Ota, “emergenza infermieristica”, Università, assistenza sul … · 2011-05-09 · ruolo...

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2 Presa Diretta l’infermiere 6/2005 Presa Diretta on si possono risolvere i problemi con lo stesso modo di pensare che li ha generati”. Questo monito di Albert Ein- stein è una possibile chiave per interpretare qual è il contributo che la professione infermieristica può offri- re alla soluzione di molte delle questioni che la sanità italiana ha oggi di fronte. “Una vera progettualità deve essere innovativa: riproponendo vecchi schemi non si va lontano, proprio perché la crisi attuale è stata gene- rata da queste logiche e dal tentativo gattopardesco di non metterle mai in discussione. Il ‘nuovo’ di cui qual- cuno ha paura è costituito proprio dagli infermieri e dal- la forza delle loro idee”. Così Annalisa Silvestro, presi- dente nazionale della Federazione Ipasvi, introduce l’in- contro che il Comitato centrale ha dedicato all’indivi- duazione delle linee di lavoro per i prossimi mesi. “Per esempio siamo stanchi – precisa – di sentir conti- nuamente parlare di ‘emergenza’ infermieristica come se si trattasse di un problema da risolvere con provvedi- menti ‘straordinari’”. L’EMERGENZA COME “CAVALLO DI TROIA” Danilo Massai condivide questo punto di vista: “La- scerei da parte il fatto che ai giovani non piace questo lavoro e che è un lavoro pesante, mentre esplorerei al- tri campi legati in primo luogo alla visibilità e alla con- siderazione sociale della nostra professione. Oggi si impone l’esigenza di valorizzare la professione sul pia- no politico: l’infermiere deve sedere al tavolo delle trat- tative, dei negoziati, dei progetti in cui si disegnano le strategie sanitarie del Paese. Sfido chiunque a leggere i piani sanitari regionali e a trovarvi un corretto ap- proccio al ruolo che la risorsa infermieristica può ave- re come leva del profondo cambiamento strategico e culturale di cui è portatrice. Si continua a parlare di numero di infermieri e non di qualità della scienza in- fermieristica, la sola che dà risposte ai problemi di sa- lute della popolazione”. “Il problema non è, quindi, discutere solo dei numeri, ma di come colmare il gap che da questo punto di vista ci separa da altri Paesi europei o del Nord America. Le opportunità e le cose da fare sono anche abbastanza chiare” afferma Gennaro Rocco, vicepresidente della Federazione, che propone di “agire, innanzitutto, su una diversa collocazione contrattuale degli infermieri per rendere più appetibile la professione e dare un avvio se- rio, immediato, rapido alla progettazione delle carriere”. Ma aggiunge anche che è necessario puntare “sul rico- noscimento economico che aiuta sicuramente i giova- ni ad orientarsi verso questo tipo di percorso e sulla pro- grammazione formativa: noi portiamo in formazione po- co più di 12.000, 13.000 studenti all’anno, dei quali cir- ca la metà conclude il corso dopo tre o quattro anni, quando invece avremmo bisogno probabilmente di un numero almeno doppio di unità. Intendiamo assumere una forte presa di posizione nei confronti del sistema politico, del Governo e delle Università per arrivare a una politica di revisione degli accessi che parta dall’a- nalisi del mercato del lavoro piuttosto che dalla ripro- posizione di quanto si è fatto negli anni precedenti”. “Mi rifiuto di ragionare ancora in termini di emergenza infermieristica” incalza la segretaria nazionale Loreda- na Sasso, spiegando che semmai bisognerebbe parla- re “di revisione dei processi di lavoro e di evidenza del ruolo dell’infermiere all’interno dei processi assistenzia- li. In alcuni reparti, in alcune unità operative, spesso le attività svolte dagli infermieri sono per il 70% di tipo do- mestico/alberghiero e amministrativo/burocratico. Pro- babilmente, in questi casi, dovendo fare di tutto e di più per supplire alle carenze di personale di supporto e am- ministrativo, gli infermieri non riescono a svolgere fino in fondo la propria specifica funzione assistenziale: ciò che viene a mancare, quindi, non è l’infermiere, ma la funzione assistenziale infermieristica”. Questo approccio al problema della carenza di perso- nale infermieristico, rompendo le logiche tradizional- mente adottate, individua le ragioni strutturali del feno- meno e individua le modalità per affrontarlo in modo organico. OPERATORI DI SUPPORTO: PERCHÉ E COME Il nostro apparato legislativo stabilisce senza ombra di dubbio che per svolgere a tutto tondo la funzione assi- stenziale, gli infermieri devono poter contare sul perso- nale di supporto: personale da utilizzare per togliere al- l’infermiere tutte quelle incombenze che non gli appar- tengono e che ancora è costretto a svolgere. Ma anche su come rispondere a quest’esigenza, che at- tiene ad una corretta attribuzione di ruoli all’interno dell’organizzazione sanitaria, pesa il fantasma dell’emer- genza, in nome della quale si propongono spesso solu- zioni inadeguate e miopi. Tra queste spicca il recente tentativo di far passare un disegno di legge che ipotiz- za la creazione di un infermiere “diplomato”, figura in- termedia tra l’infermiere laureato e le attuali figure di supporto. Su questo punto Annalisa Silvestro è perentoria: “In- tendiamo presidiare con molta accuratezza tutti i per- corsi fuori dalle indicazioni normative nazionali ed eu- ropee che riguardano l’infermieristica; e mi riferisco spe- cificamente all’infermiere diplomato. Noi siamo assolu- tamente contrari: non ha senso logico, non fa altro che accentuare i problemi dell’infermieristica italiana sen- za porre alcun rimedio e, per di più, crea tensione ed ir- ritazione in tutto il corpus professionale. Non è fram- mentando ed inventando figure para-infermieristiche che si risolve la carenza di infermieri: se manca l’infer- miere, nessuno lo può sostituire!” Sasso aggiunge: “Il ruolo sanitario deve essere esclusi- vamente infermieristico. La salute dei cittadini è trop- po importante perché sui ruoli sanitari si giochino par- tite politiche di vario genere. In alcune nazioni, tra cui l’Irlanda, è addirittura vietato per legge l’utilizzo del ter- mine ‘infermieristico’ per figure che non siano quella dell’infermiere”. Per Franco Vallicella il problema fondamentale è “quel- lo di dimostrare che effettivamente il personale di sup- porto può migliorare la qualità dell’assistenza erogata. Mentre tutti si preoccupano di costruire a tavolino nuo- ve figure di supporto, nessuno sta predisponendo in- dicatori per misurare gli effetti che l’attività di questi operatori produce nelle unità operative. Se lo si faces- se, come abbiamo scelto di fare nell’azienda in cui la- voro, ci si accorgerebbe inoltre che c’è bisogno di Oss di base e non di Oss specializzati. È ora di procedere non più sulla base di opinioni, ma di dati scientifica- mente corretti: un’analisi che noi infermieri abbiamo le conoscenze e le competenze per svolgere”. Le riserve espresse sulla figura dell’Oss con formazione in area sanitaria sono condivise dagli altri componenti del Comitato centrale e, in particolare da Giovanni Va- lerio, che ritiene che tale figura sia destinata ad avere uno scarso successo “anche perché non è strutturale”. In effetti il provvedimento della Conferenza Stato-Re- gioni che individua la figura dell’Oss non dà la possi- bilità di moltiplicarne i profili, dal momento che affer- ma che si tratta di un operatore unico, che può acqui- sire una formazione ulteriore in funzione della sua col- locazione lavorativa. “Tali approfondimenti – puntua- lizza ancora Vallicella – sono perciò un semplice com- pletamento della formazione di base e non determina- no la creazione di nuove figure. Proprio per tale ragio- ne, gli Oss specializzati che alcune Regioni hanno già formato non hanno poi trovato una posizione specifi- ca all’interno del contratto, né alcun altro riconosci- mento giuridico. È importante ricordare che la prolife- razione dei profili nasce in genere sotto la spinta di in- teressi particolari (per es. dell’associazione dei denti- sti, di case di cura private ecc.), di soggetti cioè che a vario titolo vorrebbero degli operatori a buon mercato e ritagliati sulle loro esigenze del momento. Per contra- stare queste logiche vecchie e strumentali, dobbiamo sempre partire da ciò che serve per migliorare la qua- lità dell’assistenza”. La presidente Silvestro richiama a questo proposito anche il rischio di un’interpretazione scorretta dell’ac- cordo della Conferenza Stato-Regioni del 16 dicembre 2004: “Ci siamo già abbondantemente espressi in me- rito all’insostenibilità di un possibile riconoscimento degli infermieri generici e abbiamo acquisito a soste- gno della nostra posizione non solo autorevoli pareri legali, ma anche quello del ministero della Salute. Vor- rei ricordare che questo tipo di formazione è venuta a cadere già nel 1980, cioè oltre venti anni fa. È pura de- magogia, quindi, alimentare delle speranze assoluta- mente inconsistenti in operatori che molto spesso han- no lavorato con serietà e dedizione. Ad ogni modo, se qualche Università dovesse accogliere la domanda di equivalenza del titolo da parte di infermieri generici, allora presenteremmo immediatamente ricorso, che sia- mo sicuri di vincere. Certo non vorremmo procedere attraverso le vie legali, ma spesso è l’unica strada che purtroppo ci resta per far valere le nostre ragioni”. “N Chi ha paura degli infermieri ? Ota, “emergenza infermieristica”, Università, assistenza sul territorio in un forum del Comitato centrale della Federazione Ipasvi DI EMMA MARTELLOTTI

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Presa Diretta

on si possono risolvere i problemi con lo stesso modo dipensare che li ha generati”. Questo monito di Albert Ein-stein è una possibile chiave per interpretare qual è ilcontributo che la professione infermieristica può offri-re alla soluzione di molte delle questioni che la sanitàitaliana ha oggi di fronte. “Una vera progettualità deveessere innovativa: riproponendo vecchi schemi non siva lontano, proprio perché la crisi attuale è stata gene-rata da queste logiche e dal tentativo gattopardesco dinon metterle mai in discussione. Il ‘nuovo’ di cui qual-cuno ha paura è costituito proprio dagli infermieri e dal-la forza delle loro idee”. Così Annalisa Silvestro, presi-dente nazionale della Federazione Ipasvi, introduce l’in-contro che il Comitato centrale ha dedicato all’indivi-duazione delle linee di lavoro per i prossimi mesi.“Per esempio siamo stanchi – precisa – di sentir conti-nuamente parlare di ‘emergenza’ infermieristica comese si trattasse di un problema da risolvere con provvedi-menti ‘straordinari’”.

L’EMERGENZA COME “CAVALLO DI TROIA”Danilo Massai condivide questo punto di vista: “La-scerei da parte il fatto che ai giovani non piace questolavoro e che è un lavoro pesante, mentre esplorerei al-tri campi legati in primo luogo alla visibilità e alla con-siderazione sociale della nostra professione. Oggi siimpone l’esigenza di valorizzare la professione sul pia-no politico: l’infermiere deve sedere al tavolo delle trat-tative, dei negoziati, dei progetti in cui si disegnano lestrategie sanitarie del Paese. Sfido chiunque a leggerei piani sanitari regionali e a trovarvi un corretto ap-proccio al ruolo che la risorsa infermieristica può ave-re come leva del profondo cambiamento strategico eculturale di cui è portatrice. Si continua a parlare dinumero di infermieri e non di qualità della scienza in-fermieristica, la sola che dà risposte ai problemi di sa-lute della popolazione”.“Il problema non è, quindi, discutere solo dei numeri,ma di come colmare il gap che da questo punto di vistaci separa da altri Paesi europei o del Nord America. Leopportunità e le cose da fare sono anche abbastanzachiare” afferma Gennaro Rocco, vicepresidente dellaFederazione, che propone di “agire, innanzitutto, su unadiversa collocazione contrattuale degli infermieri perrendere più appetibile la professione e dare un avvio se-rio, immediato, rapido alla progettazione delle carriere”.Ma aggiunge anche che è necessario puntare “sul rico-noscimento economico che aiuta sicuramente i giova-ni ad orientarsi verso questo tipo di percorso e sulla pro-grammazione formativa: noi portiamo in formazione po-co più di 12.000, 13.000 studenti all’anno, dei quali cir-ca la metà conclude il corso dopo tre o quattro anni,quando invece avremmo bisogno probabilmente di unnumero almeno doppio di unità. Intendiamo assumereuna forte presa di posizione nei confronti del sistemapolitico, del Governo e delle Università per arrivare auna politica di revisione degli accessi che parta dall’a-nalisi del mercato del lavoro piuttosto che dalla ripro-posizione di quanto si è fatto negli anni precedenti”.“Mi rifiuto di ragionare ancora in termini di emergenzainfermieristica” incalza la segretaria nazionale Loreda-

na Sasso, spiegando che semmai bisognerebbe parla-

re “di revisione dei processi di lavoro e di evidenza delruolo dell’infermiere all’interno dei processi assistenzia-li. In alcuni reparti, in alcune unità operative, spesso leattività svolte dagli infermieri sono per il 70% di tipo do-mestico/alberghiero e amministrativo/burocratico. Pro-babilmente, in questi casi, dovendo fare di tutto e di piùper supplire alle carenze di personale di supporto e am-ministrativo, gli infermieri non riescono a svolgere finoin fondo la propria specifica funzione assistenziale: ciòche viene a mancare, quindi, non è l’infermiere, ma lafunzione assistenziale infermieristica”.Questo approccio al problema della carenza di perso-nale infermieristico, rompendo le logiche tradizional-mente adottate, individua le ragioni strutturali del feno-meno e individua le modalità per affrontarlo in modoorganico.

OPERATORI DI SUPPORTO: PERCHÉ E COMEIl nostro apparato legislativo stabilisce senza ombra didubbio che per svolgere a tutto tondo la funzione assi-stenziale, gli infermieri devono poter contare sul perso-nale di supporto: personale da utilizzare per togliere al-l’infermiere tutte quelle incombenze che non gli appar-tengono e che ancora è costretto a svolgere.Ma anche su come rispondere a quest’esigenza, che at-tiene ad una corretta attribuzione di ruoli all’internodell’organizzazione sanitaria, pesa il fantasma dell’emer-genza, in nome della quale si propongono spesso solu-zioni inadeguate e miopi. Tra queste spicca il recentetentativo di far passare un disegno di legge che ipotiz-za la creazione di un infermiere “diplomato”, figura in-termedia tra l’infermiere laureato e le attuali figure disupporto. Su questo punto Annalisa Silvestro è perentoria: “In-tendiamo presidiare con molta accuratezza tutti i per-corsi fuori dalle indicazioni normative nazionali ed eu-ropee che riguardano l’infermieristica; e mi riferisco spe-cificamente all’infermiere diplomato. Noi siamo assolu-tamente contrari: non ha senso logico, non fa altro cheaccentuare i problemi dell’infermieristica italiana sen-za porre alcun rimedio e, per di più, crea tensione ed ir-ritazione in tutto il corpus professionale. Non è fram-mentando ed inventando figure para-infermieristicheche si risolve la carenza di infermieri: se manca l’infer-miere, nessuno lo può sostituire!”Sasso aggiunge: “Il ruolo sanitario deve essere esclusi-vamente infermieristico. La salute dei cittadini è trop-po importante perché sui ruoli sanitari si giochino par-tite politiche di vario genere. In alcune nazioni, tra cuil’Irlanda, è addirittura vietato per legge l’utilizzo del ter-mine ‘infermieristico’ per figure che non siano quelladell’infermiere”.Per Franco Vallicella il problema fondamentale è “quel-lo di dimostrare che effettivamente il personale di sup-porto può migliorare la qualità dell’assistenza erogata.Mentre tutti si preoccupano di costruire a tavolino nuo-ve figure di supporto, nessuno sta predisponendo in-dicatori per misurare gli effetti che l’attività di questioperatori produce nelle unità operative. Se lo si faces-se, come abbiamo scelto di fare nell’azienda in cui la-voro, ci si accorgerebbe inoltre che c’è bisogno di Ossdi base e non di Oss specializzati. È ora di procederenon più sulla base di opinioni, ma di dati scientifica-

mente corretti: un’analisi che noi infermieri abbiamole conoscenze e le competenze per svolgere”.Le riserve espresse sulla figura dell’Oss con formazionein area sanitaria sono condivise dagli altri componentidel Comitato centrale e, in particolare da Giovanni Va-

lerio, che ritiene che tale figura sia destinata ad avereuno scarso successo “anche perché non è strutturale”. In effetti il provvedimento della Conferenza Stato-Re-gioni che individua la figura dell’Oss non dà la possi-bilità di moltiplicarne i profili, dal momento che affer-ma che si tratta di un operatore unico, che può acqui-sire una formazione ulteriore in funzione della sua col-locazione lavorativa. “Tali approfondimenti – puntua-lizza ancora Vallicella – sono perciò un semplice com-pletamento della formazione di base e non determina-no la creazione di nuove figure. Proprio per tale ragio-ne, gli Oss specializzati che alcune Regioni hanno giàformato non hanno poi trovato una posizione specifi-ca all’interno del contratto, né alcun altro riconosci-mento giuridico. È importante ricordare che la prolife-razione dei profili nasce in genere sotto la spinta di in-teressi particolari (per es. dell’associazione dei denti-sti, di case di cura private ecc.), di soggetti cioè che avario titolo vorrebbero degli operatori a buon mercatoe ritagliati sulle loro esigenze del momento. Per contra-stare queste logiche vecchie e strumentali, dobbiamosempre partire da ciò che serve per migliorare la qua-lità dell’assistenza”. La presidente Silvestro richiama a questo propositoanche il rischio di un’interpretazione scorretta dell’ac-cordo della Conferenza Stato-Regioni del 16 dicembre2004: “Ci siamo già abbondantemente espressi in me-rito all’insostenibilità di un possibile riconoscimentodegli infermieri generici e abbiamo acquisito a soste-gno della nostra posizione non solo autorevoli parerilegali, ma anche quello del ministero della Salute. Vor-rei ricordare che questo tipo di formazione è venuta acadere già nel 1980, cioè oltre venti anni fa. È pura de-magogia, quindi, alimentare delle speranze assoluta-mente inconsistenti in operatori che molto spesso han-no lavorato con serietà e dedizione. Ad ogni modo, sequalche Università dovesse accogliere la domanda diequivalenza del titolo da parte di infermieri generici,allora presenteremmo immediatamente ricorso, che sia-mo sicuri di vincere. Certo non vorremmo procedereattraverso le vie legali, ma spesso è l’unica strada chepurtroppo ci resta per far valere le nostre ragioni”.

“NChi ha paura degli infermieri?Ota, “emergenza infermieristica”, Università, assistenza sul territorio in un forum del Comitato centrale della Federazione Ipasvi

DI EMMA MARTELLOTTI

3Presa DirettaUNIVERSITÀ: È ORA DI FARE LA VOCE GROSSAAlle vie legali la Federazione è stata recentemente co-stretta a ricorrere anche in un altro caso, quello deiconcorsi universitari. “Per quanto riguarda la spinosaquestione delle cattedre, credo sia giunto il momentodi fare la voce grossa nei confronti dell’Università”: co-sì introduce il problema Gennaro Rocco, sottolinean-do l’importanza che la consistente presenza degli stu-denti di Infermieristica ha avuto ed ha per le facoltàdi Medicina.Marinella D’Innocenzo aggiunge: “L’Università nonha saputo o voluto rispondere in modo coerente all’in-gresso di queste nuove risorse: continua a non esserciequità nella distribuzione delle cattedre, che dovrebbe-ro essere attribuite in rapporto agli studenti. Le baroniemediche continuano invece a difendere con arroganzale loro posizioni di potere”. “È arrivato il momento – continua Rocco – che il rico-noscimento della specificità della disciplina infermieri-stica, già esistente sulla carta, si traduca in opportunitàdi concorsi riservati o, comunque, che in qualche mo-do vedano presenti infermieri con un curriculum ade-guato, idoneo: è necessario a tal fine rivedere i criteriper l’assegnazione dei punteggi e per le selezioni. Perquanto ci riguarda, abbiamo numerosi infermieri pre-parati ad assurgere al ruolo di professore associato o diprofessore ordinario, ma ci impegniamo a formarne an-che degli altri.”“Ma non sembra essere questo il punto di vista dell’U-niversità, o almeno della parte più retriva del mondo ac-cademico italiano – rilancia Loredana Sasso. Bastaguardare l’ultimo bando di associatura del Med 45 diCatanzaro, in cui viene richiesta tra i requisiti una con-grua esperienza teorica e clinica in Ematologia! Vorreicapire cosa può insegnare di Scienze infermieristichequell’esimio clinico, competentissimo nella sua brancadisciplinare (Ematologia, Gastroenterologia e quant’al-tro), ma che mai ha fatto e mai farà l’infermiere. È unproblema che riguarda gli infermieri senza dubbio, masoprattutto la società civile.”“La gravità di questo episodio – conclude Silvestro –ha indotto il Comitato centrale ad assumere un atteg-giamento forte nei confronti dell’Università. Infatti so-no partite tre diffide. Intendiamo porci in una logica diconfronto dialettico più incalzante con le sedi universi-tarie, poiché riteniamo che sia fondamentale la valoriz-zazione della competenza infermieristica in tale ambi-to. Inoltre, crediamo che sia un diritto degli studenti eun dovere di tutto il corpus professionale fare in modoche chi va ad insegnare nelle cattedre di Infermieristi-ca Med 45 sia un infermiere.”

VALORIZZARE LA RISORSAINFERMIERISTICA: VERO BANCO DI PROVA DEL SISTEMA SANITARIO Il riconoscimento della docenza infermieristica univer-sitaria è uno degli aspetti della più generale battagliaper la valorizzazione della professione: nei dipartimen-

ti e nei distretti gli infermieri si battono per il pieno ri-conoscimento della dirigenza, nelle unità operative perquello dei titoli conseguiti con la formazione speciali-stica, in tutte le sedi competenti per riorientare le risor-se in termini di continuità assistenziale.Annalisa Silvestro chiarisce: “Il nostro compito, comeorganismo di rappresentanza professionale, è anche quel-lo di rendere sempre più evidente alle forze sociali il di-sagio degli infermieri nei confronti dei contratti delladirigenza infermieristica e del corpus professionale nelsuo insieme. A nostro avviso, infatti, l’attuale impiantocontrattuale non valorizza adeguatamente le competen-ze infermieristiche in tutte le forme in cui si esprimono”.“Il problema principale che ha l’organizzazione dei ser-vizi sanitari in Italia – commenta D’Innocenzo – nonè quello del riconoscimento dei servizi infermieristici,che si stanno costituendo un po’ dovunque, ma della di-rigenza infermieristica come leva strategica del sistema.Questo perché la funzione infermieristica nella sua com-plementarietà e trasversalità a tutte le attività sanitariediventa sempre più importante. Fino a quando non ver-rà messa in discussione la dominanza clinica, le politi-che sanitarie continueranno a non essere in grado didare risposte alle modificazioni che stanno avvenendonel Paese da un punto di vista epidemiologico, demo-grafico e di innovazione tecnologica”. Le resistenze al riconoscimento della centralità del-l’assistenza possono spiegarsi evidenziando ciò cheuna scelta di questo tipo comporterebbe: una vera ri-voluzione in termini culturali ed economici. E D’In-

nocenzo precisa: “In termini culturali, perché si tra-durrebbe nella riduzione del potere della pletora me-dica; in termini economici, perché implicherebbe latotale riconversione dell’asse su cui si basa il sistemadi finanziamento del nostro servizio sanitario. In al-tre parole, bisognerebbe investire in assistenza terri-toriale trasferendovi una parte consistente degli in-vestimenti che oggi sono destinati all’ospedale, co-struire una rete di assistenza domiciliare sostenuta dasistemi tecnologici avanzati ecc. Ma anche, per obbli-go di coerenza, valorizzare a tutto campo i professio-nisti dell’assistenza sia dal punto di vista economico,che formativo, di responsabilità gestionale e di valo-re sociale. Altri Paesi lo stanno facendo, mentre da noicontinua a imperversare una sorta di schizofrenia traquadro normativo molto evoluto e ricadute operativeincoerenti e ‘a macchia di leopardo’”.Rocco coglie l’occasione per ribadire la posizione del-l’Ipasvi sulla collocazione del ruolo e dello status de-gli infermieri dirigenti, scaturito dalla legge 251/2000:“Si sta discutendo ancora se collocarli nella dirigen-za amministrativa piuttosto che in quella sanitaria. Misembra evidente che la strada da percorrere sia la se-conda, perché bisogna arrivare ad avere pari dignitàrispetto alle altre figure professionali come i medici,i biologi e gli psicologi. Credo che anche gli infermie-ri abbiano questo diritto”.“La laurea magistrale e i master ad indirizzo manageria-le stanno innalzando le capacità tecniche, umanistiche,

giuridiche/economiche degli infermieri” continua Mas-

sai, sottolineando che è cresciuta la loro capacità di ri-sposta nel campo della gestione delle risorse umane, del-l’economia applicata, della lettura dei contesti organiz-zativi e quindi del cambiamento. “Quel che manca – ag-giunge – è una logica di sistema. Oggi la scelta di fre-quentare i corsi, con tutti gli impegni che ne derivano,ricade sul singolo professionista invece che scaturire dalrapporto tra Università e impresa, tra Università e azien-de pubbliche e private, tra Università e territorio. Il ri-conoscimento del titolo diventerà fisiologico nel mo-mento in cui sarà la stessa organizzazione datoriale achiedere all’infermiere di affrontare la formazione spe-cialistica, in funzione dell’esigenza di migliorare la qua-lità dei servizi erogati. Questo nulla toglie alla necessitàdi rivendicare in tutte le sedi il valore dei titoli, ma indi-ca l’ottica per risolvere il problema alla radice”.“Comunque, il passaggio da fare subito – conferma Gio-

vanni Valerio – è quello di trovare una collocazione aiprofessionisti che già hanno frequentato i master. È unpeccato, e potrebbe essere anche disincentivante, im-pegnarsi in complessi iter formativi, offrire al sistemaprofessionisti con alta qualificazione, ma poi non dareloro l’opportunità di implementare l’attività quotidianacon le conoscenze acquisite. È necessario che soprat-tutto per i master di management e di area clinica, sipossa arrivare rapidamente alla legge che è in corso diapprovazione, che prevede appunto un percorso di car-riera legato anche al possesso dei titoli”.

IL PROGETTO INFERMIERISTICO DI ASSISTENZA SUL TERRITORIORecepire la centralità dell’assistenza e del ruolo degli in-fermieri è il problema centrale della sanità italiana: quel-lo di cui i cittadini hanno maggiormente bisogno sonola continuità assistenziale e la presa in carico dei pazien-ti, attualmente garantita solo per la fase delle acuzie. Lamancanza di prestazioni sul territorio, d’altra parte, ge-nera il ricorso continuo e frequentemente improprio aiservizi ospedalieri, con conseguenti sprechi, quantifica-ti in una recente indagine dell’Ote in circa 18 milioni digiornate di degenza, per un totale di 11 miliardi di euroall’anno. La questione, quindi, si impone come interes-se generale e improcrastinabile, al di là delle stesse ar-gomentazioni di carattere professionale.“Invertire la rotta non è semplice” commenta Giovan-

ni Valerio, convinto che siano gli infermieri a dovergiocare un forte ruolo propulsivo per far decollarequesto processo: “Dobbiamo essere propositivi e con-creti, utilizzando ogni spazio che lo scenario del de-centramento offre in materia sanitaria. Noi dobbia-mo essere i primi a valorizzare il ruolo degli ‘infermie-ri di comunità’. Per questi colleghi vanno create op-portunità formative che esaltino l’organicità e coesio-ne delle competenze aggiuntive richieste a chi lavorain domiciliare, nelle residenziali, nell’ospedale di co-munità, nella pediatria comunitaria ecc., ma anchenel management comunitario. Va sostenuto e rilan-ciato il confronto con le altre professioni che opera-no sul territorio e, insieme, vanno sperimentate nuo-ve modalità operative (unità di cure primarie, poliam-bulatori, convenzioni con i medici di famiglia ecc.)”.Materia complessa, che richiede un’attenta riflessio-ne e l’analisi delle esperienze già attuate.

UN’AGENDA PER I PROSSIMI MESI“L’obiettivo di questo forum – conclude Annalisa Sil-

vestro – è di evidenziare alcune delle priorità su cui la-vorare nei prossimi mesi, senza alcuna pretesa di esau-rire la riflessione su questi temi. Una riflessione che peressere produttiva non può essere ristretta ai componen-ti del Comitato Centrale, ma deve coinvolgere l’interocorpus professionale e da questo essere condivisa.”

Il Comitato Centrale Ipasvi. Da sinistra: Danilo Massai, Franco Vallicel-la, Loredana Sasso, Annalisa Silvestro, Marinella D’Innocenzo, GennaroRocco, Giovanni Valerio.

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Presa Diretta

o aveva annunciato il giorno dell’insediamento al mini-stero della Salute e Storace è andato dritto con il decre-to legge sui farmaci di fascia C, superando, in parte, leresistenze dei farmacisti. Su proposta del ministro dellaSalute, Francesco Storace, il Consiglio dei ministri ha in-fatti approvato lo scorso 20 maggio un decreto legge peril contenimento del prezzo di farmaci a totale carico del-l’acquirente, entrato in vigore a partire dal 31 maggioscorso. Come specificato nella nota diffusa da PalazzoChigi, si tratta di misure che l’Italia adotta sulla base diun modello sperimentato con successo in alcuni Paesidell’Unione europea. Con il provvedimento, ha spiega-to Storace, “i farmaci costeranno meno e per il cittadi-no ci sarà un risparmio calcolato tra il 10 e il 18%”. Se-condo le previsioni del ministero, inoltre, in base all’au-mento medio del 5% dei prezzi negli ultimi anni, la ma-novra porterà un risparmio di circa 285 milioni di euroin due anni, “che rimarranno – ha detto il ministro –nelle tasche dei cittadini”.

COSA PREVEDE IL DECRETOIl decreto legge stabilisce che i prezzi dei farmaci po-tranno essere modificati dai titolari dell’autorizzazio-ne all’immissione in commercio soltanto nel mese digennaio di ogni anno dispari (quindi a partire dal gen-naio 2007). Inoltre viene introdotta la libera concor-renza per i farmaci da banco e per i medicinali senzaobbligo di prescrizione, per i quali è prevista la possi-bilità da parte dei farmacisti di applicare uno scontofino al 20%; mentre per i farmaci di fascia C con ob-bligo di prescrizione (nei casi in cui è possibile) il far-macista dovrà obbligatoriamente dire al cittadino cheesiste un farmaco analogo e meno costoso (cioè un ge-nerico, rinominato “equivalente” per eliminare qual-siasi equivoco sulla sua efficacia). L’elenco dei farma-ci sui quali potrà operare questa misura verrà compi-lato ed adeguatamente diffuso (anche e soprattuttonelle farmacie) entro un mese dall’Agenzia italiana del

farmaco. Il provvedimento implica, dunque, un’attivacollaborazione da parte dei farmacisti, espressamenteinvitati dal ministro ad applicare il decreto in modoche garantisca i risultati più vantaggiosi ed efficaci.“Sul Dl – ha spiegato il ministro Storace – è stato rag-giunto un accordo con le parti sociali, medici, farma-cisti e produttori, ed è un accordo positivo per i citta-dini. Il provvedimento è la prima parte di una mano-vra taglia euro per le medicine a costo zero per lo Sta-to”. Inoltre, il decreto legge approvato sui farmaci di fa-scia C è “rispettoso delle norme antitrust”.

IL DIBATTITO CON I FARMACISTIIl decreto taglia prezzi non ha tuttavia riscosso il favo-re dei farmacisti. Federfarma ha criticato fortementela manovra, seppur riuscendo a raggiungere, lo scor-so 20 giugno, un compromesso con il ministro nel qua-le l’associazione dei farmacisti assicura la piena colla-borazione per l’applicazione del decreto, ma chieden-do una serie di azioni volte alla tutela delle farmacie,anche in ambito europeo, ed escludendo l’ipotesi del-la vendita dei medicinali al di fuori del canale distri-butivo farmaceutico.Un’intesa raggiunta, comunque, dopo alcune settima-ne di dibattito. Secondo Federfarma, infatti, nel prov-vedimento ci sarebbe una “contraddizione interna: daun lato, sono misure che valorizzano la professionalitàdel farmacista e che consentono una riduzione dell’im-patto degli aumenti dei medicinali di fascia C; dall’al-tro, eliminando il prezzo fisso e unico di alcuni medi-cinali, il decreto tende a enfatizzare l’aspetto commer-ciale dell’attività della farmacia e ad avvicinare farma-

ci senza ricetta a prodotti di largo consumo”. Bene in-vece “la lista di trasparenza dei farmaci di fascia C, checonsente di confrontare il prezzo di medicinali conuguale principio attivo e dosaggio, permettendo al far-macista di consegnare quello meno costoso”.Il ministro ha poi incontrato il presidente di Assofarm(Farmacie comunali) Venazio Gizzi e il vicepresidenteFrancesco Schito, ringraziandoli per la collaborazionegarantita da tutte le farmacie rappresentate da Assofarmall’indomani dell’emanazione del decreto legge sul prez-zo dei farmaci non rimborsabili. “I vertici di Assofarm –si legge in una nota dell’Associazione – hanno manife-stato apprezzamento per il coraggio che il ministro haavuto” intervenendo verso “un’apertura a forme di con-correnza per taluni farmaci” che avrà, come conseguen-za, “l’assunzione di un nuovo ruolo da parte del farma-cista”. Assofarm ha quindi annunciato di voler avviare,nel prossimo autunno, una campagna di informazionesull’uso dei farmaci generici.Anche da Gizzi e Schito, comunque, è giunta l’osserva-zione sulla “assoluta necessità che il farmaco rimanganel canale distributivo esclusivo delle farmacie”, unicoluogo che garantisce “piena accessibilità e sicurezza perla salute dei cittadini”.

I DUBBI DEI CITTADINIIl decreto non convince invece il Tribunale del malato(Tdm), secondo il quale la manovra di Storace “produr-rà, forse, qualche sconto qua e là e qualche risparmio le-gato al blocco dei prezzi, ma aumenterà anche le diffe-renze e le disomogeneità territoriali, soprattutto tra gran-di e piccoli centri”. Per Stefano Inglese, responsabile na-

L

Farmaci: come funzionerà il decreto taglia prezzi di Storace

Accolto con polemica dai farmacisti, che poi raggiungono un’intesa con il ministro

IL MINISTRO DELLA SALUTE SI INVENTA I “SALDI” SUI FARMACI, APRENDOAI FARMACISTI LA POSSIBILITÀ DI EFFETTUARE SCONTI SUI MEDICINALINON RIMBORSATI DAL SSN. QUESTO, UNITO ALL’INCENTIVAZIONE DELL’USODEI FARMACI GENERICI E AL BLOCCO DEI PREZZI FINO AL 2007, DOVREBBECONSENTIRE AGLI ITALIANI DI RISPARMIARE CIRCA 285 MILIONI DI EURO IN DUE ANNI

DI LUCIA CONTI

Cresce la spesa farmaceutica a caricodel Ssn e supera dell’8% quella del2003, lasciando per il 2004 un debi-to di 1.341 milioni di euro. È questala differenza assoluta tra spesa farma-ceutica programmata e spesa prevista,al quale corrisponde il 14,6% di rap-porto tra spesa programmata e spesaprevista, che secondo la normativa do-vrebbe invece restare entro il 13%. Perla precisione, sette Regioni hanno re-gistrato un valore percentuale ugua-le o inferiore al 13%, dieci Regionihanno tra il 13 e il 16%, quattro Re-gioni hanno superato il 16%.

Lo scorso anno, in definitiva, i farma-ci sono costati al Ssn 11.980 milionidi euro, contro gli 11.095 spesi nel2003. Ma se la spesa complessiva cre-sce, quella dei farmaci di fascia C acarico del cittadino diminuisce da3.108 milioni di euro a 3.033 milio-ni di euro. Cifre, secondo l’Aifa, chedimostrano come la rimborsabilitàdei nuovi farmaci e i provvedimentidi ripiano non sono stati “scaricati”sulla spesa farmaceutica a carico delcittadino.Secondo l’Agenzia italiana del farma-co (Aifa), la variabile che ha maggior-

mente inciso sull’incremento è statol’aumento dei consumi di medicinali(e delle prescrizioni, +6,8%), mentrein misura più contenuta (+3,1%) hainciso lo spostamento dei consumi ver-so farmaci a prezzo più alto all’inter-no di categorie omogenee. I prezzi deifarmaci, invece, non sembrano averconcorso all’incremento della spesa.Ancora contenuto, nel 2004 il consu-mo dei farmaci generici: solo il 10,1%della spesa farmaceutica del Ssn e il21,7% delle prescrizioni totali. Annonegativo anche per i farmaci di auto-medicazione, gli Otc, che hanno regi-

strato una quota di acquisti delle far-macie pari a circa 298 milioni di con-fezioni, con una contrazione del 5,3%rispetto al 2003.

Le misure di recuperoPer la copertura dello sforamento, lanuova normativa stabilisce che essosia per il 60% (pari a 731 milioni dieuro) a carico delle aziende farma-ceutiche e per il 40% (pari a 610 mi-lioni di euro) a carico delle singoleRegioni.Secondo l’Aifa, comunque, l’applica-zione dello sconto del 4,12% sul mar-

gine di spettanza al produttore farma-ceutico, introdotto con il Decreto leg-ge 156 del giugno 2004 e che ha giàprodotto un risparmio di 231 milionidi euro, dovrebbe permettere il recu-pero di ulteriori 240 milioni entro l’e-state. L’aggiornamento del Prontuariofarmaceutico nazionale, con l’adozio-ne di un sistema selettivo di riduzio-ne dei prezzi applicato solo a 53 prin-cipi attivi che hanno determinato unaumento del volume di spesa superio-re al valore medio dell’intero settore(+8,6%), produrrà invece un rispar-mio stimato in 218 milioni di euro;l’autorizzazione all’immissione in com-mercio di nuovi farmaci generici, in-fine, dovrebbe determinare un rispar-mio di 150 milioni di euro entro il2005. (L.C.)

Presentati i dati Aifa, Federfarma e Federchimica sulla spesa farmaceutica

Nel 2004 la SPESA FARMACEUTICA ha “sfondato” di 1.341 mln di euro

Presa Diretta 5Presa Direttazionale del Tdm, “sarà difficile garantire che le farmaciedei piccoli Comuni pratichino gli sconti, dal momentoche possono fare tranquillamente a meno della concor-renza. Nelle grandi città, invece, sarà problematico ave-re informazioni sulle farmacie che praticano i prezzi piùbassi. Inoltre, una persona anziana, magari con proble-mi di salute, avrà difficoltà a spostarsi da un quartiereall’altro per ottenere un piccolo sconto. Un’apertura ve-ra alla concorrenza avrebbe bisogno dell’ampliamentodei canali di distribuzione, come avviene in altri Paesieuropei, e della rottura del monopolio delle farmacie”.In definitiva, per Inglese “qualche beneficio arriverà, maserve di più, molto di più”.E proprio per cercare di arginare rischi come quelle il-lustrati da Inglese, Storace ha chiesto a Comuni, Regio-ni e a tutti i soggetti interessati di vigilare nei prossimimesi sugli sconti che le farmacie riusciranno a pratica-re e alla reale concorrenza che verrà instaurata. Pubbli-cizzando, magari, le farmacie che permetteranno al cit-tadino di risparmiare.

I FARMACI NON SARANNO SUI BANCONI DEI SUPERMERCATISulle polemiche sollevate da alcune associazioni di far-macisti in merito alla possibilità di acquistare medici-ne nei supermercati, Storace ha infine sottolineato che“in nessuna stesura del decreto era scritto che i farma-ci sarebbero andati nei supermercati. Si discute di unaipotesi che ha ventilato in modo autorevole il presi-dente dell’Antitrust, ma da parte mia non credo che sidebba scegliere una medicina tra una mela e una ba-nana. Non si parlerà più di farmaci venduti nei super-mercati”. Anche perché, ha aggiunto il ministro, que-sta questione avrebbe posto un ulteriore problema:“Perché in supermercato sì e in negozio no? Allora bi-sognerebbe costringere tutti i negozianti ad assume-re un farmacista? Ecco perché questa strada è impra-ticabile. E credo sia bene lasciarla all’accademia. Iocredo – ha concluso – che il presidio sanitario rappre-sentato dal farmacista sia un punto rispetto al qualenon si può tornare indietro”.

Farmindustria ha scelto il suo nuovo pre-sidente: Sergio Dompé, che dal 22 giugnosostituisce Federico Nazzari, alla guidadell’associazione per tre mandati.Nato il 14 ottobre 1955 a Milano, Dompéè entrato giovanissimo nella società fon-data dal padre, la Dompé farmaceutici.Nel 1988 fonda lui stesso la Dompé Bio-tec e nel 1993 crea a L’Aquila il Centro diricerca e produzione della Dompé Spa. Inpassato è stato vicepresidente di Farmin-dustria, presidente del Gruppo Biotecno-logie e presidente di Assobiotec, di cui og-gi è vicepresidente.Dompé punta ad essere un presidente “d’at-tacco”, che guidi il settore in “una svoltaepocale”. E nonostante lo scenario interna-

zionale difficile, secondo Dompé vi sono inItalia almeno tre elementi positivi per il ri-lancio della farmaceutica: l’esistenza di “unSsn tra i primi al mondo”; l’esistenza di “iso-le di ricerca di eccellenza a livello interna-zionale”; infine la constatazione che l’indu-stria farmaceutica italiana mostra segnalidi grande vitalità, in particolare sotto il pro-filo della ricerca.Perché questi elementi possano essere “ca-pitalizzati” è necessario però stabilizzare ilquadro normativo. “Per l’industria farma-ceutica il ritorno di un investimento richie-de in media 15 anni – ha spiegato il presi-dente di Farmindustria – e dunque chi in-veste deve poter contare su condizioni fa-vorevoli e stabili per un lungo periodo”.

Per realizzare un autentico rilancio dellafarmaceutica italiana Dompé auspica undialogo sempre più costruttivo con il Go-verno, l’Aifa e l’intero mondo politico, maanche con tutte le componenti del setto-re: dai medici ai farmacisti. Ad affiancare Dompé in questo progettoci sarà l’intera Giunta di Farmindustria ela squadra di presidenza di Farmindustria,rafforzata a 12 componenti: Alberto Aleot-ti (A. Menarini, Industrie farmaceuticheriunite), Sergio Liberatore (Schering),Gianni Marini (Astrazeneca), Maria PiaRuffilli (Pfizer Italiana), Emilio Stefanelli(Istituto Biochimico Savio), Claudio Ca-vazza (Sigma Tau), Alberto Chiesi (ChiesiFarmaceutici), Roberto Ferri (GlaxoSmith-Kline), Daniele Lapeyre (Sanofi-Aventis),Giorgio Rende (Ici Rende), Mathieu Si-mon (Wyeth). (L.C.)

DOMPÉ alla guida di Farmindustria

La presentazione del nuovo presidente èstata per Farmindustria anche l’occasio-ne per illustrare i dati relativi al settorefarmaceutico in Italia: 241 aziende pro-duttrici di specialità medicinali; 5.188 spe-cialità in commercio; 4.314 ricercatori.In termini monetari, nel 2004 le indu-strie farmaceutiche italiane hanno regi-strato una produzione per 17,8 miliardidi euro (14,8 di specialità medicinali e 3miliardi di sostanze di base), a cui si ag-giungono 9,5 miliardi di esportazione e866 milioni destinati agli investimenti.Alla ricerca sono andati 839 milioni dieuro, quasi il 10% delle spese totali del-l’industria e circa il 2% in più di quantospeso nel 2003.Questi i numeri che, pur in un quadrocongiunturale notevolmente peggiorato,confermano il settore farmaceutico nelnostro Paese come una delle colonne del-l’economia nazionale. Con il 4% circa delmercato totale, infatti, l’Italia si piazza alsesto posto nel mondo e quarto in Euro-pa. A detenere la leadership del mercatomondiale restano gli Stati Uniti (46%),mentre all’Europa spetta il 27% e al Giap-pone l’11%.Il ruolo dell’Italia diventa ancora più im-portante per quanto riguarda l’occupa-zione: nel 2004 con 73.550 addetti, il no-stro Paese è terzo in Europa dopo Ger-mania (circa 120 mila addetti) e Francia(99 mila).

Spesa farmaceutica 2004 per Regione

Regione Spesa netta Sfondamento % di spesaassoluto farm. sul totale

(mln di €) (mln di €)

Lazio 1.405 438 18,9Sicilia 1.267 369 18,4Sardegna 373 81 16,6Campania 1.253 266 16,5Calabria 444 79 15,8Puglia 860 145 15,6Liguria 377 48 14,9Abruzzo 275 33 14,8Molise 71 9 14,8Basilicata 123 13 14,5Marche 303 20 13,9Friuli V.G. 233 6 13,4Emilia Romagna 803 19 13,3Valle d’Aosta 23 1 13,3Umbria 165 0 13,0Lombardia 1.639 -36 12,7Toscana 676 -17 12,7Veneto 789 -45 12,3Trentino A.A. 153 -15 11,8Piemonte 749 -74 11,8Totale 11.980 1.341 14,6Fonte: Aifa

Percentuale di crescita della spesa farmaceutica 2004(Dati confrontati con il 2003)

Gennaio + 1,1%Febbraio + 7,8%Marzo +16,1%Aprile +18,4%Maggio +10,8%Giugno + 6,2%Luglio +15,9%Agosto +12,3%Settembre + 2,2%Ottobre - 0,3%Novembre + 9,0%Dicembre + 1,4%Fonte: Aifa

Spesa in farmaci generici per Regione nel 2004(% sulla spesa)

Toscana 15,0%Umbria 12,4%Basilicata 12,1%Emilia Romagna 12,0%Marche 11,3%Campania 11,2%Friuli V.G. 10,9%Abruzzo 10,2%Valle D’Aosta 10,1%Veneto 9,7%Piemonte 9,5%Sicilia 9,4%Trentino A.A. 9,3%Lombardia 9,3%Lazio 9,3%Calabria 9,3%Molise 9,1%Sardegna 9,0%Puglia 8,7%Liguria 8,3%Fonte: Aifa

Il mercato degli Otc per categoria terapeutica(Anno 2004)

Sintomi da raffreddamento 23%Apparato digerente 22%Analgesici 19%Vitamine/minerali/integratori 9%Dermatologici 9%Oftalmici 5%Cura della bocca 4%Apparato circolatorio 3%Urologia e sistema riproduttivo 1%Dissuefanti 1%Calmanti e sonniferi 1%Otologici 1%Antinausea 1%Fonte: Federchimica

Il prezzo dei farmaci per classi terapeutiche (Anno 2004)

Milioni di euro

Prezzo alla Prezzo alproduzione pubblico

Apparato digerente e metabolismo 1.663 2.797- antiacidi e antiulcera 728 1.239- colagoghi e epatoprotettori 51 84- vitamine 104 172- tonici 5 9Sangue e organi ematopoietici 460 777- Antianemici 147 248Apparato cardiovascolare 3.051 5.176- cardioattivi* 202 336- antidepressivi** 126 214- vasodilatatori periferici 93 152- vasoprotettori 122 201- betabloccanti 164 275- calcioantagonisti 381 646- ace-inibitori 1.145 1.955Dermatologici 359 593- corticosteroidi 102 169Antibiotici sistemici 791 1.340Antiflogistici e antireumatici 383 644Analgesici 331 550Psicolettici 499 827Psicoanalettici 391 658Antiasmatici 494 841Antitosse e antiinfluenzali 214 353Antistamici sistemici 74 124Oftalmici 245 409Totale*** 11.642 19.627****

* esclusi i Calcioantagonisti** esclusi gli ace-inibitori*** compresi i gruppi terapeutici non espressamente indicati**** il dato è comprensivo dello sconto a carico delle farmacie e dell’industri (peril 2004) a favore del Ssn per i prodotti rimborsati (in totale 911 milioni di euro)Fonte: Farmindustria

I NUMERI dell’industriafarmaceutica in Italia

6 Presa Direttal ’ i n f e r m i e r e 6 / 2 0 0 5

Presa Diretta

ealizzare un sistema di intervento immediato per impe-dire alle epidemie mortali di diffondersi senza control-lo e diventare una minaccia per un’intera nazione e peril mondo intero.Con questo obiettivo, i 192 Paesi membri dell’Oms (l’Or-ganizzazione mondiale della sanità) hanno approvato loscorso 23 maggio a Ginevra il nuovo Regolamento sa-nitario internazionale (Rsi), una serie di norme per con-trastare epidemie che, come la Sars e l’influenza dei pol-li, hanno creato panico e causato morti in tutti e cinquei continenti.Si tratta, in pratica, di un rafforzamento del Rsi nato nel1969, che si limitava a dettare misure da adottare negliaeroporti e nei porti per una lista ridotta di malattie (pe-ste, febbre gialla, vaiolo, febbre ricorrente e tifo). Del resto, quando furono realizzate le prime linee guida“l’aereo costituiva un lusso, merci e persone viaggiava-no ad altri ritmi”. “Ma oggi – hanno spiegato i vertici del-

l’Oms – sono necessarie regole nuove per contrastare leepidemie in un mondo che si percorre in sole 24 ore edove una epidemia che scoppia in un Paese può rapida-mente estendersi ad altri e alla superficie del globo”. Con-dizioni che hanno portato oggi a un rafforzamento del-le misure contro la diffusione dei virus e all’ampliamen-to del campo d’applicazione alle nuove malattie emer-genti e anche alle minacce bioterroristiche. “Queste nuo-ve regole – ha affermato Lee Jong-wook – riconosconoche le malattie non rispettano i confini nazionali, comeha dimostrato l’emergenza Sars scoppiata in Asia nel2003 e quella dell’influenza aviaria nel 2004-2005.Il nuovo regolamento, che entrerà in vigore nel 2007, harichiesto anni di negoziati e lunghe sessioni di lavorodel un gruppo intergovernativo dell’Oms. Il risultato, haspiegato il direttore generale dell’Oms, Lee Jong-wook,rappresenta “un grande passo in avanti per la salute in-ternazionale. La lotta contro la malattia è finalmente en-

trata nel XXI secolo” L’aggiornamento dell’Rsi obbliga i Paesi a dotarsi di mag-giori sistemi di controllo da parte degli Stati Membri,che dovranno adottare anche strumenti di comunica-zione più avanzati, per segnalare in tempo reale le mi-nacce per la salute internazionale e dare la possibilitàanche agli altri Paesi di avviare nell’immediato le misu-re per contenere la diffusione dei virus.Il Rsi contiene anche una lista di malattie (come il vaio-lo, la poliomielite e la Sars) i cui singoli casi devono es-sere dichiarati all’Oms e una serie di criteri in base aiquali i Paesi possono determinare se lo scoppio di unamalattia costituisce o meno una minaccia mondiale. Do-vrà essere inoltre notificata all’Oms, entro 24 ore, qua-lunque circostanza che possa destare preoccupazioneper la salute pubblica internazionale, compresa l’insor-genza di malattie di cui sono sconosciute le cause e l’o-rigine, o di virus potenzialmente letali.

R

Le nuove linee guida Oms contro le epidemie internazionali

Standard per riconoscere se le malattie sono una minaccia mondiale

VIA LE MANI DAI BAMBINI

Si sono conclusi a giugno i tre mesi di manifestazioni contro lo sfruttamento dei bam-

bini organizzati dall’Associazione italiana Amici di Raoul Follereau (Aifo) Gruppo di

Due Carrare (Pd). “Il progetto – ha spiegato Antonio Stasolla, infermiere dell’Ambula-

torio di terapia del dolore dell’Ospedale di Monselice e referente dell’Aifo – nasce dal

sentito bisogno di fare qualcosa per i più piccoli e anche per noi. Una serie di appun-

tamenti, di incontri, di manifestazioni per informare, sensibilizzare la popolazione e rac-

cogliere fondi per combattere la tragica realtà dell’infanzia maltratta”.

Si tratta di bambini di tutto il mondo, che lavorano nelle fabbriche al posto degli adul-

ti, costretti a fare i soldati o a subire violenze fisiche e psicologiche. In particolare, con

le offerte raccolte quest’anno l’Aifo si è proposto di finanziare il centro di accoglienza

per bambini di Kenge, in Congo. A identificare il progetto, che si ripete già da qualche

anno, è stata anche questa volta la bandiera bianca con la scritta “Via le mani dai bam-

bini”, acquistabile presso i punti vendita adibiti nei Comuni aderenti all’iniziativa. “A li-

vello politico – ha raccontato Stasolla – è stata approvata dal Comune di Due Carrare

una mozione che condanna lo sfruttamento dei bambini in qualsiasi forma e propone

che nel nostro territorio si porti alla luce la drammaticità dello sfruttamento minorile

e che l’amministrazione comunale si faccia portatrice di incontri e dibattiti sul tema”.

Un progetto che l’Aifo auspica possa crescere di anno in anno: “So che noi infermieri

abbiamo un cuore d’oro e non solamente per i nostri malati, ma per tutti coloro che

soffrono – è l’appello lanciato da Stasolla. Ognuno di noi può organizzare qualcosa nel-

le nostre città, raccogliere e donare fondi, diffondere questo messaggio per portare il

nostro aiuto ai bambini”.

GLI EFFETTI DELL’ASSISTENZA DI BASE

AFFIDATA AGLI INFERMIERI

Dedicare più tempo ai pazienti fa bene all’assistenza, ma significa anche avere in cura

meno persone e quindi produrre meno. Questi, in base a una ricerca olandese, i van-

taggi e gli svantaggi del trasferimento di responsabilità dell’assistenza di base dai me-

dici agli infermieri.

Secondo la ricerca, pubblicata su The Cochrane Library, molte competenze potrebbe-

ro, dopo un necessario addestramento, essere trasferite dai medici al personale infer-

mieristico. Tuttavia, “non vi sarebbero vantaggi economici, nonostante l’inferiorità del

salario infermieristico”, ha spiegato Miranda Laurant della Radboud University di Nij-

megen, coordinatrice del team di ricercatori. In pratica, l’analisi di 16 diversi studi su

un totale di 25 mila pazienti di Inghilterra, Stati Uniti e Canada, nell’ambito dei quali

al personale infermieristico era stata assegnata la responsabilità del primo contatto con

i pazienti, della gestione dei pazienti cronici e del primo contatto con i pazienti urgen-

ti non ha rilevato apprezzabili differenze tra personale medico e personale infermieri-

stico dal punto di vista dei risultati clinici, delle procedure, dell’utilizzazione delle ri-

sorse e dei costi. Però il personale infermieristico tende a passare una quantità mag-

giore di tempo con i pazienti, a offrire loro maggiori informazioni, a richiamare i pa-

zienti con più frequenza, il che piace ai malati ma comporta un minor numero di pa-

zienti assistiti all’ora. Il risparmio derivante dai salari più bassi percepito dal persona-

le infermieristico, quindi, viene annullato da un livello di “produttività” mediamente

più basso.

OMS: PREVENIRE LO SMOG PER ALLUNGARE LA VITA

Lo smog in Europa accorcia in media la vita di 8,6 mesi, valore che in Italia sale a 9 me-

si, provocando ogni anno la morte di circa 40 mila persone, più di 100 al giorno. Que-

sti i dati presentati lo scorso 22 giugno a Roma dall’Organizzazione mondiale della sa-

nità (Oms) e corredati dalle stime secondo cui con una politica di prevenzione e di con-

tenimento dell’inquinamento atmosferico nel nostro Paese si potrebbero avere 12.000

morti in meno e 28 mld di euro in risparmi umani e sanitari in più.

A conferma, dunque, che prevenire è meglio che curare. Si tratta, tuttavia, di risultati

ottenibili solo con una politica a lungo termine, che contrasta però con le azioni di con-

tenimento della spesa comunemente adottate e basate sui tagli ai programmi conside-

rati procrastinabili perché privi di un vantaggio immediato.

Le ricerche dell’Oms confermano che l’alta concentrazione di immissione di PM (par-

ticolato fine) nelle nostre città aumenta il rischio dei decessi respiratori nei neonati,

causa disturbi nei bambini, danneggia la salute della popolazione adulta, aumentando

i decessi per malattie cardio-respiratorie e cancro del polmone, e quindi anche i rico-

veri ospedalieri. Il PM è costituito di minuscole particelle variabili in dimensione, com-

posizione ed origine, direttamente immesse nell’atmosfera mediante il traffico, il riscal-

damento domestico, le attività industriali ecc. Cause non completamente eliminabili.

Tuttavia, secondo l’Oms, un’adeguata politica di controllo dell’immissione di PM po-

trebbe far crescere entro il 2020 l’aspettativa di vita di 3,2 mesi per la popolazione eu-

ropea e 3,4 mesi per la popolazione italiana. Ciò equivale ad evitare 12.000 morti pre-

mature l’anno, più di 30 al giorno. Lo sviluppo delle politiche relative alla riduzione

delle emissioni determinerebbe, entro il 2020, anche importanti risparmi economici:

la diminuzione della mortalità comporterebbe per l’Italia un vantaggio monetario an-

nuo compreso tra i 9 a 23 miliardi di euro, mentre con la diminuzione delle malattie

dovute al PM si risparmierebbero circa 5 miliardi, per un totale calcolabile fino a 28

miliardi di euro annui in termini di risorse umane e costi di prestazione sanitarie.

Bre

vi