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ISSN 2038-0712

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Anno LIX

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IPASVI - www.ipasvi.it L'Infermiere n°1 / 2015

EDITORIALE

I nuovi traguardi e le sfide per la professionedi Annalisa Silvestro

SCIENZE INFERMIERISTICHE

La scala ASEPSIS: validazione italiana di uno strumento per la valutazione delle caratteristiche del sito chirurgicodi Stefano Terzoni, Anne Destrebecq, Adriana Teresa, Giancarlo Celeri Bellotti, Lara Carelli

La qualità e i fattori che influenzano il sonno nei pazienti ricoveratidi Mayra Matteini, Tiziana Nannelli, Laura Rasero

CONTRIBUTI

Alla ricerca della salienza. Analisi fenomenologica del disagio eticodi Duilio Manara, Giulia Villa, Dina Moranda

ESPERIENZE

Infermieristica di famiglia e di comunità: una survey tra infermieri e medici di medicina generaledi Paola Obbia, Ludovica Tamburini, Gessica Giovannetti, Mirco Ongaro, Diletta Calamassi

Il supporto del tutor clinico allo studente infermiere nella gestione della mortee della sofferenzadi Mattia Morone, Simona Facco

La complessità assistenziale per la determinazione dell'organico infermieristico: l'esperienza di un pronto soccorsodi Pietro Ricci

Indagine sulla soddisfazione lavorativa degli infermieri di chirurgia in un'azienda sanitaria dell'Emilia Romagnadi Silvia Polastri, Michela Zanandrea, Loredana Gamberoni, Claudio Bonifazzi, Valerio Muzzioli

SCAFFALE

Filosofia per i professionisti della cura

Alcol: bugie e verità, tutti i rischi del bere

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I nuovi traguardi e le sfide per la professione

di Annalisa Silvestro

La Federazione nazionale dei Collegi Ipasvi ha brindato al suo 60° compleanno con unvero congresso di svolta. La professione tutta – come ha confermato il consenso deglioltre 3mila infermieri presenti a Roma dal 5 al 7 marzo scorsi – ha deciso di salire quelgradino che va verso una maggiore responsabilità all’interno delle aziende con laformalizzazione della già avvenuta evoluzione delle nostre competenze sia in chiaveassistenziale, sia in chiave manageriale. Nel nostro futuro prossimo ci sono infermierigeneralisti e infermieri specialisti, tutti competenti, preparati, capaci di lavorare in gruppo ein rete e di confrontarsi su un disegno assistenziale anche per metterlo in discussione alloscopo di raggiungere i risultati migliori per la collettività e per la propria famigliaprofessionale.Di svolta perché la mozione finale va perfino oltre la crescita professionale e reagisceall’attuale stallo, dicendo basta con la riduzione numerica dei professionisti infermieri, conl’ibernazione dei loro compensi, con i tagli lineari che minano alla base il livello e la qualitàdell’assistenza, mettendo a rischio la salute dei cittadini. E soprattutto basta con le accusedi invasione di campo, che compromettono il lavoro d’équipe tra i professionisti dellasanità.

Il nostro fine non è svolgere attività da medici "bonsai", ma di utilizzare una marciaulteriore per assistere i pazienti, individuarne e approcciarne le necessità, incidere nelprocesso organizzativo e decisionale di sistema e dare, conseguentemente, risposteancora più pertinenti e mirate alle contingenze economiche e ai bisogni che emergonodall'attuale scenario demografico ed epidemiologico. Non intacchiamo o erodiamo ilcampo di attività di questo o di quel professionista, ma ci adeguiamo semmaiall'evoluzione generale e ineludibile dei saperi, dei bisogni, dei sistemi organizzativi esoprattutto alle necessità e alle aspettative dei cittadini.

Per farlo siamo pronti a un nuovo patto per l’assistenza con i cittadini: vogliamo rispondereai loro bisogni di salute con competenza, professionalità e umanità. Ma siamo pronti anchea rinnovare il nostro impegno per il sistema salute, sollecitando le Istituzioni a garantire aicittadini l’equità di accesso alle cure e all’assistenza su tutto il territorio nazionale, aerogare servizi orientati alla centralità e qualità di vita dei cittadini e a monitorare la qualitàdelle prestazioni e costruire, nel rispetto reciproco dei ruoli, un nuovo modello di cura eassistenza che integri le competenze specifiche di ogni professione sanitaria.

Noi il nostro impegno lo mettiamo tutto sul piatto: ora tocca agli altri fare altrettanto. Incambio vogliamo – e la mozione finale del congresso l’ha chiesto a chiare lettere - lavalorizzazione delle funzioni, dei ruoli e delle competenze dei professionisti infermieri, losviluppo del ruolo dell’infermiere specialista nelle organizzazioni sanitarie, ilriconoscimento per gli infermieri delle funzioni specialistiche, manageriali, di direzione e dicoordinamento.

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E serve anche la coerenza della formazione accademica con le funzioni e i ruoli gestionalie assistenziali che l'infermiere deve assumere per dare una migliore assistenza inospedale, a domicilio, sul territorio e per garantire la presa in carico, la continuitàassistenziale, l'informazione e l'educazione sanitaria e l’ampliamento, in ambitoaccademico, del numero di infermieri ricercatori e professori di prima e seconda fascia conil coinvolgimento sistematico dei nostri professionisti anche nella definizione e larealizzazione del Patto della salute e dei Lea, coerentemente al nuovo sviluppodell’assistenza territoriale e dell’umanizzazione del sistema.

Perché i nostri professionisti non debbano essere ostaggio e merce di scambio con irisparmi chiesti dalla spending review sono necessarie linee guida, standard assistenziali,criteri per la definizione del fabbisogno di infermieri, indicatori di esito e risultato sia perl'ambito ospedaliero, sia per le strutture territoriali e per l'assistenza domiciliare, in cuisiano considerati e valorizzati l’impegno e la professionalità degli infermieri. E su questosiamo pronti, proprio con i cittadini, a intervenire e proporre anche noi: siamo stanchi distare a guardare.

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La scala ASEPSIS: validazione italiana di uno strumentoper la valutazione delle caratteristiche del sito chirurgico

Stefano Terzoni1, Anne Destrebecq2, Adriana Teresa3, Giancarlo Celeri Bellotti4, Lara Carelli5

1Infermiere, docente presso il Corso di laurea in infermieristica, Università degli Studi di Milano;2Ricercatore confermato, Dipartimento di scienze biomediche per la salute, Università degli Studi di Milano;

3Infermiera, Istituto ortopedico Gaetano Pini, Milano; 4Infermiere tutor, Corso di laurea in Infermieristica,Università degli Studi di Milano; 5Infermiera, docente presso il Corso di laurea in infermieristica, Università

degli Studi di Milano

Corrispondenza: [email protected]

RIASSUNTOIntroduzione Le infezioni del sito chirurgico rappresentano il 14,6% delle infezioni contratte in ospedale. Lasorveglianza attiva ne riduce l’incidenza dal 30% al 50%; a tale scopo esiste la scala ASEPSIS che, tuttavia,non è ancora stata validata in italiano. L’articolo presenta lo studio di validazione italiana della scala ASEPSIS.Materiali e metodi Tramite uno studio osservazionale prospettico è stata validata la versione italiana dellascala ASEPSIS. La scala è stata somministrata telefonicamente a pazienti operati dal 28 gennaio al 3 marzo2013 in tre reparti di chirurgia (generale, vascolare e day surgery) presso l’ospedale San Paolo di Milano.Risultati Sono stati sorvegliati 58 pazienti sottoposti a un totale di 61 interventi chirurgici. L’affidabilità intervalutatore è risultata elevata (ρs=0,96, p<0,0001) e la consistenza interna sufficiente (α=0,60).Conclusioni Lo strumento nella versione italiana è affidabile e adatto alla sorveglianza del sito chirurgico du-rante e dopo la degenza. La compilazione rapida la rende utilizzabile nella routine di reparto. Servono ulte-riori studi per approfondire l’impiego dell’ASEPSIS in altre unità operative, avere maggiori dati di follow-up esu tempi più lunghi.Parole chiave: infezione, sito chirurgico, sorveglianza, assistenza infermieristica

The ASEPSIS scale: Italian validation of a tool for early detection of surgical siteinfectionsABSTRACTIntroduction Surgical site infections represent 14.6% of all hospital-acquired infections. Active surveillancereduces their incidence by 30% to 50%; the ASEPSIS scale has been created for this purpose, but has neverbeen validated in Italian. This paper presents the Italian validation study of ASEPSIS Score.Methods A prospective observational study to validate the Italian version of ASEPSIS scale has been con-ducted. The ASEPSIS scale has been administered by phone call to patients who underwent surgery betweenJanuary 28th and March 3rd, 2013 in three surgical units (general, vascular, and day surgery).Results 58 patients, involved in 61 surgical interventions, were enrolled. Interrater reliability was very high(ρs=0.96, p<0.0001) and internal consistency was sufficient (α=0.60).Conclusions The Italian version of the scale is reliable and suitable for surgical surveillance during and afterhospitalization. Being easy to use and requiring less than a minute to be completed, it is suitable for daily usein surgical wards. Further studies should apply the scale in other types of surgical wards, get more follow-up data and on longer periods.Keywords: infection, surgical site, surveillance, nursing

INTRODUZIONELe infezioni ospedaliere rappresentano le complicanzein assoluto più frequenti tra i pazienti ricoverati in ospe-dale (Regione Emilia-Romagna, 2006). Tra le princi-pali localizzazioni, le infezioni del sito chirurgicosono, ancora oggi, una delle principali complicanze

legate all’assistenza e un’importante causa di morbilitàe di mortalità. Le infezioni del sito chirurgico corri-spondono al 14,6% delle infezioni contratte in ospe-dale (De Werra C et al., 2009) e determinano un au-mento del periodo di degenza e dei costi dell’assi-stenza (Broex ECJ et al., 2009). Con l’aumento degli

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interventi chirurgici in day surgery e la riduzione deitempi di degenza spesso le infezioni del sito chirur-gico si osservano dopo la dimissione del paziente an-ziché durante il ricovero (Prospero E et al., 2006).La sorveglianza e l’applicazione di un programma dicontrollo determinano una riduzione importante delleinfezioni del sito chirurgico, come mostrato dalloStudy on the Efficacy of Nosocomial Infection Con-trol (SENIC) (Haas JP, 2006).Vari studi (Haas JP, 2006; Gastmeier P et al., 2006)hanno mostrato l’utilità del processo di sorveglianzadelle infezioni del sito chirurgico per promuovere e in-dirizzare interventi mirati a ridurre il rischio di com-plicanze infettive post operatorie. La sorveglianzadelle infezioni ospedaliere, intesa come la raccoltacontinuativa, periodica e sistematica e l’analisi e l’in-terpretazione di dati sanitari (Santullo A, 2008), con-sente di rilevare precocemente l’infezione, valutarlanel tempo e identificarne i fattori di rischio e le cause.La sorveglianza delle infezioni del sito chirurgico con-sidera la durata, il tipo e la classe dell’intervento, laclassificazione dell’American Society of Anesthesio-logists (ASA) e la scala impiegata per la valutazionedella guarigione della ferita (ECDC, 2012). Tra le scaledi valutazione della guarigione, la Additional treat-ment, Serious discharge, Erytema, Purulent exudate,Separation of deep tissues, Isolation of bacteria, andthe duration of inpatient Stay (ASEPSIS) è stata uti-lizzata in molti studi italiani, come il SICh-ER (Resi Det al., 2006) ma non è mai stata validata in italiano.L’articolo presenta la traduzione e la validazione dellascala ASEPSIS in lingua italiana.

MATERIALI E METODIE’ stato condotto uno studio osservazionale, quanti-tativo, prospettico presso l’Azienda ospedaliera SanPaolo di Milano, con l’applicazione dell’ASEPSIS a pa-zienti operati dal 28 gennaio al 3 marzo 2013 nei re-parti di chirurgia generale, vascolare e day surgery.

Lo strumentoLa scala ASEPSIS (Tabella 1) utilizza criteri standar-dizzati e aiuta a superare il problema della valuta-

Tabella 1. Scala di punteggio ASEPSIS

Proporzione della ferita interessata (%)

Caratteri della ferita 0 <20 20-39 40-59 60-79 >80

Essudato sieroso 0 1 2 3 4 5

Eritema 0 1 2 3 4 5

Essudato purulento 0 2 4 6 8 10

Deiscenza 0 2 4 6 8 10

punteggio totale prima settimananumero di medicazioni

x5 = punteggio ASEPSIS

Se il numero di osservazioni/medicazioni è inferiore allecinque previste per il calcolo del punteggio (evenien-za frequente in caso di guarigione soddisfacente del-la ferita) occorre riportare la media dei punteggi rela-tivi alle osservazioni effettuate e moltiplicarla per 5; seil numero di osservazioni è maggiore di 5 si escludo-no i punteggi relativi alle medicazioni del fine settimana.La scala ASEPSIS prevede la possibilità di asse-gnare dei punti addizionali in presenza di una terapiaantibiotica per il trattamento dell’infezione, di un dre-naggio di pus in anestesia locale, di un isolamentobatterico e/o una durata della degenza superiore ai14 giorni. La presenza di queste condizioni è indicedi una severità maggiore del quadro clinico.I punti addizionali, data la natura delle osservazioni acui si riferiscono, si assegnano entro il 15° giorno dal-l’intervento, secondo il quadro riportato in Tabella 2.

zione soggettiva delle complicanze secondarie. Percalcolare il punteggio bisogna 1) osservare la pre-senza di essudato sieroso, eritema, essudato puru-lento o deiscenza 2) valutare per ciascuno di questisegni la proporzione di ferita interessata attraversocinque categorie:• minore del 20%;• tra il 20 e il 39%;• tra il 40 e il 59%;• tra il 60 e il 79%;• maggiore dell’80%.

Secondo la logica dell’ASEPSIS, la severità dellecondizioni della ferita si basa sulla presenza di segnidi infezione e sull’estensione della porzione di feritainteressata da tali segni. Nella prima settimana dopol’intervento chirurgico, a ogni osservazione o medi-cazione della ferita si rilevano i suoi caratteri (Tabella1) e si sommano i relativi punteggi; il valore così ot-tenuto rappresenta il punteggio totale della primasettimana e si utilizza per il calcolo del punteggioASEPSIS secondo la seguente formula:

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In base al punteggio globale, ovvero la somma delpunteggio ASEPSIS con eventuali punti addizionali,si individuano le seguenti classi:• da 0 a 10: guarigione soddisfacente;• da 11 a 20: disturbo di guarigione;• da 21 a 30: infezione minore della ferita;• da 31 a 40: infezione moderata della ferita;• maggiore di 40: infezione severa della ferita.La scala era già stata tradotta in italiano dalla Re-gione Emilia-Romagna (Resi D et al., 2006) senza tut-tavia essere sottoposta a validazione. Poiché taleversione appariva fedele all’originale inglese ed eragià stata impiegata in lavori del Servizio Sanitario ditale Regione, si è chiesto il consenso all’utilizzo dellostrumento per la validazione e per la pubblicazionedei risultati. La Regione ha dato l’assenso scritto. Laritraduzione della scala dall’italiano all’inglese, effet-tuata da una docente di lingue che non aveva mai vi-sto lo strumento in precedenza, ha prodotto un testoidentico all’originale in inglese. Si è dunque ritenutaadeguata la versione italiana proposta dalla RegioneEmilia-Romagna ed è stata impiegata per lo studio.

Validazione della scalaLa validità di facciata della scala ASEPSIS è stata in-dagata attraverso la richiesta di un giudizio qualita-tivo da parte dei soggetti coinvolti. La validità di con-tenuto è stata studiata verificando l’aderenza delleaffermazioni alle indicazioni della letteratura. L’affi-dabilità inter valutatore è stata saggiata confron-tando le valutazioni condotte al letto dei pazienti dauna studentessa laureanda in infermieristica e dal-l’infermiere di turno nell’unità operativa, simultanea-mente e senza confronto tra i rilevatori. I confronti trai punteggi assegnati dalla studentessa e dagli infer-mieri sono stati condotti con l’uso del test di Mann-Whitney, per verificare che non vi fossero differenzestatisticamente significative, e del coefficiente ρ diSpearman (ρs), per valutare la forza e la significativitàstatistica della correlazione. La consistenza interna èstata valutata con il calcolo del coefficiente α diCronbach. La stabilità test-retest non è stata valutatain quanto sarebbe stato necessario scoprire più voltela ferita durante il giorno, operazione nota in lettera-

tura come fattore di rischio per l’infezione del sito chi-rurgico (Galway UA, 2009).

Somministrazione della scalaLa scala ASEPSIS è stata somministrata ai pazientitelefonicamente, in modo analogo a quanto fatto da-gli autori originali (Resi D et al., 2006). L’intervista te-lefonica è stata condotta per tutti i pazienti seguendoun scaletta predefinita: era prevista una fase intro-duttiva in cui l’operatore si presentava e spiegava alpaziente gli scopi dell’intervista; al paziente si chie-deva inoltre di fornire informazioni sull’insorgenza difebbre dopo la dimissione, sulla prescrizione di anti-biotici per il trattamento di infezioni della ferita e sullanecessità di sottoporsi a un numero di controlli me-dici superiore a quello previsto per problemi legati al-l’andamento della ferita chirurgica.Trattandosi di uno studio osservazionale basato sullaraccolta di dati abitualmente rilevati nell’ambito del-l’attività dei reparti e servizi oggetto d’indagine, nonè stato necessario ottenere l’approvazione del co-mitato etico; da tutti i soggetti coinvolti è stato otte-nuto il consenso informato, richiesto in modo espli-cito anche al momento del follow-up telefonico.

Follow-upSecondo la definizione del National Nosocomial In-fection Surveillance System (NNIS), le infezioni delsito chirurgico si riscontrano fino a 30 giorni dall’in-tervento chirurgico oppure entro un anno se in se-guito all’intervento chirurgico si lascia in situ un im-pianto di origine non umana (De Werra C et al., 2009).Essendo il presente studio tratto da una tesi di lau-rea, per questioni di tempo è stato possibile effet-tuare il follow-up a 30 giorni dall’intervento solo peruna parte dei pazienti considerati (17 su 58) e non èstato possibile effettuarlo a un anno di distanza peri soggetti sottoposti a impianto.

RISULTATISono stati considerati 58 pazienti; il 70,7% era disesso maschile e l’età media è risultata di 61±18anni. Il 50% dei pazienti proveniva dal reparto di daysurgery, il 39,7% da quello di chirurgia generale, il

Tabella 2. Punti addizionali della scala ASEPSIS

Condizione Punti addizionali

Presenza di una terapia antibiotica per il trattamento dell’infezione della ferita chirurgica 10Drenaggio in anestesia locale di pus (considerare anche la rimozione di punti di sutura 5da parte del chirurgo − anche senza anestesia locale − per favorire la fuoriuscita di pus)Isolamento batterico 10Durata della degenza superiore a 14 giorni 5

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10,3% da quello di chirurgia vascolare. La medianadei giorni di degenza nelle unità operative è risultatapari a 4 (scarto interquartile, IQR=1;10). Nel periodoconsiderato il campione di pazienti è stato sottopo-sto a un totale di 61 interventi (Tabella 3).Il 72,1% degli interventi chirurgici è stato classificatocome pulito, il 24,6% come pulito/contaminato, il3,3% come contaminato; nessun intervento è statoclassificato come sporco-contaminato. Il 12,1% de-gli interventi si è svolto in urgenza, il 29,3% in vi-deolaparoscopia; nel 41,4% degli interventi sonostate impiantate protesi. La durata mediana degli in-terventi è risultata di 69 minuti (IQR=59;110). Per lapreparazione al campo operatorio è stato sempre uti-lizzato lo iodopovidone.La profilassi antibiotica è stata somministrata al58,6% dei pazienti con un tempo mediano di som-ministrazione di 15 minuti (IQR=10;30). Il 37,9% deipazienti non ha assunto l’antibiotico, mentre per il3,4% non è stato possibile rilevare i dati al riguardoattraverso la documentazione sanitaria. I principi at-tivi (e le loro combinazioni) utilizzati nella profilassi an-tibiotica sono stati: cefazolina, cefuroxima, cefuro-xima + metronidazolo, clindamicina e metronidazolo.Per quanto riguarda i fattori di rischio, il 36,2% dei pa-

zienti era fumatore o ex fumatore mentre il 10,3% ave-va il diabete. L’indice di massa corporea (IMC) dei pa-zienti aveva unamediana di 24,3 kg/m2 (IQR=22,3;26,7).Non sono emersi legami tra il diabete e i disturbi diguarigione, né tra l’indice di massa corporea superiorealla norma e la guarigione (test χ2, p>0,05). Nessunodei pazienti diabetici aveva disturbi. Su 23 pazienti conindice di massa corporea maggiore o uguale a 25 solouno aveva disturbi di guarigione; dei 35 pazienti conindice di massa corporea inferiore a 25, due aveva-no disturbi di guarigione.

Caratteristiche del punteggio ASEPSISDurante il ricovero, i punteggi ottenuti tramite l’ASEP-SIS avevano una mediana pari a 0 (IQR=0;5, moda=0,n=29). Nei primi cinque giorni post operatori non sonostate rilevate infezioni della ferita chirurgica mal’8,6% dei pazienti ha presentato un disturbo di gua-rigione (punteggio ASEPSIS >10, tra 11,6 e 15,0). Diquesti, tre sono stati operati in regime di day surge-ry, uno in chirurgia generale e uno in chirurgia va-scolare. I cinque soggetti avevano un’età media di 60anni e solo un paziente era fumatore al momento del-la rilevazione (15 sigarette al giorno). Un paziente ave-va un punteggio ASA pari a 2, un altro pari a 3 men-

Tabella 3. Interventi chirurgici sorvegliati

Tipo di intervento Numero di interventi

Riparazione di un’ernia ombelicale, crurale o inguinale 19Endoarteriectomia di vasi del capo e del collo 7Asportazione o demolizione locale di lesione o tessuto cutaneo e sottocutaneo 4Appendicectomia laparoscopica 3Riparazione di un’ernia inguinale o addominale 3Asportazione di cisti o seno pilonidale 2Biopsia di strutture linfatiche 2Colecistectomia laparoscopica 2Emicolectomia destra 2Gastrectomia sub-totale 2Impianto endovascolare di Graft nell’aorta addominale 2Occlusione chirurgica di vene dell’arto inferiore 2Resezione parziale dell’intestino tenue 2Amputazione di arto inferiore 1Anastomosi o bypass vascolari 1Asportazione di varicocele 1Asportazione radicale di lesione della cute 1Circoncisione 1Legatura e stripping di varici venose dell’arto inferiore 1Revisione di anastomosi arterovenosa per dialisi renale 1Rimozione di tubo a T, tubo biliare o tubo epatico 1Splenectomia totale 1

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tre nessuno aveva un punteggio di 1 mentre per 3 pa-zienti non era specificato il punteggio ASA. Due pa-zienti sono stati sottoposti a riparazione monolateraledi ernia inguinale con innesto o protesi senza som-ministrazione di antibioticoprofilassi.Come premesso, per questioni di tempo il follow-up telefonico a 30 giorni dall’intervento chirurgico èstato condotto solo per 17 pazienti dei 58 sorvegliati:di questi, 7 erano ricoverati nel reparto di day surgery,7 in quello di chirurgia generale e 3 in quello di chi-rurgia vascolare. In nessun caso si è riscontrata lapresenza di pus durante la medicazione. Il 41,2% hapresentato dolore persistente o iperemia e un pa-ziente ha riscontrato febbre nei giorni successivi alladimissione. Un paziente di 88 anni sottoposto adamputazione di un arto inferiore ha sviluppato un’in-fezione del sito chirurgico. L’intervento era stato clas-sificato come contaminato, con punteggio ASA paria 3 e aveva richiesto una profilassi antibiotica con ce-fazolina. La degenza in ospedale è stata di 18 giorni,e quindi prolungata, sebbene il punteggio ASEPSISpost intervento fosse di 6,25.

Validità e affidabilità della scalaPer quanto riguarda la validità di facciata, gli opera-tori interpellati hanno espresso un giudizio favorevolecirca la sua semplicità e compatibilità con i ritmi deireparti; il tempo medio per la compilazione dellascala è risultato inferiore al minuto. La verifica di va-lidità di contenuto ha dato esito positivo poiché lapresenza degli indicatori di essudato sieroso, eri-tema, essudato purulento e deiscenza rispecchianoin letteratura caratteristiche di infezione del sito chi-rurgico (De Werra C et al., 2009).In merito all’affidabilità inter valutatore, i punteggiASEPSIS post operatori rilevati dalla studentessa sisono collocati in un intervallo compreso tra 0, guari-gione soddisfacente, e 15, disturbo di guarigione, conmediana pari a 0 (IQR=0;5). I punteggi rilevati dagli in-fermieri di turno si sono collocati in un intervallo com-preso tra 0, guarigione soddisfacente, e 20, disturbodi guarigione, con mediana e moda pari a 0 (IQR=0;5);non sono state trovate differenze statisticamente si-

gnificative tra i valori raccolti dagli intervistatori(p=0,92). Un’ulteriore conferma dell’affidabilità inter va-lutatore della scala è stata ottenuta tramite la valu-tazione della correlazione tra i punteggi rilevati dallastudentessa e dagli infermieri di turno (ρs=0,96,p<0,0001).Il valore massimo raggiunto del coefficiente α diCronbach è risultato compreso tra 0,60 e 0,61.L’eventuale eliminazione di alcune affermazioni nonha incrementato il valore dell’α di Cronbach (Tabella4). Nel calcolo sono state considerate solo le primetre medicazioni poiché nel campione solo un pa-ziente ha ricevuto 4 cambi di medicazione (nessunpaziente ne ha avuti più di quattro).

DISCUSSIONELa validità di facciata e di contenuto e i valori di affi-dabilità della scala sono stati verificati con esito po-sitivo; è da segnalare la rapidità di compilazione dellostrumento che lo rende compatibile con l’attività deireparti di chirurgia. Un punto di forza dello strumentoè l’affidabilità inter valutatore; durante il periodo distudio è stata trovata una fortissima correlazione po-sitiva tra i punteggi rilevati dai diversi intervistatori, in-dice di valutazioni sovrapponibili in termini di carat-teristiche della ferita.Nonostante l’impossibilità di valutare la stabilità del-la scala su tempi più lunghi, a fronte dei risultati ot-tenuti si ritiene che lo strumento sia pienamente uti-lizzabile nella pratica quotidiana. La sua consistenzainterna è inferiore ai limiti minimi ritenuti accettabili (Lo-Biondo-Wood G, 2005). Ciò potrebbe essere giusti-ficato dal fatto che i diversi descrittori di questa sca-la possano non essere presenti contemporanea-mente; per esempio, se un paziente durante la me-dicazione presenta eritema non è detto che debba pre-sentare nello stesso momento anche deiscenza. Il va-lore dell’α di Cronbach non è aumentato nonostan-te l’eliminazione di alcune affermazioni della scala; ciòsuggerisce che non vi sia una sola variabile poco cor-relata alle altre ma che tutte tendano ad avere un cer-to grado di libertà, ossia che le caratteristiche clini-che della ferita da loro rappresentate possano, in al-

Tabella 4. Coefficiente α di Cronbach dopo eliminazione delle singole voci della scala ASEPSIS

α di Cronbach

Voce eliminata Medicazione 1 Medicazione 2 Medicazione 3

Essudato sieroso 0,58 0,60 0,59

Eritema 0,61 0,58 0,57

Essudato purulento 0,54 0,57 0,56

Deiscenza 0,53 0,55 0,53

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cuni casi, presentarsi indipendentemente dalle altre.Dal punto di vista clinico, l’8,62% dei pazienti ha mo-strato un disturbo di guarigione della ferita (punteg-gio ASEPSIS>10) nei cinque giorni successivi all’in-tervento. L’indice di massa corporea e il diabete nonhanno mostrato un legame significativo con l’inci-denza delle infezioni della ferita, contrariamente aquanto affermato in letteratura (Galway UA, 2009;Friedman ND et al., 2007). Ciò può essere dovuto alcampionamento non probabilistico e alla ridotta am-piezza campionaria. Il legame tra il rischio infettivo eil punteggio ASA maggiore o uguale a 2 è risultatoevidente e concorde con la letteratura (Fitz-Henry J,2011). I pazienti che hanno avuto un disturbo di gua-rigione (punteggio ASEPSIS>10) avevano un pun-teggio ASA maggiore o uguale a 2. Il follow-up tele-fonico post dimissione ha coinvolto solo 17 pazienti:per un paziente, dopo la dimissione, il medico avevaformulato diagnosi di infezione del sito chirurgico. In8 pazienti è stato riscontrato uno dei due criteri cheportano alla definizione di infezione del sito chirurgico(almeno una delle complicanze della ferita e il tratta-mento antibiotico per la ferita chirurgica) così comeindicate dagli autori della scala (Resi D et al., 2006).Questo dato evidenzia l’importanza di una sorve-glianza attiva post dimissione per la rilevazione delleinfezioni del sito chirurgico.

LimitiI limiti principali di questo studio risiedono nel cam-pionamento non probabilistico e nella presenza di unsolo paziente con infezione del sito chirurgico; è per-tanto auspicabile che il lavoro sia proseguito conl’arruolamento di un campione più ampio e rando-mizzato per consentire una migliore valutazione dellequalità dell’ASEPSIS in presenza di ferite infette.Non è stato possibile raccogliere i dati di follow-up a30 giorni per tutti i pazienti considerati e non è statopossibile effettuarlo a 12 mesi per i soggetti sotto-posti a impianto. Un successivo lavoro dovrà per-tanto occuparsi anche di questo aspetto, essendopossibile, per definizione, l’insorgenza di infezionidel sito chirurgico oltre i primi 30 giorni nei pazientisottoposti a impianto.

CONCLUSIONIL’ASEPSIS è uno strumento semplice, richiede menodi un minuto per essere compilato e fornisce dati og-gettivi per la valutazione della ferita chirurgica neltempo. Le analisi e l’esperienza di applicazione sulcampo, sia in questo contesto sia in quelli già inda-gati dalla letteratura (Broex ECJ et al., 2009) sugge-riscono che l’ASEPSIS sia una scala valida, affidabilee utile nell’assistenza infermieristica quotidiana. La

sorveglianza della ferita è un’attività di primaria im-portanza nei reparti di chirurgia; alla luce dei risultatiottenuti, si ritiene che la scala qui presentata possaessere un’utile integrazione della documentazioneinfermieristica per la valutazione della ferita neltempo. Ulteriori studi dovranno valutare i dati di pa-zienti con protesi oltre il trentesimo giorno dall’inter-vento chirurgico.

Conflitti di interesse dichiarati: gli autori dichiarano la nonsussistenza di conflitti di interesse.

Ringraziamenti: Gli autori desiderano ringraziare il Servi-zio Sanitario della Regione Emilia-Romagna per l’autoriz-zazione all’uso dello strumento, il Servizio infermieristicodell’Azienda ospedaliera San Paolo di Milano, la coordina-trice infermieristica del Dipartimento delle chirurgie, i coor-dinatori infermieristici e gli infermieri dei reparti sede d’in-dagine per la collaborazione.

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e6 L’infermiere, 2015;52:1:e1-e7

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misure per la prevenzione e il controllo delle infezionicorrelate all’assistenza. Progetto “Prevenzione e con-trollo delle infezioni nelle organizzazioni sanitarie e so-cio-sanitarie – INF-OSS” finanziato dal Centro nazionaleper la prevenzione e il controllo delle malattie-CCM.96-104.

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La qualità e i fattori che influenzano il sonnonei pazienti ricoverati

Mayra Matteini1, Tiziana Nannelli2, Laura Rasero3

1Infermiera, Area specialistica di alta intensità, Azienda unità sanitaria locale 6 di Livorno (AUSL 6);2Infermiera e dottore di ricerca in scienze infermieristiche, Area medica, Azienda unità sanitaria locale 12

di Viareggio (AUSL 12); 3Professore associato, Università degli Studi di Firenze

Corrispondenza: [email protected]

RIASSUNTOIntroduzione Molti studi hanno ormai confermato come la mancanza di una buona qualità del sonno è ri-conducibile ad alcune condizioni fisiopatologiche, psicologiche o ambientali che ne alterano il normale an-damento, determinando conseguenze importanti sulla salute sia fisica sia psichica del paziente. L’obiettivodi questo studio è di indagare la qualità del sonno del paziente durante il ricovero, i fattori di disturbo e gli in-terventi infermieristici per la sua gestione.Materiali e metodi Si tratta di uno studio trasversale. E’ stata studiata la qualità del sonno in 157 pazientiospedalizzati in due momenti differenti: di notte e al mattino. Durante la notte sono state rilevate le motiva-zioni delle chiamate, la storia clinica e le attività di cura del paziente; di mattina è stato impiegato il PittsburghSleep Quality Index e un questionario autogenerato per il rilevamento della qualità del sonno, sia abituale siadurante la degenza, e dei fattori di disturbo del sonno.Risultati I pazienti hanno riferito una più bassa qualità del sonno in ospedale rispetto al sonno abituale (PSQIabituale = 7,7; PSQI in ospedale = 10,2). La riduzione della qualità si è correlata con cinque fattori di distur-bo in particolare: i malesseri associati alla malattia (p=0,003), l’espletamento dei bisogni fisiologici (p=0,046),la preoccupazione per la malattia (p=0,024), la noia (p=0,010) e il senso di dipendenza (p=0,038).Conclusioni I pazienti ricoverati in ospedale hanno una bassa qualità del sonno, peggiore rispetto a quellaabituale; ciò è dovuto a fattori che possono essere controllati da azioni di cura. Il bisogno di sonno sembraessere gestito marginalmente dal personale infermieristico, suggerendo la necessità di una maggiore con-sapevolezza di questo bisogno.Parole chiave: ospedale, sonno, fattori di disturbo

Sleep quality and affecting factors in hospitalized patientsABSTRACTIntroduction Many studies have proved that the lack of a good quality sleep is ascribable to physiopatho-logical, psicological or ambiental conditions which modify the normal sleep trend, causing consequences onthe physical and psychological health of the patient. The aim of the study is to understand the patient’s sleepquality, the disturbing factors and nursing interventions for managing of sleep.Methods A cross-sectional study has been conducted. The quality of sleep of 157 hospitalized patients intwo times (at night and in the morning) has been investigated. In the night has been reported the reasons forthe calls, the patient’s medical history and nursing activities. In the morning, the Pittsburgh Sleep QualityIndex and a self-designed questionnaire have been used to detect both the sleep quality in hospital and inhabitual circumstances and the disturbing factors.Results The patients in hospital reported a poorer sleep quality than usual (PSQI usual sleep 7.7; PSQI hos-pital sleep 10.2). This sleep quality reduction was correlated to five disturbing factors: the discomfort asso-ciated with the disease (p=0.003), the fulfillment of physiological needs (p=0.046), the concern for the disease(p=0.024), the boredom (p=0.010) and the sense of dependence (p=0.038).Conclusions The hospitalized patients have a poorer sleep quality than usual due to factors that can be con-trolled by nursing actions. The need for sleep appears to be marginally managed by nursing staff, suggest-ing the need of a greater awareness of this need.Keywords: hospital, sleep, disturbing factors

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INTRODUZIONEMolti studi hanno ormai confermato come la mancanzadi una buona qualità del sonno sia attribuibile ad al-cune condizioni fisiopatologiche, psicologiche o am-bientali che ne alterano il normale andamento, de-terminando conseguenze importanti sulla salute sia fi-sica sia psichica (Lei Z et al., 2009; Dogan O et al.,2005). E’ noto come alcune malattie croniche (Hara-da Y et al., 2012; Budhiraja R et al., 2012; GrandnerMA et al., 2012; Magee CA et al., 2012; Mohsenin V,2005) e alcune funzioni immunologiche possano al-terarsi a seguito della modifica dei ritmi circadiani por-tando a un aggravamento delle sintomatologie e au-mentando il rischio di infezioni (Besedovsky L et al.,2012; Bollinger T et al., 2009). Anche l’assunzione dideterminati farmaci (come i betabloccanti, gli ACE ini-bitori, i diuretici, eccetera) possono indurre un’alte-razione del ritmo sonno/veglia (Nerbass FB et al.,2011). Vi sono inoltre altri fattori non fisiopatologici chepossono modificare il sonno come lo stato emotivo,la stanchezza, l’ansia, il nervosismo, l’irritazione, la co-stipazione, eccetera e, come conseguenza, rallenta-re il recupero dalla malattia e aumentare la durata del-la degenza e, quindi, il relativo costo sanitario (Lin-dstrom V et al., 2012; Kamphuis J et al., 2012; Wu CYet al., 2012; Ueki T et al., 2011; Lee HJ et al., 2011;Missildine K et al., 2010; Humphries JD, 2008; DoganO et al., 2005; Ottoni GL et al., 2011). Durante un ri-covero ospedaliero esistono diversi fattori che pos-sono disturbare il sonno; tra quelli più studiati trovia-mo il rumore, l’ambiente non familiare, i letti e i cusciniscomodi, la temperatura, le luci ma anche l’uso di di-spositivi invasivi come sondini naso gastrici, catete-ri vescicali, eccetera (Yoder JC et al., 2012; Dijk DJ etal., 2012; Little A et al., 2012; Kohlhuber M et al., 2011;Jacobson BH et al., 2010; Lei Z et al., 2009; ShochatT et al., 2000). Questi fattori possono manifestarsi indifferenti modi e con differente intensità a seconda delcontesto e della stato psico-fisico della persona ri-coverata. Infatti, il modello culturale, l’ambiente, la ti-pologia di attività sanitaria e le patologie invalidanti va-riano da situazione a situazione. Sulla base di questeconsiderazioni è stato condotto uno studio su personeadulte ricoverate presso l’ospedale San Giuseppe diEmpoli, Azienda unità sanitaria locale 11 (AUSL 11),con l’obiettivo d’indagare la qualità del sonno, i fat-tori che incidono su di essa, nonché le informazioniriportate in cartella infermieristica inerenti al sonno (mo-nitoraggio, gestione e attività assistenziali).

MATERIALI E METODICampionamentoE’ stata condotta un’indagine trasversale osservandoun campione di pazienti, per due notti e due mattine,

ricoverati in 10 reparti di aree medico-chirurgiche. Icriteri di inclusione dei pazienti allo studio sono stati:• l’età superiore o uguale a 19 anni;• un adeguato orientamento nel tempo e nelle spa-

zio e sensorio integro;• il ricovero presso reparti medico-chirurgici per 24

ore da almeno 3 giorni.I criteri di esclusione sono stati:• il ricevimento di un intervento chirurgico nella data

d’indagine;• il ricovero presso il Servizio psichiatrico di diagno-

si e cura e di terapia intensiva;• la presenza di disorientamento;• la presenza di una barriera linguistica o uditiva;• il rifiuto di partecipazione allo studio.

Procedura di indagineDurante l’indagine un osservatore ha registrato, conapposite griglie, le chiamate dei pazienti durante lanotte (dalle ore 20:00 alle ore 07:00), le loro motiva-zioni e alcuni dati organizzativi dei reparti quali lo spe-gnimento/accensione delle luci nei corridoi e nellestanze di degenza, eccetera.Al mattino, dopo il risveglio del paziente, un intervi-statore (diverso dall’osservatore) ha sottoposto aipazienti il Pittsburg Sleep Quality Index (PSQI).In aggiunta si è chiesto ai pazienti di indicare, da unelenco di 30 fattori, quelli che hanno influito sul pro-prio sonno. L’elenco dei fattori è riportato in appen-dice 1 a pagina e16. Sia l’osservatore sia l’intervistatore(esterni ai reparti) sono stati precedentemente formatie hanno svolto la raccolta dati in modo indipenden-te. Lo studio è stato autorizzato dal Comitato etico del-l’Azienda sanitaria locale 11 Empoli. Tutti i dati sonostati trattati in maniera riservata e anonima.

Strumenti di indagineIl PSQI è stato validato nella versione italiana nel 2010(Curcio G et al., 2013) ed è stato utilizzato per stimarerispettivamente la qualità del sonno abituale (prece-dente al ricovero) e la qualità del sonno in ospedale(nelle 3 notti precedenti). Il PSQI è strutturato in set-te sezioni e misura vari aspetti del sonno quali: la du-rata, i disturbi, la latenza, le disfunzioni, l’efficienza,la qualità totale del sonno e la necessità di farmaci perdormire. Il punteggio finale del PSQI va da un mini-mo di 0 a un massimo di 21; nella versione validatain italiano un punteggio minore o uguale a 5 indica unabuona qualità del sonno mentre punteggi superiori ouguali a 6 indicano una bassa qualità del sonno.

Analisi dei datiIl test del chi quadro (χ²) (chi quadro di Yates e cor-rezione di Fisher) e l’analisi della regressione logisti-

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ca sono stati utilizzati per determinare la presenza didifferenze tra punteggi del PSQI e i 30 fattori che di-sturbano il sonno. Il test t di Student per gruppi ap-paiati è stato utilizzato per verificare la correlazionetra il punteggio PSQI relativo al sonno abituale e quel-lo in ospedale mentre il chi quadro è stato utilizzatoper determinare la differenza tra il punteggio del PSQIrelativo al sonno in ospedale e fattori quali il sesso,le aree cliniche, la classe d’età e le patologie. L’ana-lisi di regressione lineare è stata utilizzata per deter-minare un’eventuale correlazione tra il punteggio PSQIrelativo al sonno in ospedale e il tempo impiegato peraddormentarsi e tra il punteggio PSQI relativo al son-no in ospedale e le ore dormite. I dati sulle attività digestione infermieristica del sonno sono stati presentaticon indici di tendenza centrale o distribuzioni di fre-quenza. La numerosità campionaria è stata deter-minata utilizzando il software OpenEpi, nella versio-ne 2.3, mentre l’analisi dei dati è stata svolta utiliz-zando il software EpiInfo, nella versione 3.3. Nella fasedi precompilazione dei dati è stato verificato che lanumerosità campionaria e la normalità statistica(curtosi e simmetria, Kurtosis e Skewness) fossero ri-spettate per le variabili analizzate (≤±1). La soglia disignificatività è stata fissata a 0,05.

RISULTATICaratteristiche del campioneSono stati considerati 377 pazienti; 205 sono statiesclusi in funzione ai criteri di di inclusione ed esclu-sione stabiliti a priori. Sono stati quindi inclusi nellostudio 172 pazienti; di questi, 15 non hanno com-pletato l’indagine (dropout). L’analisi dei dati si rife-risce a 157 pazienti.Su 157 partecipanti, il 49% era ricoverato in areachirurgica e il 51% in area medica. Il 52,2% del cam-pione era di sesso maschile e l’età media è risultatadi 67 anni (DS, deviazione standard, ±17,13).

Punteggio al PSQI e contestoIl punteggio medio al PSQI sulla qualità del sonnoabituale è risultato di 7,7 (DS±3,90) mentre il pun-teggio medio sulla qualità del sonno in ospedale è ri-

sultato di 10,2 (DS±4,04); i valori indicano una bassaqualità del sonno in entrambi i contesti, peggiore inambito ospedaliero. La differenza tra i due punteggiè risultata significativa (p≤0,001).Per il 68,2% dei pazienti è stata riscontrata unabassa qualità del sonno abituale (punteggio alPSQI≥6): in seguito al ricovero, solo per il 5,6% diquesti è stata riscontrata una buona qualità delsonno (punteggio al PSQI≤5).Invece, tra coloro che avevano una buona qualità delsonno abituale (31,8%), in seguito al ricovero solo il30% ha mantenuto una buona qualità del sonno an-che in ospedale.Per il 68,2% dei pazienti si è verificato un peggiora-mento della qualità del sonno in seguito al ricoveroin ospedale, per il 24,8% si è verificato un migliora-mento e per il 7% non si sono manifestate variazioni.I dati suggeriscono un moderato ma significativopeggioramento del sonno in seguito all’ospedalizza-zione (p≤0,0001) (Tabella 1).

Caratteristiche del sonno abitualeIn media, al domicilio, i pazienti si sono coricati alleore 23:00 (DS±0,08), si sono addormentati dopo 23minuti (DS±26,74) e si sono alzati alle ore 07:15 delmattino (DS±0,05). I pazienti hanno dichiarato di averdormito in media per 6 ore (DS±1,76) con una per-manenza a letto di 8 ore e 45 minuti circa (DS±1,65)(Tabella 2). Non sono state osservate differenze si-gnificative nelle caratteristiche del sonno tra coloroche avevano una scarsa e una buona qualità delsonno.

Caratteristiche del sonno in ospedaleIn media, in ospedale, i pazienti si sono coricati alleore 22:20 (DS±0,05), si sono addormentati dopo 40minuti (DS±50,14) e si sono alzati alle ore 06:25(DS±0,04). I pazienti hanno dichiarato di aver dormitoin media per 5 ore (DS±2,30) con una permanenza aletto di 8 ore e 30 minuti (DS±1,60) (Tabella 2). Nonsono state osservate differenze sostanziali nelle ca-ratteristiche del sonno tra coloro che avevano unascarsa e una buona qualità del sonno.

Tabella 1. Punteggi ottenuti dai pazienti al PSQI riguardo al sonno al domicilio e in ospedale

Sonno al domicilio Sonno in ospedale

Punteggio al PSQI n° pazienti % IC95% n° pazienti % IC95%

≤51 50 31,8 24,6-39,7 21 13,4 8,5-19,7

≥62 107 68,2 60,3-75,4 136 86,6 80,3-91,51 buona qualità del sonno2 scarsa qualità del sonnoPSQI: Pittsburgh Sleep Quality Index

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Figura 1. Correlazione tra il punteggio PSQI e tempo impiegato per addormentarsi in ospedale

La regressione lineare ha evidenziato una moderatacorrelazione positiva (Figura 1) tra l’aumentare delpunteggio al PSQI e il tempo impiegato per addor-mentarsi (R2=0,31, p≤0,001) e una moderata corre-lazione negativa (Figura 2) tra l’aumentare del pun-teggio al PSQI e il diminuire delle ore di sonno(R2=-0,39, p≤0,001).Non sono state trovate differenze significative tra ipunteggi ottenuti nel PSQI in funzione al sesso, al-l’area clinica di degenza, alla classe di età e alle pa-tologie, fatta eccezione per le malattie dell’apparatoosteomuscolare (p=0,006).

I fattori che disturbano il sonnoTra i fattori che disturbano la qualità del sonno, 8 inparticolare sono stati indicati dalla maggioranza deipazienti (58,9%): discomfort a letto, malessere as-sociato alla malattia, espletamento dei bisogni fisio-logici, dolore, preoccupazioni per la malattia, noia,senso di dipendenza e preoccupazione legata alle at-tività di vita interrotte (Tabella 3). Di questi, 5 fattori sicorrelano in maniera significativa con un punteggio dibassa qualità del sonno, in particolare: il malessereassociato alla malattia (p=0,003), l’espletamento deibisogni fisiologici (p=0,046), la preoccupazione per la

Tabella 2. Fasi e caratteristiche del sonno registrate al domicilio e in ospedale

Sonno al domicilio Sonno in ospedale

Tempo Media ± DS Mediana Moda Media ± DS Mediana Moda

Coricamento (h:min) 22:49±0,08 23:00 22:30 22:20±0,05 22:30 22:00

Addormentamento (minuti) 25±26,47 15 10 42±50,14 30 10

Alzata dal letto (h:min) 07:13±0,05 07:00 07:00 06:26±0,04 06:30 07:00

Durata del sonno (ore) 6±1,76 6 7 5±2,30 6 6

Durata della permanenza 8±1,64 8 10 8±1,60 8 8a letto (ore)

PSQI: Pittsburgh Sleep Quality Index

DS: deviazione standard

200

0123

56789

1112131415161718192021

40 60 80 100 120 140 160 180 200 220 240

4

Tempo impiegato per addormentarsi (min)

PunteggioalPSQI

10

y = 0,0453x+8,2722 R² = 0,3109

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malattia (p=0,024), la noia (p=0,011) e il senso di di-pendenza (p=0,038). Il dolore non ha raggiunto dipoco il livello di significatività statistica prevista dallostudio (p=0,059).I ricoverati in area chirurgica hanno indicato in misuramaggiore il dolore quale fattore di disturbo del sonnorispetto ai ricoverati in area medica (p=0,048); vice-versa, i pazienti dell’area medica hanno indicato ilsoddisfacimento dei bisogni fisiologici (p=0,043) e lapresenza di preoccupazioni per la malattia (p=0,013).Il dolore (p=0,005), la noia (p=0,009) e il senso di di-pendenza (p=0,047) sono stati fattori segnalati mag-giormente dalle donne.Tramite l’analisi della regressione logistica sono statiindividuati 4 fattori che possono indurre un sonno discarsa qualità: il malessere associato alla malattia(odds ratio, OR=1,22; intervallo di confidenza al 95%,IC95%: 1,11-1,34; p≤0,05), la preoccupazione per lamalattia (OR=1,17; IC95%: 1,07-1,27; p≤0,05), lanoia (OR=1,16; IC95%: 1,06-1,26; p≤0,05) e il dolore(OR=1,16; IC95%: 1,03-1,22; p≤0,05) (Tabella 4).

La gestione infermieristica del sonnoin ospedaleIn merito alla documentazione infermieristica, per il52,2% dei soggetti era stato riportato il livello di son-no abituale, accertato con una scala di valutazione(ASGO), e per il 42% il monitoraggio del sonno du-

rante il ricovero. Quest’ultimo è stato effettuato in basea quanto riferito dal paziente nel 15,9% dei casi(IC95%: 26,2-50,7), tramite una scala di valutazionenell’11,5% dei casi (IC95%: 17,00-39,6) od osserva-zione diretta nel 14,6% dei casi (IC95%: 23,5-47,6).Nel 14,6% dei pazienti sono state segnalate le ore to-tali di sonno ma non è chiaro perché ciò non sia statofatto anche per gli altri.Le azioni infermieristiche di promozione del sonnohanno interessato il 32,5% dei pazienti e sono state:la mobilizzazione (68,6%), la somministrazione difarmaci sintomatici (37,2%), la somministrazione difarmaci antidolorifici (29,4%), la relazione terapeutica(25,5%) o altro (4,81%). Il 54,9% dei pazienti ha ri-cevuto due o più dei precedenti interventi combinati.Gli interventi sono stati messi in atto senza una pre-cedente pianificazione.Durante le due notti sorvegliate il 43,3% dei pazientiha chiamato il personale infermieristico: il 38,2% perl’espletamento dei bisogni fisiologici (IC95%: 31,14-44,16), il 17,6% per il dolore (IC95%: 7,12-21,33),l’11,8% per difficoltà nel dormire (IC95%: 7,46-13,52), l’11,8% per avvertire il personale delle ri-chieste di attenzione del compagno di camera e il20,6% per altre esigenze (IC95%: 14,56-25,67).Le attività clinico assistenziali sul paziente sono ter-minate, mediamente, alle ore 22:00 (tra le 20:15 e le23:30). Lo spegnimento delle luci si è verificato, me-

Figura 2. Correlazione tra il punteggio al PSQI e la durata del sonno in ospedale

10

0123

56789

111213

15161718192021

2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21

4

Durata del sonno (ore)

PunteggioalPSQI

10

y = -1,1115x+16,416 R² = 0,3932

14

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diamente, alle ore 22:10 (DS±0,11) nelle camere didegenza e circa un’ora dopo nei corridoi del reparto(ore 23:15; DS±0,03). Il termine della terapia pro-grammata è avvenuto in media alle ore 22:00, per ri-prendere alle ore 07:00. L’accensione delle luci nel re-parto è avvenuta in media alle ore 06:10 (DS±0,03).Non è stata osservata una relazione significativa tral’accensione delle luci al mattino e una bassa qualitàdel sonno.

DISCUSSIONEIl nostro studio ha confermato come il dormire in ospe-dale, associato ad alcuni fattori, incida negativamen-te sulla qualità del sonno (Kamphuis J et al., 2012; WuCY et al., 2012; Ueki T et al., 2011; Lee HJ et al., 2011;Missildine K et al., 2010; Humphries JD, 2008; Hum-phries JD, 2008). Le rilevazioni hanno mostrato come,spesso, la qualità del sonno abituale (al domicilio) siagià bassa ancor prima del ricovero (punteggio al PSQI

Tabella 3. Relazione tra il punteggio al PSQI e i primi 8 fattori di disturbo indicati dai pazienti

Pazienti (%)

Punteggio PSQI

Fattori di disturbo ≥61 ≤52 χ2 P

Ambientali

Discomfort letto

Sì 91,7 8,3 2,13 0,14

No 83,5 16,5

Fisiopatologici

Malessere associato alla malattia

Sì 93,5 6,5 9,01 0,003

No 76,9 23,1

Espletamento dei bisogni fisiologici

Sì 91,7 8,3 2,92 0,046

No 82,4 17,6

Dolore

Sì 91,4 8,6 2,52 0,059

No 82,8 17,2

Psicologici

Preoccupazione per la malattia

Sì 91,6 8,4 5,1 0,024

No 79,0 21,0

Noia

Sì 94,2 5,8 6,10 0,011

No 80,7 19,3

Senso di dipendenza

Sì 94,9 5,1 3,05 0,038

No 83,9 16,1

Preoccupazione legata alle attività di vita interrotte

Sì 88,9 11,1 0,36 0,55

No 85,4 14,61 scarsa qualità del sonno2 buona qualità del sonno

PSQI: Pittsburgh Sleep Quality Index

p: significatività p≤0,05

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pari a 7,7); tuttavia, in seguito al ricovero si è verificatoun ulteriore peggioramento (punteggio al PSQI pari a10,2). Il sonno in ospedale risulta diverso da quello abi-tuale, soprattutto in quanto a durata e tempi di ad-dormentamento. Nonostante la durata della perma-nenza a letto dei pazienti (prima di addormentarsi) siarisultata quasi la stessa prima e dopo il ricovero, la du-rata del sonno abituale dichiarata dai pazienti è risul-tata di 6 ore contro una durata di 5 ore in ospedale.La durata del sonno in ospedale in particolare, quin-di, si discosta maggiormente da quella ritenuta idea-le in letteratura per un sonno soddisfacente, ovvero dicirca 7 ore (Banks S et al., 2007). Un numero non ade-guato di ore di sonno e tempi di addormentamento piùlunghi sono correlati al peggioramento della qualità delsonno, pur non rappresentandone le uniche cause (LeiZ et al., 2009). Infine, i pazienti ricoverati si sono co-ricati, mediamente, 30 minuti prima rispetto alla nor-ma ma hanno impiegato quasi il doppio del tempo peraddormentarsi e si sono alzati un’ora prima. I dati raccolti suggeriscono che le cause di una scar-sa qualità del sonno sono principalmente il discom-fort a letto, il malessere associato alla malattia,l’espletamento dei bisogni fisiologici, il dolore, la pre-occupazione per la malattia, la noia, il senso di di-pendenza e la preoccupazione legata alle attività divita interrotte; cinque di questi fattori, infatti, si sonocorrelati in maniera significativa con un punteggio discarsa qualità del sonno.E’ stato osservato come una chiamata su cinquedurante la notte era motivata dalla presenza di doloree come questo sia stato più frequente nelle aree chi-rurgiche e nei pazienti affetti da patologie a caricodell’apparato osteomuscolare, dove è nota e preve-dibile l’insorgenza del dolore. Anche lo stato di pre-occupazione ha influito sul sonno, come riportato inletteratura (Closs SJ, 1988), confermando comel’azione dello stress aumenti l’attività del sistema re-ticolare endoteliale e incrementi il livello di noradre-nalina nel sangue con conseguente allungamentodei tempi di addormentamento, riduzione della du-rata del sonno profondo e aumento della frequenza

di risvegli durante la notte. L’indagine ha fatto emer-gere anche una sottostima del monitoraggio e dellagestione del sonno da parte del personale infermie-ristico; i dati sono in linea con la letteratura (McIntoshAE et al., 2009). Per il miglioramento della qualità del sonno dei pa-zienti è necessaria una più attenta gestione del bi-sogno di sonno e di riposo e l’adozione di alcuni in-terventi di provata efficacia (Hellström A et al., 2011;Pellatt GC, 2007).

Limiti dello studioI risultati non sono necessariamente estendibili a re-parti con diversa organizzazione. Il numero dei pa-zienti inclusi, adeguati per l’analisi interna, risultaprobabilmente non sufficiente a fornire conclusioni suspecifiche categorie di pazienti. E’ possibile che i pa-zienti, al momento della rilevazione, non avessero unricordo adeguato del sonno abituale o fossero con-fusi dalla somministrazione consecutiva dello PSQI.Inoltre, molte informazioni sono state presentatecome dati medi raccolti in un’unica voce (disagi as-sociati alla malattia) e, quindi, non affrontano in pro-fondità aspetti relativi a condizioni e malattie speci-fiche che possono alterare il sonno. Sono necessariulteriori studi al fine di approfondire ed estendere idati raccolti.

CONCLUSIONILo studio ha permesso di valutare la qualità del son-no abituale e in ospedale dei pazienti e individuare iprincipali fattori di rischio che la influenzano. I pazientiricoverati in ospedale hanno una bassa qualità del son-no causata da fattori e condizioni che potrebbero es-sere anticipati e gestiti dal personale medico e infer-mieristico. Vi è, quindi, la mancanza di una politica digestione del sonno e di consapevolezza da parte delpersonale sanitario sull’importanza di assicurare unabuona qualità del sonno ai pazienti.

Conflitti di interesse dichiarati: gli autori dichiarano la nonsussistenza di conflitti di interesse.

Tabella 4. Correlazione tra la scarsa qualità del sonno e i principali fattori di disturbo

Fattori OR IC95% Coefficiente β Errore standard Test Z P

Preoccupazione per la malattia 1,17 1,07-1,27 0,16 0,044 3,51 0,0004

Malessere associato alla malattia 1,22 1,11-1,34 0,20 0,046 4,27 0,0001

Espletamento dei bisogni fisiologici 1,07 0,99-1,16 0,07 0,040 1,63 0,102

Dolore 1,12 1,03-1,22 0,11 0,042 2,73 0,006

Noia 1,16 1,06-1,26 0,15 0,043 3,42 0,0006

Senso di dipendenza 3,55 0,79-1,99 1,27 0,768 1,65 0,099

OR: odds ratio IC95%: intervallo di confidenza al 95% p: significatività p≤0,05

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Ringraziamenti: Si ringraziano gli studenti del secondoanno del corso di Laurea in infermieristica dell’Universitàdegli Studi di Firenze (anno accademico 2010/2011) peraver svolto la rilevazione e l’intervista ai pazienti. Nello spe-cifico si ringraziano: Ilaria Zingoni, Calogero Cottone, PaoloCannarozzo, Giovanni Cammilleri, Davide Battini, SerenaD’aquila, Rosanna Bonaventura, Camilla Di Maio, MarilenaAmato, Gabriele Falaschi, Alessio Pasquinelli, Matteo Se-riacopo, Arianna Loconte, Vera Zakharchenko, Aurora Ca-varretta, Elena Di Ricco, Davide Giglio, Sara Trimonte,Rachele Masullo, Matteo Giuffrè, Sara Ciofi, Marco Vigneri,Federico Vagnoni, Maria Giangrasso.

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Ambientali

• Attività assistenziali svolte dal per-sonale sanitario verso altri com-pagni di camera

• attività assistenziali svolte dal per-sonale sanitario verso la persona(l’intervistato)

• telefoni che squillano• suono dei campanelli di chiamata• luminosità in camera• luminosità del corridoio• televisori accesi in camera• rumori provenienti da condizio-

natori/ventilatori, eccetera• dialoghi tra il personale sanitario• rumori provenienti da dispositivi

sanitari, per esempio le pompe dainfusione e gli strumenti di moni-toraggio

• rumori dovuti al “passeggio” del-le persone

• rumori provenienti dallo sposta-mento di oggetti

• rumori provenienti dall’uso dellatoilette da parte di altri

• rumore proveniente dalla macchi-na lavapadelle

• rumori provenienti dalle personeche fanno sorveglianza notturna(badanti/parenti)

• discomfort del letto• suono del russare

Fisiopatologici

• Malessere associato alla ma-lattia: difficoltà respiratorie, po-sizioni obbligate, nausea e vo-mito, eccetera

• espletamento dei bisogni fisio-logici

• presenza di dolore

Appendice 1. Fattori di disturbo del sonno

Psicologici

• Preoccupazione per la malattia• noia• mancanza dei familiari• dipendenza da altri• preoccupazione legata alle attivi-

tà di vita interrotte• mancanza di privacy• interruzione delle abitudini e dei riti

favorenti il sonno• preoccupazione legata all’idea di

disturbare il sonno altrui• preoccupazione legata alla sicu-

rezza ambientale (furti, eccetera)• preoccupazione legata alla sicu-

rezza igienica: pulizia del letto,igiene delle lenzuola e del cuscino

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Alla ricerca della salienza. Analisi fenomenologica deldisagio etico

di Duilio Manara (1), Giulia Villa (2), Dina Moranda (2)

(1) Infermiere, Direttore della didattica professionale, Corso di Laurea in Infermieristica, Università Vita-Salute, Ospedale San Raffaele, Milano(2) Infermiere, Tutor, Corso di Laurea in Infermieristica, Università Vita-Salute, Ospedale San Raffaele, Milano

Corrisondenza: [email protected]

Ecco il racconto di Elisa, una giovane infermiera in servizio presso un’Unità operativa diUrologia.

• Mi sento schiacciata dal suo sguardo (Elisa)Ho conosciuto Mario quando sono rientrata dal giorno di riposo dopo le notti, unsabato pomeriggio dei primi giorni di gennaio. È giunto in reparto proveniente dalPronto Soccorso accompagnato dal padre. Mario è tranquillo ma dolorante: “sitratterà di una colica renale”, dice al telefono alla moglie a casa con le figlie.Durante l’accertamento mi racconta della sua famiglia, lui ha 38 anni, è sposato conAlice e hanno due bimbe di cinque e sette anni. Racconta delle vacanze di Natalein montagna, proprio vicino a dove sono nata io e così chiacchieriamo dei posti piùbelli, della cucina e della passione che abbiamo in comune: lo sci. Mario è unapersona molto cordiale, piena di vita, e spesso durante il pomeriggio mi chiedequanto dovrà rimanere ricoverato, vuole tornare a casa a godersi le sue bimbeperché durante l’anno tra lavoro e scuola si ha sempre poco tempo. […]Lunedì Mario viene sottoposto ad una serie di indagini diagnostiche, nel primopomeriggio il primario si reca in camera e comunica che non si tratta di una colicarenale ma di una neoplasia renale che ha infiltrato i tessuti limitrofi e con metastasi.Il medico spiega a Mario che faranno di tutto per cercare di allungare il tempo disopravvivenza, ma che la prognosi è infausta. Il contenuto della conversazioneviene annunciato dal medico durante le consegne chiedendo la massimacollaborazione al team e chiedendo di creare un ambiente quanto più favorevoleper il paziente: predisporre una camera singola, nessun limite agli orari di visita…Mario nei giorni successivi conclude l’iter diagnostico e chiede di essere operato.Quando entro in stanza per somministrare la preanestesia c’è anche Alice; Mariosorridendo mi dice “altro che colica renale… spero almeno di sopravvivereall’intervento e quando sarò sveglio di ricordarmi chi sono…”. Alice ha le lacrimeagli occhi, li lascio soli prima di far entrare il barelliere. Mario dopo l’interventotrascorre alcuni giorni in terapia intensiva, in realtà la situazione è più complessarispetto al previsto e la malattia, già in fase avanzata, ha prodotto un’insufficienzamulti organo. Mario rientra in reparto, ad aspettarlo tutti i familiari, è a trattidisorientato, ma li riconosce subito; passano i giorni, Mario fatica a riprendersi, nonriusciamo a mobilizzarlo, lamenta sempre più dolore, è sempre più debole.

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Un giorno Alice mi chiede di andare a bere un caffè, mi spiega di aver compresoche per Mario è una questione di giorni, ma che ha un pensiero che la logora e chenon riesce a prendere una decisione perché in questo momento non ha la forza e lalucidità per decidere. Mi chiede come gestire le due figlie che sanno che il papà èricoverato in ospedale ma niente di più, non sanno dell’intervento, di quali sono lesue condizioni ora e non sanno che il papà non tornerà più a casa. Mi chiede “cosaè giusto fare in questi casi”… io fisso il caffè nel bicchiere, non ho mai visto un caffècosì nero… non riesco a guardare Alice negli occhi… e ho una domanda che nondà tregua al mio cervello: che cos’è giusto? E poi: perché proprio a me questadomanda? Io non ti conosco, come posso decidere una cosa così importante? Alicemi dice di non sapere cosa fare, vede che Mario peggiora di giorno in giorno, ormaiè “così gonfio che non sembra più lui”. Io sono in silenzio e lei mi guarda… mi sentoschiacciata dal suo sguardo, vorrei capire qual è la risposta giusta, qual è larisposta che lei si aspetta da me, per sollevarla un pochino da questo peso, misento in difficoltà, continuo a chiedermi qual è la risposta giusta, mi chiedo cosavorrei io, ma io non so niente di questo, non ho figli, cos’è il bene per loro, e cos’è ilbene per Mario, le bimbe da grandi potranno soffrire per non aver visto il papà o siricorderanno solo le cose belle, Mario sarà più sereno dopo averle viste o staràmale, e Alice cosa pensa? … non vorrei mai essere andata e bere quel caffè, vorreinon essere lì, io non ho gli elementi per dire cosa è giusto fare forse è meglio nonprendere una posizione, perché rischia di essere una posizione forzata, preferiscodire ad Alice la verità…la guardo e le dico che non so qual è la scelta giusta inquesti momenti e che non saprei cosa consigliare…Leggo negli occhi di Alice ladelusione, o forse leggo in me la delusione, non l’ho aiutata quando lei mi hachiesto aiuto.Le bimbe sono andate a trovare il papà un sabato mattina a fine gennaio, unabellissima giornata di sole. Mario non le ha riconosciute e loro non hannoriconosciuto il loro papà. Mario è morto alle 16.30 di quel sabato pomeriggio.

La ragione di questo studio è cercare di esplorare le modalità con le quali si determinanoper gli infermieri situazioni di disagio etico. Non vogliamo svolgere un’analisi esterna delracconto di Elisa, piuttosto svolgere un’indagine del vissuto e, quindi, assumere unosguardo interno a questo racconto: non chiederci che cosa è stato detto, ma perché èstato detto; non “che cosa mi sta dicendo” questo racconto o “è giusto? è vero?”, mapiuttosto: “perché l’hanno raccontato?” (Bruner, 1988; Todorov, 1985).Chiedersi il perché vuol dire porsi sul piano dei significati in alternativa a quello dell’analisirazionale, dei dati analitici e delle valutazioni di principio, adottando un approccio di tiposquisitamente fenomenologico (Benner, 1994; Denzin & Lincoln, 2000). Seguendo lalezione di Platone, significa mettersi alla ricerca della misura interna delle cose raccontate(métrion), quella che lui chiamava la “giusta misura” riferita all’adeguatezza e alla qualitàinteriore di una totalità vivente, piuttosto che della misura esterna quantitativa e oggettiva(métron) (Platone, Politico, 3-284E, 283C 10).Perché sentiamo il bisogno di raccontare alcune esperienze della nostra clinica? Comeavviene che – nella situazione – ci si accorge che qualcosa di importante sta avvenendonella relazione con l’altro? Come avviene che ne percepiamo il significato e siamo in gradodi accoglierlo e di integrarlo nel processo decisionale con cui ci prendiamo cura dellasalute dell’altro? Come avviene invece che, in altre situazioni, questo non accada el’infermiere percepisce un senso di disagio etico, di incomprensione o di delusione dallarelazione con il paziente?

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Il Codice deontologico dell’infermiere italiano (Federazione Nazionale IPASVI, 2009) nonaiuta a dare risposta a questi quesiti dal momento che indica principi e valori sotto forma di“indicazioni di rotta”, che tuttavia richiedono necessariamente di essere incarnati, qui edora. Il racconto di Elisa mostra che in ogni situazione di cura i protagonisti contribuiscono acostruire una relazione significativa nella misura in cui si lasciano coinvolgere epartecipano alla ricerca di un senso condiviso a quello che succede. Come nel gioco deidue specchi che si riflettono l’uno nell’altro: per intraprendere questo percorso occorre cheentrambi i protagonisti accettino di mettersi in gioco allo stesso livello di profondità.

BackgroundLa costruzione dei significati nell’assistenza infermieristica Per Wittgenstein il significato è “l’uso che facciamo dei segni” (Wittgenstein, 1958; Harré &Gillett, 1994). Ogni segno che giunge alla nostra attenzione – parola, immagine, gestoeccetera – non significa nulla di per sé stesso. Siamo noi – con la nostra cultura, la nostrastoria e la nostra esperienza personale – che attribuiamo al segno il significato che cicolpisce e ci fa commuovere, arrabbiare, arrossire e altro ancora (Bruner, 1992; Harré &Gillett, 1994).L’assistenza infermieristica è una pratica relazionale basata sulla co-costruzione dialogicadei problemi assistenziali dei pazienti e sulla loro risoluzione nel contesto della situazionedata. La progressiva costruzione di significato che si crea nella relazione assistenzialeagisce su entrambi i protagonisti della cura e influenza in modo determinante le decisioni el’esito della cura (Benner & Wrubel, 1989; Benner, 1994; Mortari, 2006). Che l’assistenzasia una questione di significati è noto da tempo: la novità più recente è che stiamoiniziando a comprendere come questi significati agiscano in noi nella relazione di cura ecome influenzino le nostre decisioni e i nostri comportamenti.Un punto cruciale del percorso di co-costruzione dei significati nell’assistenza è statorecentemente indicato da alcuni autori nella ricerca della salienza di ogni situazioneassistenziale. Con questo termine si intende “un crescente e differenziato senso dellepriorità nella pratica infermieristica” (Benner et al., 2010, p. 94), ovvero la capacitàdell’infermiere di giudicare quali sono i fatti più rilevanti della situazione in quel momento(Benner & Tanner, 1987). La percezione della salienza è una competenza avanzatafortemente contesto-dipendente ed è altrettanto determinata dalla capacità del singolo direagire – con le proprie conoscenze, esperienze e capacità interpretative – a ciò cheavviene nella situazione. Sviluppare la salienza della cura corrisponde a sviluppare nelprofessionista “l’abilità ad usare le conoscenze per aumentare la sua comprensione di ciòche significa quella particolare situazione di pratica clinica e rendere più facile le sueriflessioni sul contesto [situated cognition], così come il pensiero in azione” (Benner et al.,2010, p. 94). Tutte le forme di conoscenza che sostengono le competenze di cura sonoquindi implicate e coinvolte nella situazione: quelle esplicite e quelle tacite, quelle formali equelle informali, quelle scientifiche e quelle umanistiche, quelle razionali e quelle affettive.Nella situazione di cura – dice qualche autore – siamo implicati con tutto ciò che siamo,“con tutto noi stessi” (Kittay, 1999; Benner, 2000; Mortari, 2006; Zannini, 2008).Un modo immediato per comprendere il nostro grado di coinvolgimento in una situazionedi cura è ascoltare le proprie emozioni. Infatti, le emozioni non spiegano nulla di ciò cheaccade, ma dicono qualcosa di essenziale su come noi stiamo in quella determinatasituazione: “non ti informano su ciò che vedi, ma su come guardi” (Sclavi, 2003, p. 63; cfr.Harré & Gillet, 1994; Nussbaum, 2001). Allenarci preventivamente a prestare attenzione aciò che accade significa compiere il primo, fondamentale passo verso la comprensionedell’altro. Occorre – come dice Edith Stein – imparare a guardare il mondo “con occhispalancati” e a “pensare con il cuore” (Stein, 1998). Occorre educare una coscienzapreliminarmente sensibile all’alterità dell’altro (Gadamer, 1960).

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L’empatia che ne deriva, allora, non sarà la parziale e fugace conoscenza esterna deglistati emotivi dell’altro, ma sarà l’atto mediante il quale l’essere umano si costituisceattraverso l’esperienza di incontro con l’altro (Stein, 1989).

Accoglienza affettiva e percezione dei problemi etici Gli infermieri prendono quotidianamente decisioni di tipo morale. La letteratura è unanimenel rilevare che la pratica riflessiva che accompagna le decisioni cliniche degli infermieriinclude di continuo gli aspetti etici della cura (Bishop & Scudder, 1990; Benner et al., 1994;Hargreaves, 1997; Moody Fairchild, 2010; Park, 2012). Nella pratica infermieristica lecompetenze etiche accompagnano e completano quelle cliniche, relazionali e tecniche, inquanto i valori e i principi etici dei professionisti giocano un ruolo significativo nella lorodecisioni cliniche (Jormsri et al., 2005).Goethals et al. (2010) sostengono che molti degli studi che indagano il ragionamento eticodescrivono la personale relazione tra gli infermieri e i loro pazienti; questa relazione dicura forma il contesto per la valutazione etica. Guidati dall’ideale di cura e con lo scopo di“fare il bene” del paziente, gli infermieri accolgono la storia personale del paziente, isentimenti, i desideri, le intenzioni. Dato che il ragionamento etico è immerso nellarelazione personale tra un paziente e un infermiere, le qualità personali di entrambiinfluenzano il processo decisionale etico. Gli infermieri sono fortemente guidati da valori(Vogel Smith, 1996; Dierckx de Casterlè et al., 1997; Rodney et al., 2002; Varcoe et al.,2004; Monterosso et al., 2005), religione, educazione e formazione (Vogel Smith, 1996),dalle loro intuizioni, sentimenti, riflessioni etiche (Lützen & Nordin, 1993; Aström et al.,1995) e dalle precedenti esperienze personali e professionali (Vogel Smith, 1996; Dierckcde Casterlé et al., 1997; 2008; Varcoe et al., 2004; Monterosso et al., 2005).Molti studiosi insistono nel sottolineare la distanza tra la decisione etica ideale ed ilcomportamento etico reale (Sherblom et al., 1993; Raines, 2000; Kim et al., 2007). Alcunistudi illustrano come gli infermieri abbiano difficoltà ad implementare le loro decisioni nellapratica, sottolineando la rilevanza dei fattori contestuali come limitanti le capacità degliinfermieri a mettere in pratica le loro decisioni o ad agire in accordo ai loro valori (Dierckcde Casterlé et al., 1997, 2008; Raines, 2000; Rodney et al., 2002; Varcoe et al., 2004; Kimet al., 2007).Quando la complessità morale di una situazione non conduce ad una qualche soluzione,l’infermiere avverte una sorta di disagio morale, definito da Corley et al. (2005) come unostato emotivo che esprime inconsapevolmente tale situazione. Varcoe et al. (2012)distinguono le cause di disagio morale tra fattori sistemici e situazioni specifiche delpaziente. I primi includono intensità delle cure ed eccessivo carico di lavoro, la propriaincompetenza o quella degli altri operatori tali da sfociare in cure inadeguate. La sensibilitàetica [ethical sensitivity] è l’elemento necessario per acquisire la consapevolezzadell’esistenza dei problemi etici, e rende possibile interpretare una data situazione edecidere quali opzioni vadano favorite. La sensibilità etica richiede all’infermiere diprestare attenzione e di interpretare indizi verbali, non verbali e comportamenti al fine diidentificare i bisogni del paziente; può essere influenzata dall’etnia, dal genere, dai valorispirituali, dall’orientamento sessuale, dalla cultura, dalla religione, dall’educazione, dallaformazione e dall’età (Kim et al., 2005; Schluter et al., 2008).Il disagio etico presuppone quindi accoglienza affettiva e sensibilità etica da partedell’infermiere ed è correlata a variabili sia esterne sia interne all’operatore, checonducono all’incapacità di assumere o di attuare decisioni eticamente fondate (Benner,1994; Corley et al., 2005; Schluter et al., 2008; Pavlish et al., 2011; Lazzarin et al., 2012;Huffman & Rittenmeyer, 2012; Varcoe et al., 2012).

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Risultati Elisa è una giovane infermiera con due anni di esperienza clinica. Il suo racconto copre unlasso temporale di circa quattro settimane e riferisce esclusivamente situazioni vissute inprima persona. Siamo in un reparto di urologia di un grande ospedale universitario e ladescrizione degli spazi è minima: la camera di degenza di Mario e l’area ristoro del repartocollocata in una zona marginale dell’Unità operativa.La dimensione corporale nel racconto è minima. Sin dall’inizio, l’ambiente di cura di Mariosembra protetto e favorente. Le situazioni relazionali descritte dal racconto sono il dialogotra Elisa e Mario durante l’accertamento; la comunicazione del primario circa la prognosi;l’assistenza immediatamente prima e dopo l’intervento; il dialogo tra Elisa e Alice aldistributore del caffè.Due sono i grandi grappoli di significato del racconto di Elisa: il primo riguarda laprogressiva elaborazione del dramma da parte di Mario, di Alice e degli altri familiari. Ilsecondo, che per attinenza al tema della ricerca è stato il vero oggetto della nostraindagine, riguarda la progressiva partecipazione di Elisa all’esperienza di Mario e di Alice.L’analisi testuale mostra come la partecipazione personale di Elisa alla vicenda di Marioed Alice è stata favorita sin dall’inizio dalla giovane età sia del paziente sia dell’infermiera,ed emerge dal livello personale che la relazione raggiunge già durante l’accertamentoiniziale. Un secondo dato testuale del coinvolgimento di Elisa si verifica il giornodell’intervento, quando Elisa entra nella stanza per somministrare a Mario la pre-anestesiae questi “sorridendo [...le] dice ‘altro che colica renale…”. La partecipazione di Elisa lepermette di cogliere la triste ironia di Mario e l’emozione negli occhi di Alice. Elisa inquesta situazione non dice nulla, ma intuisce che è un momento delicato e li lascia soli“prima di far entrare il barelliere”.Un terzo elemento di questo grappolo di significati è la richiesta di Alice di una pausa perun caffè. Alice confida ad Elisa una serie di riflessioni che mostrano il suo grado diconsapevolezza e di elaborazione di ciò che sta accadendo. Alice ha compreso “che perMario è una questione di giorni”, ma confessa anche di avere “un pensiero che la logora”.Alice non sa se e che cosa dire alle due bambine circa le reali condizioni del papà; lebambine “non sanno dell’intervento, di quali sono le sue condizioni ora e non sanno che ilpapà non tornerà più a casa”. Alice è combattuta, incerta su come comportarsi e “nonriesce a prendere una decisione perché in questo momento non ha la forza e la luciditàper decidere”. Ecco la vera ragione della pausa caffè: Alice chiede ad Elisa “che cosa ègiusto fare in questi casi…”.Alice la incalza ed Elisa resta in silenzio: “Io sono in silenzio e lei mi guarda… mi sentoschiacciata dal suo sguardo”. Questa terza sezione è il vero tòpos del racconto, ed èquindi utile presentare separatamente ed in sequenza il testo che narra le azioni ed ipensieri di Elisa, con accanto il significato emotivo che i ricercatori ipotizzano possa averprovato Elisa durante questi pochi secondi di dialogo. Quest’analisi (Tabella 1) è frutto diun lavoro prima individuale e poi di gruppo tra i ricercatori e di un successivo incontro conElisa stessa (member checking) (Silvermann 2000).

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Tabella 1 - Analisi testuale delle azioni e del vissuto di Elisa (righe 29-43)

Azioni Pensieri Emozioni sintesi

• fisso il caffè nel bicchiere

• non ho mai visto un caffè così nero…• non riesco a guardare Alice negli occhi…

• senso di vuoto, imbarazzo• disagio, paura di essere

giudicata, vergogna

• ho una domanda che non dà tregua al mio cervello: che cos’è giusto?

• inquietudine, disorientamento, tensione al compito

• paura di deludere

• E poi: perché proprio a me questa domanda?

• Io non ti conosco, come posso decidere una cosa così importante?

• irritazione, senso di inadeguatezza, desiderio di distacco

• io sono in silenzio e lei mi guarda…

• mi sento schiacciata dal suo sguardo • inadeguatezza, senso di colpa, vergogna

• vorrei capire qual è la risposta giusta • qual è la risposta che lei si aspetta da me,

per sollevarla un pochino da questo peso

• senso del dovere, desiderio diaiuto

• frustrazione, debolezza, senso di inefficacia

• mi sento in difficoltà • continuo a chiedermi qual è la risposta

giusta • mi chiedo cosa vorrei io, ma io non so

niente di questo, non ho figli • [mi chiedo] cos’è il bene per loro, e cos’è il

bene per Mario, le bimbe da grandi potranno soffrire per non aver visto il papà o si ricorderanno solo le cose belle, Mario sarà più sereno dopo averle viste o starà male

• insicurezza, paura di deludere

• disorientamento• senso di impotenza, ansia• senso di tristezza e di

inefficacia

• e Alice cosa pensa? … • non vorrei mai essere andata e bere quel

caffè • vorrei non essere lì

• incertezza, impotenza, angoscia

• senso di inefficacia e di inadeguatezza

• paura di essere giudicata• preoccupazione, risentimento• desiderio di trovare una

soluzione• desiderio di fuga

• io non ho gli elementi per dire cosa è giusto fare

• forse è meglio non prendere una posizione, perché rischia di essere una posizione forzata

• preferisco dire ad Alice la verità…

• bisogno di giustificarsi

• la guardo e le dico che non so qual è la scelta giusta in questi momenti e che non saprei cosa consigliare…

• Leggo negli occhi di Alice la delusione, o forse leggo in me la delusione, non l’ho aiutata quando lei mi ha chiesto aiuto

• insoddisfazione e delusione• frustrazione• senso di fallimento• senso di colpa

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Il racconto si conclude con l’epilogo della tragica storia di Mario. Le bambine vanno atrovarlo in “una bellissima giornata di sole”. Non si riconoscono, ma Mario sembra cheabbia aspettato proprio il loro saluto per congedarsi dalla vita.

Analisi strutturale e discussione dei risultati Il racconto di Elisa narra un episodio di disagio etico in una situazione ai margini di quelloche in genere è considerato il lavoro dell’infermiere italiano: esso racconta di unasituazione assistenziale non clinica, ma puramente relazionale, non centrata sul paziente,ma su un familiare, in un contesto non sanitario, ma neutro, come possono esserloappunto le aree ristoro dei reparti.Questa marginalità permette di focalizzare meglio l’attenzione sul processo di pensieroche accompagna le azioni di Elisa: non ci sono linee guida evidence-based che possonoaiutarla; non esistono protocolli operativi di reparto, né tanto meno articoli del Codicedeontologico che indicano come occorre comportarsi in una situazione simile. Come Elisaha detto nell’intervista in profondità, in quella situazione si è sentita “insicura e debole”,“abbandonata a sé stessa” e ai propri pensieri, “ruminando i propri interrogativi” allaricerca della soluzione “giusta” per il problema posto da Alice.In queste situazioni, non così infrequenti come potrebbe sembrare, gli infermieri sonosprovvisti della “copertura” decisionale offerta dagli strumenti organizzativi e clinicistandardizzati e si può meglio indagare il processo di pensiero che sostiene l’agireinfermieristico. Nella parte topica del racconto di Elisa nessuna delle due protagoniste,prese singolarmente, ha la soluzione del problema. La soluzione, se c’è, sta alla fine di unpercorso di comprensione reciproca e di co-costruzione dei significati di volta in voltadiagnostici (sul problema da affrontare, nel nostro caso la visita delle figlie di Mario al loropapà), terapeutici (sulle soluzioni migliori, più efficaci o appropriate per loro, quale adesempio il senso di questa visita per ognuno dei familiari, con relative riflessioni su rischi ebenefici) ed educativi (sulle fatiche e sulle risorse di coping che questa famiglia puòmettere in campo per affrontare e gestire il dramma che sta vivendo). Appare evidente chenel dialogo tra Alice ed Elisa questo percorso di ricerca di una soluzione condivisa non èavvenuto.Quando ci si propone di cercare insieme al paziente la soluzione migliore per lui aiproblemi che lui sta vivendo, ci poniamo necessariamente in un’ottica costruttivista oancora meglio, partecipativa (Lincoln & Guba, 2000). Ma un tale percorso implica unacapacità meta-riflessiva da parte dell’infermiere, che deve potersi astrarre dal proprioragionare per accogliere la riflessione dell’altro e per dialogare con lui. Occorre chel’infermiere riesca a “pensarsi pensare” per poter cogliere che cosa gli stia accadendo eche cosa sia davvero importante in ciò che gli sta accadendo (Benner, 1994; Mortari,2009). Se è vero, come sostengono Benner e Wrubel (1989, p. XI), che la prassiinfermieristica è “una pratica di cura la cui scienza è guidata dall’arte morale e dall’eticadell’assistenza e della responsabilità”, capire su che cosa esercitare questo primatodell’etica e della responsabilità non è sempre facile. La scoperta di ciò che è saliente,primario ed essenziale in una situazione non è immediata né scontata: richiede moltaesperienza e capacità riflessive perspicue per non essere soggiogati dalle emozioni e daiconflitti che possono nascere nelle situazioni assistenziali (Dierckc de Casterlé et al.,1997, 2008; Erlen & Sereika, 1997; Benner et al., 2010;).L’analisi strutturale dell’episodio topico del racconto mostra che Elisa non è stata in gradodi governare il flusso di pensieri e di emozioni che l’hanno investita. Come mostra laTabella 1, il pensiero esplicito e le azioni di Elisa sono state sostanzialmenteaccompagnate da un progressivo senso di smarrimento. Una domanda “non dà tregua” adElisa: la ricerca di una risposta “giusta”.

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La difficoltà, o l’impossibilità, di fornire ad Alice una soluzione definitiva al suo quesitosuscita in Elisa un senso di inadeguatezza e di irritazione crescente che mostra il suogrado di impreparazione ad affrontare situazioni simili. Concetrata sulla ricerca solitariadella risposta “giusta” da dare, Elisa ha perso di vista l’importanza di rendersi disponibilead Alice per un percorso di ricerca condiviso di una risposta possibile.Tre sembrano gli elementi fondamentali che si sono potenziati a vicenda nel determinare ildisagio etico finale descritto da Elisa: il suo legame ad un pensiero logico-formaleorientato al problem solving, l’impreparazione a leggere e governare le proprie emozioniall’interno di relazioni ad alta emotività e, infine, l’inadeguatezza nel trovare la salienzanelle situazioni di cura.

Il potere del pensiero logico-formaleRimuginando continuamente la domanda su “che cosa sia giusto dire” ad Alice, Elisamostra di essere legata alla forma di pensiero prevalente nel ragionamento clinico, quellascientifica o logico-formale. La formazione professionale che abbiamo ricevuto ci hainsegnato quali fenomeni ricercare e valutare e quali invece scartare, a seconda di ciò chevogliamo. Per far questo, abbiamo sviluppato nel tempo un pensiero logico-formale che ciaiuta a classificare, scegliere, ponderare le alternative e trovare la soluzione migliore daun punto di vista razionale e probabilistico. Ma non è detto che questa forma di pensierorisolva la totalità dei problemi affidati agli infermieri. Anzi, a volte si ha l’impressione che lecose “veramente importanti” dell’assistenza siano altro rispetto a quelle coperte dalragionamento tecnico (Kikuchi, 1992; Dunlop, 1994; Blondeau, 2002). I quesiti eticisuscitati dalla pratica clinica, ad esempio, non possono essere risolti esclusivamentetramite percorsi logico-formali (Rubin, 1994; Benner et al., 2010), i quali, se usati senza ladovuta accortezza, rischiano di essere limitanti.Anche gli infermieri, come altri professionisti, sono legati ad una epistemologia dellapratica professionale che li lascia incapaci di spiegare, o persino di descrivere,competenze alle quali attualmente attribuiscono estrema importanza (Schön, 1983; Schön,1987). Queste epistemologie tradizionali si rifanno ad un modello di ‘razionalità tecnica’che, secondo Schön, è ormai insufficiente a spiegare le dinamiche di scelta in situazioni dirischio ed incertezza nelle quali il professionista si trova ad agire. La stessa formazione delprofessionista sanitario gli insegna a diffidare del sentire affettivo nella situazione (Good,1994; Schön, 1987; Charon, 2006).Dal un punto di vista della razionalità tecnica, la pratica professionale è un processo disoluzione di problemi. Formare un infermiere ad essere un “problem solver” amplifica ladimensione interventista a discapito di quella dell’ascolto e della condivisione delle scelteassistenziali. Per Schön (1983) questa enfasi sulla soluzione del problema ci allontana dauna corretta impostazione del problema medesimo. Nella realtà della pratica, i probleminon si presentano al professionista come dati di fatto neutri rispetto al processo con ilquale sono stati ricercati, ma come elementi che devono essere costruiti a partire daimateriali presenti nella situazione.

Il potere delle emozioni nel processo decisionaleCertamente noi possiamo in qualche misura “scegliere” a che livello di profondità esserecoinvolti a seconda delle situazioni che affrontiamo (Stein, 1989): ma è precisamente apartire da questa scelta che precondizioniamo l’eticità ed il valore morale delle nostreazioni di cura. Non tutte le situazioni assistenziali richiedono all’infermiere il medesimogrado di coinvolgimento personale o la stessa intensità di partecipazione emotivaall’esperienza dell’altro; ma, in una situazione come quella vissuta da Elisa, sembraevidente la necessità di essere in qualche modo preparati prima di essere coinvolti nellarelazione.

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La cartina di tornasole del livello di profondità della relazione di cura è il suo effettoemotivo su ciascuno di noi. La conoscenza personale, scrive De Monticelli, “è sempreanche conoscenza di sé, attraverso quella di un altro individuo” (De Monticelli, 1998, 144;cfr. Zannini, 2008, 7). Elisa appare totalmente assorbita dalla ricerca della “rispostagiusta”, e dietro l’incalzare delle proprie emozioni – di cui non appare del tuttoconsapevole – decide di non esporsi, di rimanere senza risposta. La dinamica tra i pensieriespliciti e i vissuti emotivi (Tabella 1) non mostra traccia di un pensiero meta-riflessivo checonsenta ad Elisa di staccarsi dal pensiero logico-formale e di pensare che cosa questeemozioni le stavano dicendo e come avrebbe potuto utilizzarle nella relazione con Alice.Nessuno aveva preparato Elisa a legittimare tali emozioni, ovvero a riconoscerle come talisenza dar loro una valutazione morale, e ad utilizzarle come dati informativi essenziali perla valutazione di ciò che sta avvenendo su di sé, sul suo stare in quella situazione (Benneret al., 2010). Vuole “dire ad Alice la verità”, ma in realtà quello che comunica ad Alice èsolo una parte della verità: non riesce ad esprimere i suoi pensieri, i suoi dubbi ed il suosenso di insufficienza ed impreparazione. Vorrebbe sinceramente aiutare Alice, ma, nontrovando una risposta certa e non riuscendo ad esprimere ad Alice il proprio senso diincertezza ed il proprio disagio, sceglie di non compromettersi ulteriormente ponendo unlimite al dialogo: “non saprei cosa consigliare…”. Ciò che esprime ad alta voce è il dato difatto che non esiste una risposta “giusta in assoluto”, ma, così facendo, non offre unasponda a un dialogo che, pur nell’incertezza e nell’indeterminatezza, potrebbe configurarsicome una ricerca condivisa di una risposta che sia valida per Alice e per la sua famiglia.Elisa percepisce un senso di delusione per aver interrotto questa ricerca, un senso dicolpa “per non aver aiutato [Alice] quando lei me l’aveva chiesto”. Se Elisa fosse riuscitaad elaborare consapevolmente i suoi pensieri e le sue emozioni e avesse trovato il mododi esprimerle ad Alice in modo adeguato, l’esito di questa relazione e l’epilogo della storiadi Mario avrebbero potuto essere diversi? Non sarebbe stato questo stesso atteggiamentodi ammissione del proprio limite e del conseguente imbarazzo un punto di riferimento percontinuare la ricerca di una soluzione appropriata per Alice e la sua famiglia? Di certo,avrebbe mantenuto aperto il dialogo, alleviato la solitudine di Alice e ricostruito un senso diadeguatezza e di identità personale e professionale per Elisa stessa.Per un tale lavoro di ricerca interiore, i sanitari devono invertire il pensiero logico-formaleimparato a scuola e utilizzare il pensiero narrativo visitando e curando non solo il corpofisico del paziente (Körper), ma il corpo vitale (Leib) di entrambi i protagonisti, mettendo afrutto le informazioni che nascono dal corpo stesso del professionista (Good, 1994;Greenhalgh & Hurwitz, 1998). Rita Charon definisce narrative knowledge quellacompetenza dell’operatore sanitario che lo affranca dal rischio di appiattire e dispersonalizzare la consultazione, permettendogli invece di rivolgersi al proprio pazientecon rispetto, attenzione, discrezione e creatività (Charon, 2006). Altri autori definisconotale caratteristica dell’operatore “sensibilità etica” (moral immagination) (Scott, 1998).Secondo Martha Nussbaum, l’immaginazione narrativa è una delle capacità distintiveessenziali per coltivare l’umanità nel mondo attuale: senza la capacità di pensarecreativamente eventi e situazioni verosimili a partire dalla situazione data, non è nemmenopossibile provare empatia e compassione per gli altri (Nussbaum, 1999).Come sostiene Patricia Benner (Benner et al., 2008):

• Lo sviluppo dell’abilità di riflettere criticamente del clinico dipende da ciò su cui haimparato a prestare attenzione: ricercare la salienza significa guadagnare lacapacità di accorgersi e di comprendere ciò che è rilevante in una data situazione edalla capacità di rispondervi. Il senso della salienza di un clinico in ogni situazionedipende dalle passate esperienze e dalle evidenze scientifiche correnti. Lariflessione critica è una competenza cruciale del professionista, ma non è l’unicaabilità di ragionamento o di logica clinica richiesta.

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• L’abilità di pensare criticamente utilizza la riflessione, l’induzione, la deduzione,l’analisi, l’assunzione del rischio e la valutazione del dato e delle informazioni guidadel processo decisionale.

Se quindi l’attenzione alla salienza è il primo passo della comprensione, l’animadell’attenzione è l’accogliere affettivo, che è la precondizione essenziale al sentire e algiudicare etico. Per De Monticelli questa attenzione “del cuore” dovrebbe essere posta “afondamento di tutta la filosofia morale” (2004, p.18; 2003), perché, se viviamo davvero apartire da livelli di profondità differenti, come dice Edith Stein, ciò avviene da un latosecondo la profondità propria di un certo avvenimento, e dall’altro, “secondo la nostradisponibilità ad accoglierlo al ‘giusto’ livello di profondità” (De Monticelli, 2004, p.173-174).La precondizione all’esperienza di cura del paziente è l’apertura all’altro, a ciò che ha dadirmi. Questa “attenzione del cuore” ha il suo polo estremo in quello che potremmosemplicemente chiamare “bontà”, “poesia” o “amore” (Watson, 1996; Kittay, 1999), o“umanità” (Nussbaum, 1999; 2001) mentre trova l’estremo opposto nella disattenzione,insensibilità o insipienza dei frivoli e dei superficiali e, potremmo anche dire,nell’irresponsabilità e nel “silenzio del giudizio” dei duri di cuore (Arendt, 1963).Nel racconto di Elisa questa prima essenziale precondizione ad ogni espressione etica –cioè l’accoglienza affettiva – è ben presente ed è dimostrata dall’insieme delle emozioniscatenate dalla situazione; ciò che è mancato è stata la capacità o l’esperienza perorientare tali energie nel sostenere un dialogo con Alice nella costruzione di una soluzionecondivisa (Dierckc de Casterlé et al.,1997; 2008).

Alla ricerca della salienza Elisa è stata affettivamente attenta a ciò che avvenne quel giorno alla macchinetta delcaffè; da brava infermiera era genuinamente orientata alla ricerca del bene per Mario eAlice (Goethals et al., 2010), eppure questa ricerca è stata infruttuosa e eticamenteinsoddisfacente. L’orientamento al pensiero logico formale e l’impreparazione a gestire leproprie emozioni nella situazione specifica sono forse state le cause principali di taleinsuccesso, unitamente all’impreparazione ad assumere la salienza di ciò che stavaaccadendo. Se la cura è cura della vulnerabilità dell’altro (Nortvedt, 2001; Edwards, 2001),Elisa si è mostrata sostanzialmente impreparata ad un percorso che richiedeval’esposizione e il confronto con la sua stessa vulnerabilità. Forse, dietro alla mancanza dicompetenze professionali, scopriamo in Elisa una mancanza nella capacità di aver cura disé stessa, dei suoi sentimenti e dei suoi valori quando esposti a ciò che la situazione lerichiedeva (Varcoe et al., 2012; Mortari, 2009).A volte, come nel caso raccontato da Elisa, nella situazione di cura non è possibile seguireuno schema preordinato, ma occorre anzi allontanarsene, variare il nostro approccio allasituazione, modellare noi stessi per accedere al mondo dell’altro per ricercare e negoziarecon l’altro la soluzione del problema, quella per lui più significativa e appropriata: in questosenso, la cura è essa stessa ricerca (Ellis, 1969; Henderson & Nite, 1968; Evans, 1980;Mortari, 2006). In alcune situazioni di cura, tutta la nostra persona è implicata nellasituazione, e siamo in grado di prenderci cura degli altri solo quando siamo in grado dicoinvolgere tutta la nostra persona – la nostra razionalità, sensibilità, affettività ecorporeità – nella ricerca di ciò che di saliente sta accadendo al paziente e a noi stessi.In questi particolari percorsi di cura lo strumento da perfezionare non è l’oggetto (lamalattia, la diagnosi infermieristica, la cura come trattamento eccetera), ma la personastessa del professionista inserito nella situazione di cura (Mortari, 2009). Seguendoancora una volta Patricia Benner, l’eccellenza degli infermieri ha origini percettive, nelsenso che la consapevolezza dei propri sentimenti e delle proprie percezioni costituisceuna parte importante del giudizio clinico (Benner, 1984, 3; Benner, 2011).

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La narrazione, quindi, non solo permette di avvicinarsi alla questione etica, ma è la stessaquestione etica che con il suo carico di pensieri e di emozioni permane a lungo nellamemoria e nel cuore dei protagonisti, cambiandone il modo di pensare e di sentire, epreme per essere narrata.Vari studi fenomenologici mostrano come il giudizio professionale degli esperti assomiglimolto alle categorie filosofiche della “saggezza pratica”, della “prudenza” e dell’ordo cordiscui si accennava sopra; si è altresì visto che gli infermieri possono capitalizzare questeattitudini mettendo a frutto nel tempo le riflessioni sulla pratica favorite dalla narrazione(Scott, 1998, 152; Benner et al., 1999; 2010, 165ss; 2008; Zannini, 2008, 74; DeMonticelli, 2003). Ogni incontro tra infermiere e paziente è quindi l’inizio di un percorso diricerca della salienza nel quale la “soluzione migliore” va costruita a partire dalle categoriee dalle indicazioni offerte dalla scienza, quando disponibili, onde poi superarle. Lasoluzione migliore è quella che tiene conto del potere decisionale del paziente edell’infermiere, entrambi consapevoli dei valori in gioco nella situazione, consapevoli,come dice Bachtin, che “il criterio della profondità della comprensione [è] uno dei criterisupremi della conoscenza nelle scienze umane” (Bachtin, 1986, p. 127).

ConclusioniAbbiamo esplorato il processo attraverso il quale si determinano situazioni eticamentedeludenti per gli infermieri coinvolti in una situazione di cura. La percezione del disagioetico è un segnale che qualcosa nella relazione di cura ha colpito la nostra sensibilità:allenarsi alla salienza permette in questi casi di attivare un vero e proprio percorso diricerca interiore elaborando significati co-costruiti tra tutti i protagonisti della situazione dicura. Come aveva intuito Henderson (1966, 69), possiamo dire che l’infermiere, con tuttose stesso, è una variabile indipendente del percorso di cura. Se ancora non possiamomisurare in termini scientifici il peso “dell’etica dell’assistenza e della responsabilità”(Benner & Wrubel, 1989, p. ix) negli esiti dell’assistenza infermieristica, stiamo tuttaviainiziando a capire come questo avvenga.La ricerca della salienza in ogni situazione di cura potrebbe essere un valido esercizio perallenare il giudizio prudenziale degli infermieri. Come scrive Ricoeur (1996, 29-30) , ilgiudizio medico segue infatti tre livelli. Il primo è quello prudenziale (altrimenti detto dellasaggezza pratica, o phrónesis, la prudentia dei latini); il secondo è quello deontologico (nelsenso dell’etica) e il terzo è quello riflessivo (nel senso della morale). Nel giudizioprudenziale, infatti, il “sentire” e il “giudicare”, il “comprendere” e lo “spiegare” hanno lacaratteristica dell’immediatezza e, come abbiamo visto nel racconto di Elisa, quella diconiugare i principi generali con i casi particolari (Aristotle, Nicomachean Ethics, 1142). Èper questo che il giudizio dei clinici, prima ancora di essere oggetto di riflessione“deontologica” o “morale”, è essenzialmente prudenziale: esso indica la “giusta misura” delcoinvolgimento personale del professionista, la sua capacità di tessere insieme il pensierologico-formale e quello affettivo e di riconoscere che la soluzione migliore al quesito etico– così come significata dal paziente – non è estranea al processo che l’ha costruita. Nellacura, come nella saggezza pratica, il fine è la bontà stessa dell’azione (Aristotele,Nicomachean Ethics, 1140b; Gadamer, 1960; Benner, 2000; Blondeau, 2002) e non giàquella delle sue conseguenze.Ciò spiega perché gli infermieri amano raccontare storie di assistenza. Raccontanoperché sanno che i resoconti scientifici e le teorie formali non raccolgono il valore reale diquello che passa loro tra le mani. Raccontano perché sentono l’urgenza di riflettere sugesti apparentemente umili che hanno in sé il potere terapeutico della cura, nonché susituazioni che hanno avuto il potere di cambiare il loro modo di sentire e di agire.

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Raccontano perché avvertono che, in certi casi, la soluzione ‘migliore’ sfugge alleindicazioni operative dettate dai protocolli evidence-based o alle indicazionicomportamentali dei Codici deontologici, nascondendosi piuttosto nell’attenzione aiparticolari, perché come diceva un’infermiera: “è dietro ai particolari che si nasconde lapersona”.

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Infermieristica di famiglia e di comunità: una survey tra infermieri e medici di medicina generale

di Paola Obbia (1), Ludovica Tamburini (2), Gessica Giovannetti (3), Mirco Ongaro (4), Diletta Calamassi (5)

(1) Infermiera Presidente AIFeC Associazione Infermieri di Famiglia e di Comunità(2) Infermiera AUSL 5 Pisa(3) Infermiera neolaureata(4) Infermiere neolaureato(5) Infermiera Formatore AUSL 11 Empoli

Corrispondenza: [email protected]

IntroduzioneLa transizione epidemiologica e sociale e la crisi economica richiedono risposte nuove ainuovi bisogni di salute attraverso un sostanziale ripensamento organizzativodell’assistenza sanitaria di base, per sostenere il carico della fragilità e della malattia.L’OMS Europa, nel documento “Salute 21” del ’98, propone un nuovo ruolo, quellodell’Infermiere di Famiglia e di Comunità (IFeC), quale consulente specialista-generalistacon formazione post base, in grado di agire soprattutto a livello preventivo attraverso lavalutazione e la gestione integrata dei bisogni di salute di un gruppo di cittadini a luiassegnato, in stretta collaborazione con il Medico di Medicina Generale (MMG).A distanza di 15 anni dalla pubblicazione di “Salute 21”, l’importanza strategica del ruolonon è ancora stata riconosciuta a livello politico in Italia e questa figura è poco conosciutadai professionisti della salute.

Conoscenze e aspettative di Infermieri e Medici di Medicina Generale rispettoall’infermieristica di famiglia e di comunitàGli infermieri del territorio e i Medici di Medicina Generale (MMG) sono gli operatori “inprima linea” che dovrebbero intraprendere e stimolare specifiche azioni promotrici perl’implementazione all’Infermieristica di Famiglia e di Comunità.Lo scopo del lavoro è stato quello di indagare le loro conoscenze e aspettative su questafigura.L’indagine è stata svolta modificando e integrando il questionario elaboratodall’Associazione Infermieri di Famiglia e di Comunità (AIFeC), nel 2012. Il questionario,sottoposto a validazione di facciata, è strutturato in due parti delle quali la prima articolatain otto domande chiuse finalizzate ad indagare aspetti socio-anagrafici dei rispondenti(regione e ente di appartenenza, ruolo professionale, anni di anzianità sul territorio,percorso formativo affrontato e titolo posseduto, sesso e età anagrafica); la secondaindirizzata ad esplorare, sempre attraverso domande chiuse (con possibilità di risposta si,no, non so o di espressione del grado di accordo/ disaccordo), il livello di conoscenze epercezioni riguardo la figura dell’IFeC (ricadute socio-sanitarie, ambiti di autonomiaprofessionale, contesto operativo, ecc). Questa parte comprende anche una domanda arisposta aperta per permettere la libera espressione di opinioni/riflessioni.Hanno aderito all’indagine 113 soggetti (90 infermieri e 23 medici), dei quali il 68,1% di etàcompresa tra i 30 e i 50 anni e il 70,8% rappresentati da femmine.

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Oltre il 60% degli Infermieri ha acquisito il titolo con formazione regionale e quasi il 40%con formazione universitaria. Il 46% degli infermieri non ha effettuato nessun percorsoformativo post base.Pur lavorando in ambito territoriale, quasi il 70% dei rispondenti non ha avuto modo didocumentarsi sulla figura dell’Infermiere di Famiglia e di Comunità.Non esistono sostanziali differenze tra i professionisti che hanno una diversa anzianità diservizio sul territorio in termini di formazione e/o aggiornamento in merito alla figura, ma gliinfermieri risultano comunque più informati sull’IFeC rispetto ai medici. Inoltre, è opportunosottolineare che oltre il 60% dei soggetti (campione totale) non si è mai trovato coinvolto inuna discussione in merito a questa figura.Oltre il 65% dei soggetti intervistati riferisce di non sapere se nel Piano SanitarioRegionale della propria regione è previsto l’inserimento dell’IFeC. Tuttavia, oltre il 60% nonconcorda sul fatto che i politici ed i tecnici che si occupano della riforma delle CurePrimarie abbiano chiaro il ruolo e le potenzialità dell’IFeC.Quasi l’80% del campione totale conosce poco o per niente le realtà italiane in cui è attivaquesta figura ed oltre il 40% sostiene che l’IFeC sia un professionista che attualmente nonesiste in Italia. Solo il 24,8% dei rispondenti conoscono realtà europee e/o extra europeein cui è attiva la figura dell’IFeC.Quasi il 93% dei partecipanti all’indagine concorda sulla necessità di attribuire in modoufficiale all’IFeC autonomia professionale per le funzioni di propria competenza. L’indagineha preso in considerazione anche il giudizio degli intervistati in merito all’autonomiaprescrittiva per presidi per incontinenza (Tabella 1), presidi sanitari come materassi,cuscini, letti articolati, carrozzine e loro accessori, deambulatori, girelli (Tabella 2),materiali per medicazione (Tabella 3), consulenza infermieristica specialistica (Tabella 4)e di altri professionisti sanitari (Tabella 5). In merito all’autonomia prescrittiva per i presidiper incontinenza si è provveduto anche ad una stratificazione delle risposte di infermieri emedici (Tabella 6).

Oltre il 90% del campione totale concorda (d’accordo e fortemente d’accordo) che l’IFeCrappresenta un’evoluzione dell’assistenza infermieristica resa necessaria del mutamentodei bisogni socio-sanitari dei cittadini. Oltre il 73% indica come utile l’attribuzione ad ogninucleo familiare di un IFeC, con modalità di scelta/revoca presso gli sportelliSAST/Distrettuali.Il 73% ritiene che l’IFeC dovrebbe valutare le dinamiche familiari e quasi il 94% chedovrebbe rilevare l’insorgere di problemi di salute delle famiglie. Circa il 90% concorda chel’IFeC sia disponibile a visite domiciliari, ambulatoriali e a contatti telefonici e ritiene chenon debba occuparsi solo di persone malate, tuttavia il 73,4% afferma che le sue attivitàfondamentali sono l’erogazione di prestazioni rivolte all’assistito.I rispondenti si sono, inoltre, detti d’accordo circa l’impegno dell’IFeC nella comunitàlocale.Agli intervistati è stato richiesto di esprimere la loro opinione anche in merito al contestoorganizzativo e professionale dell’IFeC che, per la maggior parte dei soggetti, dovrebbecollocarsi presso gli ambulatori della medicina di gruppo.L’86,7% concorda sull’utilità di una formazione post-base per l’IFeC, solo il 3,5% è indisaccordo.Solo la metà del campione è d’accordo (d’accordo + fortemente d’accordo) in merito algarantire un riconoscimento economico per l’IFeC.

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ConclusioniDall’indagine risulta non facile per gli operatori del territorio documentarsi rispettoall’evoluzione di scenario e di ruoli, così come risultano scarsi momenti di confronto supossibili sviluppi futuri. Anche la maggior anzianità di servizio (16 anni o oltre) nongarantisce maggiori conoscenze sulla figura dell’IFeC.Risultano, inoltre, incerte tra i rispondenti, le modalità organizzative da adottare conl’implementazione di questa figura e gli incentivi da utilizzare.E’ stato però impossibile un reale ed esaustivo confronto dei risultati tra infermieri emedici, a causa della scarsa adesione di questi ultimi.Il questionario utilizzato è risultato sufficientemente completo e chiaro.In conclusione l’Infermiere di Famiglia e di Comunità rappresenta un’evoluzione del ruoloinfermieristico con competenze avanzate, ma non vi è una chiara percezione econoscenza delle sue potenzialità. Pertanto, i professionisti della salute devono essereinformati, sensibilizzati e consapevoli delle caratteristiche e del ruolo per facilitarnel’introduzione ed evitare barriere e diffidenze sia interne alla professione sia con gli altriattori delle cure primarie.L’indagine potrebbe essere estesa su scala nazionale pubblicizzandola su riviste sanitariee tramite la Federazione IPASVI, i Collegi provinciali, le Associazioni ScientificheInfermieristiche e Mediche e contribuire a creare cultura rispetto all’IFeC.Potrebbe essere utile, inoltre, continuare con un percorso di validazione dello strumentoutilizzato.Per dimostrare l’efficacia della gestione infermieristica è necessario avviare progetti diricerca, azione e valutazione dei risultati.L’AIFeC è a disposizione di quanti vogliano cogliere questa sfida per la ricerca di soluzioniinnovative a beneficio dei cittadini italiani.

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Tabella 1 - Grado di accordo su autonomia professionale da riconoscere a IFeC per la prescrizione dei presidi per incontinenza

L’ IFeC dovrebbe essere autonomo nellaprescrizione dei Presidi per incontinenza

Frequenzan.

Percentuale%

Rappresentazionegrafica

Fortemente in disaccordo 1 0,9

In disaccordo 4 3,5

Indifferente 1 0,9

D'accordo 69 61,1

Fortemente d'accordo 38 33,6

Totale 113 100,0

Tabella 2 - Grado di accordo su autonomia professionale da riconoscere a IFeC per la prescrizione dei presidi sanitari

L’ IFeC dovrebbe essere autonomo nellaprescrizione di presidi sanitari

Frequenzan.

Percentuale%

Rappresentazionegrafica

Fortemente in disaccordo 1 0,9

In disaccordo 8 7,1

Indifferente 6 5,3

D'accordo 73 64,6

Fortemente d'accordo 25 22,1

Totale 113 100,0

Tabella 3 - Grado di accordo su autonomia professionale da riconoscere a IFeC per la prescrizione di materiali per medicazione

L’ IFeC dovrebbe essere autonomo nellaprescrizione di materiale per medicazioni

Frequenzan.

Percentuale%

Rappresentazionegrafica

Fortemente in disaccordo 0 0

In disaccordo 6 5,3

Indifferente 1 0,9

D'accordo 65 57,5

Fortemente d'accordo 41 36,3

Totale 113 100,0

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Tabella 4 - Grado di accordo su autonomia professionale da riconoscere a IFeC per richiedere la consulenza infermieristica specialistica

L’ IFeC potrebbe richiedere direttamente laconsulenza infermieristica specialistica

(wound care, enterostomie)

Frequenzan.

Percentuale%

Rappresentazionegrafica

Fortemente in disaccordo 3 2,7

In disaccordo 5 4,4

Indifferente 9 8,0

D'accordo 68 60,2

Fortemente d'accordo 28 24,8

Totale 113 100,0

Tabella 5 - Grado di accordo su autonomia professionale da riconoscere a IFeC per richiedere la consulenza di altri professionisti sanitari

L’ IFeC potrebbe richiedere direttamente laconsulenza di altri professionisti sanitari

Frequenzan.

Percentuale%

Rappresentazionegrafica

Fortemente in disaccordo 3 2,7

In disaccordo 12 10,6

Indifferente 3 2,7

D'accordo 73 64,6

Fortemente d'accordo 22 19,5

Totale 113 100,0

Tabella 6 - Stratificazione delle risposte di infermieri e medici su autonomia prescrittiva per i presidi per incontinenza

L’ IFeC dovrebbe essere autonomo nellaprescrizione dei presidi per incontinenza

Frequenzan.

Percentuale%

Rappresentazionegrafica

Fortemente in disaccordo 0 0,0

In disaccordo 2 2,2

Indifferente 1 1,1

D'accordo 50 55,6

Fortemente d'accordo 37 41,1

Totale Infermieri 90 100,0

Fortemente in disaccordo 1 4,3

In disaccordo 2 8,7

Indifferente 0 0,0

D'accordo 19 82,6

Fortemente d'accordo 1 4,3

Totale Medici 23 100,0

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Il supporto del tutor clinico allo studente infermierenella gestione della morte e della sofferenza

di Mattia Morone (1), Simona Facco (2)

(1) infermiere libero professionista, Casa di Cura Città di Bra(2) infermiera, docente del Corso di laurea in Infermieristica, Università degli studi di Torino

Corrispondenza: [email protected]

Durante il progetto “La gestione delle emozioni di fronte alla sofferenza ed alla morte neglistudenti di infermieristica in tirocinio”, proposto agli studenti del terzo anno di CdL inInfermieristica in tirocinio presso l’ASL TO5 nel febbraio 2014, gli studenti hannorappresentato la morte come un salto nel vuoto, come un’incognita, un grande puntointerrogativo. Hanno disegnato burroni, strapiombi e buchi neri; famiglie e società da cui ilsoggetto si allontana per andare a morire solo. Molti studenti del terzo anno hanno portatoalla luce episodi critici verificatisi durante i primi anni di corso. Alcuni, molto emozionati,hanno faticato a raccontare tali esperienze, ma allo stesso tempo sono stati soddisfatti diaver finalmente potuto “svuotare i loro cassetti.”

Il concetto di lutto è stato esplorato ampiamente nelle famiglie che perdono una personacara e nei pazienti che soffrono a causa di una diagnosi terminale; i pazienti e le famiglievivono in genere una sola volta questo lutto. Che dire allora degli infermieri che vivono illutto più volte a settimana, che affrontano ogni giorno la sofferenza? Gli infermieri aiutanotroppo spesso famigliari e pazienti ad elaborare il lutto, ma poi chi si prende cura degliinfermieri stessi? Riconoscere che gli infermieri devono attraversare il lutto dei pazienti egiungere ad una sana risoluzione è il primo passo per aiutare a mantenere una salutefisica, mentale e spirituale (Brunelli, 2005).

La nostra esperienzaAbbiamo deciso di indagare come i tutor vivono la morte e come affrontano l’argomentocon gli studenti durante il tirocinio. In particolare si è voluto indagare: come vivono la mortedi un paziente i tutor clinici, come preparano gli studenti ad affrontare la morte di unpaziente, come aiutano gli studenti ad elaborare la morte di un paziente; quali sono,secondo i tutor clinici, le carenze del percorso formativo triennale per supportare lostudente nella gestione della sofferenza e del lutto e quali sono invece le proposte deitutor per supportare gli studenti.

A tal fine è stata realizzata un'indagine, interpellando i Tutor clinici del C.L.I. di Città dellaSalute e della Scienza di Torino, selezionando coloro che hanno un’esperienza superioreai 5 anni.

Il parere dei tutor è unanime nel descrivere l’atteggiamento degli studenti: nell’approccio almorente, nel momento della morte, della gestione della salma, lo studente tende arimanere impietrito.

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Si isola, osserva da debita distanza, difficilmente si propone per aiutare gli infermieri. Glistudenti sembrano spaventati, hanno quasi paura di toccare il defunto, se possibileaddirittura cercano di non entrare nella stanza.

I tutor invece, da parte loro, si dividono tra coloro che cercano di coinvolgere lo studente,di spronarlo, senza comunque forzarlo e coloro che invece allo studente non chiedononulla: non se la sentono di coinvolgerli nella pulizia e nella vestizione della salma, quindi lilasciano in disparte ad osservare.

I tutor riferiscono che le emozioni degli studenti sono in realtà le più svariate: alcunitendono a minimizzare l’evento, dicendo che per loro non è un problema, ma al tutorsembra in realtà che lo studente lasci trasparire altri sentimenti, in particolare lo spavento.Altri invece non riescono a descrivere cosa possa provare lo studente: li vedono guardare,ma non riescono a capire cosa possano provare veramente.Parlando di quanto precede l’inizio del tirocinio, alcuni tutor preparano gli studenti adaffrontare la morte: indagano i vissuti personali degli studenti, li introducono alle principalipatologie presenti in reparto, soprattutto introducono l’argomento morte riferendo loro chevedranno sicuramente persone morire, quindi iniziano a raccontare cosa succederà, cosavedranno e cosa verrà chiesto loro di fare. Altri invece non affrontano l’argomento: alcuniperché danno per scontato che lo studente sappia che, avendo scelto questo lavoro, vedràsicuramente persone soffrire e morire; altri, più semplicemente, perché non ci hanno maipensato. Alcuni affrontano invece l’argomento solo con gli studenti del primo anno, mentrenon fanno nulla con quelli del secondo e terzo anno, perché danno per scontato che ormaili abbia già preparati qualcun altro.

La preparazione degli studenti alla morte è risultata molto studiata e strutturata nelledegenze a carattere oncologico, pur sempre presente nelle medicine, ma trascurataprincipalmente nelle chirurgie e in alcuni servizi di emergenza-urgenza.

In seguito al lutto alcuni tutor cercano di parlare con lo studente, chiedendogli come si èsentito, cosa ha provato; cercano di recuperare emozioni e sensazioni. Altri invecelasciano correre, se lo studente non chiede spiegazioni o non fa domande l’argomento nonviene approfondito. Questi ultimi tutor, la minoranza, si giustificano dicendo che non sisentono pronti a supportare lo studente in quanto anche loro stessi si sentono inadeguati eimpreparati; altri, invece, dicono che se lo studente lo chiede, loro sono ben disposti aparlarne, ma se nessuno riporta problematicità legate all’evento allora va bene così.

Anche per il “dopo morte”, il servizio dove l’argomento è maggiormente affrontato èl’oncologia: ci sono incontri strutturati settimanali e a disposizione degli studenti, oltre latutor, c’è anche una psicologa.

Coloro che però parlano con gli studenti tendono a non forzarli: provano a buttare l’amo,ma poi non insistono e riferiscono infatti che gli studenti si dividono tra coloro che riesconoa esteriorizzare e coloro che invece tornano a casa in silenzio, senza aver affrontatol’argomento.

Andando a indagare la preparazione dei tutor alla gestione dell’evento morte, alla gestionedello studente nel momento del lutto, solo uno ha riferito di aver partecipato, anni indietro,a corsi inerenti l’argomento e di conseguenza adotta una metodologia precisa e studiata.Quello che tutti gli altri percorrono, invece, è frutto della loro esperienza, di percorsipersonali, di improvvisazione.

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Alcuni, ricordando come sono stati aiutati loro in passato, così cercano di aiutare oggi glistudenti.

In modo critico ribadiscono che tutto viene lasciato alla libera scelta dei tutor, che adifferenza di molti altri argomenti, su questo tema non c’è preparazione: sono loro i primi asentirsi impreparati e inadeguati e di conseguenza non pronti ad aiutare correttamente glistudenti.

Domandando ai tutor di cosa avrebbero bisogno, gli interpellati hanno risposto nei modipiù svariati: la maggior parte propone che siano i tutor stessi ad essere maggiormenteformati e preparati in modo da poter aiutare gli studenti: citando Campione (2005),“prendersi cura di quelli che curano” è fondamentale.

CONCLUSIONILe dinamiche emozionali che si instaurano fra paziente e curante, che sia esso infermiereo studente, sono profonde e coinvolgenti.

Un corretto atteggiamento di fronte alla morte è frutto di una ricerca costante che non puòessere rinchiusa nella sfera del sentire personale; per accostarsi utilmente al morentebisogna essersi preparati sia sui testi che con esperienze e scambi professionali,sviluppare capacità di empatia, oltre che una buona conoscenza di sé. È questo cheemerge dalle interviste: una preparazione maggiore sia degli studenti che dei tutor stessi,un aiuto ai tutor per poter aiutare gli studenti a esprimere queste emozioni.

Per poter aiutare gli studenti a prepararsi alla morte occorrerebbe forse uniformare gliinterventi: fare in modo che non sia una scelta del tutor informare o meno lo studente sullamorte nel proprio reparto, sulle casistiche, le modalità, i comportamenti da adottare, leimplicazioni, gli aspetti amministrativi, la gestione della salma, le emozioni. Per poterinvece supportare efficacemente lo studente, in caso di sofferenza o in seguito ad un lutto,quello di cui i tutor sentono maggiormente il bisogno è il confronto tra tutor stessi,infermieri di reparto e studenti per poter imparare dai propri errori, dalle proprie mancanzee dalle conoscenze dei più esperti: incontri trimestrali, semestrali o in occasione di ognitirocinio. Jonsson, Segesten e Mattsson (2003) suggeriscono l’opportunità di organizzaredebriefing tra gli operatori, per dar loro modo di parlare, per poter superare il traumasubito, confrontandosi con i propri pari.

Un aspetto largamente condiviso, è la necessità di dare spazio ai tutor clinici, agli studenti,agli infermieri per poter parlare delle proprie difficoltà. Questo spazio non deve esserelasciato in autogestione, ma deve essere ben strutturato. Uno degli strumenti piùaccreditati per soddisfare le esigenze di intervenire nelle situazioni di grave stress, comepuò essere la morte di un paziente, è il Critical Incident Stress Management, ideato daMitchell e Everly negli anni Ottanta (Monti, 2001). All’interno del programma, una parteimportante è assunta dal Critical Incident Stress Debriefing (CISD). Questo metodo diintervento ha lo scopo di prevenire lo stress lavorativo nei reparti di emergenza, ma puòessere utile anche nell’elaborazione del lutto e nella gestione della sofferenza.

Secondo Zanlucchi (2003) il debriefing psicologico permette effettivamente di ridurre isegni e sintomi causati da distress.

La tecnica invece sperimentata da Lillyman (2010) in Gran Bretagna, e rivolta direttamenteagli studenti infermieri, prevede l’utilizzo dello storyboard.

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Lo storyboard, introdotto da Leonardo da Vinci e utilizzato ora dai registi cinematografici, èuno strumento che aiuta a visualizzare in maniera organica l’esperienza che l’utente vive,tramite il disegno di passaggi chiave relativi ad una storia. La forma, oltre che visuale, èanche narrativa e aiuta a esplorare i concetti e renderli visibili a tutto il team coinvolto.L’attività prevede la creazione di storyboard in piccoli gruppi e poi la discussione inplenaria. I temi affrontati dagli storyboard sono proprio la morte dei pazienti, il lutto, lasofferenza, le dinamiche con i famigliari. Gli studenti inglesi sono stati soddisfattidall’esperienza perché si sono sentiti ascoltati gli uni dagli altri, si sono sentiti liberi di poterraccontare le loro emozioni e le loro esperienze. Il disegno aiuta a creare un clima difiducia e sicurezza, li incoraggia ad esternare i propri sentimenti.

Questo lavoro, lungi dal voler proporre facili soluzioni, intende fornire un quadro descrittivodella situazione dei tutor, delle loro conoscenze e competenze, delle loro modalità diintervento e supporto degli studenti nell’ambito della morte e del lutto. Di conseguenzaoffrire spunti di riflessione utili ad una successiva e competente pianificazione di interventiformativi rispetto a questo ambito di apprendimento.

La formazione è conoscenza e la conoscenza porta alla crescita dell’individuo come entità.E’ per questo che i tutor clinici e gli studenti, e gli infermieri in generale, hanno il diritto diessere formati, il dovere di informarsi e di crescere, di diventare liberi di provare emozionie sentimenti che non li coinvolgano negativamente, ma che li aiutino ad essere migliori persé stessi come professionisti della cura, ma anche per gli utenti che affrontanoquotidianamente (Cappelli, De Camillis, 2007).

BIBLIOGRAFIA- Brunelli T. (2005) A concept analysis: the grieving process for nurses. Nurs Forum 40(4):123-8.- Campione F. (2005) The last dance. Bologna: CLUEB Ed.- Cappelli C., De Camillis N. (2007) L’infermiere: vittima o sopravvissuto. Un no al burn-out dei sentimenti [tesi]. Pescara: Università degli studi “Gabriele d’Annunzio” Chieti-Pescara.- Jonsson A., Segesten K. (2003) The meaning of traumatic events as described by nurses in ambulance service. Accident and Emergency Nursing; 11: 141-152.- Jonsson A., Segesten K., Mattsson B. (2003) Post-traumatic stress among Swedish ambulance personnel. Emergency Medicine Journal; 20: 79-84.- Lylliman S., Gutteridge R., Berridge P. (2011) Using a storyboarding technique in the classroom to address end of life experiences in practice and engage student nurses in deeper reflection. Nurse Education in Practice, 11 179-185.- Monti M. (2001) Lo stress acuto negli operatori d’emergenza e sue complicanze. Descrizione e criteri di intervento nel personale. In: Relazione convegno AISACE, Lugo 11-12 ottobre 2001.- Zanlucchi C. (2003) Lo stress e le strategie di coping degli infermieri del soccorso extraospedaliero. Una ricerca qualitativa [tesi]. Trento: Università degli studi di Verona.

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La complessità assistenziale per la determinazionedell'organico infermieristico: l'esperienza di un prontosoccorso

di Pietro Ricci

Infermiere, Pronto soccorso Azienda Ospedaliera di Alessandria

Corrispondenza: [email protected]

INTRODUZIONEIl divario tra la domanda di prestazioni/assistenza da parte della popolazione e la rispostafornita dal Servizio Sanitario Nazionale, in particolare nell’ambito dell’emergenza-urgenza,si è tradotto in un notevole sovra-affollamento dei pronto soccorso ed in una domanda diassistenza richiesta da parte dei pazienti, più impegnativa rispetto al passato, e in unaumento del carico di lavoro dei sanitari.I fattori sottesi all’aumento del carico di lavoro sono numerosi:

• tipologia di pazienti: è in crescita il numero degli anziani (ISTAT 2011) e dei pazienticon poli-patologie che richiedono livelli e tempi di assistenza nettamente maggioririspetto ad alcuni decenni fa;

• contrazione numerica dei posti letto nei reparti di degenza con conseguenteaumento dei tempi di stazionamento in pronto soccorso prima del ricovero;

• nuovi modelli gestionali finalizzati a incrementare l’appropriatezza dei ricoveri eridurre i tempi di degenza nei reparti;

• accessi impropri al pronto soccorso, da parte di coloro che non utilizzano, perragioni diverse, l’assistenza sul territorio;

• aspettative degli assistiti e dei familiari anche in relazione alle mutate condizionisocio culturali;

• impiego di dispositivi terapeutici tecnologicamente sempre più complessi cherichiedono quindi livelli di preparazione maggiore da parte del personale sanitario.

Quanto descritto, oltre a determinare un progressivo aumento del carico di lavoro, haprodotto di conseguenza un aumento proporzionale della complessità dell’assistenza(Silvestro, Maricchio et al, 2009). All'aumento dell'attività assistenziale in pronto soccorsoha contribuito anche il passaggio da un modello gestionale "ADMIT to WORK" ricoverarapidamente per poi fare diagnosi in reparto, ad uno denominato "WORK to ADMIT" fai ladiagnosi più completa possibile in pronto soccorso per poi ricoverare, se necessario, nelreparto più appropriato. L'implementazione di tale modello a livello nazionale ha avutolarga diffusione, facendone emergere i notevoli vantaggi dal punto di vista economico. Aquesto però non ha fatto seguito un adeguamento in termini strutturali e di risorse umane.

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Il CONTESTO OPERATIVOLo scopo di questo lavoro è proporre l'utilizzo di un metodo per il calcolo del fabbisogno dirisorse umane in ambito infermieristico per le aree di pronto soccorso, che tenga conto deitempi necessari a garantire un buon livello di assistenza in relazione ai nuovi carichi dilavoro.

Dall’analisi della letteratura effettuata non sono emersi dati utili per l'individuazione di unmetodo di calcolo dell’entità dell’assistenza fornita e conseguentemente del fabbisogno dipersonale infermieristico per dipartimenti d'emergenza e accettazione.

Di fatto, quelli che potrebbero essere utilizzati come indicatori standard in grado di valutarel'aumento nel tempo dell'attività assistenziale (es.: codice di gravità del triage, permanenzamedia in pronto soccorso del paziente dopo la diagnosi e/o prima del ricovero, terapiemesse in atto, diagnosi del ricovero), non rispondono ai requisiti di completezza eduniformità richiesti. Infatti, non tutti i dati sono attualmente registrati con sistematicità (es.:le terapie effettuate sono riportate solo come prescrizioni nel diario medico) o non tuttisono direttamente acquisibili e standardizzati (es.: il codice di gravità del triage è spessooperatore-dipendente e comunque anche in presenza di linee guida interne non c’èuniformità tra i vari servizi di pronto soccorso).

L’unico strumento ritrovato in letteratura ed adattabile alla realtà sanitaria italiana, èrisultato essere quello utilizzato dal sistema CLOC che contempla il calcolo dei tempistandard, in minuti, per fornire l’assistenza per ogni prestazione nelle diverse unitàoperative, compreso il pronto soccorso. La modalità di calcolo fornita dal sistema CLOCaccanto ai dati ricavati dalla compilazione del diario infermieristico, ha rappresentato labase per la costruzione del metodo utilizzato nel nostro pronto soccorso.

Al DEA di Alessandria fino al 2011 l’unico contesto in cui il lavoro infermieristico venivasistematicamente documentato e registrato in modo informatizzato, era la postazione diTriage. Sin dal 1998, infatti, ogni paziente che accedeva al servizio di pronto soccorsoveniva registrato nel sistema informatizzato, per cui in caso di necessità era possibilerisalire al numero di passaggi annui e alla tipologia di prestazioni complessivamenteerogate dal servizio di emergenza–urgenza.

Di qui l’idea di calcolare, attraverso la compilazione sistematica del diario infermieristicoinformatizzato, anche il lavoro specificatamente svolto nella sola area di trattamento delpronto soccorso.

Il diario infermieristico, infatti, se sistematicamente e correttamente compilato, fornisce datiprecisi ed sull’attività svolta e consente di quantificare in modo uniforme e completo ilcarico assistenziale per ciascun paziente. Per questo, può essere utilizzato comestrumento standard per misurare l’attività assistenziale infermieristica ed il reale carico dilavoro (Moiset, Vanzetta 2009), e fornisce dati utili per il calcolo degli organiciinfermieristici.

Il PERCORSOE’ stato creato un gruppo di lavoro multidisciplinare che ha selezionato uno strumento,basato sulla tecnologia WHS (Windows Script Host). Lo strumento utilizza il PC Windowscome Host per gli script Visual Basic Script, la Clipboard di sistema e la suite Officepresente sui PC. Questi Script sono stati creati per semplificare, velocizzarle estandardizzare le registrazioni.

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L'automazione delle scritture, inoltre, ha garantito una certa uniformità di linguaggio,evitato errori di battitura e facilitato le attività di ricerca dei dati. L'utilizzo di questo sistemanon è stato imposto agli operatori: ciascuno è stato libero di aderirvi anche inconsiderazione delle caratteristiche delle registrazioni effettuate che sono tutte nominativee firmate elettronicamente.

Dalle registrazioni effettuate è stato possibile ricavare i dati relativi alle prestazioni perl’anno 2012, successivamente elaborati attraverso:

• “CONTA. SE” (Paganoni, Ponteggia 2008); • Visual Basic for Applications VBA di MS Excel (Salvaggio 2007) creando una macro

ad hoc; • VBA di MS Excel LCase.

Utilizzando questo sistema si è ottenuto il numero totale delle prestazioni infermieristicheerogate per l'intero anno 2012. Ogni prestazione è stata moltiplicata per i tempi in minutiricavati con il sistema CLOC” e si è calcolata così la quantità totale dei minuti assistenzanecessari per garantirle (Tabella 1).

Successivamente è stata effettuata la verifica degli eventuali scostamenti tra l'organico indotazione e il numero di unità necessarie a garantire i minuti assistenza ricavati conquesto metodo.

L’orario di lavoro previsto dalle norme per il comparto sanità, definito debito orario teoricoannuale viene così calcolato: [orario lordo (1872) - ferie (298) - tasso di assenteismo, cheper l'anno 2012 per l’azienda in esame è risultato essere del 25,58% (dati ricavati dallaU.O. Risorse Umane-Amministrazione Trasparente AO Alessandria).

Ogni giorno nella fascia diurna (14 ore) è garantita la presenza di 3 operatori e i minutiteorici d’assistenza sono 2520 (14x3x60). Nelle ore notturne sono presenti 2 infermieri iminuti sono 1200 (10x2x60): i minuti/anno sono 1.357.800 (3720x365).

Il numero di unità previsto nell'area post triage del pronto soccorso di Alessandria, è di 8infermieri nelle 24 ore, (2 turni da 7 ore con 3 unità, nelle ore diurne, ed un turno da 10 orecon 2 unità, nelle ore notturne); le unità attualmente dedicate alla gestione di quest'areasono 14.

Calcolando che ogni operatore deve garantire 1172 ore annue al netto delle ferie e deltasso di assenteismo, considerando il calcolo su 14 operatori i minuti assistenza risultanoessere 984.480 (1172x60x14).

La discrepanza tra il calcolo teorico e i minuti effettivi di assistenza risulta quindi esserepari a 373.320 minuti (1.357.800-984.480) per garantire i quali sarebbero necessarieulteriori 5 unità. Già con questo calcolo teorico si evince che l’organico èsottodimensionato e che la carenza è tamponata con il residuo ferie che ogni operatoremediamente si porta all’anno successivo.

Più precisamente, il risultato ottenuto dall’applicazione del metodo estrapolato dallacompilazione sistematica del diario infermieristico, fa rilevare una carenza di 8 unità: iminuti assistenza erogati nell’anno preso in esame, risultano essere 1.567.511 (Tabella 1)rispetto ai 984480 minuti effettivi, garantiti dall'organico di 14 operatori previstodall’Azienda.

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LE CONSIDERAZIONII risultati ottenuti hanno dimostrato che l'attività assistenziale e gli organici, nonandrebbero calcolati solo sulla base del numero degli accessi annui, come previsto dallenormative vigenti, ma sarebbe opportuno considerare anche la complessità assistenzialedegli utenti e l’aumento della loro permanenza in pronto soccorso.

I dati raccolti e i successivi calcoli hanno fatto emergere che per erogare l'assistenzainfermieristica nell'area post triage, del pronto soccorso dell'ospedale di Alessandria, perl’anno 2012, sono stati necessari 1.567.511 minuti di lavoro. L’analisi di questo dato hapermesso di stabilire che l’organico infermieristico necessario per l’area di trattamento,considerando le ore effettive di lavoro, dovrebbe essere di 22 unità e non di 14 comeattualmente.

Questa dotazione di personale, peraltro, risulta numericamente deficitaria soprattutto se sivalutano anche i cambiamenti organizzativi determinati dalla riduzione delle risorseeconomiche destinate alla sanità. I professionisti che operano in questo settore devononecessariamente velocizzare la loro attività per ridurre i tempi delle prestazioni, oltre chegarantire i rientri per la copertura dei turni.

E’ importante riflettere su come ciò crei una situazione di rischio sia per l’utente che perl’operatore. Da un lato, infatti il paziente può non ricevere l’assistenza adeguata oaddirittura essere vittima di errori da parte dell’operatore che ‘lavora in fretta’. Dall’altro,l’operatore che ha un carico di lavoro troppo elevato non solo rischia di commetteremaggior numero di errori, ma la qualità della sua vita lavorativa, nonché la qualità dellavita in generale, ne risultano quantomeno compromesse.

Analizzando i dati nazionali degli ultimi dieci anni, non si può non notare come gliamministratori abbiano cercato, in virtù del contenimento dei costi, di razionalizzare laspesa riducendo i posti letto, accorpando le diverse unità operative, modificando le attivitàdi reparto, determinando di fatto una riduzione dei giorni di ospedalizzazione dei malati.Tutto questo, pur consentendo una contrazione della spesa sanitaria, ha comportato unaumento dell’attività assistenziale nei dipartimenti d’emergenza.

Il lavoro condotto ha messo in luce l’importanza della compilazione sistematica del diarioinfermieristico in pronto soccorso, non solo per fini di ricerca o per rendere più completa ladocumentazione clinica (Benci 2011) del paziente, ma anche e soprattutto in quanto unicostrumento in grado di documentare l'attività svolta.

Con il diario infermieristico è infatti possibile monitorare l'attività lavorativa del personaleinfermieristico e determinare l’eventuale necessità di incremento dell’organico, o, alcontrario, in alcune realtà, mantenere costante il numero di unità assegnate.

In ultimo, un dato positivo che emerge dallo studio condotto, è che, nonostantel’imprevedibilità e la frenesia dell’attività in Pronto Soccorso, documentare l’assistenzainfermieristica attraverso la compilazione sistematica del diario infermieristico è possibileanche nei dipartimenti d’emergenza.

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Tabella 1 - Tabella tempi delle prestazioni infermieristiche 2012

ASSISTENZA DIRETTA

PRESTAZIONE QUANTITA' TEMPO S. CLOC TEMP TOTALE TOTALI

Posizionamento CVP 14249 15 213735

Esecuzione EGA 8564 15 128460

Esecuzione ECG 23988 10 239880

Esecuzione prelievo ematico 11931 10 119310

Esecuzione emocolture 774 20 15480

Somm. terapia endovenosa 15192 15 227880

Somm. terapia intramuscolare 2055 10 20550

Somm. terapia orale 5274 15 79110

Somm. areosol terapia 1077 15 16155

Posizionamento CV 974 15 14610

Esec. cure igieniche preventive 974 10 9740

Esecuzione cure igieniche 312 25 7800

Rilievo parametri vitali 4352 3 13056

Ass. al posizionamento CVC 72 40 2880

Ass. all'incan. della arteria 13 15 195

Ass. al paziente in NIV 392 90 35280

Ass. alla sutura 1009 20 20180

Ass. al pos. drenaggio toracico 11 25 275

Ass. all'intubazione 36 20 720

Trasporto protetto 92 30 2760

Somm. terapia sottocutanea 2924 5 14620

Esec. altri esami colturali 1657 10 16570

Pos. presidi per O2 terapia 801 15 12015

Posizionamento SNG 492 20 9840

Esecuzione lavanda gastrica 68 30 2040

Esecuzione medicazione 1565 10 15650

Ass. alla rachicentesi 9 40 360

Trasfusioni (GR - plasma - piastrine) 970 30 29100

Composizione salma 59 90 5310

Rimozione abiti 29850 3 89550 1363111

ASSISTENZA INDIRETTA

Compilazione documentazione (5x365) 20 36500

Comunicazione tra infermiere parente

(5x365) 20 36500

Comunicazione tra infermiere e medico

(5x365) 60 109500

Riordino materiale 365 60 21900 204400

TOTALE MINUTI ASSISTENZA 1567511

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BIBLIOGRAFIA- Amministrazione trasparente del sito ufficiale Azienda Ospedaliera SS Antonio e Biagio disponibile all'indirizzo www.ospedale.al.it, (ultima consultazione 14 marzo 2013).- Silvestro A, Maricchio R, Montanaro A, Molinar Min M, Rossetto P, (2009) "La complessità assistenziale" The McGraw-Hill Companies, S.r.l. Italia Milano.- Paganoni A M, Ponteggia L (2008). "Laboratorio di statistica con Excel" . Pearson Paravia Bruno MondadoriS.p.A. Milano.- Benci, L. (2011). "Gli aspetti giuridici della professione infermieristica" 6 edizione, The McGraw-Hill Companies, S.r.l. Italia Milano.- ISTAT Censimento 2011, disponibile all'indirizzo www.istat.it, (ultima consultazione 18 gennaio 2013).- Moiset C, Vanzetta M, (2009). "Misurare l'assistenza". The McGraw-Hill Companies, S.r.l. Italia Milano.- Decreto Legge 7 maggio 2012 disposizioni urgenti per la razionalizzazione della spesa pubblico (GU n.106.del 8 maggio 2012).- Autori Vari, GRIAC. Gruppo di Ricerca Infermieristica di Area Critica (1998) "Sistema cloc" The McGraw-HillCompanies, S.r.l. Italia Milano.- Programma Regionale di Valutazione degli Esiti degli interventi sanitari (P.Re.Val.E.) disponibile all'indirizzowww.epidemiologia.lazio.it/prevale13/, (ultima consultazione 1 febbraio 2013).- Salvaggio A, (2007). "Excel 2007 Macro e VBA". Edizioni FAG Milano.

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Indagine sulla soddisfazione lavorativa degli infermieridi chirurgia in un'azienda sanitaria dell'Emilia Romagna

di Silvia Polastri (1), Michela Zanandrea (2), Loredana Gamberoni (3), Claudio Bonifazzi(4), Valerio Muzzioli (5)

(1) CPSI c/o Blocco Operatorio Polispecialistico, Azienda Ospedaliero Universitaria di Ferrara(2) CPSE c/o Formazione e Aggiornamento, Azienda Ospedaliera Universitaria di Ferrara(3) Prof. a contratto di Sociologia della Salute Università di Ferrara(4) Prof. Ricercatore Dipartimento di Scienze biomediche e chirurgico specialistiche Università di Ferrara(5) docente di Informatica Università di Ferrara

Corrispondenza: [email protected]

Il tema del benessere del personale sanitario è analizzato da molto tempo nei contestianglosassoni e americani, mentre in Italia solo da alcuni decenni è oggetto di ricerche inambito psicosociale e organizzativo. Tradizionalmente le indagini che hanno trattato temiattinenti la definizione e la misurazione dei livelli di benessere sono state identificate convariabili di natura economica; negli ultimi anni, grazie anche al contributo di idee e dianalisi offerte da numerosi filosofi, economisti ed esperti di organizzazione quali P.Dasgupta, J.B. Rawls e A. Sen, si è promosso un nuovo approccio che considera ilbenessere come un fenomeno multidimensionale.

Dagli studi finora condotti si evidenzia che il lavoro dell’infermiere presenta diversi aspettiche concorrono a “minare” il benessere quali: affrontare situazioni di vita o di morte, diangoscia; rispondere a persone che fanno domande impegnative e imbarazzanti;conciliare gli impegni di lavoro con quelli di famiglia. A questi se ne aggiungono altri, qualiil mancato riconoscimento professionale e la difficoltà di esprimere al meglio le propriepotenzialità legata ai modelli organizzativi del lavoro che sono ancora in molti casi orientatiai compiti.

Si è quindi valutato opportuno sondare la soddisfazione correlata al lavoro negli infermieridell’area chirurgica, in quanto i dipartimenti chirurgici della nostra Azienda sonocaratterizzati dalla presenza di personale relativamente stabile, con tassi contenuti di turnover e di assenteismo. Le rilevazioni sono state effettuate alla vigilia di un cambiamentoorganizzativo importante, quale il trasferimento della sede, interpellando 89 soggettitramite un questionario individuale anonimo a risposta multipla, adattato al contestochirurgico dell’A.O.U.S. Anna, proposto agli infermieri per una compilazione su basevolontaria.

RisultatiDall’analisi emerge che la soddisfazione degli infermieri, nel 2009, è distribuitamaggiormente sul gruppo logico “benefici”, mentre nel 2010 su “clima relazionale” e”formazione e sviluppo professionale”.

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Tabella 1

Anno 2009 Anno 2010

Media(tot)

DS(tot)

α diCronbach

Media(tot)

DS(tot)

α diCronbach

1. Benefici 23.763 5.398 0.8195 23.481 4.779 0.7610

2. Pianificazione Vita/lavoro 16.091 4.416 0.7617 16.080 5.164 0.8385

3. Clima relazionale 29.972 7.520 0.8706 28.952 6.084 0.7823

4. Formazione e sviluppo Professionale

13.988 3.747 0.8635 15.149 4.085 0.8352

Nel confronto tra l’anno 2009 e 2010, la differenza maggiore si nota sul gruppo 4,evidenziando una maggior soddisfazione percepita nell’ambito della formazione.

DiscussioneAnalizzando gli esiti della nostra indagine si constata che il personale infermieristico abbia“reagito” ad un cambiamento logistico ed organizzativo che si stava prospettando,spostando tutta la sua attenzione al gruppo, quasi a voler attingere una certa forza. Lepressioni organizzative che il gruppo ha ricevuto hanno prodotto una richiesta diadattamento, gli stimoli risultanti dal clima dell’ambiente di lavoro hanno portato gliinfermieri a sviluppare capacità per sostenere eventi negativi e convertire questeesperienze in situazioni di stabilità, fino ad occasioni di crescita e di sviluppo. Possiamodefinirla una forma di resilienza, intesa come un processo dinamico che si sviluppa traindividuo e ambiente (Tusaie et al., 2004).

Nel 2010 si è evidenziato poi un nuovo bisogno infermieristico: la necessità di costruire erichiedere la creazione di legami significativi all’interno dell’”organizzazione ospedale”.L’opportunità di far parte di progetti e gruppi di lavoro aziendali, oppure di interagire inprima persona con l’Università o i Centri di formazione sembrano essere stati la “ricettagiusta” per aiutare il professionista a “ripensarsi”, trovando nuove fonti di soddisfazionepersonale e professionale.

ConclusioniI risultati, seppure limitati a un solo setting infermieristico, confermano come la professioneinfermieristica sia connotata dalla compresenza di fattori di soddisfazione einsoddisfazione, che configurano un equilibrio fragile e instabile. Le direzioni professionaliin primis e quella aziendale subito dopo devono tenere costantemente sotto controllo isintomi di malessere, che potrebbero generare eventi non voluti quali alti tassi di turn over,assenteismo o peggio ancora errori nelle attività professionali.

L’indagine ha evidenziato come vi sia l’esigenza di definire ruoli più ricchi di spazidecisionali e di responsabilità, con la necessità costante di fare gruppo e di sentirsi partedi un gruppo. Si riscontra una forte richiesta, oggi, di darsi un’organizzazione basata sulprocessi di lavoro integrati e multi professionali, ovvero un’organizzazione capace diridurre la catena gerarchica e di valorizzare il coordinamento orizzontale, nonché unarricchimento dei ruoli organizzativi per processi e per obiettivi.

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RIVISTE- A.A.V.V., A survey of role stress, coping and health in Australian and New Zeland hospital Nurses, International Journal of Nursing Studies 44 (2007) 1354-1362.- A.A.V.V., The relationship Between Hospital Unit Culture and nurses’ Quality of Work life, Journal of healthcare Management, Jan/Feb 2002; 47,1.- Bega S, Ferraresi A, Percezione dell’appropriatezza del lavoro in un gruppo di infermieri ospedalieri con diversi percorsi formative di base, Management Infermieristico, N 4/2008.- Benso P.G, Gerbaudo L, Violante B, Violante S, Correlazione tra soddisfazione lavorativa e fattori di stress,burnout e benessere psicosociale tra infermieri che lavorano in differenti ambiti sanitari, Giornale Italiano Medicina del Lavoro Regonomia, supplemento A Psicologia, 2009.- Biavati C, Calanchi S, Chiari P, Chiarelli P, D’Ercole F, Farinella P, Fontana S, Martelli B, Mosci D, Parma D,Ruffini B, Robb MC, Sansolino S, Taddia P, Valutazione della soddisfazione per l’organizzazione basata sullavalorizzazione di posizioni funzionali, tra gli infermieri del Policlinico S.Orsola-Malpighi,Assistenza infermieristica e ricerca, 2007,26,4.- Cafaro G, Sansoni J, Job satisfaction: uno studio tra pubblico e privato, Professioni Infermieristiche Vol 63 n2 Aprile-Giugno pp 67-76; 2010.- Camerino D, MansanoSarquis LM, Condizioni di lavoro, salute e benessere del personale infermieristico in Europa, Professioni Infermieristiche,Vol 63, n.1 Gennaio-Marzo 2010, pp 53-61.- Castaldo A, Soddisfazione operatori, il tema cruciale della valutazione in Residenza, Assistenza Anziani, Gennaio, 2009.- Cortese CG, Ghisilieri C, Colombo L, satisfaction: presence of work-family conflict in a sample of Italian nurses, Med Lav. 2008 Sep-Oct;99(5):371-86.- Crems (a cura di) La motivazione al lavoro secondo Herzberg e Mcgregor, Risorse Umane, Gennaio-Febbraio 2008.- Di Nuovo S, Zanchi S, Benessere lavorativo:una ricerca sulla soddisfazione e le emozioni positive della mansione, Giornaledipsicologia.it,Vol.2 NO.1-2, 2008.- Doran D M, McGillis Hall L, Petch T, Tourangeau A E, Measurement of Nurse Job Satisfaction Using the McCloskey/Mueller Satisfaction Scale, Nursing Research March/April 2006 Vol 55, No 2.- McCloskey JC Mueller CW,Nurses' job satisfaction: a proposed measure, Nurs Res. 1990 Mar-Apr;39(2):113-7.- McVicar A, Workplace stress in nursing: a literatur review, Blackwell Publishing, 2003.- Toode K, Routasalo P, Suominen T, Work motivation of nurses: A literature review, Int J Nurs Stud. 2010 Oct 12.- Tusaie K, Dyer J., Resilience: a historical review of construct Holist Nurs Pract. 2004.

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Filosofia per i professionisti della cura

Roberta SalaCarocci, 2014pagine 154, euro 16,00

Un viaggio interessante e originale quello che Roberta Sala,autrice già nota ai lettori infermieri, offre a tutti i professionistidella cura. Nel percorso che il suo volume propone vieneesplorato il ruolo e il significato della riflessione filosoficanell’ambito delle professioni della cura, con unapprofondimento sullo sviluppo del senso di responsabilitàprofessionale per coloro che sono chiamati a prendere incarico persone in situazione di necessità/fragilità.Come si può comprendere già dal titolo dell’opera, Sala ritieneche la formazione umanistica sia fondamentale per iprofessionisti della cura: una posizione oggi di tendenza,comune a molti, sebbene in realtà i percorsi di formazione dibase dei professionisti in questione non siano adeguati aquesta posizione diffusa e condivisa. Più in generale si devericordare che la crisi della cultura umanistica è trasversale auna ben più ampia categoria: le discipline scientifiche

sembrano vincerla in molti percorsi didattici delle scuole superiori, per esempio, con unorientamento pressoché monocorde nello sviluppo degli adolescenti.

Un volume quindi che intraprende un percorso diverso e lo propone ai lettori peraccentuare la riflessione sulle reali caratteristiche di un professionista della cura, per iquali la filosofia è un insegnamento indispensabile. In particolare sono da mettere in primopiano alcuni degli strumenti del mestiere del filosofo, per esempio di Socrate, che possonocostituire anche punti di ricerca e di attenzione del sanitario:- il partecipare a “quell’inesausto e inesauribile ricercare” che è tipico dei professionisti chehanno la grande responsabilità di prendere in carico delle persone, quindinecessariamente orientate alla ricerca come attitudine di fondo;- lo sviluppo di un senso critico, che dovrebbe essere proprio di ogni professionista, perdefinizione autonomo nei suoi giudizi e libero da pregiudizi;- l’abbandono delle convenzioni e abitudini in quanto tali, per lasciare spazio alla ricerca dinuovi spiegazioni, così come alla testimonianza delle proprie convinzioni.Il lungo viaggio sulla responsabilità di Sala prende le mosse dall’Apologia di Socrate diPlatone, procedendo poi con un percorso argomentativo che sottolinea “alcune riflessionifondamentali relativamente al significato della filosofia, al senso di praticarla, alla suafunzione, nonché alla sua eventuale utilità” (pag. 20).

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Efficacemente, aiutandosi con un linguaggio approcciabile a tutti, anche a chi non haprecedenti confidenze con la filosofia, Sala recupera il messaggio socratico, che proponeper punti essenziali:

• “la filosofia non deve rimanere un’impresa intellettuale isolata e astratta, ma deveassumersi il compito di migliorare le persone che sono coinvolte, più o menodirettamente, nella sua pratica”;

• “la filosofia non è un sapere per pochi eletti”; • “la filosofia richiede coraggio”: probabilmente per questo non è facile né studiarla né

insegnarla; • “la filosofia esige che si ragioni in proprio, ciascuno con la propria testa”; • “la filosofia rende disobbedienti (…) Essere liberi di pensare impone il dovere

morale di disobbedire se obbedire significa commettere ingiustizia”; • “la filosofia è per menti aperte, disposte a rinunciare a protezioni e salvacondotti”

(pag. 21 e 22).

Un insegnamento per niente fuori tempo, quindi, che anzi riporta l’attenzione su temi focalianche del nostro tempo: l’impegno della famiglia professionale, di ognuna di quelle checostituiscono la nostra comunità scientifica e civile, è essenziale per lo sviluppo positivo ditutta la società, dato che i professionisti sanitari non possono occuparsi solo di standard diprestazioni, bensì di dove va la salute rispetto agli attuali impegni/attenzioni di chi èchiamato a scegliere, e anche noi lo siamo.

La deontologia entra quindi in tutta la sua rilevanza in questa discussione, lunga ben 128pagine, sorretta per di più da un ampio corredo bibliografico, comprensivo di noteesplicative per condurre tutti verso l’approfondimento. I professionisti della cura, medici einfermieri in special modo, appartengono ad “una comunità volontaria che si regge supropri valori, idealmente sottoscritti al momento dell’adesione a essa” (pag. 48). Laprofessione è quindi “la comunità volontaria di individui che intendono condividere valori,azioni, condotte e finalità” (pag. 51). E’ questo uno spunto di riflessione estremamenteattuale per i curanti, in quanto la dimensione valoriale dei professionisti sta ponendosisullo sfondo, nella società attuale, anziché in primo piano.

Lo spazio per sviluppare questa dimensione della professione è ormai molto limitato nelpercorso formativo e il prezzo di questa scelta sarà oneroso nel tempo se non vi si porràprovvedimento. Ma Sala non accetta questa posizione secondaria della deontologia,ribadendo anzi che “il professionista agisce liberamente secondo una norma dettata dallaprofessione (dal gruppo professionale), norma che tuttavia egli riconosce come propria delsuo agire da professionista in quanto appartenente a quella particolare professione” (pag.53). La deontologia di conseguenza rende libero il professionista, o come afferma Sala“riconoscere una valenza morale all’agire deontologico significa riconoscere nell’agireprofessionale un ampio spazio all’autonomia: non agisce conformemente a doveri (e nonsoltanto obbedendo a essi) se non chi ha la libertà di agire disattendendoli (…) Solocomprendendo questo intreccio tra libertà e dovere si comprende il senso più profondodella responsabilità: essa è il dovere di rendere conto del proprio operato in quantoespressione della propria decisione autonoma, che è autonoma in quanto determinatadalla legge morale, dai dettami della coscienza. Responsabile può essere solo chi èautonomo, ovvero solo colui che agisce coscientemente, che sa di dover agire secondoquella norma fondamentale che è la sua coscienza morale. Agire deontologicamentesignifica dunque agire responsabilmente, in modo conforme agli ideali della professione eai suoi correlati doveri. Agire deontologicamente non significa, pertanto, eseguire comandiquanto piuttosto avvertire la doverosità morale di certi atti o azioni” (pag. 53).

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Più avanti Sala riprende la questione morale facendoci apprezzare l’insensatezza di unluogo comune che vuole separata nell’esperienza individuale la regione e il sentimento, ocome riportato a pag. 115, sense and sensibility, intesi come “la capacità di cogliere inun’unica visione di insieme i significati delle cose che accadono e del loro simultaneoaccadere” (pag. 117). La dimensione della cura permette di recuperare l’una e l’altravisione ed esperienza, assumendo “l’atteggiamento della cura come sfondo delle singoledecisioni, richieste per ogni situazione, andando oltre le regole apprese e individuando isignificati delle cose che accadono nelle circostanze in cui accadono. Non basta sapere amemoria manuali di etica o codici di deontologia se non si possiede la cura” (pag. 119).

Con questo percorso in 7 capitoli, quindi più che approcciabile e agile, Sala ci conduce aconstatare le sfide del nostro tempo per le professioni di cura: “solo da persone libere sisente l’appello che gli altri ci rivolgono; riconoscerli liberi, eguali, degni di eguale rispetto.Tutte queste parole trovano sintesi nella cura che dobbiamo loro, a noi stessi, alla nostracomune umanità” (pag. 128).

Laura D’Addio

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Alcol: bugie e verità, tutti i rischi del bere

Gianni TestinoIl Pensiero Scientifico Editore - collana Informapagine 296, euro 22,00

L’opera del professor Giovanni Testino dal titolo “Alcol: bugie everità, tutti i rischi del bere”, costituisce, nel panoramascientifico, un’analisi innovativa, dettagliata e rigorosa su unfenomeno, quello del consumo delle bevande alcoliche, cheaffligge la società.Medico, specialista in Medicina interna e gastroenterologia edEndoscopia digestiva, e coordinatore del Centro AlcologicoRegionale della regione Liguria, il professor Giovanni Testino,avvalendosi della collaborazione di personalità eminenti delsettore, traccia un percorso unico e approfondito del problema,ben fruibile per la chiarezza e la semplicità del linguaggioanche a chi non è un operatore sanitario. Tale percorso originadalla simbologia e dall’utilità che il vino e le bevande alcolicheavevano nelle culture antiche e in ambito religioso, fino atoccare gli anni del proibizionismo per arrivare a descrivere

“che cosa significa bere, oggi”, con tutte le conseguenze che ne derivano e chestravolgono la sfera della salute, sociale e familiare.

A tale proposito è interessante notare come in Italia, già nei primi anni del ‘900, si parlassedi alcolismo, cioè di un problema che si manifestava in tutta la sua gravità. Ecco perciòche nel 1904, a Bergamo, il Dott. Luigi Agliardi tenne il “I° Convegno Antialcoolisticoitaliano”, nel quale spiegò quanto fosse importante una solida propaganda antialcolista,condotta dalle istituzioni unitamente al clero, ai medici, agli insegnanti, a campagnepubblicitarie e a conferenze e lezioni, ai fini di estirpare la piaga dell’alcol. E, proprio allaluce di questo problema, che nel corso degli anni coinvolgeva sempre più la popolazione,nel 1913 il Governo Giolitti varò la legge n. 632 recante la voce “Provvedimenti percombattere l’alcolismo in Italia”.

Ad oggi tante sono state le leggi che si sono susseguite in materia di prevenzionedell’alcol, in particolare ricordo il “Manifesto europeo Amphora”, promosso nel 2012 da 71scienziati appartenenti a 33 organizzazioni di 14 paesi europei, e nato alla luce dell’ancoraelevato numero di decessi alcol-correlati. Il documento, ancora una volta ha ribaditol’importanza della prevenzione in materia legislativa e pubblicitaria, e l’importanza,particolare non di poco conto, del rivalutare alcune normative ancora vigenti.Eppure, già la conoscenza delle patologie che originano dall’assunzione di bevandealcoliche (come: cirrosi epatica, tumori all’esofago, alla laringe, all’intestino), dovrebbeindurre il consumatore a non assumere più tali sostanze, e invece, a tutt’oggi, bere èancora un comportamento socialmente accettato, che nel nostro paese è tra l’altro parteintegrante della nostra cultura, mediterranea, dove bere un bicchiere di vino, a tavola, èscontato come bere un bicchiere d’acqua.

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Per questo Giovanni Testino, nel libro, cerca di stimolare il lettore a riflettere sui tanti falsimiti che gravitano intorno all’alcol, quali per esempio: “consumo sociale-moderato”, e sucome e su quanto la comunicazione possa indurre la persona ad assumere una specificasostanza perché “è figo” perché “lo fa tutto il gruppo al quale appartengo” perché “quandoio e i miei amici ci ritroviamo in quel locale, non possiamo non bere una birra”.Ecco allora che Giovanni Testino spiega come non esista un “consumo sociale-moderato”,e ad avvalorare la tesi che un bicchiere di vino ai pasti nuoce alla salute sono i datiscientifici, confermati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Dati che spesso, epurtroppo, sono poco conosciuti dagli operatori sanitari se non addirittura oscurati, edinoltre manipolati da chi ha da guadagnare dalla vendita di alcolici, e peggio ancora sonosottovalutati dalla cultura della nostra stessa società, che consiglia il consumo di alcol,spesso pari a un bicchiere di vino ai pasti, anche nei regimi dietetici salutistici, implicantianche lo svolgimento di un’attività fisica.Chi guadagna dalla vendità di alcolici sono le lobby dell’alcol e della pubblicità, unite tra diloro da un legame potente e difficile da combattere, perché si avvale di uno strumentoinossidabile: l’operato di ricercatori e pubblicitari, che riescono a costruire un messaggioefficace nel fare leva sui desideri dei giovani e sui piaceri della vita, e questo nonostante lalegge 125 del 2001 sottolinei come “non debba essere prodotta nessuna pubblicità cheinduce a bere, ma bisogna limitarsi a fare conoscere il prodotto”.

Come trattare quindi, si chiede l’Autore, l’alcol dipendenza? Rivalutando il modo dilavorare nel trattamento dell’alcol-dipendenza, e dunque considerando, prima di tutto,l’individuo, la famiglia e la società non come tre unità distinte. Esse vanno bensìconsiderate come un insieme che deve essere stimolato a crescere e a maturare, e chedeve essere valorizzato trasformandolo nella parte attiva e consapevole dei percorsi dicura e di trattamento, e delle strategie di prevenzione. Ciò perché molto resta ancora dafare e da recuperare sul piano delle relazioni umane, della promozione della salute e diuna organizzazione sanitaria complessa più moderna e sostenibile.Tuttavia questo nuovo modo di lavorare, a mio parere rivoluzionario, purtroppo viene oggiapplicato solo in pochi casi, ma sono certo che conoscerà la sua massima espansionequando verrà creata un’intesa, un legame certo tra gli operatori della salute, tra la famigliae i gruppi di auto-aiuto.

In particolare, conclude Testino, l’attenzione deve essere rivolta al volontariato di auto-aiuto: “un’affascinante economia alternativa, che è sempre con noi, un’economiaeccezionalmente produttiva che genera vita, una sorgente di benessere per tutti che nonconosce crisi” (John Mac-an-Leisdre). E nell’auto-aiuto, importante è la formazione deigiovani, la crescita morale, civica e la scelta a seguire stili di vita compatibili con la propriasalute e quella degli altri. Questi valori vanno coltivati e continuamente rinnovati così comela libertà dell’uomo sempre si rinnova, e quindi ogni persona, ogni generazione anche avenire, può e deve prendere di nuovo in mano le conoscenze morali, civiche e scientificheche gli sono state passate, senza lasciare che la responsabilità dei nostri pensieri e dellenostre azioni sia delegata ad altri.

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La vera forza e l’originalità di questa opera di Giovanni Testino, basata su elementiscientificamente indiscutibili, sta proprio nel riuscire a chiarire i dubbi che interessano tutti icittadini, e che possono essere riassunti nei seguenti assiomi:

a. L’alcol etilico, componente di tutte le bevande alcoliche (es. vino, birra, spumante,superalcolici, etc.), è una sostanza psicoattiva, una droga con una capacità diindurre dipendenza superiore alle droghe illegali più conosciute.

b. L’alcol etilico è un noto cancerogeno, responsabile della formazione di tumori, edetermina effetti tossici su tutti i nostri organi, tra cui i più vulnerabili sono il fegato eil sistema nervoso centrale.

c. Pur essendo presente in molte abitudini e stili alimentari, l’alcol etilico non è unalimento né un nutriente per il nostro organismo, come lo sono invece le proteine, icarboidrati o i grassi alimentari.

d. In base alle conoscenze scientifiche attuali non è possibile raccomandare unaquantità di alcol sicura per la salute: il rischio esiste a qualsiasi livello di consumoed aumenta progressivamente con l’aumentare delle quantità di alcol assunte, coneffetto cumulativo.

Valentino PatussiDirettore SOD di Alcologia della AOUC e

Coordinatore del Centro Alcologico Regionale Toscano

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