese lamano chiudendo gli occhi, e appoggiandosi con l'altra aEstefania, perché sentiva che le forze stavano permancarle. Buckingham appoggiò con passione le labbrasu quella bella mano, poi, alzandosi: "Prima che sianopassati sei mesi, se non sarò morto, vi rivedrò, signora,dovessi sconvolgere il mondo per questo!" E fedele allapromessa fatta, uscì correndo. Nel corridoio incontrò lasignora Bonacieux che lo aspettava e che con le stesseprecauzioni e uguale fortuna lo ricondusse fuori dal Louvre.

Capitolo 13 IL SIGNOR BONACIEUX

Come abbiamo potuto notare fin qui, nel succedersi degliavvenimenti, c'era un personaggio del quale, nonostante lasua situazione precaria, tutti si preoccupavano assai pocoe questo personaggio era il signor Bonacieux, martiredegli intrighi politici e amorosi che si incatenavano gli uniagli altri in quell'epoca insieme cavalleresca e galante. Perfortuna - se ne ricordi o no il lettore - per fortuna noi

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abbiamo promesso di non perderlo di vista. Gli staffieri chelo avevano arrestato lo condussero direttamente allaBastiglia dove, tremante di paura, lo fecero passaredavanti a un plotone di soldati che stava caricando imoschetti. Poi lo introdussero in una galleriasemisotterranea dove fu oggetto delle più grossolaneingiurie e dei più feroci maltrattamenti. Vedendo che nonavevano a che fare con un gentiluomo gli sbirri lo trattaronocome un vero pezzente. Dopo circa mezz'ora, uncancelliere venne a metter fine alle sue torture ma non allesue inquietudini, poiché ordinò che il signor Bonacieuxfosse condotto nella camera degli interrogatori. Di solito iprigionieri venivano interrogati nelle loro celle, ma al signorBonacieux non usarono neppure questa cortesia. Dueguardie s'impadronirono del merciaio, gli feceroattraversare un cortile, lo fecero entrare in un corridoio incui erano tre sentinelle, aprirono una porta e lo spinsero inuna camera bassa, dove, per tutta mobilia, non c'erano cheun tavolo, una sedia, e un commissario che occupava laseggiola e scriveva sul tavolo. Le due guardie condusseroil prigioniero davanti al tavolo, e a un cenno delcommissario s'allontanarono tanto da non poter udirequanto si sarebbe detto. Il commissario, che fino a quelmomento aveva tenuto il capo abbassato sulle carte, lorialzò per vedere con chi aveva a che fare. Era un uomodall'aspetto severo, con un naso appuntito, zigomigiallognoli e sporgenti, occhi piccoli ma vivaci e penetranti;la sua fisionomia ricordava insieme la faina e la volpe. Latesta, eretta sopra un collo lungo e mobile, emergeva

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dall'ampia toga nera oscillando con un movimento similepressappoco a quello di una tartaruga che spinga la testafuori dal guscio. Egli cominciò col chiedere al signorBonacieux, nome, cognome, età, professione e domicilio.L'accusato disse di chiamarsi Giacomo MicheleBonacieux, di aver cinquantun anni, di essere un merciaioa riposo e di dimorare in via Fossoyeurs al numero 11.Allora il commissario, invece di continuare l'interrogatorio,gli fece un lungo discorso per dimostrargli quale pericolocorresse un oscuro cittadino immischiandosi in questionipolitiche. Arricchì questo esordio di un'esposizione nellaquale parlò della potenza e delle azioni di monsignorCardinale, questo ministro incomparabile che avevaoscurato tutti i ministri del passato, che sarebbe servito diesempio e tutti i ministri futuri: potenza e azioni non sipotevano contrastare impunemente. Dopo questa secondaparte del suo discorso, posando il suo sguardo disparviero sul povero signor Bonacieux, lo invitò a rifletterebene sulla gravità della situazione. Ma le riflessioni delmerciaio erano già fatte; egli malediceva il momento in cuiil signor de La Porte aveva avuto l'infelice idea di dargli inmoglie la sua figlioccia, e soprattutto l'istante in cuiquest'ultima era stata nominata guardarobiera dellaRegina. Il fondo del carattere di mastro Bonacieux era unprofondo egoismo mescolato a una sordida avarizia; il tuttoabbellito da una estrema viltà. L'amore che gli avevaispirato la sua giovane moglie era un sentimento affattosecondario che non poteva certo lottare con i sentimentielementari che siamo venuti enumerando. Il signor

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Bonacieux rifletté su quanto il commissario aveva detto."Ma signor commissario" disse timidamente "vi prego dicredere che io conosco e apprezzo più di chiunque altro ilmerito dell'incomparabile Eminenza dalla quale abbiamol'onore d'essere governati." "Davvero?" domandò ilcommissario con l'aria di dubitarne. "Ma se fosse propriocosì, perché sareste alla Bastiglia?" "Come ci sono, opiuttosto perché ci sono" rispose il signor Bonacieux "eccoprecisamente quanto mi è assolutamente impossibilespiegarvi, visto che io stesso lo ignoro; ma certamente nonpuò essere per aver io commessa scientemente qualcheazione sgradita a monsignor Cardinale!" "Eppure doveteaver commesso qualche delitto, visto che siete quiaccusato di alto tradimento." "Di alto tradimento!" gridòBonacieux al colmo dello spavento "di alto tradimento? Ecome volete che un povero merciaio che detesta gliUgonotti e aborrisce gli Spagnuoli sia accusato di altotradimento? Rifletteteci, signore, e vedrete che la cosa èassolutamente impossibile." "Signor Bonacieux" disse ilcommissario fissando l'accusato come se i suoi piccoliocchi avessero la facoltà di leggere nel più profondo deicuori "signor Bonacieux, avete voi una moglie?" "Sì,signore" rispose tremando il merciaio perché capiva chequi le sue faccende correvano il rischio d imbrogliarsi "o,meglio, ne avevo una." "Come? Ne avevate una? E che neavete fatto, se non l'avete più?" "Me l'hanno rapita,signore." "Ve l'hanno rapita?" disse il commissario. "Ah!"Bonacieux capì da questo 'Ah' che l'affare diveniva semprepiù imbrogliato. "Ve l'hanno rapita" riprese il commissario

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"e sapete chi ve l'ha rapita?" "Credo di conoscere ilrapitore." "Chi è?" "Badate che non affermo nulla, signorcommissario; sospetto, solamente." "Chi sospettate?Suvvia, rispondetemi francamente." Il signor Bonacieux eranella più grande perplessità; doveva negare o dire quantosapeva? Se negava, si sarebbe potuto credere chesapesse troppe cose per confessare; confessandofrancamente, invece, avrebbe dato prova di buona volontà.Si decise quindi a parlare. "Sospetto" disse "di un uomogrande e bruno, dall'aspetto distinto, il quale ha tutta l'ariadel gran signore; mi sembra che egli ci abbia seguito piùvolte, quando aspettavo mia moglie davanti alla porticinadel Louvre per riaccompagnarla a casa." Il commissarioparve provare qualche inquietudine. "Il suo nome?"domandò. "Oh! il suo nome non lo so; ma se lo incontreròlo riconoscerò subito, anche fra migliaia di persone,siatene certo." Il viso del delegato si fece cupo. "Dite che loriconoscereste tra mille" continuò. Bonacieux si accorse diaver sbagliato strada e fu pronto a dire: "Lo riconoscerei…ecco… proprio…" "Mi avete detto che lo riconoscereste"disse il commissario "anche fra migliaia di persone, e peroggi basta. Prima che proseguiamo l'interrogatorio,occorre che qualcuno sia avvertito che voi conoscete ilrapitore di vostra moglie." "Ma io non vi ho detto che loconosco" gridò il merciaio al colmo della disperazione "viho detto al contrario…" "Riconducete il prigioniero" disse ilcommissario alle guardie. "Dove?" chiese il cancelliere. "Inuna segreta." "In quale?" "Mio Dio, nella prima che capita,purché sia ben chiusa" disse il commissario con

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un'indifferenza che empì d'orrore il povero Bonacieux."Ahimè! Ahimè!" si disse quest'ultimo "la sventura è su dime! Mia moglie avrà commesso qualche spaventosodelitto, mi si crederà suo complice e sarò punito per lei.Essa avrà confessato, avrà detto che io so tutto; una donnaè sempre debole! Una segreta, la prima che capita! Ecco!Una notte passa presto, e domani, la ruota, la forca! Oh!mio Dio! mio Dio! abbiate pietà di me!" Senzapreoccuparsi delle lamentele di mastro Bonacieux,lamentele alle quali, d'altronde, dovevano essere abituate,le due guardie lo afferrarono ciascuna per un braccio e locondussero via mentre il commissario scriveva in granfretta una lettera che il suo cancelliere attendeva.Bonacieux non chiuse occhio; non che la sua cella fossetroppo sgradevole, ma perché le sue inquietudini eranotroppo grandi. Rimase tutta la notte seduto sul suosgabello, trasalendo al minimo rumore, e allorché i primiraggi del sole penetrarono nella sua camera, gli parve chel'aurora avesse assunto una tinta funebre. D'improvviso sentì tirare i catenacci ed ebbe un orribile sussulto.Credeva lo si venisse a prendere per condurlo al patibolo;cosicché quando, invece del carnefice, vide compariresemplicemente il commissario e il cancelliere del giornoprima, fu lì lì per stringerli fra le braccia. "Da ieri sera ilvostro affare s'è imbrogliato assai, brav'uomo" disse ilcommissario "e vi consiglio di dire tutta la verità, poichésolo il vostro pentimento può placare la collera delCardinale." "Ma io son pronto a dir tutto!" esclamòBonacieux "per lo meno tutto quello che so. Interrogatemi,

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vi prego." "Per prima cosa, ditemi dunque dov'è vostramoglie." "Vi ho pur detto che l'hanno rapita." "Sì, ma da ierialle cinque pomeridiane, grazie a voi, è fuggita." "Miamoglie è fuggita!" esclamò Bonacieux. "Oh! sciagurata!Signore, siate ben persuaso che se è fuggita, non è permia colpa, ve lo giuro." "Che cosa eravate dunque andatoa fare dal vostro vicino signor d'Artagnan, col quale aveteavuto una lunga conversazione nel corso della giornata?""Ah! sì, signor commissario, sì, questo è vero, e riconoscodi aver avuto torto. Sono proprio stato dal signord'Artagnan." "E qual era lo scopo di questa visita?" "Dipregarlo di aiutarmi a ritrovare mia moglie. Credevo diaver diritto di reclamarla; a quanto pare ero in errore e vene chiedo scusa." "E che cosa ha risposto il signord'Artagnan?" "Mi promise il suo aiuto; ma vidi ben prestoche mi tradiva." "Voi cercate di mettere la giustizia su unafalsa strada. Il signor d'Artagnan stabilì un patto con voi eper questo appunto mise in fuga gli sbirri che avevanoarrestato vostra moglie e ha poi sottratta quest'ultima aogni ricerca." "Il signor d'Artagnan ha rapito mia moglie!Caspita! Che cosa mi dite mai!" "Per fortuna il signord'Artagnan è nelle nostre mani e vi porremo a confrontocon lui." "Ah! in fede mia! non domando di meglio"esclamò Bonacieux a mi farà piacere rivedere una faccianota." "Fate entrare il signor d'Artagnan" disse ilcommissario alle guardie. Le guardie introdussero Athos."Signor d'Artagnan" disse il commissario rivolgendosi adAthos "diteci ciò che accadde tra voi e il signore." "Ma!"esclamò Bonacieux "questo signore non è il signor

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d'Artagnan." "Come! non è il signor d'Artagnan?" esclamòil commissario. "Neppure per sogno!" rispose Bonacieux."E allora chi è questo signore?" "Non posso dirlo. Non loconosco." "Come! Non lo conoscete?" "No." "Non l'avetevisto mai?" "L'ho visto qualche volta, ma non so come sichiama." "Come vi chiamate?" chiese il commissario almoschettiere. "Athos." "Questo non è il nome d'un uomo, èil nome di una montagna[10]" esclamò il povero inquirente."E' il mio nome" disse tranquillamente Athos. "Ma avevatedetto di chiamarvi d'Artagnan!" "Io?" "Sì, voi." "Vale a direche voi mi avete detto: "Siete il signor d'Artagnan?". E ioho risposto: "Lo credete?" Le guardie hanno gridato diesserne sicure: non ho voluto contraddirle. Dopo tuttopotevo anche ingannarmi." "Signore, voi insultate lamaestà della giustizia." "Nemmeno per sogno" fecetranquillamente Athos. "Voi siete il signor d'Artagnan.""Vedete bene che siete ancora voi a dirlo." "Ma!" esclamòa sua volta il signor Bonacieux "vi ripeto, signore, che nonpossono esserci dubbi! Il signor d'Artagnan è mio ospite;ne consegue che, benché non mi paghi l'affitto, e, anziappunto per questo, io devo conoscerlo. Il signord'Artagnan è un giovanotto di diciannove o vent'anniappena e il signore ne ha per lo meno trenta. Il signord'Artagnan è nelle guardie del signor Des Essarts e ilsignore è moschettiere del signor di Tréville; guardatel'uniforme, signor commissario, guardate l'uniforme." "E'vero" mormorò il commissario "è vero, per bacco!" In quelmentre la porta si aprì con fracasso e un messo introdottoda un carceriere della Bastiglia entrò e porse una lettera al

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commissario. "Oh, sciagura!" esclamò questi. "Come?Che dite? Di chi parlate? Spero non sia di mia moglie!" "Alcontrario è proprio di lei che parlo. State tranquillo; lavostra situazione non potrebbe essere migliore!""Insomma" gridò il merciaio esasperato "fatemi il piaceredi dirmi, signore, come possa peggiorare la mia situazioneper quello che mia moglie fa mentre io sono in prigione!""Perché quanto ella fa non è che il seguito di un infernalepiano prestabilito!" "Vi giuro, signor commissario, chesiete in errore, assolutamente nel più profondo errore, chenon ho mai saputo nulla di ciò che doveva fare mia mogliee che sono del tutto estraneo a quanto ella ha fatto e chese ha fatto delle sciocchezze la rinnego, la smentisco e lamaledico." "Bene" disse Athos "se non avete più bisognodi me, fatemi condurre in qualche altro luogo perché ilvostro Bonacieux è troppo noioso!" "Riconducete iprigionieri nelle loro segrete" ordinò il commissario a ecustoditeli nella massima segregazione." "Però" osservòAthos con l'abituale calma, "se è il signor d'Artagnan checercate, non capisco in che io possa sostituirlo." "Fate ciòche ho detto" gridò il commissario. "E, segregazioneassoluta! Siamo intesi?" Athos seguì le guardie scrollandole spalle e il signor Bonacieux gettando lamenti cheavrebbero spezzato il cuore di una tigre. Il merciaio furinchiuso nella segreta dove aveva passato la notte e doverimase l'intera giornata. Tutto il giorno il signor Bonacieuxpianse come un autentico merciaio, dato che, come avevadetto egli stesso, non era per nulla uomo di spada. Lasera, alle nove circa, mentre si decideva a coricarsi, intese

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dei passi nel corridoio, la porta della segreta si aprì eapparvero due guardie. "Seguiteci" disse un ufficiale cheera con loro. "Seguirvi!" esclamò Bonacieux. "Seguirvi aquest'ora! Ma dove, Dio mio!" "Dove abbiamo l'ordine dicondurvi." "Questa non è una risposta." "E' la sola chepossiamo darvi." "Dio mio! Dio mio" mormorò il poveromerciaio. "Questa volta sono perduto!" E seguìmacchinalmente, senza far resistenza, le guardie ch'eranovenute a prenderlo. Percorse il corridoio che avevapercorso il giorno prima, traversò un primo cortile, poi unaseconda ala dell'edificio; infine, alla porta del cortiled'ingresso vide una vettura circondata da quattro guardie acavallo. Fu fatto salire in questa vettura, l'ufficiale si sedetteal suo fianco, e lo sportello fu chiuso a chiave, cosicché sitrovarono entrambi in una prigione viaggiante. La carrozzasi mise in moto, lenta come un carro funebre. Attraverso lagrata dello sportello chiusa da un lucchetto, il prigionieronon vedeva che le case e il selciato; ma da vero pariginoqual era, Bonacieux riconosceva ogni strada dai pilastri,dalle insegne e dai fanali. Nel momento in cui arrivarono aSan Paolo, dove i condannati della Bastiglia salivano ilpatibolo, stette per svenire e per due volte si fece il segnodella croce. Aveva creduto che la vettura dovesse fermarsilì, ma la vettura continuò il suo cammino. Più innanzi ungrande terrore s'impadronì nuovamente di lui, e fu quandola carrozza costeggiò il cimitero di San Giovanni, nel qualevenivano seppelliti i criminali di Stato. Una sola cosa lorassicurò un poco, e era che ai condannati, prima diseppellirli, si tagliava generalmente la testa, ed egli la sua

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l'aveva ancora sulle spalle. Ma quando vide che la carrozzaprendeva la strada per la piazza di 'Grève', e scorse i tettiaguzzi del palazzo di città, e la carrozza passò sottol'arcata, credette che tutto fosse finito per lui. Allora volleconfessarsi all'ufficiale, e poiché questi rifiutò di ascoltarlo,si mise a gettare grida così pietose che quello lo avvertìche se avesse continuato a rintronargli così le orecchie, loavrebbe imbavagliato. Questa minaccia rassicurò alquantoBonacieux: se avesse dovuto essere giustiziato in piazzadi Grève, non avrebbe minacciato di imbavagliarlo, perchéerano quasi arrivati al luogo delle esecuzioni. Invece, lacarrozza attraversò la piazza fatale senza fermarsi. Nonc'era più da temere che la 'Croix-du-Trahoir': la carrozzas'incamminò appunto in quella direzione. Questa volta nonc'era più dubbio: era appunto alla 'Croix-du-Trahoir' chevenivano giustiziati i condannati di poco conto. Bonacieuxaveva peccato d'orgoglio ritenendosi degno di San Paoloe della piazza di 'Grève'. Era alla 'Croix-du-Trahoir' cheavrebbe terminato il suo viaggio e la sua esistenza! Eglinon poteva ancora vedere quella disgraziata croce, ma lasentiva, per così dire, venirgli incontro. Quando non fu piùche a una ventina di passi da essa, udì un rumore, e lacarrozza si fermò. Era più di quanto poteva sopportare ilpovero Bonacieux, già schiacciato dalle emozionisuccessive che aveva provato, per cui emise un debolegemito, che avrebbe potuto essere preso per l'ultimorespiro di un moribondo, e svenne.

Capitolo 14 L'UOMO DI MEUNG

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La folla radunata alla Croix-du-Trahoir non aspettaval'arrivo di un condannato, ma contemplava un impiccato. Lavettura, arrestata per un attimo, infilò via Sant'Onorato, giròper la via dei 'Bons-Enfants' e si fermò davanti a una portadi servizio. La porta si aprì, due guardie ricevettero fra lebraccia Bonacieux sostenuto dall'ufficiale, lo spinserolungo un corridoio, gli fecero salire una scala e lo deposeroin un'anticamera. Egli aveva camminato come si camminain un sogno; aveva intravisto gli oggetti come attraversouna nebbia; e le sue orecchie avevano sentito dei suonisenza comprenderli; in quel momento, se lo avesserogiustiziato, non avrebbe avuto un gesto di difesa, nonavrebbe gettato un grido per implorare pietà. Restòdunque seduto sulla panca col dorso appoggiato al muro ele braccia penzoloni. Purtuttavia siccome, guardandosiintorno, non scorse nulla di minaccioso, nulla che indicasseche la sua vita fosse in pericolo, siccome la panca eraconvenientemente imbottita, il muro tappezzato di un belcuoio di Cordova e grandi cortine di damasco rossofermate da cordoni ondeggiavano dinanzi alle finestre, capìa poco a poco che il suo spavento era esagerato ecominciò a muovere il capo a destra e a sinistra e dall'altoin basso. Questi movimenti, ai quali nessuno si oppose, gliridiedero un po' di coraggio, ed egli ritrasse prima unagamba, poi l'altra; infine, aiutandosi con le mani, si sollevòsulla panca e si ritrovò in piedi. In quel mentre un ufficiale di

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bella presenza sollevò una portiera, continuò a scambiarequalche parola con una persona ch'era nella camera vicinae si rivolse al prigioniero dicendo: "Siete voi che vichiamate Bonacieux?" "Sì, signor ufficiale, per servirvi"mormorò il merciaio più morto che vivo. "Entrate." E si feceda parte per lasciarlo passare nella camera dovesembrava essere atteso. Era un grande gabinetto dallepareti adorne di armi offensive e difensive, chiuso e cupo,dove il fuoco era già acceso sebbene non si fosse che afine settembre. Al centro del gabinetto una tavola quadrata,coperta di libri e di carte, su cui era distesa unagrandissima pianta della città di La Rochelle. In piedi,davanti al camino stava un uomo di media statura,dall'espressione altera, dagli occhi penetranti, dalla frontelarga, dal viso magro che un pizzo sormontato da due baffiben arricciati rendeva più lungo. Sebbene quest'uomo nonavesse che trentasei o trentasette anni appena, capelli,pizzo e baffi stavano diventando grigi. Quest'uomo,sebbene non avesse spada, aveva l'aspetto di un militare,e i suoi stivali di bufalo ancora coperti di polvereindicavano che era stato a cavallo nel corso della giornata.Quest'uomo era Armando Giovanni du Plessis, cardinale diRichelieu, non quale ci viene presentato abitualmente,curvo come un vecchio, sofferente come un martire, colcorpo spezzato, la voce spenta, sepolto in una enormepoltrona, come in una tomba anticipata, vivo solo per laforza del suo genio e capace di sostenere la lotta controtutta l'Europa in virtù unicamente di una costanteapplicazione del suo pensiero; ma qual era realmente a

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quell'epoca, vale a dire un abile e galante cavaliere, giàdebole di corpo, ma sostenuto da quella potenza moraleche ha fatto di lui uno degli uomini più straordinari chesiano esistiti, pronto, infine, dopo aver aiutato il duca diNevers nel suo ducato di Mantova, dopo aver prese Nimes,Castres e Uzes, a cacciare gli Inglesi dall'isola Re e amettere l'assedio a La Rochelle. A prima vista, niente in luiindicava il Cardinale, e non era possibile, a coloro che nonlo conoscevano, di indovinare davanti a chi si trovassero. Ilpovero merciaio rimase in piedi sulla porta, mentre gliocchi di colui che abbiamo descritto si fissavano su di lui esembravano voler penetrare sino in fondo al passato. "E'questo quel tal Bonacieux?" chiese dopo un attimo disilenzio. "Sì, monsignore" rispose l'ufficiale. "Va bene,datemi quelle carte e lasciateci." L'ufficiale prese sullatavola le carte designate, le rimise a chi gliele avevachieste, s'inchinò fino a terra, e uscì. Bonacieux riconobbein quelle carte i suoi interrogatori della Bastiglia. Di tanto intanto, l'uomo del caminetto levava gli occhi dallo scritto e lipiantava come pugnali, fino in fondo al cuore del poveromerciaio. Dopo dieci minuti di lettura e dieci secondi diesame, il Cardinale seppe che cosa pensare. "Quella testanon ha mai cospirato" mormorò "ma non importa,indaghiamo ugualmente." "Siete accusato di altotradimento" disse lentamente il Cardinale. "Me l'hanno giàdetto, monsignore" esclamò Bonacieux dando al suointerlocutore il titolo che gli aveva dato l'ufficiale "ma vigiuro che non ne sapevo niente." Il Cardinale represse unsorriso. "Voi avete cospirato insieme con vostra moglie, la

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signora di Chevreuse e un milord duca di Buckingham.""Infatti, monsignore" rispose il merciaio "ho già uditopronunciare questi nomi." "In quale occasione?" "Miamoglie diceva che il Cardinale di Richelieu aveva attirato ilduca di Buckingham a Parigi per perderlo e per perdere laRegina con lui." "Diceva questo?" esclamò con violenza ilCardinale. "Sì, monsignore; ma io le dicevo che aveva tortodi fare dei simili discorsi e che sua Eminenza eraincapace…" "Tacete, voi siete un imbecille!" riprese ilCardinale. "E' proprio ciò che mi ha risposto mia moglie,monsignore." "Sapete chi ha rapita vostra moglie?" "No,monsignore." "Avete detto di avere dei sospetti?" "Sì,monsignore; ma i miei sospetti, se non sbaglio, hannocontrariato il signor commissario, e ora non li ho più.""Vostra moglie è fuggita, lo sapevate?" "No, monsignore.L'ho saputo soltanto dopo che mi hanno messo in carceresempre per bocca del signor commissario, un uomo moltogentile." Il Cardinale frenò un secondo sorriso. "Allora nonsapete che cosa sia successo a vostra moglie dopo la suafuga?" "Assolutamente, monsignore; ma penso che siatornata al Louvre." "A un'ora del mattino non era ancoratornata." "Dio Mio! Ma che può esserle capitato?" "Losapremo, state tranquillo; al Cardinale nulla si puònascondere: il Cardinale sa tutto." "In questo caso, credete,monsignore, che il Cardinale voglia dirmi che cosa èsuccesso a mia moglie?" "Forse, ma è necessario che voi,prima, confessiate tutto quello che sapete circa la relazionedi vostra moglie con la signora di Chevreuse.""Monsignore, non ne so proprio niente, perché non l'ho mai

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vista." "Quando andavate a prendere vostra moglie alLouvre, tornavate direttamente a casa?" "Quasi mai: ellaaveva spesso a che fare con certi mercanti di tela presso iquali la conducevo." "E quanti mercanti di tela aveva?""Due, monsignore." "Dove abitavano?" "Uno in viaVaugirard, l'altro in via La Harpe." "Entravate da loro conlei?" "Mai, monsignore; l'aspettavo alla porta." "E chepretesto adduceva perché la lasciaste entrare sola?" "Nonadduceva nessun pretesto; mi diceva di aspettarla, e iol'aspettavo." "Siete un marito ben compiacente, mio carosignor Bonacieux!" disse il Cardinale. "Mi chiama 'caro'pensò il merciaio "la faccenda si accomoda.""Riconoscereste le porte dei due mercanti?" "Sì." "Sapetei numeri?" "Sì." "Che numeri sono?" "N. 25 in viaVaugirard; N. 75 in via La Harpe." "Va bene" disse ilCardinale. Dopo di che afferrò un campanello d'argento elo suonò; l'ufficiale riapparve. "Andate" disse sottovoce "achiamare Rochefort; venga subito, se è rientrato." "Il conteè in anticamera e ha urgenza di parlare a VostraEminenza." "A Vostra Eminenza!" mormorò Bonacieux,che sapeva qual fosse il titolo che veniva dato abitualmenteal Cardinale. "A Vostra Eminenza!…" "E allora venga,venga" disse vivamente Richelieu. L'ufficiale si slanciò fuoridel gabinetto con quella rapidità che tutti i servitori delCardinale usavano nell'obbedirgli. Non erano trascorsiancora cinque secondi dalla sparizione dell'ufficiale che laporta si riaprì ed entrò un nuovo personaggio. "E' lui!"esclamò il merciaio. "Chi?" chiese il Cardinale. "Quello cheha rapito mia moglie!" Il Cardinale suonò ancora e

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l'ufficiale riapparve. "Riconsegnate quest'uomo alleguardie; aspetti che lo richiami alla mia presenza." "No,monsignore! no, non è lui!" esclamò Bonacieux "mi sonosbagliato: è un altro che non gli rassomiglia neppure! Ilsignore è un onest'uomo!" "Conducete fuoriquest'imbecille!" disse il Cardinale. L'ufficiale presesottobraccio Bonacieux e lo condusse nell'anticameradove trovò le sue due guardie. Il nuovo personaggiointrodotto poco prima, seguì impazientemente con gli occhiil merciaio fino a che non fu uscito e, allorché la porta sirichiuse, si avvicinò prontamente al Cardinale e disse: "Sisono veduti!" "Chi?" "Lei e lui." "La Regina e il duca!"esclamò Richelieu. "Sì." "Dove?" "Al Louvre." "Ne sietesicuro?" "Assolutamente." "Chi ve l'ha detto?" "La signoradi Lannoy, che come sapete vi è assolutamente devota.""Perché non l'ha detto prima?" "Sia combinazione odiffidenza, la Regina ha fatto coricare nella sua camera lasignora di Surgis e l'ha tenuta con sé tutta la giornata." "Vabene, siamo stati battuti; cerchiamo di prenderci unarivincita." "Vi aiuterò con tutto il cuore, monsignore, statetranquillo." "E come andò la cosa?" "A mezzanotte emezzo la Regina era con le sue dame…" "Dove?" "Nellasua camera da letto…" "Bene." "Allorché le fu recato unfazzoletto che le mandava la sua guardarobiera…""Eppoi?" "Subito la Regina ha manifestato una grandeemozione, nonostante il rossetto che le copriva le guance,è impallidita." "Eppoi? Eppoi?" "Frattanto si era levata econ voce alterata disse: 'Signore, attendetemi dieci minuti,vado e torno'. Ha aperto una porta della sua alcova, ed è

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uscita." "Perché la signora di Lannoy non è corsaimmediatamente al avvertirvi?" "Nulla era ancora sicuro, ed'altra parte la Regina aveva detto: 'Signore, aspettatemi' enon ha osato disubbidire." "E per quanto tempo la Reginaè rimasta assente?" "Per tre quarti d'ora." "Nessuna dellesue dame l'accompagnava?" "Dona Estefania soltanto." "Edopo è tornata?" "Sì, ma per prendere un cofanetto dilegno di rosa con le sue cifre e uscire di nuovo." "Equando, più tardi, è rientrata, aveva con sé il cofanetto?""No." "La signora di Lannoy sapeva ciò che conteneva?""Sì, i fermagli di brillanti che Sua Maestà regalò allaRegina." "Ed essa è rientrata senza il cofanetto?" "Sì." "Lasignora di Lannoy crede che l'abbia dato a Buckingham?""Ne è sicura." "Perché?" "Durante la giornata, la signora diLannoy, che è addetta al servizio della Regina, ha cercatoil cofanetto, si è finta preoccupata di non trovarlo e hachiesto alla Regina se ne sapeva qualcosa." "E la Regina?…" "La Regina ha arrossito e ha risposto che, avendo ilgiorno prima rotto uno dei suoi fermagli, l'aveva mandato alsuo orefice per farlo accomodare." "Bisogna passare dalui e verificare se la cosa sia vera o no." "Ho verificato." "El'orefice?" "L'orefice non sa nulla di nulla." "Bene! Bene!Rochefort, tutto non è ancora perduto, e forse… forse tuttoè per il meglio." "Certo è che io non dubito che il genio diVostra Eminenza…" "Non ripari alle sciocchezze del suoagente, non è vero?" "E' proprio quello che avrei detto seVostra Eminenza mi avesse fatto finire la frase." "E oraditemi, sapete dove erano nascosti la duchessa diChevreuse e il duca di Buckingham?" "No, monsignore, i

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miei aiutanti non mi hanno saputo dir nulla in proposito.""Ebbene, io lo so." "Voi, monsignore?" "Sì, o, per lo meno,lo immagino. Essi erano l'uno in via Vaugirard, numero 25,e l'altra in via La Harpe, numero 75." "Vostra Eminenzavuole che li faccia arrestare entrambi?" "Sarà troppo tardi,se ne saranno già andati via." "Non importa, possiamoassicurarcene." "Prendete con voi dieci delle mie guardiee perquisite tutt'e due le case." "Vado subito, monsignore."E Rochefort uscì di corsa. Il Cardinale, restato solo, riflettéper un attimo e suonò una terza volta. Lo stesso ufficialeriapparve. "Fate entrare il prigioniero" disse il Cardinale.Bonacieux fu introdotto una volta ancora, il Cardinale feceun cenno e l'ufficiale si ritirò. "Voi mi avete ingannato"disse il Cardinale con severità. "Io" esclamò Bonacieux "ioingannare Vostra Eminenza!" "Vostra moglie, allorchéandava in via di Vaugirard in via La Harpe, non andava dadei mercanti di tela." "E dove andava, mio Dio?" "Andavadalla duchessa di Chevreuse e dal duca di Buckingham.""Deve essere proprio così" mormorò Bonacieuxrichiamando i suoi ricordi. "Vostra Eminenza ha ragione.Ho fatto osservare molte volte a mia moglie che era stranoche dei mercanti di tela abitassero in simili case, caseprive di insegna, e ogni volta mia moglie si è messa aridere." "Ah! monsignore" continuò Bonacieux gettandosiai piedi di Sua Eminenza "oh! voi siete veramente ilCardinale, il gran Cardinale, l'uomo di genio che tutto ilmondo ammira!" Il Cardinale, per quanto mediocre fosse iltrionfo riportato sopra un essere volgare qual eraBonacieux, ebbe ugualmente un attimo di soddisfazione;

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poi, quasi istantaneamente, come se un nuovo pensieroattraversasse il suo cervello, un sorriso sfiorò le sue labbra,e, tendendo la mano al merciaio: "Alzatevi, amico mio" glidisse "voi siete un brav'uomo." "Il Cardinale mi ha toccatola mano! io ho toccato la mano del grand'uomo! ilgrand'uomo mi ha chiamato suo amico!" esclamòBonacieux. "Sì, amico mio" ripeté il Cardinale con quel suoaccento paterno che ingannava soltanto coloro che non loconoscevano bene "e poiché siete stato sospettatoingiustamente, avete diritto a un indennizzo; ecco, prendetequesto sacchetto di cento pistole e perdonatemi.""Perdonarvi, monsignore!" disse Bonacieux esitando aprendere il sacchetto; poiché temeva senza dubbio chequesto preteso dono non fosse che uno scherzo. "Ma voieravate liberissimo di farmi arrestare, siete padrone difarmi torturare, siete padrone di farmi impiccare: voi siete ilpadrone e io non avrei avuto da dire la più piccola parola.Perdonarvi, monsignore? Suvvia, voi volete scherzare?""Oh! caro signor Bonacieux! siete molto generoso, locostato e ve ne ringrazio. Perciò prendete questosacchetto e andatevene senza troppo lamentarvi di me.""Ma io me ne vado raggiante, monsignore." "Dunque,addio o, meglio, arrivederci, perché spero che cirivedremo." "Tutte le volte che lo vorrà monsignore, io saròagli ordini di Vostra Eminenza." "Ciò sarà sovente, statetranquillo, perché la vostra conversazione mi è riuscitapiacevolissima." "Oh, monsignore!" "Arrivederci, signorBonacieux, arrivederci." E il Cardinale fece un cenno con lamano, al quale Bonacieux rispose inchinandosi fino a terra

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e dopo di ciò si ritirò a ritroso, e il Cardinale lo udì sfogareil suo entusiasmo nell'anticamera gridando a squarciagola:"Viva Monsignore! Viva Sua Eminenza! viva il granCardinale!". Il Cardinale ascoltò sorridendo questarumorosa manifestazione dei sentimenti entusiastici delsignor Bonacieux; ma, quando le grida di Bonacieux sifurono perdute nella lontananza: "Bene" disse "ecco unuomo pronto a farsi uccidere per me!" Si mise quindi aesaminare attentissimamente la carta topografica di LaRochelle che, come s'è detto, era stesa sul suo tavolo,tracciando con una matita la linea della diga che diciottomesi dopo chiuse il porto della città assediata. Mentre eratutto assorto nelle sue meditazioni strategiche, la porta siriaprì e Rochefort entrò. "Ebbene?" domandò vivamente ilCardinale alzandosi con una prontezza che dimostravaquale importanza desse alla commissione che avevaaffidato al conte. "Ebbene" disse quest'ultimo "una giovanedonna fra i ventisei e i ventotto anni e un uomo fra itrentacinque e i quaranta, hanno effettivamente abitatonelle case indicatemi da Vostra Eminenza; ma la donna èpartita la notte scorsa e l'uomo questa mattina." "Eranoloro!" esclamò il Cardinale che fissava la pendola; "e ora ègià troppo tardi per farli inseguire; la duchessa è ormai aTours e il duca a Boulogne. Bisogna raggiungerlo aLondra." "Quali sono gli ordini di Vostra Eminenza?" "Nonuna parola di quanto è avvenuto; la Regina rimangaperfettamente tranquilla e ignori che noi sappiamo il suosegreto. Essa deve credere che siamo alla ricerca di unacospirazione qualsiasi. Mandatemi il guardasigilli

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Séguier." "E di quell'uomo, che ne farà Vostra Eminenza?""Quale uomo?" domandò il Cardinale. "Quel Bonacieux.""Ne ho fatto tutto quello che si poteva farne, la spia di suamoglie." Il conte di Rochefort s'inchinò da uomo chericonosce la grande superiorità del suo padrone e si ritirò.Rimasto solo, il Cardinale sedette di nuovo, scrisse unalettera, la sigillò con suo sigillo particolare e suonò. Per laquarta volta l'ufficiale rientrò. "Fate venire Vitray" disse ilCardinale "e ditegli di prepararsi per un viaggio." Unistante dopo l'uomo che egli aveva fatto chiamare eradinanzi a lui, in stivali e speroni. "Vitray" diss'egli "partiretea gran carriera per Londra, non vi arresterete neppure unistante per la strada e consegnerete questa lettera aMilady. Eccovi un buono di duecento pistole, passate ariscuoterlo dal mio tesoriere. Ne avrete altrettante setornerete allo spirare dei sei giorni e se avrete fatta bene lamia commissione." Il messaggero s'inchinò senza parlare,prese la lettera, il buono e uscì. Ecco che cosa contenevala lettera: "Milady, trovatevi al primo ballo al quale andrà ilduca di Buckingham. Egli avrà sul suo giustacuore dodicifermagli di diamanti; avvicinatevi a lui, e tagliatene due.Appena saranno in vostro possesso, avvertitemene."

Capitolo 15 UOMINI DI TOGA E UOMINI D'ARME

Il giorno seguente a quello in cui avvennero gli avvenimentinarrati, poiché Athos non era riapparso, il signor di Tréville

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fu avvertito della sua scomparsa da d'Artagnan e daPorthos. Quanto ad Aramis, egli aveva chiesto una licenzadi cinque giorni e si diceva che fosse a Rouen per affari difamiglia. Il signor di Tréville era il padre dei suoi soldati.L'infimo e il più sconosciuto fra essi, dal momento in cuiindossava l'uniforme della compagnia, poteva esserealtrettanto sicuro del suo aiuto e del suo appoggio che sefosse stato suo fratello. Egli si recò dunque all'istante dalluogotenente criminale. Fu chiamato l'ufficiale checomandava il posto della Croix-Rouge e le indaginisuccessive accertarono che Athos era per il momentoalloggiato al Fort-l'Eveque. Athos aveva sopportate tutte leprove che abbiamo visto subire da Bonacieux. Noiabbiamo già assistito alla scena del confronto dei dueprigionieri. Athos che, fino a quel momento, non avevaparlato per tema che d'Artagnan, arrestato a sua volta, nonpotesse disporre del tempo di cui aveva bisogno, si eradeciso a dichiarare che egli si chiamava Athos nond'Artagnan. Aggiunse di non conoscere né il signor né lasignora Bonacieux, di non aver mai parlato né all'uno néall'altra, che alle dieci di sera era andato a far visita ad'Artagnan, suo amico, ma che fino a quell'ora era stato dalsignor di Tréville dove aveva pranzato, e di ciò potevanofar fede più di venti testimoni, fra i quali nominò moltidistintissimi gentiluomini, primo fra tutti il duca di LaTrémouille. Il secondo commissario fu stupito quanto ilprimo dalle dichiarazioni semplici e ferme di quelmoschettiere sul quale avrebbe pur voluto prendersi una diquelle rivincite che gli uomini di toga amano tanto riportare

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sugli uomini d'arme; ma il nome del signor di Tréville equello del duca di La Trémouille erano tali da indurlo apensarci su. Athos fu quindi inviato al Cardinale, madisgraziatamente questi era al Louvre dal Re. Eraprecisamente il momento in cui il signor di Tréville, dopoessere stato dal luogotenente criminale e dal governatoredel Fort-l'Eveque senza aver potuto trovare Athos,giungeva da Sua Maestà. Come capitano dei moschettieri,il signor di Tréville poteva entrare dal Re a tutte le ore.Sappiamo già quali fossero le prevenzioni del Re contro laRegina, prevenzioni abilmente mantenute dal Cardinale,che in fatto di intrighi, diffidava infinitamente più delledonne che degli uomini. Uno dei principali motivi di questaprevenzione era l'amicizia di Anna d'Austria per la signoradi Chevreuse. Queste due donne gli davano piùpreoccupazioni che non le guerre con la Spagna, i litigi conl'Inghilterra e gli imbarazzi delle finanze. Secondo lui, lasignora di Chevreuse aiutava la Regina non solo nei suoiintrighi politici, ma, cosa che lo tormentava ancor più,anche nei suoi intrighi amorosi. Alle prime parole con cui ilCardinale gli annunciò che la signora di Chevreuse,esiliata a Tours dove tutti ritenevano si trovasse, era venutaa Parigi e vi era rimasta per cinque giorni, senza che lapolizia avesse potuto scovarla, il Re si era abbandonato aun impeto di collera furiosa. Capriccioso e infedele, il Revoleva essere chiamato Luigi il Giusto e Luigi il Casto. Laposterità comprenderà difficilmente questo carattere che lastoria ci spiega soltanto per via di fatti, mai diragionamenti. Ma allorché il Cardinale aggiunse che non

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solo la signora di Chevreuse era venuta a Parigi, ma che,inoltre, la Regina aveva riallacciato le sue relazioni con leiper mezzo di una corrispondente misteriosa che aquell'epoca si chiamava 'cabale'[11]; quando affermò chelui, Richelieu, stava per sbrogliare i fili più oscuri diquell'intrigo e che, nel momento in cui l'emissario dellaRegina presso l'esiliata era sul punto d'essere arrestato sulfatto, in delitto flagrante, un moschettiere aveva osatointerrompere il corso della giustizia piombando con laspada in pugno sugli onesti uomini della legge incaricati diesaminare imparzialmente tutta la faccenda per metterlasotto gli occhi del Re, Luigi Tredicesimo non si tenne più efece un passo verso gli appartamenti della Regina in predaa quella pallida e muta indignazione che, allorchéscoppiava, spingeva questo sovrano oltre i limiti della piùfredda crudeltà. E tuttavia il Cardinale non aveva ancoranominato Buckingham. Fu in quel momento che il signor diTréville entrò, freddo, gentile e in una tenuta inappuntabile.Intuendo dalla presenza del Cardinale e dal viso sconvoltodel Re ciò che era accaduto, il signor di Tréville si sentìforte come Sansone davanti ai Filistei. Luigi Tredicesimoaveva già la mano sulla maniglia della porta; al rumore fattoda Tréville entrando, si voltò. "Arrivate in buon punto,signore" disse il Re che quando le sue passioni eranosalite a un certo grado d'intensità non sapeva dissimulare"ne so delle belle sul conto dei vostri moschettieri!" "E io"rispose freddamente il signor di Tréville "ne ho daraccontare delle belle a Vostra Maestà a proposito dellasua gente di toga." "Cioè?" domandò alteramente il Re.

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"Ho l'onore di far noto a Vostra Maestà" continuò il signordi Tréville con lo stesso tono "che una mano di procuratori,di commissari, e di agenti di polizia, tutta gentestimabilissima, ma, a quanto pare assai nemica delleuniformi, si è permessa di arrestare in una casa, di portarvia in piena strada, e di gettare in una cella del Fort-l'Eveque, e tutto ciò in base a un ordine che mi è statoimpossibile vedere, uno dei miei moschettieri, o piuttostodei vostri, Sire, di condotta irreprensibile, di reputazionequasi illustre e che Vostra Maestà conoscefavorevolmente: il signor Athos." "Athos" disse il Remacchinalmente "io conosco infatti questo nome." "VostraMaestà cerchi di ricordare" disse il signor di Tréville "ilsignor Athos è quel moschettiere che, nello spiacevoleduello di cui sapete, ebbe la sfortuna di ferire gravemente ilsignor di Cahusac. E, a proposito, Monsignore" continuòrivolgendosi al Cardinale "il signor di Cahusac èperfettamente ristabilito, non è vero?" "Sì, grazie" disse ilCardinale mordendosi le labbra per la rabbia. "Il signorAthos dunque, andò a far visita ad uno dei suoi amici, chenon trovò in casa" proseguì il signor di Tréville "un giovaneBearnese, cadetto nelle guardie di Vostra Maestà,compagnia Des Essarts, ma si era appena seduto con unlibro in mano per aspettarlo, che un nugolo di sbirri e disoldati mescolati insieme, vennero a porre l'assedio allacasa, e sfondarono varie porte…" Il Cardinale fece uncenno al Re per fargli capire che si trattava dell'affare di cuigli aveva parlato. "Questo lo sappiamo" disse il Re "poichéè stato fatto per il nostro servizio." "Allora" fece Tréville "è

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sempre per il servizio a Vostra Maestà che si è arrestatouno dei miei moschettieri, assolutamente innocente, lo si èposto tra due guardie come un malfattore, e lo si è portatoin giro tra un popolaccio insolente. Un gentiluomo che haversato per più di dieci volte il sangue per servire VostraMaestà e che sarà sempre pronto a versarlo?" "Ah!" disseil Re scosso "le cose sono andate dunque così?" "Il signordi Tréville non dice" intervenne il Cardinale con la massimacalma "che quel moschettiere innocente, quel galantuomo,un'ora prima aveva assalito a colpi di spada quattrocommissari istruttori da me incaricati di condurre a termineun affare della massima importanza." "Sfido VostraEminenza a provarlo" esclamò il signor di Tréville con lasua franchezza e la sua rudezza militare "perché un'oraprima il signor Athos che, lo confiderò a Vostra Maestà, èuomo di nobilissimi natali, mi faceva l'onore, dopo averpranzato con me, di conversare nel salone di casa mia colduca de La Trémouille e col conte di Chalus, che sitrovavano lì." Il Re guardò il Cardinale. "Un processoverbale fa fede di quanto ho detto" disse il Cardinalerispondendo ad alta voce alla muta interrogazione di SuaMaestà "e le persone maltrattate hanno steso questo, cheho l'onore di presentare a Vostra Maestà." "Un processoverbale steso da gente di toga vale forse la parola d'onoredi un militare?" chiese fieramente il signor di Tréville."Andiamo, andiamo, tacete, Tréville" disse il Re. "Se SuaEminenza ha qualche sospetto contro uno dei mieimoschettieri" continuò Tréville "la giustizia di monsignorCardinale è abbastanza nota perché io stesso chieda

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un'inchiesta." "Nella casa in cui è stata fatta laperquisizione" disse il Cardinale impassibile "abita, credo,un Bearnese amico del moschettiere." "Vostra Eminenzavuole parlare del signor d'Artagnan?" "Voglio parlare di ungiovanotto che proteggete, signor di Tréville." "Sì,Eminenza, è proprio quello." "E voi non sospettate chequesto giovanotto abbia dato dei cattivi consigli a…" "Alsignor Athos, a un uomo che ha il doppio della sua età?"interruppe il signor di Tréville. "No, monsignore. Ed'altronde d'Artagnan ha passato la sera da me." "Ah!così!" disse il Cardinale "tutti hanno dunque passata lasera da voi?" "Sua Eminenza dubiterebbe forse della miaparola?" disse Tréville rosso di collera. "Dio me neguardi!" disse il Cardinale. "Solamente vorrei sapere a cheora era da voi." "Oh, posso dirlo a Vostra Eminenza concertezza, perché nel momento in cui egli entrò, guardai lapendola e notai che erano solo le nove e mezzo benchépensassi che fosse assai più tardi." "E a che ora halasciato il vostro palazzo?" "Alle dieci e mezzo, un'oradopo gli avvenimenti." "Ma infine" disse il Cardinale chenon dubitava della lealtà di Tréville e sentiva che la vittoriagli sfuggiva "ma infine Athos è stato preso in quella casa divia dei Fossoyeurs." "Non può forse un amico far visita aun amico? Non può un moschettiere della mia compagniaaffratellarsi con una guardia del signor Des Essarts?" "Sì,quando la casa dove si affratella con un amico non siasospetta." "Perché quella casa è sospetta, Tréville, forsevoi non lo sapevate?" disse il Re. "Infatti, sire, lo ignoravo.In ogni caso, essa può essere sospetta ovunque tranne

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che nella parte in cui abita il signor d'Artagnan, poichéposso affermarvi, Sire, che, se debbo credere a quello chedice, non esiste un più fedele servitore di Vostra Maestà eun più profondo ammiratore di monsignor Cardinale." "Nonè questo d'Artagnan che ha ferito Jussac in queldisgraziato incontro che ebbe luogo nei pressi delconvento dei Carmelitani scalzi?" chiese il Re guardando ilCardinale che arrossì di dispetto. "E il giorno dopo ferìBernajoux. Sì, Sire, è proprio lui. Vostra Maestà ha ottimamemoria." "E allora, che cosa concludiamo?" disse il Re."Questo riguarda più Vostra Maestà che me" intervenne ilCardinale. "Io affermerei la colpevolezza." "E io la nego"disse Tréville. "Ma Sua Maestà ha dei giudici; essigiudicheranno." "Appunto" approvò il Re "rinviamo lacausa ai giudici; è loro compito giudicare: giudicheranno.""Tuttavia" rispose Tréville "è ben triste che in questimalaugurati tempi, la vita più pura, la virtù piùincontestabile non preservino un uomo dall'infamia e dallepersecuzioni. L'esercito, posso rendermene garante, saràben poco lieto di essere esposto a essere trattatorigorosamente per qualche questione di polizia." La fraseera imprudente, ma il signor di Tréville l'aveva lanciata conconoscenza di causa. Egli voleva provocare unaesplosione poiché il fuoco rischiara. "Questioni di polizia!"esclamò il Re cogliendo a volo le parole del signor diTréville "questioni di polizia! Che ne sapete voi, signore?Occupatevi dei vostri moschettieri e non rompetemi latesta. A sentirvi parlare, sembra che, se si arresta unmoschettiere, la Francia è in pericolo. Eh! Quanto rumore

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per un moschettiere! Ne farò arrestare dieci, venti,perbacco! E anche cento e tutta la compagnia! E nonvoglio che si dica una parola!" "Dal momento che sonosospetti a Vostra Maestà, essi sono colpevoli" disseTréville. "Per cui, Sire, eccomi pronto a consegnarvi laspada, giacché il signor Cardinale, non ne dubito, dopoaver accusati i miei soldati, finirà con l'accusare anche me.Meglio dunque che mi costituisca prigioniero col signorAthos, che è già arrestato, e col signor d'Artagnan, che losarà certamente." "Quando tacerete, testa guascona?"disse il Re. "Sire" continuò Tréville senza abbassareminimamente la voce "ordinate che mi sia reso il miomoschettiere o che sia giudicato." "Sarà giudicato" disse ilCardinale. "Tanto meglio, perché in questo casodomanderò a Sua Maestà il permesso di difenderlo iostesso." Il Re temeva uno scandalo. "Se Sua Eminenza"disse "non avesse dei motivi personali…" Il Cardinale locapì al volo e lo prevenne. "Scusatemi" disse "ma dalmomento in cui Vostra Maestà vede in me un giudice pocosereno, io mi ritiro." "Vediamo" continuò il Re "mi giuratesulla memoria di mio padre che il signor Athos era da voimentre si svolgevano i fatti di cui abbiamo parlato, e cheegli non vi prese parte?" "Sulla memoria del Vostroglorioso padre, e su Voi, che siete ciò che amo e venero dipiù al mondo, lo giuro." "Riflettete, Sire" disse il Cardinale"se rilasciamo così il prigioniero, non sapremo mai laverità." "Il signor Athos sarà sempre pronto a rispondere aigiudici" riprese il signor di Tréville "quando i giudici sicompiacciano di interrogarlo. Egli non diserterà, signor

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Cardinale, siate tranquillo, me ne rendo garante io." "Infatti,egli non diserterà" osservò il Re "lo ritroveremo sempre,come dice Tréville; d'altronde" soggiunse a bassa voce,guardando con occhio supplice Sua Eminenza "dar lorouna certa sicurezza è buona politica." Questa politica diLuigi Tredicesimo fece sorridere Richelieu. "Ordinate,Sire" disse "voi avete il diritto di grazia." "Il diritto di grazianon si esercita che sui colpevoli" fece Tréville che voleval'ultima parola "e il mio moschettiere è innocente. Non èdunque una grazia quella che state per fare, Sire, magiustizia." "Egli è al Fort-l'Eveque" disse il Re. "Sì, Sire,segregato in una cella come l'ultimo dei criminali.""Diavolo! Diavolo!" mormorò il Re. "Che cosa bisognafare?" "Firmare l'ordine di scarcerazione" disse ilCardinale "credo come Vostra Maestà che la garanzia delsignor di Tréville sia più che sufficiente." Tréville s'inchinòrispettosamente con un senso di gioia non scevro ditimore; egli avrebbe preferito un'ostinata resistenza daparte del Cardinale a quella sùbita docilità. Il Re firmòl'ordine di scarcerazione e Tréville lo portò subito via. Nelmomento in cui stava per uscire il Cardinale gli sorriseamichevolmente e disse al Re: "Nei vostri moschettieri,Sire, regna un'ottima armonia fra capi e soldato; ciò va agran vantaggio del servizio ed è un onore per tutti." "Migiocherà certamente qualche brutto tiro" diceva Tréville;"non si ha mai l'ultima parola con un uomo simile. Maspicciamoci perché il Re può cambiare ancora d'avviso e,in fin dei conti, è più difficile rimettere alla Bastiglia o alFortl'Eveque un uomo che ne è uscito, che conservarci un

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prigioniero di cui si è già in possesso." Il signor di Trévilleentrò trionfalmente a Fort-l'Eveque, e liberò il moschettiereche era, come sempre, perfettamente indifferente etranquillo. Poi, la prima volta che rivide d'Artagnan, glidisse: "L'avete scampata bella; ecco pagata la vostra feritaa Jussac. Resta ancora quella di Bernajoux, ma sarà benenon ve ne fidiate troppo." D'altronde il signor di Trévilleaveva ragione di diffidare del Cardinale e di pensare chetutto non era finito, perché non appena il capitano deimoschettieri ebbe chiuso la porta dietro di sé, SuaEminenza disse al Re: "E ora che siamo noi due soli. seVostra Maestà lo vuole, parleremo seriamente. Sire, ilduca di Buckingham era a Parigi da cinque giorni ed èripartito solo stamane."

Capitolo 16 IN CUI IL GUARDASIGILLI SEGUIER CERCAPIU' VOLTE DI SUONARE LA CAMPANA, COMEFACEVA IN ALTRI TEMPI

E' impossibile farsi un'idea dell'impressione che quelleparole produssero su Luigi Tredicesimo. Egli arrossì eimpallidì successivamente, e il Cardinale comprese di averriconquistato in un attimo tutto il terreno perduto. "Il signordi Buckingham a Parigi!" esclamò "e che cosa è venuto afare?" "Certamente a cospirare coi vostri nemici, gliUgonotti e gli spagnuoli." "No, perbacco, no! Egli è venutoa cospirare contro il mio onore con la signora di

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Chevreuse, la signora di Longueville e i Cordé!" "Oh!Quale idea, Sire! La Regina è troppo retta e ama troppoVostra Maestà!" "La donna è debole, signor Cardinale; equanto all'amarmi troppo, la mia opinione in proposito èfatta da un pezzo." "Tuttavia, io sostengo ugualmente che ilduca di Buckingham è venuto a Parigi per ragionipolitiche." "E io sono certo che è venuto per ben altreragioni, signor Cardinale, ma se la Regina è colpevole,avrà motivo di temere." "Infatti" disse il Cardinale "perquanta ripugnanza io abbia a fermare il mio spirito su untale tradimento, Vostra Maestà mi ci fa pensare; la signoradi Lannoy che, in base agli ordini di Vostra Maestà, ho piùvolte interrogata, mi ha detto stamane che la notte scorsala Regina ha vegliato fino a ora tardissima, che nellamattinata ha pianto assai, e che per tutta la giornata hascritto?" "Proprio così" disse il Re. "Avrà certamente scrittoa lui. Cardinale, bisogna che io abbia le carte dellaRegina." "Ma come impossessarsene, Sire? mi pare chené io, né Vostra Maestà possiamo incaricarci di una talemissione." "Come avete fatto con la maresciallad'Ancre?"[12] chiese il Re giunto al massimo dell'ira."Avete frugato nei suoi cassetti e avete finito col perquisireanche lei." "La marescialla d'Ancre non era che lamarescialla d'Ancre, un'avventuriera fiorentina, Sire, eccotutto, mentre l'augusta sposa di Vostra Maestà è Annad'Austria, regina di Francia, vale a dire una fra le più grandiprincipesse del mondo." "E per questo doppiamentecolpevole, signor Cardinale! Più ha dimenticato la sua altaposizione, più è discesa in basso. E' già da un pezzo,

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d'altronde, che sono deciso a farla finita con tutti questiintrighi di politica e d'amore. Essa ha anche presso di séun certo La Porte…" "Che io credo sia la chiave di volta ditutto ciò, lo confesso" disse il Cardinale. "Allora voi sietedel mio stesso avviso e pensate che ella mi inganni?"disse il Re. "Credo e ripeto a Vostra Maestà che la Reginacospira contro la potenza del suo Re, ma non ho detto checospira contro il suo onore." "E io vi dico, che ella fa tutt'edue le cose; la Regina non mi ama, io vi dico che ama unaltro; vi dico che ama quell'infame di Buckingham! Perchénon l'avete fatto arrestare mentre era a Parigi?" "Arrestareil duca! Arrestare il primo ministro del re Carlo Primo! Maci pensate, Sire? Quale scandalo! E se i sospetti di VostraMaestà fossero fondati, cosa di cui continuo a dubitare,che scandalo terribile! che scandalo irreparabile!" "Mapoiché era venuto come un vagabondo e un ladro,bisognava…" Luigi Tredicesimo tacque spaventato eglistesso da ciò che stava per dire mentre Richelieu,allungando il collo, attendeva ansiosamente la parolarimasta sulle labbra del Re. "Bisognava?" ripeté. "Niente"disse il Re "niente. Ma durante tutto il tempo che è stato aParigi, voi non l'avete perso di vista? "No, Sire." "Doveabitava?" "In via La Harpe, numero 75." "Dov'è questavia?" "Dalla parte del Lussemburgo." "E siete sicuro che luie la Regina non si siano visti?" "Credo la Regina troppoligia ai suoi doveri, Sire." "Ma essi si sono scritti, è a luiche la Regina ha scritto tutta la giornata; signor duca,voglio quelle lettere!" "Sire, pensate…" "Signor duca, aqualunque costo le voglio." "Faccio tuttavia osservare a

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Vostra Maestà…" "Mi tradite dunque anche voi, signorCardinale, che osate opporvi in tal modo alle mie volontà?Siete anche voi d'accordo con la Spagnola e con l'Inglese,con la signora di Chevreuse e con la Regina?" "Sire"rispose sospirando il Cardinale "credevo di essere alriparo da un simile sospetto." "Signor Cardinale, mi aveteudito, voglio quelle lettere." "Non ci sarebbe che unmezzo." "Quale?" "Incaricare di questa missione ilguardasigilli Séguier. La cosa è perfettamente conforme aidoveri della sua carica." "Mandatelo immediatamente achiamare." "Deve essere da me, Sire; lo avevo pregato dipassare dal mio palazzo, e allorché sono venuto al Louvre,ho dato ordine, se si fosse presentato, di farlo attendere.""Mandatelo a chiamare subito." "Gli ordini di VostraMaestà saranno eseguiti, ma…" "Ma, che cosa?" "Ma laRegina, forse, si rifiuterà d'obbedire." "Ai miei ordini?" "Sì,se ella non sa che questi ordini provengono dal Re.""Ebbene, affinché non abbia a dubitarne, vado a prevenirlaio stesso." "Vostra Maestà non dimenticherà che ho fattotutto quanto stava in me per evitare una rottura." "Sì, duca,lo so, so che siete indulgentissimo per la Regina, forsetroppo indulgente; e fra non molto, ve ne prevengo,dovremo riparlare anche di questo." "Quando VostraMaestà vorrà; ma sarò sempre felice e orgoglioso disacrificarmi per la buona armonia che desidero vederregnare fra voi e la Regina di Francia." "Bene, Cardinale,bene; ma nel frattempo mandate a chiamare ilguardasigilli. Io vado dalla Regina." E Luigi Tredicesimoaprì la porta di comunicazione e si incamminò per il

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corridoio che univa il suo appartamento a quello di Annad'Austria. La Regina era con le sue dame; la signora diGuitaut, la signora di Sablé, la signora di Montbazon e lasignora di Guéménée. In un angolo era la camerieraspagnola che l'aveva seguita da Madrid, doña Estefania.La signora di Guéménée leggeva ad alta voce e tutteascoltavano con grande attenzione, meno la Regina cheaveva pregato la sua dama di leggere per potere, purfingendosi attenta, seguire il filo dei suoi pensieri. Questipensieri, pur essendo dorati da un ultimo raggio d'amore,erano ugualmente tristissimi. Anna d'Austria, privata dellafiducia del marito, perseguitata dall'odio del Cardinale chenon poteva perdonarle di avere respinto un sentimento piùdolce, ammonita dall'esempio che aveva sotto gli occhi,della Regina madre di cui quest'odio aveva avvelenatatutta la vita – benché Maria de' Medici, se dobbiamocredere alle Memorie del tempo, avesse cominciato conl'accordare al Cardinale il sentimento che Anna d'Austriagli negò sempre - Anna d'Austria aveva visto cadereattorno a sé tutti i suoi più devoti servitori, i suoi più intimiconfidenti, i suoi favoriti più cari. Come certe creaturedotate di un dono funesto, ella portava disgrazia a tutticoloro che avvicinava; la sua amicizia era un segno fataleche attirava le persecuzioni. La signora di Chevreuse e lasignora di Vernel erano esiliate e La Porte nonnascondeva alla sua signora che si aspettava di esserearrestato da un momento all'altro. Fu proprio mentre essaera immersa profondamente in queste riflessioni, che laporta della camera si aprì e il Re entrò. La lettrice tacque

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immediatamente, tutte le dame si levarono in piedi e il piùprofondo silenzio si stabilì nella stanza. In quanto al Re, eglinon fece il minimo cenno di cortesia; soltanto, fermandosidinanzi alla Regina: "Signora" disse con voce alterata"riceverete fra poco la visita del Cancelliere che vicomunicherà una faccenda di cui l'ho incaricato." L'infeliceRegina, che viveva incessantemente sotto la minaccia deldivorzio, dell'esilio, e persino d'un processo, impallidì sottoil rossetto e non seppe trattenersi dal chiedere: "Perchéquesta visita, Sire? Che cosa può dirmi il Cancelliere chenon possa dirmi Vostra Maestà?" Il Re girò sui tacchisenza rispondere e quasi nello stesso momento il capitanodelle guardie, signor di Guitaut, annunciò la visita delsignor Cancelliere. Quando il Cancelliere apparve, il Reera già uscito da un'altra porta. Il Cancelliere entrò, rosso inviso e sorridente. Siccome è probabile che lo si debbaincontrare di nuovo nel corso di questa storia, non saràmale che i nostri lettori facciano ora conoscenza con lui.Questo Cancelliere era un uomo piacevole. Era stato 'DesRoches le Masle', canonico di Notre-Dame, e in altri tempicameriere del Cardinale, a proporlo a Sua Eminenza comeuomo interamente devoto. Il Cardinale se n'era fidato e sen'era trovato contento. Di lui si raccontavano molte storie:questa, fra le altre. Dopo una gioventù burrascosissima, siera ritirato in un convento al fine di espiare, per un po' ditempo almeno, le follie giovanili. Ma, entrando nel santoritiro, il povero penitente non aveva potuto chiudere la portacon abbastanza sveltezza da far sì che le sue passioni nonentrassero insieme con lui. Egli ne era ossessionato

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continuamente, e il superiore al quale aveva confidatoquesta disgrazia, volendo aiutarlo per quanto stava in lui,gli aveva raccomandato per esorcizzare il demoniotentatore di attaccarsi alla corda della campana e disuonare a distesa. Al suono denunciatore, i frati sarebberostati avvisati che la tentazione ossessionava un fratello, etutta la comunità si sarebbe messa a pregare. Il consiglioparve buono al futuro Cancelliere. Egli esorcizzò lo spiritomaligno con l'aiuto delle preghiere dei monaci; ma ildiavolo non si lascia tanto facilmente sloggiare da unafortezza nella quale ha messo guarnigione; per cui, manmano che raddoppiavano gli esorcismi, egli raddoppiavale tentazioni, di modo che giorno e notte la campanasonava a distesa rivelando il grande desiderio dimortificazione che provava il penitente. I monaci nonavevano più un momento di riposo. Il giorno non facevanoche salire e scendere le scale che conducevano allacappella; la notte, oltreché per compieta e mattutino, eranoobbligati ad alzarsi almeno una ventina di volte dai lorolettucci per prosternarsi sui mattoni delle loro celle. Non sisa bene se fosse il diavolo ad abbandonare la sua preda oi frati a stancarsi; ma il fatto è che in capo a tre mesi ilpenitente riapparve nel mondo con la riputazione del piùterribile indemoniato che fosse mai esistito. Uscito dalconvento, egli entrò nella magistratura, divenne presidente'à mortier'[13] al posto di suo zio, abbracciò il partito delCardinale, dimostrando non poca sagacia, divenneCancelliere, servì Sua Eminenza con zelo nel suo odio perla regina madre e nella sua vendetta contro Anna d'Austria,

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stimolò i giudici nella faccenda di Chalais, incoraggiò itentativi del signor di Laffemos[14], gran venatore diFrancia; e, infine, investito di tutta la fiducia del Cardinale,fiducia che si era ben guadagnata, ebbe da lui il difficileincarico per compiere il quale si presentava ora allaRegina. La Regina era ancora in piedi quando egli entrò,ma non appena lo scorse sedette nella sua poltrona, fecesegno alle sue dame di risedersi sui rispettivi panchetti ecuscini, e, con tono di estrema alterigia: "Che desiderate,signore" domandò "e qual è il vostro scopo presentandoviqui?" "Devo compiere, per incarico del Re e salvo ilrispetto che ho l'onore di dovere a Vostra Maestà, unaperquisizione minuta delle vostre carte." "Come, signore,una perquisizione nelle mie carte… A me! E'una cosaindegna!" "Vogliate perdonarmi, signora, ve ne prego, main questa circostanza, io non sono che lo strumento di cui siserve il Re. Sua Maestà non è forse uscita or ora di qui enon vi ha invitata egli stesso a prepararvi a questa visita?""Perquisite dunque, signore, poiché, a quanto pare, iosono una delinquente. Estefania, dategli le chiavi dei mieitavoli e delle mie scrivanie." Il Cancelliere finse, per puraformalità, una visita nei mobili, ma egli ben sapeva che laRegina non aveva certo riposto in un mobile l'importantelettera scritta nella giornata. Quando il Cancelliere per unaventina di volte ebbe aperto e richiuso i cassetti delloscrittoio, dovette pure, per quanto esitante egli fosse,giungere alla conclusione della faccenda, vale a dire allaperquisizione personale della Regina stessa. Egli siavvicinò quindi ad Anna d'Austria e con tono di grande

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perplessità e con aria molto imbarazzata: "E ora" disse"non mi resta che compiere la perquisizione principale.""Quale?" chiese la Regina che non capiva e non volevacapire. "Sua Maestà è sicuro che durante la giornata, voiavete scritto una certa lettera, e sa che non l'avete ancoramandata a destinazione. Questa lettera non è nei vostritavoli né nel vostro scrittoio, è dunque in qualche altroluogo." "Osereste mettere la mano sulla vostra Regina?"disse Anna d'Austria drizzandosi in tutta la sua statura efissando sul Cancelliere uno sguardo la cui espressioneera diventata quasi minacciosa. "Sono un suddito fedele diSua Maestà, signora, e farò tutto ciò che egli mi ordinerà difare." "Ebbene, è vero" disse Anna d'Austria "le spie delCardinale lo hanno servito bene. Oggi io ho scritto unalettera; la lettera non è ancora uscita da questa camera edè qui." E la Regina portò la bella mano al suo corpetto."Allora datemela, signora" disse il Cancelliere. "Non ladarò che al Re, signore." "Se il Re avesse voluto chequesta lettera gli fosse consegnata personalmente,signora, ve l'avrebbe domandata egli stesso. Invece haincaricato me di reclamarla, e se voi non me la date…""Ebbene?" "Egli ha incaricato me di prenderla." "Come?Che cosa volete dire?" "Che ho i più ampi poteri, signora,e che sono autorizzato a cercare la carta sospetta anchesulla persona di Vostra Maestà." "Che orrore!" esclamò laRegina. "Vogliate dunque rendermi più facile la cosa.""Sapete, signore, che la vostra condotta è assolutamenteinfame ?" "Il Re comanda, signora; perdonatemi." "Io non lopermetterò, piuttosto la morte!" esclamò la Regina nella

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quale si ribellava il sangue imperioso della Spagnola edell'Austriaca. Il Cancelliere si inchinò profondamente, poi,con l'intenzione ben palese di non arretrare di un passonell'adempimento della missione di cui s'era incaricato, ecome avrebbe potuto fare un manigoldo nella camera dellatortura, si avvicinò ad Anna d'Austria, dagli occhi dellaquale si videro lì per lì scaturire lacrime di rabbia. LaRegina, lo abbiamo già detto, era bellissima. La missionepoteva dunque essere considerata delicata e il Re, pergelosia di Buckingham, era arrivato a non essere geloso dinessun altro. Certamente in quell'attimo il CancelliereSéguier cercò con gli occhi la corda della famosacampana, ma non trovandola, si decise e tese la manoverso il luogo nel quale, secondo la confessione stessadella Regina, si trovava la lettera. Anna d'Austria fece unpasso indietro, e appoggiandosi, per non cadere, con lasinistra a un tavolo ch'era dietro di lei, trasse con la destrauna carta dal petto e la tese al guardasigilli. "Ecco lalettera, signore" gridò la Regina con voce spezzata efremente "prendetela e liberatemi presto della vostraodiosa presenza." Il Cancelliere che, dal canto suo,tremava per una commozione ben facile a spiegarsi, presela lettera, si inchinò fino a terra e si ritirò. Appena la portasi fu chiusa alle sue spalle, la Regina cadde semisvenutafra le braccia delle sue donne. Il Cancelliere corse aportare la lettera al Re senza averne letto una sola parola. IlRe la prese con mano tremante, cercò con l'occhiol'indirizzo che non c'era e impallidì, l'aprì lentamente, poivedendo dalle prime parole che era indirizzata al Re di

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Spagna, la lesse rapidamente. Era un piano d'attaccocontro il Cardinale. La Regina invitava suo fratello el'Imperatore d'Austria a far mostra, fingendosi offesi dallapolitica di Richelieu, la cui costante preoccupazione era didiminuire la Casa d'Austria, di voler dichiarare guerra allaFrancia e di imporre come condizione di pace il congedodel Cardinale; ma non v'era una sola parola d'amore intutta la lettera. Il Re, felicissimo, chiese se il Cardinalefosse ancora al Louvre. Gli dissero che Sua Eminenza eranel suo studio ad attendere i suoi ordini. Luigi Tredicesimosi recò immediatamente dal suo ministro. "Prendete, duca"disse porgendogli la famosa lettera "voi avevate ragione eio avevo torto; tutto l'intrigo è di carattere politico, e non siparla minimamente d'amore in questa lettera. In compenso,vi si parla molto di voi." Il Cardinale prese la lettera e lalesse attentissimamente; poi, giunto in fondo, la lesse unaseconda volta. "Ebbene! Vostra Maestà vede fin dovegiungono i miei nemici" disse "vi minacciano di due guerrese non mi congedate. In verità, se fossi al vostro posto,Sire, io cederei a tante possenti insistenze; quanto a me,mi ritirerei dagli affari con vera felicità." "Ma che cosa dite,duca?" "Dico, Sire, che con queste lotte eccessive e conquesti lavori interminabili, ci rimetto la salute. Dico che èassai probabile che io non possa sostenere le fatichedell'assedio di La Rochelle e che è preferibile chescegliate per questa impresa il signor di Condé o il signordi Bassompierre o, infine, qualche altro valoroso la cuiprofessione sia di dirigere una guerra, e non me, che sonoun uomo di chiesa e che vengo continuamente distolto

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dalla mia vocazione e costretto a occuparmi di cose per lequali non ho la minima attitudine. Voi sarete così più feliceall'interno, Sire, e non dubito che non siate anche piùgrande all'estero." "Signor duca" rispose il Re "poteteessere tranquillo, vi capisco perfettamente; tutti coloro dicui si fa menzione in questa lettera saranno puniti come simeritano, anche la Regina." "Che cosa dite, Sire? Dio nonvoglia che per ragion mia la Regina abbia la minima noia!Ella mi ha sempre creduto suo nemico, Sire, quantunqueVostra Maestà possa testimoniare che ho sempre preso lasua parte, anche contro di voi. Oh! se ella tradisse VostraMaestà nell'onore, la cosa sarebbe diversa, e io sarei ilprimo a dire: "Nessuna grazia per la colpevole". Ma perfortuna non è di questo che si tratta e Vostra Maestà ne haavuta or ora una nuova prova." "E' vero, signor Cardinale"disse il Re "voi avevate ragione come sempre, ma laRegina ha meritato ugualmente la mia collera." "Siete voi,Sire, che avete meritata la sua; e veramente, quand'ancheessa facesse seriamente il broncio con Vostra Maestà, lacapirei. Vostra Maestà l'ha trattata con una severità…" "Ecosì tratterò sempre i miei e i vostri nemici, duca, perquanto in alto siano e qualsiasi pericolo io possa correrecosì facendo." "La Regina è nemica mia, non vostra, Sire;al contrario, ella è una moglie fedele, sottomessa,irriprovevole: lasciate dunque, Sire, ch'io interceda per leipresso Vostra Maestà." "Allora sia lei ad umiliarsi e avenire a me per prima." "Al contrario, Sire, date voi il buonesempio; voi per primo avete sbagliato poiché avetesospettato della Regina." "Che io torni a lei per primo?"

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disse il Re "mai!" "Sire, ve ne supplico." "D'altronde, comepotrei fare?" "Potreste fare qualche cosa che sapeteesserle gradito." "Che cosa?" "Date un ballo: voi sapetecome la Regina sia appassionata per il ballo, sono certoche il suo rancore non resisterà a una simile cortesia." "Voisapete, signor Cardinale, che io non amo i piacerimondani." "La Regina vi sarà doppiamente riconoscenteappunto perché conosce la vostra antipatia per questodivertimento; e, d'altronde, sarà una buona occasione perlei di mettere quei bei fermagli di diamanti che le aveteregalato l'altro giorno per la sua festa e dei quali non haancora avuto la possibilità di adornarsi." "Vedremo, signorCardinale, vedremo" disse il Re che, nella sua gioia disapere la moglie colpevole di una colpa della quale poco sipreoccupava e innocente di una della quale molto temeva,era prontissimo a fare la pace con lei "ma, sul mio onore,voi siete esageratamente indulgente." "Sire" disse ilCardinale "lasciate la severità ai ministri, l'indulgenza è lavirtù regale; usatene e vedrete che ve ne troveretecontento." Dopo di che, il Cardinale, udendo la pendolasuonare le undici, s'inchinò profondamente, domandandoal Re il permesso di andarsene e supplicandolo di parlarein suo favore alla Regina. Anna d Austria, che, in seguito alsequestro della lettera, si aspettava dei rimproveri, fu assaistupita il giorno dopo allorché vide che il Re faceva deitimidi approcci di riconciliazione. Il suo primo impulso fu diripulsa, il suo orgoglio femminile e la sua dignità di Reginaerano stati entrambi troppo crudelmente offesi ed essa nonpoteva dimenticarlo con tanta facilità; ma, vinta dai consigli

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delle sue donne, essa ebbe finalmente l'aria di mettersisulla via del perdono. Il Re approfittò di questo primo motoper dirle che contava dare al più presto una festa. Era unacosa rara una festa per la povera Anna d'Austria, sì che aquesto annuncio, come il Cardinale aveva previsto, ognitraccia di risentimento disparve dal suo viso, se non dalsuo cuore. Essa domandò in che giorno si sarebbe data lafesta, ma il Re rispose che per ciò egli doveva accordarsicol Cardinale. Il Re infatti chiedeva ogni giorno al Cardinalequando si sarebbe data la famosa festa, e ogni giorno ilCardinale, con un pretesto qualsiasi, differiva il momento difissarne la data. Dieci giorni passarono in tal guisa; maotto giorni dopo la scena da noi descritta, il Cardinalericevette una lettera proveniente da Londra che contenevaqueste poche linee:"Li ho, ma non posso lasciare Londraperché non ho danaro; mandatemi cinquecento pistole, e,quattro o cinque giorni dopo che le avrò ricevute, sarò aParigi." Lo stesso giorno in cui il Cardinale aveva ricevutoquesta lettera, il re fece la solita domanda. Richelieu contòsulle dita e calcolò mentalmente: "Essa arriverà quattro ocinque giorni dopo che avrà ricevuto il denaro; sononecessari quattro o cinque giorni perché il denaro arrivi,quattro o cinque a lei per tornare, che fanno dieci giorni;ora, teniamo conto dei venti contrari, degli ostacoliimprevisti, e arriviamo a dodici." "Ebbene, signor duca"disse il Re "avete fatto i vostri calcoli ?" "Sì, Sire: oggi è il20 settembre, gli scabini della città danno una festa il 3 diottobre. La cosa si combina a perfezione, perché così nonavrete l'aria di voler rabbonire la Regina." Poi il Cardinale

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aggiunse: "A proposito, Sire, non dimenticate di dire a SuaMaestà, il giorno precedente la festa, che voi desideratevedere come le stiano i suoi fermagli di diamanti."

Capitolo 17 I CONIUGI BONACIEUX

Era la seconda volta che il Cardinale ritornava sullaquestione dei fermagli di diamanti col Re. LuigiTredicesimo fu dunque sorpreso da questa insistenza epensò che questa raccomandazione nascondesse qualchemistero. Più d'una volta il Re era stato umiliato per il fattoche il Cardinale, la cui polizia, senza avere ancoraraggiunta la perfezione della polizia moderna, eraeccellente, fosse meglio informato di lui di quanto avvenivatra lui e la Regina. Sperò dunque, grazie a unaconversazione con Anna d'Austria, di avere da lei qualchelume in proposito, e di poter tornare poi da Sua Eminenzacon un segreto qualsiasi che, noto o ignoto a quest'ultimo,lo avrebbe in ogni modo rialzato infinitamente ai suoi occhi.Andò dunque a trovare la Regina e, secondo il solito,cominciò col minacciare coloro che le stavano d'intorno.Anna d'Austria abbassò la testa, lasciò scorrere il torrentesenza rispondere, nella speranza che alla fine siarrestasse; ma non era questo che desiderava LuigiTredicesimo; egli voleva una discussione dalla qualescaturisse una luce qualsiasi, giacché era convinto che ilCardinale avesse qualche intenzione recondita e gli

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preparasse una di quelle sorprese terribili di cui egli soloaveva il segreto. Ed egli giunse allo scopo persistendonelle accuse. "Ma" gridò infine Anna d'Austria, stanca diquegli attacchi vaghi "ma, Sire, voi non mi dite tutto quantoavete in cuore! Che ho fatto? Vediamo un po', quale delittoho commesso? E' impossibile che Vostra Maestà facciatanto rumore solo per una lettera scritta a mio fratello." IlRe, attaccato a sua volta in modo così diretto, non seppeche rispondere; pensò che ormai era giunto il momento dicollocare la raccomandazione che avrebbe dovuto faresoltanto alla vigilia della festa e disse con maestà:"Signora, ci sarà ben presto un gran ballo al Palazzo dicittà; io voglio che, per onorare i nostri bravi scabini, voi viinterveniate in abito da cerimonia e, soprattutto, adorna deifermagli di diamanti che vi regalai per la vostra festa. Eccola mia risposta." La risposta era terribile. Anna d'Austriacredette che Luigi Tredicesimo fosse al corrente di tutto eche il Cardinale avesse ottenuta da lui quella lungadissimulazione di sette o otto giorni, ch'era d'altronde nelsuo carattere. Essa divenne spaventosamente pallida,appoggiò su un mobile la sua mano mirabilmente bella,che in quel momento sembrava una mano di cera, e,guardando il Re con occhi terrorizzati, non disse motto. "Miavete inteso?" ripeté il Re che godeva di quell'imbarazzopur non intendendone le cause. "Sì, Sire, vi ho inteso"balbettò la Regina. "Voi parteciperete a questo ballo?""Sì." "Con i vostri fermagli?" "Sì." Il pallore della Reginaaumentò ancora, il che non pareva possibile; il Re se neaccorse e ne gioì con quella fredda crudeltà ch'era uno dei

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lati negativi del suo carattere. "Allora è deciso" disse il Re"ed ecco tutto ciò che avevo da dirvi." "Ma… in che giornoci sarà questo ballo?" chiese Anna d'Austria. LuigiTredicesimo sentì istintivamente che non dovevarispondere a questa domanda, poiché la Regina l'avevafatta con voce quasi spenta. "Prestissimo, signora" disse"non ricordo più precisamente la data fissata, la chiederòal Cardinale." "E' dunque il Cardinale che vi ha annunciatoquesta festa?" esclamò la Regina. "Sì, signora" rispose ilRe stupito "ma perché mi fate questa domanda?" "E' luiche vi ha detto d'invitarmi a mettere i fermagli di diamanti?""Vale a dire, signora…" "E' stato lui, Sire, è stato lui!""Ebbene! Che importa che sia stato lui o io? E' forse undelitto questo invito?" "No, Sire." "Allora verrete alla festa?""Sì, Sire." "Va bene" disse il Re ritirandosi "va bene; ciconto." La Regina fece una riverenza, più per debolezzafisica che per etichetta perché le ginocchia le si piegavanosotto. "Sono perduta" mormorò la Regina "perduta perchéil Cardinale sa tutto ed è lui che consiglia il Re che ancoranon sa, ma che saprà ben presto. Io sono perduta! Diomio, Dio mio, aiutatemi!" S'inginocchiò su un cuscino epregò con la testa sprofondata tra le braccia palpitanti. Laposizione era veramente terribile. Buckingham era tornatoa Londra, la signora di Chevreuse era a Tours. Più che maisorvegliata, la Regina sentiva oscuramente che una dellesue donne la tradiva pur non sapendo su chi fermare i suoisospetti. La Porte non poteva abbandonare il Louvre; ellanon aveva un'anima al mondo di cui potersi fidare. Così, inpresenza della disgrazia che la minacciava e

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dell'abbandono in cui si trovava, essa scoppiò insinghiozzi. "Non posso essere utile in nulla a VostraMaestà?" disse a un tratto una voce piena di dolcezza e dipietà. La Regina si volse di scatto perché non c'era daingannarsi sull'intonazione di quella voce: colei che parlavacosì era un'amica. Infatti sulla soglia di una delle porte checonducevano nell'appartamento della Regina apparve lagraziosa signora Bonacieux; essa era occupata a riporregli abiti e la biancheria in uno stanzino, per cui quando il Reera entrato, non aveva fatto in tempo a uscire ed avevainteso tutto quanto egli aveva detto. La Regina gettò ungrido acuto vedendosi sorpresa, giacché nel suoturbamento, lì per lì, non aveva riconosciuto la giovanedonna posta al suo servizio da La Porte. "Oh! Non temete,signora" supplicò la giovane giungendo le mani epiangendo anch'essa per l'angoscia della Regina "ioappartengo corpo e anima a Vostra Maestà e, per quantolontana da lei, per quanto inferiore sia la mia posizione,credo di aver trovato un mezzo per liberare Vostra Maestàda queste pene." "Voi, voi, mio Dio!" esclamò la Regina"ma, suvvia… Guardatemi in faccia. Sono tradita da tutti,posso fidarmi di voi?" "Oh! Signora!" esclamò la giovanedonna cadendo in ginocchio "sull'anima mia, io sonopronta a morire per Vostra Maestà!" Questo grido erauscito dal più profondo del cuore, e come il primo, nonpoteva trarre in inganno. "Sì" continuò la signora Bonacieux"sì, qui vi sono dei traditori; ma, sul santo nome dellaVergine, vi giuro che non vi è persona più fedele di me aVostra Maestà. I fermagli che il Re domanda, voi li avete

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dati al duca di Buckingham, è vero? Quei fermagli eranochiusi in una scatoletta di legno di rosa che egli tenevasotto il braccio? Mi sbaglio forse? Non è così?" "Oh! Diomio! Dio mio!" esclamò la Regina battendo i denti per lospavento. "Ebbene, bisogna riavere quei fermagli"continuò la signora Bonacieux. "Certamente, bisogna"esclamò la Regina "ma come fare? Come riuscirci?""Bisogna mandare qualcuno dal Duca." "Chi? Chi? Di chiposso fidarmi?" "Fidatevi di me, signora; fatemi questoonore, mia Regina; io saprò trovare il messo fidato." "Masarà necessario che io scriva." "Sì, questo èindispensabile. Due parole scritte da voi e il vostro sigilloparticolare." "Ma queste due parole saranno la miacondanna, provocheranno il divorzio e l'esilio!" "Secadessero in mani indegne! Ma io garantisco che questedue parole saranno consegnate al loro indirizzo." "Dio mio!E' dunque necessario che io metta la mia vita, il mio onore,la mia riputazione nelle vostro mani!" "Sì, signora, ènecessario. E io salverò tutto." "Ma come? ditemeloalmeno." "Mio marito è stato rimesso in libertà due o tregiorni fa, non ho ancora avuto tempo di rivederlo. E' unbravo e onest'uomo che non ama e non odia nessuno.Farà ciò che vorrò: partirà per ordine mio senza sapere ciòche porta, e consegnerà la lettera di Vostra Maestà senzasapere neppure che è di Vostra Maestà, all'indirizzo chevoi indicate." La Regina afferrò le due mani della giovanecon uno slancio appassionato, la guardò come perleggerle m fondo al cuore e, non scorgendo che sinceritànei suoi begli occhi, l'abbracciò teneramente. "Fa' come

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hai detto" esclamò "e mi avrai salvato vita e onore." "Oh!Non esagerate il servizio che ho la fortuna di potervirendere. Io non ho da salvar nulla a Vostra Maestà che èsemplicemente la vittima di perfidi complotti." "E' vero, èvero, ragazza mia" disse la Regina "tu hai perfettamenteragione!" "Datemi dunque la lettera, signora, il tempostringe." La Regina corse a un tavolinetto sul quale eranoinchiostro, carta e penne: scrisse due righe, suggellò lalettera col suo sigillo personale e la consegnò alla signoraBonacieux dicendole: "Ma noi dimentichiamo una cosaben necessaria." "Quale?" "Il denaro." La signora arrossì."E' vero" disse "e debbo anche confessare a VostraMaestà che mio marito…" "Tuo marito non ne ha, vuoi dirquesto?" "Al contrario, ne ha, ma è avarissimo, questo è ilsuo difetto. Tuttavia Vostra Maestà non se ne preoccupi,troveremo il modo…" "Il guaio si è che neppure io hodenaro" disse la Regina (coloro che leggeranno leMemorie della signora di Motteville[15] non simeraviglieranno di questa risposta) "però aspetta." Annad'Austria corse al suo scrigno. "Tieni" disse a ecco unanello di gran prezzo per quel che si dice; me lo ha datomio fratello, il Re di Spagna, è mio e posso disporne a miopiacere. Prendilo, convertilo in denaro e fa' che tuo maritoparta subito." "Fra un'ora sarete obbedita." "Vedil'indirizzo" aggiunse la Regina parlando così piano cheappena si poteva intendere ciò che diceva: "A milord ducadi Buckingham, a Londra?" "La lettera sarà consegnatanelle sue mani." "Creatura generosa!" esclamò Anna. Lasignora Bonacieux baciò le mani della Regina, nascose la

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lettera in seno e disparve con la leggerezza di un uccello.Dieci minuti dopo era a casa sua. Come aveva detto allaRegina, non aveva rivisto suo marito dacché era statoscarcerato; ella ignorava dunque il cambiamentodeterminato dalle lusinghe e dal danaro di Sua Eminenza erafforzato in seguito a due o tre visite del conte diRochefort che era diventato uno dei migliori amici diBonacieux, al quale aveva fatto credere assai facilmenteche nessun sentimento colpevole lo aveva indotto a rapiresua moglie, ma soltanto una precauzione politica. Ella trovòBonacieux solo: il pover'uomo rimetteva con grande faticaun po' d'ordine in casa sua poiché aveva ritrovati i mobilimezzo fracassati e gli armadi semivuoti. La giustizia non èfra le tre cose di cui il re Salomone diceva che nonlasciano traccia del loro passaggio. In quanto alladomestica, essa era fuggita non appena avevano arrestatoil padrone. Il terrore si era impadronito della ragazza a unpunto tale che non aveva smesso di camminare sinché, daParigi, era giunta in Borgogna, suo paese natale. Il degnomerciaio, non appena tornato a casa, aveva comunicatoalla moglie il suo felice ritorno, e la moglie gli avevarisposto rallegrandosi per la ricuperata libertà eannunciandogli che il primo momento che avesse potutosottrarre ai propri doveri sarebbe stato consacratointeramente a fargli visita. Questo primo momento si erafatto attendere cinque giorni, e in tutt'altro momento l'attesasarebbe parsa ben lunga a padron Bonacieux; ma la visitache egli aveva fatta al Cardinale e quelle che avevaricevute da Rochefort gli avevano data ampia materia di

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riflessione, e, come è noto, nulla fa trascorrere veloce iltempo come il riflettere. Tanto più, che le riflessioni diBonacieux erano tutte color di rosa. Rochefort lo chiamava:"amico mio, caro Bonacieux" e gli ripetevaincessantemente che il Cardinale lo teneva in grandestima. Il merciaio si credeva quindi avviato sul camminodegli onori e della fortuna. Da parte sua, anche la signoraBonacieux aveva riflettuto, ma, convien dirlo, senzanessuna mira ambiziosa; suo malgrado, i suoi pensieriavevano avuto costantemente per oggetto quel belgiovanotto così coraggioso che sembrava tantoinnamorato. Maritata a diciott'anni al signor Bonacieux,avendo sempre vissuto in mezzo agli amici di suo marito,poco adatti a destare un sentimento qualsiasi in unagiovane donna di gusti e aspirazioni molto superiori al suoambiente, la signora Bonacieux era restata insensibileall'ammirazione volgare che la circondava. Ma inquell'epoca il titolo di gentiluomo aveva grande influenzasulla borghesia. D'Artagnan era gentiluomo; inoltre, egliindossava l'uniforme delle guardie, che dopo quella deimoschettieri era la più apprezzata dalle signore. Egli era,lo ripetiamo, bello, giovane e avventuroso; parlava d'amorecome colui che ama e vuole essere riamato, ce n'eradunque più di quanto abbisognasse per far girare una testadi ventitré anni, e la signora Bonacieux era arrivata appenaa quest'età felice. I due sposi, sebbene non si vedesseroda più di otto giorni e sebbene nel frattempo grandiavvenimenti si fossero svolti tra loro, si incontrarono conuna certa preoccupazione; nondimeno il signor Bonacieux

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manifestò una gioia sincera e andò a braccia aperte versosua moglie. La signora Bonacieux gli porse la fronte."Chiacchieriamo un poco" disse. "Perché?" chieseBonacieux stupito. "Debbo dirvi una cosaimportantissima." "In realtà, anch'io debbo farvi qualchedomanda molto seria. Spiegatemi perché vi hanno rapita,ve ne prego." "Non si tratta di questo, per il momento"disse la signora Bonacieux. "E di che cosa dunque? Forsedella mia prigionia?" "Ne fui informata lo stesso giorno incui vi arrestarono; però, siccome non avevate commessodelitto alcuno, non eravate complice di nessun intrigo, epoiché, infine, nulla sapevate che potesse comprometterevoi o qualcun altro, non detti alla cosa che l'importanza chemeritava." "Voi ne parlate con molta disinvoltura, signora!"esclamò Bonacieux ferito dal poco interesse chedimostrava sua moglie per lui "sapete che sono statorinchiuso un giorno e una notte in una segreta dellaBastiglia?" "Un giorno e una notte passano presto; nonparliamo quindi della vostra prigionia, e torniamo a ciò chemi ha condotta presso di voi." "Come! Ciò che vi hacondotta presso di me! Non è dunque il desiderio dirivedere vostro marito dal quale eravate separata da ottogiorni?" domandò il merciaio vivamente offeso. "Sì questaè la prima ragione, ma ce n'è un'altra." "Quale?" "Una cosaimportantissima e dalla quale forse dipende la nostrafortuna." "La nostra fortuna è molto mutata da quando vi hovista, e non sarei stupito se fra qualche mese facessimoinvidia a molti!" "Sì, soprattutto se vorrete seguire leistruzioni che vi darò." "A me?" "Sì, a voi. Vi è un'azione

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buona e santa da compiere, signore, econtemporaneamente da guadagnare molto denaro." Lasignora Bonacieux sapeva che parlando di denaro a suomarito, lo prendeva dal lato debole. Ma un uomo, sia pureun merciaio, allorché ha parlato dieci minuti con Richelieunon è più lo stesso uomo. "Molto denaro da guadagnare!"disse Bonacieux sporgendo le labbra. "Sì, molto." "Quantopress'a poco?" "Mille pistole, forse." "Quello che avete dachiedermi è dunque molto grave?" "Sì." "Che cosa dovròfare?" "Partirete immediatamente; vi consegnerò unalettera che non vi lascerete togliere con nessun pretesto eche consegnerete nelle mani di colui cui è indirizzata." "Eper dove debbo partire?" "Per Londra." "Io, per Londra!Andiamo, via, voi scherzate, io non ho affari a Londra.""C'è chi ha bisogno che vi andiate per lui." "Chi è? Viavverto che sono deciso a non far più nulla senza aprirbene gli occhi, voglio dunque sapere non solo a che miespongo, ma per chi mi espongo." "Una persona illustre viinvia, una persona illustre vi attende; la ricompensasorpasserà i vostri desideri, ecco quanto possopromettervi." "Ancora intrighi! Sempre intrighi! Grazie,sono diffidente, ora! Monsignor Cardinale mi ha beneilluminato in proposito." "Il Cardinale!" esclamò la signoraBonacieux. "Voi avete visto il Cardinale?" "Mi ha fattochiamare!" disse fieramente il merciaio. "E voi aveterisposto al suo invito, imprudente che siete?" "Debbo direche non avevo la scelta tra il rispondere e il non rispondere,visto che ero fra due sbirri. E posso anche aggiungere chesiccome allora non conoscevo Sua Eminenza, se avessi

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potuto dispensarmi da questa visita, ne sarei stato felice.""Vi ha dunque maltrattato? Vi ha minacciato?" "Mi ha tesola mano e mi ha chiamato amico suo! Capite, signora? Iosono l'amico del gran Cardinale!" "Del gran Cardinale?""Gli contestereste questo titolo, per combinazione,signora?" "Non gli contesto nulla, ma vi faccio notare che ilfavore di un ministro è cosa effimera, e che bisognaessere pazzi per legarsi a un ministro; vi sono poteri aldisopra del suo, che non si basano sul capriccio di unuomo o sulla riuscita di un avvenimento; ed è a questi checonviene allearsi." "Voi servite il Cardinale?" "Me nespiace, signora, ma io non conosco altra potenza chequella del grand'uomo che ho l'onore di servire." "Sì,signora, e come suo servitore, io non vi permetterò diprender parte a complotti contro la sicurezza dello Stato, odi aiutare gli intrighi di una donna che non è francese e cheha il cuore spagnolo. Ma per fortuna il grande Cardinalevigila, e il suo sguardo penetrante sorveglia tutto e penetrafino in fondo ai cuori." Bonacieux ripeteva parola perparola una frase che aveva udito dire dal conte diRochefort; ma la povera donna che aveva contato su suomarito e che, con questa speranza, si era resa garante perlui presso la Regina, ne tremò giacché pensò al pericolo alquale si era esposta e alla impotenza in cui si trovava diadempiere alle sue promesse. Tuttavia, conoscendo ladebolezza e soprattutto la cupidigia del marito, nondisperava di convincerlo. "Ah! voi siete cardinalista,signore" esclamò. "Ah! voi servite il partito di coloro chemaltrattano vostra moglie e insultano la vostra Regina!" "Gli

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interessi particolari non hanno valore di fronte all'interessedi tutti. Io sono per coloro che salvano lo Stato!" disse conenfasi Bonacieux. Era un'altra frase di Rochefort, che gliera rimasta in mente e che trovava l'occasione di usare. "Esapete che cos'è lo Stato di cui parlate?" disse la signoraBonacieux alzando le spalle. "Contentatevi di essere unborghese senza sottigliezze e mettetevi dalla parte che vioffre più vantaggi." "Eh! eh!" ghignò Bonacieux picchiandosulla pancia rotondetta di un sacco che dette un suonoargentino "che ne dite di questo, mia bella predicatrice?""Chi vi ha dato questo denaro?" "Non l'indovinate?" "IlCardinale?" "Lui, e il mio amico il conte di Rochefort." "Ilconte di Rochefort! Ma è colui che mi ha rapita!" "Puòdarsi, signora." "E voi prendete del denaro da lui?" "Nonmi avete detto che siete stata rapita per ragioni politiche?""Sì, ma il rapimento aveva per scopo di farmi tradire la miapadrona, di strapparmi con la tortura qualche confessioneche potesse compromettere l'onore e forse la vita della miaaugusta padrona." "Signora" riprese Bonacieux "la vostraaugusta padrona non è che una perfida Spagnola e tuttoquanto fa il Cardinale è ben fatto." "Signore" disse lagiovane donna "vi sapevo vile, avaro, e imbecille, ma nonvi sapevo infame!" "Signora" gridò Bonacieux che nonaveva mai visto in collera sua moglie e che arretravadinanzi al corruccio coniugale "signora, che cosa dite?""Dico che siete un miserabile" continuò la signoraBonacieux che si accorse di riprendere un pocod'ascendente sul marito. "Ah, voi fate della politica, ora? Edella politica cardinalizia per giunta! Ah! Voi vi vendete al

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diavolo corpo e anima per denaro!" "Non al diavolo, alCardinale." "E' la stessa cosa" esclamò la giovane donna."Chi dice Richelieu dice Satana." "Tacete, signora, tacete,potrebbero sentirvi." "Avete ragione, perché mivergognerei per voi della vostra viltà." "Ma che esigete dame? Sentiamo!" "Ve l'ho detto: che partiateimmediatamente, signore, che compiate lealmente lacommissione della quale mi degno incaricarvi, e a questecondizioni dimentico tutto e vi perdono; e c'è di più"aggiunse tendendogli la mano "vi rendo la mia amicizia."Bonacieux era vile e avaro, ma amava sua moglie, e siintenerì. Un uomo di cinquant'anni non serba per moltotempo rancore a una donna di ventitré. La signoraBonacieux si accorse che esitava. "Allora siete deciso?"disse. "Ma, mia cara amica, riflettete un poco su quello cheesigete da me; Londra è lontana da Parigi, molto lontana,e forse la commissione di cui m'incaricate non è senzapericoli." "Che importa se riuscite a evitarli?" "Ecco,signora Bonacieux, ecco" disse il merciaio "tutto sommato,rifiuto; gli intrighi mi fanno paura. Ho visto la Bastiglia, io! E'spaventosa, la Bastiglia! Al solo pensarci, mi viene la pelled'oca. Mi hanno minacciato di tortura, lo sapete? Viincastrano dei cunei di legno tra le gambe sino a che leossa non scoppino! No, decisamente non andrò. Caspita!Perché non ci andate voi? Se ci penso, mi pare di nonavervi mai conosciuta prima d'oggi; credo che voi siate unuomo, e dei più arrabbiati anche!" "E voi siete una donna,una donna miserabile, stupida e abbrutita. Ah, voi avetepaura! Ebbene, se non partite immediatamente, vi faccio

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arrestare per ordine della Regina e vi faccio chiudere inquella Bastiglia che vi fa tanta paura." Bonacieux siimmerse in una profonda riflessione; pensò attentamente ledue collere nel suo cervello, quella del Cardiale e quelladella Regina; quella del Cardinale gli parve di gran lunga lapiù temibile. "Fatemi arrestare per ordine della Regina e iomi farò liberare dal Cardinale." Istantaneamente la signoraBonacieux capì che si era spinta tropp'oltre e ne ebbepaura. Ella contemplò per un attimo con terrore quel voltostupido che esprimeva un'invincibile decisione, ladecisione degli sciocchi che hanno paura, poi disse:"Ebbene! sia come volete. Forse alla fin fine aveteragione! In fatto di politica un uomo ne sa più di una donnae specialmente voi, signor Bonacieux, che avete parlatocol Cardinale. Eppure è assai penoso" soggiunse "chemio marito, un uomo sull'affetto del quale credevo di potercontare, mi tratti così sgraziatamente e rifiuti di soddisfareun mio capriccio." "E' che i vostri capricci possonoportarmi chissà dove" riprese Bonacieux trionfante "e nonme ne fido." "Vuol dire che ci rinuncerò" disse la giovanedonna sospirando "ebbene, non parliamone più." "Se midiceste almeno che cosa dovrei fare a Londra" insistetteBonacieux che si ricordò un po' troppo tardi che Rochefortgli aveva raccomandato di scoprire i segreti di sua moglie."E' inutile che lo sappiate" rispose la giovane donna, cheora arretrava per una diffidenza istintiva "si trattava di unasciocchezza di quelle che desiderano le donne, di unaspesuccia sulla quale c'era da guadagnare molto." Ma piùla giovane si difendeva, più Bonacieux si persuadeva che il

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segreto che essa rifiutava di confidargli eraimportantissimo. Decise quindi di correre subito daRochefort e di dirgli che la Regina cercava un messaggeroda spedire a Londra. "Scusate se vi lascio, mia carasignora Bonacieux" disse "ma siccome non sapevo chesareste venuta a trovarmi, avevo preso un appuntamentocon uno dei miei amici; tornerò subito; siate tanto gentile diaspettarmi per non più di pochi minuti, e appena avrò finitocon quell'amico, verrò a prendervi e, poiché comincia afarsi tardi, vi ricondurrò al Louvre." "Grazie, signore"rispose la signora Bonacieux "però, siccome non aveteabbastanza coraggio per essermi d'aiuto in qualsiasimodo, me ne ritornerò benissimo al Louvre da sola.""Come vorrete, signora Bonacieux" riprese l'ex merciaio."Vi rivedrò presto?" "Certamente; spero che la prossimasettimana il mio servizio mi lasci un poco di tempo libero;ne approfitterò per venire a mettere un po' d'ordine nellemie cose che mi sembrano alquanto sossopra." "Va bene,vi aspetterò. Non siete in collera, è vero?" "Io? Neppur persogno!" "A presto, allora." "A presto." Bonacieux baciò lamano di sua moglie e se ne andò di corsa. "Suvvia" dissela signora Bonacieux, quando suo marito ebbe richiuso laporta di strada ed essa si trovò sola "non ci mancava altroche quell'imbecille divenisse cardinalista! Ed io che mi eroresa garante di lui presso la Regina, io che avevopromesso alla mia povera padrona… Dio mio, Dio mio!Ella mi prenderà per uno di quei miserabili di cui formicolail palazzo e che sono stati posti al suo fianco per spiarla.Ah, signor Bonacieux! Io non vi ho mai amato molto; ma

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ora è ben peggio; ora vi odio e, sulla mia parola, me lapagherete!" Nel momento in cui diceva queste parole, uncolpo picchiato al soffitto le fece alzare il capo e una voceche veniva dall'alto gridò: "Cara signora Bonacieux,apritemi la porticina interna e scenderò da voi."

Capitolo 18 L'AMANTE E IL MARITO

"Ah! signora" disse d'Artagnan entrando dalla porta che lagiovane aveva aperto "permettete che ve lo dica, voi aveteun ben povero marito!" "Avete dunque inteso la nostraconversazione?" chiese vivamente la signora Bonacieuxguardando d'Artagnan con inquietudine. "Per intiero." "Macome avete fatto, Dio mio!" "Con un mezzo conosciuto dame, mediante il quale ho udito anche la conversazione piùanimata che avete avuta con gli sbirri del Cardinale." "Eche cosa avete capito da quanto abbiamo detto?" "Moltecose: prima di tutto che vostro marito per fortuna è uningenuo e uno sciocco; poi che voi siete in un graveimbarazzo, del che sono molto contento perché ciò mi offreuna occasione di mettermi a vostra disposizione, e Diosolo sa che sarei pronto a gettarmi nel fuoco per voi; einfine che la Regina ha bisogno che un uomo coraggioso,intelligente e fedele faccia per lei un viaggio a Londra. Ioho per lo meno due delle tre qualità richieste, ed eccomiqua." La signora Bonacieux non rispose, ma il suo cuorebatteva di gioia e una segreta speranza brillò nei suoi

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occhi. "Quale garanzia mi darete" chiese poi "se consentoa confidarvi questo incarico?" "Il mio amore per voi. Dite,ordinate, che debbo fare?" "Dio mio, Dio mio!" mormorò lagiovane donna "debbo proprio confidarvi un tale segreto?Non siete che un ragazzo!" "Suvvia, vedo che è necessarioche qualcuno garantisca per me." "Vi confesso che questomi tranquillizzerebbe molto." "Conoscete Athos?" "No.""Porthos?" "No." "Aramis?" "No. Chi sono questi signori?""Moschettieri del Re. Conoscete il signor di Tréville, lorocapitano?" "Oh, quello sì, lo conosco! Non personalmente,ma per averne inteso parlare dalla Regina come d'uncoraggioso e leale gentiluomo." "Non temete che eglipossa tradirvi per il Cardinale, è vero?" "Oh, no,certamente!" "Ebbene, rivelate a lui il vostro segreto echiedetegli se per quanto esso sia importante, prezioso eterribile non possiate confidarlo a me." "Ma questo segretonon è mio e non posso raccontarlo così." "Stavate pure perconfidarlo a Bonacieux" disse con dispetto d'Artagnan."Come si confida una lettera al cavo di un albero, all'ala diun piccione, al collare di un cane." "Eppure dovete capireche vi amo!" "Lo dite." "Che sono un galantuomo!" "Locredo." "Che sono coraggioso!" "Oh! Di questo sonosicura." "Allora mettetemi alla prova." La signoraBonacieux guardò il giovanotto con un'ultima esitazione.Ma c'era un tale ardore nei suoi occhi, una talepersuasione nella sua voce, che si sentì trascinata afidarsene. D'altronde, ella si trovava in una di quellecircostanze nelle quali bisogna arrischiare il tutto per iltutto. La Regina era ugualmente perduta sia ch'ella

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mostrasse un eccesso di scrupolo, sia un eccesso difiducia. E, infine, diciamolo francamente, il sentimentoinvolontario ch'ella provava per quel giovane protettore ladecise a parlare. "Ascoltatemi" gli disse "mi arrendo allevostre proteste e cedo alle vostre assicurazioni. Ma vi giurodavanti a Dio che ci ascolta, che se mi tradite e se i mieinemici mi perdonassero, io mi ucciderei accusandovi dellamia morte." "E io vi giuro davanti a Dio, signora" dissed'Artagnan "che se fossi preso eseguendo gli ordini chevoi mi darete, morirò prima di fare o dire qualsiasi cosache possa compromettere qualcuno." Allora la giovanedonna gli confidò il terribile segreto di cui il caso gli avevagià rivelata una parte in faccia alla Samaritana. Fu questauna scambievole dichiarazione d'amore. D'Artagnansplendeva di gioia e d'orgoglio. Questo segreto, di cui erapossessore, quella donna che amava, la fiducia e l'amorefacevano di lui un gigante. "Io parto" disse "partoall'istante." "Come! Partite?" esclamò la signoraBonacieux "e il vostro reggimento, il vostro capitano?""Cara Costanza, in fede mia, voi mi avevate fattodimenticare tutto ciò. Avete ragione, ho bisogno di unalicenza." "Un altro ostacolo!" mormorò tristemente lasignora Bonacieux. "Oh, questo è facile da sormontare"disse d'Artagnan dopo un attimo di riflessione. "Io losormonterò, state tranquilla." "E come?" "Andrò a trovarequesta sera stessa il signor di Tréville e lo pregherò dichiedere per me questo favore a suo cognato signor DesEssarts." "E ora un'altra cosa." "Che cosa?" domandòd'Artagnan vedendo che la signora Bonacieux esitava a

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continuare. "Forse non avete denaro." "Il forse è di troppo"disse sorridendo d'Artagnan. "Allora" riprese la signoraBonacieux aprendo un armadio e tirando fuori da questoarmadio il sacchetto che pochi momenti prima aveva tantoaffettuosamente accarezzato suo marito "prendete questo."Il denaro del Cardinale !" esclamò scoppiando in unarisata d'Artagnan, il quale, come il lettore ricorderà, grazieal foro praticato nel pavimento, non aveva perso una sillabadel colloquio tra il merciaio e sua moglie. "Quello delCardinale" rispose la signora Bonacieux "vedete che sipresenta sotto un aspetto rispettabile." "Perbacco!"esclamò d'Artagnan "sarà una cosa doppiamentedivertente salvare la Regina coi denari di Sua Eminenza!""Voi siete un simpatico e delizioso ragazzo" disse lasignora Bonacieux "credetemi, la Regina non saràun'ingrata!" "Oh! io sono già grandemente ricompensato!"esclamò d'Artagnan. "Vi amo, voi mi permettete di dirvelo.E' una felicità più grande di quanto osassi sperare!""Silenzio" ordinò subitamente la signora Bonacieuxtrasalendo. "Che c'è?" "Qualcuno parla nella strada." "E' lavoce…" "Di mio marito, sì, l'ho riconosciuta." D'Artagnancorse alla porta e spinse il chiavistello. "Egli non entreràfinché io non sarò uscito" disse "e quando sarò uscito, voigli aprirete." "Ma anch'io dovrei essermene andata. Ecome farò a giustificare la sparizione di quel denaro se miritroverà ancor qui?" "Avete ragione; è necessario che cene andiamo." "Ma come? Se usciremo ci vedrà." "Allorabisogna salire nella mia camera." "Ah! voi mi dite ciò conuna intonazione che mi spaventa." E la signora Bonacieux

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pronunciò queste parole con una lacrima negli occhi.D'Artagnan vide quella lacrima, e, turbato, intenerito, sigettò ai suoi piedi. "In casa mia" disse "sarete sicura comein una chiesa, vi do la mia parola di gentiluomo!""Andiamo" diss'ella "mi fido di voi, amico mio." D'Artagnantolse con precauzione il chiavistello, e tutti e due, leggericome ombre, sgusciarono per la porta interna nel viale,salirono la scala senza il minimo rumore ed entrarono nellacamera del giovanotto. Una volta in casa sua, d'Artagnan,per maggior sicurezza, barricò la porta; entrambi siavvicinarono alla finestra e attraverso una fessura delleimposte, videro Bonacieux che parlava con un uomoavvolto in un mantello. Alla vista di quell'uomoammantellato, d'Artagnan fece un balzo e, sfoderando ametà la spada, si lanciò verso la porta. Era l'uomo diMeung. "Che cosa volete fare ?" esclamò la signora. "Voici perdete." "Ma io ho giurato di uccidere quell'individuo!"disse d'Artagnan. "In questo momento la vostra vita non viappartiene. In nome della Regina vi proibisco di mettervi inqualsiasi rischio estraneo al vostro viaggio." "E in vostronome non ordinate nulla?" "In nome mio" disse la signoraBonacieux con una viva emozione "in nome mio ve neprego. Ma mi sembra che parlino di me; ascoltiamo."D'Artagnan si riaccostò alla finestra e fu tutto orecchi. Ilsignor Bonacieux aveva aperto la porta di casa e, avendovisto l'appartamento vuoto, era tornato all'uomo delmantello che aveva lasciato solo per un attimo. "Se n'èandata" disse "sarà tornata al Louvre." "Siete sicuro" disselo sconosciuto "che non abbia avuto sentore delle vostre

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intenzioni?" "Certamente" rispose Bonacieux conimportanza "è una donna troppo superficiale." "Il cadettodelle guardie è in casa?" "Non credo; come vedete le sueimposte sono chiuse e non si vede nessuna luce brillareattraverso le fessure." "Non importa, bisognerebbesincerarsene." "E come?" "Picchiando alla sua porta.""Cercherò del suo servitore." "Andate." Bonacieux rientròin casa, passò dalla stessa porta dalla quale erano passatii due fuggitivi, salì sino al pianerottolo di d'Artagnan epicchiò. Nessuno rispose. Porthos, per far più bella figura,aveva chiesto in prestito per quella sera Planchet. In quantoa d'Artagnan non pensò neppure a dar segno di vita. Nelmomento in cui le nocche di Bonacieux picchiarono, i duegiovani si sentirono balzare il cuore nel petto. "Non c'ènessuno" disse Bonacieux. "Non importa, entriamougualmente in casa; saremo più sicuri che sulla porta.""Ah! Dio mio" mormorò la signora Bonacieux "non udiremopiù nulla!" "Anzi udiremo meglio." D'Artagnan tolse i due otre mattoni che rendevano la sua camera simile a un nuovoorecchio di Dionisio, stese un tappeto a terra, si miseginocchioni, si chinò sull'apertura e fece segno alla signoraBonacieux d'imitarlo. "Siete sicuro che non ci sianessuno?" chiese lo sconosciuto. "Ve lo garantisco" disseBonacieux. "E credete che vostra moglie?…" "Essa ètornata al Louvre." "Senza parlare a nessun altri che a voi?""Ne sono certo." "Questo è molto importante, lo capite?""Allora la notizia che vi ho data ha qualche valore…" "Ungrandissimo valore, mio caro Bonacieux, non ve lonascondo." "Il Cardinale sarà contento di me?" "Non ne

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dubito." "Il grande Cardinale!" "Siete certo che, parlandocon voi, vostra moglie non ha fatto nomi?" "Non mi pare.""Non ha nominato né la signora di Chevreuse né il signor diBuckingham, né la signora di Vernel?" "No, mi ha dettosolamente che voleva inviarmi a Londra per servire gliinteressi di una persona illustre." "Traditore!" mormorò lasignora Bonacieux. "Silenzio!" sussurrò d'Artagnanafferrando una mano ch'ella gli abbandonò senza pensarci."Non importa" continuò l'uomo del mantello "siete stato unosciocco a non fingere di accettare l'incarico. Ora la letterasarebbe in vostra mano; lo Stato, ch'essa minaccia,sarebbe stato salvato da voi…" "E io?" "Ebbene, voi! IlCardinale vi avrebbe dato delle lettere di nobiltà." "Ve lo hadetto?" "Sì, so che voleva farvi questa sorpresa." "Statetranquillo" assicurò Bonacieux "mia moglie mi adora esono ancora in tempo." "Stupido!" mormorò la signora."Silenzio!" ripeté d'Artagnan stringendole più forte la mano."Come siete ancora in tempo?" chiese l'uomo dal mantello"Torno al Louvre, domando di mia moglie, dico che horiflettuto, riannodo le trattative, piglio la lettera e corro dalCardinale." "Ebbene, fate presto; io tornerò tra poco perconoscere il risultato del vostro piano." Lo sconosciutouscì. "L'infame!" disse la signora Bonacieux indirizzandoquesto epiteto al marito. "Silenzio!" impose d'Artagnanstringendole sempre più forte la mano. Un urlo terribileinterruppe le riflessioni di d'Artagnan e della signoraBonacieux. Era il merciaio che si era accorto dellasparizione del denaro e gridava al ladro. "Dio mio"esclamò la signora Bonacieux "farà accorrere tutto il

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quartiere." Bonacieux continuò a gridare per un bel po', masiccome gridi del genere, data la loro frequenza, nonattiravano nessuno in via dei Fossoyeurs, e poiché la casadel merciaio era da qualche tempo assai malfamata,vedendo che nessuno accorreva, egli uscì continuando agridare, e si udì la sua voce che si allontanava in direzionedella via du Bac. "E ora che se n'è andato, andateveneanche voi" disse la signora Bonacieux "coraggio, ma,soprattutto, prudenza e pensate che dovete serbarvi allaRegina." "A lei e a voi!" esclamò d'Artagnan. "Statetranquilla, mia bella Costanza, tornerò degno della suariconoscenza; ma tornerò anche degno del vostro amore?"La giovane donna non rispose che col vivo rossore cheimporporò le sue guance. Pochi momenti dopo anched'Artagnan uscì, avviluppato in un ampio mantello rialzatoelegantemente dal fodero di una lunga spada. La signoraBonacieux lo seguì con quel lungo sguardo d'amore colquale una donna accompagna l'uomo che sente di amare;ma quand'egli fu scomparso all'angolo della strada, caddein ginocchio e, giungendo le mani: "Dio mio" esclamò"proteggete la Regina e proteggetemi!"

Capitolo 19 PIANO DI CAMPAGNA

D'Artagnan si recò difilato dal signor di Tréville. Egli avevariflettuto che di lì a pochi minuti il Cardinale sarebbe statoavvertito da quel dannato sconosciuto, che sembrava fosse

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il suo agente, e aveva concluso, con ragione, che non c'eraun attimo da perdere. Il cuore del giovanotto traboccava digioia. Gli si presentava un'occasione grazie alla qualepoteva insieme acquistarsi gloria e guadagnare danaro eche, come primo incoraggiamento, lo aveva riavvicinato auna donna che adorava. Questo caso faceva dunque perlui, di prim'acchito, più di quanto avrebbe mai osatodomandare alla Provvidenza. Il signor di Tréville era nel suosalotto con la solita corte di gentiluomini. D'Artagnan, cheera conosciuto come uno dei frequentatori abituali dellacasa, andò senz'altro nello studio e fece avvertire ilcapitano che desiderava vederlo per cosa di grandeimportanza. D'Artagnan era lì da cinque minuti, quando ilsignor di Tréville entrò. Al primo colpo d'occhio, dalla gioiadipinta sul suo viso, il bravo capitano si rese conto chestava effettivamente succedendo qualcosa di nuovo. Per lastrada, d'Artagnan si era chiesto se si sarebbe confidatocon il signor di Tréville, o se gli avrebbe domandatosemplicemente di dargli carta bianca per un affare segreto.Ma il signor di Tréville era stato sempre così buono con lui,era talmente devoto al Re e alla Regina e odiava cosìcordialmente il Cardinale, che il giovanotto decise a dirglitutto. "Avete fatto chiedere di me, mio giovane amico?"chiese Tréville. "Sì, signore" disse d'Artagnan "miperdonerete, spero, se vi ho disturbato, allorché saprete diche cosa si tratta." "Parlate, vi ascolto." "Si trattanientemeno" disse d'Artagnan abbassando la voce "chedell'onore e forse della vita della Regina." "Che dite?"domandò il signor di Tréville guardandosi intorno per

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assicurarsi che erano ben soli, e riportando poi lo sguardointerrogatore verso d'Artagnan. "Dico, signore, che il casomi ha svelato un segreto…" "Che spero custodirete dasolo, giovanotto, anche a costo della vita." "Ma che debbopur confidarvi, perché voi solo potrete aiutarmi a compierela commissione ricevuta da Sua Maestà." "E' un segretovostro?" "No, signore, è della Regina." "Vi ha permessoSua Maestà di farmene parte?" "No, signore, al contrario;mi è stato raccomandato il più grande mistero." "E perchédunque vi disponete a tradirlo nei miei riguardi?" "Perché,come vi ho detto, senza di voi non posso far nulla e perchétemo che mi rifiutiate la grazia che vengo a chiedervi senon sapete perché ve la chiedo." "Serbate il vostrosegreto, giovanotto, e ditemi ciò che desiderate.""Desidero che otteniate per me, dal signor Des Essarts, unpermesso di quindici giorni." "Per quando?" "Per questanotte." "Voi lasciate Parigi?" "Vado in missione." "Potetedirmi dove?" "A Londra." "Qualcuno ha interesse a che nonraggiungiate la meta?" "Il Cardinale, credo, darebbe tuttoquanto possiede per impedirmi di riuscire." "E partitesolo?" "Solo." "In tal caso non sorpasserete Bondy, ve lodico io, parola di Tréville." "Perché?" "Perché vi farannoassassinare." "Vuol dire che sarò morto facendo il miodovere." "Ma non compirete la vostra missione." "E' vero!"disse d'Artagnan. "Credetemi" continuò Tréville "inimprese di questo genere è necessario partire in quattroperché uno arrivi." "Avete ragione, signore" dissed'Artagnan "ma voi che conoscete Athos, Porthos eAramis sapete se io possa disporre di loro." "Senza

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confidare loro il segreto che io non ho voluto sapere?" "Cisiamo giurati, una volta per tutte, confidenza cieca e fedeltàa tutta prova; d'altronde voi potete dir loro che avete lamassima fiducia in me, ed essi non saranno più increduli divoi." "Posso mandar a ciascuno di essi una licenza diquindici giorni, ecco tutto: ad Athos, che soffre sempre perla sua ferita, per andare alle acque di Forges; a Porthos ead Aramis perché seguano il loro amico che non voglionoabbandonare in una sì triste situazione. La licenza cheinvierò loro sarà la prova che li autorizzo a questo viaggio.""Grazie, signore, siete troppo buono." "Andate dunque atrovarli immediatamente e fate in modo che tutto sia fattoquesta notte. Ah! prima scrivete la vostra domanda dicongedo per il signor Des Essarts. Forse una spia era giàsui vostri passi, e la vostra visita che sarà già nota alCardinale, apparirà così legittimata." D'Artagnan scrisse ladomanda, e il signor di Tréville, ricevendola dalle sue mani,garantì che prima delle due del mattino le quattro licenzesarebbero state ai rispettivi domicili dei viaggiatori."Abbiate la bontà di mandare la mia in casa di Athos"disse d'Artagnan. "Se rientrassi a casa mia, temerei difare qualche cattivo incontro." "State tranquillo. Arrivedercie buon viaggio! A proposito" disse il signor di Trévillerichiamandolo. D'Artagnan tornò indietro. "Avete denaro?"Il giovane fece suonare il sacchetto che aveva in tasca. "Vibasta?" domandò il signor di Tréville. "Sono trecentopistole." "Bene, ce n è abbastanza per andare in capo almondo." D'Artagnan salutò il signor di Tréville che gli tesela mano; d'Artagnan gliela strinse con rispetto misto di

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riconoscenza. Da quando era arrivato a Parigi, non avevaavuto che a lodarsi di quell'uomo eccellente che avevasempre trovato degno, leale e grande. La sua prima visitafu per Aramis; egli non era tornato dal suo amico dallafamosa sera in cui aveva seguito la signora Bonacieux.C'era di più; egli aveva visto rare volte il giovanemoschettiere, e ogni volta aveva creduto di notare sul suoviso una profonda tristezza. Anche quella sera Aramisvegliava cupo e distratto; d'Artagnan lo interrogò sullecause di tanta malinconia e Aramis ne incolpò uncommento del diciottesimo capitolo di Sant'Agostino chedoveva scrivere in latino per la settimana seguente e chegli dava delle serie preoccupazioni. Mentre i due amicistavano parlando, entrò un domestico del signor di Trévillelatore di un plico sigillato. "Che cos'è?" chiese Aramis. "Lalicenza che il signore ha chiesto" rispose il servo. "Io nonho chiesto licenze." "Tacete e prendete" disse d'Artagnan."E voi, amico mio, accettate mezza pistola per il vostroincomodo; direte al signor di Tréville che il signor Aramis loringrazia molto. Andate." Il servo salutò con un profondoinchino ed uscì. "Che significa ciò?" domandò Aramis."Prendete quanto vi è necessario per un viaggio di quindicigiorni e seguitemi." "Ma in questo momento non possolasciare Parigi senza sapere…" "Ciò che le è successo, èvero?" continuò d'Artagnan. "A chi?" "Alla donna che eraqui, quella del fazzoletto ricamato." "Chi vi ha detto che viera una donna qui?" mormorò Aramis diventando biancocome un morto. "L'ho vista." "E sapete chi è?" "Per lomeno, credo di saperlo." "Statemi a sentire" disse Aramis

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"visto che sapete tante cose, sapete anche che cosa siaavvenuto di quella donna?" "Presumo che sia tornata aTours." "A Tours? Sì, avete ragione, la conoscete. Maperché è tornata a Tours senza dirmi nulla?" "Perchétemeva di essere arrestata." "Come mai non mi hascritto?" "Perché temeva di compromettervi." "D'Artagnan,mi rendete la vita!" esclamò Aramis. "Mi vedevodisprezzato, tradito. Ero così felice di rivederla! Non potevocredere che ella avesse rischiato la sua libertà per me, etuttavia perché sarebbe tornata a Parigi?" "Per la stessaragione per la quale dobbiamo andarcene in Inghilterra.""E qual è questa ragione?" domandò Aramis. "La sapreteun giorno, Aramis; ma per il momento imiterò ladiscrezione della nipote del dottore." Aramis sorriseperché ricordò il racconto che aveva fatto una sera ai suoiamici. "Ebbene, poiché essa ha lasciato Parigi e voi nesiete sicuro, d'Artagnan, nulla mi trattiene più e sono prontoa seguirvi. Voi dite che andremo?…" "Da Athos, per ilmomento, e se volete venire con me, vi prego di spicciarviperché abbiamo perduto anche troppo tempo. A proposito,avvertite Bazin." "Bazin viene con noi?" chiese Aramis."Forse. Ma è meglio, in tutti i casi, che per ora ci segua daAthos." Aramis chiamò Bazin e, dopo avergli ordinato diraggiungerlo da Athos: "Partiamo dunque" disseprendendo il mantello, la spada e le sue tre pistole eaprendo inutilmente tre o quattro cassetti per vedere sec'era per caso un po' di denaro dimenticato. Poi, quando fucerto che ogni ricerca era inutile, seguì d'Artagnanalmanaccando come mai il giovane cadetto delle guardie

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sapesse così bene chi fosse la donna che egli avevaospitata e sapesse meglio di lui dove essa era. Soltanto,nel momento di uscire, Aramis pose la mano sul braccio did'Artagnan e guardandolo fissamente gli disse: "Non aveteparlato a nessuno di quella donna?" "A nessuno.""Nemmeno ad Athos e a Porthos?" "Non ne ho fattomotto." "Meno male." E ormai rassicurato su questo puntoimportante, Aramis continuò il suo cammino insieme cond'Artagnan e tutti e due arrivarono in un attimo da Athos. Lotrovarono che teneva in una mano la sua licenza e nell'altrauna lettera del signor di Tréville. "Potete spiegarmi chesignificano questa licenza e questa lettera?" dissesorpreso. "Mio caro Athos, accetto, poiché la vostra salutelo esige assolutamente, che vi prendiate quindici giorni diriposo. Andate dunque a bere le acque di Forges o quellequalsiasi altre che più vi convengono, e cercate di guarireprontamente. Vostro affezionatissimo Tréville." "Ebbene,questa licenza e questa lettera vogliono dire che voi doveteseguirmi, Athos." "Alle acque di Forges?" "O là, o altrove.""Per servire il Re?" "Il Re o la Regina: non siamo forse alservizio delle Loro Maestà?" A questo punto Porthos entrò."Perdio!" disse "ecco una cosa straordinaria: da quando inqua, nei moschettieri, si accordano licenze senza chesiano domandate?" E d'Artagnan: "Dal giorno in cui imoschettieri hanno degli amici che le chiedono per loro.""Ah, ah!" fece Porthos "sembra che qui ci siano dellenovità." "Sì, partiamo" disse Aramis. "Per quale paese?"domandò Porthos. "In fede mia, non ne so nulla" risposeAthos. "Domandalo a d'Artagnan." "Per Londra, signori"

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rispose d'Artagnan. "Per Londra" esclamò Porthos "e checosa andiamo a fare a Londra?" "Ecco ciò che non possodirvi, signori, e conviene che vi fidiate di me." "Ma perandare a Londra" soggiunse Porthos "ci vuole del denaro,e io non ne ho." "Neanch'io" disse Aramis. "Neanch'io"disse Athos. "Ne ho io per tutti" riprese d'Artagnantogliendo di tasca il suo tesoro e posandolo sulla tavola. "Inquesta borsa ci sono trecento pistole; prendiamonesettantacinque a testa; è ciò che ci abbisogna per andarea Londra e per tornare. D'altra parte, state tranquilli, nonarriveremo a Londra tutti quanti." "E perché?" "Perché èmolto probabile che qualcuno di noi resti per la strada.""Forse che ci mettiamo in campagna?" "Una campagnadelle più pericolose, ve ne avverto." "Perbacco! Ma dalmomento che corriamo il rischio di farci ammazzare" dissePorthos "vorrei almeno saperne il perché." "Non ciguadagneresti granché" fece Athos. "Tuttavia" soggiunseAramis "io la penso come Porthos." "E' forse consuetudinedel Re di rendervi conto dei suoi affari? No, egli vi dicemolto semplicemente: signori, in Guascogna o nelleFiandre ci si batte, andate e battetevi, e voi ci andate.Perché? non ve lo chiedete neppure." "D'Artagnan haragione" disse Athos "ecco le nostre tre licenze chegiungono dal signor di Tréville ed ecco trecento pistole chearrivano di non so dove. Andiamo a farci ammazzare doveci dicono di andare. La vita mette forse conto che sifacciano tante domande? D'Artagnan, sono pronto aseguirti." "E anch'io" disse Porthos. "E anch'io" soggiunseAramis. "D'altronde non mi dispiace affatto lasciare Parigi,

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ho bisogno di distrazioni." "In quanto a distrazioni, neavrete, signori miei, state tranquilli" disse d'Artagnan. "Eora, quando si parte?" domandò Athos. "Subito" risposed'Artagnan "non c'è un minuto da perdere." "Olà! Grimaud,Planchet, Mousqueton, Bazin!" gridarono i quattrogiovanotti chiamando i loro valletti. "Ungete i nostri stivali eandate a prendere i nostri cavalli a palazzo." Planchet,Grimaud, Mousqueton e Bazin partirono in gran furia. "Oraprepariamo il piano della campagna" disse Porthos "doveandiamo noi prima di tutto?" "A Calais" disse d'Artagnan.E' la strada più diretta per arrivare a Londra." "Va bene"fece Porthos "ecco la mia opinione." "Parla." "Quattrouomini che viaggiano insieme sarebbero sospetti:d'Artagnan darà a ciascuno di noi le sue istruzioni. Iopartirò prima per la strada di Boulogne per esplorare ilpercorso; Athos partirà due ore dopo per la stradad'Amiens; Aramis ci seguirà per quella di Noyon; in quantoa d'Artagnan, percorrerà la strada che gli sembreràmigliore con gli abiti di Planchet, mentre Planchet ciseguirà vestito da d'Artagnan e con l'uniforme delleguardie." "Signori" disse Athos "mi pare che non sia ilcaso di mischiare i nostri lacché in una simile faccenda: unsegreto può per combinazione essere tradito da ungentiluomo, ma è quasi sempre venduto da un servo." "Ilpiano di Porthos mi sembra impraticabile" dissed'Artagnan "poiché ignoro io stesso quali istruzioni potreidarvi. Io sono latore di una lettera, ecco tutto. Io non ho enon posso fare tre copie di questa lettera, giacché èsigillata; penso dunque che si debba viaggiare tutti

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assieme. La lettera è in questa tasca" e la indicò. "Se sonoucciso, uno di voi la prenderà e continuerete la strada; seanch'egli sarà ucciso, sarà la volta di un altro e così diseguito; purché uno arrivi, tutto andrà bene." "Bravod'Artagnan, io la penso come te" disse Athos. "E d'altrondebisogna essere logici; io vado alle acque e voi miaccompagnate; invece di andare alle acque di Forgesvado a fare i bagni di mare, sono libero della scelta. Setenteranno di arrestarci, mostrerò la lettera del signor diTréville e voi presenterete le vostre licenze; se ciassalgono, ci difenderemo; se saremo tratti in giudizio,sosterremo tenacemente che non avevamo altre intenzionise non di tuffarci un certo numero di volte in mare; sipotrebbe avere ragione facilmente di quattro uomini isolati,ma quattro uomini riuniti formano un drappello. Armeremodi pistole e di moschetti i nostri lacché; e se manderannocontro di noi un esercito, daremo battaglia e colui chesopravviverà porterà a destinazione la lettera come hadetto d'Artagnan." "Ben detto!" esclamò Aramis "tu nonparli spesso, ma quando lo fai sei Giovanni Bocca d'Oro.Adotto il piano d'Athos. E tu, Porthos?" "Anch'io" dissePorthos "se conviene a d'Artagnan. D'Artagnan, latoredella lettera, è naturalmente il capo della spedizione;decida lui e noi ubbidiremo." "Ebbene" disse d'Artagnan"decido di adottare il piano d'Athos e di partire framezz'ora." "Accettato!" risposero in coro i tre moschettieri.E ciascuno, allungando la mano verso il sacchetto, prese lesue settantacinque pistole e fece i preparativi per esserepronto all'ora stabilita.

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Capitolo 20 IL VIAGGIO

Alle due del mattino, i nostri quattro avventurieri uscironoda Parigi dalla barriera di San Dionigi; finché fu notte se nestettero silenziosi, perché loro malgrado subivanol'influenza dell'oscurità e vedevano ovunque imboscate. Aiprimi raggi del giorno le loro lingue si sciolsero; col sole,tornò la gaiezza; era come alla vigilia di un combattimento,il cuore batteva, gli occhi ridevano; tutti sentivano che lavita, che forse stavano per lasciare, era in fin dei conti unabuona cosa. L'aspetto della carovana era, del resto,imponente: i cavalli neri dei moschettieri, le loro formemarziali, l'abitudine dello squadrone che fa marciareregolarmente questi nobili compagni del soldato,avrebbero tradito anche il più stretto incognito. I servi liseguivano, armati fino ai denti. Tutto andò bene fino aChantilly, dove arrivarono alle otto del mattino. Bisognavafar colazione. Discesero a un albergo raccomandato daun'insegna che rappresentava San Martino nell'atto diregalare la metà del suo mantello a un povero. Fu ordinatoai lacché di non togliere la sella ai cavalli e di star prontiper ripartire immediatamente. Entrarono nella sala comunee si misero a tavola. Un gentiluomo, che era arrivato alloraper la strada di Dammartin, era seduto alla stessa tavola efaceva colazione. Egli attaccò conversazione parlandodella pioggia e del bel tempo; i viaggiatori risposero; egli

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bevve alla loro salute; i viaggiatori contraccambiarono lacortesia. Ma nel momento in cui Mousqueton venne adannunciare che i cavalli erano pronti e i nostri amici sidisponevano a lasciare la tavola, lo sconosciuto propose aPorthos di bere alla salute del Cardinale. Porthos risposeche non domandava di meglio se, a sua volta, losconosciuto avesse avuto la cortesia di bere alla salute delRe. Lo sconosciuto giurò di non conoscere altro re che ilCardinale. Porthos lo chiamò ubriacone e l'altro estrasse laspada. "Avete fatto una sciocchezza" disse Athos "ma nonimporta, ora non potete più indietreggiare, uccidetequest'uomo e raggiungeteci più presto che vi saràpossibile." E tutti e tre risalirono a cavallo e partirono abriglia sciolta, mentre Porthos prometteva al suoavversario di perforarlo con tutti i colpi conosciuti daglischermitori. "E uno!" disse Athos dopo aver percorsocinquecento passi. "Ma perché quell'uomo se l'è presa dipreferenza con Porthos?" chiese Aramis. "Perché Porthosparlava più forte di tutti noi, ed egli l'ha preso per il capodella spedizione" disse d'Artagnan. "Ho sempre detto chequesto cadetto di Guascogna è un pozzo di sapienza!"mormorò Athos. I viaggiatori continuarono la loro strada. ABeauvais si fermarono due ore per far riposare i cavalli eper attendere Porthos. Ma dopo due ore, siccome Porthosnon arrivava, né si sapeva nulla di lui, si rimisero incammino. A una lega da Beauvais, in un luogo in cui lastrada era incassata fra due alte scarpate, incontraronootto o dieci uomini che approfittando del fatto che in quelpunto la strada era selciata, fingevano di lavorarvi

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scavandovi buche e carreggiate fangose. Aramis, chetemeva di insudiciarsi gli stivali in quel pantano artificiale, liapostrofò duramente. Athos volle farlo tacere, ma ormaiera troppo tardi. Gli operai si misero a beffeggiare iviaggiatori e con la loro insolenza fecero perdere la testaanche al freddissimo Athos, che lanciò il cavallo contro unodi loro. Allora quegli uomini rincularono fino al fossato e vipresero ciascuno un moschetto ch'era lì nascosto; nerisultò che i nostri sette viaggiatori furono letteralmentepassati per le armi. Aramis ebbe una spalla trapassata dauna palla e Mousqueton fu colpito da un'altra palla che sistabilì nelle parti carnose che prolungano il basso dellereni. Però il solo Mousqueton cadde da cavallo; non giàche fosse ferito gravemente, ma poiché non poteva vederela propria ferita, certo la credette più pericolosa di quantonon fosse. "E' un'imboscata" disse d'Artagnan "nonbruciamo neppure un'esca e rimettiamoci in cammino."Aramis, quantunque ferito, si afferrò alla criniera del suocavallo che lo portò via con gli altri. Il cavallo di Mousquetonli aveva raggiunti e galoppava solo solo al suo posto. "Ciservirà da cavallo di ricambio" disse Athos. "Avrei preferitoun cappello" brontolò d'Artagnan "il mio mi è stato portatovia da una palla. E' una bella fortuna che non avessi messolì dentro la mia lettera!" "Ma uccideranno il povero Porthosquando passerà!" disse Aramis. "Se Porthos fosse stato ingrado di star ritto sulle sue gambe ci avrebbe già raggiunti"osservò Athos. "Penso che sul terreno l'ubbriaco si siadisubbriacato." E per due ore i nostri amici galopparonoancora, sebbene i cavalli fossero così stanchi, da far

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temere che non potessero reggere più a lungo. I viaggiatoriavevano preso le vie traverse, sperando in tal modo diavere meno noie; ma a Crèvecoeur, Aramis dichiarò chenon gli era possibile continuare. In verità c'era voluto tutto ilcoraggio ch'egli nascondeva sotto la sua forma elegante esotto i suoi modi educati per giungere fin lì. Di momento inmomento egli impallidiva e bisognava sostenerlo sul suocavallo; fu fatto scendere alla porta di un'osteria e gli fulasciato Bazin che, d'altronde, in una scaramuccia, era piùd'imbarazzo che d'aiuto e gli altri ripartirono nella speranzadi poter coricarsi ad Amiens. "Corpo di Bacco!" disseAthos, quando si ritrovarono sulla strada, ridotti a duepadroni e due servi' "Corpo di Bacco! non cadrò più nelleloro reti e giuro che da qui a Calais non mi faranno piùaprire la bocca o sguainare la spada." "Non giuriamo"disse d'Artagnan "ma galoppiamo, se pure i nostri cavalliacconsentono a farlo." E i viaggiatori piantarono gli speroninel ventre delle loro cavalcature che, vigorosamentestimolate, ritrovarono le forze. A mezzanotte arrivarono adAmiens e discesero all'albergo del Giglio d'Oro.L'albergatore aveva un aspetto da galantuomo checonsolava; ricevette i viaggiatori col candeliere in unamano e il suo berretto di cotone nell'altra; egli vollealloggiare i due viaggiatori ognuno in una camera;disgraziatamente le due stanze erano alle due opposteestremità dell'albergo. D'Artagnan e Athos rifiutarono;l'albergatore rispose che non v'erano altre camere degnedelle 'Loro Eccellenze'; ma i viaggiatori dichiararono cheavrebbero dormito nella camera comune, ciascuno su un

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materasso steso a terra. L'oste insistette, i viaggiatorifurono inflessibili e bisognò fare come volevano. Avevanoappena preparati i letti e barricata la porta all'interno,quando sentirono picchiare alle imposte della finestra chedava sul cortile. Domandarono chi fosse, riconobbero levoci dei loro servitori e aprirono. "Grimaud basta perbadare ai cavalli" osservò Planchet "se i signori lopermettono, mi coricherò attraverso la porta; in questomodo saranno certi che nessuno potrà giungere sino aloro." "E tu, su che cosa ti coricherai?" domandòd'Artagnan. "Ecco il mio letto" rispose Planchet mostrandouna bracciata di paglia. "Allora vieni" disse d'Artagnan "hairagione, la fisionomia dell'oste non mi persuade troppo; èeccessivamente melliflua." "E neanche a me piace"affermò Athos. Planchet salì dalla finestra, e si coricòattraverso la porta, mentre Grimaud andava a chiudersi achiave nella scuderia, assicurando che alle cinque delmattino lui e i cavalli sarebbero stati pronti. La notte passòabbastanza tranquilla; è vero che verso le due del mattinoqualcuno tentò di aprire la porta, ma siccome Planchet,svegliato di soprassalto gridò: "Chi va là?", quelli di fuoririsposero che si erano sbagliati e si allontanarono. Allequattro del mattino si udì un grande fracasso nellescuderie. Grimaud aveva voluto svegliare i garzoni di stalla,ed essi lo picchiavano. Quando i nostri amici aprirono lafinestra, videro il povero figliuolo svenuto, con la testaspaccata da un colpo di forcone. Planchet discese incortile per sellare i cavalli, ma questi erano ancora sfiniti.Solamente quello di Mousqueton che il giorno prima aveva

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viaggiato per cinque o sei ore senza cavaliere, avrebbepotuto continuare la strada, ma, per un errore inspiegabile,il veterinario, che era stato chiamato, a quanto pare, persalassare il cavallo dell'albergatore, aveva salassato quellodi Mousqueton. Tutto questo cominciava a destar qualchepreoccupazione; tutti questi incidenti spiacevoli, forse sidovevano al destino, ma potevano anche essere frutto diun complotto. Athos e d'Artagnan uscirono, mentrePlanchet andava ad informarsi se nei dintorni non cifossero tre cavalli da vendere. Alla porta trovò due cavalli,perfettamente equipaggiati, freschi e vigorosi. Era quantooccorreva. Chiese dove erano i loro padroni e gli fu dettoche avevano trascorso la notte all'albergo e in quelmomento stavano regolando il conto con l'albergatore.Athos a sua volta scese per pagare quanto doveva, ed'Artagnan e Planchet rimasero sulla porta della strada.L'oste era in una bassa stanza interna, dove Athos fupregato di entrare. Athos entrò senza diffidenza alcuna edestrasse due pistole per pagare: l'albergatore era solo,seduto al suo banco; prese senza esitare il denaro che ilmoschettiere gli porgeva, lo rigirò per ogni verso e ad untratto, gridando che le monete erano false, dichiarò cheavrebbe fatto senz'altro arrestare lui e il suo compagnocome falsari. "Briccone!" disse Athos scagliandoglisicontro "ti taglierò le orecchie." Nello stesso momentoquattro uomini armati fino ai denti entrarono dalle portelaterali e si gettarono su Athos. "Sono preso" gridò Athoscon tutta la forza dei suoi polmoni "al largo, d'Artagnan!Sprona, sprona!" e sparò due colpi di pistola. D'Artagnan e

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Planchet non si fecero ripetere il consiglio, slegarono i duecavalli che attendevano alla porta, li inforcarono, piantaronoloro gli speroni nel ventre e partirono al gran galoppo. "Saiche cosa sia capitato ad Athos?" chiese d'Artagnan aPlanchet correndo. "Ah! signore" disse Planchet "ne hoveduti cader due ai suoi due colpi, e attraverso i vetri dellaporta mi è parso di vedere che si batteva con gli altri.""Bravo Athos!" mormorò d'Artagnan. "E quando penso chedebbo abbandonarti! Ma forse qualche cosa di simile ciaspetta a due passi di qui. Avanti, Planchet, avanti! Tu seiun brav'uomo!" "Ve lo dissi, signore" rispose Planchet "iPiccardi si fanno apprezzare alla prova; d'altronde, qui iosono nel mio paese, e questo mi eccita." Ed entrambi,sempre spronando furiosamente, arrivarono a Saint-Omer.A Saint-Omer fecero riposare i cavalli tenendo però labriglia infilata nel braccio per tema di qualche incidente,mangiarono un boccone in piedi in mezzo alla strada, dopodi che ripartirono. A cento passi dalle porte di Calais, ilcavallo di d'Artagnan stramazzò a terra e non ci fu mezzo difarlo rialzare; il sangue gli usciva dalle froge e dagli occhi;rimaneva quello di Planchet, ma questo si era fermato erifiutava di rimettersi in moto. Per fortuna, come s'è detto,erano a soli cento passi dalla città; abbandonarono quindisulla strada i loro cavalli e corsero al porto. Planchet feceosservare al suo padrone un gentiluomo che arrivava colsuo domestico e che li precedeva di una cinquantina dipassi. Si avvicinarono vivamente a questo gentiluomo, chesembrava aver molta fretta. Egli aveva gli stivali coperti dipolvere, e si informava se fosse possibile passare

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immediatamente in Inghilterra. "La cosa sarebbefacilissima" rispose il padrone di un veliero che era prontoa salpare "ma proprio stamane è giunto l'ordine di nonlasciar partire anima viva senza uno speciale permessodel Cardinale." "Ma io ho appunto il permesso" ribatté ilgentiluomo, levando di tasca un foglio "eccolo." "Fatelovistare dal governatore del porto" disse il padrone a edatemi la preferenza." "Dove posso trovare ilgovernatore?" "Nella sua villa." "E dov'è questa villa?" "Aun quarto di lega dalla città; guardate, si vede di qui, alpiede di quella collinetta, il suo tetto di lavagna.""Benissimo" disse il gentiluomo. E, seguito dal suo lacché,si avviò verso la villa del governatore. D'Artagnan ePlanchet seguirono il gentiluomo a cinquecento passi didistanza. Una volta fuori dalla città, d'Artagnan affrettò ilpasso e raggiunse il gentiluomo mentre entrava in unboschetto. "Signore" disse d'Artagnan a mi pare cheabbiate molta fretta." "Non si potrebbe averne di più,signore." "Me ne dispiace moltissimo" gli disse d'Artagnan"perché, siccome anch'io ho fretta, volevo pregarvi di unfavore." "Quale?" "Di lasciarmi passare per primo.""Impossibile" disse il gentiluomo "ho fatto sessanta leghein quarantaquattro ore e bisogna che domani amezzogiorno sia a Londra." "Ho fatto la stessa strada inquaranta ore e bisogna che domattina alle dieci sia aLondra." "Desolato, signore, ma sono arrivato per primo enon passerò al secondo posto." "Desolato, signore, masono arrivato secondo e passerò per primo." "Servizio delRe!" disse il gentiluomo. "Servizio mio personale!" disse

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d'Artagnan. "A quanto pare, voi cercate un mezzo perattaccar briga." "Perbacco! E che altro volete che sia?" "Eche cosa desiderate?" "Volete saperlo?" "Certamente.""Ebbene, voglio l'ordine di cui siete latore, visto che io nonce l'ho e che mi è necessario." "Credo che scherziate.""Non scherzo mai." "Lasciatemi passare!" "Nonpasserete." "Mio caro giovanotto, vi fracasserò la testa!Olà, Lubin! le mie pistole!" "Planchet" disse d'Artagnan"occupati del servo, io mi occuperò del padrone." Planchet,reso ardito dalle prime gesta, saltò addosso a Lubin esiccome era agile e forte, lo rovesciò con le reni controterra e gli mise un ginocchio sul petto, dicendo: "Fate levostre faccende, signore, io ho fatto la mia." Vedendo ciò ilgentiluomo sfoderò la spada e si lanciò contro d'Artagnan;ma aveva a che fare con un avversario pericoloso. In tresecondi d'Artagnan gli somministrò tre colpi di spadadicendo a ogni colpo: "Uno per Athos, uno per Porthos,uno per Aramis." Al terzo colpo il gentiluomo cadde comeun masso. D'Artagnan lo credette morto o per lo menosvenuto e gli si avvicinò per prendere il lasciapassare; manel momento in cui tendeva il braccio per frugarlo, il ferito,che non aveva lasciata la spada, gli allungò un colpo dipunta al petto dicendo: "E uno per voi!" "Uno per me, mal'ultimo è quello buono!" esclamò d'Artagnan furioso,inchiodandolo a terra con un quarto colpo di spada nelventre. Questa volta il gentiluomo chiuse gli occhi e svenne.D'Artagnan frugò nella tasca in cui lo aveva visto riporre illascia-passare e lo prese. Era intestato al conte diWardes. Poi, gettando un'ultima occhiata al bel giovane,

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che aveva appena venticinque anni e che lasciava lìsdraiato, privo di sensi e forse morto, sospirò al pensierodella strana fatalità che spinge gli uomini a uccidersiscambievolmente per servire gli interessi di gente estraneache spesso non sa neppure che essi esistano. Ma fu subitorichiamato alla realtà dalle urla di Lubin che gridava aperdifiato e invocava con tutte le forze al soccorso.Planchet gli mise una mano alla gola e strinse con tutta laforza. "Signore" disse "finché lo terrò così non griderà più,ne sono sicuro; ma appena lo lascerò, ricomincerà. Hocapito che è un Normanno e i Normanni sono testardi."Infatti, sebbene mezzo soffocato, Lubin cercava ancora diemettere dei suoni. "Aspetta!" disse d'Artagnan; e, preso ilsuo fazzoletto lo imbavagliò. "E ora" disse Planchet"leghiamolo a un albero." La cosa fu fattacoscienziosamente, poi il conte di Wardes fu trascinatovicino al suo domestico; e siccome la notte era ormaiscesa e l'imbavagliato e il ferito erano di pochi passi entroil bosco, non ci voleva molto a capire che sarebberorimasti lì fino al giorno dopo: "E ora" disse d'Artagnan "dalgovernatore." "Ma siete ferito, mi sembra" osservòPlanchet. "Non è niente, occupiamoci prima di quantopreme, poi penseremo alla ferita che non mi sembra moltopericolosa." E tutti e due s'incamminarono a gran passiverso la villa del degno funzionario. Fu annunciato il contedi Wardes e d'Artagnan fu introdotto. "Avete un lascia-passare firmato dal Cardinale?" chiese il governatore. "Sì,signore, eccolo" disse d'Artagnan. "Ah, ah, è perfettamentein regola e voi siete caldamente raccomandato" disse il

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governatore. "E' naturale" disse d'Artagnan "sono fra i suoipiù fidati!" "Pare che Sua Eminenza voglia impedire aqualcuno di giungere in Inghilterra." "Sì, a un certod'Artagnan, un gentiluomo bearnese che è partito da Parigicon tre suoi amici con l'intenzione di raggiungere Londra.""Lo conoscete personalmente?" domandò il governatore."Chi?" "Quel d'Artagnan." "Benissimo." "Datemi i suoiconnotati, allora." "Niente di più facile." E d'Artagnan detteminuziosamente i connotati del conte di Wardes. "E'accompagnato?" domandò il governatore. "Sì, da un servochiamato Lubin." "Saranno tenuti d'occhio e se riesco adacchiapparli, Sua Eminenza può star tranquillo, verrannoricondotti a Parigi sotto buona guardia." "Facendo questo,signor governatore" disse d'Artagnan "avrete lariconoscenza del Cardinale." "Voi lo rivedrete al vostroritorno, signor conte?" "Certamente." "Allora, vi prego didirgli che sono suo servitore." "Sarà fatto." E, contento ditale certezza, il governatore mise il visto sul lascia-passaree lo restituì a d'Artagnan. D'Artagnan senza perder tempoin inutili cerimonie, salutò e ringraziò il governatore, poiuscì. Una volta fuori, lui e Planchet si misero a correre e,facendo un lungo giro per evitare il bosco, rientrarono incittà per un'altra porta. Il bastimento era sempre pronto apartire, il padrone aspettava sul molo. "Ebbene?" diss'egliscorgendo d'Artagnan. "Ecco il mio passaporto, vistato"rispose il giovanotto. "E l'altro gentiluomo?" "Per oggi nonpartirà" disse d'Artagnan "ma state tranquillo, pagherò ilviaggio per tutti e due." "In questo caso, partiamo" disse ilpadrone. "Partiamo" ripeté d'Artagnan. E, seguito da

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Planchet saltò nel canotto; cinque minuti dopo erano abordo. Era tempo; a una mezza lega dalla riva, d'Artagnanvide brillare una subita luce e sentì una detonazione. Era ilcolpo di cannone che annunziava la chiusura del porto. Oraconveniva ch'egli si occupasse della sua ferita;fortunatamente, come aveva pensato d'Artagnan, non eradelle più pericolose: la punta della spada, avendoincontrato una costola, era scivolata lungo l'osso; siaggiunga che la camicia aveva aderito immediatamentealla piaga, di modo che questa aveva versato appenaqualche goccia di sangue. D'Artagnan era schiantato dallafatica: gli fu steso un materasso sul ponte, ed egli si coricòaddormentandosi subito. Il giorno dopo, sul far dell'alba, sitrovò a tre o quattro leghe soltanto dalla costadell'Inghilterra; il vento era stato debole tutta la notte, e lanave aveva fatto poca strada. Alle dieci del mattino, furonocalate le ancore nel porto di Dover. Alle dieci e mezzod'Artagnan poneva il piede sul suolo dell'Inghilterragridando: "Finalmente ci sono!" Ma non era tutto;bisognava arrivare a Londra. In Inghilterra la posta erabene organizzata; d'Artagnan e Planchet presero uncavalluccio per ciascuno e un postiglione li precedette; inquattro ore erano alle porte della capitale. D'Artagnan nonconosceva Londra, d'Artagnan non sapeva una parolad'inglese; ma avendo scritto sopra un biglietto il nome diBuckingham, tutti gli indicarono il palazzo del duca. Il ducaera a Windsor col Re, per una partita di caccia. D'Artagnanchiese di parlare col cameriere di fiducia del duca, il quale,avendolo accompagnato in tutti i suoi viaggi, parlava

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correttamente il francese. Gli disse che arrivava da Parigiper una questione di vita o di morte e che bisognava cheegli parlasse al suo padrone immediatamente. La fiduciacon cui d'Artagnan parlava convinse Patrizio, tale era ilnome di quel ministro del ministro. Egli fece sellare duecavalli e s'incaricò di accompagnare personalmente ilgiovanotto. In quanto a Planchet, egli era stato aiutato adiscendere dalla sua cavalcatura, rigido come un piuolo; ilpovero figliuolo era giunto allo stremo delle sue forze;d'Artagnan sembrava di ferro. Arrivarono al castello, oveseppero che il Re e Buckingham erano a caccia in certepaludi due o tre leghe distanti. In venti minuti vi furono equasi immediatamente Patrizio sentì la voce del suopadrone che richiamava il falco. "Chi debbo annunciare alduca?" chiese Patrizio. "Il giovanotto che una sera volevaattaccar lite con lui sul Ponte Nuovo, di fronte allaSamaritana." "E' una raccomandazione ben strana!""Vedrete che vale quanto un'altra." Patrizio mise il suocavallo al galoppo, raggiunse il duca e gli annunciò ilmessaggero che lo attendeva con le parole suggeritegli dad'Artagnan. Buckingham riconobbe subito d'Artagnan, e,immaginando che in Francia fosse accaduto qualche cosadi grave cui gli veniva inviata notizia, non prese che iltempo di chiedere ove fosse colui che gliela portava; poi,riconosciuta di lontano l'uniforme delle guardie, mise ilcavallo al galoppo e venne direttamente verso d'Artagnan.Patrizio, per discrezione, se ne stette in disparte. "Non èsuccessa qualche disgrazia alla Regina?" esclamòBuckingham, mettendo in questa domanda tutto il suo

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pensiero e tutto il suo amore. "Non credo; però temo laminacci qualche grande pericolo dal quale solo VostraGrazia potrà salvarla." "Io?" esclamò Buckingham. "Come!Sarei dunque così fortunato da servirla in qualche cosa?""Prendete questa lettera" disse d'Artagnan. "Questalettera! Di chi è questa lettera?" "Di Sua Maestà, credo.""Di Sua Maestà!" disse Buckingham impallidendo in modotale che d'Artagnan temette fosse lì lì per svenire. Il ducaruppe il suggello. "Cos'è questo strappo?" chiesemostrando a d'Artagnan un punto in cui la lettera erapassata da parte a parte. "Ah! ah!" disse d'Artagnan "nonavevo visto ciò; sarà stata la spada del conte di Wardesche ha fatto quel bel taglio colpendomi nel petto." "Ma sieteferito?" domandò Buckingham aprendo la lettera. "Non ènulla" disse d'Artagnan "una semplice graffiatura." "Diomio! che cosa leggo!" esclamò il duca "Patrizio resta qui, omeglio, raggiungi il Re dovunque si trovi e di' a SuaMaestà che lo supplico umilmente di scusarmi, ma che unaffare della massima importanza mi costringe a tornare aLondra. Venite, signore seguitemi." Ed entrambi algaloppo ripresero la via della capitale.

Capitolo 21 LA CONTESSA DI WINTER

Per tutta la strada il duca si fece mettere al corrente dad'Artagnan, non di tutto quanto era successo, ma di ciò ched'Artagnan sapeva. Collegando ciò che gli disse il giovane

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con i suoi ricordi personali, poté dunque farsi un'ideaabbastanza esatta della gravità di una situazione dellaquale, d'altronde, la lettera della Regina, per quanto breve,gli dava la giusta misura. Ma ciò che lo meravigliava più ditutto, era che il Cardinale, interessato com'era a che ilgiovanotto non mettesse piedi in Inghilterra, non fosseriuscito ad arrestarlo lungo la strada. Allora, e mossosoltanto dalle manifestazioni di questa meraviglia,d'Artagnan gli raccontò le precauzioni prese e come,grazie all'abnegazione dei suoi tre amici che avevadisseminato feriti e sanguinanti lungo la via, egli fossearrivato a cavarsela senz'altri danni che il colpo di spadada cui la lettera della Regina era stata attraversata e ch'egliaveva restituito con gli interessi, e che interessi!, al signordi Wardes. Ascoltando questo racconto fatto con lamassima semplicità, il duca guardava di tanto in tanto conaria stupefatta il giovanotto quasi che non riuscisse acapire come tanta prudenza, tanto coraggio e tantaabnegazione andassero d'accordo con un viso che nondimostrava ancora vent'anni. I cavalli parevano trasportatidal vento e in pochi minuti furono alle porte di Londra.D'Artagnan aveva pensato che una volta in città il ducaavrebbe rallentato l'andatura del suo, ma si era sbagliato;egli continuò la sua strada a tutta velocità nonpreoccupandosi minimamente del rischio di travolgerecoloro che gli si paravano davanti. E infatti, nella corsaattraverso la City, gli accaddero due o tre accidenti delgenere, ma egli non volse neppure il capo per vederecoloro che aveva investito. D'Artagnan lo seguiva tra uno

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scatenarsi di grida che assomigliavano molto amaledizioni. Entrando nel cortile del suo palazzo,Buckingham saltò a terra e, senza più occuparsi delcavallo, si slanciò verso la scalinata d'ingresso. D'Artagnanlo imitò, con un po' d'inquietudine tuttavia per quei nobilianimali di cui aveva potuto apprezzare il merito; ma ebbela consolazione di vedere che tre o quattro servi si eranogià slanciati fuori dalle cucine e dalle scuderie e si davanoda fare attorno alle loro cavalcature. Il duca camminavacosì velocemente ch'egli stentava a seguirlo. Attraversòsuccessivamente molti saloni d'una eleganza che i piùgrandi signori di Francia non avrebbero neppure sognato,e arrivò infine a una camera da letto che era un miracolo difastosità e di buon gusto. Nell'alcova di questa camerac'era una porta nascosta dalla tappezzeria che il duca aprìcon una chiavetta d'oro sospesa al suo collo da una catenadello stesso metallo. Per discrezione, d'Artagnan erarimasto indietro; ma nel momento in cui Buckingham stavaper passare la soglia della porta, si volse e, notandol'esitazione del giovane, disse: "Venite, e se avrete lafortuna di essere ammesso alla presenza di Sua Maestà,ditele ciò che avrete visto." Incoraggiato da questo invito,d'Artagnan seguì il duca, che chiuse la porta dietro di loro.Si trovarono allora in una piccola cappella tappezzata diseta di Persia ricamata in oro, ardentemente illuminata dainnumerevoli candele. Sopra una specie di altare al riparodi un baldacchino di velluto turchino sormontato da piumebianche e rosse stava un ritratto di Anna d'Austria ingrandezza naturale e così perfettamente rassomigliante

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che d'Artagnan gettò un grido di sorpresa: si sarebbepotuto credere che la Regina stesse per parlare. Sopral'altare e al di sotto del ritratto si trovava il cofanetto cheracchiudeva i fermagli di diamanti. Il duca si avvicinòall'altare, s'inginocchiò come avrebbe fatto davanti aCristo, poi aprì il cofanetto. "Prendete" gli disse estraendodal cofano un grosso nodo di nastro azzurro tuttosplendente di diamanti a ecco i preziosi fermagli coi qualiavevo giurato di essere seppellito. La Regina me li ha dati,la Regina me li riprende: sia fatta la sua volontà, come lavolontà di Dio, in tutto e per tutto." Poi si mise a baciarel'uno dopo l'altro i fermagli dai quali doveva separarsi. A untratto gettò un grido terribile. "Che c'è?" chiese coninquietudine d'Artagnan "che cosa vi accade, milord?" "C'èche tutto è perduto!" esclamò Buckingham pallido come unmorto "c'è che mancano due fermagli; non ce ne sono piùche dieci!" "Milord, crede di averli perduti o teme che glieliabbiano rubati?" "Me li hanno rubati" riprese il duca "ed è ilCardinale che ha fatto il colpo. Guardate il nastro a cuisono attaccati; è stato tagliato con le forbici." "Se Milordpotesse sospettare di qualcuno… Forse il ladro li haancora nelle sue mani." "Aspettate, aspettate!" esclamò ilduca. "La sola volta in cui misi questi fermagli, fu al ballodel Re, otto giorni or sono, a Windsor. La contessa diWinter, con la quale ero in discordia, si avvicinò a medurante il ballo. Questa riconciliazione non era che unavendetta di donna gelosa. Da quel giorno non l'ho piùrivista. Quella donna è un agente del Cardinale." "Ma ne hadunque in tutto il mondo?" esclamò d'Artagnan. "Oh, sì, sì"

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disse Buckingham, stringendo i denti per la collera" "sì!Egli è un terribile lottatore. Ma, vediamo, quando si daràquesto ballo?" "Lunedì prossimo." "Lunedì prossimo! Cisono ancora cinque giorni, è più di quanto ci occorre.Patrizio" chiamò il duca aprendo la porta della cappella"Patrizio!" Il cameriere fidato apparve. "Mandate achiamare il mio gioielliere e il mio segretario." Il cameriereuscì con una rapidità e un mutismo che provavano com'egliavesse contratta l'abitudine di obbedire ciecamente esenza replicare. Ma sebbene il gioielliere fosse statochiamato per primo, il primo a presentarsi fu il segretario.Era naturale, giacché abitava nel palazzo. Egli trovòBuckingham nella sua camera da letto seduto ad un tavolointento a scrivere di suo pugno alcuni ordini. "SignorJackson" gli disse "andate immediatamente dal Lord-cancelliere e ditegli che lo incarico di far eseguire questiordini. Desidero siano promulgati immediatamente." "Ma,monsignore, se il Lord-cancelliere mi chiede i motivi percui Vostra Grazia prende una misura così straordinaria,che cosa debbo rispondere?" "Che così voglio e che nondebbo rendere conto a nessuno della mia volontà." "Dovràrispondere così anche a Sua Maestà" riprese sorridendo ilsegretario "se, per combinazione, Sua Maestà avesse lacuriosità di sapere perché nessun bastimento può salparedai porti della Gran Bretagna?" "Avete ragione, signore"rispose Buckingham; "e in questo caso egli dirà al Re cheha deciso la guerra e che questa misura è il primo atto diostilità contro la Francia." Il segretario si inchinò ed uscì."Eccoci tranquilli da questo lato" disse Buckingham

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volgendosi a d'Artagnan; "se i fermagli non sono già partitiper la Francia, non arriveranno che dopo di voi." "Ecome?" "Ho vietato a tutti i bastimenti che si trovano inquesto momento nei porti di Sua Maestà di partire senzaun mio permesso particolare e sono certo che non unooserà levare l'àncora." D'Artagnan guardò con meravigliaquell'uomo che metteva l'illimitato potere del quale potevadisporre per la fiducia del suo Re, al servizio dei propriamori. Buckingham vide dallo stupore del giovane ciò chegli passava per la mente, e sorrise. "Si" disse "Annad'Austria è la mia vera Regina; per una sua parola tradireiil mio paese, tradirei il mio Re, tradirei il mio Dio. Ella miha chiesto di non mandare gli aiuti che avevo promesso aiprotestanti di La Rochelle e non li ho mandati. Ho mancatodi parola, ma che importa se ho obbedito a un suodesiderio? Non sono forse stato ricompensato di questamia obbedienza, se grazie a questa obbedienza ho avuto ilsuo ritratto?" D'Artagnan pensò a quali fragili esconosciute fila sono alle volte sospesi i destini degliuomini e dei popoli. Era immerso nel più profondo dellesue riflessioni, quando entrò l'orefice: costui era unIrlandese abilissimo nella sua arte, il quale confessava diguadagnare centomila lire all'anno col duca diBuckingham. "Signor O'Reilly" gli disse il ducaconducendolo nella cappella "guardate questi fermagli didiamanti e ditemi quanto può costare ciascuno di essi."L'orefice vide con una sola occhiata l'eleganza con cuierano montati, calcolò l'uno per l'altro il valore dei diamantie senza esitare rispose: "Millecinquecento pistole l'uno,

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Milord." "Quanti giorni vi occorrerebbero per fare duefermagli come questi? Vedete che ne mancano due." "Ottogiorni, Milord." "Li pagherò tremila pistole l'uno, ma ne hobisogno dopodomani." "Milord li avrà." "Siete un uomoprezioso, signor O'Reilly, ma non vi ho detto tutto. Questifermagli non possono essere affidati a nessuno, ènecessario che siano fatti in questo palazzo." "Impossibile,Milord, non ci sono che io che possa eseguirli in modo chenon sia possibile scorgere differenza alcuna fra quelli nuovie quelli vecchi." "Cosicché, mio caro signor O'Reilly, voisiete mio prigioniero e da questo momento non potresteuscire dal mio palazzo quand'anche lo voleste; decidetevidunque. Ditemi di quali fra i vostri garzoni avete bisogno editemi quali sono gli utensili che debbono portarvi."L'orefice conosceva il duca e sapeva che ogniosservazione sarebbe stata inutile; fece dunque buon visoa cattiva fortuna e domandò: "Mi è permesso di avvertiremia moglie?" "Vi sarà anche permesso di vederla, caroO'Reilly; la vostra prigionia sarà dolcissima, statetranquillo, e siccome ogni incomodo vuole un compenso,ecco, all'infuori del prezzo dei fermagli, un buono di millepistole per farvi dimenticare la noia che vi procuro."D'Artagnan non rinveniva dalla sorpresa che gli procuravaquel ministro che maneggiava a suo capriccio uomini emilioni. Quanto all'orefice, egli scrisse alla moglieinviandole il buono di mille pistole, incaricandola dimandargli in cambio il suo più abile apprendista, unassortimento di diamanti di cui le dava il peso e il titolo,insieme con una lista degli utensili che gli erano necessari.

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Buckingham condusse l'orefice nella camera destinatagli,che in men di mezz'ora fu trasformata in laboratorio. Poi,mise una sentinella a ogni porta con l'ordine di non lasciareentrare anima viva, fatta eccezione per il suo cameriere difiducia, Patrizio. E' inutile aggiungere che O'Reilly e il suoaiutante non potevano uscire per nessun pretesto. Ciò fattoil duca tornò da d'Artagnan. "E ora, mio giovane amico"disse "l'Inghilterra appartiene a noi due; che cosa volete,che cosa desiderate?" "Un letto" rispose d'Artagnan "per ilmomento è la cosa di cui ho più bisogno, lo confesso."Buckingham dette a d'Artagnan una camera attigua allasua. Voleva avere il giovane sottomano, non perchédiffidasse di lui, ma per avere qualcuno col quale parlarecostantemente della Regina. Un'ora dopo fu promulgatoper tutta Londra l'ordine di non lasciar partire dai portinessun bastimento che salpasse per la Francia, neppure ilbattello postale. Da tutti quest'ordine fu interpretato comeuna dichiarazione di guerra fra i due regni. Due giornidopo, alle undici, i due fermagli di diamanti erano pronti eimitati con tale perfezione che Buckingham non riuscì ariconoscere i nuovi da quelli vecchi e che i più pratici in talemateria sarebbero stati ingannati al pari di lui.Immediatamente fece chiamare d'Artagnan. "Ecco" disse"i fermagli che siete venuto a prendere e siatemitestimonio che tutto quanto una potenza umana potevafare, io l'ho fatto." "State tranquillo, Milord; dirò ciò che hovisto; ma Vostra Grazia mi dà i fermagli senza la scatola?""La scatola vi darebbe noia; ed essa mi è doppiamentepreziosa perché è tutto quanto mi resta. Direte che l'ho

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serbata per me." "Farò la vostra commissione, parola perparola, Milord." "E ora" riprese Buckingham guardandofissamente il giovanotto "come potrò mai sdebitarmi convoi?" D'Artagnan arrossì fino al bianco degli occhi. Capìche il duca cercava di fargli accettare qualche cosa, el'idea che il sangue dei suoi compagni e il suo stava peressergli pagato con oro inglese gli ripugnavasingolarmente. "Intendiamoci bene, Milord, e pesiamobene in anticipo i fatti" rispose d'Artagnan "affinché non visiano equivoci. Io sono al servizio del Re e della Regina diFrancia e faccio parte della compagnia delle guardie delsignor Des Essarts, il quale, come suo cognato il signor diTréville, è devotissimo alle Loro Maestà. Io ho dunque fattotutto ciò che ho fatto per la Regina e niente per VostraGrazia. C'è di più, ed è che forse non avrei fatto nulla ditutto ciò se non si fosse trattato di far cosa grata a unapersona che è signora del mio cuore, come la Regina lo èdel vostro." "Sì" disse il duca sorridendo "e credo anche diconoscere questa persona, è…" "Milord, io non l'honominata" lo interruppe vivacemente il giovanotto."Giustissimo" disse il duca "è dunque a questa personache debbo essere riconoscente della vostra devozione.""E' proprio come dite, Milord; e vi confesso che ora che siparla di guerra fra le nostre due nazioni, io non vedo inVostra Grazia che un Inglese, quindi un nemico che sareiben più felice di incontrare sul campo di battaglia che nonnel parco di Windsor o nei corridoi del Louvre. Tutto ciònon m'impedirà di eseguire punto per punto la miamissione e di farmi uccidere, se sarà necessario, per

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condurla a termine. Ma senza che Vostra Grazia, lo ripeto,debba minimamente ringraziarmi di quanto ho fatto per leinel nostro primo incontro, che di quanto faccio per me inquesto secondo." "Da noi si dice: Orgoglioso come unoScozzese" mormorò Buckingham. "E noi diciamo:Orgoglioso come un Guascone" rispose d'Artagnan "iGuasconi sono gli Scozzesi di Francia." Poi salutò il ducae fece per partire. "Ebbene, volete andarvene così? Perquale strada? e come?" "E' vero." "Che io sia dannato se iFrancesi non sono sempre sicuri di sé." "Avevodimenticato che l'Inghilterra è un'isola e che voi ne siete ilre." "Andate al porto, cercate il brigantino Sund,consegnate questa lettera al capitano; egli vi condurrà a unpiccolo porto dove certo non siete atteso e dove di solitonon approdano che le barche pescherecce." "Come sichiama questo porto?" "Saint-Valery; ma aspettatedunque: arrivato là, voi entrerete in un brutto albergo senzanome e senza insegna, un vero bugigattolo da marinai; nonpotete sbagliare, non c'è che quello." "E dopo?""Chiederete dell'oste e gli direte: Forward." "Che vuoldire?" "Avanti: è la parola d'ordine. Egli vi darà un cavallosellato e vi indicherà la strada che dovete percorrere; sullavostra strada troverete quattro cavalli di ricambio. Sevolete dare a ogni tappa il vostro indirizzo di Parigi, i cavallivi seguiranno fin là; due li conoscete già e mi pare liabbiate apprezzati da conoscitore; sono quelli chemontammo ier l'altro; per gli altri potete fidarvi di me, nonsono certo inferiori ai primi. Questi quattro cavalli sonoequipaggiati per la guerra. Per quanto orgoglioso voi siate,

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non vorrete rifiutare di accettarne uno e di fare accettare glialtri ai vostri tre compagni; d'altra parte, vi serviranno perfare la guerra. Il fine giustifica i mezzi, come dite voiFrancesi, non è vero?" "Accetto, Milord" disse d'Artagnan"e, a Dio piacendo, faremo buon uso del vostro regalo." "Eora datemi la mano, giovanotto; forse c'incontreremopresto sul campo di battaglia; ma intanto spero che cilasceremo da buoni amici." "Sì, Milord, ma con la speranzadi diventare ben presto nemici." "Ve lo prometto, statetranquillo." "Conto sulla vostra parola, Milord." D'Artagnansalutò il duca e si avviò rapidamente al porto. Dirimpettoalla Torre di Londra, trovò la nave indicata, consegnò lalettera al capitano che la fece vistare dal governatore delporto e si preparò a levar l'àncora. Cinquanta bastimentierano pronti per partire e aspettavano. Passandovicinissimo ad uno di essi, d'Artagnan credette riconoscerela donna di Meung, quella che il gentiluomo sconosciutoaveva chiamata milady, e che lui, d'Artagnan, aveva trovatacosì bella; ma grazie alla corrente del fiume e al ventofavorevole la sua nave andava così rapida che di lì a unistante fu fuori di vista. Il giorno dopo, verso le nove delmattino, la nave gettò l'àncora a Saint-Valery. D'Artagnansi diresse immediatamente verso l'albergo indicato e loriconobbe alle grida che uscivano da esso; vi si parlavadella guerra fra l'Inghilterra e la Francia come di cosaprossima e sicura, e i marinai felici facevano baldoria.D'Artagnan si aprì il passo tra la folla, avanzò verso l'oste edisse: forward. Immediatamente l'oste gli fece segno diseguirlo, uscì con lui da una porta che dava sul cortile, lo

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condusse alla scuderia dove attendeva un cavallo giàsellato. L'oste glielo consegnò e gli chiese se avessebisogno di qualche altra cosa. "Ho bisogno di conoscere lastrada che debbo percorrere" disse d'Artagnan. "Di quiandate a Blangy e da Blangy a Neufchatel. A Neufchatel,entrate, all'albergo dell'Erpice d'oro, date la parola d'ordineall'albergatore, e troverete come qui un cavallo già sellato.""Vi debbo qualche cosa?" domandò d'Artagnan. "Tutto èpagato e con abbondanza. Andatevene dunque; e Dio viassista." "Così sia" disse d'Artagnan partendo di galoppo.Quattro ore dopo era a Neufchatel. Seguì esattamente leistruzioni ricevute; a Neufchatel, come a Saint-Valery, trovòun cavallo sellato che lo attendeva; voleva trasportare lepistole dalla sella da cui scendeva a quella su cui stava persalire, ma nelle fondine c'erano già due bellissime pistole."Qual è il vostro indirizzo a Parigi?" "Palazzo delleGuardie, compagnia Des Essarts." "Bene" rispose l'oste."Che strada debbo prendere?" chiese a sua voltad'Artagnan. "Quella di Rouen; ma lascerete la città allavostra sinistra. Al villaggio di Ecouis fermatevi e scendeteall'unico albergo che vedrete: Lo Scudo di Francia. Non logiudicate dall'apparenza; esso avrà nella sua scuderia uncavallo che varrà quanto questo." "La stessa parolad'ordine?" "La stessa." "Addio, padrone." "Buon viaggio,signore. Vi occorre nulla?" D'Artagnan accennò di no colcapo e ripartì di carriera. A Ecouis si ripeté la stessascena: trovò un oste altrettanto cortese e un cavallo frescoe riposato: lasciò il suo indirizzo come aveva già fatto, eripartì alla stessa andatura per Pontoise. A Pontoise

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cambiò per l'ultima volta di cavallo e alle nove entrava digran galoppo nel cortile del palazzo del signor di Tréville.Aveva percorso circa sessanta leghe in dodici ore. Il signordi Tréville lo ricevette come se lo avesse visto quellamattina; soltanto, stringendogli la mano un po' piùvivacemente del solito, gli disse che la compagnia delsignor Des Essarts era di guardia al Louvre e che eglipoteva andare a raggiungerla.

Capitolo 22 IL BALLO DELLA "CACCIA AL MERLO"

Il giorno dopo in tutta Parigi non si parlava che del balloche gli scabini della città offrivano al Re e alla Regina, nelquale le Loro Maestà dovevano ballare il famoso ballodella "Caccia al Merlo", che era quello preferito dal Re. Daotto giorni, infatti, si preparava ogni cosa al Palazzo diCittà per questa solenne serata. Il falegname della Cittàaveva rizzato le impalcature sulle quali avrebbero presoposto le dame invitate; il droghiere della Città aveva ornatole sale di duecento candelabri con candele di cera bianca,lusso inaudito per quei tempi; infine erano stati ingaggiativenti violini ai quali era stata assegnata una paga doppiadel solito, visto che, dice il rapporto, avrebbero dovutosuonare tutta la notte. Alle dieci del mattino il signor di LaCoste, alfiere delle Guardie del Re, seguito da due ufficialidi polizia e da molti arcieri dello stesso corpo, andò achiedere al signor Clément, cancelliere della Città, tutte le

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chiavi delle porte, delle camere e degli uffici del Palazzo diCittà. Le chiavi gli furono consegnate immediatamente,ciascuna di esse era munita di un biglietto destinato a farlericonoscere, e da quel momento il signor di La Coste fuincaricato della guardia di tutte le porte e di tutte le vieadiacenti. Alle undici, venne a sua volta il signor Duhallier,capitano delle guardie, seguito da cinquanta arcieri che sisuddivisero subito per il Palazzo di Città, alle portech'erano state assegnate loro. Alle tre arrivarono duecompagnie di guardie, una francese, l'altra svizzera. Lacompagnia di guardie francesi era composta per metà diuomini del signor Duhallier, per metà di uomini del signorDes Essarts. Alle sei della sera gli invitati cominciarono adentrare e furono condotti di mano in mano nella grandesala, sui gradini appositamente preparati. Alle nove giunsela signora del primo Presidente. Poiché si trattava dellapersona più importante della festa dopo la Regina, furicevuta dai Signori della Città e fu fatta sedere in un palcodi fronte a quello che avrebbe occupato appunto la Regina.Alle dieci fu preparato lo spuntino di confetture per il Re,nella piccola sala a fianco della chiesa San Giovanni, eproprio dinanzi al servizio d'argento della Città che eracustodito da quattro arcieri. A mezzanotte si udirono altegrida e acclamazioni entusiastiche; era il Re che siavanzava per le vie che conducono dal Louvre al Palazzodi Città e che erano tutte illuminate con lanterne colorate.Immediatamente gli scabini, vestiti delle loro toghe dipanno e preceduti da sei uscieri che reggevano ciascunouna fiaccola, andarono ad incontrare il Re sulla scalinata

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ove il prevosto dei mercanti gli dette il benvenuto e SuaMaestà si scusò di essere venuto così tardi, attribuendo lacolpa di ciò al Cardinale che lo aveva trattenuto fin oltre leundici per trattare affari di Stato. Sua Maestà, in abito dicerimonia, era accompagnato da 'Monsieur'[16], dal contedi Soissons, dal Gran Priore, dal duca di Longueville, dalduca di Elbeuf, dal conte d'Harcourt, dal conte di LaRoche-Guyon, dal signor di Liancuourt, dal signor diBaradas, dal conte di Cramail e dal cavaliere di Souveray.Tutti notarono che il Re aveva l'aria triste e preoccupata.Un salottino era stato preparato per il Re e un altro per'Monsieur'. In ciascun salottino erano stati posti degli abitida maschera. Altrettanto era stato fatto per la Regina e perla Presidentessa. I cavalieri e le dame del seguito delleLoro Maestà dovevano vestirsi in camere appositamenteallestite. Prima di entrare nel salottino il Re raccomandòche lo si avvertisse non appena giungesse il Cardinale.Mezz'ora dopo l'ingresso del Re, scoppiarono nuoveacclamazioni; queste annunciavano l'arrivo della Regina:gli scabini fecero ciò che avevano già fatto all'arrivo del Re;e, preceduti dagli uscieri, mossero incontro all'augustainvitata. La Regina entrò nella sala: fu notato che, come ilRe, aveva l'aria triste e, soprattutto, stanca. Nel momento incui faceva il suo ingresso, la tenda del piccolo palco cheera rimasta chiusa fino allora, si aprì e si vide comparire lapallida testa del Cardinale, vestito da cavaliere spagnolo. Isuoi occhi si fissarono in quelli della Regina e un terribilesorriso di gioia sfiorò le sue labbra: la Regina non aveva ifermagli di diamanti. La Regina sostò un poco per ricevere

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i complimenti dei signori della Città e per rispondere aisaluti delle dame. A un tratto ad una delle porte della salacomparvero il Re ed il Cardinale; quest'ultimo parlava abassa voce al sovrano che era pallidissimo. Il Re, senzamaschera, con i cordoni del giustacuore appena annodati,si aprì il passo tra la folla, si avvicinò alla Regina e, convoce alterata: "Signora" le disse "perché non avete messoi fermagli di diamanti pur sapendo che mi sarebbe statogradito vederli?" La Regina si guardò intorno smarrita evide dietro il Re il Cardinale sorridere di un diabolicosorriso. "Sire" rispose con voce tremante "perché in mezzoa questa folla temevo di perderli." "E avete avuto torto,signora! se vi ho fatto questo regalo è perché ve neadornaste, vi ripeto che avete avuto torto." E la voce del Retremava di collera; tutti guardavano e ascoltavano conmeraviglia, non comprendendo nulla di ciò che accadeva."Sire" disse la Regina "posso mandarli a prendere alLouvre dove sono; così i desideri di Vostra Maestàsaranno esauditi." "Fatelo, signora, fatelo, e al più presto,perché fra un'ora il ballo incomincerà." La Regina salutò insegno di sottomissione e seguì le dame che la condusseronel suo salottino. Anche il Re tornò nel suo. Vi fu nella salaun attimo di sgomento e di confusione. Tutti avevano potutonotare che c'era stato un incidente fra il Re e la Regina; maentrambi avevano parlato così a bassa voce che nessunoaveva inteso nulla di ciò che avevano detto. I violinisonavano con tutta la loro forza, ma nessuno li ascoltava. IlRe uscì per primo del suo salottino; indossava unelegantissimo costume da caccia e 'Monsieur' e gli altri

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Signori erano vestiti come lui. L'abito che il Re portava eraquello che meglio gli si addiceva e vestito in tal modo eglipareva veramente il primo cavaliere del regno. Il Cardinalesi avvicinò al Re e gli consegnò una scatola. Sua Maestàl'aprì e vi trovò due fermagli di diamanti. "Che significaciò?" chiese. "Nulla" rispose il Cardinale; "però se laRegina metterà i suoi fermagli, del che dubito, contateli, ese saranno solamente dieci, chiedete a Sua Maestà chipuò averle rubati i due che sono qui." Il Re guardòinterrogativamente il Cardinale, ma non ebbe il tempo dirivolgergli nessuna domanda; un grido di ammirazione uscìda tutte le bocche. Se il Re sembrava il primo gentiluomodel suo regno, la Regina era sicuramente la più belladonna di Francia. E' vero che l'abito da cacciatrice le stavaa meraviglia: essa portava un cappello di feltro ornato dipiume azzurre; una cappa di velluto grigio perla fermatacon fibbie di diamanti e una sottana di seta azzurra tuttaricamata in argento. Sulla spalla sinistra scintillavano ifermagli fissati a un nastro dello stesso colore delle piumee della gonna. Il Re trasalì di gioia e il Cardinale di collera;però lontani com'erano dalla Regina, essi non potevanocontare i fermagli. La Regina li aveva, ma ne aveva dieci ododici? In quel momento i violini dettero il segnale delballo. Il Re si avvicinò alla Presidentessa, con la qualedoveva danzare, e Monsieur alla Regina. Si miserociascuno al proprio posto, e il ballo cominciò. Il Re sitrovava di fronte alla Regina, e ogni volta che le passavavicino divorava con gli occhi quei maledetti fermagli chenon riusciva a contare. Un sudore freddo bagnava la fronte

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del Cardinale. Il ballo durò un'ora; era composto di sedicifigure. Esso finì tra gli applausi di tutta la sala; ognunoriaccompagnò al suo posto la propria dama; ma il Reapprofittò del privilegio che aveva di potere abbandonarela sua ovunque si trovasse, per avvicinarsi vivamente allaRegina. "Vi ringrazio, signora" disse "della deferenza concui vi siete arresa al mio desiderio, però credo che vimanchino due fermagli e ve li porto." E così dicendo tesealla Regina i due fermagli che gli aveva dato il Cardinale."Ma come, Sire!" esclamò la Regina fingendosi sorpresa"volete regalarmene altri due? Allora ne avrò quattordici!" IlRe contò, e infatti Sua Maestà aveva sulla spalla dodicifermagli. Luigi Tredicesimo chiamò il Cardinale: "Ebbene,che cosa significa tutto questo, signor Cardinale?" chiesecon tono severo. "Significa, sire" rispose il Cardinale "chedesideravo regalare due fermagli a Sua Maestà e che, nonosando offrirglieli direttamente, ho adottato questo mezzo.""Ne sono doppiamente riconoscente a Vostra Eminenza"intervenne Anna d'Austria con un sorriso che dimostravachiaramente come non si lasciasse ingannare da questaingegnosa galanteria "in quanto sono certa che questi duefermagli vi costano più cari di quanto siano costati gli altridodici a Sua Maestà." Poi, salutati il Re e il Cardinale, laRegina si ritirò nella stanza in cui si era abbigliata e in cuidoveva svestirsi. L'attenzione con cui abbiamo dovutooccuparci sul principio di questo capitolo di tanti illustripersonaggi che vi abbiamo introdotti, ci ha allontanato perpoco da colui al quale Anna d'Austria doveva il trionfoincredibile conseguito nei confronti del Cardinale, e che,

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confuso, ignorato, perso tra la folla stipata su una delleporte, guardava di lì quella scena comprensibile soltantoper quattro persone: il Re, la Regina, il Cardinale e lui. LaRegina si era ritirata nella sua stanza e d'Artagnan stavaper andarsene allorché si sentì toccare leggermente a unaspalla; si volse e vide una giovane donna che gli fecesegno di seguirla. La giovane aveva il viso coperto da unamaschera di velluto nero, ma nonostante questaprecauzione, presa più per gli altri che per lui, egliriconobbe subito la sua guida abituale, la leggera espiritosa signora Bonacieux. Il giorno prima si eranoappena visti in casa del portiere Germano, doved'Artagnan era andato a cercarla. La fretta che aveva lagiovane donna di portare alla Regina la notizia del feliceritorno del suo messaggero, aveva fatto sì che i due amantiscambiassero appena poche parole. D'Artagnan seguìdunque la signora Bonacieux, mosso da un doppiosentimento, l'amore e la curiosità. Lungo tutta la strada e dimano in mano che i corridoi diventavano più deserti,d'Artagnan avrebbe voluto fermare la giovane, afferrarla,contemplarla, sia pure per un attimo; ma, vivace come unuccello, ella gli scivolava sempre di mano e se egli tentavadi parlare, il suo dito alzato alle labbra, con un piccologesto imperioso pieno di grazia, gli rammentava che egliera sotto l'impero di una potenza alta alla quale dovevaciecamente obbedire e che gli vietava sia pure la più lievelagnanza. Infine, dopo alcuni minuti di giri e rigiri, la signoraBonacieux aprì una porta e fece entrare il giovanotto in unsalottino perfettamente oscuro. Qui essa gli fece ancora

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cenno di tacere e aprì una seconda porta nascosta tra itendaggi dalla quale si diffuse improvvisamente una luceassai viva, e disparve. D'Artagnan rimase immobile per unistante chiedendosi dove fosse, ma ben presto un raggiodi luce che usciva dalla seconda stanza, l'aria calda eprofumata che arrivava fino a lui, la conversazione di due otre donne dalle espressioni rispettose ed eleganti insieme,la parola Maestà ripetuta più volte, gli rivelaronochiaramente che era nel salottino attiguo alla camera dellaRegina. Il giovanotto rimase nell'ombra e attese. La Reginapareva gaia e felice, cosa che sembrava meravigliar moltole persone che si trovavano con lei, le quali erano inveceabituate a vederla quasi sempre preoccupata. La Reginaattribuiva la sua gioia alla bellezza della festa e al piacereche le aveva procurato il ballo, e siccome non è lecitocontraddire una Regina, sia che pianga o sorrida, tutti siprofondevano in lodi sul buon gusto dei signori scabinidella città di Parigi. Sebbene non conoscesse la Regina,d'Artagnan distinse fra le altre la sua voce, prima di tuttoper il leggero accento straniero, poi per quel naturalesentimento di dominio che risuona in tutte le parole regali.Egli la sentiva allontanarsi, poi avvicinarsi alla porta apertae due o tre volte vide persino la sua ombra intercettare laluce. Infine, a un tratto, una mano e un braccio magnifici performa e bianchezza passarono attraverso la tenda;d'Artagnan capì ch'era la sua ricompensa: si gettò inginocchio, afferrò quella mano e appoggiò su di essarispettosamente le labbra; poi la mano si ritirò e lasciònella sua un oggetto che identificò immediatamente per un

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anello; subito la porta si richiuse e d'Artagnan si ritrovònella più completa oscurità. D'Artagnan mise l'anello al ditoe attese ancora; era evidente che tutto non era ancorafinito. Dopo la ricompensa alla sua generosa fedeltà,doveva venire la ricompensa al suo amore. D'altra parte,se il ballo reale era finito, la serata cominciava appena: lacena era per le tre, e l'orologio di San Giovanni avevasuonato da qualche minuto le due e tre quarti. Infatti ilrumore delle voci che veniva dalla camera vicina, a poco apoco si spense, poi la porta del salottino in cui si trovavad'Artagnan si riaprì e la signora Bonacieux entròvivamente. "Finalmente voi!" esclamò d'Artagnan."Silenzio!" impose la giovane mettendo una mano sullabocca del giovanotto "silenzio! e andatevene per dovesiete venuto." "Ma dove e quando vi rivedrò?" esclamòd'Artagnan. "Un biglietto che troverete rincasando ve lodirà. Andatevene ora, andatevene!" E così dicendo aprì laporta del corridoio e spinse d'Artagnan fuori dal salottino.D'Artagnan obbedì come un ragazzo, senza fare néresistenza né obbiezioni, ciò che dimostra quanto fosseinnamorato.

Capitolo 23 IL CONVEGNO

D'Artagnan tornò a casa di corsa e sebbene fossero piùdelle tre del mattino ed egli dovesse attraversare i quartieripiù malfamati di Parigi, non fece cattivi incontri. Si sa che

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c'è un Dio per gli ubbriachi e per gl'innamorati. Trovò laporta di casa socchiusa, salì le scale e picchiòleggermente all'uscio in un modo speciale stabilito tra lui eil suo domestico. Planchet che aveva rimandato a casa dalPalazzo di Città due ore prima raccomandandogli diaspettarlo, venne ad aprirgli. "Qualcuno ha portato unalettera per me?" chiese immediatamente d'Artagnan."Nessuno ha portato lettere, signore" rispose Planchet "cen'è qui una però che è arrivata da sé." "Che cosa vuoi dire,imbecille?" "Voglio dire che quando sono rientrato,sebbene avessi la chiave dell'appartamento in tasca, equesta chiave non mi avesse mai lasciato, ho trovato unalettera sulla tavola, nella vostra camera da letto." "E dov'èquesta lettera?" "L'ho lasciata dov'era, signore. Non ènaturale che le lettere entrino così in casa. Se almeno lafinestra fosse stata aperta o anche soltanto socchiusa,forse mi capaciterei; ma invece tutto era ermeticamentechiuso. Signore, state attento, è più che sicuro che c'èsotto qualche magia." Durante questo discorso, ilgiovanotto era corso in camera e aveva aperto la lettera.Era della signora Bonacieux e diceva: "Dobbiamo farvi etrasmettervi i più vivi ringraziamenti. Trovatevi questa sera,verso le dieci a Saint-Cloud, in faccia al padiglione che èall'angolo della casa del signor d'Estrées. C.B." Leggendoqueste parole d'Artagnan sentiva il cuore balzargli in pettoper effetto di quel dolce spasimo che tortura e accarezza ilcuore degli innamorati. Era il primo biglietto che riceveva, ilprimo appuntamento che gli veniva accordato. Il suo cuore,gonfio di ebbrezza e di gioia, si sentiva sul punto di venire

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meno sulla soglia di quel paradiso terrestre che vienchiamato amore. "Ebbene, signore" disse Planchet cheaveva visto il suo padrone arrossire e impallidiresuccessivamente "ebbene, avevo indovinato, si tratta diqualche brutta faccenda?" "T'inganni, Planchet" risposed'Artagnan "e la prova è che ti regalo uno scudo perché tubeva alla mia salute." "Ringrazio il signore, e gli promettodi obbedire scrupolosamente ai suoi ordini; però restasempre il fatto che le lettere che entrano in tal modo dallefinestre chiuse…" "Cadono dal cielo, amico mio, cadonodal cielo!" "Allora il signore è contento?" domandòPlanchet. "Caro Planchet, sono il più felice degli uomini.""Posso approfittare delle felicità del signore per andare adormire?" "Sì, va' pure." "Dio mandi al signore tutte lebenedizioni, tuttavia le lettere che…" E Planchet se neandò scotendo il capo con un'aria di dubbio che nemmenola generosità di d'Artagnan era riuscita a dissipare.Rimasto solo, d'Artagnan lesse e rilesse il biglietto, poibaciò e ribaciò venti volte quelle linee tracciate dalla manodella sua bella amante, e infine si decise a coricarsi. Siaddormentò immediatamente e fece sogni d'oro. Alle settedel mattino si alzò e chiamò Planchet che, alla secondachiamata, aprì la porta e mostrò un viso non del tutto liberodalle inquietudini del giorno prima. "Planchet" gli dissed'Artagnan "resterò fuori forse per tutto il giorno; fino allesette di sera tu sei dunque libero; ma alle sette sta' prontocon due cavalli sellati." "Suvvia!" disse Planchet "sembrache ci si debba far bucare di nuovo la pelle in vari punti."Prendi il tuo moschetto e le tue pistole." "Ebbene! Non lo

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dicevo?" esclamò Planchet. "Lo avrei giurato! maledettalettera!" "Rassicurati, imbecille, non si tratta che di unapasseggiata di divertimento." "Già… come il viaggio didivertimento dell'altro giorno, durante il quale piovevanopalle e a ogni passo si spalancavano trappole.""D'altronde, se avete paura, signor Planchet" ripresed'Artagnan "andrò senza di voi; preferisco viaggiare soloche avere con me un compagno che trema di paura." "Noninsultatemi, signore; mi avete pur visto all'opera." "Si, maho pensato che tu avessi finito tutto il tuo coraggio in unavolta." "Il signore vedrà all'occasione che me ne restaancora; solamente scongiuro il signore di non esserneprodigo se vuole che me ne rimanga per molto tempo.""Credi di averne abbastanza per questa sera?" "Lo spero.""Ebbene, conto su di te." "All'ora fissata, sarò pronto; ma iocredevo che il signore non avesse che un solo cavallo nellascuderia delle guardie." "Forse in questo momento non cen'è che uno, ma stasera ce ne saranno quattro." "Pare cheil nostro sia stato un viaggio di rimonta." "Proprio così." Esalutato Planchet con un ultimo gesto di raccomandazione,d'Artagnan uscì. Il signor Bonacieux era sulla porta.L'intenzione di d'Artagnan era di passare senza rivolger laparola al degno merciaio; ma questi fece un saluto cosìdolce e così benevolo, che il suo affittuario fu forzato nonsolo a restituirglielo ma anche ad entrare in conversazionecon lui. Del resto come non usare qualche riguardo almarito di colei che vi ha dato un appuntamento per la serastessa a Saint-Cloud, in faccia al padiglione del signord'Estrées? D'Artagnan gli si avvicinò con l'aria più gentile

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che poté assumere. La conversazione cadde naturalmentesulla prigionia del pover'uomo. Il signor Bonacieux che nonsapeva come d'Artagnan avesse udita la suaconversazione con l'uomo di Meung, raccontò al giovanottole persecuzioni di quel mostro del signor Laffémas, chenon smise di qualificare col titolo di carnefice del Cardinalee parlò a lungo della Bastiglia, dei suoi catenacci, delle suecelle, delle sue segrete, delle sue inferriate e dei suoistrumenti di tortura. D'Artagnan lo ascoltò con unacompiacenza esemplare, poi, quando l'altro ebbe finito: "Ela signora Bonacieux" domandò finalmente "avete poisaputo chi l'avesse rapita? Non posso dimenticare chedebbo a questo fatto spiacevole la fortuna di averviconosciuto personalmente. "Oh" disse il signor Bonacieux"si sono guardati bene dal dirmelo, e anche mia moglie miha giurato e spergiurato che non sa che cosa pensare inproposito. Ma voi dove siete stato nei giorni scorsi?"continuò Bonacieux con l'aria la più ingenua di questomondo. "Non ho visto né voi, né i vostri amici e non è certonelle strade di Parigi che avete raccolta tutta la polvere cheieri, Planchet, toglieva dai vostri stivali." "Lo aveteindovinato, caro signor Bonacieux, i miei amici e io,abbiamo fatto un viaggetto." "Siete andati lontano?" "Oh,Dio mio, no! Solamente a una quarantina di leghe didistanza; abbiamo accompagnato il signor Athos alleacque di Forges, dove i miei amici sono ancora." "E voisiete tornato, non è così?" riprese il signor Bonacieuxdando alla propria fisionomia l'aria più furba che poté. "Unbel ragazzo come voi non ottiene dei lunghi permessi dalla

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propria amante. Voi eravate atteso impazientemente, nonè vero?" "In fede mia" disse ridendo il giovanotto "ve loconfesso, mio caro signor Bonacieux, tanto più che a voinon si può nascondere nulla. Posso garantirvi che eroatteso con la più grande impazienza." Una leggera nubepassò sulla fronte di Bonacieux, ma così lieve che ilgiovanotto non se ne accorse. "E ora, noi stiamo perottenere la ricompensa della nostra diligenza?" continuò ilmerciaio con una leggera alterazione nella voce,alterazione che d'Artagnan non notò più di quanto nonavesse fatto per la nube momentanea che poco primaaveva oscurato il volto del brav'uomo. "Ah! volete farmi lamorale" disse ridendo d'Artagnan. "No, ciò che vi dico"riprese il signor Bonacieux "è soltanto per sapere serincaseremo tardi." "Perché me lo chiedete, padron mio?"domandò d'Artagnan. "Vorreste forse starmi adaspettare?" "No, non si tratta di questo! E' che dal giornodel mio arresto e da quando mi hanno derubato, tremoogni volta che sento aprire la porta, specialmente di notte.Diamine, che volete, non sono un uomo d'armi io!""Ebbene! Non spaventatevi se rincaso all'una, alle due oalle tre; e se anche non rientrassi, non preoccupatevi."Questa volta Bonacieux impallidì talmente che d'Artagnannon poté fare a meno di accorgersene, e gli domandò checosa avesse. "Niente" rispose Bonacieux. "Dacché sonostato colpito da tante disgrazie vado soggetto a certimancamenti che mi prendono all'improvviso, e or ora hosentito un brivido… Non ci fate caso, pensate solo adessere felice." "Allora sarò occupatissimo, perché lo

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sono." "Non ancora, aspettate; non avete forse detto:questa sera?" "Ebbene, anche la sera arriverà, grazie aDio! e forse voi pure l'attendete con altrettanta impazienza.Forse proprio questa sera la signora Bonacieux farà unavisita al domicilio coniugale." "La signora Bonacieux non èlibera questa sera; deve restare al Louvre per il suoservizio." "Peggio per voi, mio caro; quando sono felicevorrei che tutti lo fossero del pari, ma forse non èpossibile." E il giovanotto se ne andò ridendoclamorosamente dell'arguzia che lui solo, così credeva, erain grado di capire. "Divertitevi!" rispose Bonacieux conaria lugubre. Ma d'Artagnan era già troppo lontano perudirlo, e se anche lo avesse udito, date le disposizioni delsuo spirito, non ci avrebbe fatto caso. Si diresse verso ilpalazzo del signor di Tréville; la visita del giorno prima, illettore se ne ricorderà, era stata brevissima e senza moltespiegazioni. Egli trovò il signor di Tréville felicissimo, il Ree la Regina, al ballo, si erano mostrati pieni di attenzionenei suoi riguardi. E' vero che, in compenso, il Cardinale erastato assolutamente sgarbato. All'una del mattino se n'eraandato dicendosi indisposto. Le Loro Maestà invece nonerano tornate al Louvre che alle sei del mattino. "Ora"disse il signor di Tréville abbassando la voce eguardandosi attorno per essere ben certo che erano soli"ora, parliamo di voi, mio caro, perché è evidente che ilvostro felice ritorno entra per qualcosa nella felicità del Re,nel trionfo della Regina e nell'umiliazione del Cardinale.Ora dovete badare a voi attentamente." "Che debbotemere" disse d'Artagnan "finché avrò la fortuna di godere

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il favore delle Loro Maestà?" "Tutto, credetemi. Il Cardinalenon è uomo da dimenticare una mistificazione finché nonabbia regolato i suoi conti con il mistificatore, e questavolta il mistificatore mi sembra essere un certo Guasconedi mia conoscenza." "Credete che il Cardinale ne sappiaquanto voi e sospetti che sono stato io a recarmi aLondra?" "Diavolo! siete stato a Londra. Ed è da Londrache avete portato il magnifico anello che vi brilla al dito?State attento, caro d'Artagnan, non è bello ricevere denarida un nemico; vi è in proposito un verso latino…aspettate…" "Sì, certo" disse d'Artagnan che non avevamai potuto mettersi in testa una sola regola latina e che perquesto appunto era stato la disperazione del suoprecettore "sì, certo, ce ne deve essere uno infatti." a "Cen'è uno sicuramente" disse il signor di Tréville, che avevaun'infarinatura di buone lettere a e il signor Benserade[17]me lo citava l'altro giorno. Aspettate... Ah!... ecco: 'TimeoDanaos et dona ferentes'. Il che vuol dire: "Diffida delnemico che ti fa dei regali". "Questo diamante non è ilregalo di un nemico; è un dono della Regina." "DellaRegina! Oh! oh!" disse il signor di Tréville. "Infatti è un donoveramente regale che vale mille pistole come un soldo. Permezzo di chi vi ha mandato un simile regalo, la Regina?""Me lo ha dato lei stessa." "Dove?" "Nel salottino attiguoalla stanza che le serviva da spogliatoio, al Palazzo diCittà." "E come?" "Porgendomi la sua mano perché labaciassi." "Avete baciato la mano della Regina!" esclamòTréville fissando d'Artagnan. "Sua Maestà mi ha accordatoquesta grazia." "In presenza di testimoni? E' di una

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imprudenza inaudita!" "No, signore, rassicuratevi, nessunol'ha vista" riprese d'Artagnan, e raccontò al signor diTréville come erano andate le cose. "Oh! le donne, ledonne!" esclamò il vecchio soldato "le riconosco dalla loroimmaginazione romantica; tutto ciò che sa di mistero leaffascina; cosicché voi non avete visto che il braccio epotreste incontrare la Regina senza riconoscerla e senzache essa vi riconosca." "No, ma grazie a questodiamante…" riprese il giovanotto. "Volete un consiglio"interruppe il signor di Tréville, "volete un consiglio, un buonconsiglio, un consiglio d'amico?" "Voi mi onorerete,signore" disse d'Artagnan. "Ebbene, andate dal primoorefice che incontrerete sul vostro cammino e vendetegli ildiamante per il prezzo che vi darà; per quanto ebreo possaessere, vi darà sempre ottocento pistole. Le pistole nonhanno nome, ragazzo mio, mentre quest'anello ne ha unoterribile e può rovinare colui che lo porta." "Venderequest'anello! l'anello datomi dalla mia sovrana! Mai!" dissed'Artagnan. "Allora, povero pazzo, girate per lo meno ilcastone all'interno, giacché tutti sanno che un cadetto diGuascogna non trova simili gioielli nello scrigno di suamadre." "Credete dunque ch'io debba temere qualchecosa?" domandò d'Artagnan. "Voglio dire, ragazzo mio,che un uomo il quale si addormenti sopra una mina con lamiccia accesa, deve reputarsi sicuro al vostro confronto.""Diavolo!" esclamò d'Artagnan che cominciava apreoccuparsi del tono affermativo del signor di Tréville."Diavolo, che cosa debbo dunque fare?" "Star sempreall'erta per prima cosa. Il Cardinale ha la memoria tenace e

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la mano lunga; credetemi, vi giocherà qualche brutto tiro.""Ma quale?" "Come posso saperlo? Non ha forse al suoservizio tutte le astuzie del diavolo? Il meno che vi possacapitare è di essere arrestato." "Come! Si oserebbearrestare un uomo al servizio di Sua Maestà?" "Perbacco!Ci hanno forse pensato due volte ad arrestare Athos? Intutti i casi, giovanotto, credete a un uomo che da trent'annivive a Corte: non addormentatevi nella vostra sicurezza osiete perduto. Al contrario, e sono io che ve lo dico, vedetenemici dappertutto. Se qualcuno cerca di attaccar lite convoi, si trattasse anche di un fanciullo di dieci anni, evitated'impegnarvi; se siete attaccato di notte o di giorno,battete in ritirata senza vergognarvene; prima diattraversare un ponte, osservate attentamente tutte le assiper essere certo che nessuna cederà sotto al vostro piede;se passate davanti a una casa in costruzione, guardate inaria per esser sicuro che non vi piombi una pietra sul capo;se rincasate tardi, fatevi seguire dal vostro servo, e badateche il vostro servo sia bene armato, se pure potete esseresicuro del vostro servo. Diffidate di tutti, del vostro amico,di vostro fratello, della vostra amante, soprattutto dellavostra amante." D'Artagnan arrossì. "Della mia amante"ripeté macchinalmente; "e perché più di lei che d'un altro?""Servirsi delle amanti è uno degli stratagemmi preferiti dalCardinale, e non ve n'è di più spicci; una donna è semprepronta a vendervi per dieci pistole, prendete esempio daDalila. Conoscete le Scritture, è vero?" D'Artagnan pensòall'appuntamento che gli aveva dato la signora Bonacieuxper quella sera stessa; ma a lode del nostro eroe diciamo

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che la cattiva opinione del signor di Tréville sulle donne ingenerale non gli fece nascere il più piccolo sospetto controla sua gentile padrona di casa. "Ma, a proposito" riprese ilsignor di Tréville "che ne è dei vostri tre amici?" "Venivoappunto per chiedervi se ne sapevate qualcosa." "Nulla,signore." "Ebbene, io li ho lasciati lungo la strada: Porthosa Chantilly con un duello in vista; Aramis a Crèvecoeur, conuna ferita in una spalla; e Athos ad Amiens, sotto l'accusadi essere un falsario." "Vedete?" disse il signor di Tréville."E voi come siete riuscito a scapolarla?" "Per miracolo,signore, devo riconoscerlo, con un colpo di spada nel pettoe inchiodando il signor conte di Wardes sul margine dellastrada di Calais, come una farfalla su un arazzo" "Vedete!Wardes è un fedele amico del Cardinale, un cugino diRochefort. Caro amico, mi viene un'idea." "Dite, signore.""Se fossi in voi farei una cosa." "Quale?" "Mentre SuaEminenza mi fa cercare a Parigi, riprenderei piano pianola via della Piccardia e me ne andrei a prendere notizie deimiei tre compagni. Diavolo! Essi meritano bene che usiateloro questa piccola cortesia." "Il consiglio è buono, signore,e domani partirò." "Domani! e perché non questa sera?""Questa sera debbo rimanere a Parigi per un affareurgentissimo." "Ah, giovanotto, giovanotto! qualcheamorazzo? State attento, ve lo ripeto: è la donna che ci haperduti tutti quanti siamo e che ci perderà ancora. Datemiretta, partite questa sera." "Impossibile, signore." "Avetedunque data la vostra parola?" "Sì, signore." "Allora èun'altra cosa; però promettetemi che se questa notte nonsarete ucciso, partirete domattina." "Ve lo prometto."

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"Avete bisogno di denaro?" "Ho ancora cinquanta pistole.Credo che siano più che sufficienti." "Ma i vostricompagni?" "Credo che non debbano esserne privi.Allorché lasciammo Parigi avevamo in tasca ognunosettantacinque pistole." "Vi vedrò prima della partenza?""Credo di no, signore, a meno che non succeda qualcosadi nuovo." "Allora, buon viaggio!" "Grazie, signore." Ed'Artagnan si congedò dal signor di Tréville, più che maicommosso della paterna sollecitudine ch'egli aveva per isuoi moschettieri. D'Artagnan andò successivamente allacasa di Athos, di Porthos e di Aramis. Nessuno eratornato. Anche i loro servitori erano assenti e non siavevano notizie né degli uni, né degli altri. Egli si sarebbeinformato anche dalle loro amanti, ma non conosceva néquella di Porthos né quella di Aramis; quanto ad Athos, eglinon ne aveva. Passando davanti al palazzo delle Guardie,gettò un'occhiata nella scuderia: tre cavalli su quattro eranogià arrivati, e Planchet, tutto stupito, ne aveva già strigliatidue. "Ah, signore" disse Planchet scorgendo d'Artagnan,"come sono felice di rivedervi!" "Perché mai, Planchet?"chiese il giovanotto. "Vi fidereste per caso del nostropadrone di casa, il signor Bonacieux?" "Io? Nemmeno persogno!" "Come fate bene, signore!" "Ma perché mi faiquesta domanda?" "Perché mentre parlavate con lui, viosservavo senza ascoltarvi; ebbene, signore, il suo volto hacambiato di colore due o tre volte." "Bah!" "Il signore nonl'ha notato perché era troppo preoccupato della lettera cheaveva ricevuto; ma, al contrario, io che ero già in sospettoper il modo strano con cui la lettera era entrata in casa, non

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ho perduto un moto della sua fisionomia." "E come ti èsembrata?" "Traditrice, signore." "Veramente!" "Per di più,appena il signore se ne è andato ed ha voltato l'angolodella strada, il signor Bonacieux ha preso il cappello, hachiuso la porta e si è messo a correre nella direzioneopposta." "Tu hai ragione, Planchet, tutto ciò mi pare moltosospetto e sta' tranquillo, non pagheremo l'affitto se la cosanon è prima ben chiara." "Il signore scherza, ma il signorevedrà." "Che vuoi farci, Planchet, ciò che è scritto nel librodel destino è scritto." "Il signore dunque non rinuncia allasua passeggiata di questa sera?" "Al contrario, Planchet,più odierò Bonacieux e più sicuramente andròall'appuntamento datomi da quella lettera che ti preoccupatanto." "Allora, se questa è la decisione del signore…""Decisione incrollabile, amico mio; cosicché alle nove sta'pronto e attendimi qui al palazzo; passerò a prenderti."Planchet, visto che non c'era alcuna speranza di ottenereche il suo padrone rinunciasse alla risoluzione presa,sospirò profondamente e si mise a strigliare il terzocavallo. Quanto a d'Artagnan, siccome in fondo in fondoera un ragazzo pieno di prudenza, invece di tornare a casa,andò a pranzo da quel prete guascone che, al momento incui i quattro amici si erano trovati in miseria, aveva offertoloro una colazione al cioccolato.

Capitolo 24 IL PADIGLIONE

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Alle nove, d'Artagnan era al palazzo delle Guardie; trovòPlanchet sotto le armi. Anche il quarto cavallo era arrivato.Planchet era armato del suo moschetto e d'una pistola.D'Artagnan aveva la sua spada e si infilò due pistole allacintura, poi entrambi inforcarono un cavallo per ciascuno es'allontanarono silenziosamente. Era notte fonda enessuno li vide uscire. Planchet si mise dietro il suopadrone e stette a dieci passi di distanza. D'Artagnanattraversò la strada, uscì dalla porta della Conferenza eseguì la strada, più bella allora, che conduce a Saint-Cloud.Finché furono in città Planchet mantenne rispettosamentela distanza che si era imposta, ma allorché la stradacominciò a diventare più deserta e più oscura, si avvicinòpiano piano: cosicché quando entrarono nel Bosco diBoulogne, si trovò naturalmente al fianco del padrone. Nondobbiamo nascondere che l'oscillazione dei grandi alberi eil riflesso della luna nei macchioni cupi causavano in lui unacerta inquietudine. D'Artagnan si accorse che al suo servosuccedeva qualcosa di straordinario. "Ebbene, signorPlanchet" gli chiese "che cosa abbiamo?" "Non vi pare,signore, che i boschi siano come le chiese?" "E perché?""Perché non ci si arrischia a parlar forte né negli uni nénelle altre." "Perché non ti arrischi a parlar forte, Planchet?E' forse perché hai paura?" "Paura d'essere udito, sì,signore." "Paura d'essere udito? Eppure la nostraconversazione è morale, caro Planchet, e nessunopotrebbe trovarci a ridire." "Ah! Signore!" riprese Planchettornando alla sua idea fissa "quel Bonacieux ha qualcosadi sornione nelle sopracciglia e di spiacevole

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nell'atteggiamento delle labbra." "Come diavolo ti viene inmente Bonacieux?" "Signore, si pensa a ciò che si può enon a ciò che si vuole." "Perché, Planchet, sei pauroso.""Signore, non confondiamo la prudenza con la paura; laprudenza è una virtù." "E tu sei virtuoso, è vero, Planchet?""Signore, non è forse la canna di un moschetto che brillalaggiù? Se abbassassimo la testa?" "Parola d'onore"mormorò d'Artagnan al quale vennero in mente leraccomandazioni del signor di Tréville "parola d'onore chequesto animale finirà col farmi paura." E mise il cavallo altrotto. Planchet seguì il movimento del suo padroneesattamente come se fosse la sua ombra e si ritrovò atrottargli al fianco. "Cammineremo così per tutta la notte,signore?" domandò. "No, Planchet, perché tu sei giàarrivato." "Come, sono arrivato? E il signore?" "Iocamminerò ancora per un poco." "E il signore mi lasciasolo qui?" "Hai paura, Planchet?" "No, ma faccio soltantoosservare al signore che la notte sarà freddissima, che ilfreddo fa venire i reumatismi e che un servo coi reumatismiè un cattivo servitore, specialmente per un padrone vivacecome il signore." "Ebbene, se hai freddo, Planchet,entrerai in una di quelle osterie che si vedono laggiù e miaspetterai domattina alle sei davanti alla porta." "Signore,ho bevuto e mangiato rispettosamente lo scudo che miavete dato stamane; dimodoché non ho un soldo per ilcaso in cui avessi freddo." "Eccoti mezza pistola. Adomani." D'Artagnan scese da cavallo, gettò la briglia sulbraccio di Planchet si allontanò rapidamente, avvolgendosinel suo mantello. "Dio mio, che freddo!" esclamò Planchet

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quando ebbe perso di vista il suo padrone e per la fretta diriscaldarsi andò senza indugio a picchiare alla porta di unacasa adorna di tutti gli attributi delle osterie dei sobborghi.Frattanto d'Artagnan che si era immmesso in un sentierotrasversale, continuò la sua strada e raggiunse Saint-Cloud; ma invece di seguire la via principale, girò dietro alcastello, giunse ad un viottolo solitario e si trovò quasisubito di fronte al padiglione indicato. Questo era situato inun luogo del tutto deserto. Un gran muro, all'angolo delquale sorgeva questo padiglione, si stendeva da un latodel viottolo e dall'altro una siepe difendeva dai passanti ungiardinetto in fondo al quale si scorgeva una meschinacapanna. Egli era arrivato all'appuntamento, ma siccomenon gli era stato detto di annunciare la sua presenza con unsegnale, aspettò. Non si udiva rumore alcuno, pareva diessere lontani dalla capitale per lo meno cento leghe.D'Artagnan si addossò alla siepe dopo aver datoun'occhiata dietro di sé. Al di là della siepe del giardino edella capanna, una nebbia fitta avviluppava nelle suepieghe l'immensità in cui dormiva Parigi, vuota, apertaimmensità in cui brillavano pochi punti luminosi, stellefunebri di quell'inferno. Ma per d'Artagnan tutti gli aspettirivestivano una forma di gioia, tutte le idee finivano in unsorriso, tutte le tenebre erano diafane. L'oradell'appuntamento stava per suonare. Infatti, dopo qualchesecondo, il campanile di Saint-Cloud lasciò caderelentamente dieci colpi dalla sua bocca muggente. Vi eraqualcosa di lugubre in quella voce di bronzo che silamentava così nella notte. Ma ognuna di quelle ore che

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componevano l'ora aspettata vibrava armoniosamente nelcuore del giovanotto. I suoi occhi erano fissi sul piccolopadiglione posto all'angolo del muro, le cui finestre eranoermeticamente chiuse, eccetto una al primo piano. Daquesta finestra usciva una luce dolce che inargentava ilfogliame tremolante dei due o tre tigli che si inalzavano ingruppo fuori del parco. Evidentemente dietro quella piccolafinestra, così graziosamente illuminata, la graziosa signoraBonacieux l'aspettava. Cullato da questa dolce idea,d'Artagnan attese per circa mezz'ora senza alcunaimpazienza, con gli occhi fissi su quel delizioso piccolosoggiorno del quale vedeva una parte del soffitto dallemodanature dorate sufficiente per attestare l'eleganza delresto dell'appartamento. Il campanile di Saint-Cloud suonòle dieci e mezzo. Questa volta, senza che d'Artagnan necapisse il perché, un brivido lo scosse. Forse il freddocominciava a penetrarlo ed egli scambiava un effetto fisicoper un'impressione morale. Poi gli venne l'idea di avereletto male e che l'appuntamento fosse per le undici. Siavvicinò alla finestra, si pose in un raggio di luce, trasse ditasca la lettera e la rilesse; non si era sbagliato;l'appuntamento era per le dieci. Ritornò al suo postocominciando a sentirsi abbastanza inquieto di quel silenzioe di quella solitudine. Suonarono le undici. D'Artagnancominciò veramente a temere che fosse successoqualcosa alla signora Bonacieux. Picchiò con le mani trecolpi, segnale abituale a tutti gli amanti, ma non gli risposenessuno, neppure l'eco. Allora pensò con un certo dispettoche forse la giovane donna si era addormentata

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attendendolo. Si avvicinò al muro e cercò di salire lungo diesso ma non gli fu possibile; il muro era intonacato difresco, e d'Artagnan si ruppe inutilmente le unghie. In quelmomento notò gli alberi di cui la luce continuava ainargentare le foglie, e poiché uno di essi sporgeva sullastrada, pensò che se fosse salito sui suoi rami, il suosguardo sarebbe potuto penetrare nel padiglione. L'alberoera facile da scalare; d'altronde d'Artagnan aveva appenavent'anni e rammentava ancora i suoi esercizi di scolaro. Inun attimo fu fra i rami e attraverso i vetri della finestra potévedere l'interno del padiglione. Cosa strana, che fecefremere d'Artagnan dalla punta dei piedi alla radice deicapelli, quella dolce luce, quella semplice lampada,rischiaravano una scena di disordine spaventoso; uno deivetri della finestra era rotto, la porta della stanza, sfondatae quasi frantumata, pendeva dai cardini; una tavola, sullaquale una elegante cena doveva essere stataapparecchiata, giaceva a terra; le bottiglie rotte, la fruttacalpestata cospargevano il pavimento; tutto testimoniavache in quella camera si era svolta una lotta violenta edisperata; d'Artagnan credette riconoscere fra tantaconfusione lembi di vesti e macchie di sangue cheinsudiciavano la tovaglia e le tende. Si affrettò adiscendere sulla strada col cuore che gli battevaorribilmente, voleva sincerarsi se non vi fossero altre traccedi violenza. La piccola luce soave brillava sempre nellacalma della notte. D'Artagnan notò allora, cosa che daprincipio non aveva notata, perché nulla lo spingeva aquesto esame, che il terreno, qui battuto, un po' più là tutto

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buche, mostrava tracce numerose e confuse di piedid'uomo e di cavallo. Inoltre le ruote d'una carrozza, chesembrava provenire da Parigi, avevano lasciato sulla terramolle un profondo solco che giungeva fino al padiglione etornava verso Parigi. Infine d'Artagnan, proseguendo nellesue ricerche, trovò vicino al muro un guanto di donna tuttostrappato. Però questo guanto, in tutti i punti in cui non erastato a contatto con la terra fangosa, era d'una freschezzaincontaminata. Era uno di quei guanti profumati che gliamanti amano togliere da una mano gentile. Di mano inmano che d'Artagnan proseguiva nelle sue investigazioni,un sudore più abbondante e gelato gli imperlava la fronte, ilsuo cuore era stretto da un'orribile angoscia, la suarespirazione era ansimante; e tuttavia egli si diceva perdarsi coraggio che forse quel padiglione non aveva nulla dicomune con la signora Bonacieux; che la giovane gli avevadato appuntamento davanti a quel padiglione e non nelpadiglione; che forse essa era dovuta rimanere a Parigiper gli obblighi del suo servizio, forse per la gelosia di suomarito. Ma tutti questi ragionamenti erano battuti, distrutti,rovesciati da quel sentimento di dolore intimo che alle voltes'impadronisce di tutto il nostro essere e ci grida in tutti imodi che una grande disgrazia ci sovrasta. Allorad'Artagnan divenne quasi pazzo: corse sulla stradamaestra, rifece il cammino già fatto, si avvicinò alla chiattae interrogò il traghettatore. Verso le sette di sera iltraghettatore aveva fatto attraversare il fiume a una donnaavviluppata in un mantello nero, che pareva avere il piùgrande interesse a non essere riconosciuta; ma proprio a

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causa delle precauzioni che prendeva, egli l'avevaosservata attentamente e aveva notato che la donna eragiovane e bella. Allora, come ora, c'erano moltissimedame giovani e belle che andavano a Saint-Cloud eavevano interesse a non essere viste, purtuttaviad'Artagnan non dubitò neppure per un attimo che colei cheera stata notata dal traghettatore non fosse la signoraBonacieux. D'Artagnan approfittò della lampada accesanella capanna del traghettatore per rileggere ancora unavolta il biglietto della signora Bonacieux e assicurarsi chenon si era ingannato e che l'appuntamento era proprio aSaint-Cloud e non altrove, davanti al padiglione del signord'Estrées e non in un'altra strada. Tutto concorreva aprovare a d'Artagnan che i suoi presentimenti non loingannavano e che era successa una grande disgrazia.Riprese il cammino del castello di gran corsa; gli sembravache durante la sua assenza qualche cosa di nuovodovesse esser successo al padiglione e che qualcheschiarimento dovesse attenderlo laggiù. Il viottolo erasempre deserto, e la stessa luce calma e dolce uscivadalla finestra. D'Artagnan pensò allora a quella capannamuta e cieca la quale senza dubbio aveva visto e che forseavrebbe potuto parlare. La porta della cinta era chiusa, maegli saltò al disopra della siepe e, nonostante l'abbaiaredel cane alla catena, si avvicinò alla capanna. Al primocolpo nessuno rispose. Un silenzio di morte regnava nellacapanna come nel padiglione; però, siccome la capannaera la sua ultima risorsa, si ostinò. Ben presto gli parve diudire un leggero rumore che uscisse dall'interno, rumore

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timido e che pareva avere paura di essere inteso. Allorad'Artagnan smise di picchiare e pregò con un accento cosìpieno di inquietudine e di promesse, di sgomento e dilusinghe, che avrebbe tranquillizzato il più pauroso degliuomini. Finalmente una vecchia imposta tarlata s'aprì, omeglio si socchiuse e si richiuse immediatamente nonappena la luce di una miserabile lampada che brillava in unangolo rischiarò la bandoliera, l'impugnatura della spada eil calcio delle pistole di d'Artagnan. Tuttavia, per quantorapido fosse stato questo movimento, d'Artagnan avevaavuto il tempo d'intravvedere la testa di un vecchio. "Innome di Dio!" disse "ascoltatemi: aspettavo qualcuno chenon viene e muoio di inquietudine. E' forse successaqualche disgrazia da queste parti? Ditemelo." La finestrasi riaprì lentamente e lo stesso volto riapparve: solamenteera ancor più pallido della prima volta. D'Artagnan raccontòingenuamente la sua storia, senza far nomi; disse cheaveva appuntamento con una giovane davanti a quelpadiglione, e come, non vedendola giungere, fosse salitosul tiglio e, alla luce della lampada, avesse visto ildisordine della camera. Il vecchio l'ascoltò con attenzione,facendo cenni d'assenso; poi, quando d'Artagnan ebbefinito, scosse il capo con un'aria che non annunciava nulladi buono. "Che cosa volete dire?" esclamò d'Artagnan. "Innome di Dio, spiegatevi!" "Oh, signore" disse il vecchio"non chiedetemi nulla; perché, se vi dicessi ciò che hovisto, mi succederebbe certamente qualche disgrazia.""Avete dunque visto qualcosa?" riprese d'Artagnan "inquesto caso, nel nome di ciò che avete più caro" e in così

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dire gli gettò una pistola "ditemi ciò che avete visto, e vi dola mia parola di gentiluomo che non una delle vostre paroleuscirà dalla mia bocca." Il vecchio lesse tanta franchezza etanto dolore sul viso di d'Artagnan, che gli fece segno diprestare ascolto e gli disse a voce bassissima: "Eranopressappoco le nove, avevo inteso qualche rumore perstrada e desideravo sapere ciò che potesse essere,allorché, avvicinandomi alla porta, mi accorsi che qualcunocercava di entrare. Siccome sono povero e non ho pauradi essere derubato, aprii e vidi tre uomini a qualche passodi distanza. Nell'ombra c'era una carrozza attaccata a duecavalli e tre altri cavalli senza cavaliere. Questi cavalliappartenevano certamente ai tre uomini di cui vi ho parlato."Miei buoni signori" esclamai "che cosa desiderate?" "Tudevi avere una scala" mi disse quello che pareva il capodel drappello. "Sì, signore, quella con la quale colgo lafrutta." "Daccela e rientra in casa, eccoti uno scudo per ildisturbo. Ricordati che se dici una sola parola di ciò chevedrai e di quello che sentirai (perché tu guarderai eascolterai per quante minacce possiamo farti, ne sonosicuro), sei perduto." "E in così dire mi gettò uno scudo,che raccolsi, e prese la mia scala. "Infatti, dopo aver chiusoin fretta la porta della siepe dietro di loro, finsi di tornare incasa; ma ne uscii immediatamente dalla porta di dietro, escivolando nell'ombra, arrivai a questo gruppo di sambuchistando in mezzo ai quali potevo vedere senza essere visto."I tre uomini avevano fatto avvicinare la carrozza senzarumore, e ne fecero uscire un ometto grosso, corto, con icapelli grigi, vestito meschinamente di un colore scuro, il

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quale salì lungo la scala con precauzione, guardònell'interno della camera, ridiscese con passi felpati emormorò: 'E' lei!' "Subito quello che m'aveva parlato siavvicinò alla porta del padiglione, l'aprì con una chiave cheaveva indosso, richiuse la porta e disparve; nello stessotempo gli altri due uomini salirono lungo la scala. Ilvecchietto era restato allo sportello della vettura, ilcocchiere tratteneva i cavalli della vettura stessa, e undomestico quelli da sella. "Ad un tratto, nel padiglionescoppiarono grida altissime, una donna corse alla finestrae l'aprì come per precipitarsi giù. Ma non appena scorse idue uomini, si rigettò indietro e i due uomini saltarono nellacamera. Allora non vidi più niente; ma intesi un rumore dimobili che andavano in pezzi. "La donna gridava edimplorava soccorso. Ma ben presto le sue grida furonosoffocate e i tre uomini si avvicinarono alla finestra tenendola donna fra le braccia; due discesero dalla scala e latrasportarono nella vettura dove, dopo di lei, entrò anchel'ometto. Colui che era rimasto nel padiglione, richiuse lafinestra e dopo un attimo uscì dalla porta e si assicurò chela donna fosse nella carrozza: i suoi due compagnil'aspettavano già a cavallo, egli a sua volta saltò in sella, ilservitore salì al suo posto, vicino al cocchiere; la carrozzasi allontanò al galoppo, scortata dai tre cavalieri e tutto finì.Da quel momento non ho né inteso né veduto nulla."D'Artagnan affranto da una così orribile notizia, restòimmobile e muto, mentre la collera e la gelosiatumultuavano nel suo cuore. "Ma, mio buon signore"riprese il vecchio, al quale quella muta disperazione faceva

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più impressione di quanto avrebbero potuto fare le grida ole lacrime "non vi disperate così, essi non l'hanno uccisa equesto è il più importante." "Sapete, pressappoco" dissed'Artagnan "chi era il capo di questa infernale spedizione?""Non lo conosco." "Ma siccome vi ha parlato, lo avrete purvisto?" "Ah, voi volete i suoi connotati?" "Sì." "Era grande,magro, bruno, coi baffi e gli occhi neri, aveva l'aspetto di ungentiluomo." "Proprio così!" esclamò d'Artagnan "ancoralui, sempre lui! E' il mio dèmone a quanto pare! E l'altro?""Quale?" "Quello piccolo." "Oh, quello non è un signore, velo garantisco; d'altronde, non aveva neppure la spada e glialtri lo trattavano senza nessun riguardo." "Qualche lacché"mormorò d'Artagnan. "Oh, povera donna! Povera donna!che cosa ne sarà di lei?" "Voi mi avete promesso ilsegreto" disse il vecchio. "E vi rinnovo la promessa, statetranquillo, sono un gentiluomo. Un gentiluomo non ha cheuna parola e io la mia ve l'ho data." D'Artagnan, conl'anima accasciata, riprese la via della chiatta. Alle voltenon poteva credere che si trattasse della signoraBonacieux, ed egli sperava ritrovarla al Louvre, ìl giornodopo; alle volte temeva ch'ella avesse avuto un intrigo conqualche altro e che un uomo geloso l'avesse sorpresa efatta rapire. Egli si dibatteva fra mille dubbi e si desolava esi disperava. "Oh! se avessi con me i miei amici!" esclamò"avrei per lo meno qualche speranza di ritrovarla; ma chi sache cosa ne è anche di loro!" Era presso a pocomezzanotte; si trattava di ritrovare Planchet. D'Artagnan sifece aprire successivamente tutte le osterie dalle qualitrapelava un poco di luce; in nessuna ritrovò Planchet. Alla

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sesta osteria, cominciò a pensare che la ricerca era troppodifficile e d'altronde egli non aveva dato appuntamento alsuo domestico che alle sei del mattino per cui dovunqueegli fosse, era nel suo diritto. D'altronde il giovanotto pensòche restando nei paraggi del luogo ove si erano svolti gliavvenimenti, gli sarebbe forse stato possibile ottenerequalche schiarimento su quella misteriosa faccenda. Allasesta osteria, come abbiamo detto, d'Artagnan si fermò,chiese una bottiglia di vino di prima qualità, si appoggiòcoi gomiti nell'angolo più oscuro della tavola e si decise adattendere così il giorno; ma anche questa volta le suesperanze furono deluse, e quantunque fosse tutt'orecchinon intese, fra le bestemmie, gli scherzi e le ingiurie che siscambiavano tra loro gli operai, i servitori e i carrettieri checomponevano l'onorata società di cui egli stesso facevaparte, nulla che lo potesse mettere sulle tracce della donnarapita. Fu quindi obbligato, dopo aver mandato giù il suovino, per far passare il tempo e per non destare sospetti, acercare nel suo angolo la posizione più comoda perdormire bene o male che fosse. D'Artagnan avevavent'anni, ricordiamocelo, e a quell'età, il sonno ha dirittiimprescrittibili ch'esso reclama imperiosamente anche suicuori più disperati. Verso le sei del mattino d'Artagnan sirisvegliò con quel malessere che accompagnaabitualmente lo spuntar del giorno, dopo una cattiva notte.La sua toletta non fu lunga; si accertò che non lo avesseroderubato mentre dormiva, e avendo costatato che ildiamante era ancora al suo dito, la borsa nelle sue taschee le pistole alla cintura, si alzò, pagò il vino bevuto e uscì

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per vedere se alla mattina gli riuscisse più facile che allasera ritrovare il suo domestico. Infatti la prima cosa chescorse attraverso la nebbia umida e grigia, fu l'onestoPlanchet che l'attendeva, tenendo per mano i due cavalli,alla porta senza vetri di una piccola osteria davanti allaquale d'Artagnan era passato senza sospettarne nemmenol'esistenza.

Capitolo 25 L'AMANTE DI PORTHOS

Invece di tornare a casa direttamente d'Artagnan scesealla porta del signor di Tréville e salì rapidamente le scale.Questa volta era ben deciso a raccontargli tutto quanto eraavvenuto. Senza dubbio egli gli avrebbe dato dei buoniconsigli in questa faccenda; inoltre, siccome il signor diTréville vedeva quasi quotidianamente la Regina, avrebbepotuto forse avere qualche informazione sulla poveradonna alla quale si faceva senza dubbio pagare la suadevozione alla padrona. Il signor di Tréville ascoltògravemente il racconto del giovanotto, con una gravità cheprovava com'egli vedesse nell'avventura ben altro che unsemplice intrigo amoroso; poi, allorché d'Artagnan ebbefinito, disse: "Tutto questo sa di Sua Eminenza a una legadi distanza." "Ma che fare?" disse d'Artagnan. "Niente,assolutamente niente per ora, se non lasciare Parigi comevi ho detto già, e più presto che vi è possibile. Io vedrò laRegina, le racconterò i particolari del rapimento di quella

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povera donna, che essa ignora certamente; questiparticolari la metteranno sulla via giusta, e forse al vostroritorno avrò qualche buona notizia da darvi. Fidatevi dime." D'Artagnan sapeva che, benché Guascone, il signordi Tréville non aveva l'abitudine di far vane promesse, eche quando, per caso, prometteva, faceva più di quantoaveva promesso. Salutò dunque pieno di riconoscenza ildegno capitano, il quale, dal canto suo, provando unagrande simpatia per quel giovanotto così coraggioso erisoluto, gli strinse affettuosamente la mano e gli auguròbuon viaggio. Deciso a mettere istantaneamente in praticai consigli del signor di Tréville, d'Artagnan si incamminòverso la via dei Fossoyeurs, per assistere alla confezionedel suo sacco da viaggio. Avvicinandosi a casa, riconobbeil signor Bonacieux in abito da mattina, in piedi sulla sogliadella porta. Tutto quanto gli aveva detto il giorno prima ilprudente Planchet sull'espressione sinistra del suo padrondi casa gli tornò in mente; lo guardò quindi piùattentamente di quanto non avesse fatto fino allora. Infattioltre al pallore giallognolo e malaticcio che rivelal'infiltrazione della bile nel sangue, e che d'altronde potevaessere veramente accidentale, d'Artagnan notò qualchecosa di cupamente perfido nelle rughe del suo volto. Unbirbante non ride come un uomo onesto, un ipocrita nonpiange le stesse lagrime di un uomo di buona fede. Ognifalsità è una maschera e per quanto la maschera sia benfatta, con un po' di attenzione si arriva sempre adistinguerla dal viso. Sembrò dunque a d'Artagnan cheBonacieux avesse una maschera e anche delle più

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spiacevoli a vedersi. Di modo che, vinto dalla ripugnanzaper quell'uomo, stava per passargli davanti senzarivolgergli la parola, quando, come il giorno prima il signorBonacieux lo chiamò: "Ebbene giovanotto" disse "pare chenoi facciamo lunghe nottate? Le sette del mattino! Mi pareche voi capovolgiate le consuetudini, e che rincasiatequando gli altri escono." "Non si potrà dire altrettanto di voi,padron Bonacieux, voi siete il modello degli uomini virtuosi.E' vero che quando si possiede una giovane e bella moglienon c'è bisogno di correre in cerca della felicità; è la felicitàche viene a trovarvi, non è vero signor Bonacieux?"Bonacieux diventò pallido come la morte e fece unasmorfia che voleva parere un sorriso. "Ah, ah!" disseBonacieux "voi siete un gaio compagno!" "Ma dove sietestato a correre, tutta notte, mio giovane signore? Sidirebbe che le strade traverse non fossero molto buone."D'Artagnan si guardò gli stivali che erano tutti infangati, manello stesso momento i suoi occhi si posarono sulle scarpee sulle calze del merciaio che sembravano essere stateimmerse nello stesso fango; le une e le altre recavanomacchie assolutamente uguali. Allora un'idea improvvisaattraversò il cervello di d'Artagnan. Quell'ometto grosso,corto, dai capelli grigi, una specie di servitore, vestito d'unabito scuro, trattato senza nessun riguardo dagli uomini dispada che componevano la scorta, era Bonacieux inpersona. Il marito aveva presieduto al rapimento dellamoglie. D'Artagnan fu preso da una voglia terribile disaltare alla gola del merciaio e di strangolarlo; ma, comesappiamo, era un ragazzo prudentissimo e seppe

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contenersi. Purtuttavia lo sconvolgimento avvenuto nei suoilineamenti era stato così evidente che Bonacieux ne fuspaventato e fece per indietreggiare di un passo; masiccome si trovava addossato al battente chiuso dellaporta, l'ostacolo che incontrò lo costrinse a restare dov'era."Ah, ma voi che burlate gli altri, caro il mio uomo" dissed'Artagnan "se i miei stivali hanno bisogno di un colpo dispazzola, le vostre scarpe e le vostre calze non sono certoin condizioni migliori. Avete forse corso anche voi lacavallina, signor Bonacieux? Diavolo! Sarebbeimperdonabile per un uomo della vostra età, che ha unamoglie giovane e bella come la vostra." "Oh, no, mio Dio,no" disse Bonacieux "ma ieri sono stato a Saint-Mandéper prendere informazioni su una domestica della quale hoassoluto bisogno, e siccome le strade erano pessime, hoportato a casa tutto questo fango dal quale non ho avutoancora il tempo di ripulirmi." Il luogo designato daBonacieux come meta del suo viaggio fu una nuova provain appoggio dei sospetti concepiti da d'Artagnan.Bonacieux aveva detto Saint-Mandé perché Saint-Mandé èin una località opposta a Saint-Cloud. Questa probabilità fuper lui una prima consolazione. Se Bonacieux sapevadov'era sua moglie, si sarebbe sempre potuto, impiegandomezzi estremi, forzare il merciaio ad aprire la bocca e asvelare il suo segreto. Si trattava solo di fare sì che laprobabilità si cambiasse in certezza. "Scusate, caroBonacieux" disse d'Artagnan "se con voi non facciocerimonie, ma nulla mette sete come il non dormire, hodunque una vera arsura, permettetemi di prendere un

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bicchiere d'acqua in casa vostra, un po' d'acqua non sirifiuta a un vicino." E senza attendere il permesso del suopadrone di casa, d'Artagnan entrò nella camera diBonacieux e dette un'occhiata al letto. Il letto non eradisfatto. Bonacieux non si era coricato. Egli dunque erarincasato solo un'ora o due prima; aveva accompagnatosua moglie sino al luogo dove era stata condotta, o per lomeno fino alla prima tappa. "Grazie, padron Bonacieux"disse d'Artagnan vuotando il bicchiere "è quanto volevo davoi. Ora rientro in casa a farmi pulire gli stivali da Planchete quando avrà finito, lo manderò da voi perché pulisca levostre scarpe." E lasciò il merciaio stupefatto da quellostrano saluto, a chiedersi se non si fosse tradito da solo. Incima alle scale trovò Planchet molto spaventato. "Ah,signore!" esclamò Planchet appena scorse il suo padrone"ecco un'altra novità… aspettavo con ansia cherincasaste." "Che c'è ancora?" chiese d'Artagnan. "Ve lado in cento, signore, ve la do in mille; voi non potreste maisupporre chi è venuto mentre non c'eravate." "Quando?""Mezz'ora fa, mentre vi trovavate dal signor di Tréville." "Echi è venuto? Suvvia, parla." "Il signor di Cavois." "Il signordi Cavois?" "In persona." "Il capitano delle guardie di SuaEminenza?" "Proprio lui." "Veniva per arrestarmi?" "L'hotemuto, signore, e ciò a onta della sua aria melata" "Diciche aveva l'aria melata?" "Altroché! era tutto miele,signore." "Davvero?" "Veniva, ha detto, da parte di SuaEminenza, che vi vuol molto bene per pregarvi di andar conlui al Palais Royal[18]." "E che cosa gli hai risposto?" "Chela cosa era impossibile poiché, come poteva costatare,

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non eravate in casa." "Allora che cosa ha detto?" "Dipassare immancabilmente da lui nella giornata. Poi haaggiunto sottovoce: "di' al tuo padrone che Sua Eminenzaè molto ben disposta verso di lui e che la sua fortunadipende forse da questo"." "La trappola è abbastanzamaldestra se consideriamo l'abilità del Cardinale" dissesorridendo il giovanotto. "Cosicché anch'io l'ho intravista eho risposto che al vostro ritorno sareste certo statoaddolorato di non averlo veduto." 'Dov'è andato?' mi hachiesto il signor di Cavois. 'A Troyes in Champagne' horisposto. 'E quando è partito?' 'Ieri sera'." "Planchet, amicomio" lo interruppe d'Artagnan "tu sei un uomo veramenteprezioso." "Capirete, signore, ho pensato che sarestesempre in tempo a smentirmi dicendo che non eravatepunto partito se desideravate vedere il signor di Cavois; inquesto caso, sarei stato io a dire una bugia, e per me, chenon sono gentiluomo, una bugia in più o in meno contapoco." "Rassicurati, Planchet, tu conserverai la tuareputazione di uomo veridico; fra un quarto d'orapartiamo." "E' il consiglio che stavo per dare al signore. Edove andremo, se non sono troppo curioso?" "Per Bacco?dal lato opposto a quello dove hai detto che ero andato.D'altronde, non hai tu tanta fretta di avere notizie diGrimaud, di Mousqueton e di Bazin, quanta ne ho io disapere che ne è di Athos, di Porthos e di Aramis?""Certamente, signore, e partirò quando vorrete; credo chel'aria di provincia, in questo momento sia migliore per noidi quella di Parigi. Per cui…" "Per cui, fa' i nostri bagagli,Planchet, e partiamo; io ti precedo piano piano, con le

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mani nelle tasche, perché nessuno abbia sospetti.Raggiungimi al palazzo delle Guardie. A proposito,Planchet, credo che tu abbia ragione quanto al nostropadrone di casa; decisamente è una canaglia." "Ah,credetemi, signore, quando vi dico qualche cosa; sonofisionomista io!" D'Artagnan uscì per primo come era statostabilito; poi per non avere nulla da rimproverarsi, tornò unavolta ancora alle rispettive abitazioni dei suoi tre amici; nonera giunta nessuna notizia di essi; era soltanto arrivata perAramis una lettera profumatissima e scritta con caratteriminuti ed eleganti. D'Artagnan si incaricò di recapitarla.Dieci minuti dopo, Planchet lo raggiunse alla scuderia delpalazzo delle Guardie. D'Artagnan per non perdere tempoaveva già sellato il suo cavallo. "Va bene" disse aPlanchet, dopo che questi ebbe fissato il sacco da viaggioalla sella "e ora sella gli altri e partiamo." "Credete checammineremo più presto con due cavalli per ciascuno?"chiese Planchet. "No, signor furbone" rispose d'Artagnan"ma con i nostri quattro cavalli noi potremo riportare a casai nostri tre amici, se, tuttavia, li troveremo in vita." "Il chesarebbe un gran miracolo" rispose Planchet "ma infine nonbisogna mai disperare della misericordia di Dio." "Amen"disse d'Artagnan saltando in sella. E entrambi uscirono dalpalazzo delle Guardie prendendo ognuno una stradadiversa poiché l'uno doveva uscire da Parigi dalla barrieradella Villette e l'altro dalla barriera di Montmartre, perriunirsi poi al di là di Saint-Denis, manovra strategica che,essendo stata eseguita con uguale puntualità, fu regolatadal più felice successo. D'Artagnan e Planchet entrarono

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assieme a Pierrefitte. Planchet, bisogna dirlo, era piùcoraggioso di giorno che di notte. Tuttavia la sua naturaleprudenza non l'abbandonava un attimo; egli non avevadimenticato nessuno degli incidenti del primo viaggio econsiderava nemici tutti quelli che incontrava lungo lastrada. Il risultato era ch'egli aveva continuamente ilcappello in mano, il che gli valeva i più severi rimbrotti did'Artagnan il quale temeva che, per effetto di questoeccesso di gentilezza, Planchet venisse scambiato per ilservitore di un uomo di poco conto. Tuttavia, sia che ipassanti fossero effettivamente lusingati dalla gentilezza diPlanchet, sia che questa volta nessuno fosse appostatosulla strada del giovanotto, i nostri due viaggiatoriarrivarono a Chantilly senza nessun incidente, e disceseroall'albergo del Gran San Martino, lo stesso nel quale sierano fermati al loro primo viaggio. L'oste, vedendo ungiovanotto seguito da un servo e da due cavalli affaticati, sifece rispettosamente sulla soglia. Ora, avendo già fattoundici leghe, d'Artagnan considerò opportuno fermarsi,fosse Porthos o no nell'albergo. E inoltre sarebbe forsestato imprudente chiedere di prim'acchito che cosa fosseaccaduto del moschettiere. Il risultato di queste riflessionifu che d'Artagnan, senza chiedere notizie di chicchessia,scese da cavallo, raccomandò i suoi cavalli e il suoservitore, entrò in una cameretta destinata ad accoglierecoloro che volevano star soli e domandò all'oste unabottiglia del suo vino migliore e una colazione piùsucculenta che fosse possibile, richiesta che corroborò…la buona opinione che di lui aveva concepito a prima vista

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l'albergatore. Cosicché d'Artagnan fu servito con unaprontezza miracolosa. Il reggimento delle guardie venivareclutato fra i primi gentiluomini del regno, e d'Artagnanseguito da un servitore, in viaggio con quattro cavalli, nonpoteva, nonostante la semplicità della sua uniforme, nonfare impressione. L'oste volle servirlo personalmente; ed'Artagnan, vedendo ciò, fece portare due bicchieri, einiziò la conversazione seguente. "In fede mia, mio caroalbergatore" disse d'Artagnan, riempiendo i due bicchieri"siccome vi ho chiesto il vostro vino migliore, se mi aveteingannato sarete punito dal vostro stesso peccato; infatti,poiché io detesto bere da solo, voi berrete con me.Prendete dunque questo bicchiere e beviamo. Alla salutedi chi berremo? Pensiamoci un poco, per non offenderenessuna suscettibilità. Beviamo alla prosperità del vostroalbergo." "Vostra Signoria mi fa troppo onore" dissel'albergatore "e io la ringrazio sinceramente del suo buonaugurio." "Non prendete abbaglio" disse d'Artagnan "nelmio brindisi c'è più egoismo che non pensiate, solo neglialberghi che prosperano si sta bene; negli alberghi chevanno a rotoli, tutto va alla peggio e i viaggiatori sono levittime delle preoccupazioni dell'oste; ora, siccome ioviaggio molto e specialmente su questa strada, vorrei chetutti gli albergatori facessero fortuna." "Infatti mi sembrache non sia la prima volta che ho l'onore di vedere ilsignore." "Sarò passato da Chantilly forse dieci volte, e suqueste dieci, mi sono fermato qui per lo meno tre o quattrovolte. Vedete, c'ero giusto un dieci o dodici giorni or sono;facevo da guida ad alcuni amici dei moschettieri; anzi, uno

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di loro si accapigliò con un estraneo, uno sconosciuto, unoche cercava in ogni modo di attaccare lite." "E' vero" dissel'oste "lo ricordo perfettamente. E' forse del signor Porthosche vossignoria vuol parlare?" "E' proprio il nome del miocompagno di viaggio. Mio Dio, caro albergatore, non gli èper caso successa qualche disgrazia?" "Vostra Signoriaavrà notato ch'egli non poté continuare il viaggio." "Infatti, ciaveva promesso di raggiungerci e non l'abbiamo più visto.""Ci ha fatto l'onore di restar qui." "Come! Vi ha fatto l'onoredi restar qui?" "Sì, signore! In questo albergo; anzi hoqualche preoccupazione al riguardo." "Per che cosa?""Per certe spese che ha fatto." "Ebbene? Egli pagherà lespese fatte." "Ah! signore, voi versate del balsamo nellemie vene! Ci siamo esposti per lui straordinariamente, eanche stamane il chirurgo ci ha dichiarato che se il signorPorthos non lo avesse pagato, si sarebbe rivalso su di me,visto che ero stato io a farlo chiamare." "Ma Porthos èdunque ferito?" "Non saprei dirvelo, signore." "Come, nonsapreste dirmelo? Eppure dovreste esserne informatomeglio di qualunque altro." "Sì, nel nostro mestiere nondiciamo mai tutto quel che sappiamo, specialmentequando veniamo avvisati che le nostre orecchierispondono per la nostra lingua." "Ebbene, posso vederePorthos?" "Certamente, signore. Salite la scala e al primopiano picchiate al numero uno. Però avvertite che sietevoi." "Come? debbo avvertire che sono io?" "Sì, perchépotrebbe capitarvi qualche guaio." "E che guaio volete chemi capiti?" "Il signor Porthos può scambiarvi con qualcunodella casa, e in un momento di collera passarvi da parte a

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parte con la spada, o bruciarvi le cervella." "Ma che gliavete fatto?" "Gli abbiamo chiesto del denaro." "Ah,diavolo! ora capisco; è una domanda che irrita moltoPorthos quando non è in fondi; ma io so che deve essereben fornito." "E' ciò che pensavamo anche noi, signore; esiccome la nostra casa è ordinatissima, e facciamo i contiregolarmente ogni settimana, così in capo a otto giorni gliabbiamo presentata la nota, ma a quanto pare capitammoin un cattivo momento; perché alla prima parola chedicemmo in proposito, ci mandò a tutti i diavoli. E' veroperò che il giorno prima aveva giuocato." "Aveva giuocatoil giorno prima? e con chi?" "Oh, Dio mio! Chi lo sa? Conun signore di passaggio, al quale propose di fare unapartitina al lanzichenecco." "Ora capisco; il disgraziato,avrà perduto tutto!" "Anche il suo cavallo, signore, perchéquando la persona in questione fu per partire, ciaccorgemmo che il suo lacché sellava il cavallo del signorPorthos. Allora noi gli facemmo notare il suo errore, maegli ci rispose di non immischiarci in cose che non ciriguardavano, e che il cavallo era suo. Feci avvertireimmediatamente il signor Porthos di quanto accadeva, maegli mi fece rispondere che eravamo dei facchini perchémettevamo in dubbio la parola di un gentiluomo, e che sequel viaggiatore aveva detto che il cavallo era suo, la cosastava così certamente." "Come lo riconosco!" mormoròd'Artagnan. "Allora" continuò l'oste "gli feci dire che dalmomento che sembravamo destinati a non intenderci aproposito del pagamento, speravo che almeno avrebbeavuta la bontà di accordare la sua clientela al mio collega

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padrone dell'Aquila d'Oro; ma il signor Porthos rispose cheil mio albergo era il migliore e che desiderava restarvi.Questa risposta era troppo lusinghiera perché osassiinsistere per farlo partire. Mi accontentai dunque dipregarlo di restituirmi la sua camera che è la più belladell'albergo e di accontentarsi di una graziosa stanzetta alterzo piano. Ma a questo, il signor Porthos rispose che,siccome aspettava da un momento all'altro la sua amanteche era una delle più grandi dame della corte, dovevocapire come la camera che egli mi faceva l'onore diabitare fosse ancora troppo meschina per una similepersona. Purtuttavia, sebbene riconoscessi la verità diquanto diceva, mi provai a insistere, ma egli, senzaneppure far la fatica di entrare in discussione con me,prese la pistola, la mise sul tavolino da notte e dichiarò chealla prima parola che gli fosse stata detta circa un traslocoqualsiasi all'interno o all'esterno, avrebbe bruciato lecervella a colui che si fosse mostrato abbastanzaimprudente da immischiarsi in una faccenda cheriguardava soltanto lui, cosicché, signore, da alloranessuno all'infuori del suo domestico è entrato in quellacamera." "Mousqueton è dunque qui?" "Sì, signore. Cinquegiorni dopo la sua partenza, ritornò di pessimo umoreanche lui; pare che durante il viaggio abbia avuto anch'eglidelle noie. Disgraziatamente egli è più svelto del suopadrone, dimodoché, per accontentare quest'ultimo, mettetutto sottosopra, giacché, pensando che gli si possarifiutare qualcosa di quanto domanda, prende tutto quelloche gli abbisogna senza domandare." "E' un fatto" osservò

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d'Artagnan "che io ho sempre notato in Mousqueton unadevozione e una intelligenza affatto superiori." "Può darsi,signore, ma supponete che mi accada soltanto quattrovolte all'anno di trovarmi alle prese con una fedeltà eun'intelligenza simili, e io sono un uomo rovinato." "No,perché Porthos vi pagherà." "Hum!" fece l'oste con ariadubitativa. "E' il favorito di una grande dama che non lolascerà certo in imbarazzo per una miseria come quellache vi deve." "Se osassi dire ciò che penso in proposito…""Ciò che pensate?" "Dovrei dire piuttosto ciò che so." "Ciòche sapete?" "E potrei anche aggiungere; ciò di cui sonosicuro." "E di che cosa siete sicuro? Sentiamo." "Direi checonosco questa grande dama." "Voi?" "Io." "E come laconoscete?" "Signore, se potessi fidare sulla vostradiscrezione…" "Parlate e, parola d'onore, non vi pentiretedella vostra confidenza." "Ebbene, signore, voi dovetecapire che la preoccupazione per il proprio denaro fa faremolte cose." "Che cosa avete fatto?" "Oh! nulla che nonabbia diritto di fare un creditore." "Insomma ?" "Il signorPorthos ci consegnò un biglietto per questa duchessaraccomandandoci di impostarlo. Il suo domestico non eraancora arrivato. Siccome egli non poteva uscire dovevapure incaricare noi della commissione." "E poi?" "Invece diimpostare la lettera, mezzo non troppo sicuro, approfittaidella gita di uno dei miei garzoni a Parigi e gli ordinai diportare la lettera a questa duchessa e di consegnarglielapersonalmente. Era il mezzo migliore per fare quanto ilsignor Porthos ci aveva domandato, non è vero?""Pressappoco." "Ebbene, signore, sapete chi è questa

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grande dama?" "No; ne ho sentito parlare da Porthos enulla più." "Sapete chi è questa pretesa duchessa?" "Viripeto che non la conosco." "E' la vecchia moglie di unprocuratore dello Chatelet, signore, chiamata signoraCoquenard, che ha per lo meno cinquant'anni e pretendeancora di essere gelosa. Mi pareva troppo strano che unaprincipessa abitasse in via dell'Orso." "E come sapetetutto ciò?" "Perché essa si è infuriata leggendo la lettera eha detto che il signor Porthos era un uomo volubile e cheera stato ferito certamente per qualche donna." "Madunque è stato ferito?" "Mio Dio! che ho detto mai!" "Avetedetto che Porthos è stato ferito." "Sì; ma egli mi avevaproibito formalmente di dirlo." "Perché?" "Caspita, signore,perché si è vantato di passare da parte a parte losconosciuto col quale lo lasciaste in piena disputa, einvece fu lo sconosciuto che, nonostante le rodomontatedel vostro amico, lo lasciò sul terreno. Ora siccome ilsignor Porthos è orgogliosissimo con tutti, tranne che conla duchessa che aveva creduto di commuovereraccontandole la sua disavventura, non vuole confessare anessuno." "Cosicché è dunque un colpo di spada che locostringe a letto?" "Posso garantirvelo. Bisogna che ilvostro amico abbia l'anima ben radicata al corpo." "Maeravate presente al duello?" "Signore, li avevo seguiti percuriosità e vidi il combattimento senza che i combattenti mivedessero." "E che successe?" "Non fu una cosa lunga,potete credermi. Si misero in guardia; lo sconosciuto feceuna finta e tirò un affondo, ma con tanta rapidità chequando il signor Porthos volle parare, aveva già tre pollici

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di ferro nel petto. Egli cadde all'indietro. Lo sconosciuto glimise subito la punta della spada alla gola; e il signorPorthos, vistosi alla mercé del suo avversario, si dichiaròvinto. Dopo di che lo sconosciuto gli chiese il suo nome e,saputo che si chiamava Porthos e non d'Artagnan, gli offrì ilbraccio e lo ricondusse all'albergo, poi montò a cavallo edisparve." "Cosicché, era col signor d'Artagnan che cel'aveva lo sconosciuto." "Pare di sì." "E sapete che cosa neè stato di quel forestiero?" "No, non l'avevo visto mai primad'allora e non l'ho più rivisto dopo." "Benissimo, so quantovolevo sapere. La camera di Porthos è al primo piano,numero uno, è vero?" "Sì, signore, la più bella dell'albergo;una camera che avrei potuto affittare dieci o dodici volte.""State tranquillo" disse d'Artagnan ridendo. "Porthos vipagherà col denaro della duchessa Coquenard." "Oh,signore, procuratrice o duchessa, se aprisse i cordonidella borsa, tutto il resto sarebbe nulla, ma essa harisposto positivamente che è stanca delle esigenze e delleinfedeltà del signor Porthos, e che non gli avrebbemandato neanche un soldo." "E avete comunicata questarisposta al vostro ospite?" "Ce ne siamo guardati bene; sisarebbe accorto del modo con cui avevamo eseguito lasua commissione." "Cosicché aspetta sempre il denaro?""Oh! mio Dio, sì. Anche ieri ha scritto. Ma questa volta èstato il suo servitore a impostare la lettera." "E voi dite chela procuratrice è vecchia e brutta?" "Ha cinquant'anni per lomeno, signore, e non è punto bella, a quanto dicePathaud." "In tal caso, si lascerà intenerire, siatene certo;d'altronde, Porthos non può dovervi granché." "Come, non

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può dovermi granché? Una ventina di pistole, senzacontare il medico. Oh! non si fa mancar nulla, state sicuro,si vede che è abituato a vivere bene." "Ebbene, se la suaamante lo abbandona, troverà degli amici che loaiuteranno, ve lo garantisco. Cosicché, mio caro oste, nonabbiate preoccupazioni e continuate ad avere per lui tuttele cure che il suo stato esige." "Il signore mi ha promessodi non parlare della procuratrice e di non dire una parolacirca la ferita." "E' cosa convenuta, vi ho dato la mia parolad'onore." "Mi ucciderebbe, ne sono sicuro." "Non temete;non è così cattivo come pare." E in così dire, d'Artagnansalì le scale lasciando l'oste un po' più rassicurato circa ledue cose che parevano premergli di più: il suo credito e lasua vita. In cima alle scale, sulla porta più in vista delcorridoio era scritto con l'inchiostro nero un numero 1gigantesco; d'Artagnan picchiò un colpo e, all'intimazionedi passare oltre che gli venne dall'interno, entrò. Porthosera coricato e giocava al lanzichenecco con Mousquetonper mantenersi in esercizio, mentre uno spiedo carico dipernici girava davanti al fuoco e a ogni angolo di un grandecamino, su due bracieri, bollivano due casseruole, dallequali esalava un doppio odore di fricassea di coniglio e dibrodetto di pesce che faceva venire l'acquolina in bocca.Inoltre il piano dello scrittoio e il marmo del cassettoneerano coperti di bottiglie vuote. Alla vista dell'amico,Porthos gettò un grido di gioia; e Mousqueton, alzandosirispettosamente gli cedette il posto e se ne andò a dareun'occhiata alle casseruole alle quali pareva dovessesopraintendere. "Perdio! siete voi!" disse Porthos a

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d'Artagnan "siate il benvenuto. Scusatemi se non vi corroincontro. Ma" aggiunse guardando con una certainquietudine d'Artagnan "voi sapete ciò che mi è capitato?""No." "L'oste non vi ha detto nulla?" "Ho chiesto di voi esono salito immediatamente." Parve che Porthosrespirasse più liberamente. "Che vi è dunque capitato,caro Porthos?" continuò d'Artagnan. "Mi è capitato che,facendo un affondo contro il mio avversario al quale avevogià allungati tre colpi di spada e che volevo finire con unquarto, sono scivolato e mi sono lussato un ginocchio.""Davvero?" "Proprio così. Ed è stata la fortuna di quelmarrano che altrimenti avrei lasciato morto sul posto, ve logarantisco." "E che ne è stato di lui?" "Oh! Non ne so nulla;ne avrà avuto abbastanza ed è partito senza chiedere ilresto; ma voi, caro d'Artagnan, che cosa avete fatto?" "Dimodo che" continuò d'Artagnan "questa lussazione viobbliga a letto, caro Porthos?" "Eh, mio Dio, sì; però fraqualche giorno mi rimetterò in piedi." "Ma perché non visiete fatto trasportare a Parigi? Qui dovete annoiarvimaledettamente." "Era infatti la mia intenzione ma, miocaro amico, debbo confessarvi un'altra cosa." "Quale?""Che siccome mi annoiavo terribilmente, comegiustamente avete osservato e siccome avevo in tasca lesettantacinque pistole che mi avevate date, per distrarmiho fatto salire in camera mia un gentiluomo di passaggio,al quale proposi una partita ai dadi. Egli accettò, e, in fedemia, le mie settantacinque pistole passarono dalla miatasca nella sua, senza contare il mio cavallo che si preseper soprammercato. Ma di voi, che ne è stato, caro

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d'Artagnan?" "Che volete, caro Porthos, non si possonoavere tutte le fortune; conoscete il proverbio: disgraziato algiuoco, fortunato in amore, e voi siete troppo fortunato inamore perché il giuoco non si vendichi; ma che importanzapuò avere per voi un rovescio della fortuna? Non aveteforse, fortunato birbante, la vostra duchessa, che non puòmancare di venirvi in aiuto?" "Ebbene, vedete un po', miocaro d'Artagnan, in che periodo di sfortuna mi trovo" dissePorthos con la più grande disinvoltura di questo mondo; "leho scritto di mandarmi una cinquantina di luigi di cui avevoassoluto bisogno, dato lo stato in cui sono…" "Ebbene?""Ebbene! bisogna dire ch'essa sia nelle sue terre, perchénon mi ha risposto." "Davvero?" "Cosicché ieri le ho scrittouna seconda lettera più pressante della prima; ma voi sietequi, mio caro, parliamo di voi." "Cominciavo, ve loconfesso, a essere un poco in pena per voi. Mal'albergatore si conduce molto bene verso di voi, mi pare"disse d'Artagnan, mostrando al malato le casseruole pienee le bottiglie vuote. "Così, così" rispose Porthos. "Tre oquattro giorni or sono ha avuto l'impertinenza di portarmi ilconto, ma io ho messo alla porta lui e il suo conto; di modoche sono qui come una specie di vincitore o se vi piacemeglio di conquistatore. Tanto che, come vedete, temendoche si tratti di espugnare la posizione, sono armato fino aidenti." "Però mi sembra" disse ridendo d'Artagnan "che ditanto in tanto facciate delle sortite." E così dicendoindicava le bottiglie e le casseruole. "Io no,disgraziatamente!" disse Porthos. "Questa malauguratalussazione mi obbliga a letto, ma Mousqueton batte la

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campagna e torna con i viveri. Mousqueton, amico mio"continuò Porthos "come vedete sono giunti rinforzi, sarànecessario un supplemento di vettovaglie." "Mousqueton"disse d'Artagnan "bisogna che mi facciate un piacere.""Quale, signore?" "Quello di dare la vostra ricetta aPlanchet; potrei trovarmi anch'io assediato, e non sareispiacente se egli mi facesse godere degli stessi vantaggidi cui voi gratificate il vostro padrone." "Eh, Dio mio,signore" rispose Mousqueton con aria modesta "nulla dipiù facile. Si tratta di essere furbo, ecco tutto. Io sono statoallevato in campagna, e mio padre, nei momenti d'ozio,faceva un po' il bracconiere." "E negli altri momenti checosa faceva?" "Signore, esercitava un'industria che hosempre giudicata molto felice." "Quale?" "Siccome era iltempo delle guerre fra Cattolici e Ugonotti, ed egli vedeva iCattolici sterminare gli Ugonotti, e gli Ugonotti sterminare iCattolici, e sempre in nome della religione, si era creatauna religione mista, il che gli permetteva di essere certevolte cattolico e certe altre ugonotto. Ora, egli aveval'abitudine di passeggiare dietro le siepi chefiancheggiavano le strade, col suo schioppo in spalla, equando vedeva venire un Cattolico solo, la religioneprotestante aveva subito il sopravvento. Abbassava loschioppo nella direzione del viaggiatore, poi quandoquesto era a dieci passi da lui, nel suo spirito iniziava unaconversazione che quasi sempre finiva con l'abbandonoche il viaggiatore, per aver salva la vita, faceva dellapropria borsa nelle mani di mio padre. Si capisce che,allorché vedeva arrivare un Ugonotto, egli si sentiva preso

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da uno zelo così ardente che non riusciva a capire come,un quarto d'ora prima, avesse potuto avere dei dubbi sullasuperiorità della nostra santa religione. Perché, signore, iosono cattolico, dato che mio padre, fedele ai suoi principi,aveva fatto del mio fratello maggiore un Ugonotto." "Ecome finì questo galantuomo?" chiese d'Artagnan. "Oh, nelmodo più triste, signore. Un giorno si trovò preso in unastrada chiusa tra due alte scarpate fra un Ugonotto ed unCattolico coi quali aveva avuta una conversazione in altritempi e che lo riconobbero entrambi, di modo che siaccordarono contro di lui e lo impiccarono a un albero; poivennero a vantarsi della bella prodezza compiuta all'osteriadel primo villaggio che incontrarono dove io e mio fratelloci trovavamo per caso a bere." "E che faceste?" dissed'Artagnan. "Li lasciammo dire" riprese Mousqueton. "Poi,siccome uscendo dall'osteria presero ciascuno una viaopposta, mio fratello si imboscò sulla strada del Cattolico,io su quella dell'Ugonotto. Due ore dopo tutto era finito eciascuno aveva avuto il suo conto saldato, potemmo cosìammirare la previdenza di nostro padre che ci avevaallevati ognuno in una religione differente." "Infatti, ditebene Mousqueton, vostro padre era un uomointelligentissimo. E voi dite che nelle ore di ozio questobrav'uomo faceva il bracconiere?" "Sì signore, e fu lui chem'insegnò ad annodare un laccio e a posare una lenzasott'acqua. Di modo che allorché ho visto che quellacanaglia del nostro albergatore ci nutriva con del vecchiomanzo buono appena per dei villani, e dannosissimo perdegli stomachi deboli come i nostri, mi sono rimesso al

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mio antico mestiere. Passeggiando nei boschi dimonsignor Principe[19] ho teso dei lacci nei punti dipassaggio della selvaggina, e coricandomi in riva aglistagni di sua Altezza ho immerso la mia lenza sott'acqua.Cosicché ora, grazie a Dio, non manchiamo di nulla, comepuò verificare il signore, abbiamo pernici e conigli, carpionie anguille, tutti cibi leggeri e sani ben adatti a dei malati.""Ma il vino" disse d'Artagnan "chi vi fornisce il vino? L'osteforse?" "Sì e no." "Come sì e no?" "Lo fornisce, è vero, maignora di avere questo onore." "Spiegatevi Mousqueton, lavostra conversazione è più che mai istruttiva." "Ecco,signore. Il caso ha voluto che durante le mie peregrinazioniincontrassi uno Spagnolo che aveva visto molti paesi e fragli altri il Nuovo Mondo." "Che rapporto ci può essere fra ilNuovo Mondo e le bottiglie che sono su questa scrivania equesto cassettone?" "Pazienza, signore, ogni cosa a suotempo." "Giusto, Mousqueton; mi rimetto a voi e vi ascolto.""Questo Spagnolo, aveva al suo servizio un lacché chel'aveva accompagnato in un suo viaggio in Messico.Questo lacché era un mio compatriota, cosicché noifacemmo amicizia tanto più rapidamente in quanto v'eranotra di noi molti tratti di carattere comuni. Tutti e dueamavamo la caccia più di qualunque altra cosa al mondo,di modo che egli mi raccontava come, nelle pianure dellepampas, gli indigeni di quel paese caccino la tigre e il toroper mezzo di semplici nodi scorsoi che gettano al collo diquesti animali feroci. Sulle prime non volevo credere che sipotesse essere tanto abili da gettare a venti o trenta passidi distanza l'estremità di una corda dove si vuole; ma

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davanti alla prova dovetti ammettere la veridicità delracconto. Il mio amico metteva una bottiglia a trenta passidi distanza e a ogni colpo l'afferrava al collo col nodoscorsoio. Mi dedicai anch'io a questo esercizio, e, poichéla natura mi ha dotato di qualche abilità, oggi getto il lazo.Ora mi capite? Il nostro oste ha una cantina molto benfornita, di cui però non abbandona mai la chiave; senonchéquesta cantina ha uno spiraglio. Appunto da questospiraglio io getto il lazo; e siccome ora so qual è l'angolobuono, attingo da esso. Ecco, signore, il rapporto checorre tra il Nuovo Mondo e le bottiglie che sono sulloscrittoio e sul cassettone. E, adesso, se volete assaggiareil nostro vino, ci direte senza scrupoli che cosa nepensate." "Grazie, amico mio, ma, disgraziatamente, peroggi ho già fatto colazione." "Ebbene" disse Porthos"apparecchia la tavola, e mentre noi facciamo colazione,d'Artagnan ci racconterà cosa ha fatto in questi dieci giornidi assenza." "Volentieri" acconsentì d'Artagnan. MentrePorthos e Mousqueton facevano colazione con un appetitoda convalescenti e con quella fraterna cordialità cheravvicina gli uomini nelle disgrazie, d'Artagnan raccontòcome Aramis, ferito, fosse stato costretto a fermarsi aCrèvecoeur, come avesse lasciato Athos ad Amiens, tra lemani di quattro uomini che l'accusavano di essere unfalsario e come egli stesso, d'Artagnan, fosse statocostretto a passare sul corpo del conte di Wardes perpotere arrivare in Inghilterra. Ma a questo punto leconfidenze di d'Artagnan si arrestarono, annunziò soltantoche dall'Inghilterra aveva portato quattro magnifici cavalli:

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uno per sé e gli altri uno per ciascuno per i suoi tre amici;poi terminò avvertendo Porthos che quello che gli eradestinato era già nella scuderia dell'albergo. In quel mentreentrò Planchet per avvertire il padrone che i cavalli eranosufficientemente riposati e che sarebbe stato possibileandare a dormire a Clermont. Siccome d'Artagnan eraormai pressoché tranquillo sul conto di Porthos ed eraansioso di avere notizie degli altri suoi due amici, tese lamano al malato e lo prevenne che si rimetteva in viaggioper continuare le sue ricerche. D'altronde, poiché facevaconto di tornare per la stessa strada, se di lì a sette od ottogiorni Porthos era ancora all'albergo del Gran San Martino,lo avrebbe preso con sé al passaggio. Porthos rispose chemolto probabilmente la sua lussazione non gli avrebbepermesso di lasciare l'albergo prima d'allora e ched'altronde era costretto a rimanere a Chantilly peraspettare una risposta della sua duchessa. D'Artagnan gliaugurò una risposta sollecita e soddisfacente, e dopo averraccomandato Porthos a Mousqueton e pagatol'albergatore, si rimise in cammino con Planchet, giàsbarazzato di uno dei suoi cavalli.

Capitolo 26 LA TESI DI ARAMIS

D'Artagnan non aveva parlato a Porthos né della sua ferita,né della sua procuratrice. Era un ragazzo giudiziosissimo,il nostro Bearnese, sebbene fosse tanto giovane. Ne

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consegue che aveva finto di credere a tutto quanto gliaveva raccontato l'orgoglioso moschettiere, convinto chenon ci sono amicizie che reggano a un segreto,specialmente se questo segreto interessi l'orgoglio; inoltre,si ha sempre una certa superiorità morale sopra coloro dicui si conosce la vita. Ora d'Artagnan, nei suoi progettid'intrighi futuri e deciso com'era a fare dei suoi trecompagni gli strumenti della propria fortuna, d'Artagnan,dicevamo, non era spiacente di riunire nelle proprie maniquei fili invisibili con l'aiuto dei quali sperava di poterliguidare. Però durante tutto il cammino una profondatristezza gli stringeva il cuore; egli pensava alla giovane ebella signora Bonacieux che doveva dargli il premio per lasua devozione; ma, affrettiamoci a dirlo, questa tristezzanasceva nel giovane meno dal rimpianto della felicitàperduta che dal timore che potesse essere accadutaqualche disgrazia alla povera donna. Non v'erano dubbiper lui, essa era vittima di una vendetta del Cardinale e,come si sa, le vendette di Sua Eminenza erano terribili.Come egli avesse potuto trovar grazia agli occhi delMinistro era ciò che ignorava egli stesso e che certo gliavrebbe rivelato il signor di Cavois, se il capitano delleguardie lo avesse trovato in casa. Nulla fa passare il tempoe abbrevia la strada come un pensiero in cui siassorbiscano tutte le facoltà intellettive. L'esistenza esternarassomiglia allora a un sonno di cui questo pensiero è ilsogno. Grazie a esso, il tempo non ha più misura, lo spazionon ha più distanza. Si parte da un luogo e si arriva a unaltro, ecco tutto. Dell'intervallo percorso, nulla resta

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presente al nostro ricordo se non qualcosa di simile a unanebbia leggera in cui si cancellano mille immagini confusedi alberi, di montagne, di paesaggi. Fu in preda a questaallucinazione che d'Artagnan percorse, alla velocità che ilsuo cavallo volle tenere, le sei od otto leghe che separanoChantilly da Crèvecoeur, senza che arrivando in questovillaggio, ricordasse nulla di quanto aveva visto durante lastrada. A Crèvecoeur la memoria gli ritornò ed egli scossela testa, poi, scorta l'osteria dove aveva lasciato Aramis,mise il cavallo al trotto e si fermò alla porta. Questa voltanon fu l'oste, ma l'ostessa a riceverlo. D'Artagnan, che erafisionomista, avvolse con un'occhiata la grossa facciasorridente della padrona del luogo ed intuì che con lei nonc'era bisogno di dissimulare, perché non c'era nulla datemere da parte di una così allegra fisionomia. "Mia buonasignora" chiese d'Artagnan "potreste dirmi che ne è statodi uno dei miei amici che fummo obbligati a lasciar qui unadecina di giorni fa?" "Un bel giovanotto di ventitré oventiquattro anni, dolce, gentile, ben fatto?" "E' lui." "E,inoltre, ferito ad una spalla?" "Proprio così." "Ebbene,signore, è sempre qui." "Ah, perbacco, mia cara signora"disse d'Artagnan scendendo da cavallo e gettando labriglia a Planchet. "Voi mi rendete la vita; dov'è dunquequesto caro Aramis ché io lo abbracci, perché ve loconfesso, ho fretta di rivederlo." "Scusate, signore, macredo che in questo momento non possa ricevervi.""Perché? E' forse con una donna?" "Dio mio! che ditemai? Povero figliuolo! No, signore, non è con una donna.""E con chi è dunque?" "Col curato di Montdidier e col

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superiore dei gesuiti di Amiens." "Dio mio" esclamòd'Artagnan "forse che il povero ragazzo è agli estremi?""No, signore, al contrario; ma in seguito alla sua malattia, lagrazia l'ha toccato ed egli si è deciso ad entrare negliordini." "E' giusto" disse d'Artagnan "avevo dimenticatoche non è moschettiere se non temporaneamente." "Ilsignore insiste per vederlo?" "Più che mai." "Ebbene, ilsignore prenda la scala a destra, nel cortile, e salga alsecondo piano, numero 5." D'Artagnan si lanciò nelladirezione indicata e trovò una di quelle scale esterne comese ne trovano ancora ai nostri giorni, nei cortili degli antichialberghi. Ma non si arrivava così facilmente dal futuroabate: l'ingresso della camera d'Aramis era custodito népiù né meno dei giardini d'Armida; Bazin, che montava laguardia nel corridoio, gli sbarrò il passo con tantamaggiore intrepidezza ché, dopo molti anni di prova, sivedeva finalmente sul punto di giungere al risultato cuiaveva sempre aspirato. Il sogno del povero Bazin erasempre stato infatti quello di servire un ecclesiastico, edegli aspettava con impazienza il momento,incessantemente intravisto nell'avvenire, in cui Aramisavrebbe gettato finalmente alle ortiche la casacca delmoschettiere per indossare la tonaca. La promessarinnovata ogni giorno che il momento non poteva tardare,era stato l'elemento che lo aveva trattenuto al servizio delmoschettiere, servizio nel quale, a quanto diceva, nonpoteva mancare di perdere l'anima. Bazin era dunque alcolmo della gioia. Secondo ogni probabilità questa volta ilsuo padrone avrebbe mantenuto la parola. L'unione del

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dolore fisico col dolore morale aveva prodotto l'effetto pertanto tempo desiderato; Aramis, che soffriva insieme nelcorpo e nell'anima, aveva finalmente fissato sulla religione isuoi occhi e il suo pensiero, aveva considerato come unavvertimento del cielo il doppio incidente che gli eracapitato; vale a dire l'improvvisa scomparsa della suaamante e la sua ferita alla spalla. Si capisce che nullapoteva, nella disperazione d'animo in cui si trovava, esserepiù spiacevole a Bazin dell'improvviso arrivo di d'Artagnan,che poteva rigettare il suo padrone nel turbine dellerelazioni mondane che lo aveva travolto per tanto tempo.Egli prese quindi la risoluzione di difendere arditamente laporta; e siccome, tradito dall'albergatrice, non poteva direche Aramis era assente, cercò di dimostrare alsopraggiunto che sarebbe stato il colmo dell'indiscrezionedisturbare il suo padrone nella pia conversazione ch'egliaveva iniziato sin dal mattino e che, a sentirlo, non potevaessere terminata prima di sera. Ma d'Artagnan non dettealcun peso all'eloquente discorso di Bazin e, siccome nonaveva nessuna voglia di entrare in una discussionepolemica col servo del suo amico, lo scostòsemplicemente dalla porta, con una mano, mentre conl'altra girò la maniglia del numero 5. La porta s'aprì ed'Artagnan entrò. Aramis indossava un soprabito nero,aveva in capo una specie di berretto rotondo e piatto chesomigliava discretamente a una calotta ed era seduto auna tavola ovale coperta di rotoli di carta e di enormi infolio; alla sua destra era seduto il superiore dei gesuiti ealla sua sinistra il curato di Montdidier. Le tende erano

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semichiuse e non lasciavano penetrare che una luce, moltoadatta per una beata fantasticheria. Tutti gli oggettimondani che possono colpire lo sguardo di chi entri nellacamera di un giovanotto elegante, e specialmente quandoquesto giovanotto è un moschettiere, erano spariti comeper incanto, e Bazin aveva anche fatto man bassa sullaspada, le pistole, il cappello piumato, i ricami e i pizzid'ogni genere e d'ogni specie, per paura senza dubbio chela loro vista riportasse il suo padrone alle idee di questomondo. In loro vece parve a d'Artagnan di scorgere in unangolo oscuro, appeso al muro con un chiodo, una speciedi silicio. Al rumore che fece d'Artagnan aprendo la porta,Aramis levò il capo e riconobbe l'amico. Ma, con grandestupore del giovanotto, parve che la sua presenza nonfacesse una gran de impressione sul moschettiere, tanto ilsuo spirito era distaccato dalle cose terrene. "Buongiorno,caro d'Artagnan" disse Aramis "sono molto felice dirivedervi." "Anch'io" disse d'Artagnan "sebbene non siaancora ben sicuro che sia Aramis colui al quale stoparlando." "Proprio lui, amico mio, proprio lui; ma che cosaha potuto farvene dubitare?" "Avevo avuto paura di averesbagliata la camera, e, lì per lì, mi sono credutonell'abitazione di un uomo di chiesa; poi un altro dubbio siè impadronito di me vedendovi in compagnia di questisignori, ed è che voi foste gravemente ammalato." I dueuomini neri, che capirono le intenzioni di d'Artagnan, glilanciarono uno sguardo quasi minaccioso, ma ilmoschettiere non se ne preoccupò. "Forse vi disturbo, miocaro Aramis" continuò d'Artagnan "giacché da ciò che

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vedo, mi sento indotto a credere che foste intento aconfessarvi a questi signori." Aramis arrossìimpercettibilmente. "Disturbarmi? Oh, al contrario, caroamico, ve lo giuro. E in prova di ciò che dico, permettetemidi rallegrarmi di rivedervi sano e salvo." "Ah! ci arrivafinalmente!" pensò d'Artagnan. "E' una gran fortuna.""Perché, il signore" continuò Aramis con compunzioneindicando ai due ecclesiastici d'Artagnan "che è un miocarissimo amico, esce vincitore da un grave pericolo.""Lodatene Dio, signore" dissero i due preti inchinandosicontemporaneamente. "Non ho mancato di farlo,reverendi" affermò il giovanotto restituendo il saluto. "Voiarrivate a proposito, caro d'Artagnan" disse Aramis "eprendendo parte alla discussione, l'illuminerete con ilvostro buon senso. Il signor rettore di Amiens, il signorparroco di Montdidier e io ragionavamo su certe questioniteologiche il cui interesse ci occupa da molto tempo; sareifelice di sentire anche il vostro parere." "Il parere di unmilitare ha poco valore in certe materie" risposed'Artagnan che cominciava a preoccuparsi della cattivapiega che prendevano le cose "e voi potete, credetemi,fidarvi della scienza di questi signori." I due preti feceroancora un inchino. "Al contrario" riprese Aramis "la vostraopinione ci sarà preziosa; ecco di che si tratta: il signorrettore afferma che la mia tesi deve essere soprattuttodogmatica e didattica." "La vostra tesi! Voi fate dunqueuna tesi?" "Certamente" rispose il gesuita "per l'esameche precede l'ordinazione una tesi è obbligatoria.""L'ordinazione'" esclamò d'Artagnan che non poteva ancor

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credere a quanto gli avevano già affermato l'albergatrice eBazin "l'ordinazione…" E portava lo sguardo stupefattodall'uno all'altro dei tre uomini che aveva davanti. "Ora"continuò Aramis prendendo nella sua poltrona la stessaposa graziosa che avrebbe assunto in un'alcova edesaminando con compiacenza la sua mano bianca egrassottella come quella di una donna, che teneva in altoper farne discendere il sangue. "Ora, come avete udito,d'Artagnan, il signor rettore vorrebbe che la mia tesi fossedogmatica, mentre io vorrei che fosse ideale. E' per questoche il signor rettore mi propose questo soggetto che non èstato trattato ancora, e nel quale, lo riconosco, v'è lapossibilità di magnifici sviluppi: 'Utraque manus inbenedicendo clericis inferioribus necessaria est'."D'Artagnan, del quale conosciamo l'erudizione, non battépalpebra a questa citazione più di quanto non avesse fattoa quella del signor di Tréville circa il regalo che questicredeva che egli avesse preso da Buckingham. "Il che vuoldire" riprese Aramis per rendergli facile la cosa: "Le duemani sono indispensabili ai preti degli ordini inferiori,quando danno la benedizione." "Soggetto mirabile!"esclamò il gesuita. "Mirabile e dogmatico!" ripeté il curatoche, essendo pressappoco della stessa forza did'Artagnan, per quanto riguardava il latino, sorvegliavaattentamente il gesuita per seguirne le orme e ripetere lesue parole come un'eco. D'Artagnan invece rimaseperfettamente indifferente all'entusiasmo dei due uominineri. "Sì, mirabile! 'prorsus admirabile'!" continuò Aramis"ma che esige uno studio approfondito dei Santi Padri e

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delle Scritture. Ora io ho confessato a questi sapientiecclesiastici, con grande umiltà, che le veglie al corpo diguardia e il servizio del Re, mi hanno fatto un pocotrascurare lo studio. Mi troverei quindi più a mio agio,'facilius natans', in un soggetto di mia scelta, che starebbea queste rudi questioni teologiche, come la morale sta allametafisica in filosofia." D'Artagnan si annoiavamaledettamente, come d'altronde il curato. "Sentite cheesordio!" esclamò il gesuita. "Exordium" ripeté il curatotanto per dire qualche cosa. "Quemadmodum intercoelorum immensitatem." Aramis dette un'occhiata ad'Artagnan e vide che il suo amico sbadigliava da slogarsile mascelle. "Parliamo francese, padre" disse al gesuita "ilsignor d'Artagnan gusterà meglio le nostre parole." "Sì,sono stanco per il lungo cammino" disse d'Artagnan "e nonafferro tutto questo latino." "D'accordo" disse il gesuita conlieve dispetto, mentre il parroco, rallegrato, gettava sud'Artagnan uno sguardo pieno di riconoscenza "ebbenevedete un po' quale partito si potrebbe trarre da questaglossa." "Mosè, servo di Dio… egli non è che un servitore,lo capite? Mosè benedice con le mani; egli si fa tenere ledue braccia, mentre gli Ebrei battono i loro nemici; dunquebenedice con le due mani. D'altra parte che cosa dice ilEvangelo: 'Imponite manus', non 'manum'. Imponete lemani, non la mano." "Imponete le mani" ripeté il curato conun gesto. "E San Pietro, al contrario, San Pietro del quale ipapi sono successori" continuò il gesuita: "Porrigitedigitos. Presentate le dita: ci siete ora?" "Certo" risposeAramis che sembrava deliziarsi "ma la cosa è sottile." "Le

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dita!" riprese il gesuita. "San Pietro benedice con le dita.Anche il papa dunque benedice con le dita. E con quantedita benedice? Con tre dita, uno per il Padre, uno per ilfiglio e uno per lo Spirito Santo." Tutti si fecero il segnodella croce e d'Artagnan credette di dover seguire questoesempio. "Il papa è il successore di San Pietro erappresenta i tre poteri divini; il resto, 'ordines inferiores'della gerarchia ecclesiastica, benedice nel nome dei santiarcangeli e degli angeli. I più umili chierici, quali i nostridiaconi e sagrestani, benedicono con gli aspersori chesimulano un numero indefinito di dita benedicenti. Eccosemplificato il soggetto: 'Argumentum omni denudatumornamento'. Sull'argomento" continuò il gesuita "io fareidue volumi grossi come questo." E nel suo entusiasmobatteva su un San Crisostomo in folio che faceva piegarela tavola sotto il suo peso. D'Artagnan fremette. "Certo"disse Aramis "io non mi nascondo la bellezza di questatesi, ma debbo pur tuttavia riconoscere che è troppo graveper me. Io avevo scelto questo testo; ditemi, mio carod'Artagnan, se vi piace: 'non inutile est desiderium inoblatione', o ancora meglio: un po' di rimpianto non è fuordi luogo in un'offerta al Signore." "Alto là!" esclamò ilgesuita "questa tesi sfiora l'eresia: c'è una proposizionequasi simile nell''Augustinus' dell'eretico Giansenio[20] ilcui libro sarà presto o tardi bruciato per mano del boia.State attento, mio giovane amico; voi inclinate verso lefalse dottrine e vi perderete." "Vi perderete" confermò ilcurato scotendo dolorosamente il capo. "Voi ponete il ditosu quel famoso punto del libero arbitrio che è uno scoglio

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mortale, accostate di fronte le insinuazioni dei pelagiani edei semi-pelagiani." "Ma reverendo…" riprese Aramisbenché un po' sbalordito dalla grandine d'argomenti che glipiombava sul capo. "Come proverete" continuò il gesuita,senza dargli il tempo di parlare "che si deve rimpiangere ilmondo quando ci si offre a Dio? Ascoltate questodilemma: Dio è Dio e il mondo è il diavolo. Rimpiangere ilmondo, equivale a rimpiangere il diavolo; ecco la miaconclusione." "E anche la mia" affermò il curato. "Ma, digrazia…" riprese Aramis. "'Desideras diabolum',disgraziato!" esclamò il gesuita. "Egli rimpiange il diavolo!Ah! mio giovane amico" intervenne il curato con un gemito"non rimpiangete il diavolo, sono io che ve ne supplico."D'Artagnan si sentiva diventare idiota; gli sembrava diessere in un manicomio e di stare impazzendo, comecoloro che gli erano vicini. Però era costretto a taceregiacché non comprendeva la lingua che si parlava intorno alui. "Ma ascoltatemi, dunque" riprese Aramis con unagentilezza non scevra d'impazienza "non dico dirimpiangere, no, io non pronuncerei mai una frase cosìpoco ortodossa…" Il gesuita alzò le braccia al cielo, e ilcurato lo imitò. "No, ma convenite almeno che è pocogentile offrire al Signore soltanto ciò di cui si è del tuttodisgustati. Non vi pare che io abbia ragione, d'Artagnan?""Lo credo bene, perdio!" esclamò l'interrogato. Il curato e ilgesuita diedero un balzo sulle loro sedie. "Ecco il miopunto di partenza; è un sillogismo; il mondo è pieno diattrattive, io abbandono il mondo, dunque faccio unsacrificio; ora la scrittura dice positivamente: Fate un

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sacrificio al Signore." "Questo è vero", dissero gliantagonisti. "E poi" continuò Aramis pizzicandosi il lobodell'orecchio per farlo diventare rosso, così come scotevale mani alzate perché diventassero bianche "e poi hoscritto un certo rondò che ho mandato l'anno scorso alsignor Voiture[21], il quale me ne fece molti complimenti.""Un rondò" fece sdegnosamente il gesuita. "Un rondò"ripeté macchinalmente il curato. "Dite, dite" esclamòd'Artagnan "ci svagheremo un poco." "No, perché èreligioso" rispose Aramis "è della teologia in versi.""Diavolo!" fece d'Artagnan. "Eccolo" disse Aramis conun'aria di modestia non esenta da una leggera tinta diipocrisia: "Voi che guardate all'ieri con rimpianto, senzaapprezzare le grazie divine, tutti i vostri dolori avranno finese a Dio solo offrirete il vostro pianto, voi che guardate!"D'Artagnan e il curato parvero lusingati, ma il gesuitapersistette nella sua opinione. "Guardatevi dal gustoprofano nello stile teologico. Che cosa dice Sant'Agostino?'Severus sit clericorum sermo'." "Sì, che il sermone siachiaro!" disse il curato. "Ora" si affrettò ad interrompere ilgesuita vedendo che il suo accolito si fuorviava "ora lavostra tesi piacerà alle signore, ecco tutto, avrà il successodi un'arringa del signor Patru[22]." "Dio lo voglia!" esclamòAramis con entusiasmo. "Voi lo vedete" incalzò il gesuita"il mondo parla ancora in voi e a gran voce, 'altissimavoce'. Voi seguite il mondo, mio giovane amico, e tremoche la grazia non sia efficace. "Rassicuratevi, reverendo,garantisco di me." "Presunzione mondana!" "Mi conosco,padre mio, la mia risoluzione è irrevocabile." "Allora vi

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ostinate a continuare quella tesi?" "Mi sento chiamato atrattare quella e non un'altra; la continuerò dunque e speroche domani sarete contento delle correzioni che avrò fatteseguendo i vostri consigli." "Lavorate lentamente" disse ilcurato "vi lasciamo in eccellenti disposizioni." "Si, il terrenoè tutto seminato" convenne il gesuita "e non c'è da temereche una parte del grano sia caduta sulla pietra, l'altra lungola strada e che gli uccelli del cielo abbiano mangiato ilresto, 'aves coeli comederunt illam'." "La peste stermini tee il tuo latino!" disse tra sé d'Artagnan che era allo stremodelle sue forze. "Addio, figlio mio" disse il curato "adomani." "A domani, giovane temerario" aggiunse ilgesuita "voi promettete di diventare uno dei luminari dellaChiesa; voglia il cielo che questa luce non sia un fuocodistruggitore!" D'Artagnan che per un'ora intera s'erarosicchiato le unghie per frenare la sua impazienza,cominciò ad attaccare la carne. I due uomini neri silevarono, salutarono Aramis e d'Artagnan e si mosseroverso la porta. Bazin, che era sempre rimasto in piedi eche aveva ascoltato tutti quei dibattiti con religioso giubilo,si slanciò verso di loro, prese il breviario del curato, ilmessale del gesuita e li precedette rispettosamentefacendo loro strada. Aramis li condusse fino in fondo allescale e risalì immediatamente da d'Artagnan che credevaancora di sognare. Rimasti soli, i due amici stettero per unpoco in un silenzio imbarazzato; però era necessario cheuno di loro parlasse per primo, e siccome d'Artagnanpareva ben deciso a lasciare questo onore al suo amico,così Aramis disse: "Come vedete, sono ritornato alla mia

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prima vocazione." "Si, la grazia efficace vi ha toccato,come diceva quel signore poco fa." "Oh! il progetto diritirarmi era fatto già da un pezzo nel mio cervello; e voi mene avete già sentito parlare, non è vero, amico mio?""Certamente, ma confesso che credevo scherzaste." "Consimili cose! Oh! d'Artagnan!" "Diavolo! Si scherza pure conla morte!" "E si ha torto, d'Artagnan, perché la morte è laporta che conduce alla perdizione o alla gloria.""D'accordo, ma se non vi dispiace, non teologizziamo,Aramis; dovete averne abbastanza per il resto dellagiornata; quanto a me, ho pressappoco dimenticato quelpo' di latino che non ho mai saputo; poi ve lo confesso, nonho mangiato da questa mattina alle dieci ed ho una fameda lupo." "Subito, caro amico; soltanto vi ricorderete cheoggi è venerdì; ora in un giorno simile io non posso némangiare né vedere carne. Se volete contentarvi del miodesinare esso si compone solo di chenopodee cotte e difrutta." "Che cosa sono queste chenopodee?" chiesed'Artagnan con inquietudine. "Sono spinaci" risposeAramis "ma per voi aggiungerò delle uova ed è una graveinfrazione alla regola, poiché le uova sono carne visto chegenerano il pulcino." "Il banchetto non è succulento, ma nonimporta; mi ci rassegnerò pur di restare con voi." "Vi sonoriconoscente del sacrificio" disse Aramis "che se non saràproficuo al vostro corpo, lo sarà alla vostra anima.""Cosicché è deciso, Aramis; voi entrate in religione? Checosa diranno i nostri amici, che cosa dirà il signor diTréville? Vi prevengo che vi tratteranno come un disertore.""Non ci entro in religione, vi ci rientro. E' la Chiesa che

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avevo disertato, giacché voi sapete che dovetti fareviolenza a me stesso per indossare la giubba delmoschettiere." "Io non so niente." "Non sapete comelasciai il seminario?" "No, certo." "Ecco la mia storia;d'altra parte, le Scritture dicono: 'Confessatevi l'un l'altro'; iomi confesso a voi, d'Artagnan." "E io vi assolvo in anticipo,vedete che sono un bravo uomo." "Non scherzate con lecose sante, amico mio." "Allora parlate, vi ascolto." "Erodunque in seminario dall'età di nove anni, ne avevo ventimeno tre giorni, stavo per diventare abate, non c'era piùnulla da dire. Una sera in cui, secondo il solito, andammoin una casa che frequentavo con piacere (che volete; si egiovani, si è deboli), un ufficiale che mi vedeva con occhiogeloso leggere le vite dei Santi alla padrona di casa, entròall'improvviso senza essersi fatto annunciare. Proprioquella sera avevo tradotto un episodio di Giuditta, e fattoconoscere certi miei versi alla signora che mi faceva ognigenere di complimenti, e, china sulla mia spalla, li leggevacon me. La posa che, debbo confessarlo, era alquantolanguida, colpì l'ufficiale; egli non disse nulla, ma quandouscii, uscì dietro di me, mi raggiunse e: "Signor abate"disse "vi piacciono le bastonate?" "Non posso affermarlo,signore" risposi "perché nessuno ha mai osato darmene.""Ebbene, statemi a sentire, signor abate, se ritorneretenella casa nella quale vi ho incontrato questa sera, iol'oserò." "Credo di aver avuto paura perché impallidii,sentii che le gambe mi tremavano e non seppi rispondere."L'ufficiale che attendeva una risposta, vedendo che nonparlavo, si mise a ridere, mi voltò le spalle e rientrò in casa.

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Io tornai al seminario. "Io sono un gentiluomo e ho il sanguevivo, come avete potuto notare, caro d'Artagnan; l'insultoera stato terribile e, benché nessuno ne sapesse nulla,pure io lo sentivo vivere e agitarsi in fondo al mio cuore."Dichiarai ai miei superiori che non mi sentivosufficientemente preparato per prendere gli ordini, e a miadomanda la cerimonia fu rimandata all'anno dopo. "Andaia consultare il migliore maestro d'armi di Parigi e stabiliiche mi avrebbe dato lezione di scherma ogni giorno, eogni giorno, per un anno, presi questa lezione. Poi, ilgiorno anniversario di quello in cui ero stato insultato,attaccai a un chiodo la mia sottana, mi vestii da cavaliere eandai a un ballo che dava una signora amica mia, dove erocerto di trovare il mio uomo. Era in via dei Francs-Bourgeois vicino alla Force. "L'ufficiale infatti era là; miavvicinai a lui, mentre cantava un poemetto amoroso,guardando teneramente una donna e lo interruppi a metàdella seconda strofa dicendogli: "Signore, vi dispiaceancora ch'io torni in una certa strada di via Payenne, esiete ancora pronto a bastonarmi se avrò il capriccio didisubbidirvi?" "L'ufficiale mi guardò meravigliato e rispose:"Che volete da me, signore? Non vi conosco". "Sono ilpiccolo abate che legge la Vita dei Santi e che traduce inversi l'episodio di Giuditta." "Ah! ah! ricordo! Che cosadesiderate?" "Vorrei che veniste a fare una passeggiatinacon me." "Domattina, se ci tenete, e col massimo piacere.""No domattina, se non vi spiace, ma subito." "Seassolutamente lo esigete…" "Lo esigo infatti." "Allorausciamo. Signore, non scomodatevi" disse l'ufficiale. "Il

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tempo di uccidere questo signore e torno a finire l'ultimastrofa." "Uscimmo. Lo condussi in via Payenne, proprio nelposto in cui un anno prima e alla stessa ora mi aveva fattoil complimento che sapete. C'era un magnifico chiaro diluna. Sguainammo le spade e alla prima finta lo lasciaistecchito." "Diavolo!" esclamò d'Artagnan. "Orbene"continuò Aramis "siccome le signore non videro tornare ilcantante che fu trovato morto in via Payenne con unaferitaccia attraverso il corpo, si pensò che ero stato io aconciarlo così e scoppiò uno scandalo. Fui dunquecostretto a rinunciare per qualche tempo alla tonaca.Athos, che conobbi in quel tempo, e Porthos che mi avevainsegnato in aggiunta alle lezioni di scherma, qualchecolpo maestro, mi indussero a chiedere una casacca damoschettiere. Il Re, che aveva voluto un gran bene a miopadre, ucciso all'assedio di Arras, mi fece dare questacasacca. Capirete quindi che per me ormai è giunto ilmomento di rientrare in seno alla Chiesa." "E perchéproprio oggi, piuttosto che ieri o domani? Che cosa vi ècapitato oggi per darvi delle idee così cattive?" "Questaferita, caro d'Artagnan, è stata un avvertimento del cielo.""Questa ferita? Evvia! Essa è quasi guarita e sono sicuroche non è questa la ferita che vi fa soffrire maggiormente.""E che cosa dunque?" chiese Aramis arrossendo. "Voi neavete in cuore una ben più viva e sanguinante, una feritafatta da una donna." L'occhio d'Aramis brillò suo malgrado."Ah!" disse dissimulando la sua emozione con un'aria divoluta indifferenza "non parlatemi di certe cose. Io pensarea questo genere di cose! avere rimpianti amorosi. 'Vanitas

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vanitatum! Secondo voi dunque, io mi sarei montato latesta, ma per chi? Per qualche sartina, per qualchecameriera alla quale avrei fatto la corte in una guarnigione?Evvia!" "Scusatemi, mio caro Aramis, ma io credevo chevoi miraste più in alto." "Più in alto? ma chi sono io peravere simili ambizioni? Non sono che un poveromoschettiere, molto cencioso e molto oscuro, che odia lasottomissione e si trova malissimo nel mondo." "Aramis,Aramis!" esclamò d'Artagnan guardando l'amico con ariadubitativa. "Polvere, torno alla polvere. La vita è piena didolori e di umiliazioni; tutti i fili che ci legano alla felicità sirompono l'uno dopo l'altro nelle mani dell'uomo,specialmente quelli d'oro. Ah! caro d'Artagnan" continuòAramis dando alla sua voce un lieve tono di amarezza."Nascondete bene le vostre piaghe, quando ne avrete. Ilsilenzio è l'ultima gioia degli infelici; cercate di non metterenessuno sulle tracce dei vostri dolori; i curiosi bevono lenostre lacrime, come le mosche succhiano il sangue di undaino ferito." "Ahimè, mio caro Aramis!" disse d'Artagnancon un profondo sospiro "voi raccontate la mia storia." "Ecome?" "Sì, una donna che amavo, che adoravo, mi è statastrappata con la forza. Non so dove sia, dove l'abbianocondotta; forse è prigioniera, forse è morta!" "Ma voi avetealmeno la consolazione di sapere che non siete statoabbandonato volontariamente; che se non avete suenotizie è perché le impediscono di comunicare con voi;mentre…" "Mentre…" "Niente…" riprese Aramis "niente…""Così rinunciate per sempre al mondo; è un partito preso,una risoluzione irremovibile?" "Irremovibile. Oggi voi siete il

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mio amico, domani non sarete per me che un'ombra; omeglio ancora non esisterete più, per me. Quanto almondo, è un sepolcro." "Diavolo! Quello che dite è moltotriste." "Che volete, la vocazione mi attira, mi travolge."D'Artagnan sorrise senza rispondere. Aramis continuò: "Etuttavia, mentre sono ancora di questo mondo, avrei volutoparlarvi di voi e dei vostri amici." "E io" disse d'Artagnan"avrei voluto parlare anche di voi, ma vi vedo cosìdistaccato dalle cose terrene… voi disprezzate l'amore, gliamici sono ombre, il mondo è un sepolcro." "Ahimè!finirete con l'accorgervene anche voi." "Dunque nonparliamone più" disse d'Artagnan "bruciamo questa letterache certamente vi annuncerà qualche nuova infedeltà dellavostra sartina o della vostra cameriera." "Quale lettera?"chiese Aramis con uno scatto. "Una lettera che è stataportata a casa vostra mentre eravate assente e che mi fuconsegnata perché ve la recapitassi." "Ma di chi è quellalettera?" "Oh! di qualche cameriera lacrimante, di qualchesartina disperata; la cameriera della signora di Chevreuse,forse, che sarà stata costretta a tornare a Tours con la suapadrona e che, per fare buona figura, avrà preso la cartaprofumata della sua signora e avrà sigillata la lettera conuna corona di duchessa." "Ma che dite?" "Non l'avrò micaperduta?" disse con aria sorniona il giovanotto fingendo dicercarla. "Fortunatamente il mondo è un sepolcro, gliuomini, e naturalmente le donne, non sono che ombre, el'amore un sentimento che voi disprezzate." "D'Artagnan,d'Artagnan!" esclamò Aramis "mi farete morire!" "Eccolafinalmente!" disse d'Artagnan. E estrasse la lettera di

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tasca. Aramis fece un balzo, afferrò la lettera; la lesse omeglio la divorò, e il suo viso divenne raggiante. "Pare chela cameriera scriva bene!" "Grazie, d'Artagnan!" esclamòAramis quasi in delirio. "Venite, ella è stata forzata atornare a Tours; non mi è infedele, mi ama sempre. Venite,amico mio, che vi baci, la felicità mi soffoca." E i due amicisi misero a ballare attorno al venerabile San Crisostomo,calpestando arditamente i fogli della tesi che erano cadutiin terra. In quel mentre Bazin entrava con gli spinaci e lafrittata. "Va' via, disgraziato" gridò Aramis gettandogli inviso la sua callotta "ritorna da dove vieni, porta via quegliorribili legumi! chiedi una lepre in salmì, un cappone bengrasso, un cosciotto d'agnello all'aglio e quattro bottiglie divecchio Borgogna." Bazin, che guardava il padrone e chenon comprendeva niente, lasciò malinconicamentescivolare la frittata negli spinaci e gli spinaci sul pavimento."Ecco il momento di consacrare la vostra esistenza al Redei Re" disse d'Artagnan "se volete fargli una cortesia: 'noninutile desiderium in oblatione'." "Vattene al diavolo collatino! Caro d'Artagnan, beviamo, beviamo molto eraccontami ciò che si fa laggiù."

Capitolo 27 LA MOGLIE DI ATHOS

"Ora bisogna avere notizie di Athos" disse d'Artagnan albrioso Aramis, dopo che l'ebbe messo al corrente di ciòche era successo alla capitale dalla loro partenza in poi e

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dopo che un eccellente pranzo ebbe fatto dimenticareall'uno la tesi, all'altro la stanchezza. "Pensate che gli siasuccessa qualche disgrazia?" chiese Aramis. "Athos ècosì freddo, così valoroso e maneggia così bene laspada!" "Certamente, e nessuno più di me ammira ilcoraggio e l'abilità di Athos; ma preferisco sentire sullalama della mia spada l'urto delle lance che quello deibastoni; ho paura che Athos sia stato strigliato dalservidorame, e i servi sono gente che picchia forte e non lasmette facilmente. Ecco perché, lo confesso, vorrei partirepiù presto che fosse possibile." "Cercherò diaccompagnarvi" disse Aramis "quantunque non mi sentaancora abbastanza forte per restare a cavallo. Ieri cercai didisciplinarmi con quell'arnese che vedete appeso al muro,e il dolore mi impedì di continuare questo pio esercizio.""Mio caro, non si è mai sentito dire che si guarisca da unafucilata curandola con lo staffile; ma voi eravate malato e lemalattie indeboliscono il cervello, questa è la vostrascusa." "E quando partite?" "Domani, sul fare del giorno;riposate bene stanotte e domattina, se lo potrete partiremoassieme." "A domani dunque" disse Aramis "perchésebbene voi siate di ferro, dovete aver bisogno di riposo."Il giorno dopo, allorché d'Artagnan entrò da Aramis, lo trovòalla finestra. "Che cosa guardate?" gli domandòd'Artagnan. "In fede mia, ammiro quei tre magnifici cavalliche i garzoni di stalla tengono per la briglia; sarebbe unpiacere da principi viaggiare con simili bestie." "Ebbene,mio caro Aramis, è un piacere di cui potrete godere,perché uno di quei cavalli è vostro." "Quale?" "Quello che

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vorrete: io non ho preferenze." "E la ricca gualdrappa chelo copre è anch'essa mia?" "Certamente." "Voi scherzate,d'Artagnan." "Io non scherzo più da quando voi vi sieterimesso a parlare in francese." "Sono per me quellefondine dorate, quella gualdrappa di velluto, quella sellacon le borchie d'argento?" "Vostre come il cavallo chescalpita è mio, e come l'altro che caracolla è di Athos.""Diamine! Sono tre animali magnifici." "Ho piacere che vipiacciano." "E' dunque stato il Re a farvi un simile regalo?""Non il Cardinale certamente; ma non occupatevi della loroprovenienza, pensate soltanto che uno dei tre è vostraproprietà." "Prendo quello tenuto per la briglia da quelservo rosso." "Benone." "Viva Dio!" esclamò Aramis "eccoquel che ci voleva per farmi passare quel poco dolore cheancora mi resta; lo cavalcherei con trenta palle in corpo.Ah! sull'anima mia, che belle staffe! Olà! Bazin, subito dame." Bazin apparve sulla soglia della porta con aria cupa etriste. "Lucidate la mia spada, pulite il mio feltro, spazzolateil mio mantello e caricate le pistole!" gli gridò Aramis.Bazin sospirò. "Suvvia, mastro Bazin" disse d'Artagnan"state tranquillo, ci si può guadagnare il regno dei cieli intutte le condizioni." "Il signore era già un così buonteologo!" piagnucolò Bazin. "Sarebbe diventato vescovo efors'anche cardinale." "Ebbene, mio povero Bazin, rifletti unpoco; dimmi, ti prego a che serve essere un ecclesiastico;non per questo si può evitare di andare in guerra; tu vediche il Cardinale si mette in campagna con l'elmo in testa ela partigiana in pugno; e che cosa ne dici del signor diNogaret de la Vallette?[23] anch'egli è cardinale; domanda

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al suo lacché quante volte egli ha fatto delle filacce.""Ahimè" sospirò Bazin "lo so, signore, tutto va alla rovesciaal giorno d'oggi." Nel frattempo i due giovanotti e l'infeliceservitore erano discesi. "Tienimi la staffa, Bazin" disseAramis. E Aramis saltò in sella con la solita grazia e lasolita leggerezza; ma dopo qualche volteggio e qualchecorvetta del nobile animale, il suo cavaliere fu assalito dadolori così insopportabili che impallidì e traballò.D'Artagnan che, in previsione di un tale incidente, non loaveva perso di vista, si slanciò verso di lui, lo strinse fra lebraccia e lo ricondusse in camera. "Va bene, mio caroAramis" gli disse "curatevi e intanto io andrò solo acercare Athos." "Voi siete un uomo di bronzo" fu la rispostadi Aramis. "No, ho fortuna, ecco tutto; ma come vivreteaspettandomi? Basta con le tesi, basta con le glosse sulledita e le benedizioni, mi raccomando." Aramis sorrise."Farò dei versi" disse. "Sì, dei versi profumati col profumodel biglietto che avete ricevuto dalla cameriera dellasignora di Chevreuse, e insegnate la prosodia a Bazin, ciòlo consolerà. In quanto al cavallo, montatelo tutti i giorni unpoco e vi abituerete a manovrarlo." "In quanto a questostate tranquillo, mi ritroverete pronto a seguirvi." I duegiovani si dissero addio e, dieci minuti dopo, d'Artagnan,raccomandato l'amico a Bazin e all'albergatrice, trottava indirezione di Amiens. Come avrebbe ritrovato Athos? E loavrebbe ritrovato? Egli lo aveva lasciato in una posizionemolto critica, poteva anche essere stato sopraffatto; questaidea, oscurando la sua fronte, gli strappò qualche sospiro egli fece formulare sottovoce qualche giuramento di

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vendetta. Fra i suoi amici, Athos era il più attempato, equindi il meno vicino in apparenza ai suoi gusti, alla suasimpatia. Purtuttavia egli provava per quel gentiluomo unaspiccata preferenza. La sua aria nobile e distinta, certilampi di grandezza che sprizzavano di tanto in tantodall'ombra nella quale si chiudeva volontariamente,quell'inalterabile uguaglianza di umore che faceva di lui ilpiù gradito compagno del mondo, quella gaiezza forzata emordace, quel coraggio che si sarebbe potuto dire ciecose non fosse stato il risultato di un rarissimo sanguefreddo, tutte queste qualità insieme, suscitavano ind'Artagnan più che stima, più che amicizia, ammirazione.Paragonato al signor di Tréville, l'elegante e nobilecortigiano, Athos nei suoi giorni di buon umore avevaparecchi punti a vantaggio, così ben fatto e così benproporzionato che, più d'una volta, lottando con Porthos,aveva vinto il gigante la cui forza fisica era diventataproverbiale fra i moschettieri; la sua testa dagli occhipenetranti, dal naso diritto, dal mento alla Bruto, aveva uncarattere indefinibile di nobiltà e di grazia; le sue mani,delle quali non aveva cura alcuna, facevano disperareAramis che curava le sue a forza di pasta di mandorle e diolio profumato; il suono della sua voce era penetrante emelodioso insieme, e poi, quel che v'era d'indefinibile inAthos, che si faceva sempre piccolo e oscuro, era quellascienza delicata del mondo e degli usi della più brillantesocietà, quelle consuetudini di casa nobile che trapelavanoa sua insaputa nelle sue minime azioni. Se si trattava di unpranzo, Athos l'ordinava meglio di chiunque altro, mettendo

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ogni convitato al posto, e al rango che gli avevano creato isuoi antenati o che si era creato egli stesso. Se si trattavadi araldica, Athos conosceva tutte le famiglie nobili delreame, la loro genealogia, le loro alleanze, i loro stemmi el'origine degli stemmi. L'etichetta non aveva minuzie che glifossero sconosciute, sapeva quali fossero i diritti deigrandi proprietari, conosceva a fondo l'arte della caccia edella falconeria, e un giorno, parlando di questa grandearte, aveva fatto meravigliare lo stesso Luigi Tredicesimoche purtuttavia si diceva ne fosse maestro. Come tutti igrandi signori di quei tempi, montava a cavallo e tirava discherma alla perfezione. C'è di più: la sua educazione erastata così poco trascurata, anche dal punto di vista deglistudi scolastici, tanto rari a quell'epoca tra i gentiluomini,che gli avveniva di sorridere alle frasi latine biascicate daAramis che Porthos si dava l'aria di capire; anzi due o trevolte, con grande stupore dei suoi amici, quando Aramis siera lasciato sfuggire qualche errore di grammatica, gli eraaccaduto di rimettere un verbo al suo posto e di ristabilire ilcaso di un sostantivo. Si aggiunga che la sua probità erainattaccabile, in un secolo nel quale i militari transigevanocon facilità con la propria religione e con la propriacoscienza, gli amanti con la rigorosa delicatezza dei giorninostri, e i poveri col settimo comandamento di Dio. Athosera dunque un uomo assolutamente straordinario. Eppurequest'uomo così distinto, questa creatura così bella, questospirito così fine doveva soccombere alle leggi della vitamateriale, come i vecchi tendono all'imbecillità fisica emorale. Athos, nelle sue ore di malinconia, e queste ore

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erano frequenti, si rabbuiava e perdeva tutta la sua fieradisinvoltura, il suo lato brillante. Allora, svanito il semidio,egli rimaneva a malapena un uomo. Con la testa bassa,l'occhio senza luce, la parola grave e faticosa, Athoscontemplava per lunghe ore o la bottiglia ed il bicchiere, oGrimaud, che, abituato a obbedirgli a segni, leggeva nellosguardo atono del padrone anche il minimo desiderio, e losoddisfaceva immediatamente. Se in uno di questimomenti i quattro amici erano insieme, una parola dettacon uno sforzo evidente era tutto quanto Athos metteva disuo nella conversazione. In cambio, beveva da solo perquattro, e ciò senz'altro effetto che un più pronunciatocorrugamento delle sopracciglia e una tristezza piùprofonda. D'Artagnan, del quale conosciamo lo spiritoinvestigatore e penetrante, per quanto interesse avesse asoddisfare la propria curiosità in proposito, non era riuscitoancora a scoprire la ragione della tristezza del suo amico.Athos non riceveva mai lettere e non faceva mai nulla che isuoi amici non sapessero. Non si poteva dire che questamalinconia fosse prodotta dal vino giacché, al contrario,egli beveva appunto per vincere la tristezza, che peròquesto rimedio, come s'è detto, rendeva ancora più cupa.Non si poteva attribuire questo eccesso di cattivo umore algiuoco, perché, a differenza di Porthos, cheaccompagnava con i suoi canti e con le sue bestemmie glialti e bassi della fortuna, Athos, quando vinceva, rimanevaimpassibile come quando perdeva. Una sera, era statovisto al circolo dei Moschettieri vincere mille pistole eperderle subito dopo insieme col suo cinturone ricamato in

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oro dei giorni di gala, poi riguadagnare tutto con cento luigiin più, senza che il suo bel sopracciglio nero siabbassasse o si alzasse di un millimetro, senza che le suemani perdessero la loro sfumatura madreperlacea, senzache la sua conversazione, che quella sera era gradevole,cessasse per un momento di essere calma e divertente.Né si poteva pensare che, come avviene per i nostri viciniinglesi, fosse un'influenza atmosferica a incupire il suovolto, perché la sua tristezza diventava più intensa egenerale nei più bei giorni dell'anno; il giugno e il luglioerano per lui mesi terribili. Nella vita presente non avevaguai e scoteva le spalle se gli si parlava dell'avvenire; il suosegreto era dunque del passato, come era stato dettovagamente a d'Artagnan. Questa atmosfera di mistero checircondava tutta la sua persona, rendeva ancora piùinteressante quell'uomo, che mai, sia pure nei momenti dipiù completa ebbrezza e per quanto abili fossero ledomande rivoltegli, aveva rivelato qualche cosa. "Ebbene"disse d'Artagnan "in questo momento il povero Athos forseè morto per colpa mia, perché sono stato proprio io atrascinarlo in quell'avventura di cui ignorava l'origine, edalla quale non doveva trarre alcun profitto." "Senzacontare, signore" rispose Planchet "che moltoprobabilmente gli dobbiamo la vita. Vi ricordate comegridò: "Al largo, d'Artagnan, sono preso". E dopo che ebbescaricato le pistole, che terribile rumore faceva ancora conla sua spada! Si sarebbe detto che fossero dieci uominiche si battevano, o meglio dieci diavoli." Queste paroleraddoppiarono l'ardore di d'Artagnan che eccitava il suo

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cavallo, il quale, tuttavia, non aveva bisogno di essereeccitato perché trasportava il suo cavaliere al galoppo.Verso le undici del mattino Amiens apparve all'orizzonte;alle undici e mezzo i nostri viaggiatori erano alla portadell'albergo maledetto. D'Artagnan aveva spesso meditatocontro il perfido albergatore una di quelle belle vendetteche consolano anche soltanto a pensarle. Entrò quindinell'albergo col feltro sugli occhi, la mano sinistra sul pomodella spada e facendo fischiare il frustino con la destra. "Miriconoscete?" gridò all'albergatore che si avanzava persalutarlo. "Non ho questo onore, monsignore" risposequello con gli occhi ancora abbagliati dal ricco equipaggiocol quale d'Artagnan si presentava. "Ah, non miconoscete?" "No, monsignore." "Ebbene, spero dirinfrescarvi la memoria con due parole. Che avete fatto diquel gentiluomo al quale quindici giorni or sono avestel'audacia di rivolgere l'accusa di falsario?" L'albergatoreimpallidì perché d'Artagnan aveva assunto il piùminaccioso degli atteggiamenti e Planchet imitava ilpadrone. "Ah, monsignore, non me ne parlate" esclamòcon la sua voce più lacrimosa. "Dio mio, ho pagato bencaro il mio errore. Sono ben disgraziato!" "Vi chiedo chene è di quel gentiluomo?" "Degnatevi di ascoltarmi,monsignore, e siate clemente. Suvvia, sedetevi, di grazia."D'Artagnan, muto per la collera e l'inquietudine, sedetteminaccioso come un giudice. Planchet si appoggiòfieramente alla sua poltrona. "Ecco la mia storia,monsignore" riprese l'albergatore tremando "perché ora viriconosco; siete quel cavaliere che partì mentre disputavo,

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per mia disgrazia, col cavaliere di cui parlate." "Sì, sono io.Cosicché vedete bene che non ci sarà grazia per voi senon dite tutta la verità." "Allora ascoltatemi e saprete laverità intiera." "Ascolto." "Le autorità mi avevanocomunicato che un falsario sarebbe sceso al mio albergocon parecchi compagni, tutti travestiti da guardie o damoschettieri. Mi avevano descritto i vostri cavalli, i vostrilacché, le vostre persone." "E poi? E poi?" insistetted'Artagnan che intuì da dove provenivano i connotaticomunicati con tanta esattezza. "Le autorità mi mandaronoanche sei uomini di rinforzo e io presi le misure più urgentiper non lasciarmi sfuggire questi presunti falsari.""Ancora!" disse d'Artagnan, al quale questa parola, falsari,riscaldava terribilmente il sangue. "Scusatemi,monsignore, se dico simili cose, ma esse sono le sole chepossano scusarmi. Le autorità mi avevano minacciato evoi sapete che un albergatore deve aver dei riguardi per leautorità." "Ma, ancora una volta, dov'è questo gentiluomo?Che gli è capitato? E' morto? E' vivo?" "Pazienza,monsignore, ci siamo. Successe dunque ciò che giàsapete; e la vostra precipitosa fuga" soggiunsel'albergatore con una finezza che non sfuggì a d'Artagnan"sembrava giustificare gli avvenimenti. Il vostro amico sidifese da disperato. Il suo servo che per sua disgraziaaveva attaccato briga con i gendarmi travestiti da mozzi distalla…" "Ah, scellerato!" esclamò d'Artagnan "voi eravatetutti d'accordo e non so chi mi trattenga dallo sterminarvitutti." "Ahimè, no, monsignore! Non eravamo d'accordo e lovedrete. Il vostro amico (scusate se non lo chiamo col

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nome onorato che porta senza dubbio, ma noi questonome lo ignoriamo) il vostro amico, signore, dopo avermesso fuori combattimento due uomini con due colpi dipistola, batté in ritirata difendendosi con la spada eriuscendo così a stordire un altro dei miei uomini e agettarmi a terra stordito con una piattonata." "Ma,carnefice, quando la finirai?" chiese d'Artagnan "che ne èdi Athos?" "Indietreggiando, come ho detto a monsignore,egli trovò dietro di sé la scala della cantina e siccome laporta era aperta tirò la chiave a sé e si barricò dentro.Poiché eravamo sicuri di ritrovarlo sempre laggiù, lolasciammo libero di fare ciò che voleva." "Già" dissed'Artagnan "non volevate ucciderlo, volevate solo tenerloprigioniero." "Giusto Dio! Noi imprigionarlo, monsignore?Ma si è imprigionato da sé, ve lo giuro. E aveva già fatto unbel lavoro! Un uomo ucciso sul colpo e due feritigravemente. Il morto e i feriti furono portati via dai lorocamerati e non ho più sentito parlare né degli uni né deglialtri. Io stesso, quando ripresi i sensi, andai dal signorgovernatore, gli raccontai l'accaduto e gli chiesi che cosadovessi fare del prigioniero. Ma il signor governatore finsedi cadere dalle nuvole; mi disse di ignorare assolutamenteciò che volevo dire, che gli ordini impartitimi non erano statiemanati da lui, e se mi fossi provato a raccontare che egliaveva qualche cosa a che vedere in tutto quel pasticcio, miavrebbe fatto impiccare senz'altro. Sembra che mi fossisbagliato, signore, e che avessi arrestato proprio quelloche non dovevo arrestare, lasciando fuggire quello che eranecessario prendere." "Ma Athos?" esclamò d'Artagnan, la

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cui impazienza aumentava per la noncuranza con cuil'autorità considerava la cosa. "Che ne è di Athos?""Siccome avevo fretta di porre un riparo ai miei torti versoil prigioniero, andai alla cantina per rimetterlo in libertà. Ah!signore, quello non era più un uomo, era un diavolo!Allorché gli dissi che ero pronto a rendergli la libertà,rispose che questo era un tranello che gli veniva teso e chenon sarebbe uscito se prima non avesse imposto le suecondizioni. Siccome capivo che mi ero messo in cattiveacque alzando la mano su un moschettiere del Re, gli dissicon umiltà che ero pronto a sottomettermi alle suecondizioni. "Per prima cosa" gridò "voglio che mi sirestituisca il mio servo armato." Ci affrettammo a ubbidire,perché eravamo dispostissimi a fare tutto quanto il vostroamico voleva. Il signor Grimaud (egli disse il suo nome,sebbene non parli molto), il signor Grimaud fu quinditrasportato in cantina, benché fosse ferito; allora il suopadrone, fattolo entrare, barricò la porta e ci ordinò dirimanere nella nostra bottega." "Ma infine" esclamòd'Artagnan "dov'è? dov'è Athos?" "In cantina, signore.""Come, disgraziato! Da allora lo avete tenuto chiuso incantina?" "Bontà divina! No, Signore, noi tenerlo in cantina!Non sapete dunque quello che fa in cantina? Ah! sepoteste farlo uscire, signore, ve ne sarei grato per tutta lavita e vi adorerei come il mio santo patrono." Allora è là?Lo troverò là?" "Certamente, signore, poiché si è ostinatoa restarvi. Tutti i giorni gli passiamo dallo spiraglio il panein cima a una forca, e la carne quando ne chiede; ma,ahimè! Non sono certo né il pane né la carne le cose di cui

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abusa. Una volta cercai di scendere in cantina insieme condue dei miei garzoni; ma divenne furente! Udii il rumoredelle sue pistole di cui sollevava il cane e del moschettoche veniva armato dal suo servo. Poi, allorché glichiedemmo che intenzioni avesse, ci rispose che avevapronti quaranta colpi da scaricare su noi e che li avrebbescaricati sino all'ultimo prima di permettere che uno solo dinoi entrasse in cantina. Allora, signore, andai a lamentarmidal governatore il quale mi rispose che avevo proprioquello che mi ero meritato e che avrei così imparato a noninsultare più gli onorati signori che si fermavano al mioalbergo." "Di modo che, da allora?…" riprese d'Artagnanche non poteva trattenersi dal ridere dell'aria sconsolatadell'albergatore. "Di modo che da allora, signore, noiviviamo la vita più tribolata che si possa immaginare;perché, signore, dovete sapere che tutte le nostre provvistesono in cantina. Abbiamo là il nostro vino in bottiglie equello nelle botti, la birra, l'olio, le spezie, il lardo, i salami;e siccome non possiamo discendere a rifornirci, siamocostretti a rifiutare il cibo e le bevande ai viaggiatori e, digiorno in giorno, questo povero albergo va in rovina.Ancora una settimana col vostro amico in cantina, esaremo a terra." "Sarebbe una giusta punizione, birbante.Non si vedeva forse dal nostro aspetto che eravamopersone distinte e non falsari?" "Sì, signore, sì voi aveteragione" disse l'albergatore. "Ma sentite, sentite, eccoloche si inquieta." "L'avranno disturbato" dissed'Artagnan."Ma è pur necessario che lo disturbiamo"esclamò l'albergatore "sono arrivati or ora due gentiluomini

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inglesi." "E con questo?" "Ebbene! gli Inglesi amano ilbuon vino, come sapete, signore, e costoro me ne hannochiesto del migliore. Allora mia moglie avrà pregato ilsignor Athos di permetterle di entrare per soddisfare questisignori; egli avrà rifiutato come sempre… Dio mio! Diomio! ecco che ricomincia la ridda!" D'Artagnan sentì infattiun gran rumore in cantina, si alzò e, precedutodall'albergatore che si torceva le mani e seguito daPlanchet che teneva pronto il moschetto, si avvicinò alteatro delle gesta di Athos. I due gentiluomini eranoesasperati, avevano fatta una lunga corsa e morivano difame e di sete. "Questa è una prepotenza" gridavano conaccento straniero, ma in buon francese "è possibile chequesto pazzo da legare possa impedire a questa buonagente di vendere il proprio vino? Sfonderemo la porta, e seè proprio arrabbiato, lo uccideremo." "Piano, cari signori!"intervenne d'Artagnan levando le pistole dalla cintura "voinon ucciderete proprio nessuno." "Bene, bene" diceva didietro la porta la voce calma di Athos "fateli entrare questidivoratori di bimbi e poi vedremo." Per quanto coraggiosisembrassero, i due gentiluomini inglesi si guardarono conqualche esitazione; si sarebbe detto che in quella cantinafosse rinchiuso uno di quegli orchi affamati, giganteschieroi di qualche leggenda popolare, dei quali non si forzaimpunemente la caverna. Vi fu un attimo di silenzio; poi idue Inglesi si vergognarono di indietreggiare, e il piùarcigno dei due discese i cinque o sei gradini della scala edette alla porta un calcio tale che avrebbe spaccato unmuro. "Planchet" disse d'Artagnan armando le pistole "io

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mi incarico di quello che è in alto, tu incaricati di quello cheè in basso. Ah, signori, volete battaglia! Ebbene, vi daremobattaglia." "Dio mio!" esclamò la voce roca di Athos"questo mi sembra d'Artagnan." "Sono io infatti" dissed'Artagnan alzando a sua volta la voce "sono io, amicomio." "Ah! bene" disse Athos "allora ci lavoreremo adovere questi sfondatori di porte." I gentiluomini avevanosguainate le spade, ma erano presi fra due fuochi edesitarono ancora per qualche secondo; ma anche questavolta l'orgoglio ebbe il sopravvento e un altro poderosocalcio fece scricchiolare la porta dal basso in alto."Scansati, d'Artagnan, scansati" gridò Athos "scansatiperché sparo." "Signori" disse d'Artagnan che non perdevamai la facoltà di riflettere "signori, pensateci! Un po' dipazienza, Athos. Voi state per cacciarvi in un bruttoimbroglio e sarete presto crivellati di colpi. Io e il mio servovi tireremo tre colpi d'arma da fuoco, altrettanti ve nesaranno tirati dalla cantina; poi ci rimarranno le spade eposso assicurarvi che tanto io quanto il mio amico lesappiamo adoperare discretamente. Lasciate che io curi ivostri affari e i miei. Fra poco potrete bere, ve ne do la miaparola d'onore." "Se ce ne sarà" brontolò la vocecanzonatoria di Athos. L'albergatore sentì un sudorinofreddo scivolargli lungo la schiena. "Come, se ce ne sarà?"mormorò. "Diavolo! Ce ne sarà, non temete" ripresed'Artagnan "state dunque tranquillo, in due non avrannobevuta tutta la cantina. Signori, ringuainate le spade." "Evoi rimettete alla cintura le pistole." "Ben volentieri." Ed'Artagnan dette il buon esempio. Poi si volse verso

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Planchet e gli fece segno di disarmare il suo moschetto.Gli inglesi convinti ringuainarono brontolando le spade. Furaccontata loro la storia della prigionia di Athos, e siccomeerano ottimi gentiluomini, diedero torto all'albergatore."Ora, signori" disse d'Artagnan "andate nelle vostrecamere, vi garantisco che fra dieci minuti vi sarà portatotutto quello che potrete desiderare." Gli Inglesi salutarono euscirono. "Ora che sono solo, caro Athos" dissed'Artagnan "apritemi la porta, ve ne prego." "Subito" disseAthos. Allora si sentì un gran rumore di fascine rimosse edi travi scricchiolanti; erano le controscarpe e i bastioni diAthos, che l'assediato demoliva da sé. Un attimo dopo, laporta si mosse e comparve il viso pallido di Athos che conun'occhiata esplorò i dintorni. D'Artagnan gli si gettò alcollo, lo baciò teneramente e fece per farlo uscire da quellaumida tana, allora si accorse che il suo amico traballava."Siete ferito?" gli chiese. "Io? Neppure per sogno; sonoubbriaco fradicio, ecco tutto, e vi giuro che mai nessuno hafatto meglio di me ciò che è necessario fare per ottenerequesto scopo. Vivaddio! mio caro albergatore, bisognadire che io abbia bevuto per parte mia almenocentocinquanta bottiglie." "Misericordia!" esclamòl'albergatore; "se il servo ha bevuto solamente la metà diquanto ha bevuto il padrone, sono un uomo rovinato.""Grimaud è un servo ben educato, che non sipermetterebbe mai di bere lo stesso vino che beve il suopadrone; perciò ha sempre spillato dalla botte, anziguardate, mi pare che abbia dimenticato di rimettere lozipolo. Sentite come scorre." D'Artagnan scoppiò in una

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risata che mutò il brivido dell'albergatore in febbre terzana.Nello stesso tempo Grimaud comparve dietro al padrone,col moschetto sulla spalla e la testa oscillante come certisatiri ubbriachi dei quadri di Rubens. Era tutto imbrattatodavanti e di dietro di un liquido grasso che l'oste riconobbeper il suo migliore olio di oliva. Il gruppetto attraversò ilsalone e andò ad insediarsi nella miglior stanzadell'albergo, che d'Artagnan occupò d'autorità. Nelfrattempo l'albergatore e sua moglie si precipitarono condei lumi in quella cantina nella quale per tanto tempo nonavevano potuto entrare e dove li attendeva uno spettacolospaventoso. Al di là delle fortificazioni nelle quali Athosaveva fatta una breccia per uscire, e che si componevanodi fascine di assi, di botti vuote, ammucchiate secondo leregole dell'arte strategica, si vedevano qua e là navigare inpozze di olio o di vino le ossa dei prosciutti mangiati,mentre un mucchio di bottiglie rotte occupava tutto l'angolosinistro della cantina e una botte con la cannella apertaperdeva le ultime gocce di sangue. Era l'immagine delladesolazione e della morte, come dice il poeta antico, cheregnava in quei luoghi, come su un campo di battaglia. Dicinquanta salami appesi alle travi, ne restavano appenadieci. Allora gli urli dell'albergatore e dell'albergatricebucarono il soffitto della cantina, tanto che lo stessod'Artagnan ne fu commosso. Athos non girò neppure ilcapo. Ma al dolore successe la rabbia e l'albergatore, fuoridi sé per la disperazione, afferrò uno spiedo e si precipitònella camera in cui erano i due amici. Allorché Athos loscorse, gli gridò: "Del vino!" "Del vino!" esclamò l'oste

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stupefatto. "Del vino? Ma se me ne avete bevuto per più dicento pistole e io sono un uomo rovinato, annientato!""Be'!" disse Athos "siamo sempre rimasti con la sete.""Almeno vi foste accontentato di bere, ma avete ancherotto tutte le bottiglie." "Mi avete spinto sopra un mucchioche è precipitato. Colpa vostra." "E tutto il mio olioperduto!" "L'olio è un rimedio sovrano per le ferite ed erapur necessario che il povero Grimaud curasse quelle chegli avevate fatto." "Tutti i miei salami rosicchiati!" "Ci sonotanti topi in quella cantina!" "Mi pagherete tutto" gridòl'albergatore esasperato. "Tripla canaglia" disse Athosalzandosi; ma ricadde seduto; egli aveva data la misuradelle sue forze, d'Artagnan corse in suo aiuto e alzò ilfrustino. L'albergatore indietreggiò e dette in uno scoppiodi pianto. "Così imparerete" disse d'Artagnan "a trattarecon più cortesia gli ospiti che Dio vi manda." "Dio? dite ildiavolo!" "Caro amico" continuò d'Artagnan "se voi ciromperete ancora le orecchie, andremo tutti e quattro abarricarci in cantina e verificheremo se il disastro è cosìenorme come dite." "E' vero! ho torto" ammisel'albergatore "lo riconosco, ho torto; ma ogni peccatoremerita misericordia; voi siete dei signori, e io sono unpovero albergatore, voi avrete pietà di me." "Ah! se parlicosì" disse Athos "mi farai sanguinare il cuore e le lacrimecoleranno dai miei occhi come il vino colava dalle tue botti.Il diavolo non è brutto come lo si dipinge. Avvicinati eparliamo." L'albergatore si avvicinò con inquietudine."Avvicinati, ti dico, non avere paura" continuò Athos. "Nelmomento in cui stavo per pagarti avevo posata la mia

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borsa sulla tavola, è vero?" "Sì, monsignore." "In quellaborsa c'erano sessanta pistole; dov'è ora?" "E' depositatapresso la cancelleria; mi avevano detto che contenevamoneta falsa." "Ebbene, fattela restituire e tienti lesessanta pistole." "Ma, monsignore, voi sapete che lacancelleria non restituisce mai ciò che ha preso. Se lemonete fossero state false, poteva esserci qualchesperanza, ma per mia disgrazia sono buone!" "Accordaticon la cancelleria, brav'uomo; la cosa non mi riguarda,tanto più che non mi resta una lira." "Vediamo un po'" dissed'Artagnan "il cavallo di Athos dov'è?" "In scuderia.""Quanto vale?" "Cinquanta pistole al massimo." "Ne valeottanta, piglialo e non se ne parli più." "Come? Tu vendi ilmio cavallo!" disse Athos. "Vendi il mio Baiazet? Con chedunque farò la guerra? Dovrò forse cavalcare Grimaud?""Te ne porto un altro" fece d'Artagnan. "Un altro?" "Emagnifico!" esclamò l'oste. "Allora se ce n'è un altro piùbello e più giovane, prendi vecchio e da bere." "Di quale?"chiese l'oste tutto rasserenato. "Di quello che è nel fondo,vicino alle travi; ne restano ancora venticinque bottiglie,tutte le altre sono andate rotte per la mia caduta. Portanesei." "Ma è un fulmine quest'uomo" disse l'albergatore trasé; "se rimane qui per soltanto quindici giorni e paga tuttoquello che beve, rimetterò in sesto i miei affari." "E nondimenticare" continuò d'Artagnan "di portare ai due signoriinglesi quattro bottiglie uguali a quelle che porterai a noi.""E ora" disse Athos "mentre aspettiamo il vino, raccontamiche cosa è avvenuto dei nostri amici." D'Artagnan gliraccontò che aveva trovato Porthos a letto per una

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distorsione e Aramis alla scrivania tra due teologhi. Finivail racconto quando l'albergatore entrò con le bottiglierichieste, e un prosciutto che fortunatamente era rimastofuori dalla cantina. "Bene" disse Athos riempiendo il suobicchiere e quello di d'Artagnan "ora so di Aramis e diPorthos ma, a voi personalmente, amico mio, che cosa ècapitato? Avete un'aria triste." "Ahimè!" disse d'Artagnan"è che io sono il più infelice fra tutti noi!" "Tu infelice,d'Artagnan!" disse Athos. "Vediamo un po' perché seiinfelice? Dimmelo." "Più tardi" disse d'Artagnan. "Piùtardi? e perché più tardi? Perché credi che io sia ubbriaco,d'Artagnan. Ricorda bene questo: io non ho mai le ideecosì chiare come quando ho bevuto: parla, dunque, sonotutto orecchie." D'Artagnan raccontò per disteso la suaavventura con la signora Bonacieux. Athos stette adascoltare senza far motto, poi quando l'amico ebbe finito:"Queste sono miserie" disse "miserie!" Era l'intercalare diAthos. "Voi dite sempre 'miserie!', mio caro Athos" dissed'Artagnan. "Non potete giudicare voi che non avete maiamato." L'occhio smorto di Athos scintillò d'improvviso, mafu un attimo; esso tornò fosco e vago come prima. "E' vero"disse tranquillamente "io non ho amato." "Vedete bene,allora, cuore di pietra, che avete torto di ridere di noi cuoriteneri." "Cuori teneri, cuori trafitti" disse Athos. "Che cosadite?" "Dico che l'amore è una lotteria in cui chi vince,guadagna la morte. E voi siete ben fortunato di averperduto, credetemi, caro d'Artagnan. E se ho un consiglioda darvi, è di perdere sempre." "Pareva che mi amassetanto." "Pareva." "Oh! essa mi amava." "Bambino! Non c'è

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uomo che non abbia creduto come voi di essere amatodalla sua amante e non c'è uomo che non sia statoingannato." "Voi eccettuato, Athos, che non ne avete maiavute." "E' vero" disse Athos dopo un momento di silenzio"io non ne ho avute mai. Beviamo!" "Ma allora, poichésiete un filosofo" disse d'Artagnan "istruitemi, aiutatemi; hobisogno di sapere e di essere consolato." "Consolato diche?" "Della mia disgrazia." "La vostra disgrazia fa ridere"disse Athos scrollando le spalle; "sarei curioso di sapereche cosa direste se vi raccontassi una certa storiad'amore." "Capitata a voi?" "O a un mio amico, cheimporta?" "Dite, Athos, dite." "Beviamo, sarà meglio.""Bevete e raccontate." "Infatti, ciò è possibile" disse Athosvuotando il bicchiere; "le due cose possono starebenissimo assieme." "Vi ascolto" disse d'Artagnan. Athossi raccolse, e, a misura che si raccoglieva, d'Artagnan lovedeva impallidire; egli era giunto a quel grado di ebbrezzanel quale i bevitori comuni cascano e si addormentano.Egli invece sognava ad alta voce senza dormire. Questosonnambulismo dell'ubriachezza aveva qualche cosa dispaventoso. "Lo volete assolutamente?" chiese. "Ve neprego" disse d'Artagnan. "E sia come desiderate. Uno deimiei amici, uno dei miei amici, capitemi bene! non io"disse Athos interrompendosi con un cupo sorriso. "Unconte della mia regione, cioè del Berry, nobile come unDandolo o un Montmorency, s'innamorò a venticinque annid'una giovanetta di sedici, bella come un amore. Attraversol'ingenuità della sua età trapelava uno spirito ardente, unospirito non già di donna, ma di poetessa; essa non

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piaceva, dava l'ebbrezza; viveva in un paesetto con suofratello che era parroco. Erano giunti entrambi nel paese enon si sapeva da dove venissero; ma vedendo lei cosìbella e suo fratello tanto pio, nessuno pensava a chiedereloro da dove venissero. D'altronde, si diceva che fossero dibuona famiglia. Il mio amico, che era signore del paese,avrebbe potuto sedurla o prenderla a forza, a suo piacere;era il padrone; chi sarebbe accorso in aiuto di duestranieri, di due sconosciuti? Per sua disgrazia egli era unuomo onesto e la sposò. Sciocco, ingenuo, imbecille!""Perché? Se l'amava?" domandò d'Artagnan. "Aspettate"disse Athos. "La condusse al suo castello e fece di lei laprima signora della provincia; bisogna renderle giustizia,essa era perfettamente all'altezza del suo compito." "Eallora?" disse d'Artagnan. "Allora, un giorno in cui era acaccia col marito" continuò Athos a voce bassa e parlandoprecipitosamente "essa cadde da cavallo e svenne; ilconte si slanciò per aiutarla e poiché essa soffocava neisuoi abiti, egli li tagliò col pugnale e le scoprì una spalla.Indovinate ciò che aveva sulla spalla?" disse Athosscoppiando a ridere. "Come posso saperlo?" domandòd'Artagnan. "Un fiordaliso" disse Athos. "Essa eramarcata." E Athos vuotò d'un fiato il bicchiere che aveva inmano. "Orrore!" esclamò d'Artagnan "che cosa mi dite!""La verità. Mio caro, l'angelo era un demonio. La poveragiovanetta aveva rubato." "E che cosa fece il conte?" "Ilconte era un gran signore; sulle sue terre aveva diritto dialta e bassa giustizia. Finì quindi di tagliare gli abiti dellacontessa, le legò le mani dietro la schiena e l'impiccò a un

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albero." "Dio mio, Athos! Un assassinio!" esclamòd'Artagnan. "Sì. Un assassinio e nulla più" disse Athospallido come un morto. "Ma mi pare che qui ci lascinomancare il vino." E Athos prese per il collo l'ultima bottigliache restava, se la portò alla bocca e la vuotò di un fiatocome se si fosse trattato di un bicchiere. Poi lasciò caderela testa fra le mani e d'Artagnan restò dinanzi a lui, mutoper lo spavento. "Ciò mi ha guarito delle donne belle,poetiche e innamorate" disse Athos rialzandosi erinunciando a continuare la finzione del conte. "Dio viconceda altrettanto. Beviamo." "Ed è morta?" balbettòd'Artagnan. "Perbacco!" disse Athos "datemi il vostrobicchiere. Porta del prosciutto, briccone. Non possiamopiù bere!" "E suo fratello?" chiese timidamente d'Artagnan."Suo fratello?" "Sì, il prete." "Volevo farlo impiccare anchelui, ma mi prevenne; aveva abbandonato la parrocchia ilgiorno prima." "Sì è almeno saputo chi fosse quelmiserabile?" "Era certamente il primo amante e il complicedella bella; un brav'uomo, che si era finto prete forse permaritare la sua amante e assicurarle un avvenire. Saràstato arrestato vivo, spero." "Oh! Mio Dio! Mio Dio!"esclamò d'Artagnan scosso. "Mangiate un po' di questoprosciutto, d'Artagnan, è squisito" disse Athos tagliandoneuna fetta che mise sul piatto del giovanotto. "Che disgrazianon ce ne fossero neanche quattro come queste in cantina!Avrei bevute cinquanta bottiglie in più." D'Artagnan nonpoteva più resistere a questa conversazione che loavrebbe fatto impazzire; lasciò cadere la testa fra le mani efinse di addormentarsi. "I giovanotti non sanno più bere"

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disse Athos guardandolo con pietà "eppure questo è fra imigliori."

Capitolo 28 RITORNO

D'Artagnan era rimasto sbalordito dalla terribile confidenzadi Athos; ma molte cose gli sembravano ancora oscure inquella mezza rivelazione. Prima di tutto essa era stata fattada un uomo completamente ubbriaco a un altro che lo eraa metà, e tuttavia, nonostante quel non so che di vago cheil fumo di due o tre bottiglie di Borgogna fa salire alcervello, al mattino seguente, svegliandosi, d'Artagnanaveva presente ogni parola di Athos come se, a misurache erano cadute dalle sue labbra, esse si fosseroimpresse nel suo spirito. Il dubbio che aveva in sé gli diedeil desiderio di arrivare ad una certezza, per cui si trasferìnella camera dell'amico con la ferma intenzione diriallacciare la conversazione del giorno prima; ma trovò unAthos tornato pienamente in sé, vale a dire il più sottile e ilpiù impenetrabile degli uomini. D'altronde il moschettiere,dopo avere scambiato con lui una stretta di mano, venneper primo incontro al suo pensiero. "Ero ben ubbriaco ieri,mio caro d'Artagnan" disse "me ne sono reso contostamane dalla mia lingua, che era ancora molto grossa, edal mio polso, che era ancora molto agitato; scommettoche ho detto un mucchio di pazzie." E guardò l'amico conuna fissità imbarazzante. "Non direi" rispose d'Artagnan "e

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se ricordo bene, non avete detto nulla di men che sensato.""Ah! mi stupite! Mi pareva di avervi raccontato una storiaquanto mai deplorevole." E guardò il giovanotto come seavesse voluto leggergli in fondo al cuore. "In fede mia!"disse d'Artagnan "vuol dire che io ero più ubriaco di voipoiché non ricordo nulla." Athos non si accontentò diqueste parole e insistette. "Voi non potete non aver notato,mio caro amico, che ognuno ha una sua specialeubbriachezza, triste o gaia a seconda dei casi; io hol'ubbriachezza triste, e quando sono ubbriaco la mia maniaè di raccontare tutte le storie lugubri di cui mi ha riempito ilcervello quella stupida della mia nutrice. E' il mio difetto, undifetto capitale, ne convengo, ma all'infuori di questo, sonoun discreto bevitore." Athos diceva tutto ciò in un modocosì naturale, che d'Artagnan fu scosso nelle sueconvinzioni. "Ah! è così, infatti" riprese il giovanottocercando di afferrare la verità "è proprio questo ciò di cuimi ricordo come d'altronde ci si ricorda di un sogno; cheabbiamo parlato di impiccati." "Ah! vedete!" esclamòAthos diventando pallido ma facendosi forza per sorridere."Ne ero sicuro; gli impiccati sono il mio incubo." "Sì, sì"riprese d'Artagnan "ecco che mi torna la memoria; sitrattava… aspettate… si trattava di una donna…" "Vedete"riprese Athos divenuto quasi livido "è la mia grande storiadella donna bionda e quando racconto questa sono proprioubbriaco marcio." "Sì, è proprio così" disse d'Artagnan "lastoria della donna bionda, grande, bella dagli occhiazzurri." "Già, e impiccata." "Da suo marito che era unsignore di vostra conoscenza" continuò d'Artagnan

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guardando fissamente Athos. "Ebbene, vedete come sipuò compromettere un uomo quando non si sa più ciò chesi dice. Tutto sommato, non voglio più ubbriacarmi,d'Artagnan, è un'abitudine pessima." D'Artagnan non fecemotto. Poi Athos, improvvisamente cambiò conversazione."A proposito" disse "vi ringrazio del cavallo che mi aveteportato." "E' di vostro gusto?" domandò d'Artagnan. "Sì,ma non mi pare un cavallo di grande resistenza." "Visbagliate; ho fatto con lui per lo meno dieci leghe in un'orae mezzo e allorché smontai era fresco come se avessefatto solamente il giro della piazza di San Sulpizio." "Ah!ma voi me lo farete rimpiangere." "Rimpiangere?" "Sì,perché non l'ho più." "Ma come?" "Ecco come stanno lecose: stamane mi sono svegliato alle sei, voi dormivatecome un ghiro e io non sapevo che fare; ero ancorastordito per la sbornia di ieri; discesi nel salone e vidi unodei nostri Inglesi che contrattava un cavallo con un cozzone,perché il suo era morto ieri di un colpo. Io mi avvicinai a lui,e siccome vidi che offriva cento pistole per un saurobruciato: 'Perdio!' gli dissi. 'Signor mio, ho anch'io uncavallo da vendere'." "E' bellissimo" disse lui "l'ho visto ieri,quando il valletto del vostro amico lo teneva per mano." "Vipare che valga cento pistole?" "Sì, me lo date per quelprezzo?" "No, ma lo giuoco." "Lo giuocate?" "Sì." "A chegiuoco?" "Ai dadi." La cosa andò per le spicce, e io persi ilcavallo. "Però" continuò Athos "ho riguadagnato lagualdrappa." D'Artagnan fece un gesto di malumore. "Vidispiace?" chiese Athos. "Sì, ve lo confesso; quel cavallodoveva servire a farci riconoscere un giorno, in battaglia;

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era un pegno e un ricordo. Avete fatto male, Athos." "Caroamico, mettetevi al mio posto, mi annoiavo a morte, eppoi,sul mio onore, i cavalli inglesi non mi piacciono. D'altronde,se non si tratta che di essere riconosciuto da qualcuno, lasella sarà sufficiente; essa è tale da richiamarel'attenzione. In quanto al cavallo, sapremo trovare unascusa, per spiegarne la sparizione. Diavolo! un cavallo èmortale; ammettiamo dunque che il mio abbia avuto unattacco di cimurro o la morva." D'Artagnan non sirasserenava. "Mi dispiace" disse Athos "che voi tenestetanto a quell'animale, perché la storia non è ancora finita.""Che avete fatto ancora?" "Dopo che ebbi perduto il miocavallo con nove punti contro dieci (pensate che colpo!) mivenne l'idea di giuocare il vostro." "Ma non ne avete fattonulla, spero?" "Al contrario, misi subito l'idea inesecuzione." "Dio mio!" gridò d'Artagnan con inquietudine."Giuocai e persi." "Il mio cavallo?" "Il vostro cavallo; settepunti contro otto; per un punto Martin… voi conoscete ilproverbio." "Athos, voi non avete più senso comune, ve logiuro." "Mio caro, dovevate dirmi le stesse parole, ieriquando vi raccontavo quelle stupide storie, non stamane.Lo persi dunque insieme con le gualdrappe, le selle e tuttoil resto." "Ma è terribile!" "Aspettate, non siamo ancora allafine; io sarei un eccellente giocatore se non m'intestardissi;invece m'intesto proprio come quando bevo; dunquem'intestai…" "Ma che cosa avete potuto giocare, se nonavevate più niente?" "Più niente? ci restava ancora queldiamante che brilla al vostro dito, e che ieri, appunto, avevonotato." "Questo diamante!" esclamò d'Artagnan portando

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vivamente la mano all'anello. "E siccome me ne intendo,perché ne ho posseduti anch'io in altri tempi, I'avevostimato mille pistole." "Spero" disse seriamented'Artagnan, mezzo morto dallo spavento "che non avreteparlato del mio diamante?" "Al contrario, caro amico, queldiamante diventava la nostra unica risorsa; con essopotevo riguadagnare le gualdrappe, le selle, i cavalli eanche il denaro occorrente per il viaggio." "Athos, mi fatefremere!" esclamò d'Artagnan. "Parlai dunque del vostrodiamante al mio compagno di giuoco, il quale lo avevanotato, anch'egli ammirato. Diavolo! Voi portate al dito unastella del cielo, e volete che la gente non se ne accorga.Impossibile." "Finite, mio caro, finite" disse d'Artagnan"perché, in parola d'onore, col vostro sangue freddo, mifate morire." "Dividemmo dunque il diamante in dieci postedi cento pistole ciascuna." "Ah! voi volete ridere e mettermialla prova?" esclamò d'Artagnan che la collera cominciavaa prendere per i capelli come nell'Iliade, Minerva afferraAchille. "No, non scherzo, perdio' Avrei voluto vedervi almio posto. Da quindici giorni non avevo scorto una facciaumana ed ero rimasto in cantina ad abboccarmiunicamente con le bottiglie." "Non è una ragione pergiocare il mio diamante" rispose d'Artagnan stringendonervosamente il pugno. "Ascoltate dunque la fine; dieciposte da cento pistole ciascuna, in dieci colpi, senzarivincita; in tredici colpi persi tutto; il tredici mi è semprestato fatale, fu il 13 luglio che…" "Per mille diavoli"esclamò d'Artagnan balzando in piedi; la storia delmomento gli faceva dimenticare quella del giorno prima.

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"Pazienza" disse Athos "io avevo un piano. L'inglese eraun originale che avevo veduto chiacchierare poco primacon Grimaud, e Grimaud mi aveva già avvertito che gliaveva proposto d'entrare al suo servizio. Proposi dunquedi giocare anche Grimaud, diviso in dieci poste." "Questoè un colmo!" esclamò d'Artagnan scoppiando a ridere suomalgrado. "Proprio Grimaud, capite? E con le dieci parti diGrimaud che non vale in tutto un ducatone, rivinco ildiamante. Ditemi ora se l'ostinazione non è una virtù""Sulla mia parola, questa è una storia ben buffa!" esclamòd'Artagnan racconsolato e ridendo a crepapelle. "Capireteche, sentendomi in vena, mi rimisi immediatamente agiocare sul diamante." "Ah! diavolo!" fece d'Artagnanriannuvolandosi di nuovo. "Riguadagnai così i vostrifinimenti poi il vostro cavallo, poi i miei finimenti, poi il miocavallo, poi ho riperduto. Insomma ho riconquistati i vostrifinimenti, poi i miei. Ecco a che punto siamo. Un colposuperbo per cui mi sono fermato." D'Artagnan respiròcome gli avessero levato l'albergo dal petto. "Insomma ildiamante mi resta?" chiese timidamente. "Intatto, caroamico, e ci rimangono i finimenti del vostro Bucefalo e delmio." "Ma che faremo delle bardature se non abbiamo icavalli?" "Ho un'idea in proposito." "Athos, mi fatefremere." "Ascoltate; da un pezzo voi non giocate, vero? "Enon ho voglia di giocare." "Non si può mai giurare su nulla.Dicevamo che voi non giocate da un pezzo, dunque doveteavere una buona mano." "E con questo?" "L'inglese e ilsuo compagno sono ancora qui. Ho notato cherimpiangevano molto i finimenti. D'altro canto voi sembrate

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tenere al vostro cavallo. Se fossi in voi giocherei lebardature contro il cavallo." "Ma essi non vorranno una solabardatura." "Giocatele tutt'e due, perbacco! Io non sono unegoista come voi!" "Voi giochereste?" chiese d'Artagnanindeciso, cominciando a sua insaputa a essere vinto dallasicurezza dell'amico. "E in un sol colpo." "Ma è che avendoperduto i cavalli, ci tengo enormemente a conservare lebardature." "Allora giocate il diamante." "Oh, questa èun'altra cosa. Mai!" "Diavolo!" disse Athos "vi proporrei digiocare Planchet, ma siccome ciò è stato già fatto,I'Inglese forse non ne vorrà più sapere." "Tutto sommato,mio caro Athos, preferisco non rischiare nulla." "Peccato!"disse freddamente Athos "l'Inglese è imbottito di pistole.Mio Dio, tentate un colpo, un colpo solo; è cosa prestofatta." "E se perdo?" "Vincerete." "Ma se perdo?""Ebbene, cederete le bardature." "E vada per un colpo!"disse d'Artagnan. Athos si mise in cerca degli Inglesi e litrovò nella scuderia che esaminavano con rimpianto edesiderio le bardature. L'occasione era propizia. Pose lesue condizioni: le due bardature contro un cavallo o centopistole, a scelta. L'inglese fece presto i suoi calcoli; le duebardature valevano l'una per l'altra trecento pistole; egliaccettò. D'Artagnan gettò i dadi tremando, fece tre edivenne così pallido che Athos se ne spaventò e si limitò adire: "Brutto colpo, amico mio; signori, voi avrete i cavallibardati." L'inglese trionfante non si prese nemmenol'incomodo di scuotere i dadi e li gettò sul tavolo senzaguardarli tanto era sicuro della vittoria; d'Artagnan s'eravoltato dall'altra parte per nascondere il cattivo umore.

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"Guarda, guarda" commentò Athos con la sua vocetranquilla a questo è un colpo straordinario… non l'ho vistoche quattro volte in vita mia: due assi!" L'inglese guardò efu colto da stupore, d'Artagnan guardò e non seppetrattenere un sorriso di piacere. "Già" continuò Athos"quattro volte sole; una volta in casa del signor di Créquy;un'altra in casa mia, in campagna, nel mio castello di…quando possedevo un castello; una terza volta dal signor diTréville, e ne rimanemmo tutti sorpresi, e la quarta voltaall'osteria, dove toccò a me e mi fece perdere cento luigi eun pranzo." "Allora il signore riprende il suo cavallo" dissel'Inglese. "Certamente" affermò d'Artagnan. "Non c'èrivincita?" "Le nostre condizioni erano: senza rivincita,ricordate?" "E' vero; farò consegnare il cavallo al vostroservo, signore." "Un momento" intervenne Athos "sepermettete, signori, vorrei dire una parola al mio amico.""Fate pure" Athos tirò da parte d'Artagnan. "Ebbene, checosa vuoi ancora, tentatore?" chiese il giovanotto "tu vuoiche giochi ancora, è vero?" "No, voglio che voi riflettiate.""A che cosa?" "Voi vi riprenderete il cavallo, è vero?""Senza dubbio." "E avete torto; io prenderei le centopistole; sapete bene che avete giocato i finimenti contro ilcavallo o cento pistole a vostra scelta." "E' vero." "Ioprenderei le cento pistole." "E io prendo il cavallo." "Eavete torto, lo ripeto; che cosa ne faremo di un cavallo indue? Io non posso montare in groppa, sembreremmo i duefigli di Aimone che hanno perduto i loro fratelli[24]; voi nonpotete umiliarmi cavalcando vicino a me, e cavalcandoquello stupendo animale. Io, senza pensarci un attimo,

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prenderei le cento pistole, poiché abbiamo bisogno didenaro per tornare a Parigi." "Ma io ci tengo a questocavallo, Athos." "E avete torto, amico mio; un cavallo puòfare uno scarto, può cadere e incoronarsi, un cavallomangia in una mangiatoia nella quale ha mangiato uncavallo ammalato di morva, ed ecco un cavallo o megliocento pistole perdute; è necessario che il padrone nutrabene il cavallo, mentre cento pistole nutrono il padrone.""Ma come torneremo?" "Sui cavalli dei nostri lacché,perdinci! dalla nostra figura si capirà sempre che siamopersone altolocate." "Sì, bella figura su quei ronzini, mentreAramis e Porthos caracolleranno sui loro cavalli." "Aramis!Porthos!" esclamò Athos mettendosi a ridere. "Che voletedire?" chiese d'Artagnan che non si sapeva spiegarel'ilarità dell'amico. "Bene, bene, continuiamo" disse Athos."Cosicché, il vostro parere ?…" "E' di prendere le centopistole, d'Artagnan; con cento pistole faremo baldoria finoalla fine del mese; abbiamo sopportato delle gravi fatiche,sarà bene ci riposiamo un poco." "Riposarmi! Ah! no,Athos. Non appena a Parigi mi rimetterò alla ricerca diquella povera donna." "Ebbene, credete che il cavallo vipossa essere più utile allo scopo di cento buoni luigi d'oro?Prendete le cento pistole, amico mio, prendete le centopistole." D'Artagnan non aveva bisogno che d'una ragioneper arrendersi. Questa gli parve eccellente. D'altra parte,resistendo più a lungo, temeva di sembrare egoista agliocchi di Athos; optò quindi per le cento pistole che l'Inglesegli sborsò immediatamente. Dopo di che non pensaronoche a partire. La pace firmata con l'albergatore, oltre il

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vecchio cavallo di Athos, costò sei pistole; d'Artagnan eAthos presero i cavalli di Planchet e di Grimaud, e i duevalletti si misero in viaggio a piedi portando le selle sulleloro teste. Per quanto fossero montati male i due amicidistanziarono presto i loro lacché e arrivarono aGrèvecoeur. Da lungi scorsero Aramis melanconicamenteappoggiato alla finestra di camera sua che, come sorellaAnna[25] guardava una nuvola di polvere all'orizzonte. "Olà!Eh! Aramis! che diavolo fate?" gridarono i due amici. "Ah!siete voi, d'Artagnan, siete voi, Athos?" disse il giovanotto"pensavo alla rapidità con cui se ne vanno i beni di questomondo e il mio cavallo inglese che si allontanava e che èsparito or ora in un nuvolo di polvere, era per meun'immagine vivente della fragilità delle cose di questaterra. La vita stessa può riassumersi in tre parole: erat, est,fuit". "E che cosa significa tutto ciò?" chiese d'Artagnanche cominciava a sospettare la verità. "Significa che hoconcluso or ora un contratto da imbecille: sessanta luigi uncavallo che dal modo con cui fila, può fare al trotto cinqueleghe all'ora." D'Artagnan e Athos scoppiarono a ridere."Mio caro d'Artagnan" disse Aramis "non arrabbiatevitroppo con me, ve ne prego, necessità è legge; d'altrondene sono il primo punito, perché quell'infame cozzone mi harubato per lo meno cinquanta luigi. Ah! voi siete uominieconomi, voi! venite sui cavalli dei vostri lacché e fatecondurre a mano i vostri cavalli di lusso, pian piano e apiccole tappe." Nello stesso momento un carrettone, cheda qualche istante era spuntato sulla strada di Amiens, sifermò e ne scesero Grimaud e Planchet con le selle sul

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capo. Il carro tornava vuoto verso Parigi e i due lacché vierano saliti promettendo al conduttore di dissetarlo lungo lastrada. "Che cosa è successo?" disse Aramis afferrandola situazione "nient'altro che le selle?" "Capite ora?"domandò Athos. "Amici cari, siete proprio nelle mie stessecondizioni. Anch'io ho conservato la bardatura per istinto.Olà, Bazin, portate la mia bardatura nuova accanto a quelladi questi signori." "E che cosa ne avete fatto dei vostriparroci?" chiese d'Artagnan. "Mio caro, li avevo invitati apranzo per il giorno dopo; il mio oste ha dell'ottimo vino; liubbriacai meglio che potei, allora il curato mi proibì diabbandonare la casacca e il gesuita mi pregò di farloentrare nei moschettieri." "Senza tesi!" gridò d'Artagnan"senza tesi! chiedo la soppressione della tesi!" "Da alloravivo piacevolissimamente" continuò Aramis. "Hocominciato un poema in versi di una sillaba; la cosa èdifficile, ma il merito delle cose sta nella difficoltà. Ilcontenuto è galante; vi leggerò il primo canto, è diquattrocento versi e dura un minuto." "Parola d'onore, caroAramis" disse d'Artagnan che detestava i versi quasiquanto il latino. "Aggiungete al merito della difficoltà quellodella brevità, sarete sicuro che il vostro poema avrà per lomeno due meriti." "Poi" continuò Aramis "è ricco dipassioni oneste, vedrete. Dunque, amici miei, noi torniamoa Parigi. Bene, io sono pronto; noi rivedremo quel bravoPorthos, tanto meglio. Non potete immaginare come mimanchi quel buon semplicione! Lui non avrebbecertamente venduto il suo cavallo, nemmeno per un regno.Non mi par vero di vederlo sul suo cavallo e sulla sua sella.

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Sono certo che avrà l'aria del Gran Mogol." Fu fatta unasosta di un'ora per lasciar riposare i cavalli; Aramis saldò ilsuo conto; fece salire Bazin nel carretto coi suoi camerati,dopo di che il gruppo si mise in cammino per andare atrovare Porthos. Lo trovarono già alzato, meno pallido dicome lo aveva visto d'Artagnan nella prima visita, seduto auna tavola sulla quale, sebbene fosse solo, era servito undesinare per quattro; questo desinare si componeva dicarni abilmente farcite con tartufi, di vini scelti e di fruttamagnifiche. "Ah! perdinci!" disse Porthos alzandosi"giungete a proposito, sono per l'appunto alla zuppa,pranzerete con me." "Oh! Oh!" fece d'Artagnan "non ècerto Mousqueton che ha preso al laccio simili bottiglie, poiecco un fricandò piccante e un filetto di bue…" "Mi storifacendo" disse Porthos "mi sto rifacendo, non c'è nullache indebolisca come una lussazione; avete mai avuto unalussazione, Athos?" "Mai; solo ricordo che nel tafferugliodella via Feroux, ricevetti un colpo di spada che in capo aquindici o diciotto giorni mi aveva prodotto esattamente lostesso effetto." "Ma questo pranzo non era solo per voi,mio caro Porthos" chiese Aramis. "No" disse Porthos"aspettavo alcuni gentiluomini di queste parti; ma mi hannofatto avvertire che non verranno; voi prenderete il loro postoe io guadagnerò nel cambio. Olà Mousqueton! Portatedelle sedie e raddoppiate le bottiglie." "Sapete che cosamangiamo?" domandò Athos dopo dieci minuti."Perdinci!" rispose d'Artagnan "mangio vitello in salsapiccante con cardi e midollo." "Io filetto d'agnello" dissePorthos. "E io petto di pollo" continuò Aramis. "Vi sbagliate

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tutti, signori" rispose gravemente Athos. "Voi mangiatecarne di cavallo." "Evvia!" disse d'Artagnan. "Carne dicavallo!" fece Aramis con una smorfia di disgusto. Porthostacque. "Sì, carne di cavallo; non è vero, Porthos, chemangiano carne di cavallo? E forse con la sua bravabardatura." "No, la bardatura l'ho serbata" disse Porthos."Parola d'onore, ci valiamo tutti" concluse Aramis. "Sidirebbe che ci fossimo data la parola d'ordine." "Chevolete" continuò Porthos "quel cavallo umiliava coloro chevenivano a farmi visita e io non volevo umiliarli!" "D'altraparte la tua duchessa è sempre alle acque, è vero?"domandò d'Artagnan. "Sempre" rispose Porthos. "Ora, infede mia, il governatore della provincia, uno dei signori cheaspettavo oggi a pranzo, mi parve desiderarlo cosìardentemente che glielo ho regalato." "Regalato!" esclamòd'Artagnan. "Oh! mio Dio! regalato, sì; è la parola giusta,perché valeva certamente centocinquanta luigi e quellospilorcio non me l'ha voluto pagare che ottanta." "Senza lasella?" disse Aramis. "Sì, senza la sella." "Vi prego dinotare, signori" disse Athos "che tutto sommato, chi hafatto il migliore affare tra tutti noi è proprio Porthos." Allorafu uno scoppio di risa di cui il povero Porthos non capìnulla; ma gli fu ben presto spiegata la ragione di questailarità, alla quale prese parte rumorosamente, secondo ilsuo solito. "Di modo che siamo tutti in fondi?" dissed'Artagnan. "Per mio conto, no" rispose Athos "il vino diSpagna che fornivano ad Aramis mi è sembrato cosìbuono che ne ho fatto caricare una sessantina di bottigliesul carretto dei nostri servitori; e ciò mi ha molto

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impoverito." "Quanto a me" disse Aramis "pensate cheavevo dato sino all'ultimo soldo alla chiesa di Montdidier eai gesuiti d'Amiens, che inoltre avevo presi degli impegniche ho dovuti soddisfare, messe ordinate per me e per voi,signori, che, non ne dubito ci gioveranno molto." "E io"disse Porthos "credete che la mia lussazione non mi siacostata nulla? senza contare la ferita di Mousqueton per laquale ho dovuto far venire il chirurgo due volte al giorno, ilquale chirurgo mi ha fatto pagare le visite doppie colpretesto che quell'imbecille di Mousqueton si era fattocacciare una palla in un posto che generalmente non simostra che allo speziale; per cui gli ho raccomandato dinon farsi più ferire in quella parte del corpo." "Suvvia,suvvia" disse Athos scambiando un sorriso con d'Artagnane Aramis "vedo che vi siete condotto grandiosamente conquel povero ragazzo; ciò è degno di un buon padrone.""Insomma" continuò Porthos "pagate tutte le spese, non mirestano che una trentina di scudi." "E a me una decina dipistole" disse Aramis. "E allora noi siamo i Cresi dellacompagnia. D'Artagnan, quanto vi resta delle vostre centopistole?" "Delle mie cento pistole? Prima di tutto, ne hodato cinquanta a voi." "Credete?" "Perdinci!" "E' vero, mene ricordo ora." "Poi ne ho date sei all'albergatore.""Quell'animale d'albergatore? Ma perché gli avete dato seipistole?" "Perché me lo avete detto voi." "E' vero, sonotroppo buono. In conclusione, quanto ci rimane?""Venticinque pistole" disse d'Artagnan. "E io" disse Athosestraendo qualche spicciolo dalla tasca, "io…" "Voi,niente." "O ben poco, in fede mia, e non val la pena di

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metterlo in conto." "E adesso vediamo quanto abbiamo intutto." "Porthos?" "Trenta scudi." "Aramis?" "Due pistole.""E voi, d'Artagnan?" "Venticinque." "E in tutto fa?" disseAthos. "Quattrocento settantacinque lire" disse d'Artagnan,che contava come Archimede. "Arrivati a Parigi avremoancora quattrocento lire e le bardature in più." "Ma i nostricavalli di squadrone?" disse Aramis. "Ebbene! con iquattro cavalli dei nostri servitori ne faremo due dapadroni, che tireremo a sorte; con le quattrocento lire nefaremo una metà per uno degli appiedati, dopo di chedaremo il fondo delle nostre tasche a d'Artagnan che ha lamano buona e andrà a giocare nella prima bisca cheincontreremo; ecco tutto." "Intanto pranziamo" dissePorthos "il pranzo si raffredda." I quattro amici, più tranquilliormai circa il loro avvenire, fecero onore al pranzo, i restidel quale furono abbandonati a Mousqueton, Bazin,Planchet e Grimaud. Arrivato a Parigi, d'Artagnan trovò unalettera del signor di Tréville che lo avvertiva di come il Re,per sua domanda, gli avesse accordato il favore di farloentrare nei moschettieri. Siccome era la cosa ched'Artagnan desiderava più di ogni altra al mondo, nontenendo conto s'intende del desiderio di ritrovare lasignora Bonacieux, egli corse tutto felice dai suoi camerati,che aveva lasciati appena da mezz'ora e che trovò moltotristi e preoccupati. Erano riuniti in consiglio da Athos: ilche era sempre segno di circostanze di una certa gravità. Ilsignor di Tréville li aveva fatti avvertire di come sua Maestàavesse stabilito di entrare in campagna il primo maggio,per cui essi dovevano preparare immediatamente i loro

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equipaggiamenti. I quattro filosofi si guardarono constupore; il signor di Tréville non scherzava per quantoriguardava la disciplina. "E quanto pensate che costinoquesti equipaggiamenti?" chiese d'Artagnan. "Oh! c'èpoco da scherzare" riprese Aramis "abbiamo fatto i conticon una tirchieria da Spartani, e ci occorrono millecinquecento lire per ciascuno." "Quattro volte quindici,sessanta, sono dunque seimila lire" disse Athos. "A mesembra" osservò d'Artagnan "che con mille lire perciascuno… è vero che parlo non da Spartano, ma daprocuratore…" La parola procuratore risvegliò Porthos."Ho un'idea" disse. "E' già qualche cosa; io non honeppure quella" disse freddamente Athos "ma quanto ad'Artagnan, la felicità di essere dei nostri, lo ha reso pazzo;mille lire! ne occorrono duemila solo per me!" "Quattro perdue otto" disse allora Aramis "sono dunque ottomila lireche ci occorrono per equipaggiarci, visto che abbiamo giàle selle." "E in più" disse Athos dopo aver aspettato ched'Artagnan che doveva ringraziare il signor di Trévilleavesse chiusa la porta "quel bel diamante che brilla al ditodel nostro amico. Che diamine! D'Artagnan è un troppobuon amico per lasciare dei fratelli nell'imbarazzo mentreporta al suo dito medio il riscatto di un re".

Capitolo 29 LA CACCIA ALL'EQUIPAGGIAMENTO

Il più preoccupato dei quattro amici era certamente

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d'Artagnan, sebbene d'Artagnan, nella sua qualità diguardia fosse ben più facilmente equipaggiabile deimoschettieri, che erano dei signori; ma il nostro cadetto diGuascogna, era come abbiamo potuto notare, di carattereprevidente, quasi avaro e con ciò (contrasti che non sispiegano) tanto fastoso da dare dei punti a Porthos. Allepreoccupazioni per la sua vanità, d'Artagnan aggiungeva inquel momento una preoccupazione meno egoista. Perquante informazioni avesse cercato di raccogliere sullasignora Bonacieux, non era riuscito ad avere nessunanotizia di lei. Il signor di Tréville ne aveva parlato allaregina, ma la regina non sapeva dove fosse la giovanemerciaia, e aveva promesso di farla cercare. Ma questapromessa era troppo vaga per rassicurare d'Artagnan.Athos non usciva di casa avendo risoluto di non fare unpasso per il suo equipaggiamento. "Ci restano ancoraquindici giorni" diceva ai suoi amici ebbene! se tra quindicigiorni non ho trovato un espediente, o meglio sel'espediente non mi è venuto incontro per conto suo,siccome sono troppo buon cattolico per farmi saltare lecervella con un colpo di pistola, cercherò di attaccar litecon quattro guardie di Sua Eminenza o con otto Inglesi emi batterò finché uno di essi mi uccida, il che, dato ilnumero, non può mancare. Si dirà allora che sono mortoper il Re, di modo che avrò fatto il mio dovere senzabisogno di equipaggiarmi." Porthos passeggiava con lemani dietro la schiena, scuotendo il capo dall'alto in bassoe mormorando: "Io approfondirò la mia idea." Aramis,preoccupato e mal pettinato, taceva. Da questo si può

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capire che nella piccola comunità regnava la desolazione. Ilacché, da parte loro, come i corsieri di Ippolito[26] siassociavano alle pene dei loro padroni. Mousqueton faceva provvista di croste; Bazin, che era sempre statoreligioso, non usciva più di chiesa; Planchet guardavavolare le mosche; e Grimaud, che la tristezza generale nonpoteva indurre a rompere il silenzio impostogli dalpadrone, sospirava in modo da intenerire una pietra. I treamici (perché Athos, come abbiamo detto, aveva giuratodi non fare un passo per equipaggiarsi, i tre amici uscivanoal levar del sole e rientravano a notte tarda. Essi vagavanoper le strade con gli occhi sul selciato per assicurarsi secoloro che erano passati prima di loro non avesserolasciato cadere una borsa. Si sarebbe detto cheseguissero una pista tanto stavano attenti dovunqueandassero. Quando si incontravano, si scambiavanoocchiate disperate che significavano: hai trovatoqualcosa? Però, siccome Porthos, per primo aveva avutoun'idea e la seguiva con perseveranza, così fu il primo adagire. Era un uomo d'azione il buon Porthos. D'Artagnan,un giorno, lo vide incamminarsi verso la chiesa di Saint-Leu e lo seguì quasi istintivamente: egli entrò nella casa diDio dopo essersi rialzati i baffi e allungato il pizzo, gestiche rivelavano sempre in lui le intenzioni più conquistatrici.Siccome d'Artagnan prendeva qualche precauzione perdissimulare la sua presenza, così Porthos credette di nonessere stato osservato da nessuno. D'Artagnan entrò inchiesa dopo di lui, Porthos andò ad appoggiarsi a un latodi un pilastro; d'Artagnan, sempre non visto, si appoggiò

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all'altro. Proprio quel giorno c'era una predica e la chiesaera affollatissima. Porthos colse l'occasione per sbirciarele donne; grazie alle cure di Mousqueton l'apparenzaesteriore di Porthos era ben lungi dal rivelare la sua realemiseria. Il suo feltro era un po' logoro, la sua piuma un po'stinta, i suoi ricami un po' appannati, i suoi pizzi moltoragnati; ma nella semioscurità tutte queste piccolezzescomparivano e Porthos era sempre il bel Porthos.D'Artagnan notò, sul banco più vicino alla colonna allaquale Porthos era appoggiato, una specie di bellezzamatura, un po' gialla, un po' secca, ma rigida e altera sottola sua cuffia nera. Gli occhi di Porthos si posavanofurtivamente su questa dama, poi volteggiavano lontanoper la navata. Da parte sua, la dama che di tempo intempo arrossiva, lanciava con la rapidità del lampo delleocchiate al volubile Porthos, e subito gli occhi di questo simettevano a volteggiare furiosamente. Era chiaro chequesta manovra pungeva sul vivo la dama dalla cuffia,perché essa si mordeva a sangue le labbra, si grattava lapunta del naso e si agitava sulla sedia, disperatamente.Notato ciò, Porthos si arricciò nuovamente i baffi, si tirò perla seconda volta il pizzo, e si mise a fare dei cenni a unabella signora che era vicino al coro; e che, oltre all'esserebella, era certamente una gran dama, perché dietro di leistavano un negretto che aveva portato il cuscino sul qualeessa era inginocchiata, e una cameriera che reggeva unsacchetto stemmato entro il quale si custodiva il suo libroda messa. La signora dalla cuffia nera seguì attraverso tuttiquesti rigiri lo sguardo di Porthos, e si accorse che esso si

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posava insistentemente sulla signora dal cuscino di velluto,accompagnata dal negretto e dalla cameriera. Nelfrattempo il moschettiere serrò il suo giuoco; eranostrizzatine d'occhi, dita posate sulle labbra, sorrisettiassassini che colpivano al cuore la bella disprezzata. Percui essa esalò, a mo' di 'mea culpa' e battendosi il petto,un 'hum!' così energico che tutti, anche la signora dalcuscino rosso, si voltarono a guardarla; Porthos tenneduro; e tuttavia aveva ben capito, ma fece il sordo. Ladama dal cuscino rosso fece un grande effetto, perché eramolto bella, sulla dama dalla cuffia nera che vide in lei unarivale veramente temibile; un grande effetto su Porthos chela trovò più graziosa della dama dalla cuffia nera; ungrande effetto su d'Artagnan, il quale riconobbe in lei ladama di Meung, di Calais e di Dover, quella che il suopersecutore, l'uomo dalla cicatrice, aveva chiamata Milady.D'Artagnan, senza perdere di vista la signora dal cuscinorosso, continuò a seguire i maneggi di Porthos, che lodivertivano un mondo; egli credette di indovinare che ladama dalla cuffia nera era la procuratrice della via degliOrsi, tanto più che la chiesa di Saint-Leu non era lontanada quella strada. Indovinò allora per induzione che Porthoscercava di prendersi la rivincita della disfatta di Chantilly,quando la procuratrice si era mostrata così recalcitrante adallentare i cordoni della borsa. Ma, in mezzo a tutto ciò,d'Artagnan notò anche che nessuno rispondeva allagalanteria di Porthos. Non si trattava che di chimere, diillusioni; ma per un amore reale, per una vera gelosia, c'èforse una realtà diversa dalle illusioni e dalle chimere? La

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predica finì: la procuratrice si avvicinò alla pila dell'acquasanta: Porthos la precedette e invece di un dito, vi immersetutta la mano. La procuratrice sorrise, credendo chePorthos si desse tanta premura per lei, ma fu prontamentee crudelmente disingannata, perché quando essa fu a trepassi da lui, egli girò il capo, fissando insistentemente gliocchi sulla dama dal cuscino rosso che si era alzata inpiedi e si avvicinava seguita dal negretto e dallacameriera. Quando la dama dal cuscino rosso fu vicina aPorthos, questi estrasse la mano sgocciolantedall'acquasantiera e la bella devota toccò con la sua manoaffilata la grossa mano di Porthos, fece sorridendo il segnodi croce e uscì dalla chiesa. Era troppo per la procuratrice,essa non dubitò neppure per un attimo che Porthos e lasignora se l'intendessero. Se fosse stata una gran damasarebbe svenuta, ma siccome non era che unaprocuratrice, si accontentò di dire al moschettiere confurore concentrato: "A me non offrite l'acqua benedetta,signor Porthos?" Al suono di questa voce Porthos ebbe unsussulto come un uomo che si svegli da un sonno di centoanni. "Ma… signora" esclamò "siete proprio voi! Come stavostro marito, signor Coquenard? E' sempre avaro comeun tempo? Dove mai avevo gli occhi che non vi ho vedutadurante le due ore della predica?" "Ero a due passi da voi,signore" rispose la procuratrice; "ma voi non mi avete vistaperché non avevate occhi che per la bella signora allaquale avete offerta l'acqua santa." Porthos finse di essereimbarazzato. "Ah!" disse "avete notato…" "Bisognavaessere ciechi per non vederlo." "Già" disse Porthos con

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indifferenza "è una duchessa mia amica con la qualeposso incontrarmi difficilmente a causa della gelosia di suomarito e che mi aveva fatto avvertire che oggi sarebbevenuta alla predica, unicamente per vedermi, in questachiesetta sperduta in un quartiere fuori mano." "SignorPorthos" disse la procuratrice "abbiate la bontà di offrirmi ilbraccio per cinque minuti. Parlerei volentieri con voi." "Conpiacere, signora" rispose Porthos strizzando l'occhio a sestesso, come un giocatore che ride del novellino che sidispone a imbrogliare. In quel mentre d'Artagnan passavapedinando Milady, guardò Porthos e vide questa occhiatada trionfatore. "Eh, eh!" si disse, ragionando secondo lamorale singolarmente facile di quell'epoca galante "ecconeuno che potrebbe essere equipaggiato nel tempoprescritto." Porthos, obbedendo alla pressione del bracciodella sua procuratrice come una barca obbedisce altimone, arrivò al chiostro di Sainte Magloire, luogopochissimo frequentato, chiuso alle due estremità da unacatena. Di giorno non vi si vedevano che mendicanti intentia mangiare e bambini che giuocavano. "Ah, signorPorthos!" esclamò la procuratrice dopo che si fu assicuratache nessuna persona estranea alla popolazione abitualedel luogo poteva vederli o sentirli. "Ah, signor Porthos, voisiete un grande conquistatore a quanto pare!" "Io,signora?" disse Porthos pavoneggiandosi "e perché mai?""E i cenni di poco fa, e l'acqua benedetta? Quella signoracol suo negretto e la sua cameriera è per lo meno unaprincipessa!" "Vi ingannate; mio Dio, no" rispose Porthos"è semplicemente una duchessa." "E il lacché che

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aspettava alla porta? e la carrozza col cocchiere in granlivrea che attendeva in serpa?" Porthos non aveva visto néil lacché, né la carrozza, ma la signora Coquenard, col suosguardo di donna gelosa, aveva tutto veduto. Porthos sirammaricò di non avere, di prim'acchito, fatta principessala signora dal cuscino rosso. "Voi siete il beniamino dellebelle, signor Porthos" continuò con un sospiro laprocuratrice. "Ma voi dovete capire" rispose Porthos "checon un fisico qual è quello elargitomi dalla natura, nonpossono mancarmi le avventure." "Mio Dio! come fannopresto a dimenticare gli uomini!" esclamò la procuratrice."Meno presto delle donne, mi sembra" rispose Porthos"perché, insomma, signora, io posso ben dire d'esserestato la vostra vittima, allorché ferito, morente, mi son vistoabbandonato dai chirurghi, io il discendente di un'illustrefamiglia, che avevo fidato nella vostra amicizia, ho corsopericolo di morire, prima per le ferite e poi di fame in uncattivo albergo di Chantilly, senza che vi siate degnata dirispondere una sola volta alle lettere ardenti che vi hoscritto." "Ma, signor Porthos…" mormorò la procuratrice laquale sentiva che giudicata dal punto di vista delle piùgrandi dame dell'epoca era dalla parte del torto. "Io cheavevo sacrificata per voi la contessa di Panaflor..." "Lo sobene." "La baronessa di…" "Signor Porthos, nonmortificatemi." "La duchessa di…" "Signor Porthos, siategeneroso!" "Avete ragione, signora, e non continuerò." "Maè mio marito che non vuol sentire parlare di prestiti.""Signora Coquenard" disse Porthos "ricordate la primalettera che mi scriveste e che conservo impressa nella

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memoria?" La procuratrice emise un gemito. "Ma c'èanche il fatto che la somma che chiedevate a prestito"disse "era un po' troppo forte." "Vi davo la preferenza,signora Coquenard. Mi è bastato scrivere alla duchessadi… Non voglio dire il suo nome perché so che cosasignifichi compromettere una donna; ma certo è che mi èbastato scriverle perché essa mi inviassemillecinquecento…" La procuratrice si asciugò unalacrima. "Signor Porthos" disse "vi giuro che sonoabbastanza punita e che se in avvenire vi trovaste in unasimile situazione, non avreste che a rivolgervi a me.""Evvia, signora!" disse Porthos quasi fosse disgustato;"non parliamo di denaro, per carità, è troppo umiliante.""Allora non mi amate più!" disse lentamente e con tristezzala procuratrice. Porthos rimase olimpicamente silenzioso."Non mi rispondete neppure! Ahimè! capisco tutto!""Pensate all'offesa che mi avete inflitto, signora, essa èrimasta qui" disse Porthos portando una mano al cuore eappoggiandovela con forza. "Riparerò, mio caro Porthos!""D'altronde che cosa vi chiedevo alla fine?" risposePorthos con un moto delle spalle pieno di bonomia; "unprestito, semplicemente un prestito. Io non sono un uomoirragionevole; so bene che non siete ricca, signoraCoquenard, e che vostro marito è costretto a cavar sangueai poveri litiganti per guadagnare qualche misero scudo.Oh! se foste contessa, marchesa o duchessa, sarebbeun'altra cosa." La procuratrice si sentì offesa. "Sappiate,signor Porthos" disse "che la mia cassaforte, per quanto sitratti della cassaforte di una procuratrice, è forse meglio

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fornita di quella di tutte le vostre smorfiose rovinate.""Allora mi avete doppiamente offeso" disse Porthostogliendo il braccio della procuratrice di sotto al suo"perché se siete ricca, signora Coquenard, il vostro rifiutonon ha più scuse." "Quando dico ricca" interruppe laprocuratrice che si accorse d'essere andata troppo in là"non bisogna esagerare. Non sono veramente ricca, sonoagiata." "Sentite, signora" disse Porthos "non parliamo piùdi tutto ciò, ve ne prego. Ogni simpatia fra noi è morta.""Ingrato!" "E lamentatevi per giunta!" disse Porthos."Raggiungete la vostra bella duchessa, non vi trattengopiù." "Oh, non è ancora tanto innamorata da non potervivere senza di me." "Suvvia, signor Porthos, ancora unavolta, ed è l'ultima: mi amate ancora?" "Ahimè! Signora"disse Porthos col tono più melanconico che poté assumere"stiamo per iniziare una campagna, una campagna nellaquale i miei presentimenti mi dicono che sarò ucciso…""Oh! Non dite una cosa simile!" esclamò la procuratricescoppiando in singhiozzi. "Qualche cosa me lo dice"continuò Porthos accentuando l'aria melanconica. "Ditepiuttosto che avete un nuovo amore." "No, parlo franco.Nessun nuovo amore mi occupa, anzi io sento qui, in fondoal cuore, qualche cosa che parla in vostro favore. Ma fraquindici giorni, non so se lo sappiate o no, incominceràquesta fatale campagna; e io sarò maledettamentepreoccupato per il mio equipaggiamento. Poi andrò asalutare la mia famiglia, in fondo alla Bretagna perrealizzare la somma necessaria per la mia partenza."Porthos notò un ultimo combattimento fra l'amore e

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l'avarizia. "E siccome" continuò "la duchessa che avetevista poco fa in chiesa, ha le sue terre vicine alle mie, cosìfaremo il viaggio assieme. I viaggi, voi non lo ignorate,sembrano meno lunghi, quando si fanno in due." "Voi nonavete dunque amici a Parigi, signor Porthos?" disse laprocuratrice. "Credetti di averne" sospirò Porthosmelanconicamente "ma ho costatato che mi ingannavo.""Ne avete, signor Porthos, ne avete" disse la procuratricecon uno slancio di cui essa stessa fu stupita; "venitedomani a casa mia. Voi siete il figlio di mia zia, mio cuginodunque; arrivate da Noyon in Piccardia, avete moltiprocessi a Parigi e non avete un procuratore. Viricorderete di tutto questo?" "Perfettamente, signora.""Venite all'ora del pranzo." "Benissimo." "E non traditevidavanti a mio marito che, nonostante i suoi settantaseianni, è furbissimo." "Settantasei anni! Caspita! Chebell'età" riprese Porthos. "Che grave età, vorrete dire,signor Porthos. Tanto che il povero, caro uomo puòlasciarmi vedova da un momento all'altro" continuò laprocuratrice guardando Porthos con intenzione. "Fortunache per contratto matrimoniale ci siamo fatto donoreciproco di tutto il nostro avere." "Di tutto?" disse Porthos."Di tutto." "Siete una donna previdente, lo vedo, mia carasignora Coquenard" disse Porthos stringendole le manicon tenerezza. "Siamo dunque riconciliati, caro signorPorthos?" disse la procuratrice, vezzeggiando. "Per la vita"rispose Porthos con lo stesso tono. "Arrivederci dunque,mio traditore." "Arrivederci, mia cara dimentica." "Adomani, angelo mio!" "A domani, fiamma della mia vita!"

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Capitolo 30 MILADY

D'Artagnan aveva seguito Milady senza che ella lo notasse;la vide salire in carrozza e la sentì dare al cocchierel'ordine di andare a Saint-Germain. Era inutile cercare diseguire a piedi una vettura tirata da due vigorosi cavalli.D'Artagnan tornò dunque in via Féroux. In via 'de Seine',incontrò Planchet che stava fermo davanti alla bottega diun pasticciere e sembrava in estasi davanti a un pane alburro dall'apparenza quanto mai appetitosa. Gli ordinò diandare a sellare due cavalli nelle scuderie del signor diTréville, uno per lui, d'Artagnan, e uno per sé, e di venire araggiungerlo in casa di Athos. Il signor di Tréville avevamesso, una volta per tutte, i suoi cavalli a disposizione did'Artagnan. Planchet s'incamminò verso la via del Vieux-Colombier, e d'Artagnan verso la via Féroux. Athos era incasa, a vuotare tristemente una delle bottiglie di quelfamoso vino di Spagna che aveva portato dal suo viaggioin Piccardia. Fece segno a Grimaud di portare unbicchiere per d'Artagnan e fu subito obbedito come alsolito. D'Artagnan allora, raccontò ad Athos quanto erasuccesso in chiesa fra Porthos e la procuratrice e come illoro camerata in quel momento fosse probabilmente in viadi equipaggiarsi. "Quanto a me" rispose Athos dopoch'ebbe ascoltato il racconto di d'Artagnan "sono tranquillo,non saranno certo le donne che pagheranno il mio

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equipaggiamento." "Eppure, bello, gentile e gran signorecome siete, mio caro Athos, non ci sarebbe néprincipessa, né regina al riparo dalle vostre frecceamorose." "Come è giovane questo d'Artagnan!" disseAthos crollando le spalle. E fece segno a Grimaud diportare un'altra bottiglia. In quel mentre Planchet sporsemodestamente il capo dalla porta socchiusa, e disse aisuoi padroni che i cavalli erano pronti. "Quali cavalli?"chiese Athos. Allora d'Artagnan parlò dell'incontro fatto inchiesa, e come avesse ritrovata quella donna che, insiemeal signore dal mantello nero e dalla cicatrice alla tempia,era la sua eterna preoccupazione. "Vale a dire che sieteinnamorato di lei come lo eravate della signora Bonacieux"disse Athos crollando sdegnosamente le spalle come se ledebolezze umane gli facessero pietà. "Io? neppure persogno!" esclamò d'Artagnan. "Sono solamente curioso dichiarire il mistero che la circonda. Non so perché, mapenso che quella donna, per quanto sconosciuta mi sia, eper quanto ignoto io sia a lei, debba avere un'influenzasulla mia vita." "Però trovo che avete ragione" disse Athos"non conosco una donna che valga la pena di cercarlaallorché si è perduta. La signora Bonacieux è perduta,peggio per lei! Si ritrovi da sé!" "No, Athos, no,v'ingannate. Io amo più che mai la mia povera Costanza ese sapessi dov'è, foss'anche in capo al mondo, partirei perstrapparla dalle mani dei suoi nemici; ma lo ignoro, tutte lemie ricerche sono state inutili. Che volete, è pur necessariodistrarsi." "Divertitevi dunque con Milady, carod'Artagnan… ve lo auguro di cuore, se ciò può divertirvi."

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"Sentite, Athos" disse d'Artagnan "invece di star chiusocome se foste agli arresti, montate a cavallo e venite conme a fare una passeggiata fino a Saint-Germain." "Miocaro" rispose Athos "io monto i miei cavalli, quando ne ho,se no vado a piedi." "Ebbene" rispose d'Artagnansorridendo della misantropia di Athos che in un'altraoccasione lo avrebbe certo ferito "io sono menoorgoglioso di voi, e monto su quello che trovo. Alloraarrivederci, mio caro Athos." "Arrivederci" rispose ilmoschettiere facendo segno a Grimaud di sturare un'altrabottiglia. D'Artagnan e Planchet saltarono in sella e siavviarono verso Saint-Germain. Lungo la strada ilgiovanotto rimuginò nella mente quanto Athos gli avevadetto a proposito della signora Bonacieux. Sebbened'Artagnan non fosse un sentimentale, la bella merciaiaaveva fatto un'impressione reale nel suo cuore e, comediceva, sarebbe veramente andato in capo al mondo percercarla. Ma il mondo ha molti capi per il semplice fattoche è rotondo, ed egli non sapeva da che parte andare.Nell'attesa, egli voleva cercar di sapere chi fosse Milady.Milady aveva parlato all'uomo del mantello nero, dunque loconosceva. Ora secondo d'Artagnan, era stato l'uomo dalmantello nero a rapire la signora Bonacieux per la secondavolta, come l'aveva rapita la prima. D'Artagnan non mentivaquindi che a mezzo quando diceva che, mettendosi allaricerca di Milady, si metteva anche alla ricerca diCostanza. Così pensando e spronando tratto tratto ilcavallo, d'Artagnan era arrivato a Saint-Germain. Avevacosteggiato il padiglione dove, dieci anni dopo, doveva

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nascere Luigi XIV, attraversava una strada molto deserta,guardando a destra e a sinistra se non vedesse qualchetraccia della sua bella Inglese, allorquando, al pianterrenodi una bella casa che, secondo l'uso del tempo, non avevafinestre sulla strada vide apparire una figura diconoscenza. Questa figura passeggiava sopra una speciedi terrazza ornata di fiori. Planchet fu il primo ariconoscerla. "Eh, signore" disse rivolgendosi a d'Artagnan"non vi dice nulla quel tipo che guarda all'aria?" "No"rispose d'Artagnan "eppure sono certo che non è la primavolta che vedo quella faccia." "Lo credo bene, perbacco"disse Planchet "è il povero Lubin, il lacché del conte diWardes, quello che accomodaste così bene, un mese fa aCalais, sulla strada della casa di campagna delgovernatore." "Ah, adesso lo riconosco" disse d'Artagnan"credi che ti riconoscerebbe?" "In fede mia, signore, eracosì turbato che dubito abbia serbato di me un ricordomolto chiaro." "Ebbene, va' a parlare con quel ragazzo enel corso della conversazione, cerca di sapere se il suopadrone è morto." Planchet discese da cavallo e si diresseverso Lubin il quale difatti non lo riconobbe, cosicché i duelacché attaccarono conversazione con la migliore armoniadel mondo, mentre d'Artagnan spingeva i due cavalli in unviottolo, e fatto il giro di una casa, tornava ad assistere allaconversazione nascosto dietro una siepe di nocciuolo. Erada poco in osservazione, quando sentì il rumore di unavettura e vide fermarsi proprio in faccia a lui la carrozza diMilady. Non c'era da ingannarsi perché Milady vi eradentro. D'Artagnan si curvò sul collo del cavallo per vedere

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senza essere visto. Milady sporse dalla portiera la suagentile testa bionda e dette degli ordini alla sua cameriera,che era una bella giovane fra i venti e i venticinque anni,sveglia e vivace, vera cameriera da gran dama. Essa saltògiù dal predellino sul quale era seduta e secondo l'usanzadel tempo, si diresse verso la terrazza dove d'Artagnanaveva veduto Lubin. D'Artagnan la seguì con gli occhi e lavide incamminarsi verso la terrazza. Ma, percombinazione, qualcuno dell'interno aveva richiamatoLubin di modo che Planchet era rimasto solo, e stavaguardandosi intorno per sapere da che parte fosse sparitod'Artagnan. La cameriera si avvicinò a Planchet chescambiò per Lubin e gli tese un bigliettino. "Per il vostropadrone" disse. "Per il mio padrone?" fece Planchetmeravigliato. "Sì, c'è premura. Prendete, presto." Dopo diche fuggì verso la carrozza che si era già voltata dalla partedonde era venuta; si slanciò sul predellino, e la carrozzaripartì. Planchet girò e rigirò il biglietto, poi, abituatocom'era all'obbedienza passiva, saltò giù dalla terrazza,infilò il viottolo, e dopo venti passi trovò d'Artagnan che,avendo tutto veduto, gli andava incontro. "E' per voi,signore" disse Planchet porgendo il biglietto al giovanotto."Per me?" disse d'Artagnan "ne sei ben certo?" "Perdincise ne sono sicuro! La cameriera ha detto: "Per il tuopadrone". Io non ho altro padrone, che sappia, cosicché…Una bella figliola, quella cameriera!" D'Artagnan aprì lalettera e lesse: "Una persona che si interessa a voi più diquanto possa dire, vorrebbe sapere in che giorno visarebbe possibile fare una passeggiata nel bosco.

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Domani all'albergo dello 'Champs-du-Drap-d'Or', un lacchénero e rosso aspetterà la vostra risposta." "Oh! Oh!" pensòd'Artagnan 'ciò è un po' forte. Pare che Milady e io siamoin pena per la salute della stessa persona.' "Ebbene,Planchet, come sta quel buon signor di Wardes? Non èdunque morto?" "No, signore, sta così bene come èpossibile che stia chi ha avuto quattro colpi di spada incorpo, perché voi, e sia detto senza rimprovero, non glieneavete dati di meno, a quel caro gentiluomo. E' ancora unpo' debole giacché ha perduto quasi tutto il suo sangue.Lubin non mi ha riconosciuto e mi ha raccontato dalprincipio alla fine la nostra avventura." "Benissimo.Planchet, tu sei il re dei lacché, ora risali a cavallo eraggiungiamo la carrozza." Dopo cinque minuti la scorseroferma sul margine della strada; un cavaliere riccamentevestito stava alla portiera. La conversazione fra Milady e ilcavaliere era così animata, che d'Artagnan si fermòdall'altra parte della carrozza senza che nessuno, tranne lagraziosa cameriera, si accorgesse della sua presenza. Laconversazione era in inglese, lingua che d'Artagnan noncapiva; ma dall'accento il giovanotto credette di poterarguire che la bella Inglese era molto in collera; essaterminò con un gesto che non gli lasciò dubbi sulla naturadi questa conversazione; un colpo di ventaglio vibrato contale forza che il piccolo oggetto femminile volò in millepezzi. Il cavaliere scoppiò in una risata che parevaesasperare Milady. D'Artagnan pensò che era giunto ilmomento d'intervenire; si avvicinò all'altra portiera, e toltosirispettosamente il cappello, disse: "Signora, permettetemi

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di offrirvi i miei servigi. Mi sembra che questo cavaliere viabbia fatta inquietare. Dite una parola, signora, ed io miincarico di punirlo della sua mancanza di cortesia." Alleprime parole Milady si era voltata guardando, meravigliata,il giovanotto, e allorché egli tacque disse in ottimofrancese: "Signore, mi metterei ben volentieri sotto lavostra protezione se la persona con cui sto litigando nonfosse mio fratello." "Scusatemi allora" disse d'Artagnan"capirete che io non potevo sapere ciò, signora." "Di che siimmischia questo farfallino" esclamò abbassandosi alivello del finestrino il cavaliere che Milady aveva designatocome suo parente "e perché non continua per la suastrada?" "Farfallino sarete voi" disse d'Artagnanchinandosi sul collo del cavallo e rispondendo a sua voltaattraverso lo sportello. "Non continuo per la mia stradaperché mi piace di fermarmi qui." Il cavaliere disse qualcheparola in inglese alla sorella. "Io vi parlo in francese" dissed'Artagnan "fatemi dunque il piacere di rispondermi nellastessa lingua. Voi siete il fratello della signora, ma non ilmio per fortuna." Si sarebbe potuto credere che Milady,paurosa come sono in generale le donne, si sarebbeinterposta all'inizio della provocazione per impedire che illitigio andasse più in là, ma al contrario essa si ritirò infondo alla carrozza e gridò freddamente al cocchiere:"Frusta, al palazzo!" La graziosa cameriera gettò unosguardo pieno d'inquietudine a d'Artagnan il cuibell'aspetto sembrava aver prodotto un certo effetto su dilei. La carrozza si allontanò e lasciò i due uomini in faccial'uno dell'altro poiché nessun ostacolo materiale non li

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separava più. Il cavaliere fece un movimento per seguire lavettura; ma d'Artagnan, la collera del quale, già ribollente,era aumentata dal fatto ch'egli aveva riconosciuto in luil'Inglese che ad Amiens gli aveva vinto al giuoco il cavallo eaveva quasi vinto il suo diamante ad Athos, gli saltò allabriglia e lo fermò. "Ehi, signore" gridò "voi mi sembrate piùfarfallino di me, poiché mi pare che dimentichiate che c'èfra noi qualcosa come una lite cominciata." "Ah! siete voi!"esclamò l'Inglese "siete voi, maestro. Si vede che dovetesempre giocare un giuoco o l'altro." "Sì, e questo mi faricordare che mi dovete una rivincita. Vedremo, carosignore, se maneggiate così bene la spada come i dadi.""Vedete bene che non ho spada" disse l'inglese "e nonvorrete fare il bravo contro un uomo disarmato." "Speroche ne avrete una, in casa vostra. E in ogni caso io ne hodue e, se volete ne giocheremo una." "Inutile" dissel'Inglese "sono abbastanza ben fornito di simili oggetti.""Ebbene mio degno gentiluomo" riprese d'Artagnan"scegliete la più lunga e venite a farmela vedere questasera." "Dove, di grazia?" "Dietro il Lussemburgo, è undelizioso quartiere per questo genere di passeggiate." "Vabene, ci saremo." "A che ora?" "Alle sei." "A proposito,avrete due o tre amici, probabilmente?" "Ne ho tre chesaranno felici di giocare la mia stessa partita." "Tre?Stupendo! E' una vera combinazione" disse d'Artagnan. "Eora ditemi, chi siete?" domandò l'inglese. "Sono il signord'Artagnan, gentiluomo guascone, in servizio nelle guardie,compagnia del signor Des Essarts. E voi?" "Sono lordWinter, barone di Sheffield." "Ebbene, sono vostro

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servitore, signor barone" disse d'Artagnan "benchéabbiate dei nomi difficili da ricordare." E, spronato ilcavallo, lo mise al galoppo e riprese il cammino di Parigi.Come usava in simili occasioni, d'Artagnan andò dritto daAthos. Lo trovò coricato su un grande divano, doveaspettava, come aveva detto, che il suo equipaggiamentovenisse a trovarlo e gli raccontò tutto quanto era successo,tacendo però il particolare della lettera del signor diWardes. Athos fu felice di sapere che si sarebbe dovutobattere con un Inglese, come abbiamo già detto era il suosogno. Mandò immediatamente a chiamare Porthos eAramis per mezzo dei lacché, ed essi furono messi alcorrente della situazione. Porthos sfoderò la spada e simise a schermeggiare contro il muro, indietreggiando ditempo in tempo e contorcendosi come un ballerino.Aramis, che lavorava sempre al suo poema, si chiuse nelsalottino di Athos e raccomandò che non lo disturbasserofino al momento di tirar fuori la spada. Athos fece segno aGrimaud di portare una bottiglia. D'Artagnan inveceescogitò un piccolo piano che vedremo più tardi inesecuzione, e che gli prometteva una graziosa avventura,come si poteva arguire dal sorriso che di tanto in tanto,passava sul suo viso e illuminava le sue fantasticherie.

Capitolo 31 INGLESI E FRANCESI

Giunta l'ora, i quattro amici, insieme con i loro lacché, si

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recarono dietro al Lussemburgo, in un recinto abbandonatoalle capre. Athos dette una moneta al pastore perché sifacesse da parte, e i lacché furono incaricati di far laguardia. Di lì a poco, un gruppo silenzioso di uomini siavvicinò, entrò nel recinto e si unì ai moschettieri; poi,secondo l'uso inglese, furono fatte le presentazioni. GliInglesi erano persone della più alta nobiltà; i nomi bizzarridei loro avversari furono quindi per essi motivo non solo distupore, ma anche d'inquietudine. "Ma, tutto sommato"disse Lord Winter quando d'Artagnan ebbe nominato i suoitre amici "noi non sappiamo chi siete e non ci batteremocon simili nomi; questi sono nomi da pastori." "Infatti, comepotete facilmente intuire, milord, si tratta di falsi nomi"disse Athos. "Il che non ci dà che un più gran desiderio diconoscere i vostri nomi veri." "Però non faceste difficoltà agiocare con noi senza conoscerci" disse Athos "tanto checi avete vinto i nostri due cavalli." "E' vero, ma allora nonrischiavamo che il nostro denaro, mentre questa volta sitratta del nostro sangue; si può giocare con chiunque, manon ci si batte che con degli uguali." "Giusto" disse Athos,e preso da parte quello dei quattro Inglesi col quale dovevabattersi, gli disse all'orecchio il proprio nome. Porthos eAramis lo imitarono. "Vi basta?" chiese Athos al suoavversario "e mi giudicate sufficientemente gran signoreper farmi la grazia d'incrociare la spada con me?" "Sì,signore" rispose l'Inglese inchinandosi. "Ebbene, voletepermettermi ora di dirvi una cosa?" riprese freddamenteAthos. "E cioè?" domandò l'inglese. "Avreste fatto meglioa non esigere che io vi dicessi il mio vero nome."

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"Perché?" "Perché mi si crede morto, e ho delle ragionispeciali per le quali desidero che non si sappia che vivo;ne consegue che, per essere ben certo che il mio segretonon sia propagato, sarò costretto a uccidervi." L'Ingleseguardò Athos credendo che scherzasse; ma Athos non eraper nulla disposto a scherzare. "Signori" disse rivolgendosiinsieme ai suoi compagni e agli avversari "siamo pronti?""Sì" risposero a una voce Inglesi e Francesi. "Allora, inguardia" disse Athos. Subito otto spade brillarono ai raggidel sole cadente, e il combattimento iniziò con unaccanimento ben comprensibile in avversari due voltenemici. Athos schermiva con la stessa calma e lo stessometodo che se si fosse trovato in una sala d'armi. Porthos,che l'avventura di Chantilly aveva senza dubbio correttodella sua esagerata fiducia in se stesso, conduceva ungiuoco pieno di finezza e di prudenza. Aramis, che volevafinire il terzo canto del suo poema, cercava di spicciarsicome uno che ha molta fretta. Athos fu il primo a ucciderel'avversario; non gli aveva inferto che un colpo, ma,secondo l'avvertimento datogli, era stato un colpo mortale;la spada gli aveva attraversato il cuore. Porthos fu ilsecondo ad atterrare l'avversario; gli aveva trapassato lacoscia. Allora, poiché l'Inglese senza far una più lungaresistenza, gli aveva consegnata la spada, Porthos loprese in braccio e lo portò nella sua carrozza. Aramisincalzò il suo antagonista così vigorosamente che questo,dopo aver indietreggiato per una cinquantina di passi, sivolse e fuggì a gambe levate fra le urla dei lacché. Quantoa d'Artagnan, egli si era limitato semplicemente e

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puramente a difendersi, poi, quando aveva visto il suoavversario abbastanza stanco, con una vigorosa bottalaterale gli aveva fatto saltare di mano la spada. Il barone,vedendosi disarmato, indietreggiò di due o tre passi, ma inquesto movimento il suo piede scivolò ed egli cadderiverso. D'Artagnan gli fu sopra con un salto e gli puntò laspada alla gola: "Potrei uccidervi, signore" disse all'Inglese"siete infatti nelle mie mani; ma vi dono la vita per amore divostra sorella." D'Artagnan era al colmo della gioia; avevarealizzato il piano immaginato in anticipo, e il cui sviluppoaveva fatto apparire sul suo viso il sorriso di cui si èparlato. L'Inglese, ben felice di aver a che fare con unavversario tanto accomodante, lo abbracciò, fece millecomplimenti ai tre moschettieri e, siccome l'avversario diPorthos era già accomodato in vettura e quello di Aramisse l'era data a gambe, non si pensò più che al morto.Mentre Porthos e Aramis lo spogliavano, sperando che laferita non fosse mortale, una grossa borsa che aveva allacintura cadde a terra. D'Artagnan la raccolse e la porse alord Winter. "Che diavolo volete ne faccia?" chiesel'Inglese. "La renderete alla sua famiglia" disse d'Artagnan."La sua famiglia non si preoccuperà di questa inezia; essaerediterà mille cinquecento luigi di rendita; serbate questaborsa per i vostri servitori." D'Artagnan intascò il danaro."E ora, mio giovane amico, perché spero mi permetteretedi chiamarvi così" disse Lord Winter "questa sera stessa,se lo vorrete, vi presenterò a mia sorella, lady Clarick;giacché desidero che anch'essa vi accolga nella suabuona grazia e, siccome ha una certa influenza a corte,

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può darsi che, in avvenire, una sua parola possa esservinon del tutto inutile." D'Artagnan arrossì di piacere es'inchinò in segno di assentimento. Nel frattempo Athos glisi era avvicinato. "Che cosa contate fare di quella borsa?""Pensavo di consegnarla a voi, mio caro Athos." "A me?Perché?" "Caspita, voi l'avete ucciso; sono le vostrespoglie opime." "Io ereditare da un nemico?" disse Athos."Per chi mi prendete?" "E' l'uso di guerra" dissed'Artagnan "perché non potrebbe essere l'uso in unduello?" "Neppure sul campo di battaglia" disse Athos "homai fatto una cosa simile." Porthos alzò le spalle; Aramiscon un movimento delle labbra approvò Athos. "Allora"disse d'Artagnan "diamo questo denaro ai lacché, come ciha detto di fare lord Winter." "Si" approvò Athos "ma ailacché degli Inglesi, non ai nostri." E, presa la borsa, lagettò al cocchiere: "Per voi e per i vostri compagni".Questa nobiltà di modi in un uomo privo di tutto fece colpopersino su Porthos, e questa generosità francese, riferitada lord Winter e dal suo amico, ebbe dappertutto un gransuccesso, eccetto che tra i signori Grimaud, Mousqueton,Planchet e Bazin. Lord Winter, al momento di lasciared'Artagnan, gli dette l'indirizzo di sua sorella, che abitava inPlace Royale, ch'era allora il quartiere di moda, al numero6. D'altronde, egli s'impegnò ad andarlo a prendere perpresentarlo. D'Artagnan fissò l'appuntamento per le otto incasa di Athos. Questa presentazione a Milady occupavamolto la mente del nostro guascone. Egli si ricordava inquale strano modo quella donna fosse stata fino alloralegata al suo destino. Egli era persuaso ch'essa fosse una

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creatura del Cardinale, e tuttavia si sentiva irresistibilmenteattirato verso di lei, da uno di quei sentimenti dei quali nonci si rende conto. Il suo solo timore era che Miladyriconoscesse in lui l'uomo di Meung e di Dover. In tal modoessa avrebbe saputo che egli era uno degli amici delsignor di Tréville e che, per conseguenza, appartenevaanima e corpo al Re. Ciò gli avrebbe fatto perdere in parteil suo vantaggio, in quanto, riconosciuto da Milady com'egliconosceva lei, sarebbe stato costretto a giocare la partitain condizioni di parità. Circa poi l'inizio di un possibileintrigo tra lei e il conte di Wardes, il nostro presuntuosoamico non se ne preoccupava granché, benché ilmarchese fosse giovane, bello, ricco e in gran favorepresso il Cardinale. Non per nulla si hanno vent'anni e,soprattutto, si è nati a Tarbes. D'Artagnan cominciòcoll'andare a casa per fare una toletta speciale; poi, tornòda Athos e, secondo la sua abitudine, gli raccontò tutto.Athos ascoltò i suoi progetti; poi scosse il capo e con unatinta d'amarezza gli raccomandò d'essere prudente. "Macome" gli disse "avete perduto da pochi giorni una donnache secondo voi era buona, graziosa, perfetta e correte giàdietro a un'altra?" D'Artagnan pensò che il rimprovero erameritato. "Amavo la signora Bonacieux col cuore, mentreamo Milady col cervello" disse "facendomi introdurre incasa sua, io cerco soprattutto di chiarire a me stesso qualeparte essa reciti a corte." "La parte che recita a corte?Perdio! Non è difficile da indovinare dopo quanto mi avetedetto. Essa è un emissario del Cardinale; una donna che viattirerà in qualche tranello dove lascerete allegramente la

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testa." "Diavolo, mio caro Athos! pare che voi vediate lecose in nero." "Mio caro, io diffido delle donne; che volete,ho le mie buone ragioni, specialmente delle donne bionde.Perché Milady è bionda, così mi avete detto?" "Ha i capellidel più bel biondo che si possa vedere." "Ah, poverod'Artagnan!" fece Athos. "Sentite, io voglio vederci chiaro;poi, quando saprò ciò che desidero sapere, miallontanerò." "Ebbene, illuminatevi" disse con flemmaAthos. Lord Winter arrivò all'ora fissata, ma Athos,prevenuto in tempo, passò nella seconda stanza. Egli trovòdunque d'Artagnan solo e, siccome erano quasi le otto, idue giovani uscirono immediatamente. Un'elegantecarrozza li attendeva alla porta e poiché i cavalli eranoeccellenti trottatori, arrivarono in un attimo a Place Royale.Milady Clarick accolse d'Artagnan graziosamente. Il suopalazzo era molto sfarzoso e sebbene, in vista della guerraprossima, molti Inglesi abbandonassero la Francia ofossero per abbandonarla, Milady al contrario aveva fattodi recente delle nuove spese, il che provava chiaramenteche la legge di espulsione promulgata per tutti gli Inglesi,non colpiva lei. "Ecco" disse lord Winter presentandod'Artagnan a sua sorella "un giovane gentiluomo che haavuto in mano la mia vita e non ha voluto abusare del suovantaggio, benché fossimo doppiamente nemici, perchésono stato io a insultarlo e perché sono Inglese.Ringraziatelo dunque, signora, se mi volete un poco dibene." Milady corrugò leggermente le sopracciglia, unanube appena visibile le oscurò la fronte e un sorriso cosìstrano sfiorò le sue labbra che il giovanotto che aveva

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notato questa triplice sfumatura, ebbe qualche cosa comeun brivido. Il fratello no si accorse di nulla, perché si eravoltato per giocare con la scimmia prediletta di Milady chelo aveva tirato per il giustacuore. "Siate il benvenuto,signore" disse Milady con una voce la cui dolcezza era inassoluto contrasto coi sintomi di malumore notati dad'Artagnan "oggi voi vi siete guadagnato dei diritti eternialla mia riconoscenza." Allora l'Inglese si volse e raccontòper filo e per segno come si era svolto il combattimento;Milady lo ascoltò con la più grande attenzione; ma perquanti sforzi facesse per dissimulare le sue impressioni,era chiaro che il racconto non le era punto gradito. Ilsangue le saliva alla testa e il suo piccolo piede si agitavaimpazientemente sotto la gonna. Lord Winter nons'accorse di nulla. Poi, quand'ebbe finito, si accostò a unatavola dove, su un vassoio, erano serviti una bottiglia divino di Spagna, e dei bicchieri, ne empì due e invitòd'Artagnan a bere con lui. D'Artagnan sapeva che era unagrave offesa per un Inglese quella di rifiutare di brindarecon lui. Si avvicinò dunque alla tavola e prese il secondobicchiere. Tuttavia non aveva perso di vista Milady e nellospecchio poté notare il cambiamento operatosi sul suoviso. Ora che credeva di non essere osservata, unsentimento che somigliava alla ferocia animava la suafisionomia. Essa mordeva rabbiosamente il fazzoletto. Lagraziosa cameriera che d'Artagnan aveva già notato entròin quel momento, disse qualche parola in inglese a lordWinter che domandò immediatamente a d'Artagnan ilpermesso di ritirarsi per un affare urgente che richiedeva la

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sua presenza e incaricando sua sorella di ottenergli ilperdono dell'ospite. D'Artagnan scambiò una stretta dimano con lord Winter e tornò presso Milady. Il viso diquesta donna, con una mobilità sorprendente, avevariassunto la sua espressione graziosa; soltanto qualchemacchia rossa sul suo fazzoletto indicava che si eramorsicata a sangue le labbra. Le sue labbra eranomagnifiche; si sarebbe detto che fossero di corallo. Laconversazione prese un tono gaio; sembrava che Milady sifosse del tutto rimessa. Raccontò che lord Winter non erasuo fratello, ma suo cognato; ella aveva sposato un cadettodi famiglia ed era rimasta vedova con un figliolo. Questofigliolo era l'unico erede di lord Winter, se lord Winter nonavesse preso moglie. Tutto ciò lasciava vedere ad'Artagnan qualche mistero, ma egli non riusciva ancora acapire di che cosa si trattasse. D'altronde, dopo mezz'oradi conversazione il giovanotto si era convinto che Miladyera sua compatriota; essa parlava il francese con talepurezza ed eleganza da non lasciar dubbi in proposito.D'Artagnan abbondò in discorsi galanti e in proteste didevozione. A tutte le scipitaggini che sfuggirono al nostroguascone Milady sorrise benevolmente. Venne l'ora diandarsene, e d'Artagnan si congedò da Milady e uscì dalsalotto come il più felice dei mortali. Sulle scale incontrò lagraziosa cameriera che lo sfiorò passando e, arrossendofino agli occhi, gli chiese scusa per averlo toccato con unavoce così dolce che il perdono fu immediatamenteaccordato. Il giorno dopo, d'Artagnan ritornò al palazzoWinter e fu accolto meglio che il giorno prima. Lord Winter

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non c'era e fu Milady che fece gli onori della serata. Parevach'essa s'interessasse enormemente al giovanotto; glichiese di che paese fosse, chi erano i suoi amici e se glifosse mai passato per il cervello l'idea di entrare al serviziodel Cardinale. D'Artagnan che, come sappiamo, era moltoprudente pur essendo un ragazzo di vent'anni, si ricordòallora dei suoi sospetti su Milady e fece un grande elogiodi Sua Eminenza, affermando che sarebbe certamenteentrato nel corpo delle Guardie del Cardinale, se avesseconosciuto il signor di Cavois invece del signor di Tréville.Milady senza alcuna affettazione cambiò argomento echiese con noncuranza a d'Artagnan se fosse stato mai inInghilterra. E d'Artagnan rispose che vi era stato mandatodal signor di Tréville per trattare un acquisto di cavalli e chene aveva anzi portato quattro come campioni. Durante laconversazione, Milady si morse due o tre volte le labbra,aveva a che fare con un Guascone che giocava serrato.Alla stessa ora della sera prima, d'Artagnan se ne andò.Nel corridoio incontrò ancora la graziosa Ketty; era il nomedella cameriera. Questa lo guardò con un'espressione dimisteriosa benevolenza che non lasciava dubbi; mad'Artagnan era talmente occupato della padrona che nonnotava nulla di quanto non venisse da lei. D'Artagnan tornòda Milady il giorno seguente, poi l'altro ancora, ed ognigiorno Milady gli fece un'accoglienza più gentile. E ognivolta, ora nell'anticamera, ora nel corridoio, ora sulle scale,incontrò la graziosa cameriera. Ma, come si è detto,d'Artagnan non faceva nessuna attenzione a questainsistenza della povera Ketty.

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Capitolo 32 UN PRANZO DA PROCURATORE

Frattanto, il duello in cui Porthos aveva fatto così bellafigura non gli aveva fatto dimenticare il pranzo cui era statoinvitato dalla moglie del procuratore. Il giorno seguente,verso l'una, dopo essersi fatto dare una spazzolata daMousqueton, si incamminò verso la via degli Orsi colpasso di un uomo che ha in vista una duplice conquista. Ilsuo cuore batteva, ma non già, come quello di d'Artagnan,di un giovane e impaziente amore. No, un sentimento piùmateriale gli frustava il sangue; egli stava finalmente pervarcare quella soglia misteriosa, per salire quella scalasconosciuta che gli scudi del vecchio Coquenard avevanosalito a uno a uno. Stava per vedere in realtà un certoforziere del quale aveva visto venti volte l'immagine insogno; forziere di forma lunga e profonda, chiuso dachiavistelli e lucchetti, saldato al pavimento; forziere di cuiaveva così spesso sentito parlare e che le mani secche manon ineleganti della procuratrice avrebbero aperto ai suoisguardi ammirati. E poi lui, l'uomo errante sulla terra,l'uomo senza ricchezza, l'uomo senza famiglia, il soldatoabituato agli alberghi, alle osterie, alle taverne, alle'posades', il buongustaio costretto la maggior partedell'anno ad accontentarsi dei pasti d'occasione, avrebbeconosciuto i pranzi di famiglia, assaporata la pace di unacasa elegante, lasciandosi circondare da quelle piccole

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cure che, come dicono i vecchi soldati, più si è rozzi, piùpiacciono Venire, in qualità di cugino, a sedere tutti i giornia una buona tavola, rasserenare la fronte gialla e grinzosadel procuratore, spennare un poco i giovani di studioinsegnando loro la bassetta, il passadieci e illanzichenecco, vincendo loro, come onorario per unalezione che gli sarebbe costata un'ora di fatica, le loroeconomie di un mese, erano tutte cose che sorridevanoinfinitamente a Porthos. Il moschettiere richiamava benealla memoria, di qua e di là, le pessime voci che correvanoa quel tempo su i procuratori e che sono sopravvissuteloro: la spilorceria, la ladreria, i giorni di digiuno, mapoiché, tutto sommato, tranne qualche accesso dieconomia che Porthos aveva sempre trovato intempestiva,la procuratrice si era generalmente mostrata abbastanzagenerosa, per una procuratrice, beninteso, egli sperava diimbattersi in una casa nella quale regnasse l'abbondanza.Tuttavia, alla porta il moschettiere ebbe qualche dubbio;l'ingresso non prometteva molto; un corridoio puzzolente enero, una scala male illuminata da certe finestrelle a grataattraverso le quali filtrava la luce di un cortile vicino; alprimo piano, una porta bassa, ferrata, con enormi chiodicome la porta principale del Grand-Chatelet[27]. Porthosbatté alla porta; uno scrivano grande e pallido, sepoltosotto una foresta vergine di capelli, venne ad aprire esalutò con l'aria di un uomo costretto a rispettare in un altrol'alta statura che indica la forza, l'uniforme militare cheindica la condizione e l'aspetto florido che indica l'abitudinedel vivere bene. Un altro scrivano più piccolo stava dietro il

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primo, un altro più grande dietro il secondo, un ragazzo didodici anni dietro il terzo. In tutto tre scrivani e mezzo; ciòche, per quei tempi, era indizio di uno studio tra i piùavviati. Quantunque il moschettiere non dovesse arrivareche all'una, la procuratrice era in vedetta da mezzogiorno,e contava sul cuore e fors'anche sullo stomaco del suoadoratore per fargli anticipare l'ora. La signora Coquenardarrivò dunque dalla porta dell'appartamento quasi nellostesso tempo in cui il suo invitato arrivava dalla porta dellescale e l'apparizione della degna signora valse a trarrequest'ultimo d'imbarazzo. Gli scrivani avevano l'occhiocurioso, ed egli, non sapendo bene che cosa dire a quellascala ascendente e discendente, se ne stava muto. "E' miocugino" esclamò la procuratrice "entrate, entrate, signorPorthos." Il nome di Porthos ebbe un certo effetto sugliscrivani che scoppiarono a ridere; ma Porthos si volse etutti i visi ridivennero gravi. Dopo aver attraversatol'anticamera dove erano gli scrivani e lo studio doveavrebbero dovuto essere, si giunse nel gabinetto delprocuratore, che era una specie di sala nera e piena diincartamenti. Uscendo dallo studio, fu lasciata a destra lacucina e si entrò nella sala di ricevimento. Tutte questecamere, che erano l'una dentro l'altra, non ispirarono moltafiducia a Porthos; le parole dovevano arrivare lontanoattraverso tutte quelle porte aperte; inoltre egli avevagettato al passaggio un rapido sguardo investigatore allacucina e doveva riconoscere, a discapito della procuratricee con rammarico proprio, di non avervi notato quel fuoco,quell'animazione e quel movimento che regnano di solito,

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prima di un buon pasto, in quel santuario della ghiottoneria.Il procuratore era certamente stato avvertito della visita,perché non mostrò alcuna sorpresa alla vista di Porthos,che si avanzò fino a lui con aria disinvolta e lo salutòcortesemente. "Siamo cugini, a quanto pare, signorPorthos?" disse il procuratore alzandosi a forza di bracciasulla sua poltrona di vimini. Il vecchio, avviluppato in unampio farsetto nero entro il quale il suo magro corpospariva, era verde e secco; i suoi piccoli occhi grigibrillavano come carbonchi e sembravano, insieme con labocca contorta, la sola parte del suo viso in cui fosserimasta un po' di vita. Disgraziatamente le gambecominciavano a rifiutarsi di servire quella macchina osseae da cinque o sei mesi, da quando cioèquell'indebolimento aveva incominciato a farsi sentire, ildegno procuratore era pressoché diventato lo schiavodella moglie. Il cugino fu accettato con rassegnazione enulla più. Se mastro Coquenard fosse stato ancora nellapienezza delle proprie forze, avrebbe certamente declinatoqualsiasi parentela con Porthos. "Proprio così, signore,siamo cugini" disse senza sconcertarsi Porthos, il quale,d'altronde, non aveva mai pensato di poter essere accoltocon entusiasmo dal marito. "Per parte di donne, credo?"disse maliziosamente il procuratore. Porthos, che nonavvertì l'ironia, la prese per un'ingenuità di cui rise sotto igrossi baffi. La signora Coquenard invece sorriselievemente e arrossì molto perché sapeva che l'ingenuitànon era merce da procuratori. Dal momento in cui ilmoschettiere era entrato in casa, mastro Coquenard

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guardava con inquietudine un grande armadio posto difronte alla sua scrivania di quercia. Porthos capì chequell'armadio, sebbene non corrispondesse come forma aquello che aveva visto nei suoi sogni, doveva essere labeata cassaforte e si rallegrò del fatto che la realtà fosse disei piedi più alta del sogno. Mastro Coquenard non spinsepiù innanzi le sue investigazioni genealogiche, ma,riportando il suo sguardo inquieto dall'armadio a Porthos,si accontentò di dire: "Il nostro signor cugino, prima dipartire per la guerra, ci farà la grazia di pranzare una voltacon noi, non è vero, signora Coquenard?" Questa volta,Porthos ricevette il colpo in pieno stomaco e lo sentì;sembrò che neppure la signora Coquenard fosseinsensibile a esso, perché soggiunse: "Se lo tratteremomale, mio cugino non tornerà più; ma nel caso contrarioegli ha troppo poco tempo da trascorrere a Parigi, quindida intrattenersi con noi, perché non gli si debba chiederedi dedicarci quasi tutti gli istanti di cui può disporre, sinoalla sua partenza." "Oh, le mie gambe! le mie poveregambe!" mormorò Coquenard cercando di sorridere.Porthos fu molto riconoscente alla procuratrice di questosoccorso arrivato nel momento in cui egli si vedevaminacciato nelle sue speranze gastronomiche. Ben prestogiunse l'ora di sedersi a tavola. Si passò nella sala dapranzo, una grande camera nera che era proprio di frontealla cucina. Gli scrivani che, a quanto pare, avevano sentitoodori insoliti in quella casa, erano stati di un'esattezzamilitare e tenevano in mano i loro sgabelli, pronti a sedersi.Si vedevano le loro mascelle muoversi in anticipo con

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disposizioni spaventevoli. "Perdinci!" pensò Porthosgettando uno sguardo sui tre affamati, poichél'apprendista, come si può immaginare, non era ammessoagli onori della tavola padronale "perdinci, al posto di miocugino, licenzierei questi ghiottoni. Si direbbero deinaufraghi che non abbiano mangiato da sei settimane."Mastro Coquenard entrò sulla sua poltrona a rotelle spintadalla signora Coquenard, alla quale Porthos venne in aiutoper spingere il vecchio fino alla tavola. Appena entrato, eglimosse il naso e le mascelle come i suoi scrivani. "Oh, oh!"disse. "Ecco una minestra promettente." "Ma che diavolosentono di straordinario in questa minestra?" si dissePorthos vedendo un brodo pallido, abbondante, maperfettamente cieco e sul quale navigavano alcune crostedi pane rare come le isole di un arcipelago. La signoraCoquenard sorrise, fece un cenno e tutti sedettero conpremura. Mastro Coquenard fu il primo a essere servito,poi fu servito Porthos, indi la signora Coquenard riempì lapropria scodella e distribuì le croste, senza brodo, agliscrivani impazienti. In quel momento la porta della sala dapranzo si aprì da sola e Porthos vide nell'apertural'apprendista che, non potendo prender parte al festino,mangiava il proprio pane al doppio odore della cucina edella sala da pranzo. Dopo la minestra la domestica portòun pollo lesso, ghiottoneria eccezionale che fece sbarraregli occhi ai convitati. "Si vede che amate molto la vostrafamiglia, signora Coquenard" disse il procuratore con unsorriso quasi tragico '"questa è certo una galanteria chefate a vostro cugino!" Il povero pollo era magro e rivestito

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d'una di quelle grosse pelli che le ossa non riescono mai abucare nonostante tutti i loro sforzi; è probabile che fossestato necessario cercarlo lungamente prima di trovarlo nelpollaio dove si era ritirato per morire di vecchiaia."Diavolo! " pensò Porthos "ecco una cosa triste. Io rispettola vecchiaia ma non l'apprezzo né lessata né arrostita." Esi guardò intorno per vedere se gli altri fossero del suoparere; invece vide soltanto degli occhi fiammeggianti chedivoravano in anticipo quel pollo sublime, oggetto del suodisprezzo. La signora Coquenard tirò a sé il piatto, staccòcon destrezza le due grandi zampe nere, che mise nelpiatto di suo marito, tagliò il collo che pose da parte per sécon la testa, dette un'ala a Porthos e riconsegnò il pollo alladomestica che lo aveva portato, cosicché esso tornò quasiintatto in cucina e disparve prima che il moschettiereavesse il tempo di esaminare i cambiamenti che ladelusione provoca nei visi umani, a seconda dei varitemperamenti di coloro che restano delusi. Fu portato insua vece un enorme piatto di fave nel quale alcune ossa dimontone, che di primo acchito si sarebbero potute credereguarnite di carne, facevano bella mostra di sé. Ma gliscrivani non si lasciarono ingannare da questa apparenza,e i visi, da lunghi che erano, si fecero rassegnati. Lasignora Coquenard distribuì questa pietanza ai giovanotticon una moderazione degna di una buona massaia. Eragiunto il momento del vino. Mastro Coquenard versò dauna bottiglia di terra molto piccola il terzo di un bicchiere aciascuno dei suoi impiegati, si servì egli stesso in misuraquasi eguale, dopo di che la bottiglia passò

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immediatamente dalla parte di Porthos e della signoraCoquenard. Gli scrivani riempivano d'acqua il bicchiereche conteneva quel poco vino, poi, quando avevano bevutola metà del liquido contenuto nel bicchiere, lo riempivanoancora, e continuavano così; il che li conduceva a bere allafine del pranzo una bevanda che, dal colore del rubino, erapassata a quello del topazio bruciato. Porthos mangiòtimidamente la sua ala di pollo e fremette allorché sentìsotto la tavola il ginocchio della procuratrice che veniva aincontrare il suo. Bevette anche mezzo bicchiere di quelvino tanto parsimoniosamente elargito, nel quale riconobbeun certo perfido vinello di Montreuil, terrore degli intenditori.Mastro Coquenard lo guardò bere quel vino pretto esospirò. "Vorreste un poco di fave, cugino Porthos?"chiese la signora Coquenard con quel tono che vuol dire:"Credete a me, non mangiatene". "Fossi matto!" mormoròPorthos. E aggiunse ad alta voce: a Grazie, cugina; non hopiù fame". Tutti tacquero. Porthos non sapeva checontegno assumere. Il procuratore ripeté più volte: "Ah,signora Coquenard! Mi rallegro con voi, questo non è statoun pranzo, ma un vero festino. Quanto ho mangiato!"Mastro Coquenard aveva mangiato la minestra, le zampenere del pollo e il solo osso di montone sul quale fosseancora un'ombra di carne. Porthos temette che volesseroburlarsi di lui e cominciò a rialzare fieramente i baffi e adaggrottare le sopracciglia; ma il ginocchio della signoraCoquenard venne piano piano a consigliargli la pazienza.Quel silenzio e l'interruzione del servizio, inintelligibili perPorthos, avevano invece un significato terribile per gli

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scrivani; a un occhiata del procuratore, accompagnata daun sorriso della signora Coquenard, si levarono da tavolalentamente, piegarono i loro tovaglioli più lentamenteancora, poi salutarono e uscirono. "Andate, giovanotti,andate a digerire lavorando" disse gravemente ilprocuratore. Appena usciti gli scrivani, la signoraCoquenard si alzò, trasse da una credenza un pezzo diformaggio, della marmellata di mele cotogne e un dolce dimandorle e miele fatto con le sue mani. Mastro Coquenardcorrugò le sopracciglia perché vedeva troppe cose damangiare; Porthos si morse le labbra perché si accorseche non c'era di che sfamarsi. Guardò se ci fosse ancora ilpiatto di fave, ma anche le fave erano sparite."Decisamente questo è un banchetto" esclamò mastroCoquenard agitandosi sulla poltrona. "Un vero festino,'epuloe epularum'; Lucullo pranza da Lucullo." Porthosguardò la bottiglia che aveva vicino e sperò di saziare lasua fame con pane, vino e formaggio; ma il vino mancava,la bottiglia era vuota e il signore e la signora Coquenardnon ebbero l'aria di accorgersene. "Va bene" pensò ilmoschettiere "eccomi avvisato." Passò la lingua su uncucchiaio di marmellata e s'invischiò i denti nella pastaattaccaticcia della signora Coquenard. "Ora" si disse "ilsacrificio è consumato. Ah! se non avessi la speranza didare un'occhiata insieme con la signora Coquenardnell'armadio di suo marito!" Mastro Coquenard, dopo ledelizie di un simile pasto, che considerava alla stregua diuno stravizio, sentì la necessità di fare la siesta. Porthossperava che la cosa avrebbe avuto luogo seduta stante e

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in quello stesso luogo; ma quel maledetto procuratore nonne volle sapere, pretese di esser condotto in camera sua egridò finché non fu collocato dirimpetto al suo armadio,contro la base del quale, per colmo di precauzione,appoggiò i piedi. La procuratrice condusse Porthos in unacamera vicina e cominciò a porre le basi dellariconciliazione. "Da oggi in poi potrete venire a pranzo danoi tre volte per settimana" disse la signora Coquenard."Grazie" disse Porthos "non voglio abusare della vostracortesia; e d'altra parte debbo anche pensare al mioequipaggiamento." "E' vero" disse la procuratricelamentosamente. "C'è anche quel maledettoequipaggiamento." "Ahimè, sì" disse Porthos. "C'èanch'esso." "Ma di che cosa è compostol'equipaggiamento del vostro corpo, signor Porthos?" "Oh,di molte cose" disse Porthos "i moschettieri, come sapete,sono soldati scelti e hanno bisogno d'una quantità dioggetti che non sono necessari né alle guardie, né aglisvizzeri." "Entrate nei particolari." "Ma il tutto puòammontare a…" disse Porthos che preferiva discutere iltotale che i vari capi. La procuratrice attendeva fremente."A quanto?" domandò. "Spero che non sorpasserà le…" Equi si arrestò perché il fiato le venne a mancare. "Oh, no,non sorpasserà le duemila cinquecento lire" finì Porthos"credo anzi che con un po' d'economia riuscirò acavarmela con duemila!" "Dio mio! Duemila lire!" esclamòla donna. "Ma è un capitale!" Porthos fece una smorfiamolto espressiva, la signora Coquenard la capì. "Iochiedevo i particolari" disse "perché avendo molti parenti e

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molte conoscenze in commercio, ero quasi certa diottenere le cose per metà di quanto le paghereste voi.""Ah, ah!" fece Porthos. "Se volevate dir questo…" "Sì, carosignor Porthos. Dunque, prima di tutto vi occorrerà uncavallo?" "Sicuro, un cavallo." "Ebbene, ho ciò che fa alcaso vostro." "Ah" esclamò Porthos raggiante "eccocidunque a posto col cavallo; mi occorrono poi tutte lebardature complete che si compongono di oggetti chesoltanto un moschettiere può comprare, ma che noncosteranno più di trecento lire." "Bene, diciamo trecentolire" sospirò la procuratrice. Porthos sorrise; il lettorericorderà che aveva la sella ricevuta in dono daBuckingham, erano dunque trecento lire che contava dimettere abilmente nelle proprie tasche. "Poi" continuò"occorre un cavallo per il mio servitore e una valigia; inquanto alle armi non ve ne preoccupate, le ho già." "Uncavallo per il vostro servitore?" riprese con qualcheesitazione la procuratrice "ma volete farla da gran signore,amico mio." "Ma… signora" disse fieramente Porthos"sono forse un villano?" "No, dicevo soltanto che un belmuletto vale quanto un cavallo e pensavo che procurandoviun bel muletto per Mousqueton…" "E vada per un belmuletto!" esclamò Porthos. "Avete ragione. Ho visto deigran signori spagnoli che viaggiavano con un ricco seguitodi servi tutti montati su muli. Però voi capite, signoraCoquenard, è necessario che il mulo sia benimpennacchiato e con molti sonagli." "Quanto a questostate tranquillo" disse la procuratrice. "Rimane la miavaligia" riprese Porthos. "Oh, di questo non

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preoccupatevi!" esclamò la signora Coquenard. "Miomarito ha cinque o sei valige e sceglierò la migliore; ce n'èuna ch'egli preferiva nei suoi viaggi, e che è così grande dacontenere il mondo intiero." "E dunque vuota questavaligia?" chiese ingenuamente Porthos. "Certamente"rispose la signora con altrettanta ingenuità. "Ah, ma la miavaligia deve essere una valigia ben fornita, mia cara!" Lasignora Coquenard sospirò di nuovo. Molière non avevaancora scritto la sua famosa scena dell'Avaro; la signoraCoquenard ha dunque la precedenza su Arpagone. Ancheil resto dell'equipaggiamento fu discusso nello stessomodo; e il risultato della scena fu che la procuratriceavrebbe chiesto un prestito di ottocento lire in denaroliquido a suo marito e fornito il cavallo e il mulo cheavrebbero avuto l'onore di portare Porthos e Mousquetonalla gloria. Stabilite queste condizioni, fissati gli interessi el'epoca del rimborso, Porthos si congedò dalla signoraCoquenard. Questa avrebbe voluto trattenerlo facendogligli occhi dolci; ma Porthos mise innanzi le esigenze delservizio, e la procuratrice dovette rassegnarsi a cedere ilpasso al Re. Il moschettiere rincasò con una fame da lupoe di pessimo umore.

Capitolo 33 CAMERIERA E PADRONA

Intanto, come abbiamo detto, nonostante i saggi consigli diAthos e i suoi rimorsi, d'Artagnan s'innamorava sempre più

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di Milady, tanto che non trascurava di andare ogni giorno afarle una corte alla quale l'avventuroso Guascone eraconvinto che, prima o poi, essa avrebbe finito percorrispondere. Una sera che si recava spensieratamenteda lei, felice come colui che aspetta una pioggia d'oro, egliincontrò sotto la porta carraia la cameriera; ma questavolta la bella Ketty non si accontentò di sorriderglipassando, ma lo prese gentilmente per la mano. "Bene!"pensò d'Artagnan "è incaricata di qualche ambasciata perme da parte della sua padrona; certo mi darà qualcheappuntamento che non ha osato darmi ella stessa." Eguardò la bella figliuola con aria da conquistatore. "Vorreidirvi due parole, signor cavaliere…" balbettò la cameriera."Parla, ragazza mia" disse d'Artagnan "parla, ti ascolto.""Qui è impossibile perché quanto debbo dirvi è troppolungo e soprattutto troppo segreto." "E come si può fareallora?" "Se il signor cavaliere volesse seguirmi" dissetimidamente Ketty. "Dove vorrai, mia bella ragazza.""Allora venite." E Ketty, che non aveva lasciato la mano did'Artagnan, lo trascinò su per una piccola scala buia chegirava, e dopo avergli fatto salire una quindicina di gradini,aprì una porta. "Entrate, signor cavaliere" disse "quisaremo soli e potremo parlare." "Ma di chi è questacamera, bella figliuola?" domandò d'Artagnan. "E' la mia,signore, e comunica per mezzo di questa porta con quelladella mia padrona. Ma state tranquillo, ella non potrà udireciò che diremo perché non si corica mai prima dimezzanotte." D'Artagnan gettò un'occhiata intorno a sé. Lastanzetta era deliziosa per il gusto e la pulizia; però, senza

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che lo volesse, i suoi occhi si fissarono su quella porta che,secondo quanto aveva detto Ketty, conduceva alla cameradi Milady. Ketty indovinò ciò che passava nella mente delgiovanotto, e sospirò. "Voi amate dunque molto la miapadrona, signor cavaliere?" domandò. "Più di quantopossa dire! Ne sono pazzo!" Ketty sospirò ancora. "Ahimè,signore" disse "è un vero peccato." "Che diavolo ci vedi dimale?" domandò d'Artagnan. "Gli è che, signore" ripreseKetty "la mia padrona non vi ama minimamente." "Ah!"fece d'Artagnan. "Ti ha forse incaricato di dirmelo?" "Oh,no, signore: sono io che, mossa dall'interesse che vi porto,ho preso la risoluzione di avvertirvi." "Grazie, mia buonaKetty, ma dell'intenzione solamente, perché la tuaconfidenza, ne converrai, non può essermi gradita." "Valea dire che voi non credete forse a quanto vi dico?" "Si fasempre una certa fatica a credere a questo genere dicose, non foss'altro che per amor proprio." "Dunque non micredete?" "Confesso che finché non ti degnerai di darmiqualche prova di quanto affermi…" "Che cosa dite diquesto?" Ketty levò dal seno un bigliettino. "Per me?"chiese d'Artagnan impadronendosene subito. "No, è per unaltro." "Per un altro?" "Sì." "Il suo nome! Il suo nome!"esclamò d'Artagnan. "Leggete l'indirizzo." "Il signor contedi Wardes!" Il ricordo della scena di Saint-Germain sipresentò immediatamente al pensiero del presuntuosoGuascone che, con mossa rapida come un lampo, strappòla busta senza preoccuparsi del grido di Ketty spaventatadi quanto egli faceva. "Dio mio!" esclamò. "Che avetefatto, signor cavaliere?" "Io? nulla" disse d'Artagnan e

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lesse. "Non avete risposto al mio primo biglietto; sietedunque malato o avete dimenticato con che occhi miguardavate al ballo del conte di Guisa? Eccovi l'occasione,conte! Non lasciatevela sfuggire!" D'Artagnan impallidì; ilsuo amor proprio ferito gli faceva credere di soffrire peramore. "Povero caro signor d'Artagnan!" disse Ketty conuna voce piena di compassione stringendogli nuovamentele mani. "Tu mi compiangi, buona creatura!" dissed'Artagnan. "Oh, sì! con tutto il cuore! perché so che cosa èl'amore!" "Tu sai che cos'è l'amore?" disse d'Artagnanguardandola per la prima volta con una certa attenzione."Ahimè, sì." "Ebbene, invece di compiangermi, farestimeglio ad aiutarmi a vendicarmi della tua padrona." "E chegenere di vendetta vorreste prendervi?" "Quella di trionfaredi lei, di soppiantare il mio rivale." "Non vi aiuterò mai perquesto, signor cavaliere" disse Ketty impetuosamente. "Eperché?" domandò d'Artagnan. "Per due ragioni." "Quali?""La prima è che la mia padrona non vi amerà mai." "E chene sai tu?" "Voi l'avete ferita al cuore." "Io? E come possoaverla ferita, io che da quando la conosco vivo ai suoi piedicome uno schiavo? Se lo sai, dimmelo, te ne scongiuro.""Non confesserò mai ciò se non all'uomo… che sapràleggermi in fondo al cuore." D'Artagnan guardò Ketty per laseconda volta. La giovane era così fresca e bella che molteduchesse avrebbero dato loro corona per assomigliarle."Ketty" disse "io saprò leggere nel tuo cuore, se lo vorrai."E le diede un bacio per il quale la povera figliuola diventòrossa come una ciliegia. "Oh, no! Voi non mi amate!"esclamò Ketty. "Voi amate la mia padrona, me lo avete

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detto poco fa." "Ed è questo che ti impedisce di dirmi laseconda ragione?" "La seconda ragione, signor cavaliere"rispose Ketty resa ardita prima dal bacio, poidall'espressione degli occhi del giovanotto "è che in amoreciascuno pensa a sé." Allora solamente d'Artagnan siricordò le occhiate languide di Ketty, gli incontri inanticamera, sulle scale, nel corridoio, lo sfiorarsi delle maniogni volta che la incontrava, i sospiri soffocati; ma,assorbito dal desiderio di piacere alla grande dama, egliaveva trascurato la servetta; chi caccia l'aquila non puòpreoccuparsi del passero. Questa volta il nostro Guasconevide con un solo colpo d'occhio quale partito potesse trarredall'amore che Ketty gli aveva allora allora confessato inmodo così ingenuo e sfrontato; intercettazione delle lettereindirizzate al conte di Wardes, presenza di un'informatricenella piazzaforte, ingresso a tutte le ore nella camera diKetty che era contigua a quella della padrona. Il perfido,come si vede, sacrificava già mentalmente la poverafigliuola pur di avere Milady per amore o per forza."Ebbene" disse alla ragazza "mia cara Ketty, vuoi unaprova del mio amore del quale dubiti?" "Di quale amore?"domandò la servetta. "Di quello che sono pronto a provareper te." "Qual è la prova che mi offrite?" "Vuoi che questasera passi con te il tempo che di solito passo con la tuapadrona?" "Oh! sì" esclamò Ketty battendo le mani "benvolentieri." "Ebbene, mia cara bambina" e d'Artagnansedette in una poltrona "vieni qui; voglio dirti che sei la piùbella cameriera che lo abbia mai visto." E parlò così benee con tanta foga che la poveretta, la quale non desiderava

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se non di essere convinta, gli credette… Tuttavia, congrande meraviglia di d'Artagnan, la graziosa Ketty sidifendeva con energia. Il tempo passa presto quando lo siimpiega nell'attaccare e nel difendersi. Mezzanotte suonò equasi simultaneamente si udì squillare il campanello diMilady. "Gran Dio!" esclamò Ketty. "Ecco che la padronami chiama. Andatevene via subito!" D'Artagnan si alzò eprese il cappello come se avesse l'intenzione di obbedire;poi, aprendo vivamente lo sportello di un grande armadio,invece di aprire la porta delle scale, vi si rannicchiò dentro,fra gli abiti e le vestaglie di Milady. "Che cosa fate?"esclamò Ketty. D'Artagnan, che s'era già impadronito dellachiave, si chiuse nell'armadio senza rispondere. "Ebbene!"gridò Milady con voce aspra "perché non venite quandosuono? Dormivate forse?" D'Artagnan sentì aprire conviolenza la porta di comunicazione. "Eccomi, Milady,eccomi" esclamò Ketty correndo incontro alla padrona.Tutte due rientrarono nella camera da letto e siccome laporta di comunicazione rimase aperta, d'Artagnan potéudire ancora per un po' Milady sgridare la sua cameriera;poi finalmente essa si calmò e la conversazione cadde sudi lui mentre Ketty preparava la padrona per la notte."Ebbene" disse Milady "questa sera il nostro Guasconenon si è visto." "Come, signora" disse Ketty "non è venuto?Possibile che sia volubile prima di esser felice?" "Oh, no!Conviene pensare che sia stato impegnato col signor diTréville o col signor Des Essarts. Me ne intendo, io, Ketty,lo tengo stretto quello lì." "Che ne farà la signora?" "Che nefarò!… State tranquilla, Ketty, fra me e quell'uomo c'è una

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cosa che egli ignora… poco c'è mancato che per causasua io perdessi la stima di Sua Eminenza… Oh, mivendicherò!…" "Credevo che Milady lo amasse!" "Ioamarlo? Ma io lo detesto! Uno sciocco che ha fra le manila vita di lord Winter e non lo uccide e mi fa perdere cosìtrecentomila lire di rendita." "E' vero" disse Ketty "vostrofiglio era il solo erede di suo zio e fino a che egli fossestato maggiorenne voi avreste goduto di tutta la suaricchezza." D'Artagnan fremette fino al midollo delle ossasentendo quella dolce creatura rimproverargli con quellavoce stridente che faceva tanta fatica a nascondere nellaconversazione, di non aver ucciso un uomo ch'egli avevavisto colmarla di cortesie. "Cosicché" continuò Milady "misarei già vendicata, se il Cardinale, non so perché, non miavesse raccomandato di trattarlo bene." "Sì, ma la signoranon è stata altrettanto gentile con quella donnetta ch'egliamava." "Oh! La merciaia di via dei Fossoyeurs? Ma nonha egli già dimenticato che essa esista? Bella vendetta, infede mia!" Un sudore freddo scorreva sulla fronte did'Artagnan: quella donna era dunque un mostro? Si rimisead ascoltare, per non perdere una parola di quanto essaavrebbe detto, ma per sua disgrazia la toletta era finita."Bene" disse Milady "tornate in camera vostra e domanicercate di avere una risposta alla lettera che vi ho dato.""Per il signor di Wardes?" disse Ketty. "Per lui, per il signordi Wardes." "Ecco uno" disse Ketty "per il quale hol'impressione che proviate ben altri sentimenti che non perquel povero signor d'Artagnan." "Uscite" disse Milady "icommenti non mi piacciono." D'Artagnan sentì richiudere la

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porta, poi il rumore dei catenacci che Milady facevascorrere dalla sua parte per chiudersi in camera sua.Anche Ketty, più silenziosamente che poté, diede un giro dichiave e d'Artagnan uscì allora dall'armadio. "Mio Dio! Cheavete?" chiese Ketty sottovoce. "Come siete pallido!" "Cheodiosa creatura!" mormorò d'Artagnan. "Parlate piano euscite!" disse Ketty "non c'è che un tramezzo tra la miacamera e quella di Milady, e dall'una si sente tutto ciò chesi dice nell'altra." "E' proprio per questo che non uscirò"disse d'Artagnan. "Ma come!" esclamò Ketty arrossendo."O per lo meno uscirò… più tardi." E attirò Ketty a sé; nonc'era più modo di resistere; la resistenza fa di solito moltorumore, per cui Ketty cedette. Era un impeto di vendettacontro Milady. D'Artagnan pensò che avevano ragionecoloro che dicono essere la vendetta il piacere degli dèi.Per cui, se avesse avuto un po' di cuore, egli si sarebbeaccontentato di questa nuova conquista; ma d'Artagnannon aveva che ambizione e orgoglio. Tuttavia, bisogna direa sua lode che, approfittando della propria influenza suKetty, egli cercò, per prima cosa, di sapere che cosa erasuccesso della signora Bonacieux; ma la povera ragazzagiurò sul crocifisso a d'Artagnan che non sapeva nulla dinulla, giacché la sua padrona non rivelava i propri segretiche a metà; però credeva di potere assicurarlo che essanon era morta. Quanto alla causa per la quale Milady avevacorso pericolo di perdere l'amicizia del Cardinale, Kettynon ne sapeva di più, ma questa volta d'Artagnan nesapeva più di lei: siccome aveva scorto Milady sopra unbastimento arrestato in porto nel momento in cui egli

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lasciava l'Inghilterra, immaginava che si trattasse dellaquestione dei fermagli di diamanti. Ma ciò che apparivapiù chiaro, in tutto ciò, era che il vero odio, l'odio profondo,l'odio inveterato di Milady per lui dipendeva dal fatto ch'eglinon aveva ucciso suo cognato. Il giorno dopo d'Artagnantornò da Milady e la trovò di pessimo umore, immaginò chefosse la mancata risposta del signor di Wardes a irritarlacosì. Ketty entrò, ma Milady la ricevette molto duramente.Un'occhiata che essa lanciò a d'Artagnan voleva dire:"Vedete quanto soffro per causa vostra". Però, verso lafine della serata, la bella leonessa si addolcì, ascoltòsorridendo le dolci parole di d'Artagnan e gli diede persinola mano da baciare. Quando il giovanotto uscì non sapevapiù che pensare; ma siccome era un ragazzo al quale nonsi faceva tanto facilmente perdere la testa, mentre facevala corte a Milady, aveva già architettato un suo piccolopiano. Trovò Ketty alla porta e come la sera prima salì incamera sua per aver notizie. Ketty era stata moltomaltrattata, la sua padrona l'aveva accusata ditrascuratezza. Essa non sapeva spiegarsi il silenzio delsignor di Wardes e le aveva ordinato di svegliarla alle noveper ricevere una terza lettera. D'Artagnan le fecepromettere di portare a lui quella lettera la mattinaseguente; la povera ragazza promise tutto ci che volle ilsuo amante: era pazza. Le cose si svolsero come la seraprima; d'Artagnan si chiuse nell'armadio. Milady chiamò,fece toletta, licenziò Ketty e richiuse la porta; come il giornoprima, d'Artagnan ritornò a casa alle cinque del mattino.Alle undici arrivò Ketty col nuovo biglietto di Milady; questa

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volta, la povera ragazza non tentò neppure di negarlo ad'Artagnan; lo lasciò fare; essa apparteneva anima e corpoal suo bel soldato. D'Artagnan aprì la lettera e lesse quelche segue: "Ecco la terza volta che vi scrivo per dirvi che viamo. State attento che non vi scriva una quarta per dirviche vi odio. Se siete pentito del modo con cui avete agitocon me, la ragazza che vi consegnerà il presente bigliettovi dirà come un uomo galante possa ottenere d'essereperdonato." D'Artagnan mentre leggeva, arrossì e impallidìpiù volte. "Oh! voi l'amate sempre!" disse Ketty che nonaveva staccato neppure per un momento gli occhi dal visodel giovanotto. "No, Ketty, ti sbagli, non l'amo più ma vogliovendicarmi del suo disprezzo." "Conosco la vostravendetta, me ne avete parlato già." "Che te ne importa,Ketty! Sai pure che amo soltanto te! "Come si può sapereuna cosa simile?" "Dal disprezzo che le infliggerò." Kettysospirò. D'Artagnan prese una penna e scrisse: "Signora,fino a questo momento ero in dubbio che i vostri duebiglietti fossero indirizzati proprio a me tanto mi credevoindegno di un simile onore; d'altronde, ero così malato chein ogni caso avrei esitato a rispondervi. Ma oggi debboproprio credere alla vostra immensa bontà, poiché nonsolo la vostra lettera ma anche la vostra cameriera miaffermano che ho la fortuna di essere amato da voi. Essanon ha bisogno di suggerirmi in che modo un gentiluomopossa ottenere il desiderato perdono. Verrò dunque achiedervi il mio questa sera alle undici. Tardare un sologiorno sarebbe ora ai miei occhi come farvi una nuovaoffesa. Colui che avete reso il più felice dei mortali, Conte

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di Wardes." Questa lettera era prima di tutto un falso, insecondo luogo un'indelicatezza; ed era anche, giudicandodal punto di vista delle nostre usanze moderne, un'infamia;ma a quell'epoca non si guardava tanto per il sottile.D'altronde d'Artagnan sapeva per via delle ammissionistesse di Milady che questa era colpevole di ben altritradimenti, e non aveva per lei nessuna stima. Tuttavia, adonta di questa disistima, si rendeva conto che ardeva perquella donna di una passione insensata. Una passioneebbra di disprezzo; passione o desiderio, come meglio sipreferisce. L'intenzione di d'Artagnan era semplicissima;dalla camera di Ketty egli sarebbe passato in quella dellasua padrona, avrebbe approfittato del primo momento disorpresa, di vergogna, di terrore per vincerla; forsel'impresa sarebbe fallita, ma bisognava pur fidare nel caso.Fra otto giorni la campagna sarebbe incominciata;d'Artagnan non aveva quindi il tempo di filare il perfettoamore. "A te" disse il giovanotto consegnando a Ketty lalettera già sigillata "porta questo biglietto a Milady; è larisposta del signor di Wardes." La povera Ketty divennepallida come una morta, ella immaginava che cosacontenesse il biglietto. "Ascolta, mia cara bambina" ledisse d'Artagnan "tu capisci che, in un modo o in un altro,questa storia deve finire; Milady può scoprire che tu haiconsegnato il primo biglietto al mio servo, invece diconsegnarlo a quello del conte; e che sono stato io adissigillare gli altri che avrebbero dovuto essere dissigillatidal signor conte di Wardes; in tal caso, Milady ti scaccerà,e tu che la conosci sai che non è donna da indietreggiare

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di fronte ad alcun genere di vendetta." "Ahimè!" esclamòKetty "per chi mi sono esposta a tutto ciò?" "Per me, lo so,bella mia" disse il giovanotto "e te ne sonoriconoscentissimo, te lo giuro." "Ma, infine, che cosacontiene questo biglietto?" "Te lo dirà Milady." "Ah, voi nonmi amate!" esclamò Ketty. "Come sono disgraziata!" Aquesto rimprovero c'è una risposta che inganna tutte ledonne, e d'Artagnan fece in modo che Ketty rimanesse nelpiù grande inganno. Tuttavia, ella pianse molto prima didecidersi a consegnare la lettera a Milady; alla fine però sidecise; era tutto ciò che voleva il Guascone. D'altronde,egli le promise che sarebbe restato poco con la suapadrona e che, uscendo dalla camera di Milady, sarebbeandato da lei. Questa promessa finì di consolare la poveraKetty.

Capitolo 34 DOVE SI PARLA DELL'EQUIPAGGIAMENTODI ARAMIS E DI PORTHOS

Dacché i quattro amici erano, ciascuno per suo conto, allacaccia degli equipaggiamenti, si trovavano insiemeraramente. Pranzavano gli uni senza gli altri, dove sitrovavano o meglio dove potevano. Anche il serviziooccupava buona parte di quel tempo prezioso che sfuggivacosì rapido. Però avevano fissato di trovarsi una volta persettimana, verso l'una, in casa di Athos, poichéquest'ultimo, secondo il giuramento che aveva fatto, non

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varcava più la soglia di strada. Il giorno in cui Ketty eraandato da d'Artagnan, era appunto giorno di riunione. Nonappena Ketty se ne fu andata, d'Artagnan si diresse versovia Féroux. Trovò Athos e Aramis che filosofeggiavano.Aramis aveva qualche velleità di tornare alla tonaca. Athos,secondo il suo solito, non lo incoraggiava né tentava didissuaderlo. Athos sosteneva che bisognava lasciare adognuno il suo libero arbitrio. Egli non dava consigli se nonne era richiesto; ed era necessario, assai spesso,chiederglieli due volte. "Generalmente" diceva "non sichiedono consigli che per non seguirli, o, dopo averliseguiti, per avere qualcuno al quale si possa rimproveraredi averli dati." Porthos arrivò subito dopo d'Artagnan. Iquattro amici si trovavano dunque riuniti. I loro quattro visiesprimevano quattro sentimenti diversi: quello di Porthos latranquillità, quello di d'Artagnan la speranza, quello diAramis l'inquietudine e quello di Athos l'indifferenza. Dopopoche frasi dalle quali Porthos lasciò capire che unapersona altolocata aveva voluto trarlo d'imbarazzo, entròMousqueton. Egli veniva a pregare Porthos di tornare acasa, dove, diceva con aria molto addolorata, la suapresenza era necessaria. "Sono arrivati i mieiequipaggiamenti?" domandò Porthos. "Sì e no" risposeMousqueton. "Ma insomma, che cosa vuoi dire?" "Venite,signore." Porthos si alzò, salutò gli amici e seguìMousqueton. Un istante dopo comparve sulla soglia Bazin."Che cosa volete, amico mio?" chiese Aramis con quelladolcezza che si notava in lui ogniqualvolta le sue idee loriconducevano verso la Chiesa… "Un uomo aspetta il

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signore a casa" rispose Bazin. "Un uomo? Che uomo?""Un mendicante." "Fategli l'elemosina e ditegli di pregareper me povero peccatore." "Ma quel mendicante vuoleparlarvi a qualunque costo e pretende anzi che saretemolto contento di vederlo." "Non ha detto nulla di speciale,per me?" "Ha detto queste precise parole: se il signorAramis esitasse a venire da me, ditegli che arrivo daTours." "Da Tours?" esclamò Aramis. "Signori, mille scuse,ma senza dubbio quest'uomo mi porta delle notizie cheattendevo." E, alzandosi di scatto, se ne andò in fretta.Restarono Athos e d'Artagnan. "Credo che entrambiabbiano trovato ciò che cercavano. Che ne pensate,d'Artagnan?" disse Athos. "So che Porthos era a buonpunto" rispose d'Artagnan "e in quanto ad Aramis, per verodire, non sono mai stato veramente inquieto per lui; ma voi,mio caro Athos, voi che avete con tanta generositàdistribuito le pistole dell'Inglese, che vi appartenevanolegittimamente, che cosa farete?" "Sono contentissimo diaver ucciso quello sciocco, ragazzo mio, perché è unabenedizione uccidere un Inglese; ma se avessi intascato ilsuo denaro, esso mi peserebbe come un rimorso." "Evvia,mio caro Athos, voi avete delle idee veramenteinconcepibili." "Lasciamo stare, lasciamo stare. Chediamine mi diceva ieri il signor di Tréville che mi ha fattol'onore di venire a trovarmi? che voi frequentate quegliInglesi sospetti, protetti dal Cardinale." "Vale a dire chefaccio visita a un'Inglese, quella di cui vi ho parlato." "Ah, sì,la donna bionda a proposito della quale vi detti qualcheconsiglio che naturalmente vi siete ben guardato di

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seguire." "Ve ne dissi la ragione." "Sì, speravate diguadagnare il vostro equipaggiamento, mi diceste." "No,non è questo. Ma ho acquistata la certezza che quelladonna entra per qualche cosa nella scomparsa dellasignora Bonacieux." "Capisco, per ritrovare una donna voifate la corte a un'altra; è la strada più lunga, ma la piùdivertente." D'Artagnan fu sul punto di raccontare tuttoall'amico; ma una cosa lo trattenne: Athos era ungentiluomo assai severo sulle questioni d'onore; e neiprogetti che d'Artagnan aveva escogitato a proposito diMilady, c'erano certi elementi che non avrebberocertamente ottenuto l'approvazione di quel puritano; ilGuascone preferì dunque tacere e siccome Athos eral'uomo meno curioso della terra, le confidenze did'Artagnan non ebbero seguito. Noi lasciamo dunque i dueamici, che non avevano da dirsi nulla di molto importante,per seguire Aramis. Alla notizia che l'uomo che volevaparlargli giungeva da Tours, abbiamo visto con qualerapidità il giovanotto avesse seguito, anzi preceduto,Bazin; egli non fece che un salto dalla via Féroux alla viaVaugirard. Entrando in casa trovò infatti un uomo di piccolastatura, dagli occhi intelligenti, ma vestito di stracci. "Sietevoi che volete parlarmi?" chiese il moschettiere. "Io hochiesto del signor Aramis. Siete voi, signore, che vichiamate così?" "Proprio io. Dovete darmi qualche cosa?""Sì, se mi farete vedere un certo fazzoletto ricamato.""Eccolo" disse Aramis levando una chiave dal seno eaprendo un piccolo cofanetto d'ebano incrostato dimadreperla "eccolo, guardate." "Va bene" disse il

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mendicante "mandate via il vostro servitore." Bazin che eracurioso di sapere che cosa volesse dal suo padrone quelmendicante, aveva regolato il proprio passo su quello di lui,ed era arrivato quasi alle sue calcagna; ma questasveltezza non gli servì a nulla; all'invito del mendicante, ilsuo padrone gli fece cenno di ritirarsi ed egli dovetteubbidire. Allora il mendicante si guardò intornorapidamente per essere ben certo che nessuno potesse névederli né udirli, e aprendo il suo vestito sbrindellato chiusomalamente con una cintura di cuoio, cominciò a scucire laparte superiore del suo farsetto e ne trasse una lettera.Aramis riconoscendo il sigillo gettò un grido di gioia, baciòla scrittura, e, con un rispetto quasi religioso, aprì la letterache conteneva quanto segue: "Amico, il destino vuole chestiamo separati ancora per qualche tempo, ma i bei giornidella giovinezza non sono inesorabilmente perduti. Fate ilvostro dovere al capo; io faccio il mio in altro modo.Prendete ciò che vi consegnerà il latore; fate la guerra dabuono e bel gentiluomo, e pensate a me che bacioteneramente i vostri begli occhi neri. Addio, o meglioarrivederci!" Il mendicante seguitò a scucire il farsetto e neestrasse a una a una centocinquanta doppie pistole diSpagna che allineò sulla tavola; poi aprì la porta, salutò epartì prima che il giovane, stupefatto, avesse osatoindirizzargli la parola. Aramis allora rilesse la lettera e siaccorse che c'era anche un post-scriptum. "P.S. -Accogliete bene il latore che è conte e grande di Spagna.""Sogni dorati!" esclamò Aramis. "Oh che bella vita sarà lanostra! Siamo giovani, e ci aspettano ancora giorni felici!

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Oh, il mio sangue, la mia vita per te, amore mio! Tutto, tuttoper te, mia bella amante!" E baciava con passione lalettera senza neppure guardare l'oro che scintillava sullatavola. Bazin bussò alla porta; Aramis non aveva piùragione di tenerlo lontano e gli permise di entrare.Vedendo tutto quell'oro, Bazin restò stupefatto e dimenticòdi annunciare d'Artagnan che, curioso di sapere chi fossequel mendicante, appena lasciato Athos, era corso daAramis. Ora, siccome d'Artagnan non faceva complimenticon Aramis, vedendo che Bazin dimenticava diannunciarlo, si annunciò da sé. "Ah, diavolo, mio caroAramis" disse d'Artagnan "se sono queste le prugne che vimandano da Tours, fate i miei complimenti al giardiniereche le ha raccolte." "V'ingannate, mio caro" disse Aramissempre discreto "è il libraio che mi invia il prezzo di quelpoema in versi di una sillaba che avevo cominciato laggiù.""Davvero!" disse d'Artagnan. "Ebbene, il vostro libraio ègeneroso, caro Aramis, ecco ciò che debbo dirvi." "Come,signore" esclamò Bazin "si vende così caro un poema? E'incredibile! Oh, signore, voi fate tutto quello che volete, voipotrete diventare l'eguale del signor di Voiture o del signordi Benserade. Ciò mi piace molto. Un poeta è quasi unabate. Ah! signor Aramis, fatevi dunque poeta, ve neprego." "Bazin, amico mio" disse Aramis "mi pare che vipermettiate di mischiarvi alla conversazione." Bazin capìd'aver torto, abbassò il capo e uscì. "Ah!" disse d'Artagnancon un sorriso "voi vendete le vostre produzioni a pesod'oro. Siete ben fortunato, amico mio! Ma state attento,perderete quella lettera che esce dalla vostra casacca e

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che è senza dubbio anch'essa del vostro libraio." Aramisarrossì, affondò la lettera in tasca e si abbottonò lacasacca. "Mio caro d'Artagnan" disse "se non vi dispiace,potremmo andare dai nostri amici; e poiché sono ricco,oggi, ricominceremo a pranzare insieme, attendendo che avostra volta anche voi diventiate ricchi." "Con granpiacere!" esclamò d'Artagnan. E' un pezzo che nonfacciamo un pranzo decente; e siccome ho in vista perquesta sera una spedizione un po' arrischiata non mispiacerà, lo confesso, di montarmi un poco la testa conqualche bottiglia di vecchio borgogna." "Vada per ilvecchio borgogna! Neppur io lo detesto" disse Aramis nelquale la vista dell'oro aveva dissipata ogni idea di rinuncia.E, messe in tasca tre o quattro doppie pistole per far frontealle spese del momento, chiuse le altre nel cofano di ebanoincrostato di madreperla ove si trovava il famoso fazzolettoche gli era servito da talismano. I due amici si recaronoprima da Athos che, fedele al giuramento di non uscire, siincaricò di far portare il pranzo in casa sua e poichés'intendeva assai bene di particolari gastronomici,d'Artagnan e Aramis non fecero difficoltà ad affidargli lacura di questa importante faccenda. Erano in strada perrecarsi da Porthos, quando, all'angolo di via del Bac,incontrarono Mousqueton che con aria triste spingevadavanti a sé un mulo e un cavallo. D'Artagnan gettò ungrido di sorpresa al quale non era estranea anche un po' digioia. "Ah! il mio cavallo giallo!" esclamò a Aramis,guardate quel cavallo." "Che orribile ronzino!" disseAramis. "Ebbene, mio caro" riprese d'Artagnan "è il cavallo

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su cui sono giunto a Parigi." "Come, il signore conoscequesto cavallo?" chiese Mousqueton. "E' d'un coloreoriginale" disse Aramis "è il solo che abbia visto di questomantello." "Lo credo bene" riprese d'Artagnan "proprio perquesto lo vendetti per tre scudi; perché la carcassa nonvale neppure diciotto lire. Ma com'è che questo cavallo è inmano tua, Mousqueton?" "Ah!" disse il domestico "non mene parlate, signore, è un tiro atroce del marito della nostraduchessa!" "Come mai, Mousqueton?" "Già, noi siamovisti di buon occhio da una signora dell'alta società, laduchessa di… chiedo scusa, il mio padrone mi haraccomandato di essere discreto: ella ci aveva costretti adaccettare un piccolo ricordo; un magnifico ginnettospagnolo e un mulo andaluso che erano una meraviglia. Ilmarito lo ha saputo, ha confiscato al passaggio i duemagnifici animali che ci erano destinati, e li ha sostituiti conqueste due orribili brenne." "E tu glieli riporti?" dissed'Artagnan. "Proprio così!" rispose Mousqueton. "Capireteche non possiamo accettare simili cavalcature in cambio diquelle che ci erano state promesse." "No, perbacco! Etuttavia mi sarebbe piaciuto veder Porthos a cavallo delmio Bocciol d'Oro; mi sarei fatto un'idea della figura chefacevo quando arrivai a Parigi. Ma non vogliamo piùtrattenerti, Mousqueton; vai a fare la commissione del tuopadrone; è in casa?" "Sì, signore" disse Mousqueton "maè di pessimo umore, potete credermi." Ed egli continuò lasua strada verso la riva dei Grands-Augustins, mentre i dueamici andavano a suonare alla porta del disgraziatoPorthos. Questi, avendoli visti attraverso il cortile, si guardò

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bene dall'aprire. Essi sonarono dunque inutilmente.Frattanto Mousqueton continuava la sua strada e,attraversato il Ponte Nuovo, sempre spingendo davanti asé le due carcasse, arrivò in via degli Orsi. Giunto qui,secondo gli ordini del padrone, attaccò il cavallo e il muloal battente della porta del procuratore; poi, senzapreoccuparsi della loro sorte futura, tornò da Porthos e gliannunciò che la sua commissione era stata eseguita.Dopo un po' di tempo, le due disgraziate bestie, che nonavevano mangiato dalla mattina, fecero un tale rumorealzando e lasciando ricadere il picchiotto della porta, che ilprocuratore ordinò al suo galoppino di andare a informarsinel vicinato di chi fossero quel cavallo e quel mulo. Lasignora Coquenard riconobbe il suo dono, e sulle primenon capì il perché di questa restituzione; ma ben prestouna visita di Porthos chiarì la faccenda. L'ira che brillavanegli occhi del moschettiere nonostante gli sforzi ch'eglifaceva per contenersi, spaventò la sua sensitiva amante.Mousqueton non aveva nascosto al suo padrone di averincontrato Aramis e d'Artagnan e come quest'ultimoavesse riconosciuto nel cavallo giallo il ronzino bearnesesul quale era venuto a Parigi e che aveva venduto per trescudi. Porthos uscì dopo aver dato appuntamento allaprocuratrice nel chiostro di Saint-Magloire. Il procuratore,vedendo che Porthos se ne andava, lo invitò a pranzo,invito che il moschettiere declinò con aria piena dimaestosità. La signora Coquenard si diresse al chiostrotutta tremante giacché intuiva i rimproveri che laaspettavano; ma essa era affascinata dai modi nobili di

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Porthos. Tutte le imprecazioni e i rimproveri che un uomoferito nel suo amor proprio può rovesciare sul capo di unadonna, Porthos le lasciò cadere su quello chino dellaprocuratrice. "Ahimè" disse questa "credevo di aver fattoper il meglio! Uno dei nostri clienti, che è mercante dicavalli, doveva del denaro a mio marito e non si decidevaa pagare; allora mi feci dare il mulo ed il cavallo a saldo delsuo conto. Egli mi aveva promesso due cavalcature regali.""Ebbene, signora" disse Porthos "se vi doveva più dicinque scudi, il vostro cozzone è un ladro." "Si può cercaredi pagare le cose il meno possibile, mi pare" disse laprocuratrice cercando di scusarsi. "Certo, signora, macoloro che cercano il buonmercato, devono permettere aglialtri di cercarsi degli amici più generosi." E Porthos giròsui tacchi e fece un passo per andarsene. "Signor Porthos!Signor Porthos!" esclamò la procuratrice. "Ho torto, loriconosco; non avrei dovuto mercanteggiare quando sitrattava di equipaggiare un gran signore come voi!"Porthos, senza rispondere, fece un secondo passo perritirarsi. La procuratrice credette di vederlo in una nubescintillante, tutto circondato di duchesse e di marchese,che gli gettavano ai piedi sacchi d'oro. "Fermatevi, in nomedi Dio!" gridò "signor Porthos, fermatevi e parliamo." "Miporta disgrazia parlare con voi!" disse Porthos. "Ma ditemi,che cosa volete?" "Niente, tanto è lo stesso che se vidomandassi qualche cosa." La procuratrice si attaccò albraccio di Porthos e, nello slancio del suo dolore, esclamò:"Signor Porthos, io non m'intendo di certe cose; che voleteche sappia io di cavalli? che so io di finimenti?"

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"Bisognava lasciar fare a me, che me ne intendo; ma voiavete voluto risparmiare e, di conseguenza, prestare ausura." "E' un torto, signor Porthos, ma io lo riparerò, sullamia parola d'onore." "E come?" "Ascoltate! Questa sera, ilsignor Coquenard andrà dal duca di Chaunels che l'hamandato a chiamare. Si tratta di un consulto che dureràalmeno due ore. Venite, saremo soli, e faremo i nostriconti." "Alla buon'ora! Questo si chiama parlare, mia cara.""Mi perdonate?" "Vedremo" disse Porthosdignitosamente. E i due amanti si separarono dicendo auna voce: 'A questa sera'. "Diavolo" penso Porthos "se nonmi sbaglio, sto finalmente avvicinandomi alla cassaforte dimastro Coquenard."

Capitolo 35 DI NOTTE TUTTI I GATTI SONO BIGI

La sera attesa con tanta impazienza da Porthos e dad'Artagnan arrivò finalmente. D'Artagnan, come era solitofare, si presentò verso le nove in casa di Milady e la trovòdi un umore delizioso; ella non lo aveva mai ricevuto conpiù effusione. Il Guascone capì di primo acchito che il suobiglietto era stato consegnato e che questo biglietto facevail suo effetto. Ketty entrò e portò dei gelati; la sua padronale fece un viso grazioso e l'accolse col più radioso dei suoisorrisi; ma, ahimè, la povera figliuola era tanto triste chenon si accorse neppure della benevolenza di Milady.D'Artagnan guardava una dopo l'altra a queste due donne

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ed era costretto a confessare a se stesso che la naturaaveva sbagliato nel foggiarle; aveva dato alla gran damaun'anima venale e alla cameriera aveva assegnato il cuoredi una duchessa. Alle dieci Milady incominciò a sembrareun po' inquieta, d'Artagnan ne capì la ragione: essaguardava la pendola, Si alzava, si risedeva e sorrideva ad'Artagnan con un'aria che voleva dire: "Voi sietegentilissimo, ma lo sareste ancora di più se ve neandaste". D'Artagnan si alzò e prese il cappello; Milady glidette la mano da baciare; il giovane sentì che essastringeva la sua e non era per un sentimento di civetteria,ma perché gli era riconoscente che si fosse deciso adandarsene. "Lo ama tremendamente" mormorò. Poi uscì.Questa volta Ketty non era ad attenderlo né in anticamera,né nel corridoio né sotto il portone. D'Artagnan dovettetrovare da sé la scala e la cameretta. Ketty era seduta conla testa tra le mani e piangeva. Sentì entrare d'Artagnan manon rialzò il capo; il giovanotto le si accostò e le prese lemani; allora essa scoppiò in singhiozzi. Come d'Artagnanaveva immaginato, Milady, allorché aveva ricevuto il suobiglietto, presa da una gioia improvvisa, aveva detto tuttoalla sua cameriera poi, come ricompensa del modo concui questa volta aveva eseguito la sua commissione, leaveva regalato una borsa di denaro. Ketty, ritornata incamera sua, aveva gettato la borsa in un angolo dov'erarestata aperta tanto che aveva vomitato due o tre moneted'oro sul tappeto. La povera ragazza, alla voce did'Artagnan, alzò la testa. D'Artagnan fu quasi spaventatodall'espressione sconvolta del suo viso; essa giunse le

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mani con aria supplichevole, ma senza pronunziare unaparola. Per quanto poco sensitivo fosse il suo cuore,d'Artagnan si sentì intenerito da quel muto dolore; ma egliteneva troppo ai suoi progetti, e soprattutto a questo, percambiare qualche cosa al programma fatto in anticipo. Nonlasciò dunque a Ketty nessuna speranza circa la possibilitàdi commuoverlo, e si limitò a presentarle la sua azionecome una semplice vendetta. Questa vendetta, d'altronde,diventava tanto più facile in quanto Milady, senza dubbioper nascondere il proprio rossore al suo amante, avevaraccomandato a Ketty di spegnere tutti i lumidell'appartamento, anche quelli della sua stanza da letto.Prima di giorno il signor di Wardes avrebbe dovuto uscire,e sempre al buio. Dopo poco si sentì Milady che entravanella sua camera: d'Artagnan si slanciò nell'armadio. Vi siera appena rannicchiato quando squillò il campanello.Ketty passò nella camera della padrona, ma non lasciòaperta la porta; tuttavia il tramezzo era così sottile che sisentiva quasi tutto ciò che le due donne dicevano. Miladysembrava pazza di gioia, si faceva ripetere da Ketty iminimi particolari della supposta conversazione fra lacameriera e Wardes, come aveva ricevuto la lettera, comeaveva risposto, quale espressione aveva il suo viso, separeva molto innamorato; e a ogni domanda la poveraKetty, costretta a far buon viso a cattivo giuoco, rispondevacon voce soffocata di cui la sua padrona non notavanemmeno l'accento doloroso perché, com'è noto, non v'ènulla di più egoistico della felicità. Finalmente, poiché l'oradell'appuntamento si avvicinava, Milady fece spegnere i

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lumi e ordinò a Ketty di andare in camera sua, e di fareentrare Wardes non appena fosse venuto. L'attesa di Kettynon fu lunga. Non appena d'Artagnan si accorse,guardando dalla serratura dell'armadio, che tuttol'appartamento era al buio, uscì dal suo nascondiglio nellostesso momento in cui Ketty chiudeva la porta dicomunicazione. "Che cos'è questo rumore?" chieseMilady. "Sono io" disse sottovoce d'Artagnan "il conte diWardes." "Oh! Dio mio! Dio mio!" esclamò Ketty "non hapotuto neppure aspettare l'ora che aveva fissata eglistesso." "Ebbene" domandò Milady con voce tremante"perché non entra? Conte, conte" soggiunse "sapete beneche vi attendo." A questo richiamo d'Artagnan allontanòcon gentilezza Ketty e si slanciò nella camera di Milady. Sela rabbia e il dolore possono torturare un'anima, questa èl'anima dell'amante che riceve sotto un nome che non è ilsuo le proteste d'amore indirizzate a un rivale fortunato.D'Artagnan era in una situazione dolorosa che non avevaprevista, la gelosia gli mordeva il cuore ed egli soffrivaquasi quanto la povera Ketty che in quel momentopiangeva nella stanza vicina. "Sì, conte" diceva Milady conla sua voce più dolce stringendogli le mani con tenerezza"sì, io sono felice, perché i vostri occhi, ogni volta che cisiamo incontrati, mi dicevano che mi amate. Anche io viamo. Oh, domani, domani voglio anch'io un pegno che miprovi che voi pensate a me; e d'altronde, come potrestedimenticarmi? A voi, prendete…" E così dicendo infilò aldito di d'Artagnan un anello. D'Artagnan ricordò di avervisto quell'anello al dito di Milady; era un magnifico zaffiro

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contornato di brillanti. Il primo istinto di d'Artagnan fu quellodi restituirlo, ma Milady continuò: "No, no, conservatequest'anello per amor mio. D'altronde, accettandolo"continuò con voce commossa "voi mi fate un favore piùgrande di quanto potreste immaginare." "Questa donna èassolutamente misteriosa" mormorò fra sé d'Artagnan. E inquell'attimo si sentì tentato di dire tutta la verità. Stava peraprir bocca per confessare a Milady il suo vero nome e conquale scopo vendicativo fosse venuto lì, quand'ellaaggiunse: "Povero angelo mio, e pensare che stavi peressere ucciso da quel mostro di Guascone!" E il mostroera lui. "Oh!" continuò Milady "vi fanno ancora soffrire levostre ferite?" "Molto" disse d'Artagnan, che non sapevache rispondere. "State tranquillo" mormorò Milady "io vivendicherò e crudelmente!" "Diavolo!" si disse d'Artagnan."Il momento delle confidenze non è ancora venuto." Funecessario qualche tempo perché d'Artagnan sirinfrancasse dopo questo piccolo dialogo; ma le idee divendetta che lo avevano condotto fin lì erano svanite.Quella donna aveva su di lui un incredibile ascendente; laodiava e l'adorava insieme; non avrebbe mai potutoimmaginare che due sentimenti così dissimili potesseroabitare nello stesso cuore e, fondendosi, dar vita a unamore strano e in certo modo diabolico. Frattanto erasuonata l'una e fu necessario separarsi; nel momento dilasciare Milady, d'Artagnan non sentì che il vivo rammaricodi separarsi da lei e, nell'addio appassionato che sirivolsero reciprocamente, un nuovo incontro fu stabilito perla settimana seguente. La povera Ketty sperava di poter

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dire qualche parola a d'Artagnan quando avrebbeattraversato la sua stanza; ma Milady lo ricondusse ellastessa e lo guidò al buio fino alla scala. La mattinaseguente il Guascone corse da Athos. Era impegnato inuna così strana avventura che voleva chiedergli qualcheconsiglio; gli raccontò quindi tutto con assoluta sincerità:Athos corrugò più volte le sopracciglia. "La vostra Milady"egli disse "mi pare una creatura infame; ma voi aveteugualmente fatto male a ingannarla: ora, in un modo onell'altro, avete una terribile nemica dalla quale guardarvi."E così dicendo Athos fissava lo zaffiro contornato dibrillanti che aveva sostituito al dito di d'Artagnan l'anellodella regina, il quale era stato chiuso con cura in unoscrigno. "Guardate il mio anello?" disse il Guasconeorgoglioso di ostentare agli occhi degli amici un regalocosì splendido. "Si" mormorò Athos "mi ricorda un gioiellodi famiglia." "E' bello, non vi pare?" disse d'Artagnan."Magnifico!" rispose Athos. "Non credevo potesseroesistere due zaffiri di un'acqua così pura. L'avete dunquecambiato col vostro brillante?" "No" disse d'Artagnan "è unregalo della mia bella Inglese, o piuttosto della mia bellaFrancese; perché sebbene non glielo abbia chiesto, sonocerto che è nata in Francia." "Quest'anello ve lo ha datoMilady?" esclamò Athos con una voce nella quale era facilenotare una grande commozione. "Me lo ha messo in ditostanotte." "Fatemelo vedere" disse Athos. "Eccolo" dissed'Artagnan togliendoselo dal dito. Athos lo esaminòattentamente e impallidì, poi lo provò all'anulare della manosinistra; sembrava fatto per lui. Un lampo di collera e di

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vendetta sconvolse il suo viso di solito così calmo. "E'impossibile che sia lo stesso" disse "ma come potrebbequest'anello essere in mano di lady Clarick? Eppure non èpossibile che vi siano due anelli assolutamente uguali.""Voi conoscete quest'anello?" domandò d'Artagnan. "Miera parso di riconoscerlo" disse Athos "ma mi sbagliavocertamente." E lo rese all'amico senza tuttavia cessare difissarlo. Dopo un attimo disse a d'Artagnan: "Toglietevi unpo' quell'anello dal dito, o giratene dalla parte interna ilcastone; quell'anello risveglia in me così terribili ricordi, chenon avrei la calma necessaria per parlare con voi. Noneravate venuto per chiedermi dei consigli? Non stavatedicendomi che non sapevate bene che cosa vi convenissefare?… Ma aspettate… ridatemi quello zaffiro; quello delquale vi ho parlato deve avere una delle sfaccettaturegraffiate in seguito a un accidente." D'Artagnan ridettel'anello ad Athos e questi trasalì. "Guardate qui" disse "nonvi sembra strano?" E fece vedere a d'Artagnan lagraffiatura di cui aveva parlato poco prima. "Chi vi avevadato quello zaffiro?" chiese il Guascone. "Mia madre, allaquale lo aveva dato sua madre. Come vi ho detto, era unvecchio gioiello… che non avrebbe dovuto mai uscire dallafamiglia." "E voi… l'avete venduto?" chiese esitandod'Artagnan. "No" rispose Athos con uno strano sorriso "loregalai durante una notte d'amore, così come è statoregalato a voi." D'Artagnan restò pensoso, gli sembravache nell'animo di Milady vi fossero degli abissi cupi esconosciuti. Invece di rimettere al dito l'anello, se lo mise intasca. "Sentite" disse Athos prendendogli una mano "voi

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sapete quanto bene vi voglio, d'Artagnan; se avessi unfiglio non lo amerei più di quanto amo voi. Ebbene, datemiretta, rinunciate a quella donna. Io non la conosco, ma unaspecie di intuito mi dice che è una creatura perduta e chev'è in lei qualche cosa di fatale." "E avete ragione"convenne d'Artagnan. "Non la rivedrò più; vi confesso chequella donna spaventa anche me." "Avrete questocoraggio?" disse Athos. "L'avrò" rispose d'Artagnan "esubito." "Ebbene, ragazzo mio, farete molto bene" disse ilgentiluomo stringendo con affetto quasi paterno la manodel Guascone. "Dio voglia che questa donna che è entrataappena nella vostra vita, non vi lasci una traccia funesta." EAthos salutò d'Artagnan con un cenno del capo quasi afargli capire che non sarebbe stato spiacente di restar solocoi propri pensieri. Ritornato a casa, d'Artagnan trovò Kettyche lo aspettava. Un mese di febbre non avrebbe cambiatola povera figliuola più di quel che aveva fatto quella notted'insonnia e di dolore. Essa era stata mandata dalla suapadrona a casa del falso di Wardes. Milady era pazzad'amore e di gioia e voleva sapere dal suo amante quandole avrebbe dedicato una seconda notte. La povera Ketty,pallida e tremante, aspettava la risposta di d'Artagnan.Athos aveva una grande influenza sul giovanotto; i consiglidell'amico uniti alla voce del suo cuore lo avevano convinto,ora che il suo orgoglio era soddisfatto, e la vendettacompiuta, a non rivedere più Milady. Per tutta rispostaprese una penna e scrisse la lettera seguente: "Noncontate su di me, signora, per il prossimo appuntamento;da che sono entrato in convalescenza, ho tante

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occupazioni del genere che ho dovuto mettervi un certoordine. Quando verrà il vostro turno, avrò l'onore diavvertirvene. Vi bacio le mani. Conte di Wardes". Dellozaffiro non fece parola: voleva forse serbare un'arma controMilady? Oppure, chiediamocelo chiaramente, non vedevaegli in quel gioiello un'estrema risorsa perl'equipaggiamento? Ma avremmo torto se volessimogiudicare le azioni di un'epoca dal punto di vista di un'altraepoca. Ciò che oggi sarebbe considerato come un'ontaper un galantuomo, era in quel tempo una cosa semplice enaturale, tanto che i cadetti delle più grandi famiglie sifacevano generalmente mantenere dalle loro amanti.D'Artagnan consegnò la lettera aperta a Ketty chedapprima la lesse senza comprendere, poi fu perimpazzire di gioia leggendola una seconda volta. Ketty nonpoteva credere a tanta felicità; d'Artagnan fu costretto aripeterle verbalmente le assicurazioni che la lettera le davaper iscritto; e senza tener conto del pericolo che, dato ilcarattere impetuoso di Milady, essa avrebbe potutocorrere consegnando quella lettera alla sua padrona, lapovera figliuola tornò ugualmente a Place Royale con tuttala velocità consentitale dalle sue gambe. Il cuore delladonna più gentile è spietato, quando si tratta di una rivale.Milady aprì la lettera con una fretta pari a quella con cuiKetty gliela aveva portata; ma alla prima parola che lesse,divenne livida; poi sgualcì il foglio; poi, con un lampo negliocchi, si volse a Ketty: "Che cos'è questa lettera?" chiese."E' la risposta a quella di Milady" rispose Ketty con vocetremante. "Impossibile" esclamò Milady "un gentiluomo non

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può scrivere a una signora una simile lettera." Poi,improvvisamente, trasalì e mormorò: "Dio mio! Nonsaprà…" e si arrestò. I denti le stridevano, era diventatacolor della cenere; volle avvicinarsi alla finestra perprendere un poco d'aria, ma non riuscì che a stendere lebraccia, le gambe le mancarono e si abbatté in unapoltrona. Ketty credette che stesse male e si precipitò perslacciarle il busto. Ma Milady si rialzò impetuosamente."Che volete?" gridò. "Perché mi toccate?" "Credevo che lasignora stesse male e volevo soccorrerla" rispose lacameriera spaventata dall'espressione terribile che avevaassunto il viso della padrona. "Io, star male? Mi prendeteper una femminuccia? Quando mi si insulta io non mi sentomale, mi vendico, capite?" E con la mano impose a Kettydi uscire.

Capitolo 36 SOGNO DI VENDETTA

La sera Milady ordinò di far entrare d'Artagnan non appenaarrivasse, ma egli non venne. Il giorno seguente Ketty sirecò di nuovo a trovare il giovanotto e gli raccontò tuttoquanto era successo il giorno prima; e d'Artagnan sorrisedi questa gelosa collera di Milady; era la sua vendetta. Allasera Milady si mostrò ancora più impaziente della serainnanzi e rinnovò l'ordine relativo al Guascone; ma ancorauna volta attese inutilmente. Il giorno dopo, Ketty sipresentò a d'Artagnan non più gaia e leggera come i due

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giorni precedenti, ma triste da morirne. D'Artagnandomandò alla ragazza che cosa avesse; ma essa per tuttarisposta trasse una lettera dalla tasca e gliela porse. Lascrittura era di Milady, però questa volta la lettera non eraindirizzata a di Wardes, ma proprio a d'Artagnan. Questiaprì e lesse ciò che segue: "Caro signor d'Artagnan, èmale trascurare gli amici come fate, specialmente quandosi sta per abbandonarli per molto tempo. Mio cognato edio vi abbiamo atteso inutilmente ieri e ieri l'altro. Sarà lostesso stasera? La vostra riconoscentissima LadyClarick". "E' naturale" disse d'Artagnan "e io aspettavoquesta lettera. Il mio credito è in rialzo per quanto ribassaquello del conte di Wardes." "E andrete?" domandò Ketty."Ascoltami, cara bambina" rispose il Guascone che, almomento di mancare alla parola data ad Athos, cercava discusarsi ai suoi propri occhi "tu capisci che non sarebbebuona politica non accettare un invito così preciso. Nonvedendomi più, Milady non si spiegherebbe l'interruzionedelle mie visite, potrebbe sospettare qualche cosa e chipuò dire fin dove possa giungere la vendetta di una donnadella sua tempra?" "Dio mio!" esclamò Ketty "voi sapetepresentare le cose in modo tale che avete sempre ragione.Ma voi le farete ancora la corte; e se le piacerete col vostrovero nome e il vostro vero volto, sarà peggio della primavolta." L'istinto faceva presagire alla povera ragazza unaparte di quanto sarebbe avvenuto. D'Artagnan la rassicuròcome meglio poté e le promise di rimanere insensibile alleseduzioni di Milady. Poi incaricò Ketty di dire alla suapadrona che le era riconoscente per la sua bontà e che

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avrebbe ubbidito ai suoi ordini; ma non osò scriverle, pertema di non potere contraffare la propria scrittura al puntoda ingannare occhi esercitati come quelli di Milady.Sonavano le nove quando d'Artagnan giunse in PlaceRoyale. Era evidente che i domestici che attendevano inanticamera erano stati prevenuti, perché non appenad'Artagnan apparve e ancor prima ch'egli parlasse, uno diessi corse ad annunciarlo. "Fate entrare" gridò Milady convoce breve, ma così penetrante che d'Artagnan la udìdall'anticamera. Fu introdotto. "Non ci sono per nessuno"disse Milady. "Avete inteso? Per nessuno." Il domesticouscì. D'Artagnan guardò Milady con curiosità; era pallida eaveva gli occhi stanchi come se avesse molto vegliato omolto pianto. Il numero abituale delle candele era statodiminuito intenzionalmente, ma ciò nonostante la giovanedonna non riusciva a nascondere le tracce della febbre cheper due giorni l'aveva divorata. D'Artagnan le si avvicinòcon la solita galanteria ed ella fece allora uno sforzosupremo per accoglierlo, ma si può dire che mai unafisionomia sconvolta avesse smentito meglio un sorriso piùgentile. D'Artagnan le chiese come stesse. "Male" rispose"anzi malissimo." "Ma allora" disse d'Artagnan "io sonoindiscreto. Voi avrete certo bisogno di riposo e io mi ritiro.""No" disse Milady "al contrario, restate, signor d'Artagnan,la vostra simpatica compagnia mi distrarrà." "Oh!" pensò ilgiovanotto "non è mai stata tanto gentile, diffidiamo."Milady assunse l'aria più affettuosa che le fu possibile e silanciò in una conversazione brillante. Nello stesso tempo,con la febbre che l'aveva abbandonata tornavano lo

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splendore ai suoi occhi, il colorito alle sue guance, ilcarminio alle sue labbra. D'Artagnan ritrovò la Circe che loaveva già avviluppato nei suoi incantamenti. L'amore, checredeva assopito, si risvegliò nel suo cuore. Milady glisorrise ed egli capì che per quel sorriso si sarebbedannato. Vi fu un momento in cui sentì qualche cosa disimile al rimorso per ciò che aveva fatto contro di lei. Apoco a poco Milady divenne più comunicativa. Essadomandò a d'Artagnan se avesse una amante. "Ahimè!"disse d'Artagnan con l'aria più sentimentale che potéassumere "come potete essere tanto crudele per farmi unasimile domanda se da quando vi ho veduta non respiro enon vivo che per voi!" Milady ebbe uno strano sorriso edisse: "Allora mi amate?" "Debbo proprio dirvelo? Non vene siete accorta ancora? " "Sì, ma, lo sapete, più i cuorisono orgogliosi, più sono difficili da conquistare." "Oh, ledifficoltà non mi spaventano" disse d'Artagnan. "Solo lecose impossibili possono spaventarmi." "Nulla èimpossibile" disse Milady "per un vero amore." "Niente,signora?" "Niente" rispose Milady. 'La musica è cambiata'pensò d'Artagnan. 'Diavolo! Che stia innamorandosi di me,per caso, la capricciosa? E sarebbe forse disposta aregalarmi anche qualche altro zaffiro simile a quello che midette allorché mi scambiò per di Wardes?' D'Artagnanavvicinò vivamente la sua sedia a quella di Milady."Vediamo" diss'ella "che cosa fareste per dimostrarmiquell'amore di cui parlate?" "Tutto ciò che vorrete.Ordinate, sono pronto." "Pronto a tutto?" "A tutto!" esclamòd'Artagnan che sapeva di non avere granché da arrischiare

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impegnandosi così. "Ebbene, chiacchieriamo un poco"disse Milady accostando la propria poltrona alla sedia did'Artagnan. "Vi ascolto, signora" disse questi. Miladyrimase per un istante pensierosa e come indecisa; poi,quasi prendendo una risoluzione: "Ho un nemico" disse."Voi, signora!" esclamò d'Artagnan, fingendo la sorpresa."E' possibile, mio Dio? Una creatura bella e buona comevoi!" "Un nemico mortale." "Davvero?" "Un nemico che miha insultata così crudelmente che c'è tra lui e me unaguerra a morte. Posso contare su di voi come un fedeleamico?" D'Artagnan capì immediatamente dove lavendicativa creatura volesse arrivare. "Lo potete, signora"disse con enfasi. "Il mio braccio e la mia vita viappartengono come il mio amore." "Allora" disse Milady"poiché la vostra generosità eguaglia il vostro amore…""Ebbene?" domandò d'Artagnan. "Ebbene" riprese Miladydopo un attimo di silenzio "cessate da oggi di parlare dicose impossibili." D'Artagnan si gettò ai suoi piedi, leafferrò le mani che essa gli abbandonò, le coprì di baci esupplicò: "Fate che la troppa gioia non mi uccida!"'Vendicami di quell'infame conte di Wardes" mormoravaMilady fra, i denti "e io saprò poi sbarazzarmi di te, triplicesciocco, lama di spada vivente.' 'Cadi spontaneamentenelle mie braccia dopo avermi beffato sfrontatamente,ipocrita e pericolosa creatura' pensava d'Artagnan dalcanto suo 'poi io riderò di te con colui che vuoi uccidereservendoti della mia mano.' D'Artagnan rialzò il capo."Sono pronto" disse. "Mi avete dunque compresa, carosignor d'Artagnan" disse Milady. "Indovinerei un vostro

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sguardo!" "Allora voi impiegherete per me il vostro braccio,che si è acquistato già tanta rinomanza?" "In questo stessomomento." "Ma io" disse Milady "come potròricompensarvi? Conosco gli innamorati; sono persone chenon fanno niente per niente." "Voi conoscete la solaricompensa che desidero; la sola che sia degna di voi e dime." E l'attirò dolcemente a sé. Ella resistette appena."Interessato!" disse sorridendo. "Ah!" esclamò d'Artagnanveramente trasportato dalla passione che quella donnasapeva destare nel suo cuore. "Ah! è che la mia felicità misembra inverosimile, e che temendo sempre di vederlasfumare come un sogno, ho fretta di tradurla in realtà.""Allora sappiate meritare questa pretesa felicità." "Sono aivostri ordini" disse d'Artagnan. "Davvero?" chiese Miladycon un ultimo dubbio. "Ditemi il nome dell'infame che hapotuto far piangere i vostri begli occhi." "Chi vi ha detto cheho pianto?" diss'ella. "Mi pareva…" "Le donne come me,non piangono" disse Milady. "Tanto meglio. Ditemi come sichiama costui." "Pensate che il suo nome è tutto il miosegreto." "Eppure io debbo saperlo." "Sì, è necessario;vedete se ho fiducia in voi." "Mi colmate di gioia. Come sichiama?" "Voi lo conoscete." "Davvero?" "Sì." "Non è unodei miei amici, spero" disse d'Artagnan fingendoesitazione per far credere alla propria ignoranza "Se fosseun vostro amico, esitereste?" esclamò Milady, e un lampodi minaccia passò nei suoi occhi. "No, neppure se fossemio fratello" esclamò il nostro Guascone trascinatodall'entusiasmo; ma d'Artagnan non rischiava granché adavanzare, perché sapeva dove andava. "Mi piace la vostra

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devozione" disse Milady. "Ahimè! In me vi piace dunquesoltanto ciò" sospirò d'Artagnan. "Mi piacete anche voi"disse la giovane prendendogli una mano. A quella ardentepressione d'Artagnan ebbe un brivido, come se a quelcontatto la febbre che bruciava Milady fosse passata nellesue vene. "Voi mi amate, voi!" esclamò. "Se fosse vero, cisarebbe da perdere la ragione." E la circondò con le suebraccia. Essa non tentò neppure di sottrarsi al suo bacio;si limitò a non rispondere a quel bacio. Le sue labbraerano fredde; d'Artagnan ebbe l'impressione di averbaciato una statua. Eppure era ugualmente ebbro di gioiae d'amore; credeva quasi alla tenerezza di Milady, credevaquasi al delitto del conte di Wardes. Se questi si fossetrovato in quel momento a portata della sua mano, loavrebbe ucciso. Milady afferrò l'occasione. "Egli sichiama..." disse. "Di Wardes, lo so" esclamò d'Artagnan."Come lo sapete?" domandò Milady afferrandogli le manie cercando di leggere nei suoi occhi sino in fondo alla suaanima. D'Artagnan capì d'essersi lasciato trasportare e diaver fatto un passo falso. "Come lo sapete?" ripetevaMilady. "Ditemelo, ma ditemelo dunque!" "Come lo so?"disse d'Artagnan. "Sì." "Lo so, perché ieri, in un salottodov'ero anch'io, di Wardes fece vedere un anello che dissedi aver avuto da voi." "Miserabile!" esclamò Milady.L'epiteto, com'è facile capire, risuonò sino in fondo alcuore di d'Artagnan. "Ebbene?" continuò Milady. "Ebbene,vi vendicherò di quel miserabile" riprese d'Artagnanassumendo l'aria di un don Giapeto d'Armenia[28]."Grazie, mio coraggioso amico" esclamò Milady. "E

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quando sarò vendicata?" "Domani, subito, quandovorrete!" Milady stava per gridare: subito, ma pensò chetanta precipitazione non sarebbe stata gentile perd'Artagnan. D'altronde, essa doveva prendere ancora milleprecauzioni, doveva dare consigli al suo paladino affinchéevitasse ogni spiegazione col conte dinanzi a testimoni.Tutto ciò fu previsto da d'Artagnan con una sola frase:"Domani" disse "sarete vendicata o sarò morto." "No"riprese essa "mi vendicherete e non morrete. E' un vile.""Forse con le donne, ma non con gli uomini… Io ne soqualche cosa." "Mi pare però che nel vostro duello con luinon abbiate avuto a lamentarvi della fortuna." "La fortuna èvolubile; oggi è con voi, domani vi volta le spalle." "Il chesignifica che ora voi esitate." "No, non esito, Dio me neguardi; però vi pare giusto inviarmi ad una morte possibilesenza darmi qualche cosa di più della speranza?" Miladyrispose con uno sguardo che voleva dire: 'Non è chequesto? Parlate dunque.' Poi, accompagnando lo sguardocon due parole di spiegazione: "E' troppo giusto" disseteneramente. "Oh, siete un angelo!" esclamò il giovanotto."Allora tutto è deciso?" diss'ella. "Meno ciò che vi chiedo,anima mia." "Ma quando vi dico che potete fidare nel miocuore?" "Non posso attendere, pensate che forse non avròun domani." "Zitto, sento mio fratello che viene; è inutile chevi trovi qui." Suonò e comparve Ketty. "Uscite da questaporta" disse spingendolo verso una porticinaseminascosta "e tornate alle undici; finiremo la nostraconversazione: Ketty vi introdurrà da me." La poveraragazza sentendo queste parole fu per svenire. "Ebbene,

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che cosa fate, signorina; perché state lì immobile comeuna statua? Suvvia, riaccompagnate il cavaliere. A questasera, alle undici, avete inteso." 'Sembra proprio che tutti isuoi appuntamenti siano alle undici' pensò d'Artagnan.'Dev'essere un'abitudine.' Milady gli tese la mano ed egli labaciò teneramente. "Suvvia" diss'egli uscendo erispondendo appena ai rimproveri di Ketty "cerchiamo dinon essere sciocchi; è evidente che ho da fare con unagrande scellerata; stiamo in guardia."

Capitolo 37 IL SEGRETO DI MILADY

D'Artagnan era uscito dal palazzo invece di salire subito daKetty, nonostante le preghiere di quest'ultima, e ciò per dueragioni: la prima, perché in tal modo evitava i rimproveri, lerecriminazioni, le suppliche; poi perché non gli dispiacevaleggere un poco nei propri pensieri e, se era possibile, inquelli di Milady. Ciò che appariva ben chiaro in questafaccenda era che, mentre egli amava pazzamente Milady,questa non l'amava affatto. Pensò per un attimo che lacosa migliore che gli restasse da fare fosse di tornarsenea casa sua e di scrivere a Milady una lunga lettera nellaquale le avrebbe confessato che lui e di Wardes eranosino a quel momento una sola persona, per cui non potevaimpegnarsi a uccidere di Wardes senza rischiare diuccidere se stesso. Ma anch'egli era mosso da un ferocedesiderio di vendetta: voleva possedere quella donna sotto

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il proprio nome e, poiché questa vendetta sembravapromettergli una certa dolcezza, non voleva rinunciarvi.Fece per cinque o sei volte il giro della Place Royale,voltandosi ogni dieci passi per guardare il raggio di luceche usciva dalle finestre di Milady; era evidente che questavolta la giovane donna aveva meno fretta di rientrare nellapropria camera. Infine la luce si spense, e con quellasparirono gli ultimi dubbi dall'animo di d'Artagnan; egliricordò i particolari della prima notte d'amore e, col cuoreche gli balzava nel petto, la testa in fiamme, rientrò nelpalazzo e si precipitò nella camera di Ketty. La ragazza,pallida come una morta, tremando in tutte le membra, vollearrestare il suo amante; ma Milady, che era in ascolto,aveva udito il rumore fatto da d'Artagnan e aprì la porta."Venite" disse. Tutto ciò rivelava una così incredibileimpudenza, una così mostruosa sfrontatezza ched'Artagnan stentava a credere a ciò che vedeva e udiva.Gli pareva di essere trascinato in uno di quei fantasticiintrighi che si svolgono nei sogni. Tuttavia si slanciò versoMilady, cedendo a un'attrazione simile a quella che lacalamita esercita sul ferro. La porta si richiuse dietro diloro. Ketty si slanciò a sua volta contro la porta. La gelosia,la collera, I'orgoglio offeso, tutte le passioni infine che sicontendono il cuore di una donna innamorata, laspingevano a rivelare la verità; ma se avesse confessato diaver dato mano a una simile macchinazione, essa sarebbestata perduta; e, soprattutto, d'Artagnan sarebbe statoperduto con lei. Quest'ultimo pensiero d'amore la persuasea sopportare ancora questo estremo sacrificio.

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D'Artagnan, dal canto suo, era giunto al colmo dei suoi voti:non era più un rivale che veniva amato in lui; quello cheMilady aveva l'aria di amare era egli stesso. Una voceinterna gli sussurrava, è vero, che egli non era che lostrumento di una vendetta e che solo perché desse lamorte era vezzeggiato e accarezzato; ma l'orgoglio, l'amorproprio e la follia inducevano al silenzio questa voce,soffocavano questo mormorìo. E inoltre il nostro Guasconefidava talmente in se stesso che si confrontava a diWardes e si chiedeva perché, al tirar delle somme, eglinon dovesse finire con l'esser amato per se stesso. Siabbandonò quindi interamente alle sensazioni delmomento. Milady non fu più per lui la donna dalle intenzionifatali che per un momento lo aveva spaventato, fu l'amanteardente, appassionata che si abbandonavacompiutamente a un amore che sembrava provare ellastessa. Passarono così quasi due ore. Gli impeti dei dueamanti si calmarono. Milady, che non aveva gli stessimotivi di d'Artagnan per dimenticare, fu la prima ariprendere l'assoluta padronanza di se stessa e domandòal giovanotto se avesse già fissato nella sua mente i mezziche il giorno dopo avrebbero dovuto portare al duello tra luie di Wardes. Ma d'Artagnan, che pensava a tutt'altro,dimenticò la prudenza e rispose galantemente che eramolto tardi per occuparsi di duelli a colpi di spada. Questafreddezza per la sola cosa che le stesse a cuore sgomentòMilady, le cui domande si fecero incalzanti. Allorad'Artagnan, che non aveva mai pensato seriamente a quelduello impossibile, cercò di sviare la conversazione, ma

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non era più in grado di farlo. Milady la contenne nei limitiche aveva fissato in precedenza col suo spirito irresistibilee la sua volontà di ferro. D'Artagnan credette di esseremolto spiritoso consigliando a Milady di rinunciare,perdonando a di Wardes, ai furibondi progetti che avevaformulato. Ma alle prime parole, la giovane trasalì e siritrasse. "Avreste forse paura, mio caro d'Artagnan?" dissecon una voce acuta e canzonatoria che risonò stranamentenell'oscurità. "Non penserete ciò, anima mia?" risposed'Artagnan. "Ma, infine, se quel povero conte di Wardesfosse meno colpevole di quanto credete?" "In ogni caso"disse gravemente Milady "dal momento che mi haingannata, merita la morte." "Poiché lo condannate,morirà" esclamò d'Artagnan con tono così fermo che parvea Milady l'espressione di una devozione a tutta prova.Subito essa si riaccostò a lui. Noi non sapremmo direquanto durasse la notte per Milady; ma d'Artagnan credevadi essere presso di lei da appena due ore allorché i primiraggi del sole penetrarono dalle imposte e ben prestoilluminarono la stanza di una luce scialba. Allora Milady,vedendo che d'Artagnan stava per lasciarla, gli ricordò lapromessa che le aveva fatto di vendicarla del conte diWardes. "Sono pronto, ma vorrei prima essere sicuro diuna cosa" rispose il giovanotto. "Di quale?" domandòMilady. "Che voi mi amate." "Mi sembra di avervene datola prova." "Per questo sono vostro, anima e corpo.""Grazie, mio coraggioso amante. Ma come vi ho provatol'amor mio, voi mi proverete il vostro, non è vero?" "Senzadubbio. Ma se mi amate, come dite" riprese d'Artagnan

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"non temete un poco per me?" "Che cosa posso temere?""Ma, infine, che io sia ferito gravemente o anche ucciso.""Impossibile" disse Milady "siete un uomo così coraggiosoe una così infallibile lama." "Non preferireste un mezzo che,pure vendicandovi, rendesse il duello inutile?" Miladyguardò l'amante in silenzio; la luce livida dell'alba dava aisuoi occhi chiari un'espressione stranamente funesta. "Mipare" disse "che ora voi esitiate." "No, non esito, ma è chequel povero conte di Wardes, da quando non lo amate più,mi fa veramente pena; mi sembra che un uomo debbaessere così crudelmente punito per avere perduto il vostroamore, da non aver bisogno di altre punizioni." "Chi vi diceche l'abbia amato?" domandò Milady. "Senza esseretroppo presuntuoso, mi pare di poter affermare che ora neamate un altro; e, ve lo ripeto, io m'interesso del conte.""Voi?" domandò Milady. "Sì, io." "E perché?" "Perché soloio so…" "Che cosa?" "Ch'egli è ben lontano dall'essere edall'essere stato così colpevole come pare." "Davvero!"disse Milady con apprensione; "spiegatevi perché non soche cosa vogliate dire." E guardava d'Artagnan, che lateneva fra le braccia, con occhi che sembravanoinfiammarsi a poco a poco. "Sono un galantuomo, io"continuò d'Artagnan risoluto a finirla "e da che il vostroamore mi appartiene e sono sicuro di possederlo, perchéio lo possiedo, non è vero?" "Tutt'intiero; continuate.""Ebbene, debbo farvi una confessione che mi pesa sulcuore." "Una confessione!" "Se avessi dubitato del vostroamore non l'avrei fatta; ma voi mi amate, mia bellaamante? Non è vero che mi amate?" "Certamente." "Allora

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mi perdonereste se per eccesso d'amore mi fossi resocolpevole verso di voi?" "Forse." D'Artagnan cercò, col piùdolce sorriso che poté richiamare sulle labbra, diaccostare la sua bocca alla bocca di Milady, ma questa loscostò da sé. "Questa confessione" disse impallidendo"che cos'è questa confessione?" "Voi avevate datoappuntamento a di Wardes, giovedì scorso, in questastessa camera, non è vero?" "Io? No. Non è vero" disseMilady con un tono di voce si fermo e un volto cosìimpassibile che se non avesse avuto una così perfettacertezza, d'Artagnan avrebbe dubitato di sé. "Non mentite,angelo mio" continuò d'Artagnan sorridendo "tantosarebbe inutile." "Perché? Parlate! Voi mi fate morire!""Oh, rassicuratevi, voi non siete colpevole verso di me e iovi ho già perdonato." "E poi? E poi?" "Di Wardes non puòvantarsi di nulla." "Perché? Non mi avete detto voi stessoche l'anello…'" "L'anello l'ho io, amor mio. Il duca diWardes di giovedì scorso e il d'Artagnan di questa nottesono la stessa persona." L'imprudente aspettava unasorpresa mescolata al pudore, un piccolo uragano che sisarebbe risolto in lacrime, ma s'ingannava e non rimase alungo nel suo errore. Pallida e terribile, Milady si alzò erespingendo violentemente d'Artagnan con un pugno nelpetto, si slanciò fuori dal letto. Era ormai giorno fatto.D'Artagnan la trattenne per la camicia di fine tela d'Olandaper implorare il suo perdono, ma essa, con un movimentopossente e risoluto, tentò di sfuggirgli. Allora la batista sistrappò lasciando nude le spalle, e su una di queste bellespalle rotonde e bianche, con terrore indicibile, d'Artagnan

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riconobbe il fiordaliso, il marchio indelebile impresso dallemani infamanti del boia. "Gran Dio!" esclamò d'Artagnanlasciando andare il lembo della camicia. E rimase muto,freddo e immobile nel letto. Ma Milady si sentivadenunciata dal terrore stesso di d'Artagnan. Senza dubbioegli aveva visto tutto; il giovanotto conosceva ora il suosegreto, quel terribile segreto da tutti ignorato. Ella si volse,dunque, non più come una donna furiosa, ma come unapantera ferita. "Miserabile!" disse "tu mi hai traditavilmente e ora conosci il mio segreto! Morrai!" Corse a unpiccolo scrigno intarsiato ch'era sulla toletta, l'aprì conmano febbrile e tremante, ne tolse un pugnaletto dalmanico d'oro, dalla lama sottile e acuminata e con un saltosi gettò su d'Artagnan che era mezzo nudo. Sebbene ilgiovanotto fosse, come sappiamo, coraggiosissimo, fuspaventato da quel volto, sconvolto, da quelle pupilleorribilmente dilatate, da quelle guance pallide e da quellelabbra sanguinanti, tanto che indietreggiò sino al brevespazio tra il letto e il muro come all'avvicinarsi di unserpente che strisciasse verso di lui, e poiché la sua manoumida di sudore incontrò l'elsa della sua spada, egli lasnudò di colpo. Ma senza preoccuparsi della spada,Milady cercò di risalire sul letto per colpirlo e non si arrestòse non quando sentì la punta acuta della spada sul suopetto. Allora cercò di afferrare con le mani la lama, mad'Artagnan riuscì a impedirglielo, e presentandogliela oraagli occhi, ora al petto, si lasciò scivolare giù dal letto,studiandosi, per battere in ritirata, di avvicinarsi alla portadi Ketty. Nel frattempo, Milady si scagliava contro di lui

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ruggendo orribilmente. Tutto ciò assomigliava a un duello eil giovanotto, appunto per questo, stava riacquistando apoco a poco tutto il suo sangue freddo. "Brava, mia bellasignora! Brava!" diceva. "Ma perdio, vi avverto però che senon vi calmerete vi disegnerò, con la punta della miaspada, un secondo fiordaliso sull'altra spalla." "Infame!Infame!" urlava Milady. Ma d'Artagnan, pur tenendosi sulladifensiva, cercava sempre la porta. Al rumore chefacevano, essa rovesciando i mobili per giungere sino alui, egli nascondendosi dietro i mobili per ripararsi, Kettyaprì la porta. D'Artagnan, che aveva continuamentemanovrato per avvicinarsi a quella porta, era a non più ditre passi da essa. Con un balzo si slanciò dalla camera diMilady in quella di Ketty, rapido come il baleno, richiusel'uscio e vi si appoggiò con tutto il suo peso, mentre Kettymetteva i chiavistelli. Allora Milady cercò di rovesciare ilpuntello che la rinserrava nella sua camera, spiegando unaforza di molto superiore a quella di una donna; poi,accortasi che ciò era impossibile, cominciò a tempestarela porta di colpi di pugnale, qualcuno dei quali attraversò lospessore del legno. Ogni colpo era accompagnato daun'orribile imprecazione. "Presto, presto, Ketty" dissed'Artagnan sottovoce, appena messi i catenacci "fammiuscire dal palazzo; se le lasciamo il tempo di rimettersi, mifarà uccidere dai suoi servi." "Ma non potete uscire così"disse Ketty "siete quasi nudo." "E' vero" disse d'Artagnanche si accorse solo allora dello stato in cui si trovava "èvero. Vestimi come puoi, purché ti spicci. Capisci che èquestione di vita o di morte!" Ketty lo capiva benissimo,

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tanto che in un attimo lo camuffò con una veste a fiori, unalarga cuffia e una mantellina; gli diede anche dellepantofole in cui egli infilò i piedi nudi, poi lo trascinò giù perle scale. Era tempo: Milady aveva già sonato e risvegliatotutto il palazzo. Il portiere tirò il cordone alla voce di Ketty,nello stesso momento in cui Milady, anch'essa mezzanuda, gridava dalla finestra: "Non aprite!"

Capitolo 38 COME, SENZA SCOMODARSI, ATHOSTROVO' IL SUO EQUIPAGGIAMENTO

Il giovanotto fuggì mentre Milady lo minacciava con ungesto impotente. Nel momento in cui lo perse di vista, essacadde svenuta nella sua camera. D'Artagnan era talmentesconvolto che, senza preoccuparsi della sorte di Ketty,attraversò correndo mezza Parigi e non si fermò che allaporta di Athos. Il turbamento del suo spirito, il terrore che lospronava, le grida di alcune pattuglie che si misero ainseguirlo e le urla di alcuni passanti che, nonostante l'orapoco avanzata, si recavano alle loro faccende, non feceroche affrettare la sua corsa. Egli attraversò il cortile, salì idue piani di Athos e picchio con fracasso alla porta.Grimaud, con gli occhi ancora gonfi di sonno, venne adaprire; d'Artagnan si slanciò nell'anticamera con un impetotale che per poco non lo rovesciò. Nonostante il suomutismo abituale, questa volta il povero ragazzo recuperòla parola ed esclamò: "Olà! Olà! Che volete, svergognata?

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Che cosa desiderate, brutta diavola?" D'Artagnan rialzò lacuffia e liberò le mani di sotto il mantello; alla vista dei baffie della spada sguainata, il poveretto si accorse di aver ache fare con un uomo. Credette allora che si trattasse di unassassino e si mise a gridare: "Aiuto! Soccorso!" "Taci,disgraziato!" disse il giovanotto. "Non mi riconosci? Sonod'Artagnan. Dov'è il tuo padrone?" "Voi, il signord'Artagnan!" esclamò Grimaud spaventato. "Ma èimpossibile!" In quel mentre Athos, in veste da camera,uscì dalla camera e disse: "Grimaud! Mi pare che voi vipermettiate di parlare?" "Ah, signore, è che…" "Silenzio!"Grimaud si accontentò di mostrare col dito d'Artagnan alsuo padrone. Athos riconobbe l'amico e, per quantoflemmatico fosse, scoppiò in una risata giustificataampiamente dalla strana mascherata che avevasott'occhio: cuffia di traverso, sottane ricadenti sui tacchi,maniche rimboccate e baffi irti per l'emozione. "Non ridete,amico mio" esclamò d'Artagnan "per amor di Dio, nonridete! Perché, sull'anima mia, vi dico che non c'è nulla daridere." E pronunziò queste parole con aria così solenne econ uno spavento così vero che Athos gli afferrò una manoed esclamò: "Sareste ferito? Come siete pallido!" "No, mami è capitata una cosa terribile! Siete solo, Athos?""Perdio, e chi volete che ci sia da me a quest'ora?" "Bene,bene." E d'Artagnan si precipitò nella camera di Athos."Suvvia, parlate" disse questi chiudendo la porta emettendo il catenaccio perché nessuno li disturbasse. "E'morto il Re? Avete ucciso il Cardinale? Siete tuttosossopra; suvvia, parlate, perché muoio realmente

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d'inquietudine." "Athos" disse d'Artagnan liberandosi dellevesti da donna e rimanendo in camicia " preparatevi asentire una storia incredibile, inaudita." "Infilatevi primaquesta veste da camera" consigliò il moschettiereall'amico. D'Artagnan mise la veste da camera, prendendouna manica per l'altra tanto era ancora commosso."Ebbene?" chiese Athos. "Ebbene" rispose il giovanottosottovoce e all'orecchio dell'amico "Milady ha una spallamarcata con un fiordaliso." "Ah!" gridò il moschettierecome se una palla lo avesse colpito al cuore. "Vediamo,siete ben certo" continuò d'Artagnan "che l'altra siamorta?" "L'altra?" disse Athos con una voce così sorda ched'Artagnan lo udì appena. "Sì, quella di cui mi parlaste ungiorno ad Amiens." Athos ebbe un gemito e si strinse latesta fra le mani. "Questa" continuò d'Artagnan "è unadonna di ventisei o vent'otto anni." "Bionda, è vero?" disseAthos. "Sì." "Con occhi azzurro-chiari, di una stranaluminosità, con ciglia e sopracciglia nere?" "Sì." "Grande,ben fatta? Le manca un dente presso il canino sinistro?""Sì." "Il fiordaliso è piccolo, rosso e come obliterato daglistrati di crema bianca che vi viene applicata sopra?" "Sì.""Però voi dite che è Inglese!" "La chiamano Milady, maforse è Francese. Ad onta di ciò, lord Winter non è che suocognato!" "D'Artagnan, voglio vederla!" "State in guardia,Athos, state in guardia. Voi avete tentato di ucciderla edessa è donna da cercare di rendervi il cambio e dariuscirci." "Non oserà parlare; perché in tal caso sidenuncerebbe da sé." "E' capace di tutto. L'avete mai vistain collera?" "No" disse Athos. "E' una tigre, una pantera.

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Ah! caro Athos, ho paura di avere attirato su di noi unavendetta terribile." E d'Artagnan allora raccontò tutto: lacollera insensata di Milady e le sue minacce di morte."Avete ragione, sull'anima mia, io darei la nostra vita per uncapello" disse Athos. "Per fortuna, dopo domanilasceremo Parigi; è probabile che si vada a La Rochelle, euna volta partiti…" "Essa vi seguirà sino in capo al mondo,se vi riconosce, Athos; lasciate che il suo odio si riversisolo su di me." "Ah, mio caro! che m'importa se miuccide?" disse Athos. "Credete per caso che tenga moltoalla vita?" "C'è sotto tutto ciò qualche orribile mistero,Athos, quella donna è una spia del Cardinale, ne sonocerto." "In tal caso, badate a voi. Se il Cardinale non èpieno di ammirazione a vostro riguardo per la faccenda diLondra, vuol dire che vi odia a morte. Ma siccome, tuttosommato, non può rimproverarvi nulla esplicitamente, ebisogna che l'odio si sfoghi, specialmente quando è unodio cardinalizio, badate a voi. Se uscite, non uscite maisolo e quando mangiate prendete le vostre precauzioni;insomma diffidate di tutto, anche della vostra ombra." "Perfortuna" disse d'Artagnan "non si tratta che d'arrivare aposdomani sera senza guai; perché una volta entrati incampagna non dovremo temere che gli uomini, spero.""Nel frattempo" concluse Athos "rinuncio ai miei progetti direclusione e vi seguo ovunque; bisogna che voi torniate invia dei Fossoyeurs e io vi accompagno." "Ma quantunquela mia casa sia vicina" riprese d'Artagnan "non possoandarvi così." "Avete ragione" disse Athos, e suonò ilcampanello. Grimaud entrò. Athos gli fece cenno di andare

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a casa di d'Artagnan e di tornare con gli abiti necessari;Grimaud con un altro cenno. del capo rispose di avercapito perfettamente e uscì. "Anche quest'episodio nongiova molto al nostro equipaggiamento, caro amico" disseAthos. "Voi avete lasciato tutte le vostre spoglie da Miladyed essa non avrà certo la cortesia di restituirvele. Fortunache vi è rimasto lo zaffiro!" "La zaffiro è vostro, caro Athos!Non mi avete detto ch'era un gioiello di famiglia?" "Sì, miopadre lo comperò per duemila scudi, a quanto mi disse;faceva parte dei regali di nozze di mia madre; è magnifico!Mia madre me lo regalò e io, pazzo che fui, invece ditenerlo come una reliquia, lo regalai a quella miserabile.""Allora, mio caro, riprendete questo anello che deveesservi assai caro." "Riprendere questo anello che è statonelle mani di quell'infame! Mai! Questo anello è insudiciato,d'Artagnan." "E allora vendetelo." "Vendere un diamanteregalatomi da mia madre! Vi confesso che misembrerebbe una profanazione." "Allora, impegnatelo. Vidaranno per lo meno mille scudi. Con questa sommasareste al di sopra dei vostri bisogni; poi, appena sarete infondi lo disimpegnerete e lo riavrete mondo dalle sueantiche macchie giacché sarà passato per le mani degliusurai." Athos sorrise. "Voi siete un caro compagno" disse"mio caro d'Artagnan; con la vostra eterna allegria,sollevate gli spiriti dalle loro afflizioni. Ebbene, impegniamol'anello ma ad una condizione." "Quale?" "Che cinquecentoscudi siano per voi e cinquecento per me" "Non ci pensateneppure, Athos. Io non ho bisogno neanche di un quarto diquesta somma perché sono nelle guardie e vendendo la

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mia sella otterrò più del necessario. Che cosa mi occorreinfine? Un cavallo per Planchet, ecco tutto. E poidimenticate che anch'io ho un anello." "Al quale tenete piùdi quanto io tenga al mio, così mi pare." "E' vero, perché incaso di necessità estrema può non solo trarci d'imbarazzoma anche da qualche grande pericolo; non è solamente unbrillante prezioso, è un talismano incantato." "Non vicapisco, ma credo a ciò che mi dite. Torniamo dunque almio anello o meglio al vostro. Voi prendete la metà dellasomma che ricaveremo o io lo getterò nella Senna, edubito che qualche pesce ci faccia la cortesia diriportarcelo come avvenne a Policrate[29]". "Ebbene,accetto" disse d'Artagnan. In quel momento entrò Grimaudaccompagnato da Planchet; questi, inquieto per il suopadrone e curioso di sapere che cosa gli fosse accaduto,aveva approfittato dell'occasione e recato personalmentegli abiti. D'Artagnan si vestì e Athos fece altrettanto, poi,quando furono pronti, il secondo fece a Grimaud il segno diuno che prende la mira; Grimaud staccò dal muro il suomoschetto e si preparò ad accompagnare il padrone.Athos e d'Artagnan, seguiti dai loro servi, arrivarono senzainconvenienti in via dei Fossoyeurs. Bonacieux era sullaporta e guardò d'Artagnan con aria beffarda. "Mio carolocatario" disse "spicciatevi perché c'è una bella ragazzache vi aspetta in camera vostra e le donne non amanoaspettare, lo sapete?" "E' Ketty!" esclamò d'Artagnan, e silanciò su per le scale. Infatti, sul pianerottolo dinanzi allacamera e accoccolata contro la porta, trovò la poveraragazza tutta tremante. Non appena lo scorse: "Mi avete

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promesso di proteggermi e di salvarmi dalla sua collera"diss'ella "ricordatevi che siete stato proprio voi aperdermi." "Sì, certo" disse d'Artagnan "stai tranquilla,Ketty. Ma che cosa è successo dopo la mia partenza?""Come posso saperlo!" disse Ketty. "Alle sue grida i servisono accorsi, essa era pazza di collera; tutte leimprecazioni esistenti, le ha vomitate contro di voi. Alloraho pensato che essa avrebbe finito col ricordarsi che voieravate entrato nella sua camera passando dalla mia, eche allora si sarebbe persuasa che ero vostra complice; hopreso quindi il poco danaro che avevo, i miei indumenti piùpreziosi e sono fuggita." "Povera figliola! Ma che farò dite? Io parto domani!" "Fate di me ciò che vorrete, signorcavaliere, ma fatemi partire da Parigi, fate che lasci laFrancia." "Tuttavia non posso portarti con me all'assediode la Rochelle." "No, ma potete trovarmi un posto inprovincia presso qualche signora di vostra conoscenza, nelvostro paese per esempio." "Ah, mia cara amica, nel miopaese le signore non tengono cameriere. Però credo diaver trovato ciò che fa al caso tuo. Planchet, va a chiamareAramis, digli che venga subito. Abbiamo qualche cosa dimolto importante da dirgli." "Capisco" disse Athos. "Maperché non vi rivolgete a Porthos? Mi sembra che la suamarchesa…" "La marchesa di Porthos si fa vestire dagliscritturali di suo marito" rispose ridendo d'Artagnan."D'altronde, Ketty non vorrà abitare in via degli Orsi, èvero?" "Abiterò dove vorrete" sussurrò Ketty "purché siaben nascosta e non si sappia dove sono." "Ora che stiamoper separarci, Ketty, e che, per conseguenza, non sarai più

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gelosa di me…" "Signor cavaliere, da vicino o da lontano"disse Ketty "vi amerò sempre!" "Guarda dove va a ficcarsila costanza!" mormorò Athos. "Anch'io" disse d'Artagnan"anch'io ti amerò sempre, stai tranquilla. Ora però rispondialla domanda che sto per farti, e ricorda che do una grandeimportanza alla risposta; non hai mai inteso parlare di unagiovane signora che fu rapita una notte?" "Aspettate… Oh!mio Dio, forse che voi, signor cavaliere, amate ancoraquella donna?" "No, è uno dei miei amici che l'ama. Ecco,Athos, quello lì. "Io!" esclamò Athos con l'espressione di unuomo il quale si accorge che sta per calpestare unserpente. "Certo, voi" ripeté d'Artagnan stringendo la manodi Athos. "D'altronde, voi sapete come si sia tuttiinteressati alla sorte di quella povera signora Bonacieux.Ma Ketty non dirà nulla, non è vero, Ketty? Essa è la mogliedi quello sgorbio che hai visto sulla porta entrando qui.""Oh, mio Dio!" esclamò Ketty. "Voi mi fate rammentare lapaura che ho avuto poco fa. Purché non mi abbiariconosciuta!" "Come, riconosciuta? Tu hai dunque giàvisto quell'uomo?" "E' venuto due volte da Milady." "Propriocosì! Verso quale epoca?" "Quindici o venti giorni fa,all'incirca." "Appunto." "E ieri sera è tornato." "Ieri sera?""Sì, poco prima che giungeste voi." "Caro Athos, noi siamocircondati da una rete di spie. E tu credi di essere statariconosciuta, Ketty?" "Ho abbassato la cuffia, scorgendolo,ma forse era troppo tardi." "Athos, voi che siete menosospetto di me, scendete a vedere se è ancora sullaporta." Athos scese e risalì immediatamente. "Se n'èandato" disse "e la casa è chiusa." "E' andato a fare il suo

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rapporto, è andato a dire che tutti i piccioni sono nellapiccionaia." "Ebbene, involiamoci" consigliò Athos "elasciamo qui solo Planchet perché venga poi a darcinotizie." "Un momento. E Aramis che abbiamo mandato acercare?" "E' giusto: aspettiamo Aramis." In quel momentoAramis entrò. Gli raccontarono quanto era avvenuto e glidomandarono se fra le sue alte conoscenze si potessetrovare un posto per Ketty. Aramis rifletté un attimo, poiarrossendo chiese: "Questo sarà veramente un grandefavore per voi, d'Artagnan?" "Ve ne sarò riconoscente pertutta la vita." "Ebbene, la signora di Bois-Tracy mi hachiesto, per una sua amica che abita in provincia, credo,una cameriera fidata, e se voi poteste garantire per lasignorina…" "Oh, signore!" esclamò Ketty. "Saròinteramente devota a coloro che mi aiuteranno a fuggire daParigi." "Allora" disse Aramis a tutto è per il meglio."Sedette a un tavolo, scrisse poche parole in un foglio chesigillò con un anello e porse il biglietto a Ketty. "Ora, miacara figliuola" disse d'Artagnan "tu sai che qui non spiramiglior vento per noi che per te. Separiamoci dunque. Ciritroveremo in giorni migliori." "E in qualunque tempo e inqualunque luogo" disse Ketty "mi ritroverete innamorata divoi come lo sono ora." "Giuramento da marinaio" brontolòAthos mentre d'Artagnan riconduceva Ketty sulle scale.Poco dopo i tre giovani si separarono fissando unappuntamento per le quattro da Athos e lasciando Plancheta guardia della casa. Aramis tornò a casa sua, Athos ed'Artagnan si occuparono di sistemare lo zaffiro. Come ilnostro Guascone aveva previsto, trovarono facilmente chi

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sborsò trecento pistole sull'anello; anzi, l'ebreo che fecel'affare, disse che se volevano venderglielo visto che egliaveva un magnifico paio di orecchini che si accordavanocon esso era pronto a pagarlo cinquecento pistole. Athos ed'Artagnan, con l'attività di due soldati e la scienza di dueconoscitori, impiegarono appena tre ore per comperaretutto l'equipaggiamento del moschettiere. D'altronde Athosera di facile contentatura e gran signore dalla testa aipiedi. Ogni volta che una cosa gli conveniva, pagava ilprezzo domandato senza discutere. D'Artagnan avrebbeavuto molte osservazioni da fare in proposito, ma Athos,senza dir nulla, gli appoggiava una mano sulla spalla esorrideva, e d'Artagnan capiva che se lui, poverogentiluomo guascone, poteva mercanteggiare, ciò eraimpossibile a un uomo come Athos, che pareva unprincipe. Il moschettiere trovò un superbo cavallo andaluso,nero come un giaietto, dalle narici fiammanti, dalle gambesottili ed eleganti, che non aveva ancora sei anni. Loesaminò attentamente e lo trovò senza difetti. Glienechiesero mille lire; forse avrebbe potuto averlo per meno,ma mentre d'Artagnan stava discutendo sul prezzo colcozzone, Athos contava le cento pistole sul tavolo. Grimaudebbe un cavallo piccardo, grosso e forte, che costòtrecento lire. Ma dopo che ebbero comperata la sella perquest'ultimo cavallo e le armi per Grimaud, dellecentocinquanta pistole non restò più un soldo. D'Artagnanofferse ad Athos di approfittare di una parte di ciò ch'eratoccato a lui e che avrebbe potuto restituirgli con comodo.Ma, per tutta risposta, Athos crollò le spalle. "Quanto dava

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l'ebreo per avere lo zaffiro in sua assoluta proprietà?""Cinquecento pistole." "Vale a dire duecento pistole di più;cento per voi e cento per me. Ma è una vera fortunaquesta, amico mio! Tornate dall'ebreo." "Come, voivolete…" "Tutto sommato, quell'anello mi ricorderebbetroppe cose tristi; d'altra parte, non avremo mai trecentopistole da rendere all'ebreo, di modo che perderemmoduecento pistole su questo affare. Andate a dirgli chel'anello è suo e tornate con le duecento pistole." "Riflettete,Athos." "Di questi tempi il denaro è scarso, bisogna sapersacrificarsi. Andate, d'Artagnan, andate; Grimaud viseguirà col suo moschetto." Mezz'ora dopo, d'Artagnantornò sano e salvo con le duemila lire. Fu così che Athostrovò, standosene in casa, risorse che non si aspettava.

Capitolo 39 UNA VISIONE

Alle quattro in punto, i quattro amici erano dunque riuniti incasa di Athos. Le loro preoccupazioni perl'equipaggiamento erano del tutto scomparse, e ogni visonon conservava più se non l'espressione delle propriesegrete inquietudini; giacché dietro ogni felicità attuale sicela un timore per l'avvenire. A un tratto entrò Planchetportando due lettere per d'Artagnan. Una era un piccolobiglietto piegato per il lungo e sigillato con un graziososigillo di cera verde sul quale era una colomba con unramo nel becco. L'altra era una grande epistola quadrata

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su cui splendevano le armi terribili di Sua Eminenza ilCardinale-duca. Alla vista della letterina, il cuore did'Artagnan dette un balzo, perché gli era parso diriconoscere la scrittura che pur avendola vista una solavola gli era rimasta impressa indelebilmente nel cuore.Prese dunque la piccola lettera e l'aprì vivamente."Mercoledì prossimo" diceva "dalle sei alle sette di sera,passeggiate sulla via di Chaillot e guardate attentamenteentro le carrozze che passeranno, ma se tenete alla vostravita e a quella di coloro che vi amano, non dite una parola,non fate un gesto che possa far supporre che avetericonosciuto colei che si espone ai maggiori pericoli pur divedervi per un attimo." Non c'era firma. "E' un tranello"disse Athos "non andateci, d'Artagnan." "Eppure" dissed'Artagnan "mi par di riconoscere la scrittura." "Forse èfalsificata" rispose Athos; "dalle sei alle sette, in questastagione, la via di Chaillot è assolutamente deserta; tantovarrebbe che andaste a passeggiare nel bosco di Bondy.""Ma se ci andassimo tutti?" disse d'Artagnan. "Chediavolo! Non ci mangeranno mica tutti e quattro insiemecon i lacché, coi cavalli e con le armi." "Inoltre sarà unabuona occasione per far mostra dei nostri equipaggi"disse Porthos. "Ma se è una donna che scrive" intervenneAramis "e questa donna non desidera essere vista,pensate che voi la comprometterete, d'Artagnan, e questonon è bene." "Noi resteremo indietro" ribatté Porthos "e ilsolo d'Artagnan avanzerà." "Va bene; ma si fa presto atirare una pistolettata da una carrozza che passa algaloppo." "Oh, non mi colpiranno" disse d'Artagnan. "E ad

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ogni modo raggiungeremo la carrozza e stermineremoquelli che vi sono dentro. Saranno tanti nemici di meno.""Ha ragione" disse Porthos "bisogna pure provare lenostre armi." "Be'! Prendiamoci questo piacere" disseAramis con la sua aria più noncurante. "Come vorrete"concluse Athos. "Signori" disse d'Artagnan "sono le quattroe mezzo e non abbiamo tempo da perdere, se vogliamoessere alle sei sulla via di Chaillot." "E se usciremo troppotardi" disse Porthos "non ci vedremmo più e sarebbe unpeccato. Andiamo dunque a prepararci, signori." "Ma voidimenticate la seconda lettera" disse Athos "eppure misembra che questo sigillo indichi che essa merita diessere aperta. Quanto a me, mio caro d'Artagnan, dichiaroche mi dà più preoccupazioni del gentil bigliettino cheavete delicatamente fatto scivolare sul vostro cuore."D'Artagnan arrossì e disse: "Ebbene, vediamo, signori,che cosa vuole da me Sua Eminenza." E il giovanotto aprìla lettera e lesse: "Il signor d'Artagnan, guardia del Re nellacompagnia del signor Des Essarts, è aspettato al PalazzoCardinale questa sera alle otto. La Houdinière Capitanodelle Guardie." "Diavolo! Ecco un appuntamento ben piùinquietante dell'altro" osservò Athos. "Andrò al secondodopo esser stato al primo" disse d'Artagnan. "L'uno è perle sette, l'altro per le otto, ci sarà tempo per tutto." "Io nonandrei" disse Aramis; "un cavaliere cortese non puòmancare all'appuntamento fissatogli da una signora; ma ungentiluomo prudente può trovar delle scuse per non andareda Sua Eminenza, specialmente se ha qualche ragione dicredere che non lo si cerchi per fargli dei complimenti." "Io

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sono dell'opinione di Aramis" disse Porthos. "Signori"rispose d'Artagnan "ho già ricevuto una volta dal signor diCavois un simile invito a nome di Sua Eminenza, l'hotrascurato e il giorno dopo mi è accaduta una grandedisgrazia. Costanza è scomparsa; checché possaaccadere, andrò." "Se è una risoluzione presa" disseAthos "fate pure." "Ma la Bastiglia?" disse Aramis. "Bah!me ne farete uscire" riprese d'Artagnan. "Certo" risposeroAramis e Porthos con una sicurezza mirabile e come se sitrattasse della più semplice delle cose "certo, noi ve nefaremo uscire; ma nel frattempo, visto che dobbiamopartire dopodomani, mi pare che fareste meglio a noncorrere il rischio di esserci rinchiuso." "Facciamo di più"disse Athos "non lo abbandoniamo per tutta la sera,aspettiamo ciascuno a una porta del palazzo con tremoschettieri dietro di noi; se vediamo uscire qualchecarrozza solo per metà sospetta, le piomberemo addosso.E' un pezzo che non attacchiamo briga con le guardie dimonsignor Cardinale, e il signor di Tréville deve credercimorti." "Decisamente" disse Aramis "voi eravate fatto peressere generale d'esercito; che cosa pensate di questopiano, signori?" "Splendido!" ripeterono in coro igiovanotti. "Ebbene" disse Porthos "corro a Palazzo eprevengo i nostri camerati di tenersi pronti per le otto;l'appuntamento sarà sulla piazza del Palazzo Cardinale;voi, nel frattempo, fate sellare i cavalli per i domestici." "Maio non ho cavallo" osservò d'Artagnan "ne manderò aprendere uno dal signor di Tréville." "E' inutile" disseAramis "ne prenderete uno dei miei." "Quanti ne avete?"

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chiese d'Artagnan. "Tre" rispose sorridendo Aramis. "Caromio" osservò Athos "siete il poeta meglio equipaggiato diFrancia e di Navarra." "Sentite, caro Aramis, di tre cavallinon saprete che farne, non è vero? Non capisco neppureperché li abbiate comperati." "Infatti ne avevo comperatidue soli" disse Aramis. "Il terzo vi è dunque caduto dalcielo?" "No, il terzo mi è stato portato stamane da un servosenza livrea, che non ha voluto dire in che casa serviva edha affermato di aver ricevuto l'ordine dal suo padrone…""O dalla sua padrona" interruppe d'Artagnan. "La cosa noncambia per questo" continuò Aramis arrossendo… "haaffermato di aver ricevuto l'ordine dalla sua padrona dimettere il cavallo nella mia scuderia senza dire chi lomandava." "Solo ai poeti capitano certe cose" osservòAthos gravemente. "Allora combiniamo per il meglio" dissed'Artagnan. "Quale dei due cavalli monterete voi, quelloche avete comperato o quello che vi è stato regalato?""Quello che mi è stato regalato, senza dubbio… capirete,d'Artagnan, che non posso fare una tale ingiuria…" "Aldonatore sconosciuto" continuò d'Artagnan. "O alladonatrice misteriosa" commentò Athos. "Quindi quello cheavete comperato non vi serve." "Pressappoco." "E l'avetescelto voi stesso?" "E con la massima cura; la sicurezzadel cavaliere, voi lo sapete, è quasi sempre affidata alcavallo." "Ebbene, cedetemelo per il prezzo che vi costa.""Stavo per offrirvelo, caro d'Artagnan, lasciandovi tutto iltempo che vi sarà necessario per pagarmelo." "Quanto vicosta?" "Ottocento lire." "Eccovi quaranta doppie pistole"disse d'Artagnan levando la somma dalla tasca "so che è

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la moneta con la quale vi pagano i vostri poemi." "Allorasiete in fondi?" osservò Aramis. "Sono ricco, ricchissimo,mio caro!" E d'Artagnan fece risuonare nella tasca il restodelle pistole. "Mandate la vostra sella al palazzo deiMoschettieri e il vostro cavallo sarà condotto qui insiemecon i nostri." "Benissimo, ma spicciamoci, sono tra poco lecinque." Un quarto d'ora dopo, Porthos apparve a unangolo della via Féroux sopra un bellissimo ginnetto,Mousqueton lo seguiva sopra un cavallo d'Alvernia,piccolo, ma solido. Porthos raggiava di gioia e d'orgoglio.Nello stesso tempo, Aramis spuntò all'altro angolo dellastrada cavalcando un superbo cavallo inglese; dietro di luiveniva Bazin sopra un roano, tenendo a mano un vigorosomecklenburghese: era il cavallo di d'Artagnan. I duemoschettieri s'incontrarono alla porta: Athos e d'Artagnan liguardavano dalla finestra. "Diavolo!" esclamò Aramis"avete un magnifico cavallo, mio caro Porthos." "Sì"rispose Porthos "è quello che doveva essermi mandato sindal principio, ma il marito volle fare uno scherzo di cattivogenere e lo scambiò con l'altro; però il marito è stato punitoe ho ottenuto tutte le soddisfazioni che desideravo."Planchet e Grimaud apparvero allora a loro volta tenendoper mano le cavalcature dei loro padroni; d'Artagnan eAthos discesero e balzarono in sella: Athos sul cavallo chedoveva a sua moglie, Aramis su quello che doveva alla suaamante, Porthos su quello che doveva alla procuratrice ed'Artagnan su quello offertogli dalla fortuna, la miglioredelle amanti. I domestici li seguirono. Come Porthos avevaprevisto, la cavalcata fece un ottimo effetto, e se la signora

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Coquenard si fosse trovata sulla strada di Porthos eavesse potuto ammirare l'aria marziale e imponente ch'egliaveva sul suo bel ginnetto di Spagna, non avrebbe certorimpianto il salasso che aveva fatto nella cassaforte delmarito. Vicino al Louvre, i quattro giovani incontrarono ilsignor di Tréville che tornava da Saint-Germain; egli lifermò al fine di complimentarli per i loro equipaggiamenti;questo bastò perché un centinaio di fannulloni in un attimosi aggruppassero. D'Artagnan approfittò della circostanzaper parlare al signor di Tréville della lettera recante ilgrande sigillo rosso e le armi ducali; resta inteso chedell'altra non fece parola. Il signor di Tréville approvò ladecisione ch'egli aveva preso e lo assicurò che, se ilgiorno dopo egli non fosse riapparso, lo avrebbe saputoritrovare dovunque fosse. In quel momento l'orologio dellaSamaritana suonò le sei e i quattro amici, col pretesto diun appuntamento, presero congedo dal signor di Tréville.Un tempo di galoppo li portò sulla strada di Chaillot; la lucecominciava a decrescere, le vetture passavano eripassavano, d'Artagnan, qualche passo più avanti dei suoiamici, scrutava fino in fondo alle carrozze e non vi scorgevaalcun volto di sua conoscenza. Infine, dopo un quarto d'oradi attesa, e quando il crepuscolo era quasi completamentecalato, apparve una vettura che veniva dalla via di Sèvres agran galoppo; un presentimento avvertì d'Artagnan che inquella carrozza era la persona che gli aveva datol'appuntamento; il giovanotto si stupì di sentire il suo cuorebattere tanto violentemente. Nello stesso tempo una testadi donna si sporse dal finestrino, tenendo due dita sulla

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bocca come per raccomandare il silenzio o per mandareun bacio; d'Artagnan gettò un leggero grido di gioia: quelladonna, o piuttosto quell'apparizione (perché la vettura erapassata con la rapidità di una visione) era la signoraBonacieux. Per un moto involontario, e dimenticando laraccomandazione che gli era stata fatta, d'Artagnan lanciòil suo cavallo al galoppo e in breve raggiunse la carrozza;ma il vetro dello sportello era stato chiuso ermeticamente ela visione era scomparsa. D'Artagnan si ricordò alloraquesta raccomandazione: "Se tenete alla vostra vita e aquella di coloro che vi amano, non vi muovete, fate comese non aveste visto nulla". Si fermò quindi tutto tremante,non per lui, ma per la povera donna che evidentementes'era esposta a un grave pericolo dandogliquell'appuntamento. La vettura continuò la sua strada agrande velocità, penetrò in Parigi e disparve. D'Artagnan,interdetto e immobile, non sapeva che cosa pensare. Seera la signora Bonacieux e se essa tornava a Parigi,perché quell'appuntamento di sfuggita, perché quelsemplice scambio di occhiate, perché quel bacio perduto?Se, d'altra parte, non era lei, e anche questo poteva esseregiacché la poca luce che restava rendeva possibile unerrore, se non era lei, non poteva darsi che questo fossel'inizio di un tranello preparato valendosi dell'esca di quelladonna che notoriamente egli amava? I tre compagni loraggiunsero; tutti e tre avevano visto una testa apparire allosportello, ma nessuno di loro, eccettuato Athos, conoscevala signora Bonacieux. L'opinione di Athos fu, ad ognimodo, che si trattasse proprio di lei, ma, meno

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preoccupato di d'Artagnan per quel grazioso visetto, avevacreduto di notare una seconda testa, cioè una testad'uomo. in fondo alla carrozza. "Se questo è vero" dissed'Artagnan "la trasportavano certamente da una prigioneall'altra. Ma che vogliono dunque fare di quella poveracreatura e come potrò mai ritrovarla?" "Amico" disseseriamente Athos "ricordatevi che i morti sono i soli chenoi non siamo esposti a incontrare su questa terra. Voi nesapete qualche cosa come me, d'altronde, non è vero?Perciò, se la vostra amante non è morta, se è lei quella cheabbiamo visto or ora, la ritroverete un giorno o l'altro. Eforse, mio Dio!" aggiunse con l'accento da misantropo chegli era peculiare "la vedrete più presto di quanto vorreste."Suonarono le sette e mezzo, la carrozza era in ritardo d'unaventina di minuti sull'appuntamento fissato. Gli amici did'Artagnan gli ricordarono che aveva una visita da fare, purfacendogli osservare ch'era ancora in tempo perrinunciarvi. Ma d'Artagnan era testardo e curioso allostesso tempo. Si era messo in testa di andare a PalazzoCardinale e di sapere che cosa volesse dirgli SuaEminenza. Nulla avrebbe potuto mutare la sua decisione.Arrivarono in via Sant'Onorato, in piazza del PalazzoCardinale, e trovarono i dodici moschettieri che liattendevano passeggiando. Soltanto qui venne spiegatoloro di che si trattasse. D'Artagnan era molto conosciutodall'onorevole corpo dei moschettieri del Re, nel quale sisapeva che prima o poi avrebbe preso il proprio posto;egli era dunque trattato in anticipo come un camerata. Daciò risultò che ciascuno di essi accettò con tutto il cuore la

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missione per cui era stato scelto; d'altronde, secondo ogniprobabilità, si trattava di giocare qualche brutto tiro amonsignor Cardinale e ai suoi accoliti e per questo generedi spedizioni, quei bravi gentiluomini erano sempre pronti.Athos li divise in tre gruppi: prese il comando di uno diessi, diede il secondo ad Aramis ed il terzo a Porthos, poiogni gruppo andò a imboscarsi di fronte a una delle uscite.D'Artagnan, dal canto suo, entrò coraggiosamente dallaporta principale. Sebbene si sentisse protetto validamente,salendo lo scalone il giovanotto non era senzainquietudine. La sua condotta con Milady somigliava assaida vicino a un tradimento, ed egli sospettava le relazionipolitiche che esistevano tra quella donna e il Cardinale;inoltre, di Wardes era uno dei fedeli di Sua Eminenza, ed'Artagnan sapeva che, se Sua Eminenza era terribile coinemici, era molto affezionato agli amici. ?Se di Wardes haraccontato il nostro incontro al Cardinale, e non c'è dadubitarne, e se mi ha riconosciuto, il che è molto probabile,io debbo considerarmi pressappoco come un uomocondannato' diceva d'Artagnan scotendo il capo. 'Maperché ha aspettato proprio oggi? Forse perché Miladysarà ricorsa al Cardinale con quella dolcezza ipocrita chela rende così interessante e quest'ultimo delitto avrà fattotraboccare il vaso.' 'Fortunatamente' aggiunse 'i miei buoniamici sono qui presso e non mi lasceranno condurre incarcere senza difendermi. Tuttavia, la compagnia deimoschettieri del signor di Tréville non può da sola far laguerra al Cardinale che dispone delle forze di tutta laFrancia e davanti al quale la Regina è senza potere e il Re

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senza volontà. D'Artagnan, amico mio, tu sei coraggioso,tu hai delle grandi qualità, è vero, ma le donne tiperderanno.' Era giunto a questa triste conclusione quandoentrò nell'anticamera. Consegnò la lettera all'usciere diservizio che lo fece entrare nella sala d'attesa; dopo di chesi allontanò nell'interno del palazzo. Nella sala d'attesac'erano cinque o sei guardie del Cardinale che,riconosciuto d'Artagnan e sapendo che era stato lui a ferireJussac, lo guardarono con uno strano sorriso. Quel sorrisoparve a d'Artagnan di cattivo augurio; però, siccome ilnostro Guascone non si lasciava intimidire facilmente omeglio, per effetto dell'orgoglio naturale nella gente del suopaese, non lasciava agevolmente supporre ciò che glipassava nell'animo, specialmente se somigliante al timore,egli si piantò fieramente davanti alle guardie e attese conuna mano sul fianco, in un atteggiamento che non mancavadi maestà. L'usciere entrò e fece segno a d'Artagnan diseguirlo; sembrò al giovanotto che le guardie, seguendolocon gli occhi mentre si allontanava, parlottassero tra loro.Egli percorse un corridoio, attraversò un salone, entrò inuna biblioteca e si trovò in faccia a un uomo che, seduto aduno scrittoio, era intento a scrivere. L'usciere non appenalo ebbe fatto entrare, si ritirò senza parlare. D'Artagnanrestò in piedi ed esaminò l'uomo. Sulle prime, credette diavere a che fare con qualche giudice intento a esaminarel'incartamento che lo riguardava, poi notò che l'uomoseduto allo scrittoio scriveva o meglio correggeva dellelinee di lunghezza ineguale e scandiva le parole sulle dita;capì quindi di aver a che fare con un poeta. Dopo un

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istante, il poeta chiuse il manoscritto, sulla copertina delquale si leggeva: MIRAME - tragedia in cinque atti[30], ealzò la testa. D'Artagnan riconobbe il Cardinale.

Capitolo 40 IL CARDINALE

Il Cardinale appoggiò il gomito sul manoscritto e la guanciasulla mano, poi guardò per un attimo il giovanotto. Nessunoaveva un occhio più profondamente penetrante di quello diRichelieu, e d'Artagnan sentì quello sguardo trascorrereper tutte le sue vene come una febbre. Purtuttavia rimaseimpassibile tenendo il cappello in mano, attendendo, senzatroppo orgoglio ma anche senza umiltà, che il Cardinale glirivolgesse la parola. "Signore" gli disse il Cardinale "sietevoi un d'Artagnan del Bearn?" "Si, Monsignore" rispose ilgiovanotto. "Vi sono molti rami di d'Artagnan a Tarbes enei dintorni" disse il Cardinale "a quale appartenete?""Sono il figlio di colui che fece le guerre religiose col granre Enrico, padre di Sua Graziosa Maestà." "Proprio così. Esiete voi che sette od otto mesi fa lasciaste il vostro paeseper venire a Parigi a cercar fortuna?" "Sì, Monsignore.""Siete venuto passando da Meung, dove vi capitò qualchecosa, non so bene che cosa, ma, infine, qualche cosa dispiacevole." "Monsignore" disse d'Artagnan "ecco quelche mi capitò…" "Inutile, inutile" disse il Cardinale con unsorriso che dimostrava come egli sapesse la cosa cosìbene come colui che voleva raccontargliela "voi eravate

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raccomandato al signor di Tréville, è vero?" "Sì,Monsignore, ma proprio in quel disgraziato incidente diMeung…" "Perdeste la lettera" terminò Sua Eminenza "sì,lo so; ma il signor di Tréville, che è un buon fisionomista eche conosce gli uomini a prima vista, vi fece entrare nellacompagnia di suo cognato il signor Des Essarts e vi lasciòsperare di farvi entrare, un giorno o l'altro, neimoschettieri." "Monsignore è perfettamente informato"osservò d'Artagnan. "Da allora vi sono capitate molte cose;siete andato a passeggiare dietro i Certosini un giorno incui sarebbe stato meglio che foste da tutt'altra parte; poi,insieme con i vostri amici, avete fatto un viaggio alle acquedi Forges; essi si fermarono lungo la strada, ma voicontinuaste il viaggio per la semplicissima ragione cheavevate degli affari da sbrigare in Inghilterra.""Monsignore" mormorò d'Artagnan interdetto "andavo…""A caccia, a Windsor o altrove, ciò non mi riguarda. Lo so,perché nella posizione in cui sono, debbo saper tutto. Alvostro ritorno foste ricevuto da un'augusta persona e vedocon piacere che avete serbato il ricordo ch'ella vi hadonato." D'Artagnan portò la mano al diamante ricevutodalla Regina e fu pronto a voltarne il costone all'interno, maormai era troppo tardi. "Il giorno dopo" continuò ilCardinale "avete ricevuto la visita di Cavois, che veniva apregarvi di recarvi al mio palazzo; voi non gli avete reso lavisita, e avete avuto torto." "Monsignore, credevo di esseredispiaciuto a Vostra Eminenza." "E perché, signore?Spiacermi per avere eseguito gli ordini dei vostri superioricon più intelligenza e coraggio di qualunque altro?

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Spiacermi quando meritavate degli elogi? Io puniscocoloro che non obbediscono e non coloro che, come voi,obbediscono… troppo bene. E, in prova di ciò, vi prego diricordare la data del giorno in cui vi feci dire di venire dame e cercate di richiamare alla memoria ciò che vi capitòla stessa sera." Proprio in quella sera era stata rapita lasignora Bonacieux. D'Artagnan fremette pensando cheappena mezz'ora prima la povera donna gli era passatavicina sempre in balìa, probabilmente, della stessa potenzache l'aveva fatta sparire. "Infine" continuò il Cardinale"siccome da un poco in qua non avevo sentito parlare divoi, ho voluto sapere ciò che facevate. D'altronde, voi midovete bene qualche ringraziamento, poiché non potetenon aver notato con quanti riguardi siete stato trattato inogni circostanza." D'Artagnan s'inchinò rispettosamente."E questo" continuò il Cardinale "dipendeva non soltantoda un naturale senso di equità, ma anche da un piano cheio mi ero tracciato nei vostri riguardi." Il giovanotto erasempre più stupito. "Volevo esporvi questo piano il giornoin cui riceveste il mio primo invito, ma voi non veniste.Fortunatamente, nulla è andato perduto per questo ritardoe oggi lo sentirete. Sedetevi qui, davanti a me, signord'Artagnan; siete nobile abbastanza perché non dobbiateascoltarmi stando in piedi." E il Cardinale indicò una sediaal giovanotto, il quale era così stupito di ciò che accadevache, per obbedire, attese un secondo segno del suointerlocutore. "Voi siete coraggioso, signor d'Artagnan"continuò Sua Eminenza "voi siete prudente, il che è meglio.Io amo gli uomini intelligenti e di cuore; non spaventatevi"

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aggiunse sorridendo "quando dico uomini di cuore, vogliodire coraggiosi; ma, sebbene siate giovanissimo e allevostre prime armi, voi avete dei nemici assai potenti; senon starete in guardia, essi vi perderanno." "Ahimè,Monsignore" rispose il giovinotto "essi potranno farlo moltofacilmente, senza dubbio, perché sono forti, hanno moltiappoggi, e io sono solo!" "E' vero; ma sebbene siate solo,molto avete fatto e di più farete, non ne dubito. Però credoche abbiate bisogno d'esser guidato nell'avventurosacarriera che avete scelto; perché, se non m'inganno, sietevenuto a Parigi con l'ambiziosa idea di far fortuna." "Sononell'età delle folli speranze, Monsignore" disse d'Artagnan."Solo per gli sciocchi vi sono folli speranze, signore, e voisiete un uomo di spirito. Vediamo, che cosa direste peresempio se vi dessi un grado nelle mie guardie; e ilcomando di una compagnia, subito dopo la guerra?" "Ah,Monsignore!" "Accettate, è vero?" "Monsignore!" ripetéd'Artagnan con imbarazzo. "Come, rifiutate?" esclamò ilCardinale meravigliato. "Sono nelle guardie di SuaMaestà, Monsignore, e non ho ragione di essernescontento." "Mi sembra" disse Sua Eminenza "che le mieguardie siano anche le guardie del Re; e che servendo inqualunque compagnia francese, si serva il Re.""Monsignore, Vostra Eminenza ha male interpretato le mieparole." "Volete un pretesto, è vero? Capisco. Ebbene,questo pretesto lo avete. L'avanzamento, la campagna chesi inizia, l'occasione che vi offro, ecco per il mondo, per voi,il bisogno di una protezione sicura; perché è benesappiate, signor d'Artagnan, che ho ricevuto delle gravi

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lagnanze sul conto vostro; voi non consacrate i vostri giornie le vostre notti all'esclusivo servizio del Re." D'Artagnanarrossì. "D'altronde" continuò il Cardinale posando le manisopra un mucchio di carte "ho qui tutto un incartamento chevi riguarda; ma prima di leggerlo ho voluto parlare con voi.So che siete un uomo risoluto e i vostri servigi, ben diretti,anziché guidarvi al male, potrebbero procurarvi grandivantaggi. Suvvia, riflettete e decidetevi." "La vostra bontàmi confonde, Monsignore" rispose d'Artagnan "e riconoscoin Vostra Eminenza una grandezza d'animo che mi rendepiccolo come un verme della terra; ma poiché Monsignorevuol permettermi di parlare con franchezza…" D'Artagnansi arrestò. "Parlate, parlate." "Ebbene, dirò a VostraEminenza che tutti i miei amici sono nei moschettieri onelle guardie del Re, e che i miei nemici, perun'inspiegabile fatalità, sono nelle guardie dell'EminenzaVostra; sarei dunque male accolto qui e malvisto là seaccettassi ciò che Monsignore mi offre." "Avreste forse giàl'orgogliosa idea che io non vi stimi per quel che valete,signore?" disse il Cardinale con un sorriso sdegnoso."Vostra Eminenza è cento volte troppo buono con me e, alcontrario, io penso di non aver fatto ancora abbastanza permeritare la sua bontà. L'assedio di La Rochelle sta percominciare, Monsignore; servirò dunque sotto gli occhi diVostra Eminenza e se avrò la fortuna di comportarmi inmodo degno di attirare i suoi sguardi, ebbene!, dopo avròper lo meno dietro di me qualche azione brillante chegiustificherà la protezione della quale l'Eminenza Vostravuole onorarmi. Ogni cosa a suo tempo, Monsignore; forse

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più tardi avrò il diritto di far dono di me stesso, ora sidirebbe che mi vendo." "Vale a dire che rifiutate diservirmi, signore" disse il Cardinale con un dispettoattraverso il quale trapelava tuttavia una certa stima"rimanete dunque libero e siate costante nei vostri odi enelle vostre simpatie." "Monsignore…" "Bene, bene"continuò il Cardinale "non ve ne serbo rancore; lo capite, ègià abbastanza faticoso difendere i propri amici ericompensarli, perché ci si debba occupare anche deinemici; tuttavia voglio darvi un consiglio: comportatevibene, signor d'Artagnan, perché dal momento che non viproteggerò più, non comprerei la vostra vita per un obolo.""Mi sforzerò, Monsignore" assicurò il Guascone con nobilefierezza. "E più tardi, se dovesse capitarvi qualchedisgrazia" disse Richelieu con intenzione "ricordatevi chesono stato io a provocare questo incontro e che ho fattotutto il possibile perché questa disgrazia non vi colpisse.""Qualunque cosa mi capiti" esclamò d'Artagnanmettendosi una mano sul petto e inchinandosi "serberòeterna riconoscenza a Vostra Eminenza per quanto hafatto in questo momento per me." "Ebbene, ci rivedremodopo la guerra, come avete detto voi stesso, signord'Artagnan; vi osserverò attentamente, perché anch'io saròlaggiù" soggiunse il Cardinale indicando una magnificaarmatura che doveva indossare "e al nostro ritorno,ebbene, faremo i conti." "Ah! Monsignore, ve ne scongiuro,risparmiatemi il peso del vostro corruccio; rimaneteneutrale, Monsignore, se vi pare che io agisca dagalantuomo." "Giovanotto" disse Richelieu "se mi si

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presenterà l'occasione di ripetervi ciò che vi ho detto oggi,lo farò, ve lo prometto." Quest'ultima frase di Richelieuesprimeva un dubbio terribile; era un avvertimento ed'Artagnan ne fu costernato più che da una minaccia. IlCardinale cercava dunque di preservarlo da qualchesciagura che lo minacciava? Aprì la bocca per rispondere,ma con un gesto altero il Cardinale lo congedò. D'Artagnanuscì ma alla porta per poco il cuore non gli mancò e fu lì perrientrare; ma la figura grave e severa di Athos gli apparve:se avesse stretto il patto che il Cardinale gli proponeva,Athos non gli avrebbe mai più stretto la mano, Athos loavrebbe rinnegato. Fu questo timore a trattenerlo, il chedimostra quale possente influenza eserciti un carattereveramente nobile su tutti coloro che lo circondano.D'Artagnan scese la stessa scala che aveva salitoentrando e trovò sulla porta Athos e i quattro moschettieriche aspettavano il suo ritorno e cominciavano a essereinquieti. Con una parola d'Artagnan li rassicurò e Planchetcorse ad avvertire gli altri posti che era inutile montareulteriormente la guardia, poiché il suo padrone era uscitosano e salvo dal Palazzo Cardinale. Tornati a casa diAthos, Aramis e Porthos s'informarono delle cause diquello strano appuntamento; ma d'Artagnan si limitò a dirloro che Richelieu lo aveva fatto chiamare per proporgli dientrare nelle sue guardie col grado di alfiere, e che avevarifiutato. "E avete fatto bene" esclamarono a una vocePorthos e Aramis. Athos si immerse in una profondafantasticheria e non rispose nulla; ma quando si trovò solocol suo giovane amico, disse: "Voi avete fatto ciò che

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dovevate fare; ma forse avete fatto male." D'Artagnansospirò perché quella voce rispondeva a una voce segretadella sua anima, la quale lo avvertiva che dovevaprepararsi a grandi disgrazie. Il giorno dopo passò inpreparativi per la partenza; d'Artagnan andò a salutare ilsignor di Tréville. Si credeva che la separazione delleguardie dai moschettieri sarebbe stata momentaneaperché il Re teneva parlamento quello stesso giorno edoveva partire il dì seguente. Il signor di Tréville si limitòdunque a chiedere a d'Artagnan se avesse bisogno di lui,ma d'Artagnan rispose fieramente che aveva tutto quantogli occorreva. La notte riunì tutti i camerati della compagniadelle guardie del signor Des Essarts e della compagniadei moschettieri del signor di Tréville che avevano strettoamicizia fra loro. Si separavano per rivedersi quandopiacesse a Dio e se piacesse a Dio. La notte, com'è facileimmaginare, trascorse quindi assai rumorosamenteperché in simili casi non c'è altro mezzo per combatterel'estrema preoccupazione che l'estrema spensieratezza. Ilgiorno dopo, ai primi squilli delle trombe, gli amici silasciarono; i moschettieri corsero al palazzo del signor diTréville, le guardie a quello del signor Des Essarts. Ilcapitano condusse le loro compagnie al Louvre e il Re lepassò in rivista. Il Re era triste e pareva malato, il che glitoglieva un po' della sua grande aria abituale. Infatti, ilgiorno prima era stato assalito dalla febbre, in parlamento,mentre teneva il suo letto di giustizia[31]. Però eraugualmente risoluto a partire quella stessa sera e,nonostante le osservazioni fattegli in proposito, aveva

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voluto passare la rivista, sperando, con una prima energicareazione, di riuscire a vincere il male che stavaimpadronendosi di lui. Finita la rivista, solo le guardie simisero in marcia, perché i moschettieri dovevano partiresoltanto col Re, il che permise a Porthos di andare a fareun giretto in Via degli Orsi col suo magnifico equipaggio.La procuratrice lo vide passare, vestito della sua nuovauniforme, sul suo bel cavallo. Essa amava troppo Porthosper lasciarlo partire così; gli fece segno di scendere dacavallo e di andare da lei. Porthos era magnifico; i suoisperoni tintinnavano, la sua corazza scintillava, la spada glibatteva fieramente sulle gambe. Questa volta gli scrivaninon tentarono neppure di sorridere, tanto Porthos aveval'aria di un uomo abituato a tagliare le orecchie agliinsolenti. Il moschettiere fu introdotto alla presenza dimastro Coquenard, e l'occhio piccolo e grigio di questiebbe un lampo di collera vedendo suo cugino così nuovo efiammante. Però un pensiero recondito lo racconsolò unpoco; tutti dicevano che la guerra sarebbe stata lunga edifficile, ed egli sperava con tutto il cuore che Porthos ciavrebbe lasciato la pelle. Porthos presentò i suoicomplimenti a mastro Coquenard e gli fece i suoi saluti;mastro Coquenard gli augurò ogni specie di prosperità.Quanto alla signora Coquenard, ella non seppe trattenerele lacrime; ma anche questo sfogo del suo dolore non fececattiva impressione, perché si sapeva che ella amavamolto i suoi parenti, per i quali si era sempre accapigliatamolto col marito. I veri addii però furono fatti nella cameradella signora Coquenard; e furono strazianti. Finché la

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procuratrice poté scorgere il suo amante, agitòdisperatamente il fazzoletto sporgendosi dalla finestra.Porthos ricevette tutte queste prove di tenerezza da uomoabituato a simili dimostrazioni; solamente, allorché fuall'angolo della strada, si tolse il cappello e lo agitò in ariain segno di saluto. Aramis, dal canto suo, scriveva unalunga lettera. A chi? Nessuno lo avrebbe potuto dire. Manella camera vicina, Ketty, che doveva partire la stessasera per Tours, aspettava questa lettera misteriosa. Athosbeveva a piccoli sorsi l'ultima bottiglia del suo vino diSpagna. Nel frattempo d'Artagnan sfilava con la suacompagnia. Arrivato al sobborgo Sant'Antonio, si volse perguardare allegramente la Bastiglia; ma poiché guardavasoltanto la Bastiglia, non vide Milady che, in sella a uncavallo di color isabella, lo indicava col dito a due uominidal viso sinistro che si avvicinarono immediatamente alreparto per riconoscerlo. A un'interrogazione che rivolserocon lo sguardo a Milady, essa con un cenno del capo fececapire che era proprio lui. Poi, ben certa che non visarebbero stati errori nell'esecuzione dei suoi ordini,spronò il cavallo e disparve. I due uomini seguirono lacompagnia, e una volta usciti dal sobborgo Sant'Antonio,salirono su due cavalli già sellati che un domestico senzalivrea teneva per le briglie aspettandoli.

Capitolo 41 L'ASSEDIO DI LA ROCHELLE

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L'assedio di La Rochelle fu uno dei grandi avvenimentipolitici del regno di Luigi Tredicesimo e una delle grandiimprese militari del Cardinale. E' dunque interessante, anzinecessario, dirne qualche cosa, tanto più che molti episodidi questo assedio si collegano talmente alla storia chestiamo raccontando che non è possibile passarli sottosilenzio. I progetti politici del Cardinale quando intrapresequesto assedio erano notevoli. Diciamo subito qualifossero; dopo di che parleremo dei suoi progettiparticolari, che forse ebbero minore influenza sull'animo diSua Eminenza. Delle importanti città che Enrico Quartoaveva assegnato agli Ugonotti come piazze di sicurezza,non restava più che La Rochelle. Si trattava dunque didistruggere quest'ultimo baluardo del calvinismo, lievitopericoloso, al quale si mischiavano continuamente fermentidi rivolta civile o di guerre con lo straniero. Spagnoli,Inglesi, Italiani scontenti, avventurieri di tutte le nazioni,soldati di ventura di tutte le sette, accorrevano al primorichiamo sotto le bandiere dei protestanti e siorganizzavano come una vasta associazione i cui ramidivergevano comodamente su tutti i punti d'Europa. LaRochelle, che aveva assunto una nuova importanza pereffetto della rovina delle altre città calviniste, era dunque ilfocolare di ogni opposizione e di ogni ambizione. C'era dipiù: il porto era l'ultimo del regno di Francia ancora apertoagli Inglesi. Chiudendolo all'Inghilterra, nostra eternanemica, il Cardinale compiva l'opera di Giovanna d'Arco edel duca di Guisa. Così Bassompierre, che era insiemeprotestante e cattolico, protestante per convinzione e

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cattolico in qualità di Commendatore dello Spirito Santo;Bassompierre che era tedesco di nascita e francese disentimento; Bassompierre, infine, che aveva un comandoparticolare all'assedio di La Rochelle, caricando alla testadi molti signori, protestanti come lui, diceva: "Vedrete,signori, che saremo così idioti da prendere La Rochelle!" EBassompierre aveva ragione; il cannoneggiamentodell'isola di Ré gli annunciava le dragonnades[32] delleCévennes: la presa di La Rochelle era la prefazione dellarevoca dell'editto di Nantes[33]. Ma, come abbiamo detto,accanto a queste grandi vedute del ministro livellatore esemplificatore, che appartengono alla storia, il cronista ècostretto ad affiancare le piccole mire dell'innamorato e delrivale geloso. Richelieu, come ognun sa, era statoinnamorato della Regina; noi non potremmo dire se questoamore avesse in lui uno scopo politico o se fossesemplicemente una di quelle profonde passioni chesuscitava Anna d'Austria in coloro che l'avvicinavano; ma,in ogni caso, noi abbiamo visto, grazie agli sviluppianteriori di questa storia, che Buckingham aveva avuto ilsopravvento su di lui, e che in due o tre circostanze.specialmente in quella dei fermagli, grazie alla fedeltà deitre moschettieri e al coraggio di d'Artagnan, egli lo avevacrudelmente mistificato. Per Richelieu si trattava dunque,non soltanto di liberare la Francia da un nemico, ma divendicarsi di un rivale; d'altra parte, la vendetta dovevaessere grande e clamorosa, degna in tutto di un uomo chetiene in pugno, come spada di combattimento, le forze ditutto un regno. Richelieu sapeva che combattendo

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l'Inghilterra, combatteva Buckingham, che trionfandodell'Inghilterra, avrebbe trionfato di Buckingham; e che,infine, umiliando l'Inghilterra agli occhi dell'Europa, avrebbeumiliato Buckingham agli occhi della Regina. Da parte sua,Buckingham anche parlando solamente dell'onoredell'Inghilterra, era mosso da interessi assolutamente similia quelli del Cardinale; anche Buckingham perseguiva unavendetta personale; poiché con nessun pretesto erariuscito a rientrare in Francia come ambasciatore, eglivoleva tornarvi come conquistatore. Ne risulta quindi che lavera posta di questa partita, che i due regni più potentid'Europa giocavano per capriccio di due uominiinnamorati, era un semplice sguardo di Anna d'Austria. Ilprimo vantaggio era stato per il duca di Buckingham;arrivato improvvisamente con novanta navi e circaventimila uomini in vista dell'isola di Ré, aveva preso disorpresa il conte di Toiras che comandava per il Renell'isola, e, dopo un combattimento sanguinoso, avevaoperato lo sbarco. Diciamo, incidentalmente, che nelcombattimento era perito il barone di Chantal che lasciavaorfana una figlioletta di diciotto mesi. Questa bimbadivenne più tardi la signora di Sévigné[34]. Il conte diToiras si ritirò con la sua guarnigione nella cittadella di SanMartino e lasciò un centinaio d'uomini in un piccolo forteche si chiamava forte della Prée. Questo episodio avevaaffrettato le decisioni del Cardinale: e in attesa che il Re edegli stesso potessero assumere il comando dell'assedio diLa Rochelle, ormai deciso, egli aveva fatto partireMonsieur per dirigere le prime operazioni e aveva fatto

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affluire verso il teatro della guerra tutte le truppe di cuipoteva disporre. Il nostro amico d'Artagnan faceva parte diuno di questi distaccamenti d'avanguardia. Come abbiamodetto, il Re doveva seguirli non appena avesse tenuto illetto di giustizia; ma, levandosi da questo letto di giustizia,il 23 di giugno, si era sentito preso dalla febbre, tuttaviaaveva voluto partire ugualmente, ma il suo stato,peggiorando, lo aveva costretto a fermarsi a Villeroi. Ora,dove si fermava il Re, si fermavano i moschettieri,dimodoché d'Artagnan, che era puramente esemplicemente nelle guardie, si trovò separato, almenomomentaneamente, dai suoi più cari amici Athos, Porthose Aramis; questa separazione, che non era se non unacontrarietà, si sarebbe cambiata in una seriapreoccupazione se avesse potuto supporre da qualipericoli sconosciuti era circondato. Tuttavia arrivò senzaalcuno spiacevole incidente al campo stabilito davanti a LaRochelle, verso il 10 settembre del 1627. Tutto era allostato primitivo: il duca di Buckingham e i suoi Inglesi,padroni dell'isola di Ré, assediavano ancora, ma senzasuccesso, la cittadella di San Martino e il forte della Prée, ele ostilità con La Rochelle erano cominciate da due o tregiorni provocate da un forte che il duca di Augoulemeaveva fatto costruire vicino alla città. Le guardie, sotto ilcomando del signor Des Essarts, avevano il loroalloggiamento ai Minimi. Ma, come sappiamo, d'Artagnan,tutto preso dall'ambizione di passare nei moschettieri,aveva fatto poca amicizia coi suoi camerati, quindi sitrovava isolato e abbandonato alle sue riflessioni. Le sue

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riflessioni non erano rosee: dall'anno in cui si trovava aParigi, s'era mischiato agli affari pubblici, ma i suoi affariprivati, sia che riguardassero la fortuna, sia cheriguardassero l'amore, non erano molto progrediti. Dalpunto di vista dell'amore, egli non aveva amato che lasignora Bonacieux e la signora Bonacieux era sparitasenza che ancora gli fosse riuscito di scoprire ciò che erastato di lei. Dal punto di vista della fortuna, si era fatto unnemico del Cardinale, vale a dire uomo davanti al qualetremavano i più grandi del regno, a cominciare dal Re.Quest'uomo poteva annientarlo e non l'aveva fatto; per unospirito perspicace qual era quello di d'Artagnan, questaindulgenza era il solo spiraglio dal quale potesse vedere unavvenire migliore. Per soprammercato si era fatto un altronemico, meno temibile, così pensava, ma cheistintivamente sentiva di non dover disprezzare: questonemico era Milady. In cambio di tutto questo egli si eraguadagnato la protezione e la benevolenza della Regina,ma la benevolenza della Regina era, coi tempi checorrevano, una ragione di più per essere perseguitati: e lasua protezione proteggeva assai male, come potevanotestimoniare Chalais e la signora Bonacieux. L'unicoguadagno indiscutibile che aveva ricavato da tutto ciò era ildiamante da cinque o seimila lire che aveva al dito; il qualediamante, supponendo che d'Artagnan, per i suoiambiziosi progetti, volesse serbarlo allo scopo diservirsene un giorno come segno di riconoscimentopresso la Regina, non aveva per il momento, poiché nonpoteva disfarsene, più valore d'uno di quei sassolini che

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smoveva coi piedi. Parliamo di sassolini che smoveva coipiedi, perché d'Artagnan faceva queste riflessionipasseggiando solo soletto lungo un grazioso sentiero checonduceva dal campo al villaggio d'Angoutin; ora, le sueriflessioni lo avevano portato più lontano di quanto nonvolesse, e cominciava a imbrunire, allorché a un ultimoraggio del sole che tramontava gli parve di veder brillare,dietro una siepe, la canna di un moschetto. D'Artagnanaveva l'occhio vivo e lo spirito pronto; capì che il moschettonon era venuto sin lì da solo e che colui che lo portava nonsi era nascosto dietro la siepe con intenzioni amichevoli.Risolvette dunque di prendere il largo, allorché dall'altrolato della strada, dietro una roccia, scorse l'estremità di unsecondo moschetto. Era ben chiaro che si trattava diun'imboscata. Il giovanotto gettò un'occhiata al primomoschetto e s'accorse con una certa inquietudine che siabbassava nella sua direzione, ma non appena vide che labocca della canna si immobilizzava, si gettò ventre a terra.Nello stesso tempo il colpo partì ed egli udì il fischio dellapalla che gli passava sul capo. Non c'era tempo daperdere, d'Artagnan si rialzò con un salto, e nello stessomomento la palla dell'altro moschetto fece volare i sassi nelpunto preciso in cui egli si era gettato a terra. D'Artagnannon era di quegli uomini inutilmente coraggiosi che vannoincontro a una ridicola morte affinché si dica che non hannoindietreggiato d'un passo; d'altra parte in questo caso nonsi trattava di coraggio, egli era caduto in un tranello. "Sec'è un terzo colpo" pensò "sono perduto!" E subito si dettea correre verso il campo con la celerità propria della gente

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del suo paese, ch'è rinomata per la sua agilità; ma perquanto rapida fosse la sua corsa, il primo che aveva tiratoe che aveva avuto il tempo di ricaricare l'arma, gli tirò unsecondo colpo così preciso, questa volta, che la palla gliattraversò il cappello e lo fece volare a dieci passi da lui.Tuttavia, siccome non aveva altri cappelli, d'Artagnanraccolse il suo sempre correndo, arrivò affannato epallidissimo al suo alloggiamento, sedette senza dir nulla anessuno e si mise a riflettere. Questo episodio potevaavere tre cause. La prima e la più naturale: un'imboscatadei Rochellesi, che non sarebbero stati scontenti diuccidere una delle guardie di Sua Maestà, prima di tuttoperché era un nemico di meno, poi perché questo nemicopoteva avere in tasca una borsa ben guarnita. D'Artagnanprese il suo cappello, guardò il foro della palla e scosse latesta. La palla non era una palla di moschetto: era unapalla d'archibugio; la giustezza del colpo gli aveva già fattopensare che si trattasse di un'arma speciale; non era unaimboscata militare, perché la palla non era di calibrogiusto. Poteva essere un buon ricordo del Cardinale. Illettore si ricorderà che nel momento in cui, grazie a quelbenedetto raggio di sole, aveva veduto brillare la cannadell'archibugio, d'Artagnan stava meravigliandosidell'indulgenza di Sua Eminenza a suo riguardo. Mad'Artagnan scosse la testa. Per coloro pei quali gli sarebbebastato stendere una mano, il Cardinale ricorrevararamente a simili mezzi. Poteva essere una vendetta diMilady: ciò era più probabile. Cercò inutilmente diricordare la fisionomia e le vesti degli assassini; ma si era

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allontanato da loro tanto rapidamente che non aveva avutoil tempo di notare nulla. "Ah, poveri amici miei!" mormoròd'Artagnan "dove siete? Come sento la vostra mancanza!"D'Artagnan passò una cattivissima notte. Tre o quattrovolte si svegliò di soprassalto, immaginando che un uomosi avvicinasse al suo letto per pugnalarlo. Ma il giornoapparve senza che l'oscurità avesse portato alcunincidente. Ma d'Artagnan pensava giustamente che ciòch'era differito non era perduto. D'Artagnan restò tutto ilgiorno nel suo alloggiamento; egli diede come scusa a sestesso che il tempo era cattivo. Il giorno dopo, alle nove, fubattuta l'adunata. Il duca d'Orléans visitava i posti. Leguardie corsero alle armi, d'Artagnan prese il suo posto frai suoi camerati. Monsieur passò sul fronte delloschieramento; poi tutti gli ufficiali superiori gli siavvicinarono per fargli la corte, e fra questi eranaturalmente il signor Des Essarts. Dopo un momentoparve a d'Artagnan che il signor Des Essarts gli facessesegno di avvicinarsi, ma attese un nuovo gesto del suosuperiore perché temeva d'essersi ingannato; il gesto siripeté ed egli abbandonò le file e si avanzò per prenderegli ordini. "Monsieur chiederà degli uomini di buona volontàper una missione pericolosa che farà onore a coloro che lacompiranno, vi ho fatto segno affinché vi teniate pronto.""Grazie, capitano!" rispose d'Artagnan che nondomandava di meglio che farsi notare dal luogotenente delgenerale. Durante la notte, infatti, i Rochellesi avevano fattouna sortita e avevano ripreso un bastione del qualel'esercito reale s'era impadronito due giorni prima; ora si

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trattava di fare una ricognizione perduta per accertarsi dicome fosse guardato questo bastione. Dopo pochi minutiinfatti, Monsieur alzò la voce e disse: "Per questaspedizione mi occorrerebbero tre o quattro volontariguidati da un uomo sicuro." "L'uomo sicuro l'ho sottomano, Monsieur" disse Des Essarts indicando d'Artagnan "equanto ai quattro o cinque volontari, Monsignore non hache da far conoscere le sue intenzioni: gli uomini nonmancheranno." "Quattro uomini di buona volontà che sianodisposti a farsi uccidere insieme a me!" disse d'Artagnanalzando la spada. Due dei suoi camerati delle guardie sislanciarono immediatamente, e altri due soldati siaggiunsero a loro, così che il numero necessario fu pronto;d'Artagnan rifiutò quindi tutti gli altri, non volendo far torto acoloro che avevano la priorità. Non si sapeva se, dopoaver preso il bastione, i Rochellesi lo avessero evacuato ose avessero lasciato una guarnigione; bisognava quindiesaminare il luogo indicato abbastanza da vicino peressere certi della cosa. D'Artagnan partì con i suoi quattrocompagni e seguì la trincea; le due guardie camminavanoalla sua stessa altezza, e i due soldati li seguivano.Arrivarono così, nascondendosi dietro i rivestimenti, a uncentinaio di passi dal bastione; qui d'Artagnan, volgendosi,si accorse che i due soldati erano spariti. Credette cheavessero avuto paura e fossero rimasti dietro; non se nepreoccupò e continuò ad avanzare. Alla svolta dellacontroscarpa, si trovarono a circa sessanta passi dalbastione. Non si vedeva anima viva, il bastione sembravaabbandonato. I tre giovani votati alla morte deliberavano se

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avanzare o no, allorché improvvisamente, una cintura difumo cinse il gigante di pietra, e una dozzina di pallevennero a fischiare attorno a d'Artagnan e ai suoi duecompagni. Ormai sapevano quanto volevano sapere: ilbastione era ben difeso. Una più lunga sosta in queiparaggi pericolosi sarebbe stata un'imprudenza inutile;d'Artagnan e le due guardie volsero le spalle ecominciarono una ritirata che somigliava a una fuga.Arrivati all'angolo della trincea che doveva servir loro dariparo, una delle due guardie cadde: una palla gli avevatrapassato il petto. L'altra, che era sana e salva, continuò lasua corsa verso il campo. D'Artagnan non volleabbandonare così il suo compagno e si chinò su di lui perrialzarlo e aiutarlo a raggiungere le linee, ma nello stessomomento echeggiarono due colpi di fucile e una pallafracassò la testa del ferito mentre l'altra andò aschiacciarsi sulla roccia passando a due pollici dad'Artagnan. Il giovanotto si volse di scatto perché questoattacco non poteva venire dal bastione ch'era nascostodall'angolo della trincea. I due soldati che lo avevanoabbandonato gli tornarono allora in mente e glirammentarono i due assassini di due giorni prima;risolvette dunque, questa volta, di sapere a che attenersi ecadde sul corpo del camerata come se anch'egli fossestato colpito a morte. Vide immediatamente due testecomparire al di sopra di un'opera abbandonata che era atrenta passi da lui; erano le teste dei due soldati.D'Artagnan non si era ingannato: quei due uomini nonl'avevano seguito che per assassinarlo, sperando che la

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sua morte fosse messa sul conto del nemico. Però,siccome poteva essere solamente ferito e in grado didenunciare il loro delitto, si avvicinarono per finirlo;fortunatamente, ingannati dall'astuzia di d'Artagnan,trascurarono di ricaricare i loro fucili. Quando furono a diecipassi da lui, d'Artagnan che, cadendo, aveva avuto cura dinon abbandonare la spada, si rialzò di colpo e con un saltofu loro vicino. Gli assassini capirono che se fossero fuggitiverso il campo francese senza aver ucciso il loro uomo,esso li avrebbe denunciati: così la loro prima idea fu dipassare al nemico. Uno di essi prese il suo fucile per lacanna e, servendosene come di una clava, vibrò un terribilecolpo a d'Artagnan che lo evitò gettandosi da un lato; macon questa mossa lasciò il passaggio libero al bandito chesi slanciò verso il bastione. Siccome i Rochellesi che vierano di guardia non potevano immaginare con qualiintenzioni quell'uomo corresse verso di loro, fecero fuocosu di lui ed egli cadde ferito da un proiettile che glitrapassò una spalla. Nel frattempo d'Artagnan s'era gettatosul secondo soldato, attaccandolo con la spada; ilcombattimento non fu lungo, giacché il miserabile nonaveva, per difendersi, che il suo archibugio scarico; laspada della guardia scivolò contro la canna dell'armadivenuta inutile e trapassò la coscia dell'assassino checadde. D'Artagnan gli mise immediatamente la punta dellaspada alla gola. "Non uccidetemi!" esclamò il bandito"fatemi grazia, signor ufficiale! Vi dirò tutto." "Mette conto iltuo segreto che ti serbi in vita?" chiese il giovanotto. "Sì, sepensate che l'esistenza valga qualche cosa quando si

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hanno ventidue anni come voi avete e che si possasperare tutto dall'avvenire essendo belli e arditi come voisiete." "Miserabile!" esclamò d'Artagnan. "Suvvia, spicciatia parlare; chi t'ha incaricato di assassinarmi?" "Una donnache non conosco, ma che veniva chiamata Milady." "Senon la conosci, come sai il suo nome?" "La conosceva ilmio compagno e la chiamava così; è con lui che ha trattatoe non con me; egli ha anzi in tasca una lettera di quelladonna, lettera che deve avere una grande importanza pervoi, secondo quanto egli diceva." "Ma tu come ti troviimmischiato in questo tranello?" "Fu il mio compagno chemi propose di fare il colpo in due e io accettai." "E quantovi ha dato per questa bella impresa?" "Cento luigi." "Menomale" disse il giovanotto ridendo "ella pensa che io valgaqualche cosa; cento luigi! E' una bella somma, per duemiserabili come voi. Capisco dunque come tu abbiaaccettato e ti faccio grazia, ma a una condizione.""Quale?" domandò il soldato inquieto poiché si rendevaconto che tutto non era finito. "Che tu vada a prendere lalettera che il tuo compagno ha in tasca." "Ma" esclamò ilbandito "questa è un'altra maniera per uccidermi; comevolete che possa andar a prendere la lettera sotto il fuocodel bastione?" "Eppure bisogna che tu ti decida ad andara prenderla, o ti giuro che morrai sotto le mie mani.""Grazia, signore, per pietà! In nome della giovane signorache amate e che forse credete morta e non lo è!" esclamòil bandito inginocchiandosi e appoggiandosi sulla manoperché insieme col sangue cominciava a perdere le forze."E come fai a sapere che c'è una giovane che amo e che

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credevo morta?" "Dalla lettera che il mio compagno ha intasca." "Vedi bene allora che devo avere quella lettera"disse d'Artagnan "dunque non più ritardi o esitazioni,oppure, quale che sia la mia ripugnanza a immergere perla seconda volta la mia spada nel sangue di un miserabilepari tuo, ti giuro, in fede di onest'uomo…" E dicendoqueste parole d'Artagnan fece un gesto così minacciosoche il ferito si alzò. "Ferma! ferma!" gridò quest'ultimoriprendendo coraggio a forza di terrore. "Andrò… andrò!…" D'Artagnan prese l'archibugio del soldato e,punzecchiandogli le reni con la punta della spada, lo spinseverso il suo compagno. Era una cosa orribile vedere queldisgraziato che lasciava sul suo cammino una lungastriscia di sangue, già pallido per la sua morte imminente,cercare di trascinarsi senza essere visto fino al corpo delsuo complice che giaceva a venti passi da lui! Il terroresfigurava talmente quel viso bagnato di un freddo sudoreche d'Artagnan ne ebbe pietà e guardandolo con disprezzogli disse: "Ebbene, ti farò vedere la differenza che passafra un uomo di fegato e un vile come te; resta dove sei,andrò io." E con passo agile e occhio vigile, attento a ognimossa del nemico, approfittando di tutti gli accidenti delterreno, d'Artagnan giunse sin presso il secondo soldato.C'erano due mezzi per raggiungere lo scopo: o perquisirlosul posto o portarlo via facendosi scudo del suo corpo eperquisirlo nella trincea. D'Artagnan preferì il secondomezzo e si caricò sulle spalle l'assassino proprionell'istante in cui il nemico faceva fuoco. Una leggerascossa e il rumore sordo di tre palle che bucavano le carni,

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un ultimo grido, un fremito d'agonia dimostrarono ad'Artagnan che colui che aveva voluto assassinarlo gliaveva salvato in quel momento la vita. D'Artagnanraggiunse la trincea e gettò il cadavere vicino al ferito cheera pallido come un morto. Poi cominciò immediatamentel'inventario; un portafogli di cuoio, una borsa checonteneva, evidentemente, parte della somma ricevuta dalbandito, un cornetto e due dadi costituivano tutta l'ereditàdel morto. Lasciò il cornetto e i dadi dove erano caduti,gettò la borsa al ferito e aprì con impazienza il portafogli.Tra alcune carte di nessuna importanza trovò quella cheera andata a cercare a costo della vita. "Poiché aveteperduto la traccia di quella donna che è ormai al sicuro nelconvento dove non avreste dovuto mai lasciarla arrivare,cercate almeno di non lasciarvi sfuggire l'uomo; altrimenti,come sapete, ho la mano lunga e vi farò pagar cari i centoluigi che vi ho già dato." Nessuna firma. Nondimeno,risultava evidente che la lettera era di Milady. Perconseguenza, egli la serbò come documento d'accusa;poi, al sicuro dietro l'angolo della trincea, cominciò ainterrogare il ferito, il quale gli confessò di aver presol'impegno, insieme col suo compagno ucciso, di rapire unagiovane donna che doveva uscire da Parigi passandodalla barriera della Villette, ma che, essendosi fermati inun'osteria a bere, ne erano usciti dieci minuti dopo che lavettura era passata. "Ma che cosa ne avreste fatto di quelladonna?" chiese d'Artagnan con angoscia. "Dovevamocondurla in un palazzo di Place Royale." "Ecco, ecco"mormorò d'Artagnan. "Tutto è chiaro. Proprio in casa di

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Milady." Allora il giovanotto comprese come fosse terribilela sete di vendetta che spingeva quella donna a rovinarloassieme a coloro che egli amava, e come essa fosse beneinformata di quanto succedeva a Corte, giacché avevascoperto tutto. Certamente essa riceveva le sueinformazioni dal Cardinale. Ma, fra tante altre cose, eglicapì anche con un vero senso di gioia che la Regina avevafinito per scoprire la prigione nella quale la povera signoraBonacieux espiava la sua fedeltà, e l'aveva liberata. Allorasi spiegò la lettera ricevuta dalla giovane donna e il suopassaggio, simile a una apparizione, sulla via di Chaillot.Stando così le cose, come Athos aveva predetto, sarebbestato possibile ritrovare la signora Bonacieux, e unconvento non era impenetrabile. Questa idea finì percolmargli il cuore di demenza. Si volse verso il ferito cheseguiva con ansia le diverse espressioni del suo viso e glitese le braccia: "Suvvia, non voglio abbandonarti così"disse egli "appoggiati a me e torniamo al campo." "Vabene" disse il ferito che non osava credere a tantamagnanimità "ma non sarà per farmi impiccare?" "Hai lamia parola" rispose d'Artagnan "per la seconda volta tiregalo la vita." Il ferito si lasciò cadere in ginocchio e baciòi piedi del suo salvatore; ma d'Artagnan, che non avevanessun motivo di rimanere così vicino al nemico, abbreviòle manifestazioni della sua riconoscenza. La guardia, cheera fuggita alla prima scarica dei Rochellesi, avevaannunciata la morte dei suoi quattro compagni. Tutti furonoquindi meravigliati e felici quando videro riapparire ilgiovanotto sano e salvo. D'Artagnan spiegò la ferita del

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suo compagno con una sortita improvvisa. Raccontò lamorte dell'altro soldato e i pericoli ch'essi avevano corso.Questo racconto fu per lui l'occasione di un vero trionfo.Tutto l'esercito parlò per un'intera giornata di questaspedizione, e Monsignore gli fece i suoi complimenti. Delresto, poiché ogni bella azione porta con sé unaricompensa, la bella azione di d'Artagnan ebbe comerisultato quello di rendergli la pace perduta. Egli credevaormai di poter vivere tranquillo giacché, dei suoi duenemici, uno era stato ucciso e l'altro era divenuto devoto aisuoi interessi. Questa tranquillità dimostrava una cosa,cioè che d'Artagnan non conosceva ancora Milady.

Capitolo 42 IL VINO D'ANGIO'

Dopo le notizie quasi disperate sulla salute del Re, la vocedella sua convalescenza cominciò a diffondersi nel campoe, poiché egli aveva molta fretta di arrivare personalmenteall'assedio, si diceva che non appena fosse stato in gradodi montare a cavallo, si sarebbe messo in viaggio. Nelfrattempo Monsignore, il quale sapeva che sarebbe statosostituito nel comando da un giorno all'altro sia dal duca did'Angouleme, sia da Bassompierre o da Schomberg, chesi disputavano la direzione delle operazioni, poco faceva,perdeva le giornate in piccoli assaggi e non osavaarrischiare qualche grande impresa per cacciare gli Inglesidall'isola di Ré, dove essi assediavano ancora la cittadella

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di San Martino e il forte della Prée, mentre, dal canto loro, iFrancesi assediavano La Rochelle. D'Artagnan, comeabbiamo detto, era tornato più tranquillo, come succedesempre passato un pericolo e quando il pericolo sembravasvanito; non gli rimaneva che una preoccupazione: quelladi non aver notizie dei suoi amici. Ma una mattina, sui primidi novembre, tutto gli fu spiegato dalla seguente lettera,spedita da Villeroi: "Signor d'Artagnan, i signori Athos,Porthos e Aramis, dopo una buona festicciuola nel miolocale ed essersi molto divertiti, hanno fatto tanto chiassoche il prevosto del castello, uomo severissimo, li haconsegnati per qualche giorno. Tuttavia, eseguo l'ordineche essi mi hanno dato di inviarvi dodici bottiglie del miovino d'Angiò, da loro molto apprezzato; essi vogliono chebeviate alla loro salute con questo vino da essi preferito.Ho fatto quanto dovevo, e col massimo rispetto mi dicovostro umilissimo e ubbidientissimo servitore Godeau,vivandiere dei signori moschettieri." "Alla buon'ora"esclamò d'Artagnan "essi pensano a me anche quando sidivertono, così come io li ricordavo nei miei guai. Berrò allaloro salute, e di gran cuore; ma non berrò solo." Ed'Artagnan corse senz'altro dalle due guardie, con le qualiaveva fatto più amicizia che con le altre, per invitarle a bereassieme a lui il buon vino d'Angiò appena arrivato daVilleroi. Una delle guardie aveva già un invito per quellasera, l'altra per la sera seguente; la riunione fu dunquefissata per due giorni dopo. Rientrando, d'Artagnan,mandò le dodici bottiglie di vino alla vivanderia delleguardie, con la raccomandazione di serbarle con cura; poi,

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giunto il giorno della solennità, siccome il pranzo erafissato per l'una dopo mezzogiorno, mandò alla vivanderiaPlanchet alle nove perché allestisse tutto a dovere.Planchet, tutto orgoglioso di essere elevato alla dignità dimaître d'hotel, volle fare le cose da uomo intelligente;chiamò dunque come aiuto il servo d'uno dei convitati delsuo padrone, un certo Fourreau, e il falso soldato cheaveva voluto uccidere d'Artagnan, il quale, nonappartenendo a nessun corpo, dal giorno in cui avevaavuto salva la vita era entrato spontaneamente al serviziodi d'Artagnan o meglio dello stesso Planchet. Venuta l'oradel festino, i due convitati arrivarono, sedettero e lepietanze si allinearono sulla tavola. Con un tovagliolo sulbraccio, Fourreau stappava le bottiglie e Brisemont, era ilnome del convalescente, travasava entro caraffe di cristalloil vino che, forse per le scosse subite in viaggio, aveva fattoun po' di deposito. La prima bottiglia, verso la fine, erapiuttosto torbida e Brisemond mise quella feccia in unbicchiere che d'Artagnan gli permise di bere, perché ilpoveretto non era ancora molto in forze. I convitati, dopoaver mangiato la minestra, stavano per portare alle labbrail primo bicchiere, quando improvvisamente tonarono icannoni al forte Luigi e al forte Nuovo. Subito le guardie,credendo si trattasse di qualche attacco imprevisto, siadegli assediati, sia degli Inglesi, afferrarono le loro spade;d'Artagnan, non meno svelto, li imitò e tutti e tre uscironocorrendo per raggiungere i loro posti. Ma, appena usciti, sispiegarono la causa di tanto rumore; le grida di Viva il Re!Viva il Cardinale! echeggiavano da ogni lato e i tamburi

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battevano in ogni direzione. Infatti il Re, impaziente diarrivare, aveva bruciato le tappe e arrivava in quelmomento con tutto il suo seguito e un rinforzo di diecimilauomini di truppa. I suoi moschettieri lo precedevano e loseguivano. D'Artagnan, che faceva ala ai suoi compagni,salutò con gesto affettuoso gli amici, che gli risposero congli occhi, e il signor di Tréville che lo riconobbeimmediatamente. Finita la cerimonia del ricevimento, iquattro compagni furono immediatamente nelle braccial'uno dell'altro. "Perbacco!" esclamò d'Artagnan "nonpotevate arrivare in un momento migliore; la carne non avràancora avuto il tempo di raffreddarsi, è vero signori?"aggiunse il giovanotto rivolgendosi alle due guardie chepresentò ai moschettieri. "Ah! oh! Pare che si banchetti!"disse Porthos. "Spero" continuò Aramis "che non ci sianodonne al vostro pranzo!" "C'è forse del vino potabile nellavostra bicocca?" chiese Athos. "Perbacco, c'è il vostro,caro amico" rispose d'Artagnan. "Il nostro vino?" feceAthos con meraviglia. "Sì, quello che mi avete mandato.""Noi vi abbiamo mandato del vino?" "Ma lo sapete bene,quel vinello della collina d'Angiò." "Sì, ora so di che vinovolete parlare." "Il vino che voi preferite." "Certamente,quando non posso avere né champagne, né chambertin.""Ebbene, in mancanza di champagne e di chambertin vicontenterete di questo." "Dunque, avete fatto venire delvino d'Angiò, ghiottone che siete!" esclamò Porthos. "Mano, è il vino che mi è stato inviato da parte vostra." "Daparte nostra?" chiesero a una voce i moschettieri. "Sietevoi, Aramis, che avete fatto mandare questo vino?" disse

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Athos. "No, e voi Porthos?" "No, e voi Aramis?" "No." "Senon voi, me lo ha mandato il vostro vivandiere." "Il nostrovivandiere?" "Sì, il vostro vivandiere Godeau, il vivandieredei moschettieri." "In fede mia, venga da dove vuole" dissePorthos "assaggiamolo e se è buono beviamolo." "No"disse Athos "evitiamo di bere del vino che non sappiamoda dove provenga." "Avete ragione, Athos" dissed'Artagnan. "Dunque nessuno di voi ha incaricato ilvivandiere Godeau di mandare del vino?" "No! Eppure eglive lo ha mandato come se venisse da noi?" "Ecco lalettera" disse d'Artagnan. E porse il biglietto ai suoicompagni. "Non è la sua scrittura" esclamò Athos. "Io laconosco, sono io che prima di partire ho regolato i contidella comunità." "La lettera è falsa" disse Porthos. "Noi nonsiamo stati consegnati." "D'Artagnan" domandò Aramiscon tono di rimprovero "come avete potuto credere che noiavevamo fatto del fracasso?…" D'Artagnan impallidì e untremito convulso scosse tutte le sue membra. "Mi spaventi"disse Athos che gli dava del tu soltanto nelle grandioccasioni "che cosa ti è dunque capitato?" "Corriamo,corriamo amici!" esclamò d'Artagnan "ho un orribilesospetto! Non sarà un nuovo tiro di quella donna?" Athosimpallidì a sua volta. D'Artagnan si slanciò verso lavivanderia, e i tre moschettieri e le due guardie loseguirono. La prima cosa che colpì d'Artagnan non appenaentrò nella stanza da pranzo, fu Brisemont che, steso aterra, si rotolava in preda a convulsioni terribili. Planchet eFourreau, pallidi come morti, cercavano di soccorrerlo, maera evidente che ogni soccorso era ormai inutile: tutti i

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lineamenti del moribondo erano stravolti dall'agonia. "Ah"esclamò vedendo d'Artagnan "è spaventoso ciò che avetefatto! Avete finto di perdonarmi e mi avete avvelenato!" "Io!Io! Ma che dici, disgraziato?" "Dico che siete stato voi adarmi quel vino, dico che siete stato voi a dirmi di berlo,dico che avete voluto vendicarvi di me e dico che èorribile!" "Non dovete credere ciò, Brisemont!" supplicòd'Artagnan "non dovete crederlo. Vi giuro, vi protesto…""Oh! ma Dio ci vede e Dio vi punirà. Fate, mio Dio, cheegli soffra un giorno quanto io soffro!" "Vi giuro sulVangelo" gridò d'Artagnan precipitandosi verso ilmoribondo "vi giuro che non sospettavo neppure che quelvino fosse avvelenato, tanto che stavo per berlo io pure.""Non vi credo!" disse il soldato. E spirò fra le più atrocitorture. "Orribile! Orribile!" mormorò Athos mentre Porthosrompeva le bottiglie e Aramis dava ordine, un po' in ritardo,perché si andasse a chiamare un confessore. "Oh, amicimiei!" esclamò d'Artagnan "ancora una volta mi avetesalvato la vita e non soltanto a me, ma anche a questisignori. Signori" continuò indirizzandosi alle guardie "viprego di mantenere il segreto su questa storia; grandipersonaggi potrebbero essere immischiati in tutto ciò cheavete visto, e il male ricadrebbe su noi." "Ah! Signore"balbettava Planchet più morto che vivo "signore l'hoscampata bella!" "Come, canaglia" esclamò d'Artagnan"stavi per bere del mio vino?" "Alla salute del Re, signore,stavo per berne un bicchierino, e se Fourreau non miavesse detto che qualcuno mi chiamava…" "Ahimè!"sospirò Fourreau che batteva i denti per la paura "volevo

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allontanarlo per bere da solo." "Signori" disse d'Artagnanrivolgendosi alle guardie "voi capite che simile festa nonpotrebbe riuscire che molto triste dopo quanto è accaduto;vi prego dunque di scusarmi e di rimandarel'appuntamento ad altro giorno." Le due guardieaccettarono cortesemente le scuse di d'Artagnan e,comprendendo che i quattro amici desideravano restarsoli, se ne andarono. Allorché la giovane guardia e i tremoschettieri furono senza testimoni, si guardarono conun'aria che voleva dire che ognuno si rendeva conto dellagravità della situazione. "Per prima cosa" disse Athos"usciamo da questa camera; è una brutta compagniaquella d'un morto, morto di morte violenta." "Planchet"disse d'Artagnan "vi raccomando il cadavere di quelpovero diavolo. Sia seppellito in terra consacrata. Avevacommesso un delitto, è vero, ma ne era pentito." E i quattroamici uscirono dalla camera lasciando l'incarico a Planchete a Fourreau di rendere gli estremi onori a Brisemont. Ilvivandiere mise a loro disposizione un'altra stanza e servìloro uova alla coque e acqua pura che Athos andò adattingere alla fontana. Aramis e Porthos, con poche parolefurono informati di quanto era avvenuto. "Ebbene" dissed'Artagnan ad Athos "come vedete, amico caro, è unaguerra a morte." Athos scosse il capo e disse a sua volta:"Sì, lo vedo; ma credete proprio che sia lei?" "Ne sonosicuro." "Eppure, vi confesso che ho ancora dei dubbi.""Ma quel fiordaliso sulla spalla?" "Si tratterà di un'Ingleseche avrà commesso qualche delitto in Francia e che saràstata marcata in seguito a tale delitto." "Athos, è vostra

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moglie, vi dico" ripeté d'Artagnan "non ricordate dunquecome i connotati si somiglino?" "Eppure avrei giurato chel'altra fosse morta; l'avevo impiccata così bene!"D'Artagnan a sua volta scosse il capo e domandò: "Mainfine, che cosa dobbiamo fare?" "Il fatto è che nonpossiamo restare eternamente con questa spada sospesasul capo" disse Athos "è necessario uscire da questasituazione." "Ma come?" "Cercate di trovarla e di avereuna spiegazione con lei; ditele: o la pace, o la guerra! Lamia parola di gentiluomo di non dire nulla di voi, di non farmai nulla contro di voi; dal canto vostro, giuramentosolenne di rimanere neutrale nei miei riguardi;diversamente, vado a trovare il cancelliere, vado a trovareil Re, vado a trovare il Cardinale, sollevo la corte contro divoi, vi denuncio come bollata col marchio dell'infamia, vifaccio mettere sotto processo, e se vi assolvono, ebbene,in fede di gentiluomo, vi uccido all'angolo di una strada,come ucciderei un cane arrabbiato." "Questa soluzione mipiace" disse d'Artagnan "ma come trovarla?" "Il tempo,amico mio, farà nascere l'occasione, il tempo sarà vostroalleato; più si è impegnati, più si guadagna quando si saaspettare." "Sì, ma aspettare circondati da assassini e daavvelenatori?…" "Dio ci ha preservati fino a oggi e vorràpreservarci ancora!" "Sì, noi; d'altronde noi siamo uomini,tutto sommato, è il nostro mestiere quello di arrischiare lavita: ma lei!" "Chi lei?" chiese Athos. "Costanza!" "Lasignora Bonacieux! E' giusto, povero amico mio; avevodimenticato che siete innamorato!" "Ebbene" disse Aramis"non avete visto nella lettera che avete trovato nelle tasche

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di quel miserabile morto, che è in un convento? Neiconventi si sta benissimo e non appena finito l'assedio diLa Rochelle vi prometto che per conto mio…" "Losappiamo, lo sappiamo" disse Athos "sì, mio caro Aramis!Sappiamo che i vostri voti tendono alla religione." "Sonomoschettiere soltanto provvisoriamente" disse umilmenteAramis. "Sembra che da un pezzo non abbia notizia dellasua amante" disse sottovoce Athos "ma non ve nepreoccupate, gli passerà." "A me pare" intervenne Porthos"che ci sia un mezzo semplicissimo." "Quale?" domandòd'Artagnan. "Voi dite che è in un convento, è vero?"continuò Porthos. "Sì." "Bene. Non appena sarà finitol'assedio, la rapiremo." "Ma bisogna sapere in checonvento si trovi." "E' giusto" disse Porthos. "Ma, ora checi penso" disse Athos "non è vostra opinione, carod'Artagnan, che sia stata la Regina a scegliere questoconvento per lei?" "Per lo meno credo." "Ebbene, Porthosci sarà di grande aiuto all'occorrenza." "Come, di grazia?""Ma per mezzo della vostra marchesa, della vostraduchessa, della vostra principessa; essa deve avere ilbraccio lungo." "Zitto" disse Porthos portando un dito allelabbra "credo sia cardinalista ed è meglio che non sappianulla." "Allora" mormorò Aramis "mi occuperò io di averesue notizie." "Voi, Aramis" esclamarono i tre amici "voi, ecome farete?" "Servendomi dell'elemosiniere della Reginache è un mio grande amico…" balbettò Aramisarrossendo. E dopo questa assicurazione, i quattro amiciche avevano finito il loro modesto pasto, si separaronofissando un appuntamento per la sera stessa: d'Artagnan

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tornò a Minimi, e i tre moschettieri raggiunsero il quartieredel Re, dove dovevano far preparare i loro alloggiamenti.

Capitolo 43 L'ALBERGO DEL COLOMBO ROSSO

Appena arrivato al campo, il Re, che aveva fretta di trovarsiin faccia al nemico, e che, con più ragione del Cardinale,condivideva il suo odio contro Buckingham, volle dare tuttele disposizioni, prima per cacciare gli Inglesi dall'isola diRé, poi per affrettare l'assedio di La Rochelle; ma, suomalgrado, fu ritardato dai dissensi che scoppiarono tra isignori di Bassompierre e Schomberg da una parte, e ilduca d'Augouleme dall'altra. I signori di Bassompierre eSchomberg erano marescialli di Francia e volevano,secondo il loro diritto, comandare l'esercito sotto gli ordinidel Re, ma il Cardinale il quale temeva che Bassompierre,ugonotto nel fondo del suo cuore, incalzasse debolmentegli Inglesi e i Rochellesi, suoi fratelli di religione, spingevaal contrario il duca d'Augouleme che il Re, per suaistigazione, aveva nominato luogotenente generale. Nerisultò che, per impedire ai signori di Bassompierre eSchomberg di abbandonare l'esercito, si dovette dare aciascuno di loro un particolare comando: Bassompierremise i suoi accantonamenti al nord della città, dalla Leu aDompierre; il duca d'Augouleme a est, da Dompierre aPérigny; e il signor di Schomberg a mezzogiorno, daPérigny a Angoutin. L'alloggiamento di Monsieur era a

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Dompierre. L'alloggiamento del Re era ora a Etré, ora a LaJarrie. Infine l'alloggiamento del Cardinale era sulle dune,al ponte di La Pierre, in una semplice casa senza alcunatrincea. In questo modo, Monsieur sorvegliavaBassompierre; il Re il duca di Augouleme; e il Cardinale ilsignor di Schomberg. Ciò regolato, si pensò a cacciare gliInglesi dall'isola. Il momento era favorevole: gli Inglesi, chehanno bisogno, prima di tutto, d'essere ben nutriti persentirsi buoni soldati, non mangiavano che carne salata epochi biscotti, avevano molti malati nel loro campo; inoltre,il mare, pessimo in quel periodo dell'anno su tutte le costedell'oceano, metteva ogni giorno in pericolo qualchepiccolo bastimento; e la spiaggia, dalla punta di Aiguillon,fino alle trincee, era letteralmente ingombra a ogni mareadi rottami di pinazze, sciabecchi e feluche. Era dunque benchiaro che se anche i soldati del Re fossero rimasti inattivinei loro accampamenti, Buckingham, che restava nell'isoladi Ré per semplice ostinazione, sarebbe stato, un giorno ol'altro, costretto a togliere l'assedio. Ma siccome il signor diToiras fece sapere che nel campo nemico si stavanofacendo preparativi per un nuovo assalto, il Re giudicò chefosse necessario farla finita e diede gli ordini per un'azionedecisiva. Non è nostra intenzione fare una cronacaparticolareggiata di questo assedio ma, al contrario, ciproponiamo di riferirne soltanto gli avvenimenti che sicollegano alla storia che stiamo narrando; ci limiteremoquindi a dire in due parole che l'impresa riuscì benissimocon grande meraviglia del Re e a maggior gloria dimonsignor Cardinale. Gli Inglesi respinti a palmo a palmo,

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battuti in uno scontro, schiacciati al passaggio dell'isola diLoix, furono obbligati a rimbarcarsi, lasciando sul campo dibattaglia duemila uomini, fra i quali cinque colonnelli, tretenenti colonnelli, duecentocinquanta capitani e ventigentiluomini dei migliori, nonché quattro cannoni esessanta bandiere che furono portate a Parigi da Claudiodi Saint-Simon e appese con gran pompa alle volte diNotre-Dame. Te Deum furono cantati al campo, e da qui sidiffusero in tutta la Francia. Il Cardinale fu dunque padronedi proseguire l'assedio senza avere per il momento nullada temer da parte degli Inglesi. Ma, come abbiamo detto, ilriposo non fu che momentaneo. Un inviato del duca diBuckingham, chiamato Montaigu, era stato preso, e si eracosì avuta la prova di una lega tra l'Impero, la Spagna,l'Inghilterra e la Lorena. Questa lega era diretta contro laFrancia. Inoltre, nell'alloggiamento che Buckingham avevadovuto abbandonare più precipitosamente di quantoavesse voluto, si erano trovate delle carte checonfermavano l'esistenza di questa lega e che, a quantoassicura il Cardinale nelle sue Memorie, compromettevanomolto la signora di Chevreuse e per conseguenza laRegina. Tutta la responsabilità gravava sul Cardinale,perché non si poteva essere ministro assoluto senzaessere responsabile, quindi tutte le risorse del suo grandeingegno erano tese giorno e notte e occupate a cogliere ilpiù piccolo rumore che si levasse da uno dei grandi regnid'Europa. Il Cardinale conosceva l'attività e soprattuttol'odio di Buckingham; se la lega che minacciava la Franciaavesse trionfato, tutta l'influenza francese sarebbe stata

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perduta: la politica spagnola e la politica austriacaavrebbero avuto i loro rappresentanti nel gabinetto delLouvre, ove, per il momento, non avevano che partigiani;quanto a lui, Richelieu, il ministro francese, il ministronazionale per eccellenza, avrebbe potuto considerarsiperduto. Il Re, pur obbedendogli come un bambino, loodiava come un bambino odia il maestro; perciò loavrebbe abbandonato alle vendette particolari di Monsieure della Regina; egli sarebbe stato dunque perduto, e forsela Francia con lui. Bisognava prevedere tutto ciò. Così sividero i corrieri, divenuti più numerosi a ogni istante,succedersi giorno e notte nella piccola casa del ponte diLe Pierre, in cui il Cardinale aveva stabilito la propriaresidenza. Erano monaci che portavano così male latonaca ch'era facile capire come essi appartenesserosoprattutto alla chiesa militante; donne un po' impacciatenei loro costumi da paggi, delle quali le ampie brache nonriuscivano a dissimulare del tutto le forme rotonde; infinecontadini dalle mani annerite ma dalle gambe così sottiliche tradivano a un miglio di distanza l'uomo di razza.Inoltre, altre visite meno gradite, giacché per due o tre voltesi sparse la voce che il Cardinale aveva corso il pericolo diessere assassinato. E' vero che i nemici di Sua Eminenzadicevano che egli stesso metteva in moto questi maldestriassassini per potere usare, in caso di bisogno, del dirittodi rappresaglia; ma non bisogna credere né a quello chedicono i ministri, né a quello che dicono i loro nemici. Matutto questo non impediva al Cardinale, del quale neppure ipiù accaniti detrattori hanno mai posto in dubbio il

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coraggio, di fare molte corse notturne, ora per comunicareal duca d'Augouleme qualche ordine importante, ora perandare ad accordarsi col Re, ora infine per andare aparlare con qualche messaggero che non voleva riceverein casa. Dal canto loro, i moschettieri che non avevanomolto da fare all'assedio, non erano soggetti a una severadisciplina e conducevano vita allegra; ciò era loropossibilissimo, e soprattutto ai nostri tre compagni, i quali,essendo amici del signor di Tréville, ottenevano da luisenza difficoltà il permesso di attardarsi e di restar fuori delcampo anche dopo la chiusura di questo, in virtù dipermessi speciali. Ora, una sera che d'Artagnan, essendodi guardia in trincea, non aveva potuto accompagnarli,Athos, Porthos e Aramis, cavalcando i loro cavalli dabattaglia e avviluppati nei loro mantelli, con una manosull'impugnatura della pistola, tornavano da un'osteriascoperta da Athos due giorni prima sulla via di La Jarrie,chiamata il Colombo Rosso, e seguivano la strada checonduceva al campo, stando sempre in guardia, per timoredi qualche imboscata, allorché a un quarto di lega circa dalvillaggio di Boisnau, credettero sentire un rumore di cavalliche venivano loro incontro. Immediatamente si fermaronostretti l'uno contro l'altro e attesero nel bel mezzo dellastrada: un attimo dopo, poiché la luna faceva capolino dauna nube, videro comparire a una svolta del sentiero duecavalieri che, scorgendoli, si fermarono a loro volta eparvero deliberare per decidere se convenisse lorocontinuare il cammino o tornare indietro. Questa esitazioneinsospettì i tre amici, tanto che Athos si avanzò di pochi

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passi e gridò con voce ferma: "Chi va là?" "Chi va là? avoi" rispose uno dei due cavalieri. "Questo non si chiamarispondere!" disse Athos. "Chi va là? Rispondete ocarichiamo." "State attenti a ciò che fate, signori!" esclamòuna voce vibrante che pareva aver l'abitudine del comando."E' qualche ufficiale superiore che fa la sua ronda notturna"disse Athos "che cosa volete fare, signori?" "Chi siete?"chiese la stessa voce con tono di comando "rispondete opotreste pentirvi della vostra disobbedienza." "Moschettieridel Re" disse Athos, sempre più convinto che colui che liinterrogava ne aveva diritto. "Di quale compagnia?""Compagnia di Tréville." "Avanzate e venite a rendermiconto di ciò che fate qui, a quest'ora." I tre compagni siavvicinarono con le orecchie un poco basse, perché ormaierano ben convinti tutti e tre d'aver a che fare con unpersonaggio ben più importante di loro. A ogni modo, essilasciarono ad Athos la cura di prendere la parola. Uno deidue cavalieri, quello che aveva parlato per secondo, eradieci passi avanti al compagno; Athos fece segno aPorthos e ad Aramis di restare anch'essi indietro e siavanzò solo. "Mille scuse, signor ufficiale" disse Athos "noiignoravamo con chi avessimo a che fare e, come avetepotuto costatare, facevamo buona guardia." "Il vostronome?" chiese l'ufficiale che si copriva una parte del voltocol mantello. "Ma, signore" disse Athos che cominciava aribellarsi a questa inquisizione "datemi, vi prego, la provache avete il diritto di interrogarmi." "Il vostro nome?" disseper la seconda volta il cavaliere lasciando cadere ilmantello in modo da avere il viso scoperto "Monsignor

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Cardinale!" esclamò il moschettiere stupefatto. "Il vostronome?" ripeté per la terza volta Sua Eminenza. "Athos"disse il moschettiere. Il Cardinale fece un cenno alloscudiero che si avvicinò. "Questi tre moschettieri ciseguiranno" disse sottovoce "non voglio si sappia chesono uscito dal campo e se ci seguiranno saremo certi chenon lo diranno a nessuno." "Siamo gentiluomini,Monsignore" disse Athos "esigete la nostra parola d'onoree state tranquillo. Grazie a Dio, sappiamo custodire unsegreto." Il Cardinale fissò i suoi occhi penetranti suquell'ardito interlocutore e osservò: "Avete l'orecchio fino,signor Athos; ma ora, ascoltate ciò che vi dico: non è perdiffidenza che vi prego di seguirmi, è per mia sicurezzapersonale: certamente i vostri due compagni sono i signoriPorthos e Aramis?" "Sì, Eminenza" confermò Athos mentrei due moschettieri si facevano avanti col cappello in mano."Vi conosco, signori" disse il Cardinale "e so che non sieteprecisamente amici miei e me ne dispiace; ma so chesiete dei coraggiosi e leali gentiluomini e che ci si puòfidare di voi. Signor Athos, fatemi dunque l'onore diaccompagnarmi insieme con i vostri amici, avrò così unascorta da fare invidia a Sua Maestà, dato che loincontriamo." I tre moschettieri s'inchinarono sino al collodelle loro cavalcature. "Ebbene, sul mio onore" disse Athos"Vostra Eminenza fa bene a condurci con lei; abbiamoincontrato sulla strada dei brutti ceffi, anzi abbiamo avutouna disputa con quattro di essi al Colombo Rosso." "Unadisputa? e perché, signori?" disse il Cardinale; "io nonamo coloro che litigano, lo sapete bene." "Appunto per

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questo ho l'onore di prevenire Vostra Eminenza di quanto èsuccesso; giacché essa potrebbe apprenderlo da altri e,su un falso rapporto, ritenerci colpevoli." "Ma quale è statoil risultato di questa lite?" domandò il Cardinaleaggrottando le sopracciglia. "Il mio amico Aramis, quipresente, ha ricevuto un piccolo colpo di spada a unbraccio; colpo che non gli impedirà però, come VostraEminenza può costatare, di muovere domani all'assalto, seVostra Eminenza ordinerà la scalata." "Ma voi non sieteuomini da lasciarvi dare colpi di spada senza reagire"disse il Cardinale "siate franchi, signori, ne dovete pur averrestituito qualcuno; confessatevi; sapete bene che ho ildiritto di assolvere." "Io, Monsignore" disse Athos "non honeppur messo mano alla spada; ho preso colui col qualeaveva a che fare a mezzo busto, e l'ho gettato dallafinestra; pare che cadendo" continuò con una certaesitazione Athos "si sia rotto il femore." "Ah ' Ah!" esclamòil Cardinale "e voi, signor Porthos?" "Io, Monsignore,sapendo che il duello è proibito, ho afferrato un banco e hodato con esso a uno di quei briganti un colpo che gli harotto, credo, una spalla." "Bene" disse il Cardinale. "E voi,signor Aramis?" "Io, Monsignore, siccome sono dicarattere dolcissimo e siccome, cosa che forseMonsignore non sa, sono sul punto di rientrare negli ordinisacri, cercai di dividere i miei compagni, ma uno di queimiserabili mi ferì il braccio sinistro a tradimento: allorapersi la pazienza, sfoderai a mia volta la spada e, poichéegli tornava alla carica, credo aver sentito che,gettandomisi contro, se l'è passata attraverso il corpo; ciò

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di cui sono sicuro è questo: che è caduto, m'è parso che loabbiano portato via insieme con i suoi compagni.""Diavolo, signori!" esclamò il Cardinale "tre uomini fuoricombattimento per una lite da osteria; non si può dire cheabbiate la mano leggera! Ma a che proposito è sortaquesta lite?" "Questi briganti erano ubbriachi" disse Athos;"sapendo che una donna era arrivata questa seraall'osteria, volevano forzare la porta della sua camera.""Forzare la porta della sua camera?" disse il Cardinale. "Ea che scopo?" "Per usarle violenza, senza dubbio" disseAthos; "ho già avuto l'onore di dire a Vostra Eminenza chequei miserabili erano ubbriachi." "E quella donna eragiovane e bella?" domandò il Cardinale con una certainquietudine. "Non l'abbiamo vista, monsignore" risposeAthos. "Non l'avete vista; ah, benissimo!" riprese convivacità il Cardinale. "Avete fatto bene a difendere l'onored'una donna, e siccome vado precisamente al ColomboRosso, saprò se mi avrete detto la verità." "Monsignore"disse Athos fieramente "siamo dei gentiluomini e nonmentiremmo neppure per salvare la testa." "Così, io nondubito delle vostre parole, signor Athos, non ne dubitoneppure per un istante; ma" soggiunse per cambiarediscorso "questa signora era dunque sola?" "Questasignora era chiusa in camera sua con un cavaliere" disseAthos "ma siccome, nonostante il rumore, egli non si è fattovedere, c'è da credere che sia un vigliacco." "Nongiudicate avventatamente, dice il Vangelo!" osservò ilCardinale. Athos s'inchinò. "E ora, signori, sta bene; soquanto volevo sapere" continuò Sua Eminenza

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"seguitemi." I tre moschettieri passarono dietro alCardinale, che si coperse ancora il viso col mantello erimise il cavallo in moto, mantenendosi otto o dieci passiavanti ai suoi compagni. In breve arrivarono all'albergosilenzioso e solitario; certamente l'oste sapeva qualeillustre visitatore attendesse, perché aveva allontanato tuttigli importuni. Dieci passi prima d'arrivare alla porta, ilCardinale fece segno al suo scudiero e ai tre moschettieridi fermarsi, un cavallo sellato era attaccato all'imposta; ilCardinale picchiò tre colpi in modo speciale. Subito unuomo avviluppato in un mantello uscì e scambiòrapidamente qualche parola col Cardinale; dopo di che,rimontò a cavallo e partì in direzione di Surgères che eraanche la strada per Parigi. "Avanzate, signori" ordinò ilCardinale, e, rivolto ai moschettieri continuò: "Voi mi avetedetto la verità e non dipenderà certo da me se il nostroincontro non sarà vantaggioso per voi; intanto, seguitemi."Il Cardinale mise piede a terra e i moschettieri lo imitarono;il Cardinale gettò le briglie del cavallo allo scudiero e imoschettieri attaccarono le briglie dei loro alle imposte.L'albergatore stava sulla soglia; per lui Sua Eminenza nonera che un ufficiale che veniva a visitare una signora."Avete qualche camera a pianterreno" disse il Cardinale"dove questi signori possano attendermi davanti a un buonfuoco?" L'oste aprì la porta di una grande sala nella quale,proprio allora, una cattiva stufa era stata sostituita da unvasto e ottimo camino. "Ho questa" disse. "Va bene" disseil Cardinale. "Entrare, signori, e vogliate aspettarmi, nonstarò assente più di mezz'ora." E mentre i tre moschettieri

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entravano nella stanza a pianterreno, il Cardinale, senzadomandare indicazioni, salì le scale da uomo che non habisogno che gli si insegni la strada.

Capitolo 44 DELL'UTILITA' DEI TUBI DA STUFA

Era evidente che, senza neppure sospettarlo, mossisoltanto dal loro carattere cavalleresco e avventuroso, inostri tre amici avevano reso un servizio a qualcuno che ilCardinale onorava della sua particolare protezione. Ma chiera questo qualcuno? E' la domanda che si fecero li per lì itre moschettieri; poi, vedendo che la loro intelligenza nonera sufficiente a dare una risposta a questa domanda,Porthos chiamò l'oste e si fece portare dei dadi. Porthos eAramis si sedettero a una tavola e si misero a giocare.Athos invece passeggiò in su e in giù riflettendo.Riflettendo e passeggiando, Athos passava e ripassavadavanti al tubo da stufa interrotto a metà, l'altra estremitàdel quale finiva nella stanza superiore; ogni volta chepassava e ripassava sentiva un mormorìo, fatto di parole,che finì per attirare la sua attenzione. Athos si avvicinòallora al tubo e udì chiaramente qualche frase che gli parverivestire un tale interesse da indurlo a far cenno aicompagni di tacere e a restare curvo, con l'orecchioapplicato all'apertura inferiore. "Ascoltate, Milady" diceva ilCardinale "la faccenda è importante; sedetevi e parliamo.""Milady!" esclamò Athos. "Ascolto Vostra Eminenza con la

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massima attenzione" rispose una voce di donna che fecetrasalire il moschettiere. "Un piccolo bastimento conequipaggio inglese il cui capitano mi è devoto, vi aspettaall'imbocco della Charente, al forte di La Pointe; metteràalla vela domattina." "E' dunque necessario che mi rechi làquesta notte?" "Immediatamente, vale a dire appenaavrete ricevuto le mie istruzioni. Due uomini che troveretealla porta, uscendo di qui, vi serviranno di scorta; milascerete uscire per primo, mezz'ora dopo uscirete avostra volta." "Sì, Monsignore. Ora torniamo alla missionedella quale volete incaricarmi; e poiché ci tengo acontinuare ad essere degna della fiducia di cui VostraEminenza mi onora, degnatevi di espormela in terminichiari e precisi perché non debba commettere errori." Vi fuun attimo di profondo silenzio fra i due interlocutori; erachiaro che il Cardinale misurava in anticipo i termini di cuistava per servirsi; e che Milady raccoglieva tutte le suefacoltà intellettuali per ben capire quanto egli le avrebbedetto e imprimerselo nella memoria. Athos approfittò diquesto momento per dire ai compagni di chiudere la portadall'interno e di avvicinarsi per ascoltare con lui. I duemoschettieri, che amavano i loro comodi, portarono unasedia per ciascuno di loro, e una per Athos, poi tutti e tresedettero con le teste vicine e le orecchie in ascolto. "Voipartirete subito per Londra" continuò il Cardinale. "Arrivataa Londra, andrete a trovare Buckingham." "Faccioosservare a Vostra Eminenza" disse Milady "che dallafaccenda dei fermagli di diamanti per la quale il duca hasempre sospettato di me, Sua Grazia mi considera con

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diffidenza." "Per questo" disse il Cardinale "ora non sitratta di accaparrarsi la sua fiducia, ma di presentarsi a luifrancamente e lealmente come una negoziatrice.""Francamente e lealmente!" ripeté Milady con indicibileaccento di duplicità. "Sì, francamente e lealmente" ripreseil Cardinale con lo stesso tono "tutti questi negoziatidevono essere fatti a carte scoperte." "Seguirò alla letterale istruzioni di Vostra Eminenza e aspetto ch'essa me ledia." "Andrete a trovare Buckingham da parte mia, e glidirete che conosco tutti i preparativi che fa, ma che non mene preoccupo, poiché, alla sua prima mossa, la Regina èperduta." "Crederà egli che Vostra Eminenza possamettere in esecuzione la minaccia?" "Sì, perché ho leprove." "E' necessario che possa presentare queste proveall'apprezzamento di Sua Grazia." "Certamente. Gli direteche renderò pubblico il rapporto di Bois-Robert e delmarchese di Beautru circa il colloquio che il duca ebbe conla Regina la sera in cui la moglie del Conestabile[35] hadato un ballo in maschera; gli direte anche, perché sia benpersuaso che so tutto, ch'egli indossava il vestito da GranMogol che doveva indossare il duca di Guisa e checomperò per tremila pistole." "Bene, Monsignore.""Conosco anche ogni particolare del modo con cui uscì dalLouvre la sera in cui si era introdotto nel palazzo con l'abitodi un indovino italiano; ditegli, perché non dubiti dellaveridicità delle mie informazioni, che sotto al mantelloindossava una lunga tunica bianca cosparsa di lacrimenere, di teste di morto e di ossa incrociate, perché in casofosse stato sorpreso, doveva fingere di essere il fantasma

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della Dama bianca che, come ciascuno sa, torna al Louvre,ogni volta che un grande avvenimento deve compiersi.""Ed è qui tutto, Monsignore?" "Ditegli che conosco in ogniminimo particolare l'avventura di Amiens, sulla quale faròscrivere un romanzetto svolto spiritosamente, con unapianta esatta del giardino e i ritratti dei principali attori.""Glielo dirò." "Ditegli che ho nelle mie mani Montaigu, cheMontaigu è alla Bastiglia, e che sebbene non gli sianotrovate addosso lettere compromettenti, la tortura può farglidire quello che sa e… anche quello che non sa.""Benissimo." "Infine aggiungerete che, allorché haabbandonato precipitosamente l'isola di Ré, Sua Grazia hadimenticato nel suo alloggiamento una certa lettera dellasignora di Chevreuse assai compromettente per la Regina,poiché prova non solo che Sua Maestà può amare i nemicidel Re, ma che cospira coi nemici della Francia. Ricordatetutto quello che vi ho detto? "Vostra Eminenza puòrendersene conto; il ballo della moglie del Conestabile, lanotte del Louvre, la serata di Amiens, l'arresto di Montaigu,la lettera della signora di Chevreuse." "Proprio così" disseil Cardinale "avete una memoria eccellente, Milady." "Ma"riprese colei alla quale il Cardinale aveva rivolto questocomplimento lusinghiero "se, nonostante tutte questeragioni, il duca non si arrendesse e continuasse aminacciare la Francia?" "Il duca è innamorato come unpazzo o piuttosto come un ingenuo" riprese Richelieu conprofonda amarezza; "egli, come gli antichi paladini, non èentrato in questa guerra che per ottenere uno sguardo dellasua bella. Se sa che questa guerra può costare l'onore e

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forse la libertà della dama dei suoi pensieri, come eglidice, vi assicuro che ci penserà due volte." "Eppure" disseMilady con un'insistenza che provava come essa volessevedere ben chiaro nella missione della quale era incaricata"se persistesse?" "Se persistesse…" ripeté il Cardinale"ma non è probabile!" "E' possibile!" disse Milady. "Sepersistesse…" Sua Eminenza fece una pausa e riprese:"Se persistesse… ebbene io spererei in uno di quegliavvenimenti che cambiano il volto degli Stati." "Se VostraEminenza volesse citarmi nella storia qualcuno di questiavvenimenti" disse Milady "forse io condividerei la fiducianell'avvenire." "Ebbene, ecco, per esempio" disseRichelieu "allorché nel 1610, per una causa pressappocouguale a quella che fa agire il duca, il re Enrico Quarto, digloriosa memoria, stava per invadere insieme la Fiandra el'Italia allo scopo di attaccare l'Austria da due parti, nonsuccesse forse una cosa che salvò l'Austria?[36] Perché ilRe di Francia non potrebbe avere la fortuna che ebbel'Imperatore?" "Vostra Eminenza vuol parlare dellacoltellata di via della Ferronnerie?" "Per l'appunto" disse ilCardinale. "Non teme Vostra Eminenza che il supplizio diRavaillac possa spaventare coloro che avessero per unmomento l'idea di imitarlo?" "Ci saranno in tutti i tempi e intutti i paesi, specialmente se questi paesi sono divisi dadue religioni diverse, dei fanatici i quali non chiederanno dimeglio che diventare dei martiri. E, guardate: proprio orami viene in mente che i puritani sono furiosi contro il ducadi Buckingham, che i loro predicatori designano col nomed'Anticristo." "Ebbene?" fece Milady. "Ebbene" continuò il

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Cardinale con aria indifferente "non si tratterebbe per ilmomento, ad esempio, che di trovare una donna, bella,giovane e ardita che abbia qualche ragione di vendicarsidel duca. Non è impossibile trovare questa donna: il duca èun uomo che ha avuto molte avventure, e se ha seminatomolti amori con le sue promesse di costanza eterna, deveaver seminato anche molti odi con la sua eterna infedeltà.""Certamente" disse freddamente Milady "questa donna sipuò trovare. "Ebbene, una simile donna che mettesse ilcoltello di Giacomo Clément[37] o di Ravaillac nelle manidi un fanatico, salverebbe la Francia." "Sì, ma sarebbe lacomplice di un assassinio." "Chi ha mai scoperto icomplici di Ravaillac o di Giacomo Clément?" "Nessuno,ma forse si trovavano troppo in alto perché si osasseandarli a cercare dove erano. Non si brucerebbe il Palazzodi Giustizia per chiunque." Voi dunque credete chel'incendio del Palazzo di Giustizia non sia stato opera delsolo caso?" domandò Richelieu col tono con cui si fa unadomanda senza importanza. "Io, Monsignore" risposeMilady "non credo nulla, cito un fatto, ecco tutto; solamentedico che se fossi la signorina di Montpensier o la reginaMaria de' Medici prenderei meno precauzioni di quelle cheprendo chiamandomi soltanto lady Clarick." "E' giusto"disse Richelieu "che cosa desiderereste dunque?" "Vorreiuno scritto che giustificasse tutto ciò che credessiopportuno di fare per il bene della Francia." "Ma sarebbeprima necessario trovare la donna di cui ho parlato, e cheavesse motivo di vendicarsi del duca." "E' trovata" disseMilady. "Poi sarebbe necessario trovare il miserabile

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fanatico pronto a servire da strumento alla giustizia di Dio.""Si troverà." "Ebbene" disse il Cardinale "allora sarà ilmomento di pensare allo scritto che avete chiesto." "VostraEminenza ha ragione" disse Milady "e sono io che hoavuto torto di vedere nella missione di cui ella mi onoraqualche cosa di più di ciò che è realmente. Io debbosemplicemente annunziare a Sua Grazia, da parte di SuaEminenza, che voi conoscete i diversi travestimenti conl'aiuto dei quali egli è riuscito ad avvicinare la Regina lasera della festa data dalla moglie del Conestabile; cheavete le prove del colloquio concesso al Louvre dallaRegina a un certo astrologo italiano che altri non era senon il duca di Buckingham; che avete ordinato di scrivereun romanzetto spiritosissimo sull'avventura di Amiens, conle piante del giardino in cui l'avventura si svolse e coi ritrattidegli attori che vi agirono; che Montaigu è alla Bastiglia eche la tortura può fargli dire le cose che ricorda e anchequelle che potrebbe aver dimenticato, e finalmente chepossedete una certa lettera della signora di Chevreuse,trovata nell'appartamento di Sua Grazia, che compromettesingolarmente non solo chi l'ha scritta, ma anche colei innome della quale è stata scritta. Poi, se nonostante tuttoquesto egli persiste, e siccome la mia missione si limita aciò, non avrò che a pregar Dio di fare un miracolo persalvare la Francia. Non è così, Monsignore, o debbo farequalche altra cosa?" "E' appunto così" disse seccamente ilCardinale. "E ora" continuò Milady che sembrava non avernotato il mutamento di tono del Cardinale a suo riguardo"ora che ho ricevuto le istruzioni di Vostra Eminenza a

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proposito dei suoi nemici, Monsignore vorrà permettermidi dirle due parole dei miei?" "Voi avete dunque deinemici?" domandò Richelieu. "Sì, Monsignore; dei nemicicontro i quali dovete darmi tutto il vostro appoggio, perchéme li sono fatti servendo Vostra Eminenza." "E chi sono?"domandò il Cardinale. "La prima è una piccola intriganteche si chiama Bonacieux." "E' nella prigione di Mantes.""Volete dire che c'era; la Regina ha ottenuto dal Re unordine mediante il quale l'ha fatta trasportare in unconvento." "In un convento?" disse Richelieu. "Sì, in unconvento." "In quale?" domandò il duca. "No lo so; ilsegreto è stato ben custodito." "Io lo saprò." "E VostraEminenza mi dirà poi in quale convento sia quella

donna?" "Non vedo perché non dovrei dirvelo" disse ilCardinale. "Bene. E ora ho un altro nemico ben piùtemibile per me di quanto non sia la signora Bonacieux.""E chi è?" "Il suo amante." "Come si chiama?" "Oh! VostraEminenza lo conosce bene" esclamò Milady trasportatadalla collera "è il cattivo genio di entrambi; è colui che inuno scontro con le guardie di Vostra Eminenza ha decisola vittoria in favore dei moschettieri; è colui che ha dato trecolpi di spada al signor di Wardes, il vostro emissario, cheha fatto fallire la combinazione dei fermagli; infine è coluiche, sapendo che ero stata io a far rapire la signoraBonacieux, ha giurato di uccidermi." "Ah! ah!" disse ilCardinale. "So di chi parlate." "Parlo di quel miserabiled'Artagnan!" "E' un ardimentoso compagno" disse ilCardinale. "Ed è appunto perché è un ardito compagno

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che dobbiamo temerlo di più." "Bisognerebbe" disse ilduca "avere una prova del suo accordo con Buckingham""Una prova!" esclamò Milady. "Ne avrò dieci." "Allora è lacosa più semplice del mondo. Datemi questa prova e lomando senz'altro alla Bastiglia." "Va, bene, Monsignore.Ma poi?" "Quando uno entra nella Bastiglia non c'è un poi"disse il Cardinale con voce sorda. "Ah, perdio! se mi fossecosì facile sbarazzarmi dei miei nemici come mi è facilesbarazzarmi dei vostri, e se fosse contro questi ultimi chemi chiedete l'impunità!…" "Monsignore" riprese Milady"dente per dente, vita per vita, uomo per uomo; datemiquello e io vi do l'altro." "Non so che cosa vogliate dire"disse il Cardinale "e non voglio saperlo; però desiderofarvi cosa grata e non vedo alcun inconveniente a darvi ciòche mi chiedete contro una così infima creatura; tanto piùche, come voi dite, quel piccolo d'Artagnan è un libertino,un attaccabrighe, un traditore." "E un infame, Monsignore,un infame!" "Date dunque carta, penna e calamaio" disse ilCardinale. "Ecco qui tutto, Monsignore." Ci fu un attimo disilenzio che provava come il Cardinale fosse occupato acercare i termini nei quali doveva essere scritto il biglietto,e fors'anche a scriverlo. Athos, che non aveva perso unaparola della conversazione, prese i suoi due compagni permano e li condusse all'altra estremità della sala. "Ebbene"disse Porthos "che cosa volete e perché non ci lasciatesentire la fine del colloquio?" "Silenzio" sussurrò Athos"abbiamo inteso tutto quanto era necessario cheintendessimo; d'altronde, io non vi impedisco di ascoltare ilresto." "Dovete uscire?" disse Porthos. "Ma se il Cardinale

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chiede di voi, che cosa gli risponderemo?" "Voi nonaspetterete che chieda di me, gli direte per primi che sonouscito in esplorazione perché certe parole dettedall'albergatore mi hanno fatto sospettare che la strada nonsia sicura; io parlerò allo scudiero del Cardinale in questosenso; il resto riguarda me solo, non preoccupatevene.""Siate prudente, Athos!" disse Aramis. "State tranquilli"rispose Athos "ho abbastanza sangue freddo, e voi losapete!" Porthos e Aramis andarono a rioccupare i loroposti presso il tubo di stufa. Quanto ad Athos, egli uscìsenza nascondersi, andò a prendere il suo cavalloattaccato accanto a quelli dei suoi amici alle maniglie delleimposte, persuase con quattro parole lo scudiero dellanecessità di un'avanguardia per il ritorno, esaminò conostentata cura l'esca delle sue pistole, mise la spada fra identi e prese, da uomo di punta, la strada che conducevaal campo.

Capitolo 45 SCENA CONIUGALE

Come Athos aveva previsto, il Cardinale non tardò moltoscendere, aprì la porta della camera in cui erano imoschettieri e trovò Porthos e Aramis che giocavanoaccanitamente ai dadi. Con un rapido colpo d'occhioosservò ogni angolo della sala e notò che uno dei suoiuomini mancava. "Che ne è stato del signor Athos?"domandò. "Monsignore" rispose Porthos "il signor Athos è

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andato in esplorazione perché qualche parola del nostroalbergatore gli ha fatto sospettare che la strada non fossesicura." "E voi, signor Porthos, che cosa avete fatto?" "Hoguadagnato cinquanta pistole ad Aramis." "E ora potetetornare insieme con me?" "Siamo agli ordini dell'EminenzaVostra." "A cavallo, dunque, signori, perché si fa tardi." Loscudiero era alla porta e teneva il cavallo del Cardinale perla briglia. Un po' più lontano, nell'ombra, si scorgeva ungruppo di due uomini con tre cavalli; i due uomini eranoquelli che dovevano condurre Milady al forte di La Pointe evegliare al suo imbarco. Lo scudiero confermò al Cardinaleciò che i due moschettieri avevano già detto a proposito diAthos. Il Cardinale approvò col gesto e riprese la stradacon le stesse precauzioni della prima volta. Lasciamoloseguire il suo cammino, protetto dallo scudiero e dai duemoschettieri, e torniamo ad Athos. Per un poco egli avevacavalcato con la stessa andatura, ma, una volta fuori divista, aveva gettato il cavallo a destra, aveva fatto un giroed era tornato a una ventina di passi, nel bosco ceduo, aspiare il passaggio del piccolo drappello. Avendoriconosciuto i cappelli dei suoi compagni e le frange doratedel mantello di Cardinale, aspettò che i cavalieri avesserogirato l'angolo della strada e, dopo averli perduti di vista,tornò di galoppo all'albergo che gli fu aperto senzadifficoltà. L'albergatore lo riconobbe. "Il mio ufficiale" disseAthos "ha dimenticato di fare alla signora del primo pianouna raccomandazione importante e mi ha mandato perchérimedi alla sua dimenticanza." "Salite" risposel'albergatore "essa è ancora in camera sua." Athos

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approfittò del permesso, salì le scale col suo passoleggero, arrivò sul pianerottolo e, attraverso la portasemiaperta, vide Milady che si metteva il cappello. Entrònella camera e chiuse la porta dietro di sé. Al rumore chefece spingendo il catenaccio, Milady si volse. Athos era inpiedi, davanti all'uscio, avviluppato nel mantello, colcappello calato sugli occhi. Vedendo quella figura muta eimmobile come una statua, Milady ebbe paura. "Chi siete?Che volete?" gridò. "Suvvia, è proprio lei!" mormorò Athos.E lasciando cadere il mantello e rialzando il cappello, siavanzò verso Milady. "Mi riconoscete, signora?" disse.Milady fece un passo avanti, poi indietreggiò come seavesse veduto un serpente. "Allora va bene" disse Athos"vedo che mi riconoscete." "Il conte di La Fère!" mormoròMilady impallidendo e indietreggiando fino a che il muronon le impedì di andar più lontano. "Sì, Milady" risposeAthos "il conte di La Fère in persona, che ritornaespressamente dall'altro mondo per aver il piacere divedervi. Sediamoci dunque e parliamo, come dicemonsignor Cardinale." Milady, dominata da un terroreindicibile, sedette senza proferire una sola parola. "Voisiete dunque il demonio mandato sulla terra?" disse Athos."La vostra potenza è grande, ma, con l'aiuto di Dio, gliuomini hanno spesso vinto i più terribili demoni. Voi vi sietegià trovata sul mio cammino, signora, e credevo di averviannientata; ma, o mi sono ingannato, o l'inferno vi harisuscitata." A queste parole, che le ricordavano cosespaventose, Milady abbassò il capo ed ebbe un sordogemito. "Sì, è l'inferno che vi ha rivomitata" continuò Athos

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"l'inferno che vi ha arricchita, vi ha dato un altro nome, vi hafatto quasi un altro viso, ma non ha potuto cancellare lemacchie dalla vostra anima e il marchio dalle vostre carni."Milady si alzò come mossa da una molla, e i suoi occhilanciarono lampi. Athos restò seduto. "Mi credevate morto,è vero, come io credevo morta voi? E questo nome diAthos aveva nascosto il conte di La Fère, come il nome dimilady Clarick aveva nascosto Anna di Breuil. Non vichiamavate così, quando quel galantuomo di vostro fratelloci sposò? La nostra posizione è veramente strana"continuò Athos ridendo; "fino a ora ciascuno di noi havissuto perché credeva che l'altro fosse morto; un ricordodisturba sempre meno di una creatura, benché anche ilricordo, alle volte, possa essere una cosa divorante." "Mainfine, chi vi ha ricondotto a me?" chiese con voce sordaMilady. "E che cosa volete?" "Voglio dirvi che pur restandoinvisibile ai vostri occhi, io non vi ho perduta di vista!""Sapete ciò che ho fatto?" "Posso raccontarvi giorno pergiorno le vostre azioni da quando siete entrata al serviziodel Cardinale fino a questa sera." Un sorriso incredulosfiorò le pallide labbra di Milady. "Ascoltate: siete voi cheavete tagliato i due diamanti dalla spalla del duca diBuckingham; siete voi che avete fatto rapire la signora diBonacieux; voi che, essendo innamorata del signor diWardes e credendo di passare la notte con lui, aveteaperto la porta della vostra camera a d'Artagnan; voi che,credendo che il signor di Wardes vi avesse ingannato,avete voluto farlo uccidere dal suo rivale; voi che, allorchéquesto rivale scoprì il vostro segreto infame, avete voluto

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farlo uccidere a sua volta da due assassini sguinzagliatialle sue calcagna; voi che, vedendo il primo tentativo fallito,gli avete mandato del vino avvelenato accompagnato dauna lettera falsa per far credere alla vostra vittima che quelvino gli era inviato dai suoi amici; voi, infine, che, in questastessa camera, avete preso con Richelieu l'impegno di farassassinare Buckingham in cambio della promessa ch'eglivi ha fatto di lasciarvi assassinare d'Artagnan." Milady eralivida. "Voi siete dunque Satana!" esclamò. "Forse" disseAthos, "ad ogni modo state bene attenta a quanto vi dico:assassinate o fate assassinare il duca di Buckingham,poco m'importa, non lo conosco; d'altronde è un Inglese;ma non toccate con la punta di un dito un solo capello did'Artagnan, che è il mio amico più caro e che io difendo; vigiuro sul capo di mio padre, che questo sarebbe il vostroultimo delitto!" "Il signor d'Artagnan mi ha offesocrudelmente" disse Milady con voce sorda "e il signord'Artagnan morrà." "Ma è forse possibile offendervi,signora?" osservò ridendo Athos. "Egli vi ha offeso emorrà?" "Morrà" riprese Milady. "Prima lei, poi lui." Athosebbe come una vertigine; la vista di quella creatura, chenon aveva nulla di muliebre, gli rinnovava dei terribilimomenti; si ricordò che un giorno, in una situazione menopericolosa di quella in cui si trovava ora, egli aveva giàvoluto ucciderla per salvare il suo onore; il desiderio diuccidere tornò in lui ardente e lo invase come una febbre;si alzò a sua volta, portò la mano alla cintura, ne tolse lapistola e alzò il cane. Milady, pallida come un cadavere,volle gridare, ma la sua lingua ghiacciata non poté

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emettere che un suono rauco il quale non aveva nulla diumano e ricordava piuttosto il rantolo di una bestia;incollata alla tappezzeria cupa, con i capelli sparsi, essaappariva come l'immagine spaventosa del terrore. Athosalzò lentamente la pistola e stese il braccio, di modo chel'arma toccò quasi la fronte di Milady, poi, con voce resapiù terribile dalla calma suprema di una impassibilerisoluzione: "Signora" disse "voi mi consegnereteimmediatamente il biglietto che vi ha firmato il Cardinale ovi faccio saltare le cervella." Se si fosse trattato di tutt'altri,Milady avrebbe potuto serbare qualche dubbio, ma essaconosceva Athos; purtuttavia rimase immobile. "Vi lascioun minuto secondo per decidervi" egli disse. Milady videdalla contrazione del suo viso che il colpo stava per partire;portò vivamente una mano al petto, ne trasse una carta e latese ad Athos. "Prendete" disse "e siate maledetto!" Athosprese il foglio, rimise la pistola alla cintura, s'avvicinò allalampada per verificare che fosse il biglietto desiderato, elesse: E' per mio ordine e per il bene dello Stato che ilportatore del presente biglietto ha fatto ciò che ha fatto. 3dicembre 1627 Richelieu."E ora" disse Athos riprendendoil mantello e rimettendo in testa il cappello "ora che ti hostrappato i denti, vipera, mordi, se puoi." E uscì dallacamera senza guardarsi indietro. Alla porta trovò i dueuomini con i tre cavalli. "Signori, voi conoscete gli ordini diMonsignore" disse "dovete condurre questa donna, senzaperder tempo, al forte di La Pointe e non dovete lasciarlase non quando sarà a bordo." Poiché queste parole siaccordavano perfettamente con gli ordini che avevano

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ricevuto, essi chinarono il capo in segno di assenso. Athossaltò leggermente in sella e partì al galoppo; però, invecedi seguire la strada, si gettò attraverso i campi spronandovigorosamente il suo cavallo e arrestandosi di tanto in tantoper stare in ascolto. In una di queste fermate udì sullastrada il rumore di vari cavalli. Non dubitò un attimo che sitrattasse del Cardinale e della sua scorta. Fece dunqueancora un tempo di galoppo; strofinò il suo cavallo con unpugno di felci e foglie secche e andò a piantarsi in mezzoalla strada a duecento passi circa dal campo. "Chi va là?"gridò da lontano non appena scorse i cavalieri "Credo chesia il nostro bravo moschettiere" disse il Cardinale. "Sì,Monsignore, è proprio lui!" rispose Athos. "Signor Athos"continuò Richelieu "abbiatevi tutti i miei ringraziamenti perla buona guardia che avete fatto; signori, eccoci arrivati;entrate dalla porta di sinistra: la parola d'ordine è Roi eRé." E in così dire, il Cardinale salutò col capo i tre amici eprese a destra, seguito dal suo scudiero, giacché quellanotte anch'egli dormiva al campo. "Ebbene" dissero a unavoce Porthos e Aramis allorché il Cardinale si trovò fuoridalla portata delle loro voci "egli ha scritto il bigliettoch'essa domandava." "Lo so" disse tranquillamente Athos."Infatti, eccolo qui." I tre amici non si scambiarono più alcunmotto sino al loro alloggiamento, tranne per dare la parolad'ordine alle sentinelle. Soltanto, spedirono Mousqueton daPlanchet per avvertirlo che, non appena il suo padronefosse tornato dalla trincea, era pregato di passareimmediatamente all'alloggiamento dei moschettieri. D'altrocanto, come Athos aveva previsto, Milady, trovando alla

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porta gli uomini che l'aspettavano, non fece nessunadifficoltà a seguirli; per un attimo essa aveva avuto l'idea ditornare dal Cardinale e di raccontargli tutto, ma unarivelazione da parte sua avrebbe provocato una rivelazioneda parte di Athos; essa avrebbe potuto dire che Athosl'aveva impiccata, ma Athos avrebbe detto che ella eramarcata alla spalla; pensò quindi che per ora fosse megliotacere, partire discretamente e compiere con la solitaabilità la difficile missione della quale era incaricata, poi,allorché tutto fosse andato come desiderava il Cardinale,sarebbe tornata per reclamare la propria vendetta. Diconseguenza, dopo aver viaggiato tutta la notte, alle settedel mattino era al forte di La Pointe, alle otto saliva abordo, e alle nove il bastimento che, munito di letterepatenti del Cardinale, doveva fingere di partire per Baiona,levava l'àncora e faceva vela alla volta dell'Inghilterra.

Capitolo 46 IL BASTIONE DI SAN GERVASIO

Arrivando dai suoi amici, d'Artagnan li trovò riuniti nellastessa stanza: Athos rifletteva, Porthos si arricciava i baffie Aramis leggeva le preghiere in un delizioso libro d'orerilegato in velluto azzurro. "Perbacco, signori!" esclamò."Spero che ciò che dovete dirmi sia veramente importante,altrimenti vi prevengo che non vi perdonerò d'avermi fattovenir qui invece di lasciarmi riposare dopo una nottepassata a prendere e a smantellare un bastione. Ah!

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Perché non ci eravate, signori! Faceva caldo, ve logarantisco!" "Eravamo in altro luogo, e neppure là facevafreddo!" rispose Porthos mentre dava ai suoi baffi unapiega che era loro affatto particolare. "Zitto!" imposeAthos. "Oh, oh!" fece d'Artagnan comprendendo il leggeroaggrottare delle sopracciglia di Athos "sembra che qui cisia qualcosa di nuovo." "Aramis" disse Athos "voi sieteandato a far colazione l'altro giorno all'albergo delParpaillot, mi pare?" "Sì." "Come ci si sta?" "Mah, io vi homangiato molto male; ier l'altro era un giorno di magro enon avevano che piatti di grasso." "Come mai?" chieseAthos. "In un porto di mare non hanno pesce?" "Dicono"riprese Aramis rimettendosi alla devota lettura "che la digache fa costruire monsignor Cardinale lo respinge in altomare." "Non è questo che volevo sapere, Aramis" ripreseAthos. "Vi domandavo se vi siete trovato a vostro agio e senessuno vi ha disturbato." "Mi pare che non ci fosserotroppi importuni; sì, in fin dei conti, per quel che volete dire,Athos, credo che staremo abbastanza bene alParpaillot[38]." "Andiamo dunque al Parpaillot" disse Athos"perché qui le pareti sono come fogli di carta." D'Artagnan,che era abituato al modo di fare del suo amico, e cheintuiva da una parola, da un gesto, da un segno di lui se sitrattasse o no di cosa grave, prese Athos sottobraccio euscì con lui senza dir nulla; Porthos li seguì chiacchierandocon Aramis. In strada incontrarono Grimaud, Athos gli fececenno di seguirlo; Grimaud, secondo il solito, obbedì insilenzio; il povero ragazzo a poco a poco aveva finito coldisimparar a parlare. Arrivarono all'osteria del Parpaillot:

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erano le sette del mattino, il giorno cominciava a spuntare;i quattro amici ordinarono la colazione ed entrarono in unasala in cui, secondo le asserzioni dell'oste, non sarebberostati disturbati. Disgraziatamente, l'ora era stata sceltamale per un conciliabolo; la diana era già stata battuta, tuttiscotevano il sonno della notte e, per vincere l'umidità delmattino, molti venivano a bere un sorso all'osteria: dragoni,svizzeri, guardie moschettieri, cavalleggeri si succedevanocon una rapidità che doveva certo essere favorevole agliaffari dell'oste, ma rispondeva assai poco agli scopi deiquattro amici, per cui essi rispondevano assaisgarbatamente ai saluti, ai brindisi e agli scherzi deicompagni. "Suvvia" disse Athos "finiremo col tirarciaddosso qualche buona disputa, e ciò non sarebbeopportuno in questo momento. D'Artagnan, raccontatecicome avete disputato la notte, e noi vi diremo poi comeabbiamo passato la nostra." "Infatti" disse un cavalleggeroche si dondolava tenendo in mano un bicchiere d'acquaviteche andava sorseggiando lentamente "infatti, voi eravate diguardia in trincea questa notte, signora guardia, e mi pareche abbiate avuto a che fare con i Rochellesi" D'Artagnanguardò Athos per sapere se doveva rispondere aquell'intruso che si mischiava alla loro conversazione."Ebbene" disse Athos "non senti che il signor di Busigny tifa l'onore di rivolgerti la parola? Racconta che cosa èaccaduto questa notte, visto che questi signori desideranosaperlo." "Non afere foi preso un pastione?" chiese unosvizzero che bevevo del rhum in un bicchiere di birra. "Sì,signore" rispose d'Artagnan con un inchino "abbiamo avuto

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questo onore; abbiamo anzi, come avete sentito dire,introdotto sotto uno degli angoli un barile di polvere che,esplodendo, ha prodotto una breccia graziosissima, senzacontare che, siccome il bastione non era nuovissimo, tuttoil resto del fabbricato ne è rimasto alquanto sconnesso.""Che bastione è?" chiese un dragone che teneva infilatanella sciabola un'oca che aveva portato lì per farla cuocere."Il bastione di San Gervasio" rispose d'Artagnan "standodietro il quale i Rochellesi disturbavano i nostri lavoratori.""E c'è stato da menar le mani?" "Certamente; noi abbiamperso cinque uomini e i Rochellesi otto o dieci." "Pelzepù!"disse lo svizzero, il quale, a dispetto della splendidacollezione di bestemmie che possiede la lingua tedesca,aveva preso l'abitudine di bestemmiare in francese. "Ma èprobabile" disse il cavalleggero "che stamattina mandinodegli zappatori per riparare il bastione." "E' probabile!"assentì d'Artagnan. "Signori!" esclamò Athos "facciamouna scommessa?" "Sì, una scommessa!" disse lo svizzero."Quale?" domandò il cavalleggero. "Aspettate!" gridò ildragone posando la sua sciabola, come fosse uno spiedo,sui grandi alari di ferro del camino "vengo anch'io. Ostedella malora, portami subito una leccarda, non voglioperdere una goccia del grasso di questo splendidopalmipede." "Egli afere racione" disse lo svizzero "ilgrasso d'oca essere ponissimo ma con marmellata!""Ecco" continuò il dragone. "Adesso sentiamo lascommessa. Parlate, signor Athos." "Fuori lascommessa!" esclamò il cavalleggero. "Ebbene, signor diBusigny, scommetto con voi che i miei tre compagni, i

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signori Porthos, Athos, d'Artagnan e io, andremo a farcolazione nel bastione di San Gervasio e che viresisteremo un'ora, orologio alla mano, qualunque cosafaccia il nemico per scacciarci." Porthos e Aramis siscambiarono un'occhiata, cominciando a capire. "Ma"disse d'Artagnan all'orecchio di Athos "ci faremo uccideresicuramente." "Corriamo maggior rischio" rispose Athos"d'essere uccisi se non vi andiamo." "Perbacco, mi pareche questa sia una bella scommessa" disse Porthosrovesciandosi sulla sedia e arricciandosi i baffi. "E ioaccetto" disse Busigny. "Ora si tratta di fissare la posta.""Voi siete quattro, signori" disse Athos. "Noi siamo quattro.Un pranzo senza economia per otto, vi va?" "A meraviglia"riprese Busigny. "Perfettamente" confermò il dragone."Sono del fostro parere" disse lo svizzero. Il quarto che,durante tutta la conversazione aveva recitato una partemuta, fece un cenno con la testa per significare cheaccettava la proposta. "La colazione dei signori è pronta"disse l'oste. "Ebbene, portatela" ordinò Athos. L'osteubbidì. Athos chiamò Grimaud, gli indicò un grandepaniere abbandonato in un canto e gli fece cenno diinvolgere nei tovaglioli le vivande portate. Grimaud capìimmediatamente che si trattava di una colazione sull'erba;prese il paniere, impacchettò le vivande, vi aggiunse lebottiglie e si infilò il paniere al braccio. "Dove andate amangiare la mia colazione?" chiese l'oste. "Che ve neimporta?" disse Athos "purché siate pagato!" E gettòmaestosamente due pistole sul tavolo. "Debbo darvi ilresto, signor ufficiale?" domandò l'oste "No, aggiungi

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soltanto due bottiglie di champagne, e ciò che rimane saràper i tovagliuoli." L'oste non faceva il buon affare che avevasperato da principio, ma si rifece dando ai suoi avventoridel vino di Angiò invece che dello champagne. "Signor diBusigny" disse Athos "volete regolare il vostro orologio colmio, o permettermi di regolare il mio col vostro?""Benissimo, signore!" assentì il cavalleggero levando daltaschino un bellissimo orologio contornato di diamanti."Sono le sette e mezzo." "Sette e trentacinque" disseAthos. "Sappiamo, dunque, che il mio orologio avanza dicinque minuti sul vostro." E, salutando i presenti sbalorditi, iquattro giovanotti si avviarono verso il bastione di SanGervasio, seguiti da Grimaud che portava il paniere,ignorando dove andava, ma, nell'obbedienza passiva cui loaveva abituato Athos, non pensando neppure adomandarlo. Finché furono nel recinto del campo, i quattroamici non scambiarono parola; d'altronde erano seguiti daicuriosi che, avendo appreso della scommessa, volevanosapere come se la sarebbero cavata. Ma non appenaebbero passato la linea di circonvallazione e furono inaperta campagna, d'Artagnan, che era completamenteall'oscuro di quanto era successo, credette che fossegiunto il momento di chiedere una spiegazione. "Ora, miocaro Athos" disse a fatemi il piacere di dirmi doveandiamo." "Lo vedete bene" disse Athos "andiamo albastione." "Ma che cosa ci andiamo a fare?" "Lo sapete,andiamo a far colazione." "Ma perché non abbiamomangiato al Parpaillot?" "Perché dobbiamo parlare dicose importanti ed era impossibile parlare cinque minuti in

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quell'osteria con tanti importuni che vanno, vengono,salutano, ti si avvicinano; qui, almeno" disse Athosindicando il bastione "nessuno verrà a disturbarci." "Misembra" osservò d'Artagnan con quella prudenza che cosìbene in lui si adattava al suo grande coraggio a cheavremmo potuto trovare qualche luogo appartato fra ledune sulla riva del mare." "Dove ci avrebbero vistoconfabulare tutti e quattro insieme, di modo che, in meno diun quarto d'ora, il Cardinale sarebbe stato avvertito dallesue spie che noi tenevamo consiglio." "Athos ha ragione"disse Aramis. "Animadvertuntur in desertis." "Un desertonon sarebbe andato male" osservò Porthos "ma bisognavatrovarlo." "Non ci sono deserti in cui un uccello non possapassare sul campo, o un pesce non possa saltar fuoridall'acqua, o un coniglio sbucare dalla sua tana, e credoche tanto l'uccello quanto il pesce e il coniglio possanotramutarsi in spie del Cardinale. Val meglio, dunque,proseguire nella nostra impresa: non potremmo ormaiindietreggiare senza vergogna. Abbiamo fatto unascommessa che non poteva essere prevista, di cui sfidochiunque a indovinare il movente, e per vincerlaresisteremo un'ora sul bastione. Può darsi che siamoattaccati e può darsi che non lo siamo. Se non lo saremo,avremo tutto il tempo per parlare senza che nessuno ciascolti, perché i muri di quel bastione non hanno orecchie;se lo saremo, parleremo ugualmente dei nostri affari;inoltre, difendendoci, ci copriremo di gloria. Come vedete,tutto è per il nostro meglio." "Sì" fece d'Artagnan "ma cibuscheremo qualche palla, sicuramente." "Eh, mio caro"

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disse Athos "voi sapete bene che non sono le palle delnemico quelle che si debbono maggiormente temere." "Mami sembra che, per una simile spedizione, avremmodovuto, per lo meno, portare con noi i moschetti." "Voisiete uno sciocco, amico Porthos; perché ci saremmodovuti caricare di un peso inutile?" "Mi pare che di fronte alnemico, un buon moschetto, dodici cartucce e la borsadella polvere non siano un inutile peso!" "Ma non aveteudito quello che ha detto d'Artagnan?" "Che cosa ha dettod'Artagnan?" domandò Porthos. "D'Artagnan ha detto chenell'attacco di questa notte ci sono stati otto o dieciFrancesi e altrettanti Rochellesi uccisi." "E poi?" "Non cipuò essere stato il tempo di spogliarli, non vi sembra?C'erano altre cose più urgenti da fare." "Ebbene?" "Noitroveremo i loro moschetti, le loro borse di polvere e le lorocartucce; e invece di quattro moschetti e di dodici palle,avremo una quindicina di fucili e un centinaio di colpi datirare." "Oh, Athos" disse Aramis "voi siete veramente ungrand'uomo!" Porthos chinò il capo in segno diapprovazione. Il solo d'Artagnan non pareva convinto. Esenza dubbio Grimaud condivideva la perplessità delgiovanotto, perché vedendo che si continuava acamminare verso il bastione cosa che fino allora non gliera parsa possibile tirò il suo padrone per un lembo dellagiubba. "Dove andiamo?" chiese col gesto. Athos gliindicò il bastione. "Ma" disse con lo stesso mutolinguaggio Grimaud "ci lasceremo la pelle." Athos alzò gliocchi e il dito verso il cielo. Grimaud posò a terra il panieree sedette scotendo il capo. Athos tolse dalla cintura una

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pistola, si assicurò che l'esca fosse bene a posto eaccostò la canna all'orecchio del servo. Grimaud si ritrovòin piedi quasi che fosse azionato da una molla. Athos glifece cenno di prendere il paniere e di passargli davanti.Grimaud obbedì. Tutto ciò che il ragazzo ebbe guadagnatocon la sua pantomima era di passare dalla retroguardiaall'avanguardia. Arrivati al bastione, i quattro amici sivolsero. Più di trecento soldati di tutte le armi erano adunatiall'ingresso del campo, e in gruppo a parte si potevanodistinguere il signor di Busigny, il dragone, lo svizzero e ilquarto scommettitore. Athos si tolse il cappello, lo misesulla punta della spada e lo agitò in aria. Tutti gli spettatorigli restituirono il saluto accompagnando questa cortesiacon un grande evviva che giunse sino a loro. Dopo di che, iquattro amici disparvero nel bastione dove Grimaud liaveva già preceduti.

Capitolo 47 IL CONSIGLIO DEI MOSCHETTIERI

Come Athos aveva previsto, il bastione non era occupatoche da una decina di morti, parte Francesi parteRochellesi. "Signori" disse Athos che aveva preso ilcomando della spedizione "mentre Grimaud prepara latavola, cominciamo col raccogliere i fucili e le cartucce;possiamo d'altronde chiacchierare mentre compiamoquesto lavoro. Questi signori" continuò indicando i morti"non staranno ad ascoltarci." "Potremmo tuttavia gettarli

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nel fossato" disse Porthos "beninteso, dopo esserciassicurati che non hanno nulla in tasca." "Sì" convenneAthos "la cosa riguarda Grimaud." "Bene" dissed'Artagnan "allora Grimaud li perquisisca e li getti al di làdel parapetto." "Guardatevene bene!" disse Athos. "Essipossono esserci utili." "Utili questi morti?" disse Porthos."Ma voi diventate pazzo, mio caro." "Non giudicatetemerariamente, dicono il Vangelo e monsignor Cardinale"disse Athos, e aggiunse: "Quanti fucili, signori?". "Dodici"rispose Aramis. "Quanti colpi?" "Un centinaio." "E' quantoci abbisogna; carichiamo le armi." I quattro amici si miseroall'opera; avevano appena finito di caricare l'ultimo fucile,quando Grimaud fece segno che la colazione era servita.Athos rispose, sempre con un gesto, che la cosa gli facevapiacere e indicò a Grimaud una specie di garitta e ildomestico comprese che doveva mettervisi di sentinella.Solamente, per alleggerirgli la noia della fazione, Athos glipermise di portar seco del pane, due costolette e unabottiglia di vino. "E ora a tavola" disse Athos. I quattroamici sedettero per terra, incrociando le gambe come iTurchi e i sarti. "Adesso che non temi più di essere udito"disse d'Artagnan "spero che ci metterai a parte del tuosegreto, Athos!" "Spero di procurarvi insieme un po' didivertimento" rispose Athos "e un po' di gloria, signori. Viho fatto fare una passeggiata piacevole; qui c'è unasucculenta colazione e laggiù, come potete vedereattraverso le feritoie, ci sono cinquecento persone che ciconsiderano pazzi o eroi; due categorie di imbecilli chehanno molti punti di rassomiglianza." "Ma questo segreto?"

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insistette d'Artagnan. "Il segreto" disse Athos "è che hoveduto Milady ieri sera." D'Artagnan stava per bere, ma alnome di Milady la mano gli tremò così forte che fu costrettoa posare in terra il bicchiere per non versarne il vinocontenuto. "Tu hai veduta tua mo…" "Zitto" lo interruppeAthos "dimenticate che i nostri amici non sono iniziaticome voi al segreto delle mie faccende private; ho vedutaMilady." "Dove?" domandò d'Artagnan. "Circa a due legheda qui, all'albergo del Colombo Rosso." "In tal caso sonoperduto" disse d'Artagnan. "Non ancora interamente"riprese Athos "perché a quest'ora ella deve avere lasciatole coste della Francia." D'Artagnan respirò. "Ma alla finedei conti" domandò Porthos "chi è dunque questa Milady?""Una donna deliziosa" disse Athos sorseggiando unbicchiere di vino spumante. "Canaglia di un oste!"esclamò. "Ci ha dato del vino di Angiò invece dichampagne e crede che ci lasceremo imbrogliare! Sì, unadonna deliziosa" continuò "che è stata molto compiacentecol nostro amico d'Artagnan, il quale l'ha ricompensata connon so quale mala azione di cui essa ha tentato divendicarsi un mese fa cercando di farlo uccidere a colpi dimoschetto, otto giorni or sono tentando di avvelenarlo, eieri domandando la sua testa al Cardinale." "Come!Domandando la mia testa al Cardinale?" esclamòd'Artagnan pallido di terrore. "Questo è vero come ilVangelo" disse Porthos. "L'ho intesa con le mie orecchie.""Anch'io" fece Aramis. "Allora" mormorò d'Artagnanscoraggiato, lasciando cadere il braccio "è inutile lottarepiù a lungo; tanto vale che la faccia finita facendomi saltare

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le cervella." "E' l'ultima sciocchezza da fare" disse Athos"visto che è la sola alla quale non ci sia rimedio." "Mariuscirò mai a salvarmi con simili nemici?" dissed'Artagnan. "Prima lo sconosciuto di Meung, poi di Wardesal quale ho dato tre colpi di spada, poi Milady della qualeho scoperto il segreto, infine il Cardinale al quale homandato a monte la vendetta." "Ebbene" disse Athos"presi tutti insieme non sono che quattro, e anche noisiamo quattro: uno contro uno. Perdio, se dobbiamocredere ai segni che ci fa Grimaud, stiamo per aver a chefare con un numero ben maggiore di persone Che c'è dinuovo, Grimaud? Vista la gravità del momento, vi permettodi parlare, amico mio, ma siate laconico, ve ne prego. Checosa vedete?" "Una pattuglia." "Di quante persone?" "Diventi uomini." "Di che uomini?" "Sedici zappatori e quattrosoldati." "Quanto sono distanti da noi?" "Cinquecentopassi." "Bene, abbiamo ancora il tempo di finire questopollo e di bere un bicchiere di vino alla vostra salute,d'Artagnan!" "Alla vostra salute!" ripeterono Porthos eAramis. "E sia, alla mia salute! Sebbene non speri chequesti auguri servano a qualche cosa." "Dio è grande"disse Athos "come dicono i fedeli d Maometto, e l'avvenireè nelle sue mani." Poi, tracannato il contenuto del suobicchiere, che posò accanto a sé, Athos si alzò connoncuranza, prese il primo fucile che gli venne sottomano esi avvicinò ad una feritoia. Porthos, Aramis e d'Artagnanfecero altrettanto. Quanto a Grimaud, egli ricevette l'ordinedi mettersi dietro ai quattro amici per ricaricare le armi. Incapo a un momento, si vide comparire la pattuglia; questa

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camminava lungo una specie di budello che congiungevala città al bastione. "Perdio!" disse Athos "non valevaproprio la pena che ci scomodassimo per una ventina disemplicioni armati di picconi e di pale! Sarebbe bastatoche Grimaud facesse loro cenno di ritirarsi, e sonoconvinto che ci avrebbero lasciati tranquilli." "Ne dubito"fece d'Artagnan "perché vengono avanti arditamente. Epoi, con gli zappatori ci sono quattro soldati e unbrigadiere armati di moschetto." "E' perché non ci hannovisto" osservò Athos. "Parola d'onore" disse Aramis"confesso che mi fa pena sparare sopra quei poveri diavolidi borghesi." "Cattivo prete" bofonchiò Porthos "che hapietà degli eretici." "In verità, Aramis ha ragione" disseAthos "ora li avverto." "Che diavolo fate?" gridò d'Artagnan"vi farete prendere a fucilate, mio caro." Ma Athos non glidette retta e salì sulla breccia col fucile in una mano e ilcappello nell'altra: "Signori" disse ai soldati e aglizappatori, che, meravigliati della sua apparizione si eranoarrestati a una cinquantina di passi dal bastione,salutandoli cortesemente. "Signori, io e qualche amico miostiamo facendo colazione dentro questo bastione. Ora, voidovete sapere che nulla è più spiacevole che esseredisturbati mentre si fa colazione; quindi vi preghiamo, datoche abbiate assoluta necessità di venire dove noi siamo,di aspettare che abbiamo finito o di ripassare un poco piùtardi; a meno che non abbiate la lodevole idea diabbandonare il partito della ribellione e di venir a bere connoi alla salute del Re di

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Francia." "Attento, Athos!" esclamò d'Artagnan "nonvedete che vi prendono di mira?" "E' vero, è vero" disseAthos. "Ma sono borghesi che tirano malissimo e non micolpiranno." Infatti nello stesso momento risuonaronoquattro colpi, e le palle vennero a schiacciarsi intorno adAthos senza che nessuna lo toccasse. Quattro colpi difucile risposero quasi contemporaneamente, ma questierano meglio diretti poiché tre soldati caddero mortistecchiti e un operaio rimase ferito. "Un altro moschetto,Grimaud!" ordinò Athos sempre sulla breccia. Grimaudobbedì immediatamente. Dal canto loro, i tre amiciavevano ricaricato le armi, e una seconda scarica seguì laprima: il brigadiere e due operai caddero morti, gli altri sidiedero alla fuga. "Suvvia, signori, facciamo una sortita"disse Athos. E i quattro amici, slanciandosi fuori dal forte,raggiunsero il campo di battaglia, raccolsero i quattromoschetti, la picca del brigadiere e, persuasi che ifuggiaschi si sarebbero arrestati solo in città, ripresero lavia del bastione, portandovi i trofei della loro vittoria."Ricaricate le armi. Grimaud" ordinò Athos "e noi, signori,continuiamo la colazione e riprendiamo la nostraconversazione. Dov'eravamo rimasti?" "Io me lo ricordo"disse d'Artagnan che era molto preoccupato dell'itinerarioche doveva seguire Milady. "Milady va in Inghilterra"continuò Athos. "A quale scopo?" "Per assassinare o farassassinare Buckingham." D'Artagnan gettò un grido disorpresa e di indignazione: "Ma è un'infamia!" "Oh, quantoa questo" disse Athos "vi prego di credere che la cosa nonmi preoccupa granché. Ora che avete finito, Grimaud"

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continuò Athos "prendete la mezza-picca del nostrobrigadiere, attaccatevi un tovagliuolo e piantatela in cima albastione perché i Rochellesi vedano che hanno a che farecon coraggiosi e leali soldati del Re." Grimaud obbedìsenza rispondere. Un momento dopo, la bandiera biancasventolava sulle teste dei nostri amici; una tempestad'applausi salutò la sua apparizione: mezzoaccampamento era alle barriere. "Come!" esclamòd'Artagnan. "Tu non ti preoccupi che Milady uccida o facciauccidere Buckingham? Eppure il duca è nostro amico." "Ilduca è inglese e combatte contro di noi; Milady puòdunque farne quello che vuole, me ne importa tanto comedi una bottiglia vuota!" E Athos gettò a quindici passi da séuna bottiglia che aveva in mano e della quale avevaversato il contenuto nel suo bicchiere. "Un momento" dissed'Artagnan "io non abbandono Buckingham cosìfacilmente; ci aveva regalato dei così bei cavalli!" "Esoprattutto delle belle selle!" aggiunse Porthos, che proprioallora portava sul mantello il gallone della sua. "E Dio"osservò Aramis "vuole la conversione, non la morte delpeccatore." "Amen" fece Athos. "Di questo discuteremopoi, se vi farà piacere; ma ciò che per il momento mipreoccupava di più (e sono certo che tu mi capirai,d'Artagnan) era di riprendere a quella donna una specie didocumento in bianco ch'ella aveva strappato al Cardinale ecol quale si sarebbe potuta sbarazzare impunemente di tee forse anche di noi." "Ma è dunque un demonio questacreatura?" chiese Porthos porgendo il suo piatto adAramis che tagliava un pollo. "E questo documento in

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bianco" disse d'Artagnan "questo documento in bianco èancora in mano sua?" "No, è passato nelle mie mani. Enon dirò che la cosa sia stata facile, perché mentirei." "Miocaro Athos" disse d'Artagnan "io non conto più le volte chevi debbo la vita!" "Allora fu per andare da lei che ci avetelasciati?" chiese Aramis. "Precisamente." "E tu hai lalettera del Cardinale?" disse d'Artagnan. "Eccola!" risposeAthos. E trasse il foglio prezioso dalla tasca della suacasacca. D'Artagnan lo spiegò con mano di cui nontentava neppure di dissimulare il tremito, e lesse: E' permio ordine e per il bene dello Stato che il portatore delpresente biglietto ha fatto ciò che ha fatto. 3 dicembre1627 Richelieu. "Questa è un'assoluzione in piena regola"osservò Aramis. "Bisogna strappare questa carta!" dissed'Artagnan che sembrava leggere la propria sentenza dimorte. "Al contrario" disse Athos "bisogna conservarlapreziosamente, e io non darei questo biglietto quand'anchelo si ricoprisse d'oro." "E ora che farà quella donna?"domandò il giovanotto. "Ma" disse con noncuranza Athos"scriverà probabilmente al Cardinale che un dannatomoschettiere, di nome Athos, gli ha strappato a forza il suosalvacondotto e lo consiglierà di sbarazzarsi di lui e deisuoi amici Porthos e Aramis; il Cardinale ricorderà chesono gli stessi uomini che trova sempre sulla propriastrada e allora, un bel giorno, farà arrestare d'Artagnan e,perché non si annoi troppo alla Bastiglia, ci manderà atenergli compagnia." "Però" disse Porthos "mi sembra chestiate scherzando in modo ben triste." "Non scherzo"affermò Athos. "Ma sapete" disse Porthos "che torcere il

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collo a questa dannata Milady sarebbe minor peccato chetorcerlo a poveri diavoli di Ugonotti che non hanno maicommesso altro delitto che di cantare in francese i salmiche noi cantiamo in latino!" "Che ne pensa l'abate?"domandò tranquillamente Athos. "Dico che sono del pareredi Porthos" rispose Aramis "Pensate, io…" esclamòd'Artagnan. "Per fortuna essa è lontana" osservò Porthos"perché confesso che se fosse qui mi darebbe fastidio." "Ame dà fastidio in Inghilterra non meno che in Francia" disseAthos. "A me dà fastidio ovunque sia" continuò d'Artagnan."Ma, visto che l'avevate fra le mani" disse Porthos "perchénon l'avete annegata, strozzata o impiccata? Solo i mortinon possono ritornare." "Ho un'idea" disse d'Artagnan."Sentiamola" risposero i moschettieri. "Allarmi!" gridòGrimaud. I giovani balzarono in piedi e afferrarono i lorofucili. Questa volta veniva verso di loro un drappello di ventio venticinque uomini; ma non erano più operai, eranosoldati della guarnigione. "Se tornassimo al campo?"propose Porthos. "Mi sembra che la partita non sia pari.""E' impossibile, per tre ragioni" rispose Athos "la prima èche non abbiamo finito di far colazione; la seconda è cheabbiamo da dirci ancora delle cose importanti; la terza èche mancano ancora dieci minuti perché sia trascorsa l'orafissata." "Allora" disse Aramis "bisogna stabilire un pianodi battaglia." "E' semplicissimo" rispose Athos; "nonappena il nemico sarà a portata dei nostri moschetti,facciamo fuoco; se continua ad avanzare, facciamo ancorafuoco, facciamo fuoco sin che avremo fucili carichi; se ciòche rimarrà del drappello vorrà ancora salire all'attacco,

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lasceremo gli assedianti discendere nel fossato e faremocrollar loro sulla testa quel pezzo di muro che sta ritto perun miracolo di equilibrio." "Bravo!" esclamò Porthos"decisamente, Athos, voi eravate nato per essere generalee il Cardinale, che si crede un grand'uomo di guerra, è benpoca cosa al vostro confronto." "Signori" disse Athos"state bene attenti a prendere di mira ognuno il vostrouomo." "Io ho già scelto il mio" disse d'Artagnan. "E io ilmio" disse Porthos. "E io idem" disse Aramis. "Allorafuoco!" ordinò Athos. I quattro colpi fecero una soladetonazione e quattro uomini caddero. Subito i tamburirullarono e il piccolo drappello si avanzò al passo di carica.Allora i colpi di fucile si succedettero senza regolarità, masempre ugualmente mortali. Però, come se avesserointuito la debolezza numerica dei nostri amici, i Rochellesicontinuarono ad avanzare a passo di corsa. Tre colpi difucile fecero cadere ancora due uomini, ma la marcia diquelli restati in piedi non si arrestò. Arrivati ai piedi delbastione, i nemici erano ancora dodici o quindici; un'ultimascarica li accolse, ma non li fermò: essi saltarono nelfossato e si prepararono a scalare la breccia. "Suvvia,amici miei! finiamola una volta per tutte!" gridò Athos. "Allamuraglia! Alla muraglia!" E i quattro amici, aiutati daGrimaud, si misero a spingere con la canna dei loro fuciliun enorme blocco di muro che s'inclinò come se il vento lospingesse e, staccandosi dalla sua base, cadde nelfossato con orribile fracasso. Si udì un grande urlo, unanube di polvere salì verso il cielo, e tutto fu finito. "Liavremo schiacciati tutti?" chiese Athos. "In fede mia, si

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direbbe!" rispose d'Artagnan. "No" disse Porthos "ecconedue o tre che scappano malconci." Infatti tre o quattro diquei disgraziati, coperti di fango e di sangue, chefuggivano lungo il passaggio incassato in direzione dellacittà, era tutto quanto restava della pattuglia. Athos guardòl'orologio. "Signori" disse "è un'ora che siamo qui e lascommessa è vinta; ma bisogna essere buoni giocatori;d'altra parte d'Artagnan non ci ha detto ancora quale sia lasua idea." E il moschettiere, col suo abituale sanguefreddo, si sedette davanti ai resti della colazione. "La miaidea?" fece d'Artagnan. "Sì, stavate dicendo che avevateun'idea." "Ah, ecco" disse d'Artagnan "io torno in Inghilterraper la seconda volta, vado a trovare il duca di Buckinghame lo avverto del complotto tramato contro di lui." "Voi nonfarete ciò" disse Athos freddamente. "Perché? Ci sono giàstato una volta, mi pare." "Sì, ma allora non eravamo inguerra. Allora il signor di Buckingham era un alleato, non unnemico; ciò che vorreste fare sarebbe considerato untradimento." D'Artagnan capì la forza di questoragionamento, e tacque. "Ma" disse Porthos "credo diavere un'idea anch'io." "Silenzio, e fuori l'idea del signorPorthos!" esclamò Aramis. "Chiedo un congedo al signordi Tréville, con un pretesto qualunque che voi mi trovereteperché io non sono granché abile per trovare dei pretesti.Milady non mi conosce, io mi avvicino a lei senza che mitema, e, quando mi capita l'occasione propizia, lastrangolo." "Bene" approvò Athos "non sono lontanodall'accettare l'idea di Porthos." "Evvia!" disse Aramis."Uccidere una donna! No, guardate, l'idea migliore è

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venuta a me." "Fuori la vostra idea, Aramis" disse Athosche aveva molta deferenza per il giovane moschettiere."Bisogna avvertire la Regina." "Oh! sì, in fede mia"esclamarono Porthos e d'Artagnan "credo che questo sia ilmezzo migliore." "Avvertire la Regina" ripeté Athos. "Macome? Abbiamo forse delle relazioni a corte? Possiamomandare qualcuno a Parigi senza che si sappia al campo?D'altra parte, Parigi dista di qui centoquaranta leghe e lanostra lettera non sarebbe ancora giunta ad Angers chenoi ci troveremmo in prigione." "In quanto al modo di farpervenire sicuramente una lettera a Sua Maestà" disseAramis arrossendo a me ne incarico io. Conosco a Toursuna persona molto abile…" Aramis tacque vedendosorridere Athos. "Ebbene, voi non approvate la proposta diAramis, Athos?" chiese d'Artagnan. "Non la respingo deltutto" disse Athos "volevo soltanto far osservare al nostroamico ch'egli non può allontanarsi dal campo, che non ci sipuò fidare di nessuno all'infuori di noi, che due ore dopoche il messaggero sarà partito, tutti i cappuccini, tutte leguardie, tutti i berretti neri del Cardinale sapranno amemoria la vostra lettera e che voi e la vostra personaabile sarete arrestati." "Senza contare" disse Porthos "chela Regina salverà il duca di Buckingham ma noi non cisalverà affatto." "Signori" disse d'Artagnan "l'obiezione diAthos è piena di buon senso." "Ma che cosa stasuccedendo nella città?" chiese Athos. "Si batte l'adunata."I quattro amici stettero in ascolto; il suono dei tamburigiunse infatti sino ad essi. "Vedrete che ci manderannocontro un intero reggimento" fece Athos. "Non farete conto

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di resistere contro un reggimento, spero?" osservòPorthos. "E perché no?" disse il moschettiere. "Mi sento invena e credo che terrei duro di fronte a un intero esercito,se solo avessimo avuto la precauzione di prender con noiuna dozzina di bottiglie in soprannumero." "I tamburi siavvicinano" disse d'Artagnan. "Lasciateli avvicinare"rispose Athos. "C'è un buon quarto d'ora di strada di quialla città, e quindi dalla città a qui. E' più di quanto cioccorra per preparare un piano; se ce ne andassimo diqui, non troveremmo mai più un posto che ci convenissecosì bene. E proprio ora, signori, mi viene la buona idea.""Ditela." "Permettete che dia qualche ordineindispensabile a Grimaud." Athos fece al suo servo ilcenno di avvicinarsi. "Grimaud" gli disse indicando i mortiche giacevano nel bastione "voi prenderete quei signori, limetterete ritti contro il parapetto con un cappello in testa eun fucile in mano." "O grand'uomo! Ti capisco" esclamòd'Artagnan. "Voi capite?" domandò Porthos. "E tu,Grimaud, hai capito?" chiese Aramis. Grimaud fece uncenno affermativo. "Non occorre altro; allora torniamo allamia idea" disse Athos. "Ma prima vorrei capire" interruppePorthos. "E' inutile." "Sì, sì, l'idea di Athos" dissero insiemeAramis e d'Artagnan. "Questa Milady, questa donna,questa creatura, questo demonio, ha un cognato a quantomi avete detto, d'Artagnan." "Sì, e io lo conosco bene ecredo non abbia molta simpatia per la cognata." "Non c'ènulla di male in ciò" disse Athos "se la detestasse sarebbeancora meglio." "Allora abbiamo ciò che desideriamo.""Tuttavia" interruppe Porthos "vorrei capire che cosa fa

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Grimaud." "Zitto, Porthos!" disse Aramis. "Come si chiamaquesto cognato?" "Lord Winter." "Dove è ora?" "E' tornatoa Londra alle prime voci di guerra." "Ebbene, ecco propriol'uomo di cui abbiamo bisogno" disse Athos "ed è lui chedobbiamo avvertire; gli faremo sapere che sua sorella staper assassinare qualcuno e lo pregheremo di non perderladi vista. Spero che a Londra ci sia qualche istituzione sulgenere delle Madelonnettes o delle Ragazze Pentite[39];egli vi fa rinchiudere sua cognata e poi siamo tranquilli.""Sì" disse d'Artagnan "fino a quando non ne uscirà." "Oh! infede mia, voi chiedete troppo, mio caro d'Artagnan"rispose Athos "vi ho dato tutto ciò che avevo, e vi avvertoche la borsa è vuota." "Trovo che è quanto di meglio ciresti da fare" disse Aramis. "Noi avvertiremocontemporaneamente la Regina e lord Winter." "Sì, ma dachi faremo portare la lettera a Tours e la lettera a Londra?""Io mi rendo garante di Bazin" disse Aramis. "E io diPlanchet" aggiunse d'Artagnan. "Infatti" disse Porthos "senoi non possiamo allontanarci dal campo, possono farlo inostri servi." "Certamente" disse Aramis. "E oggi stessoscriviamo le lettere, diamo loro del denaro e li facciamopartire." "Diamo loro del denaro!" esclamò Athos. "Alloravuol dire che voi avete del denaro?" I quattro amici siguardarono, una nube oscurò le loro fronti che si eranoilluminate per un momento. "All'erta!" gridò d'Artagnan."Vedo laggiù dei punti neri e dei punti rossi che si agitano;parlavate di un reggimento, caro Athos? quello è un veroesercito." "In fede mia, è proprio così" disse Athos "mavedete un po' questi sornioni che vengono senza tamburi

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né trombe. Ah! ah! Hai finito, Grimaud?" Grimaud fece uncenno affermativo e indicò una dozzina di morti che avevacollocato nelle pose più pittoresche: quali col fucileimbracciato, quali nell'atto di prendere la mira, quali, infine,con la spada alla mano. "Bravo!" riprese Athos "eccoqualcosa che fa onore alla tua immaginazione." "Eppure,vorrei proprio capire" disse Porthos. "Prima andiamocene"interruppe d'Artagnan. "Capirai dopo." "Un momento, unmomento, signori; lasciamo a Grimaud il tempo disparecchiare." "Ah!" disse Aramis. "Ecco che i punti neri ei punti rossi ingrandiscono. Credo sia bene seguire ilconsiglio di d'Artagnan; non c'è tempo da perdere sevogliamo tornare al campo." "In fede mia, non ho più nullada opporre alla ritirata" disse Athos "abbiamo scommessoper un'ora e siamo restati qui un'ora e mezza; non c'èniente da dire: andiamocene, signori." Grimaud si era giàavviato col paniere e gli avanzi. I quattro amici uscironodietro di lui e fecero una decina di passi. "Ma che diavolofacciamo, signori?" esclamò Athos. "Avete dimenticatoqualche cosa?" chiese Aramis. "La bandiera, perbacco!Non bisogna lasciare una bandiera in mano al nemico,anche se la bandiera non è che un tovagliolo!" E Athos sislanciò nel bastione, salì sulla piattaforma e prese labandiera; però, dato che i Rochellesi erano già a portata dimoschetto, scatenarono un fuoco terribile su quell'uomoche si esponeva, come per divertimento, ai loro colpi. Masi sarebbe potuto credere che un sortilegio proteggesse lapersona di Athos; le palle gli passarono intorno fischiandosenza che neppure una lo colpisse. Athos sventolò la

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bandiera volgendo le spalle al nemico e salutando quellidel suo campo. Dalle due parti echeggiarono grandi urla,di collera da una parte, di entusiasmo dall'altra. Laseconda scarica seguì la prima e tre palle, bucandolo,fecero del tovagliolo una vera bandiera. Si udirono ilclamore di tutto il campo che gridava: "Scendete,scendete!" Il moschettiere scese, e i suoi compagni, che loaspettavano ansiosi, lo videro comparire con gioia."Andiamo, andiamo" disse d'Artagnan "allunghiamo ilpasso, ora che abbiamo trovato tutto tranne il denaro,sarebbe stupido farci uccidere." Ma Athos continuò acamminare maestosamente per quante rimostranzepotessero fargli i suoi compagni, i quali, alla fine, vistainutile ogni osservazione, regolarono i loro passi con quellodi lui. Grimaud e il suo paniere avevano proseguito cosìalacremente che erano ormai fuori di tiro. Dopo un attimo,si intese il crepitìo di una fucileria indiavolata. "Che cosasuccede? Su chi sparano?" chiese Porthos. "Non sentofischiare le palle e non vedo nessuno." "Tirano sui nostrimorti?" disse Athos. "Ma i nostri morti non risponderanno!""Appunto, e così essi crederanno a un'imboscata; terrannoconsiglio e manderanno un parlamentare; e quando siaccorgeranno dello scherzo, noi saremo ben lontani. Eccoperché è inutile buscarsi una polmonite correndo.""Adesso capisco!" mormorò Porthos alzando le spalle. Dalcanto loro, i Francesi, vedendo i quattro amici tornarseneal passo, gettavano grida d'entusiasmo. Ma altre fucilatecrepitarono, e le palle, questa volta, vennero a schiacciarsisui sassi intorno ai quattro amici, sibilando lugubremente al

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loro orecchio. I Rochellesi s'erano finalmente impadronitidel bastione. "Che gente maldestra!" esclamò Athos."Quanti ne abbiamo uccisi in tutto? Dodici?" "O quindici!""Quanti ne abbiamo schiacciati?" "Otto o dieci." "E incambio di ciò, non una graffiatura! Ah! ma sì; che cosaavete in quella mano, d'Artagnan? mi sembra sangue.""Non è nulla" disse d'Artagnan. "Una palla di rimbalzo?""No." "Che cos'è allora?" Lo abbiamo già detto, Athosamava d'Artagnan come un figlio, e quel carattere cupo einflessibile aveva a volte per il giovanotto sollecitudinipaterne. "Una scorticatura" riprese d'Artagnan "le mie ditasono rimaste strette tra due pietre, quella del muro e quelladel mio anello, e la pelle s'è lacerata." "Ecco che cosa vuoldire avere dei diamanti, signor mio" disse sdegnosamenteAthos. "E' vero!" esclamò Porthos. "C'è un diamante!Allora perché, disponendo di un diamante, ci lamentiamodi non aver denaro?" "Infatti!" fece Aramis. "Alla buon'ora,Porthos; questa è un'idea." "Certamente" disse Porthos,inorgoglito per il complimento di Athos "poiché c'è undiamante, vendiamolo." "Ma è il diamante della Regina!"esclamò d'Artagnan. "E' una ragione di più" riprese Athos"la Regina salva il signor di Buckingham, il suo amante:niente di più giusto; la Regina salva noi, suoi amici: nulla dipiù morale! Vendiamo dunque il diamante. Che ne pensa ilsignor abate? Non chiedo il parere di Porthos, perché lo hagià dato." "Ma io penso" disse Aramis arrossendo "che,poiché il suo anello non gli è stato donato da un'amante, eper conseguenza non è un pegno d'amore, d'Artagnan puòvenderlo." "Mio caro, voi parlate come la teologia in

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persona. Quindi, la vostra opinione è?…" "Di vendere ildiamante" disse Aramis. "Ebbene" fece allegramented'Artagnan "vendiamolo e non ci si pensi più." Le fucilatecontinuavano, ma gli amici erano ormai fuori tiro e iRochellesi sparavano ancora unicamente per scrupolo dicoscienza. "In fede mia, era tempo che a Porthos venissequesta idea. Eccoci al campo. Dunque, signori, non piùuna parola di questa faccenda. I camerati ci osservano, civengono incontro, credo che ci porteranno in trionfo!" Infatti,come abbiamo detto, tutto il campo era in subbuglio; più diduemila persone avevano assistito, come ad unospettacolo, alla fortunata spavalderia dei quattro amici,spavalderia di cui erano ben lontani dal sospettare il veromotivo. Non si udivano che grida di: "Viva le guardie! Viva imoschettieri!". Il signor di Busigny era venuto per primo astringere la mano ad Athos e a riconoscere di aver perdutola scommessa; il dragone e lo svizzero lo avevano seguito;tutti gli altri avevano seguito il dragone e lo svizzero. Eranofelicitazioni prolungate, strette di mano e abbracci a nonfinire, risate inestinguibili all'indirizzo dei Rochellesi; infineun tumulto così grande che monsignor Cardinale, temendoche si trattasse di un ammutinamento, mandò LaHoudinière, capitano delle sue guardie, per vedere checosa stesse accadendo. La cosa fu raccontata almessaggero con tutta la fioritura dell'entusiasmo."Ebbene?" chiese il Cardinale, al ritorno di La Houdinière."Ebbene, Monsignore" rispose il capitano "sono tremoschettieri e una guardia che hanno scommesso colsignor di Busigny di andare a far colazione nel bastione di

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San Gervasio, e che, mentre facevano colazione, hannoresistito per due ore agli assalti nemici, e hanno ucciso nonsi sa quanti Rochellesi." "Vi siete informato dei nomi diquesti tre moschettieri?" "Sì, monsignore." "Come sichiamano?" "I signori Athos, Porthos e Aramis." "Sempre imiei tre valorosi!" mormorò il Cardinale. "E la guardia?" "Ilsignor d'Artagnan." "Sempre il mio mattacchione!Decisamente è necessario che questi quattro uomini sianomiei!" La sera stessa, il Cardinale parlò al signor di Trévilledell'episodio della mattina che era il soggetto diconversazione di tutto il campo. Il signor di Tréville, cheaveva saputo la cosa dalla bocca stessa di coloro che neerano stati gli eroi, la raccontò coi più minuti particolari aSua Eminenza, senza dimenticare l'episodio del tovagliolo."Bene, signor di Tréville" disse il Cardinale "fatemi averequel tovagliolo, ve ne prego! Vi farò ricamare tre gigli d'oroe lo darò alla vostra compagnia come gagliardetto.""Monsignore" disse il signor di Tréville "sarebbe unaingiustizia verso le guardie; il signor d'Artagnan non faparte della mia compagnia, ma di quella del signor DesEssarts." "Ebbene, prendetelo nella vostra" rispose ilCardinale. "Non è giusto che quattro valorosi soldati legatida una così salda amicizia non servano nella stessacompagnia." La sera stessa, il signor di Tréville dettequesta lieta notizia ai tre moschettieri e a d'Artagnan,invitandoli tutti a colazione per il mattino seguente.D'Artagnan era fuori di sé dalla gioia. Si sa che quello diessere moschettiere era stato il sogno di tutta la sua vita.Anche i tre amici erano molto contenti. "Hai avuto una

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meravigliosa idea, parola d'onore!" disse d'Artagnan adAthos "e, come avevi predetto, abbiamo conquistato lagloria e potuto tenere una conversazione della più altaimportanza." "E che ora potremo riprendere senza destaresospetti, poiché d'ora innanzi, per grazia di Dio, saremoconsiderati come seguaci del Cardinale." La sera stessa,d'Artagnan andò a presentare i suoi omaggi al signor DesEssarts e a comunicargli l'avanzamento ottenuto. Il signorDes Essarts, che amava molto d'Artagnan, gli offrìd'aiutarlo in tutto quanto poteva, giacché quelcambiamento di corpo avrebbe portato con sé nuovespese per l'equipaggiamento. D'Artagnan rifiutò, ma,trovando buona l'occasione, lo pregò di far stimare il suodiamante che gli consegnò dicendo che desideravavenderlo. Il giorno dopo, alle otto del mattino, il camerieredel signor Des Essarts entrò da d'Artagnan e gli consegnòun sacchetto d'oro contenente settemila lire. Era il prezzodel diamante della Regina.

Capitolo 48 AFFARI DI FAMIGLIA

Era stato Athos a trovare la frase: affari di famiglia. IlCardinale non poteva investigare su un affare di famiglia;un affare di famiglia non interessava nessuno; si potevaparlare davanti a tutti d'un affare di famiglia. Così Athosaveva trovato la frase: affare di famiglia. Aramis avevaavuto l'idea: i servi. Porthos aveva trovato il modo: il

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diamante. Il solo d'Artagnan, che generalmente era quelloche aveva più fantasia di tutti, non era riuscito a trovareniente; però bisogna dire a sua discolpa che il solo nomedi Milady lo paralizzava. Ma c'inganniamo, anch'egli avevatrovato qualcosa: aveva trovato il compratore del diamante.La colazione del signor di Tréville fu d'una gaiezzadeliziosa. D'Artagnan aveva già la nuova uniforme.Gliel'aveva ceduta Aramis, il quale, lautamente pagato,come il lettore ricorderà, dal libraio che aveva acquistato ilsuo poema, aveva fatto fare tutto doppio. Ciò lo avevaposto in grado di cedere all'amico l'equipaggiamentocompleto. D'Artagnan sarebbe stato al colmo della gioiase non avesse visto spuntare sul suo orizzonte Miladycome una nera nube. Dopo colazione, gli amici stabilironodi ritrovarsi tutti alla sera nell'alloggio di Athos per prenderegli ultimi accordi. D'Artagnan trascorse la giornata apasseggiare in tutte le strade del campo per far mostra delsuo abito da moschettiere. La sera, all'ora stabilita, iquattro amici erano riuniti; ormai non dovevano decidereche su tre cose: che cosa si sarebbe scritto al cognato diMilady; che cosa si sarebbe scritto alla persona "moltoabile" di Tours; quali tra i servi sarebbero stati scelti perportare le lettere. Ciascuno offriva il proprio. Athos lodavala discrezione di Grimaud, che non parlava se non quandoil padrone gli scuciva la bocca; Porthos vantava la forza diMousqueton, ch'era capace di malmenare quattro uominidi complessione ordinaria; Aramis, confidando nellafurberia di Bazin, faceva un pomposo elogio del suocandidato; d'Artagnan fidava ciecamente nel coraggio di

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Planchet e ricordava come si fosse condotto bene nellaspinosa faccenda di Boulogne. Queste quattro virtù sidisputarono lungamente il premio e furono oggetto dimagnifici discorsi che non ripeteremo per tema diallungare il nostro racconto. "Disgraziatamente" disseAthos "sarebbe necessario che colui del quale ciserviremo possedesse tutte queste qualità riunite." "Madove vuoi trovare un simile servitore?" "E' introvabile"sentenziò Athos "lo so bene. Scegliete dunque Grimaud.""Prendete Mousqueton." "Prendete Bazin." "PrendetePlanchet. Planchet è furbo e coraggioso, sono già duequalità su quattro." "Signore" disse Aramis "la cosa piùimportante non è sapere quale dei nostri lacché è piùdiscreto, più forte, più furbo o più coraggioso; la cosa piùimportante è sapere quale dei quattro ama maggiormenteil denaro." "Quel che dice Aramis è pieno di buonsenso"riprese Athos "bisogna speculare sui difetti delle persone enon sulle loro virtù; signor abate, voi siete un grandemoralista!" "Certamente" rispose Aramis "perché noiabbiamo bisogno di essere ben serviti non soltanto perriuscire, ma anche per evitare di non riuscire, giacché, incaso d'insuccesso, ne va della testa; e non parlo per illacché…" "Più piano, Aramis" disse Athos. "E' giusto, nonparlo per il lacché" riprese Aramis "ma per il padrone, anziper i padroni! Ci amano i nostri servitori al punto diarrischiare la vita per noi? No." "Eppure, in fede mia, perPlanchet darei quasi una risposta affermativa" dissed'Artagnan. "Ebbene, mio caro amico, aggiungete alla suanaturale fedeltà una buona somma che la renda più

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agevole, allora potrete rinunciare a quel quasi." "Eh, mioDio, sarete ingannati lo stesso" disse Athos che eraottimista quando si trattava di cose, e pessimista quandosi trattava di uomini. "Essi prometteranno tutto per avere ildenaro e in strada la paura impedirà loro di agire. Unavolta presi, saranno messi alle strette, e quando sianomessi alle strette, confesseranno. Diavolo, non siamo deiragazzi! Per andare in Inghilterra (Athos smorzò la voce)bisogna attraversare tutta la Francia ove sono disseminatele spie e le creature del Cardinale; per imbarcarsi ènecessario un passaporto; per girare Londra è necessariosapere l'inglese. Tutto ciò rende la cosa molto difficile.""Niente affatto" rispose d'Artagnan il quale desideravamolto che la cosa si facesse "per me la faccenda èfacilissima. Certamente che se scrivessimo a lord Winterdelle enormità, se vituperassimo il Cardinale…" "Piùpiano" raccomandò Athos. "…se parlassimo di intrighi, disegreti di Stato" continuò d'Artagnan conformandosi allaraccomandazione "non c'è dubbio che saremmo arrotativivi; ma, per Dio, non dimenticate che, come avete detto,noi gli scriviamo per affari di famiglia; che gli scriviamo colsolito scopo di mettere Milady, dal momento del suo arrivoa Londra, nell'impossibilità di nuocerci. Gli dirò dunque,pressappoco, così…" "Sentiamo" disse Aramisassumendo in anticipo un atteggiamento critico. "Signore eamico mio caro…" "Ah! sì" interruppe Athos. "Cominciatebene! Bravo d'Artagnan! "Amico mio caro" a un Inglese!Basterebbe questa sola parola per essere squartatoanziché arrotato vivo." "Ebbene, metteremo, dunque,

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semplicemente signore." "Potete mettere anche milord"ribatté Athos che teneva assai alle convenienze. "Milord, viricordate del piccolo recinto per le capre delLussemburgo?" "Bene! Ora il Lussemburgo! Si crederàche sia un'allusione alla Regina madre! Questa è bentrovata!" disse Athos. "Allora metteremo semplicementecosì: "Milord, vi ricordate di un certo piccolo recinto dove vifu salvata la vita?". "Mio caro d'Artagnan" disse Athos "voinon sarete che un pessimo redattore. "Dove vi fu salvata lavita!" Evvia! Ciò non è dignitoso. Non si ricordano certifavori a un galantuomo. Piacere ricordato, offesa fatta.""Ah, mio caro! voi siete insopportabile!" esclamòd'Artagnan "e se debbo scrivere sotto la vostra censura, infede mia, ci rinuncio!" "E fate bene. Adoperate la spada eil moschetto, ve la cavate bene in entrambi gli esercizi, mapassata la penna all'abate, è affar suo." "Infatti è meglioche passiate la penna ad Aramis" disse Porthos "chescrive le tesi in latino!" "Ebbene, sia!" disse d'Artagnan"scriveteci questa lettera, Aramis; ma, per il nostro SantoPadre il Papa!, fate del vostro meglio, perché ora sarò io aspulciarvi, ve ne prevengo." "Non domando di meglio"disse Aramis con l'ingenua fiducia che ha in sé ogni poeta"ma desidero esser messo bene al corrente; ho pur sentitodire qua e là che questa cognata era una briccona e ne hoanzi avuto la prova ascoltando la sua conversazione colCardinale…" "Più piano, per Dio!" disse Athos. "Ma"continuò Aramis "i particolari mi sfuggono." "Anche a me"affermò Porthos. D'Artagnan e Athos si guardarono per unpo' in silenzio; infine Athos, dopo un attimo di

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raccoglimento, e diventando più pallido del solito, fece uncenno d'assenso; d'Artagnan capì che poteva parlare."Ebbene, ecco ciò che c'è da dire: 'Milord, vostra cognataè una scellerata che ha cercato di farvi uccidere perereditare le vostre sostanze. Ella però non poteva sposarevostro fratello perché aveva già un marito in Francia eperché era stata…'." D'Artagnan tacque come se cercassele parole senza perdere di vista Athos. "Scacciata dalmarito" disse Athos. "Perché recava sulla spalla unmarchio infame" continuò d'Artagnan. "No, non è possibile"esclamò Porthos. "Ha voluto far uccidere suo cognato?""Sì." "Era maritata?" domandò Aramis. "Sì." "E suo maritosi accorse che aveva un fiordaliso sulla spalla?" esclamòPorthos. "Sì." Athos aveva pronunciato quei tre sì conun'intonazione sempre più cupa. "E chi ha visto questofiordaliso?" domandò Aramis. "D'Artagnan e io, o, peressere fedeli all'ordine cronologico, io e d'Artagnan"rispose Athos. "E il marito di questa spaventosa creatura,vive ancora?" domandò Aramis. "Vive." "Ne siete sicuro?""Ne sono sicuro." Vi fu un attimo di freddo silenzio duranteil quale ognuno si sentì impressionato secondo la propriaindole. "Questa volta" riprese Athos interrompendo perprimo il silenzio "d'Artagnan ci ha tracciato un eccellenteprogramma, ed è questo che dobbiamo scrivere percominciare." "Diavolo! avete ragione, Athos" ripreseAramis. "Credo che anche il Cancelliere sarebbeimbarazzato a scrivere una missiva di questo tenore,tuttavia il Cancelliere redige assai gradevolmente unprocesso verbale. Non importa, state zitti, io scrivo."

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Aramis prese infatti la penna, rifletté per qualche minuto, simise a scrivere otto o dieci righe con un'elegante scritturafemminea; poi, con voce dolce e lenta, come se ogniparola fosse stata scrupolosamente pesata, lesse quantosegue:"Milord, colui che vi scrive queste poche righe ebbel'onore d'incrociare la spada con voi in un piccolo recinto divia dell'Inferno. Siccome, in seguito, molte volte vi sieteprotestato amico di questa persona, essa deve, inriconoscenza della vostra amicizia, darvi un utileavvertimento. Per due volte voi avete corso il pericolod'esser la vittima di una vostra prossima parente cheritenete vostra erede perché ignorate che, prima dicontrarre matrimonio in Inghilterra, era già maritata inFrancia. Ma questa volta, che è la terza, potrestesoccombere. La vostra parente è partita da La Rochelleper l'Inghilterra questa notte. Sorvegliate il suo arrivo,perché ha dei progetti terribili. Se volete assolutamentesapere quello di cui è capace, leggete la storia del suopassato sulla sua spalla sinistra." "In fede mia, vabenissimo" disse Athos "e voi avete una penna dasegretario di Stato, mio caro Aramis. Ora possiamo starsicuri che lord Winter farà buona guardia; se, tuttavia,l'avvertimento gli arriva, e quand'anche esso cadesse nellemani di Sua Eminenza, noi non potremmo esserecompromessi. Siccome però il servo che partirà potrebbefarci credere che è stato a Londra e fermarsi invece aChatellerault, non gli daremo che la metà della sommastabilita; promettendogli l'altra metà in cambio dellarisposta. Avete il diamante, d'Artagnan?" "Ho di meglio; ho

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il denaro." D'Artagnan gettò il sacchetto sul tavolo; al suonodell'oro, Aramis alzò gli occhi, Porthos trasalì, ma Athosrestò impassibile. "Quanto c'è in quel sacchetto?"domandò. "Settemila lire in luigi di dodici franchi.""Settemila lire!" esclamò Porthos "quel brutto piccolodiamante valeva settemila lire?" "Pare" disse Athos"poiché eccole qui, e non credo che d'Artagnan abbiaaggiunto qualcosa del suo." "Ma, signori" disse d'Artagnan"in tutto ciò noi non abbiamo ancora pensato alla Regina.Curiamo un poco la salute del suo caro Buckingham. E' ilmeno che possiamo fare per lei." "E' giusto" disse Athos"ma questo riguarda Aramis." "Ebbene" rispose questiarrossendo, "che cosa debbo fare?" "E' semplicissimo"fece Athos "redigere una seconda lettera per quellapersona, molto accorta, che abita a Tours." Aramis presela penna, si mise a riflettere di nuovo e scrisse le righeseguenti che sottopose immediatamente all'approvazionedei suoi amici: "Mia cara cugina…" "Ah!" esclamò Athos"questa accorta persona è una vostra parente." "Cuginagermana" affermò Aramis. "E vada per la cugina!" Aramiscontinuò: "Mia cara cugina, Sua Eminenza il Cardinale, cheDio preservi sempre per il bene della Francia e per ladispersione dei nemici del regno, è sul punto di farla finitacon gli eretici ribelli di La Rochelle: è probabile che la flottainglese di soccorso non giunga neppure in vista dellapiazza; starei anzi per affermare che il duca di Buckinghamnon potrà partire perché qualche straordinario avvenimentoglielo impedirà. Sua Eminenza è il più illustre uomo politicodei tempi passati, dei tempi presenti e, probabilmente, dei

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tempi futuri. Egli spegnerebbe il sole, se il sole gli dessenoia. Date queste buone notizie a vostra sorella, mia caracugina. Ho sognato che quel maledetto Inglese eramorto;ma non so ricordarmi se di ferro o di veleno; ciò dicui sono ben certo è che ho sognato ch'era morto e voisapete che i miei sogni non mi ingannano mai. Statedunque sicura di vedermi tornare ben presto." "Ameraviglia!" esclamò Athos. "Voi siete il re dei poeti, miocaro Aramis, voi parlate come l'Apocalisse e siete verocome il Vangelo. Ora non manca che l'indirizzo sullalettera." Piegò graziosamente la lettera, la ripose e scrisse:"Alla signorina Maria Michon, cucitrice in bianco. Tours." Itre amici si guardarono ridendo: erano mistificati? "E ora"disse Aramis "voi capirete, signori, come solo Bazin possaportare a Tours questa lettera; mia cugina non si fida chedi lui; chiunque altro rischierebbe di compromettere tutto.Inoltre, Bazin è ambizioso e colto; Bazin ha letto la storia esa che Sisto Quinto è stato eletto papa dopo averpascolato i porci; ebbene, poiché si ripromette di entrarenella chiesa insieme con me, così non dispera di poterdiventare Papa o per lo meno Cardinale: capirete quindiche un uomo che ha simili aspirazioni, non si farà prendereo, preso, subirà il martirio piuttosto che parlare." "Bene,bene" disse d'Artagnan "io vi concedo Bazin con tutto ilcuore, ma voi concedetemi Planchet; Milady una volta lofece mettere alla porta dopo averlo fatto bastonare; ora,Planchet ha buona memoria e vi assicuro che se ha inprospettiva una possibile vendetta, si farà rompere il filodella schiena piuttosto che rinunciarvi. Se la questione di

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Tours è una vostra questione particolare, caro Aramis,quella di Londra mi appartiene. Venga scelto Planchet, ilquale d'altra parte è già stato a Londra con me e sa direcorrettamente: 'London, sir, if you please' e 'my master lordd'Artagnan'; e con questo, state tranquilli, farà la sua stradaall'andata e al ritorno." "In questo caso" disse Athos"converrà dare a Planchet settecento lire per andare esettecento per tornare, e a Bazin trecento per andare etrecento per tornare; ci rimarranno quindi cinquemila lire,delle quali prenderemo mille lire per ciascuno da spenderecome ci piacerà; resterà un fondo di mille lire che saràtenuto in serbo dal signor abate per i casi straordinari oper i bisogni comuni. Questo vi va?" "Caro Athos" disseAramis "voi parlate come Nestore che, come tutti sanno,era il più saggio dei Greci." "Ebbene" continuò Athos "èdeciso, Planchet e Bazin partiranno; confesso che non midispiace di conservare Grimaud: egli è abituato al miomodo di fare, e ci tengo; gli avvenimenti di ieri lo hanno unpo' scosso, il viaggio lo finirebbe." Fu fatto venire Planchetal quale vennero date le necessarie istruzioni: egli era giàstato avvertito da d'Artagnan che, di prim'acchito, gli avevaannunciata la gloria, poi il denaro, infine il pericolo."Nasconderò la lettera nella fodera dell'abito" dissePlanchet "e se fossi preso, la inghiottirò." "Ma allora tu nonpotrai più fare la commissione" disse d'Artagnan. "Me nedarete una copia che domani saprò a memoria."D'Artagnan guardò i suoi amici come per dire: "Ebbene,che cosa vi avevo promesso?". "E ora" continuò rivolto aPlanchet "tu hai otto giorni per arrivare da lord Winter e altri

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otto per ritornare: sedici giorni in tutto; se alle otto di seradel sedicesimo giorno da quello della tua partenza non seitornato, niente denaro, fossero anche soltanto cinqueminuti." "Allora, signore" disse Planchet "compratemi unorologio." "Prendi questo" disse Athos dandogli il suo congenerosa noncuranza "e comportati bene. Pensa che separli, se chiacchieri, se perdi tempo, puoi far tagliare ilcollo al tuo padrone, che ha una così grande fiducia nellatua fedeltà e si è fatto garante per te. Ma ricordati ancheche, se per tua colpa, capitasse a d'Artagnan qualchedisgrazia, saprò trovarti dovunque e sarà per aprirti lapancia." "Sì, signore!" disse Planchet umiliato dal sospettoe soprattutto spaventato dalla calma del moschettiere. "Eio" disse Porthos facendo girare i suoi grossi occhi "tiscorticherò vivo." "Ah, signore!" "E io" continuò Aramis convoce dolce e melodiosa "ti brucerò a fuoco lento come unselvaggio." "Ah, signore!" E Planchet si mise a piangere;non oseremmo dire se fosse di terrore, a causa delleminacce fattegli, o per la commozione di vedere quattroamici così strettamente uniti. D'Artagnan gli prese la manoe lo abbracciò. "Vedi, Planchet" gli disse "questi signori tidicono tutto ciò per affetto verso di me, ma in fondo tivogliono bene." "Ah, signore" disse Planchet "o riuscirò omi taglieranno in quattro pezzi; ma quand'anche mi sitagliasse in quattro pezzi, state sicuro che non uno di essiparlerà." Fu stabilito che Planchet sarebbe partito lamattina seguente alle otto, affinché nella notte gli fossepossibile, come aveva promesso, imparare la lettera amemoria. In questo modo egli guadagnava dodici ore

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giuste, poiché doveva essere di ritorno alle otto di sera delsedicesimo giorno. La mattina, nel momento in cui stavaper montare a cavallo, d'Artagnan, che si sentiva in fondoal cuore un debole per il duca, prese Planchet a parte e glidisse: "Senti, dopo che avrai consegnato la lettera a lordWinter, e dopo che egli l'avrà letta, gli dirai queste parole:"Vegliate sopra Sua Grazia il duca di Buckingham, perchéc'è chi vuole assassinarlo". Ma, vedi, Planchet, questa èuna cosa così grave e di tanta importanza che non honeppur voluto confessare ai miei amici che ti avreiconfidato il segreto, e che neppure per un diploma dicapitano vorrei scriverla." "State tranquillo, signore"rispose Planchet "vedrete se si può contare su me." E,salito sopra un eccellente cavallo che doveva lasciare aventi leghe di lì per prendere la posta, Planchet partì algaloppo, col cuore un poco oppresso per la triplicepromessa fattagli dai moschettieri, ma per il resto nellemigliori disposizioni del mondo. Bazin partì la mattinaseguente per Tours ed ebbe otto giorni di tempo per fare lasua commissione. I quattro amici, durante tutta l'assenzadei due servi, stettero, com'è facile intendere, più che maicon gli occhi e gli orecchi attenti. Le loro giornatepassavano nel tentativo di sorprendere ciò che si diceva, aspiare il viso e i gesti del Cardinale, a sorvegliare i corrieriche arrivavano. Più di una volta furono presi da un tremitoinvincibile, allorché avveniva che fossero chiamati perqualche servizio inatteso. Dovevano d'altrondesalvaguardare la propria sicurezza; Milady era un fantasmache quando era apparso una volta ad una persona, non la

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lasciava più dormire tranquillamente. La mattina dell'ottavogiorno, Bazin, fresco come sempre e sorridente secondo ilsolito, entrò nell'osteria del Parpaillot, mentre i quattroamici stavano facendo colazione, dicendo, come era statostabilito, queste sole parole: "Signor Aramis, ecco larisposta di vostra cugina." I quattro amici scambiaronoun'occhiata felice; la metà del lavoro era compiuta; è veroche si trattava della più corta e della più facile… Aramis,arrossendo suo malgrado, prese la lettera che era scrittacon una calligrafia grossolana e senza ortografia. "BuonDio!" esclamò ridendo "decisamente ci rinuncio; questapovera Michon non riuscirà mai a scrivere come Voiture.""Che cosa folere tire questa pofera Migion?" chiese losvizzero che stava chiacchierando coi quattro amiciquando arrivò Bazin. "Oh, Dio mio, è una piccola cucitricein bianco, molto graziosa, alla quale volevo molto bene eche mi ha inviato qualche riga di sua mano perché miricordi di lei." "Pertìo!" disse lo svizzero "se lei essere tantacran tama come essere pella sua scrittura, foi aferefortuna, camarate!" Aramis lesse e passò la lettera adAthos dicendogli: "Guardate che cosa scrive, Athos."Athos scorse con l'occhio la lettera e, per far svanire tutti isospetti che avrebbero potuto nascere, lesse ad alta voce:"Cugino mio, io e mia sorella sappiamo benissimospiegare i sogni e ne abbiamo anzi una terribile paura; maspero che del vostro si possa dire che ogni sogno èmenzognero. Addio! State bene e dateci di tanto in tantovostre notizie. Maria Michon". "E di che sogno parla?"chiese il dragone che si era avvicinato durante la lettura. "E

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fero, ti quale sogno?" "Perdio!" rispose Aramis "di unsogno che ho fatto e che le ho raccontato." "E fero, pertìo;essere naturale raccontare suoi sogni, ma io, non sognaremai!" "Fortunato voi, vorrei poter dire altrettanto" disseAthos alzandosi. "Ciammai! Ciammai!" confermò losvizzero ben felice che un uomo come Athos gli invidiassequalcosa. D'Artagnan, vedendo che Athos si era alzato,fece altrettanto, lo prese sottobraccio e uscì. Porthos eAramis rimasero per tener testa alle facezie dello svizzeroe del dragone. Bazin invece andò a dormire su un mucchiodi paglia e, siccome aveva più immaginazione dellosvizzero, sognò che Aramis, diventato Papa, gli imponevail cappello cardinalizio. Ma, come s'è detto, col suofortunato ritorno, Bazin non aveva distrutto che una partedelle inquietudini che tormentavano i quattro amici. I giornidell'attesa sono lunghi, e d'Artagnan più degli altri avrebbegiurato che i giorni erano diventati di quarantotto ore. Eglidimenticava le lentezze obbligate della navigazione edesagerava a se stesso la potenza di Milady. Egli attribuivaa quella donna, che gli pareva un demonio, ausiliarisoprannaturali; a ogni piccolo rumore immaginava chevenissero per arrestarlo e che riconducessero Planchet permetterlo a confronto con lui. Per soprammercato, la fiducia,in altri tempi sì grande, verso il bravo Piccardo, diminuivadi giorno in giorno e la sua inquietudine era tale che sicomunicava a Porthos e ad Aramis. Non c'era che Athosche continuasse ad essere impassibile, come se nessunpericolo si aggirasse intorno a lui ed egli respirasse nellasua atmosfera naturale. Il sedicesimo giorno soprattutto

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questi segni di agitazione divennero così visibili ind'Artagnan e nei suoi amici che essi non potevano star piùfermi e vagavano come ombre in pena sulla strada dallaquale doveva tornare Planchet. "Voi non siete uomini, sieteragazzi" diceva loro Athos "E' possibile che una donna vifaccia tanta paura? E di che si tratta, dopo tutto? Di essereimprigionati? Ma vedrete che qualcuno ci farà uscire diprigione; la signora Bonacieux! Di essere decapitati? Maogni giorno, in trincea, ci esponiamo allegramente aqualcosa di peggio, perché una palla può romperci unagamba e io son convinto che un chirurgo ci farebbe piùsoffrire tagliandoci una coscia che il boia tagliandoci latesta. Aspettate dunque tranquillamente; fra due ore, fraquattro, fra sei al più tardi, Planchet sarà qui: ha promessodi esserci e io ho molta fiducia nelle promesse di Planchetche mi ha l'aria di essere un bravo ragazzo." "Ma se nonarriva?" domandò d'Artagnan. "Ebbene, se non arriva vuoldire che qualche cosa gli ha fatto far tardi, ecco tutto. Puòesser caduto da cavallo, può essere rotolato giù da unponte, può aver corso tanto da buscarsi una polmonite. Eh,signori, teniamo conto anche delle circostanze contrarie.La vita è un rosario di piccole miserie che il filosofo sgranaridendo. Siate filosofi come me, signori; mettetevi a tavolae beviamo; nulla aiuta a vedere la vita in rosa quantoguardarla attraverso un buon bicchiere di chambertin.""Benissimo, ma io sono stanco di aspettare e di bere coltimore che il vino esca dalle cantine di Milady" dissed'Artagnan. "Siete ben difficile" disse Athos. "Una donnacosì bella!" "Una donna di marca!" esclamò Porthos

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ridendo sgangheratamente. Athos trasalì, si passò unamano sulla fronte per tergere il sudore e si alzò con unamossa nervosa che non poté reprimere. Il giorno passò, ela sera venne più lentamente del solito, ma, alla fine, venne;le osterie si riempirono di soldati; Athos, che avevaintascato la sua parte del diamante, non lasciava più ilParpaillot. Aveva trovato nel signor di Busigny, ched'altronde aveva dato loro un magnifico pranzo, uncompagno degno di lui. Essi stavano giocando assiemesecondo il solito, quando sonarono le sette; si udironopassare le pattuglie che andavano a rafforzare i posti; allesette e mezzo suonò la ritirata. "Siamo perduti!" dissed'Artagnan all'orecchio di Athos. "Volete dire che abbiamoperduto" disse tranquillamente Athos, togliendo dalla tascaquattro pistole e gettandole sul tavolo. "Signori" continuò"suona la ritirata, andiamo a letto." E Athos uscì dall'osteriaseguito da d'Artagnan. Aramis veniva dietro dando ilbraccio a Porthos. Aramis borbottava dei versi e Porthossi strappava di tanto in tanto qualche pelo dai baffi insegno di disperazione. Ma ecco che, improvvisamente,nell'oscurità, un'ombra si delinea, la cui forma è familiare ad'Artagnan, e una voce ben conosciuta dice: "Signore, viporto il mantello perché fa fresco, questa sera." "Planchet!"esclamò d'Artagnan ebbro di gioia. "Planchet!" ripeteronoPorthos e Aramis. "Ebbene, sì, Planchet" disse Athos."Che ci trovate di strano? Aveva promesso di tornare alleotto, e le otto suonano ora. Bravo, Planchet, voi siete unragazzo di parola. avrò sempre un posto per voi." "Oh, no,mai" disse Planchet "io non lascerò mai il signor

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d'Artagnan." Nello stesso tempo d'Artagnan sentì chePlanchet gli faceva scivolare in mano un biglietto.D'Artagnan aveva una gran voglia di abbracciare Planchetal ritorno come lo aveva abbracciato alla partenza, matemette che questo segno di effusione, dato al suo servo inmezzo alla strada, potesse sembrare straordinario aqualche passante, e si contenne. "Ho la lettera" sussurrò aisuoi amici. "Va bene, andiamo a casa e leggiamola" disseAthos. Il biglietto bruciava la mano di d'Artagnan; eglivoleva affrettare il passo, ma Athos gli prese il braccio e loposò sotto il suo, per cui il giovanotto fu costretto aregolare la sua andatura su quella dell'amico. Finalmenteentrarono sotto la tenda, accesero una lampada e, mentrePlanchet stava sulla porta a far da sentinella, d'Artagnan,con mano tremante, ruppe il sigillo e aprì la lettera tantoattesa. Essa conteneva soltanto mezza riga di una scritturadel tutto britannica e di una concisione assolutamentespartana. "Thank you, be easy". Il che voleva dire: "Grazie.State tranquillo". Athos prese la lettera dalle mani did'Artagnan, l'avvicinò alla lampada, le diede fuoco e non lalasciò finché non fu ridotta in cenere. Poi, chiamatoPlanchet: "Ora, ragazzo mio" gli disse "puoi esigere le tuesettecento lire, ma non rischiavi granché con un bigliettocome questo." "E io che ho escogitato tanti mezzi pernasconderlo!" rispose Planchet. "Ebbene" dissed'Artagnan "raccontaci un po'." "E' una storia lunga,signore." "Planchet ha ragione" disse Athos. "D'altronde laritirata è suonata e noi saremmo notati se tenessimo più alungo il lume acceso sotto la tenda." "Ebbene, andiamo a

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letto" disse d'Artagnan. "Dormi bene, Planchet." "In fedemia, signore, sarà la prima volta in sedici giorni." "Ancheper me!" disse d'Artagnan. "Anche per me!" ripetéPorthos. "Anche per me!" fece eco Aramis. "Ebbene,volete che vi confessi la verità? Anche per me! EsclamòAthos.

Capitolo 49 FATALITA'

Frattanto Milady, ebbra di collera, ruggendo sul ponte delbastimento come una leonessa che stia per essereimbarcata, aveva provato la tentazione di gettarsi in mareper tornare a terra, giacché non sapeva rassegnarsiall'idea di essere stata insultata da d'Artagnan, minacciatada Athos e di lasciare la Francia senza essersi vendicatadi loro. In breve, questa idea era diventata per lei talmenteinsopportabile che, a rischio di ciò che sarebbe potutoaccadere di terribile a lei stessa, aveva supplicato ilcapitano di ricondurla alla costa; ma il capitano, che, tra lenavi francesi e inglesi incrocianti si trovava come unpipistrello fra uccelli e topi, aveva voglia di uscire dalla suafalsa posizione e di tornare in Inghilterra, per cui rifiutòostinatamente di obbedire a quello che prendeva per uncapriccio di donna, promettendo tuttavia alla passeggera(che d'altronde gli era stata particolarmente raccomandatadal Cardinale) di sbarcarla in uno dei porti della Bretagna,a Lorient o a Brest, se il mare e i Francesi lo avessero

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permesso. Ma intanto, il vento era contrario, il marepessimo, la nave bordeggiava e andava di bolina. Novegiorni dopo l'uscita dalla Charente, Milady, pallida per isuoi dispiaceri e la sua rabbia, vide apparire soltanto lecoste azzurrine del Finistère. Essa calcolò che, perattraversare quell'angolo della Francia e tornare presso ilCardinale, sarebbero occorsi almeno tre giorni;aggiungete un giorno per lo sbarco, il che faceva quattro;aggiungete questi quattro giorni agli altri nove: tredici giornidurante i quali tanti avvenimenti importanti potevanoavvenire a Londra. Essa pensò che senza dubbio ilCardinale sarebbe stato furioso per il suo ritorno e che,conseguentemente, sarebbe stato più disposto adascoltare le accuse scagliate contro di lei che quellech'essa avrebbe potuto scagliare contro gli altri. Lasciòdunque passare Lorient e Brest senza insistere colcapitano, il quale, dal canto suo, si guardò bene dalrisvegliarla. Milady continuò dunque la sua strada e ilgiorno stesso in cui Planchet s'imbarcava a Portsmouthper tornare in Francia, la messaggera del Cardinaleentrava trionfalmente in quel porto. Tutta la città era inpreda al più intenso movimento: quattro vascelli, da pococompiuti, erano stati varati. In piedi sulla banchina delporto, gallonato d'oro, splendente, secondo la suaabitudine, di diamanti e di gioielli, col cappello ornato diuna grande piuma bianca che gli ricadeva sulla spalla, sivedeva Buckingham circondato da uno Stato Maggiorebrillante quasi quanto lui. Era una di quelle rare, splendidegiornate d'inverno nelle quali anche l'Inghilterra si ricorda

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che c'è un sole. L'astro pallido, ma pur sempre splendente,scendeva all'orizzonte imporporando cielo e mare constrisce di fuoco e gettando sulle torri e le vecchie casedella città un ultimo raggio d'oro che faceva scintillare i vetricon riflessi d'incendio. Milady, respirando quell'ariadell'oceano più viva e balsamica presso la costa,contemplando tutta la potenza di quei preparativi che eraincaricata di distruggere, tutta la potenza di quell'armatache lei, una donna, doveva combattere da sola con qualchesacco d'oro, si paragonò mentalmente a Giuditta, laterribile ebrea, allorquando penetrò nel campo degli Assirie vide la massa enorme di carri, di cavalli, d'uomini ed'armi che un sol gesto della sua mano doveva dissiparecome una nuvola di fumo. La nave entrò nella rada, ma,mentre stava per gettar l'àncora, un piccolo cutter,formidabilmente armato, si avvicinò al bastimentospacciandosi per un guardacoste e, fatto mettere in mareun canotto, si diresse verso la scala. Nel canotto erano unufficiale, un pilota e otto rematori; il solo ufficiale salì abordo, dove fu ricevuto con tutta la deferenza che ispiral'uniforme. L'ufficiale conversò per pochi istanti colcapitano, gli fece leggere un foglio di cui era latore e, ad unordine del capitano stesso, tutto l'equipaggio delbastimento fu chiamato sul ponte. Quando questa speciedi appello fu compiuto, l'ufficiale chiese ad alta voce daquale porto della Francia fosse partito il brick, quale stradaavesse percorso e dove avesse approdato; a ognidomanda il capitano rispose senza esitazione e senzadifficoltà. Allora l'ufficiale cominciò a passare in rivista tutte

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le persone di bordo, a una a una e, arrestandosi a Milady,la osservò con molta attenzione ma senza dirle una solaparola. Poi tornò al capitano, gli disse ancora qualcheparola e, come se ormai il bastimento dovesse obbedire alui solo, ordinò una manovra che l'equipaggio eseguìimmediatamente. La nave si rimise in cammino, semprescortata dal piccolo cutter, che le minacciava il fianco conla bocca dei suoi cannoni, mentre la barca seguiva nellascia del bastimento, debole punto al confronto della massaenorme di questo. Durante l'esame cui l'ufficiale avevasottoposto Milady, questa com'è facile immaginare loaveva, dal canto suo, divorato con lo sguardo. Ma, perquanto quella donna dagli occhi di fiamma fosse abituata aleggere nel cuore di coloro dei quali aveva bisognod'indovinare i segreti, questa volta trovò un viso di una taleimpassibilità che la sua investigazione non ebbe alcunrisultato. L'ufficiale che si era arrestato dinanzi a lei e chel'aveva silenziosamente studiata con tanta attenzione,poteva essere fra i venticinque e i ventisei anni, aveva ilviso bianco e gli occhi azzurri leggermente infossati; labocca, fine e ben disegnata, restava immobile nelle suelinee corrette; il suo mento, vigorosamente pronunziato,denotava quella forza di volontà che nel tipo dell'Ingleseordinario non è generalmente se non una forma ditestardaggine; una fronte un po' sfuggente quale convieneai poeti, agli entusiasti e ai soldati, era appenaombreggiata di capelli corti e radi, che, come la barba checopriva la parte bassa del volto, avevano un bel colorecastano. Faceva già notte quando la nave entrò nel porto.

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La nebbia aumentava l'oscurità e formava attorno ai fanalie alle lanterne della banchina un alone simile a quello checirconda la luna quando il tempo minaccia di diventarepiovoso. L'aria che si respirava era triste, umida e fredda.Milady, questa donna così forte, si sentiva rabbrividire suomalgrado. L'ufficiale si fece indicare il bagaglio di Milady elo fece portare nel canotto; poi, a operazione compiuta, lapregò di scendervi con lui e le porse la mano. "Chi siete,signore " domandò essa "che avete la bontà di occuparvicosì particolarmente di me?" "Dovete vederlo dalla miauniforme, signora. Sono un ufficiale della Marina inglese"rispose il giovanotto. "Ma gli ufficiali della Marina inglesehanno forse l'abitudine di mettersi agli ordini delle lorocompatriote allorché queste approdano in un porto di GranBretagna, e spingono la loro cortesia sino a scortarle aterra?" "Sì, Milady, è consuetudine, non già per galanteria,ma per prudenza, in tempo di guerra di condurre glistranieri in uno speciale albergo, ove restano sottosorveglianza fino a che non siano state assunte le piùampie informazioni sul loro conto." Queste parole furonopronunciate con la cortesia più perfetta e la calma piùassoluta. Tuttavia esse non ebbero il potere di persuaderetroppo Milady. "Ma io non sono straniera, signore" ribattéessa con l'accento più puro che abbia mai risonato traPortsmouth e Manchester "mi chiamo lady Clarick e questeprecauzioni…" "Queste precauzioni valgono per tutti, e voi,Milady, tentereste invano di sottrarvi ad esse." "Dunque, viseguirò, signore." E, accettata la mano dell'ufficiale, ellacominciò a discendere la scala in fondo alla quale

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l'attendeva il canotto. L'ufficiale la seguì. A poppa delcanotto era disteso un grande mantello; l'ufficiale vi fecesedere Milady e le sedette vicino. "Remate" ordinò aimarinai. Gli otto remi ricaddero nel mare con un unicotonfo, e il canotto parve volare sulla superficie dell'acqua.Dopo cinque minuti toccarono terra. L'ufficiale saltò sullapanchina e offrì la mano a Milady Una vettura attendeva."Questa vettura è per noi?" domandò Milady. "Sì, signora.""L'albergo è dunque tanto lontano?" "Dall'altro lato dellacittà." "Andiamo" disse Milady. E Milady salì in carrozzarisolutamente. L'ufficiale badò a che il bagaglio fosselegato con cura dietro la vettura e a operazione compiutasedette vicino a Milady e chiuse lo sportello. Subito, senzache fosse dato alcun ordine, senza che fosse necessarioindicare una qualsiasi destinazione, il cocchiere partì algaloppo e penetrò nelle strade della città. Una così stranaaccoglienza doveva offrire a Milady ampia materia diriflessione; per cui, vedendo che il giovane ufficiale nonsembrava per nulla disposto a entrare in conversazione,ella si rincantucciò in un angolo della vettura e passò inrivista, l'una dopo l'altra, tutte le supposizioni che sipresentavano al suo spirito. Tuttavia, dopo un quarto d'ora,meravigliata della lunghezza del cammino, essa si chinòverso il finestrino per vedere dove la conducessero. Non siscorgevano più case, alcuni alberi apparivano nellatenebra, come grandi fantasmi neri che corressero l'unodietro all'altro. Milady ebbe un brivido. "Ma non siamo piùin città, signore" disse. L'ufficiale restò silenzioso. "Se nonmi dite dove mi conducete, non verrò più in là, signore, ve

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ne avverto." Anche la minaccia non ottenne risposta."Questo è troppo! Aiuto! Aiuto!" gridò Milady. Ma non unavoce rispose alla sua, la carrozza continuò a correrevelocemente; l'ufficiale sembrava una statua. Milady loguardò con quell'espressione terribile che era unaparticolarità del suo viso e che raramente mancava il suoeffetto; la collera faceva scintillare i suoi occhi nell'ombra. Ilgiovanotto restò impassibile. Milady tentò di aprire losportello per gettarsi fuori. "State attenta, signora" dissefreddamente l'ufficiale. "Se saltate a terra vi ucciderete."Milady si rimise a sedere schiumante di bile; il giovanottosi chinò verso di lei, la guardò e parve meravigliato nelvedere quel viso, poco prima così bello, sconvolto dallarabbia e diventato quasi repulsivo. L'astuta creaturacomprese che lasciandosi leggere così nell'anima, siperdeva; ricompose i propri lineamenti e, con un gemitonella voce: "In nome di Dio, signore, ditemi se debboincolpare voi, il vostro Governo, o un nemico sconosciutodella violenza che mi vien fatta." "Non vi si fa nessunaviolenza, signora, e quel che accade non è che il risultato diuna misura semplicissima che siamo costretti a prenderecon tutti coloro che sbarcano in Inghilterra." "Allora voi nonmi conoscete, signore?" "E' la prima volta che ho l'onore divedervi." "E, sul vostro onore, non avete nessun motivo diodio verso di me?" "Nessuno, ve lo giuro." C'era tantasincerità, tanto sangue freddo e persino tanta dolcezzanella voce del giovanotto, che Milady fu rassicurata. Infine,dopo circa un'ora di cammino, la vettura si fermò a uncancello di ferro dietro il quale si vedeva una strada

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incassata che conduceva a un castello severo di forma,massiccio e isolato. Allora, mentre le ruote giravano soprauna sabbia fine, Milady udì un vasto muggito nel qualericonobbe il rumore del mare che s'infrangeva sugli scogli.La carrozza passò sotto due arcate e finalmente si arrestòin un cortile buio e quadrato; quasi immediatamente losportello della vettura si aprì, il giovanotto saltòleggermente a terra e offrì la mano a Milady che scese consufficiente calma. "E' certo" disse Milady guardandosiintorno e fermando gli occhi sul giovane ufficiale col piùgrazioso dei sorrisi "è certo che sono prigioniera; ma nonsarà per molto tempo, ne sono sicura; la mia coscienza ela vostra cortesia, signore, me ne sono garanti." L'ufficialenon rispose nulla: levando dalla cintura un fischiettod'argento, simile a quello di cui si serve il nostromo sullenavi da guerra, fischiò tre volte con tre differentimodulazioni; allora apparvero parecchi uomini chestaccarono i cavalli fumanti e trascinarono la carrozza nellarimessa. Poi l'ufficiale, sempre con la stessa calmagentilezza, invitò la sua prigioniera a entrare in casa. Essa,sempre con lo stesso volto sorridente, si appoggiò al suobraccio ed entrò con lui sotto una porta bassa e arcuatache, attraverso un arco illuminato solo in fondo, conducevaa una scala di pietra che girava intorno a un pilastroanch'esso di pietra; poi l'ufficiale e Milady si fermaronodavanti a una porta massiccia che, dopo l'introduzionenella serratura di una chiave che il giovanotto aveva intasca, girò pesantemente sui cardini e dette adito allacamera destinata a Milady. Con un solo sguardo, la

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prigioniera abbracciò nei minimi particolari il localedestinatole. Era una camera la cui mobilia era insiemeassai decente per una prigione e assai severa perun'abitazione destinata a una persona libera; tuttavia lesbarre alle finestre e i catenacci esterni alla porta nonlasciavano dubbi circa la sua vera destinazione. Per unistante tutta la forza d'animo di quella creatura , benchétemprata alle fonti più vigorose, parve svanire; essa caddesu una poltrona, incrociando le braccia, abbassando ilcapo, nell'attesa di vedere, da un momento all'altro, entrareun giudice incaricato di interrogarla. Ma non entrarono chedue o tre soldati di marina che portarono i suoi bauli, lideposero in un angolo e si ritirarono senza parlare.L'ufficiale presiedeva a tutti questi particolari con la calmache Milady aveva sempre veduto in lui, senza pronunciareparola, impartendo i propri ordini o con un cenno dellamano o con un colpo di fischietto. Si sarebbe detto che fraquell'uomo e i suoi dipendenti la lingua parlata nonesistesse e fosse diventata inutile. Milady non poté frenarsipiù a lungo e ruppe il silenzio: "In nome di Dio, signore"esclamò "che cosa significa tutto ciò? Spiegatevi, io sonocoraggiosa di fronte ai pericoli che posso prevedere o alledisgrazie che capisco. Dove sono e perché sono in questoluogo? Se sono libera, perché queste sbarre alle finestre ea queste porte? Se sono prigioniera, quale delitto hocommesso?" "Signora, voi siete qui nell'alloggio che vi èstato destinato. Ho ricevuto l'ordine di venirvi a prendere inmare e di condurvi in questo castello; ho eseguitoquest'ordine con la precisione di un soldato, ma anche la

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cortesia di un gentiluomo. Qui termina, almeno per ilmomento, l'incarico che dovevo adempiere nei vostririguardi; il resto concerne un'altra persona." "E chi èquest'altra persona?" domandò Milady. "Non potetedirmene il nome?" In quel momento si udì sulle scale ungran rumore di speroni; alcune voci risuonarono e sispensero lontane e il rumore di un passo isolato si avvicinòalla porta. "Questa persona è qui, signora" disse l'ufficialescostandosi dalla porta e assumendo l'atteggiamento delrispetto e della sottomissione. Nello stesso tempo la portasi aprì e un uomo apparve sulla soglia. Era senza cappello,aveva la spada al fianco e stringeva nervosamente unfazzoletto tra le dita. Milady credette riconoscerequell'ombra nell'ombra; appoggiò una mano al braccialedella poltrona e sporse il capo come per andare incontro auna certezza. Allora lo sconosciuto s'avanzò lentamente e,di mano in mano che s'avanzava entrando nel cerchio diluce proiettato dalla lampada, Milady indietreggiavainvolontariamente. Poi, allorché non ebbe più dubbio,esclamò: "Come, fratello mio, siete voi?…" "Sì, mia bellasignora" rispose lord Winter con un saluto fra il cortese el'ironico "proprio io." "Ma allora, questo castello?" "E' ilmio." "Questa camera?" "E' la vostra." "Sono dunquevostra prigioniera?" "Pressappoco." "Ma è una prepotenzainaudita." "Non dite parolone; sediamoci e parliamotranquillamente, come si usa fare tra fratello e sorella." Poi,volgendosi verso la porta e vedendo che il giovane ufficialeaspettava i suoi ordini: "Sta bene" disse "vi ringrazio; e oralasciateci, signor Felton."

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Capitolo 50 CONVERSAZIONE FRA DUE COGNATI

Nei pochi istanti che lord Winter impiegò a chiudere laporta, a scostare un imposta e ad avvicinare una sedia allapoltrona di Milady, questa, sovrappensiero, immerse ilproprio sguardo nel profondo della possibilità, e scoprìtutta la trama che, sino a quando aveva ignorato in qualimani fosse caduta, non le era stato neanche possibileintravvedere. Essa conosceva suo cognato, sapeva cheera un bravo gentiluomo, franco cacciatore, giocatoreintrepido, intraprendente con le donne, ma di una forza dimolto inferiore alla sua nel campo dell'intrigo. Come avevapotuto egli scoprire il suo arrivo? Farla arrestare? E perchéla teneva prigioniera? Athos le aveva pur dette certe paroleche provavano come la conversazione che essa avevaavuto col Cardinale fosse caduta in orecchie estranee; maessa non poteva ammettere ch'egli avesse potuto scavareuna contromina così pronta e ardita. Ella era più propensaa temere che le sue precedenti operazioni in Inghilterrafossero state scoperte. Buckingham poteva avereindovinato ch'era stata lei a tagliare i fermagli e volevavendicarsi; ma Buckingham era incapace di abbandonarsia qualunque eccesso contro una donna, specialmente sepoteva pensare che questa donna avesse agito pergelosia. Le parve che questa supposizione fosse la piùprobabile; giudicò che tutta la faccenda mirasse a

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vendicare il passato e non a prevenire il futuro. In ognimodo fu lieta di esser capitata nelle mani di suo cognato,che era certa di poter facilmente ingannare, piuttosto che inquelle di un nemico diretto e intelligente. "Sì, parliamo,fratello mio" disse con una specie di gaiezza, risolutacom'era a trarre dalla conversazione, a dispetto di tutta ladissimulazione che lord Winter avrebbe potuto mettere inopera, le informazioni di cui aveva bisogno per stabilire lasua condotta a venire. "Vi siete dunque decisa a tornare inInghilterra" disse lord Winter. "Eppure a Parigi, molte voltemi dichiaraste che non avreste più posto piede in GranBretagna." A questa domanda Milady rispose con un'altradomanda. "Prima di tutto, ditemi, come avete fatto perfarmi spiare così assiduamente da sapere, non solo che iosarei giunta, ma anche il giorno, l'ora e il porto in cui sareisbarcata?" Lord Winter adottò la stessa tattica di Milady,pensando che poiché sua cognata se ne serviva, dovevaessere la buona, e le chiese a sua volta: "Ditemi voi,piuttosto, cara sorella, quello che venite a fare inInghilterra." "Vengo a vedervi" rispose Milady senzarendersi conto di quanto, con questa risposta, aggravassei sospetti che la lettera di d'Artagnan aveva fatto nascerenella mente del cognato, e con l'unica intenzione diassicurarsi la benevolenza del suo interlocutore con unamenzogna. "A vedermi?" ripeté con aria sorniona lordWinter. "Certamente, a vedervi! Che cosa c'è di strano?""E, venendo in Inghilterra, non avevate altro scopo?" "No.""Dunque è solo per me che vi siete presa la briga diattraversare la Manica?" "Solo per voi." "Diavolo, che

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tenerezza, sorella mia!" "Non sono la vostra più prossimaparente?" domandò Milady col tono del più commoventecandore. "E anche la mia sola ereditiera, è vero?" disselord Winter fissandola bene negli occhi. Per quantosapesse dominarsi, Milady non poté fare a meno ditrasalire, e siccome, pronunciando le ultime parole, lordWinter le aveva posato una mano sul braccio, questotrasalimento non gli sfuggì. Infatti il colpo era stato diretto eprofondo. La prima idea che si presentò alla mente diMilady fu che essa era stata tradita da Ketty e che questaaveva parlato al barone dell'avversione di cui essa avevaimprudentemente lasciati sfuggire i segni dinanzi allacameriera; e ricordava altresì l'uscita furiosa e incauta cuisi era lasciata andare contro d'Artagnan, quando questiaveva salvata la vita a suo cognato. "Non vi capisco,Milord" disse per guadagnar tempo e fare parlare il suoavversario. "Che cosa volete dire? Le vostre parolenascondono forse qualche sottinteso?" "No, mio Dio!"rispose lord Winter con bonomia "voi avevate desiderio divedermi e siete venuta in Inghilterra. Io vengo a sapere diquesto desiderio o piuttosto lo intuisco e per risparmiarvi lenoie di un arrivo in un porto, tutte le fatiche di uno sbarco, vimando incontro uno dei miei ufficiali; metto a vostradisposizione una delle mie carrozze, ed esso vi conduce inquesto castello del quale sono il governatore, dove vengoogni giorno e dove, perché il nostro duplice desiderio divederci sia soddisfatto, vi faccio preparare una camera.Che cosa c'è in tutto ciò di più singolare che in ciò che voimi avete detto?" "Niente, solo mi pare strano che voi siate

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stato avvertito del mio arrivo." "Eppure è semplicissimo,mia cara sorella: non avete visto che il capitano del vostropiccolo bastimento, non appena entrato in rada, hamandato innanzi per ottenere di poter entrare nel porto uncanotto coi libri di bordo e i registri dell'equipaggio? Iosono comandante del porto, mi hanno portato questo libro,ho riconosciuto il vostro nome. Il mio cuore mi ha detto ciòche or ora mi ha confidato la vostra bocca, vale a dire conquale scopo vi eravate esposta ai rischi di un mare tantopericoloso o per lo meno faticoso in questo momento, e homandato il mio cutter a incontrarvi. Il resto lo sapete."Milady capì che lord Winter mentiva e ne fu spaventata piùdi quanto non fosse. "Fratello mio" disse "non era lordBuckingham colui che ho visto sulla banchina questa seraal mio arrivo?" "Proprio lui; e capisco che la sua vista viabbia impressionato. Voi venite da un paese dove ci sideve occupare molto di lui; e io so che gli armamenti cheegli prepara per combattere la Francia preoccupano assaiil vostro amico Cardinale." "Il mio amico Cardinale!"esclamò Milady costatando che, su questo punto, comesull'altro, lord Winter sembrava perfettamente informato."Non è forse vostro amico?" riprese negligentemente ilbarone "scusatemi, credevo che lo fosse; ma torneremo aparlare del duca più tardi, non allontaniamoci dal tonosentimentale che la conversazione aveva assunto; dicevatedunque che siete venuta per vedermi?" "Sì." "Ebbene, vigarantisco che sarete servita meglio di quanto possiatedesiderare e che ci vedremo tutti i giorni." "Debbo restarqui in eterno?" chiese Milady con un certo spavento. "Non

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siete forse alloggiata bene? Domandate ciò che vi mancae mi farò premura di farvelo avere." "Ma non ho né la miacameriera, né i miei servitori…" "Li avrete, signora, liavrete; ditemi che tono aveva dato alla vostra casa il vostroprimo marito e, sebbene io non sia che vostro cognato, ledarò lo stesso tono." "Il mio primo marito!" esclamò Miladyguardando con occhi spaventati lord Winter. "Sì, il vostromarito francese, non parlo di mio fratello. Ma se lo avetedimenticato, visto ch'egli vive, posso scrivergli ed eglim'invierà tutte le informazioni su questo argomento." Unsudore freddo bagnò la fronte di Milady "Voi scherzate"disse con voce sorda. "Ne ho forse l'aria?" domandò ilbarone alzandosi e indietreggiando di un passo. "O voleteinsultarmi" continuò la donna stringendo i bracciali dellapoltrona e sollevandosi un poco sui polsi. "Insultarvi, io?"fece lord Winter con disprezzo. "Sia detto tra noi, signora,credete che ciò sia possibile?" "In verità, signore, voi sieteubbriaco o pazzo" disse Milady "uscite e mandatemi unadonna." "Le donne sono molto indiscrete, sorella mia; nonpotrei servirvi io da cameriera? Così i nostri segretiresteranno in famiglia." "Insolente!" esclamò Milady e,come mossa da una molla, si lanciò sul barone che l'attesedi piè fermo, ma con una mano appoggiata all'elsa dellaspada. "Eh, eh" disse "so che avete l'abitudine diassassinare le persone, ma io mi difenderò e, ve neprevengo, anche contro di voi." "Oh! Avete ragione" disseMilady "e credo che siate abbastanza vile da alzare lamano su una donna." "Forse, ma avrei una buona scusa:sono persuaso che la mia non sarebbe la prima mano

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d'uomo che vi tocca." E il barone con gesto lento eaccusatore indicò la spalla sinistra di Milady, che toccòquasi col dito. Milady gettò un sordo ruggito e indietreggiòin un angolo della camera, come una pantera che arretraper prendere lo slancio. "Oh! ruggite quanto vi pare!"esclamò lord Winter "ma non cercate di mordere, perché,ve ne prevengo, la cosa andrebbe a vostro danno; qui nonci sono procuratori che regolino in anticipo le successioni,non ci sono cavalieri erranti che vengano a sfidarmi perliberare la bella dama che tengo prigioniera; ma ho a miadisposizione dei giudici pronti a giudicare una donnaabbastanza svergognata, per venirsi a infilare, bigama, nelletto di lord Winter, mio fratello maggiore; e questi giudici,ve ne avverto, vi manderanno dal boia che vi farà la spalladestra uguale alla sinistra." Gli occhi di Milady lanciavanolampi tali, che pur essendo un uomo armato dinanzi a unadonna disarmata, lord Winter sentì il gelo della paurapenetrargli sino in fondo all'anima; ma ad onta di ciò, eglicontinuò con sempre maggior furore: "Capisco che dopoessere stata l'unica erede di mio fratello, vi sarebbepiaciuto ereditare anche da me; ma, sappiatelo, voi poteteuccidermi o farmi uccidere, io ho preso le mie precauzioni;non un penny di ciò che possiedo passerà nelle vostremani. Non siete forse già ricca abbastanza voi chepossedete quasi un milione e non potreste arrestarvi sullavia fatale che avete intrapresa se non faceste il male per ilpiacere infinito e supremo di fare il male? Oh, ascoltate ciòche vi dico: se la memoria di mio fratello non mi fossesacra, voi andreste a imputridire in una segreta di Stato o

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a saziare a Tyburn[40] la curiosità dei marinai; io nonparlerò, ma voi sopporterete in pace la vostra prigionia; traquindici giorni io parto per La Rochelle con l'armata; ma ilgiorno precedente a quello della mia partenza una naveverrà a prendervi che io vedrò partire e che vi condurrànelle nostre colonie del Sud; e state tranquilla, vi metterò alfianco un compagno che vi farà saltare le cervella al primotentativo che farete per tornare in Inghilterra o sulContinente." Milady ascoltava con un'attenzione chedilatava i suoi occhi infiammati. "Per ora" continuò lordWinter "resterete in questo castello; le mura sonomassicce, le porte sono robuste e le sbarre ben solide;d'altra parte, la vostra finestra dà a picco sul mare. Gliuomini del mio equipaggio, che mi sono devoti per la vita eper la morte, montano la guardia intorno a questa stanza esorvegliano tutti i passaggi che conducono al cortile; maanche se arrivaste al cortile, vi resterebbero daattraversare ancora tre cancelli. La consegna è precisa: unpasso, un gesto, una parola che possa far credere a untentativo di fuga, e le sentinelle faranno fuoco su di voi, e sevi uccideranno, la giustizia inglese mi dovrà, spero, un po'di riconoscenza per averle risparmiato del lavoro. Ah! Ivostri lineamenti riprendono la loro calma, il vostro voltoritrova la sua sicurezza; voi pensate: quindici o venti giornisono già qualche cosa, il mio spirito è pieno di risorse,certo mi verrà qualche buona idea, il mio spirito è infernale,e troverò certamente qualche vittima. Prima di quindicigiorni, pensate, io sarò fuori di qui. Ah, ah! Provate!"Milady vedendosi intuita, si piantò le unghie nella palma

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delle mani per domare qualsiasi moto che potesse dare alsuo viso un'espressione che non fosse quelladell'angoscia. Lord Winter continuò: "L'ufficiale checomanda qui durante la mia assenza, l'avete visto, dunquelo conoscete già. Egli sa, come avete notato, mantenere laconsegna, poiché conoscendovi come vi conosco, sonocerto che non siete venuta da Portsmouth sin qui senzaaver tentato di farlo parlare. Che ne pensate? Una statua dimarmo sarebbe restata più impassibile e più muta? Voiavete esperimentato il vostro potere di seduzione su moltiuomini e, disgraziatamente, siete stata sempre vittoriosa,ma provate con questo, perdio! Se ci riuscirete, dirò chesiete il demonio in persona." Egli andò alla porta e l'aprìbruscamente: "Chiamate il signor Felton" disse. "Aspettateancora un istante, vi raccomanderò a lui." Tra i dueinterlocutori si stabilì uno strano silenzio, durante il quale siudì il rumore d'un passo lento e regolare, che si avvicinava;ben presto, nell'ombra del corridoio apparve una formaumana e il giovane tenente che già conosciamo si fermòsulla soglia, aspettando gli ordini del barone. "Entrate, miocaro John" disse lord Winter "entrate e chiudete la porta." Ilgiovane ufficiale entrò. "E ora" continuò il barone "guardatebene questa donna: è giovane, è bella, possiede tutte leseduzioni della terra, eppure è un mostro che, aventicinque anni, si è reso colpevole di tanti delitti quantipotreste leggerne in un anno negli archivi del nostrotribunale; la sua voce previene in suo favore, la suabellezza serve d'esca alle sue vittime, il suo stesso corpopaga ciò che essa ha promesso, è giusto riconoscerlo; ella

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cercherà di sedurvi, e forse anche tenterà di uccidervi. Io viho tolto dalla miseria, Felton, vi ho fatto nominare tenente,vi ho salvato la vita, sapete in quale occasione; io sono pervoi non solo un protettore, ma un amico, non solo unbenefattore, ma un padre; questa donna è tornata inInghilterra per cospirare contro la mia vita, io tengo nellemie mani questo serpente; ebbene vi faccio chiamare e vidico: "Amico Felton, John, figlio mio, guardami esoprattutto guardati da questa donna; giura sulla tuasalvezza eterna che saprai custodirla per il castigo che si èmeritata. John Felton, io mi fido della tua parola; JohnFelton, io credo nella tua lealtà"." "Milord" disse il giovaneufficiale, mettendo nel suo sguardo tutto l'odio che potétrovare nel suo cuore "Milord, vi giuro che farà esattamentequanto desiderate." Milady sopportò quello sguardo comeuna vittima rassegnata; sarebbe stato impossibile vedereun'espressione più sottomessa e più dolce di quella chesplendeva in quel momento nel suo bel viso. Lo stesso lordWinter stentava a riconoscere in lei la tigre dalla quale unattimo prima si era tenuto pronto a difendersi. "Essa nonuscirà mai da questa camera, capite, John" continuò ilbarone "non corrisponderà con nessuno, non parlerà checon voi, se pure vorrete farle l'onore di rivolgerle la parola.""Basta, milord, ho giurato." "E ora, signora, cercate dimettervi in pace con Dio, perché gli uomini vi hanno giàgiudicato." Milady curvò il capo come se si fosse sentitaschiacciata da questo giudizio. Lord Winter uscì facendoun cenno a Felton, che lo seguì e chiuse la porta. Unmomento dopo si sentirono nel corridoio i passi pesanti di

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un soldato di Marina che montava la guardia con la suaascia alla cintura e il moschetto in mano. Milady rimase perqualche minuto nella stessa posizione, perché pensòd'essere osservata attraverso la serratura, poi lentamenterialzò il viso che aveva assunto un'espressione formidabiledi minaccia e di sfida, corse alla porta e stette in ascolto,guardò dalla finestra e, tornando a seppellirsi in un'ampiapoltrona, si immerse nei suoi pensieri.

Capitolo 51 UFFICIALI

Frattanto il Cardinale aspettava notizie dall'Inghilterra, manon ne riceveva che non fossero spiacevoli e minacciose.Per quanto La Rochelle fosse assediata, per quanto ilsuccesso potesse sembrare sicuro, grazie alle precauzioniprese, e soprattutto grazie alla diga che non lasciava piùpenetrare nessuna barca nella città assediata, purtuttavia ilblocco poteva durare ancora a lungo, e ciò era umilianteper le armi del Re e imbarazzante per il Cardinale che, senon doveva più preoccuparsi d'inimicare Luigi Tredicesimocon Anna d'Austria, perché la cosa era già avvenuta,doveva pensare a rappacificare il signor di Bassompierreche era diventato nemico giurato del duca d'Angouleme.Quanto a Monsieur, che aveva iniziato l'assedio, eglilasciava ora al Cardinale la cura di finirlo. La città,nonostante l'incredibile perseveranza del sindaco[41]aveva tentato una specie di ammutinamento per arrendersi

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e il sindaco aveva fatto impiccare i rivoltosi. Questaesecuzione calmò le teste più calde, che si rassegnarono alasciarsi morire di fame; questa morte sembrava loro piùlenta e meno sicura di quella per impiccagione. Da parteloro, di tanto in tanto, gli assedianti catturavano dei messiche i Rochellesi mandavano a Buckingham o delle spieche Buckingham mandava ai Rochellesi. In entrambi i casigiustizia era subito fatta. Il Cardinale non diceva che unaparola: "Impiccato" ed invitava il Re ad assistereall'esecuzione. Il Re arrivava con aria languida e si mettevain una buona posizione per vedere l'operazione in tutti iparticolari; ciò lo distraeva sempre un po' e lo aiutava asopportare pazientemente le lungaggini dell'assedio; maciò non gli impediva di annoiarsi maledettamente e diparlare continuamente della sua intenzione di tornare aParigi, così che se le spie ed i messi fossero venuti amancare, Sua Eminenza, nonostante tutta la sua potenzainventiva, si sarebbe trovato molto imbarazzato.Nondimeno il tempo passava e i Rochellesi non siarrendevano; l'ultima spia catturata aveva indosso unalettera nella quale si faceva sapere a Buckingham che lacittà era ridotta agli estremi, ma invece di aggiungere: "Sei vostri soccorsi non arriveranno prima di quindici giorni ciarrenderemo", concludeva semplicemente così: "Se i vostrisoccorsi non arriveranno prima di quindici giorni, quandoarriveranno saremo tutti morti di fame". L'unica speranzadei Rochellesi era dunque riposta in Buckingham.Buckingham era il loro messia. Era dunque evidente chese un giorno essi avessero saputo in modo indubbio che

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era inutile sperare in Buckingham, con la speranzasarebbe venuto meno tutto il loro coraggio. Il Cardinaleattendeva quindi impazientemente che dall'Inghilterravenisse la notizia che Buckingham non sarebbe arrivato.La questione di prendere la città con la forza, dibattutaspesso nei consigli del Re, era sempre stata scartata,prima di tutto perché La Rochelle sembrava imprendibile,poi perché il Cardinale, checché avesse detto in contrario,sapeva bene che l'orrore del sangue sparso in un similescontro, nel quale Francesi avrebbero dovuto combatterecontro Francesi, sarebbe stato un passo indietro disessant'anni per la politica, e il Cardinale era, a queltempo, ciò che oggi si chiama un uomo di progresso.Infatti, il saccheggio di La Rochelle, l'assassinio di tre oquattromila Ugonotti che si fossero fatti uccidere,avrebbero ricordato troppo, nel 1628, la strage della nottedi San Bartolomeo del 1572; e inoltre, al disopra di tuttociò, questo estremo rimedio, che al Re, buon cattolico, nonripugnava minimamente, naufragava sempre contro questoargomento dei generali assedianti: La Rochelle non si puòprendere altro che per fame. Il Cardinale non potevaallontanare dal suo spirito il timore in cui lo teneva la suaterribile emissaria, giacché aveva capito, anche lui, lestrane proposte di quella donna, ch'era talvolta serpente,talvolta leone. Lo aveva tradito? Era morta? Ad ogni modo,la conosceva sufficientemente per sapere che, amica onemica, non sarebbe restata inoperosa senza qualchegrande impedimento. Ma quale? Era ciò che non potevasapere. Però egli, e con ragione, contava su Milady, aveva

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indovinato che nel passato di quella donna c'erano cosecosì terribili che solo il suo mantello rosso poteva coprirle;e sentiva che, per una ragione o per l'altra, essa glisarebbe restata fedele perché solo in lui avrebbe trovatoun appoggio superiore al pericolo che la minacciava.Risolvette dunque di continuare la guerra da solo e di nonattendere avvenimenti estranei che come si attende uncolpo di fortuna. Continuò a far costruire la famosa digache doveva affamare La Rochelle; e nel frattempo gettò losguardo su quella disgraziata città che racchiudeva tanteprofonde miserie e tante eroiche virtù e ricordando il mottodi Luigi Undicesimo, suo predecessore politico, allo stessomodo ch'egli lo era di Robespierre, mormorò questamassima del compare di Tristano[42]: "Dividere perregnare!". Enrico Quarto, allorché assediava Parigi, facevagettare al di là delle mura pane e viveri; il Cardinale fecegettare dei bigliettini nei quali dimostrava ai Rochellesicome la condotta dei loro capi fosse ingiusta, egoista ebarbara; questi capi avevano grano in abbondanza e nonlo dividevano; essi adottavano questa massima, perchéanch'essi avevano le loro massime, che poco importava sele donne, i vecchi ed i bambini morivano; purché gli uominiche dovevano difendere le mura restassero forti e validisino a quel momento, per abnegazione o per impotenza areagire contro di essa, questa massima, senza esseregeneralmente adottata, era tuttavia passata dalla teoriaalla pratica; ma i biglietti vennero a scuoterla. I bigliettiricordarono ai Rochellesi che questi bambini, questedonne, questi vecchi che venivan lasciati morire erano i

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loro figliuoli, le loro spose, i loro genitori, e che sarebbestato quindi più giusto che tutti soffrissero in eguale misura,affinché una stessa situazione inducesse a prenderemisure comuni. Questi biglietti ottennero dunque lo scopoche si era prefisso colui che li aveva scritti, in quantodeterminarono molti cittadini a iniziare negoziati particolaricon l'esercito reale. Ma nel momento in cui il Cardinalevedeva già fruttificare il proprio espediente e si rallegravadi averlo posto in opera, un abitante di La Rochelle, che,Dio sa come, aveva potuto passare attraverso l'esercitoregale senza essere fatto prigioniero malgrado l'intensasorveglianza di Bassompierre, di Schomberg e del ducad'Angouleme che alla loro volta erano sorvegliati dalCardinale, entrò in città venendo da Portsmouth eaffermando di avervi veduta una flotta magnifica pronta asalpare prima di otto giorni. Inoltre Buckingham annunciavaal sindaco che finalmente la grande lega contro la Franciastava per essere dichiarata e che il regno sarebbe statoinvaso contemporaneamente dagli eserciti inglese,imperiale e spagnuolo. Questa lettera fu lettapubblicamente in tutte le piazze; se ne fecero molte copieche furono affisse agli angoli della città e coloro stessi cheavevano aperti negoziati col nemico, li interruppero, decisiad attendere i soccorsi tanto pomposamente annunciati.Questo avvenimento inatteso ridiede a Richelieu le sueprime inquietudini, e lo costrinse suo malgrado a volgere dinuovo gli occhi al di là della Manica. Nel frattempol'esercito reale, ignaro delle preoccupazioni del suo unico evero capo, faceva una vita quanto mai gaia: al campo i

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viveri e il denaro non mancavano; e tutte le armirivaleggiavano in audacia e allegria. Catturare qualchespia, ed impiccarla, fare audaci spedizioni sulla diga o inmare, ideare pazzie e metterle freddamente in esecuzione,tali erano i passatempi grazie ai quali l'esercito trovavabrevi quei giorni così lunghi non soltanto per i rochellesi,rosi dalla carestia e dall'ansia, ma anche per il Cardinaleche li bloccava tanto strettamente. Qualche volta, quando ilCardinale, sempre a cavallo come l'ultimo gendarmedell'esercito, lasciava correre il suo sguardo pensierososulle opere, così lente a paragone del suo desiderio che,per suo ordine, venivano costruite dagli ingegneri ch'eglifaceva venire da tutti gli angoli del regno di Francia, seincontrava qualche moschettiere della compagnia diTréville, gli si avvicinava e lo esaminava in modo singolare,poi non riconoscendo in lui uno dei nostri quattro amici,lasciava che il suo sguardo profondo e il suo vastopensiero si volgessero altrove. Un giorno in cui, roso dauna noia mortale, senza più speranza nei negoziati con lacittà, privo di notizie dall'Inghilterra, il Cardinale era uscitosenz'altro scopo che quello di uscire, accompagnatosoltanto da Cahusac e da La Houdinière, costeggiando lerive e mischiando l'immensità dei suoi sogni all'immensitàdell'oceano, arrivò al passo in cima a una collina, dall'altodella quale vide dietro una siepe, coricati sulla sabbia agodere uno di quei raggi di sole così rari in quella stagione,sette uomini circondati di bottiglie vuote. Quattro di costoroerano i nostri moschettieri e si disponevano ad ascoltare lalettura di una lettera che uno di loro aveva ricevuta in quel

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momento. Quella lettera doveva essere così importante,che aveva fatto abbandonare su un tamburo le carte e idadi. Gli altri tre stavano stappando un'enorme damigianadi vino di Collioure ed erano i servitori di quei signori. IlCardinale, come abbiamo già detto, era di pessimoumore, e quando si trovava in simili condizioni di spirito,nulla lo irritava più dell'allegria degli altri. D'altra parte egliaveva una strana fissazione, ed era di credereinvariabilmente che le cause stesse della sua tristezzaeccitassero l'allegria degli estranei. Fece segno difermarsi a La Houdinière e a Cahusac, scese da cavallo esi avvicinò a quei buontemponi sospetti, sperando chegrazie alla sabbia che attutiva il suono dei suoi passi e allasiepe che nascondeva il suo approssimarsi, gli sarebbestato possibile udire qualcosa di quella conversazione chesembrava molto interessante; soltanto a dieci passi dallasiepe riconobbe la pronuncia guascone di d'Artagnan, epoiché sapeva già che quegli uomini erano moschettieri,non dubitò che gli altri fossero coloro che venivano detti gliinseparabili: Athos, Porthos e Aramis. Il lettore immaginidunque come, per effetto di questa scoperta, aumentassein lui il desiderio di udire quanto essi dicevano; i suoi occhiassunsero una strana espressione, e, con passi digattopardo, egli si avvicinò alla siepe; ma non era riuscitoad afferrare che qualche parola insignificante, allorché ungrido breve e sonoro lo fece trasalire e attirò l'attenzionedei moschettieri. "Ufficiali!" gridò Grimaud. "Voi parlate, senon sbaglio, buffone" disse Athos alzandosi sul gomito eaffascinando Grimaud col suo sguardo fiammeggiante. Di

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conseguenza, Grimaud non aggiunse parola, ma siaccontentò di puntare il dito in direzione della siepe,denunciando con questo gesto il Cardinale e la sua scorta.Con un balzo i quattro moschettieri furono in piedi esalutarono rispettosamente. Il Cardinale sembrava furioso."Pare che i signori moschettieri abbiano bisogno disentinelle!" disse. "Forse che gli Inglesi possono giungeredalla parte di terra, o è che i moschettieri si consideranoufficiali superiori?" "Monsignore" rispose Athos, perchénello spavento generale egli solo aveva conservato quellacalma e quel sangue freddo da gran signore che non loabbandonavano mai "Monsignore, quando i moschettierinon sono di servizio, o il loro servizio è finito, bevono egiuocano ai dadi e per i loro lacché sono più che ufficialisuperiori." "Dei lacché" brontolò il Cardinale "che hanno laconsegna di avvertire i loro padroni quando passaqualcuno, non sono dei lacché, sono delle sentinelle.""Eppure Vostra Eminenza ha potuto rendersi conto che senon avessimo presa questa precauzione, ci saremmoesposti a lasciarla passare senza presentarle i nostridoveri e senza ringraziarla per la grazia che ci ha fattariunendoci a d'Artagnan. D'Artagnan" continuò Athos "voiche poco fa invocavate l'occasione per esprimere la vostrariconoscenza a Monsignore, ecco che vi si offre,approfittatene." Queste parole furono pronunciate conquella calma imperturbabile che distingueva Athos neimomenti pericolosi, e con quella eccessiva cortesia che incerti momenti faceva di lui un re più maestoso dei re dinascita D'Artagnan si avvicinò e balbettò poche parole di

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ringraziamento, che subito spirarono sotto lo sguardoincupito del Cardinale. "Non importa, signori" continuò ilCardinale che sembrava non volersi lasciar distrarre dallesue intenzioni iniziali nonostante l'incidente sollevato daAthos "non importa, signori, non mi piace che dei semplicisoldati, solo perché hanno il vantaggio di servire in uncorpo scelto, facciano così i gran signori. La disciplinadeve essere uguale per tutti." Athos lasciò che il Cardinaleterminasse compiutamente la sua frase, e, inchinandosi insegno di assenso, rispose a sua volta: "La disciplina,Monsignore, non è stata in nessun modo, almeno lo spero,dimenticata da me e dai miei compagni. Noi non siamo diservizio e possiamo disporre del nostro tempo comemeglio ci piace. Se poi fossimo così fortunati che SuaEminenza avesse qualche ordine particolare da darci,siamo prontissimi a obbedire. Come Monsignore puòvedere" continuò Athos corrugando le sopracciglia, poichéquesta specie d'interrogatorio cominciava a spazientirlo"per essere pronti al minimo allarme, siamo usciti con lenostre armi." E indicò al Cardinale i quattro moschettidisposti in fascio accanto al tamburo sul quale erano lecarte e i dadi. "Vostra Eminenza voglia credere" interloquìd'Artagnan "che le saremmo mossi incontro se avessimopotuto supporre che era essa che veniva verso di noi conuna sì piccola scorta." Il Cardinale si mordeva i baffi e unpo' le labbra. "Sapete di che avete l'aria, sempre insieme,come siete anche in questo momento, armati, e circondatidai vostri lacché vigilanti?" disse il Cardinale. "Avete l'ariadi cospiratori." "Oh, quanto a questo è vero, Monsignore"

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disse Athos "noi cospiriamo, e Vostra Eminenza l'hapotuto constatare anche ier l'altro, ma cospiriamo contro iRochellesi soltanto." "Oh, signori politicanti!" riprese ilCardinale, corrugando a sua volta le sopracciglia "se sipotesse leggere nei vostri cervelli così come leggevatequella lettera che avete nascosto quando sono arrivato, sitroverebbe forse il segreto di molte cose ignorate." Athossentì il rosso salirgli al viso e si avvicinò di un passo a SuaEminenza. "Si direbbe che sospettiate veramente di noi,Monsignore, e che ci facciate subire un vero interrogatorio;se così è, Vostra Eminenza si degni di parlar chiaro e noisapremo almeno che pensare." "E se anche si trattasse diun interrogatorio?" riprese il Cardinale. "Altri ne hannodovuto subire, signor Athos, e hanno dovuto rispondere.""Per questo, Monsignore, ho detto a Vostra Eminenza chebastava ci interrogasse e che noi eravamo pronti arispondere." "Che lettera era quella che stavate leggendo eche avete nascosto, signor Aramis?" "Una lettera di donna,Monsignore." "Oh, lo so" disse il Cardinale "con questogenere di lettere occorre essere discreti; tuttavia, si puòmostrarla a un confessore, e voi sapete che io ho ricevutigli ordini." Monsignore" disse Athos con una calmaterribile, visto che con questa risposta metteva in pericolola propria testa, "quella lettera è di una donna ma non èfirmata né Marion de Lorme, né signora d'Aiguillon[43]." IlCardinale diventò pallido come la morte, un lampo ferinouscì dai suoi occhi, ed egli si volse come per dare unordine a Cahusac e a La Houdinière. Athos vide il gesto efece un passo verso i moschetti sui quali i suoi amici

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tenevano gli occhi fissi come uomini poco disposti a farsiarrestare. Il Cardinale non aveva che due compagni discorta, i moschettieri coi loro lacché erano sette: egligiudicò dunque che la partita sarebbe stata tanto piùineguale in quanto Athos e i suoi compagni cospiravanorealmente, e, con uno di quei rapidi mutamenti che avevasempre a sua disposizione, lasciò che tutta la sua collerasi fondesse in un sorriso. "Suvvia, suvvia!" disse "voi sietedei bravi ragazzi, orgogliosi alla luce del sole, fedelinell'oscurità; non c'è nulla di male nel vigilare su di séquando si vigila così bene su gli altri; signori, io non hodimenticata la notte in cui mi serviste di scorta per andareal Colombo rosso; se ci fosse da temere qualche pericolosulla via che devo percorrere, vi pregherei diaccompagnarmi, ma pericoli non ce ne sono, restatedunque dove siete e finite le vostre bottiglie, i vostri giuochie la vostra lettera. Addio, signori." E, rimontando sulcavallo che Cahusac gli aveva condotto, salutò con lamano e si allontanò. I quattro giovani, in piedi e immobili, loseguirono con gli occhi senza aprir bocca finché egli non fuscomparso. Poi si guardarono. Tutti erano costernati inviso, giacché, nonostante l'amichevole saluto di SuaEminenza, capivano che il Cardinale se ne andava con larabbia nel cuore. Athos solo sorrideva di un sorrisopossente e sdegnoso. Quando il Cardinale fu fuori diportata tanto per la vista che per la voce, Porthos, cheaveva una gran voglia di riversare su qualcuno il suomalumore, esclamò: "Quel Grimaud ci ha avvisati proprioall'ultimo!" Grimaud voleva parlare per scusarsi. Athos alzò

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il dito e Grimaud tacque. "Aramis, avreste consegnata lalettera?" chiese d'Artagnan. "Per quanto mi riguarda erorisoluto; se il Cardinale avesse preteso la lettera" risposeAramis con voce flautata "gliela avrei presentata con unamano, mentre con l'altra gli avrei passata la spadaattraverso il corpo." "Me l'aspettavo" disse Athos "ed eccoperché mi sono gettato fra voi e lui. In verità, quell'uomo sidimostra ben imprudente parlando come parla ad altriuomini; si potrebbe pensare abbia avuto a che faresoltanto con donne e ragazzi." "Caro Athos" feced'Artagnan "vi ammiro, seppure debba riconoscere che,tutto sommato, avevamo torto." "Come torto?" ripreseAthos. "Di chi è dunque quest'aria che respiriamo? Di chiquest'oceano su cui spazia il nostro sguardo? Di chiquesta sabbia su cui siamo coricati? Di chi la lettera dellavostra amante? E' roba forse del Cardinale? Sul mio onorequell'uomo s'immagina che tutto il mondo sia suo; voieravate lì, balbettante, stupefatto, annientato; si sarebbedetto che la Bastiglia si alzasse davanti a voi e che quellagigantesca medusa vi avesse cambiato in pietra. Essereinnamorati è forse cospirare? Voi siete innamorato di unadonna che il Cardinale ha imprigionata e volete strapparladalle mani del Cardinale; è una partita che giocate con SuaEminenza: questa lettera è il vostro giuoco; perché avrestedovuto mostrare il vostro giuoco al vostro avversario?questo non si usa. Che lo indovini, va bene; anche noiindoviniamo il suo!" "Sicuro, voi dite delle coseassennatissime" osservò d'Artagnan. "E allora nonparliamo più di quanto è avvenuto e Aramis riprenda a

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leggere la lettera di sua cugina dal punto in cui il Cardinalel'ha interrotto." Aramis levò di tasca la lettera, i tre amici sistrinsero intorno a lui e i tre lacché si rimisero attorno alladamigiana. "Non avevate letto che una o due righe" dissed'Artagnan "riprendiamo la lettura dal principio.""Volentieri" disse Aramis. "Mio caro cugino, credo che mideciderò a partire per Béthune, dove mia sorella ha fattoentrare la nostra piccola domestica nel Convento delleCarmelitane; quella povera figliuola si è rassegnata; sa chenon può vivere in nessun altro luogo senza che la salutedell'anima sua sia in pericolo. Però, se, come speriamo,riusciremo a mettere in ordine gli affari della nostrafamiglia, credo ch'ella affronterà il pericolo di dannarsitornando vicina a coloro che rimpiange, tanto più che nonignora d'essere sempre ricordata. Frattanto non è troppoinfelice; non desidera che una lettera del suo innamorato.So bene che questo genere di derrate non passafacilmente attraverso le inferriate; ma, in fin dei conti comevi ho dimostrato, mio caro cugino, io non sono troppomaldestra, e m'incaricherò di questa commissione. Miasorella vi ringrazia del vostro gentile e costante ricordo.Ella ebbe un attimo di grande inquietudine; ma ora èabbastanza tranquilla poiché ha potuto mandare laggiù unsuo incaricato per essere certa che nulla avvengad'imprevisto. Addio, caro cugino, dateci vostre notizie piùspesso che potrete, vale a dire tutte le volte che lo potretefare senza correre pericoli. Vi abbraccio Maria Michon""Oh, quanto vi devo, mio caro Aramis!" esclamòd'Artagnan. "Cara Costanza! ho finalmente sue notizie;

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essa vive, è al sicuro in un convento, si trova a Béthune!Dove è Béthune, Athos?" "Sulla frontiera dell'Artois e dellaFiandra; finito l'assedio potremo andare a fare un giro daquelle parti." "E le cose non potranno andare per le lunghe,c'è da sperarlo" disse Porthos "stamane hanno impiccatouna spia la quale ha dichiarato che i Rochellesi eranoridotti a mangiare il cuoio delle scarpe. Supponendo chedopo aver mangiato il cuoio, mangino la suola, non soindovinare che cosa possa restar loro dopo, a meno chenon si mangino fra loro." "Poveri sciocchi!" esclamò Athosvuotando un bicchiere di eccellente vino di Bordeaux che,pur non avendo allora la riputazione di cui gode oggigiorno,la meritava ugualmente "poveri sciocchi! Come se lareligione cattolica non fosse la più utile e la più piacevoledelle religioni! Eppure" riprese dopo aver fatto schioccarela lingua contro il palato "sono brava gente! Ma che diavolofate, Aramis? Mettete quella lettera in tasca?" "Athos haragione" disse d'Artagnan "bisogna bruciarla e chi sa se ilCardinale non conosce il segreto per leggere anche nellacenere." "Deve conoscerlo" affermò Athos. "Che cosavolete fare di quella lettera, allora?" domandò Porthos."Grimaud, venite qui" ordinò Athos. Grimaud si alzò eobbedì. "Per punirvi di aver parlato senza il mio permesso,amico mio, voi mangerete questo pezzo di carta; poi, perricompensarvi del servizio che ci avrete reso, berretequesto bicchiere di vino; ecco la lettera per cominciare,masticate con energia." Grimaud sorrise, e con gli occhifissi sul bicchiere che Athos aveva riempito fino all'orlo,masticò la carta e l'inghiottì. "Bravo, mastro Grimaud!"

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esclamò Athos. "Ed ora prendete questo. Bene, vidispenso dal ringraziare." Grimaud tracannò in silenzio ilbicchiere di vino di Bordeaux, ma i suoi occhi levati al cielodurante tutto il tempo che durò questa dolce occupazione,parlarono un linguaggio che, per quanto muto, non erameno espressivo. "Ed ora" disse Athos "a meno che ilCardinale non abbia l'ingegnosa idea di far aprire il ventrea Grimaud, credo che si ossa essere quasi tranquilli." Nelfrattempo, Sua Eminenza continuava la sua malinconicapasseggiata, brontolando fra i baffi: "Bisognaassolutamente che quei quattro uomini divengano miei!"

Capitolo 52 PRIMO GIORNO DI PRIGIONIA

Torniamo a Milady che uno sguardo gettato sulle coste diFrancia ci ha fatto perdere di vista. La ritroveremo nellastessa posa di disperazione in cui la lasciammo, intenta ascavarsi un abisso di cupe riflessioni, cupo inferno sullasoglia del quale ha quasi lasciato ogni speranza, giacchéper la prima volta ella dubita, per la prima volta ella teme. Indue occasioni la fortuna le è mancata, in due occasioni si èvista smascherata e tradita, e in queste due occasioni haurtato contro il genio fatale inviato senza dubbio dalSignore per combatterla; d'Artagnan l'ha vinta, ha vinta lei,invincibile incarnazione del male. Egli l'ha raggirata nel suoamore, l'ha umiliata nel suo orgoglio, l'ha ingannata nellasua ambizione, ed ecco che ora distrugge la sua fortuna, la

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priva della libertà e minaccia persino la sua vita. Peggioancora, egli ha sollevato un lembo della maschera che larendeva forte. D'Artagnan ha allontanato da Buckingham,ch'ella odia come odia tutto ciò che ha amato, la tempestadi cui lo minacciava Richelieu nella persona della regina.D'Artagnan si è fatto passare per di Wardes per il qualeessa aveva uno di quei capricci da tigre, indomabili, comene hanno le donne della sua specie. D'Artagnan conosce ilsuo terribile segreto, quel segreto che, essa l'ha giurato,nessuno deve conoscere senza morire. Infine, nel momentoin cui ha ottenuto un foglio in bianco per mezzo del quale sidispone a vendicarsi del suo nemico, quel foglio le èstrappato dalle mani, ed è d'Artagnan che la tieneprigioniera e che minaccia di farla inviare in qualcheimmonda Botany-Bay o in qualche infame Tyburndell'oceano Indiano[44]. Tutto ciò, essa lo deve ad'Artagnan, non c'è dubbio; da chi può provenire tantavergogna accumulata nel suo capo, se non da lui? Egli soloha potuto svelare a lord Winter gli spaventosi segreti cheha scoperti l'uno dopo l'altro per una specie di fatalità. Egliconosce suo cognato, egli deve avergli scritto. Quanto odioessa distilla! Immobile, con gli occhi ardenti e fissi, nellasua camera deserta, oh, come lo scoppio dei suoi sordiruggiti, che a tratti sfuggono con i respiri dal fondo del suopetto, accompagna bene il rumore dell'onda che sale,brontola, muggisce e viene a infrangersi, come unadisperazione eterna e impotente, contro le rocce sulle qualiè fabbricato quel cupo e orgoglioso castello. E come, allaluce dei lampi che la sua collera tempestosa fa brillare nel

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suo spirito, le sorridono, contro la signora Bonacieux,contro Buckingham e soprattutto contro d'Artagnan,magnifici progetti di vendetta perduti nelle lontananzedell'avvenire! Ma per vendicarsi bisogna essere liberi, eper essere liberi quando si è prigionieri, occorre forare unmuro, segare inferriate, bucare un pavimento, operazionitutte che può compiere un uomo forte e paziente, madinanzi alle quali sono destinate a fallire le irritazioni febbrilidi una donna. E poi, per fare tutto ciò occorre molto tempo,mesi, anni, ed essa… non dispone che di dieci o dodicigiorni, secondo quanto le ha detto lord Winter, il suofraterno e terribile carceriere. Eppure, se essa fosse uomo,tenterebbe tutto ciò e forse riuscirebbe. Perché dunque ilcielo si è talmente ingannato mettendo un'anima virile in uncorpo fragile e delicato? Così, dunque, i primi momenti diprigionia sono stati terribili; alcune convulsioni di rabbiache non ha potuto reprimere hanno pagato il debito delladebolezza femminile alla natura. Ma a poco a poco, essaha domato gli scoppi della sua inutile collera, i fremitinervosi che hanno agitato il suo corpo sono scomparsi, eora essa si è ripiegata su se stessa come un serpe stancoche si riposa. "Suvvia, suvvia; ero pazza a lasciarmitrasportare dalla collera" dice sprofondando nel suospecchio, che riflette nei suoi occhi uno sguardo ardentecol quale essa sembra interrogare se stessa. "Nienteviolenza, la violenza è una prova di debolezza. Prima ditutto, con questo mezzo io non sono mai riuscita a nulla;forse, se usassi la mia forza contro le donne avrei qualcheprobabilità di trovarle più deboli di me e per conseguenza

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di vincerle; ma io lotto contro degli uomini, e per loro nonsono che una donna. Lottiamo dunque da donna, nelladebolezza è la mia forza." Allora, quasi per rendersi contodei cambiamenti ch'essa poteva imporre alla suafisionomia così mobile ed espressiva, fece assumere alsuo viso tutte le espressioni: da quella della collera checontraeva i suoi lineamenti, sino a quella del più affettuoso,del più dolce e del più affascinante dei sorrisi. Poi i suoicapelli presero sotto le sue mani sapienti le ondulazioniche, a suo parere, potevano aggiungere qualche cosa allagrazia del suo volto. Infine soddisfatta, mormorò: "Suvvia,nulla è perduto; sono ancora bella!" Erano circa le otto disera. Milady scorse un letto; pensò che un riposo diqualche ora avrebbe rinfrescato non solo la sua testa e lesue idee, ma anche il suo colorito. Tuttavia, prima dicoricarsi, ebbe un'idea migliore. Aveva sentito parlaredella cena. Essa era già da un'ora chiusa in quella camera,chi doveva portarle da mangiare non poteva tardare. Laprigioniera non volle perdere tempo e risolvette di farequalche tentativo per sondare il terreno quella stessa sera,studiando il carattere di coloro ai quali era stata data incustodia. Una luce filtrò di sotto alla porta; quella luceannunciava il ritorno dei suoi carcerieri. Milady, che s'eraalzata, si lasciò ricadere nella poltrona con la testarovesciata indietro, i bei capelli sciolti e sparsi, il senoseminudo sotto i merletti sgualciti, una mano sul cuore el'altra penzoloni. I catenacci furono tirati, la porta cigolò suicardini, alcuni passi risonarono nella stanza e siavvicinarono. "Mettete là quel tavolo" ordinò una voce che

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la prigioniera riconobbe per quella di Felton. L'ordine fueseguito. "Portate dei candelieri e cambiate la sentinella"continuò Felton. Questi due ordini dati agli stessi individuidal giovane tenente provarono a Milady che coloro che laservivano erano gli stessi uomini che la custodivano, vale adire dei soldati. Gli ordini di Felton erano d'altrondeeseguiti con una silenziosa rapidità che dava un'ottimaidea del come era mantenuta la disciplina. Infine Felton,che non aveva ancora guardato Milady, si volse verso dilei. "Ah! dorme!" esclamò "va bene, mangerà quando sisveglierà." E fece qualche passo per uscire. "Ma, signortenente" disse un soldato che, meno stoico del suo capo,si era avvicinato a Milady "questa donna non dorme." "Nondorme? Che cosa fa dunque?" domandò Felton. "E'svenuta; il suo volto è pallidissimo e, per quanto stia inascolto, non la sento respirare." "Avete ragione" disseFelton dopo aver guardato Milady dal punto in cui sitrovava, senza fare un passo verso di lei; "andate adavvertire lord Winter che la sua prigioniera è svenuta. Ionon so che fare, il caso non era previsto." Il soldato uscì perubbidire agli ordini dell'ufficiale: Felton sedette su unapoltrona che si trovava per caso vicino alla porta e attesesenza dir parola, senza fare un gesto. Milady possedeva lagrande arte, tanto studiata dalle donne, di vedereattraverso le sue lunghe ciglia senza aver l'aria di sollevarele palpebre; vide dunque che Felton le voltava le spalle; perdieci minuti circa l'osservò fissamente e per dieci minutil'impassibile guardiano non si voltò neppure una volta.Allora pensò che lord Winter stava per venire e per dare,

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con la sua presenza, una nuova forza al suo carceriere: ilsuo primo esperimento era fallito, ed essa accettò lasconfitta da donna che non dubita dei suoi mezzi; diconseguenza, alzò la testa, aprì gli occhi e sospiròdebolmente. Udendo sospirare Felton finalmente si volse."Ah, eccovi risvegliata, signora" disse. "Non ho dunque piùnulla da fare qui. Se avrete bisogno di qualche cosachiamate." "Dio mio! Dio mio! quanto ho sofferto!"mormorò Milady con la sua voce armoniosa, che, simile aquella delle incantatrici antiche, affascinava coloro cheessa voleva perdere. E raddrizzandosi sulla poltrona essaprese una posizione più graziosa e più piena diabbandono di quella che aveva quand'era distesa. Feltonsi alzò. "Voi sarete servita così tre volte al giorno, signora"disse; "la mattina alle nove, durante la giornata all'una e lasera alle otto. Se questo non vi va, potete dire le ore che viconvengono meglio e, a questo riguardo, faremo comedesiderate." "Ma starò dunque sempre sola in questagrande e triste camera?" domandò Milady. "Una donna deidintorni è stata avvisata e verrà domani al Castello; tutte levolte che lo vorrete sarà ai vostri ordini." "Grazie, signore"rispose umilmente la prigioniera. Felton fece un cenno disaluto e si diresse alla porta; nel momento in cui stava pervarcarne la soglia, lord Winter apparve nel corridoioseguito dal soldato che era andato ad avvertirlo dellosvenimento di Milady. Aveva in mano una boccetta di sali."Ebbene, che c'è? Che cosa succede qui?" chieseironicamente vedendo la prigioniera in piedi e Felton chestava per uscire. "La morta è dunque risuscitata? Perdio,

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Felton, ragazzo mio, non ti sei accorto che ti hanno presoper un novizio e che ti hanno rappresentato il primo atto diuna commedia di cui avremo senza dubbio il piacere diseguire gli sviluppi?" "L'ho pensato, milord" disse Felton"ma poiché, dopo tutto, la prigioniera è una donna, hovoluto usarle i riguardi che un uomo ben nato deve semprea una donna, se non per lei, per rispetto verso se stesso."Milady rabbrividì in tutto il corpo; le parole di Felton lacolpivano direttamente al cuore. "Cosicché" ripreseridendo lord Winter "questi bei capelli, così sapientementesparsi, questa pelle bianca e questi languidi occhi, non tihanno ancora sedotto, cuore di pietra?" "No, milord"rispose l'impassibile giovanotto "e, credetemi, ci vuol altroche qualche maneggio e qualche civetteria di donna percorrompermi!" "In tal caso, mio caro tenente, lasciamo cheMilady escogiti qualche altro mezzo, e andiamo a cena; mastai tranquillo, essa ha l'immaginazione feconda, e ilsecondo atto della commedia non tarderà molto a seguireil primo." E così dicendo lord Winter prese sottobraccioFelton e lo condusse via ridendo. "Oh! Saprò ben trovareciò che ti occorre" mormorò Milady fra i denti "staitranquillo, povero monaco mancato, povero soldatoconvertito che ti sei tagliato l'uniforme in una tonaca." "Aproposito" riprese Winter fermandosi sulla soglia "nonvoglio che questo scacco ti tolga l'appetito, Milady.Assaggiate questo pollo e questo pesce che non sonoavvelenati, parola d'onore. Io sono contento del mio cuocoe poiché non deve ereditare da me, ho in lui piena e interafiducia. Imitatemi. Addio, sorella cara, al vostro prossimo

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svenimento." Era più di quanto Milady potesse sopportare;le sue mani abbrancarono i bracciali della poltrona, i suoidenti stridettero, i suoi occhi seguirono il moto della portache si chiudeva dietro a lord Winter e a Felton. Quando fusola, una nuova crisi di disperazione la colse; gettò gliocchi sulla tavola, vide brillare un coltello, si lanciò, loafferrò, ma la sua delusione fu grande: la lama era rotondae d'argento flessibile. Uno scoppio di risa risonò dietro laporta malchiusa che si riaprì prontamente. "Ah, ah!"esclamò lord Winter "ah, ah, ah! vedi bene, mio caroFelton, vedi quel che ti avevo detto; quel coltello era per te;ragazzo mio, essa t'avrebbe ucciso; vedi, è una delle suemanie quella di sbarazzarsi così, in un modo o nell'altro,delle persone che l'incomodano. Se t'avessi dato ascolto,quel coltello sarebbe stato d'acciaio, e allora niente piùFelton, essa ti avrebbe sgozzato e, dopo di te, tutti gli altri.Guarda come lo sa bene maneggiare." Infatti Miladystringeva ancora la sua arma offensiva nella manocontratta, ma queste ultime parole, questo supremo insulto,allentarono le sue mani, le sue forze e persino la suavolontà. Il coltello cadde a terra. "Avevate ragione, milord"disse Felton con un accento di profondo disgusto cherisuonò sino in fondo al cuore di Milady "avevate ragione eio avevo torto." Ed entrambi uscirono di nuovo. Ma questavolta Milady stette in orecchi finché udì il rumore dei passiche si allontanavano e si smorzavano in fondo al corridoio."Sono perduta" mormorò "eccomi in potere di personesulle quali non avrò maggior influenza che su delle statue dibronzo o di granito; essi mi conoscono a fondo e sono

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corazzati contro tutte le mie armi. Eppure è impossibile chela cosa finisca come vogliono." Infatti, come dimostravaquest'ultima riflessione, questo ritorno istintivo allasperanza, in quell'anima profonda il timore e i sentimentideboli non imperavano a lungo. Milady sedette a tavola,mangiò un po' di tutte le pietanze, bevette un po' di vino diSpagna, e sentì rinascere tutta la sua risolutezza. Prima dicoricarsi ella aveva già esaminato, analizzato, voltato sututte le facce, esaminato da tutti i punti di vista, le parole, ipassi, i gesti, i segni e persino il silenzio dei suoicarcerieri, e da questo studio profondo, abile e sapienteaveva tratto la conclusione che, tutto sommato, Felton era ilpiù vulnerabile fra i suoi due persecutori. Una frasespecialmente le era fissa in mente: lord Winter aveva dettoa Felton: "Se ti avessi ascoltato!" Dunque Felton avevaparlato in suo favore, visto che lord Winter non aveva volutoascoltarlo. "Debole o forte che sia" diceva Milady"quell'uomo ha dunque nell'animo un barlume di pietà; diquesto barlume io farò un incendio che lo divorerà. Quantoall'altro, egli mi conosce, mi teme e sa che cosa puòaspettarsi da me se gli sfuggo, è dunque inutile ch'io facciadei tentativi su di lui. Ma Felton è un'altra cosa; è ungiovanotto ingenuo, puro e che sembra virtuoso; c'èdunque modo di perderlo." E Milady si coricò e siaddormentò col sorriso sulle labbra; chi l'avesse vedutaaddormentata, l'avrebbe creduta una giovanetta sognantela corona di fiori che deve mettere sulla sua fronte in unafesta imminente.

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Capitolo 53 SECONDO GIORNO DI PRIGIONIA

Milady sognava di avere finalmente d'Artagnan fra le manie di assistere al suo supplizio; ed era la vista del suosangue odioso che colava dall'ascia del carnefice adisegnare quel delizioso sorriso sulle sue labbra. Elladormiva come dorme un prigioniero cullato dalla sua primasperanza. Il giorno dopo, quando fu aperta la porta dellasua stanza, essa era ancora a letto. Felton era nelcorridoio; conduceva la donna della quale aveva parlato ilgiorno prima, e che era appena arrivata. La donna entrò esi avvicinò al letto di Milady, offrendole i suoi servigi. Miladyera abitualmente pallidissima, il suo colorito poteva dunquetrarre in inganno chi la vedesse per la prima volta. "Ho lafebbre" disse "non ho dormito un attimo durante questalunga notte, soffro terribilmente: sarete voi più umana diquanto siano stati con me ieri? Tutto ciò che domando èd'altronde il permesso di rimanere a letto." "Volete che sichiami un medico?" domandò la donna. Felton ascoltavaquesto dialogo senza dir parola. Milady pensava che piùgente le era intorno, più ne avrebbe potuta impietosire, e lasorveglianza di lord Winter sarebbe aumentata; d'altrondeil medico avrebbe potuto dichiarare che la malattia erafinita, e Milady non voleva, dopo aver perduto la primamano, perdere la seconda. "Perché chiamare un medico?"disse. "Questi signori, ieri, hanno dichiarato che il miomale era una commedia, oggi ripeterebbero la stessa

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cosa. Se avessero voluto chiamare un medico, da ieri serane avrebbero avuto il tempo." "Allora" fece Felton conimpazienza "diteci come volete essere curata, signora." "Ecome posso saperlo, mio Dio! So che mi sento moltomale, ecco tutto; datemi ciò, che vorrete, poco m'importa.""Andate a chiamare lord Winter" disse Felton, stanco diquelle continue lamentele. "Oh, no no, signore!" esclamòMilady. "Non chiamatelo, ve ne scongiuro; sto bene, non hobisogno di nulla, non chiamatelo!" Ella mise una cosìprodigiosa veemenza, una così trascinante eloquenza inquesta esclamazione, che Felton, quasi suo malgrado,avanzò di qualche passo nella camera. "E' commosso"pensò Milady. "Eppure, signora" disse Felton "se stateveramente male, manderemo a chiamare un medico, e…se ci ingannate, ebbene, tanto peggio per voi; dal cantonostro, almeno, noi non avremo nulla da rimproverarci."Milady non rispose, ma, rovesciando sul guanciale la bellatesta, si sciolse in lacrime e scoppiò in singhiozzi. Felton laguardò per un attimo con la sua solita impassibilità, poi,vedendo che la crisi minacciava di prolungarsi, uscì; ladonna lo seguì. Lord Winter non comparve. "Credod'incominciare a vederci chiaro" mormorò Milady con gioiaselvaggia, seppellendosi sotto le lenzuola per nasconderea coloro che eventualmente la spiassero questo slancio disoddisfazione interna. Passarono così due ore. "Ora ètempo che la malattia cessi" diss'ella; "alziamoci ecerchiamo di ottenere qualche piccolo successo oggistesso; non ho che dieci giorni, e questa sera due sarannogià trascorsi." La mattina, allorché la donna era entrata

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nella camera di Milady, era stata portata la colazione;Milady aveva dunque pensato che non si sarebbe tardatomolto a venire a portar via il tavolo, e che in quel momentoavrebbe rivisto Felton. Milady non si ingannava: Feltonriapparve, e senza badare se Milady avesse o noassaggiati i cibi, fece un segno perché portassero fuori latavola, che abitualmente veniva portata già pronta. Feltonrimase ultimo, aveva un libro in mano. Milady, sdraiata suuna poltrona, vicino al camino, bella, pallida, rassegnata,somigliava a una santa vergine che attenda il martirio.Felton le si avvicinò e le disse: "Lord Winter, che ècattolico come voi, signora, ha pensato che possa esservipenosa la privazione dei riti e delle cerimonie della vostrareligione; acconsente dunque a che voi leggiate ognigiorno le preghiere quotidiane della 'vostra messa', e vimanda questo libro che ne contiene il rituale." All'aria concui Felton depose quel libro sul tavolinetto presso il qualeessa stava seduta, al tono con cui pronunciò queste dueparole: la vostra messa, al sorriso sprezzante con cui leaccompagnò, Milady alzò la testa e guardò piùattentamente l'ufficiale. Allora alla pettinatura severa,all'uniforme d'una semplicità esagerata, alla fronte liscia enuda come il marmo, e come il marmo dura eimpenetrabile, ella riconobbe in lui uno di quei cupi puritaniche aveva incontrato tante volte sia alla corte del ReGiacomo, sia a quella del Re di Francia, dove, malgrado ilricordo della notte di San Bartolomeo, andavano qualchevolta a cercar rifugio. Ebbe quindi una di quelle pronteispirazioni che soltanto coloro che hanno genio ricevono

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nelle grandi crisi e nei momenti supremi che devonodecidere della loro fortuna e della loro vita. Queste dueparole: La vostra messa e un'occhiata investigatricegettata su Felton, le avevano rivelato infatti qualeimportanza avesse la risposta che stava per dare. Ma conquella prontezza d'intelligenza che le era peculiare questarisposta le si affacciò già formulata alle labbra. "A me!"disse con un accento di disprezzo intonato su quello cheaveva notato nella voce del giovane ufficiale "a me,signore, la mia messa! Lord Winter, il cattolico corrotto, sabene che non sono della sua religione; è dunque un tranelloche vuol tendermi!" "E qual è dunque la vostra religione,signora?" chiese Felton, che nonostante il dominio cheaveva su se stesso, non seppe nascondere la suameraviglia. "Lo dirò" esclamò Milady con una fintaesaltazione "il giorno in cui avrò abbastanza sofferto per lamia fede." Lo sguardo di Felton scoprì a Milady tuttal'estensione dello spazio che aveva conquistato con questasola parola. E tuttavia il giovane ufficiale restò muto eimmobile; soltanto il suo sguardo aveva parlato. "Io sononelle mani dei miei nemici" continuò essa con quel tonod'entusiasmo che sapeva familiare ai puritani "ebbene, ilmio Dio mi salverà o io perirò per il mio Dio! Ecco larisposta che vi prego di trasmettere a Lord Winter. Equanto a questo libro" aggiunse indicandolo con la puntadel dito, senza toccarlo come se potesse essereinsudiciata da quel contatto "potete riportarglielo oservirvene voi stesso, perché senza dubbio voi siete duevolte complice di lord Winter, complice nella sua

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persecuzione, complice nella sua eresia." Felton nonrispose, prese il libro con la stessa ripugnanza che avevagià manifestato e si ritirò pensieroso. Verso le cinque disera venne lord Winter; durante tutta la giornata Miladyaveva avuto tempo di tracciare il suo piano di condotta; loricevette quindi come una donna che ha ripreso ilsopravvento. "Pare" disse il barone sedendosi in unapoltrona di faccia a quella che occupava Milady estendendo con noncuranza i piedi sul focolare "pare cheabbiate fatto una piccola apostasia!" "Che volete dire,signore?" "Voglio dire che dall'ultima volta in cui civedemmo, avete cambiato religione; avreste per casosposato un terzo marito, protestante?" "Spiegatevi, milord"rispose con dignità la prigioniera "perché vi dichiaro cheodo le vostre parole, ma non le comprendo." "Allora vuoldire che non professate nessuna religione; preferisco ciò"riprese sghignazzando lord Winter. "E' certo che ciòsarebbe più consono ai vostri principi" ribatté freddamenteMilady. "Vi confesso che la cosa non ha per me alcunaimportanza." "Anche se non confessate questa vostraindifferenza religiosa, milord, le vostre orge e i vostri delittine farebbero fede." "Come? Voi che siete una Messalina,parlate di orge? E parlate di delitti, lady Macbeth? O hointeso male, o, perdio, siete di una impudenzainarrivabile!" "Voi parlate così perché sapete che qualcunoci ascolta" rispose freddamente Milady "perché voleteanimare i vostri carcerieri e i vostri carnefici." "I mieicarcerieri! I miei carnefici! Caspita, signora! Voi laprendete in un tono patetico, e vedo che la commedia di

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ieri si svolge oggi in tragedia. Del resto, fra otto giorni voisarete dove dovete essere e il mio compito sarà finito.""Compito infame! Compito empio!" riprese Milady conl'esaltazione di una vittima che sfida il suo giudice. "Parolad'onore" disse Winter alzandosi "credo che la briccona stiadiventando pazza. Suvvia, calmatevi, signora puritana, o vi faccio mettere in una segreta. Perbacco! E' il mio vino diSpagna che vi è andato alla testa, è vero? Ma statetranquilla, questa ubbriachezza non è pericolosa e nonlascerà conseguenze." E lord Winter se ne andòbestemmiando, come a quel tempo era abitudine deigentiluomini. Felton era infatti dietro la porta, e non avevaperduto una sola parola di questa scena. Milady avevaintuito la verità. "Sì, va', va'!" disse al cognato. "Leconseguenze si approssimano, al contrario, ma tu levedrai, imbecille, soltanto quando non sarai più in tempoper scansarle." Il silenzio si ristabilì, due ore trascorsero;venne recata la cena; Milady fu trovata nell'atto di recitaread alta voce le sue preghiere, preghiere che avevaapprese da un vecchio servitore del suo secondo marito,fervente puritano. Ella sembrava in estasi e parve persinonon prestare alcuna attenzione a quanto si faceva attorno alei. Felton fece segno di non disturbarla, e allorché tutto fupronto, uscì coi soldati senza rumore. Milady, che sapevadi poter essere spiata, continuò sino alla fine le suepreghiere, e le parve che il soldato che era di sentinella allaporta non si spostasse più con lo stesso passo e sifermasse ad ascoltare. Per il momento non desiderava dipiù, si rialzò, si mise a tavola, mangiò poco e bevette

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soltanto acqua. Un'ora dopo vennero a portar via la tavola,ma, questa volta, Milady notò che Felton nonaccompagnava i soldati. Egli dunque temeva di vederlatroppo spesso. Essa si voltò verso il muro per sorridere,perché c'era i questo sorriso una tale espressione ditrionfo che sarebbe bastata a denunciarla. Lasciòtrascorrere ancora una mezz'ora, poi, quando tutto ilvecchio castello fu silenzioso e non si udì che l'eternomormorìo delle onde, questo respiro immenso dell'oceano,con la sua voce pura, armoniosa e vibrante intonò la primastrofa di un salmo caro allora a tutti i puritani: O DioSignore, se tu ci abbandoni Lo fai sol per provar la nostraforza; Ma più tardi tu stesso ci darai Con la mano divina lapalma del martirio. I versi non erano belli, anzi, ci correva;ma come ben si sa, i puritani non avevano la pretesa diessere poeti. Pur cantando, Milady stava in ascolto: ilsoldato di guardia alla sua porta, si era arrestato come sefosse pietrificato. Milady fu così ben sicura dell'effettoprodotto, che continuò il suo canto con un fervore e unsentimento inesprimibili; le pareva che il suono siripercotesse lontano sotto le volte e volasse come unmagico incanto ad addolcire il cuore dei suoi carcerieri.Tuttavia, il soldato di guardia, certamente zelante cattolico,si sottrasse al fascino, giacché gridò attraverso la porta:"Tacete, signora, la vostra canzone è triste come un DeProfundis, e se, al piacere di essere qui di guarnigione,dovremo aggiungere quello di sentire cose simili, non sireggerà più." "Silenzio!" disse allora una voce grave cheMilady riconobbe per quella di Felton "di che vi

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immischiate, sciocco? Vi hanno forse ordinato di impedirea quella donna di cantare? No. Vi hanno detto di vegliaresu di lei, di sparare se tenta di fuggire. Vigilate… se fugge,uccidetela; ma non cambiate nulla della consegna."Un'espressione di gioia indescrivibile brillò sul viso diMilady, ma questa espressione fu rapida come il riflessod'un lampo, e come se non avesse udito il dialogo delquale non aveva perduto parola, essa riprese dando allapropria voce tutto il fascino e tutta l'estensione di cui ildemonio l'aveva dotata: Per tanto pianto e per tantemiserie, Per il mio esilio e per le mie catene, Ho la miagiovinezza, la preghiera E Dio che terrà conto dei mali cheho sofferto. Questa voce, di un'estensione inaudita e di unasublime passionalità, dava alla poesia rude e primitiva diquesti salmi una magia e un'espressione che i puritani piùesaltati abitualmente non trovavano nei canti dei lorofratelli, ch'erano costretti ad abbellire con tutte le risorsedella loro immaginazione; Felton pensò di udire l'angeloche consolò i tre Ebrei nella fornace ardente. Miladycontinuò: Ma il giorno della liberazione Giungerà anche pernoi, Dio giusto e forte; E se il nostro sperar sarà tradito Ciresterà pur sempre il martirio e la morte. Questa strofanella quale la terribile incantatrice cercò di mettere tuttal'anima sua, finì di sconvolgere il cuore del giovaneufficiale; egli aprì bruscamente la porta, e Milady lo videpallido come sempre, ma con gli occhi ardenti e quasismarriti. "Perché cantate in questo modo?" domandò."Con una simile voce?" "Scusatemi, signore" rispose condolcezza Milady "avevo dimenticato che i miei canti non

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sono adatti per questa casa. Porse vi ho offeso nella vostrafede; ma l'ho fatto senza pensarci, ve lo giuro; perdonatedunque il mio errore, che è forse grande, ma è certamenteinvolontario." Milady era così bella in quel momento, l'estasireligiosa nella quale sembrava immersa dava una taleespressione alla sua fisionomia, che Felton, abbagliato,credette vedere l'angelo che poco prima credevasolamente di udire. "Si" rispose "sì, voi turbate coloro cheabitano il castello." Il povero sciocco non si accorgevadelle sue parole incoerenti, mentre Milady affondava il suoocchio di lince fino in fondo al suo cuore. "Tacerò" disseMilady abbassando gli occhi con tutta la dolcezza che potédare alla sua voce e con tutta la rassegnazione che potéesprimere col suo contegno. "No, no, signora" disse Felton"soltanto cantate meno forte, specialmente la notte." Poi,sentendo che non gli sarebbe stato possibile mantenere lapropria severità verso la prigioniera, uscì quasi di corsadalla stanza. "Avete fatto bene, tenente" disse il soldato,"quel canto sconvolge i cuori, però si finisce conl'abituarcisi; la sua voce è così bella!"

Capitolo 54 TERZO GIORNO DI PRIGIONIA

Felton era accorso; ma occorreva fare di più, occorrevatrattenerlo, o, meglio, bisognava far sì che rimanesse solo;e Milady ancora non intravvedeva se non oscuramente conquali mezzi sarebbe giunta a questo risultato. Era anche

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necessario farlo parlare, perché fosse possibile parlargli;Milady sapeva bene che la sua più grande seduzione eranella voce, che percorreva tanto agilmente tutta la gammadei toni, dalla parola umana al linguaggio celeste. Tuttavia,ad onta di tutte queste seduzioni, il piano di Milady potevanaufragare, giacché Felton era prevenuto, contro il piùinaspettato degli scogli. Essa, dunque, si sforzò dicontrollare tutte le proprie azioni, tutte le proprie parole,persino il più semplice sguardo dei propri occhi, persino ipropri gesti e la propria respirazione, che poteva essereinterpretata come un abile sospiro. Insomma, essa studiòtutto di sé, come un abile commediante al quale è stataaffidata una parte nuova diversa da quelle che recitaabitualmente. Con lord Winter la sua condotta era piùfacile, per cui l'aveva fissata sin dal giorno prima: restaredignitosamente muta in sua presenza, di tanto in tantoirritarlo con un affettato disprezzo, con una parolasdegnosa; indurlo a minacciare e a usarle violenza, coseche avrebbero posto in maggior evidenza la suarassegnazione; tale il suo progetto. Felton avrebbe visto:forse non avrebbe detto nulla, ma avrebbe visto. La mattinadopo Felton venne come al solito; Milady lo lasciò disporretutto per la colazione, senza rivolgergli la parola. Così, nelmomento in cui stava per andarsene, essa ebbe unbarlume di speranza perché credette ch'egli stesse perparlare; ma le sue labbra si mossero senza che ne uscissealcun suono, e con uno sforzo evidente su se stesso, eglichiuse nel proprio cuore le parole che stavano persfuggirgli, e uscì. Verso mezzogiorno entrò lord Winter. Era

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una bella giornata d'inverno e un raggio di quel pallido soleinglese che rischiara ma non riscalda filtrava attraverso lesbarre della prigione. Milady guardava fuori dalla finestra efinse di non sentire che la porta si apriva. "Ah! ah!" disselord Winter "dopo la commedia, dopo la tragedia, ora è lavolta della malinconia." La prigioniera non rispose. "Sì, sì"continuò lord Winter "voi vorreste essere libera su quellariva; vorreste solcare questo bel mare verde come unosmeraldo su una buona nave e vorreste, o in terra osull'oceano, tendermi uno di quei piccoli, deliziosi tranelliche sapete così ben combinare. Pazienza, pazienza! Fraquattro giorni la riva sarà tutta vostra, il mare vi sarà aperto,più aperto di quanto possiate desiderare, perché fraquattro giorni l'Inghilterra sarà sbarazzata di voi." Miladygiunse le mani e, levando i suoi begli occhi al cielo:"Signore! Signore!" disse con un'angelica soavità diatteggiamento e d'intonazione "perdonate a quest'uomocome io gli perdono." "Prega, prega, maledetta!" esclamòil barone "la tua preghiera è tanto più generosa in quantoche sei nelle mani di un uomo il quale non ti perdoneràcertamente." E uscì. Nel momento ìn cui egli usciva, unosguardo penetrante scivolò oltre la porta semiaperta, edessa scorse Felton che si faceva rapidamente in disparteper non essere visto da lei. Allora cadde ginocchioni e simise a pregare. "Mio Dio! mio Dio!" esclamò "voi chesapete per quale santa causa io soffra, datemi la forza persoffrire!" La porta si aprì silenziosamente, la bella supplicefinse di non aver udito e con voce piena di lacrimecontinuò: "Dio vendicatore! Dio di bontà! Lascerai tu che si

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compiano i terribili progetti di un tal uomo?" Solo allora ellafinse di udire il rumore dei passi di Felton e, rialzandosi,rapida come il pensiero, arrossì quasi si vergognasse diessere stata sorpresa in ginocchio. "Non mi piacedisturbare coloro che pregano, signora" disse gravementeFelton "non scomodatevi quindi per me, ve ne scongiuro.""Come potete sapere che pregavo, signore?" chieseMilady con voce soffocata dai singhiozzi. "Vi sieteingannato, io non pregavo." "Credete dunque, signora"continuò l'ufficiale con lo stesso tono grave, ma conaccento più dolce "che io mi ritenga in diritto di impedire auna creatura di prosternarsi al suo Creatore? Dio nonvoglia! D'altra parte, il pentimento conviene bene aicolpevoli; quale che sia il delitto che ha commesso, uncolpevole ai piedi di Dio mi è sacro." "Io colpevole!"esclamò Milady con un sorriso che avrebbe disarmatol'angelo del giudizio finale. "Io colpevole! Mio Dio, tu sai selo sono! Ditemi che sono condannata, signore, allabuon'ora! Ma voi lo sapete, Dio, che ama i martiri,permette qualche volta che gli innocenti siano condannati.""Se foste condannata, o se foste una martire" risposeFelton "sarebbe una ragione di più per pregare e io stessovi aiuterei con le mie preghiere." "Oh! Voi siete un giusto"esclamò Milady precipitandosi ai suoi piedi "ma io, vedete,non posso reggere più a lungo, perché temo che mimanchi la forza nel momento della lotta, quando dovròconfessare la mia fede; ascoltate dunque la supplica di unadonna disperata. Voi siete ingannato, signore, ma non è diquesto che mi preoccupo, io non voglio chiedervi che una

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grazia, e se me l'accorderete vi benedirò in questo mondoe nell'altro." "Parlate al padrone, signora" disse Felton; "io,per fortuna, non ho il potere né di perdonare, né di punire;Dio ha affidato questa responsabilità a qualcuno più in altodi me." "No, egli l'ha data a voi, a voi solo. Ascoltatemi,piuttosto che contribuire alla mia perdita, piuttosto checontribuire alla mia ignominia." "Se avete meritatoquest'onta, signora, se siete incorsa in quest'ignominia, viconviene subirla e offrirla in olocausto a Dio." "Ma chedite? Oh, voi non mi capite! Quando parlo di ignominia, voipensate che io parli di castigo, della prigione o dellamorte! Piacesse al cielo! Che cosa volete m'importi dellaprigione o della morte?" "Sono io che non vi capisco più,signora." "O che fingete di non capirmi, signore" rispose laprigioniera con un sorriso di dubbio. "No, signora, sul mioonore di soldato e sulla mia fede di cristiano!" "Come! Voinon conoscete ciò che vuol fare di me lord Winter?" "Loignoro." "Impossibile, siete il suo confidente!" "Io nonmento mai, signora." "Eppure egli finge tanto poco che nonè difficile indovinare il suo pensiero." "Io non cerco diindovinare nulla, signora, aspetto che mi si dica quanto sivuole che io sappia, e all'infuori di quanto mi ha detto invostra presenza, lord Winter nulla mi ha confidato." "Ma"esclamò Milady con un indescrivibile accento di sincerità"voi dunque non siete il suo complice, voi non sapete cheegli mi destina a un'onta della quale tutti i castighi dellaterra non potrebbero uguagliare l'orrore?" "Vi ingannate,signora" proruppe Felton arrrossendo "lord Winter non ècapace di un simile delitto!" "Bene" disse fra sé Milady

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"non sa di che si tratti e lo chiama già delitto." Poiaggiunse ad alta voce: "Chi è amico di un infame è capacedi tutto." "Chi chiamate un infame?" domandò Felton. "Cisono forse due uomini in Inghilterra ai quali si possa daretale appellativo?" "Voi volete parlare di Giorgio Villiers?"disse Felton "e i suoi occhi si infiammarono. "Che i paganii gentili e gli infedeli chiamano duca di Buckingham"riprese Milady. "Non avrei mai creduto che in tuttal'Inghilterra ci fosse un solo Inglese che avesse bisogno diuna così lunga spiegazione per capire di chi volessiparlare." "Il Signore ha stesa la mano su di lui" disse Felton"egli non sfuggirà al giusto castigo." Felton non faceva cheesprimere nei riguardi del duca il sentimento diesecrazione che tutti gli Inglesi avevano votato a colui che icattolici stessi chiamavano l'esattore, il concussionario, ilvizioso, e che i puritani chiamavan semplicemente Satana."Oh! Dio mio! Dio mio!" esclamò Milady "quando io visupplico di inviare a quell'uomo il castigo che gli è dovuto,voi sapete che non perseguo una mia vendetta personale,ma imploro per la libertà di tutto un popolo." "Lo conosceteforse?" domandò Felton. "Finalmente mi interroga" dissefra sé Milady al colmo della gioia per essere arrivata cosìpresto a un sì buon risultato. "Se lo conosco!" esclamò poi."Oh, sì, lo conosco bene, per mia disgrazia, per mia eternadisgrazia!" E Milady si torse le braccia come se fossegiunta a un parossismo di dolore. Felton sentì certamenteche la forza stava per abbandonarlo, perché fece qualchepasso verso la porta; la prigioniera, che non lo perdeva divista, balzò dietro di lui e lo fermò. "Signore!" gridò "siate

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buono e siate clemente, ascoltate la mia preghiera: quelcoltello, che la fatale prudenza del barone mi ha tolto,perché egli ben sapeva l'uso che ne avrei fatto… Oh!Ascoltatemi fino alla fine!… Quel coltello, restituitemelo,solo per un minuto, per grazia, per pietà! Io abbraccio levostre ginocchia; poi ve ne andrete, chiuderete la porta…io non ho niente contro di voi. Dio mio! Perché dovreiodiarvi? Voi siete l'unico uomo giusto, buono,compassionevole che lo abbia incontrato. Voi sarete forseil mio salvatore! Datemi quel coltello per un minuto, per unsolo minuto, poi ve lo restituirò attraverso lo spioncino dellaporta; per un solo minuto, signor Felton, e… mi avretesalvato l'onore!" "Volete uccidervi!" esclamò Felton conterrore, dimenticando di ritirare le sue mani da quelle dellaprigioniera. "Volete uccidervi!" "Ho detto il mio segreto,signore" mormorò Milady abbassando la voce elasciandosi cadere come accasciata sul pavimento "eglisa tutto! Dio mio, io sono perduta!" Felton restava in piedi,immobile, indeciso. "Dubita ancora" pensò Milady "nonsono stata abbastanza vera." Si sentì camminare nelcorridoio; Milady riconobbe il passo di lord Winter. AncheFelton lo riconobbe e mosse verso la porta. Milady sislanciò: "Oh, non una parola" disse con voce concentrata"non una parola di quanto ho detto a quell'uomo o sonoperduta, e sarete stato voi… voi…" Poi, siccome i passi siavvicinavano, ella tacque per tema di essere udita eappoggiò con un gesto di terrore infinito la sua bella manosulla bocca di Felton; Felton respinse dolcemente Miladyche andò a cadere su una poltrona a sdraio. Lord Winter

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passò davanti alla porta senza fermarsi, e s'udì il rumoredei suoi passi che si allontanavano. Felton, pallido comeun morto, restò per qualche attimo in ascolto, poi, quandoogni rumore fu spento, respirò come un uomo che sisveglia da un incubo e si precipitò fuori dalla camera. "Ah!"esclamò Milady ascoltando a sua volta il rumore dei passidi Felton che si allontanava nella direzione opposta aquella di lord Winter "sei mio, finalmente!" Poi la sua frontesi corrugò. "Se parla al barone" disse "sono perdutapoiché mio cognato, il quale sa benissimo che io non miucciderei, mi metterà dinanzi a lui con un coltello nelle manie Felton vedrà così che tutta la mia disperazione non erache finzione." Si mise davanti al suo specchio e si guardò;mai era stata tanto bella. "Questo è vero" disse sorridendo"ma egli non parlerà." La sera lord Winter venne insiemecon la cena. "Signore" gli disse Milady "la vostra presenzaè forse un accessorio obbligato della prigonia, e nonpotreste risparmiarmi l'accrescimento di tortura che miprocurano le vostre visite?" "Ma come, cara sorella" disseWinter "non mi avete forse sentimentalmente annunciatovoi stessa, con quella bella bocca oggi così crudele perme, che siete venuta in Inghilterra col solo scopo divedermi comodamente, godimento del quale, a quantodicevate, sentivate talmente la privazione, che aveteaffrontato tutto per ritrovarlo: mal di mare, tempesta,prigionia? Ebbene, eccomi qui, siete soddisfatta;d'altronde, questa volta la mia visita ha un motivo." Miladyfremette poiché ebbe paura che Felton avesse parlato; maiforse in tutta la sua vita questa donna che aveva provate

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tante emozioni possenti e diverse, aveva sentito il propriocuore battere così violentemente. Essa era seduta; lordWinter prese una poltrona, la tirò accanto a lei, sedette,poi, levando di tasca una carta che spiegò lentamente:"Ecco" disse "volevo mostrarvi questa specie dipassaporto che ho redatto io stesso e che, da ora innanzi,vi servirà da numero d'ordine nella vita che acconsento alasciarvi." Poi, riportando gli occhi da Milady sulla carta,lesse : "Ordine di condurre a… Il nome è in bianco" disselord Winter "se avete qualche preferenza me lacomunicherete; e purché sia lontana un miglio di leghe daLondra, sarete accontentata. Dunque: Ordine di condurrea… la nominata Carlotta Backson, bollata dalla giustiziadel regno di Francia, ma liberata dopo il castigo; ellaabiterà in cotesta residenza senza mai poterseneallontanare per più di tre leghe. In caso di tentativo dievasione, le sarà applicata la pena di morte. Ella avràcinque scellini al giorno per l'alloggio e il vitto.""Quest'ordine non mi concerne" rispose freddamenteMilady "poiché è intestato a un nome che non è mio." "Ilnome! Ma ne avete forse uno?" "Ho quello di vostrofratello." "Vi sbagliate, mio fratello non è che il vostrosecondo marito e il primo vive ancora. Ditemi il suo nomee lo metterò invece di quello di Carlotta Backson. No?…Non volete?… Non volete parlare?… Va bene!Manterremo allora il nome di Carlotta Backson." Miladyrestò silenziosa; non era più per partito preso, ma perterrore: credette che l'ordine fosse per essere eseguitoimmediatamente, pensò che lord Winter avesse anticipato

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la sua partenza, si ritenne condannata a partire la serastessa. Per un attimo pensò che tutto fosse perduto, ma dicolpo s'accorse che l'ordine non era firmato. La gioia cheprovò per questa scoperta fu così grande che non poténasconderla. "Sì, sì" disse lord Winter che intuì ciò chepassava in lei "voi cercate la firma e pensate: tutto non èperduto poiché quest'ordine non è firmato; egli me lo favedere per spaventarmi, ecco tutto. Ma vi ingannate:domani quest'ordine sarà mandato a lord Buckingham;dopodomani tornerà firmato di suo pugno e col suo sigillo,e ventiquattro ore dopo, me ne rendo garante io, ne saràiniziata l'esecuzione. Addio, signora, ecco tutto quantodovevo dirvi." "E io vi risponderò, signore, che quest'abusodi potere e quest'esilio impostomi sotto un falso nomesono un'infamia." "Preferite forse essere impiccata colvostro vero nome, Milady? Voi lo sapete, le leggi inglesisono inesorabili dinanzi agli abusi matrimoniali. Ditemifrancamente ciò che desiderate: sebbene il mio nome, omeglio quello di mio fratello si trovi mescolato in tutto ciò,io affronterò lo scandalo di un processo pubblico peressere sicuro di sbarazzarmi di voi, di un sol colpo." Miladynon rispose, ma divenne pallida come un cadavere. "Oh,vedo bene che preferite peregrinare. Benissimo, signora,c'è un vecchio proverbio che dice che i viaggi formano ilcarattere. Ma, in fede mia, tutto sommato, non avete torto,la vita è buona. Ed è appunto per questo che non desideroche me la togliate. Non ci resta dunque che regolare lafaccenda dei cinque scellini; io mi mostro alquantoparsimonioso, non è vero? Ma non voglio che corrompiate

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i vostri guardiani; d'altronde vi restano sempre le vostregrazie per sedurli. Fatene uso se il vostro insuccesso conFelton non vi ha disgustata dei tentativi di questo genere.""Felton non ha parlato" pensò Milady "allora nulla èperduto." "E ora, signora, arrivederci. Domani verrò adannunciarvi la partenza del mio messaggero." Lord Wintersi alzò, salutò ironicamente Milady, e uscì. Milady respirò:aveva ancora quattro giorni davanti a sé; quattro giornisarebbero stati sufficienti per portare a compimento laseduzione di Felton. Ma allora un'idea terribile le attraversòla mente, e cioè che lord Winter avrebbe forse mandatoFelton per far firmare l'ordine a Buckingham; in questocaso Felton le sarebbe sfuggito ed ella per riuscire avevabisogno di tenerlo sotto la magia di una seduzionecontinua. Tuttavia, come abbiamo detto, una cosa larassicurava: Felton non aveva parlato. Essa non vollemostrarsi preoccupata per le minacce di lord Winter;sedette a tavola e mangiò. Poi, come aveva fatto il giornoprima, s'inginocchiò e ripeté ad alta voce le sue preghiere.Come il giorno prima, il soldato cessò di camminare e sifermò per ascoltare. Poco dopo ella sentì dei passi piùleggeri di quelli della sentinella che venivano dal fondo delcorridoio e si arrestavano alla porta. "E' lui" disse. Ecominciò lo stesso canto religioso che la sera prima avevatanto violentemente esaltato Felton. Ma, sebbene la suavoce dolce, piena e sonora vibrasse più armoniosa estraziante che mai, la porta restò chiusa. Parve tuttavia aMilady, in uno degli sguardi furtivi che lanciava verso lospioncino, di scorgere attraverso la fitta grata gli occhi

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ardenti del giovanotto; ma, fosse visione o realtà, questavolta egli ebbe la forza di non entrare. Soltanto pochisecondi dopo che ella ebbe terminato il suo cantoreligioso, le parve di udire un profondo sospiro; poi glistessi passi che aveva udito avvicinarsi, si allontanaronolentamente e come a malincuore.

Capitolo 55 QUARTO GIORNO DI PRIGIONIA

Il giorno seguente, allorché Felton entrò da Milady, la trovòin piedi sopra una poltrona con in mano una corda formatada alcuni fazzoletti di batista lacerati a strisce, intrecciati elegati l'uno all'altro: al rumore ch'egli fece aprendo la porta,Milady saltò leggermente giù dalla poltrona e cercò dinascondere dietro la schiena quella corda improvvisata. Ilgiovanotto era più pallido del solito ed i suoi occhi rossiper l'insonnia dimostravano che aveva passato una nottefebbrile. Tuttavia, la sua fronte era armata di una serenitàpiù austera che mai. Si avvicinò lentamente a Milady, chesi era seduta, e prendendo un capo della treccia mortaleche ella, per distrazione, o forse di proposito, avevanascosta in modo che facesse capolino, domandòfreddamente: "Che cos'è questa, signora?" "Niente"rispose ella sorridendo con quella espressione dolorosache sapeva così bene imprimere al suo sorriso "la noia è lamortale nemica dei prigionieri; mi annoiavo e mi sonodivertita a intrecciare questa corda." Felton alzò gli occhi al

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punto del muro davanti al quale aveva trovata Milady inpiedi sulla poltrona su cui era seduta in quel momento, e aldi sopra della testa scorse un gancio dorato infitto nelmuro, per appendervi abiti o armi. Egli trasalì, e laprigioniera vide quel trasalimento, giacché, pur tenendo gliocchi bassi, non si lasciava sfuggire nulla. "Che cosafacevate in piedi su questa poltrona?" chiese. "Che ve neimporta?" rispose Milady. "Ma" riprese Felton "desiderosaperlo." "Non interrogatemi" disse la prigioniera "sapetebene che a noi, veri cristiani, non è permesso mentire.""Ebbene, io" disse Felton "vi dirò ciò che facevate, o,meglio, ciò che stavate per fare; voi stavate per compierel'atto fatale che maturate nello spirito; ma ricordate,signora, che se il nostro Dio ci proibisce la menzogna, ciproibisce anche e ben più severamente il suicidio.""Quando Dio vede una delle sue creature ingiustamenteperseguitata, posta tra il suicidio e il disonore, credetepure, signore" rispose Milady con tono di profondaconvinzione, "che Egli assolve il suicida perché in tal casoil suicida è un martire." "Voi dite o troppo o troppo poco;parlate, signora, in nome di Dio, e spiegatevi." "Comevolete che vi racconti le mie disgrazie per vederleconsiderate come fole, che vi parli dei miei disegni perchéandiate a rivelarli al mio persecutore! No, signore;d'altronde, che cosa può importarvi della vita o della mortedi una povera condannata? Voi non dovete rispondere chedel mio corpo, non è vero? E purché facciate vedere uncadavere che si riconosca essere il mio, nessuno vichiederà di più e fors'anche avrete una doppia

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ricompensa." "Io, signora!" esclamò Felton "voi supponeteche io possa accettare il prezzo della vostra vita? Oh! Voinon pensate ciò che dite!" "Lasciatemi fare, Felton,lasciatemi fare" disse Milady con esaltazione "ogni soldatoè ambizioso, è vero? Voi siete tenente, ebbene! Seguireteil mio funerale col grado di capitano." "Ma che vi ho dunquefatto" disse Felton scosso "perché vogliate caricarmi diuna simile responsabilità di fronte agli uomini e a Dio? Fraqualche giorno voi sarete lontana di qui, signora, la vostravita non sarà più affidata alla mia sorveglianza, e"aggiunse con un sospiro "allora potrete farne ciò chevorrete." "Cosicché" esclamò Milady come se non potesseresistere a una santa indignazione "voi, uomo pio, voi chevenite definito un giusto, non chiedete che una cosa: di nonessere incolpato e di non aver noie per la mia morte!" "Iodebbo vegliare sulla vostra vita, signora, e veglierò." "Macapite bene qual è la vostra missione? Missione crudeleanche se fossi colpevole, ma che nome le darete, chenome le darà il Signore, se io sono innocente?" "Sono unsoldato, signora, ed eseguo gli ordini che ho ricevuto.""Credete forse che nel giorno del giudizio finale, Iddioseparerà i carnefici ciechi dai giudici iniqui? Voi non voleteche io uccida il mio corpo, e aiutate colui che vuol ucciderela mia anima." "Ma vi ripeto" insistette Felton disorientato ache nessun pericolo vi minaccia; mi rendo garante di lordWinter come di me stesso." "Insensato!" esclamò Milady"povero insensato, che osa rendersi garante di un suosimile, quando i più grandi davanti a Dio esitano agarantire per se stessi e che si schiera col partito del più

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forte e del più fortunato, per schiacciare la più debole e lapiù infelice." "E' impossibile, signora, impossibile"mormorò Felton che sentiva in fondo al suo cuore comefosse giusto questo argomento "prigioniera, voi nonriacquisterete la libertà grazie a me, viva, voi non perderetegrazie a me la vita." "Va bene" esclamò Milady "maperderò ciò che mi è ben più caro della vita, perderòl'onore, Felton; e sarete voi il responsabile della miavergogna, davanti a Dio e davanti agli uomini." Questavolta Felton, per quanto impassibile fosse o mostrasse diessere, non poté resistere al fascino segreto che si era giàimpadronito di lui: vedere quella donna così bella, biancacome la più candida delle visioni, a volta a volta implorantee minacciosa, subire insieme l'ascendente del dolore edella bellezza, era troppo per un visionario, era troppo perun cervello già scosso dai sogni ardenti di una fedeestatica, un cuore corroso nello stesso tempo dall'amoredel cielo che brucia, dall'odio degli uomini che divora.Milady vide il turbamento, essa sentiva per intuizione lafiamma delle opposte passioni che bruciavano col sanguenelle vene del giovane fanatico; e, come un provettogenerale che, vedendo il nemico pronto a retrocedere,marcia contro di esso con un grido di vittoria, balzò inpiedi, bella come un'antica sacerdotessa, ispirata comeuna vergine cristiana e, col braccio teso, il collo nudo, icapelli sciolti, trattenendo pudicamente con una mano ilvestito sul petto, lo sguardo illuminato da quel fuoco cheaveva già portato lo sconvolgimento nei sensi del giovanepuritano, si avanzò verso di lui, esclamando su un'aria

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veemente, con la sua voce dolce alla quale per l'occasionediede un accento terribile: Consegna a Baal la sua vittima,Getta il martire ai leoni; Dio pentire ti farà!… Io l'invocodall'abisso. Felton rimase immobile sotto questa stranaapostrofe come se fosse pietrificato. "Chi siete, chi siete?"esclamò giungendo le mani "siete un'inviata da Dio o sieteun ministro dell'inferno? Siete un angelo o un demonio, vichiamate Eloa o Astarte?" "Non m'hai dunque riconosciuto,Felton? Non sono né un angelo né un demonio, sono unafiglia della terra, una tua sorella di fede, ecco tutto." "E'vero; avevo ancora qualche dubbio, ma ora ti credo." "Micredi e tuttavia sei il complice di quel figlio di Belial che sichiama lord Winter! Mi credi e tuttavia mi lasci nelle manidei miei nemici, del nemico dell'Inghilterra, del nemico diDio? Mi credi e tuttavia mi abbandoni a colui che riempie einsozza il mondo con le sue eresie e coi suoi vizi, aquell'infame Sardanapalo che i ciechi chiamano duca diBuckhingham e i credenti l'Anticristo." "Io consegnarvi aBuckingham! Ma che dite?" "Hanno occhi e non vedono"esclamò Milady "hanno orecchie e non odono!" "E' vero"disse Felton passandosi una mano sulla fronte madida disudore, come per cacciarne gli ultimi dubbi; "riconosco lavoce che mi parla nei sogni, riconosco la fisionomiadell'angelo che mi appare ogni notte gridando all'animamia che non può dormire: "Colpisci, salva l'Inghilterra,salvati, perché tu morrai senza aver disarmato Dio!".Parlate, parlate!" esclamò Felton "ora possocomprendervi." Un lampo di gioia terribile, rapido come ilpensiero, brillò negli occhi di Milady. Per quanto fuggitiva

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fosse stata questa luce omicida, Felton la vide e trasalìcome se quel lampo avesse rischiarato gli abissi del cuoredi quella donna. Felton ricordò di colpo gli avvenimenti dilord Winter, le seduzioni di Milady, i suoi primi tentativisubito dopo il suo arrivo; indietreggiò di un passo,abbassò il capo senza tuttavia cessare di guardarla, comese, affascinato da quella strana creatura, i suoi occhi nonpotessero staccarsi dagli occhi di lei. Milady non eradonna da ingannarsi sul significato di quell'esitazione.Sotto le sue emozioni apparenti, il suo sangue freddo nonl'abbandonava mai. Prima che Felton le rispondesse eprima di essere costretta a riprendere una conversazionecosì difficile da continuare sullo stesso tono di esaltazione,essa lasciò cadere le mani e, come se la debolezza delladonna riprendesse il sopravvento sull'entusiasmodell'ispirata, disse: "No, non sta a me essere la Giudittache libererà Betulia da questo Oloferne. La spadadell'Eterno è troppo pesante per il mio braccio. Lasciatedunque ch'io sfugga al disonore con la morte, lasciate ch'iovada a rifugiarmi fra i martiri. Non vi domando né la libertàcome farebbe un colpevole, né la vendetta come farebbeun pagano; lasciatemi morire, ecco tutto. Ve ne supplico, viimploro in ginocchio: lasciatemi morite e il mio ultimosospiro sarà una benedizione per il mio salvatore." Aquesta voce dolce e supplicante, a quello sguardo timido eabbattuto, Felton si riavvicinò. A poco a poco, l'incantatriceaveva rivestita quella magica veste che prendeva elasciava, a suo piacere, vale a dire la bellezza, la dolcezza,le lacrime e soprattutto l'irresistibile attrattiva della voluttà

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mistica, la più divorante di tutte le voluttà. "Ahimè!" disseFelton "io non posso che una cosa, compiangervi se miproverete di essere una vittima! Lord Winter ha terribilimotivi di rancore contro di voi. Siete cristiana, siete miasorella in religione; io mi sento attratto verso di voi, io chenon ho amato mai altri che il mio benefattore, io che non hotrovato nella vita altro che traditori ed empi. Ma voi,signora, voi che siete così bella e che sembrate così pura,quali iniquità avete commesse perché lord Winter viperseguiti in tal modo?" "Hanno occhi" ripeté Milady con unaccento di indicibile dolore "e non vedono: hanno orecchi enon odono." "Ma allora" esclamò il giovane ufficiale"parlate, parlate dunque." "Confidarvi la mia vergogna!"esclamò Milady col rosso del pudore sul volto "quandosovente il delitto dell'uno è la vergogna dell'altro; confidarela mia vergogna, io donna, a voi uomo! Oh!" continuòportando pudicamente la mano a coprire i suoi begli occhi."Oh! Non lo potrò mai!" "A me, a un fratello!" esclamòFelton. Milady lo guardò a lungo con un'espressione che ilgiovane ufficiale considerò di dubbio, e che tuttavia miravasoltanto a scrutarlo e soprattutto ad affascinarlo. Feltongiunse le mani, supplice a sua volta. "Bene" disse Milady"mi fido di mio fratello. Oserò." In quel mentre si udì ilpasso di lord Winter; ma questa volta il terribile cognato diMilady non si accontentò, come aveva fatto il giorno prima,di passare davanti alla porta e allontanarsi; si fermò,scambiò qualche parola con la sentinella, poi la porta siaprì ed egli comparve. Durante le poche parole scambiatefuori, Felton aveva indietreggiato vivamente, e quando lord

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Winter entrò era a qualche passo dalla prigioniera. Ilbarone entrò lentamente, e fece passare il suo sguardoscrutatore dalla prigioniera al giovine ufficiale: "E' un belpezzo, John" disse "che siete qui; questa donna vi ha forseraccontati i suoi delitti? Solo così mi spiegherei la duratadel colloquio." Felton trasalì e Milady comprese di esserperduta se non accorreva in aiuto del puritano sconvolto."Ah, voi temete che la vostra prigioniera vi sfugga!" disse"Ebbene, chiedete al vostro degno carceriere che graziagli chiedevo proprio in questo momento." "Voi chiedevateuna grazia?" disse sospettosamente il barone. "Si, milord"rispose il giovanotto confuso. "E che grazia, sentiamo?"chiese lord Winter. "Un coltello che mi restituirà attraversolo spioncino un minuto dopo che glielo avrò dato" risposeFelton. "C'è dunque qui nascosto qualcuno che questagraziosa creatura vuole sgozzare?" riprese lord Winter conla sua voce sarcastica e sprezzante. "Ci sono io" risposeMilady. "Vi ho concesso di scegliere fra l'America eTyburn" riprese lord Winter; a scegliete Tyburn, Milady;credetemi, la corda è sempre più sicura del coltello."Felton impallidì e fece un passo avanti poiché pensò chenel momento in cui era entrato Milady aveva in mano unacorda. "Avete ragione" disse la donna; "lo avevo pensatoanch'io." E aggiunse con voce soffocata: "Ci penseròancora." Felton fremette fino al midollo delle ossa, eprobabilmente lord Winter sorprese questo movimento."Diffida, John" disse "John, amico mio, io mi sono fidato dite! Ti ho prevenuto! D'altronde, fatti coraggio, figlio mio, fratre giorni saremo liberati di questa creatura, e dove la

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mando, essa non potrà nuocere più a nessuno." "Voil'udite!" gridò Milady con enfasi, in modo che il baronecredette si rivolgesse a Dio, mentre Felton comprese cheparlava a lui. Egli abbassò la testa pensosamente. Ilbarone lo prese per un braccio e, volgendo il capo sullaspalla, così da non perdere di vista la prigioniera, uscì."Suvvia, suvvia" disse la prigioniera allorché la porta si furichiusa "non sono così avanti come credevo. Winter hamutato la sua solita stupidaggine con una prudenzasconosciuta; che cosa è il desiderio della vendetta! Ecome forma l'uomo! Quanto a Felton, egli esita. Ah! Non ècerto un uomo come quel maledetto d'Artagnan. Unpuritano non adora che le vergini e le adora giungendo lemani. Un moschettiere ama le donne e le ama stringendole braccia." Tuttavia, Milady attese impazientemente,perché pensò che la giornata non sarebbe terminata senzach'ella rivedesse Felton. Finalmente, un'ora dopo la scenada noi raccontata, udì parlare sottovoce dietro alla porta,poi la porta si aprì ed ella riconobbe Felton. Il giovanottoentrò rapidamente nella camera lasciando la porta apertadietro di sé e facendo segno a Milady di tacere, il suo visoera sconvolto. "Che cosa volete?" chiese la donna."Ascoltatemi" rispose Felton sottovoce "ho mandato via lasentinella per poter restar qui senza che si sappia chesono venuto; per parlarvi senza che si possa udire ciò chevi dico. Il barone mi ha raccontato una storia spaventosa."Milady ebbe il suo sorriso di vittima rassegnata e scosse ilcapo. "O voi siete un demonio" continuò Felton "o ilbarone, mio benefattore e mio padre, è un mostro. Vi

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conosco da quattro giorni e amo lui da quando avevo dueanni; è dunque ammissibile che fra voi due esiti ancora:non spaventatevi di quanto sto per dirvi, ho bisogno diessere convinto. Questa notte, dopo mezzanotte, verrò qui,e voi mi convincerete." "No, Felton, no, fratello mio"diss'ella "il sacrificio è troppo grande, e sento che vi costatroppo. La mia morte sarà più eloquente della mia vita; e ilsilenzio del mio cadavere vi convincerà più delle mieparole di prigioniera." "Tacete, signora" esclamò Felton"non parlate così; sono venuto perché mi promettiate sulvostro onore, perché mi giuriate su quanto avete di piùsacro al mondo che non attenterete alla vostra vita." "Io nonvoglio promettere" disse Milady "perché nessuno ha più dime il rispetto dei giuramenti, e se promettessi dovreimantenere." "Ebbene" disse Felton "impegnatevisolamente fino al momento in cui mi avrete rivisto. Se dopoavermi visto, persisterete ancora nella vostra triste idea,ebbene, sarete libera e io stesso vi darò l'arma che miavete chiesto." "Allora" disse Milady "farò anche questo,per voi." "Giuratelo!" "Lo giuro sul nostro Dio. Sietecontento?" "Bene" disse Felton "a questa notte." E Feltonuscì dalla camera, chiuse la porta e attese fuori con lamezza picca del soldato in mano, come se montasse laguardia in sua vece. Allorché il soldato tornò, l'ufficiale glirese la sua arma. Allora, attraverso lo spioncino della portaa cui si era avvicinata, Milady vide il giovanotto farsi ilsegno della croce con un fervore delirante e andarsenelungo il corridoio come pazzo di gioia. Quanto a lei, tornò alsuo posto con un sorriso di selvaggio disprezzo sulle

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labbra e ripeté bestemmiando quel terribile nome di Diosul quale aveva giurato senza mai aver imparato aconoscerlo. "Il mio Dio!" disse. "Fanatico insensato! Io solasono il mio Dio, io e colui che mi aiuterà a vendicarmi."

Capitolo 56 QUINTO GIORNO DI PRIGIONIA

Milady aveva ottenuto un mezzo trionfo e questo successoraddoppiava le sue forze. Non era difficile vincere, comeaveva fatto fino allora, uomini pronti a lasciarsi sedurre eche l'educazione galante della corte faceva rapidamenteincappare nel laccio teso loro; Milady era abbastanza bellaper non trovar resistenza dal lato dei sensi, ed eraabbastanza furba per vincere tutti gli ostacoli dello spirito.Ma questa volta doveva lottare contro una natura selvaggia,concentrata e insensibile a forza di austerità; la religione ela penitenza avevano fatto di Felton un uomo inaccessibilealle solite seduzioni. Egli architettava nella sua testaesaltata piani così vasti, progetti talmente tumultuosi chenon vi restava nessun posto per l'amore, per questosentimento che si nutre di agi e ingigantisce attraverso lacorruzione. Milady aveva dunque fatto breccia, con la suafalsa virtù, nell'opinione di un uomo orribilmente prevenutocontro di lei, e, con la sua bellezza, nel cuore e nei sensi diun uomo casto e puro. Infine, grazie a questa esperienzafatta sul soggetto più ribelle che la natura e la religionepotessero sottoporre al suo studio, aveva offerto a se

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stessa la misura esatta dei suoi mezzi, ignota sino a quelmomento anche a lei. Purtuttavia, molte volte, nel corsodella lunga serata, essa aveva disperato della sorte e di sestessa; ella non invocava Dio, lo sappiamo, ma aveva fedenel genio del male, questa immensa potenza che regnasovrana sulle minuzie della vita umana e alla quale, comenella favola araba, un chicco di melagrana basta perricostruire un mondo perduto Milady, ben preparata aricevere Felton, poté apprestare le sue batterie per ilgiorno seguente. Essa sapeva come non le restassero piùche due giorni. Una volta che Buckingham avesse firmatol'ordine (e Buckingham lo avrebbe firmato tanto piùfacilmente in quanto quest'ordine portava un falso nome egli sarebbe stato impossibile riconoscere la donna di cui sitrattava), una volta firmato l'ordine, dicevamo, il baronel'avrebbe fatta imbarcare immediatamente. Ella sapevainoltre che le donne condannate alla deportazionedispongono d'armi assai meno potenti per la seduzioneche non le presunte donne virtuose di cui il sole dellasocietà elegante illumina la bellezza, la voce della modavanta lo spirito e che un riflesso di aristocrazia abbelliscecon le sue luci incantate. Essere una donna condannata auna pena miserabile e infamante non costituisce unimpedimento a essere bella, ma un ostacolo che vieta persempre di ridiventare potente. Come tutte le personedotate di un merito reale, Milady conosceva l'ambiente chemeglio conveniva ai suoi mezzi e alla sua natura. Avevaper la povertà una vera ripugnanza, la abiezione le toglievadue terzi della sua grandezza. Milady non era regina che

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tra le regine; al suo dominio era necessario il piaceredell'orgoglio soddisfatto. Comandare a esseri inferiori eraper lei più una umiliazione che una soddisfazione. Certoessa sarebbe tornata dal suo esilio, non ne dubitavaneanche per un attimo; ma quanto tempo poteva durarequesto esilio? Per una creatura operante e ambiziosacome quella di Milady, i giorni che non s'impiegano a saliresono giorni nefasti; trovate dunque una parola adatta aigiorni nei quali si discenda! Perdere un anno, due anni, treanni, vale a dire un'eternità; tornare quando d'Artagnan,felice e trionfante, avesse, insieme con i suoi amici,ricevuto dalla Regina la ricompensa dovuta loro per iservigi che le avevano reso, queste idee divorantiappartenevano al genere di quelle che una donna comeMilady non poteva tollerare. D'altronde, l'uragano cheurlava in lei raddoppiava la sua forza, ed ella avrebbe fattoscoppiare i muri della prigione, se il suo corpo, per un soloistante, avesse potuto assumere le proporzioni del suospirito. E oltre a ciò, essa era stimolata dal pensiero delCardinale. Che cosa doveva pensare, che cosa dovevadire del suo silenzio il Cardinale, diffidente, inquieto,sospettoso, il Cardinale che era non solo il suo unicoappoggio, il suo unico sostegno, il suo unico protettore nelpresente, ma anche lo strumento principale della suafortuna e della sua vendetta nell'avvenire? Ella loconosceva e sapeva che allorché fosse tornata, dopo uninutile viaggio, avrebbe avuto un bel giustificarsi con laprigionia sofferta, avrebbe avuto un bell'esaltare lesofferenze patite; il Cardinale le avrebbe risposto con la

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calma canzonatoria dello scettico potente insieme per laforza e per il genio: "Non dovevate farvi prendere". AlloraMilady riuniva tutta la propria energia, mormorando infondo al suo pensiero il nome di Felton, l'unico raggio diluce che penetrasse fino a lei nel fondo di quell'inferno incui era precipitata; e come un serpe che snoda e annodale sue spire per provare a se stesso la propria forza, ellaavviluppava anticipatamente Felton nelle mille pieghe dellasua immaginazione così ricca d'inventiva. Intanto il tempopassava, le ore, una dopo l'altra, sembravano svegliarepassando la campana, e ogni colpo del batacchio dibronzo rintronava sul cuore della prigioniera. Alle nove, lordWinter fece la solita visita, guardò la finestra e le sbarre,percosse il pavimento e i muri, visitò il camino e le porte,senza che durante questa lunga e minuziosa visita né lui néMilady pronunciassero una sola parola. Certamente,entrambi capivano che la situazione era diventata troppograve per perdere il tempo in inutili parole e in vane collere."Suvvia" disse il barone lasciandola "anche per questanotte non fuggirete!" Alle dieci, Felton venne per il cambiodella sentinella; Milady riconobbe il suo passo. Ella loriconosceva ormai come un'amante riconosce quellodell'amato; tuttavia Milady detestava e disprezzava queldebole fanatico. Non era l'ora convenuta e Felton nonentrò. Due ore dopo, al suono della mezzanotte, lasentinella fu cambiata. Questa volta era l'ora: per cui, apartire da questo momento, Milady attese con impazienza.La nuova sentinella si mise a passeggiare nel corridoio.Dopo dieci minuti giunse Felton. Milady tese l'orecchio.

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"Ascolta" disse il giovanotto alla sentinella "non tiallontanare da questa porta sotto nessun pretesto, tu saiche ieri notte un soldato fu punito da milord perché avevalasciato per un attimo il suo posto, eppure, durante quellabreve assenza, io stesso avevo preso il suo posto." "Loso" disse il soldato. "Ti raccomando dunque la più esattasorveglianza. Io" soggiunse "entro per visitare ancora unavolta la camera di questa donna che temo abbia qualchecattivo progetto contro se stessa e che ho ricevuto ordinedi sorvegliare." Quanto al soldato, si accontentò disorridere. "Caspita, tenente!" disse "non siete dacompiangere se vi hanno incaricato di una simile missionespecialmente se milord vi ha autorizzato a guardare anchenel letto." Felton arrossì; in tutt'altra circostanza avrebberimproverato il soldato che si permetteva un simile scherzo;ma la sua coscienza mormorava troppo forte perchéosasse parlare. "Se ti chiamo, vieni" disse "e,analogamente, se qualcuno viene, chiamami." "Sì, signortenente" disse il soldato. Felton entrò da Milady e Milady sialzò. "Eccovi, finalmente" disse. "Vi avevo promesso divenire" disse Felton "e sono venuto." "Mi avevatepromesso qualche altra cosa." "Che cosa! Mio Dio!" disseil giovanotto, che, nonostante il dominio che aveva su sestesso, sentiva i suoi ginocchi tremare e il sudorebagnargli la fronte. "Mi avevate promesso di portarmi uncoltello e di lasciarmelo dopo la nostra conversazione.""Non parlate di questo, signora" disse Felton "non c'esituazione, per quanto terribile, che autorizzi una creaturadi Dio a darsi la morte. Ho riflettuto e ho concluso che non

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posso rendermi colpevole di un simile peccato." "Ah, voiavete riflettuto!" esclamò la prigioniera sedendo sulla suapoltrona con uno sdegnoso sorriso. "Anch'io ho riflettuto.""A che cosa?" "Che non avevo nulla da dire a un uomo chenon mantiene la sua parola." "Dio mio!" mormorò Felton."Potete andarvene" disse Milady "io non parlerò." "Ecco ilcoltello!" disse Felton levando di tasca l'arma che, secondola sua promessa, aveva portata, ma che esitava aconsegnare alla prigioniera. "Vediamolo" disse Milady."Perché?" "Ve lo renderò subito, parola d'onore; poi loposerete su quel tavolo e resterete fra esso e me." Feltontese l'arma a Milady, che ne esaminò attentamente latempra e ne provò la punta sul dito. "Bene" disserestituendo il coltello al giovane ufficiale "è di buon acciaio,siete un buon amico, Felton." Felton lo riprese e lo posò sultavolo come era stato fissato con la prigioniera. Milady loseguì con gli occhi ed ebbe un gesto di soddisfazione. "Eora" disse "ascoltatemi." La raccomandazione era inutile: ilgiovine ufficiale stava in piedi davanti a lei e aspettava lesue parole per divorarle. "Felton" cominciò Milady con unasolennità piena di malinconia. "Felton, se vostra sorella, lafiglia di vostro padre, vi dicesse: 'Ancora giovane eabbastanza bella, per mia disgrazia, mi si è fatta cadere inun tranello, ho resistito; intorno a me si sono moltiplicate leinsidie, le violenze, ho resistito; ho sentito bestemmiare lareligione che servo, il Dio che adoro, perché chiamavo inmio soccorso questo Dio e questa religione, ho resistito;allora mi sono stati prodigati gli oltraggi, e, poiché non sipoteva perdere la mia anima, si è voluto infamare per

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sempre il mio corpo; infine…'." Milady tacque e un amarosorriso le sfiorò le labbra. "Infine" gridò Felton "infine che vihanno fatto?" "Infine, una sera, fu deciso di paralizzarequesta resistenza che non si riusciva a vincere: una sera fumesso nella mia acqua un narcotico potente; appenaterminata la cena, mi sentii sprofondare a poco a poco inun torpore sconosciuto. Sebbene non diffidassi, un vagotimore mi assalì e cercai di lottare contro il sonno; mi alzai,volli correre alla finestra, chiedere aiuto, ma le gambe mimancarono; mi pareva che il soffitto si abbassasse e mischiacciasse sotto il suo peso; tesi le braccia, cercai diparlare, dalla mia bocca non uscirono che suoni inarticolati;un intorpidimento irresistibile si impadroniva di me, miafferrai a una poltrona sentendo che stavo per cadere, maben presto quell'appoggio fu insufficiente alle mie poverebraccia, caddi su un ginocchio, poi su due; volli gridare, lamia lingua era gelata; certamente Dio non mi vide e non miudì, e io scivolai sul pavimento in preda a un sonno cheassomigliava alla morte. "Di tutto quanto successe durantequesto sonno e del tempo che trascorse non ho alcunricordo; la sola cosa che ricordo è che mi svegliai coricatain una camera rotonda, ammobiliata sontuosamente, enella quale la luce non entrava che da un'apertura delsoffitto. D'altro canto, pareva che nessuna porta vi desseaccesso; era una magnifica prigione! "Passò molto tempoprima che mi potessi render conto del luogo in cui mitrovavo e di tutti i particolari che vi ho riferiti, il mio spiritosembrava lottare inutilmente per scuotere le pesantitenebre di quel sonno al quale non potevo strapparmi;

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avevo percezioni vaghe di una strada percorsa, del rotolìodi una vettura, di un sogno orribile nel quale le mie forze sifossero esaurite; ma tutto ciò era così cupo e indistinto nelmio pensiero che questi avvenimenti mi sembravanoappartenere ad un'altra vita che non fosse la mia, ma chealla mia fosse mescolata per un fatale destino. "Perqualche tempo lo stato in cui mi trovavo mi parve cosìstrano che credetti di fare un sogno. Mi alzai traballando, imiei abiti erano vicini a me, sopra una sedia; eppure nonricordavo né di essermi svestita, né di essermi coricata.Allora, poco alla volta, la verità si presentò alla mia mentepiena di pudichi terrori: io non ero più nella casa cheabitavo, e per quanto potevo giudicare dalla luce del sole, ilgiorno era per due terzi trascorso, e mi ero addormentatala sera prima; il mio sonno era dunque durato quasiventiquattro ore. Che cos'era successo durante questolungo sonno? "Mi vestii il più rapidamente che mi fupossibile. I miei movimenti, lenti e torpidi, testimoniavanoche l'influenza del narcotico non era ancora interamentedissipata. D'altronde, quella camera era proprioammobiliata per ospitare una donna e la civettuola piùesigente non avrebbe potuto formulare nessun desiderioche, girando gli occhi intorno, non potesse soddisfare."Certamente non ero la prima prigioniera che si fosse vistarinchiusa in quella splendida prigione; ma, voi lo capite,Felton, più la prigione era bella, più temevo. "Eraveramente una prigione, poiché invano cercai di uscirne.Esaminai e percossi tutte le pareti per scoprire una porta,ma dovunque le pareti dettero un suono pieno e sordo.

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"Feci forse una ventina di volte il giro di quella camera,cercando un'uscita qualunque, ma non ce n'erano e caddiaffranta, per la fatica e per il terrore, sopra una poltrona."Nel frattempo la notte scendeva rapidamente e con lanotte i miei terrori aumentavano: non sapevo se dovessirimanere seduta dov'ero; mi pareva di essere circondatada pericoli ignoti nei quali sarei caduta a ogni passo.Sebbene non avessi mangiato dal giorno prima, i mieitimori non mi facevano sentire la fame. "Non un rumore chemi permettesse di misurare il tempo, veniva dal di fuori finoa me; presumevo che potessero essere le sette o le otto disera, perché eravamo in ottobre ed era buio pesto. "A untratto il cigolìo di una porta che gira sui cardini mi fecetrasalire; un globo di fuoco apparve sopra l'apertura vetratadel soffitto, gettando una luce violenta nella camera, e io miaccorsi con terrore che un uomo era in piedi a qualchepasso da me. "Una tavola con due coperti e un pranzopreparato era comparsa, come per magia, in mezzo allacamera. "Quell'uomo era colui che mi perseguitava da unanno, che aveva giurato di disonorarmi e che dalle primeparole che uscirono dalla sua bocca mi fece capire che ciòera avvenuto la notte precedente." "Infame!" mormoròFelton. "Oh, sì! Infame!" esclamò Milady, vedendo conquanto interesse il giovane ufficiale, la cui anima sembravasospesa alle sue labbra, seguisse quello strano racconto."Aveva creduto che gli bastasse trionfare di me nel sonno,perché tutto fosse finito, e veniva, sperando che io avreiaccettato la mia vergogna, poiché la mia vergogna eraconsumata, ad offrirmi la sua ricchezza in cambio del mio

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amore. "Tutto ciò che un cuore di donna può contenere disuperbo disprezzo e di parole sdegnose, io lo versai suquell'uomo; ma egli era certamente abituato a similirimproveri, perché mi ascoltò calmo e sorridente, tenendole braccia incrociate sul petto; poi, allorché gli parve cheavessi detto tutto, si avanzò verso di me; balzai allora versola tavola, afferrai un coltello e me l'appoggiai al petto. "Fateancora un passo" gli dissi "e oltre il mio disonore avrete darimproverarvi anche la mia morte". "Certamente c'era nelmio sguardo, nella mia voce, nella mia persona, quellaverità di atteggiamento, di gesto e d'accento che porta laconvinzione nelle anime più perverse, giacché egli sifermò. "La vostra morte?" disse. "Oh, no, voi sieteun'amante troppo preziosa perché acconsenta a perdervicosì, dopo che ho avuto la fortuna di possedervi una voltasola. Addio, mia bellissima! Aspetterò che siate in miglioricondizioni di spirito per tornare a visitarvi". "Dopo di che,gettò un colpo di fischietto; il globo di fiamma cheilluminava la mia camera risalì e disparve; io mi trovai dinuovo nell'oscurità. Lo stesso rumore di una porta che siapre e si richiude si riprodusse un momento dopo; il globofiammeggiante ridiscese, e m'accorsi di esser sola."Questo momento fu spaventevole; se avevo ancoraqualche dubbio sulla mia disgrazia, ora, davanti alla realtàpiù cruda, nessun dubbio poteva più sussistere: ero inpotere di un uomo che non solo detestavo, madisprezzavo, di un uomo capace di tutto e che mi aveva giàdato una prova fatale di ciò che poteva osare." "Ma chi eraquest'uomo?" domandò Felton. "Passai la notte sopra una

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seggiola, trasalendo al minimo rumore; perché, versomezzanotte, la lampada si era spenta e io ero ripiombatanelle tenebre. Ma la notte trascorse senza nessun altrotentativo del mio persecutore; venne il giorno: la tavola erasparita, però il coltello era rimasto nelle mie mani. "Quelcoltello era la mia unica speranza. "Ero morta di fatica,l'insonnia mi faceva bruciare gli occhi; non avevo osatodormire neppure un istante; la luce mi rassicurò e mi gettaisul letto senza deporre il coltello liberatore, che nascosisotto il cuscino. "Quando mi svegliai, una tavola imbanditaera nella camera. "Questa volta, ad onta dei miei terrori, adonta delle mie angosce, la fame, una fame divorante, sifaceva sentire; da quarant'otto ore non avevo assaggiatocibo: mangiai del pane e delle frutta, poi, ricordandomi cheavevo preso il narcotico nell'acqua, non toccai quella cheera sulla tavola, ma presi il bicchiere e lo riempii a unafontanella di marmo che era nel muro, sopra la toletta."Però, ad onta di questa precauzione, per qualche temporimasi ugualmente in preda a una terribile angoscia; maquesta volta i miei timori erano infondati; trascorsi lagiornata senza provare nessuno dei sintomi che temevo."Avevo avuto la precauzione di vuotare per metà la bottigliadell'acqua perché non ci si potesse accorgere della miadiffidenza. "Tornò la sera e con essa l'oscurità; però, perquanto profonda fosse i miei occhi cominciarono adabituarsi, e potei scorgere che la tavola sprofondava nelpavimento; un quarto d'ora dopo riapparve portando lacena; un attimo dopo, grazie alla solita lampada, la miacamera s'illuminò di nuovo. "Ero decisa a non mangiare

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che cibi ai quali fosse impossibile mescolare il sonnifero:due uova e un poco di frutta furono la mia cena; poi andai aprendere un bicchier d'acqua alla fontana della miasalvezza e bevvi. "Ai primi sorsi mi parve che non avesselo stesso sapore della mattina; un rapido sospetto siimpossessò di me e non bevvi più, ma ne avevo giàinghiottito circa mezzo bicchiere. "Gettai il resto con orroree attesi con la fronte madida di sudore. "Certamentequalche osservatore invisibile mi aveva visto prenderel'acqua della fontana e aveva approfittato della mia fiduciaper rendere più sicura la mia perdita tanto freddamentedecisa, tanto crudelmente perseguita. "Non passòmezz'ora che sentii i sintomi noti; senonché, avendo ioquesta volta bevuto non più di mezzo bicchier d'acqua,potei lottare per più tempo e invece di addormentarmicompletamente, caddi in una specie di sonnolenza che milasciava in grado di comprendere ciò che succedevaintorno a me, pur togliendomi la forza di difendermi o difuggire. "Mi trascinai verso il letto per cercarvi la soladifesa che mi restava, il mio coltello salvatore; ma nonpotei arrivare fino al capezzale; caddi in ginocchioaggrappata a una delle colonne del letto; allora capii cheero perduta" Felton impallidì spaventosamente e fu scossoin tutto il corpo da un brivido convulso. "E ciò che c'era dipiù terribile" continuò Milady, con la voce alterata come seprovasse ancora le angosce di quel momento terribile "èche questa volta avevo la coscienza del pericolo che miminacciava; è che la mia anima, se così posso dire,vegliava nel mio corpo addormentato; è che vedevo e

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capivo; è vero che tutto ciò avveniva come in un sogno, maappunto per ciò mi sembrava più spaventoso. "Vidi lalampada che risaliva e che, a poco a poco, mi lasciavanell'oscurità; poi riconobbi il cigolìo della porta checonoscevo così bene, benché quella porta non si fosseaperta che due volte. "Sentii istintivamente che qualcuno siavvicinava: si dice che i disgraziati persi nei desertidell'America sentano così l'avvicinarsi del serpente. "Vollifare uno sforzo e tentai di gridare; per un incredibile sforzodi volontà riuscii ad alzarmi, ma per ricadereimmediatamente e… ricadere nelle braccia del miopersecutore." "Ditemi dunque chi era quell'uomo!" esclamòil giovane Milady vide con un solo sguardo tutta lasofferenza che ispirava a Felton, insistendo su ogniparticolare del suo racconto, ma non volle fargli grazia dinessuna tortura. Più profondamente essa gli spezzava ilcuore, più sicuramente egli l'avrebbe vendicata. Continuòdunque come se non avesse udita la sua esclamazione, ocome se pensasse che il momento di rispondere non fosseancora venuto. "Però questa volta, l'infame, non aveva ache fare con una specie di cadavere inerte, privo d'ognisentimento. Come vi ho detto, senza che mi fossepossibile ritrovare l'esercizio completo delle mie facoltà, mirestava il senso del pericolo cui ero esposta: lottai dunquecon tutte le mie forze e pur essendo indebolita, dovettiopporre un'accanita resistenza poiché l'udii esclamare:"Queste miserabili puritane! Sapevo che stancano i lorocarnefici, ma le credevo meno forti contro i loro seduttori"."Ahimè, questa disperata resistenza non poteva durare a

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lungo; sentii che le forze mi abbandonavano; e questa voltail vile non approfittò del mio sonno, ma del miosvenimento!" Felton ascoltava senza far udire altro suonoche una specie di sordo ruggito; soltanto il sudore scorrevasulla sua fronte di marmo, e la sua mano, nascosta sottol'abito, lacerava il petto. "Allorché rinvenni, il mio primomovimento fu di cercare sotto al cuscino quel coltello cheprima non ero riuscita ad afferrare; se non aveva servito adifendermi, poteva servire a espiare. Ma impugnando ilcoltello, Felton, ebbi un'idea terribile. Ho giurato di dirvitutto e non tacerò; vi ho promesso la verità e ve la dirò,anche se dovessi perdermi." "Vi venne l'idea di vendicarvidi quell'uomo, non è vero?" esclamò Felton. "Sì" risposeMilady "questa idea non era da cristiana, lo so; certamentel'eterno nemico della nostra anima, il leone che ruggeincessantemente intorno a noi, la suggeriva al mio spirito.Insomma, che vi dirò, Felton?" continuò Milady col tono diuna donna che si accusa di un delitto "questa idea mivenne e non mi abbandonò più. Oggi io porto la punizionedi quel pensiero omicida." "Continuate, continuate" disseFelton "ho fretta di vedervi arrivare alla vendetta." "Oh!Risolvetti che essa avesse luogo il più presto possibile;non ponevo in dubbio che egli sarebbe tornato la notteseguente. Durante il giorno non avevo nulla da temere."Così, quando venne l'ora di colazione, bevvi e mangiaisenza esitare; ero risoluta a far finta di cenare, ma a nonmangiar nulla: dovevo quindi col cibo del mattinocombattere il digiuno della sera. "Solamente nascosi unbicchier d'acqua sottratto alla colazione, poiché la sete era

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stata quella che più mi aveva fatto soffrire allorché erorimasta per quarant'otto ore senza bere né mangiare. "Lagiornata trascorse senz'altra influenza su di me che diconfermarmi nella risoluzione presa; però cercai che il visonon tradisse i miei sentimenti perché non dubitavo diessere spiata; più volte sentii un sorriso sulle mie labbra,Felton, non oso dirvi a quale idea sorridessi; avreste orroredi me…" "Continuate, continuate" disse Felton "vedetebene che ho fretta di arrivare alla fine!" "La sera venne,tutto si compì come sempre; nell'oscurità, come al solito, lamia cena fu servita, poi si fece la luce e mi misi a tavola."Mangiai qualche frutto soltanto, finsi di bere l'acqua dellabottiglia, ma non bevvi che quella del mattino; d'altronde lasostituzione fu fatta abbastanza abilmente perché le spie,se ve n'erano, non concepissero alcun sospetto. "Dopocena, diedi gli stessi segni di assopimento del giornoprima; ma questa volta, come soccombessi alla fatica o mifamiliarizzassi col pericolo, mi trascinai verso il letto e fecifinta di addormentarmi. "Questa volta, avevo ritrovato il miocoltello sotto il cuscino e pur fingendo di dormire, nestringevo convulsamente il manico nel pugno. "Passaronodue ore senza che nulla di nuovo avvenisse: e questa volta,mio Dio! chi me lo avesse detto la sera prima!, cominciai atemere che non venisse. "Infine vidi la lampada sollevarsilentamente e sparire nelle profondità del soffitto; la camerasi empì di tenebre, ma io feci uno sforzo per forare con losguardo l'oscurità. "Passarono ancora dieci minuti. Nonudivo nulla all'infuori del battito del mio cuore. "Imploravo ilcielo perché egli venisse. "Udii finalmente il ben noto

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rumore della porta che si apriva e si chiudeva; udii, ad ontadello spessore dei tappeti, un passo che facevascricchiolare il pavimento; vidi, a dispetto dell'oscurità,un'ombra che si avvicinava al mio letto." "Affrettatevi,affrettatevi" disse Felton "non vedete che ciascuna dellevostre parole mi brucia come se fosse di piombo fuso!""Allora" continuò Milady "allora radunai tutte le mie forze emi ricordai che l'ora della vendetta o meglio della giustiziaera sonata; pensai di essere una nuova Giuditta, miraccolsi su me stessa col mio coltello in mano e quando lovidi vicino a me, stendere le braccia per cercare la suavittima, con un ultimo grido di dolore e di disperazione, locolpii in mezzo al petto. "Miserabile! Tutto aveva previsto; ilsuo petto era coperto da una cotta di maglie d'acciaio: ilcoltello si spuntò. "Ah! ah!" esclamò afferrandomi il braccioe strappandomi l'arma che mi aveva così mal servita "voivolete togliermi la vita, mia bella puritana! Ma questo non èpiù odio, è ingratitudine! Suvvia, suvvia, calmatevi, bellabambina! Credevo che vi foste già addolcita! Non sono diquei tiranni che trattengono una donna per forza! Vedo chenon m'amate, cosa della quale, con la mia solita fatuità,non ero convinto; ora lo sono. Domani sarete libera." "Ionon avevo che un desiderio, che mi uccidesse. "Stateattento!" gridai "perché la mia libertà sarà il vostrodisonore; appena uscita di qui, io dirò tutto, dirò la violenzache avete usato contro di me, dirò la mia prigionia.Denuncerò questo palazzo d'infamia; voi siete posto moltoin alto, milord, tuttavia tremate! Al di sopra di voi c'è il Re,al di sopra del Re c'è Dio." "Per quanto padrone

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sembrasse di se stesso, il mio persecutore si lasciòsfuggire un moto di collera. Io non potevo vederel'espressione del suo volto, ma sentivo fremere il suobraccio su cui era posata la mia mano. "Allora non usciretedi qui" disse. "Benissimo" esclamai "così il luogo del miosupplizio sarà la mia tomba. Bene! Morrò qui e voi vedretese un fantasma che accusa non è più terribile di un vivo cheminaccia." "Non vi si lascerà nessun'arma." "Ce n'è unache la disperazione ha messo alla portata di tutti coloroche hanno il coraggio di servirsene." "Suvvia" disse ilmiserabile "non è preferibile la pace a una simile guerra?Io vi rendo immediatamente la libertà, vi proclamovirtuosissima, vi definisco la Lucrezia dell'Inghilterra…" "Eio dirò che voi siete Sesto e vi denuncerò agli uomini comevi ho denunciato a Dio, e se occorrerà firmerò la miadenuncia col sangue come Lucrezia." "Ah! ah!" disse il mionemico in tono canzonatorio "allora è un'altra faccenda.Dopo tutto voi qui state bene, nulla vi manca e se vilascerete morir di fame, sarà colpa vostra." "Detto questo,si ritirò; udii la porta aprirsi e richiudersi e restai annientatameno ancora per il dolore, lo confesso, che per lavergogna di non essermi vendicata. "Egli tenne parola.Tutta la giornata e la notte dell'indomani trascorsero senzache lo rivedessi. Ma anch'io fui di parola, e non mangiai nébevetti; come gli avevo detto, ero ben decisa a morir difame. "Passai il giorno e la notte in preghiera, perchésperavo che Dio mi avrebbe perdonato il mio suicidio. "Laseconda notte la porta si aprì; ero coricata sul pavimentoperché le forze cominciavano ad abbandonarmi. "Al

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rumore mi rizzai su una mano. "Ebbene!" disse una voceche vibrava in modo troppo orribile alle mie orecchieperché non la riconoscessi "ebbene, ci siamo addolciti esiamo disposti a pagare la libertà con una promessa disilenzio? Guardate, io sono un buon diavolo" aggiunse "esebbene non ami i puritani, so render loro giustizia, comealle puritane, quando sono belle; dunque fatemi un piccologiuramento sulla croce, non chiedo di più." "Sulla croce!"esclamai rialzandomi perché all'udire quella voce aborritaavevo ricuperato tutte le mie forze; "sulla croce, giuro chenessuna promessa, nessuna minaccia, nessuna torturapotranno chiudere la mia bocca; sulla croce, giuro che videnuncerò ovunque come un assassino, come un ladrod'onore, come un vile! Sulla croce, giuro che se riuscirò auscire di qui chiederò all'intero genere umano di aiutarmi avendicarmi di voi." "State attenta" disse la voce con unaccento di minaccia che non avevo ancora udito "ho unmezzo supremo, che non adotterò se non ridotto all'ultimaestremità, per chiudervi la bocca, o, quantomeno, per far sìche non una delle parole che direte sia creduta." "Radunaitutte le mie forze per rispondere con uno scoppio di riso."Egli capì che fra noi c'era ormai guerra eterna, una guerraa morte. "Ascoltate" disse "vi lascio ancora il resto dellanotte e la giornata di domani per riflettere: se promettete ditacere, la ricchezza, la stima e anche gli onori vicirconderanno; se minacciate di parlare, vi condannoall'infamia." "Voi!" esclamai. "Voi!" "All'infamia eterna,indelebile!" "Voi!" ripetei. "Oh, ve lo assicuro, Felton, locredetti pazzo. "Sì, io" ribatté. "Lasciatemi" dissi "uscite,

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se non volete che mi spacchi la testa nel muro sotto aivostri occhi." "Va bene" aggiunse; "sarete voi che lo avretevoluto. A domani sera." "A domani sera" risposilasciandomi ricadere a terra e mordendo il tappeto per larabbia…" Felton si appoggiava a un mobile, e Miladycostatava con una gioia da demonio che forse le sue forzenon avrebbero resistito sino alla fine del racconto.

Capitolo 57 UN MEZZO DA TRAGEDIA CLASSICA

Dopo un momento di silenzio, che Milady impiegò aosservare il giovane che l'ascoltava, essa continuò il suoracconto: "Erano quasi tre giorni che non avevo né bevutoné mangiato e soffrivo torture atroci; tratto tratto mipassavano davanti nuvole che mi stringevano la fronte, mivelavano gli occhi: era il delirio. "Venne la sera: ero cosìdebole che ad ogni istante svenivo e, ogni volta chesvenivo, ringraziavo Dio perché credevo di morire."Durante uno di questi svenimenti, udii aprirsi la porta; ilterrore mi richiamò in vita. "Il mio persecutore entrò seguitoda un uomo mascherato; era mascherato anch'egli, ma ioriconobbi il suo passo, riconobbi la sua voce e riconobbiquell'aria imponente che l'inferno gli ha dato per ladisgrazia dell'umanità. "Ebbene" mi disse "siete decisa afarmi il giuramento che vi ho domandato?" "Voi lo avetedetto, i puritani non hanno che una parola; la mia l'aveteudita, è di perseguitarvi, in terra dinanzi al tribunale degli

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uomini, in cielo dinanzi al tribunale di Dio." "Cosicchépersistete?" "Lo giuro davanti a Dio che mi sente: ioprenderò il mondo intero a testimone del vostro delitto finoa quando non avrò trovato chi mi vendichi." "Voi siete unaprostituta" disse lui con voce tonante "e subirete il castigodelle prostitute! Infamata agli occhi del mondo cheinvocherete, tentate pure di provare che non siete nécolpevole né pazza." "Poi, rivolgendosi all'uomo che loaccompagnava: "Carnefice" disse "fai il tuo dovere!" "Oh! Ilsuo nome! Il suo nome!" esclamò Felton; "ditemi il suonome!" "Allora, nonostante le mie grida e la mia resistenza,perché cominciavo a capire che si trattava per me diqualche cosa peggiore della morte, il boia mi afferrò, mirovesciò sul pavimento, mi martoriò con le sue strettebrutali, e io, soffocata dai singhiozzi, quasi svenuta,invocando Dio che non m'ascoltava, improvvisamentegettai uno spaventevole grido di dolore e di vergogna: unferro incandescente, il ferro del boia, si era impresso sullamia spalla." Felton ebbe un ruggito. "Guardate" disseMilady alzandosi allora con maestà regale "guardate,Felton, quale nuovo martirio sia stato inventato per lagiovanetta pura e tuttavia vittima della brutalità di unoscellerato. Imparate a conoscere il cuore degli uomini, daora innanzi, cercate di essere meno facilmente lostrumento delle loro ingiuste vendette." Milady, con gestorapido, aprì la sua veste, strappò la batista che le copriva ilseno e, rossa di finta collera e di ben recitata vergogna,mostrò al giovanotto l'impronta incancellabile chedisonorava quella spalla così bella. "Ma questo è un

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fiordaliso!" esclamò Felton. "Ed ecco appunto dov'èl'infamia" rispose Milady. "Il marchio d'Inghilterra!…sarebbe stato necessario dimostrare che un tribunale mel'aveva inflitto, e io mi sarei appellata pubblicamente a tutti itribunali del regno; ma il marchio di Francia… oh! conquesto ero veramente infamata." Tutto ciò era troppo perFelton. Pallido, immobile, schiacciato da questaspaventosa confessione, abbagliato dalla bellezzasovrumana di quella donna che si svelava a lui con unaimpudicizia ch'egli trovava sublime, finì per caderle ai piedicome facevano i primi cristiani davanti alle sante e puremartiri che la persecuzione degli imperatori abbandonavanel circo alla sanguinaria lubricità del popolaccio. Ilmarchio infame sparì, non restò che la bellezza."Perdonatemi!" esclamò Felton. "Perdonatemi!" Miladylesse nei suoi occhi: Amore, amore! "Di che mi chiedeteperdono?" domandò. "Di essermi unito ai vostripersecutori." Milady gli tese la mano. "Così bella, cosìgiovane!" esclamò Felton coprendo di baci quella mano.Milady lasciò cadere su di lui uno di quegli sguardi che diuno schiavo fanno un Re. Felton era puritano: lasciò lamano di quella donna per baciare i suoi piedi. Egli nonl'amava più, l'adorava. Quando questa crisi fu passata,quando Milady parve aver ricuperato il proprio sanguefreddo, che, d'altronde, non aveva mai perduto, quandoebbe visto scomparire sotto il velo della castità quei tesorid'amore che gli venivano nascosti soltanto per far sì che lidesiderasse più ardentemente, Felton disse: "E ora, nondebbo chiedervi più che una cosa, ed è il nome del vostro

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vero carnefice, perché per me ce n'è uno solo; l'altro non èche uno strumento, ecco tutto." "Come, fratello!" esclamòMilady. "Debbo nominartelo! Non l'hai ancora indovinato?""Come!" riprese Felton. "Lui!… ancora lui!… sempre lui?… Il vero colpevole…" "Il vero colpevole" disse Milady "è ilsaccheggiatore dell'Inghilterra, il persecutore dei vericredenti, il vile insidiatore dell'onore di tante donne, coluiche per un capriccio del suo cuore corrotto sta per farversare tanto sangue a due regni, colui che oggi protegge iprotestanti e domani li tradirà…" "Buckingham è ilcarnefice di questa angelica creatura! E tu, mio Dio, nonl'hai fulminato! E tu lo hai lasciato nobile, potente e onoratoper la perdita di noi tutti!" "Dio abbandona chis'abbandona" disse Milady. "Ma egli vuol dunque attiraresul suo capo il castigo dei maledetti!" continuò Feltonsempre più esaltato. "Vuole dunque che la vendetta umanapreceda quella divina!" "Gli uomini lo temono e lorisparmiano." "Oh! Ma io non lo temo e non lo risparmierò!"Milady sentì la propria anima inondata da una gioiainfernale. "Ma come mai, lord Winter, il mio protettore, miopadre" domandò Felton "si trova immischiato in tutto ciò?""Ascoltatemi, Felton" riprese Milady "perché accanto aimiserabili e ai vili, ci sono anche esseri grandi e generosi.Io avevo un fidanzato, un uomo che mi amava e cheamavo; un cuore come il vostro, Felton, un uomo come voi.Andai da lui e gli raccontai tutto; egli, che mi conosceva,non dubitò neppure per un attimo. Era un gran signore, intutto l'eguale di Buckingham. Non parlò, cinse la spada, siavviluppò nel mantello e andò al palazzo di Buckingham."

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"Sì, sì" disse Felton "lo capisco, sebbene con certa gentenon è la spada che si deve adoperare, ma il pugnale.""Buckingham era partito il giorno prima, era stato mandatoin Spagna come ambasciatore per chiedere la manodell'Infanta per il re Carlo Primo, che allora era soltantoprincipe di Galles. Il mio fidanzato tornò. "Sentite" mi disse"quell'uomo è partito e per il momento, quindi, sfugge allamia vendetta; ma nell'attesa stiamo uniti; e per difenderel'onore di lord Winter e di sua moglie, fidatevi di me." "LordWinter!" esclamò Felton. "Sì" disse Milady "lord Winter; eora capite tutto, è vero? Buckingham rimase assente perpiù di un anno. Otto giorni prima ch'egli tornasse, lordWinter morì improvvisamente lasciandomi sua unica erede.Da chi veniva il colpo? Dio, che sa tutto, lo sa certamente,io non accuso nessuno…" "Oh! quale abisso! qualeabisso!" esclamò Felton. "Lord Winter era morto senza dirnulla a suo fratello. Il segreto terribile doveva rimanernascosto a tutti, fino a che non scoppiasse come la folgoresulla testa del colpevole. Il vostro protettore aveva visto condolore il matrimonio del suo primogenito con unagiovanetta povera. Sentii che nessun aiuto potevoaspettarmi da un uomo deluso nelle sue speranze dieredità. Andai in Francia decisa a rimanervi per tutto ilresto della mia vita. Ma tutta la mia fortuna è in Inghilterra;quando per causa della guerra, le comunicazioni fra i duePaesi furono chiuse, tutto mi venne a mancare, dovettiquindi ritornare; sei giorni fa sbarcai a Portsmouth." "Eallora?" disse Felton. "Allora Buckingham seppe senzadubbio del mio ritorno, ne parlò a lord Winter, già

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prevenuto contro me, e gli disse che sua cognata non erache una prostituta, bollata a fuoco. Non c'era più, perdifendermi, la voce pura e nobile di mio marito. LordWinter credette a quanto gli fu detto con tanta maggiorfacilità per quanto grande era il suo interesse a crederlo.Mi fece arrestare, mi condusse qui, mi pose sotto la vostraguardia. Il resto lo sapete; dopodomani mi esilierà, mideporterà, mi relegherà insieme con le donne infami. Oh!La trama è ben ordita, il complotto è abile e il mio onorenon sopravviverà a tutto ciò. Vedete bene che ènecessario che io muoia, Felton, datemi il coltello." E,dopo queste parole, come se le forze le venissero meno,Milady si lasciò cadere, debole e languente, fra le bracciadel giovane ufficiale, che, pazzo d'amore, di collera e divoluttà sconosciute, la strinse sul proprio cuore,rabbrividendo tutto al soffio di quella bocca così bella ecome perduto al contatto di quel seno palpitante. "No, no"disse "voi vivrete onorata e pura, vivrete per trionfare suivostri nemici." Milady lo respinse lentamente con la manomentre lo attirava con lo sguardo; ma Felton, a sua volta,s'impadronì di lei implorandola come una divinità. "Oh, lamorte, la morte!" diss'ella velando la voce e abbassando lepalpebre "oh, la morte piuttosto che la vergogna, Felton,fratello mio, amico mio, ve ne scongiuro." "No" esclamòFelton "voi vivrete e sarete vendicata!" "Felton, io portodisgrazia a chi mi avvicina! Felton, abbandonatemi! Felton,lasciatemi morire!" "E allora morremo assieme!" esclamòegli appoggiando le proprie labbra su quelle dellaprigioniera. Molti colpi risonarono sulla porta; questa volta

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Milady lo respinse realmente. "Ascoltate" disse "qualcunoci ha udito; vengono! finita! Siamo perduti!" "No" disseFelton "è la sentinella che mi avverte dell'arrivo di unaronda." "Allora correte alla porta e aprite voi stesso."Felton obbedì; quella donna era già tutto il suo pensiero,tutta l'anima sua. Si trovò di faccia a un sergente checomandava la pattuglia di sorveglianza. "Ebbene, chec'è?" chiese il giovane tenente. "Mi avevate detto di aprirela porta se avessi udito gridare aiuto" rispose il soldato"ma avete dimenticato di darmi la chiave; vi ho uditogridare senza capire che cosa dicevate, ho tentato diaprire la porta, era chiusa dal di dentro, allora ho chiamatoil sergente." "Ed eccomi qui" disse il sergente. Felton,smarrito, quasi pazzo, non diceva parola. Milady capì chestava a lei salvare la situazione; corse alla tavola e prese ilcoltello che Felton vi aveva posato. "E con qual dirittovolete impedirmi di morire?" gridò. "Gran Dio!" esclamòFelton vedendo il coltello luccicare nella sua mano. In quelmomento uno scoppio di risa ironiche risonò nel corridoio.Il barone, attirato dal rumore, in veste da camera, la spadasotto il braccio, stava ritto sulla soglia. "Ah, ah! eccociall'ultimo atto della tragedia" disse "vedete bene, Felton, ildramma ha seguito tutte le fasi che io avevo predetto; mastate tranquillo, il sangue non scorrerà." Milady capì cheera perduta se non dava a Felton la prova immediata eterribile del suo coraggio. "Vi sbagliate, Milord" disse a ilsangue scorrerà, e possa questo sangue ricadere sucoloro che lo hanno fatto scorrere." Felton gettò un grido esi precipitò verso di lei, ma era tardi, Milady si era colpita.

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Ma il coltello aveva fortunatamente, dovremmo direabilmente, urtato contro le stecche di ferro che aquell'epoca difendevano come una corazza, il petto delledonne, era scivolato strappando l'abito ed era penetrato disbieco tra la carne e le costole. L'abito di Milady fuugualmente macchiato di sangue in un secondo. La giovineera caduta riversa e sembrava svenuta. Felton strappò ilcoltello. "Vedete, milord" disse cupamente "ecco unadonna che era sotto la mia custodia e che si è uccisa.""State tranquillo" disse lord Winter "che non è morta; idiavoli non muoiono con tanta facilità; state tranquillo eandate ad aspettarmi nella mia stanza." "Ma, milord…""Andate, ve l'ordino." A questa ingiunzione del suosuperiore, Felton obbedì; ma uscendo, prese il coltello e selo nascose sul petto. Quanto a Lord Winter, egli si limitò afar chiamare la donna che serviva Milady e quando questagiunse, le raccomandò la prigioniera che era ancorasvenuta e la lasciò sola con lei. Tuttavia, siccome, tuttosommato, nonostante i suoi sospetti, la ferita potevaessere grave, mandò subito un uomo a cavallo a cercareun medico.

Capitolo 58 L'EVASIONE

Come lord Winter aveva preveduto, la ferita di Milady nonera pericolosa; appena fu sola con la donna che il baroneaveva fatta chiamare e che si affrettava a svestirla, essa

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riaprì gli occhi. Occorreva tuttavia fingere la debolezza e lasofferenza e questo non era difficile per un'abilecommediante come Milady; la povera donna fu così beneingannata dalla prigioniera, che, ad onta delle insistenze diquesta, si ostinò a vegliare tutta la notte. La presenza diquesta donna non impedì a Milady di pensare ai casi suoi.Non c'era più dubbio, Felton era convinto, Felton era suo;se anche un angelo fosse apparso al giovanotto peraccusare Milady, egli, nelle disposizioni di spirito in cui sitrovava, lo avrebbe scambiato per un inviato del demonio.A questo pensiero, Milady sorrideva, perché Felton eraormai la sua sola speranza, il suo solo mezzo di salvezza.Ma lord Winter poteva aver concepito qualche sospetto sudi lui, ma Felton poteva ora essere anch'egli sorvegliato…Verso le quattro del mattino, il medico arrivò; ma daquando Milady s'era colpita, la ferita si era già chiusa; ilmedico non poté dunque misurarne né la direzione né laprofondità, dal polso della malata però si rese conto che lacosa non era grave. Alla mattina, col pretesto che in tutta lanotte non aveva potuto chiudere occhio e che avevabisogno di riposo, Milady congedò la donna che l'avevavegliata. Aveva ancora una speranza, ed era che Feltonvenisse all'ora della colazione, ma Felton non venne. I suoitimori erano forse divenuti realtà? Felton, divenuto sospettoal barone, stava forse per mancarle nel momento decisivo?Non aveva più che un giorno; lord Winter le avevaannunciato il suo imbarco per il 23, e si era già al mattinodel 22. Nondimeno, essa attese pazientemente fino all'oradel pranzo. Sebbene al mattino non avesse mangiato, il

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pranzo le fu portato alla solita ora e Milady si accorse conspavento che l'uniforme dei soldati di guardia non era piùla stessa. Allora si arrischiò a domandare che ne fosse diFelton; le fu risposto che un'ora prima era montato acavallo ed era partito Si informò se il barone era semprenel castello, il soldato rispose affermativamente e aggiunseche aveva avuto l'ordine di avvertirlo se la prigionieraavesse voluto parlargli. Milady rispose che per il momentoera troppo debole e che desiderava unicamente star sola.Il soldato uscì lasciando il pranzo pronto. Felton era statoallontanato, i soldati di marina erano mutati, dunque sidiffidava di Felton. Era l'ultimo colpo alle speranze dellaprigioniera. Appena fu sola, ella si alzò; quel letto dove erarimasta per prudenza e perché la si credesse feritagravemente, la bruciava come un braciere ardente. Detteun'occhiata alla porta; il barone aveva fatto inchiodareun'asse sullo spioncino, certamente temeva che attraversoquel piccolo pertugio, essa riuscisse ancora, con qualchemezzo diabolico, a sedurre i custodi. Milady sorrise digioia; poteva dunque abbandonarsi alla sua agitazionesenza essere osservata; ella percorreva la camera conl'esaltazione di una pazza furiosa o di una tigre chiusa ingabbia di ferro. Certo, se il coltello le fosse rimasto, essaavrebbe pensato non più a uccidersi, ma, questa volta, auccidere il barone. Alle sei lord Winter entrò, armato fino aidenti. Quell'uomo che Milady aveva considerato fino a quelmomento un gentiluomo abbastanza sciocco, era diventatoun abilissimo carceriere; sembrava prevedere, indovinare,prevenire tutto. Una sola occhiata gettata su Milady bastò a

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rivelargli ciò che succedeva nella sua anima. "Sta bene"disse "ma anche per oggi non mi ucciderete; non avete piùarmi e, d'altronde io sto in guardia. Avevate cominciato apervertire il mio povero Felton che subiva già la vostrainfluenza infernale; ma io voglio salvarlo, non vi vedrà più etutto sarà finito. Fate i vostri fagotti, domani partirete.Avevo deciso di imbarcarmi il giorno 24, ma ho pensatoche più affrettavo la cosa, più questa sarebbe stata sicura.Domani a mezzogiorno, avrò l'ordine di deportazionefirmato Buckingham. Se prima di essere sulla naverivolgerete una sola parola a chicchessia, il mio sergente vifarà saltare le cervella, secondo l'ordine che gli ho dato; sesulla nave rivolgerete la parola a qualcuno, senza ilpermesso del capitano, il capitano stesso vi getterà amare, come ho convenuto con lui. Arrivederci, per ogginull'altro ho a dirvi. Domani vi rivedrò per dirvi addio." E ciòdetto, il barone uscì. Milady aveva ascoltato tutto questominaccioso discorso con un sorriso sdegnoso sulle labbrama con la rabbia nel cuore. La cena fu servita; Milady sentìche aveva bisogno di forze perché non sapeva che cosapoteva accadere durante la notte che si appressavaminacciosa; infatti grossi nuvoloni solcavano il cielo elampi lontani facevano prevedere un uragano. Verso ledieci di sera, l'uragano si scatenò; Milady si sentiva felicedi vedere la natura condividere il disordine del suo cuore; iltuono brontolava nel cielo come la collera nel suo animo; lesembrava che le raffiche, passando, sconvolgessero la suafronte come gli alberi di cui torceva i rami e rapiva le foglie;essa urlava come l'uragano, e la sua voce si perdeva nella

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grande voce della natura che, anch'essa, sembravagemere e disperarsi. A un tratto sentì picchiare ai vetri ealla luce di un lampo vide il viso di un uomo apparire dietrole sbarre. Corse alla finestra e l'aprì. "Felton!" esclamò."Sono salva!" "Sì" disse Felton "ma tacete. Mi ci vuoltempo per segare le sbarre. State attenta che non vivedano dallo spioncino." "Lo spioncino è chiuso conun'asse" rispose Milady "è una prova che il Signore è connoi." "Va bene, Dio li ha resi ciechi" disse Felton. "Chedebbo fare?" domandò Milady. "Niente, niente. Soltantorichiudete la finestra. Coricatevi o, per lo meno, mettetevisul letto vestita; quando avrò finito, picchierò ai vetri. Mapotrete seguirmi?" "Oh, sì!" "La vostra ferita?" "Mi fa male,ma non m'impedisce di camminare." "Allora state pronta alprimo segnale." Milady richiuse la finestra, spense lalampada e, come le aveva consigliato Felton, andò arannicchiarsi nel suo letto. Frammisto all'ululare dellatempesta, sentiva lo stridere della lima sulle sbarre di ferroe alla luce dei lampi scorgeva, dietro ai vetri, l'ombra delgiovine. Ella passò un'ora, senza quasi respirare,ansimante; il sudore le bagnava la fronte e il cuore erastretto da un'angoscia spaventevole, a ogni movimento cheudiva nel corridoio. Vi sono ore che durano come anni.Dopo un'ora Felton picchiò di nuovo. Milady balzò dal lettoe aprì. Due sbarre tolte all'inferriata lasciavano un'aperturasufficiente al passaggio di un uomo. "Siete pronta?"domandò Felton. "Sì. Debbo prendere qualcosa con me?""Danaro, se ne avete." "Sì, per fortuna mi è stato lasciatotutto quello che possedevo." "Tanto meglio, perché tutto il

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mio se ne è andato per noleggiare una barca." "A voi"disse Milady, consegnando al giovanotto un sacchettopieno di monete d'oro. Felton lo prese e lo gettò ai piedidel muro. "E ora" disse "volete venire?" "Eccomi." Miladysalì sopra una poltrona e passò la metà superiore delcorpo attraverso le sbarre; vide il giovine ufficiale sospesosull'abisso con una scala di corda. Per la prima volta, unmoto di terrore le ricordò ch'era donna. Il vuoto laspaventava. "Lo temevo" disse Felton. "Non è nulla, non ènulla" disse Milady "scenderò a occhi chiusi." "Vi fidate dime?" disse Felton. "E me lo chiedete?" "Avvicinate lemani, incrociate, così, bene." Felton le legò i polsi col suofazzoletto, poi, al di sopra del fazzoletto, con una corda."Che fate?" domandò meravigliata Milady. "Passate levostre braccia attorno al mio collo e non abbiate timore.""Ma vi farò perdere l'equilibrio, ci ammazzeremoentrambi." Non c'era più un secondo da perdere; Miladypassò le braccia intorno al collo di Felton e si lasciòscivolare fuori dalla finestra. Felton cominciò a scendere gliscalini lentamente, a uno a uno. Nonostante il peso dei duecorpi, il soffio dell'uragano li faceva dondolare nell'aria. Aun tratto Felton si fermò. "Che c'è?" domandò Milady."Silenzio" disse Felton. "Sento dei passi. "Siamoscoperti." Per un attimo non si udì alcun suono "Non ènulla" disse Felton. "Ma infine, che cos'è questo rumore?""Quello della pattuglia che sta per passare sul cammino dironda." "Dov'è il cammino di ronda?" "Proprio sotto di noi.""Saremo scoperti." "No, se non ci sono lampi." "Lapattuglia urterà nella scala." "Per fortuna è alta dal suolo

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sei piedi." "Eccoli, Dio mio!" "Silenzio!" Tutti e duerestarono sospesi a venti piedi da terra, immobili e senzafiato; nel frattempo i soldati passavano sotto di loro ridendoe chiacchierando. Fu un momento terribile per i fuggiaschi.La pattuglia passò, si udì il rumore dei passi che siallontanavano e il mormorio delle voci che andavaindebolendosi. "Ora siamo salvi!" disse Felton. Miladyemise un sospiro e svenne. Felton continuò a discendere.Giunto all'ultimo gradino della scala e quando non sentì piùappoggio sotto i suoi piedi, si attaccò con le mani; infine,giunto all'ultimo scalino, si lasciò spenzolare nel vuoto etoccò terra. Si abbassò, raccolse il sacchetto d'oro e lomise tra i denti. Poi sollevò Milady tra le braccia e siallontanò in fretta dal lato opposto a quello verso il quale siera allontanata la pattuglia. Lasciò ben presto il camminodi ronda, discese attraverso le rocce e, arrivato sulla rivadel mare, fece un fischio. Un fischio uguale gli rispose ecinque minuti dopo egli vide comparire una barca montatada quattro uomini. La barca si avvicinò alla riva più che lefu possibile; Felton scese nell'acqua sino alla cintolapoiché non volle affidare a nessuno il suo prezioso fardello.Per fortuna la tempesta cominciava a calmarsi, ma il mareera ancora agitato; la piccola barca saltava sulle ondecome un guscio di noce. "Allo sloop" comandò Felton "eremate presto." I quattro uomini si misero a remare; ma leonde erano ancora troppo forti perché i remi potessero farpresa efficace. Tuttavia si allontanavano dal castello equesta era la cosa principale. La notte era profondamentetenebrosa, era già impossibile scorgere la riva dalla barca,

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e a maggior ragione nessuno avrebbe potuto vedere labarca dalla riva. Un punto nero si dondolava sul mare. Eralo sloop. Mentre la barca avanzava verso di esso con tuttala forza dei suoi quattro remi, Felton slegò la corda e ilfazzoletto che tenevano avvinte le mani di Milady. Poi,quando le mani furono slegate, prese un po' d'acqua dimare e le spruzzò il volto. Milady emise un sospiro e aprì gliocchi. "Dove sono?" domandò. "Siete salva!" rispose ilgiovane ufficiale. "Oh! Salva! Salva!" esclamò ella. "Oh,ecco il cielo, ecco il mare! E' aria questa che respiro, l'ariadella libertà. Ah!… grazie, Felton, grazie!" Il giovanotto sela strinse al cuore. "Ma che ho alle mani?" domandòMilady. "Mi pare che i miei polsi siano stati spezzati entrouna morsa." Infatti Milady alzò le braccia e mostrò i polsiillividiti e contusi. "Ahimè!" sospirò Felton guardandoquelle belle mani e scotendo lentamente la testa. "Oh! Nonè nulla, non è nulla" disse Milady "ora ricordo." Milady girògli occhi intorno come se cercasse qualche cosa. "E' qui"disse Felton spingendo coi piedi il sacchetto dell'oro. Losloop era ormai vicino. Il marinaio di quarto dette la voce equelli della barca risposero. "Che bastimento è questo?"chiese Milady. "Quello che ho noleggiato per voi." "Dovemi condurrà?" "Dove vorrete, purché prima mi facciatediscendere a Portsmouth." "Che cosa andate a fare aPortsmouth?" "A eseguire gli ordini di lord Winter" disseFelton con un cupo sorriso. "Quali ordini?" domandòMilady. "Ma non capite proprio?" disse Felton. "No,spiegatevi, ve ne prego." "Siccome diffidava di me, havoluto sorvegliarvi egli stesso e mi ha mandato in vece sua

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da Buckingham per fargli firmare l'ordine per la vostradeportazione." "Ma se diffidava di voi, come mai vi haconsegnato quest'ordine?" "Egli non sospettava che iosapessi di che si trattava." "E' vero. E voi andate aPortsmouth?" "Non ho tempo da perdere: domani neabbiamo 23 e Buckingham deve partire domani con laflotta." "Ma per dove parte domani?" "Per La Rochelle.""Non deve partire!" esclamò Milady, perdendo la suaabituale presenza di spirito. "State tranquilla" risposeFelton "non partirà" Milady trasalì di gioia; aveva letto nelpiù profondo del cuore del giovane; la morte diBuckingham vi era scritta in tutte lettere. "Felton…" disse"voi siete grande come Giuda Maccabeo! Se morirete, iomorirò con voi: di più non posso dirvi." "Zitta!" sussurròFelton. "Siamo arrivati." Infatti erano a fianco dello sloop.Felton ne salì la scala per primo, e dette la mano a Milady,mentre i marinai la sostenevano, perché il mare era ancoramolto agitato. Un attimo dopo erano sul ponte. "Capitano!"disse Felton "ecco la persona di cui vi ho parlato, chebisogna condurre sana e salva in Francia." "In cambio dimille pistole" disse il capitano. "Ve ne ho già datecinquecento." "E' giusto" disse il capitano. "Ed ecco lealtre cinquecento" riprese Milady prendendo in mano ilsacco dell'oro. "No" disse il capitano "io non ho che unaparola, e l'ho data al giovinotto; le altre cinquecento pistolemi spetteranno soltanto al momento in cui giungeremo aBoulogne." "E vi arriveremo?" "Sani e salvi" disse ilcapitano "come è vero che mi chiamo Giacomo Buttler.""Ebbene" disse "se manterrete la vostra parola, non vi

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darò cinquecento pistole, ma mille." "Un evviva per voi, miabella signora" gridò il capitano "e possa Dio mandarmispesso dei clienti come Vostra Eccellenza!" "Intanto" disseFelton "conduceteci nella piccola baia di Chichester,prima di Portsmouth; sapete che abbiamo convenuto chemi condurreste là." Il capitano rispose ordinando lamanovra necessaria, e verso le sette del mattino il piccolobastimento gettava l'àncora nella baia designata. Durantequesta traversata, Felton aveva tutto raccontato a Milady:come, invece di andare a Londra, avesse noleggiato ilpiccolo bastimento, come fosse tornato, come avessescalato la muraglia mettendo negli interstizi delle pietre, amisura che saliva, dei ramponi per posarvi i piedi, e come,infine, arrivato alle sbarre, vi avesse attaccato la scala;Milady sapeva il resto. Dal canto suo Milady cercò diconsolidare in Felton la decisione presa, ma alle primeparole che pronunciò, si accorse che il giovane fanaticoaveva più bisogno di essere calmato che di essereeccitato. Fu deciso che Milady avrebbe atteso Felton finoalle dieci; se alle dieci non fosse stato di ritorno, ellasarebbe partita. Allora, nel caso fosse ancora libero,l'avrebbe raggiunta in Francia, al convento delleCarmelitane di Béthune.

Capitolo 59 CHE COSA ACCADDE A PORTSMOUTH IL23 AGOSTO DEL 1628

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Felton si congedò da Milady come un fratello, che va a fareuna semplice passeggiata, si congeda dalla sorellabaciandole la mano. Tutta la sua persona sembrava in unostato di calma straordinaria: solo una insolita luce brillavanei suoi occhi, simile a un riflesso di febbre; la sua fronteera più bianca del solito: teneva i denti serrati e la suaparola aveva un accento breve e spezzato che indicavacome qualche cosa di cupo si agitasse in lui. Finché fusulla barca che lo portava a terra, egli restò col viso voltatoverso Milady, che, in piedi sul ponte, lo seguiva con gliocchi. Entrambi erano abbastanza rassicurati circa iltimore di essere inseguiti: nessuno entrava mai nellacamera di Milady prima delle nove; e per andare dalcastello a Londra ci volevano tre ore. Felton mise piede aterra, scalò il piccolo scoscendimento che conduceva incima alla scogliera, salutò Milady per l'ultima volta es'incamminò in fretta verso la città. Dopo circa cento passi,siccome il sentiero era in discesa egli non poteva piùscorgere se non la cima dell'albero dello sloop. Si avviòimmediatamente in direzione di Portsmouth, di cui, infaccia a lui, a circa mezzo miglio, vedeva disegnarsi nellabruma del mattino le torri e le case. Al di là di Portsmouth, ilmare era coperto di navi di cui si vedevano gli alberi, come una foresta di pioppi spogliati dall'inverno,dondolarsi al soffio del vento. Felton, nella sua rapidamarcia, ricapitolava tutto ciò che dieci anni di meditazioniascetiche e un lungo soggiorno tra i puritani gli avevanofornito di accuse vere o false contro il favorito di GiacomoSesto e di Carlo Primo. Ma allorché paragonava i delitti

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pubblici del ministro, delitti vistosi, delitti europei, se così sipoteva dire, coi delitti privati e ignoti dei quali lo avevaaccusato Milady, Felton trovava che il più colpevole dei dueuomini compendiati in Buckingham era quello di cui ilpubblico non conosceva la vita. Il fatto è che il suo amorecosì strano, così nuovo, così ardente, gli faceva vedere leaccuse infami e immaginarie di lady Winter, come sivedono attraverso una lente d'ingrandimento, allo stato dimostri spaventevoli. La rapidità della corsa accendevaancor più il suo sangue; l'idea di aver lasciata sola,esposta a una spaventosa vendetta, la donna che amava,o meglio, che adorava come una santa, l'emozionepassata, la stanchezza presente, tutto esaltava la suaanima al disopra dei sentimenti umani. Verso le otto delmattino entrò a Portsmouth; tutta la popolazione era alzata;i tamburi battevano per le strade e sul porto; le truppe daimbarco scendevano verso il mare. Felton arrivò al palazzodell'Ammiragliato coperto di polvere e grondante sudore; ilsuo viso, sempre pallido, era rosso di caldo e di collera. Lasentinella voleva respingerlo, ma Felton chiamò ilcapoposto e, levata di tasca la lettera di cui era latore,disse: "Messaggio urgente da parte di lord Winter." Alnome di Lord Winter, che si sapeva essere uno dei piùintimi amici di Sua Grazia, il capoposto dette l'ordine dilasciar passare Felton che, d'altronde, indossava anch'eglil'uniforme di ufficiale di Marina. Felton si lanciò dentro alpalazzo. Nel momento in cui entrò nel vestibolo, anche unaltro uomo vi entrava, polveroso, senza fiato, il quale avevalasciato alla porta un cavallo di posta che, appena arrivato,

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si era abbattuto sulle ginocchia. Felton e lui si rivolseronello stesso tempo a Patrizio, il cameriere di fiducia delduca. Felton fece il nome di lord Winter, lo sconosciuto nonvolle far nomi affermando che non poteva farsi conoscereche dal duca. Entrambi insistevano per esser ricevuti primadell'altro. Patrizio, che sapeva che lord Winter era in strettarelazione col duca, e per intima amicizia e per affari diservizio, dette la preferenza a quello che veniva in suonome. L'altro fu costretto ad attendere, ma fu facile vederequanto maledicesse questo ritardo. Il cameriere feceattraversare a Felton una grande sala nella qualeaspettavano i deputati di La Rochelle, guidati dal principedi Soubise[45] e lo fece entrare in un gabinetto doveBuckingham, uscito allora dal bagno, terminava la suatoletta, alla quale, questa volta come sempre, dedicava lapiù straordinaria attenzione. "Il tenente Felton" dissePatrizio "da parte di lord Winter." "Da parte di lordWinter?" rispose Buckingham. "Fatelo entrare." Feltonentrò. In quel momento Buckingham gettava su un divanouna bellissima veste da camera, ricamata in oro, perindossare un giustacuore di velluto azzurro con un ricamoricco di perle. "Perché non è venuto il barone?" domandò ilduca. "Lo aspettavo." "Mi ha incaricato di dire a VostraGrazia" rispose Felton "che era addolorato di non potereavere questo onore; glielo impediva la guardia che devefare al castello." "Sì, sì, lo so" disse Buckingham "ha unaprigioniera." "E' appunto per questa prigioniera chedesideravo parlare a Vostra Grazia" riprese Felton."Ebbene, parlate." "Quanto debbo dirvi non può essere

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udito che da voi, milord." "Lasciateci, Patrizio" disseBuckingham "ma state a portata del campanello, virichiamerò fra poco." Patrizio uscì. "Siamo soli, signore"disse il duca "parlate." "Milord" cominciò Felton "il baronedi Winter vi ha scritto l'altro giorno per pregarvi di firmareun ordine d'imbarco relativo a una giovane donna chiamataCarlotta Backson." "Sì, signore, e gli ho risposto diportarmi o mandarmi quest'ordine e che lo avrei firmato.""Eccolo, milord." "Datemelo" disse il duca. E, presolo dallemani di Felton, gettò su di esso un'occhiata rapida. Avendocosì verificato ch'era proprio quello che gli era statopreannunciato, lo pose sulla tavola, prese una penna e sidispose a firmarlo. "Scusate, milord" disse Feltonarrestando il duca "ma Vostra Grazia sa che CarlottaBackson non è il vero nome di questa giovane donna?" "Sì,signore, lo so" rispose il duca intingendo la pennanell'inchiostro. "Allora Vostra Grazia conosce il suo veronome?" domandò Felton con voce breve. "Lo conosco." Ilduca avvicinò la penna alla carta. Felton impallidì. "Econoscendo il suo vero nome" riprese Felton "Monsignorefirmerà ugualmente?" "Senza dubbio" disse Buckingham"e firmerei due volte invece d'una." "Non posso credere"continuò Felton con voce che diventava sempre piùspezzata e tagliente "che Sua Grazia sappia che si tratta dilady Winter…" "Lo so perfettamente, sebbene mi meravigliche lo sappiate voi!" "E Vostra Grazia firmerà questoordine senza rimorso?" Buckingham guardò il giovinottocon alterigia. "Signore" disse "sapete che mi fate dellestrane domande e che io sono veramente sciocco

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rispondendovi?" "Rispondete, Monsignore" disse Felton"perché la situazione è più grave di quanto non crediate."Buckingham pensò che il giovanotto, venendo da parte dilord Winter, parlasse in suo nome, e si raddolcì. "Senzanessun rimorso" ribatté "e il barone sa come me cheMilady di Winter è una grande colpevole, e che è quasifarle grazia limitare la sua pena alla deportazione." Il ducaposò la penna sulla carta. "Voi non firmerete quest'ordine,Milord!" disse Felton facendo un passo verso il duca. "Ionon firmerò quest'ordine?" disse Buckingham "e perché?""Perché voi rientrerete in voi stesso e renderete giustizia"Le si renderebbe giustizia mandandola a Tyburn" disseBuckingham. "Milady è un'infame!" "Monsignore, Milady èun angelo, voi lo sapete bene, e io vi chiedo di liberarla.""Ma…" disse Buckingham "siete dunque pazzo voi che miparlate così?" "Scusatemi, milord, io parlo come posso emi contengo. Tuttavia, milord, pensate a ciò che fate, nonoltrepassate la misura!" "Come?… Dio mi perdoni"esclamò Buckingham "ma credo che costui mi minacci!""No, milord, io prego ancora e vi dico: una goccia d'acquabasta per far traboccare il vaso troppo pieno, una colpaleggera può attirare il castigo su una testa risparmiata adonta di tanti delitti." "Signor Felton" disse Buckingham "voiuscirete di qui e andrete agli arresti immediatamente.""Voi mi ascolterete sino alla fine, milord. Voi avete sedottoquella giovanetta, l'avete oltraggiata, insudiciata; riparate ivostri delitti, lasciatela partire liberamente e io non esigeròaltro da voi." "Non esigerete!" disse Buckinghamguardando con stupore Felton e battendo su ciascuna

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sillaba di queste due parole. "Milord" continuò Feltonesaltandosi a misura che parlava "milord, badate a voi,tutta l'Inghilterra è stanca delle vostre iniquità; milord, voiavete abusato della potenza regale che avete quasiusurpato; milord, voi siete in onore agli uomini e a Dio; Diovi punirà più tardi, ma io vi punirò oggi." "Ah! Questo ètroppo!" gridò Buckingham facendo un passo verso laporta. Felton gli chiuse il passo. "Vi chiedo umilmente"disse "di firmare l'ordine di rimettere in libertà lady Winter;pensate che si tratta della donna che avete disonorata!""Uscite, signore" disse Buckingham "o chiamo e vi facciomettere ai ferri!" "Voi non chiamerete" disse Feltonmettendosi fra il duca e il campanello posto su untavolinetto incrostato d'argento; "pensateci, milord, poichésiete nelle mani di Dio." "Nelle mani del diavolo, voletedire!" esclamò Buckingham alzando la voce per attiraregente, senza tuttavia chiamare direttamente. "Firmate,milord, firmate l'ordine di libertà di lady Winter" ripetéFelton spingendo una carta verso il duca. "Per forza! Mavolete burlarvi di me! Olà! Patrizio!" "Firmate, milord.""Mai." "Mai?" "A me!" gridò il duca, e nello stesso tempo sislanciò sulla sua spada. Ma Felton non gli dette tempo disfoderarla: egli aveva, già aperto, sul petto il coltello colquale Milady si era ferita; con un balzo fu addosso al duca.In quel mentre Patrizio entrava nella sala gridando: "Milord,una lettera dalla Francia!" "Dalla Francia!" esclamòBuckingham, dimenticando tutto per pensare alla personada cui gli veniva quella lettera. Felton approfittò delmomento e gli piantò nel fianco il coltello fino al manico.

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"Ah! traditore!" gridò Buckingham "mi hai ucciso!""All'assassino!" urlò Patrizio. Felton si guardò intorno perfuggire e, vedendo la porta libera, si lanciò nella cameravicina, che era quella nella quale attendevano, comeabbiamo detto, i deputati di La Rochelle, l'attraversò dicorsa e si precipitò verso la scala; ma sul primo gradinoincontrò lord Winter, che, vedendolo, pallido, smarrito,livido, macchiato di sangue, gli saltò al collo gridando: "Losapevo, l'avevo indovinato, e arrivo un minuto troppo tardi!Oh, disgraziato me!" Felton non oppose resistenza; lordWinter lo consegnò alle guardie che, in attesa d'ordini, locondussero su una piccola terrazza che dominava il mare,e si slanciò nel gabinetto di Buckingham. Al grido gettatodal duca, alla chiamata di Patrizio, l'uomo che Felton avevaincontrato in anticamera, si precipitò nel gabinetto. Trovò ilduca che, steso sul divano, si comprimeva la ferita con lamano rattrappita. "La Porte" disse il duca con vocemorente "La Porte, vieni da parte sua?" Sì, Monsignore"rispose il fedele servitore di Anna d'Austria "ma forsetroppo tardi." "Silenzio, La Porte, qualcuno potrebbe udirti;Patrizio, non fate entrare nessuno; oh! io non saprò ciòch'ella mi manda a dire! Mio Dio, muoio!" E il duca svenne.Frattanto, lord Winter, i deputati, i capi della spedizione, gliufficiali della casa di Buckingham avevano fatto irruzionenella camera; e non si udivano che grida di disperazione.La notizia che riempiva il palazzo di pianti e di gemiti, netraboccò e si sparse ben presto per la città. Un colpo dicannone annunciò che qualche cosa di nuovo e di inattesoera avvenuto. Lord Winter si strappava i capelli. "Un minuto

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troppo tardi!" esclamava "un minuto troppo tardi! Mio Dio!Mio Dio! Che disgrazia!" Infatti, alle sette del mattino, erastato avvertito che una scala di corda penzolava da unadelle finestre del castello; subito era corso alla camera diMilady e l'aveva trovata vuota con la finestra aperta e lesbarre segate, per cui, ricordando la raccomandazioneverbale che il messaggero di d'Artagnan gli aveva fatto perincarico del proprio padrone, si era sentito tremare per ilduca. Allora, corso alle scuderie, aveva inforcato il primocavallo venuto senza perdere tempo a far sellare il suo,aveva divorato le strade ventre a terra e, sceso di sella nelcortile, aveva salito di corsa lo scalone per incontrare,come abbiamo detto, Felton sul pianerottolo. Tuttavia, ilduca non era morto: tornò in sé, aprì gli occhi e la speranzarientrò nei cuori. "Signori" diss'egli "lasciatemi solo conPatrizio e La Porte. Ah, siete voi, Winter! Stamane voi miavete mandato uno strano pazzo; vedete come mi haridotto!" "Oh! Milord!" esclamò il barone "non me ne daròmai pace!" "E avrai torto, caro Winter" disse Buckinghamtenendogli una mano "non c'è uomo che meriti di essererimpianto da un altro per tutta una vita; ma lasciaci, te neprego." Il barone uscì singhiozzando. Non restarono nelgabinetto che il duca ferito, La Porte e Patrizio. Si stavacercando un medico che non si riusciva a trovare. "Voivivrete, milord, vivrete" ripeteva, in ginocchio davanti aldivano del duca, il messaggero di Anna d'Austria. "Checosa mi scrive?" disse debolmente Buckingham chegrondava sangue e domava, per parlare di colei cheamava, i suoi atroci dolori. "Che cosa mi scrive? Leggimi

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la sua lettera." "Oh! milord!" esclamò La Porte. "Obbedisci,La Porte; non vedi che non ho tempo da perdere?" LaPorte ruppe il sigillo e mise la pergamena contro gli occhidel duca; ma Buckingham cercò inutilmente di decifrare lascrittura. "Leggi, leggi, ti dico, io non ci vedo più! Leggidunque perché forse fra poco non ci sentirò più e morròsenza sapere ciò che mi ha scritto." La Porte non resistettepiù e lesse: "Milord, per quanto, dacché vi conosco, hosofferto per colpa vostra e per voi, vi scongiuro, se la miapace vi è cara, d'interrompere i grandi armamenti chepreparate contro la Francia e di porre fine ad una guerra aproposito della quale si dice ad alta voce che la religionene è la causa apparente, e sottovoce che il vostro amoreper me ne è la causa segreta. Questa guerra può esserefonte di grandi catastrofi non solo per la Francia e perl'Inghilterra, ma anche per voi, milord, e di questo nonsaprei consolarmi. Vegliate sulla vostra vita che èminacciata e che mi sarà cara dal momento in cui non saròpiù costretta a vedere in voi un nemico. Vostra affezionataAnna" Buckingham chiamò a raccolta tutto ciò che glirestava di vita per ascoltare questa lettura; poi, quando fufinita, come se in questa lettera egli avesse trovatoun'amara delusione: "Non avete dunque da dirmi null'altro avoce, La Porte?" domandò. "Sì, Monsignore, la Regina miha incaricato di dirvi di vegliare sulla vostra vita, perché erastata avvisata che qualcuno voleva assassinarvi." "Ed è quitutto, tutto?" riprese con impazienza Buckingham. "Mi haanche incaricato di dirvi che vi ama sempre." "Ah!" sospiròil duca "Dio sia lodato! La mia morte non sarà dunque per

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lei la morte di un estraneo!…" La Porte si scioglieva inlacrime. "Patrizio" disse Buckingham "portatemi ilcofanetto in cui erano i fermagli di diamanti." Patrizio portòl'oggetto richiesto e La Porte lo riconobbe come unoggetto appartenuto alla regina. "E ora il sacchetto di setabianca con le sue cifre ricamate in perle." Patrizio obbedì."Prendete, La Porte" disse Buckingham "ecco i soli pegniche ho avuti da lei, questo cofano d'argento e queste duesue lettere. Voi li renderete a Sua Maestà e per ultimoricordo…" si guardò intorno per cercare qualche oggettoprezioso "aggiungerete…" Cercò ancora; ma i suoi occhioscurati dalla morte vicina non incontrarono che il coltellocaduto dalle mani di Felton, ancora fumante del sangueche ne invermigliava la lama. "Aggiungerete questocoltello" fini il duca stringendo la mano a La Porte. Potémettere ancora il sacchetto in fondo al cofanetto d'argento,vi lasciò cadere il coltello facendo segno a La Porte chenon poteva più parlare: poi in una ultima convulsione, chequesta volta non ebbe la forza di combattere, scivolò daldivano a terra. Patrizio gettò un grido. Buckingham vollesorridere un'ultima volta, ma la morte arrestò il suopensiero che rimase inciso sulla sua fronte come un ultimobacio d'amore. In quel momento entrò tutto affannato ilmedico del duca; egli era già salito sulla nave ammiragliae si era dovuto andarlo a cercare sin là. Egli si avvicinò alduca, gli prese la mano, la tenne un attimo fra le sue, poi lalasciò ricadere. "Tutto è inutile!" disse "è morto!" "Morto!Morto!" esclamò Patrizio. A quel grido tutta la folla rientrònella sala e non vi fu più dovunque che costernazione e

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tumulto. Appena lord Winter vide che Buckingham eraspirato, corse da Felton che era sempre sulla terrazzaguardato a vista dai soldati. "Miserabile!" disse al giovaneche, dopo l'assassinio di Buckingham, aveva ritrovatiquella calma e quel sangue freddo che non dovevano piùabbandonarlo; "miserabile, che cosa hai fatto?" "Mi sonovendicato." "Tu?" disse il barone "confessa che sei stato lostrumento di quella maledetta donna; ma ti giuro chequesto sarà il suo ultimo delitto." "Non so che cosa vogliatedire" riprese tranquillamente Felton "e ignoro di chiparliate, milord; ho ucciso il signor di Buckingham perchéha rifiutato per due volte a voi stesso di promuovermicapitano: l'ho punito della sua ingiustizia, ecco tutto." DeWinter, stupefatto, guardava coloro che legavano Felton enon sapeva che cosa pensare di tanta insensibilità. Unasola cosa annebbiava la pura fronte del giovane. A ognirumore che udiva gli pareva di riconoscere il passo e lavoce di Milady che veniva a gettarsi nelle sue braccia peraccusarsi e perdersi con lui. A un tratto trasalì, il suosguardo si posò su un punto del mare, che si dominavainteramente da quella terrazza; col suo fine occhio dimarinaio egli aveva riconosciuto, dove un altro nonavrebbe veduto che un gabbiano dondolante sulle onde, lavela dello sloop che si dirigeva verso la corte di Francia.Impallidì, si portò la mano al cuore che gli si spezzava, edebbe tutto il senso del tradimento patito. "Un'ultima grazia,milord" disse al barone "Quale?" domandò de Winter."Che ora è?" Il barone levò di tasca l'orologio. "Le novemeno dieci minuti" disse. Milady era partita un'ora e mezza

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prima dell'ora fissata; non appena udito il colpo di cannoneche annunciava il fatale evento, ella aveva dato l'ordine dilevar l'ancora. La barca vogava sotto il cielo azzurro a unagrande distanza dalla costa. "Dio l'ha voluto" disse Feltoncon la rassegnazione del fanatico, ma senza poterdistaccare lo sguardo da quella nave lontana sulla qualecredeva senza dubbio di scorgere il bianco fantasma dicolei alla quale la sua vita stava per essere sacrificata. DeWinter seguì il suo sguardo, indovinò la sua sofferenza e sispiegò tutto. "Per ora tu solo sarai punito, miserabile"disse lord Winter a Felton che si faceva trascinare con gliocchi sempre volti al mare; "ma ti giuro sulla memoria dimio fratello, che amavo tanto, che la tua complice non sisalverà." Felton abbassò il capo e non disse parola. DeWinter discese rapidamente le scale e si avviò al porto.

Capitolo 60 IN FRANCIA

Il primo timore del re d'Inghilterra, Carlo Primo,apprendendo questa morte, fu che una così terribile notiziapotesse scoraggiare i Rochellesi; egli cercò, diceRichelieu nelle sue Memorie, di tenerla loro nascosta il piùa lungo possibile, facendo chiudere i porti di tutto il suoregno e vegliando attentamente a che nessuna nave neuscisse prima della partenza della squadra allestita daBuckingham, incaricandosi, in mancanza di Buckingham,di sorvegliare egli stesso questa partenza. Egli spinse anzi

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la severità di quest'ordine fino a trattenere in Inghilterral'ambasciatore di Danimarca, che si era già congedato, el'ambasciatore ordinario d'Olanda che doveva ricondurre alporto di Flessinga le navi delle Indie che Carlo Primoaveva fatte restituire alle Province Unite. Ma, siccome eglinon pensò a dare questi ordini che cinque ore dopol'avvenimento, vale a dire alle due pomeridiane, due navierano già uscite dal porto: l'una - come sappiamo - con abordo Milady, la quale, sospettando già l'accaduto fuconfermata nel suo sospetto vedendo la bandiera nerasalire sull'albero maestro della nave ammiraglia. Quanto alsecondo bastimento, diremo più tardi chi avesse a bordo ecome partisse. Nel frattempo, d'altronde, nulla di nuovo eraavvenuto al campo di La Rochelle; solamente il Re, che siannoiava terribilmente, come sempre, e forse un po' più alcampo che altrove, decise di andare in incognito a SanGermano a passarvi la festa di San Luigi e chiese alCardinale di fargli preparare una scorta di ventimoschettieri soltanto. Il Cardinale, che qualche volta silasciava contagiare dalla noia del Re, accordò conentusiasmo questo permesso al suo regale luogotenente,che gli promise di essere di ritorno verso il 15 settembre. Ilsignor di Tréville, avvertito da Sua Eminenza, preparò ilproprio bagaglio e siccome, senza conoscerne la ragione,sapeva che i suoi amici avevano un desiderio vivissimo,anzi un bisogno imperioso di tornare a Parigi, è inutile direche li scelse per far parte della scorta. I quattro giovanottiseppero la notizia un quarto d'ora dopo il signor di Tréville,perché furono i primi che egli avvertì. In tale occasione

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d'Artagnan apprezzò tutto il favore che gli aveva fatto ilCardinale trasferendolo nei moschettieri; senza talecircostanza, egli sarebbe stato costretto a rimanere alcampo mentre i suoi amici partivano. Vedremo più tardiche questa fretta di tornare a Parigi era determinata dalpericolo al quale doveva trovarsi esposta la signoraBonacieux incontrandosi al convento di Béthune conMilady, sua mortale nemica. Cosicché Aramis aveva scrittoimmediatamente, come dicemmo, a Maria Michon, quellacucitrice in bianco di Tours che aveva delle così belleconoscenze, affinché ottenesse dalla Regina il permessoper la signora Bonacieux di uscire dal convento e di ritirarsisia in Lorena, sia nel Belgio. La risposta non si era fattaattendere e, otto o dieci giorni dopo, Aramis aveva ricevutala lettera seguente: "Mio caro cugino, ecco l'autorizzazionedi mia sorella perché possiate ritirare dal convento diBéthune la nostra servetta alla quale pensate che quell'ariasia nociva. Mia sorella è felice di mandarvi questaautorizzazione perché vuole molto bene a quella ragazzacui spera di poter essere utile più tardi. "Vi abbraccio.Maria Michon." A questa lettera era aggiuntaun'autorizzazione così concepita: "La superiora delconvento di Béthune consegnerà al latore del presentebiglietto, la novizia che era stata accolta nel convento permia raccomandazione e sotto la mia protezione. DalLouvre, il 10 agosto 1628 Anna." Si può immaginare comequeste relazioni di parentela fra Aramis e una cucitrice chechiamava la Regina sua sorella avessero eccitato il briodei nostri giovanotti; ma Aramis, dopo essere arrossito

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due o tre volte sino al bianco degli occhi agli scherzigrossolani di Porthos, aveva pregato gli amici di noninsistere su questo argomento, dichiarando che in casocontrario non si sarebbe più servito di sua cugina comeintermediaria in questo genere di faccende. Ne consegueche il nome di Maria Michon non fu più pronunziato tra iquattro moschettieri, i quali, d'altronde, avevano ciò chevolevano: l'ordine per fare uscire la signora Bonacieux dalconvento delle Carmelitane di Béthune. E' vero che finchéerano al campo di La Rochelle, vale a dire all'altro capodella Francia, quell'ordine non serviva a gran cosa; maappunto perciò d'Artagnan stava per chiedere al signor diTréville una licenza confidandogli semplicementel'importanza della faccenda che lo chiamava altrove. Maproprio allora gli fu annunciato, come ai suoi compagni,che il Re stava per recarsi a Parigi con una scorta di ventimoschettieri, e che egli faceva parte di questa scorta. Lagioia fu grande: i domestici vennero mandati avanti con ibagagli e i nostri amici partirono la mattina del 16. IlCardinale ricondusse Sua Maestà da Surgères a Maures,e qui il Re e il suo ministro si congedarono l'uno dall'altrocon grandi dimostrazioni d'amicizia. Tuttavia il Re, chevoleva distrarsi, pur marciando il più sollecitamente che glifosse possibile, perché desiderava essere a Parigi per il23, si fermava tratto tratto, per vedere volare la gazza,passatempo di cui Luynes[46] gli aveva ispirato lapassione in altri tempi e per il quale aveva conservato unagrande predilezione. Dei venti moschettieri che loaccompagnavano, sedici, quando la cosa accadeva, si

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rallegravano molto di questi spassi, ma quattro mandavanoa tutti i diavoli le gazze della regione, specialmented'Artagnan che si lagnava di un continuo ronzìo alleorecchie, ronzìo che Porthos spiegava così: "Una grandama mi ha insegnato che ciò significa che qualcuno parlamolto di noi in qualche luogo." Finalmente la notte del 23 lascorta attraversò Parigi; il Re ringraziò il signor di Tréville egli permise di dare delle licenze di quattro giorni, acondizione che nessuno dei favoriti si facesse vedere in unpubblico ritrovo, sotto pena di essere messo alla Bastiglia.Come si può immaginare, i quattro primi permessi furonoaccordati ai nostri quattro amici. C'è di più, Athos riuscì aottenere un permesso di sei giorni anziché di quattro, efece includere in questi sei giorni due notti in più, poiché luie i suoi compagni partirono alle cinque di sera del 24, e,per colmo di compiacenza, il signor di Tréville posdatò lalicenza al 25 mattina. "Eh, mio Dio" disse d'Artagnan, che,come si sa non dubitava mai di nulla "mi pare che cipreoccupiamo troppo per una cosa semplicissima: in duegiorni, facendo scoppiare due o tre cavalli (e di questo nonmi curo perché ho del denaro), sarò a Béthune,consegnerò la lettera della Regina alla superiora, ericondurrò con me il tesoro che vado a cercare, non già inLorena né nel Belgio, bensì a Parigi, dove potrònasconderlo meglio, specialmente finché il Cardinale saràa La Rochelle. Poi, quando torneremo dalla guerra, un po'per la protezione di sua cugina, un po' per quello chepersonalmente abbiamo fatto per lei, otterremo dallaRegina quel che vorremo. Voi potete dunque restare qui

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senza affaticarvi inutilmente: per una così semplicespedizione basteremo io e Planchet." Ma Athos risposetranquillamente: "Anche noi abbiamo del denaro, poiché ionon ho ancora bevuto tutta la mia parte del diamante ePorthos e Aramis non l'hanno mangiata. Dunque anche noifaremo scoppiare quanti cavalli occorreranno. Ma pensate,d'Artagnan" aggiunse con voce così cupa che il suoaccento comunicò un brivido al giovanotto "pensate cheBéthune è la città nella quale il Cardinale ha datoappuntamento a una donna che ovunque vada porta ladisgrazia con sé. Se voi non aveste a che fare che conquattro uomini vi lascerei partire solo; ma voi avete a chefare con quella donna; andiamoci dunque tutti e quattro evoglia Dio che, insieme con i nostri quattro domestici, sisia in un numero sufficiente. "Voi mi spaventate, Athos"esclamò d'Artagnan. "Che cosa temete dunque, Dio mio?""Tutto!" rispose Athos. D'Artagnan esaminò i volti dei suoicompagni, che, come quello d'Athos, esprimevano unaprofonda inquietudine; e il viaggio fu continuato allamassima andatura, ma senza aggiungere una parola. Il 25sera, dopo che furono entrati ad Arras e quandod'Artagnan era appena sceso all'albergo dell'Erpice d'oroper bere un bicchiere di vino, un cavaliere uscì dal cortiledella posta, con un cavallo fresco e prese la via di Parigi.Nel momento in cui passava sotto il portone che dava sullastrada, il vento aprì il mantello in cui era avvolto, sebbene sifosse d'agosto, e gli portò via il cappello che il viaggiatoreriuscì a trattenere con la mano quando si era già staccatodalla sua testa e che si calcò premurosamente sugli occhi.

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D'Artagnan, che lo fissava, divenne pallidissimo e lasciòcadere il bicchiere. "Che avete, signore?" disse Planchet."Correte, signori, il mio padrone sta male!" I tre amiciaccorsero e trovarono d'Artagnan che, invece di sentirsimale, correva come un pazzo verso il suo cavallo. Lofermarono sulla soglia della porta. "Ebbene, dove diavolovai in questo modo?" gli gridò Athos. "E' lui!" esclamòd'Artagnan pallido di collera, e con la fronte imperlata disudore. "E' lui! Lasciate che lo raggiunga!" "Chi lui?"domandò Athos. "Lui! Quell'uomo!" "Che uomo?""Quell'uomo maledetto, il mio cattivo genio, quello chevedo sempre quando qualche disgrazia mi minaccia,quello che accompagnava la donna infame che conoscete,allorché la incontrai per la prima volta, quello che cercavoquando provocai il nostro caro Athos, quello che vidi lamattina in cui la signora Bonacieux fu rapita! L'uomo diMeung, insomma! L'ho visto, è lui! L'ho riconosciutoquando il vento gli ha aperto il mantello." "Diavolo!" feceAthos pensoso. "In sella, signori, in sella; inseguiamolo e loraggiungeremo." "Mio caro" osservò Athos "pensatech'egli va nella direzione opposta a quella verso la qualedobbiamo andare noi, che ha un cavallo ben riposatomentre i nostri sono affaticatissimi e che per conseguenzanoi faremo scoppiare le nostre cavalcature senza laminima speranza. Lasciamo in pace l'uomo, d'Artagnan,salviamo la donna." "Eh! Signore!" gridò in quel momentouno stalliere correndo dietro allo sconosciuto; "eh!signore!, questa carta è caduta dal vostro cappello." "Eh!signore! Eh!" "Amico mio" disse d'Artagnan "mezza pistola

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per quel foglio." "In fede mia, signore, con gran piacere.Eccovelo." E lo stalliere, felice della buona giornata cheaveva fatta, rientrò nel cortile dell'albergo; d'Artagnanspiegò la carta. "Ebbene?" chiesero gli amicicircondandolo "Non c'è che una parola!" disse d'Artagnan."E' vero" osservò Aramis "ma questa parola è il nome diuna città o di un villaggio." "Armentières" lesse Porthos"mai sentito nominare." "E questo nome di città o di paeseè scritto dalla mano di Milady!" esclamò Athos. "Andiamo,andiamo" disse d'Artagnan "conserviamo con cura questofoglio; forse non ho gettato via la mia mezza pistola. Acavallo, amici miei, a cavallo!" E i quattro compagni silanciarono al galoppo sulla via di Béthune.

Capitolo 61 IL CONVENTO DELLE CARMELITANE DIBETHUNE

I grandi criminali recano con sé una specie dipredestinazione grazie alla quale sormontano tutti gliostacoli e che li sottrae a ogni pericolo fino al momento incui la Provvidenza, stanca di loro, non segna lo scogliocontro cui naufraga la loro empia fortuna. Così era diMilady: essa passò tra le navi incrocianti di due nazioni epoté arrivare a Boulogne senza incidenti. Al suo sbarco aPortsmouth, Milady era una Inglese scacciata da LaRochelle dalle persecuzioni francesi; sbarcando aBoulogne, dopo due giorni di traversata, si spacciò per una

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Francese che gli Inglesi, mossi dall'odio verso la Francia,avevano angariato a Portsmouth. D'altronde Miladypossedeva il più efficace dei passaporti: la sua bellezza, lasua apparenza signorile e la generosità con cui spendevale pistole. Sottratta alle formalità d'uso grazie al sorrisoaffabile e alla galanteria di un vecchio governatore delporto che le baciò la mano, ella non rimase a Boulogne senon il tempo necessario per spedire la seguente lettera: "ASua Eminenza Monsignor Cardinale di Richelieu, al suocampo di La Rochelle. Monsignore, Vostra Eminenza sirassicuri; Sua Grazia il duca di Buckingham non partirà perla Francia. Boulogne, 25 di sera. Milady di… PostScriptum - Per obbedire al desiderio di Vostra Eminenza,mi reco al convento delle carmelitane di Béthune, doveattenderò i suoi ordini." Infatti, la stessa sera, Milady simise in cammino; si fece notte, ed ella si fermò e dormì inun albergo; poi, il giorno dopo, alle cinque del mattino partìe tre ore dopo era a Béthune. Chiese dove fosse ilconvento delle Carmelitane e vi entrò immediatamente. Lasuperiora le andò incontro; Milady le mostrò l'ordine delCardinale; la badessa le dette una stanza e le fece servirela colazione. Tutto il passato si era già cancellato agli occhidi quella donna e, con lo sguardo volto all'avvenire, essanon vedeva che l'alta fortuna che le serbava il Cardinale dicui ella aveva servito così bene gli interessi senza che ilsuo nome fosse minimamente implicato in tutta questasanguinosa faccenda. Le passioni sempre nuove che laconsumavano davano alla sua vita l'apparenza di quellenubi che passano nel cielo, riflettendo ora l'azzurro, ora il

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fuoco, ora il nero opaco della tempesta e che non lascianosulla terra altra traccia che la devastazione e la morte.Dopo la colazione, la badessa venne a farle visita; nelchiostro ci sono poche distrazioni e la buona superioraaveva fretta di fare conoscenza con la sua nuovapensionante. Milady voleva piacere alla badessa; ora,questa era una cosa facile per la donna veramentesuperiore che essa era; cercò dunque di essere amabile efu deliziosa tanto che sedusse la buona superiora con lasua conversazione così varia e con le grazie di cui tutta lasua persona era adorna. La badessa, ch'era nobile dinascita, prediligeva le storie della corte che arrivano tantoraramente sino alle estremità del Regno, e che, soprattutto,stentavano molto a varcare i muri dei conventi, alle sogliedei quali vengono a spirare i rumori mondani. Milady,invece, era al corrente di tutti gli intrighi aristocratici, inmezzo ai quali da cinque o sei anni aveva vissutocostantemente; si mise dunque a intrattenere la buonabadessa delle pratiche mondane della corte di Francia,mescolate alle esagerate devozioni del Re, e le fece lacronaca scandalosa dei signori e delle dame della corte,che la badessa conosceva perfettamente, con un lieveaccenno agli amori della regina con Buckingham parlandomolto per far sì che la sua ascoltatrice parlasse un poco.Ma la badessa si limitò ad ascoltare, sorridendo senza dirparola. Però, siccome Milady si accorse che questogenere di racconti la divertiva molto, continuò; sennonchéquesta volta fece cadere la conversazione sul Cardinale.Tuttavia, era molto imbarazzata; non sapeva se la badessa

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fosse realista o cardinalista; così si tenne in prudentegiusto mezzo; ma la badessa, dal canto suo, fu ancora piùriservata e prudente poiché si accontentò di fare unprofondo inchino col capo, ogni volta che la viaggiatricefaceva il nome di Sua Eminenza. Milady cominciò a temeredi annoiarsi mortalmente in convento per cui si decise adarrischiare qualche cosa per sapere subito che contegnole convenisse tenere. Volendo vedere sin dove si sarebbespinta la discrezione della superiora, cominciò a dir male,in maniera molto dissimulata dapprima, poi in modosempre più circostanziato, del Cardinale, raccontando gliamori del ministro con la signora di Aiguillon, con Marionde Lorme e con qualche altra donna galante. La badessaascoltò con più attenzione, si animò un poco e sorrise."Bene" si disse Milady "prende gusto ai miei discorsi, se ècardinalista, non ci mette nessun fanatismo." Allora parlòdel modo con cui Richelieu perseguitava i suoi nemici; mala badessa si limitò a fare il segno della croce, senzaapprovare o disapprovare. Ciò confortò Miladynell'opinione che la suora fosse più realista checardinalista. Milady continuò dunque rincarando la dose."Io sono molto all'oscuro di tutte queste storie" finì col direla badessa "ma per quanto lontane dalla corte ed estraneeagli interessi del mondo nel quale siamo state poste avivere, abbiamo ugualmente qualche triste esempio diquanto ci raccontate; e una delle nostre pensionanti hamolto sofferto per le persecuzioni e le vendette delCardinale." "Una delle vostre pensionanti!" esclamòMilady. "Oh, mio Dio! Povera donna! come la compiango!"

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"E avete ragione, perché è veramente da compiangere:essa ha tutto sofferto: prigione, minacce, cattivi trattamenti.Ma, tutto sommato" riprese la monaca "sebbene il suo visosia angelico, forse il Cardinale aveva dei motivi plausibiliper agire come ha fatto; non conviene giudicare le personedall'apparenza." "Bene" disse Milady a se stessa "chi sa!Forse sto per scoprire qualcosa di interessante, mi pare diessere in vena." Si studiò di dare al proprio visoun'espressione di perfetto candore. "Ahimè!" disse Milady"lo so; si dice che non bisogna credere alle fisionomie, maa che cosa crederemo, se non crediamo all'opera più belladel Signore? Quanto a me, io mi lascerò forse ingannareper tutta la vita; ma mi fiderò sempre di una creatura il cuiviso mi ispiri simpatia." "Allora" disse la badessa "sarestetentata di credere che questa giovane donna è innocente?""Monsignor Cardinale non punisce solo i delitti" diss'ella "cisono certe virtù che perseguita assai di più di certimisfatti." "Permettetemi, signora, di esprimervi la miasorpresa" disse la badessa. "A proposito di che?"domandò ingenuamente Milady. "Del vostro linguaggio.""Che cosa trovate di sorprendente nelle mie parole?"domandò sorridendo Milady. "Voi siete amica delCardinale, visto che egli vi ha mandato qui, tuttavia…" "Etuttavia ne dico male" riprese Milady completando ilpensiero della superiora. "Per lo meno non ne dite bene.""Il fatto è che io non sono sua amica" diss'ella sospirando"ma la sua vittima." "E tuttavia la lettera con cui egli viraccomanda a me?…" "E' un ordine per me di restare inquesta specie di prigione dalla quale mi farà togliere da

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uno dei suoi satelliti." "Perché non siete fuggita?" "Doveandrei? Credete ci sia un luogo della terra dove ilCardinale non possa raggiungermi, solo che vogliaallungare la sua terribile mano? Se fossi un uomo, a strettorigore, la cosa sarebbe ancora possibile; ma una donna,che cosa volete che faccia una povera donna? Quellagiovane pensionante che avete qui, ha forse tentato difuggire?" "Veramente, no; ma per lei la cosa è diversa,credo che sia trattenuta in Francia da qualche amore.""Allora" disse Milady sospirando "se ama non ècompletamente da compiangere." "Cosicché" insisté labadessa guardando Milady con simpatia "voi siete un'altrapovera perseguitata?" "Ahimè, sì!" disse Milady. Lamonaca guardò Milady con inquietudine come se un nuovopensiero sorgesse nella sua mente, poi domandòbalbettando: "Voi non siete nemica della nostra Santareligione?" "Io?" esclamò Milady. "Io, protestante! Attestodavanti a Dio che ci ascolta che sono, al contrario,cattolica fervente." "Allora, signora" disse sorridendo labadessa "rassicuratevi; la casa in cui siete ricoverata nonsarà una prigione troppo dura; anzi, faremo tutto quantopotremo per rendervi cara la prigionia. C'è di più: voitroverete qui la giovane donna di cui vi ho parlato,perseguitata certamente per qualche intrigo di Corte, evedrete come è gentile e graziosa." "Come si chiama?""Mi è stata raccomandata da una persona posta molto inalto col nome di Ketty; non ho mai cercato di conoscere ilsuo vero nome." "Ketty!" esclamò Milady "ne siete sicura?""Che si fa chiamate così? Sì, signora. La conoscete

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forse?" Milady sorrise fra sé dell'idea che le si erapresentata che quella giovane donna potesse essere lasua ex-cameriera. Al ricordo di quella ragazza si mischiavaun ricordo collerico, e un desiderio di vendetta avevasconvolti i lineamenti di Milady, che tuttavia ripresero quasisubito l'espressione calma e benevola che quella donnadai cento volti aveva momentaneamente fatto perdere loro."E quando potrò vedere questa giovane signora, per laquale sento già vivissima simpatia?" domandò Milady"Questa sera" disse la badessa "e forse anche durante lagiornata. Ma voi siete in viaggio da quattro giorni, mel'avete detto voi stessa; stamane vi siete alzata alle cinque,avrete quindi bisogno di riposarvi. Coricatevi e dormite, visveglieremo all'ora del pranzo." Sebbene Milady avesseanche potuto fare a meno di dormire, sostenuta com'era datutte le eccitazioni che una nuova avventura faceva provareal suo cuore avido di intrighi, pure seguì il consiglio dellasuperiora: da dodici o quindici giorni era passataattraverso tali e tante emozioni diverse che, se il suo corpodi ferro poteva ancora sopportare la stanchezza, il suospirito aveva necessità di riposo. Salutò quindi la badessae si coricò dolcemente cullata dalle idee di vendetta allequali il nome di Ketty l'aveva ricondotta naturalmente.Ricordava la promessa quasi illimitata fattale dal Cardinaleper il caso che fosse riuscita nella sua impresa. Essa erariuscita, e avrebbe quindi potuto vendicarsi di d'Artagnan.Una sola cosa la spaventava: il ricordo del marito, il contede la Fére, ch'ella aveva creduto morto o quanto menoespatriato, e che aveva ritrovato in Athos, il migliore amico

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di d'Artagnan. Però, pensava, se era l'amico di d'Artagnan,egli aveva dovuto certamente aiutarlo in tutti gli intrighi permezzo dei quali la Regina aveva sventato i progetti di SuaEminenza; se era l'amico di d'Artagnan era il nemico delCardinale e senza dubbio essa sarebbe riuscita acoinvolgerlo nella vendetta entro le spire della qualecontava di soffocare il giovane moschettiere. Tutte questesperanze erano dei dolci pensieri per Milady, e così, cullatada essi, ella si addormentò quasi immediatamente. Unavoce dolce che risonava ai piedi del suo letto la svegliò.Aprì gli occhi e vide la badessa in compagnia di unagiovane donna dai capelli biondi, dal colorito delicato, chefissava su di lei uno sguardo pieno di benevola curiosità. Ilviso di quella giovane donna le era del tutto sconosciuto;entrambe si esaminavano con scrupolosa attenzione,mentre scambiavano i complimenti abituali. Erano tutte edue molto belle, ma di due bellezze affatto diverse.Tuttavia, Milady sorrise rendendosi conto di averelargamente il sopravvento sulla giovane donna per ciò cheriguardava la nobiltà dell'aspetto e l'eleganza dei modi. E'vero che l'abito da novizia indossato dalla giovane donnanon era il più adatto per sostenere una lotta del genere. Labadessa fece le presentazioni, poi, quando questaformalità fu compiuta, poiché i suoi doveri la chiamavano inchiesa, lasciò sole le due giovani donne. La novizia,vedendo che Milady era ancora coricata, voleva seguire lasuperiora; ma Milady la pregò di restare dicendo: "Come,signora, vi ho appena veduta e volete già privarmi dellavostra presenza, sulla quale tuttavia contavo un poco, lo

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confesso, per il tempo che devo trascorrere qui?" "No,signora" rispose la novizia "soltanto temevo di aver sceltomale il momento; voi dormivate ed eravate stanca.""Ebbene" disse Milady "che cosa si può desiderare dopoun buon sonno? Un buon risveglio. Questo risveglio voi melo avete dato. Lasciate che me lo goda comodamente." E,prendendole una mano, la attirò su una poltrona ch'erapresso il suo letto. "Mio Dio! Sono ben disgraziata!"esclamò essa; "da sei mesi sono qui senza l'ombra di unadistrazione; voi arrivate, la vostra presenza prometteva diessere per me una compagnia deliziosa, ed ecco che,secondo ogni possibilità, dovrò lasciare il convento da unmomento all'altro!" "Come!" disse Milady; "doveteandarvene?" "Per lo meno lo spero!" disse la novizia conun'espressione di gioia che non cercava minimamente didissimulare. "Mi pare di aver capito che avete sofferto percolpa del Cardinale" continuò la viaggiatrice; "sarebbe unmotivo di più di simpatia tra noi." "La buona madre mi hadunque detto la verità; anche voi siete una vittima di quelcattivo Cardinale?" "Zitta!" disse Milady "anche qui nonconviene parlare così di quell'uomo; tutte le mie disgraziehanno avuto origine dall'aver detto su per giù ciò che avetedetto or ora alla presenza di una donna che credevo amicamia, e che mi ha tradita. Siete anche voi la vittima di untradimento?" "No" disse la novizia "sono vittima della miafedeltà a una donna che amavo e alla quale avrei fatto efarei dono della vita." "E che vi ha abbandonato, è così?""Sono stata abbastanza ingiusta da crederlo, ma da tre oquattro giorni ho la prova del contrario e ne ringrazio Dio;

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mi sarebbe costato troppo pensare che mi avevadimenticata. Ma voi, signora" continuò la novizia "misembrate libera e, che se voleste fuggire, dipenderebbesolo da voi." "Dove volete che vada? Non ho amici, non hodenaro e sono in una regione di Francia che non conosco,nella quale non ero mai venuta." "Oh!" esclamò la novizia"quanto ad amici, ne troverete dovunque andiate; sietetanto bella e sembrate così buona!" "Il che non toglie"riprese Milady addolcendo il suo sorriso in modo da dargliun'espressione angelica "che io sia sola e perseguitata.""Ascoltate" disse la novizia "bisogna sempre sperarenell'aiuto del cielo; viene un giorno in cui il bene che si èfatto perora la nostra causa davanti a Dio e, guardate,forse è stata una fortuna per voi conoscermi, giacché perquanto umile e priva di potere io sia, se uscirò di qui avròcerto qualche amico potente che, dopo aver combattutoper me, potrà combattere per voi." "Quando dico che sonosola" disse Milady che sperava, parlando dei casi suoi, difar parlare la novizia "non è perché non abbia anch'ioqualche conoscenza altolocata, ma il fatto è che questeconoscenze tremano anch'esse di fronte al Cardinale: laRegina stessa non osa tenere testa al terribile ministro; hola prova che Sua Maestà, nonostante il suo buon cuore, hadovuto più d'una volta abbandonare alla collera di SuaEminenza quelli che l'avevano fedelmente servita.""Credetemi, signora, la Regina può aver avuto l'aria diavere abbondanti i suoi fedeli; ma non bisogna fidarsi delleapparenze: più i suoi amici sono perseguitati, più laRegina pensa a loro; e spesso, quando meno ci pensano,

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essi hanno la prova del suo buon ricordo." "Ebbene locredo!" sospirò Milady "la Regina è tanto buona!" "Ah, voila conoscete dunque, questa bella e nobile Regina poichéne parlate così!" esclamò con entusiasmo la novizia."Cioè" riprese Milady messa con le spalle al muro "non hol'onore di conoscerla personalmente; ma conosco molti delsuoi amici più intimi: conosco il signor di Putange; hoconosciuto in Inghilterra il signor Dujard, conosco il signordi Tréville." "Il signor di Tréville!" esclamò la novizia "voiconoscete il signor di Tréville?" "Sì, benissimo, anzi molto.""Il capitano dei moschettieri del Re?" "Oh! vedrete che trapoco scopriremo di essere già note l'una all'altra, quasidelle vecchie amiche. Se conoscete il signor di Tréville,sarete andata in casa sua?" "Spesso" affermò Milady, che,messasi per questa via e accorgendosi che la menzognadava buoni frutti; voleva andare sino in fondo. "In casa suaavrete visto qualcuno dei suoi moschettieri?" "Tutti quelliche egli riceve abitualmente" continuò Milady per la qualequesta conversazione veniva acquistando un realeinteresse. "Nominatene qualcuno di quelli che conoscete evedrete che saranno amici miei." "Ma" disse Milady conimbarazzo "conosco il signor di Souvigny, il signor deCourtivron, il signor de Férussac." La novizia la lasciò dire;poi, vedendo che non continuava, domandò: "Nonconoscete un gentiluomo che si chiama Athos?" Miladydivenne pallida come le lenzuola fra le quali riposava, e,per quanto padrona di se stessa ella fosse, non potéreprimere un grido e afferrò la mano della sua interlocutricedivorandola con gli occhi. "Che avete? Mio Dio!" domandò

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la povera donna. "Ho detto qualche cosa che vi abbiaoffeso?" "No, ma questo nome mi ha colpito perchéanch'io ho conosciuto questo gentiluomo e mi sembrastrano di trovare qualcuno che lo conosce molto." "Oh! sì,molto, molto! e non lui solo, ma anche i suoi amici; i signoriPorthos e Aramis." "In verità, conosco anche loro!"esclamò Milady che sentì il freddo penetrarle fino al cuore."Ebbene, se li conoscete, dovete sapere che sono buoni eleali compagni; perché, se avete bisogno di aiuto, non virivolgete a loro?" "Il fatto è che" disse balbettando Milady"io non ho un vero legame con nessuno di essi; li conoscoper averne sentito molto parlare da uno dei loro amici, ilsignor d'Artagnan." "Conoscete il signor d'Artagnan!"esclamò la novizia, afferrando, a sua volta, una mano diMilady. Poi notando la strana espressione dello sguardo diMilady: "Scusate, signora" disse "in che modo loconoscete?" "Ma…" rispose con imbarazzo Milady "comeamico…" "No, voi m'ingannate, signora" disse la novizia"voi siete stata la sua amante." "Voi, voi siete stata la suaamante" esclamò a sua volta Milady. "Io?" "Sì, voi; ora viriconosco: siete la signora Bonacieux." La giovaneindietreggiò meravigliata e impaurita. "Non negate,rispondetemi" riprese Milady. "Ebbene, sì, signora io loamo" disse la novizia. "Siamo forse rivali?" Il viso di Miladysi illuminò d'un fuoco talmente selvaggio che, in tutt'altracircostanza, la signora Bonacieux sarebbe fuggitaspaventata, ma in quel momento essa era tutta gelosia."Suvvia, ditemi, signora" riprese la signora Bonacieux conun'energia della quale la si sarebbe creduta incapace

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"siete o non siete stata la sua amante?" "Oh, no" esclamòMilady con un accento che non ammetteva dubbi sulla suaperfetta sincerità "Mai! Mai!" "Vi credo" disse la signoraBonacieux. "Ma perché dunque avete gridato così?""Come, non capite?" disse Milady che si era già rimessadal suo turbamento e aveva ripreso il dominio di sé."Come posso capire se non so nulla?" "Non capite che ilsignor d'Artagnan, essendo mio amico, mi aveva presa perconfidente?" "Davvero!" "Non capite che so tutto, il vostrorapimento nella piccola casetta di Saint-Germain, la suadisperazione, quella dei suoi amici e le loro inutili ricerche.E come volete che non mi meravigli quando, senzaaspettarmelo, mi trovo di fronte a voi, di voi della qualeabbiamo parlato tanto spesso insieme, di voi ch'egli amacon tutte le forze dell'anima, di voi ch'egli mi aveva fattoamare prima ancora che vi conoscessi? Ah! mia caraCostanza, vi ho dunque trovata, finalmente!" E Milady tesele braccia alla signora Bonacieux che ormai persuasa daciò che essa le aveva detto, non vide più in quella donnache un momento prima aveva creduta sua rivale, se nonun'amica sincera e devota. "Oh! perdonatemi.perdonatemi!" esclamò abbandonandosi sulla sua spalla."L'amo tanto!" Le due donne rimasero per un attimoallacciate, e certamente se le forze di Milady fossero statepari al suo odio, la signora Bonacieux non sarebbe uscitaviva da quell'abbraccio. Ma, non potendo soffocarla, ellasorrise e disse: "Cara! bella e cara piccola! come sonofelice di vedervi! Lasciate che vi guardi!" E dicendo questeparole, essa la divorava effettivamente con lo sguardo. "Sì,

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siete proprio voi! Da ciò che egli mi ha detto, vi riconosco,vi riconosco benissimo." La povera giovane non potevacerto immaginare ciò che accadeva di spaventosamentecrudele dietro lo schermo di quella fronte pura, dietroquegli occhi tanto brillanti nei quali non leggeva chel'interesse e la compassione. "Allora sapete ciò che hosofferto" disse la signora Bonacieux "poiché egli vi hadetto che soffriva. Ma soffrire per lui era una gioia!" Miladyripeté macchinalmente: Oh, si, una gioia!" Ella pensava adaltro. La signora Bonacieux continuò: "Ma ormai il miosupplizio sta per finire; domani, questa sera forse, lorivedrò, e allora il passato non esisterà più." "Questa sera?Domani?" esclamò Milady strappata al suo fantasticare daqueste parole. "Che volete dire? Aspettate sue notizie?""Aspetto lui." "Lui! d'Artagnan, qui?" "Proprio lui!" "Ma èimpossibile! Egli è all'assedio di La Rochelle colCardinale, non tornerà a Parigi se non a guerra finita.""Così credete, ma c'è forse qualche cosa d'impossibile peril mio d'Artagnan, il nobile e leale gentiluomo?" "Non possocredervi." "Ebbene, leggete questo" disse la disgraziatagiovane, e accecata dalla gioia e dall'orgoglio, porse unfoglio a Milady. "La scrittura della signora di Chevreuse"disse Milady a se stessa. "Ero certa che c'era qualcheintrigo da questa parte!" E lesse avidamente queste pocherighe: "Mia cara bambina, state pronta; il nostro amico vivedrà prestissimo, e vi vedrà per togliervi dalla prigione incui doveste nascondervi per la vostra sicurezza personale:preparatevi dunque alla partenza e non perdete mai lasperanza in noi. "Il nostro delizioso Guascone si è mostrato

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ancora una volta valoroso e fedele come sempre: ditegliche qualcuno gli è riconoscentissimo del consiglio ch'egliha dato." "La lettera è chiara" affermò Milady "ma sapetedi che consiglio si tratta?" "No. Ma penso ch'egli abbiaavvertito la Regina di qualche nuovo tradimento delCardinale." "Sì, è così senza dubbio" disse Miladyrestituendo la lettera a Costanza e lasciando cadere latesta pensierosa sul petto. In quel momento si udì ilgaloppo di un cavallo. "Oh!" esclamò la signora Bonacieuxprecipitandosi alla finestra. "Possibile che sia già lui?"Milady era rimasta nel suo letto pietrificata dalla sorpresa,tante cose inaspettate le giungevano addosso l'una dopol'altra, che per la prima volta la sua testa non reggeva allosforzo. "Lui! Lui!" mormorò "che sia proprio lui?" "Ahimè,no!" disse la signora Bonacieux; "è un uomo che nonconosco, ma che mi ha l'aria di venir qui; sì, ha rallentato lacorsa, si è fermato al portone, suona." Milady saltò giù dalletto. "Siete sicura che non è lui?" disse. "Oh, sicurissima!""Forse avrete visto male…" "Oh, se vedessi solamente lapiuma del suo cappello, un lembo del suo mantello, loriconoscerei!" Milady si vestiva. "Non importa! Dite chequell'uomo viene qui?" Sì, è già entrato." "Sarà venuto perme o per voi." "Come sembrate agitata, Dio mio!" "Sì, loconfesso, non sono tranquilla come voi, ho paura delCardinale." "Silenzio!" disse la signora Bonacieux "vienequalcuno." Infatti la porta si aprì ed entrò la superiora."Siete voi che arrivate da Boulogne?" domandò a Milady."Sì, sono io" rispose questa cercando di ritrovare il propriosangue freddo. "Chi mi vuole?" "Un uomo che non vuole

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dire il suo nome, ma che viene da parte del Cardinale." "Evuole parlarmi?" domandò Milady. "Vuol parlare allasignora arrivata da Boulogne." "Allora fatelo entrare,signora, ve ne prego." "Oh! Dio mio! Dio mio!" esclamò lasignora Bonacieux. "Non si tratterà di qualche cattivanotizia?" "Lo temo." "Vi lascio con questo sconosciuto, ma,se permettete, tornerò non appena se ne sarà andato.""Ma certo. Ve ne prego." La superiora e la signoraBonacieux uscirono. Milady rimase sola, con gli occhi fissisulla porta; un istante dopo, un rumore di speroni risonòper le scale, poi dei passi si avvicinarono, la porta si aprì eun uomo apparve sulla soglia. Milady dette in un grido digioia: quell'uomo era il conte di Rochefort, l'anima dannatadi Sua Eminenza.

Capitolo 62 DUE SPECIE DI DEMONI

"Ah!" esclamarono insieme Rochefort e Milady "siete voi!""Sì, sono io." "E da dove arrivate?" domandò Milady. "DaLa Rochelle, e voi?" "Dall'Inghilterra." "Buckingham?""Morto o ferito pericolosamente. Mentre stavo per partiresenza aver potuto ottenere nulla da lui, un fanatico lo haassassinato." "Ah!" fece Rochefort con un sorriso "eccouna felice combinazione! Sua Eminenza ne saràcontentissima! L'avete avvertita?" "Gli ho scritto daBoulogne. Ma voi come siete qui?" "Sua Eminenza,preoccupata, mi ha mandato alla vostra ricerca." "Sono

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arrivata soltanto ieri." "E che avete fatto da ieri?" "Non hoperso il mio tempo." "Oh! non ne dubito." "Sapete chi hoincontrato qui?" "No!" "Indovinate." "Come volete chepossa indovinare?…" "Quella giovane che la Regina hafatto uscire di prigione." "L'amante del piccolod'Artagnan?" "Sì, la signora Bonacieux che lo stessoCardinale non sapeva dove fosse." "Ebbene" disseRochefort "ecco una combinazione che può fare il paio conl'altra; monsignor Cardinale è veramente un uomoprivilegiato!" "Immaginate la mia meraviglia" continuòMilady "allorché mi sono trovata a faccia a faccia conquella donna." "Ma ella sa chi siete?" "No." "Allora viconsidera come un'estranea?" Milady sorrise. "Sono la suamigliore amica!" "Parola d'onore" disse Rochefort "non cisiete che voi, mia cara contessa, per fare di questimiracoli!" "Ed è stata una fortuna, cavaliere" disse Milady"perché sapete che cosa sta per accadere?" "No.""Domani o dopo domani verranno a prenderla per ordinedella Regina." "Davvero? E chi?" "D'Artagnan e i suoiamici." "In verità, ne faranno tante che saremo costretti ametterli alla Bastiglia." "Perché non è già stato fatto?" "Chevolete, il Cardinale ha una debolezza che non mi spiego,per quegli uomini." "Davvero?" "Sì." "Ebbene, Rochefort,ditegli questo; che quei quattro uomini ascoltarono lanostra conversazione all'albergo del Colombo rosso; ditegliche dopo ch'egli se ne fu andato, uno di loro è salito incamera mia e mi ha strappato a forza il salvacondottoch'egli mi aveva dato; ditegli che essi avevano avvertitolord Winter del mio arrivo in Inghilterra; che anche questa

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volta la mia missione stava per fallire per colpa loro, cosìcome fallì quella dei fermagli di diamanti; ditegli che in queiquattro uomini due solamente sono da temersi: d'Artagnane Athos; ditegli che il terzo, Aramis, è l'amante dellasignora di Chevreuse, e che questo conviene lasciarlovivere: sappiamo il suo segreto e può esserci utile; ilquarto poi, Porthos, è uno sciocco, fatuo e ingenuo, di cuinon c'è da preoccuparsi." "Ma quei quattro uominidebbono essere attualmente all'assedio di La Rochelle.""Lo credevo come voi; ma una lettera che la signoraBonacieux ha ricevuta dalla signora di Chevreuse e che haavuta l'imprudenza di farmi vedere, mi induce a credereche, al contrario, quei quattro uomini sono in strada pervenire a rapirla." "Diavolo! Che si fa?" "Che vi ha detto perme il Cardinale?" "Di ritirare i vostri dispacci scritti overbali, di tornare con la posta, e che quando saprà ciò cheavete fatto, deciderà su ciò che dovete fare." "Allora debborestare qui?" domandò Milady "Qui o nei dintorni." "Nonpotete condurmi con voi?" "No, l'ordine è formale; nellevicinanze del campo, potreste essere riconosciuta, e la vostra presenza, lo capite, comprometterebbe SuaEminenza, soprattutto dopo ciò che è accaduto laggiù. Aogni modo, ditemi sin da ora dove attenderete gli ordini delCardinale, affinché io sappia sempre dove trovarvi.""Sentite, è probabile che io non possa restar qui.""Perché?" "Dimenticate che i miei nemici possono arrivareda un momento all'altro?" "E' vero; ma allora quelladonnetta sfuggirà a Sua Eminenza?" "Evvia!" disse Miladycon un sorriso che apparteneva a lei sola; "voi dimenticate

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che sono la sua migliore amica?" "Ah! è vero; posso quindidire al Cardinale che per quanto riguarda questa donna…""Può stare tranquillo." "Nient'altro?" "Capirà ciò che vogliodire." "Lo indovinerà. Ma ora, vediamo che cosa debbofare." "Ripartirete immediatamente; mi sembra che lenotizie che porterete con voi mettano il conto di affrettarsi.""La mia carrozza si è rotta all'entrata di Lilliers.""Benissimo!" "Come, benissimo?" "Sì, perché io hobisogno della vostra carrozza." "E come ripartirò?" "Aspron battuto." "Fate presto a dirlo; ma si tratta dicentottanta leghe." "Che cosa sono?" "Va bene, le farò. Edopo?" "Dopo, passando da Lilliers mi manderete lavostra carrozza con l'ordine al vostro domestico, di restarea mia disposizione." "Bene." "Avrete certamente con voiqualche ordine del Cardinale?" "Ho i pieni poteri." "Fatelivedere alla badessa e ditele che qualcuno verrà aprendermi, oggi o domani, e che dovrò seguire la personache si presenterà a vostro nome." "Benissimo!" "Nondimenticate di parlare di me con severità, quando parlatecon la superiora." "A quale scopo?" "Io sono una vittimadel Cardinale. Bisogna pure che ispiri fiducia alla povera,piccola Bonacieux." "Giustissimo. E ora volete farmi unrapporto di tutto quanto è successo?" "Ma vi ho giàraccontato gli avvenimenti; voi avete buona memoria,ripetete le cose come ve le ho dette; una carta puòperdersi." "Avete ragione; solamente ditemi dove viritroverò, per evitarmi di dover battere inutilmente tutti idintorni." "E' vero. Aspettate." "Volete una carta?""Conosco benissimo il paese." "Voi? Ma quando ci siete

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stata?" "Ci sono stata allevata." "Davvero?" "Davvero.Come vedete, serve sempre a qualche cosa essere statiallevati in qualche luogo." "E mi aspetterete a…?""Lasciatemi riflettere un attimo; ecco, aspettatemi adArmentières." "Che cos'è Armentières?" "Una cittadinasulla Lys; non avrò che da attraversare ii fiume, per esserein paese straniero." "Benissimo! Ma resta inteso: nonattraverserete il fiume che in caso di pericolo." "S'intende.""E in tal caso come farò a sapere dove siete?" "Avetebisogno del vostro domestico?" "No." "E' un uomo fidato?""Fidatissimo." "Lasciatemelo; nessuno lo conosce, lolascerò nel posto che abbandonerò ed egli vi condurràdove sono." "Dunque mi aspetterete ad Armentières?" "AdArmentières" rispose Milady. "Scrivetemi questo nome suun pezzo di carta, per tema che lo dimentichi; un nome dicittà non è compromettente, è vero?" "E chi lo sa? Ma nonimporta" disse Milady scrivendo il nome sopra un mezzofoglio di carta "mi comprometto." "Bene" disse Rochefortprendendo il foglio dalle mani di Milady e mettendolodentro la fodera del suo cappello "d'altronde statetranquilla, farò come i ragazzi: durante il viaggio ripeteròcontinuamente il nome nel caso perdessi il foglio. E ora,c'è altro?" "Mi pare di no." "Ricapitoliamo: Buckinghammorto o gravemente ferito; la vostra conversazione colCardinale udita dai quattro moschettieri; lord Winterprevenuto del vostro arrivo a Portsmouth; d'Artagnan eAthos alla Bastiglia; Aramis, amante della signora diChevreuse; Porthos, uno sciocco; la signora Bonacieuxritrovata; mandarvi la carrozza al più presto possibile;

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mettere a vostra disposizione il mio servitore perché labadessa non abbia sospetti, parlare di voi come di unavittima del Cardinale; Armentières in riva al fiume Lys. Vabene?" "In verità, mio caro cavaliere, siete un prodigio dimemoria. A proposito, aggiungete una cosa…" "Quale?""Ho visto dei magnifici boschi che debbono confinare colgiardino del convento; dite che mi è permessopasseggiare in quei boschi; chissà? Forse potrò averbisogno di uscire da una porta posteriore." "Voi pensate atutto." "E voi dimenticate una cosa…" "Quale?" "Dichiedermi se ho bisogno di denaro." "Giustissimo. Quantovolete?" "Tutto l'oro di cui potete disporre." "Ho circacinquecento pistole." "Ne ho altrettante: con mille pistole sipuò far fronte a tutto; vuotate le tasche." "Ecco fatto,contessa." "Bene, mio caro conte. E quando partite?" "Traun'ora; il tempo di mangiare un boccone mentre mando acercare un cavallo di posta." "Benissimo! Addio,cavaliere!" "Addio, contessa." "Raccomandatemi alCardinale" disse Milady. "Raccomandatemi a Satana"rispose Rochefort. Milady e Rochefort scambiarono unsorriso e si separarono. Un'ora dopo, Rochefort partì digran galoppo; cinque ore dopo passava da Arras. I nostrilettori sanno già come fosse riconosciuto da d'Artagnan ecome questo riconoscimento, facendo nascere dei timorinell'animo dei quattro moschettieri, li inducesse adaffrettare il loro viaggio.

Capitolo 63 UNA GOCCIA D'ACQUA

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Appena uscito Rochefort, entrò la signora Bonacieux chetrovò Milady col viso sorridente. "Ebbene" domandò lagiovane donna. E' avvenuto quello che temevate? Questasera o domani, il Cardinale manderà a prendervi?" "Chi vel'ha detto, bimba cara?" domandò Milady. "L'ho udito dallabocca dello stesso messaggero." "Venite a sedervi qui,vicino a me" disse Milady. "Eccomi." "Aspettate che miaccerti se nessuno ci ascolta." "Perché tante precauzioni?""Lo saprete." Milady si alzò, andò alla porta, l'aprì, guardònel corridoio e tornò a sedersi vicino alla signoraBonacieux. "Allora" disse "ha recitato bene la sua parte?""Chi?" "L'uomo che si è presentato alla badessa comel'inviato del Cardinale." "Recitava dunque una commedia?""Sì, figliuola mia." "Quell'uomo non è quindi…""Quell'uomo" disse Milady abbassando la voce "è miofratello!" "Vostro fratello!" esclamò la signora Bonacieux."Voi sola siete a parte di questo segreto, bimba mia; e selo confidaste a chicchessia sarei perduta e forse anchevoi." "Oh, mio Dio!" "Ascoltate, ecco ciò che è successo:mio fratello, che veniva in mio aiuto per portarmi via con laforza, se era necessario, ha incontrato l'emissario delCardinale che veniva a cercarmi e lo ha seguito. "Arrivati aun punto della strada solitaria e fuori mano, ha posto manoalla spada e ha ordinato al messaggero di consegnargli lecarte di cui era latore; il messaggero volle difendersi, e miofratello l'uccise." "Oh!" esclamò la signora Bonacieux,fremendo. "Non cera altro mezzo, pensateci. Allora mio

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fratello ha pensato di sostituire l'astuzia alla forza: ha presole carte, si è presentato qui come se fosse l'emissario delCardinale, e fra un'ora o due una carrozza verrà aprendermi per ordine di Sua Eminenza." "Capisco, questacarrozza vi sarà inviata da vostro fratello." "Proprio così;ma non è tutto: quella lettera che voi avete ricevuto e checredete della signora di Chevreuse…" "Ebbene?…" "E'falsa." "Ma come?" "Sì, falsa: è una trappola perché nonfacciate resistenza quando si verrà a prendervi." "Ma coluiche deve venire è d'Artagnan." "Disingannatevi, d'Artagnane i suoi amici sono trattenuti all'assedio di La Rochelle.""Come lo sapete?" "Mio fratello ha incontrato degliemissari del Cardinale, travestiti da moschettieri. Costorovi avrebbero chiamata alla porta, voi avreste creduto che sitrattasse di amici, li avreste seguiti, ed essi vi avrebberoricondotta a Parigi." "Oh, mio Dio! la mia testa si confondein questo caos di nequizie. Sento che se ciò dovessedurare" continuò la signora Bonacieux portando le manialla fronte "diventerei pazza." "Aspettate…" "Che cosa?""Sento il passo di un cavallo, è quello di mio fratello cheriparte; voglio dargli un ultimo saluto, venite." Milady aprì lafinestra e fece segno alla signora Bonacieux di affacciarsicon lei. La giovane l'assecondò. Rochefort passò algaloppo. "Addio, fratello!" gridò Milady. Il cavaliere alzò ilcapo, vide le due giovani donne e, senza fermarsi, fece aMilady un cenno amichevole con la mano. "Quel bravoGiorgio" disse Milady rinchiudendo la finestra con un visoche esprimeva l'affetto e la malinconia. Poi tornò a sedereal suo posto, come se fosse immersa in profonde

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riflessioni affatto personali. "Cara signora" disse la signoraBonacieux "perdonatemi se v'interrompo! ma che cosa miconsigliate di fare. Mio Dio! Voi avete più esperienza dime; parlate, vi ascolto." "Per cominciare" disse Milady"può darsi ch'io m'inganni e che d'Artagnan e i suoi amicivengano veramente in vostro aiuto." "Oh! sarebbe statotroppo bello!" esclamò la signora Bonacieux. "Tanta felicitànon è per me!" "Allora voi capite che tutto si ridurrebbe auna questione di tempo, a una specie di gara a chi arrivaprimo. Se i vostri amici superano in rapidità i satelliti delCardinale, siete salva; se avviene il contrario, sieteperduta." "Oh, sì; perduta e senza misericordia! Chedebbo dunque fare?" "Ci sarebbe un mezzosemplicissimo, naturale…" "Quale? Ditemelo." "Aspettarenascosta nelle vicinanze e vedere chi siano gli uomini cheverranno a cercarvi." "Ma dove potrei aspettare?" "Oh, nonin ciò è la difficoltà; io stessa mi fermerò a qualche lega diqui, aspettando che mio fratello venga a raggiungermi.Ebbene, vi porto con me, ci nasconderemo e aspetteremoinsieme." "Ma non mi sarà permesso di partire, qui iosono quasi prigioniera." "Poiché si crederà che io partoper ordine del Cardinale. Nessuno potrà pensare cheabbiate molta fretta di seguirmi." "E poi?" "E poi, lacarrozza è alla porta, voi mi dite addio, salite sul predellinoe mi stringete nelle vostre braccia per l'ultima volta; il servodi mio fratello, che viene a prendermi, è avvisato, fa unsegno al postiglione e noi partiamo al galoppo." "Mad'Artagnan, d'Artagnan, se arriva?" "Lo sapremo.""Come?" "Niente di più facile. Noi rimandiamo a Béthune il

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servo di mio fratello, del quale, come vi ho detto, cipossiamo fidare; egli cambia d'abito e prende alloggio difronte al convento: se quelli che arrivano sono gli emissaridel Cardinale, non si muove, se sono d'Artagnan e i suoiamici, li guida dove noi siamo." "Ma li conosce?""Certamente, non ha forse visto d'Artagnan in casa mia?""Oh, si, sì, avete ragione; così tutto va bene, tutto è per ilmeglio; ma non allontaniamoci troppo da qui." "Sette o ottoleghe, al più; ci sistemeremo sulla frontiera francese, peresempio, e al primo allarme usciamo dalla Francia." "Mafino a quel momento, che fare?" "Aspettare." "Ma seintanto arrivano?" "La carrozza di mio fratello arriveràprima di loro." "E se quando verranno a prendervi io saròlontana da voi, a pranzo o a cena, per esempio?" "Fateuna cosa." "Quale?" "Dite alla vostra buona superiora che,per lasciarmi il meno possibile, le chiedete il permesso dimangiare in mia compagnia." "Lo permetterà?" "Cheimpedimento volete che ci sia?" "Benissimo, in questomodo non ci lasceremo più." "Ebbene, scendete da lei perfare la vostra domanda. Io mi sento la testa pesante, vadoa fare un giro in giardino." "Andate; ma dove vi ritroverò?""Qui, fra un'ora." "Qui, fra un'ora. Oh! Voi siete buona e iovi ringrazio." "Come potrei non interessarmi a voi?Quand'anche non foste così bella e graziosa, non sieteforse l'amica d'uno dei miei migliori amici?" "Carod'Artagnan, quanto vi sarà grato!" "Lo spero. Ma ora chetutto è deciso, scendiamo." "Andate in giardino?" "Sì.""Percorrete questo corridoio, scendete una scaletta e cisarete." "Benissimo, grazie." E le due donne si lasciarono

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scambiando un delizioso sorriso. Milady aveva detto ilvero, aveva la testa pesante, perché i suoi progetti, nonancora ordinati, vi si urtavano come in un caos. Avevabisogno di essere sola per mettere ordine nei suoipensieri. Essa vedeva vagamente nell'avvenire, ma leerano necessari un po' di silenzio e di quiete per dare atutte le sue idee, ancora confuse, una forma distintasistemandole in un piano coerente. Per il momento, ciò chepiù urgeva era di portar via la signora Bonacieux e dichiuderla in un luogo sicuro, per usarne, in caso di bisogno,come di un ostaggio. Milady cominciava a temere laconclusione di questo terribile duello, nel quale i suoinemici mettevano tanta perseveranza quant'eral'accanimento che vi metteva lei. D'altronde, così come sisente giungere l'uragano, ella sentiva che questaconclusione era prossima e che non poteva non essereterribile. La cosa principale, come abbiamo detto, era perlei di aver fra le mani la signora Bonacieux. La signoraBonacieux era la vita di d'Artagnan, più della sua vita, forseera la vita della donna che amava; era, in caso didisgrazia, un mezzo per trattare e per ottenere senzadubbio buone condizioni. Ciò era ormai certo; la signoraBonacieux l'avrebbe seguita senza diffidare e una voltach'esse si fossero nascoste ad Armentières, era facilefarle credere che d'Artagnan non era stato visto a Béthune.Fra quindici giorni al massimo, Rochefort sarebbe stato diritorno; e durante questi quindici giorni ella avrebbepensato a ciò che le convenisse fare per vendicarsi deiquattro amici. Non si sarebbe annoiata, grazie a Dio,

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perché avrebbe avuto il già dolce passatempo che glieventi possono accordare a una donna del suo carattere:una buona vendetta da perfezionare. Pur essendo tuttapresa dai suoi pensieri, Milady si guardava intorno efissava nella sua mente la topografia del giardino. Essaera come un buon generale, che prevede nello stessotempo la vittoria e la sconfitta, ed è pronto, a seconda dellevicissitudini della battaglia, ad avanzare o a battere inritirata. In capo a un'ora, udì una dolce voce che lachiamava: era la signora Bonacieux. La buona badessaaveva naturalmente acconsentito a tutte le richieste e, percominciare, avrebbero cenato assieme. Giunte nel cortilesentirono il rumore di una carrozza che si fermava allaporta. "Sentite?" disse Milady. "Sì, il rumore di una vettura.""E' quella che mi manda mio fratello. "Oh, Dio mio!""Suvvia, un po' di coraggio!" Qualcuno suonò alla porta delconvento. Milady non si era ingannata. "Salite in cameravostra" disse alla signora Bonacieux "avrete pure qualchegioiello che vorrete portare con voi." "Ho le sue lettere!""Ebbene, andate a prenderle e venite a raggiungermi incamera mia; ceneremo in fretta, forse dovremo viaggiarebuona parte della notte, e dobbiamo essere forti." "Diomio" disse la signora Bonacieux mettendosi una mano sulpetto "il cuore mi soffoca, non posso camminare.""Coraggio, suvvia, coraggio! Pensate che fra un quartod'ora sarete salva e pensate che ciò che state per fare, lofate per lui!" "Oh, sì, tutto per lui! Con queste sole parole miavete ridato coraggio; andate, sarò subito da voi." Miladysalì di corsa in camera sua, vi trovò il domestico di

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Rochefort e gli dette gli ordini necessari. Egli dovevaaspettare alla porta; e se, per combinazione, i moschettierifossero arrivati, doveva partire al galoppo con la vettura,fare il giro del convento e andar ad attendere Milady in unvillaggetto ch'era dall'altra parte del bosco. In questo caso,Milady avrebbe attraversato il giardino e raggiunto a piediil villaggio; lo abbiamo detto, ella conosceva benissimoquella parte della Francia. Se i moschettieri non fosserocomparsi, tutto si sarebbe svolto come era stato deciso: lasignora Bonacieux sarebbe salita in carrozza col pretestodi salutarla, e Milady avrebbe rapito la signora Bonacieux.La signora Bonacieux entrò, e per toglierle ogni sospetto,semmai ne avesse, Milady ripeté davanti a lei al servitoretutta l'ultima parte delle sue istruzioni. Milady fece qualchedomanda sulla carrozza: era tirata da tre cavalli, guidati daun postiglione; il servitore di Rochefort doveva precederlacome corriere, la poveretta era troppo pura perimmaginare tanta perfidia in un'altra donna; d'altra parte ilnome della contessa di Winter, che aveva sentitopronunziare dalla badessa le era del tutto ignoto ed ellanon sospettava certo che quella creatura avesse avutotanta parte nelle sciagure della sua vita. "Come vedete"disse Milady dopo che il servo fu uscito "tutto è pronto. Labadessa non ha sospetti e crede che si sia venuti aprendermi per ordine del Cardinale. Quell'uomo sta dandogli ultimi ordini; prendete il puro necessario, bevete un ditodi vino e partiamo." "Sì, partiamo" disse macchinalmentela signora Bonacieux. Milady le fece segno di sedersi difronte a lei, le versò un piccolo bicchiere di vin di Spagna e

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le servì un poco di petto di pollo. "Vedete un po' se tuttonon ci è propizio" le disse "ecco che scende la notte; eall'alba saremo arrivate nel nostro rifugio dove nessuno ciscoverà. Coraggio dunque e mangiate qualche cosa." Lasignora Bonacieux mangiò macchinalmente qualcheboccone e si inumidì le labbra nel suo bicchiere. "Suvvia,dunque" la incitò Milady avvicinando il suo alle labbra "fatecome me." Ma nel momento in cui lo avvicinava alla bocca,la sua mano restò sospesa a mezz'aria; aveva udito sullastrada come il rombo di una galoppata lontana che siavvicinasse, poi, quasi contemporaneamente, le parve diudire un nitrito di cavalli. Questo rumore la strappò alla suagioia come un rumore di uragano ci risveglia a metà di unbel sogno; impallidì e corse alla finestra, mentre la signoraBonacieux si levava tremando e si appoggiava alla sediaper non cadere. Non si vedeva ancora niente, ma si sentivail rumore del galoppo che si avvicinava. "Oh, mio Dio!"disse la signora Bonacieux "che cos'è questo rumore?""Sono i nostri amici o i nostri nemici" disse col suo terribilesangue freddo Milady. "Restate dove siete; vi dirò di che sitratta." La signora Bonacieux rimase in piedi, muta,immobile e pallida come una statua. Il rumore aumentava, icavalli non potevano essere lontani più di centocinquantapassi; se non si vedevano ancora era perché la stradafaceva un gomito. Ad ogni modo, il rumore diventava cosìdistinto che sarebbe stato possibile contare i cavalli dalritmo scandito dei loro zoccoli. Milady guardava con tutta laforza della sua attenzione, c'era abbastanza luce perchépotesse riconoscere coloro che stavano per arrivare. A un

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tratto, alla svolta della strada, vide splendere i cappelligallonati e ondeggiare le piume; contò prima due, poicinque, poi otto cavalieri, uno precedeva gli altri di duelunghezze di cavallo. Milady gettò un ruggito soffocato;nell'uomo che stava in testa alla cavalcata avevariconosciuto d'Artagnan. "Oh, mio Dio! mio Dio!" esclamòla signora Bonacieux. "Che c'è?" "E' l'uniforme delleguardie del Cardinale, non c'è un minuto da perdere.Fuggiamo! Fuggiamo!" "Sì, sì, fuggiamo!" ripeté la signoraBonacieux senza poter fare un passo, inchiodata dallospavento al suo posto. Si udirono i cavalieri passare sottola finestra. "Venite dunque, venite!" gridava Miladycercando di trascinare la giovane donna per le braccia."Grazie al giardino, possiamo fuggire ancora, ho la chiave;ma spicciamoci: fra cinque minuti sarà troppo tardi." Lasignora Bonacieux cercò di camminare, ma fece due passie cadde in ginocchio. Milady tentò di alzarla e ditrasportarla, ma non poté venirne a capo. In quel momentosi udì il rumore della vettura che, alla vista dei moschettieri,partiva al galoppo. Poi risuonarono tre o quattro colpi dipistola. "Un'ultima volta, volete venire?" esclamò Milady."Oh, mio Dio, mio Dio! Vedete bene che le forze miabbandonano; vedete bene che non posso camminare;fuggite sola." "Fuggire sola! Lasciarvi qui! Questo mai!"esclamò Milady. A un tratto, un livido lampo passò nei suoiocchi: con un balzo, come smarrita, corse alla tavola eversò nel bicchiere della signora Bonacieux il contenuto diun castone d'anello che aprì con una singolare prontezza.Era un grano rossiccio che subito si sciolse. Poi prese con

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una mano sicura il bicchiere e, porgendolo alla poveretta,disse: "Bevete, questo vino vi ridarà forza, bevete." Eavvicinò il bicchiere alle labbra della giovane donna chebevette macchinalmente. "Ah! non era così che volevovendicarmi" mormorò Milady posando, con un sorrisoinfernale, il bicchiere sulla tavola; "in fede mia, si fa quelche si può." E si slanciò fuori della camera. La signoraBonacieux la guardò fuggire senza poterla seguire; essaera nella condizione di chi sogna d'essere inseguito e nonpuò muovere un passo. Passò qualche minuto; si udivapicchiare furiosamente alla porta. A ogni istante la signoraBonacieux si aspettava di vedere ricomparire Milady cheinvece non compariva. Certo per il terrore che la dominava,la sua fronte ardente era bagnata a tratti da un freddosudore. Infine sentì stridere i cancelli che venivano aperti;un rumore di stivali e di speroni risuonò sulle scale; c'era ungrande mormorio di voci che si avvicinavano e in mezzo alquale le parve di sentir pronunciare il suo nome. A un trattoessa gettò un grido e si precipitò verso la porta; avevariconosciuta la voce di d'Artagnan. "D'Artagnan!d'Artagnan!" esclamò. "Siete voi? Da questa parte, daquesta parte." "Costanza! Costanza!" rispose il giovanotto."Dove siete, dove siete, mio Dio?" Nello stesso momento,la porta della cella si aprì o, meglio, cedette a un urto;parecchi uomini si precipitarono nella camera; la signoraBonacieux si era lasciata cadere su una poltrona senzapoter fare un movimento. D'Artagnan gettò una pistolaancora fumante che stringeva nel pugno e cadde inginocchio ai piedi della sua amante; Athos rimise la sua

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alla cintura; Porthos ed Aramis, che avevano le spade inmano, le ringuainarono. "Ah, d'Artagnan, mio adoratod'Artagnan! finalmente sei venuto, non mi avevi ingannato,sei proprio tu." "Siamo finalmente riuniti, Costanza mia!""Oh! Ella aveva un bel dire che non saresti venuto, masegretamente io speravo; non son voluta fuggire: come hofatto bene, come sono felice!" Alla parola 'ella' Athos, chesi era seduto tranquillamente, si levò di scatto. "Ella? Ellachi?" domandò d'Artagnan. "La mia compagna, quella che,per amicizia verso di me, voleva sottrarmi ai mieipersecutori; quella che è fuggita or ora perché vi avevascambiati per guardie del Cardinale." "La vostracompagna!" esclamò d'Artagnan, diventando più biancodel bianco velo della sua amante "di che compagna voletedunque parlare?" "Di quella di cui c'era la vettura alla porta,di una donna che dice d'essere amica vostra, di una donnaalla quale avete raccontato tutto." "Il suo nome, il suonome!" gridò d'Artagnan; "Dio mio! Non sapete dunque ilsuo nome?" "Sì, esso è stato pronunciato dinanzi a me;aspettate… è strano.Oh, mio Dio! La mia testa siconfonde, non ci vedo più." "Correte, amici, correte! Le suemani sono gelate!" esclamò d'Artagnan "ella sta male!Gran Dio! sviene!" Mentre Porthos chiamava aiuto contutta la potenza della sua voce, Aramis corse alla tavola perprendere un bicchier d'acqua, ma si fermò vedendol'orribile alterazione del viso di Athos; egli era in piedidavanti alla tavola, coi capelli irti, gli occhi sbarrati per lostupore; fissava uno dei bicchieri e sembrava in preda alpiù orribile dei dubbi. "Oh, no" diceva Athos "no, non è

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possibile! Dio non permetterebbe un simile delitto!" "Unpo' d'acqua! Un po' d'acqua!" gridò d'Artagnan. "Poveradonna, povera donna!" mormorava Athos con vocespezzata. La signora Bonacieux riapri gli occhi sotto i bacidi d'Artagnan. "Ritorna in sé!" esclamò il giovanotto. "Oh,mio Dio, mio Dio, ti ringrazio!" "Signora" disse Athos"signora, in nome del cielo, di chi è questo bicchierevuoto?" "Mio, signore…" rispose la giovane con vocemorente. "Ma chi vi ha versato il vino che era in questobicchiere?" "Lei." "Ma chi dunque lei?" "Ah! me ne ricordo"disse la signora Bonacieux "la contessa di Winter…" Iquattro uomini dettero in un solo grido, ma quello di Athosdominò quello di tutti gli altri. In quel momento il viso dellasignora Bonacieux diventò livido, un sordo dolore l'atterrò,ella cadde ansimante fra le braccia di Porthos e di Aramis.D'Artagnan afferrò le mani di Athos con un'angosciaindescrivibile. "Come? Tu credi…" La voce gli si spense inun singhiozzo. "Credo tutto" rispose Athos mordendosi asangue le labbra. "D'Artagnan, d'Artagnan!" esclamò lasignora Bonacieux "dove sei? Non abbandonarmi, vedibene che sto per morire." D'Artagnan lasciò le mani diAthos che stringeva ancora nelle sue contratte e corse alei. Il suo viso così bello era tutto sconvolto, gli occhi vitreinon avevano già più sguardo, un tremito convulso agitava ilsuo corpo, la sua fronte era bagnata di sudore. "In nomedel cielo, correte, chiamate! Porthos, Aramis, chiedeteaiuto!" "E' inutile" disse Athos "per il veleno ch'ella versanon ci sono contravveleni." "Sì, sì, aiutatemi! aiutatemi!"mormorò la signora Bonacieux "aiutatemi!" Poi,

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chiamando a raccolta tutte le sue forze, prese la testa delgiovanotto tra le mani, lo guardò per un attimo come setutta la sua anima fosse passata nei suoi sguardi e, con ungrido singhiozzante, appoggiò le sue labbra su quelle di lui."Costanza! Costanza!" esclamò d'Artagnan. Un sospirosfuggì dalla bocca della signora Bonacieux, sfiorandoquella di d'Artagnan; questo sospiro era quell'anima cosìcasta e amorosa che risaliva al cielo. D'Artagnan stringevatra le braccia un cadavere. Il giovanotto gettò un grido ecadde accanto all'amante, pallido e gelato come lei.Porthos pianse, Aramis mostrò i pugni al cielo e Athos sifece il segno della croce. In quel momento, un uomoapparve sulla porta, pallido quasi come quelli che eranonella camera; si guardò intorno e vide la signora Bonacieuxmorta e d'Artagnan svenuto. Egli appariva proprio in quelmomento di stupore che segue le grandi catastrofi. "Nonm'ero ingannato" disse "questi è il signor d'Artagnan e voisiete i suoi tre amici, Athos, Porthos e Aramis." Coloro icui nomi erano stati pronunciati guardarono con meraviglialo sconosciuto; pareva a tutti e tre di riconoscerlo. "Signori"riprese il nuovo venuto "voi, come me, cercate una donnache" aggiunse con un sorriso terribile "deve esserecertamente passata di qui, poiché vedo un cadavere!" I treamici non dissero parola, soltanto la voce come il visoricordavano loro un uomo già visto; tuttavia non riuscivanoa ricordarsi in quali circostanze. "Signori" continuò lostraniero "poiché voi non volete riconoscere un uomo cheprobabilmente vi deve due volte la vita, bisognerà pure chevi dica il mio nome: sono lord Winter, il cognato di quella

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donna." I moschettieri gettarono un grido di sorpresa.Athos si alzò e gli tese la mano. "Siate il benvenuto, milord"disse "voi siete dei nostri." "Sono partito da Portsmouth"disse lord Winter "cinque ore dopo di lei; sono arrivato aBoulogne tre ore dopo il suo arrivo, a Saint-Omer miprecedeva di soli venti minuti; infine a Lilliers persi la suatraccia. Andavo a caso, chiedendo indicazioni a tutti,allorché vi scorsi passare di galoppo e riconobbi il signord'Artagnan. "Vi chiamai, ma non mi rispondeste; volliseguirvi, ma il mio cavallo era troppo stanco per reggereall'andatura dei vostri. Eppure, nonostante la vostrasollecitudine, sembra che anche voi siate arrivati troppotardi!" "Come vedete!" disse Athos indicando a lord Winterla signora Bonacieux morta e d'Artagnan che Porthos eAramis cercavano di richiamare in vita. "Sono dunquemorti tutti e due?" domandò freddamente lord Winter. "No,per fortuna" rispose Athos "d'Artagnan non è che svenuto.""Ah! Tanto meglio!" esclamò Winter. Infatti, in quelmomento d'Artagnan riaprì gli occhi. Si svincolò dallebraccia dei suoi amici e si gettò come un pazzo sul corpodell'amante. Athos si alzò, mosse con passo lento esolenne verso il suo amico, lo abbracciò teneramente e,siccome questi scoppiò in singhiozzi, gli disse con la suavoce così dolce e persuasiva: "Amico, sii uomo: le donnepiangono i loro morti, ma gli uomini li vendicano." "Oh!, sì"disse d'Artagnan. "Se è per vendicarla, sono pronto aseguirti." Athos approfittò di quel momento di energia chela speranza della vendetta restituiva al suo povero amicoper far cenno a Porthos e ad Aramis di andar a cercar la

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superiora. I due amici l'incontrarono nel corridoio ancoratutta turbata e tutta smarrita per tanti e sì terribiliavvenimenti; essa chiamò alcune suore, che, contro ogniconsuetudine monastica, si trovarono in presenza di cinqueuomini. "Signora" disse Athos passando il braccio did'Artagnan sotto il suo "lasciamo alle vostre cure pietose ilcorpo di questa disgraziata donna. Ella fu un angelo sullaterra prima di esserlo in cielo. Trattatela come una dellevostre sorelle, un giorno torneremo a pregare sulla suatomba." D'Artagnan nascose il volto sul petto di Athos escoppiò in singhiozzi. "Piangi, piangi" mormorò Athos"cuore pieno d'amore, di giovinezza e di vita! Ahimè!Vorrei anch'io piangete come te!" E trascinò via l'amico,affettuoso come un padre, consolatore come un prete, econ la grandezza di un uomo che ha molto sofferto. Tutti ecinque, seguiti dai servi che tenevano i cavalli alla briglia,si diressero verso la città di Béthune della quale siscorgeva il sobborgo e si fermarono al primo albergo cheincontrarono. "Ma non inseguiamo quella donna?"domandò d'Artagnan. "Più tardi" rispose Athos "debboprendere certe precauzioni." "Essa ci sfuggirà" ribatté ilgiovanotto "ci sfuggirà, Athos, e sarà per colpa tua." "Iorispondo di lei" disse Athos. D'Artagnan aveva una talefiducia nella parola del suo amico che abbassò la testa edentrò nell'albergo senza aggiungere sillaba. Porthos eAramis si scambiarono un'occhiata perché non capivanonulla della sicurezza di Athos. Lord Winter credette cheavesse parlato così per addormentare il dolore did'Artagnan. "E ora, signori" disse Athos quando si fu

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assicurato che nell'albergo c'erano cinque cameredisponibili "ritiriamoci ciascuno nella nostra stanza;d'Artagnan ha bisogno di essere solo per piangere e voiper dormire. Io m'incarico di tutto, state tranquilli." "Misembra tuttavia che se si deve prendere qualche misuracontro la contessa, la cosa riguardi me" disse Winter "èmia cognata." "Ma è anche mia moglie!" ribatté Athos.D'Artagnan trasalì, poiché comprese ch'era sicuro dellavendetta, visto che svelava un simile segreto; Porthos eAramis si guardarono impallidendo; lord Winter pensò cheAthos fosse impazzito. "Andate dunque ognuno nelle vostrestanze" disse Athos "e lasciatemi fare. Vedete bene che,nella mia qualità di marito, la cosa riguarda me. Soltanto,d'Artagnan, se non l'avete perso, datemi quel foglio che èsfuggito dal cappello di quell'uomo e sul quale era scritto ilnome della città." "Ah, ora capisco " disse d'Artagnan"scritto dalla sua mano…" "Vedi bene" disse Athos "chec'è un Dio in cielo!"

Capitolo 64 L'UOMO DAL MANTELLO ROSSO

La disperazione di Athos aveva ceduto il posto a un doloreconcentrato, che rendeva più lucide le brillanti facoltà delsuo spirito. Tutto preso da un solo pensiero, quello dellapromessa che aveva fatto e della responsabilità che si eraassunto, egli si chiuse per ultimo in camera sua, pregòl'oste di fornirgli una carta della provincia, si curvò su di

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essa, interrogò le linee tracciate, riconobbe che quattrodifferenti strade andavano da Béthune a Armentières echiamò i domestici. Planchet, Grimaud, Mousqueton eBazin si presentarono e ricevettero ordini chiari. Dovevanopartire il giorno allo spuntare dell'alba e recarsi adArmentières, ciascuno per una strada differente. Planchet,che era il più intelligente dei quattro, doveva seguire quellaper cui era sparita la vettura sulla quale i moschettieriavevano sparato e che era scortata, come il lettorericorderà, dal domestico di Rochefort. Athos metteva inazione i domestici prima di chiunque altro, perché daquando questi uomini erano entrati al servizio suo e deisuoi amici, egli aveva notato come ciascuno di essipossedesse qualità diverse ed essenziali. Inoltre, uno o piùdomestici che chiedono indicazioni ispirano ai passantimeno diffidenza dei loro padroni e trovano più simpatie incoloro ai quali si rivolgono. Infine Milady conosceva ipadroni e non conosceva i servi, i quali, al contrario,conoscevano Milady. Tutti e quattro dovevano trovarsiriuniti il giorno dopo alle undici nel luogo stabilito; seavevano scoperto il nascondiglio di Milady, tre sarebberorestati a sorvegliarlo e il quarto sarebbe tornato a Béthuneper avvertire Athos e servire da guida ai quattro amici. Ciòstabilito, i servi salutarono e uscirono. Allora Athos si alzò,cinse la spada, si avviluppò nel mantello e uscì dall'albergo;erano circa le dieci. Alle dieci di sera, si sa, le strade diprovincia sono poco frequentate; ma Athos cercavaevidentemente qualcuno al quale potesse rivolgere unadomanda. Incontrò finalmente un passante attardato, gli si

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avvicinò e gli disse qualche parola; l'uomo indietreggiò conterrore, tuttavia rispose al moschettiere dandogli unaindicazione. Athos offrì allo sconosciuto mezza pistolaperché lo accompagnasse, ma quello rifiutò. Athos preserisolutamente la via che l'informatore gli aveva indicata, maarrivato a un crocicchio si arrestò di nuovo, visibilmenteimbarazzato. Però, poiché il crocevia gli offriva più diqualunque altro luogo la possibilità di incontrare qualcuno,si fermò lì. Dopo un attimo, infatti, passò una guardianotturna. Athos gli ripeté la stessa domanda che aveva giàfatta alla prima persona incontrata; la guardia notturnamanifestò lo stesso terrore e rifiutò anch'essa diaccompagnare Athos, limitandosi a indicargli con la manola strada che doveva percorrere. Athos andò nelladirezione indicata e raggiunse il sobborgo situatoall'estremità opposta a quella dal quale era entrato in cittàcoi suoi compagni. Qui si fermò una volta ancora, incerto eimbarazzato. Per fortuna un mendicante gli si avvicinò e glichiese l'elemosina. Athos gli offrì uno scudo perché loconducesse dove egli doveva andare; il mendicante esitòun poco, poi, vedendo brillare nell'oscurità la monetad'argento, si decise e si mise in cammino precedendoAthos. Arrivato all'angolo di una strada, gli indicò di lontanouna casetta isolata, triste e solitaria; il moschettiere siavviò a quella volta, mentre il mendicante che avevaricevuto il suo salario se la dava a gambe. Athos fece ilgiro della casetta prima di scoprire la porta nell'uniformecolor rossastro di cui l'edificio era dipinto: nessuna lucefiltrava dalle fessure delle imposte, nessun rumore faceva

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supporre che quel luogo fosse abitato; esso era cupo emuto come una tomba. Il moschettiere picchiò tre voltesenza che nessuno gli rispondesse. Al terzo colpo, però, sisentì nell'interno un passo che si avvicinava e finalmente laporta si aprì e apparve sulla soglia un uomo alto, pallido,coi capelli e la barba neri. Athos scambiò con lui qualcheparola sottovoce, poi l'uomo dall'alta statura fece un cennoal moschettiere perché entrasse. Athos non se lo fece diredue volte, e la porta si rinchiuse dietro di loro. L'uomo cheAthos era venuto a cercare tanto lontano e che avevatrovato con tanta difficoltà, lo fece entrare nel suolaboratorio dove era occupato a unire con fili di ferro leossa di uno scheletro. Questo era quasi completo; solo latesta era posata sopra una tavola. Tutt'intorno eranooggetti che indicavano chiaramente che il padrone di casasi occupava di scienze naturali: vi erano boccali pieni diserpenti, catalogati secondo la specie; lucertoledisseccate rilucevano come smeraldi sfaccettati entrograndi cornici di legno nero; infine, fasci d'erbe selvaticheodorose, senza dubbio dotate di virtù sconosciute agliuomini comuni, erano attaccati al soffitto e pendevano negliangoli della camera. Non c'era indizio, in quel luogo, né difamiglia, né di servitori; l'uomo dall'alta statura abitava dasolo. Athos gettò un'occhiata fredda e indifferente su tuttigli oggetti che abbiamo descritto e, invitato da colui ch'eravenuto a cercare, sedette accanto a lui. Allora gli spiegò lacausa della sua visita ed il servizio che desiderava da lui;ma non appena ebbe finito di parlare, lo sconosciuto,ch'era rimasto in piedi di fronte al moschettiere,

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indietreggiò terrorizzato e rifiutò il servizio richiesto. AlloraAthos trasse di tasca una carta sulla quale erano tracciatedue righe accompagnate da una firma e da un sigillo e lamostrò a colui che aveva dato troppo prematuramente queisegni di ripugnanza. L'uomo dall'alta statura, non appenaebbe lette le due righe, vista la firma e riconosciuto ilsigillo, s'inchinò come a dire che non aveva più nessunaobiezione da fare e ch'era pronto a obbedire. Athos nonchiese di più; si alzò, salutò, uscì, e rifacendo la stradapercorsa, rientrò all'albergo e si chiuse in camera sua.All'alba d'Artagnan era da lui per chiedergli che cosaintendesse fare. "Attendere" rispose Athos. Qualchemomento dopo, la superiora del convento fece avvertire imoschettieri che a mezzogiorno avrebbero avuto luogo ifunerali della vittima. Quanto all'avvelenatrice, non siavevano notizie di lei, ma si supponeva che fosse fuggitaattraverso il giardino sulla sabbia del quale erano statericonosciute le impronte dei suoi passi, e di cui si eratrovata la porta chiusa; quanto alla chiave, essa erascomparsa. All'ora indicata, lord Winter e i quattro amici sirecarono al convento; le campane suonavano a distesa, lacappella era aperta, la grata del coro era chiusa. In mezzoal coro era esposto il corpo della vittima nel suo abito danovizia. Ai due lati del coro e dietro le grate che si aprivanosul convento, era adunata tutta la comunità delleCarmelitane, che ascoltavano il servizio divino e univano illoro canto a quello dei sacerdoti, senza vedere i profani enon viste da loro. Alla porta della cappella, d'Artagnan sentìsfuggirgli nuovamente il coraggio; si volse cercando Athos,

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ma Athos era sparito. Fedele alla sua missionevendicatrice, Athos s'era fatto condurre in giardino; e qui,seguendo i passi leggeri di quella donna, che ovunque erapassata aveva lasciata una traccia sanguinosa, arrivò allaporta che dava sul bosco, se la fece aprire e penetròrisolutamente nella foresta. Allora tutti i suoi dubbidivennero certezza; la strada per cui la carrozza erascomparsa girava intorno al bosco. Athos seguì quellastrada per qualche tempo con gli occhi fissi al suolo;leggere macchie di sangue proveniente da una ferita fattaall'uomo che accompagnava la carrozza come corriere o auno dei cavalli costellavano il terreno. Dopo circa tre quartidi lega, a cinquanta passi da Festubert, apparve unamacchia di sangue più grande delle altre; il terreno eracalpestato dai cavalli. Fra la foresta e quel punto rivelatore,al di qua del terreno calpestato, riapparivano le tracce deipiccoli piedi, uguali a quelle del giardino; la vettura si erafermata. In quel punto, Milady era uscita dal bosco ed erasalita sulla carrozza. Soddisfatto di questa scoperta checonfermava tutti i suoi sospetti, Athos tornò all'albergo e vitrovò Planchet che lo aspettava impazientemente. Tutto eraandato come Athos aveva previsto. Planchet aveva seguitola strada, aveva come Athos notato le tracce di sangue,come Athos, aveva riconosciuto il posto dove i cavalli sierano fermati, ma si era spinto più in là di Athos, di modoche al villaggio di Festubert, bevendo in un albergo, aveva,senza bisogno di far domande, saputo che il giorno prima,alle otto e mezzo di sera, un uomo ferito, cheaccompagnava una signora che viaggiava in sedia di

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posta, era stato costretto a fermarsi perché non potevaproseguire. L'incidente era stato attribuito ai ladri chepareva avessero arrestato la carrozza. L'uomo era rimastonel villaggio, la donna aveva cambiato i cavalli e continuatola sua strada. Planchet si mise in cerca del postiglione cheaveva condotto la carrozza e lo trovò. Egli aveva condottola signora fino a Fromelles da dove era partita perArmentières. Planchet prese una via traversa, e alle settedel mattino era ad Armentières. Non c'era che un soloalbergo, quello della Posta. Planchet si presentò come undomestico disoccupato in cerca di servizio Non avevaparlato più di dieci minuti col personale dell'albergo, e giàsapeva che una donna sola era arrivata alle undici di sera,aveva presa una camera, aveva fatto chiamare il padronee gli aveva detto che desiderava abitare per qualchetempo nei dintorni. Planchet non aveva bisogno di sapernedi più. Era corso al luogo di riunione, vi aveva trovati i treservitori che aveva posti di sentinella a tutte le uscitedell'albergo ed era corso da Athos, il quale finiva diascoltare le informazioni di Planchet quando i suoi amicirientrarono. Tutti i volti erano cupi e contratti, persino ildolce viso di Aramis. "Che c'è da fare?" domandòd'Artagnan. "Aspettare" rispose Athos. Ognuno si ritirò incamera sua. Alle otto di sera Athos ordinò di sellare icavalli e fece avvertire lord Winter e i suoi amici perché sipreparassero per la spedizione. In un attimo tutti furonopronti; ciascuno esaminò le proprie armi e le mise inordine. Athos discese per primo e trovò d'Artagnan già acavallo che si spazientiva. "Pazienza" gli disse "manca

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ancora qualcuno." I quattro cavalieri si guardarono intornomeravigliati, perché si chiedevano inutilmente chi potessemancare. In quel momento Planchet fece avanzare ilcavallo di Athos, il moschettiere saltò leggermente in sella."Aspettatemi" disse "torno subito." E partì di galoppo. Unquarto d'ora dopo era effettivamente di ritorno incompagnia di un uomo mascherato e avvolto in un mantellorosso. Lord Winter e i tre moschettieri s'interrogarono congli occhi; ma nessuno seppe dare una spiegazione aglialtri, perché tutti ignoravano chi fosse quell'uomo. Tuttaviapensarono che ciò doveva rientrare nei piani, visto che lacosa era stata fatta per ordine di Athos. Alle nove, guidatada Planchet, il piccolo gruppo si mise in strada prendendola via che aveva percorso la vettura. Era triste vedere queisei uomini che correvano silenziosamente, immersiciascuno nei suoi tristi pensieri, tetri come la disperazione,cupi come il castigo.

Capitolo 65 IL GIUDIZIO

Era una notte buia e tempestosa, grosse nubi correvano incielo velando la luce delle stelle; la luna non si sarebbealzata che a mezzanotte. Talvolta, alla luce di un lampo chesolcava l'orizzonte, si scorgeva la strada che si svolgevabianca e solitaria; poi, spentosi il lampo, tutto rientrava nelbuio. A ogni istante Athos invitava d'Artagnan, che erasempre in testa alla comitiva, a riprendere il suo posto che,

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un attimo dopo, egli abbandonava di nuovo. D'Artagnannon aveva che un pensiero: andare avanti, e andava.Attraversarono in silenzio il villaggio di Festubert, dove erarimasto il domestico ferito, poi costeggiarono il bosco diRichebourg; arrivati a Herliers, Planchet, che guidavasempre la colonna, voltò a sinistra. Molte volte, lord Winter,Porthos o Aramis avevano tentato di rivolgere la parolaall'uomo dal mantello rosso, ma a ogni domanda che gliera stata rivolta, egli si era inchinato senza rispondere. Iviaggiatori avevano allora capito che c'era qualche motivoche imponeva allo sconosciuto di serbare il silenzio, eavevano smesso di rivolgergli la parola. D'altra partel'uragano si avvicinava, i lampi si succedevanorapidamente, il tuono cominciava a rumoreggiare e il vento,precursore della tempesta, soffiava sulla pianura, agitandole piume dei cavalieri. Il gruppo allungò il trotto. Un po'dopo Fromelles, l'uragano scoppiò; furono srotolati imantelli; rimanevano ancora tre leghe da fare, e furonofatte sotto torrenti di pioggia. D'Artagnan s'era tolto il feltroe non aveva indossato il mantello; egli provava piacere alasciar scorrere l'acqua sulla sua fronte bruciante e sul suocorpo agitato da brividi di febbre. Non appena i viaggiatoriebbero passato Goskal e quando stavano per arrivare allaposta, un uomo riparato sotto un albero si staccò dal troncodietro il quale era rimasto confuso nell'oscurità, e si avanzòsino in mezzo alla strada, mettendosi un dito sulle labbra.Athos riconobbe Grimaud. "Che c'è?" domandòd'Artagnan. "Ha forse lasciato Armentières?" Grimaudfece, con la testa, un segno affermativo. D'Artagnan

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digrignò i denti. "Silenzio, d'Artagnan!" impose Athos "iomi sono incaricato di tutto; spetta dunque a me interrogareGrimaud." "Dov'è?" chiese poi al servo. Grimaud stese lamano in direzione della Lys. "Lontano di qui?" domandòAthos. Grimaud fece vedere al padrone il suo indiceripiegato. "Sola?" domandò Athos. Grimaud accennò di sì."Signori" disse Athos "ella è sola a mezza lega da qui, indirezione del fiume." "Bene" disse d'Artagnan "guidaci,Grimaud." Grimaud prese attraverso i campi e fece daguida alla cavalcata. Dopo circa cinquecento passitrovarono un ruscello che fu passato a guado. Alla luce diun lampo scorsero il villaggio di Erquinhem. "E' là?"domandò d'Artagnan. Grimaud scosse il capo in atto didiniego. "Silenzio dunque" disse Athos. E il drappellocontinuò il cammino. Un altro lampo illuminò il cielo;Grimaud stese il braccio, e, al bagliore turchiniccio delserpente di fuoco, si scorse una casetta isolata, sulla rivadel fiume, a cento passi dalla chiatta del traghettatore. Unafinestra era illuminata. "Ci siamo" disse Athos. In quelmentre un uomo coricato in fondo a un fosso, si alzò; eraMousqueton che, indicando col dito la finestra illuminata,disse: "E' là." "E Bazin?" domandò Athos. "Mentre io stavodi guardia alla finestra, egli stava di guardia alla porta.""Bene" disse Athos "siete tutti dei fedeli servitori." Athossaltò a terra, dette le briglie del suo cavallo a Grimaud e siavanzò verso la finestra, dopo aver fatto cenno agli altri digirare dal lato della porta. La casetta era circondata da unasiepe viva, alta due o tre piedi. Athos saltò la siepe e sispinse fin sotto la finestra che non aveva persiane, ma le

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cui mezze tendine erano accuratamente tirate. Allora salìsul davanzale di pietra affinché il suo occhio potessesorpassare l'altezza delle tende. Alla luce di una lampadavide una donna, avviluppata in un mantello di colore cupo,seduta su uno sgabello, accanto a un fuoco morente; i suoigomiti posavano su un brutto tavolo, ed essa appoggiavala testa alle mani bianche come l'avorio. Non si potevadistinguere il suo viso, ma un sorriso sinistro sfiorò lelabbra di Athos; non c'era possibilità di ingannarsi: eracolei che cercava. In quel momento un cavallo nitrì: Miladylevò il capo, vide, incollato ai vetri, il pallido viso di Athos egettò un grido. Athos capì d'essere stato riconosciuto,spinse l'impannata col ginocchio e con la mano; la finestracedette, i vetri si spezzarono, e Athos, simile allo spettrodella vendetta, saltò nella camera. Milady corse alla porta el'aprì: più pallido e più minaccioso di Athos d'Artagnan erasulla soglia. Milady indietreggiò gettando un grido.D'Artagnan, temendo che ella avesse qualche via discampo e che potesse fuggire, levò una pistola dallacintura, ma Athos alzò una mano. "Rimetti a postoquell'arma, d'Artagnan" disse "non si può dire che questadonna sia stata assassinata. Aspetta ancora un attimo,d'Artagnan, e sarai soddisfatto. Entrate, signori."D'Artagnan obbedì, perché Athos aveva il gesto e la vocesolenne di un giudice inviato da Dio. Così, dietrod'Artagnan, entrarono Porthos, Aramis, lord Winter el'uomo dal mantello rosso. I quattro servitori rimasero aguardia della porta e della inestra. Milady era ricadutasulla sedia, con le mani tese come per scongiurare quella

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terribile apparizione; scorgendo il cognato, gettò un gridoterribile. "Che cosa cercate?" esclamò Milady."Cerchiamo" rispose Athos "Anna di Breuil che si chiamòdapprima contessa di La Fére, poi lady di Winter,baronessa di Sheffield." "Sono io" mormorò la donna alcolmo del terrore; "che volete da me?" "Vogliamogiudicarvi in base ai vostri delitti" disse Athos "voi saretelibera di difendervi; giustificatevi, se lo potete. D'Artagnan,a voi l'accusarla per primo." D'Artagnan si fece avanti."Davanti a Dio e davanti agli uomini" disse "accuso questadonna di aver avvelenato Costanza Bonacieux, morta ierisera." Si volse verso Porthos e Aramis, ed essi a una voceesclamarono: "Lo confermiamo." D'Artagnan continuò:"Davanti a Dio e davanti agli uomini, accuso questa donnadi aver cercato d'avvelenarmi con vino mandatomi daVilleroy con una falsa lettera, come se il vino mi fosse statospedito da amici; il Signore mi salvò, ma un uomo morì invece mia, un uomo che si chiamava Brisemont." "Loconfermiamo" dissero all'unisono Porthos eAramis."Davanti a Dio e davanti agli uomini, accusoquesta donna di avermi spinto ad assassinare il barone diWardes e, siccome nessuno qui può attestare la verità diquesta accusa, l'attesto io, come ho detto." E d'Artagnanandò dall'altro lato della camera insieme con Porthos edAramis. "A voi, milord" disse Athos. Il barone si avvicinò asua volta. "Davanti a Dio e davanti agli uomini" disse"accuso questa donna di aver fatto assassinare il duca diBuckingham." "Il duca di Buckingham assassinato!"esclamarono tutti i presenti con un grido. "Sì, assassinato"

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ripeté il barone. "Dopo ricevuto la lettera d'avviso che miavevate scritta, feci arrestare questa donna; avevoincaricato di vigilare su di lei un leale servitore; ella hacorrotto quest'uomo, gli ha messo in mano il pugnale, gli hafatto uccidere il duca, e forse in questo momento Feltonsconta con la sua testa il delitto di questa furia." Un fremitoinvase i giudici alla rivelazione di questi delitti ancoraignoti. "Ma non è tutto" ripigliò lord Winter; "mio fratello, chevi aveva nominata sua erede universale, è morto in tre ore,di una strana malattia che lascia su tutto il corpo dellemacchie livide. Sorella mia, com'è morto vostro marito?""E' orribile!" esclamarono Porthos e Aramis. "Assassina diBuckingham, assassina di Felton, assassina di miofratello, io chiedo giustizia contro di voi, e dichiaro che, segiustizia non sarà fatta, la farò da me." E lord Winter preseposto vicino a d'Artagnan, cedendo il posto a un altroaccusatore. Milady lasciò cadere la fronte tra le mani ecercò di riordinare le idee confuse da una vertiginemortale. "A la mia volta" disse Athos, tremando anch'eglicome trema un leone alla vista di un serpente "è la miavolta. Sposai questa donna quand'era giovinetta, la sposaicontro la volontà di tutta la mia famiglia; le detti le miericchezze, le detti il mio nome; ma un giorno mi accorsi chequesta donna era infamata, marcata con un fiordaliso sullaspalla sinistra." "Oh!" disse Milady alzandosi "sfidochiunque a ritrovare colui che ha eseguito questasentenza." "Silenzio" disse una voce. "A questo spetta ame rispondere." E l'uomo dal mantello rosso si avanzò asua volta. "Chi è quell'uomo? Chi è quell'uomo?" urlò

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Milady soffocata dal terrore; e i suoi capelli si sciolseroguizzando come se fossero vivi. Gli occhi dei presenti sivolsero verso quell'uomo, perché egli era sconosciuto atutti, tranne che ad Athos. Ma lo stesso Athos lo guardavacon una stupefazione non diversa da quella degli altri;infatti, neppur lui era in grado d'immaginare come eglipotesse essere immischiato nell'orribile dramma che stavasvolgendosi. Dopo essersi avvicinato a Milady con passolento e solenne, di modo che il tavolo solo lo separava dalei, lo sconosciuto si tolse la maschera. Milady osservò perun attimo e con crescente terrore quel viso pallido,inquadrato dai capelli e dai favoriti neri, la cui solaespressione era una glaciale impassibilità, poi,improvvisamente: "Oh, no!" disse alzandosi e arretrandosino alla parete "no, no, è impossibile. Questa èun'apparizione infernale! Non può essere lui! Aiuto, aiuto!"esclamò con voce rauca volgendosi contro il muro, comese sperasse di aprirvisi un passaggio con le mani. "Ma chisiete dunque?" domandarono tutti i testimoni di questascena. "Domandatelo a questa donna" rispose l'uomo dalmantello rosso "perché vedete bene che lei mi hariconosciuto." "Il carnefice di Lilla! Il carnefice di Lilla!"esclamò Milady in preda a un terrore insensato,aggrappandosi alla parete con le mani, per non cadere.Tutti si fecero da parte e l'uomo dal mantello rosso rimasesolo ritto in mezzo alla stanza. "Oh, grazia! grazia!perdono!" supplicò la miserabile cadendo in ginocchio. Losconosciuto aspettò che il silenzio fosse ristabilito eriprese: "Ve lo dicevo che mi aveva riconosciuto! Sì, sono il

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boia di Lilla ed ecco la mia storia!" Tutti gli occhi eranofissi su quell'uomo, di cui i presenti attendevano le parolecon ansiosa avidità. "Questa giovane donna fu in altri tempiuna giovinetta bella quanto è bella ancor oggi. Erareligiosa nel convento delle benedettine di Templemar. Ungiovane prete dal cuore semplice, credente, era curatonella chiesa di quel convento; ella cercò di sedurlo e viriuscì; avrebbe sedotto un santo. "I voti di entrambi eranosacri, irrevocabili; la loro relazione non poteva durare alungo senza perderli tutti e due. Essa ottenne da lui cheabbandonasse il paese; ma per lasciare il paese, perfuggire insieme, per rifugiarsi in un'altra parte della Franciaove fosse loro possibile vivere tranquilli grazie al fattod'esservi sconosciuti, ci voleva del denaro; né l'uno nél'altra ne avevano. "Il prete rubò gli arredi sacri e li vendette;ma, allorché stavano per fuggire insieme, furono arrestati."Otto giorni dopo, ella aveva sedotto il figlio del carceriereed era fuggita. Il giovane prete fu condannato a dieci annidi ferri e al marchio infame. Io ero il carnefice di Lilla, comevi ha detto questa donna. Fui costretto a marchiare ilcolpevole, e il colpevole, signori, era mio fratello! "Giuraiquel giorno che colei che lo aveva perduto, che era più chela sua complice, avrebbe condiviso il suo castigo. Intuiidove poteva essersi nascosta, la inseguii, la raggiunsi, lalegai e le impressi lo stesso marchio che avevo impressonelle carni di mio fratello. "Il giorno dopo, allorché tornai aLilla, mio fratello riuscì anch'egli a fuggire; fui accusato dicomplicità e condannato a restare in carcere finché eglinon si fosse costituito prigioniero. "Il mio povero fratello

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ignorava questa condanna; aveva raggiunto questa donnae insieme erano riparati nel Berry dove egli aveva ottenutouna piccola parrocchia, e dove costei era creduta suasorella. "Il signore della terra su cui sorgeva la chiesa delcurato, vide questa pretesa sorella e se ne innamorò, se neinnamorò al punto che le propose di sposarla. Allora ellaabbandonò colui che aveva rovinato e divenne la contessadi La Fére." Tutti guardarono Athos del quale questo era ilvero nome, ed egli accennò col capo che quanto avevadetto il carnefice era vero. "Allora" riprese quest'ultimo "ilmio povero fratello, quasi impazzito, risoluto a finire unaesistenza alla quale essa aveva tolto tutto, onore e felicità,tornò a Lilla e, venuto a conoscenza della sentenza che miaveva condannato in sua vece, si costituì prigioniero e lasera stessa si impiccò al finestrino della sua cella."D'altronde debbo rendere giustizia a coloro che miavevano condannato: essi mantennero la parola. Nonappena identificato il cadavere, mi misero in libertà. "Eccoil delitto del quale accuso questa donna, ecco la ragioneper cui la marcai." "Signor d'Artagnan" disse Athos "qual èla pena che chiedete contro questa donna?" "La pena dimorte" rispose d'Artagnan. "Milord di Winter" continuòAthos "qual è la pena che chiedete contro questa donna?""La pena di morte" rispose lord Winter. "Signori Porthos eAramis" riprese Athos "voi che siete i suoi giudici, qual è lapena a cui condannate questa donna?" "La pena di morte"risposero con voce sorda i due moschettieri. Milady gettòun grido spaventoso e fece qualche passo verso i suoigiudici trascinandosi sulle ginocchia. Athos tese una mano

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verso di lei. "Anna di Breuil, contessa di La Fére, lady diWinter" disse "i vostri delitti hanno stancato gli uomini sullaterra e Dio in cielo. Se sapete qualche preghiera, ditela,perché la vostra sentenza è stata pronunciata e fra pocomorrete." A queste parole, che non le lasciavano alcunasperanza, Milady si levò in tutta la sua altezza e volle direqualche cosa, ma le forze l'abbandonarono; sentì che unamano forte e implacabile la afferrava per i capelli e latrascinava irrevocabilmente, come la fatalità trascinal'uomo; essa non tentò dunque neppure di resistere e uscìdalla casetta. Lord Winter, d'Artagnan, Athos, Porthos eAramis uscirono dietro di lei. I domestici seguirono i loropadroni e la camera restò vuota e silenziosa con la suafinestra fracassata, la sua porta aperta e la sua lampadafumosa che ardeva tristemente sulla tavola.

Capitolo 66 L'ESECUZIONE

Era quasi la mezzanotte; la luna, dimezzata dalla fasedecrescente e insanguinata dalle ultime traccedell'uragano, sorgeva dietro la cittadina di Armentières chestagliava nella luce livida i profili delle sue case e loscheletro del suo alto campanile traforato a giorno. Difaccia, la Lys trascinava le sue acque, simili a un fiume distagno fuso, mentre sull'altra riva si scorgeva la massanera degli alberi profilarsi su un cielo tempestoso invasoda grosse nuvole color di rame che creavano una specie di

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crepuscolo nel cuor della notte. A sinistra si alzava unvecchio mulino abbandonato, dalle ali immobili tra le rovinedel quale una civetta faceva udire il suo grido acuto,periodico, monotono. Qua e là, nella pianura, a destra e asinistra della strada percorsa dal lugubre corteo, apparivaqualche albero basso e tozzo, simile a un nano deformeacquattato per spiare gli uomini in quell'ora sinistra. Trattotratto, un largo lampo apriva l'orizzonte in tutta la suaampiezza, serpeggiava al disopra della massa nera deglialberi e veniva, come una spaventevole scimitarra, atagliare il cielo e l'acqua in due parti. Non un soffio di ventonell'atmosfera fatta greve. Un silenzio di morte schiacciavatutta la natura; il suolo era umido e viscido per la pioggiacaduta, e le erbe rianimate effondevano il loro profumo conmaggiore energia. Due domestici conducevano Milady,tenendola ciascuno per un braccio; il carnefice venivadietro, e lord Winter, d'Artagnan, Athos, Porthos e Aramisvenivano dietro il carnefice. Planchet e Bazin venivano perultimi. I due servitori conducevano Milady dal lato del fiume.La sua bocca era muta, ma i suoi occhi parlavano con laloro inesprimibile eloquenza, supplicando a volta a voltaciascuno di coloro ch'essa guardava. Trovandosi qualchepasso più avanti del gruppo, essa disse ai domestici:"Mille pistole per ciascuno di voi se proteggete la mia fuga:ma se mi abbandonerete ai vostri padroni, i miei amici,che sono poco lontani di qui, vi faranno pagar cara la miamorte." Grimaud era esitante, Mousqueton tremava in tuttele membra. Athos che aveva sentito la voce di Milady, siavvicinò prontamente e lord Winter lo imitò. "Rimandate

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indietro questi due servitori" disse "ella ha parlato loro, nonsono più sicuri." Furono chiamati Planchet e Bazin, chepresero il posto di Grimaud e di Mousqueton. Quandofurono arrivati alla riva del fiume, il boia si avvicinò a Miladye le legò mani e piedi. Allora essa ruppe il silenzio pergridare: "Siete dei vili, dei miserabili assassini, vi mettetein dieci per sgozzare una donna; badate, se non saròsoccorsa, sarò, vendicata." "Voi non siete una donna"disse freddamente Athos "non appartenete alla specieumana, siete un demonio fuggito dall'inferno nel quale cidisponiamo a farvi rientrare." "Ah! signori uomini virtuosi!"disse Milady "ricordatevi che colui che toccherà un capellodella mia testa sarà anch'egli un assassino." "Il carneficepuò uccidere senza essere per ciò un assassino" dissel'uomo dal mantello rosso, battendo la mano sulla suagrande spada" esso non è che l'ultimo giudice:'Nachrichter', come dicono i nostri vicini tedeschi." Epoiché, mentre pronunciava queste parole, la legavasaldamente, Milady gettò due o tre volte gridi selvaggi chefecero un effetto cupo e strano involandosi nella notte eperdendosi nella profondità del bosco. "Ma se sonocolpevole, se ho commesso i delitti di cui mi accusate"urlava Milady "portatemi dinanzi a un tribunale; voi nonsiete giudici e non potete condannarmi." "Vi avevoproposto Tyburn" disse lord Winter "perché non aveteaccettato?" "Perché non voglio morire!" esclamò Miladydibattendosi "perché sono troppo giovane per morire." "Ladonna che avete avvelenata a Béthune era più giovane divoi, signora, e tuttavia è morta" disse d'Artagnan. "Mi

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chiuderò in un convento, mi farò monaca" continuò Milady."Eravate in un convento" disse il carnefice "e ne uscisteper la rovina di mio fratello." Milady gettò un grido dispavento e cadde in ginocchio. Il carnefice la prese inbraccio e si mosse verso il battello. "Dio mio! Dio mio!"esclamò essa "mi annegherete dunque!" Queste gridaerano così strazianti che d'Artagnan, il quale da principio siera mostrato il più accanito nell'inseguire Milady, si lasciòcadere su un ceppo, e chinò il capo, turandosi le orecchiecon le palme delle mani; nonostante ciò, la sentiva ancoraurlare e minacciare. D'Artagnan era il più giovane di quegliuomini; il cuore gli venne meno. "Oh! io non posso vederequesto spettacolo orrendo! Non posso acconsentire a chequesta donna muoia così!" Milady aveva sentito questepoche parole, e fu ripresa da un barlume di speranza."D'Artagnan, d'Artagnan!" gridò "ricordati che t'ho amato!"Il giovanotto si alzò e fece un passo verso di lei. Ma Athos,bruscamente, snudò la spada e si frappose tra lorodicendo: "Se fai ancora un passo, d'Artagnan, cibatteremo." D'Artagnan cadde in ginocchio e pregò."Suvvia" continuò Athos "carnefice, fa' il tuo dovere.""Volentieri, Monsignore" rispose il carnefice "poiché ècerto, come è certo che sono un buon cattolico, che iocredo d'essere nel giusto compiendo le mie funzioni suquesta donna." "Bene." Athos fece un passo verso Milady."Vi perdono" disse "il male che mi avete fatto, vi perdono ilmio avvenire spezzato, il mio onore perduto, il mio amorecalpestato e la mia salute compromessa dalladisperazione in cui mi avete sprofondato. Morite in pace."

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Lord Winter avanzò a sua volta: "Vi perdono" disse "di averavvelenato mio fratello, di aver fatto assassinare SuaGrazia, Lord Buckingham; vi perdono la morte del poveroFelton, vi perdono i vostri tentativi contro di me. Morite Inpace." "Quanto a me" disse d'Artagnan "perdonatemi,signora, di avere con uno stratagemma indegno d'ungentiluomo provocato la vostra collera, e in cambio viperdono l'assassinio della mia povera amica e le vostrecrudeli vendette tentate a mio danno; vi perdono e piangosu di voi. Morite in pace." "I am lost!" mormorò in ingleseMilady "I must die!"[47] Allora si rialzò senza bisogno diaiuto, gettò attorno a sé uno di quegli sguardi chiari chesembravano scaturire da un occhio di fiamma. Non videnulla. Tese l'orecchio e non udì nulla. Non aveva intorno asé che nemici. "Dove morirò?" disse. "Sull'altra riva"rispose il carnefice. Dopo di che, la fece entrare nellabarca e stava per entrarvi a sua volta, allorché Athos glitese del denaro dicendogli: "A voi, ecco il prezzodell'esecuzione, voglio sia ben chiaro che abbiamo agitoda giudici." "Va bene" rispose il carnefice "ed ora, a suavolta sappia questa donna che io non compio il miomestiere, ma il mio dovere." E gettò il denaro nel fiume. Ilbattello si allontanò verso la riva sinistra della Lys,trasportando insieme la colpevole e il giustiziere; tutti glialtri rimasero sulla riva destra dov'erano caduti inginocchio. Il battello scivolava lentamente lungo la cordadella chiatta sotto il riflesso di una pallida nube che in quelmomento si stendeva al disopra dell'acqua. Fu vistoapprodare sull'altra riva, e i personaggi si stagliavano in

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nero sull'orizzonte rossastro. Durante la traversata Miladyera riuscita a sciogliere la corda che la legava ai piedi,cosicché, non appena il battello toccò la riva, saltòleggermente a terra e si dette alla fuga. Ma il terreno erabagnato e non appena giunse sull'alto della diga, essascivolò e cadde sulle ginocchia. Un'idea superstiziosa leattraversò certamente il cervello: ella capì che il cielo lenegava il proprio soccorso e restò nell'atteggiamento in cuisi trovava, col capo chino e le mani giunte. Allora, dall'altrariva, si vide il carnefice levare lentamente le braccia; unraggio di luna si rifletté sulla lama della sua larga spada, lebraccia ricaddero; si udì il sibilo del ferro e il grido dellavittima, poi una massa inerte si accasciò al suolo. Allora ilboia si tolse il rosso mantello, lo stese a terra, vi coricò ilcorpo della donna e vi gettò la testa, poi annodò i quattrocapi, si caricò sulla spalla il fardello e risalìnell'imbarcazione. Giunto in mezzo alla Lys, fermò la barcae tenendo sospeso sull'acqua il suo fardello: "Lasciatepassare la giustizia di Dio" gridò ad alta voce. E lasciòcadere il cadavere nell'acqua profonda che si richiuse su diesso. Tre giorni dopo, i quattro moschettieri rientravano aParigi; erano restati nei limiti del loro permesso, e, la serastessa andarono a fare la solita visita al signor di Tréville."Ebbene, signori" domandò loro il bravo capitano "vi sietedivertiti nella vostra escursione?" "Straordinariamente"rispose Athos a denti stretti.

Capitolo 67 UN MESSAGGERO DEL CARDINALE

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Il sei del mese seguente, il Re tenne la promessa cheaveva fatta al Cardinale e lasciò Parigi per tornare a LaRochelle, ancora tutto stordito per la notizia che si eradiffusa dell'assassinio di Buckingham. Sebbene fossestata prevenuta che l'uomo che aveva tanto amato era inpericolo, la Regina, quando le venne annunciata questamorte, non volle credere alla triste notizia; ebbe anzil'imprudenza di gridare: "E' falso!" mi ha scritto da poco!Ma il giorno dopo dovette pur credere alla fatale notizia; LaPorte, che come tutti, era stato costretto a rimanere inInghilterra per gli ordini emanati da Carlo Primo, arrivòapportatore dell'ultimo funebre dono che Buckinghammandava alla Regina. La gioia del Re era stata molto viva;egli non si diede neppure la pena di dissimularla; lasciòanzi che erompesse con affettazione in presenza di suamoglie. Luigi Tredicesimo, come tutti i cuori deboli,mancava di generosità. Ben presto, però, il Re ridivennecupo e malato; la sua fronte non era di quelle cherimangono sgombre a lungo; egli sentiva che ritornando alcampo sarebbe ricaduto sotto il dominio del Cardinale etuttavia vi tornava. Il Cardinale era per lui il serpe cheaffascina, ed egli era l'uccello che svolazza di ramo in ramosenza riuscire a sfuggirgli. Cosicché il ritorno verso LaRochelle fu profondamente triste. I nostri quattro amicierano poi soprattutto la meraviglia dei loro compagni;trottavano insieme, fianco a fianco, con la testa bassa e gliocchi cupi. Il solo Athos, di tanto in tanto, rialzava la sua

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larga fronte, un lampo brillava nei suoi occhi, un sorrisoamaro gli sfiorava le labbra, poi, come i suoi camerati, siabbandonava di nuovo alle sue fantasticherie. Non appenala scorta giungeva in qualche città e non appena il Re erastato condotto al suo alloggio, i quattro amici si ritiravano onella propria camera o in qualche osteria fuori mano, dovenon bevevano né giocavano, ma parlavano fra loro,sottovoce, dopo essersi bene accertati che nessuno liascoltasse. Un giorno in cui il Re si era fermato sulla stradaper cacciare la gazza e che i quattro amici, secondo la loroabitudine, erano entrati in una osteria lungo la stradamaestra, un uomo che veniva da La Rochelle a brigliasciolta, si fermò alla porta per bere un bicchiere di vino, edette un'occhiata nell'interno della camera dove sedevano imoschettieri. "Olà, signor d'Artagnan" disse "siete voi chevedo lì in fondo?" D'Artagnan alzò il capo e gettòun'esclamazione di gioia. Quell'uomo, ch'egli chiamava ilsuo fantasma, era lo sconosciuto di Meung, della via deiFossoyeurs e di Arras. D'Artagnan snudò la spada e sislanciò verso la porta. Ma questa volta, invece di fuggire, losconosciuto scese da cavallo, e andò incontro ad'Artagnan. "Ah, signore" disse il giovanotto "vi raggiungofinalmente; questa volta non mi scapperete." "Non ne hoalcuna intenzione, signore, perché questa volta vi cercavo;in nome del Re io vi arresto e vi dico che doveteconsegnarmi la spada, e ciò senza resistenza, signore; neva della vostra testa, ve ne avverto." "Ma chi siete?" chiesed'Artagnan abbassando la spada senza però consegnarla."Sono il cavaliere di Rochefort" rispose lo sconosciuto "lo

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scudiero di Monsignor Cardinale di Richelieu, ho l'ordine dicondurvi da Sua Eminenza." "Torniamo tutti da SuaEminenza, signor cavaliere" disse Athos facendo un passoavanti "e spero che voi accetterete la parola del signord'Artagnan; egli si reca direttamente a La Rochelle.""Debbo consegnarlo alle guardie che lo ricondurranno alcampo." "Noi gli serviremo di guardia, sulla nostra paroladi gentiluomini; ma, sulla nostra parola di gentiluomini, ilsignor d'Artagnan non ci lascerà." Il cavaliere di Rochefortgettò un'occhiata dietro di sé e vide che Porthos e Aramissi erano posti fra la porta e lui; capì di essere del tutto allamercé di quei quattro uomini. "Signori" disse "se il signord'Artagnan vuol consegnarmi la sua spada e unire la suaparola alla vostra, io mi accontenterò della vostrapromessa di condurre il signor d'Artagnan al quartiere diMonsignor Cardinale." "Voi avete la mia parola, signore"disse d'Artagnan "ed eccovi la mia spada." "La cosa mi vatanto più a genio" soggiunse Rochefort "che lo debbocontinuare il mio viaggio." "Se è per raggiungere Milady"disse freddamente Athos "è inutile, non la ritroverete.""Che è accaduto di lei?" domandò con premura Rochefort."Tornate al campo e lo saprete." "Rochefort rimasepensieroso, per un attimo, poi, siccome non c'era che unagiornata per giungere a Surgères dove il Cardinale dovevaincontrarsi col Re, decise di seguire il consiglio di Athos edi tornare con loro. D'altronde, questo ritorno gli offriva ilvantaggio di sorvegliare di persona il prigioniero. Il Re sirimise in viaggio. Il giorno seguente, alle tre pomeridiane,si arrivò a Surgères. Il Cardinale vi aspettava Luigi

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Tredicesimo. Il ministro e il Re si fecero molti reciprocicomplimenti, e si rallegrarono insieme per la felicecombinazione che liberava la Francia dal nemico accanitoche le sollevava contro tutta l'Europa. Dopo di che, ilCardinale, che era stato avvertito da Rochefort ched'Artagnan era stato arrestato e che egli desideravavederlo senza indugio, si congedò dal Re, e invitandolo peril giorno dopo a visitare i lavori della diga ormai compiuta.Alla sera, ritornando al suo quartiere del ponte di La Pierre,il Cardinale trovò, in piedi davanti alla casa ch'egli abitava,d'Artagnan senza spada e i tre moschettieri armati. Questavolta, poiché era seguito dalla sua scorta, egli lo guardòseveramente, e fece cenno a d'Artagnan, con l'occhio econ la mano, di seguirlo. D'Artagnan obbedì. "Noi tiaspetteremo, d'Artagnan" disse Athos a voce abbastanzaforte per essere udito dal Cardinale. Sua Eminenzaaggrottò le sopracciglia, si fermò per un attimo, poicontinuò il suo cammino senza pronunciare parola.D'Artagnan entrò dietro il Cardinale, e Rochefort dietrod'Artagnan; la porta rimase guardata. Sua Eminenza sirecò nella camera che gli serviva da gabinetto e fececenno a Rochefort d'introdurre il giovane moschettiere.Rochefort obbedì e si ritirò. D'Artagnan rimase solo difronte al Cardinale; era il secondo colloquio con Richelieu;più tardi egli doveva confessare di aver pensato chesarebbe stato l'ultimo. Richelieu rimase in piedi,appoggiato al camino; un tavolo stava fra lui e d'Artagnan."Signore" disse il Cardinale "voi siete stato arrestato permio ordine." "Me l'hanno detto, Monsignore." "Ne sapete la

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ragione?" "No, Monsignore, perché la sola cosa per laquale potrei essere arrestato non è ancor nota a VostraEminenza." Richelieu guardò fissamente il giovanotto. "Oh,oh!" disse "che vuol dir ciò?" "Se Monsignore vuol dirmi idelitti di cui sono accusato, gli dirò poi ciò che ho fatto.""Siete accusato di delitti che hanno fatto cadere teste piùalte della vostra, signore" disse il Cardinale. "Quali,Monsignore?" domandò d'Artagnan con una calma chemeravigliò lo stesso Cardinale. "Siete accusato di avertenuto corrispondenza coi nemici del regno, siete accusatodi aver sorpreso dei segreti di Stato, siete accusato diavere cercato di far fallire i piani del vostro generale." "Echi mi accusa di tutto questo, Monsignore?" dissed'Artagnan che intuì che le accuse venivano da Milady."Una donna segnata col marchio d'infamia dalla giustiziadel paese, una donna che ha sposato un uomo in Francia euno in Inghilterra, una donna che ha avvelenato il suosecondo marito e che ha tentato di avvelenare anche me.""Ma che dite, signore?" esclamò il Cardinale stupito "e diquale donna parlate in questo modo?" "Di Milady diWinter" rispose d'Artagnan. "Sì, di Milady di Winter, dellaquale, senza dubbio, Vostra Eminenza ignorava i delittiquando l'ha onorata della sua fiducia." "Signore" disse ilCardinale "se Milady di Winter ha commesso i delitti di cuiparlate, sarà punita." "Lo è già, Monsignore." "E chi l'hapunita?" "Noi." "E' in prigione?" "E' morta." "Morta!" ripetéil Cardinale che non poteva credere a ciò che udiva "avetedetto che è morta?" "Per tre volte aveva tentato diuccidermi e le avevo perdonato, ma poi ha ucciso la donna

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che amavo; allora, io e i miei amici, l'abbiamo presa,processata e condannata." E d'Artagnan raccontòl'avvelenamento della signora Bonacieux nel convento delleCarmelitane di Béthune, il processo nella casa solitaria, el'esecuzione sulle rive della Lys. Un brivido percorse tutto ilcorpo del Cardinale che tuttavia non era uomo darabbrividire facilmente; ma ad un tratto, come se subissel'influenza di un pensiero muto, la fisionomia del Cardinale,cupa fino allora, si rischiarò a poco a poco e divenneperfettamente serena. "Cosicché" disse con una voce lacui dolcezza contrastava con la severità delle parole "voi visiete eretti a giudici, senza pensare che coloro che nonhanno missione di punire e puniscono, sono degliassassini?" "Monsignore, vi giuro che neppure per unistante ho avuto l'intenzione di difendere la mia testa controdi voi. Subirò il castigo che l'Eminenza vostra vorràinfliggermi. Non tengo abbastanza alla vita per temere lamorte." "Sì, lo so, siete un uomo coraggioso, signore"disse quasi affettuosamente il Cardinale "posso quindiassicurarvi in anticipo che sarete processato e anchecondannato." "Un altro potrebbe rispondere a VostraEminenza che ha la propria grazia in tasca; ma io miaccontento di dirvi: Ordinate, Monsignore, sono pronto.""La propria grazia?" disse meravigliato Richelieu. "Sì,Monsignore" disse d'Artagnan. "Ma da chi è firmata? DalRe?" E il Cardinale pronunciò queste parole con unasingolare espressione di disprezzo. "No, da VostraEminenza." "Da me? Siete pazzo, signore?" "Monsignorericonoscerà senza dubbio la sua scrittura." E d'Artagnan

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presentò al Cardinale la preziosa carta che Athos avevastrappata a Milady e che aveva consegnata a d'Artagnanperché gli servisse di salvaguardia. Sua Eminenza laprese, e la lesse a voce lenta, scandendo sillaba persillaba: E per mio ordine che il portatore del presentebiglietto ha fatto ciò che ha fatto. Dal campo di LaRochelle, 5 agosto 1628. Richelieu. Il Cardinale, dopo averletto queste due righe, cadde in una profonda meditazione,ma non rese il foglio al moschettiere. "Medita sul genere disupplizio che mi infliggerà per farmi morire" pensòd'Artagnan "ebbene, in fede mia! vedrà come sa morire ungentiluomo." Il giovane moschettiere era in ottimecondizioni di spirito per trapassare eroicamente. Richelieupensava sempre, arrotolando e srotolando la carta cheaveva tra le mani. Finalmente alzò il capo, fissò il suosguardo d'aquila sulla fisionomia leale, aperta, intelligentedel giovane, lesse in quel viso solcato dalle lacrime tutte lesofferenze che aveva patito da un mese, e pensò per laterza o quarta volta quale avvenire avesse dinanzi a séquel ragazzo di vent'anni e quali risorse la sua attività, ilsuo coraggio, la sua prontezza di spirito potevano offrire aun buon padrone. D'altra parte i delitti, la potenza, il genioinfernale di Milady lo avevano spaventato più d'una volta.Egli sentiva come una gioia segreta al pensiero d'essereliberato per sempre di quella complice pericolosa. Strappòlentamente il biglietto che d'Artagnan gli avevagenerosamente consegnato. "Sono perduto" disse tra séd'Artagnan. E s'inchinò profondamente davanti alCardinale come un uomo che dice: "Signore, sia fatta la

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tua volontà!". Il Cardinale si avvicinò al tavolo, e senzasedersi scrisse qualche linea su una pergamena già scrittaper due terzi e vi appose il suo sigillo. "E' la mia condanna"pensò d'Artagnan "mi risparmia la noia della Bastiglia e lelungaggini di un processo. E' già abbastanza gentile daparte sua." "Prendete, signore" disse il Cardinale algiovanotto "vi ho preso un documento e ve ne rendo unaltro. In questo manca il nome, lo scriverete voi stesso."D'Artagnan prese con esitazione il foglio e lo guardò. Erala nomina a tenente dei moschettieri. D'Artagnan cadde aipiedi del cardinale. "Monsignore" disse "la mia vita èvostra, potete disporne come più vi piace, ma questofavore che mi accordate, io non lo merito; ho tre amici chene sono più degni…" "Siete un bravo ragazzo, d'Artagnan"lo interruppe il Cardinale battendogli familiarmente sullaspalla, lusingato di aver vinto quella natura ribelle "fate ciòche più vi piacerà, di questa nomina. Soltanto, sebbene ilnome sia in bianco, ricordate che l'ho dato a voi." "Non lodimenticherò mai" rispose d'Artagnan. "Vostra Eminenzapuò esserne sicura." Il Cardinale si volse e chiamò ad altavoce: "Rochefort!" Il cavaliere che era certamente dietro laporta, entrò subito. "Rochefort" disse il Cardinale "voivedete qui il signor D'Artagnan; io lo accolgo nel noverodei miei amici; quindi abbracciatevi e abbiate giudizio setenete alle vostre teste." Rochefort e D'Artagnan sibaciarono con la punta delle labbra; ma il Cardinale era lìche li osservava col suo occhio d'aquila. Uscirono insieme."Noi ci ritroveremo, non è vero, signore?" "Quando vipiacerà" rispose D'Artagnan. "L'occasione verrà" disse

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Rochefort. "Come?" disse Richelieu aprendo la porta. I dueuomini si sorrisero, si strinsero la mano e salutarono SuaEminenza. "Cominciavamo a perdere la pazienza" disseAthos. "Eccomi, amici miei!" rispose d'Artagnan "e nonsolo libero, ma amico del Cardinale." "Ci racconteretecom'è andata." "Questa sera" Infatti, la sera stessa,d'Artagnan si recò nella camera di Athos che stavavuotando una bottiglia di vino di Spagna, operazione checompiva religiosamente ogni sera. Gli raccontò ciò che eraavvenuto tra lui e il Cardinale, poi, levando di tasca ilbrevetto, disse: "A voi, mio caro Athos, ecco qualche cosache vi spetta naturalmente." Athos sorrise del suo dolce eaffascinante sorriso. "Amico mio" disse "per Athos ètroppo; per il conte de la Fère troppo poco. Conservatequesta nomina, essa è vostra. L'avete, ahimè!, acquistataa caro prezzo." D'Artagnan uscì dalla camera di Athos edentrò in quella di Porthos. Lo trovò, vestito d'un magnificoabito coperto di ricami, nell'atto di contemplarsi allospecchio. "Ah, ah! siete voi, caro amico!" esclamò Porthos"come vi pare mi stia questo vestito?" "Benissimo" dissed'Artagnan "ma vengo ad offrirvi un abito che vi staràancora meglio." "Quale?" domandò Porthos. "Quello ditenente dei moschettieri." D'Artagnan raccontò a Porthosla sua conversazione col Cardinale e, levando di tasca lasua nomina: "Prendete, mio caro" disse "scrivete suquesto foglio il vostro nome, e siate un buon capo per me."Porthos diede un'occhiata al brevetto, e lo restituì ad'Artagnan, con grande stupore del giovanotto. "Sì, la cosami lusingherebbe molto" disse "ma non potrei godere a

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lungo di questo favore. Durante la nostra spedizione aBéthune, il marito della mia duchessa è morto, cosicché,mio caro, la cassaforte del defunto mi tende le braccia, e iosposo la vedova. Guardate, stavo proprio provando l'abitodi nozze; serbate la tenenza per voi, mio caro, tenetela pervoi." E restituì la nomina a d'Artagnan. Il giovanotto entrò daAramis. Lo trovò inginocchiato davanti ad un crocifisso conla fronte appoggiata al suo libro di preghiere. Gli raccontò ilsuo colloquio col Cardinale e levò di tasca la nomina per laterza volta. "Voi, nostro amico, nostra luce, nostroprotettore invisibile" disse "vorrete, spero, accettarequesta nomina, voi l'avete meritata più di chiunque altro perla vostra saggezza e i vostri consigli sempre seguiti con sìfelici risultati." "Ahimè! mio caro amico" rispose Aramis "lenostre ultime avventure mi hanno pur sempre disgustatodella vita di uomo d'armi. Questa volta la mia decisione èpresa irrevocabilmente; finito l'assedio, entro nei Lazzaristi.Conservate questa nomina, d'Artagnan, il mestiere dellearmi vi conviene: voi sarete un bravo e coraggiosocapitano." D'Artagnan con l'occhio umido di riconoscenzae scintillante di gioia, tornò da Athos, che trovò sedutoancora al tavolo a guardare il suo ultimo bicchiere dimalaga alla luce della lampada. "Ebbene" disse "hannorifiutato anch'essi!" "Il fatto è che nessuno, caro amico, neè più degno di voi!" Prese una penna, scrisse sul brevetto ilnome di d'Artagnan, e glielo consegnò. "Non avrò dunquepiù amici!" sospirò il giovanotto. "Ahimè! Sarò solo coimiei amari ricordi…" E lasciò cadere la testa fra le mani,mentre due lacrime gli rigavano le guance. "Voi siete

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giovane" rispose Athos "e i vostri amari ricordi hanno iltempo di cambiarsi in dolci ricordi."

EPILOGO

La Rochelle, privata del soccorso della flotta inglesepromesso da Buckingham, si arrese dopo un anno diassedio; e il 28 ottobre del 1628 fu firmata la capitolazione.Il Re rientrò a Parigi il 23 dicembre dello stesso anno. Gli fuofferto un trionfo come se tornasse dall'aver vinto deinemici e non dei Francesi. Egli entrò dal sobborgo SanGiacomo passando sotto archi di fronde. D'Artagnan presepossesso del suo grado. Porthos abbandonò il servizio nelcorso dell'anno seguente, e sposò la signora Coquenard: ilcofano tanto agognato conteneva ottocentomila lire.Mousqueton ebbe una magnifica livrea e, inoltre, lasoddisfazione, che aveva vagheggiata tutta la vita, di saliredietro un cocchio dorato. Aramis, dopo un viaggio inLorena, disparve improvvisamente e cessò di scrivere aisuoi amici. Si seppe più tardi, poiché la signora diChevreuse lo disse a due o tre dei suoi amanti, che avevapreso l'abito in un convento di Nancy. Bazin diventò fratelaico. Athos rimase moschettiere, agli ordini di d'Artagnanfino al 1633; in quell'anno, dopo un viaggio in Turenna,lasciò il servizio col pretesto di aver avuto una piccolaeredità nel Rossiglione. Grimaud seguì Athos. D'Artagnansi batté tre volte con Rochefort e tre volte lo ferì. "Vi

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ucciderò forse alla quarta" gli disse tendendogli la manoper aiutarlo a rialzarsi. "Sarà meglio per voi e per me"rispose il ferito "che ci fermiamo qui. Perbacco! io sonovostro amico più di quanto non crediate; poiché se avessivoluto, dal nostro primo incontro, avrei potuto con unaparola al Cardinale, farvi tagliare il collo." Siabbracciarono, e questa volta fraternamente,sinceramente. Planchet ottenne da Rochefort il grado disergente nelle guardie. Il signor Bonacieux viveva moltotranquillo ignorando perfettamente la sorte di sua moglie enon preoccupandosene per nulla. Ma un giorno commisel'imprudenza di ricordarsi alla memoria del Cardinale; ilCardinale gli fece rispondere che, da quel momento,avrebbe provveduto a che non mancasse di nulla. Infatti, ilgiorno dopo, il signor Bonacieux uscì alle sette di sera perandare al Louvre e non riapparve più in via dei Fossoyeurs;coloro che sembravano meglio informati dissero che eranutrito e alloggiato in qualche castello reale a spese dellagenerosità di Sua Eminenza.

Fine.

[1]Sappiamo benissimo che questa locuzione: milady èusata soltanto quando è seguita dal nome di famiglia. Mal'abbiamo trovata così nel manoscritto, e non vogliamo

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prenderci la responsabilità di mutarla. (Nota dell'Autore)

[2]Il 'lever du roi' era la cerimonia mattutina dell'alzarsi dalletto e della toletta del sovrano alla quale soltanto iprivilegiati potevano assistere. (Nota del traduttore)

[3]'Monsieur' era il titolo dato al fratello secondogenito delRe. (Nota del traduttore)

[4]'Faire Charlemagne' equivale, secondo il Littré, a ritirarsidal giuoco con tutta la propria vincita, senza dareall'avversario la possibilità di rifarsi. (Nota del traduttore)

[5]Ai 'Ponts-de-Cé', sulla Loira, il 7 agosto 1620, le truppereali sconfissero e misero in fuga i nobili ribelli cheavevano abbracciato la causa della regina madre Mariade' Medici.

[6]Si raccontava, a Parigi, che il cardinale di Richelieuavesse danzato la sarabanda travestito da buffone dinanzi

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alla Regina. Ma non v'è in ciò niente di certo. (Nota deltraduttore)

[7]Secondo le memorie del tempo, Anna d'Austria eBuckingham ebbero un colloquio nel giardino di una casadi Amiens, durante il quale l'inglese si mostrò troppogalante. Era notte e Putange, scudiero della Regina, udìquesta gettare un grido, accorse e arrestò ii duca. Leconseguenze avrebbero potuto essere gravi perquest'ultimo, se lo scudiero non gli avesse reso la libertà.La cosa fu messa in tacere, ma trapelò ugualmente. (Notadel traduttore)

[8]Non vera nell'antica Parigi nessuna via Gerusalemme,bensì un'isola di questo nome, in mezzo alla Senna. (Notadel traduttore)

[9]9 Si tratta di Enrico Rich, barone di Kensington, conte diHolland, capitano della guardia reale che accompagnò inFrancia Buckingham incaricato di chiedere la mano diEnrichetta di Francia, sorella di Luigi Tredicesimo, per ilfuturo Carlo Primo. Fu durante i negoziati che la duchessadi Chevreuse s'innamorò di Milord Rich e spinse lagiovane regina Anna a scegliersi un cavaliere nella

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persona di Buckingham. (Nota del traduttore)

[10]Esiste, infatti, una montagna, alta 2000 m., a piombosul mar Egeo nella penisola calcidica (Macedonia) cheporta questo nome. Questo monte, sacro per i Greci, èpopolato di monasteri abitati da monaci ortodossi. (Notadel traduttore)

[11]Dall'inglese 'cabal', parola coniata con le iniziali deicinque primi ministri di un gabinetto formato da CarloSecondo, che governò dal 1669 al 1673 e che fugrandemente impopolare; i ministri erano Clifford,Arlington, Buckingham, Asley e Landerdole. (Nota deltraduttore)

[12]Leonora Dori, detta Galigai, figlia della balia di Mariade'Medici, che la portò con sé da Firenze. A Parigi essasposò Concini e divenne dama del seguito della Regina.La coppia Concini dominava completamente la moglie diEnrico IV. Concini fu elevato alla dignità di maresciallo enominato marchese d'Ancre. Alla fine, la Regina si stancòdei due favoriti e li abbandonò alla sorte tragica che l'odiodei cortigiani preparava loro. Concini fu ucciso il 24 aprile1617. Leonora condannata al rogo come ebrea e strega l'8

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luglio dello stesso anno. (Nota del traduttore)

[13]Il 'mortier' era il copricapo di taluni magistrati. (Nota deltraduttore)

[14]Isacco Laffemos, dapprima sarto del Re, poi avvocatoal Parlamento e referendario al Consiglio di Stato, era unodei più devoti servitori di Richelieu. Rigorosissimo, eglieccelleva nell'istruire i processi politici di cui il Cardinale sivalse assai spesso per domare la riottosa nobiltà diFrancia.

[15]"Mémoires pour servir à l'histoire d'Anne d'Austriche,épouse de Louis Treizième, depuis 1615 jusqu'en 1666" diMadonna de Motteville, che fu dama del seguito di Annad'Austria e, nel 1631, fu esiliata in Normandia da Richelieuper la sua grande fedeltà alla sua signora, sono una fonteinesauribile d'informazioni sul mezzo secolo di cui trattano.

[16]Monsieur era il titolo del fratello del Re, Gastoned'Orléans.

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[17]Isacco di Benserade (1613-1691), poeta di corte,autore di tragedie e di una traduzione in rondò delle'Metamorfosi' di Ovidio. La citazione di questo poeta, cheall'epoca in cui si svolge l'azione del romanzo avevasoltanto tredici anni, è anacronistica. Ma Dumas nonguardava tanto per il sottile. (Nota del traduttore)

[18]L'attuale Palais Royal, costruito nel 1636, per ilCardinale, si chiamò da principio Palazzo Richelieu. Piùtardi passò agli Orléans; Filippo d'Orléans, il futuroPhilippe-Egalité, fece aggiungere nel 1781, dall'architettoLouis, il porticato nel quale trovarono posto negozi d'ognigenere, ritrovi, bische, ecc. (Nota del traduttore)

[19]Così venivano chiamati i principi di Condé. I dintorni diChantilly, ov'è il famoso castello di questo nome,appartenevano appunto a questa famiglia di sangue reale.(Nota del traduttore)

[20]Cornelio Jansen, detto latinamente Jansenius (1585-1638) teologo fiammingo, vescovo d'Ypres, con la suaopera principale, l'Augustinus, diretta contro la dottrina

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scolastica della grazia sostenuta dai gesuiti, diede origineal movimento giansenista condannato dal papa UrbanoOttavo e dalla Sorbona. Va notato che l'Augustinus uscìsoltanto dopo la morte dell'autore, nel 1640. E' dunquestrano che il nostro gesuita ne parli nel 1623. (Nota deltraduttore)

[21]Vincenzo Voiture (1598-1648) fu uno dei poetidell'Hôtel Rambouillet nel quale, sotto la presidenza dellamarchesa di questo nome, si riuniva una società colta eraffinata che esercitò grande influenza sulla vita elegante eintellettuale del tempo.

(Nota del traduttore)

[22]Oliviero Patru (1604-1681), avvocato francese celebreper la sua eloquenza tanto che fu denominato il Quintilianodi Francia. Non è probabile che, a ventidue anni, tanti neaveva all'epoca in cui si svolge l'azione dei 'TreMoschettieri', egli fosse già così celebre da essere citatodal contraddittore di Aramis. (Nota del traduttore)

[23]In realtà, Luigi d'Epernon, cardinale de la Valette(1593- 1639), fatto vescovo di Tolosa a diciannove anni

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senza aver ricevuto gli ordini sacri, rinunciò al titolo perdarsi al mestiere delle armi, nel quale perseverò anchequando, nel 1621, Paolo Quinto lo nominò cardinale. Eglicombatté in Italia, in Germania, nel nord della Francia ecc.,e morì nel Delfinato alla testa di un esercito. (Nota deltraduttore)

[24]I figli d'Aimone, che figurano in una leggenda popolaredel medioevo, erano infatti quattro: Rinaldo, Alardo,Guiscardo e Riccardo. Il loro padre era duca di Dordona.Essi cavalcavano un solo cavallo di nome Boiardo. (Notadel traduttore)

[25]Sorella Anna è un personaggio della fiaba di Arianna eBarbablù che, dall'alto di una torre, spia l'arrivo deisalvatori. (Nota del traduttore)

[26]Allusione ai versi della Fedra di Racine (atto quinto)con i quali Teramene descrive la morte di Ippolito: Sessuperbes coursiers qu'on voyait autrefois Pleins d'uneardeur si noble obéir à sa voix, L'oeil morne maintenant etla tete baissée Semblaient se conformer à la triste pensée.(Nota del traduttore)

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[27]Una delle due fortezze costruite nell'877 sulle due rivedella Senna per difendere Parigi contro. i Normanni. IlGrand-Chatelet era sulla riva destra, e fino alla Rivoluzionefu sede della Giustizia reale o Prepositura di Parigi. (Notadel traduttore)

[28]Titolo di un'opera comica del poeta Paolo Scarron(1610-1660) marito di colei che divenne più tardi la signoradi Maintenon e sposò segretamente LuigiQuattordicesimo. (Nota del traduttore)

[29]Allusione a un aneddoto narrato da Erodoto: Policrate,tiranno di Samo, aveva gettato in mare un anello adorno diuno smeraldo per placare gli dei, ma qualche giorno doporitrovò il gioiello nel ventre di un pesce recatogli da unpescatore. (Nota del traduttore)

[30]Il cardinale di Richelieu si piccava d'esser poeta epoeta tragico e teatrale: Mirame è una delle cinque o seiopere ch'egli compose per il teatro. (Nota del traduttore)

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[31]Il 'lit de justice' era una solenne cerimonia cui i re diFrancia ricorrevano per costringere il parlamentoall'obbedienza ogni qual volta questo rifiutava di registrarequalche legge. (Nota del traduttore)

[32]Le 'dragonnades' furono vere e proprie azioni di poliziacondotte dai dragoni reali contro i protestanti delMezzogiorno della Francia e specialmente nelle Cevenne,dopo la revoca dell'editto di Nantes, per ordine del ministroLouvois. (Nota del traduttore)

[33]L'editto di Nantes, col quale, nel 1598, Enrico Quartoconcesse ai protestanti il diritto di esercitare il proprio cultoin tutta la Francia, eccettuata Parigi, dando loro in paritempo quattro università, un certo numero di piazze disicurezza, oltre ad altre garanzie e ad altri vantaggi, furevocato da Luigi Quattordicesimo nel 1685. Molti furono iprotestanti che, in seguito a questa revoca, emigrarono ela Francia perse così gran numero di fabbricanti, industriali,operai, con vantaggio dei paesi vicini ove essi andarono asvolgere la loro attività. (Nota del traduttore)

[34]Maria di Rabutin-Chantal, marchesa di Sévigné (1626-

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1696), autrice delle famose lettere che fanno di lei unadelle più ricche e varie scrittrici del suo tempo. (Nota deltraduttore)

[35]L'abate Francesco di Bois-Robert (1592-1662) fu unodei favoriti di Richelieu e uno dei suoi collaboratori letterari.Guglielmo, marchese di Beautru, conte di Serrant (1588-1665), altro favorito del Cardinale, grazie al quale rivestìimportanti cariche ed entrò a far parte dell'Accademiafrancese. Si tratta di Maria Vignon, seconda moglie diFrancesco di Bone, duca di Lesdiguière, maresciallo eConestabile di Francia.

[36]Il regicidio di Ravaillac, 14 maggio 1610, facendoscomparire dalla scena del mondo Enrico Quarto a solicinquantasette anni, non soltanto salvò l'Austria, ma diedeprobabilmente una nuova direzione alla storia d'Europa.(Nota del traduttore)

[37]Giacomo Clément è il frate domenicano che uccise il reEnrico Terzo nel 1589. (Nota del traduttore)

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[38]Convien dire che "parpaillot" era il nome dispregiativodato dai cattolici ai protestanti, forse da un tale Parpaile,ugonotto giustiziato nel 1562. (Nota del traduttore)

[39]Le "Madelonnettes o Filles Repenties" costituivano unordine, fondato nel 1618, per raccogliere e redimere leprostitute. (Nota del traduttore)

[40]A quel tempo, Tyburn era un villaggio all'est di Londranel quale avevano luogo le esecuzioni capitali. Ai giorninostri, Tyburn è incorporato alla metropoli. (Nota deltraduttore)

[41]Il sindaco di La Rochelle era Giovanni Guiton (1585-1654), uscito da una famiglia di commercianti e diventatoammiraglio della flotta rochellese nel 1621. La suaostinazione nel difendere la città assediata non cedette senon quando si rese conto ch'era vano attendere ilpromesso aiuto dall'Inghilterra.

[42]Tristan l'Hermite, prevosto dei marescialli di Franciasotto Luigi Undicesimo, fu uno dei collaboratori di

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quest'ultimo e compì in tutto il regno, con crudeltà espregiudicatezza, un'opera di polizia necessariaall'indomani della Guerra dei Cent'anni. (Nota deltraduttore)

[43]Marion de Lorme (1611-1650) fu una cortigianacelebre per la bellezza e le avventure che, secondo certememorie del tempo, ritenute però apocrife, sarebbe stataamante di Richelieu. La Duchessa d'Aiguillon (1604-1675)era la nipote del Cardinale e fu l'ausiliaria di San Vincenzode' Paoli. (Nota del traduttore)

[44]Milady non poteva, pensando a una coloniapenitenziaria, riferirsi per l'appunto a quella di Botany-Bayche fu fondata in Australia nei pressi della futura Sydneysoltanto nel gennaio del 1788. Botany-Bay, popolata dideputati, fu in certo qual modo l'origine dell'Australiamoderna. Per Tyburn, vedi nota numero 13. (Nota deltraduttore)

[45]Beniamino di Rohan, principe di Soubise (1583-1640)fratello del celebre capo calvinista Enrico Primo duca diRohan, partecipò a tutte le guerre ch'ebbero La Rochellecome base. Dopo la caduta della città protestante, fuggì in

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Inghilterra ove rimase sino alla morte.

[46]Carlo de Luynes (1578-1621), favorito e ministro diLuigi Tredicesimo, aveva insegnato a quest'ultimo acacciare la gazza col falco. (Nota del traduttore)

[47]Sono perduta, devo morire.