opportunità e rischi per i professionisti Riforma della crisi d’impresa · IN ATTESA DEI DECRETI...

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IN ATTESA DEI DECRETI DELEGATI- 21 OTTOBRE 2017 ORE 06:00 Riforma della crisi d’impresa: opportunità e rischi per i professionisti Andrea Ferri - Consigliere delegato all’area giudiziale ODCECBO La legge delega di riforma della crisi d’impresa rappresenta uno strumento moderno e duttile per le esigenze dei professionisti che operano a fianco dell’imprenditore in difficoltà. Nuove opportunità per i professionisti nascono dalla possibilità di ricoprire il ruolo di componenti gli organismi di composizione della crisi tenuti presso la Camera di commercio, di assistere le imprese nella procedura di allerta per l’emersione tempestiva della crisi e da una implementata normativa sui controlli contabili. Di converso, numerosi sono i profili di rischio che si ravvisano: quali sono? La legge delega di riforma della legge fallimentare è improntata sui lavori della qualificata e laboriosa Commissione Rordorf Commissione Rordorf. Un plauso e tanta soddisfazione da parte degli ordini professionali ordini professionali per una riforma che rende il nostro Paese, anche grazie alla legge n. 3/2012 sulla crisi da sovraindebitamento, al passo con le legislazioni più lungimiranti, protese da molti anni a salvaguardare salvaguardare le imprese imprese in crisi in crisi ed a reimmettere gli imprenditori nel circuito dell’economia se sfortunati ma onesti. Leggi anche Leggi anche Procedure concorsuali: la riforma supera la concezione di“imprenditore fallito Lo stesso Ministro Orlando Ministro Orlando nel discorso ai media cita: “Non uso mai questi termini ma si tratta di riforma di portata epocale” riforma di portata epocale”. “L'impianto della normativa che riguarda il fallimento risale ancora al 1942 con un meccanismo distorto che ha macinato in questi anni molte risorse sia imprenditoriali che di beni materiali”. Ma ora con questo provvedimento, comunica il Guardasigilli, si riesce “a rivedere lo stigma che spesso non è più giustificato nella fase di un'economia globalizzata, ma anche a non sprecare capacità imprenditoriale”. Perché “uno può essere un buon imprenditore e aver avuto una prima esperienza imprenditoriale non felice”. Questo ragionamento la dice lunga sui dogmi che hanno ispirato la riforma, su cui il nostro Paese era disallineato disallineato rispetto ai Paesi più evoluti Paesi più evoluti: l’emersione tempestiva della crisi, il salvataggio dell’azienda, l’esdebitazione e la ripartenza dell’imprenditore. Visione generale sulla riforma La riforma tocca anche i temi caldi della crisi nei gruppi societari gruppi societari, della procedura di procedura di allerta allerta per l’emersione tempestiva della crisi, della sostituzione del termine oramai vessatorio di fallimento con liquidazione giudiziale, del criterio di quantificazione del danno nelle azioni di responsabilità, del market place nazionale di tutte le gare giudiziali, dell’albo unico dei curatori e commissari, del revisore unico obbligatorio revisore unico obbligatorio per le società a responsabilità limitata con fatturato superiore ai 2.000.000 di euro. Mentre il numero dei fallimenti e dei concordati è in rapida diminuzione ed i dati sul PIL nazionale ed europeo dimostrano che “il peggio è passato”, dispiace constatare che questa stagione di riforme poteva e doveva iniziare prima, quanto meno all’inizio della crisi dei sub- prime del 2007/2008. Potevano utilizzare, i professionisti della crisi professionisti della crisi, strumenti più accurati e dedicarsi ad imprese non decotte ma in crisi o in declino. Sono passati 10 anni ed il tessuto imprenditoriale delle PMI PMI ha visto progressivamente ridursi il numero ed i mercati di accesso. Forse era inevitabile, ma certamente era auspicabile una direzione forte nel Paese, volta a calmierare il numero dei

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IN ATTESA DEI DECRETI DELEGATI- 21 OTTOBRE 2017 ORE 06:00

Riforma della crisi d’impresa:opportunità e rischi per i professionistiAndrea Ferri - Consigliere delegato all’area giudiziale ODCECBO

La legge delega di riforma della crisi d’impresa rappresenta uno strumento moderno eduttile per le esigenze dei professionisti che operano a fianco dell’imprenditore indifficoltà. Nuove opportunità per i professionisti nascono dalla possibilità di ricoprire ilruolo di componenti gli organismi di composizione della crisi tenuti presso la Camera dicommercio, di assistere le imprese nella procedura di allerta per l’emersione tempestivadella crisi e da una implementata normativa sui controlli contabili. Di converso, numerosisono i profili di rischio che si ravvisano: quali sono?

La legge delega di riforma della legge fallimentare è improntata sui lavori della qualificata elaboriosa Commissione RordorfCommissione Rordorf .

Un plauso e tanta soddisfazione da parte degli ordini professionaliordini professionali per una riforma cherende il nostro Paese, anche grazie alla legge n. 3/2012 sulla crisi da sovraindebitamento, alpasso con le legislazioni più lungimiranti, protese da molti anni a salvaguardare salvaguardare le impreseimpresein crisiin crisi ed a reimmettere gli imprenditori nel circuito dell’economia se sfortunati ma onesti.

Leggi ancheLeggi anche Procedure concorsuali: la riforma supera la concezione di“imprenditore fallito

Lo stesso Ministro OrlandoMinistro Orlando nel discorso ai media cita: “Non uso mai questi termini ma sitratta di riforma di portata epocale”riforma di portata epocale” . “L'impianto della normativa che riguarda il fallimentorisale ancora al 1942 con un meccanismo distorto che ha macinato in questi anni molte risorsesia imprenditoriali che di beni materiali”. Ma ora con questo provvedimento, comunica ilGuardasigilli, si riesce “a rivedere lo stigma che spesso non è più giustificato nella fase diun'economia globalizzata, ma anche a non sprecare capacità imprenditoriale”. Perché “uno puòessere un buon imprenditore e aver avuto una prima esperienza imprenditoriale non felice”.

Questo ragionamento la dice lunga sui dogmi che hanno ispirato la riforma, su cui il nostroPaese era disallineatodisallineato rispetto ai Paesi più evolutiPaesi più evoluti : l’emersione tempestiva della crisi, ilsalvataggio dell’azienda, l’esdebitazione e la ripartenza dell’imprenditore.

Visione generale sulla riforma

La riforma tocca anche i temi caldi della crisi nei gruppi societarigruppi societari , della procedura diprocedura diallertaallerta per l’emersione tempestiva della crisi, della sostituzione del termine oramai vessatoriodi fallimento con liquidazione giudiziale, del criterio di quantificazione del danno nelle azioni diresponsabilità, del market place nazionale di tutte le gare giudiziali, dell’albo unico dei curatorie commissari, del revisore unico obbligatoriorevisore unico obbligatorio per le società a responsabilità limitata confatturato superiore ai 2.000.000 di euro.

Mentre il numero dei fallimenti e dei concordati è in rapida diminuzione ed i dati sul PILnazionale ed europeo dimostrano che “il peggio è passato”, dispiace constatare che questastagione di riforme poteva e doveva iniziare prima, quanto meno all’inizio della crisi dei sub-prime del 2007/2008.

Potevano utilizzare, i professionisti della crisi professionisti della crisi , strumenti più accurati e dedicarsi ad impresenon decotte ma in crisi o in declino. Sono passati 10 anni ed il tessuto imprenditoriale delle PMIPMIha visto progressivamente ridursi il numero ed i mercati di accesso. Forse era inevitabile, macertamente era auspicabile una direzione forte nel Paese, volta a calmierare il numero dei

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default e ad incentivarne la ripartenza imprenditoriale utilizzando, soprattutto, lo strumentodella continuità.

Un legislatore iperattivo che dal 2005 ad oggi ha stratificato, con lo strumento del decreto legge,l’impianto della riforma del 2006, mancando di organicità ed intervenendo sempre a rincorrerel’emergenza di turno, impedendo agli operatori una sedimentazione delle norme. Questo hadeterminato un’alternanza di giudicati senza precedenti tra le corti territoriali, ma anche tra lediverse sezioni della stessa Corte di Cassazione, addirittura successivi agli interventi delleSezioni unite.

Prima l’introduzione dell’”automatic stayautomatic stay” e del concordato in biancoconcordato in bianco nel decreto legge n.83 del 2012, cosiddetto “decreto sviluppo”, poi il brusco “cambio di rotta ” del decreto legge n.83 del 2015, con la soppressione del meccanismo del “silenzio assenso” nel criterio di votoall’adunanza dei creditori, stabilendo una soglia minima del 20% nel concordato liquidatorio edaltre norme volte a calmierare le procedure concordatarie.

Se la procedura di allerta avesse visto la luce all’epoca della riforma Trevisanatoriforma Trevisanato, allora illavoro di tanti curatori che sono stati costretti a gestire imprese insolventi con l’esercizioprovvisorio fallimentare avrebbe potuto essere agevolato, se il Tribunale fosse stato notiziatoallo scaturire della crisi, mediamente due o tre esercizi prima, così asseriscono i primi studiempirici sui concordati post riforma del 2006.

E’ fondamentale, come questi anni di salvataggi aziendali hanno dimostrato, sviluppare pianipianidi risanamentodi risanamento su imprese dotate di un business ancora profittevole, di impianti a pienacapacità, di lavoratori ancora protagonisti delle scelte aziendali, giungendo in fretta al sorgeredella patologia. Ed una procedura stragiudiziale avrebbe potuto segnare la strada per il rilanciodell’impresa in crisi, sotto il controllo dell’Organismo di composizione della crisi. Procedurastragiudiziale che avrebbe evitato ingenti costi per i creditori, un danno sociale per perdita deiposti di lavoro e tante variazioni in diminuzione del PIL nazionale.

Procedura di allerta

Spiace che nella versione definitiva approvata dal Senato la procedura di allerta sia stataaffidata agli Organismi di composizione della crisi delle Camere di Commercio, anziché agliOrdini professionaliOrdini professionali , come era indicato nella versione alla Camera. Gli Ordini professionalistanno alacremente lavorando, processando ogni giorno numerose pratiche di sovraindebitatiche sottopongono al gestore della crisi piani di risanamento complessi ed articolati, fornendouna prestazione professionale qualificata mediante una formazione altamente specializzata.

Senza nulla togliere, non si comprende come la Camera di Commercio, forse per un trait d’unioncol registro imprese, replicando l’esperienza francese della “procedure d’allerte” che si svolgeal Tribunale delle imprese che ne detiene anche il registro, possa sopperire alle competenzecompetenzeprofessionaliprofessionali ed organizzative degli OCC degli ordini professionali.

V’è da dire che le Camere di CommercioCamere di Commercio dovranno operare, giocoforza, in stretto contatto conl’Organismo degli ordini professionali, naturale bacino di professionisti con esperienza “sulcampo” e nel territorio sede delle imprese, che saranno i futuri iscritti all’albo nazionale deicuratori curatori e dei commissaricommissari tenuto presso il Ministero della Giustizia, auspicando che nellaformazione di tale albo, sia data priorità ai soggetti indicati all’art. 28 della legge fallimentarepunti a e b (dottori commercialisti ed avvocati).

Revisore Unico

Per quanto riguarda l’introduzione della figura del revisore unico nelle società a responsabilitàlimitata, si ritiene che la sogliasoglia prevista dei due milioni di eurodue milioni di euro e dei dieci dipendenti siatroppo esigua per individuare i requisiti minimi della PMI. Peraltro tale fascia di imprese appareoramai sparita dal mercato del manifatturiero dove la dimensione minima, oggi, è attorno ai7/10 milioni di euro di fatturato (i piccoli artigiani di una volta).

L’introduzione del revisore unico dovrà giocoforza passare per una rideterminazionerideterminazione delcriterio del dannocriterio del danno in capo al collegio sindacale nel caso di omissione nei controlli sulle

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condotte patologiche degli amministratori. Solo una percentuale minima del danno complessivoattribuibile agli amministratori, che escluda la solidarietà in toto (ad es. un 3% ) ascrivibile alcollegio sindacale, potrà rendere sereno ed indipendente (oltre che soggetto assicurabile) ungiovane che si affacci a questa tipologia di attività professionale.

Leggi ancheLeggi anche Riforma della crisi d’impresa: nelle S.r.l. nuove opportunità per sindaci e revisori

Ruolo degli studi professionali

Non occorre poi dimenticare la mole di adempimenti a cui sono sottoposti gli studiprofessionali che, pur rendendo un servizio per il contribuente, assolvono, in pratica, anche unservizio di pubblico interesseservizio di pubblico interesse trasmettendo, ad esempio, la comunicazione delleliquidazioni periodiche IVA all’Agenzia delle Entrate oltre alla comunicazione dei dati fattureemesse e fatture ricevute (ex spesometro), solo per citare gli ultimi e gravosi, tra i tanti giàesistenti, incombenti introdotti dal Legislatore.

Considerazioni conclusive

Si dovrà diffondere la cultura tecnico aziendale secondo la quale il revisore non è un costo revisore non è un costoaggiuntivoaggiuntivo ed un adempimento ulteriore (l’ennesimo), ma un necessario salto di qualità perimprenditori capaci e virtuosi che si avvalgono di professionisti formati ed acculturati chevigilano sull’azienda.

Si auspica infine che i decreti delegati ministeriali, imperniati sull’attività ordinaria del Governo,esperibile fino alla tornata elettorale, possano vedere la luce prima della fine della Legislatura.Non è un compito facile, vista la vastità della materia, ma la rapidità di questo Legislatore ci hasorpreso a più riprese e quindi è lecito sperare.

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Dott. Andrea Ferri Consigliere delegato all’area giudiziale

ODCECBO, Cultore di Crisi d’impresa nell’Università di

Bologna, già componente delle Commissioni del CNDC in

materia di Sovraindebitamento ed Esercizio Provvisorio

1. La scelta dello strumento di risoluzione della crisi dopo le

modificazione alla legge fallimentare introdotte dalla Legge

132/2015: l’innalzamento dei livelli di guardia e

professionalità negli organo di governo e controllo societario

Nella preparazione dei lavori per una sessione di studio attinente alle “proposte ed offerte concorrenti” di cui agli artt. 163 e 163 bis l.f., analizzando, specificatamente, i nuovi livelli di trasparenza, professionalità ed efficienza richiesti dalla legge in capo agli attori della crisi, si è giunti alla convinzione che la mini-riforma del 2015 determini un livello di tecnicità assai elevato nella predisposizione del piano di risanamento, funzionale a sancire gli interventi terapeutici più opportuni e la scelta dello strumento. L’introduzione, da parte del Legislatore, delle proposte ed offerte concorrenti nell’attuale scenario, non è stata accolta favorevolmente da tutti gli operatori. Le perplessità circa l’introduzione di tali proposte concorrenti in questo “market place” derivano dalla fase stagnante del mercato e delle aste immobiliari, mentre le vere cause degli insuccessi nei risanamenti, visibili nel mercato “reale”, derivano dall’obsolescenza degli impianti, dagli investimenti mancati da parte dell’imprenditore in crisi, dai fatturati in picchiata che rendono sovradimensionato il “capannone” 1

1 Atti del convegno al master sulla crisi d’impresa ODCEC, Fondazione Forense e

Associazione dei Curatori e CTU di Bologna, novembre 2016/ febbraio 2017-lezione del

13.1.2017 “proposte ed offerte concorrenti: garanzia di trasparenza ed efficienza”. L’azienda

moderna non è più costituita da un magazzino merci, un capannone obsoleto ma

principalmente da valori intangibili quali marchi, brevetti, processi, know-how, maestranze

qualificate, contratti e relazioni col mercato. Il più delle volte fa parte di una distretto o di

una filiera di altre imprese ed il piano di risanamento verte essenzialmente su quegli

intangibles che ne rappresentano i punti di forza rispetto ai competitors.

IBIDEM, Le imprese rete, Bollati Boringhieri Torino 2007; Dioguardi g. L’impresa nella

società del terzo millennio, Editori Laterza Bari 1995; Il saggiatore, 2013, Questa volta è

diverso, di Carmen M. Reinhart e Kenneth S. Rogoff

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L’atteggiamento del Legislatore, volto a normare quanto già usuale nelle prassi delle Corti2, è chiaramente proteso verso un’ottica di emersione precoce della crisi. Se l’emersione della crisi fosse tempestiva, infatti, anche gli impianti e gli stabilimenti troverebbero una collocazione, stante l’appetibilità di quel business nel mercato di riferimento e la necessità di quegli assets e di quelle maestranze per realizzare quel fatturato. Per gli interpreti del diritto, ma anche per gli aziendalisti, la sensazione immediatamente successiva al giugno del 20153 fu quella di un Legislatore che, con un fragoroso giro di boa, aveva ripristinato un ruolo attivo dei creditori (dopo circa 10 anni di trattative privatistiche tra il debitore e gli “inermi” creditori), nell’interesse del salvataggio del compendio aziendale, così sottoponendo il debitore in concordato preventivo, alle iniziative concorrenti dei creditori (e dei terzi), sulla falsariga di quanto già normato per il concordato fallimentare (apertura ai terzi del mercato della crisi). La riforma del 2015, non si limitava a ripristinare il ruolo del fallimento a procedura principale, ma poneva, altresì, fine alla stagione dei concordati “facili”, agevolati dal DL 83 (quello del 2012, cosiddetto Decreto Sviluppo ) che consentiva di approvare il piano concordatario a maggioranza, sulla base del principio del silenzio assenso. Si chiudeva, dunque, la stagione del concordato in bianco - e del più volte denunciato abuso del diritto - , utilizzato esclusivamente per annichilire i creditori più aggressivi conferendo una protezione al debitore (automatic stay) che, il più delle volte, non era supportata da una vera strategia di risanamento. La raccomandazione della Commissione UE del 12 marzo 2014, invitava gli Stati membri ad adottare, entro il 14 marzo 2015, talune regole sulla crisi d’impresa tra cui, l’emersione tempestiva della crisi, l’agevolare i negoziati sui piani di ristrutturazione, dare più tutela ai nuovi finanziamenti, agevolare la concessione di una seconda opportunità al debitore fallito.

2 Il Legislatore “estivo” del 2015 è andato oltre, forte dei primi dati statistici sul concordato

preventivo al Tribunale di Milano – Atti Convegno Ordine Dottori commercialisti di Milano

del 27.06.2013, “Andamento delle procedure di concordato preventivo presso il Tribunale di

Milano” presentate nel 2008/2009, Dott. Roberto Fontana allora Giudice Delegato al

Tribunale di Milano - e dell’abuso (inutile, peraltro, al fine della conservazione della unità

aziendale) del pre-concordato varato dal “vecchio” D.L. 83 quello del 2012

3 Atti del convegno di Bologna 27 luglio 2015, ODCEC, Fondazione Forense di Bologna, Il

cantiere sempre aperto delle procedure concorsuali: lettura critica del D.L. 83 DEL 27.6.2015

e prime riflessioni, in itinere, sulle recentissime misure urgenti in materia

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Tali temi venivano recepiti anche dal nuovo regolamento UE sull’insolvenza transfrontaliera 848/2015; con la nuovissima proposta di Direttiva del Parlamento Europeo n. 359 del 22.11.2016, tornavano in evidenza i temi della preventiva ristrutturazione, della seconda opportunità, delle misure per migliorare l’efficienza della gestione della crisi e dell’insolvenza, infine, delle procedure di rimozione e modifica della direttiva 2012/30 EU. Il debitore, finalmente esdebitato, potrebbe così essere riammesso (se meritevole) nel circuito del credito e dell’economia, ricreando PIL per il proprio paese. Nell’estate del 2015, il Legislatore Italiano, compulsato, giustamente, dal Legislatore comunitario (visto il ruolo ultra-nazionale delle imprese, che sono holding, filiere, gruppi nel mercato), con l’introduzione della Legge 132/2015, ha cercato - nell’imminenza dei termini imposti dalla UE, in concomitanza con i lavori della Commissione Rordorf 4 - di incentivare l’emersione tempestiva della crisi più che con una norma specifica (ora contenuta nel disegno di legge delega Rordorf), con una serie di comportamenti virtuosi da tenersi al manifestarsi della crisi in capo agli organi di governance e di controllo. Si tratta di una nuova e più strutturata procedura di allerta per l’emersione tempestiva della crisi, forse più forte di quella prevista nel disegno di legge delega Rordorf e che si innesca, ampliandola, in ottica de jure condito, sulla struttura già presente nell’art. 2409 commi 1 e 7 5 c.c. per il collegio sindacale e negli artt. 2392, 2381 e 2486 c.c. per il consiglio di amministrazione.

4 Discorso alla Camera dei Deputati del Presidente Rordorf, 23 novembre 2015 :….pag. 39,

“Al verificarsi di un’insolvenza occorrerebbe non solo porsi nell’ottica di espellere l’impresa

decotta dal mercato, ma anche, se possibile, di recuperare i valori aziendali che ancora siano

recuperabili pur in una situazione di crisi: perché, lo ricordava anche il collega Orlando –

l’insolvenza non è un fatto improvviso bensì l’esito di un processo nel corso del quale spesso

si può intervenire per evitare l’esito negativo. Procedure di mediazione e di allerta. Si tratta di

uno strumento richiesto espressamente dalla raccomandazione europea di cui prima ho

accennato, che appare indispensabile per far si che la crisi d’impresa emerga con sufficiente

tempestività e che perciò possano essere messi in campo i rimedi idonei a fronteggiarla

prima che sia divenuta irreversibili ”. Il concordato preventivo che dovrebbe essere configurato

soprattutto nella forma del concordato di continuità, destinato a consentire il proseguimento

dell’attività d’impresa

5 Art- 2409 c.c. I comma: Se vi è fondato sospetto che gli amministratori, in violazione dei

loro doveri, abbiano compiuti gravi irregolarità nella gestione che possono arrecare danno

alla società o a una o più società controllate, i soci che rappresentano il decimo del captale

sociale, o nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, il ventesimo del

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Per l’imprenditore, vige ora l’obbligo di mantenere determinati indici di continuità aziendale, certi ratios di bilancio, nonché di rapportare il suo business a certi indici macro e micro economici (l’impresa è oramai la stessa in Europa e nel mondo6) laddove intenda accedere al concordato in continuità od al concordato liquidatorio. Il mancato rispetto di tali indici, comporta l’impossibilità di accedere sia al concordato in continuità dato che la continuità del business non esiste più ed il piano di risanamento è infattibile, sia al concordato liquidatorio poiché il piano relativo alla cessione d’azienda non riesce ad “assicurare” il pagamento del 20% ai creditori chirografari. Esemplificativamente, se al tempo t -1 il piano di risanamento prevede una percentuale a favore del ceto chirografario che scende sotto al 20%, ci sarà un esercizio t -2 ove la soglia viene rispettata ed un tempo t -n (t-3 ad es., antecedente) dove il debitore potrà accedere al concordato in continuità sopra la soglia del 30% al chirografo, o al liquidatorio sopra al 40% e non presterà il fianco alle proposte concorrenti. Al tempo t-4, la falcidia ai creditori e lo svilimento degli assets, presentano valori minimali ed il turn around è possibile mediante le procedure “light”, evitando l’esame, da parte del Tribunale, di quelle responsabilità civili e penali in capo alla governance che vengono considerate, oggi, dalla L. 132/2015 nel concordato preventivo. Ci sono situazioni in cui anche il concordato in continuità dove il debitore assicura ai creditori chirografari ad es. una percentuale di soddisfo pari al 15% non è fattibile (o è palesemente infattibile o ragionevolmente irrealizzabile) poiché il piano di risanamento non è attestabile e quindi non lo è il piano in generale o, se attestato, subisce l’arresto del Tribunale per la non ammissibilità. Questa fattispecie è riscontrabile nel caso in cui i flussi di cassa attesi dal piano siano insufficienti per i pagamenti ai creditori falcidiati ed a garantire i nuovi investimenti per il ritorno al valore.

capitale sociale possono denunziare i fatti al tribunale con ricorso notificato anche alla

società Lo statuto può prevedere percentuali minori di partecipazione;

VII comma: I provvedimenti previsti da questo articolo possono essere adottati anche su

richiesta del collegio sindacale, del consiglio di sorveglianza o del comitato del controllo

sulla gestione, nonché, nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, del

pubblico ministero,; in questi casi le spese di ispezione sono a carico della società

6 Relazione del Prof. ANTONIO MATACENA, Ordinario all’Università di Bologna in

occasione del convegno all’Ordine Dottori Commercialisti di Bologna del 12.12.2016,

“Sovraindebitamento risolvere la crisi con un nuovo walfare”.

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Dopo che la Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con la sentenza n. 1521 del 23 gennaio 2013, aveva stabilito i confini della valutazione del Tribunale sull’ammissibilità del concordato preventivo ( differenza tra fattibilità giuridica e fattibilità economica), i limiti posti dalla L. 132/2015 per accedere al concordato, unitamente al sistema sanzionatorio (di cui 236 l.f.) e risarcitorio (di cui all’art. 146 l.f.) esistenti, fungono da deterrente all’ipotesi concordataria rispetto all’alternativa fallimentare che va soppesata, sanzionando il ritardo nell’attivazione (ingresso) in procedura concorsuale. Il debitore, più tardi arriva a dichiarare il “fermo macchine”, più rilevante appare la falcidia ai creditori e lo svilimento al valore aziendale (deprezzamento degli assets), maggiore sarà la responsabilità civile e penale degli organi sociali. Oggi l’attestatore deve quotare nel piano anche l’azione di responsabilità e le azioni revocatorie, effettuando un’analisi comparativa con la procedura fallimentare, ex post, ma visionando, giocoforza, la contabilità dei cinque anni precedenti all’ingresso in procedura (termine prescrizionale del 146 l.f., 2393 e 2394 c.c. per le operazioni illecite societarie) per l’esame della veridicità dei bilanci sociali, delle operazioni straordinarie, dei pagamenti ai creditori postergati, anche in riferimento all’analisi temporale del dissesto imputabile alle cariche sociali. Inoltre, il commissario è onerato di inviare la propria relazione ex art. 172 l.f. al P.M., con obbligo di segnalazione di tutte le fattispecie penalmente rilevanti. Di seguito verrà riportato un elenco degli articoli rivisitati dalla miniriforma che sarà utile per meglio comprendere le ragioni del brusco innalzamento del livello di guardia relativamente all’obbligo di emersione tempestiva della crisi, gravante in capo agli organi di governance e di controllo. - Art. 160 Viene introdotto un nuovo requisito oggettivo per potere accedere alle procedure concordatarie preventive liquidatorie, che consiste nell’assicurare una percentuale minima di soddisfo del 20% al ceto chirografario. - Art. 161 Viene introdotto l’obbligo di indicare l’“utilità specificatamente individuata ed economicamente valutabile” assicurata ai creditori e l’obbligo, da parte del commissario, della comunicazione al P.M. del piano e della documentazione. - Art. 163 Viene introdotta la possibilità di presentare proposte di concordato concorrenti da parte di uno o più creditori che rappresentino almeno il 10% dei crediti. Tale proposta non potrà essere ammessa se il piano liquidatorio prevede un pagamento non inferiore al 40% al ceto chirografario, mentre se in continuità diretta, la soglia scende al 30%. - Art. 163-bis Viene inserita la possibilità di presentare offerte alternative per l’acquisto dell’azienda o di un suo ramo o di specifici beni (gara

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di vendita obbligatoria per beni, aziende, affitto d’azienda anche prima dell’omologa) - Art. 165 Viene introdotto l’obbligo di comunicazione al P.M., da parte del Commissario Giudiziale, nonché di fornire informazioni utili ai creditori per formulare proposte concorrenti ex art. 163, 4° comma, l.f. - Art. 169 Viene introdotta una corsia preferenziale nei giudizi civili per la procedura concordataria. - Art. 172 La Relazione del Commissario Giudiziale deve ora includere la valutazione alternativa degli assets in ipotesi di fallimento (azioni di responsabilità ex artt. 2393, 2394, 146 l.f. ,azioni revocatorie, ecc.); il contenuto della Relazione deve essere obbligatoriamente comunicata al P.M. ed a tutti creditori. - Art.178 Modalità di espressione del voto dei creditori in adunanza (silenzio dissenso) - Art.182 Modalità di cessioni degli assets dopo il deposito del concordato e prima dell’omologa - Art.185 Esecuzione del concordato. Quando l’imprenditore “chiede aiuto”, il ginepraio è maledettamente intricato e la lettura comparata di queste norme, dimostra come l’asticella dei controlli in capo al CDA si sia palesemente innalzata rispetto al passato. L’imprenditore, che dopo la riforma Vietti del 2003 è un imprenditore “professionale”, governa e prende decisioni soppesando i confini di una dead line obbligata, il cui superamento sarà foriero di responsabilità se il piano di risanamento non viene elaborato tempestivamente al manifestarsi della crisi. Sono tutte nozioni complicate, metodi scientifici atti ad affrontare il turn around, ma l’imprenditore è obbligato a studiare le metodologie per affrontare prima il declino7 e poi la crisi poichè il grado di diligenza richiestogli, non consiste più nella diligenza del buon padre di famiglia, ma va rapportata alla “natura dell’incarico ed alla sua specifica competenza”, esplicate dall’art. 2392 c.c., nuova versione. Ciò significa che più l’impresa è complessa, fa parte di un gruppo di società, di una filiera microeconomica, più alto deve essere il livello di guardia e di attenzione manageriale e di cultura aziendalistico – giuridica, che deve far parte del bagaglio culturale, ma anche degli atteggiamenti strategici – gestionali, dell’organo di governo societario.

7 CNDCEC “Informativa e valutazione nella crisi d’impresa” pag. 22 schematizzazione sullo

stadio della crisi

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Governare la crisi attenendosi alle regole della novellata Legge fallimentare del 2006, può essere interpretato come atto di ordinaria amministrazione, come desumibile dall’art. 152 l.f.8, che, in ogni caso, prevede l’obbligo di formalizzare

8 L’art. 161 l.f. prevede che la domanda per l’ammissione alla procedura di concordato

preventivo sia proposta con ricorso sottoscritto dal debitore. Al quarto comma, la regola

generale della sottoscrizione dell’istanza, viene specificata anche in relazione alle società con

l’espresso richiamo all’art. 152 l.f., in tema di concordato fallimentare.

L’art. 152 l.f. è ritenuto applicabile, in via analogica, anche agli accordi di ristrutturazione dei

debiti, tenuto conto sia della identità di ratio, sia della necessità di integrare la disciplina

della procedura assai circoscritta, con quella del concordato preventivo (F. GUERRERA, sub

art. 152 l.f., in A. Jorio e M. Fabiani, Il nuovo diritto fallimentare, Bologna, 2006-2007, 2205).

Scopo della norma è quello di regolamentare e distribuire all’interno dell’organizzazione

sociale il potere decisionale e di rappresentanza, con riferimento alla fase di accesso ad ogni

procedura concorsuale, rispetto alla quale l’impresa in crisi conservi una legittimazione

attiva.

In base all’art. 152 l.f. (parzialmente novellato) la proposta di concordato presentata dalla

società deve essere sottoscritta da coloro che ne hanno la rappresentanza legale, quindi dai

singoli amministratori.

Al secondo comma del medesimo articolo, è previsto un regime diversificato di approvazione

per le società di persone, da un lato, e per le società di capitali e cooperative, dall’altro. Si

tratta di un regime “comunque emblematico della tendenza ordinamentale al trasferimento

di competenze dall’organo assembleare a quello gestorio” (AMBROSINI, Il concordato

preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in G. COTTINO, Trattato di diritto

commerciale, XI, Padova, 2008, 65), fermo restando, però, per tutti i tipi di società, la

derogabilità delle scelte operate dal legislatore.

In particolare, nelle società di persone, la proposta e le condizioni del concordato, salva

diversa determinazione dell’atto costitutivo o dello statuto, devono essere approvate dai soci

che rappresentano la maggioranza assoluta del capitale.

Nelle società di capitali o cooperative, e salva anche in questo caso, diversa determinazione

dell’atto costitutivo o dello statuto, la proposta e le relative condizioni, deve essere deliberata

dagli amministratori e detta delibera, deve risultare da verbale redatto da notaio per poi

essere depositata e iscritta presso il registro delle imprese ai sensi dell’art. 2436 c.c.

Col d.lgs 5/2006, in coerenza con la tendenza legislativa emersa dalla riforma del diritto

societario, si è ritenuto, dunque, di assegnare agli amministratori, anziché all’assemblea

(come nel sistema normativo previgente che faceva riferimento all’assemblea straordinaria a

meno che quei poteri fossero stati delegati agli amministratori medesimi) il potere di

chiedere il concordato, invertendo il rapporto tra regola ed eccezione rispetto a quanto

previsto in precedenza.

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la decisione del consiglio di amministrazione attraverso un verbale notarile che dovrà essere depositato e iscritto nel registro delle imprese entro trenta giorni al fine di rendere conoscibile ai terzi la delibera del CDA. Se la proposta concordataria non contempla operazioni di specifica

competenza dell’assemblea straordinaria (delibere sulle modificazioni dello

statuto, sulla nomina, sulla sostituzione e sui poteri dei liquidatori e su ogni

altra materia espressamente attribuita dalla legge alla sua competenza), o nel

caso in cui determinate competenze dell’assemblea siano state espressamente

delegate, per scelta statutaria, all’organo amministrativo (delibere sulla fusione

nel caso di fusione per incorporazione artt. 2505 e 2505 bis, istituzione o

soppressione di sedi secondarie, riduzione del capitale sociale, trasferimento

della sede sociale nel territorio nazionale, emissione di obbligazioni convertibili

in azioni, aumento del capitale sociale nei casi previsti dall’art. 2443 c.c.), è

possibile affermare che la presentazione della proposta di concordato rientri tra

gli atti di ordinaria amministrazione della società.

Prima della fatidica delibera del CDA dell’art. 152 l.f. , la fa da padrone il 2381 c.c., prevenendo, con una gestione virtuosa, il declino e la crisi (industriale) e recita al 4° comma: “Sulla base delle informazioni ricevute (il cda) valuta l’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società….e qui entrano in campo la 231/2001, il risk management, la contabilità analitica, il controllo di gestione, la pianificazione strategica.

Tale soluzione consente di consolidare la posizione degli amministratori e risponde

all’esigenza di snellimento e accelerazione del processo decisionale in materia di concordato,

risultando più coerente al principio di spettanza esclusiva agli amministratori del potere di

gestione dell’impresa, previsto dall’art. 2380 bis c.c. (In questo senso si veda la Relazione al

d.lgs. 5/2006, sub art. 152). La suddetta esigenza, nel regime previgente, veniva soddisfatta

mediante la possibilità di conferire la delega dei relativi poteri agli amministratori, da parte

dell’assemblea.

Esiste, tuttavia, un limite: si è precisato, infatti, che la competenza degli amministratori a

decidere sulla proposta e sulle relative condizioni non implica anche la competenza a

decidere sulle operazioni di ristrutturazione societaria (aumenti di capitale, fusioni, scissioni,

ecc.) che dovessero formare oggetto della proposta medesima, per le quali rimangono intatte

le competenze dell’assemblea straordinaria (A. NIGRO, La riforma organica delle procedure

concorsuali e le società, DF, 2006, I, 789).

In questi casi è necessaria una conforme delibera da parte degli organi sociali competenti

per legge o statuto (cioè l’assemblea straordinaria o l’organo amministrativo, nell’ambito dei

propri poteri o dei poteri delegati) affinchè la proposta sia valida.

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Prosegue il 2381 c.c. ….”quando elaborati, esamina i piani strategici, industriali e finanziari della società; valuta, sulla base della relazione degli organi delegati, il generale andamento della gestione. Ancora una volta è il piano industriale il vero protagonista delle scelte e delle decisioni strategiche e, nel momento di crisi, diventa piano di risanamento e strumento per guidare le scelte sull’unica grandezza che conta realmente, l’EBITDA, cioè il margine della gestione caratteristica. I “professionisti della crisi”, devono essere specializzati e competenti per poter affiancare il manager in un momento così delicato della vita societaria. Il loro intervento, nell’ottica di sottostare ad un giudizio ex post da parte del Tribunale sulla responsabilità in caso di default, deve essere severo e rigidamente ancorato al rispetto delle (nuove) regole ispirate alla conservazione del valore a tutela dei creditori (art. 2486 c.c.), alla prudenza ed alle oculate regole di risk management che non considerano la crisi finanziaria americana dei sub-prime del 2007 e la recessione mondiale conseguente del 2008-2016, una causa esterna che esclude la responsabilità della governance in caso di default. Anzi, proprio la crisi e la globalizzazione del business si palesano quali campanelli di allarme che rendono necessario innalzare i livelli di professionalità degli organi di governance e di auditing.

2. Rapporto fra crisi e perdita della continuita’ aziendale

Si è molto discusso, in occasione dei lavori della commissione Rordorf ed in ambito di lavori parlamentari, sulla definizione di crisi. Tale definizione è assolutamente carente nella legge fallimentare. All’art. 160 l.f. il Legislatore, riferendosi all’imprenditore “che si trova in stato di crisi”, senza specificarne la portata, ha individuato i requisiti oggettivi per accedere alla procedura di concordato, precisando, altresì, che per stato di crisi si intende anche lo stato di insolvenza. Solo nel codice civile, all’art. 2467, si intravede una definizione assimilabile alla nozione di crisi, laddove si fa riferimento all’obbligo di restituzione dei finanziamenti soci postergati ossia quelli “in qualsiasi forma effettuati che sono stati concessi in un momento in cui, …risulta un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto….” nozione, quest’ultima, assimilabile al rapporto debito/equity che rappresenta il classico ratios di bilancio, denominato quoziente di indebitamento, che misura la difficoltà economica – finanziaria dell’impresa.

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Nel documento del CNDCEC del 2015, la definizione di crisi richiama quella tipicamente Zappiana9 : CRISI (definizione): “una perturbazione o improvvisa modificazione di un’attività economica organizzata, prodotta da molteplici cause ora interne al singolo organismo ora esterne ma comunque capaci di minarne l’esistenza o la continuità (Gino Zappa La produzione nell’economia delle imprese 1957)10 . In termini più pratici, la crisi rappresenta una fase di squilibrio economico – finanziario, che è in grado, se non affrontata, di mettere a repentaglio la continuità aziendale. Le tre condizioni di equilibrio aziendale: i) economica, ii) finanziaria e iii) patrimoniale, vanno tenute nella massima considerazione da parte degli organi di governance e di controllo, i quali dovranno considerare l’unitarietà delle oscillazioni, come se fossero aggregate in un unico contenitore. La perdita di marginalità che origina il disequilibrio economico nel tempo, falcidia il capitale netto ed intacca la solidità patrimoniale dell’azienda. Inizia in tal modo a disgregarsi l’equilibrio patrimoniale, con un conseguente incremento dell’indebitamento.

9 GINO ZAPPA, Tendenze nuove negli studi di ragioneria, pag. 30 – Milano – 1927;

L’azienda: principali definizioni e teorie evolutive. La teoria zappiana, se non intende

affermare compiutamente il concetto di organismo da assegnare all’azienda, pure ne

assimila e ne condivide il presupposto della unitaria coordinazione dei mezzi disponibili per

il raggiungimento di un obiettivo comune; in sostanza, con lo Zappa si afferma la teoria

sistemica dell’azienda, poiché ne individua i componenti e ne richiede la coordinazione per il

raggiungimento di un fine preordinato: il soddisfacimento dei bisogni umani.

Il concetto di coordinazione, tuttavia, appare allo Zappa sufficientemente pregnante sotto

l’aspetto unitario, tanto da indurlo a ridefinire l’azienda come “un istituto economico

destinato a perdurare che, per il soddisfacimento dei bisogni umani, ordina e svolge in

continua coordinazione la produzione, o il procacciamento o il consumo della ricchezza”.

10 Gino Zappa Discorso tenuto all’Università Cà Foscari in occasione dell’inaugurazione

dell’anno accademico 1926/1927 “Tendenze nuove negli studi della ragioneria”.

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Il disequilibrio finanziario e patrimoniale, originato solitamente dal disequilibrio economico, provoca indirettamente un ulteriore aggravamento del conto economico, mediante l’incremento degli oneri finanziari.11 La patologia è rappresentata dai seguenti valori apicali negativi: i) il patrimonio netto azzerato ii) il cash flow azzerato. Insomma per definirla semplicemente, per i giuristi, è l’insolvenza prospettica o futura. Prima di arrivare alla fase di stand still con i creditori, quando iniziano le trattative per risolvere la crisi, come può il consiglio di amministrazione determinare la dead line oltre la quale la delibera di cui all’art. 152 l.f., che, come detto, può considerarsi atto di ordinaria amministrazione, sarebbe tardiva? Occorre rapportarsi a criteri di tecnicità contabile e ragionieristica quali: - Principio di revisione 570 (ISA Italia) - OIC 6 (ma anche OIC 1,11 e 5) - IAS 1 - Documento Banca d’Italia, Consob e Isvap del 6.2.2009 e comunicazione Consob n. 9012559 - Principi contabili dottori commercialisti e norme codicistiche in primis l’art. 2423 bis - Monitoraggio del patrimonio netto – impairment test sugli intangibles quali marchi, brevetti ma anche sulla valutazione del magazzino, dei crediti, degli immobili industriali - Valutazione del ciclo di tesoreria collegato con le singole componenti del CCN (attività correnti-passività correnti). - Monitoraggio del rendiconto finanziario almeno ad un anno in abbinamento col business plan - Continuità fisica dell’azienda >(vitalità) - i contratti, i clienti, la rete vendita, i processi, il know - how; gli intangibles sono attivi ed hanno un valore? - Indici di bilancio, se palesemente incoerenti col business e valutativi dello squilibrio economico finanziario - Misurazione dell'EBIDTA (generato e prospettico): per la garanzia di sostegno di qualsiasi piano di ristrutturazione del debito si vada ad ipotizzare, nella logica di un adeguato indice di copertura delle passività, l'EBIDTA dovrebbe avere un valore di 1,3-1,5 rispetto al DSCR (Debt Service Coverage Ratio). Tale rapporto utilizza il servizio del debito quale capacità di rimborso

11 Queste correlazioni cinetiche tra gli equilibri aziendali dovrebbero avvertire coloro che

hanno la responsabilità del governo dell’impresa sull’importanza di presidiare tutte e tre le

condizioni di equilibrio, anche quelle che, talvolta, per il loro carattere di immaterialità, non

appaiono subito evidenti, come la condizione finanziaria d’equilibrio. PAOLO BASTIA,

Pianificazione e controllo dei risanamenti aziendali, G. Giappichelli Editore 1996 pag. 51

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delle quote di capitale a breve e a medio lungo termine e la totalità degli interessi pagati sulle passività aziendali; questo nell'assunto che vi sia adeguata capacità di copertura a breve con l'autoliquidante. - Il Debt Service Cover Ratio (DSCR) è pari al rapporto, calcolato per ogni periodo dell'orizzonte temporale previsto per la durata dei finanziamenti, fra il flusso di cassa operativo dell'impresa (per semplificazione assimilato al valore EBITDA) ed il servizio del debito comprensivo di quota capitale e quota interessi. - DSCR = FCO / DFt + It (volto a determinare se i flussi di cassa sono diventati insufficienti per servire il Debito) Dove: FCO = flusso di cassa operativo relativo all'esercizio t-esimo DFt = quota capitale da rimborsare nell'esercizio t-esimo It = quota interessi da corrispondere nell'esercizio t-esimo Il valore esuberante, rispetto a 1, auspicabile intorno all'1,3/1,5 permette, per la differenza, il pagamento dei dividendi agli azionisti. - Rapporto tra PFN ed EBITDA L’indice misura la sostenibilità del debito aziendale in base al cash flow lordo prodotto dalla gestione. E’ importante che l'indicatore assuma valori contenuti in termini assoluti: in questo caso si metterebbe in evidenza una sostanziale capacità dell'azienda a sostenere il rimborso dei debiti finanziari indicati nella PFN, tra le quali compaiono le quote di rimborso dei debiti di finanziamento a lungo termine attraverso la generazione di flussi reddituali operativi caratteristici lordi indicati nel valore dell’EBITDA. Ciò è dovuto al fatto che, qualora non si verifichino variazioni del capitale circolante e, dunque, nei crediti verso clienti e dei debiti verso fornitori, la configurazione reddituale EBITDA esprime una misura indicativa sintetica dei flussi di cassa operativi generati dalla gestione caratteristica che possono, dunque, essere utilizzati al servizio degli impegni finanziari assunti. Si rivela, pertanto, un indicatore di reddito fortemente utilizzato nella pratica professionale e nella valutazione sintetica della capacità di generare flussi finanziari operativi di un progetto di investimento di un'azienda, soprattutto se finanziato con capitale di terzi.12

12 FONDAZIONE NAZIONALE DOTTORI COMMERCIALISTI Documento 15.9.2015 La

posizione finanziaria netta quale indicatore alternativo di performance

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3. L’affitto d’azienda quale “ponte” a salvaguardia della continuità

aziendale: il periodo interinale funzionale all’ingresso in

procedura

Vediamo ora come si imposta il “progetto di risanamento” o piano di risanamento per ripristinare la continuità aziendale. Le strade percorribili nello scenario della crisi, sono due: a) separare l’azienda (2560 c.c.) dall’imprenditore (2195 c.c.) per salvare il businnes mediante la vendita all’asta dell’azienda (163 bis l.f.), oppure, b) prestare il fianco alle proposte concorrenti di concordato preventivo (163 l.f.) per salvare l’impresa, cercando di non separarla dall’imprenditore (e, si auspica, innestando alcuni managers qualificati per un inevitabile turneraund strategico).

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Si è ipotizzato che l’istituto delle proposte concorrenti sia connotato da profili di incostituzionalità rappresentando una sorta di spossessamento del debitore, per ragioni di pubblico interesse e priva di indennizzo13. Il dubbio non si pone quando il patrimonio netto è azzerato e l’azienda non è più della shareholder, ma dei creditori.

13 ANTONIO PEZZANO e MASSIMILIANO RATTI, Proposte concorrenti: criticità e

controversa tenuta costituzionale, in il caso.it, 13.4.2016, in senso favorevole

all’espropriazione: “Le proposte concorrenti, quindi, introducono una deroga all’interno

dell’impianto in cui sono inserite, dovendo le “autotutele” concordatarie cedere il passo

all’appalesarsi dell’insolvenza (o crisi) da parte del debitore, che, al ricorrere di determinate

condizioni, viene così, “spossessato” (unitamente ai suoi soci) da una “nuova classe di

portatori d’interesse, postergata nella gestione dell’impresa rispetto all’investimento di

rischio finché l’impresa sia in bonis, privilegiata, rispetto ad ogni altro quando l’impresa sia

caduta in crisi.

La norma in commento genera, quindi, un ulteriore problema di coordinamento con l’art.

167, che ancora attualizza la regola dello spossessamento attenuato”; DANILO GALLETTI,

Speciale decreto contendibilità e soluzioni finanziarie, n. 83/2015. Le proposte concorrenti nel

concordato preventivo: il sistema vigente saprà evitare il pericolo di rigetto?, in il

fallimentarista.it, 15.9.2015, in senso contrario: “In realtà pare che il debitore possa dirsi

realmente “espropriato” solo allorquando egli intenda (e possa) pagare tutti i suoi debiti, ed

eppure ciò gli venga impedito, perché l'azienda venga comunque assegnata ad altri. Ciò non

mi pare tuttavia potersi verificare col vigente concordato preventivo e con le proposte

concorrenti, perché: - il debitore ha già omesso di pagare i suoi creditori, ed ha scelto lui di

proporre piuttosto la domanda concordataria;- il debitore ha la piena facoltà di competere

con i terzi proponenti, godendo fra l'altro di vantaggi processuali non indifferenti (la sua

proposta è la prima ad essere esposta nonché votata, e viene preferita a parità di condizioni,

rectius di voti). Soltanto nell'eventualità, molto teorica, in cui il debitore abbia offerto il

pagamento integrale a tutti i creditori, ed eppure questi preferiscano altra proposta

concordataria, allora forse potrà ammettersi un sindacato del Tribunale sul merito della

proposta del debitore, e sulla concretezza della capacità della stessa di assicurare il detto

pagamento integrale, al fine di accertare che il procedimento non sia viziato da una

violazione di legge, perseguendo appunto finalità meramente espropriative. Sarà dunque

proprio il tanto vituperato controllo sulla fattibilità economica della proposta debitoria ad

assicurare che l'istituto non sia deviato dalla sua funzione; un controllo di legittimità,

appunto, condotto attraverso un esame pieno del merito.

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Ma se il piano di risanamento viene elaborato in una struttura patrimoniale assai compromessa dove l’emersione della crisi è stata posticipata di diversi esercizi sociali, la scelta per ripristinare la continuità aziendale e per limitare le responsabilità scaturenti dal diritto societario e dalla L. 132/2015 è obbligata e consiste nell’instare per l’auto-fallimento e per la dichiarazione di esercizio provvisorio in sentenza.14 Con la riforma del diritto fallimentare l’istituto dell’esercizio provvisorio è stato completamente rivisitato (art. 104 L.F.)15 prevedendo una normativa all’insegna della gestione provvisoria della impresa, sotto il controllo e nell’interesse dei creditori quale tappa preliminare di un complesso cammino, volto alla riallocazione efficiente della impresa sul mercato e permettendo, al curatore, la libera scelta se mantenere un eventuale contratto di affitto d’azienda stipulato prima del fallimento o di sciogliersi dal rapporto (art. 79 l.f.) ed instare per l’esercizio provvisorio. L’esercizio provvisorio si pone quale alternativa al concordato preventivo, soprattutto in continuità diretta, dove il piano di risanamento di cui all’art. 186 14 Sull’argomento, DANILO GALLETTI, Interruzione dell’attività, esercizio provvisorio

fallimentare e danno arrecato, in GALLETTI D., PANIZZA A., DANOVI A., FERRI A., RIVA

P., CESARE F., QUAGLI A., Esercizio provvisorio e strumenti alternativi per la continuità

aziendale, IPSOA 2013, p. 11, dove l’autore evidenzia come il contributo informativo fornito

dal debitore circa la sussistenza dei presupposti per l’autorizzazione da parte del Tribunale

all’esercizio provvisorio potrebbe rappresentare un elemento attenuante del risarcimento del

danno richiesto dalla Curatela in sede di eventuale azione di responsabilità ex art. 146 l.f.: “la

condotta corretta avrebbe consentito di recuperare quell’attivo, il cui deterioramento poi è

scaturito non già inevitabilmente dall’interruzione ineluttabile dell’attività, bensì da un

comportamento anti doveroso degli amministratori, i quali non hanno conservato i valori

immateriali prima (qualora essi cessino l’attività prima del fallimento), e non hanno messo

gli organi fallimentari in condizioni di farlo dopo il fallimento”. Tale condotta informativa

dovrebbe verosimilmente condurre alla migliore soddisfazione del ceto creditorio mediante

valorizzazione e liquidazione degli attivi patrimoniali superiore rispetto ad ipotesi di non

continuità aziendale e mutandis mutandi ridurre l’eventuale danno richiesto dalla Curatela a

ristoro delle pretese della Massa. Si può ritenere sia onere dell’organo amministrativo

adottare un comportamento conservativo degli assets aziendali volto, tramite idonea

informativa al Tribunale, all’attivazione dell’esercizio provvisorio fallimentare.

Vedi anche, dello stesso autore: Brevi note sull’uso dei criteri dei netti patrimoniali di periodo

nelle azioni di responsabilità sociali”.

15 GALLETTI D., PANIZZA A., DANOVI A., FERRI A., RIVA P., CESARE F., QUAGLI A.,

Esercizio provvisorio e strumenti alternativi per la continuità aziendale, cit.

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bis l.f., se non attestabile (ad esempio poiché i flussi di cassa futuri, secondo assunzioni credibili e sostenibili, non permettono una minima restituzione del debito ed il sostenimento di nuovi investimenti) diventa il piano industriale della gestione provvisoria del curatore. Nelle prassi operative, i vari Tribunali non disdegnano, oggi, un affitto d’azienda stipulato prima dell’ingresso nella procedura concorsuale, purché tra le pattuizioni sia prevista la “classica” clausola di scioglimento ad nutum, lasciando agli organi della procedura ogni iniziativa in merito allo scioglimento o alla prosecuzione del contratto, sino alla gara di vendita prevista dall’art. 105 l.f. Massima dovrà essere l’attenzione del debitore, degli advisors e del commissario, già dalla fase cd. “in bianco”, sui costi pre-dedotti maturati durante la fase interinale, che è la fase più delicata per delineare, o meno, favorevoli riparti in favore del ceto chirografario. L’analisi del piano di risanamento e del “core business” aziendale deve essere prodromica alla scelta dello strumento. Se le assunzioni del piano del concordato in continuità diretta non sono attestabili per vari motivi infra meglio specificati, l’affitto d’azienda prima del pre-concordato che poi prosegue nell’ambito della procedura “piena” (sotto la soglia del 20% al ceto chirografario) è strumento non disdegnato dal Tribunale laddove consenta comunque di accedere ad una procedura competitiva con offerte concorrenti, anche prima dell’omologa e, comunque, in tempi brevissimi. Di assoluto rilievo il ruolo del Commissario, sia nella fase di pre-concordato, sia nella fase “in pectore”, dove la sensibilità aziendalistica fa emergere, in tutta la sua dirompente attualità, i valori conservabili dalla cellula (ramo) aziendale. E’ il Commissario che trasmette sicurezze (o allarmi) al Tribunale, in base all’analisi del piano di risanamento ed ai flussi di cassa prospettici (soprattutto nella fase interinale). È sempre il commissario che, nelle proposte concorrenti previste dall’art. 163 l.f., deve valutare le proposte, anche “parassitarie”, rivolgendo la sua attività scientifica di studio del business aziendale, nella elaborazione della miglior base di gara possibile, di un piano di risanamento credibile e funzionale alla miglior soddisfazione di tutti creditori, nessuno escluso (vedi nuovo comma 2 punto e, art. 160 l.f., che chiude ogni ragionamento sulla malcelata difformità, anche per classi, tra creditori paritetici). È, ancora, il commissario che, una volta inviato a tutti creditori il piano, la proposta e la relativa attestazione del debitore, deve valutare i dati sensibili dell’impresa che rendono appetibile la presentazione di una proposta

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concorrente da parte del creditore che già ha visionato il concordato originario, permettendo, se lo ritiene, uno studio ancora più accurato del business. Tale percorso è normato dall’art. 163 l.f., comma 2, punto 4 bis) ove è previsto che il Tribunale “ordina al ricorrente di consegnare al commissario giudiziale entro sette giorni copia informatica o su supporto analogico delle scritture contabili e fiscali obbligatorie”. Nel successivo art. 165 l.f., è previsto l’obbligo del Commissario di fornire informazioni utili ai creditori per formulare proposte concorrenti ex art. 163, 4° comma, l.f. E’ evidente che il Commissario dovrà essere prudente ed oculato nel trasferire a terzi informazioni e dati sensibili come, ad esempio, il nominativo ed i volumi di vendita attribuibili a ciascun cliente, potendo innescare situazioni conflittuali, anche distrazioni strumentali di clientela e avviamento aziendale. È, infine, il commissario che valuta, nella sua relazione ex art. 172 l.f., la necessità o meno dell’attestazione del piano facente parte della proposta concorrente nei tempi, veramente stringenti, ma prorogabili, dell’adunanza dei creditori che eserciteranno il diritto di voto (il creditore che ha presentato la proposta concorrente voterà soltanto all’interno della sua classe)16.

4. Composizione della crisi, tipologia di “core” business, perdita

della continuita’ aziendale e scelta dello strumento

Nel confronto tra strumenti di composizione della crisi, nella comparazione tra strumenti negoziabili e non negoziabili, l’analisi di solito verte, in primis, da una valutazione di fattibilità del concordato preventivo con continuità soggettiva (o oggettiva) e dall’affitto d'azienda. L’ipotesi dell’affitto di azienda, nei casi di insolvenza acclarata, invece, non può che assolvere la funzione di “traghettare” la continuità aziendale verso l’esercizio provvisorio fallimentare. Nella scelta dello strumento concorsuale per risolvere la crisi o l’insolvenza del debitore, con il piano di risanamento del turn around alla mano - opportunamente comparato col piano ante procedura (ante default) -, non è assodato che gli strumenti vadano graduati a seconda della gravità della crisi, in questa scala: 1) Art. 67 piano di risanamento 2) Art. 182 bis (ADR) Accordi di ristrutturazione del debito 3) Concordato preventivo

16 Tribunale di Bologna, sentenza n. 59/2016 Fall. Martelli Lavorazioni Tessili S.p.a.

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4) Esercizio provvisorio fallimentare 5) Concordato fallimentare con assegnazione dell’azienda In principio, o nel mezzo, a seconda della risposta degli stakeholder, tutte le procedure “light”, sono generalmente precedute dal deposito della proposta cd. “in bianco” ove il debitore richiede: - Convenzione di moratoria 182 septies l.f. - Autorizzazione al mantenimento delle linee autoliquidanti 182 quinquies l.f. - Autorizzazione alla concessione di finanza ponte urgente in pre-concordato 182 quinquies l.f. - Accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari, 182 septies l.f., che rafforza il 182 bis l.f. Se fino al 27giugno 2015 (D.L. 83 poi convertito nella L. 132/2015) era indifferente la scelta tra concordato preventivo ed auto-fallimento con esercizio provvisorio (anche nella situazione patrimoniale di azzeramento del patrimonio netto), ora il ragionamento non è più sostenibile, dovendo il debitore valutare attentamente le nuove soglie (e le responsabilità personali della governance) scaturenti dal combinato disposto delle regole del diritto societario, della legge fallimentare e della L. 132/2015. L’attestatore si trova a dover applicare i Principi di attestazione del CNDCEC 17 in un mutato scenario legislativo, zeppo di nuovi percorsi giuridici, dove la fattibilità del piano di risanamento e la veridicità dei dati contabili vanno attestati secondo precisi criteri scientifici aziendalistici, proprio partendo dall’epoca di manifestazione della crisi, modulando ogni ragionamento sul ripristino o sul mantenimento della continuità aziendale. Una volta individuata l’esistenza o meno della crisi secondo i dettami sopra elencati e secondo il corollario già stabilito sulla continuità aziendale (Principi del CNDCEC)18, si elabora il piano di risanamento e, sulla base dei dati di partenza, del business plan, della tipologia di business, si sceglie lo strumento. Non sempre il concordato preventivo può essere la prima ratio nei risanamenti aziendali, così come l’esercizio provvisorio fallimentare - dichiarato in sentenza a seguito istanza di auto-fallimento dell’imprenditore - non è sempre la panacea per garantire la salvezza dell’azienda, l’interesse dei creditori ed il salvataggio dei posti di lavoro.

17 Principi di attestazione dei piani di risanamento – settembre 2014 – CNDCEC, AIDEA,

APRI, ANDALF, OCRI

18 Linee Guida CNDCEC, Informativa e valutazione nella crisi d’impresa.

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Vediamo, in rapida sequenza e schematizzati, gli scenari ed i casi tipici che si possono prospettare ai professionisti ed i criteri a cui devono attenersi nel momento in cui si approcciano ad esaminare l’azienda in crisi o insolvente: - se il numero dei creditori è elevato e soprattutto se non sono raggruppabili in tipologie omogenee di interessi, è preferibile, agli accordi di ristrutturazione di cui all’art. 182 bis l.f., il concordato preventivo; - se esaminando la struttura del debito troviamo nel passivo dello stato patrimoniale un privilegiato rilevante (un credito bancario con privilegio speciale ipotecario ad es.), allora dovremo predisporre un piano nell’ambito del concordato preventivo, altrimenti potremo ragionare sulla ristrutturazione del debito ex art. 182 bis l.f.; - per quanto riguarda il fabbisogno finanziario, dovremo valutare lo strumento di cui all’art. 182 bis l.f. quando viene redatto un piano che prevede pagamenti nei confronti di fornitori esteri (il concordato li allarmerebbe); in questo caso il tema reputazionale diviene rilevante per la tipologia di fornitore nella continuità (fornitore strategico); - il problema reputazionale non sussiste se il debitore annovera una clientela “consumer” tipo Mercatone Uno S.p.a., ora in amministrazione straordinaria19 dopo la fase di pre-concordato durata alcuni mesi; - se l’impresa dovrà stipulare nuovi contratti di appalto, è preferibile scegliere il piano attestato di risanamento di cui all’art. 67 l.f., terzo comma, lettera d) che non prevede obblighi pubblicitari e consente di non rendere conoscibile a terzi il rischio default, soprattutto agli Enti certificatori della regolarità contributiva e fiscale; - le valutazioni in tema di falcidia dei creditori e di mantenimento della continuità aziendale in relazione alle maestranze (attivazione o meno degli ammortizzatori sociali per calmierare il costo del lavoro) dovranno tener conto del tema reputazionale che è molto forte in provincia e meno importante nei grandi centri abitati; - alcune attività (tabaccherie, farmacie), in base a leggi speciali, sono soggette a vincoli che non consentono la libera circolazione dell’azienda, sicchè lo strumento più adatto e preferibile per risolvere la crisi è quello del concordato preventivo con continuità diretta o l’accordo di ristrutturazione dei debiti di cui all’art. 182 bis; - nel caso in cui non vi sia più spazio per il piano della continuità diretta dell'imprenditore, la cessione d’azienda può essere prevista nel concordato preventivo liquidatorio, soprattutto se sussistono rischi fiscali rilevanti, che

19 Il Resto del carlino 24.7.2015 “Il mercatone uno fa ancora gola: riaprono otto punti

vendita”

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vengono consolidati in capo al debitore, esentando l’acquirente dalla solidarietà prevista dall’art. 2560 c.c., derogato dall’art. 105 l.f. – oggi anche ante omologa (anche al di fuori della falcidia secca attestata ai sensi dell’art. 160, secondo comma, c.c., ora possibile col nuovo 182 ter l.f. 20); - se l’imprenditore opta per la continuità diretta del business ed il debitore ha in corso un accertamento fiscale, è obbligatoria una trattativa con l’Agenzia delle Entrate anche col nuovo strumento del 182 ter per rendere definitivo e certo nei numeri l’accertamento fiscale e procedere ai sensi dell’art. 186 bis, l.f.; - nel caso in cui sussistessero rischi di fattibilità del piano industriale da sottoporre ai creditori: se il piano non regge (per gli stress test), è preferibile ricorrere agli accordi di ristrutturazione di cui all’art. 182 bis o di cui all’art. 67 l.f. poiché, in tal modo, il debitore può discutere nuovamente con i creditori aderenti al piano ed all’accordo avendo questi ultimi la consapevolezza che se il piano non regge salta la procedura e viene meno ogni possibilità di continuare a lavorare con quell’impresa in quel mercato; - nel concordato, invece, la non fattibilità del piano porterà probabilmente al fallimento o al ritorno in un “limbo” dell’impresa “in bonis”, in attesa di una nuova procedura concorsuale: ecco che, in questo caso, la flessibilità dei due strumenti precedenti può essere determinante; - un altro elemento è essenziale sulla scelta dello strumento ed è rappresentato dall'assetto proprietario: se l’impresa è una società quotata, il debitore deve, giocoforza, privilegiare la continuità e gli è precluso optare per il concordato liquidatorio; - se il debitore fa parte di un gruppo di società, è preferibile ricorrere all’accordo di ristrutturazione di cui all’art. 67 l.f. o all’accordo di cui all’art. 182 bis l.f., mentre è molto più complicato ricorrere al concordato preventivo ex art. 160 l.f. poiché dovranno essere depositate tante proposte di concordato, quanti sono i debitori, magari in Tribunali diversi; - si deve tener conto della tipologia di attività commerciale: se il debitore è una concessionaria di auto, allora il concordato liquidatorio con cessione d’azienda non sarà attestabile poichè la casa madre revocherà la concessione; - se il redattore del piano si deve occupare della gestione di una Casa di riposo, allora l’esercizio provvisorio fallimentare (soprattutto se la governance ante default ha commesso irregolarità, anche sanitarie, ed ora ha affittato a terzi) garantisce gli stakeholders (soprattutto lo stato e la ASL) sul ripristino della legalità e sul turn around del curatore in esercizio provvisorio;

20 Legge di stabilità 2017 – modifiche all’art. 182 ter

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- se il debitore svolge come business l’attività edilizia, il concordato preventivo, sia in continuità che liquidatorio, non può rappresentare al Tribunale un piano fattibile, poiché si tratterebbe, soltanto, di un piano delle vendite. Nelle esperienze di questi ultimi 10 anni, i concordati nell’edilizia non sono decollati, nemmeno durante il periodo 2012 - 2015, regno del “silenzio assenso” nel criterio di voto. Tali procedure, ancorchè ammesse e omologate, oggi, scontano un inadempimento pressochè certo poiché il mercato delle aste non è movimentato, con grave imbarazzo dei commissari e dei liquidatori; 21 - ci sono attività che non sono gestibili nemmeno in esercizio provvisorio fallimentare, quali ad es. l’autotrasporto conto terzi, dove il redattore del piano deve prevedere, per l’impresa insolvente, costi pre-dedotti rilevanti per ripristinare le garanzie all’Agenzia delle Dogane e per gli investimenti al “parco macchine” per cui è ipotizzabile la sottoscrizione di un affitto d’azienda precostituito e volto alla gara di cui all’art. 105 l.f. Quindi il paradigma dell’imprenditore e dei suoi advisors, nelle varie fasi che vanno dal declino, alla crisi conclamata, fino all’insolvenza - secondo il tempo tn che è quello in cui è manifestata la crisi ed il tempo t0 che è quello dell’accesso in procedura -, è quello di tenere conto dei rischi e delle opportunità sulla scelta dello strumento funzionale al ripristino della continuità aziendale, col minor costo possibile per i creditori. Tecnicamente le strategie perseguibili nelle differenti fasi del declino, della crisi conclamata e dell’insolvenza, possono essere così sintetizzate: i) Crisi d’impresa o declino (fase di incubazione) – l’imprenditore opta per il piano di risanamento di cui all’art. 67 l.f. o per gli accordi di ristrutturazione dei debiti di cui all’art. 182 bis. In questo caso l’impresa è in continuità, il patrimonio netto è positivo e la valorizzazione degli assets, in assenza di deprezzamenti rilevanti, permette, con modesti tagli al ceto chirografario, la continuità diretta del business. Non emergono profili di responsabilità patrimoniale o penalistica in capo alla governance. ii) Crisi conclamata o insolvenza – il debitore opta per il piano di risanamento del concordato preventivo ex art. 160 l.f. In questo caso se la continuità inizia a vacillare, il patrimonio netto diviene negativo e se il piano della continuità diretta prevede percentuali a favore del ceto chirografario

21 Gli unici “escamotage” noti per la redazione del piano nell’impresa edile, riguardano

l’allungamento delle “milestones” oltre i 5 anni sanciti dal CNDC e Assonime – Linee guida

ai finanziamenti delle imprese in crisi- attestando, nel lungo periodo, il ritorno alla normalità

nel mercato; altra metodologia nella redazione del piano consiste nell’imputare, quali costi

pre-dedotti, quelli relativi al completamento degli immobili al grezzo. Ambedue le soluzioni

non sembrano certificabili come fattibili in capo all’attestatore.

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inferiori al 30% ed inferiori al 40% in caso di concordato liquidatorio, presta il fianco alle proposte concorrenti di cui all’art. 163 l.f. che possono essere avanzate se la proposta di concordato del debitore è al di sotto di tali soglie. Il commissario nella relazione ex art. 172 l.f. deve quotare nell’alternativa del fallimento, le azioni di responsabilità previste dall’art. 146 l.f. e le azioni revocatorie; il grado della falcidia ai creditori chirografari ed il ritardo nell’emersione della crisi saranno valutati dal P.M. nell’ambito della cosiddetta “bancarotta del concordato”. iii) Insolvenza – il debitore opta per il piano di risanamento del concordato preventivo in continuità poiché la percentuale di soddisfacimento ai creditori chirografari scende al di sotto del 20% . In questo caso la continuità è persa, il patrimonio netto diviene negativo con percentuali che possono anche superare il 30-40% del capitale investito. Il piano rischia l’inammissibilità da parte del Tribunale poichè “il piatto” risulta troppo esiguo in termini di flussi di cassa, al servizio del debito ante e per i futuri investimenti necessari al turn around. Il commissario nella relazione 172 l.f. deve quotare nell’alternativa del fallimento, le azioni di responsabilità previste dall’art. 146 l.f. e le azioni revocatorie; il grado della falcidia ai creditori chirografari ed il ritardo nell’emersione della crisi saranno valutati dal P.M. nell’ambito della cosiddetta “bancarotta del concordato”. Le azioni di responsabilità probabilmente avranno raggiunto il livello massimo quale determinazione del risarcimento del danno, nell’alternativa fallimentare e la continuità diretta maschera, in realtà, una continuità indiretta. iv) Insolvenza – il debitore opta per un affitto d’azienda, fa istanza di pre-concordato e poi innesca il piano del concordato con continuità diretta per indire al più presto una gara competitiva ai sensi dell’art. 105 l.f. nell’ambito della stessa continuità d’azienda. In alcuni casi, questa soluzione pare consona all’interesse dei creditori in quanto finalizzata ad instaurare una rapida gara di vendita del compendio aziendale, prescindendo dalla “querelle” tra continuità diretta ed indiretta ex art. 186 bis22.

22 L’orientamento dei Tribunali sull’ammissibilità del concordato preventivo in continuità

ex art. 186 bis L.F., nei casi di affitto e cessione d’azienda (c.d. continuità indiretta) è

considerato oggi altalenante e non immune da rischi di inammissibilità per il debitore.

In linea con il favor del legislatore e nell’ottica della riforma Rordorf, non sono mancate le

pronunce da parte di diversi Tribunale a favore della c.d. continuità oggettiva o indiretta, che

hanno applicato la disciplina di cui all’art. 186 bis L.F. anche al caso in cui la proposta di

concordato provenga da una società che abbia concesso in affitto a terzi la propria azienda

(vedasi linee guida Tribunale di Roma)

In tal senso, si è pronunciato anche il Tribunale Udine, con la sentenza del 05.05.2016,

secondo il quale “Rientra nell'ambito della continuità aziendale e comporta, pertanto,

l'applicazione della disciplina di cui all'articolo 186-bis legge fall. anche il caso in cui

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v) Insolvenza – il debitore non possiede risorse sufficienti per accedere al concordato (apporto di finanza esterna volta ad es. al pagamento della percentuale del 20% al ceto chirografario nel concordato liquidatorio), ma vi sono le condizioni per affittare/cedere l’azienda ad un soggetto in grado di ripristinare la continuità aziendale. In tal caso, si ritiene corretta un’istanza di autofallimento con esercizio provvisorio, corredata del piano industriale del curatore e del potenziale acquirente. Se il piano industriale regge, si rispristina la continuità aziendale in un periodo interinale breve, con pochi costi prededucibili (che non peggiorano l’offerta ai creditori) ed è possibile cedere l’azienda in pochi mesi salvando il business. Le azioni di responsabilità verso gli amministratori vengono calmierate se il valore della cessione d’azienda non è palesemente risibile rispetto al momento di perdita della continuità aziendale (t-n) e sussistono comportamenti collaborativi e professionali, nella redazione e nello svolgimento del piano industriale da parte dell’imprenditore. vi) Insolvenza – il debitore presenta istanza di auto-fallimento con esercizio provvisorio che viene svolto per almeno un anno (termine sancito dal 124 l.f.) e poi partecipa alla gara delle proposte concorrenti di concordato fallimentare. Se quell’imprenditore è stato onesto ma sfortunato ed ha collaborato alla redazione di un piano dell’esercizio provvisorio profittevole e volto al mantenimento del valore aziendale, allora potrà riacquisire la sua impresa, esdebitandosi con i creditori, presentando una proposta di concordato fallimentare.

l'azienda sia stata affittata prima della presentazione della domanda di concordato e ciò in

quanto l'esplicita previsione normativa della continuità indiretta induce a ritenere che il

legislatore abbia dato rilevanza alla continuità in senso oggettivo, la quale non può

considerarsi esclusa dal fatto che l'azienda sia stata affittata ad altro imprenditore prima della

domanda di concordato”.

Si segnala il contrario orientamento del Tribunale di Firenze che, con la sentenza del

01.02.2016, ha stabilito che “Il concordato con continuità aziendale implica una

sopportazione del rischio di impresa da parte dei creditori concorsuali, la quale può

giustificarsi e sussistere solo nell'ipotesi in cui l'impresa sia gestita dall'imprenditore e la

gestione continui a presentare dei parametri di aleatorietà per i creditori concordatari. Deve,

pertanto, essere esclusa l'applicazione della disciplina del concordato con continuità

aziendale qualora il piano preveda l'affitto dell'azienda quale strumento di transito verso il

successivo trasferimento a terzi della stessa”.

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5. Tipologia di imprese che accedono ai piani di risanamento per la

risoluzione della crisi o dell’insolvenza

Tipicamente trattasi di una PMI a base familiare, insolvente, con una storia importante (fondata da 50/60 anni, ben consolidata nel territorio, con punti forti rappresentati, di solito, dagli “intangibles”) con le seguenti, ulteriori, peculiarità:23 • Necessità del ripristino della continuità aziendale ma anche della regolare tenuta della contabilità generale, della contabilità analitica, del controllo di gestione, della redazione del piano industriale e del rendiconto finanziario • Declino di prodotto: l’impresa da molti esercizi (anche 5/10) non investe in ricerca e sviluppo, in tecnologia di prodotto, ed il manufatto, pur se ben congegnato, è già obsoleto e superato dalla concorrenza • Fatturati “in picchiata”, mediamente ridotti del 50% rispetto agli esercizi migliori, quelli fino al 2007/2008, con operazioni a leva finanziaria stipulata ante crisi ed oggi insostenibili (EBITDA inferiore a 1,3-1,5 del DEBT SERVICE COVER RATIO – DSCR - flussi di cassa negativi ) • Evidenti casi di ristrutturazioni aziendali (non risolutive) volte solo a ridurre l’organico, ma prive di un piano industriale coerente col ritorno al valore (si riscontra ad es. il più delle volte, un generico accesso ai mercati stranieri emergenti – Cina in primis- senza però una visione globale di quella che dovrebbe essere una appropriata market-strategy) • Bilanci degli ultimi esercizi che rappresentano utili risicati, con rilevantissime svalutazioni e deprezzamenti imputati nell’ultimo esercizio, evidenti manipolazioni estetiche dei 3-4 anni precedenti, in un acclarato stato di azzeramento del patrimonio netto in epoche pregresse • Una governance il più delle volte poco acculturata, che invece di recuperare efficienza, tenta di evitare ogni coinvolgimento risarcitorio personale, mediante comportamenti opportunistici (disinteressandosi degli assets aziendali e del loro svilimento)

23 Cerved, febbraio 2017 Osservatorio sui fallimenti, procedure e chiusure di imprese;

Rapporto PMI centro nord 2017 Cerved; Linee guida per il finanziamento alle imprese in

crisi – seconda edizione 2015 – CNDCEC, Assonime, Università degli studi Firenze;

Camera dei Deputati Commissione attività produttive, commercio e turismo (X°

Commissione Roma audizione del 11.11.2016 Relazione del Presidente del Tribunale di

Novara Dott. Filippo Lamanna;

Cause e circostanze del dissesto: dati statistici ODCEC Bologna periodo 2008/2011

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• La mancata politica dei “tagli” attuata non permette nemmeno l’accesso agli “ammortizzatori sociali” danneggiando il personale dipendente, la cui professionalità è uno dei punti di forza dell’impresa • Aziende per lo più “imprigionate” in rilevanti compendi immobiliari, con insostenibili effetti leva finanziaria sui bilanci, beni di difficile vendibilità anche a prezzi di realizzo, corredati di mutui ipotecari incapienti (la vendita non dà nessun beneficio in termini finanziari) • Casi in cui, essendosi verificata l’ipotesi di scioglimento da alcuni esercizi (perdita del going concern), l’azienda brucia cassa “come una vaporiera” e non permette neppure minimi investimenti • Il personale è sfiduciato, in alcuni casi non riceve i salari da mesi e la conflittualità con i manager tocca livelli altissimi; le professionalità più rilevanti lasciano l’azienda • Manca una tutela degli assets immateriali (intangibles), come marchi e brevetti, alla cui registrazione e tutela la governance non ha prestato sufficiente attenzione.

In un contesto di fatturato “in picchiata” l’impresa sopravvive solo grazie a continui tagli agli investimenti ed alle spese di ricerca e sviluppo, che avvelenano il clima aziendale in quanto creano sfiducia nel futuro nelle maestranze.

Si rileva una incapacità delle imprese a compiere il passo avanti oggi ritenuto fondamentale per raggiungere livelli di efficienza e competitività sufficienti (la cosiddetta industria 4.0, ossia l’introduzione massiccia in azienda di sistemi di automazione dei processi produttivi, sia nella produzione che nei prodotti destinati alla clientela, per le imprese che producono beni d’investimento).

L’incapacità, sia per mancanza di risorse finanziarie che, soprattutto, per mancanza di cultura tecnologica, di accedere alla rete in maniera efficace per promuovere i propri prodotti. I punti forti sono rappresentati dalle: i) maestranze italiane, dai processi, dalla rete commerciale (il più delle volte facente parte di una filiera o di un distretto), ii) competenze professionali avanzate (know-how), iii) fantasia, dedizione all’impresa, buon gusto, iv) capacità di adattamento all’ambiente, v) sinergia col distretto, vi) tipico è il fenomeno del back – reshoring (ritorno delle PMI italiane dalla delocalizzazione di manodopera all’estero).

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6. L’alternativa tra le due procedure: concordato in continuita’ ed

esercizio provvisorio fallimentare - le proposte concorrenti di

concordato fallimentare

La rapidità nella scelta dello strumento adeguato per affrontare la crisi dell’impresa nelle sue varie e graduali opzioni - scandite dal peggioramento nell’offerta di ripartizione ai creditori chirografari e dalla corrispondente falcidia dei valori attivi di bilancio -, può, in molti casi, compensare la carenza dell’emersione tempestiva della crisi stessa, portando, forse brutalmente (si pensi ad esempio ai lavoratori che si trovano da un giorno all’altro trasferiti ex art. 2112 ad una nuova cellula aziendale in affitto d’azienda o in esercizio provvisorio fallimentare) la barra del timone verso il turn around che rispristina la continuità aziendale. Partendo dal presupposto che l’unico valore realizzabile consista nella salvaguardia della unit aziendale nell’interesse dei creditori, occorre che si instauri un dialogo costruttivo tra gli attori della crisi, finalizzato alla fattibilità del piano di risanamento nell’ambito dello strumento prescelto posto che, soltanto il dialogo, sotto l’egida del Tribunale, può consentire la realizzazione di piani in un’ottica di “feasibility”. Il Tribunale potrà così soppesare la bontà della proposta concordataria in continuità rispetto all’alternativa dell’esercizio provvisorio fallimentare, sia in termini di costi che di business plan. La rilevanza del piano industriale nel concordato in continuità, è stata ampiamente argomentata dalla Suprema Corte nell’analisi di fattibilità del piano proposto per il concordato in continuità di Aeradria in cui, definitivamente, gli ermellini (Cass., 7.4.2017) hanno confermato il giudizio del Tribunale di Rimini che, nel revocare la procedura, aveva espresso una valutazione di radicale manifesta inattitudine del piano in rapporto ad una serie di elementi. Detti elementi, nello specifico, erano stati rinvenuti: i) nella opacità dei bilanci della società, ii) nell’andamento (indicato come disastroso) della gestione antecedente a fronte di scelte gestorie, ipotizzate nel piano industriale; iii) nella inesistenza di un surplus di risorse per far fronte a eventi suscettibili di incidere negativamente sugli ipotizzati flussi di cassa, iv) nella insufficienza, rispetto a quanto prospettato nel piano industriale, del margine di incidenza di dati variabili normalmente correlati a una valutazione di equilibrio dell’impresa. Rammentando che il business plan è, nel linguaggio commerciale il documento che sintetizza i contenuti e le caratteristiche di un progetto imprenditoriale, in vista della concreta pianificazione e gestione aziendale e della comunicazione esterna verso potenziali finanziatori o investitori, la Suprema Corte ha statuito che la carenza incidente su di esso, unita al riscontro di scelte gestorie in linea con quelle che hanno già portato la società al dissesto, di

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deficitarie indicazioni di bilancio e di insufficienze dei valori di produzione, ben possono giustificare una valutazione di intrinseca inettitudine, quando non di plateale dannosità per i creditori, della prosecuzione dell’esercizio dell’impresa secondo la prospettiva delineata. La competenza del Magistrato fallimentare, oramai esperto nella lettura, ma anche nell’analisi del business plan, sarà al servizio dei creditori, nella ritenuta fondatezza che l’ammissione del concordato preventivo sia stata vagliata come la soluzione migliore per la loro soddisfazione, sul presupposto che: - l’attestatore ne abbia certificato il miglior percorso possibile, anche in alternanza al percorso liquidatorio: - la continuità aziendale ex art. 186 bis l.f., permetta la miglior procedura possibile in un’ottica di mantenimento della continuità aziendale o ripristino della continuità (182 sexies) Nel paragrafo iniziale, è stato evidenziato come le modificazioni strutturali alle norme di comportamento del consiglio di amministrazione, impongano, dal 2015 in poi, una serie di analisi e di comportamenti volti a stabilire, con un sufficiente grado di attendibilità, il momento di interruzione di una sorta di “continuità aziendale minima”, oltre la quale, sotto certe soglie gradualmente peggiorative di soddisfazione ai creditori chirografari, il business non merita la premiale procedura di concordato preventivo, ma l’immediata istanza di auto-fallimento, accompagnata dalla redazione del business plan dell’esercizio provvisorio. In caso contrario, la presentazione di una proposta di concordato preventivo, anche in continuità, con tutte le salvaguardie premiali previste nell’art. 186 bis l.f., sotto quelle soglie minime, non permetterà l’ammissibilità della procedura. Le azioni di responsabilità, le azioni revocatorie, i risvolti penalistici fungeranno da deterrente e, se anche l’attestatore avrà arrischiato la propria opinione su un piano deficitario, il Tribunale arresterà inesorabilmente il percorso del debitore perché i flussi di cassa attesi o autofinanziati sono palesemente insufficienti. La dicotomia enunciata (ante D.L. 83/2015) dal piano del debitore - legata e confezionata dalla proposta “chiusa” del salvataggio aziendale e dei posti di lavoro “solo con quel piano e con quella proposta” -, è sparita dal gergo del redattore del piano e dall’asseveratore. Si profila l’instaurazione di un dialogo costruttivo finalizzato alla fattibilità di diverse proposte e di diverse offerte del compendio aziendale che possano condurre il Tribunale a soppesare l’una e l’altra procedura (il concordato preventivo in continuità ed il fallimento con esercizio provvisorio). Il ragionamento che compete al debitore ed ai suoi consulenti, in un’ottica di salvataggio aziendale, è quello di utilizzare lo strumento del concordato

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preventivo, solo quando la continuità aziendale sia ancora in corso e la crisi sia tempestivamente emersa (nell’esercizio in corso o in quello precedente) Il Legislatore ha voluto incentivare le procedure concorsuali “light”, oramai numerose ed articolate (si pensi solo alla convenzione di moratoria, ritenuta a tutti gli effetti una mini-procedura concorsuale, espressione di un suo piano di risanamento e di sue proprie pattuizioni, disgiunte da un eventuale, successivo concordato preventivo, al piano di risanamento dell’art. 67 l.f., agli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis l.f.). Il progetto appare evidente: invitare l’imprenditore virtuoso, ma sfortunato, a risolvere la “sua crisi”, se tempestivamente emersa, con un piano di risanamento che sciorina i numeri (EBIDTA, PFN, flussi di cassa al servizio del debito ma anche per far fronte a nuovi investimenti, margine di tesoreria prospettico positivo) necessari ad evitare l’intervento (affiancamento) del Tribunale. Al più sarà necessario, in un’ottica de jure condendo, l’OCC (Organismo di composizione della crisi ) previsto dal disegno di legge delega Rordorf, per garantire quelle tecnicità e quei modus operandi, emanati dal Consiglio Nazionale Dottori Commercialisti e già utilizzati dai Tribunali nei provvedimenti che riguardano la crisi d’impresa.24 Se la continuità aziendale è persa da alcuni esercizi e l’imprenditore non vuole aggravare ulteriormente la situazione debitoria avallando inutili costi pre-deducibili, allora l’istanza di auto-fallimento con esercizio provvisorio permetterebbe, se il business è ancora appetibile, di affrontare la crisi e l’insolvenza in maniera virtuosa, limitando le responsabilità civili e penali della governance. Se poi quell’imprenditore non ha commesso atti in frode e non ha cercato scientemente di rallentare l’emersione della crisi aggravando il dissesto, allora pare nello spirito del Legislatore, anche Comunitario, che quello stesso imprenditore, soggiacendo alle proposte concorrenti dei terzi ed alle tempistiche sancite dall’art. 124 l.f., possa riacquisire la sua impresa, esdebitato e reimmesso nel circuito dell’economia tramite lo strumento del concordato fallimentare. Ecco che la distanza, in termini di falcidia ai creditori e svilimento degli assets, tra concordato preventivo e concordato fallimentare si è oramai ridotta all’osso, e che l’efficienza e la trasparenza, nel mercato della crisi fanno la differenza in termini di salvataggio di aziende, di posti di lavoro e di risultato per i creditori.

24 Per tutti: Principi di attestazione dei piani di risanamento, CNDCEC, AIDEA, IRDEC,

ANDAF, APRI, OCRI

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Il debitore, dopo un’eventuale fase di esercizio provvisorio profittevole, durante la quale, unitamente al curatore, ha mantenuto attiva la rete commerciale, i valori intangibili, il fatturato, secondo i tempi sanciti dall’art. 124 l.f. (dopo un anno dalla sentenza di fallimento e non oltre due anni dal decreto che rende esecutivo lo stato passivo), può proporre una sua proposta di piano ai creditori. Il Legislatore nel quarto comma dell’art. 163 l.f. ha garantito maggiormente il debitore, sia mediante la non ammissibilità della proposta concorrente quando il piano concordatario rispetta certe soglie minime al ceto chirografario, sia attribuendo, in caso di gara tra proposte concorrenti, un peso maggiore al concordato originario. Questi atteggiamenti premiali per il debitore mancano nel concordato fallimentare, anzi, come sopra tratteggiato, l’imprenditore scende in campo dopo un anno dall’apertura della procedura concordataria, lasciando l’iniziativa al creditore ed al terzo. Ciò non toglie che oggi, a distanza di quasi due anni dalla riforma del 2015, lo strumento del concordato fallimentare sia stato fortemente rivalutato e, da soppesarsi, nelle opportunità e nei rischi, unitamente al concordato preventivo25 da parte del debitore e dei suoi advisors. Prima della L. 132/2015, l’alternanza del piano di risanamento del concordato preventivo con l’esercizio provvisorio fallimentare era un dato di fatto, ove all’imprenditore era comunque concessa una “last chance” qualunque fosse il deterioramento dei valori patrimoniali e la continuità aziendale fosse o meno in corso, insomma il piano concordatario era considerato la prima opzione; ora, sedimentate, parzialmente, le nuove regole della L.132/2015, tale ragionamento non è più sostenibile, come evidenziato nei paragrafi precedenti. A distanza di undici anni dalla prima riforma del 2006 assisteremo probabilmente a meno proposte di concordato preventivo, poche ma virtuose,

25 STEFANIA PACCHI, “Il mercato delle imprese in crisi – Dalla low of morality alla low of

continuity – proposte concorrenti di concordato preventivo e di concordato fallimentare –

Intervento al convegno di Venezia Hiltom Hotel 27.11.2015 La ricollocazione dell’azienda nel

concordato fallimentare

Dello stesso autore: La raccomandazione della commissione UE su un nuovo approccio

all’insolvenza anche alla luce di una prima lettura del regolamento UE n. 848/2015 sulle

procedure di insolvenza; EMILIO NORELLI, “Il concordato fallimentare riformato e corretto

;Zanichelli Editore Il nuovo diritto fallimentare Alberto Jorio e Massimo Fabiani artt. 124 e

segg. “autori vari” manuale di diritto fallimentare; CEDAM Massimo Ferro commentario al

nuovo diritto fallimentare artt. 124 e segg. “autori vari” ;

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in termini di soddisfacimento ai creditori chirografari e salvataggi aziendali, ma il piano di risanamento tornerà ad essere il protagonista principale, scevro dai tanti tatticismi giuridici volti a generare, il più delle volte, confusione nel creditore che vota la proposta e nel Tribunale che decide sull’ammissibilità e sull’omologa.