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Collana Il mestiere di scrivere diretta da Gianluca Polastri Viola di vento © 2011 WLM EDIZIONI Stezzano-BG-IT Fax: 0039 178 2248526 www.wlmedizioni.com [email protected] Prima edizione: novembre 2011 ISBN 978-88-97382-03-4 In copertina: Viola di Luciana Navone Nosari, rielaborazione fotografica.

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Collana Il mestiere di scrivere diretta da Gianluca Polastri

Viola di vento © 2011 WLM EDIZIONI Stezzano-BG-IT Fax: 0039 178 2248526

www.wlmedizioni.com [email protected] Prima edizione: novembre 2011 ISBN 978-88-97382-03-4

In copertina: Viola di Luciana Navone Nosari, rielaborazione fotografica.

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Luciana Navone Nosari

Viola di vento

WLM

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La collana Il mestiere di scrivere di WLM è diretta dallo scrittore Gianluca Polastri. Chi volesse sottoporre un proprio manoscritto alla sua attenzione, dovrà prima superare la selezione del comitato di lettura della casa editrice. Per maggiori informazioni andare sul sito: www.wlmedizioni.com

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A tutti gli amici cullati dal vento del cuore.

Nel sentiero della vita o sulla strada d’un differente respiro.

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P r o l o g o

Le viole di vento nascono dal capriccio di un ventomigratore o dalla carezza di una farfalla. E chiedono asilo agli alti fili d’erba, sotto le aguzze spine delle more. Dei rovi. Delle rose canine.

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Luciana Navone Nosari Viola di vento

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Viola

La donna avanzò a tentoni, le mani tese in avanti; spe-rava di trovare la luce al di là di tutto quel buio. Avvertì sotto i palmi il legno della porta, quindi ne tastò la su-perficie alla ricerca di un pomello, di una maniglia. Nello scostare il battente udì un prolungato cigolio e subito s’imbatté in alcuni mucchietti di trucioli. Il rumore del vento la colpì prima ancora che lo sguar-do incontrasse l’immensa distesa d’erba schiaffeggiata da pesanti folate. I suoi occhi indugiarono sul manto verde, violato dai colori dei fiori e interrotto all’orizzonte da morbide alture e puntute cime innevate. Voltò il capo per osservare il riparo che si era appena lasciata alle spalle. Pareva trattarsi di una baita. Fu as-salita da una lunga vertigine. Non aveva alcun sentore di sé, né del luogo che la circondava. “Chi sono? Che cosa faccio qui?” si domandò in preda all’angoscia. Posò lo sguardo sui fianchi, sulle spalle, sulle ginocchia, sulle caviglie. Indossava una camicia di seta nera e una stretta gonna color bronzo fermata da un’alta cintura. Notò che la gonna presentava uno strappo all’altezza della coscia destra; il tessuto era sfi-lacciato e un lembo penzolava lasciando scoperta la

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fodera. Le scarpe in pelle nera avevano un tacco slan-ciato e sottile. L’ondata di panico aumentò d’intensità; le colpì la gola e le avvolse la nuca, procurandole lun-ghi brividi sotto la cute, fra i capelli, sulla fronte. Chiuse gli occhi. Lasciò che il vento l’aggredisse e cer-cò di annullarne la voce per poter immaginare il silen-zio… Tra le folate si fece strada un profumo che non seppe definire e mendicò, da quella memoria che le ne-gava l’identità, un nome, un’immagine. «Arquebuse!» pronunciò a voce alta, alzando le palpebre e cercando l’origine di quella fragranza. Adesso ricordava dei grappoli verde chiaro, morbidi, coperti di uno strato fa-rinoso talmente reale che le parve di sentirlo attaccato ai polpastrelli. Si chinò e scostò con frenesia i fili d’erba avvolti dal vento come piccoli ma tenaci covoni. Frugò tra fiori e alti steli e fu un intenso profumo d’incenso ad annun-ciare il felice esito della ricerca. Non volle privare la piccola pianta di alcuna sua parte, tantomeno togliere dalla terra le tenere radici che la rendevano viva. La ammirò a lungo, per fissare nella memoria quel lampo apparso in un attimo e poi finalmente concretizzato. Temeva potesse sfumare e tornare fra il vuoto sovrano che imperava dal cuore alla mente. Accostò la bocca al ricordo ritrovato e, rischiarata da un fulmine fugace, le apparve la figura di una bimba appesa alla grande mano di un uomo, a sostenerla mentre lei si chinava a odorare l’arquebuse.

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Notò che sui tacchi delle scarpe, sfrangiati, pendevano palline di terra secca e si domandò come avesse fatto a raggiungere la baita con quelle calzature. I suoi piedi erano coperti di polvere intervallata da tracce rosse e filiformi serpentine sanguinolenti, quindi immaginò di aver camminato scalza lungo il sentiero che portava fin lì. Nel rientrare dentro la casa in pietra lasciò la porta aperta; la luce che vi filtrò le permise di osservare il contenuto della stanza, la cui sola finestra era chiusa da scuri in legno segnati da solchi profondi. Un tavolo quadrato era attorniato da tre sedie e da uno sgabello a quattro gambe, di cui una notevolmente più corta. Sul fondo, una credenza appariva lucida per l’umidità che sgorgava dalle larghe e irregolari pietre della parete, mentre il soffitto era attraversato da una croce di travi a sostenere il tetto in ardesia. Un pagliericcio nascosto da una coperta militare pareva inginocchiato verso il pa-vimento e la donna si chiese come ci si potesse disten-dere senza finire a terra. Cercò avidamente con lo sguardo, ma invano, una borsa, un oggetto, o quant’altro potesse aiutarla a risalire alla propria identi-tà. «C’è qualcuno?» udì pronunciare da una voce femmini-le. Si voltò verso l’uscio e scorse l’indistinto, scuro profilo di una figura bassa, tarchiata, le gambe divaricate e le braccia sui fianchi, ma dal momento che si trovava in controluce ebbe qualche difficoltà a distinguerne subito

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il volto e l’abbigliamento. Si trattava di una donna che dimostrava una sessantina d’anni, il viso rugoso brucia-to dal sole, i capelli filati di bianco raccolti in una trec-cia fissata alla nuca. Indossava una maglietta grigia a maniche corte, mentre un grembiule nero celava par-zialmente una gonna amaranto, gonfiata ‘a ombrello’ su polpacci simili a grossi gherigli di noci. Sembrava che le caviglie, robusti capitelli accerchiati da calzerotti ri-voltati su zoccoli neri, li avessero proiettati verso l’alto. «Scusi, mi sono trovata qui… » si giustificò con la nuova venuta. «È casa sua?» «Non si allarmi, questa è di tutti e di nessuno, ma ho visto la porta aperta… non entra quasi mai nessuno qua dentro.» «Stavo dando un’occhiata… » esclamò la donna con tono mesto, notando come l’altra la squadrasse da capo a piedi soffermandosi particolarmente sulle ‘scarpette’ col tacco. «Le sembrerà strano vedermi così abbigliata» proseguì. «Per carità, signora, ognuno fa quel che gli pare, non voglio sembrare un’impicciona… » «Affatto, affatto, ma veramente mi sono sentita poco bene e… » Non sapeva come spiegare la sua presenza in quel luogo: non poteva farlo neppure con se stessa. «Ha bisogno di qualcosa? Mi chiamo Marietta e sono a sua disposizione.» «Grazie, signora Marietta, non saprei… » «Venga fuori di lì, c’è puzza di muffa. Sul prato si sta meglio.»

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Si diressero entrambe verso un grosso sasso semicoper-to di muschio, dai cui anfratti spuntavano ciuffi di luci-di fiori gialli e piccole piante grasse che sembravano cavoli in miniatura. «Posso chiederle da dove viene?» Marietta, nel sedersi sulla pietra, si avvide del disagio della sconosciuta e preferì cambiare domanda. «Come si chiama, se non sono troppo ficcanaso?» La donna diresse lo sguardo oltre il masso e, fra l’erba a tratti accartocciata e in altre zone alta e appuntita, notò un gruppetto di fiori dai petali vellutati. “Sono viole mammole” pensò e prontamente rispose: «Viola.» «Bello, ricorda le nostre montagne. Ne sono piene, sa? Vede?» proseguì additando il mazzolino poco lontano «quelle non sono proprio di queste parti, perché qui ci sono le violette piccole, profumate profumate, meno colorate, ma ogni tanto un colpo di vento o una farfalla porta qui qualche seme da giù, dalla bassa, e così na-scono quelle là.» «Ho capito» esclamò ‘Viola’ distrattamente. «Scusi, sa, ma si sente bene? C’è qualcosa che non va, voglio dire, non per sapere i suoi affari, ma ha forse bi-sogno d’aiuto…?» «Può darsi… » La donna non sapeva come agire, se ac-cennare all’amnesia, ma sicuramente doveva essere in qualche modo soccorsa. «Perdoni la franchezza… è nei guai?» incalzò Marietta. «In un certo senso, sì.»

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«Bando alle ciance, dunque. Dica quello che vuole o può dire e diamoci da fare. Se non ci aiutiamo fra don-ne… » Viola dirottò lo sguardo oltre il prato, oltre le colline dalla curva dolce e, fra sbuffi di nuvole dorate, cercò i triangoli bianchi delle cime più alte. “Là dietro c’è la verità su di me, c’è la mia storia” pensò prima di parla-re. «Le confesso che non ricordo bene come sono arrivata fin qui.» «Beh… certamente con fatica, se diamo retta ai suoi piedi e alle scarpette da città.» «Credo di sì, ma i particolari mi sfuggono, ho anche mal di testa, mi sento stordita.» «Non è che è stata mollata?» azzardò la montanara sciogliendo la discrezione. «Chissà… » «Cara signora, se non se la sente di parlare lasciamo perdere. Sono stata un po’ troppo sfacciata, lo so.» «No, no, tutt’altro. Lei è gentile, però mi sento confu-sa.» «Magari ha avuto un ‘coccolone’, uno di quei colpi che ci tramortiscono e fatichiamo a riprenderci. Oh, sapesse quante volte è successo a me!» «Davvero? Si è sentita smarrita anche lei?» «Smarrita?» si stupì Marietta udendo quel termine. «Ah, conosco troppo bene queste parti per perdermi, ma dentro ho avuto certi scossoni che neanche sapevo a volte se ero io o un’altra, sa?»

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«Il fatto è che io non so proprio da dove iniziare.» «Facciamo così: adesso viene con me, a casa mia qua sotto, prendiamo una bella tisana calda, lasciando da parte gli uomini, se il problema è un uomo, e quasi sempre c’entrano loro con le nostre paturnie, e man-diamo al diavolo tutte le altre porcherie del mondo che ci fanno dispiacere. Cominciamo a goderci una ‘gen-zianella’ calda e poi vedremo. Su, venga! Deve prende-re qualcosa? Avrà almeno una borsetta, no?» «Veramente… non ho niente con me.» «Se lo dice lei… » Mentre seguiva Marietta lungo un sentiero stretto e polveroso, Viola si concentrò sulla parola ‘genzianella’. Rammentò un fiore color titanio scuro, la cui spessa co-rolla emergeva da uno stelo cortissimo; commentò mentalmente che un ‘sostegno’ più lungo l’avrebbe fat-ta ciondolare verso il terreno e fu lieta di essere giunta a quella conclusione: significava che cominciava a ricor-dare. Dopo circa un’ora di cammino raggiunsero la casa, completamente in pietra. Era corteggiata da un cerchio di acacie che sventolavano come bandiere fogliate e il tetto, brillante nel suo grigio ardesia, formava una cu-pola appuntita sui sassi della baita, sicura difesa per le insidie delle nevicate. Le finestre erano piccole, ma ravvivate da tendine rosso mela infiocchettate da nastri immacolati. La montanara si arrestò davanti alla porta già aperta per far passare Viola che, nel mettere piede in casa, fu subito colpita dalla pulizia di quell’ambiente.

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Nulla ricordava il cupore delle pietre esterne; le pareti sassose erano ricoperte da pelli dal manto rosso, bianco, nero intenso, maculato. “Poveri animaletti” pensò la donna, nonostante fosse innegabile che quelle macchie cromatiche dessero un tocco allegro e accogliente alla stanza, insieme ad alcune tavole di legno raffiguranti paesaggi montani fissate qua e là. Notandola osservare quegli ornamenti, Marietta commentò: «Ho un figlio un po’ artista, che passa il tempo a lavo-rare poco ma a dipingere tanto. Cosa vuole che le dica, è fatto così e io lo aiuto a sbarcare il lunario vendendo funghi, quando è stagione, o portando al mercato frago-le, ortiche, mirtilli e tutto quello che posso racimolare nei boschi. Semino anche delle verdure e raccolgo quel-lo che trovo scendendo a valle: mele, castagne, eccetera eccetera, poi allevo delle galline che sfornano un bel numero di uova e preparo del formaggio col latte che prendo da una contadina che sta più giù, così lui può fare quello che gli piace. Ogni tanto vende qualcosa alle fiere, ma adesso non c’è più tanta richiesta.» «Vive con suo figlio?» «No, lui sta giù, in paese, dove ci sono dei turisti che lo conoscono, o non lo conoscono ma comprano lo stesso dei ricordini da portare a casa.» «È proprio grazioso, qui; complimenti signora Mariet-ta.» «Lasci perdere la signora. Sono Marietta per tutti. Sen-za cognome. Marietta e basta.» «E io sono Viola. Chiamiamoci per nome, va bene?»

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«Non so se potrò, voglio dire se riuscirò. Lei è una si-gnora così… così per bene… » «Siamo tutti signori, Marietta.» «Beh, insomma, non so se è proprio così, ma se vuole farmi un complimento e per non offenderla proverò a chiamarla… Viola, è contenta?» «Moltissimo» rispose la donna mentre osservava il lar-go tavolo dal legno sfogliato e inciso dal tempo, le quattro sedie coi sedili sfilacciati a denunciare un’impagliatura di vecchia data, la bassa credenza col-ma di stoviglie e la stufa a legna, nel cui sportello lac-cato di bianco Marietta stava inserendo alcuni ciocchi. La vide poi attizzarli con colpi decisi, dopo aver strofi-nato un lungo fiammifero su una scatola in cartone. “Esistono ancora?” si chiese Viola, compiacendosi per essersi posta quella domanda: evidentemente la sua memoria li collocava in un’epoca passata. Mentre la padrona di casa armeggiava con un pentoli-no, dell’acqua attinta da un rubinetto in maiolica e un’ampolla colma di petali seccati e sminuzzati, Violasi avvicinò a un minuscolo specchio rotondo appeso al-la maniglia di una finestra. Fu con timore che accostò il viso a quell’oggetto e, per non vedersi riflessa nitida-mente in un sol colpo, socchiuse gli occhi alzando le palpebre poco per volta, finché non vide delinearsi un’immagine completamente sconosciuta: un volto ovale, due zigomi morbidi e rotondi, una bocca dalle labbra carnose un po’ piegate all’ingiù, un naso diritto con la punta leggermente adunca, due occhi nocciola

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con delle sfumature color miele, delle ciglia nere e lun-ghe e dei capelli castano scuro abboccolati, quasi ricci. Fu colta dal dubbio che il vento avesse contribuito ad arricciare ulteriormente un movimento naturale. Guar-dando meglio, riscontrò numerosi fili bianchi sulle tempie e, dopo averla scoperta, sull’attaccatura della fronte. Non si riconobbe. Non ricordava di aver mai vi-sto quel viso. «Si guarda perché è bella, vero? Io non lo faccio quasi mai, per non spaventarmi, così immagino di essere sempre giovane come quando i giovanotti mi correvano dietro e dovevo scappare nei boschi, perché ero più ve-loce di loro e non volevo che mi succedesse qualche guaio. Anche se poi un guaio mi è successo, che si chiama Natalino e forse è venuto su così, con poca vo-glia di lavorare, perché somiglia a quel padre scansafa-tiche che però mi piaceva da morire. Lui sì che l’ho aspettato prima di arrivare al bosco, l’ho fatto apposta, sa, e così mi sono ritrovata con un bambino e un padre che mi ha sbattuta fuori casa.» Tacque, osservando l’espressione di meraviglia dipinta sul volto di Viola. «Si stupisce che le racconti i miei affari anche se l’ho appena conosciuta? Ah, ma io non ho mai nascosto niente a nessuno. Posso andare a testa alta, perché non ho rubato e neppure ammazzato, sono amica della gen-te, delle galline, delle formiche, delle api, dei cani e dei gatti, delle mucche, delle capre e di tutti… » Viola pen-sò alle pelli di quelle povere bestie scuoiate, ma non batté ciglio. «E non faccio mistero di quello che mi è

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capitato. Sarà anche stato un guaio, chi dice un disono-re, ma mi è piaciuto avere un giovanotto che mi stava dietro, come succedeva alle mie amiche. Farmi vedere in giro col padre del mio Natalino è stato il periodo più bello della mia vita. Poi, si sa, le cose belle si pagano e io il mio prezzo l’ho pagato e continuerò a farlo finché non chiuderò gli oc-chi. È come se avessi firmato delle cambiali a vita, ma ho avuto le mie gioie e ho anche qualche soddisfazione, quando mio figlio viene a trovarmi e mi racconta che gli hanno comprato i quadri o le tavole dipinte e gli hanno detto che potrebbe fare il pittore vero.» S’interruppe per osservare la donna che aveva accolto in casa. Le parve indifesa, come quei fili d’erba che non si piegano perché seccati dall’arsura e vengono subito spezzati da un colpo di vento, a differenza di quelli che si flettono a seguire una folata. Si pentì di essersi la-sciata andare a parlare delle sue gioie e dei suoi guai, mentre quella poveretta nei guai c’era per davvero. «Scusi, signora, Viola volevo dire, sono una gran chiacchierona e ho dimenticato di tenere d’occhio la ti-sana» esclamò girandosi verso il pentolino schioppet-tante. «Mi piace ascoltarla, Marietta. E continui pure a par-larmi della sua vita, se ne ha voglia.» «Adesso prendiamoci la nostra tisana, ma mentre aspet-tiamo che non sia più bollente mangi un po’ di torta di zucca. L’ho fatta ieri sera ed è buona, sa? Il burro lo prendo da Giuanin, uno che ha fatto le elementari con

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me ed era un crapone che le raccomando; io gli passavo i compiti sotto il banco, ma non è bastato perché quan-do ho finito la quinta lui era ancora alla terza. Gli hanno dato la licenza per anzianità e non so quanti anni avesse quando l’ha presa.» Viola, costantemente in preda all’angoscia che l’attanagliava, mentre sorseggiava l’infuso non riusciva a seguire con attenzione le parole che Marietta sciori-nava senza tregua. Era però certa che avrebbe apprezza-to in maggior misura la compagnia di quella donna aperta e generosa, se non si fosse sentita sopraffatta dal-le circostanze. Era tentata dal parlarle di sé, o per me-glio dire del nulla che sapeva di sé, perché il farlo non solo le avrebbe procurato sollievo, ma l’avrebbe anche potuta aiutare a scandagliare nella propria mente, a sol-levare polvere e nebbia da ricordi inesistenti, nascosti alla memoria. O dalla memoria stessa. «Che cosa c’è, Viola? Non mi dica niente se non vuole, ma mi fa pena vederla così… persa.» «Sono persa veramente, Marietta. Persa di me stessa.» «Scusi l’ignoranza, ma non capisco. Che cos’ha perso? Cosa vuol dire di ‘me stessa’?» «Non so chi sono.» «Mamma santa! Mamma mia santissima! Madosca,

madosca e tre volte madosca!» esclamò la montanara segnandosi tre volte, con estrema rapidità. «Non mi guardi così, mi faccio eccome il segno della Croce! An-che se secondo mio padre e certi preti ho peccato, io vado in chiesa e ho trovato un prete che mi ha anche

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dato l’assoluzione, perché ha detto che il mio era stato un ‘gesto d’amore’, proprio così ha detto, e mi ha fatto felice. Io l’avevo sempre pensato ma non sapevo trova-re le parole giuste. Una volta fatto, e detto, non ho più parlato con altri preti della faccenda perché ormai quel sant’uomo mi aveva perdonata. Scusi, ho di nuovo par-lato di me, ma era per dirle che il segno della Croce lo facevo convinta perché avevo il diritto di farlo… Però adesso mi dica il giusto… cosa vuol dire che non sa chi è?» «Mi sono trovata in quella baita, ho aperto la porta e dopo poco è arrivata lei, ma non ricordo come ci sono arrivata e neppure il mio nome.» «Viola! Me l’ha detto lei… » «L’ho inventato sul momento.» «Boja faus! Povera donna! Le avranno mica dato un colpo in testa? Mi faccia vedere.» Marietta si avvicinò alla sedia di Viola e cominciò a ispezionarle il capo, tastando delicatamente fra i capelli e scendendo poi a toccare il collo e le spalle; a un certo punto si udì un grido a malapena trattenuto. «Eccolo qua!» esclamò la montanara con aria tronfia. «Lo dicevo io!» «Che cos’ha trovato? Ahi! Mi fa male!» «Una bella botta davvero! Proprio appena sopra il col-lo. E non credo se la sia fatta da sola, voglio dire ca-dendo. Devono averle dato una bella legnata! Adesso le metto uno straccio con dell’acqua fresca e la disinfetto

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anche, perché si vede che deve aver sanguinato, c’è del-la roba rossa e secca attorno.» Mentre veniva medicata, la malcapitata chiese: «Mi di-ca subito, la prego: dove ci troviamo esattamente?» Marietta la guardò con una perplessità che non manife-stò a parole. «Sa dov’è Cesana?» Viola scosse la testa. «Sestrière? Torino?» «Torino… sì, mi ricordo di una città che si chiama così, ma non saprei dire… sono italiana, siamo italiane, ve-ro?» La donna assentì. «Non ricorda proprio nulla?» «Dovrei pensare; ho tanta confusione in testa. Parlo ita-liano, sono italiana, l’Italia si trova in Europa, ricordo i continenti, sì, quelli li rammento. L’Italia è una peniso-la… » «Sembra di tornare a scuola, con lei… » «Devo essere di Torino, al Nord; Asti, Cuneo, Alessan-dria, Vercelli, la Lombardia… sì, adesso mi vengono in mente le regioni, dovrei fare dell’esercizio mentale ma credo proprio di ricordare, però… chi sono?» «Questa è una casa, lo sa? Sì? Brava. Sa dare un nome a tutte le cose, anche alle giargiattole?» «Agli oggetti intende? Adesso quasi a tutto, anche agli alberi… prima mi confondevo sui fiori e sulle piante, ora mi pare di distinguerli meglio; dovrei provare… » «Non si sforzi. Vedrà che poco per volta le verrà in mente anche il suo nome.»

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«Forse mi sono persa, magari ero in gita con qualcuno, ma chissà chi mi ha colpita? Dovrei andare nel paese più vicino, forse mi stanno cercando… » «Ben detto! Forza, che ne dice? Andiamo? Se la sente? C’è da fare un po’ di strada a piedi giù per il sentiero, ma non impiegheremo molto a raggiungere Cesana.» «Cesana… c’è forse una stazione sciistica?» «Brava! Vede che ricorda? Venga con me, via!» la in-coraggiò Marietta che, nell’alzarsi in piedi, ingollò quel che era rimasto della tisana. «Un’altra cosa: in che giorno siamo?» «È il 23 giugno 2007.»

Lasciarono la baita a braccetto, perché con quelle scar-pe Viola doveva procedere con cautela. Passo dopo passo, si compiacque di saper assegnare un nome agli alberi che la circondavano: querce, castagni, acacie, tante acacie e cespugli di more o rovi non meglio iden-tificati che la costringevano a fermarsi per staccare le spine che si attaccavano alla gonna. A un certo punto, mentre stava osservando dei mazzetti di fragole di bo-sco sbucare tra gli alti fili d’erba, non si avvide di un sasso nel mezzo del sentiero. Fu un attimo. Cercò di te-nersi in equilibrio, ma venne tradita dai tacchi. Tentò di aggrapparsi a un ramo, poi alle spalle di Marietta, che a sua volta fece di tutto per mantenerla in piedi. Si trovò ad annaspare nell’aria e ruzzolò a terra. Con tutto il pe-so sulla caviglia. Quasi svenne per il dolore.

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«La caviglia! Che male! Che male, Marietta. Non rie-sco a muovermi!» «Stia ferma, aspetti un momento e prenda fiato, poi l’aiuterò ad alzarsi.» Viola sentiva un dolore sordo partire dalla caviglia per irradiarsi fino al polpaccio. Massaggiò il malleolo e tentò di raddrizzare il piede, ma una forte fitta glielo impedì. La montanara, chinata sopra di lei, la osservava con preoccupazione. «Va un po’ meglio?» chiese dopo qualche minuto. «Non riesco a pensare di alzarmi» si sentì rispondere. «Cosa facciamo?» «Aspetti.» La donna si inoltrò fra i cespugli, scostò i rovi e dopo aver fatto un balzo verso l’alto staccò un pezzo di ramo da un castagno. Raggiunta la sua protet-ta, la sollecitò ad aggrapparsi a lei. «Faccia come le dico io: si attacchi al mio braccio e a questa specie di bastone, faccia forza sulla gamba che non le fa male… così, si inginocchi meglio, brava, ve-drà che ce la farà… Benissimo, ecco fatto!» Viola, tenendo sollevata la gamba infortunata, si ap-poggiò al bastone di fortuna e alla sua accompagnatri-ce, riuscendo così a tenersi in equilibrio. «E adesso, addio patria, addio Cesana! Per fortuna casa mia è poco lontana» esclamò Marietta. «Non ho fretta, non ce l’abbia neanche lei. Piano piano, saltellando, con pazienza adesso torniamo da dove siamo venute.» Impiegarono quasi mezz’ora per percorrere a ritroso il sentiero, invece dei pochi minuti dell’andata, dopodiché

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la montanara accompagnò la sua ospite in una camera da letto. «Qui ci dormiva, e ci dorme ogni tanto, mio figlio. Nell’altra stanza dormo io, ma non vivo quassù tutto l’anno; soltanto in primavera e d’estate vengo a goder-mi il fresco. Durante le altre stagioni faccio un salto ogni tanto per controllare le galline ma sto a casa di Na-talino, in paese, dove ci sono tutte le comodità. Mi spiace che debba accontentarsi di questa sistemazione» si scusò la donna «non c’è neanche un vero bagno… voglio dire che il lavandino della cucina serve anche per lavarsi, poi c’è un gabbiotto, fuori, attrezzato per le altre… necessità.» «Non si preoccupi, Marietta; sta già facendo fin troppo per me. Piuttosto… » Viola s’interruppe, imbarazzata da quanto stava per chiedere. «Dica, dica pure, non si faccia problemi con me… » «Le sembrerò esagerata, però… non potrebbe scendere lei in paese a chiedere se qualcuno mi sta cercando?» «Oh… certo che lo farò, ma prima mi faccia guardarle bene la caviglia. Ecco, dev’essere qui… » Non appena le sfiorò il malleolo Viola lanciò un urlo, accompagnato da una smorfia. «Ho capito, aspetti un attimo» proseguì Marietta. Fu quasi subito di ritorno, stappando un boc-cettino di vetro scuro che emise un breve sibilo all’apertura. «L’ho preparato questa primavera. È un unguento miracoloso, fatto con erbe che metto a bagno con alcool e olio d’oliva. Vedrà che domani mattina non si ricorderà neppure del male che ha adesso.»

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Sparse il prodotto oleoso con estrema delicatezza, dopo essersi fatta il segno della Croce e aver bisbigliato paro-le incomprensibili mentre massaggiava lievemente la parte dolorante. «Se la sente, adesso, di restare un po’ da sola? Non ha paura?» «Con quello che mi sta capitando cosa dovrei ancora temere?» «D’accordo; le porto un bicchiere d’acqua e quel po’ di tisana che è rimasto nel pentolino. Non posso offrirle altro... » «Grazie, nel frattempo cercherò di fare esercizi con la memoria.» «E quando torno, chissà… forse si sarà ricordata di tut-to!» «Dio volesse!» “Dio?” pensò. Già, c’era un Dio in cui probabilmente credeva. «Se posso osare, dovrei chie-derle ancora un piacere… » «Dica, dica… » «Questi abiti non mi sembrano adatti e, se dovessi pas-sare la notte, sempre che se la senta di ospitarmi… » «Ma certo che si ferma qui. Dove vuole andare? Sotto gli alberi?» «Se potesse trovarmi dei pantaloni e una maglietta, e anche… un paio di mutandine e delle scarpe da ginna-stica, o delle pantofole, numero 38… » «Che sventata sono, dovevo già pensarci io! Povera donna, conciata così deve sentirsi tutta appiccicata. Senta, le prenderò le cose che ha detto e magari anche

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un golfino; da queste parti la sera fa fresco. Se si accon-tenta posso passarle un mio pigiama, le starà un po’ largo ma almeno non le tirerà… La taglia… direi una quarantaquattro se non sbaglio. E poi… certo che non saranno cose belle come quelle che ha addosso, ma por-ti pazienza.» «Non ho denaro con me, dovrà aspettare che rientri, quando il piede andrà meglio e saprò chi sono… » «Non si preoccupi per quello. Anticipo sempre dei soldi ai miei due ‘scappa lavoro che ti piglio’, figuriamoci se non lo faccio per lei. Adesso corro, prima che chiudano i negozi.» Quando la montanara se ne fu andata, Viola scandagliò nel vuoto della propria memoria fino a provare un dolo-re fisico per lo sforzo fatto, ma non raccolse che il nulla più assoluto. S’impose di spostare l’attenzione su quan-to le stava attorno nella speranza che un particolare, un profumo, un fruscio facessero affiorare qualche ricordo preciso. La stanza appariva accogliente quanto la cucina, con le pareti tappezzate di tavole in legno dipinte che raffigu-ravano paesaggi montani, scorci di vie agresti e alcuni ritratti. Si soffermò su quello di un giovane uomo. Era di bell’aspetto, anche se un po’ rude, con una barba di pochi giorni, bruna come i capelli ricciuti che incorni-ciavano un viso asciutto, dagli zigomi alti sovrastati da due occhi azzurri come il cielo di montagna nelle gior-nate ventose. Il naso era diritto, finiva a punta, e la boc-ca seria rivelava labbra sottili, larghe, un poco tese in

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un sorriso appena accennato. Il colletto di una camicia a quadri bianchi e azzurri, aperto su due spalle quadrate, scopriva una gola in cui la maestria del pittore aveva saputo evidenziare un pomo d’Adamo. Mentre si stava domandando se fosse l’autoritratto di Natalino le venne in mente un nome: ‘Francesco’. Chi poteva essere costui? La risposta non arrivò neppure quando si concentrò augurandosi di poterlo collegare al viso sulla tela. Accantonò quel pensiero e volse il capo dietro di sé. Un pannello in tela raffigurante una Ma-donna con bambino pendeva da un tubo in ottone fer-mato da due pomelli bruniti dal tempo. Alla sua destra si trovava un comò fabbricato grossolanamente, con le-gno chiaro, senza neppure una mano di vernice. Di fronte al letto stava un armadio che doveva far parte di un altro di maggiori dimensioni. Si strinse le braccia l’una contro l’altra, strofinandole, perché cominciava ad avvertire un senso di freddo. “Dio” pensò “dal momento che Ti prego è presumibile che creda in Te. Ti supplico, fammi tornare la memoria, fa’ che ricordi chi sono, per quale motivo mi sono tro-vata senza documenti né altro in quella baita sperduta fra le montagne. Ridammi la mia vita, comunque sia, ma rimettila fra le mie braccia, Ti scongiuro!”

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Sotto le acacie

«Sono io... » La voce di Marietta la destò da un sonno che, suo malgrado, l’aveva sorpresa. Cercò di scuotersi dallo stordimento procurato dal brusco risveglio. «Ha dormito?» domandò la montanara, posando sul let-to alcuni sacchetti. «Direi proprio di sì.» «Non può che averle fatto bene. Guardi se le possono andare queste cose; le ho prese in un negozio che serve i turisti. Non saranno granché, ma ho detto che erano per una signora tanto distinta e di farmi fare bella figu-ra; me le ha consigliate una ragazza che viene da Tori-no.» Le mostrò un paio di jeans, una maglietta in coto-ne azzurra e un golfino blu, molto semplice ma grazio-so. Una confezione con su scritto ‘tre paia al prezzo di due’ ne illustrava il contenuto: delle mutandine in lycra bianche. Marietta le porse il tutto con un certo orgoglio, prima di fissarla negli occhi. «E lei…?» «Non so ancora chi sono, se è questo che vuole sapere. Piuttosto… ha sentito se qualcuno mi sta cercando?» «Dunque, mi sono informata qua e là, in farmacia, dal giornalaio, in due bar, ma sembra che nessuno abbia chiesto di lei. Ma aspetti, non si affanni, è ancora pre-

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sto, magari stanno battendo la montagna sperando di trovarla. Mi è però venuta un’idea: sono passata da mio figlio, che stava vendendo un quadro a un tedesco, e gli ho detto di aprire bene le orecchie e di venire subito qui a riferirci se sente che qualcuno sta cercando una signo-ra. Anche se… » «Se…?» «Niente, niente, è solo la mia testa che corre troppo in fretta, a volte… » «Parli, Marietta, tutto ci può aiutare.» «Mi chiedo come possano cercarla in montagna… ve-stita così.» «Ha ragione; come ho potuto non pensarci? Non avrei fatto un’escursione con questi abiti... » «E se l’avessero portata apposta lassù?» «Intende dire… rapita? Suvvia, Marietta… non ero le-gata, quando mi ha trovata.» «Già, ho detto una stupidata. Comunque ho raccoman-dato al Natalino di fare domande in giro, perché magari siete arrivati in paese da chissà dove e poi lei… lei… » «Potrebbero avermi scippata, quindi avermi dato un colpo in testa perché non chiedessi aiuto e io, dopo aver perso la memoria in seguito alla botta, mi sono inoltrata su per il sentiero.» «Già, già… potrebbe essere andata così.»

Era giunta l’ora di cena e Marietta propose uova sode e insalata verde. Il piede le faceva meno male e, nono-stante avesse difficoltà a muoverlo, il dolore era deci-

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samente sopportabile. Scese dal letto con l’aiuto di un ‘vero’ bastone procuratole dalla montanara; l’impugnatura rappresentava la testa di un cane ed era stata intagliata da Natalino; il ragazzo doveva essere un artista decisamente versatile. Raggiunse la cucina, dove una lieve nube di vapore si era depositata sulle tavole di legno rendendole luccicanti. L’atmosfera odorava di un misto fra terra, erba e, le parve, un vago sentore di pollaio. Marietta aveva rac-colto dei grossi ravanelli che, squartati nelle loro roton-dità, esibivano il biancore della polpa interna. Viola os-servò la nuova amica industriarsi nel mondare le foglie d’insalata, sgusciare le grosse uova, tagliuzzare a fetti-ne i ravanelli. Si intuiva quanto fosse energica dalla forza e dalla velocità con cui affettava quei piccoli or-taggi: zac, zac, zac e i bianchi cerchietti bordati di rosso in pochi secondi furono ordinatamente schierati l’uno accanto all’altro, pronti per essere serviti. «Arriva luce e acqua, qui.» «Ci ha pensato il padre di Natalino. Ha un mucchio di conoscenze, fa favori di qua e di là e poi chiede il con-to, quindi quando ha bisogno di un piacere sa a chi ri-volgersi ed è così che è riuscito a farmi arrivare qualche comodità. L’ha fatto per suo figlio, perché quand’era piccolo d’estate venivamo qui… sa, questa è l’unica cosa che possedevo e che non mi hanno potuto togliere perché l’avevo avuta dalla buon’anima di mia nonna; le dicevo… ci venivamo quando Natalino era piccolo e suo padre si faceva in quattro perché non patisse trop-

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po. Sa, è com’è, cioè se mi permette un gran bastardo, però senza mai sganciare un soldo si è occupato del ra-gazzo arrabattandosi per rendergli la vita meno compli-cata.» «Vi frequentate?» «Uff… » sbuffò la donna «ci frequentiamo, se così si può dire… Diciamo che scompare per dei mesi e poi viene da me per… la grana, poi chi s’è visto s’è visto. E quando Natalino era bambino non mollava niente, anzi il più delle volte gli allungavo qualcosa io. «In prestito» diceva quel mezzo bandito, ma non mi ha restituito mai niente. Invece col ragazzo giocava persino; gli insegna-va a preparare le fionde, a cacciare le lepri, a riconosce-re i funghi, credeva, ma io me ne intendevo più di lui e ci avevo già pensato, però stavo zitta per dargli qualche soddisfazione. Un giorno, pensi, gli ha portato un rega-lo. Se devo essere sincera, secondo me l’aveva sgraffi-

gnato da qualche parte, ma ho fatto la finta tonta. Nata-lino era contento e gli ho fatto credere che il padre l’aveva comprato.» «Adesso si vedono?» «Un po’ di più, perché ‘batte cassa’ anche dal figlio. Alza il gomito, gioca a carte al bar, fuma come un turco e poi gli mancano i soldi per le sigarette e il ‘quartino’ di vino. Allora fa il giro di tutti gli amici e quando ri-spondono picche va dal Natalino.» «Che…?» «Ne ha pochi più di lui, ma ogni tanto il padre riesce a far su qualche euro. Da me viene per farmi quattro

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moine, mangiare a ‘sbaffo’ e alla fine dirmi: «Senti bel prusot, sei sempre la mia preferita, sai?» E allora io gli chiedo: «Che cosa vuoi? Quanto?» e per togliermelo di torno perché mi fa salire un gran nervoso mollo qualche soldo e lo sbatto fuori. Poi mi passa, ah se mi passa, perché penso a quando eravamo ragazzi e ci siamo vo-luti bene. Perché sono sicura che anche lui deve avermi voluto bene, tutto a modo suo, si capisce, ma certe cose noi donne le capiamo.» Viola fermò la mano che stava per portare alla bocca un quarto di uovo sodo per dire: «Chissà se anch’io… » «È stata… ‘amata’, come si dice nei film? Ma sissigno-ra! Si guardi! Bella com’è avranno fatto la fila per aver-la, glielo dico io! E anche adesso, è di una bellezza! Non di quelle finte che si trovano su certi giornali o alla televisione che vedo quando sto dal Natalino. Sembra-no di plastica, come ci avessero spalmato la resina dei pini e devono stare attente a ridere, secondo me, altri-menti cade tutto! Lei si vede che è vera e non ha biso-gno di quelle diavolerie là.» «Crede che conti la bellezza per essere amate?» «Madoi se aiuta, ah se aiuta secondo me. Io non è che fossi chissà che cosa, ma avevo dei bei seni, sodi come dei meloni, ma più piccoli, non esageriamo! Poi, non per dire, ma modestia a parte un musetto con dei difetti che però piaceva perché era furbo… e degli occhi gran-di… » «Sono di un azzurro bellissimo.»

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«Quando il padre del Natalino, a proposito, si chiama Clemente, Mente per me, Mentino in certi momenti, in-somma… quando mi faceva il filo mi diceva: «I tuoi occhi sembrano dei fiordalisi» perché quel lavativo sa-peva persino fare il poeta, tanto per avere quello che voleva.» «Aveva ragione, sono proprio del colore dei fiordalisi. Volevo chiederle… il ritratto che c’è in camera da letto è di suo figlio? Gli occhi sono di quel colore, come i suoi.» «È lui, è lui, non voglio esagerare e fare la mamma che trova bello il suo bambino anche se sembra un carciofo ma è proprio bello, anche troppo, modestia a parte e, se devo dire la verità, con le ragazze fa come suo padre.» «Il dongiovanni?» «Non so se sia giusto chiamarlo così, ma ne ha fatte piangere di poverine, ne ha illuse che va bene! L’unica cosa che mi ha giurato è che non le avrebbe mai messe incinte. I tipi come lui possono anche divertirsi, ma de-vono usare la testa quando fanno certe cose. Gli ho det-to che se venivo a sapere che aveva messo nei guai una ragazza lo prendevo per i capelli, lo bastonavo e lo sbattevo fuori casa per sempre, senza mai più sganciare neanche un centesimo!» «Chissà se ho dei figli… » «Senta, Viola, tanto per passare il tempo, non è che de-ve prendermi sul serio, ma quando abbiamo finito di mangiare se vuole le leggo la mano.» «Lei… legge la mano?»

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«Lo prenda come uno scherzo, non troppo sul serio, ma un po’ sì, perché tante volte, come si dice, ci ho ‘azzec-cato’. Ho fatto trovare marito, per modo di dire, ho consigliato di scegliere quello magari meno bello e me-no ricco ma meno bastardo, poi ho preparato delle erbe per aiutare a fare i bambini, e poi… ecco, poi anche a tenere lontano il malocchio.» «Ah, sì, il malocchio… » «Quella roba che ci mandano quelle che ci vogliono male, che si mangiano le budella per l’invidia, e se ci attacca non è facile farlo andar via; se qualcuno ce lo manda dobbiamo raccomandarci a tutti i santi e poi an-cora… Però a volte ci sono riuscita a farlo sparire. Sen-za chiedere niente, sa? Sono una poveraccia e fatico a tirare avanti, ma giuro che non ho mai preso un cente-simo; porta male farlo. Al massimo una torta o giù di lì.» Marietta aveva tolto i piatti dal tavolo e scosso la tova-glia fuori dalla porta poi, nel sedersi di fronte a Viola, le aveva preso la mano sinistra. «Faccia un po’ vedere… Uhm… direi proprio che ne ha di figli, uno mi sembra, e anche un marito.» «Per caso si chiama Francesco?» «Lei chiede troppo, signora mia. Anche il nome! Per-ché? Le è venuto in mente qualcosa? Non mi faccia sta-re sulle spine!» «Non proprio… nessun segnale, se non quel nome, Francesco, mentre guardavo il ritratto di Natalino.» «Magari è un amore segreto… »

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«Non lo legge nella mano?» «Vedo tante cose… » «Anche della tristezza?» Marietta le lasciò la mano e la guardò negli occhi, con espressione estremamente seria. «Non si offenda, ma quella la leggo dentro di lei, senza consultare la mano.» «Mi dica allora cos’altro c’è scritto, in questa mano. Se deve dirmi qualcosa di spiacevole faccia pure, tanto è quasi solo uno scherzo, l’ha detto lei.» La donna sembrò schermirsi, come non avesse più vo-glia di proseguire. «A dirgliela tutta, quando si tratta di ragazze che cerca-no marito o di donne che vogliono restare incinte è più facile. Quando una ha quello che ha lei… » «Che cosa avrei, secondo la mano?» «Mi sembra tutto… o quasi.» «Ho capito, non vuole darmi brutte notizie.» «Lasciamo perdere queste sciocchezze e facciamoci un giro di carte.» «Chi è là?» Si udì una voce maschile. «Natalino! Bravo! Hai portato notizie?» Un uomo sulla quarantina stava fermo sulla porta, un giornale sotto il braccio. Dette l’impressione di voler dire qualcosa, ma non appena posò lo sguardo su Viola rimase immobile, come pietrificato. La fissò talmente a lungo da creare un’atmosfera imbarazzante, poi final-mente la tensione sembrò sciogliersi quando un leggero sorriso, proprio come quello del quadro, gli arricciò le labbra.

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«È lei la signora di cui mi hai parlato?» domandò. «Certo, chi vuoi che sia? Dammi il giornale, lo voglio leggere subito» lo sollecitò la madre. «Non c’è niente qua sopra.» «Fammi vedere, ti ho detto!» L’uomo le porse il quotidiano, mentre si avvicinava a Viola e le prendeva la mano per stringergliela con energia. «Scusi, signora, mia madre è un po’… agreste a volte. Non ci ha presentati. Sono Natalino.» «E io sono Viola. Ma l’avevo già vista nel ritratto che c’è in camera. È estremamente fedele, quindi le faccio i miei complimenti. Bravo!» «Sembra proprio che non ci sia niente» esclamò Mariet-ta con tono deluso. «Forse è troppo presto. Se mi sono persa oggi… » «Già, magari dalla televisione si potrebbe sapere qual-cosa» l’interruppe la montanara. «Ci starò attento quando rientrerò e, dovessero esserci novità, ve le farò sapere.» «Non perdere tempo qui, alza i tacchi e vai!» «Lo lasci stare, Marietta, se è venuto fin qui per trovar-la… » «Va là, va là, lo conosco io… » «Ma’, sei sempre la solita. Sii gentile almeno in presen-za di una ‘vera signora’.» «Lasciamo perdere, va là… » Viola si sentiva in imbarazzo ma non voleva mettere a disagio madre e figlio. Cercò un argomento che spez-

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zasse la tensione e credette di trovarlo parlando dei la-vori di Natalino. «Ho visto i suoi quadri e le tavole; sono belli.» «Oh, quelli… una passione da quand’ero bambino; è come una malattia per me» rispose distrattamente. Si capiva che stava pensando ad altro e la fissava con insi-stenza: sembrava volesse ispezionare ogni parte del suo corpo. Per Viola fu istintivo controllare che la camicet-ta fosse abbottonata e, tirando l’orlo della gonna, lo raccolse sotto le ginocchia. Si pentì di non essersi anco-ra cambiata. «Senti, la signora è molto stanca e vorrebbe andare a riposare, ma è tanto educata da non farlo finché tu stai fra i piedi. Vedi di tornartene a casa a controllare se la televisione dice qualcosa su di lei, così domani mattina potrai riferirci le ultime novità. Cerca di non restare ad-dormentato e non dimenticarti di portarci La Stampa.» «Agli ordini! Signora, scusi la rudezza di mia madre. Ormai ho perso la speranza di poterla cambiare; biso-gna tenersela così com’è. Le auguro una buona notte» concluse, mentre si chinava per prenderle la mano e sfiorargliela con un leggero bacio. «Fa il cascamorto anche con lei, ma non ci caschi! È un ruffiano, quello!» commentò Marietta non appena il fi-glio ebbe lasciato la casa. «Adesso che siamo di nuovo sole vuole fare questo giro di carte o preferisce andare a dormire?» Notando l’incertezza di Viola, proseguì: «Magari quello lo facciamo domani, ma se vuole po-tremmo stare un momento fuori a prenderci il fresco.

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Qua dentro lo farà fin troppo, questa notte; le ho già trovato una coperta calda calda che dovrebbe farla sen-tire bene. Prima però l’aiuto a togliersi quella roba leg-gera di dosso e a mettersi quella che le ho portato. Piut-tosto… deve andare in bagno?» «Se posso… È quello dietro la casa?» «Vicino al pollaio. Scusi, Viola, chissà che magone per lei, abituata come dev’essere… però anche se bisogna uscire per andarci c’è quasi tutto, anche una piccola doccia… già, ma con l’acqua fredda... » «Un po’ di freddo sulla pelle non potrà che farmi senti-re bene, e poi con questo piede non potrei lavarmi mol-to… Marietta, come avrei fatto senza di lei, in quella baita sperduta e senza luce? Senza niente? Non voglio neppure sentirla scusarsi. Sono io a essere imbarazzata per tutto il disturbo che si sta prendendo per me.» «Allora basta coi complimenti. Chiudiamoli qui per sempre. Adesso l’accompagno in quella specie di bagno e poi ce ne stiamo sotto gli alberi a guardare le stelle. Sono una gran compagnia, sa?»

«Secondo lei qual è la mia età?» domandò Viola quan-do furono sedute nell’aia. La donna la squadrò da capo a piedi. I jeans, la magliet-ta e il golfino che aveva appena indossato modellavano un corpo armonioso, slanciato, sodo. «A guardarla sembra una ragazzina… è difficile dirlo. È tutta talmente ben conservata che direi… mah… qua-ranta, quarantacinque?»

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«Non mi faccia dei complimenti; ho dei fili bianchi fra i capelli, evidentemente li tingo… » «Quelli non vogliono dire niente. Ho conosciuto ragaz-ze di trent’anni che devono farsi le tinture per coprir-li… Diciamo, se proprio vuole, tra i quaranta e i cin-quanta.» Viola alzò gli occhi al cielo per guardare quelle stelle che Marietta sosteneva facessero compagnia e le fissò con bramosia, come a cercarvi le risposte che non ave-va. Erano grandi, piccole, solitarie o unite come in grappolo a diffondere una luce più intensa. La luna oc-cupava la parte principale del firmamento e pareva es-sersi fatta spazio fra le costellazioni; al pari di un so-vrano inavvicinabile, attorno alla sua bianca rotondità un alone chiaro sembrava intendesse allontanare gli al-tri astri. Le sembrò naturale rivolgerle una muta pre-ghiera. “Se sei vicino a qualcuno che mi può aiutare in-tercedi per me, ho bisogno d’aiuto. Fa’ che domani mi svegli sapendo chi sono, ricordando tutto della mia vita passata, comunque sia.” Più tardi, riscaldata dal pigiama in flanella di Marietta, osservò i raggi che la luna rifletteva sui vetri della fine-stra finché non scomparvero alla sua vista. Avevano ceduto il posto al buio più assoluto ormai da molto tempo, quando riuscì a prendere sonno. Furono incubi, corse, affanni quelli che le apparvero in sogno, ma nel destarsi non ricordò altro che una sensazione legata al panico, mentre dalla fronte imperlata di sudore scende-vano piccole gocce a infastidire le ciglia.

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Dalla stanza vicina proveniva un profumo di uova fritte e latte caldo. Un insistente frinire di grilli si unì al con-certo orchestrato dal canto degli uccelli, accompagnan-do la sinuosa risposta dei rami al richiamo del vento: armonioso sbadiglio per un pigro destarsi. Viola perce-pì il rumore di passi discreti davanti alla camera. «Buongiorno» esclamò a voce alta. Subito dopo udì bussare, poi vide entrare un’agitatissima Marietta che si prodigò nell’aiutarla ad alzarsi. La caviglia era sgonfia-ta, ma non le fu permesso di mettere il piede a terra. Le vennero imposti il bastone e un braccio a cui appog-giarsi. Viola usò un pezzo di sapone bianco per lavare viso e braccia e, piegata sul lavandino, lanciò un’occhiata compiaciuta al tavolo. Vi troneggiava un bricco fuman-te accerchiato da pane, marmellate, burro e uova. Nella tazza in cui si avvolgevano, con greve lentezza, i bianchi occhi della panna del latte, la donna immerse una fetta di pane nero e seppe quale sarebbe stato il sa-pore di quel connubio prima ancora di portarlo alla bocca. Glielo aveva suggerito il suo profumo. L’emozione suscitata dal ricordo di ‘quel’ sapore, di ‘quella’ fragranza le provocò una lieve vertigine. «È permesso?» Udirono la voce di Natalino un attimo prima di avvertire il cigolio della porta. «Fai l’educato, adesso? Dev’esserci qualcun altro in ca-sa perché impari le buone maniere?» «Sempre polemica… Buongiorno, signora. Come ha trascorso la notte?»

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«Poche storie. Ci sono notizie?» domandò la madre con tono impaziente. «Purtroppo nulla. Ho ascoltato anche il notiziario del mattino prima di salire qui, ma non hanno parlato di persone scomparse. E neppure La Stampa ne fa cenno.» «Che strano! Però… effettivamente sono passate poche ore e non è detto che si mettano subito in moto» cercò di consolarsi Viola, per aggiungere subito dopo: «Ma la televisione diffonde subito l’allarme, con quella tra-smissione su RAI 3… » «Ricorda tutto, dunque!» esultò Marietta. «Tranne la cosa fondamentale.» «Se vuole potrei rivolgermi io alla RAI» propose Nata-lino. «Generalmente avviene il contrario, sono cioè gli scomparsi a essere cercati. Comunque è un’idea… Lo farebbe davvero, per conto mio?» «Certamente! Dovrei però avere una sua fotografia, non crede? Bando alle chiacchiere, faccio colazione con voi e... » «Mi sorge però un dubbio» l’interruppe Viola «forse il mio ragionamento è un po’ contorto, ma mi stavo do-mandando… se per caso mi fossi trovata in qualche pa-sticcio, avessi combinato qualche guaio… non saprei dire quale non ricordando nulla del passato, ma potrei danneggiare dei figli… » «Sa di averne?» Marietta lanciò un’occhiata d’intesa all’ospite, che ri-spose: «No, ma non mi sento di escluderlo.»

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«Quindi?» incalzò Natalino. «Forse sarebbe più prudente aspettare almeno un giorno o due prima di smuovere mari e monti… e vedere se qualcuno mi cerca.» In cuor suo, Natalino si rallegrò per quella decisione, ma riuscì a non far trasparire il proprio compiacimento quando ribatté con tono mite: «Non osavo proporglielo, ma anche secondo me sareb-be più saggio soprassedere ancora.» «Ho paura… non so di che cosa, ma mi spaventa pren-dere iniziative che non so a cosa potrebbero portare… » A quelle parole, l’uomo le prese una mano fra le sue e si chinò fino a sfiorarle il viso. «Non tema, signora, ci sono io. Non potrà accaderle nulla di male, glielo pro-metto.» Viola non si avvide dell’espressione di disap-provazione apparsa sul volto di Marietta, né degli occhi riversati al cielo mentre allargava le braccia e scuoteva il capo. Il figlio era già avviato verso il sentiero che portava a valle quando la madre lo raggiunse trattenendolo per la camicia. «Apri bene le orecchie, bel tomo! Quella è una signora come si deve e una mia amica. Mettitelo bene in quella zucca bacata e non cercare di fregarla perché ti faccio rotolare a calci fino a Cesana, hai capito?» «Calmati, calmati; che cosa ti prende? Ti ha per caso dato di volta il cervello? Sono un galantuomo, io!» «Sei un lazzarone come tuo padre, ma vedi di far fun-zionare quel poco che hai preso da me e di non fare del

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male a quella povera donna. E adesso dimmi: veramen-te non ci sono notizie sul giornale e alla televisione?» «Te lo giuro su… » «Lascia perdere i ‘tuoi’ giuramenti. Dimmi: “Che non possa più avere un centesimo da te se non dico la veri-tà”.» «D’accordo, lo dico.» «Dillo!» L’uomo ubbidì, prima di aggiungere: «Nel pomeriggio ritornerò a portare le provviste, ma lo fac-cio solo per quella vera signora, non per te.» «Speriamo che sia così e non ti frulli qualche diavoleria per la testa.» «Per chi mi prendi?» esclamò con tono stizzito prima di rimettersi in cammino. Un paio di curve più avanti fece un balzo verso la bo-scaglia e armeggiò dentro un cespuglio. Vi recuperò un sacchetto di plastica che aprì nervosamente. Da una borsa estrasse un portafoglio a più scomparti ed esami-nò con la massima attenzione il documento d’identità che conteneva. La fotografia riprendeva una Viola dai riccioli castani appoggiati su un colletto immacolato. La data di nascita indicava il 9 ottobre 1951. Nata a To-rino, coniugata Alberici. Con aria estremamente soddi-sfatta, infilò il documento in tasca e rimise la borsa nel sacchetto di plastica, che affondò nuovamente fra i rami del rovo. Fischiettando, ritornò al sentiero e riprese il cammino. Marietta volle approfondire le perplessità espresse da Viola poco prima.

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«Davvero ha paura di fare delle indagini? Le è per caso venuto in mente qualcosa?» le domandò con un tono che si sforzò di rendere pacato. Non voleva lasciar tra-pelare la sua profonda preoccupazione. «No, ma all’improvviso ho pensato fosse meglio frena-re gli impulsi e agire con prudenza. Si tratta soltanto di una sensazione, ma proprio perché non ricordo il mio passato penso sia giusto dare ascolto a quella che po-trebbe essere un’intuizione. Non vorrei danneggiare qualcuno, capisce? In fondo, se ho una famiglia, non potrà tardare a dar corso alle indagini.» «Forse ha ragione. E allora, adesso… cercheremo di far passare il tempo senza farci prendere da strane paure.» “Sapesse quanto ne sono sopraffatta” pensò Viola. Marietta indossò un grembiule grigio con la pettorina, vi si strofinò le mani appena lavate e aiutò l’amica a raggiungere una sedia nel mezzo del cortile. Da quella postazione, disse, avrebbe potuto seguire i suoi andiri-vieni. Viola conobbe le galline che starnazzavano per il pol-laio, mentre la loro custode spargeva il mangime sul terreno coperto di sterco. «Mi fanno delle uova da cam-pionato mondiale, queste qui. E i negozi di Cesana le apprezzano, madoi se le apprezzano» s’inorgoglì la donna palpando i rotondi petti di due pollastrelle, il che scatenò un loro maldestro tentativo di spiccare il volo. Ne seguì un improvviso sollevarsi di polvere e piume, che mandò la montanara su tutte le furie.

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La mattinata trascorse al seguito delle molteplici attivi-tà di Marietta che, dopo aver foraggiato le galline, si spostò nel piccolo orto dietro all’abitazione. Vi raccolse dell’insalata, ma non prima di aver eliminato i ciuffi eccedenti definendoli la montà e averne illustrato le svariate qualità: a foglie piccole, medie e grandi, dal sapore dolce o amarognolo, oppure del tipo ‘ghiaccio’. Le verdure crescevano su strisce di terra raccolte in piccole montagnole e, tra l’una e l’altra, uno stretto passaggio permetteva appena di introdurvisi. Dietro alle insalate svettavano dei pennacchi verdi e frangiati: non appena vennero estratti dal terreno si rivelarono bitor-zolute e pelose carote. Dal momento che anche i rava-nelli, dopo essere stati presi per ‘i capelli’, le riservaro-no la stessa sorpresa, Viola arrivò alla conclusione di essere poco ferrata su colture e prodotti della terra. Con stupore, però, poco dopo riconobbe, nella larga macchia giallo oro protetta da una specie di mantovana traspa-rente, una distesa di fiori di zucca, sotto il cui manto palmato Marietta estrasse dei corposi zucchini.