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Guido Soldano Ordine e Caos Teoria delle reti Cosa unisce l’impero romano ad al-Qaida, la cooperazione ai social network? Prefazione di Luciano De Crescenzo

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Guido Soldano

Ordine e CaosTeoria delle reti

Cosa unisce l’impero romano ad al-Qaida,la cooperazione ai social network?

Prefazione di Luciano De Crescenzo

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A Cristina, Chiara e Francesco,il mio grafo completo personale

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In ogni caos c’è un cosmo,in ogni disordine un ordine segreto

Carl Gustav Jung

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Indice

PrefazioneLuciano De Crescenzo 11

Premessa 15

Capitolo 1 La nascita della teoria, le leggi che governano le reti 17

1.1 Dal 1736 ai giorni nostri. Gli sviluppi della teoria delle reti 171.2 Definizioni e concetti indispensabili 231.3 Le leggi che governano le reti 401.4 I campi di applicazione della teoria delle reti 481.5 La fine del riduzionismo. Studiare a “pezzi”?

Uno studio da pazzi! 641.6 Ricapitolando 67

Capitolo 2La natura e l’importanza dei link 71

2.1 Da dove siamo partiti e a che risultati siamo giunti 712.2 Il ciclo di vita delle reti. Qualche considerazione 742.3 Sulla natura dei link. Non semplici tratti di penna 762.4 I sistemi emergenti. Se ci uniamo democraticamente,

verrà fuori qualcosa di buono 872.5 Perché il sistema non solo non “emerge”,

ma sembra impazzire? 1022.6 Esempi di sistemi “impazziti” per comportamenti fuori

dalle regole naturali 1042.7 Ultime considerazioni a chiusura del capitolo 108

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Capitolo 3La natura e l’importanza dei nodi: ridondanza ed irridondanza, nodi monografici e nodi plurigrafici. I nodi anomali 113

3.1 I nodi, sono tutti uguali? Non sono pallini tutti uguali 1143.2 Caratteristiche dei nodi: la monograficità e la plurigraficità 119 3.3 Ruoli differenti dei nodi. A ciascuno il suo 1213.4 L’importanza della ridondanza. Ridondanza di nodi

e di link. Più siamo e meglio funzioniamo 1243.5 L’importanza della ridondanza per l’innovazione.

Chiariamoci sull’innovazione, una volta per tutte 1273.6 Un esempio emblematico: l’integrazione degli immigrati

in una nazione ospitante 1323.7 Il nodo anomalo. Definizioni, ruolo e suoi effetti

sulla rete. I nodi sono tutti “buoni”? 136

Capitolo 4La cooperazione: la maniera più sicura e durevole dello “stare” e del “fare” insieme 141

Premessa 1414.1 Caratteristiche della rete che ha consentito lo sviluppo

della specie umana 1444.2 Il corretto utilizzo degli strumenti per una efficace

modellazione dei fenomeni. Grandezze scalabili e grandezze non scalabili. Che differenza c’è tra altezza e ricchezza? 148

4.3 Le leggi dell’economia. Siamo sicuri che siano quelle giuste? 150

Capitolo 5Il Credito Cooperativo. Un esempio emblematico 157

Premessa 1575.1 Breve storia del movimento di Credito Cooperativo 1575.2 Il Credito Cooperativo come rete caotica “piccolo mondo” 1605.3 Il Credito Cooperativo come sistema emergente:

i 5 passi di Kelly e Johnson applicati alle BCC 1685.4 La Carta della cooperazione:

analizziamo i suoi sette principi 175

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Capitolo 6La forza e l’ineluttabilità della cooperazione 181

6.1 Ipotesi sullo “stare” e del “fare” insieme 181

PostfazioneLa rete: una maniera diversa di interpretare la realtà o uno strumento per modificarla? 185

Ringraziamenti 187

Bibliografia ed articoli 189

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Prefazione

Alcuni giorni fa ho avuto modo di osservare mio ni-pote Michelangelo mentre era seduto alla sua scrivania.Qualcuno potrebbe obiettare che non è poi un’abitudinecosì strana, e mi troverebbe pienamente d’accordo. In re-altà, ciò che mi ha incuriosito era l’espressione del suoviso, sembrava del tutto rapito. Dalla posizione in cui mitrovavo, però, non riuscivo a vedere quale fosse il testo ol’immagine che, proiettati dal monitor del computer, riu-scissero a tener viva la sua attenzione. Avrei potuto avvici-narmi, ma lui non si era accorto della mia presenza nellastanza perché indossava gli auricolari e mai e poi maiavrei voluto violare la sua privacy. Ho resistito un po’, poila curiosità ha avuto la meglio e, seppur rimanendo a de-bita distanza, gli ho chiesto: “Michelangelo, cosa stai guar-dando?”. La prima volta non mi ha sentito, quindi misono visto costretto a ripetere la domanda un paio divolte, e solo quando ho alzato il tono della voce ha di-stolto lo sguardo dal monitor ed ha risposto: “È il nuovovideo musicale di un gruppo che mi piace, un mio amicomi ha passato il link”.

Se non avessi letto questo libro dedicato alla teoriadelle reti, lì per lì non avrei saputo di preciso a cosa sistesse riferendo Michelangelo, e non perché non abbiamai sentito parlare dei link. Il mio primo incontro con uncomputer risale circa a cinquant’anni fa. All’epoca ero ungiovane ingegnere che lavorava all’Ibm e le macchine cheutilizzavamo per fare i calcoli erano molto diverse da

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quelle di oggi, ingombranti e con poca memoria. Navigareera un verbo applicato esclusivamente alla nautica e lapossibilità di mettere in interconnessione più calcolatori,in diverse parti del mondo, era solo un sogno futuristico.

Ad essere onesto, negli ultimi anni ho perso un po’ lamano con i computer e prima di leggere Ordine e caos nonavevo ben chiaro il modo in cui i link, messi in collega-mento tra loro, riescano a creare delle vere e proprie retidi comunicazione. È un po’ come se riuscissero a dare uncerto ordine a ciò che all’apparenza sembra in disordinema che, forse, così in disordine non è. Se qualcuno michiedesse di scegliere tra ordine e disordine probabil-mente sceglierei il primo, ma solo perché può essere in-franto. A me il disordine, da sempre, mette tanta allegria.Qualcuno potrebbe sostenere che sia sinonimo di Caos,a Napoli lo chiamerebbero ammuìna. In realtà, pensareche il Caos rappresenti il disordine assoluto non è cor-retto. Il disordine, se assecondato in maniera opportuna,rappresenta il massimo dell’ordine e può consentire agliuomini di mettere in atto grandi cose, proprio come è ac-caduto con il world wide web.

Leggendo questo libro ho scoperto che i link sono inun certo senso messi in ordine tra loro attraverso dei nodidi congiunzione. Questi nodi si chiamano hub, ed è pos-sibile riscontrarli in diversi ambiti, non solo in quellodell’informatica. Lo so, qualcuno potrebbe pensare chemi sia scemunito e che abbia scambiato un aeroporto conun nodo, ma non è così. In computerese, un linguaggio sem-pre più in voga tra i giovani, un hub altro non è che unaspecie di nucleo, un nodo, come lo definisce Soldano, dalquale si diramano numerosi collegamenti; i link per l’ap-punto. Se volessimo applicare questo termine alla societàcontemporanea, un hub è colui il quale riesce ad entrarein contatto con un numero elevato di persone (link) ed

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influenzare attraverso le proprie scelte il comportamentodegli altri. Un hub, ai giorni nostri, potrebbe essere rap-presentato dalla ragazza più carina e alla moda di una co-mitiva, da un leader politico, da un attore di successo.

Una volta ho conosciuto un hub, anzi una hub. Il suonome era Livia ed oltre ad essere la studentessa più po-polare della scuola, era anche la sorella maggiore di unmio amico. Era ammirata da tutti per la sua bellezza. Leragazze aspiravano a diventare sue amiche, imitavano ilsuo abbigliamento, volevano il suo stesso taglio di capelli,ed ogni ragazzo avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di riusciread attirare anche solo per un momento il suo sguardo.Naturalmente, io ero innamorato di lei, e non appena laincrociavo per i corridoi mi fermavo a contemplarla, finoa quando non ha deciso di cambiare scuola a causa di al-cune voci messe in giro da una compagna di classe gelosa.Un po’ come nell’antica Grecia dove gli hub, anche senon erano chiamati così, non erano visti di buon occhio,anzi, il più delle volte erano considerati un pericolo perl’equilibrio della polis.

La notorietà, ancora oggi, è causa di antipatie e gelo-sie, e se alcuni dei nostri personaggi della politica o dellatelevisione fossero vissuti ad Atene, probabilmente sareb-bero stati condannati all’esilio, vittime dell’ostracismo,una pratica che consentiva ai cittadini di segnalare ilnome dei propri nemici sull’òstracon, una pietra di cera-mica situata nell’agorà. Qualora seimila persone avesseroscritto lo stesso nome, quella persona sarebbe stata addi-tata come pericolosa e costretta ad andar via dalla città.Nella nostra epoca, che gli studiosi amano definire delweb 2.0, l’òstracon potrebbe corrispondere ad una fanpagedi Facebook, una di quelle pagine a cui gli utenti deci-dono di aderire perché incoraggia un pensiero condiviso.Se qualcuno, ad esempio, e speriamo non accada mai, de-

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cidesse di dar vita ad una pagina contro la mia persona,una cosa del tipo “Impediamo a Luciano De Crescenzodi scrivere di filosofia”, a tutti gli utenti registrati sarebbedata la possibilità di poter esprimere la propria approva-zione a questo pensiero cliccando un semplice “mi piace”.Dio non voglia, ma qualora questa pagina raggiungesse iseimila iscritti sarebbe di sicuro una pagina di successoed io, probabilmente, uno scrittore finito, con l’unica dif-ferenza che non essendo questa l’epoca di Clistene, nonsarei costretto ad espatriare.

Detto fra noi, anche se mi auguro di esser stato chiaro,per approfondire e comprendere al meglio questo emolti altri concetti è meglio che leggiate questo librosenza saltare nemmeno un capitolo. Io e Guido Soldano,in fondo, un po’ ci assomigliamo. Entrambi, come luistesso spiega, scriviamo con un unico obiettivo: “Che i let-tori arrivino a leggere fino all’ultima pagina, che imparino cosenuove, che vedano il mondo in maniera diversa”. Per riuscirci,utilizziamo un linguaggio semplice, consapevoli che, ilpiù delle volte, l’ostilità di alcuni concetti derivi dallascelta delle parole che si usano per spiegarli.

Luciano De Crescenzo

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Premessa

Quando si sente parlare di teoria delle reti si pensa su-bito ai calcolatori, e se non ai calcolatori, a qualcosa cheabbia a che fare con tecnologie per iniziati.

Nulla di più lontano dalla realtà.I recenti sviluppi della teoria toccano tutti i campi

dello scibile e delle attività umane, nessuno escluso. Tuttii campi hanno dato contributi alla teorizzazione che è an-cora in fase di completamento.

In tutti i campi se ne registrano continuamente appli-cazioni e conferme.

La teoria delle reti viene da molto lontano. Addiritturadal diciottesimo secolo, grazie a un’intuizione del mate-matico Eulero, che fu attratto per un caso da un quesito,poco più di un gioco.

Tutto, dunque, nacque dal caso. Ma, come vedremonel prosieguo, nulla avviene per caso.

La cosa straordinaria è che le stessi leggi che regolanofenomeni che normalmente consideriamo lontani da noi:il processo di solidificazione dei liquidi, la trasmissione dimalattie genetiche… regolano anche cose talmente vicinea noi che non pensiamo possano essere oggetto di studiodi scienziati, come il processo con cui si crea una comitivaal mare, la maniera migliore per cercare un posto di la-voro, la strada più sicura per arrivare ad una persona checi interessa particolarmente…

Un’ultima notazione. Tra poco parleremo diffusa-

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mente del caos e delle teorie che lo regolano.Un semplice scambio di lettere separano il caos dal

caso.Può essere un semplice caso?

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Capitolo 1

La nascita della teoria, le leggi che governano le reti

1.1 Dal 1736 ai giorni nostri. Gli sviluppi della teoria delle reti

Nel 1736 Eulero si trovava a Könisberg – la città, oggiin Russia ma allora capitale del Regno di Prussia, famosaper aver dato i natali a Immanuel Kant – per un congressodi matematici.

Könisberg era attraversata da un fiume, il Pregel, cheformava all’interno del suo percorso, un’isola, l’isola diKneiphof, così come il Tevere a Roma ha creato l’isola Ti-berina. Sotto ne vediamo uno schema:– in blu è rappresentato il fiume Pregel;– in giallo sono schematizzati i ponti che nel 1736 lo at-

traversavano;– in bianco è rappresentata la terraferma (la citta di Kö-

nisberg e la sua isola fluviale).

Tra gli abitanti della città circolava un quesito. Era possi-bile ipotizzare una passeggiata che attraversasse tutti i ponti,ma senza mai passare per uno stesso ponte già attraversato?

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Eulero, dam a t em a t i c oquale era, fu at-tratto da questoproblemino e loschematizzò inmaniera assolu-tamente innova-tiva. Innanzi tut-

to notò che i luoghi da raggiungere erano quattro; lischematizzò come riportato nella figura (i pallini rossi).Per la prima volta nella storia erano stati disegnati i nodidi un grafo.

Tracciò poi con un tratto di penna tutti i possibili col-legamenti chepotevano essercitra di essi, ov-viamente attra-versando i pontidel fiume. Perla prima voltaerano stati dise-gnati dei link (olegami).

Eulero avevatracciato il pri-mo grafo dellastoria della ma-tematica, la rap-presentazionegrafica di unarete, formata daun certo nume-ro di nodi e daicollegamenti(link) tra di essi.

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Siccome Eulero era un matematico (e che matematico!)non si limitò a schematizzare il problema, ma, per tentaredi risolverlo, dovette inventarsi anche il primo teoremasui grafi che recita più o meno così:

“Per poter attraversare completamente un grafo (toc-care tutti i nodi passando per tutti i link una sola volta)soltanto il nodo di ingresso ed il nodo di uscita possonoavere un numero dispari di link; tutti gli altri nodi devonoaverne in numero pari”.

È facile immaginare che la sua risposta agli abitantidella simpatica cittadina (compreso il dodicenne Imma-nuel Kant) sia stata del tipo: “Carissimi, è inutile che viscervelliate, il vostro problema non ha soluzione. Se vo-lete, posso indicarvi dove costruire altri ponti affinchépossiate fare la vostra passeggiata”.

Eulero, molto più che un semplice matematico

Consigliamo vivamente di approfondire la storia della vita di Eulero. Cometutti i grandi matematici era un po’ “svitato”. Leonhard Euler, nato a Ba-silea il 15 aprile 1707, e noto in Italia appunto come Eulero, ebbe unalunga vita, un numero impressionante di figli e di tragedie familiari. Ci halasciato circa venti volumi di produzione matematica per un totale di mi-gliaia e migliaia di pagine (888 pubblicazioni). La cosa divertente è chescriveva di matematica normalmente nell’intervallo che intercorreva tra ilsuo ritorno a casa per il pranzo di mezzodì e il momento in cui la moglie lochiamava perché il pranzo era in tavola. Normalmente lo faceva con l’ultimonato sulle ginocchia. Ovviamente il suo mestiere era un altro. Come si sa,la matematica non paga. Il padre ne avrebbe voluto fare un teologo, lui co-minciò la sua attività come medico. Fu il primo ad utilizzare la lettera grecaS per indicare una sommatoria di elementi; cominciò ad indicare per primocon p la costante che rappresenta il rapporto tra la circonferenza di un cer-chio ed il suo diametro. Il suo nome è tutt’ora legato a: la costante di Eulero,il criterio di Eulero, il diagramma di Eulero-Venn (questo in “comproprietà”con il matematico e statistico inglese John Venn attivo nella seconda metàdell’Ottocento). Morì per una emorragia celebrale il 18 settembre 1783 aSan Pietroburgo mentre studiava le leggi sulla rotazione di un pianeta ap-pena scoperto, Urano. Le ultime equazioni da lui teorizzate quel giorno por-tarono, qualche decennio dopo, alla scoperta di Plutone.

1. La nascita della teoria, le leggi che governano le reti

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Per più di due secoli la neonata “teoria dei grafi” fu con-finata ad una branca della geometria analitica e veniva usataanche da altre discipline come la “ricerca operativa” per ri-solvere problemi quali l’ottimizzazione dei percorsi all’in-terno di un magazzino, l’ottimale dislocazione delle merci inbase alla loro movimentazione. Ma anche per l’individua-zione delle vie di uscita da un labirinto, la sequenza di mossedi un cavallo sulla scacchiera per toccare tutte le caselle unaed una sola volta, ma mai con grande clamore. Ancora neglianni Settanta non era agevole trovare testi in italiano di que-sta disciplina. La gran parte della letteratura era in franceseo in inglese (la bibliografia della tesi “Fondamenti della teoriadei grafi” di mia sorella Rosalba, laureatasi nel 1975 è, adesempio, tutta in francese).

Nel 1959 due matematici ungheresi Paul Erdös e Al-fréd Rényi scrivono otto articoli sulle reti; per primi par-lano di “diametro della rete” intendendo per tale ilnumero di link che bisogna attraversare per poter colle-gare due nodi posti all’estremità di una rete, come sche-matizzato nella figura seguente.

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Paul Erdös, un grande matematico, un incredibile personaggio

Paul Erdös meriterebbe un capitolo a parte. Era un uomo sui generiscome spesso sono i matematici. Ecco un suo breve ritratto. Un metro e sessantacinque di altezza, cinquantanove chili di peso, PaulErdös organizzò la sua vita per massimizzare il tempo da dedicare allamatematica (negli ultimi venticinque anni diciannove ore al giorno).Celibe, senza lavoro, senza casa, viaggiava da un continente all’altro,si presentava alla porta di un collega dichiarando “la mia mente èaperta”, studiava con lui finché non s’annoiava o il collega non ce lafaceva più, e poi passava a un’altra casa. Una valigetta per il guar-daroba e una radio. Giacca grigia, pantaloni scuri, camicia o giaccada pigiama, rossa o senape, scarpe di cuoio ungheresi fatte su misuraper i suoi piedi piatti, così poca biancheria da costringere chi l’ospitavaa lavargli calze e mutande più volte a settimana.Gli dava fastidio essere toccato e ricevere baci. Non stringeva la manoa nessuno, se gliela tendevano la sfiorava appena. Si lavava le maniin continuazione e per paura dei germi non usava nemmeno l’asciu-gamano messo a disposizione degli ospiti: si scrollava l’acqua dallemani, incurante di bagnare il pavimento.“Non camminava mai, andava quasi al galoppo, come uno scim-mione, curvo in avanti, muovendosi sui lati e con le braccia che don-dolavano. La gente si girava a guardarlo”.Conosceva il numero telefonico di tutti i matematici, ma di pochi ricor-dava il nome.Difficoltà insuperabile per lui era quella di allacciarsi le scarpe (per laprima volta da solo a undici anni). Nell’estate 1948, proprio in occa-sione di una festa organizzata in suo onore, in California, passò daun invitato all’altro finché qualcuno non accettò di fargli il nodo.Per tenersi in piedi, dieci-venti milligrammi di benzedrina o Ritalin pervolta, caffè forte e compresse di caffeina: “Un matematico è una macchinaper trasformare caffè in teoremi”. Una volta l’amico Ron Graham scom-mise con lui cinquecento dollari che non sarebbe riuscito a fare a meno dianfetamine per un mese. Erdös vinse: “Mi hai dimostrato che non sonoun tossicodipendente. Ma, quanto al lavoro, non ho fatto nulla. Mi sve-gliavo la mattina e mi mettevo a fissare il foglio bianco. Non avevo idee,proprio come una persona qualunque. Hai fatto perdere alla matematicaun mese”. Morì nel 1996, a 83 anni, scrisse su di sé il seguente epitaffio:“Finalmente ho finito di diventare più stupido”.Chi volesse saperne di più su di lui, può leggere un piacevole libro scrittoda Paul Hoffman, L’uomo che amava solo i numeri.

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La novità assoluta è che, a partire dagli anni Ottantadel secolo scorso fino ai giorni nostri, in innumerevolicampi dello scibile umano si scopre che alla base dei fe-nomeni osservati non vale più, o non vale solo, la vecchialegge deterministica “causa-effetto”, ma ciò che maggior-mente conta è l’interazione, a volte molto complessa, tratutte le parti che compongono quel che si sta osservandoe quindi il comportamento delle parti “in rete” tra di loro.

Tra le discipline sicuramente coinvolte ci sono la bio-logia, la medicina, la fisica a tutti i livelli, la sociologia, lastoria (o meglio, la sua reinterpretazione)… La cosa an-cora più stupefacente è che quando una disciplina “sco-pre” una nuova legge di funzionamento della rete, questaè direttamente applicabile in tutti gli altri campi.

Ciò che oggettivamente colpisce più di ogni altra cosaè che queste leggi, di cui parleremo tra non molto, sonole stesse che regolano Internet (intesa come rete di cal-colatori) e il Web (World Wide Web inteso come rete disiti variamente linkati tra di loro).

Come tutti sappiamo il Web non è regolato da alcunanorma. Chiunque può creare siti con nomi che non sianostati già utilizzati, chiunque può connettere un suo serveralla rete senza chiedere nulla a nessuno. Recentementeperò qualcuno ha ipotizzato di creare delle regole per ilWeb (si veda a questo proposito l’articolo “Salvare il Webdalle regole”, uscito sulla rivista Il Sole 24 Ore-Nova il 23settembre 2010): speriamo che non accada perché, comevedremo tra qualche pagina, questo potrebbe causare lasua morte o, quantomeno, snaturare la sua essenza. Farlodiventare un’altra cosa.

Il fatto che anche Internet ed il Web rispettino questeleggi colpisce particolarmente proprio perché dietro In-ternet o il Web non si può neanche lontanamente sup-porre che ci sia un “architetto occulto”, come invece sipuò ipotizzare dietro il funzionamento di un corpoumano o di un fenomeno fisico.

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Dio, se esiste (io penso di sì), sicuramente non si oc-cupa né di Internet né del Web. Riteniamo abbia benaltro di cui occuparsi.

1.2 Definizioni e concetti indispensabili

A questo punto c’è necessità di fornire definizioni e con-cetti che saranno indispensabili per la comprensione diquanto verrà detto successivamente e che rappresentano ilcorredo minimo di conoscenze, anche lessicali, per poteraffrontare in modo più approfondito la teoria delle reti.

Ma prima è doverosa una precisazione. Da qui inavanti verranno fatti sempre esempi che riguardano lepersone, il loro relazionarsi, i loro legami. È stata fattaquesta scelta perché si è ritenuto che rappresentino i casipiù semplici da capire perché fanno parte della nostravita quotidiana. La ragione della scelta è solo questa; noncerto perché i concetti e le definizioni che andremo adanalizzare e che andremo a scoprire più avanti possanoapplicarsi solo a questo campo. Avrei potuto fare esempidi termodinamica, di fisica, di biologia, ma l’obiettivo diquesto libro è che i lettori arrivino a leggere fino all’ul-tima pagina, che imparino cose nuove, che vedano ilmondo in maniera diversa e, perché no, che si divertanoa leggere questo libro e a pensare alle implicazioni quo-tidiane di quello che troveranno scritto.

“La rete è un insieme costituito da nodi e dai collegamentipresenti tra i nodi”.

A cosa si applica questa prima definizione? Verrebbeda dire a tutto. Sembra un’affermazione troppo catego-rica. Scopriremo insieme che è proprio così.

Pensiamo ad un girotondo di bimbi: i nodi sono rap-presentati dai bimbi stessi; i link dalle loro mani che strin-gono quelle del bimbo vicino; pensiamo ad un albero

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genealogico: i nodi sono rappresentati dai singoli com-ponenti della famiglia rappresentata, i link i loro rapportidi parentela.

Non c’è bisogno di ulteriori esempi. Ricordate i pontidi Könisberg ed i luoghi che bisognava raggiungere?Stiamo parlando di quello, non di altro.

“Il grafo è la rappresentazione grafica di una rete”.Cambiamo argomento. Ricorriamo ad un altro esempio.Ricordate le vacanze estive, specialmente quando il

luogo scelto dai vostri genitori era nuovo, magari un vil-laggio. Non conoscevate nessuno all’inizio, poi, a manoa mano, cominciavano ad arrivare altre famiglie, con ra-gazzi e ragazze della vostra età. Se schematizzate ogni ra-gazzo con un pallino e con un tratto di penna unite ipallini man mano che i ragazzi che essi rappresentanofanno la reciproca conoscenza, avrete ottenuto un grafo,la schematizzazione della rete che si è andata a creare.

Tuttavia, forse le cose non andavano sempre così lisce.Magari arrivava qualcuno un po’spocchioso che era restioa fare amicizia con tutti; magari arrivava qualcun’altro (oqualcun’altra) particolarmente carino, simpatico, attraente,per cui tutti ambivano a diventarne amico e si creavanoimmancabilmente gelosie tra quelli che si reputavanogià “amici a prova di nuovi arrivi”.

Ricordiamoci di questo esempio, lo utilizzeremoanche in seguito.

“Un grafo si dice completoquando ogni nodo è direttamente col-legato a qualunque altro nodo ap-partenente al grafo”.

Vediamo una schematizza-zione grafica. In questo esempio8 nodi (i pallini rossi) sono diret-tamente interconessi, cioè ogni

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