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Università Telematica Pegaso Le codificazioni moderne
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Indice
1 STATO E CODICI ------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 3
2 LE IDEOLOGIE DELLA CODIFICAZIONE --------------------------------------------------------------------------- 5
3 L’ETÀ DELLE CODIFICAZIONI ----------------------------------------------------------------------------------------- 6
4 IL CONCETTO DI CODICE MODERNO ------------------------------------------------------------------------------- 8
5 UN TIPOLOGIA PER LE CODIFICAZIONI MODERNE. LE CODIFICAZIONI
“GIUSNATURALISTICHE”.------------------------------------------------------------------------------------------------------ 12
6 QUATTRO MODELLI CODICISTICI ---------------------------------------------------------------------------------- 13
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 16
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1 Stato e codici
La storia delle codificazioni moderne si intreccia con quella dello Stato da identificarsi con
essa. Le prime codificazioni moderne, le cd. “codificazioni giusnaturalistiche”, rappresentano il
parto delle prime manifestazioni dello stato moderno post-rivoluzionario e di esso, come afferma
Max Weber, ne sono, con la pubblica amministrazione, uno dei pilastri. Il difficile e talvolta
tortuoso cammino che ha condotto la storia Europea allo Stato moderno ha caratterizzato anche la
storia delle codificazioni: è nel Cinquecento, in corrispondenza con la fine del Medioevo e la
formazione dei primi embrionali modelli di Stati, che la parola codice ritorna, dopo un lunghissimo
letargo, a circolare tra i giuristi, e non a caso proprio in Francia laddove il processo di formazione di
uno Stato unitario e accentrato risulta molto avanzato. Da allora la tensione verso la codificazione,
sorretta ed alimentata dal giusnaturalismo e dal razionalismo, ha rappresentato l’obiettivo principale
della politica del diritto degli stati assoluti, poi compiutamente concretizzatosi con la
promulgazione del Code Napoléon. E’ chiaro pertanto i codici e le codificazioni, dopo più di un
secolo di esaltazione e mitizzazione, abbiano seguito e seguano la sorte dello Stato anche nella
fase discendente della sua parabola. Ed infatti a partire già dal secondo dopoguerra ma in maniera
più consistente dopo la caduta del “muro” alla crisi dello Stato ha fatto e fa eco la crisi della
codificazione come forma unificatrice del diritto. La rapida trasformazione della società in senso
più complesso ha determinato oltre al processo di decodificazione – proliferazione di leggi speciali
con conseguente perdita di centralità dei codici – fenomeni istituzionali di notevole portata che
erodendo le basi tradizionali dello Stato nazionale unitario hanno snaturato la funzione dei codici: in
particolare, nel nostro paese, è emersa una forte spinta federalista che ha, per il momento, avuto
l’effetto di potenziare in modo consistente la potestà normativa delle regioni. In buona sostanza si
assiste ad un fenomeno di progressivo svuotamento dei codici, operante su due piani destinati a
diventare complementari: spaziale e settoriale. Lo svuotamento spaziale opera in direzioni
diametralmente opposte: da una parte la normativa comunitaria e dall’altra quella federalistaca-
regionale. Questa copiosa produzione normativa, dettata dalle nuove esigenze della società, insieme
alla legislazione statale, determina la perdita di centralità del codice e la creazione di
“macrosistemi” fatti di leggi speciali, che si regolano con principi propri: è per l’appunto il modello
della decodificazione descritto già negli anni settanta del secolo scorso da Natalino Irti. La crisi del
codice ha proposto con forza tra gli storici e i filosofi del diritto il tema della validità stessa della
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“forma codice” considerando la sua inadeguatezza a garantire quella certezza del diritto che, in
buona sostanza, rappresenta la ragion d’essere delle codificazioni.
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2 Le ideologie della codificazione
Alla Codificazione avevano portato complesse cause storiche (nascita dello stato moderno,
aumento della popolazione – del 33% dal 1650 all’800 - collasso del modello feudale cetuale delle
società d’antico regime, avvio della rivoluzione industriale ed istanze e rivendicazioni della
borghesia ormai divenuta forza trainante della società) ed era stata preparata da correnti di pensiero:
in particolare il giusnaturalismo, il razionalismo e l’illuminismo. Il giusnaturalismo per
l’individuazione di diritti soggettivi naturali e elaborazione della teoria del contratto sociale; il
razionalismo per la definizione sul piano teorico del volontarismo giuridico, dell’unificazione del
soggetto giuridico destinatario della norma (Wolff) e per il “salvataggio” in chiave razionalistica del
diritto romano (Leibniz, Domat e Pothier); L’Illuminismo per la dottrina legicentrica, per la
sottoposizione e la dipendenza delle leggi civili a quelle di diritto pubblico (Montesquieu), per il
rifiuto del sistema del diritto comune e dell’interpretatio e per la richiesta precisa di codici
(Voltaire, Rousseau). Tuttavia è stato sottolineato che l’ideologia portante delle prime codificazioni
moderne deve ravvisarsi nel Giusnaturalismo, poiché esse recavano la pretesa di positivizzare un
diritto eterno ed immutabile (Domat: leggi civili = leggi immutabili).
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3 L’età delle codificazioni
Di età delle codificazioni si parla a partire dalle tre grandi codificazioni cd.
giusnaturalistiche: Il codice prussiano (ALR, 1794), il Code civil napoleonico (1804) e il codice
civile austriaco (ABGB, 1811).
Tuttavia è generalmente riconosciuto (Cavanna, Cattaneo) che le prime codificazioni
moderne – cioè dotate dei requisiti di completezza e non eterointegrabilità e per questo distinte dalle
consolidazioni seicentesche e settecentesche – possono ravvisarsi nel Codice penale giuseppino
(Austria, 1787) e nel Code pénal francese del 1791. In effetti la materia penale si era prestata
meglio all’opera di codificazione, sia perché Il principio di legalita’ con tutti i suoi corollari (divieto
di retroattività e divieto di analogia) era radicato nella cultura giuridica europea a partire da Hobbes,
sia perché le materie della sfera del diritto pubblico erano state tradizionalmente oggetto di attività
consolidatoria dei sovrani assoluti.
Tale apparente incongruenza (che sembra far torto alle codificazioni penalistiche) è
giustificata dal fatto che la svolta del nuovo regime consistette proprio nell’aver portato nell’alveo
del diritto statale il diritto privato, territorio fino ad allora di dominio incontrastato degli iura e della
consuetudine.
Soprattutto in forza della audacia Napoleonica prendeva forma è vita quello che è stato
efficacemente definito l’Assolutismo giuridico e lo Stato, intervenendo sul diritto privato,
raggiungeva effettivamente il monopolio di tutte le fonti del diritto.
La formula “diritto pubblico dei privati” rende appieno il senso di questa grande
trasformazione ed indica la centralità della codificazione civile nell’ordinamento giuridico dello
Stato liberale dell’Ottocento.
Alcuni autori hanno sottolineato il rilievo costituzionale del codice civile nello stato
ottocentesco. In proposito il Santi Romano, fin quando durò lo Statuto Albertino affermò che il
codice civile dovesse rientrare tra le fonti del diritto costituzionale italiano e che pertanto per
sollevare il diritto costituzionale al piano della scientificità era necessaria una vasta e preliminare
«azione di rivendica» di dottrine e principi elaborati in materiali comuni col diritto privato
moderno. D’altra parte basti considerare il Titolo preliminare del code civil, le Disposizioni sulla
pubblicazione interpretazione ed applicazione sulla legge in generale del codice civile del 1865 e
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Disposizioni preliminari sulla legge in generale del codice del 1942 per rendersi conto del rilievo
costituzionale dei codici civili tra Ottocento e Novecento. Il carattere “costituzionale” del codici,
peraltro evidenziato in rilievo da Max Weber in relazione al potere legale dello Stato, è stato colto
dalla recente storiografia giuridica (P. Ungari, M. Fioravanti) che ha rilevato come la borghesia,
nell’insufficienza di garanzie costituzionali, si rivolgesse ad essi «come a carte che offrissero una
certa garanzia di libertà civile».
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4 Il concetto di codice moderno
La storiografia moderna, nel quadro del recente interesse per l’età moderna, ha percepito,
soprattutto grazie al Viora, la grande differenza tra la codificazione napoleonica e le raccolte
settecentesche e proprio dal Code civil ha finito per trarre i requisiti tecnici per poter distinguere le
codificazioni dalla consolidazioni ed in grado di inquadrare tutte le moderne codificazioni. La
pregevole opera del Viora - contrapponendosi alle conclusioni dell’Oliver Martin che considerava le
Ordonnances di Luigi XIV delle vere e proprie codificazioni e contestando l’idea della novità delle
norme quale elemento discretivo di esse - ha in effetti individuato precise coordinate sulle quali
concordano autorevoli storici come Cavanna, Pene Vidari e Caroni. Sono codici moderni le raccolte
ufficiali di norme destinate a regolare una specifica branca del diritto, caratterizzate dall’uniformità,
dalla completezza e dalla non eterointegrabilità. Quest’ultimo requisito – e cioè l’impossibilità di
ricorrere a fonti esterne al codice per integrarlo in caso di lacune – ha permesso di escludere dal
novero delle codificazioni tutte quelle compilazioni assolutistiche, dalle Ordonnances di Luigi XIV
al codice estense, che comunque consentivano aperture al diritto comune. Possono perciò definirsi
codici le tradizionali codificazioni giusnaturalistiche e cioè il codice prussiano, il codice
napoleonico ed il codice austriaco che pongono sistemi codicistici chiusi. Questi approdi della
dottrina chiudono il dibattito? La complessità della materia consente ancora alcune osservazioni
problematiche. La definizione così articolata non è valida sempre ma storicamente orientata. Essa
infatti risponde all’esigenza di distinguere dalle compilazioni ufficiali nate in un determinato
contesto storico, quelle che troncando di netto con l’Antico regime, andavano a costituire
l’impalcatura giuridica del nascente stato burocratico-autoritario ottocentesco. In quest’ottica la
definizione è senza dubbio valida, ma non regge di fronte all’attualità giuridica dell’Europa
continentale: la rapida trasformazione di società e stato iniziata già nell’Ottocento ed acceleratasi
dopo la seconda guerra mondiale ha influito anche sul diritto e sulle codificazioni. Chi direbbe
ormai che la posizione del nostro codice civile è uguale a quella che rivestiva il Code Napoléon in
Francia nel secolo decimonono; che dire poi del fenomeno della decodificazione o di quello della
codificazione settoriale … Solo questi spunti suggeriscono, senza ricorrere ad argomentazioni
tecniche, che la definizione di codice ritagliata sul Code non può essere più sufficiente. Ma anche
sul piano tecnico i requisiti della completezza e della non eteroitegrabilità appaiono evidentemente
anacronistici, sol che si pensi all’ordinamento comunitario. Va infatti appena osservato che ad
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esempio in Italia i codici non solo sono direttamente integrabili dai regolamenti comunitari ma
addirittura le sue norme possono essere annullate de facto da norme comunitarie contrastanti. Può
ben parlarsi in questo caso (e non con riferimento al pur rilevante fenomeno della decodificazione)
di etero-integrazione giacché il codice è integrato da un altro sistema giuridico derivato da un
ordinamento diverso da quello che ha dato vita al codice. Si verifica cioè pressappoco quello che
succedeva durante l’Antico regime: le consolidazioni dei sovrani assoluti erano integrate da un
sistema giuridico derivato da un ordinamento diverso (l’Impero romano). Come peraltro gli stati
d’Antico regime in linea di principio facevano parte dell’Impero romano così pure gli stati europei
fanno parte della CE. L’evidente similitudine porta ad una conclusione obbligata: la completezza e
la non eterointegrabilità non rappresentano più i caratteri fondanti dei codici moderni. Di
conseguenza: a) o essi non sono più codici e dunque la loro denominazione è impropria; b) o la
definizione ha una portata storica e vale non sub speciae aeternitatis ma solo una passata stagione
codificatoria. La seconda soluzione sembra la più plausibile non solo perché le compilazioni
legislative di gran parte del mondo continuano insistentemente ad essere denominate “codici” ma
anche perché tra le codificazioni giusnaturalistiche e quelle più recenti continuano ad essere pervase
da un’unica ideologia giuridica che le rende nitidamente diverse dalle consolidazioni d’Antico
regime. Appunto l’individuazione di tale ideologia potrà servire a far emergere una nuova
definizione di codice in grado di riunire passato e presente.
Non si può far a meno di considerare che da un punto di vista storico il termine codex è
sempre stato impiegato, dal codex Hammurabi al codex giustinianeo, per designare una raccolta di
una ben definita parte del diritto, cioè del diritto scritto non giurisprudenziale. Tanto è vero che per
le raccolte scritte di giurisprudenza ci imbattiamo in nomi diversi: il Digesto giustinianeo ne è un
esempio. L’analisi terminologica e storica insieme ci dicono dunque che codice è una raccolta –
necessariamente scritta – di leggi o disposizioni autoritative comunque non giurisprudenziali o
consuetudinarie. Questo primo approdo ci spinge ad approfondire l’analisi storica. Il codice appare
in contesti storico-politici caratterizzati da un processo unificatorio che tende a concentrare
esclusivamente nello Stato la produzione del diritto. Il codice cioè si manifesta in concomitanza con
modelli di stati assoluti o autoritari e rappresenta l’espressione più compiuta della loro politica. E
sotto questo aspetto le codificazioni dell’epoca moderna trovano referenti significativi
nell’esperienza giuridica romana. La civiltà romana conosce infatti la sua prima codificazione nel
438, il Codex Theodosianus, dopo che codificazioni prive di sanzioni ufficiali già circolavano tra
giuristi e magistrati: con ciò si consumava il lentissimo processo di sottrazione del diritto alla
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giurisprudenza e la definitiva affermazione dell’Impero quale preminente fonte del diritto. E’ vero:
non venne abolito il diritto giurisprudenziale, orgoglio di Roma, ma l’organica sistemazione delle
disposizioni imperiali in un corpo di diritto unitario ebbe il precipuo obiettivo di costringere in un
esiguo spazio la giurisprudenza. In effetti la civiltà romana non arrivò mai al punto di rinnegare la
sua gloriosa giurisprudenza, ma, all’acme della sua potenza e alle soglie del crepuscolo, tentò
un’operazione ardita: intervenire su di essa selezionandone alcune parti e dando loro la ratifica
imperiale, in una parola legittimare la giurisprudenza. Teodosio II e Valentiniano III diedero l’avvio
con la famosa prima legge delle citazioni che com’è noto ammise in giudizio le sole citazioni di
Ulpiano, Papiniano, Modestino e Gaio. L’operazione fu poi completata da Giustiniano col Digesto:
il lavoro della famosa commissione presieduta da Triboniano ebbe proprio l’obiettivo di selezionare
la parte accettabile della giurisprudenza romana e conferire ad essa, solo ad essa, la patente di
giurisprudenza. La storia giuridica romana è paradigmatica e mostra come la vicenda codificatoria
corra sul filo della dialettica tra giurisprudenza e legge e tenda ad affermare l’esclusiva valenza
della seconda ai danni della prima. La stessa dialettica caratterizzerà il passaggio dall’antico al
nuovo regime nei paesi dell’Europa continentale a conclusione di una parabola storica iniziata con
la caduta dell’Impero romano; in quel caso tuttavia la scelta fu diversa poiché si volle abolire del
tutto il diritto romano e la sua giurisprudenza e i codici, più che rappresentare la fine di un’epoca,
ne segnarono l’inizio. Il legislatore codicistico, neppure quello napoleonico, ha mai previsto di
poter fornire i mezzi per risolvere ogni questione giuridica: ha solamente posto al centro del sistema
giuridico la legge indicandola come unica fonte possibile del diritto. Sotto questo aspetto il
riferimento ai requisiti di completezza e non eterointegrabilità può essere anche fuorviante.
Questa risposta radicale nei confronti della giurisprudenza rappresenta l’asse ideologico
qualificante la codificazione e risulta comune alle codificazioni “giusnaturalistiche” e a quelle
contemporanee. Allora si trattò di costruire il sistema contro un ben individuato nemico – il diritto
comune giurisprudenziale – ora, in un contesto decisamente diverso la proliferazione dei codici
tende a ribadire questa scelta per limitare il più possibile gli spazi della nuova giurisprudenza o ad
altre fonti non legislative del diritto (consuetudine, dottrina ecc.). All’alba del secolo decimonono il
codice era per se stesso legge e sistema, ora di fronte alla codificazione settoriale, alla
decodificazione e all’ordinamento comunitario il sistema codicistico si è scisso dai codici
“materiali” per rappresentare un’idea legicentrica nella quale si inscrivono tutte le particolari
codificazioni.
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E’ pertanto chiaro che il concetto di codificazione risulta fortemente condizionato dalle
diverse forme di Stato succedutesi nel tempo. Dallo stato autoritario, unitario e burocratico di tipo
napoleonico si è passati al modello liberale e a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, alle
democrazie parlamentari, di tipo federale o regionale.
E’ possibile allora, sulla base di questi spunti, tentare una definizione di codificazione
moderna che sia in grado di comprendere le codificazioni ottocentesche e quelle contemporanee:
codice è una raccolta ufficiale di norme scritte, unificante una branca o un settore del diritto, che si
inscrive in un sistema legicentrico tendenzialmente esclusivo. Di conseguenza la storia delle
codificazioni moderne è la storia dei tentativi dello Stato moderno di rendere il diritto congruente
alla legge.
La definizione di cui sopra è l’unica possibile se si è ancora convinti della continuità tra
l’attuale sistema giuridico dell’Europa continentale e quello scaturito dalla Rivoluzione francese e
se si ritiene di comprendere. Ed in effetti considerando le recenti forme codificatorie appare come i
codici non rappresentino più di per sé il sistema ma piuttosto anelli concatenati di un sistema
legicentrico esclusivo che attraverso essi persegue il tentativo di unificare branche o settori del
diritto. Tale definizione è peraltro l’unica che si attaglia ai tre tipi di codificazioni susseguitisi nel
tempo a partire dalle cosiddette codificazioni “giusnaturalistiche”.
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5 Un tipologia per le codificazioni moderne. Le codificazioni “giusnaturalistiche”.
Le prime codificazioni moderne sono dette “giusnaturalistiche”: il codice prussiano del
1794, il codice civile napoleonico del 1804 e quello austriaco del 1811. Tale definizione – sulla
quale il Caroni solleva qualche perplessità – appare pienamente condivisibile sulla base
dell’evidente sostrato giusnaturalistico che accomuna tutte e tre le codificazioni. Il presupposto di
esse è infatti l’esistenza di un diritto civile naturale immutabile – valevole per tutti - che il
legislatore illuminato, uscito dalla temperie rivoluzionaria, è riuscito finalmente a cogliere e a
codificare. E’ vero che il programma di queste codificazioni – ed in particolare di quella
napoleonica – non è tanto quello predisporre un corpo normativo limitato nello spazio e nel tempo
ma piuttosto quello di sfidare l’eternità: in questo senso può parlarsi di un rinnovato ontologismo
giuridico, di stampo giusnaturalistico, che viene a sostituire quello d’antico regime fondato sul
diritto comune. Napoleone non ha alcuna perplessità nell’ordinare la pura e semplice traduzione (e
non l’adattamento) del suo codice civile nei paesi assoggettati all’Impero; ciò non tanto e non solo
per appagare la sua sconfinata ambizione ma anche nella convinzione che il Code, fondato su
precetti di diritto naturale, sia naturalmente estensibile a tutte le popolazioni della terra. Anche in
quest’ottica deve essere considerata la mortificazione della giurisprudenza perseguita da tutte le
codificazioni “giusnaturalistiche”: essa, una volta che il diritto naturale riesce ad essere codificato
da un legislatore illuminato, non ha e non deve avere altro compito che quello di essere la bocca che
pronuncia le parole della legge. In queste codificazioni si realizza cioè quella sintesi necessaria tra
giusnaturalismo e volontarismo giuridico mirabilmente teorizzata da Hobbes e da Rousseau. Uno
dei fondamenti teorici del Code civil e delle altre codificazioni “giusnaturalistiche” risiede ne Le
lois civiles dans leur ordre naturel di Jean Domat che elevava le leggi civili a rango di leggi
immutabili, non dipendenti dal tempo e dalle circostanze. La pretesa dei codificatori fu per
l’appunto quella di aver codificato le leggi immutabili: per tale ragione Napoleone non ebbe alcuna
difficoltà a tradurre e promulgare il suo codice civile negli stati europei conquistati dalle sue armate.
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6 Quattro modelli codicistici
Modello tedesco. Il codice civile prussiano di Federico II (1794) è il primo codice civile in
senso moderno e cioè caratterizzato da completezza e non eterointegrabilità. Preparato dai giuristi
Von Carmer e Suarez, condizionato dalla sistematica di Pufendorf ed influenzato dalla convinzioni
illuministiche ed eudemonistiche del sovrano apparve come una grandiosa opera legislativa ispirata
al diritto della ragione. Tuttavia denotava alcuni aspetti di arretratezza, quali: 1) il carattere
sussidiario che il codice si attribuiva rispetto al diritto locale, 2) la permanenza della divisione in
ceti (Nobili, Contadini, Cittadini) della società, 3) un marcato paternalismo che si traduceva nella
pretesa da parte dell’amministrazione di regolare una volta e per tutte qualsiasi relazione dei propri
sudditi nei minimi particolari. Subito surclassato dai più moderni code civil e codice austriaco del
1811 non ebbe il tempo per essere un vero modello codicistico. Fattori culturali (ascendenza del
pensiero di Savigny e della scuola storica del diritto) e fattori politici (il lento processo di
unificazione politica) ritardarono il processo di codificazione in Germania che si concluse nell’anno
1900 allorché fu emanato il BGB. Prodotto “tardo” della Pandettistica fu un codice sistema,
autosufficiente e specialistico che volle determinare una normazione definitiva del diritto privato
col primato assoluto del diritto statale. Il BGB ebbe un’influenza notevolissima sui codici
dell’Europa meridionale ed orientale, in particolare sul codice civile greco del 1940.
Modello Austriaco. La pubblicazione dell’ABGB del 1811 fu possibile grazie ad una serie di
Editti emanati da Giuseppe II dal 1781 al 1789: Editto di tolleranza, Editto sulla libertà
commerciale, Editto successorio, Editto matrimoniale, Editto sui riscatti fondiari. La codificazione
(varata da Leopoldo II nel 1811) fu frutto dell’assolutismo illuminato e vi parteciparono giuristi
come Martini e Zeiller. Codice influenzato dalla filosofia Kantiana adotta la tripartizione gaiana
(personae, res, actiones) e presenta 1502 articoli: pochi, rispetto al Code Civil. Importanti sono gli
articoli sulla interpretazione che si seguito si riportano. Par.6: «Nell’applicare la legge non è lecito
attribuirle altro senso che quello che si manifesta dal proprio significato delle parole secondo la
connessione di esse, e dalla chiara intenzione del legislatore». Par. 7: «Qualora una caso non possa
decidersi secondo le parole, né secondo il senso naturale della legge, si avrà riguardo ai casi
consimili precisamente dalle leggi decisi ed ai motivi di altre leggi analoghe. Rimanendo
nondimeno dubbioso il caso, dovrà decidersi secondo i principi di diritto naturale, avuto riguardo
alle circostanze raccolte con diligenza e maturamente ponderate». A differenza del codice civile
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napoleonico, il codice austriaco adotta la scelta di indicare al giudice le modalità della corretta
interpretazione preoccupandosi, al par. 7, di indicare anche le modalità attraverso le quali procedere
in caso di difetto o incertezza della legge. Si noti il riferimento all’analogia e, in via sussidiaria, alle
norne di diritto naturale: questo esplicito richiamo consentirà agli interpreti un certa possibilità di
usare il diritto romano inteso come ratio scripta. Il codice austriaco, a differenza di quello prussiano,
riconosceva il principio di uguaglianza anche se manteneva in piedi la servitù della gleba che fu
formalmente abolita solo nel 1848. Riconosceva altresì l’autonomia privata, la libertà di iniziativa
economica e al par. 1295 stabiliva una clausola generale di responsabilità extracontrattuale e
contrattuale. Tuttavia tale codice presentava norme compromissorie come il par. 1146: «i diritti ed i
rapporti … tra i proprietari terrieri ed i loro lavoratori … devono essere regolati dalle Costituzioni
di ogni provincia e dalle disposizioni di ordine pubblico». L’influenza in Europa dell’ABGB fu
minore di quella avuta dal code civil: venne introdotto nel Lombardo-Veneto dove restò in vigore
per tutto il Risorgimento. L’ABGB dopo la caduta dell’Impero Austro-Ungarico restò in vigore in
Polonia, Jugoslavia ed in Cecoslovacchia fino all’entrata in vigore dei nuovi codici socialisti.
Modello Svizzero. Il Codice Svizzero (ZGB) promulgato nel 1912 è molto ammirato per la
chiarezza e per la concisione delle norme. E’ diviso in cinque libri: persone, famiglia, successioni,
beni ed obbligazioni. Manca una disciplina generale del negozio giuridico e vi è una deliberata
incompletezza e un’abbondanza di clausole generali che conferiscono ampio spazio di intervento al
giudice. Sulla libertà data al giudice importante è la famosa norma dell’art.1: «Nei casi non previsti
dalla legge il giudice decide secondo la consuetudine e, in difetto di questa, secondo la regola che
egli adotterebbe come legislatore. Nel fare ciò egli dovrà ispirarsi alla dottrina più consolidata e alla
giurisprudenza già formata». «Per la prima volta – afferma Gény – si vede un legislatore moderno
riconoscere ufficialmente, e in una formula generale, come suo ausiliario indispensabile, il giudice»
Codice democratico poiché, soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, vi sono state inserite delle
disposizioni a tutela del contraente debole, a tutela del consumatore, a tutela del lavoratore. Il
codice civile svizzero è stato introdotto in Turchia nel 1926.
Modello Francese. Codificazione preceduta da un vasto droit intermédiaire, recepito nelle
costituzioni, che traduceva in norme e conquiste rivoluzionarie: cfr. legge 16 – 24 agosto 1790
sull’ordinamento giudiziario che introduceva il référé legislatif facoltativo, legge del 27 novembre –
1 dicembre 1790 che introduceva il Tribunal de Cassation e il référé legislatif obbligatorio.
Codificazione condizionata dagli eventi politici (tre progetti Cambacérès e uno di Jacqueminot).
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Fonti: droit écrit, droit coutumier droit intermédiaire, arresti del Parlamento di Parigi. 2281 articoli,
ripartizione personae, res, actiones e titolo preliminare (l’art. 4 abolisce il référé legislatif
facoltativo). Diritto di famiglia: pater figura centrale, comunione legale dei beni, divorzio. Art.
544: celebrazione della proprietà privata. Capacità contrattuale generalizzata, art. 1123. Autonomia
contrattuale con i limiti della legge, dell’ordine pubblico e del buon costume (art. 1121, 1134, 6).
Art. 1382: clausola generale per la responsabilità aquiliana. Diritto del lavoro non disciplinato: se
ne incaricheranno le corti con interventi sull’abuso di diritto. Grazie alle campagne napoleoniche il
codice fu introdotto in quasi tutta Europa. In Italia nel periodo preunitario ad esso si ispirarono tutti
gli stati (tranne il Lombardo-Veneto) per le loro codificazioni. Anche le codificazioni unitarie (1865
e 1942) si ispirano al Code di Napoleone. [Sul codice napoleonico in particolare vedi lezione
successiva].
Università Telematica Pegaso Le codificazioni moderne
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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