Il mestiere di capo

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Benedino Calzolari Il mestiere di capo Essere manager, diventare leader 18,00 DIABASIS Un vademecum per il nuovo capo e per tutti coloro che devono raggiungere degli obiettivi nella loro vita professionale. Muovendo da un’analisi efficace degli aspetti tecnici e umani che sovrintendono il comando e il coordinamen- to di altre persone, questo manuale fornisce le indicazioni necessarie per svol- gere il mestiere di leader. Programmare e coordinare il lavoro di organizza- zioni ristrette o complesse. Analizzare ed elaborare piani finanziari lavorando con le risorse a disposizione. Saper decidere e valutare i collaboratori: queste, in sintesi, le funzioni principali del leader. Un breviario da leggere e da tenere a portata di mano. Calzolari Benedino Calzolari, 58 anni, reggiano, dirigente e con- sulente aziendale, dopo una iniziale attività di respon- sabile del personale in azienda, è attivo in Corum ove si occupa di sviluppo delle persone e di sistemi organiz- zativi. Da un decennio alterna incarichi di direzione con attività di consulenza sull’organizzazione e formazione. In questo ambito oltre alla normale formazione d’aula, di cui Il mestiere di capo sintetizza un filone importante di comportamento organizzativo produce attività di coaching (individuale e in team) e attività di consulenza organizzativa. Il mestiere di capo DIABASIS

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Un manuale di formazione all'esercizio della leadership da studiare e da tenere a portata di mano. Un vademecum per il "nuovo" capo e per tutti coloro che devono raggiungere obiettivi nella vita professionale. Muovendo da una efficace analisi degli aspetti tecnici, psicologici e organizzativi che sovrintendono il comando e il coordinamento di altre persone, questo manuale fornisce le indicazioni necessarie per svolgere il mestiere di leader senza perdere di vista il fattore umano.

Transcript of Il mestiere di capo

Benedino Calzolari

Il mestiere di capo Essere manager, diventare leader

€ 18,00 DIA

BA

SIS

Un vademecum per il nuovo capo e per tutti coloro che devono raggiungere

degli obiettivi nella loro vita professionale. Muovendo da un’analisi effi cace

degli aspetti tecnici e umani che sovrintendono il comando e il coordinamen-

to di altre persone, questo manuale fornisce le indicazioni necessarie per svol-

gere il mestiere di leader. Programmare e coordinare il lavoro di organizza-

zioni ristrette o complesse. Analizzare ed elaborare piani fi nanziari lavorando

con le risorse a disposizione. Saper decidere e valutare i collaboratori: queste,

in sintesi, le funzioni principali del leader.

Un breviario da leggere e da tenere a portata di mano.

Cal

zola

ri Benedino Calzolari, 58 anni, reggiano, dirigente e con-

sulente aziendale, dopo una iniziale attività di respon-

sabile del personale in azienda, è attivo in Corum ove

si occupa di sviluppo delle persone e di sistemi organiz-

zativi. Da un decennio alterna incarichi di direzione con

attività di consulenza sull’organizzazione e formazione.

In questo ambito – oltre alla normale formazione d’aula,

di cui Il mestiere di capo sintetizza un fi lone importante

di comportamento organizzativo – produce attività di

coaching (individuale e in team) e attività di consulenza

organizzativa.

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Progetto grafi co e copertinaBosioAssociati, Savigliano (CN)

ISBN 978-88-8103-674-5

2009 Edizioni Diabasisvia Emilia S. Stefano 54 42100 Reggio Emilia Italiatelefono 0039.0522.432727 fax 0039.0522.434047

[email protected] www.diabasis.it

Questo libro è stato realizzato con il contributo di UNIECO

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Il mestiere di capoEssere manager, diventare leader

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Benedino Calzolari

Il mestiere di capoEssere manager, diventare leader

PrefazioneA chi e a cosa serve questo libroL’etimologia e il pregiudizioI contenuti del mestiere

Parte primaESSERE MANAGER

1. Programmare: Anticipare la realtà La programmazione come competenza individuale del capo

I programmi, frutto del pensare del capoA cosa pensare per un programma effi cace

I rischi sono programmabili?In... somma

2. Coordinare: mettere insieme cose diverse nello stesso momento Integrare la disponibilità delle informazioniDisporre delle competenze delle personeLa gestione del tempo

Organizzare l’integrazione delle risorseIn... somma

3. Coordinare: Far fare e fare con le risorse disponibiliFare direttamente: il capo non fa… pensaDelegare è un po’ morireDecidere impoverisce: perché fa sempre perdere qualcosa

Padroneggiare l’informazioneAmpliare la valutazioneAssumere la decisioneIl confl itto decisionaleIl passatoL’angolo visuale

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Applicare la decisioneIl caso

4. Controllare: sapere ciò che si è fatto e come lo si è fattoControllo dei risultatiControllo dei comportamenti

Il rimproveroLa lode

Valutazione della prestazioneIn... somma: fare il capo come manager

Parte secondaDIVENTARE LEADER

Elogio della leadership diffusa1. Riconoscere i comportamenti delle persone per essere capaci di guidarle Le forme di leadership che conosciamo

Una nuova forma: la leadership relazionaleLavorare sui collaboratori per avere “buoni collaboratori” (e qualche follower)

In... somma

2. Sviluppare le convinzioni: che non sono vincoli ma risorseNatura e scopo delle convinzioniI fattori costitutivi delle convinzioni Individuare lo stadio di sviluppo di una convinzioneAssecondare l’apertura delle convinzioni per evolverle

In... somma

3. La motivazione: un potente motore che va alimentato, potenziato e manutenutoLa motivazione è una forma di energia

Fattori motivanti e fattori motivazionaliRiconoscere i gusti musicali dei propri collaboratori Utilizzare i tasti motivazionali offerti

Progettare il lavoro con attenzione a verità, signifi catività e specifi citàComunicare in modo dedicatoDare obiettivi “ben confezionati”La valutazione attenta e effi caceRetribuzione, non solum sed etiamPartecipazioneIntegrazione socialeApprendimento

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SoddisfazioneDifferenza

Adeguare il profi lo motivazionale di impresa In... somma

4. La valutazione delle personeOltre i pregiudizi, per un corretto esercizio di leadership

Superare i giudizi tombaliAlle persone piace essere valutate La valutazione integrata delle persone

La valutazione delle competenze espresse Lo strumento per la valutazione delle competenze espresseLa metodologia di valutazioneIl processo di comunicazione delle competenze espressePreparazioneDinamiche relazionaliLa gestione del colloquio

In... sommaLa valutazione del potenziale

Metodi e strumenti

Conclusioni

Ringraziamenti

Bibliografi a

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A Lorenzo Ferrarini,il cui vivido ricordo

è alimentato dalla memoriadi un tragitto comune

di collaborazione fertile,di stima reciproca e

di affetti sinceri.

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Prefazione

Nel primo pomeriggio di un caldo giorno di giugno, mentre Pan-tani, staccando Tonkov, vinceva il Giro di Italia, Mauro Casoli, pre-sidente di Unieco, non era distratto dall’avvenimento sportivo, come gli altri, che si erano concessi una breve pausa per seguire gli ultimi minuti della tappa… Appoggiato alla parete, con il suo usuale sti-le colloquiale, che non ti avvisa del valore di ciò che sta per dire: «Si prepara un periodo decisivo per la cooperativa», diceva, «siamo usciti dal periodo della lotta per sopravvivere e dobbiamo consoli-darci... Abbiamo idee, progetti e iniziativa; non ci manca il coraggio e il gruppo dirigente ha energia e voglia...»

E poi, ergendosi dalla parete, quasi a sostenere la propria visione, aggiungeva: «Costruiremo il nostro primo piano poliennale, affron-teremo nuovi ambienti e consolideremo quelli abituali... Ma c’è una cosa che mi preoccupa: la nostra capacità di ragionare per comples-sità nuove, per modalità multidimensionali e integrative, e questo presuppone uno sviluppo rapido delle nostre capacità e competenze non solo del gruppo di direzione, ma anche di quelle cinquanta, ses-santa persone che sono il nerbo della nostra impresa… È questa la vera sfi da dei prossimi anni: essere capaci di far crescere le nostre persone…»

Mi rammento quell’episodio, a più di dieci anni di distanza, dopo che Unieco, vincendo le proprie sfi de ha dispiegato le sue potenzia-lità, mietuto successi e sviluppato innovazione, collocandosi tra le principali aziende di settore e arrivando al quarto piano poliennale di sviluppo. Il ricordo è legato al fatto che, da quel lontano giorno di giugno, Unieco ha dato fondo ad una straordinaria attività for-mativa e di sviluppo delle proprie persone. Non si può dire se ci sia una relazione di causa effetto tra la formazione e il successo di

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impresa; tuttavia Unieco è una impresa di successo che ha fatto della formazione delle proprie persone un must decennale. Ho avuto il privilegio e l’onore di essere parte di questo processo, non in modo esclusivo, ma importante, prima con Corum, poi con Quadir. Per essere all’altezza ho studiato, cercato di capire, progettato, adattato, applicato modi e forme di intervento formativo con una continuità pressoché ininterrotta.

Da questo percorso nascono i contenuti di questo libro.Contenuti che non sono solo quello che è stato fatto in Unieco

(anzi molti esempi, strumenti e mappe si riferiscono ad altre situazio-ni); sono stati, tuttavia, espressi e progettati in un ambito di continui-tà progressiva e integrativa di progetto, che l’esperienza di Unieco ha consentito di dispiegarsi nel tempo. Di questo ringrazio Mauro Casoli, capace di coniugare le affermazioni formali sullo sviluppo delle persone ad investimenti effettivi; Stefano Elisetti direttore delle risorse umane, che ha sempre avuto chiarezza delle necessità e del-le utilità formative, nei momenti opportuni, senza mai disdegnare quanto di innovativo e inusuale poteva essere fatto.

A chi e a cosa serve questo libroQuesto libro serve a chi ha il compito di raggiungere degli obietti-

vi. Per ottenere questo scopo, l’organizzazione gli affi da delle risor-se, nella scommessa, che il valore dei risultati prodotti sia superiore al costo delle risorse consumate. Trattandosi di obiettivi diversi e di risorse differenti, c’è bisogno di coordinare la rotta verso i primi e di integrare l’uso delle seconde.

Il mestiere di capo sta tutto qui. Che sia un direttore o un capo reparto, la sostanza del lavoro è la stessa. Al punto che, trattandosi infi ne di approcci, orientamenti, metodologie e tecniche omogenee, si può parlare di un vero e proprio mestiere.

Dunque il mestiere di capo è una tecnologia di direzione che si può apprendere. Per questa ragione il libro è indirizzato a tutti coloro, che, con grande entusiasmo o controvoglia, si trovano a gestire risorse per ottenere risultati. Ottenere risultati è la tipica attività manageriale, per cui il mestiere di capo presuppone, in prima istanza, la capacità di essere manager. In realtà, ogni volta che qualcuno deve coordinare

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tempi, spazi, denaro e persone per raggiungere qualcosa svolge una funzione manageriale. La complicazione nasce dal fatto che tra le ri-sorse ci sono le persone: notoriamente le risorse più costose e più fa-cilmente deperibili, ma, senza le quali, ogni risultato è impossibile.

Onerose perché, ciascuno di noi, durante l’arco della propria vita lavorativa, rappresenta un investimento del valore tra 1 e 2 milioni di euro (calcolando 40 anni di lavoro per un costo di 30-50mila euro l’anno); facilmente deperibili, perché depressioni, cali di interessi, cambi di vita, demotivazioni sono sempre in agguato, per allontanar-ci dal fare bene le cose che ci sono richieste.

Questo è il motivo per cui non è più possibile fare coincidere il mestiere di capo col mestiere di manager; e, per cui, è necessario sì essere manager ma è sempre più indispensabile diventare leader.

Diventare leader signifi ca essere capaci di infl uenzare i comporta-menti delle persone. Capacità lontana, però, dall’idea manipolatoria di convincere le persone; fondata, invece, sulla capacità di valorizza-re, motivare, valutare le persone, non solo nei momenti naturalmente positivi dell’atteggiamento, ma anche nel gestire e sviluppare i periodi diffi cili, ritenendo che, comunque, le persone siano sempre una risor-sa e che, perderle o deprezzarle, sia sempre uno spreco intollerabile.

Questo libro, dunque, serve ad apprendere come si fa a fare il ma-nager e come diventare leader, dando per scontato che sono parte del mestiere generale di capo, che si può apprendere. Dato che chi è capo esercita, già, gran parte dei contenuti del libro, la domanda a che cosa serve può apparire banale. In verità, l’ampiezza delle fun-zioni del capo fa sì che nessuno sia in grado di esercitarle contempo-raneamente né che qualcuno le conosca o le applichi tutte.

La risposta potrebbe essere che questo libro serve come una sorta di “borsa degli attrezzi” del capo; non contiene dissertazioni sulla natura e gli scopi del ruolo, sugli stili e sulla fi losofi a della funzione. Contiene, soprattutto, metodologie e strumenti. Ai quali si può far riferimento, ogni volta per parti specifi che, senza dover rileggersi tutto quanto.

È un manuale operativo del capo.

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L’etimologia e il pregiudizioMestiere e capo: termini da sdoganare. Perché desueti e contraddi-

tori, almeno in apparenza. Sembrano datati perché evocano situazio-ni poco attinenti con questioni di organizzazione. Il primo evoca il percorso di apprendimento artigianale , attraverso cui l’apprendista esercita una attività e, quando ritenuto esperto, si dice che possegga il mestiere. Il concetto di esperienza evocato dal termine mestiere è, inoltre, confermato dalla pratica sportiva, laddove un attaccante o un difensore di una squadra usa “il mestiere” per avvantaggiare la propria squadra con metodi non del tutto ortodossi.

Mestiere deriva dal tardo latino ministerium (incarico, faccenda da sbrigare, ecc..) e è attestato dal francese antico mestier. Il secondo perché dal latino caput indica la parte più importante di un aggrega-to di persone, per lo più unite da pratiche e da fi ni comuni. Capo-banda, capoclan, capomafi a, capo della combriccola e altri termini simili hanno contribuito a evocare un signifi cato negativo ad un ter-mine abbastanza neutro.La distanza e la contraddizione dei termini derivano invece da una coriacea teoria ingenua, secondo la quale, capi si nasce e chi ha qualità di direzione lo deve al proprio carattere e a doti naturali, che la fortuna gli ha assegnato sin dalla nascita. Perciò collegarlo in qualche modo ad un processo di apprendimento sembra un paradosso, che non relaziona i due termini. In realtà se analizziamo i contenuti del mestiere ci si rende davvero conto che, in realtà, quasi nessuno è capo per doti, ma che quasi tutti possiamo aspirare a diventarlo.

I contenuti del mestiereIl mestiere di capo si caratterizza per l’espressione di due capacità e

di due competenze. L’abitudine ad usare, in modo indifferente, i due termini può indurre a diffi coltà di comprensione. Per competenze si intende una abilità espressa nell’esercizio di una attività, specifi ca al contesto in cui avviene. Sembra di poter affermare che una compe-tenza non sempre è trasferibile; d’altronde non tenere conto di que-sta defi nizione ha spesso causato problemi nell’assumere in impresa professionalità che, altrove, avevano dimostrato competenze distin-tive, ma che, in un contesto diverso, non sono riuscite a esprimersi

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agli stessi livelli. Per capacità è bene convenire che stiamo parlando di abilità che appartengono alla persona, indipendentemente dal contesto in cui si esprimono.

La completa maturazione di una capacità, in genere, avviene dopo un costante e diversifi cato esercizio di competenze, in contesti e si-tuazioni diverse: come a dire che l’ampiezza e la profondità di espe-rienza delle competenze contribuisce a determinare le capacità.

Per questo, a volte accade che persone dotate di qualità manage-riali non diano il meglio di sé nelle faccende familiari o nella gestione di società sportive; per la stessa ragione l’esercizio della leadership in ambienti di lavoro non garantisce che ci sia una naturale declinazio-ne anche in situazioni più banali e meno complesse (il rapporto con amici, fi gli, partner, ecc.).

Nondimeno, persone che hanno sperimentato tali competenze in contesti differenti per complessità, natura e livello di problematiche sono più facilmente portati a maturare una capacità che sembra una predisposizione naturale.

Le competenze di un capo sono la managerialità e la leadership; le capacità sono il problem solving e la gestione dei confl itti. Possedere e esprimere queste quattro abilità confi gura il mestiere di capo (di questo si tratta). In questo libro vengono affrontate le competenze: managerialità e leadership.

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Parte seconda

DIVENTARE LEADER

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Elogio della leadership diffusaMolte, moltissime cose si sono dette, scritte e pensate sulla leader-

ship. Colui che guida la barca rilascia una immagine eroica e da “se-gnato dal destino”, dipendendo molto, dal suo intuito, dalla sua pre-veggenza, dalla sua “magia”, superare le tempeste, affrontare pericoli e arrivare al porto, sicuri. È una immagine stereotipata e metaforica: è una immagine essenzialmente pigra. Che si alimenta di un modo di vedere la leadership, nata agli esordi della società umana e corroborata dal mito, dalla storiografi a e dalla necessità di semplifi cazione della realtà. Di fondo la pigrizia consiste nel non voler progredire rispet-to a questa immagine: il leader che, per caratteristiche naturali, per indole, per attitudine, è capace di guidare, di giungere agli obietti-vi, convincendo le persone ad esse affi date. La mente corre a Cesare, Carlomagno, Napoleone, Colombo e così via. Tuttavia, la necessità di convincere le persone a compiere una impresa, ha riguardato e riguar-da la capacità di infl uenzare effi cacemente le persone ai livelli inferiori sia delle organizzazioni storiche che delle attuali imprese. Come dire che il fabbisogno di leadership è sempre stato molto alto anche nelle strutture storicamente organizzate quali eserciti, religioni, stati. Come avrebbe potuto Cesare, nella generale carenza informativa del mon-do antico (arrivata peraltro fi no a Napoleone e oltre) ad infl uenzare, motivare e spingere i propri soldati senza un esercizio di leadership diffusa da parte dei suoi centurioni? O non è forse la stessa cosa per i nostromi di Colombo, piuttosto che per i sottuffi ciali di Napoleone?

È vero che, in tutti questi il riconoscimento della leadership da parte dei subordinati passava attraverso il riconoscimento di una su-periore capacità (nel combattimento, nella navigazione, nella vision eroica), ma è sempre stato necessario connettere questa capacità con

Diventare leader

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argomenti, modi e contenuti convincenti e tali da spingere le perso-ne verso l’ignoto e il pericoloso. Questa modalità diffusa di leader-ship non è stata adeguatamente valorizzata, consentendo lo sviluppo di una teoria di leadership dei tratti individuali, che, da sola, non avrebbe potuto muovere masse di persone e la storia stessa. Si tratta di una semplifi cazione, o di una pigrizia intellettuale, e anzi, più la si-tuazione è diffi cile da capire, più ci si riferisce ad un leader. Continua a funzionare così nella complessità del mondo sociale e economico, che la maggior parte ha diffi coltà a capire e, per questo, si affi da al “grande capo” (che ci pensi lui per me!). Ancor meglio se il grande capo ha valori, atteggiamenti e pensieri i più semplici possibili!

Ma nel mondo delle imprese, funziona così? La diffi coltà di delegare completamente ad altri da sé il proprio destino, sta nella situazione paradossale di fondo: le persone sono “distratte” da orientamenti per-sonali, predilezioni e convinzioni individuali; tuttavia, l’impresa è per loro importante, non solo per la soddisfazione dei bisogni personali, ma anche perché essi sono chiamati a contribuire al successo dell’im-presa direttamente, su aspetti che non sempre conoscono e con mo-dalità che possono anche non condividere. Questo contrasto di fondo rende impossibile l’esercizio di una leadership dei tratti, della persona-lità fondamentale, che promana da sé ogni tanto a chiedere e ottenere delega e fi ducia. È necessario invece che la leadership si diffonda, sia capace di convincere davvero sulle questioni specifi che. Si tratta di una leadership che non si occupa più di gestire le persone. Termine, invero, che trasmette un qualche signifi cato di passività.

Si parla, invece, di guidare le persone: e, per farlo, è necessario che nell’impresa ci sia una capacità diffusa di leadership; quasi una compe-tenza professionale che sia in grado di interagire positivamente con le persone per infl uenzarne i comportamenti, nella direzione di successo dell’impresa. Infl uenzarle in maniera non manipolatoria (dicendo cose diverse dalla realtà per ottenere il consenso) ma attraverso quattro mo-dalità, che rappresentano i contenuti della leadership diffusa:

- Riconoscere i comportamenti delle persone;- Sviluppare le convinzioni;- Motivare;- Valutare.

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Diventare leader

1. Riconoscere i comportamenti delle persone: per essere capaci di gui-darle

Le forme di leadership che conosciamoUna delle più urgenti necessità di qualsiasi organizzazione è di poter

fare conto su una qualità elevata dei collaboratori. È urgenza di massa critica, a fronte della complessità, disporre di risorse attive dal punto di vista del comportamento e qualitative dal punto di vista del contributo di pensiero.

Non è solo questione di clima, etica e motivazione. È maggior va-lore aggiunto, fenomeno olistico, più generazione di effi cacia. Perciò conoscere bene i propri collaboratori è il primo obiettivo della leadership. Quali sono quelli su cui poter contare? E come cambiano gli atteg-giamenti, quando credo di conoscerli? E su che cosa deve lavorare il leader per orientare gli atteggiamenti verso una modalità produttiva?

La leadership dei tratti (ma anche quella situazionale), si è sempre ba-sata sul focus relativo al leader. Studiare i tratti fondamentali della lea-dership o essere capaci di adattare gli stili di leadership a seconda delle situazioni è sembrato essere la direzione giusta per il capo. Nel primo caso si trattava di emulare un modello di leadership effi cace, farlo pro-prio e eventualmente diffonderlo nella organizzazione. Nel secondo caso occorre che il capo, valutata la maturità del collaboratore rispetto ad un compito affi dato, possa sviluppare diversi stili di leadership: - Direttivo, se il collaboratore non è molto affi dabile e è quindi neces-

sario un controllo ravvicinato;- Affi liativo, se c’è da convincere il collaboratore che il suo lavoro fa

parte del lavoro di un gruppo; - Coach, se c’è da migliorarne le capacità, essendo disponibile ma an-

cora non capace;- Democratico, se il collaboratore è capace e disponibile e interagisce

col leader.Nell’esecuzione dei due stili (pur diversi fra di loro), c’è un elemento

comune: l’assoluto ineffabile e improduttivo disinteresse per le carat-teristiche, gli atteggiamenti e i comportamenti del collaboratore.

La novità vera della leadership diffusa è il ruolo centrale che assume il collaboratore, nell’esercizio della leadership. Tanto che potremo parlare

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di leadership relazionale, essendo la relazione tra leader e collaborato-re il centro dell’interesse.

Una nuova forma: la leadership relazionaleÈ necessario innanzitutto riconoscere che tipo di collaboratore il

leader si trova di fronte, in modo da avere costantemente un censi-mento sulla varietà delle persone affi date; o anche sul variare degli atteggiamenti della stessa persona. E per farlo occorre partire dalla considerazione che, nella relazione col capo, ogni collaboratore svol-ge alcune funzioni fondamentali.- Offre supporto: aiuto e collaborazione a fronte di diffi coltà e impre-

visti;- Solleva questioni: questioni, relative al compito, all’attività e agli

obiettivi, che non sono ben evidenziate;- Assume iniziativa: disponibilità di mettere a disposizione energia

personale per risolvere le questioni;- Informa: trasmissione di elementi utili alla buona riuscita del lavoro;- Consiglia: suggerimenti su opportunità o questioni inerenti il lavoro;- Contrasta: opposizione al capo quando ritiene che stia sbagliando.- Feedback: informazioni di ritorno sul risultato e sul proprio com-

portamento. È interessante notare, che, nella relazione capo-collaboratore, que-

ste funzioni vengono sempre attivate, perché formano la relazione stessa. Quindi non dobbiamo cercarne l’esistenza, quanto misurare il grado di espressione. Il diverso grado, infatti, viene commisurato a seconda dell’intensità delle qualità personali del collaboratore stes-so, vale a dire:

- Coraggio: audacia nell’esporsi;- Senso di responsabilità: disponibilità a farsi carico delle situazioni;- Iniziativa: autonomia nel desiderio di fare.

Nello schema seguente sono collegate le azioni del collaboratore e la qualità richiesta. Non solo, ma, descrivendo, operativamente, l’intensità delle funzioni, a seconda del grado di espressione delle qualità personali, si ottiene una mappa più evoluta, rappresentante l’universo degli atteggiamenti di un collaboratore col proprio capo.

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Diventare leader

Offre supporto

Assume iniziativa

Solleva questioni

Informa

Consiglia

Contrasta

Feedback dal leader

Coraggio

Iniziativa

Coraggio

Iniziativa

Senso responsa-

bilità

Coraggio

Iniziativa

Casualmente

È attivo a sua discre-

zione

Solleva que-stioni anche non inerenti

Informa a suo piaci-

mento

I suoi consi-gli rigurdano

la sfera intellettuale

I suoi con-trasti sono

teorici, etici, metodologici

Non cerca

Quando necessita

Si attiva sulla

questione, progetto, problema

non su stimolo

del leader

Anche se non

richiesto

Ricerca infroma-zioni per conto suo

Dà sempre consigli

sul piano della que-

stione

Pur con pareri diversi

opera sul parere del

leader

Costante-mente

Ha volontà a fronte di richiesta

È attivo. quando ha un

obiettivo chiaro

Se richie-sto di un parere

Informa per quel

che conosce

Offre consigli anche diffor-mi dal leader

Esprime pareri diversi

Non dà troppa impor-tanza al

feedback

Mai

Si na-scon-

de

Evita sem-pre

Quan-do co-

stretto

Quan-do

richie-sto

Mai

No

Sempre

È attivo se richie-

sto

Solo questioni stimolate dal leader

Informa per quel che piace al leader

Offre consigli

poco dif-formi dal

leader

Tace

Sollecita feedback positivi

FUNZIONI DEL COLLABORATORE

VERSO IL CAPO

GRADO DI ESPRESSIONE DELLA QUALITÀ PERSONALE

NELLA FUNZIONE

QUALITÀ PERSONALE DEL COLLA-BORATORE

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Ad esempio: il collaboratore nella funzione “consiglia” può avere cinque atteggiamenti:

- esprime consigli molto complessi, relativi a fenomeni ampi;- esprime consigli quando richiesto;- esprime consigli su ciò che preferisce;- esprime consigli solo su ciò che conosce;- esprime consigli privilegiando l’angolo visuale della questione.

Sulla funzione “consiglia” è il diverso grado del senso di responsabi-lità, che produce i cinque atteggiamenti.

E così, per ognuna delle funzioni... Si formano 35 possibili atteg-giamenti, che possono essere letti in due modi:

- Per colonna: e allora avremo identifi cato cinque tipologie di col-laboratori, identifi cabili con cinque denominazioni generalizzanti, ma che riassumono l’idea dell’atteggiamento;

- Per riga: e avremo tutte le declinazioni possibili degli atteggia-menti di un collaboratore, rispetto alle funzioni da svolgere. Lo schema ci offre, dunque, la possibilità di identifi care cinque possibili atteggiamenti dei nostri collaboratori; sia che si identifi chino sempre con la colonna, sia che, al contrario e più realisticamente, ogni tanto assumano atteggiamenti diversi: Disperso, Yes Man, Buon Collabora-tore, Follower.

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Diventare leader

Offre supporto

Assume iniziativa

Solleva Que-stioni

Informa

Consiglia

Contrasta

Feedback dal Leader

Coraggio

Iniziativa

Coraggio

Iniziativa

Senso responsa-

bilità

Coraggio

Iniziativa

Casualmente

È attivo a sua discre-

zione

Solleva que-stioni anche non inerenti

Informa a suo piaci-

mento

I suoi consi-gli rigurdano

la sfera intellettuale

I suoi con-trasti sono

teorici, etici, metodologici

Non cerca

Quando necessita

Si attiva sulla

questione, progetto, problema

non su stimolo

del leader

Anche se non

richiesto

Ricerca infroma-zioni per conto suo

Dà sempre consigli sul piano della questione

Pur con pareri di-

versi opera sul parere del leader

Costante-

mente

Ha volontà a fronte di richiesta

È attivo. quando ha un

obiettivo chiaro

Se richie-sto di un parere

Informa per quel

che cono-sce

Offre con-sigli anche difformi

dal leader

Esprime pareri diversi

Non dà troppa im-portanza al feedback

Mai

Si na-sconde

Evita sempre

Quan-do co-stretto

Quan-do

richie-sto

Mai

No

Sempre

È attivo se richie-

sto

Solo questioni stimolate dal leader

Informa per quel che piace al leader

Offre con-sigli poco difformi

dal leader

Tace

Sollecita feedback positivi

FUNZIONI DEL COLLABORATORE VERSO IL CAPO

GRADO DI ESPRESSIONE DELLA QUALITÀ PERSONALE

NELLA FUNZIONE

QUALITÀ PERSONALE DEL COLLA-BORATORE

Ciascun profi lo è descritto in modo assoluto e il valore dell’opera-zione sta nell’avere una mappa completa, esaustiva e esauriente dei

FilosofoFilosofo FollowerFollowerBuon colla-Buon colla-boratoreboratore

DispersoDisperso Yes manYes man

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possibili atteggiamenti del collaboratore; ma è evidente che, nella prassi, ciascun collaboratore può saltare da una colonna all’altra, ogni tanto. Leggere la mappa ci permette di riconoscerne gli atteg-giamenti e, di conseguenza, di intervenire in modo adeguato.

Ma, vediamo come sono le caratteristiche dei nostri tipi e, soprat-tutto, su che cosa intervenire, da parte del capo, per evolvere i disper-si, i fi losofi e gli yes man verso i buoni collaboratori e su cosa spingere per fare dei follower da qualche buon collaboratore.

Lavorare sui collaboratori per avere buoni collaboratori (e qualche follower)Gli atteggiamenti del Filosofo indicano che:- È estraneo alla dinamica relazionale, che tende a sottovalutare

rispetto alla qualità delle proprie opinioni;- Quando esprime questo atteggiamento l’organizzazione perde in

effi cienza e focalizzazione;- Ha necessità di riposizionarsi rispetto al lavoro e alle relazioni.Il capo per spingerlo verso il Buon collaboratore deve lavorare sul

piano della qualita’ delle relazioni della persona col gruppo.

Gli atteggiamenti del Disperso indicano che:- Poco dinamico e poco critico, ha forti contrasti e mostra pochi

interessi per rimanere nella organizzazione;- Pochi sono sempre dispersi (il che comporterebbe problemi seri);- Quando il collaboratore esprime questo atteggiamento prevale

l’ineffi cacia.Il capo deve lavorare sul piano della gestione della confl ittualità.

Chi è Yes man:- Ha paura di non essere accettato dal leader; - Quando prevale questo atteggiamento, il contributo del collabo-

ratore è nullo o nocivo per il gruppo, spinto al group think;- Lo yes man deve riposizionarsi sul piano del pensiero critico;- Pochi sono sempre e solo yes man.Il capo deve rimuovere la paura di non essere accettato, lavorando sul

piano della sicurezza emotiva.

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Avere Buon collaboratore è una fortuna e un privilegio.- Le qualità del buon collaboratore aiutano la leadership.- Sono di stimolo agli altri.- Soddisfano le persone.Per mantenere i Buoni collaboratori, il capo deve lavorare sul pia-

no della percezione di equità fra contributi del buon collaboratore e ricompense ricevute, attraverso una alta capacità di relazione/comuni-cazione a due vie. Con qualcuno di loro il capo può spingersi oltre e evolvere alcuni buoni collaboratori in ruoli, che si autodefi niscano in relazione al leader, quasi in una sorta di specularità che toglie al leader la necessità di stimolarli. Tali nuove fi gure si defi niscono Follower.

Il Follower è colui che segue il leader, nel senso empatico di ruolo più che di simpatia personale.

- Ha autonomia, coraggio e iniziativa, senza confi ni.- Ha senso di responsabilità entro i confi ni defi niti dal leader.- È possibile diventare follower solo se si è un buon collaboratore.- Rappresenta l’altra faccia della leadership, rafforzandola.Per avere veri follower, il capo deve avere una elevata capacità di

intelligenza emotiva, per ammettere contrasti, iniziativa e coraggio del follower, senza mai intaccare il piano delle relazioni personali.

IL LAVORO DEL CAPO PER LO SVILUPPO DEI COLLABORATORI

BUON COLLABORATORE FOLLOWER

DISPERSO

FILOSOFO

YES MAN

BUON COLLABORATORE

GESTIONE CONFLITTUALITÀ: legittimità interessi e risorse

emotive

QUALITÀ DELLE RELAZIONI:ascolto attivo, feedback, Johari

SICUREZZA EMOTIVA:ruolo nel gruppo e gestione

della relazioneINTELLIGENZA EMOTIVA:

gestione di sè nella relazione complessa

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Una serie di esempi possono aiutare. Se mi trovo di fronte un atteggia-mento da yes man, la qualità del capo è di rassicurazione sul ruolo nel gruppo, dove è apprezzata, richiesta e stimolata la criticità del pensiero; a fronte del quale, l’eventuale non condivisione è ritenuta dal gruppo un valore costruttivo e non ne consegue una valutazione negativa di chi l’ha espresso, che va salvaguardato, da questo punto di vista, dal leader. Se mi trovo di fronte un atteggiamento da disperso: il capo identifi ca con lui gli interessi non soddisfatti, che hanno spinto la persona verso l’atteggiamento negativo e li ammette senz’altro; scopre con lui le risor-se emotive spese dal disperso intorno a quell’interesse non soddisfatto. Valuta insieme a lui se l’interesse è legittimo per l’organizzazione e se è tale, valuta come gestirlo. Se qualcuno esprime un atteggiamento da fi losofo: il capo lavora sulla sua collocazione nella relazione con gli altri, dove con feedback e illuminando il suo comportamento, con l’ascolto degli altri, aumenta la qualità del suo livello relazionale con il gruppo. Per continuare ad avere buoni collaboratori, il leader non deve sottova-lutare la comunicazione costante, per poter capire, in tempo, situazioni di iniquità percepita e mantenere alto il livello relazionale, fatto di dispo-nibilità, competenza e motivazione. Se voglio crearmi un follower, come capo devo essere disposto ad essere contrastato, supportato e consigliato a sua discrezione e in autonomia; devo sapere se sono capace di reggere e se non lo sono devo gestirmi per poterlo essere.

In... somma Il primo passo del leader è sapere con chi ha a che fare. Non acconten-

tarsi di una generale e sommaria valutazione delle persone; ammettere che occorre riconoscerne gli atteggiamenti, prima che si manifestino nei comportamenti. Per evitare ineffi cienze, diffi coltà di comprensione e la gestione del gruppo in modo indifferenziato, ma poco effi cace.

Ricordarsi che le persone cambiano, e anche rapidamente. Oggi buo-ni collaboratori, domani fi losofi o dispersi. In parte o su qualche argo-mento, per qualche ragione, nota o ignota, ma ben presente nelle loro valutazioni. Riconoscere i propri collaboratori non è un esercizio una tantum, ma deve essere una tensione costante, perché solo in questo modo i processi di infl uenzamento, motivazione e valutazione hanno possibilità di diffondersi.

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2. Sviluppare le convinzioni, che non sono vincoli, ma risorse

Natura e scopo delle convinzioniPer modifi care gli atteggiamenti, e di conseguenza i comportamen-

ti dei propri collaboratori, occorre che il capo sia in grado di modi-fi care le convinzioni delle persone. Gli atteggiamenti negativi sono frutto di convinzioni.

Il disperso è certo di aver subito un torto e confl igge.Il fi losofo crede di essere superiore.Lo yes man è convinto che la verità lo porterà alla rovina.Ma anche gli atteggiamenti positivi sono tali:Anche il buon collaboratore è convinto che un atteggiamento attivo

sia il giusto contributo. Così come il follower è convinto che un ruolo proattivo sia vantaggioso per il capo e per il gruppo.

Il processo di infl uenzamento delle persone, che interagiscono col capo, è la chiave di successo e la misura delle capacità di ogni lea-der. Convincere le persone richiede energia, ma le persone convinte producono una forte tensione positiva. Ma come si fa a convincere le persone?

Il primo elemento da sottolineare è che le convinzioni sono utili e necessarie alla interpretazione della realtà per ciascuno di noi.

Il tema, quindi, non è avere persone senza convinzioni. Il proble-ma riguarda la natura e la caratteristica della convinzione. La prima defi nizione di convinzione è che si tratta del risultato di un processo di semplifi cazione della realtà, sulla base del quale ciascuno di noi si crea un modello della realtà stessa.

Il fatto di disporre di un modello produce due consistenti effetti al modello stesso:

1. Lo semplifi ca ulteriormente e costantemente, dato che ogni ulte-riore esperienza conferma e non mette in discussione. Non aumenta la complessità, ma si semplifi ca la struttura.

2. Ne rafforza la solidità, dato che essendo il modello una costru-zione personale non si è disponibili a modifi carlo facilmente, dietro la spinta di altri stimoli, diversi da quelli a cui abbiamo conferito valore.

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La semplifi cazione della realtà aiuta a sopportare e organizzare la miriade di stimoli percettivi, sensoriali e intellettuali, che arrivano in ogni momento. Possiamo defi nire i processi di semplifi cazione della realtà come percorsi di generalizzazione, deformazione e cancellazio-ne.

Vale a dire, di fronte ad un fenomeno cognitivo, ciascuno di noi lo traduce, tendenzialmente, nel suo modello di realtà semplifi cato.

- Se dal fenomeno particolare si risale ad una convinzione generale si tratta di una generalizzazione;

- Se nella trasposizione dell’esperienza ne trascuro alcune parti, per confermare la mia convinzione, si tratta di cancellazione;

- Se modifi co parti del fenomeno, per non squilibrare la mia con-vinzione, si tratta di distorsione.

Questi modelli cognitivi della realtà non sono immutabili, perché, durante la vita di una persona, la diversità, la forza e la intensità della realtà è più forte della solidità delle convinzioni. In effetti, solo gli immaturi difendono le proprie convinzioni a fronte della evidenza dei fatti! Il cambiamento e l’evoluzione della convinzione è, dunque, anche un processo naturale che accompagna la crescita, la matura-zione e la valorizzazione di una persona.

Dunque, se le convinzioni sono modifi cabili è utile conoscerne i fat-tori costitutivi per essere in grado di stimolare e infl uenzare questo processo da parte del capo, quando diventi necessario evolvere atteg-giamenti e comportamenti dei propri collaboratori.

I fattori costitutivi delle convinzioniLa parte più nobile delle convinzioni sono i Valori. Per quanto non

sembri vero, anche i valori tendono a modifi carsi nel tempo. Basta chiedersi se, per un cinquantenne, i valori fondanti della vita siano gli stessi di quando aveva venti, trenta o quaranta anni. Se sono gli stessi o sono valori di una realtà immobile (e inesistente) o c’è stato un tota-le irrigidimento del percorso di maturazione della persona.

I valori restano comunque come il livello più alto delle intenzioni della persona, rispetto ai quali defi nisco il mio modello di interpre-tazione della realtà. Ad esempio se uno dei miei valori fondanti è che l’impegno sul lavoro sia determinante per le persone… sono orientato

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a produrre un modello cognitivo che:- Generalizza: tutti quelli che si impegnano sono da premiare.- Cancella: tralasciamo gli errori, approvo l’impegno.- Distorce: non mi importa se sbagli, conta l’impegno.

Il secondo elemento che determina i modelli è l’interpretazione della esperienza di realtà. Come per le informazioni, una esperienza limitata all’individuo tende a restringere e irrigidire molto il modello di sem-plifi cazione. Al contrario acquisire e valorizzare le esperienze di altri, di gruppi o di culture diverse aiuta a rendere aperto e ampio il model-lo cognitivo. Conta molto l’impegno, ma altre esperienze mi inducono a valorizzare la precisione, in certe fasi del lavoro. Non ci avevo pensato ma in effetti è meglio che l’impegno sia accompagnato, o anche ridotto, a favore della precisione. Vedremo in effetti, che nel processo di infl uen-zamento è soprattutto su questa parte che il capo deve far leva. C’è una specie di relazione verticale tra esperienza di realtà e valori, che passa attraverso il seguente parziale modello cognitivo.

Come dire che, l’esperienza amplia, riduce o conferma il modello cognitivo e modifi ca i valori, i quali, a loro volta modifi cati, cerca-no nel modello una loro conferma dalla esperienza. Ma il modello cognitivo è anche attraversato, per così dire, in senso orizzontale.

ESPERIENZA

VALORI

CONVINZIONI

Generalizzazioni,Cancellazioni, Distorsioni

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Perché nella determinazione delle convinzioni sono importanti due ulteriori fattori: i fi ltri della attenzione e le aspettative.

I fi ltri della attenzione sono i fattori su cui la persona, in quel parti-colare momento della sua esistenza, incentra il massimo della propria attenzione Sono ragioni del tutto personali, che spingono le persone ad avere un focus ora sulla carriera, dopo alcuni anni sul proprio be-nessere, dopo ancora sul tempo libero o su altri fattori. Tali centri di attenzione sono veri e propri fi ltri di attenzione per ciascuno, perché capaci di orientare i valori, i modelli e le esperienze per una ricerca della loro soddisfazione. Per questa ragione, e in relazione orizzontale con essi, ci sono le aspettative che ciascuno ha nei confronti di tali fi l-tri. Aspettative che possono essere molto diverse l’una dall’altra sia in termini di priorità che di tipo di soddisfazione.

Per continuare nell’esempio di prima, dopo aver ammesso tra i miei valori, come prioritario, l’impegno sul lavoro, insieme alla precisione, tendo a collegare questo modello al fatto che impegnandomi potrei fare carriera, in quanto le mie aspettative, in questo momento della mia vita, sono riferite alla crescita professionale e personale , formalmente ricono-sciuta dalla organizzazione. L’incrociarsi simultaneo e costantemente in relazione di questi fattori determina la convinzione, che, dunque, è così rappresentabile:

ESPERIENZA

FILTRI ASPETTATIVE

VALORI

CONVINZIONI

Generalizzazioni,Cancellazioni, Distorsioni

Fonte: adattato da DILTS, Il potere delle parole, cit.

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Individuare lo stadio di sviluppo di una convinzioneLe persone maturano più di una convinzione contemporaneamen-

te, anche se a diversi stadi di maturazione (qualcuna più solida, al-tre in declino, qualcuna che si sta sviluppando). Quando il capo si trova a dover affrontare il cambiamento di una convinzione di un proprio collaboratore ha la necessità di individuare innanzitutto lo stadio di sviluppo. Se la persona è molto focalizzata sulla relazione Valori-Esperienza, quasi che ci sia una costante reciproca conferma, è sicuramente una convinzione solida. In effetti interpreto le esperien-ze per la conferma dei valori e, al contrario, i valori mi servono per interpretare l’esperienza. La solidità è data dalla chiusura di questo cerchio , che sembra non avere aperture.

Quando prevale la relazione Centro Attenzione-Aspettative, la con-vinzione si avvia ad aprirsi a modifi carsi, in quanto si apre a valori e esperienze diverse. I valori personali e le esperienze dirette sono verifi cate alla luce di valori e esperienze diverse: di conseguenza la convinzione tende a diventare una convinzione aperta.

Assecondare l’apertura delle convinzioni per evolverleIl leader, riconosciuto il posizionamento della convinzione , può

operare per portarla allo stadio della apertura , trasferendola dall’as-se valori-esperienze a quella centri di attenzione-aspettative, utiliz-zando tre diverse metodologie.

Ampliare le esperienze: occorre valorizzare le esperienze di altri sullo stesso tema oggetto della convinzione: la formazione, in parti-colare il coaching e il mentoring aiutano molto ad ampliare le espe-rienze; lo studio approfondito offre ancora maggiore apertura; infi ne sperimentare direttamente esperienze diverse, occupando ruoli di-versi nella stessa organizzazione.

Valutare la persona: un effetto indiretto di sviluppo delle convinzio-ni è il processo valutativo. La valutazione valorizza comportamenti e/o risultati che sono difformi rispetto alle convinzioni della persona e dimostra quanto la solida convinzione sia inadeguata per il soddi-sfacimento delle sue aspettative.

Far coincidere i fattori motivanti delle persone con le leve motiva-zionali del capo: si tratta, in questo caso, di dare una grande visibili-

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tà al fatto che una persona abbia spinte verso il soddisfacimento di aspettative e che questa disposizione sia soddisfatta dal sistema mo-tivazionale aziendale. Quando questa condizione si realizza, l’asse portante delle convinzioni della persona diventa la relazione molto aperta (perché si modifi ca ) e molto dinamica (perché è un processo costante) tra centro attenzione e aspettative.

Per chiarire quanto sopra e riutilizzando l’esempio possiamo citare il caso in cui il nostro collaboratore convinto che solo l’impegno paghi abbia necessità di modifi care questa convinzione in favore della preci-sione. Il capo lo inserisce in un programma formativo dove chi ha già occupato il suo ruolo gli racconta situazioni di insuccesso e di successo legate all’impegno e alla precisione (mentoring). Successivamente tra i fattori comportamentali della valutazione, il capo inserisce un peso ponderale superiore alla precisione che all’impegno; infi ne se il colla-boratore ha una aspettativa di qualifi ca il capo chiarisce che il centro della sua attenzione dovrà essere sempre più la precisione.

Alla fi ne, però, questi processi, pur essendo necessari, non sono suffi cienti se il capo non è in grado di mantenere costante il processo di apertura delle convinzioni, con la qualità del livello relazionale.

Il livello relazionale è alto se la comunicazione è costante; se l’at-tenzione del capo è rivolta ad identifi care irrigidimento nelle convin-zioni personali; la fl uidità della relazione si basa soprattutto sul fatto che i valori e le esperienze devono sempre essere sottoposte a verifi ca costante. L’errore più comune è cercare di modifi care le altrui con-vinzioni o, peggio ancora, farle sospendere con l’aiuto dell’autorità che deriva dal ruolo. Sembra la strada più rapida «non importa come la pensa, l’importante è che faccia ciò che dico»; in realtà , il risultato sarà sempre minimo, prodotto senza entusiasmo e partecipazione e, costantemente, a rischio di errore o di dover essere rilavorato.

In... sommaLavorare sulle convinzioni è altra cosa dall’esercizio di autorità o

dalla manipolazione psicologica, facendo credere alle persone che hanno convinzioni sbagliate e surrogandole con le proprie; si tratta, invece, di avere costante comunicazione, per elevare la qualità della relazione, da arricchire con fattori nuovi, che mantengano aperta la

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convinzione, senza doverla, per forza annullare o modifi care.Sembra una attività molto faticosa. In realtà, è il nocciolo della

leadership. La diffi coltà nel lavorare sulle altrui convinzioni è che la modifi cazione deve essere convincente e duratura, non episodica e funzionale ad uno specifi co momento. D’altronde è suffi ciente chie-dere a qualsiasi capo quale differenza di effi cienza e di produttività esiste tra avere collaboratori convinti e collaboratori da convincere.

La risposta supera l’apparente fatica.

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Il volumeviene stampato

nel carattere Simoncini Garamondsu carta Arcoprint delle Cartiere Fedrigoni

dalla tipografi a SAGIdi Reggio Emilia

per conto di Diabasisnel mese

di dicembredell’annoduemila

nove

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