Onstage Magazine novembre 2011

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Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% - LO/BS Anno V, n.46 - 2 novembre 2011 www.onstageweb.com Smashing Pumpkins « Spesso, in passato, mi sono sentito limitato e non voglio che succeda più » La seconda vita di Billy Corgan KASABIAN | I SOLITI IDIOTI | ZUCCHERO | PAUL McCARTNEY | THE TWILIGHT SAGA Celebration Vent’anni fa usciva ACHTUNG BABY il disco che ha cambiato per sempre gli U2 LENNY KRAVITZ «Il razzismo non è ancora stato sconfitto. L’elezione di Obama è solo il primo passo» COLDPLAY Mylo Xyloto, la prova di forza di Chris Martin e soci NOEL GALLAGHER «Se vi piacevano gli Oasis non vi preoccupate, ora ci sono i Beady Eye» Disco del mese American hero Face to face

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Onstage Magazine novembre 2011

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SmashingPumpkins«Spesso, in passato, mi sono sentito limitato e non voglio che succeda più» La seconda vita di Billy Corgan

KASABIAN | I SOLITI IDIOTI | ZUCCHERO | PAUL McCARTNEY | THE TWILIGHT SAGA

CelebrationVent’anni fa usciva

ACHTUNG BABY il disco che ha cambiato

per sempre gli U2

LENNY KRAVITZ«Il razzismo non è ancora stato sconfitto. L’elezione di Obama è solo il primo passo»

COLDPLAYMylo Xyloto, la prova di forza di Chris Martin e soci

NOEL GALLAGHER «Se vi piacevano gli Oasis non vi preoccupate, ora ci sono i Beady Eye»

Disco del mese

American hero

Face to face

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ONSTAGE 06 NOVEMBRE

EDITORIALE

crive Riccardo Luna su La Repubblica di venerdì 7 ottobre, che «due grandi fatti hanno determinato il successo della rivo-luzione digitale: i prodotti della Apple di

Steve Jobs e l’invenzione del world wide web da parte di Tim Berners-Lee. Come i primi hanno reso l’elettronica di consumo una cosa facile, sexy e per tutti, così l’invenzione del web ha trasformato In-ternet da rete per far comunicare università e mili-tari nella più grande piattaforma di comunicazione dell’umanità. Jobs e Berners-Lee non avevano la stessa visione del web: un giardino dorato e chiu-so il primo, una città aperta il secondo». L’analisi dell’ex direttore di Wired è illuminante: in poche ri-ghe riassume pregi e difetti del fondatore di Apple. Per quello che abbiamo visto noi, s’intende.

Nessuno può mettere in discussione il fenomena-le impatto di Steve Jobs sul cambiamento in senso digitale delle nostre abitudini. Ha reso affascinanti strumenti che avrebbero dovuto essere solo utili, accelerando la trasformazione dell’elettronica in prodotto da consumo. Scrivo su un MacBook, te-lefono con un iPhone, ascolto musica con un iPod, navigo con l’iPad e sono entusiasta di queste mera-viglie. Mi sono anche utili - c’è un minoranza che li usa per lavorare – eppure non credo che i prodot-ti Apple abbiano migliorato la mia vita. Abbiamo preso un granchio enorme. Jobs non ha cambiato la nostra esistenza, come invece hanno sostenuto, pri-ma e dopo la sua morte, autorevoli intellettuali sul-le pagine dei più importanti giornali del mondo (e i comuni mortali su Facebook.). Credo piuttosto che sia stato bravissimo a imporci dei consumi, trasfor-mando voglie in bisogni, desideri in necessità. Un genio commerciale, con una strategia fenomenale nei risultati ma banale nella sostanza: è più genero-sa la ricompensa se i prodotti offerti sono belli.

Quando Luna dice che l’Internet di Steve Jobs era «un giardino dorato e chiuso» si riferisce al si-stema-Apple, uno stato chiuso e protezionista, con le frontiere sbarrate e l’esercito schierato a difesa dei confini. Se hai Apple non puoi avere nient’altro che Apple, altrimenti non funziona. I sistemi chiu-

si non migliorano la vita del genere umano, quelli aperti invece lo fanno. Tim Berners-Lee ha immagi-nato il web come «una città aperta», un luogo cioè che fosse a beneficio delle potenzialità del genere umano tutto. Internet ha cambiando e migliorato il mondo, Steve Jobs ha solo intuito prima degli altri cosa avrebbe potuto venderci e come farlo meglio di tutti. Puro genio commerciale. Credo che il ca-pitalismo sfrenato della Apple sia stato frainteso: è un gioiello di azienda, ma essere affamati e pazzi non significa permettere che si producano oggetti di lusso dove si praticano condizioni di lavoro di-sumane (la cinese Foxconn, che produce gli iPad, è nota per i suicidi dei propri dipendenti, stremati dalla schiavitù a cui sono costretti).

Steve Jobs era uno che ce l’aveva fatta, per questo ci piaceva tanto. Era una rockstar. Dal nulla aveva conquistato il mondo, dando una forma (bellissi-ma) all’immaginazione come solo gli artisti sanno fare - benvenuto in questo mondo pieno di oscenità chi è capace di tanto; mobilitando le masse e indu-cendole al fanatismo - le folle assiepate davanti alle cattedrali di cristallo di Apple, in attesa del nuovo miracolo in plastica e software, ricordano tanto quelle ammassate sulle transenne sottopalco di un concerto rock. Comunicando con le parole (“Stay hungry, stay foolish” è di potenza pari a “All you need is love” dei Beatles) e con linguaggi meno im-mediati ma altrettanto efficaci: quel look da nerd era il suo completo di pelle per andare in scena.

Come le rockstar, Steve Jobs aveva una visione machiavellica: lo spettacolo deve continuare in ogni caso, avanti finché piace. Ci intratteneva, ci faceva godere e poi se tornava in albergo con il suo ingaggio faraonico, lasciandoci felici e soddisfatti sulla via di casa. Oh yeeeeah!

P.s. I lettori più attenti si accorgeranno che manca la secon-

da parte di “Libertà, collettivo e rock’n’roll”, nostro viaggio nel

mondo dei Negramaro cominciato con l’intervista a Giuliano

Sangiorgi. Per esigenze di spazio abbiamo dovuto sacrificarlo,

ma è sul nostro sito (onstageweb.com).

S

Daniele Salomone

ConcertiZUCCHERO: 7-8/11: Mediolanum Forum, MILANO; 16/11: Palalottomatica, ROMA; 26-27/11: Palaolimpico, TORINO;SMASHING PUMPKINS: 28/11: Mediolanum Forum, MILANO; LENNY KRAVITZ: 21/11 Mediolanum Forum, MILANO MARCO MENGONI: 26/11: Mediolanum Forum, MILANO; 29/11: Palalottomatica, ROMAKASABIAN: 20/11 Alcatraz, MILANONOEL GALLAGHER: 28/11 Alcatraz, MILANO

MILANOBar Magenta, Banghrabar, Biblioteca Sormani, Blender, Bond, Cafè Milano, Cargo Colonial Cafè, Cuore, Deseo, Exploit, Felice-San Sushi, Frank Cafè, Fresco Art, Grey Cat Pub, Huggy Bar, Ied, Item, Jamaica, Julien Cafè, Kapuziner, La Bodeguita del Medio, La Caffetteria, La Voglia Di, Le Coquetel, Le Scimmie, Lelephant, Magazzini Generali, Maxi Bar, Mom Cafè, Morgan’s, Pacino Cafè, Pharmacy Store, Refeel, Roialto Cafè, Salezucchero, Sergent Peppers, Skip Intro, Stardust, Sushi, The Good Fellas, Trattoria Toscana, Twelve, Union, Volo, Yguana ROMAAvalon Pub, Birreria Marconi, Cartolibreria Freak Out, Casina dei Pini, Circolo degli Artisti, Crazy Bull, Deja’Vu, Distillerie Clandestine, Express, Fata Morgana, Freni e Frizioni, Friend’s Art Cafè, L’Infernotto, Latte Più, Le Sorelle, Lettere, Cafè, Living Room Cafè, Locanda Atlantide, Micca Club, Mom Art, On The Rox, Open Music Cafè, Pride Pub, Rock Castle Cafè, Shanti, Simposio, Sotto Casa Di Andrea, Sotto Sotto, Tam Tam, Zen.O PADOVABaessato Wine Bar,

FIRENZE: Centro Commerciale I Gigli, Via San Quirico 165, Campi Bisenzio (FI)GENOVA: Via XX Settembre 46/RMILANO: Via Della Palla 2NAPOLI: Via Luca Giordano 59 ROMA: Galleria Commerciale Porta Di Roma, Via Alberto Lionello 201TORINO: Via Roma 56 - Shopville Le Gru, Via Crea 10, Grugliasco (TO)VERONA: Via Cappello 34

BOLOGNA: Viale Filopanti 4/M FIRENZE: Borgo la Croce 42/rGENOVA: Via Colombo 21/r MILANO: C.so Porta Ticinese 100, Largo Gemelli 1 c/o ISU Univ. Cattolica, Via Carlo Bo 1 c/o IULMROMA: Via Solferino, 6-6/A, Piazza dell’Alberone 14, Piazza Irnerio 43C.so Vittorio Emanuele II 297, Via degli Ausoni 5, TORINO: Corso Belgio, 141/A, Corso Duca degli Abruzzi, 24VENEZIA: Dorsoduro Ca’ Foscari, 3252

Direttore responsabileEmanuele Vescovo

Direttore editorialeDaniele [email protected]

Art directorEros [email protected]

CaporedattoreStefano [email protected]

RedazioneFrancesca [email protected] [email protected]

EditorialistiCharlie Rapino, Mattia Odoli

Hanno collaboratoBlueglue, Antonio Bracco, Guido Amari, Gianni Olfeni, Marco Rigamonti, Claudio Morsenchio, Cristina Valentini, Emanuele Mancini

Foto di copertinaAlessio Pizzicannella (Mengoni)

Francesco Prandoni (Zucchero)

Direttore marketingLuca [email protected]

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Registrazione al Tribunale di Milano n. 362 del 01/06/2007

Magazine

Onstage Magazine on tour, novembre 2011

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Locali

Page 5: Onstage Magazine novembre 2011

INDICE

rubriche

13 Jukebox Il ritorno al cinema del Re Leone in 3D e Luca Argente-ro con Lezioni di cioccolato 2, i concerti di Kasabian, Mc-Cartney, Dylan & Knopfler.

18 Face To Face Noel Gallagher racconta il suo primo album solista, mentre il Nongio e Bi-gio ci svelano il loro debutto cinematogra-fico con I soliti idioti.

44 Rock’n’Fashion Lo stile della Swinging Lon-don non è mai tramontato, e lo dimostrano talenti come Kooks e la gio-vane Florence Welch.

47 What’s New Il nuovo album dei Coldplay, Negrita, Me-tallica, Justice, Florence + The Machine. Ma anche cinema, con il nuovo capitolo di Twi-light, games, libri e altro.

54 Coming Soon Dopo aver licenziato il nuovo album, la rock band più cool d’America tor-na in Italia per due date che si preannunciano piccanti. Ecco a voi i Red Hot Chili Peppers!

ONSTAGE 08 NOVEMBRE

22 MarcoMengoniIn occasione dell’uscita di Solo 2.0, Onstage ha incontrato Marco Mengoni. Era la prima volta ed è stata una piacevole sorpresa. Lui e la sua musica sono molto meglio di quanto pensassimo.

Onstageweb.com

34 ZuccheroÈ appena tornato da un lungo giro in America, dove ha portato la versione in inglese di Chocabeck. Per festeggiare le date italiane, rispolveriamo l’intervista di qualche mese fa.

28 Smashing PumpkinsIn attesa delle due date italiane e del nuovo album della rock band americana (Oceania, atteso per il 2012), abbiamo ricostruito le due vite di Billy Corgan, leader degli Smashing Pumpkins.

38 Lenny KravitzIl suo ultimo album, Black And White America, è stato un successo di critica. Ora il suo tour arriva a Milano e sarà un successo di pubblico. Noi l’abbiamo incontrato a Roma.

videointerviste foto live contestNegrita Linea 77The RaptureKasabianI Soliti IdiotiMarco Mengoni

George MichaelZuccheroLenny KravitzBob DylanMark KnopflerNoel Gallagher

ZuccheroNegramaroVaccaGiorgiaLuca CarboniNoyz Narcos

facebook/ONSTAGE MAGAZINEtwitter/ONSTAGEMAGAZINE

Page 6: Onstage Magazine novembre 2011

CELEBRATION

ONSTAGE 10 NOVEMBRE

SChOOL OF ROCK. Gli U2 si sono formati nel 1976 a Dublino. Larry Mullen appese un annuncio sulla bacheca della Mount Temple School: risposero Adam Clayton, David Evans (The Edge), suo fratello Dick e Paul Hewson (Bono). Dick lasciò presto il gruppo, che allora si faceva chiamare Feedback. In meno di un decennio gli U2 passarono dalla scuola al tetto del mondo.

CELEBRATION

ONSTAGE 11 NOVEMBRE

Persino meglio della realtà

D ublino, dicembre 1989. Gli U2 sono di nuovo in città dopo una campagna triennale che li ha portati a conquistare il mondo. I concerti in programma al Point Depot Theater valgono l’abbraccio della madre ai figli tornati da una

lunga guerra. L’entusiasmo è contagioso, eppure i festeggiati sono a disagio. «Questi spettacoli sono importanti perché segnano la fine di qualcosa». Dal palco, Bono celebra una liturgia apocalittica. Sente che la band, dopo l’uscita di The Joshua Tree, ha perso il controllo. «Siamo partiti pensando di essere una band post-punk e siamo tornati con i cappelli da cowboy. Quando da ragazzini andavamo a vedere i Clash sapevamo da che parte stare. Le band come gli U2 del 1989 erano i nemici. Ci eravamo trasformati nei nostri stessi nemici». Le parole che il cantante consegna al documentario From The Sky Down - diretto da Davis Guggenheim, esce in occasione dei vent’anni di Acthung Baby insieme alla versione rimasterizzata del disco – identificano il disturbo post-trau-matico di cui gli irlandesi rimangono vittime alla fine degli anni Ottanta: dominano il mondo ma non si ricono-scono nell’immagine che lo specchio riflette. Perché diavolo stanno facendo la figura degli sfigati? Lo scarso successo di Ruttle And Hum (pellicola, e disco, in cui si documentava la tournèe americana dell’87) ha peggiorato l’umore della truppa, ma sono i segni della guerra tutta ad aver sfigurato gli U2.

Brian Eno ha già lavorato a Berlino con David Bowie. Conosce il posto e sa che la capitale della Germania riunificata è il luogo giusto per andare in cerca del futuro. Il Muro è caduto da qualche mese e la città è incredibilmente viva, ricca di pulsioni umane e sociali, il posto più interessante per mettersi sulle tracce di Sorella Ispirazione.Bono e The Edge, entusiasti, fanno subito le valigie: non si vedono da mesi ma hanno entrambi divorato tonnellate di musica elettronica, soprattutto tedesca, e sono fermamente convinti che solo un cambiamento radicale consentirà agli U2 di sopravvivere. «Il sound che veniva dalla Germa-nia - racconta oggi il chitarrista - era la musica soul europea, in quel groove c’era l’anima del nostro continente. Un suono così freddo da esaltare ogni scintilla di umanità si nascondesse in mezzo. Berlino era il posto ideale dove trovare tutto questo».

La storia continua, ma se Acthung Baby è diventato quello che è di-ventato si deve alla parte fin qui raccontata. Ricapitolando, la più im-portante rock band del pianeta attraversa una crisi d’identità che può

comprometterne il futuro. «Quello che la gente vedeva negli U2 non corrispondeva affatto a come ci sentivamo noi – ricorda Bono – e que-sta situazione ci rendeva terribilmente frustrati». Fondamentalmente gli U2 si stavano prendendo troppo sul serio, scambiando il luna park in cui erano finiti per una chiesa. Erano disposti a tutto pur di uscire da questo malinteso, persino a rinnegare se stessi diventando quello che fino a quel momento avevano rifiutato. «Smettemmo di essere tipi sinceri e immusoniti - ricorda The Edge - abbonando lo stile cupo di The Joshua Tree. Accettammo il nostro mondo contraddittorio e diven-tammo più brillanti».

L’universo degli U2 subisce un big bang. Suoni freddi e sperimenta-li soppiantano il rassicurante rock intriso di blues degli ultimi lavori, mentre Bono comincia a cantare i celebri falsetti e si presta persino a

un restyling d’immagine, diventando l’alterego “The Fly”, lo stereotipo del-la rockstar che ha sempre detestato. L’obiettivo di Anton Corbijn ritrae la band in modo diverso: niente più foto da musoni irlandesi, gli U2 devono es-sere cool. Il singolo scelto per lanciare il disco, The Fly, lascia sbalordito chiun-

que avesse amato – milioni di persone - gli U2 per quello che erano stati fino ad allora. Infine lo ZooTV Tour, che ribalta tutti i canoni estetici degli spettacoli della band dublinese (e non solo): una produzione ma-stodontica, con schermi enormi, video wall e ogni diavoleria tecnologia disponibile. In pochi mesi gli U2 si tolgono i panni da boyscout per diventare pirotecniche rockstar. Senza avere la più pallida idea di come tutto questo sarebbe stato accolto.

«Se siamo ancora qui oggi è merito di Achtung Baby. È stata la svolta. Potevamo crescere oppure implodere, ci siamo giocati tutto». Le parole che Bono pronuncia vent’anni dopo inquadrano perfettamente quanto accaduto in quel preciso momento della storia degli U2. Un salto nel buio, come in fondo ogni opera d’arte dovrebbe essere non dovendo assecondare altro istinto che quello dell’artista. Se Acthung Baby è uno dei dischi più significativi e influenti della storia della musica si deve all’urgenza espressiva, esplosiva e irriverente - tanto si è presa gioco di tutti gli ostacoli - che lo attraversa. Sembra paradossale che in questi ul-timi anni gli U2 siano stati criticati proprio per non aver più mostrato lo stesso coraggio. La risposta è nelle parole (di Bono) che aprono e chiu-dono From The Sky Down. «Bisogna rifiutare la propria identità prima di ritrovarne un’altra. Ma si rischia tutto perché in mezzo c’è il nulla».

di Daniele Salomone - Foto di Anton Corbijn

« Smettemmo di essere tipi sinceri e immusoniti, abbonando lo stile cupo

di The Joshua Tree. Accettammo il nostro mondo contraddittorio e diventammo

più brillanti » The Edge

Era il 18 novembre 1991...…quando la Island Records pubblicò Achtung Baby, setti-mo disco in studio degli U2. Registrato a cavallo tra la fine del 1990 e i primi mesi del ’91, prima agli Hansa Studios di Berlino e poi ai Windmill Lane Studios di Dublino (da quel-le session uscì anche Zooropa) l’album vanta la produzione artistica di Brian Eno e Daniel Lanois, mentre del missaggio si occuparono Flood e Steve Lillywhite. Il 31 ottobre scorso

è uscita la versione rimasterizzata di Achtung Baby, dispo-nibile in cinque formati: standard version, deluxe version (comprende un cd con 2 inediti, b-side e rarità), super delu-xe box (6 cd, con Zooropa rimasterizzato + 4 dvd, compreso il documentario From The Sky Down), uber deluxe box (6 cd + 4 dvd + 5 vinili singoli, libro e persino gli occhiali da sole di Bono) e infine in versione interamente in vinile (4 LP).

Compie vent’anni Acthung Baby, il disco più significativo della straordinaria carriera degli U2. Raro esempio di coraggio e irriverenza creativa, trasformò radicalmente la percezione che il mondo aveva della band irlandese.

Page 7: Onstage Magazine novembre 2011

JUKEBOX

I giornali musicali inglesi, si sa, peccano da sempre di uno smaccato campanilismo e tendono spesso all’esagerazione. Ogni sei mesi puntano su un nome e ci ricamano sopra come fosse il nuovo salvatore

della patria. Il rock e il pop, però, da quelle parti sono cose serie, mica canzonette e allora si tende a perdonare anche alcuni eccessi, sia dei giornalisti che delle star in questione, gli artisti. I Kasabian, per esem-pio, sono considerati la migliore rock’n’roll band del Regno Unito e, messi da parte i luo-ghi comuni e le intemperanze da star dei do-rati Seventies, Serge Pizzorno, Tom Meghan e compagni sono davvero uno dei nomi irri-nunciabili di questi ultimi cinque anni. Stanno per arriva-re anche qui da noi in Italia, dopo il bel concerto estivo a Bologna nell’ambito dell’I-Day, e qui a Onstage facciamo il tifo per loro perché anche il loro ultimo disco, Velociraptor, ci è piaciuto moltissimo. Un riuscito mix tra psichedelia degli anni Sessanta, rock possente alla Faces o Mott The Hoople (tanto per restare da quelle parti) e un’aggiun-ta di suggestioni dance che rimandano alla Madchester d’annata tanto per gradire e rendere il piatto più gustoso.

«Abbiamo influenze ben precise e riconoscibili, ma siamo capaci di incorporarle con sonorità nuove e fresche, non vo-gliamo essere la brutta copia di questo o quell’altro gruppo. Cerchiamo di essere i Kasabian e direi che ci stiamo riuscen-do piuttosto bene. Per farti un esempio, a casa mia ho un vecchio jukebox e l’ho riempito di singoli incredibili; una

notte mi sono fermato ad ascoltarli uno dietro l’altro e ho iniziato a pensare a quanto sarebbe stato bello incidere un album composto da pezzi completamente diversi fra loro ma, allo stesso tempo, perfetti da ascoltare in fila. Diciamo che la nostra ambizione per Velociraptor era di comporre delle grandi canzoni, indipendentemente dal genere». Pizzorno, chitarrista e compositore dei Kasabian ha le idee molto chiare a riguardo, pare posseduto dal sacro fuoco della scrittura e forma col cantante Tom Meighan una cop-

pia che rimanda - con i dovuti distinguo del caso - ad al-tre storiche unioni del rock’n’roll come quelle fra Lennon e McCartney («Questo disco è il nostro Revolver», hanno dichiarato i ragazzi), Jagger e Richards o Strummer e Jo-nes. Mica roba qualunque, insomma, anche se la strada da percorrere per quelle vette di assoluta eccellenza è ancora

molto lunga. Ancora Sergio ci dice: «Abbiamo registrato buona parte del materiale a casa mia, ma è stato comunque molto stimolante andare a San Francisco nello studio di Dan The Auto-mator, il nostro produttore. È una città straor-dinaria e ci siamo fatti parecchi amici da quelle parti. Molte idee sono nate lì, specialmente i te-

sti di Tom. Si faceva lunghissime camminate alla mattina presto e poi tornava con le liriche pronte. Non chiedermi come facesse… Immagino che l’atmosfera generale del posto abbia in qualche modo influito, ma la prossima vol-ta mi piacerebbe affittare una villa nel sud della Francia, come fecero gli Stones per Exile On Main Street. Sarebbe davvero una cosa rock’n’roll…». Con calma e perseveran-za, ma i Kasabian ce la possono fare. Avvisate i residenti in Costa Azzurra che stanno per tornare i capelloni…

« Abbiamo influenze ben precise e riconoscibili, ma siamo capaci di incorporarle con sonorità nuove

e fresche, non vogliamo essere la brutta copia di questo o quell’altro gruppo »

Siamo una classica rock band!Si chiama Velociraptor ed è il titolo del nuovo album di Sergio Pizzorno, Tom Meghan e compagni, i Kasabian. Come i precedenti lavori, anche questo è schizzato in cima alle classifiche britanniche e minaccia di fare altrettanto nel resto del mondo…

di Gianni Olfeni

Musica, moda, cultura, spettacolo, cinema

Uno dei capo-lavori targati

Disney fa il suo ritor-no in pompa magna in versione 3D. Di che si tratta? De Il re leone, campione d’incassi anni or sono e pronto a riconfer-marsi ai botteghini.

Poker d’assi per la nuova

edizione dell’Eastpak Antidote Tour: A Day To Remember, The Ghost Inside, August Burns Red e Living With Lions sono pronti a mettere a ferro e fuoco Milano.

Il ritorno in Italia di tre

mostri sacri del rock questo mese: Paul McCartney, Bob Dy-lan e Mark Knopfler.

Un nuovo al-bum intitolato

Io tra di noi e tanti progetti in cantiere per il poliedrico Dente. Scopriamo di che si tratta!

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ONSTAGE 13 NOVEMBRE

Musica

20/11 Milanolive

Page 8: Onstage Magazine novembre 2011

L ’ululato annoiante, vomito loureediano, di Faris Badwan lead singer degli Horrors, in concerto a Milano il 22 novembre, “I can see

through youuuuuuu and I don’t get iiiiiiit” riempie il superstereo Alpine del Giaguaro nero V8 ultra violence turbocompresso che sfreccia nella notte in qualche posto semisconosciuto di qualche auto-strada diretta a Saint Tropez. Quale migliore colon-na sonora poteva esserci sul Giaguaro che si dedica alla rinuncia dell’ego del suo pilota, in quella stessa auto sulla quale si sono seduti da Marvin a Sienna in tanti viaggi su un Embankment bagnato dalla luna?

L’ultimo lavoro degli Horrors è il migliore album, per chi li compra ancora, dell’ultimo decennio. Un lavoro completamente dedicato al rifiuto della per-sona, al nichilismo, alla noia totale e alla rinuncia dell’ego maschile, all’apologia dello scontro fisico, al distacco dell’individuo. Devono passare una vera vita di merda questi qua e non scherzano. Sono di Southend e, credetemi, quel posto è un vero merda-io. Chi non li ascolta non ha capito una sega della so-cietà moderna; in poche parole, agli Horrors non fa paura fare schifo! A me piacciono molto i gruppi che non hanno paura di sembrare brutti e schifosi. E al-lora facciamoci schifo, tanto il rock’n’roll è morto, in quanto la virilità delle rockstar stesse è andata a farsi fottere. Porto il Giaguaro al suo adatto burial, in quel 55 di Saint Tropez, nella notte e a velocità da neutri-no. Avete vinto carissime democrats! Mi avete rotto le palle e pure io inizierò a leggere i libri di Caitlin Moran, a perseguire una vita casta da maschio non tonico molto manager in stile Draghi alla Bocconi (o meglio bocchini), voterò per qualche pseudo liberal politicamente corretto che pesca il 70% dei membri del suo cabinet tra le donne, magari ascolterò pure Adele e i Baustelle e comprerò un bel SUV ibrido per avere una mogliettina modello Ralph Lauren/Mulino Bianco. Uno di quei gipponi di merda ha contribuito alla castrazione del maschio negli ultimi 30 anni. Addio ai sorrisi invitanti di qualche Sienna o Kate, di qualche biondina yè-yè, al Groucho Club. Prometto una casta fedeltà, non ascolterò più Mar-vin Gaye, lasciatemi solo nella mia personale aliena-zione ad ascoltare di nascosto gli Horrors, cercherò di non dire e divulgare che il loro disco è un fottuto capolavoro.

Lascerò il Giaguaro V8, mio alter ego nonché la miglior supercar costruita negli ultimi vent’anni, mio compagno di scorribande notturne balordis-sime, in qualche via di Saint Tropez, dove merita la sua fine esteticamente scorretta, in un occidente esteticamente scorretto. Addio mio vecchio Gia-guaro. Hanno vinto loro, per il momento, con i loro sorrisini, con quella roba da democrazia, quella roba da repubblica.

Un paese per vecchi?

L o ammettiamo, è una frase fatta, specialmente quan-do si parla del nostro povero paese, ma come tutti i luoghi comuni nasconde un fondo di verità. Per

esempio che i due eventi principali, a livello musicale, di questo ultimo scampolo di 2011 sono appannaggio di due artisti leggendari ma che hanno superato i settant’anni, un età che si fa fatica – sempre meno, bisogna aggiungere per correttezza – ad associare con il rock’n’roll. Il primo ritorno è quello di Bob Dylan, nome che certamente non ha bisogno di nessuna presentazione, talmente leggendario e mitizzato da rendere inutile qualunque disquisizione ulteriore.

Questa volta il grande Bob, non esattamente un anima-le da palco e noto per la sua grande discontinuità di ren-dimento dal vivo, dividerà il proprio spazio con un’altra rockstar, Mark Knopfler. Baciato da un successo planetario coi suoi Dire Straits, il chitarrista si è poi accontentato di vivacchiare con una carriera solista che soddisfa princi-palmente se stesso. I due proporranno dei set ben distinti, anche a livello di suggestioni: Dylan ha annunciato una scaletta ricchissima di classici dei suoi periodi più fulgidi, con pezzi da brivido come Don’t Think Twice It’s All Right,

Tangled Up In Blue, Desolation Row, Ballad Of A Thin Man e, nei bis, la doppietta Like A Rolling Stone e All Along The Watchtower, mentre Knopfler punterà tutto sulla sua carrie-ra solista senza concessioni alla nostalgia. Un punto a favo-re di Mark, ma è piuttosto ovvio che un personaggio come Dylan non riesca/possa rinunciare a salti in un passato che è pura storia del rock. Se volete rendere omaggio alla gran-dezza dei due personaggi, ci sono quattro possibilità: Pado-va, Firenze, Roma e Assago, tra il 9 e il 14 di questo mese.

Quello dell’ingombro di un passato che sublima persino la leggenda, è esattamente lo stesso discorso che si potreb-be fare per Macca. Il suo On The Run Tour è quanto di più simile esista a un greatest hits dal vivo e non potrebbe esser altrimenti: qui i pezzi forti si chiamano Drive My Car, Pa-perback Writer, All My Loving, Back In The U.S.S.R., Let It Be, Get Back, Yesterday e Helter Skelter, tutti del repertorio beat-lesiano, ma non mancano i lunghi tributi alla sua carriera solista o coi Wings come Live And Let Die, Band On The Run, 1985 e Sing The Changes. Due sole date, Assago e Bologna il 26 e 27 novembre, entrambe esaurite, come si comanda a un baronetto e a una figura mitologica del rock.

Questo finale di 2011 regala ai fans italiani alcuni concerti di grandissimi vecchi della musica rock, come il baronetto Paul McCartney e il poeta Bob Dylan - in compagnia del non più giovane Mark Knopfler.

London caLLing

Inno alla rinuncia

di Charlie Rapino - Produttore discografico

di Stefano Gilardino

JUKEBOX

ONSTAGE 15 NOVEMBRE

JUKEBOX

ONSTAGE 14 NOVEMBRE

Un nuovo ruggito si ode all’orizzonte. O meglio, di nuovo c’è la confezione ma il ruggito è quello del 1994. Nel riciclo di idee e di storie alla ricerca di

familiarità per il pubblico, che implica meno rischi per gli studi cinematografici, non ci sono soltanto remake, sequel e reboot. La Disney ripropone sul grande schermo un classico d’animazione per famiglie che 17 anni fa aveva avuto un enorme successo e lo fa rieditandolo in 3D grazie al massi-mo sfruttamento della tecnologia moderna. Ma Il Re Leone è quello originale, realizzato con le tradizionali tavole dise-gnate a mano, tale e quale alla versione che tutti abbiamo visto al cinema o successivamente nel salotto di casa in VHS o DVD. Anzi, è più che probabile che una persona su tre l’abbia fisicamente nella propria collezione.

Uscito negli Stati Uniti lo scorso 16 settembre, in cinque settimane ha incassato novanta milioni di dollari lascian-do di stucco gli stessi dirigenti della Disney che ora stanno pianificando di ripetere l’operazione con gli altri capolavori degli anni 90, cominciando da La Sirenetta. È evidente che l’appeal del 3D (con risultati altalenanti nei film di recen-tissima produzione, per la verità) non può essere stato il traino per tornare a vedere in sala un film che quasi tutti

conoscono. Ci sono storie universali romantiche, avventu-rose, d’amicizia o fantasy che resistono al tempo, come tutti i classici della letteratura che a ogni cambio generazionale vengono riscoperti. Quella del Re Leone è scritta per il ci-nema, racconta la vita, la morte, l’amicizia ed è una storia degna di essere considerata immortale. Qualcuno ci vede addirittura una parafrasi dell’Amleto in questa savana, nel-la regalità del passaggio della corona da Mufasa (doppia-to a suo tempo dal compianto Vittorio Gassman) all’erede Simba, a scapito del malvagio fratello Scar (con la voce di Tullio Solenghi).

Oltre a questo, come non ricordarsi delle musiche? Hans Zimmer compose lo score del film, Elton John firmò cinque canzoni tra le quali Can You Feel the Love Tonight sulle parole di Tim Rice e tutti e tre si portarono a casa un Oscar. Il cer-chio della vita fu una hit anche in Italia nella versione cantata da Ivana Spagna. La colonna sonora ebbe una tale eco da svincolarsi dalle immagini diventando un grande musical tutt’ora in programmazione sia a New York che a Londra. In definitiva, l’invito a una nuova visione in sala si legge tra le righe del brano più famoso del film: “Senza pensieri, la tua vita sarà - chi vorrà vivrà, in libertà - Hakuna Matata”.

Il re della foresta (e del cinema)

Il significato dell’amore

Il Re Leone, uno dei film d’animazione più amati di sempre ritorna al cinema l’11 novembre. Ma per vedere il classi-co Disney questa volta serviranno gli occhialini 3D...

di Antonio Bracco

L’inaspettato successo di Lezioni di cioccolato, uscito nel 2007 per la regia di Claudio Cu-pellini, ha generato un sequel intitolato na-

turalmente Lezioni di Cioccolato 2. A parte il cacao, le nocciole, lo zucchero, il burro e le uova, gli altri ingredienti di questa commedia vengono rimesco-lati. La nuova ricetta non contempla più Violante Placido e Neri Marcoré. Subentrano Vincenzo Sa-lemme, Angela Finocchiaro e Nabiha Akkari (pro-tagonista femminile accanto a Checco Zalone in Che bella giornata) per dar manforte al vero protagonista senza il quale non ci sarebbe stato nessun seguito: Luca Argentero. «Ha un pessimo rapporto col gene-re femminile, o meglio, un ottimo rapporto. Per lui le donne sono una conquista, sono carne da macel-lo… è un diavolo scanna donne», racconta l’attore parlando del suo personaggio Mattia Cavedoni. E ci si domanda intanto quale donna al mondo non si farebbe “scannare” da lui, sia nei panni di se stesso sia di qualunque personaggio interpreti.

Nel primo film, il geometra Argentero/Cavedoni si fingeva egiziano per partecipare a una scuola di pasticceria evitando così la denuncia di un suo ope-raio pagato in nero e infortunatosi sul cantiere. La storia prosegue in questo sequel, diretto da Alessio Maria Federici, con il geometra tornato all’edilizia e l’ex-operaio Kamal (interpretato da Hassani Shapi) ora neoproprietario di una cioccolateria. Nessuno dei due naviga in buone acque. Tanto scarseggiano gli appalti da una parte quanto i clienti dall’altra. Il progetto di unire le forze c’è, ma Kamal non ha intenzione di permettere che la figlia Nawal, tornata da un periodo di studi all’estero, incontri e conosca uno sciupafemmine come Mattia. Quel personaggio è però destinato a cambiare perché «con il cioccola-to scopre tante cose», continua Argentero, «scopre il senso del lavoro, l’amicizia, il rispetto per gli altri e il significato dell’amore». E riscoprire Luca Argen-tero è quanto fa il pubblico (soprattutto femminile) ogni volta che val al cinema a vedere uno dei suoi film.

Tornano al cinema le Lezioni di cioccolato di Luca Argentero. Cambiano alcuni ingredienti che non tradiscono però il gusto della commedia, come si conviene a un sequel.

di Antonio Bracco

(ovvero perché Skying degli horrors è l’uni-co disco decente del 2011 e voi siete fottuti!)

Da Madrid a Manchester, passando per Amburgo e ovviamente Milano: il tour europeo promette scintille e il pieno rispetto di una tradizione che

ha visto affiancati al brand Eastpak i migliori gruppi della scena punk, emo e har-dcore del mondo. Nato nel 2005, questo festival itinerante ha visto la partecipazione di band di caratura mondiale come Gogol Bordello, Millencolin, Flogging Molly, Randy, Danko Jones, Soilwork, Anti-Flag e Sum 41, tanto per citare quelle più co-

nosciute, ma è stato anche fondamentale nell’introdurre al pubblico gruppi o realtà di minor successo ma di pari talento. Proprio ciò che si ripromette di fare quest’ultima edizione, affiancando agli headliner A Day To Remember

(nella foto) una triplet-ta composta da August Burns Red, The Ghost Inside e Living With Lions. Atmosfere che varieranno dall’har-dcore del gruppo della Florida che chiuderà la kermesse, alla misce-la di metal, hard rock e punk delle altre tre band.

Eastpak Antidote TourÈ arrivato alla settima edizione il tour alternative sponsorizzato da Eastpak e sarà anche l’ultima. Non potete dunque perdervi la data milanese dell’Alcatraz, 6 novembre, e il solito cast d’eccezione.

di Guido Amari

Musica

Cinema Cinema Musica

Il successo, quello vero intendiamo, l’hanno già spe-rimentato, seppur brevemente, con il primo album e con un singolo contagioso come Rock & Roll Queen,

una sorta di tormentone finito anche in qualche pubblici-tà. Se non lo ricordate basta una rapida ricerca in rete e, dopo qualche secondo, vi ritroverete a cantare “be my, be my, be my little rock & roll queen”. La loro storia è quella delle più classiche band di amici: lui (Billy Lunn, chitarra e voce) ama lei (la bassista Charlotte Cooper) e finisce per coinvolgere il fratello (Josh Morgan, batteria). Nonostante la fine delle storia d’amore i tre funzionano alla perfezione e passano dall’anonimato al successo in un breve attimo e con un solo album all’attivo.

Come spesso succede, è la parte successiva quella più

difficile ma i Subways mostrano di saper gestire la pro-pria carriera con oculatezza e si affidano, per Money And Celebrity, alle sapienti mani di Stephen Street, produttore (ma anche compositore) di Morrissey, Blur e molti altri fe-nomeni del pop britannico. Spiega Billy: «Molti dei brani li ho composti seduto nel mio appartamento davanti alla televisione, che mi ha fornito spunti infiniti per i testi. Al contrario delle volte scorse, infatti, stavolta ho scritto pri-ma le liriche, che parlano di talent show, politica, attuali-tà, crisi finanziare, problemi personali, davvero un po’ di tutto. Solo successivamente ho capito come adattarli alla musica. Ora non vediamo l’ora di suonare dal vivo in giro per il mondo». Compresa l’Italia, per due show che si pre-annunciano incandescenti.

Soldi e celebritàL’hanno intitolato proprio così il terzo disco, Money And Celebrity, ma i Subways restano tre simpatici ragazzi inglesi che amano suonare del rock’n’roll veloce e nervoso. Arrivano in Italia per due date il 10 e l’11 di novembre.

di Guido Amari

Musica

Page 9: Onstage Magazine novembre 2011

1 8 Novembre 1959. Al Loews Theater di New York va in scena l’anteprima mondiale del film Ben-Hur di William

Wyler. Il padre di tutti i kolossal si aggiudica la bellezza di 11 premi Oscar, diventando così uno dei film più premiati di sempre. In quel preciso istante il pubblico mondiale si spacca in due: da un parte quelli che lo considerano un mattone, dall’altra quelli che lo celebrano come capolavoro e si vantano di averlo visto più di dieci volte.

Vorrei soffermarmi su questi ultimi.Ben Hur dura la bellezza di 219 minuti, ov-

vero 3 ore e 39, quindi soltanto chi riesce a guardarlo tutto d’un fiato può professarsi un cinefilo doc. Il fatto poi che si sia aggiudicato 11 Oscar legittima questi appassionati - chia-miamoli così per non essere scurrili - a citarlo in continuazione dando per scontato che il loro interlocutore l’abbia visto tutto senza subire un malore.

Sono passati più di 50 anni dall’uscita di Ben Hur e gli amanti del cinema d’essai si sono moltiplicati come i Gremlins. Oggi fanno a gara per portare alla ribalta registi provenienti da zone del mondo che pensavo esistessero solo nel Risiko. I criteri principali con cui vengono scelti i film da proiettare du-rante i loro cineforum sono molteplici:

Il regista deve avere un nome impronun-ciabile.

La pellicola proiettata deve essere l’opera prima di questo sconosciuto cineasta, altri-menti si corre il rischio che qualcuno abbia già scoperto l’astro nascente.

Il film deve essere in lingua originale.Sono ammessi i sottotitoli, ma guai a esse-

re beccati a leggerli.Meno dialoghi ci sono e meglio è. Non per

via della lingua originale, ma perché questa caratteristica dà modo ai registi di fare delle riprese infinite di gente che neanche parla.

Nel film devono essere presenti almeno tre dialoghi, altrimenti si entra nella cate-goria del film muto che causa malumori e malori al pubblico in sala. Questo perché, in genere, alle proiezioni sono presenti dei fin-ti intellettuali che sono lì solo per far colpo sulle ragazze.

Non esistono il primo e il secondo tempo, si fa tutta una tirata, altrimenti si rischia di perdere il pathos oltre la metà dei presenti in sala, che approfitterebbero della pausa per fuggire a gambe levate.

I film proiettati durante i cineforum devo-no essere stati candidati a qualche premio prestigioso, ma senza poi vincere, in modo da dire che la pellicola in questione è stata boicottata dalla critica ufficiale in quanto film “scomodo”.

A proposito, nessun film potrà mai essere più scomodo di quei poverini che partecipa-no ai cineforum. Questi happening, infatti, sono organizzati in vecchi cinema di provin-cia e così gli stoici intellettuali sono costretti a sedersi sui classici seggiolini in legno di ca-stagno: l’unico modo scientificamente pro-vato per rimanere svegli 219 minuti incollati ad uno schermo.

corsi & ricorsidi Mattia Odoli - Autore

Cineforum: istruzioni per l’uso

Non c’è 2011 senza Dente

Giuseppe Peveri, in arte Dente, è un cantautore di quelli che pesano le parole. I suoi album hanno sempre avuto titoli molto particolari, che difficil-

mente lasciano indifferenti: dall’esordio con Anice in bocca a Non c’è due senza te, da Le cose che contano ai suoi ultimi due lavori, L’amore non è bello e Io tra di noi (con un riferimento esplicito a Charles Aznavour), uscito per la più indipendente delle case discografiche nostrane, la Ghost Records. Qui Den-te ha trovato la sua consacrazione definitiva, dopo anni in cui se ne è fatto un gran parlare, con la progressiva nascita della scena milanese (presente nei lavori di Dente a più riprese, con Dell’Era, Gabrielli, il Genio, etc.) i suoi dischi sono passa-ti di mano in mano, scaricati, comprati. Per fare un paragone

azzardato (almeno artisticamente), la sua musica ha fatto lo stesso percorso del Fabri Fibra pre-Universal: un fenomeno nato con i live e lo sharing, fatto di qualità e passaparola. Dente nei suoi lavori usa ironia e malinconia, una strumen-tazione basata sulla chitarra acustica, strumenti classici (sax contralto, tromboni, violoncelli) e alcuni elementi elettronici, il tutto accompagnato nella dimensione live da una vera e propria band. In questo mese di novembre molti sono gli ap-puntamenti a disposizione per chi volesse seguirlo, comprese le due date al Magnolia di Segrate (MI) (30/11 e 01/12) o la tappa romana al Piper Club (13/12). Il calendario completo lo rintracciate sul suo sito, amodente.it, dove potete trovare anche alcuni suoi album in download gratuito.

L’11 ottobre è uscito il suo nuovo album Io tra di noi, che ha ricevuto grandi consensi da critica e pubblico, rendendolo il fenomeno indie dell’anno.

di Marcello Marabotti

JUKEBOX

ONSTAGE 16 NOVEMBRE

8 novembre 59:1, Monaco di Baviera

Location: Uno dei migliori club di Monaco, un must per i concerti. Con CTS: Volo per Monaco di Baviera da 99 euro a/rHotel*** da 32 euro a persona

15 novembre Rockhal, Lussemburgo

Location: Il più grande palazzetto di Lussemburgo, aperto dal 2005. Con CTS: Volo per Lussemburgoda 150 euro a/rHotel*** da 57,50 euro a persona

9 novembre Knust, Amburgo

Location: Un house rock che ospita da gruppi rockabilly a cover band metal ai Vaccines. Con CTS: Volo per Amburgo da 108 euro a/rHotel*** da 32,50 euro a persona

22 novembre Razzmatazz, Barcellona

Location: Una delle discoteche più famose di Barcellona, ospita anche i concerti. Con CTS: Volo per Londra da 45 euro a/r Hotel*** da 34,50 euro a persona

Si sono formati nel 1998 su idea del batterista Vito Roccoforte e il cantante Luke Jenner a cui si sono aggiunti il bassista Matt Safer e il multistrumentista Gabriel Andruzzi. Nel 2003 arriva Echoes che contiene il brano, omonimo, colonna sonora della nota serie inglese Misfits diventata un must. Il 7 novembre saranno a Milano.

The Rapture liveOn Tour con

Le offerte indicate sono riservate ai soci CTS. Le quote dei voli sono per partenze da Roma e Milano. Le quote degli hotel sono a persona, a notte, in doppia, con prima colazione. Info e prenotazioni su www.cts.it, nelle sedi CTS o al n° 06-4411166.

Musica

Page 10: Onstage Magazine novembre 2011

ONSTAGE 18 NOVEMBRE

artirei dall’ultima traccia dell’album, Stop The Clocks, che hai scritto dieci anni fa. Per-ché l’hai tenuta nel cassetto per così tanto tempo?

Avevo provato ad inserirla già in due album degli Oa-sis, ma non eravamo riusciti a finirla. Ho sempre avu-to molto da fare, tra la famiglia, i bambini e la band, così ho deciso di farla uscire adesso, prima che muoia. Noel Gallagher’s & The High Flying Birds: è un nome lun-go, strano, ricorda un gruppo country: perché hai deciso di chiamare così la tua band?Perché è il mio nome. Ed è cool. Ma da solo era un po’ povero, così ne ho aggiunto un al-tro nome: The High Flying Birds. Lasciare la storia di una band per inizia-re la carriera solista, significa cambiare un sacco di cose. Come è stato affrontato questo percorso?Scrivo in quei cinque minuti in cui i ragazzi smettono di sfasciare la casa, quando sono davanti alla tv con la chitar-ra in mano e suono per me. Il più delle volte non succede niente, poi ogni tanto esce qualcosa, e allora inizio da lì, comincio a scrivere e la canzone prende il sopravvento. In studio è stato semplice, tutto è stato diverso: ho potuto decidere io i tempi e i modi della composizione e della registrazione, infatti ho fatto due album contemporane-amente (il secondo è il progetto realizzato con gli Amor-phous Androgynous in uscita nel 2012, ndr). Il problema vero sarà quando dovrò suonare dal vivo e piazzarmi al centro del palco, cosa che sinceramente non mi piace. Soldier Boys And Jesus Freaks sembra una critica a un certo tipo di cultura americana, conservatrice. È così?In realtà non l’ho scritta per criticare quella par-

te d’America. Non era una critica, in realtà è solo uno sguardo sulla religione e la guerra, le due principali fonti di esportazione degli americani. Anche per Italia...Beh sì, certo, in effetti voi avete anche il Papa. Ma io, comunque, non sono una persona “molto” religiosa. John Lennon in God, nel suo primo album solista, cantava: « I don’t believe in Beatles », tu credi ancora negli Oasis? Non saprei come risponderti, perché non suonavo nei Be-atles... Sfortunatamente.In tutto il disco si sente una vicinanza a Morricone, è uno dei tuoi riferimenti?

Ho grande ammirazione per lui, penso sia uno dei più grandi compositori di sempre, poi fa parte della mia for-mazione, sono cresciuto guardando i film western con Clint Eastwood, sono andato anche all’esposizione che hanno fatto a Londra recentemente.Il 28 novembre suonerai all’Alcatraz, a Milano: che can-zoni proporrai?Suonerò molte canzoni che ho scritto io.Anche tuo fratello è passato di qui poco tempo fa. Come sono i rapporti con lui? Bene, la scorsa settimana ci siamo sentiti, abbiamo parlato del Manchester City, cose del genere. Paul è assolutamen-te gentile. Ma penso che tu ti riferisca all’altro. (Noel ha due fratelli, Liam e Paul, ndr). No, non ci parliamo. Spero non ti dispiaccia. Anche se ti piacevano gli Oasis non ti preoccupare, ora ci sono i Beady Eye.

Parlando invece di calcio: quanto può durare uno come Balotelli al City?Adoro Balotelli, secondo me il calcio ha bisogno di per-sone come lui, fuori di testa, perché altrimenti è troppo noioso. Lo bacerei in fronte. Ho sempre voluto conoscerlo, mi sembra un bravo ragazzo.Cosa ne pensi delle reunion?Penso che la maggior parte dei gruppi lo facciano per sol-di. Ci può stare. Basti pensare ai 500 milioni dei Led Zep-pelin per una tournée mondiale. Come fai a rispondere picche? Per quanto riguarda gli Oasis, non penso che ci sarà una reunion. O almeno per quest’anno.

L’anello che porti, ha un significato parti-colare?(Sorride) L’ho comprato a Tokio, è uno di quegli anelli che si danno nei college ame-ricani, infatti una volta, negli Stati Uniti un

soldato americano l’ha guardato e mi ha detto: «Siamo andati nella stessa scuola». «Io sono inglese», gli ho rispo-sto.

Un tipo particolare Noel. Sembra che risponda lancian-do una moneta, fino a quando non ti sorprende. «In Italia come in Inghilterra la classe politica è quella che è, il cam-biamento non c’è mai. Abbiamo i nostri gadgets, l’iPod, l’iPhone, l’iPad e non ci stiamo accorgendo di quello che sta succedendo. Quello che è incredibile con questa reces-sione è che siano spariti tutti i soldi e nessuno sa dove sia-no finiti. Questa recessione è stata causata da poche per-sone e sembra non importare a nessuno che c’è chi avrà sempre più e la classe operaia annegherà avendo sempre meno». “A working class hero is something to be”, come direbbe John.

« Questa recessione è stata causata da poche persone e sembra non importare a nessuno che c’è chi avrà sempre più

mentre la classe operaia annegherà avendo sempre meno »

FACE2FACE

P

Dopo l’esordio dei Beady Eye, è finalmente arrivato il primo album solista di Noel, un disco che sperimenta la dance, il rock classico e il western. Una miscela che sembra prendere le distanze dal sound da stadio che caratterizzava gli Oasis, che, dice lui, non si riuniranno. Almeno per quest’anno.

NOEL GALLAGhERdi Marcello Marabotti

live 28/11 Milano

I biglietti del tour di Noel Gallaghersono in vendita presso i negozi Fnac!

Page 11: Onstage Magazine novembre 2011

ONSTAGE 20 NOVEMBRE

Da trasmissione di culto a grande successo, I Soliti Idioti, ovvero Francesco Mandelli e Fabrizio Biggio, irrompono anche al cinema con tutti i personaggi che abbiamo impa-rato ad amare nelle tre stagioni televisive. In attesa di vedere il film, eccovi qualche indiscrezione a riguardo!

I SOLITI IDIOTIdi Stefano Gilardino - Foto: Paolo Proserpio

FACE2FACE

pesso, quando uno show televisivo sbarca sul grande schermo, si rivela essere semplicemente una puntata di un’ora e mezza di qualcosa che, al contrario, funziona benissimo per venti mi-

nuti. Come sarà I Soliti Idioti al cinema?Fabrizio Biggio: Speriamo sia diverso! Ci sarebbe sem-pre piaciuto poter approfondire la psicologia dei perso-naggi che mettiamo in scena nello spettacolo televisivo, ma per ovvi motivi di tempo non ce lo siamo mai potuto permettere. Con un film di un’ora e mezza a disposizione invece, abbiamo aggiunto molte sfaccettature ai personaggi e questo rende il tutto una storia davvero cinemato-grafica e lo distacca in maniera netta dalla serie.Francesco Mandelli: I personaggi che ci interessavano maggiormente erano quelli di padre e figlio, Ruggero e Gianluca. Li abbiamo immaginati spesso all’interno di una trama lunga e corposa e, secondo noi, si prestano alla perfezione. Se noti, anche all’interno della serie tv, sono passati dai tre minuti della prima stagione ai dodici della terza, segno che possono tenere la scena senza problemi e che il pubblico li ama. Per questo motivo, il film ruota attorno a loro.

Come è nata l’idea di fare un film?F.M.: La trama era pronta da parecchio tempo in un casset-to, io e Fabrizio ci avevamo pensato prima che qualcuno ci offrisse di farlo. Quando è arrivata l’offerta si è trattato solamente di sistemare un po’ i dialoghi e rivedere il tutto, ma il grosso del lavoro esisteva già. F.B.: C’è da dire che una parte del nostro lavoro funzio-na grazie all’improvvisazione, specie nelle gag di padre

e figlio. Ogni tanto ci inventiamo delle cose che si rive-lano perfette e questo nasce dalla confidenza che c’è tra noi due, ma anche grazie al grande potenziale di quei personaggi. Se posso tornare brevemente alla domanda di prima, credo che I soliti idioti sia un film vero perché ha parecchie scene che in tv non potrebbero esistere: ci sono degli inseguimenti, abbiamo messo un bel po’ di azione, cose che ritroviamo più nelle commedie americane che in quelle italiane. Non è tutto basato sui dialoghi, anzi

è molto vario e speriamo che il nostro pubblico apprez-zi. Tra l’altro, ci fa anche piacere che si sappia, abbiamo davvero lavorato come dei pazzi per il film, ci siamo fatti un gran culo, ma proprio per questo motivo siamo molto soddisfatti del risultato finale. Abbiamo dato tutto quello che avevamo!F.M.: Speriamo che ora qualcuno ci dia indietro qualcosa! (risate) Dai cazzo, venite a vederlo, esce il 4 novembre!

Ah, giusto per i morti!F.M.: (ride) Esatto, dopo i film di Natale, ecco i film per i morti. Il cinesarcofago, lo potremmo chiamare!!! Dopo i cinepanettoni, direi che ci sta, no?

Tu, tra l’altro, conosci anche bene i cinepanettoni…F.M.: Sì, ne ho girati due, Natale a Miami e Natale a New York. Mi sono trovato nella macchina cinema a 25 anni, in due produzioni enormi, in cui tutto è perfettamente codi-ficato e preciso, ma ammetto di essermi divertito molto. Sono certamente prodotti altamente standardizzati, con

dei codici precisi e blindati, ma funzionano anche proprio per quello, mantengono ciò che promettono. Se ti piace quel tipo di film, vai sul sicuro. Il problema non è il film di Natale, ma che non esistono film per il resto dell’anno! Poi, comunque, all’interno de I soliti idioti, abbiamo anche cercato di ironizzare sui cinepanettoni, a modo nostro. F.B.: In ogni caso la figona all’interno del film ce l’abbiamo pure noi! (risate) Si chiama Madalina Ghenea, una mo-della rumena bellissima, l’avrai vista sicuramente in una

pubblicità con Raul Bova. Quindi ci siamo chiesti: “ma questa recita con Bova e non con noi?”. Infatti ha accettato subito! A par-te gli scherzi, abbiamo cercato di ironizza-re sul ruolo della bellona in quel genere di

film e speriamo di esserci riusciti. Uno dei vostri punti di forza è quello di dire cose aber-

ranti con una tranquillità pazzesca. Niccolò, il bambino di Mamma esco, è un ottimo esempio di come riuscite a far passare per normali cose assurde o volgarissime.F.B.: Secondo me perché i nostri personaggi sono come dei fumetti o dei cartoni animati, gli si perdona tutto per-ché sono irreali ed esagerati. F.M.: Sì, Niccolò è un buon esempio, ma credo che, sotto sotto, non sia così lontano da ciò che succede in Italia in certe famiglie o situazioni. I nostri personaggi sono idioti, è vero, ma credo riflettano anche molti vizi, amplificati ma neppure troppo, degli italiani. Per questo motivo riu-sciamo a farla franca dicendo cose assurde.

Ma un accenno alla trama del film lo vogliamo fare?F.M.: (ride) È top secret, possiamo solo dirti che tutto ruo-ta attorno al matrimonio di Gianluca, a cui ovviamente il padre è contrario. Si sposerà? Non ve lo dirò mai!

S

« Diciamo che la chiesa, in generale, è un argomento complicato. Abbiamo girato sketch che ci facevano molto, ma che sarebbe stato molto azzardato mandare in onda »

LIVEBOOK 2011

150 artisti250 foto

236 pagine1 anno di concerti

Da dicembre nei negozi Fnac e su onstageweb.com

Page 12: Onstage Magazine novembre 2011

ONSTAGE 22 NOVEMBRE

LIVESTYLELIVESTYLE

Marco Mengoni

I ragazzi che escono dai talent show devono faticare per scrollarsi di dosso i pregiudizi. Non è facile, perché spesso mancano le armi (cioè le qualità artistiche) e comunque sui media si parla di loro negli spazi riservati al gossip, non alla musica. Qualche chance in più ce l’ha Marco Mengoni: ha i mezzi per rovesciare le valutazioni figlie della non-conoscenza. Può non piacere, ma il suo talento è cristallino e ci

sono margini di crescita vista la giovane età. L’abbiamo incontrato dopo l’uscita di Solo 2.0, il suo “primo vero disco”.

di Daniele Salomone - Foto: Alessio Pizzicannella

aledetti pregiudizi. Finiscono per con-dizionarti anche se istintivamente sei portato a conoscere prima di giudicare. Anche se ce la metti tutta per non farti

condizionare. Abbassi un attimo la guardia e ti fregano. Riguardo a Marco Mengoni mi avevano colpito dritto in faccia. Non ho seguito l’edizione di X-Factor in cui aveva trionfato - temo ignorerò per sempre quel programma e tutti gli altri talent, errore grossolano visto il lavoro che faccio, ma, diamine, rivendico il diritto di sbagliare - né ho ascoltato Dove si vola e Re Matto, suoi primi lavori. Lo snobbavo, convinto che fosse l’ennesimo prodotto buono solo per un pubblico di teenager. Non mi degnavo di conoscerlo. Poi la Sony, che pubblica i suoi dischi, ha organizzato una sorta di showcase per presentare Solo 2.0, il nuovo album di Marco Mengoni. L’ho visto sul palco e qualcosa non mi è torna-to. “Quello di X-Factor” sembrava avere talento, senza trucco e senza inganno - il contesto intimo non lasciava spazio a sovrastrutture. Pareva un performer vero, magnetico, nonostante un’inaspettata timidezza.

Ancora in bilico tra pregiudizio e conoscenza ho ascol-tato l’album. Dovevo preparare l’intervista ma a quel punto ero curioso, “a prescindere” direbbe Totò. Ci ho tro-vato rock, anche tosto, suoni attuali, pezzi solidi, citazioni mai eccessive e, soprattutto, buone idee. Mengoni non è il nuovo Jeff Buckley e non cambierà la storia della musica italiana, però le sue doti sono autentiche e i margini di crescita evidenti.

Poi lo incontro di persona ed è la sorpresa più gran-de. Marco ha modi pacati, effeminati ma fino ad un certo punto, la voce fragile (quando impugna il microfono è tutta un’altra storia), un velo di timidezza che forse è diffi-

denza nell’interlocutore visto che svanisce col passare dei minuti. Mi trovo di fronte un artista giovane, ancora in-compiuto probabilmente, che tuttavia conosce se stesso e lo spazio in cui deve muoversi. Uno con le palle insomma, mentre fino a pochi giorni prima Marco Mengoni, per me, era solo un intrattenitore-burattino nelle mani dei man-giafuoco dello show business. Fottutissimi pregiudizi.

Partiamo dal tuo nuovo album, Solo 2.0. È il risultato di quello che ti è capitato in questi due anni, da X-Factor ai bagni di folla del primo tour?La mia carriera è iniziata prima di X-Factor. Avevo già

fatto il giro delle discografiche, tranne la Sony (sua at-tuale etichetta, nda), e non ti dico quello che mi aveva-no risposto… “Canti troppo bene”, “Sei troppo sicuro di te”, “Devi fare pezzi più orecchiabili tipo 1240”. Se ascolti Come ti senti, dove ho messo tutte queste “risposte”, capi-sci che il disco racchiude molte cose, capitate anche prima di questi ultimi due anni.

È il lavoro che più ti rappresenta?Io lo intendo come il mio primo vero album. Non voglio buttare fango su quello che ho fatto prima, ma stavol-ta ho avuto il tempo per seguire tutto fin dal principio e arrivare dove volevo. Re Matto è stato scritto e inciso in un mese, c’era un’idea di concept che poi non è stata seguita, ci siamo soffermati pochissimo sui testi e sugli arrangiamenti. Io voglio sbattere la faccia sulla musica, su

tutti quei problemi o difficoltà che s’incontrano in fase di composizione. Lavorare sul suono, sui testi, scegliere gli accordi. Anche se poi magari sono sbagliati, perché for-tunatamente la musica non è matematica e quindi quello che senti più tuo è l’accordo giusto. Io seguo l’istinto e questa volta ho avuto il tempo di compiacerlo. Ho fatto in modo che i pezzi venissero fuori, vivessero e indossassero gli abiti migliori.

Quindi sei un cantautore, mentre tutti ti considerano un interprete.Non parlo mai di questa cosa. Tutti credono che io sia un interprete e in certi casi è vero. Ma parte dei miei pezzi na-

scono anche da musica che compongo con il pianoforte o con la chitarra. E poi scrivo i testi. Se tutto questo rientra nella categoria “cantau-tore”, allora lo sono. Ma sai cosa? Non mi va di stare dentro le categorie. Non è importante che lo sappiano gli altri, è importante che io sappia chi sono. E comunque non mi sono mai

esposto più di tanto su questo tema anche perché mi sento insicuro come compositore. Se mi mettessero alla prova davanti a tutti farei una figura di merda, ma se mi metti in studio con i miei musicisti…

Ti condizionano i giudizi?Vorrei sfruttare l’occasione per ricordare una questione che mi sta a cuore. I giornalisti, e tutte le altre persone, quando scrivono dovrebbero rendersi conto che dall’altra parte c’è un individuo che ha la sua sensibilità. In ogni caso, io sono sempre stato abituato a partire sempre da zero, in tutto, a mettermi in discussione. A smontare quel-lo che sono. Se leggo dieci commenti e due sono negativi, mi soffermo solo su quelli negativi. Molte persone che mi stanno accanto s’incazzano per questa cosa, perché riten-gono che sia giusto gioire se ti viene riconosciuto un meri-

M

« Voglio sbattere la faccia sulla musica, su tutti quei problemi che s’incontrano in fase di composizione. Lavorare sul suono, sui testi, scegliere gli accordi.

Anche se poi magari sono sbagliati »

ONSTAGE 23 NOVEMBRE

Il tAlentOOltre

lo show

live26/11 Milano, 29/11 Roma...Il calendario completo del tour di Mengoni su onstageweb.com

I biglietti del tour di Mengonisono in vendita presso i negozi Fnac!

Page 13: Onstage Magazine novembre 2011

LIVESTYLE

ONSTAGE 24 NOVEMBRE

Marco Mengoni

to. Ma io sono fatto così, non ci posso fare niente. Quando finisco un concerto analizzo solo le cose che sono andate male, quello che è andato bene è andato bene e non c’è bisogno di aggiungere altro.

Quanto credi nel tuo talento?Molto. Ho una buona dose di puro egocentrismo, come credo debba avere chi sale sopra un palco per esibirsi. Non parlo di “divismo”, ma è necessario avere coscienza del proprio talento, delle proprie qualità. Io credo nelle mie, solo non posso fare a meno di concentrarmi sulle im-perfezioni. Ho un trascorso di studi artistici e credo che se fossi nato in Grecia tantissimi anni fa sarei stato un fanatico dell’estetica. Non vedo mai la perfezione e quindi non sono mai re-almente soddisfatto. Però ci credo, assolutamente, anche perché so che una persona come me non esiste, come non c’è uno come te. Siamo tutti unici al mondo e ognuno di noi deve tirare fuori se stesso. Se non credessi nel mio ta-lento sarei già tornato a casa a studiare architettura o a lavorare in un bar come ho sempre fatto.

Il tema ricorrente del nuovo disco è la solitudine. Ti ri-ferisci forse al periodo che hai passato tra l’ultimo tour e l’incisione del nuovo disco?Non credevo nella depressione post tour e invece esiste,

l’ho provata sulla mia pelle. Sono tornato a casa e mi sono sentito solissimo. Arrivi da un periodo dove ogni cosa ti gira intorno, tutti sono concentrati su di te e improvvisa-mente ti ritrovi da solo. Ma la solitudine di cui parlo è una cosa diversa, è positiva perché significa astrazione dalla realtà. Almeno così la intendo io. Posso cercare la solitudi-ne anche se sono a cena con amici, immergendomi dentro

me stesso, astraendomi completamente. Ci ritrovo i miei pensieri e con essi mi scontro. Mi guardo allo specchio, mi giudico. Sono il primo critico di me stesso e credo che sia giusto così. In quel tipo di solitudine c’è spazio per l’autocritica.

Credo che per la gente sia più facile immedesimarsi con il “normale” concetto di solitudine, che ha una dimensio-ne negativa. Non credi che la gente possa fraintendere? Per me è una cosa diversa, che nella vita mi ha aiutato molto. Sia in quella reale che artistica, che poi sono la stes-sa cosa, perché le scelte che fai nel quotidiano si rifletto-

no sulla tua creatività. Ci sta che il pubblico interpreti in modo diverso il concetto di solitudine. Però ho imparato a capire che le persone spesso si fanno le proprie opinioni e che se stai sentire tutti non finisci più. Preferisco sentire me stesso, nei momenti di solitudine.

Una parte del pubblico ti considera un prodotto della televisione. Vuoi far cambiare loro opinione oppure, sem-

plicemente, vai per la tua strada?Io, caratterialmente, sono uno che va per la sua strada e che cerca di compromettersi il meno possibile. Voglio tirare fuori quello che sono. Ovviamente finché uno sta in questo mondo deve sempre fare dei piccoli compro-messi. Ma io proseguo dritto con costanza e

coerenza. Sono due le cose che decretano la fine di una storia artistica: il pubblico che non ti segue più oppure tu che non hai più nulla da dire. Io spero di essere padrone della mia morte musicale, nel senso che quando arriverò al punto in cui non avrò altro da raccontare, quando sen-tirò di aver dato tutto in questo campo, cambierò strada da solo. Ma non prima.

Quindi non farai il musicista a tutti i costi.Io non credo ci sia un’altra vita oltre a questa, o comunque non sono sicuro che ci sia, e quindi voglio vivere al me-glio questa. Sembrerà un discorso banale, ma visto che ho

Il nuovo album di Marco Mengoni è un frullato di frutta fresca, dissetante, rigenerante per un palato e un orga-nismo infastiditi dal miele troppo dolce e decisamente

appiccicoso dei lavori precedenti. Solo 2.0 è pieno zeppo di vitamine - il sorprendente rock e i tocchi di elettronica di brani come la title-track, Uranio 22 e Dall’inferno (che fanno molto Muse) - ed è ricco di zuccheri semplici, quelli facilmente digeribili - le ballad, Tanto il resto cambia e To-

night, sono spazi d’intimità che esaltano il talento vocale di Marco piuttosto che tentativi di compiacere quella parte di pubblico facile al lacrimone.

Non solo, la frutta in questo frullato offre un importante contributo al metabolismo grazie alle fibre, c’è una varietà di arrangiamenti e stili musicali che appaga il bisogno di sazietà del nostro stomaco/udito. Di grasso, superfluo, ce n’è poco, tanto che si fatica a individuarlo. Ma la qualità di

Solo 2.0 che più si lascia apprezzare è l’onestà. Un frullato di frutta fresca non pretende di essere né più né meno che un frullato di frutta fresca. E così Marco Mengoni non ha volu-to nient’altro che lo spazio necessario per lasciar emergere le proprie qualità. Niente di rivoluzionario, per carità, ma adesso almeno le conosciamo. E sappiamo che il ragazzo di Ronciglione non è solo un prodotto televisivo. Ci sa fare anche con la musica. (D.S.)

Solo 2.0, vitamine rigeneranti

Marco Mengoni Solo 2.0(Sony Music) H H H H H

« La solitudine di cui parlo è positiva perché è astrazione dalla realtà. Ci ritrovo i miei pensieri e con essi mi scontro. Mi guardo allo specchio, mi giudico. In quel tipo di solitudine c’è spazio per l’autocritica »

Page 14: Onstage Magazine novembre 2011

LIVESTYLE

ONSTAGE 26 NOVEMBRE

una sola vita penso di sfruttarla facendo un po’ di tutto. Sto vivendo questo momento come una bella esperienza che mi sta portando una maturità che non avrei raggiunto facendo altre cose. Se mi fossi iscritto all’università magari ne avrei raggiunta un’altra. Mi interessa crescere come individuo e come artista, ma non per forza farò sempre la stessa cosa.

Sta per partire un tour che ti porterà su palchi prestigiosi e spazi grandi. Hai paura? Più che le dimensioni di questi posti, mi spaventa il poco tempo che abbiamo a disposizione per mettere in piedi lo spettacolo. Io potrei anche essere uno di quelli che arriva sul palco con una sezione di musicisti e suona, punto. Ma sono anche molto attratto dall’idea del superuomo di Nietzsche e quindi mi piace fare le cose in gran-de. Voglio rendere il con-certo uno spettacolo, mi piace l’idea di lavorare sulla scenografia in modo che segua il concept del disco. Per questo mi sto occupando anche della regia. E poi adesso ho tante carte in mano e voglio giocarmele tutte, an-che se ci sono pochissimi soldi. Ma non fa niente, ce li fac-ciamo bastare. L’importante è che tutti, intendo io e il mio team, siano disposti a farsi un mazzo così.

Quindi niente ansia da palazzetto. E se non dovessi ri-empirli?Non credo di riempirli, ma non me ne frega niente. Se ci saranno mille o duemila persone in meno rispetto alla ca-pienza, i giornali avranno qualcosa da scrivere ma a me inte-ressa poco o nulla. Sono importanti le idee, la creatività, non i numeri. Non voglio neanche sapere quanti biglietti siano stati venduti, non mi faccio dire niente, arrivo e vado sul palco. Una persona del mio staff qualche giorno fa voleva darmi gli aggiornamenti sulle vendite ma io gli ho impedito

di dirmelo perché è inutile. Cosa cambierebbe saperlo? Non voglio togliere spazio e tempo all’idea, che deve essere la prima preoccupazione di un artista.

Da un paio d’anni sei dentro lo show business. Invece di chiederti cosa non ti è piaciuto, vorrei sapere cosa ti ha più colpito in positivo. Visto da fuori questo mondo è sicuramente molto più bello e pulito di com’è in realtà. Quando ci sei dentro vedi tante schifezze, ma anche persone che valgono tantissimo e che credono in quello che fanno. È merito loro se il carrozzo-ne sta in piedi. Secondo me ci dovrebbe essere un po’ più arte e più spazio per i giovani, che manca quasi totalmen-

te. Credo sia un problema tipicamente italiano. Però sto parlando dei difetti… Ok, diciamo che stando dentro lo show business incontri tante persone che amano questo lavoro e si entusiasmano. Del resto spesso dietro un artista di

successo ci sono personaggi che hanno operato molto bene. Io voglio fare così, circondarmi di persone brave ed entu-siaste.

Pochi fanno notare che sei giovanissimo. Non hai ancora 23 anni. Alla tua età è giusto sognare, tanto più quando si fa un lavoro creativo come il tuo. Cosa sogni?Che il mondo sia migliore e pieno d’amore! Scherzi a parte, io sto bene con quello che ho. Nel senso che vorrei fare tante cose e se arrivano bene, altrimenti non mi ammazzo. Credo che se uno vuole a tutti i costi raggiungere i propri obiettivi può riuscirci, a meno che non pensi di mangiarsi la terra, nel senso del pianeta. Non sogno niente in particolare. O forse faccio i sogni che fanno tutti. Mi piacerebbe sapere da dove veniamo, come siamo stati creati e tutte quelle cose li. Ma chi non vorrebbe?

And the winner

is...Dalla prima edizione, la crescita di X-Factor - in

termini di popolarità - è stata costante. Ecco i vincitori delle passate edizioni.

Prima edizione (mag. 2008): ARAM QUARTET Il quartetto canoro si piazza davanti a Giusy Ferreri, che tuttavia incontrerà maggiore interesse da parte del pubblico. Dopo X-Factor, i salentini pubblicano un Ep (ChiARAMente) con le cover interpretate du-rante la trasmissione, mentre il primo vero album arriva nel 2009. Il pericolo di essere liberi non riscuo-te però grande successo, e l’anno dopo il gruppo si scioglie.

Seconda edizione (apr. 2009): MATTEo BEcUccIMatteo ha già una lunga esperienza quando Mor-gan lo sceglie per X-Factor. In finale canta Impossi-bile, brano che dà il titolo all’Ep pubblicato a ridosso della vittoria. Il suo primo album di inediti, Ciocco-lato amaro e caffè, esce poco dopo ma non ottiene grandi risultati. Matteo, escluso da Sanremo 2010, ci prova con il musical e nel 2011 pubblica Matteo Becucci.

Terza edizione (dic. 2009): MARco MEngonI è ancora Morgan a scegliere il vincitore di X-Factor. Mengoni trionfa cantando Dove si vola e anche l’omonimo Ep è un successo, con 60.000 copie ven-dute e primo posto in classifica. Nel 2010, prima di pubblicare il secondo Ep Re Matto (che replica il suc-cesso del precedente), Marco partecipa a Sanremo vincendo il Premio della critica. A fine settembre 2011 esce Solo 2.0.

Quarta edizione (nov. 2010): nATALIENatalia Beatrice Giannitrapani entra nella sezione “over 25” grazie a Elio. In finale porta In punta di piedi, brano da lei scritto che trascinerà anche il suo pri-mo Ep. Nel 2011 si presenta a Sanremo (dove canta anche Il mio canto libero di Battisti) con Vivo sospesa - title track del suo primo disco solista - e collabora con artisti importanti come Raf e Battiato.

« Sono importanti le idee, la creatività, non i numeri. Non voglio sapere quanti biglietti si vendono per i miei concerti

perché non voglio togliere spazio e tempo all’idea, che deve essere la prima

preoccupazione di un artista »

Marco Mengoni

Page 15: Onstage Magazine novembre 2011

ONSTAGE 28 NOVEMBRE

LIVESTYLELIVESTYLE

Smashing Pumpkins

L’UOMO CHE VISSE 2 VOLTE

Ritorna a fare visita ai fan italiani Billy Corgan, con l’ennesima versione della sua creatura più celebre, gli Smashing Pumpkins. Una nuova in-carnazione, un repertorio inedito un po’ meno epico e la solita classe dal vivo. Un ottimo moti-vo, comunque, per andarli a vedere nelle due date di Milano e Padova.

di Stefano Gilardino - foto Francesco Prandoni

ben vedere, tra un tour mondiale in corso, l’an-nunciata ristampa dell’intera discografia, a parti-re dagli eccellenti Gish e Siamese Dream, una line-up finalmente stabile (o almeno così pare) e un

album nuovo annunciato per l’inizio del 2012 e intitolato Ocea-nia, la vita di Billy Corgan pare essere soddisfacente come ai bei tempi, quando la sua pelata e la maglietta con la scritta “Zero” impazzavano su MTV e in ogni rivista di musica rock. È inuti-le negare che l’appeal del musicista di Chicago si sia un poco appannato con gli anni, complice una seconda parte di carriera - quella dopo il primo scioglimento della band, insomma - dav-vero in tono minore, ma è comunque importante notare come il nome Pumpkins riesca sempre a toccare le giuste corde.

Inseriti con molta libertà nel calderone del grunge, nella pri-ma metà degli anni Novanta, gli Smashing Pumpkins hanno sempre avuto poco a che fare con la scena nata e cresciuta a Seattle, finendo per smarcarsi dal resto dei compagni di viaggio anche con una certa irruenza, la stessa che ha appiccicato ad-dosso al leader Corgan l’etichetta di personaggio poco mallea-bile. Eppure, a ben vedere, le differenze erano ben chiare fin da-gli inizi, quando anche lo stesso chitarrista, nonostante un look ingannevole - capelli lunghi, camicie a scacchi, jeans sdruciti -, teneva a precisare come le influenze della sua band non deri-vassero dal punk o dall’hardcore, fonte primaria per altre band come Nirvana, Mudhoney, Soundgarden e Pearl Jam, ma dal rock anni Settanta di gruppi come i Cheap Trick o, addirittu-

A

ONSTAGE 29 NOVEMBRE

I biglietti del tour degli Smashing Pumpkinssono in vendita presso i negozi Fnac!

live 28/11 Milano, 29/11 Padova

Page 16: Onstage Magazine novembre 2011

ONSTAGE 30 NOVEMBRE

Smashing PumpkinsLIVESTYLE

ra, Electric Light Orchestra, un nome che in quel periodo equivaleva a una vera e propria eresia. La formula collau-data da Corgan e compagni, però, unisce alla pomposità di quel periodo musicale un’energia che non ha nulla da invidiare a quella di altri nomi ben più celebrati (Nirva-na per esempio), cementando il tutto con un’attitudine a certe esplorazioni psichedeliche, specie nel primo periodo di vita della band, che li rende unici nel panorama ame-ricano. La tripletta Gish, Siamese Dream e Mellon Collie & The Infinite Sadness ne fa delle rockstar mondiali, appena prima che gli scricchiolii si facciano sentire più chiaramente e l’impalcatura cominci a mostrare qualche crepa. Prima la tossicodi-pendenza del batterista Jimmy Chamberlin, poi l’uscita di scena della bassista D’Arcy (anche lei con problemi simili e sostituita dalla bella Melissa Auf Der Maur), infine il calo qualitativo dei dischi, che falliscono sia nel tentativo di replicare l’illustre passato, sia quando cercano di intro-durre nuove sonorità elettroniche nel complesso milieu sonoro della band.

Da lì allo scioglimento il passo è relativamente breve e illustra alla perfezione la fine di un’epoca, quella della ri-nascita del rock alternativo americano, passato dalle can-tine alle vette delle classifiche nel volgere di qualche anno, ma costretto a pagare un prezzo altissimo: dalle morti di Kurt Cobain e Layne Staley allo scioglimento o naufragio di Soundgarden, Nirvana, Screaming Trees. Solo i Pearl Jam di Eddie Vedder sembrano essere immuni al passare del tempo, ma il loro approccio classic rock favorisce una longevità che li vede tuttora impegnati in tour infiniti e buoni dischi di studio. E Billy Corgan? Il suo silenzio non

durerà moltissimo, ma sarà tutt’altro che un ritorno col botto. «Credo che gli Smashing Pumpkins originali non abbiano mai raggiunto la vetta del proprio potenziale a causa degli eventi drammatici in cui eravamo immersi. Nel 1995 eravamo a pieno regime e pronti a spiccare il sal-to definitivo, con un disco doppio appena pubblicato che ci rappresentava in pieno. Siamo implosi proprio mentre eravamo sulla cresta dell’onda, la gente spesso tende a di-menticarselo. Il successo artistico che abbiamo ottenuto è straordinario, soprattutto se lo si valuta col senno di poi,

ma avremmo potuto andare ancora oltre se qualcuno di fosse fatto ricoverare in una cazzo di clinica per la riabili-tazione». A quei “qualcuno” fischiano le orecchie?

IL CANTO DEL CIGNOMai nome più adatto per uno dei progetti che rientrano a forza nella categoria “fallimento sotto ogni punto di vista”. Nati nel 2001, gli Zwan vedono affiancati a Billy Corgan e al prode Jimmy Chamberlin (ovvero uno dei due “qualcuno” di cui sopra, assieme alla bassista D’Arcy) tre nomi d’eccellenza come David Pajo (ex chitarrista di Slint e Tortoise), Matt Sweeney (chitarra, ex dei Chavez) e in-fine la sinuosa Paz Lenchantin, bassista degli A Perfect Circle. La maledizione del supergruppo è dietro l’ango-lo e non risparmia neppure il musicista di Chicago che

licenzia l’album di debutto, il pessimo Mary Star Of The Sea, e poi naufraga su tutta la linea finendo per annullare direttamente più di metà del tour mondiale. Partiti male e finiti peggio, gli Zwan si disintegrano fra l’indifferenza generale e tra recriminazioni continue. Il leader accusa Pajo e Lenchantin di sabotaggio e di essere dei sempli-ci approfittatori. Unica consolazione per il povero Billy, quella di una manciata di date assieme ai suoi eroi New Order, con cui inciderà persino un pezzo in studio finito poi sull’album Get Ready. Un po’ poco per chi era abituato

a guardare gli altri dalle vette di una classifi-ca di vendita, ma tocca accontentarsi.

Non va molto meglio negli anni successi-vi, con la pubblicazione di un volume di po-esie, Blinking With Fists, e di un disco solista a tutti gli effetti, che secondo Billy prende spunto da materiale inedito e non terminato

degli Smashing Pumpkins. The Future Embrace del 2005 è un album imbarazzante in cui il chitarrista cerca di spe-rimentare con pop ed elettronica ma senza risultati con-fortanti. Finirà per vendere meno di 70.000 copie e acuire la nostalgia verso un autore che pare irrimediabilmente destinato all’oblio. Il colpo di coda, invece, arriva poco più tardi, sotto forma di pagina pubblicitaria all’interno di due quotidiani cittadini, il Chicago Tribune e il Chicago Sun-Times, in cui Billy dichiara la propria volontà di rimettere in piedi la band, a cominciare dal batterista Chamberlin, unico del vecchio gruppo ad accettare la nuova avventura. Il risultato si chiama Zeitgeist e vede la partecipazione di Ginger Pooley al basso - la donna bassista è irrinunciabile per Corgan, a quanto pare - e Jeff Schroeder alla seconda chitarra, un disco che, almeno dal punto di vista commer-

« Il nostro nuovo disco, intitolato Oceania, è un lavoro di cui sono estremamente soddisfatto anche se so che

molta gente mi criticherà per averlo fatto uscire ancora a nome Smashing Pumpkins »

smashingtop ten

Per prepararci a scrivere il pezzo (e a vederli dal vivo a Milano),

ci siamo lasciati trascinare dalla musica degli Smashing

Pumpkins. Ecco la top ten della redazione.

1 Tonight, Tonight (Mellon Collie & The Infinite Sadness)

2 Disarm

(Siamese Dream)

3 Drown (Singles - The Soundtrack)

4 Rhinoceros

(Gish)

5 Cherub Rock (Siamese Dream)

6 1979

(Mellon Collie & The Infinite Sadness)

7 For Martha (Adore)

8 Bullet With Butterfly Wings (Mellon Collie & The Infinite Sadness)

9 I Am One

(Gish)

10 Today (Siamese Dream)

Page 17: Onstage Magazine novembre 2011

ONSTAGE 32 NOVEMBRE

LIVESTYLE

ciale, regala una piccola resurrezione e fa il suo debutto in cima alla classifica di Billboard. Non è un capolavoro in grado di rivaleggiare con la trilogia d’oro del passato, ma perlomeno serve a ricordarci per quale motivo il suo au-tore sia considerato uno dei migliori dei Nineties, in gra-do di dare voce a una generazione intera con pezzi come 1979, Disarm o Bullet With Butterfly Wings.

Il tour mondiale che serve per promuovere il disco si ri-vela un buon successo e convince definitivamente Corgan a tenere in vita il marchio storico, nonostante la defezione dell’amico Chamberlin, ormai poco motivato e deciso a tentare nuove strade musicali. I Pumpkins del 2009 per-dono pezzi (resiste il solo Schroeder) ma è ormai chiaro che l’unica figura necessaria sia quella del leader che, nel frattempo, mette in piedi una piccola cover band, Spirits In The Sky, che serve a omaggiare un suo vecchio idolo di gioventù, lo scomparso Sky Saxon, leggendario cantante dei Seeds, garage band degli anni Sessanta.

LA RINASCITAProprio durante le date a nome Spirits In The Sky, Billy conosce i nuovi membri della sua creatura, con cui trova il tempo, subito dopo di incidere la prima parte di Teargar-den By Kaleidyscope, bizzarro progetto che consta di ben 44 canzoni pubblicate autonomamente sul sito del gruppo e solo in seguito raccolte, quattro per volta, su degli EP. Il concept dell’album ruota attorno ai tarocchi, in particolare alla figura del Matto, arcano maggiore che rappresenta il viaggio, per cercare di avere una visione d’insieme su pas-sato, presente e futuro. A lavori iniziati subentra la nuova bassista Nicole Fiorentino, che va a formare la sezione rit-mica con il batterista Mike Byrne, completando così una formazione inedita, ancora una volta funzionale a Corgan. «Sono al punto della mia carriera in cui ho una tale fiducia in me stesso da non avere bisogno di un gruppo. Se ce l’ho, è perché mi sento a mio agio con i ragazzi che suona-no assieme a me e perché voglio sia un’esperienza positi-va. Spesso, in passato, mi sono sentito limitato dagli altri membri, come se inconsciamente remassero dalla parte opposta alla mia, e ora non voglio che possa succedere nuovamente. Non mi interessa più litigare per argomenti futili o per cazzate, come è successo nei primi vent’anni della mia carriera. Lavoravo in totale solitudine e poi do-vevo anche subire le rimostranze e le critiche degli altri.

Ora mi sento libero di fare ciò che mi interessa e alla fine sarà solo il pubblico a decretare il nostro valore, que-sto è importante. Il nostro nuovo disco, intitolato Oceania, è un lavoro di cui sono estremamente soddisfatto anche se so che molta gente mi criticherà per averlo fatto uscire ancora a nome Smashing Pumpkins. Eppure si tratta di mie canzoni e credo di avere il diritto di pubblicarle come mi pare. Questa è semplicemente una nuova line-up dei Pumpkins e Mike, Nicole e Jeff hanno la stessa importan-za di chi è venuto prima di loro. Credo ciecamente nella loro integrità morale, nella loro abilità tecnica e si stanno guadagnando l’affetto dei fan».

Come anticipato dallo stesso Billy, il quartetto pubbli-cherà il prossimo disco, di cui esiste già una tracklist se-mi-definitiva e qualche indiscrezione, all’inizio del 2012. Non resta che aspettare le due date italiane per riuscire a scoprire qualche particolare in più sull’inedito capitolo di Billy Corgan, assieme a una carrellata nostalgica su uno dei migliori songbook degli anni Novanta.

Smashing Pumpkins

« Il successo artistico che abbiamo ottenuto è straordinario, soprattutto se lo si valuta col senno di poi, ma

avremmo potuto andare ancora oltre se qualcuno di noi si fosse fatto

ricoverare in una cazzo di clinica per la riabilitazione »

10 cose CHE FORSE NON SAI sugli smashing pumpkins1 L’unico pezzo della band non cantato da Billy Corgan è Go, in cui alla voce si cimenta l’ex chitarrista James Iha. 2 Il loro unico album ad aver raggiunto la prima po-sizione in classifica negli States è Mellon Collie & The Infinite Sadness.3 Il primo concerto in assoluto del gruppo è stato in un bar di nome 21 a Chicago, il 10 agosto del 1988.4 Il pezzo Cherub Rock è presente nei videogiochi Gui-tar Hero 3: Legends e Rock Band. 5 La prima formazione di Billy Corgan pre-Pumpkins si chiamava The Marked. 6 Prima di diventare musicista, Corgan lavorava in un negozio di dischi, in cui ha incontrato James Iha.

7 Il programma inglese Top Of The Pops, nel 1994, ban-dì il singolo Disarm per via della strofa «the killer in me is the killer in you». 8 Il pezzo strumentale Tribute To Johnny non è dedicato alla scomparsa di Jonathan Melvoin, tastierista live del-la band, ma al chitarrista Johnny Winter.9 Il video di Tonight, Tonight è un tributo al film Le Vo-yage Dans La Lune di George Méliès. I due registi Jona-than Dayton e Valerie Faris per l’occasione hanno utiliz-zato una camera a mano vecchia di 70 anni.10 Il nome Smashing Pumpkins deriva da una sera-ta movimentata in cui un Billy Corgan ragazzino e i suoi amici uscirono la sera di Halloween a “rompere zucche”.

Categorie: artista, tour, evento live, disco, disco indie, singolo, video, rivelazione, delusione

Vota il meglio (e il peggio) dell’anno su

onstageweb.com!

Page 18: Onstage Magazine novembre 2011

ONSTAGE 35 NOVEMBREONSTAGE 34 NOVEMBRE

LIVESTYLELIVESTYLE

Zucchero

I biglietti del tour di Zuccherosono in vendita presso i negozi Fnac!

Il Chocabeck World Tour è l’ennesi-ma prova della popolarità di Zucchero ol-tre i confini italici. Qualcosa di molto raro (ahiloro) per i musicisti di casa nostra. Come ogni buon diplomatico in terra stra-niera, Sugar ha costruito la sua credibi-lità internazionale mettendoci sudore e talento. Oggi se la gode, registrando sold out ovunque e pubblicando dischi in inglese con i testi di Bono e Iggy Pop. Di questo e altro ci ha parlato durante una pausa del tour.

di Daniele Salomone - Foto di Alfredo lando www.alfredolando.it

L’AMBASCIATORE

llora com’è il raccolto? È una buona an-nata? Ottima direi. Oltre 50 concerti in poco meno di 3 mesi, tutti strapieni e la gente,

sia qui in Italia che in Europa, entusiasta. Questa prima parte del tour mi ha dato una grande energia, suonare dal vivo è qualcosa di magico quando si ha la fortuna di avere un pubblico come il mio. Ogni fatica scompa-re. E quando non sono sul palco, mi manca tutta questa sensazione.

Per spiegare a chi non conosce il retroscena, parlia-mo di “raccolto” perchè prima di partire per il tour hai detto, parlando del tuo seguito all’estero, che «in tutti questi anni hai seminato e adesso è venuto il momento di raccogliere». Cosa intendevi dire? Volevo dire che in passato ho investito molto economi-camente ma soprattutto artisticamente sulla mia carrie-ra fuori dai confini italiani. Sono andato in posti dove non andrebbe nessuno, nei paesi più sperduti, pensando solo a suonare. Quando qui in Italia avevo già successo, dopo Blue’s e Oro Incenso & Birra, ho fatto da supporter al tour del 1990 di Eric Clapton, senza scenografie, quattro luci e via, uno spettacolo che definirei “nudo”, però con una band di prim’ordine. Ma questo è solo un esempio, ho seminato moltissimo per costruire qualcosa d’impor-tante anche all’estero. E ora è arrivato il momento della raccolta, vado in giro per il mondo a divertirmi con un gruppo straordinario - 11 musicisti tra i migliori in cir-colazione. Mi hanno detto, e qualcuno l’ha anche scritto, che sembra di sentire un’intera orchestra.

A proposito della band, alcuni membri sono con te da tempo, altri sono arrivati recentemente. Come hai costruito la squadra?Solitamente i produttori, che conoscono ovviamente tantissimi musicisti (anche quelli adatti a suonare in sala di registrazione), consigliano i migliori per il tipo di proposta artistica. Poi si fanno i provini e si sceglie. Della band che mi accompagna in questo tour conosce-vo bene sia i fiati, che avevano in passato già lavorato con me, e i bravissimi ragazzi della sezione archi. Come già successo in passato, li ho radunati tutti a casa mia un paio di mesi prima della partenza - ho uno spazio grande per le prove - facendoli stare notte e giorno lì con me. Abbiamo suonato tantissimo. Specialmente le hit, volevo preparare molte canzoni per avere la libertà di cambiare la scaletta ogni tanto.

A

« Ho investito molto economicamente ma soprattutto artisticamente sulla mia carriera

all’estero. Sono andato in posti dove non andrebbe nessuno, nei paesi più

sperduti, pensando a suonare »live

07-08/11 Milano, 09/11 Brescia...Il calendario completo del tour di Zucchero su onstageweb.com

Page 19: Onstage Magazine novembre 2011

ONSTAGE 36 NOVEMBRE

Nonostante qualche canzone in inglese, gran parte di quello che all’estero ascoltano di Zucchero è cantato in italiano. Forse la lingua è una scusa e non un limite per la musica italiana all’estero? Se non è la lingua, allora qual è il problema? La musica buona non ha nulla a che fare con le lingue, le canzoni possono essere cantate anche in idiomi indecifra-bili, se sono buone restano buone. Non vedo problemi. Per riuscire anche all’estero bisogna semplicemente vo-lerlo con tutte le proprie forze, non si scappa. Ma volerlo veramente, ad ogni costo e preparandosi a fare molti sacrifici. Poi ognuno è libero di fare le proprie scelte.

Ti considero una sorta di ambasciatore italiano all’estero, per cui ti chiedo: come sono le relazioni internazionali? Cioè, se WikiLeaks avesse pubblicato i dialoghi tra gli artisti o la critica straniera, che quadro sarebbe emer-so della nostra musica? Grazie per l’ambasciatore, anche se non credo di essere l’unico, ci sono molti artisti italiani che hanno successo a livello internazionale. Personalmente, parlo quindi delle mie esperienze, ho ottime relazioni. La nostra musica è comunque molto apprezzata all’estero, basti pensare alla Pausini o a Bocelli. Siamo sempre stati il paese della bella musica, fin dai tempi di Modugno, ma anche prima!

Torniamo al Chocabeck World Tour. Ad aprile dicevi di pensare a uno spettacolo in due tempi, il primo de-dicato a Chocabeck e il secondo alle hit della tua di-scografia. Hai poi effettivamente proposto questo tipo di show?Assolutamente sì. Era un progetto rischioso, ma fin dalla primissima data, il 9 maggio all’Hallenstadion di Zurigo, è stato tutto molto naturale, liscio come l’olio. Il mio pub-blico ascolta e canta con me tutte le canzoni nuove, poi ovviamente si scatena ancora di più con le hit, ma ormai

ballano anche con È un peccato morir o Vedo Nero.Rispetto alle tue produzioni passate, le canzoni di

Chocabeck hanno un sound molto più vicino al folk che al rhythm’n’blues e sono arrangiate naturalmente in modo molto diverso. Come hai reso lo show omogeneo? Nei miei concerti c’è ancora tanto blues e tanto soul. Ri-peto, la buona musica, quella che piace davvero alla gen-te, non ha confini di alcun tipo.Presentando il tour, dicevi che il pubblico da te vuole

qualità, anche acustica. Non dev’essere facile garan-tirla cambiando location praticamente ogni giorno. Ci riuscite? Abbiamo una squadra di tecnici, fonici e operatori di pri-missimo livello e ci siamo riusciti. Da parte nostra credo sia tutto perfetto. Poi naturalmente dipende dalla loca-tion, ma se fai un buon lavoro i risultati si vedono. E in-fatti non abbiamo quasi mai incontrato problemi.

A proposito, in Italia l’acustica è generalmente un pro-blema. Tra location in cui si sente male e limiti imposti

al volume (da milanese, penso a San Siro e all’Arena), il pubblico è stanco di pagare per non sentire nulla. Non a caso le vendite di biglietti diminuiscono. Come si risolve il problema? Magari creando spazi esclusiva-mente dedicati alla musica e non prestan-do alla musica location pensate per altro?

All’estero ci sono! Questo è uno dei motivi che mi hanno spinto già mol-ti anni fa ad andare ai grandi festival europei oppure a tenere concerti in posti come la Royal Albert Hall di Londra. Purtroppo in Italia le location sono quelle che sono e non si riesce ad avere altro. Poi con il casino di questo periodo, la crisi e tutto il resto, figuriamoci se chi ci governa pensa a questo problema. Per loro la cultura e l’arte vengono sempre per ultime. Sono in fondo alla lista

LIVESTYLEZucchero

L’UNDICI TITOLARELa squadra che accompagna Zucchero a spasso per il mondo è composta da musicisti esperti e di livello internazionale. Undici fuoriclasse al servizio del collettivo. Eccoli uno per uno.

Polo Jones, basso: Inizia a suonare a 10 anni - la sua prima esperienza in una band è con i genitori – e a quat-tordici anni è già al fianco della leggenda del blues John Lee Hooker. Il grande amore per la musica porta Polo a spaziare anche tra rock, jazz, funk. Tra le collaborazioni ricordiamo Whitney Houston e Bruce Springsteen. David Sancious, tastiere: Comincia nella E Street Band di Springsteen all’inizio degli anni Settanta, decennio in cui si dedica a numerosi progetti musicali. Tastierista, chitarrista, compositore e produttore, David ha registra-to ed è stato in tour con i maggiori talenti della musica internazionale, tra cui Eric Clapton, Santana, Peter Ga-briel e Sting.Kat Dyson, chitarra: Nasce nel sud degli Stati Uniti ma si trasferisce giovanissima a Los Angeles, dove prima di entrare nei New Power Generation, la band di Prince, contribuisce alle registrazioni del greatest hits di Cyndi Lauper, 12 Deadly Cyns. Ha suonato in studio e dal vivo con mostri sacri come Mick Jagger, Jeff Healey e Bernie Worrell (Parliament/Funkadelic). Adriano Molinari, batteria: Modenese, inizia la carriera professionale a 14 anni e superati i venti entra nei Bos-sa Nostra, con cui incide due album. Nel 2002 incontra Zucchero, che se lo porta dietro per lo Shake World Tour, e da allora non si sono più lasciati. Ha collaborato con Claudio Baglioni e alcuni musicisti che appartengono al gotha del jazz, vedi Bob Franceschini.Mario Schilirò, chitarra: Ha iniziato a suonare la chitar-ra a 13 anni per amore di Beatles e Rolling Stones, ma si è dedicato anche al contrabbasso, studiando per quat-

tro anni alla scuola di musica classica S. Cecilia di Roma. Lo hanno scelto, tra gli altri, artisti come Cocciante, Ba-glioni e Venditti. Dal 1995 suona in tutti i tour mondiali di Zucchero.James Thompson, sax: Passa l’adolescenza in California - ascoltando soul, rock, r&b, jazz, pop e blues - iniziando a suonare il sax contralto nella band della scuola a 15 anni, dopo aver studiato il clarinetto per 3 anni. Nel 1983 è arrivato in Italia e non se ne è mai andato. Ha suonato con Paolo Conte, gli Stadio, Spagna, i Timoria ed è un fedelissimo di Zucchero.Massimo greco, tromba: Si diploma presso il Liceo Mu-sicale Bellini di Catania e dopo alcune esperienze con la classica si butta sul jazz. Incontra numerosi fuoriclasse del genere, con cui incide e va in tour. Insegna teoria, arrangiamento e composizione al Centro Studi Musicali di Verona. Dal ‘95 è la tromba di Zucchero (nella tournèe in corso suona anche il corno francese).Beppe caruso, tromba e tuba: Diplomato presso il Conservatorio Verdi di Milano, vanta numerose collabo-razioni in ambito jazzistico, ma non solo. Ha lavorato con Roberto Vecchioni, Tullio De Piscopo, Gino Paoli e altri. Attualmente è co-leader, con il percussionista Francesco

D’Auria, del Duo D’Auria-Caruso. Dal 2007 fa parte della band di Zucchero. Luca campioni, violino: Anche lui diplomato presso il Conservatorio Verdi di Milano (diploma di Violino e di-ploma di Strumenti a percussione), dal 1988 collabora con le più illustri orchestre italiane (Teatro alla Scala, Sinfonica della RAI di Milano, Sinfonica Santa Cecilia di Roma, etc). In ambito pop, oltre a Zucchero, ha lavorato con Bobby McFerrin. Simone Rossetti Bazzaro, violino e viola: Terzo diplo-mato al Conservatorio di Milano nella band di Sugar, comincia a farsi conoscere suonano violino e viola per Giovanni Nuti e la grande Alda Merini. Il suo talento vie-ne notato anche da Renato Zero, Vecchioni, Paola Turci, Baglioni, Baustelle e persino dai Muse. Oltre che da Zuc-chero, naturalmente.Enrico guerzoni, violoncello: Ha collaborato con vari gruppi strumentali fra cui i Solisti Veneti i Virtuosi Italia-ni, i Filarmonici di Bologna e la Filarmonica Toscanini. Ha inciso e suonato dal vivo musica barocca e classica, con artisti quali Muti, Pavarotti, Fresu, Bocelli Ramazzotti, Vi-nicio Capossela. Da qualche anno completa la sezione archi di Zucchero. G.O.

« In Italia le location per la musica sono quelle che sono. Poi con la crisi e tutto il resto, figuriamoci se chi

ci governa pensa a questo problema. Per loro la cultura e l’arte vengono sempre per ultime »

LIVESTYLEZucchero

Per la prima volta nella sua carriera, Sugar ha pubblicato un

disco in inglese. Zucchero Who? è uscito a settembre in Nord Ame-rica: un doppio album con tutto

Chocabeck nella versione italiana sul primo cd e 8 brani dello stesso

album, ma con testi in inglese, sul secondo. Hanno scritto per

Zucchero personalità illustri della musica mondiale. Ecco la tracklist del cd 2 con gli autori delle liriche.

ZUCCHEROCHI?

1. LIFE (Un soffio caldo ), R.Orzabal2. SoMEonE ELSE’S TEARS

(Il suono della domenica), Bono Vox3. gLoRY (è un peccato morir),

T.Douglas e B.O’Brian4. DEVIL In MY MIRRoR (Vedo

nero), J.Irvin5. goTTA FEELIng (Un uovo sodo),

T.Douglas e B.O’Brian6. SPIRIT TogETHER (chocabeck),

Iggy Pop e J.Irvin7. Too LATE (Alla fine), Iggy Pop8. In THE SKY (Spicinfrin boy),

T.Douglas e B.O’Brian

delle cose di cui occuparsi.Possibile che non ci sia modo di far capire ai nostri governanti

che la musica e l’arte in generale sono una risorsa e non un osta-colo alla crescita di questo paese? Ci deve essere, non possiamo e non dobbiamo rassegnarci. Hai qualche idea? Resto convinto del fatto che solo essendo molto determinati e so-prattutto uniti si possa fare pressione. Dobbiamo usare moltissimo il web, i social network, per continuare a difendere, pacificamente ma con fermezza, le nostre idee. Penso ad esempio alla gente che ha occupato il Teatro Valle di Roma, persone straordinarie che tra l’altro ho ospitato all’inizio del mio concerto di luglio all’Olimpi-co per aiutarli a diffondere il loro messaggio. Insomma, non dobbiamo smettere di crederci e anzi è bene continuare sulla strada dalle iniziative pro-positive.

Tra giugno e settembre hai suonato sette volte all’Arena di Verona. Sei particolarmen-te affezionato a quella location, immagino proprio per una que-stione di acustica. Evidentemente 2000 anni fa erano in grado di fare meglio di noi oggi. Te ne accorgi quando il pubblico sente meglio? Me ne accorgo eccome. L’Arena è appunto un magico posto per l’acustica, non per niente è uno dei templi della lirica. Cantare e suonare lì è tutta un’altra cosa e cerco di tornarci più che pos-so. Sono stato fortunato con le nuove date di settembre, all’inizio speravamo semplicemente in un solo concerto, dopo i cinque di giugno, poi sono diventati addirittura due.

Dopo aver girato in lungo e in largo Europa e Italia, a novem-bre comincia la tranche invernale del Chocabeck World Tour. Sarà lo stesso spettacolo o stai pensando a qualcosa di diverso? Magari una nuova scaletta? La prima parte della tournèe è finita solo il 7 agosto e ora mi sto riposando un po’. Siamo ancora pieni di adrenalina per i cinquan-ta concerti iniziali, ma siamo anche stravolti dalla fatica, quindi al momento non ho deciso nulla per il tour invernale. Potrebbe anche essere un’idea non cambiare nulla, come si dice “non cam-

biare la strada vecchia per quella nuova”. Oltretutto prima dei palasport italiani, e dopo Verona, ho fatto un lungo giro di con-certi negli Stati Uniti e in Canada. A settembre in Nord America è uscito il mio album, è un doppio, con tutta la versione italiana di Chocabeck sul primo disco e quella inglese sul secondo.

I testi della versione inglese li hanno scritti rockstar del cali-bro di Bono e Iggy Pop. Come li hai “selezionati” - cioè perché proprio loro e non altri? Hanno deciso da soli per quale canzone scrivere le parole o invece hai scelto tu per loro?I brani li propongo io in base a quello che mi piace e credo possa piacere a loro. Con Bono c’è un feeling musicale speciale (recen-

temente mi ha mandato un sms in cui diceva “la tua voce sembra una se-zione di fiati”) oltre che una grande amicizia, ha già fatto delle cose con me in passato. Gli ho man-dato la musica de Il suono

della domenica senza testo, gli è piaciuta molto e ha scritto Some-one Else’s Tear. La cosa meravigliosa è che c’è molta affinità tra il suo testo e il mio. Iggy Pop era a Los Angeles quando stava-mo incidendo, lui ha un rapporto speciale con il mio produttore Don Was, hanno lavorato assieme. Così è venuto a trovarci e ascoltando alcuni brani si è entusiasmato tra gli altri per Choca-beck e Alla fine, che sono diventate rispettivamente Spirit Together e Too Late.

Voglio chiudere sconfinando sul personale. L’impressio-ne che ho di te in questo momento è di un uomo in pace con se stesso, molto più sereno che in passato. Probabilmente è merito del nuovo corso “contadino”, chiamiamolo così. Sbaglio?Hai ragione, sono in grande armonia con me stesso, mi voglio bene e in tanti me ne vogliono. È anche per questo che ho avu-to un ottimo raccolto, dopo aver seminato a lungo. Ottimo come sarà quello della mia vendemmia a settembre, quando inizieremo a raccogliere l’uva per il mio vino. Con quella dell’anno scorso abbiamo fatto un rosato che abbiamo chiamato “Chocabeck”. È veramente buonissimo.

« Con Bono c’è un feeling speciale (mi ha scritto via sms “la tua voce sembra una sezione di fiati”). Gli ho mandato Il suono della domenica,

gli è piaciuta e ha scritto Else’s Tear per la versione inglese di Chocabeck »

ONSTAGE 37 NOVEMBRE

Page 20: Onstage Magazine novembre 2011

ONSTAGE 40 NOVEMBRE ONSTAGE 37 NOVEMBREONSTAGE 38 NOVEMBRE

LIVESTYLE

I biglietti del tour di Lenny Kravitzsono in vendita presso i negozi Fnac!

LE COSE POTREBBERO

ANDARE MEGLIO(MA NON PER ME)

ONSTAGE 39 NOVEMBRE

Lenny Kravitz

LIVESTYLE

live 20/11 Treviso, 21/11 Milano

Non lasciatevi illudere dal titolo del suo nuovo disco, Black And White America. Nemmeno lui crede che il razzismo in America sia superato. Non crediate che qualche ottimo musicista possa riportare l’r’n’b agli splendori di una volta. Non stupitevi se le rockstar si drogano, è un problema di tutti. Insomma, c’è poco da stare allegri. A meno che non vi chiamiate Lenny Kravitz.

n tiepido mattino romano accoglie la pre-sentazione del nuovo disco di Lenny Kra-vitz, un’occasione importante, visto che le conferenze stampa nella Capitale sono una

cosa rara. Intorno a noi l’entusiasmo e l’agitazione palpa-bile dell’entourage dell’artista e dei rappresentanti della sua nuova etichetta discografica: dopo un’intera carriera con la Virgin, il rocker ha deciso di firmare per la Roa-drunner (ormai Warner), la stessa di Slipknot e Dream Theater. La presenza della più famosa traduttrice simul-tanea televisiva, la distinta signora che fa da interprete a tutti gli artisti internazionali di Sanremo, conferma la solennità dell’evento. Registratori accesi sul tavolo, tutti ai propri posti: sta entran-do Lenny. Il suo passo è lento e pesante, ma allo stesso tempo fluido. Gilet di pelle nero, enormi occhiali da sole, una lunga collana composta da grosse sfere di legno e una maglietta slabbratissima. È basso come si dice anzi, è più esatto dire che non è alto, almeno non come lo fan-no sembrare i tanti video con le inquadrature che lo ri-prendono da sotto. Il suo carisma riempie la stanza, ha l’eleganza e le movenze di un felino addomesticato; ci sarà pure un motivo se parte del suo successo si deve ad un’immagine da vero sex symbol (e se nella sua vita si è accompagnato ad alcune fra le donne più belle del mondo). Ha un gran sorriso, la voce bassa, è un cordiale e simpatico ragazzone di quasi cinquant’anni; in attività

da oltre venti, può vantare una carriera pluripremiata, che fra alti e bassi l’ha portato al traguardo del nono disco.

FERVORE IN BIANCO E NEROLa prima domanda è sul titolo. Kravitz dichiara di aver deciso di intitolare il suo nuovo album Black And White America - di certo meglio di quel Negrophilia che era sta-to ventilato all’inizio e che forse avrebbe creato curiose assonanze con Biophilia di Björk, uscito un mese dopo - colpito da un documentario sul razzismo nell’America di Obama. «Il razzismo non è scomparso, è solo diventato

più subdolo, perché filtrato dal politically correct. Il pregiudizio è un concetto che ho imparato a scuo-

la. Non è stato facile per la mia famiglia, multietnica e multireligiosa, nonostante New York fosse già all’epoca parecchio avanti sul discorso dell’integrazione. Avere un presidente di colore è soltanto il primo passo». La scelta risulta però solo un tentativo di dare al lavoro un taglio impegnato, perché aldilà della title track in apertura (le cui prime quattro rime riescono a farci rimpiangere il Kra-vitz fricchettone di California), non è un disco di impegno

sociale, e lo dimostrano i successivi quindici brani, in cui si parla di tutt’altro. Né dobbiamo farci ingannare dalla copertina, una tenerissima foto di Lenny bambino con il simbolo della pace dipinto sulla fronte, perché la politica non viene affrontata né più né meno che nei precedenti dischi, e allo stesso modo, con messaggi e proclami glo-bali, o meglio, con la sua personale dialettica, semplice e molto rock’n’roll. Peace, love, respect, faith: concetti uni-versali e sonorità per le masse, insomma, come un altro disco di Lenny Kravitz.

Black And White America è un lavoro “sognato” e scritto alle Bahamas, terra che ha dato i natali alla madre - fi-

gura alla quale era particolarmente legato, tanto da citarla praticamente in ogni sua conversazione - e rifinito a Parigi, seconda casa dell’artista. Per sviluppare l’album ha passato un lungo periodo di isolamento di-viso fra la roulotte in cui viveva (saremmo

curiosi di vederla) e il suo super studio di registrazione, costruito appena due anni fa in pieno stile vintage califor-niano, colmo delle meraviglie tecnologiche di cui Lenny si fa spesso vanto, da collezionista appassionato qual’è. Il risultato finale sono sedici canzoni, un quantitativo note-vole di inediti considerato il breve periodo intercorso dal precedente It Is Time For A Love Revolution. Senza contare, tra l’altro, i quattro pezzi in più che compaiono solamen-te nell’edizione deluxe. È evidente come per Lenny sia un periodo di gran fervore creativo e di serenità, come

Udi emanuele Mancini

« Il razzismo non è scomparso, è solo diventato più subdolo, perché filtrato dal politically correct. Avere un

presidente di colore è soltanto il primo passo »

Page 21: Onstage Magazine novembre 2011

LIVESTYLELenny Kravitz

dichiara apertamente nell’inno funk-soul Life Ain’t Ever Been Better Than It Is Now, nel quale trova an-che il tempo di rendere omaggio al padrino del soul, James Brown. «Ho passato parecchio tempo da solo e il silenzio, la natura, sono state di forte ispirazione. Ho avuto modo di riflettere su alcuni rapporti e sulle perdite nella mia famiglia».

VINTAGE è MEGLIONato idealmente come un doppio album, è stato realizzato immaginandolo nella sua versione in vi-nile, con due dischi da quattro canzoni per lato ed è in effetti più fruibile se lo si ascolta facendo una breve pausa ogni quattro brani. Il risultato è mag-giormente omogeneo, nonostante la grande varietà di stili che va ad abbracciare. Le canzoni, registrate con strumenti e amplificatori da sogno e con alcune fra le più incredibili apparecchiature vintage audio (possiede addirittura la Redd, leggendaria consol-le di registrazione dei Beatles), sono state rigorosa-mente fissate su nastro per poi essere trasportate in digitale in un secondo momento, con lo scopo di preservare la qualità dei suoni. È un romanti-co Lenny, non dà peso al fatto che queste canzoni verranno ascoltate dalle casse in plastica di una po-stazione di lavoro o nelle cuffie di un lettore che ne sparerà fuori la versione compressa e storpiata in mp3.

La registrazione di Black And White America è come al solito avvenuta in quasi totale autarchia musicale, con Kravitz a suonare tutti gli strumen-ti, dalla batteria alle tastiere, procedendo poi a sovraincidere le parti. Unica eccezione, l’apporto fondamentale e ormai imprescindibile di Craig Ross, al suo fianco sin dal 1991, coautore dei brani e suo collaboratore fisso. Il risultato di questa scelta lascia qualche dubbio, le canzoni risultano spesso fin troppo lineari, mancano di un suono d’insieme e a volte risalta in maniera palese il processo di “stratificazione”. Per non parlare del sound, che è indubbiamente migliorato negli anni a livello qua-litativo, ma che resta, per motivi abbastanza ovvi, molto simile a se stesso. Nel tentativo di restare al passo coi tempi e magari insinuarsi nei danceflo-or non mancano però le collaborazioni eccellenti: l’artista r’n’b Drake in Sunflower e l’onnipresen-te Jay-Z insieme a Dj Military in Boongie Drop. «Com’è nata la collaborazione con Jay? L’ho chia-mato e gli ho detto “sai, in questo pezzo ci starebbe davvero bene la tua voce”, e lui ha accettato». Do-mani ci provo anche io, penso, ma immagino che il peso specifico di Lenny sia maggiore del mio... Da sempre influenzato dalle sonorità del rock e del funk dei Seventies e allo stesso tempo abile nel sac-cheggiare senza troppi pudori, rivela in quest’al-bum più che mai quanto sia debitore agli artisti di quegli anni. Un modo per sottolineare come soul e r’n’b degli ultimi tempi non abbiano offerto mo-menti e dischi memorabili? «Non sono d’accordo. Ma se penso a quel periodo posso fare all’istante il nome di un centinaio di artisti geniali, mentre del presente mi mi vengono in mente Lauryn Hill, Ery-kah Badu e pochi altri». Potremmo ampliare la lista con altri nominativi, ma in ultima analisi è difficile dargli torto.

« Se penso agli anni Settanta posso fare all’istante il nome di un centinaio di artisti r’n’b

geniali, mentre del presente mi vengono in mente Lauryn Hill,

Erykah Badu e pochi altri »

IDISCHILa discografia completa

di Lenny Kravitz.

2011 Black And White America

2008 It Is Time For A Love Revolution

2004 Baptism

2001 Lenny

1999 5

1995 circus

1993 Are You gonna go My Way

1991 Mama Said

1989 Let Love Rule

ONSTAGE 40 NOVEMBRE

Page 22: Onstage Magazine novembre 2011

ONSTAGE 42 NOVEMBRE

LIVESTYLELenny Kravitz

MUSICA & DINTORNIProcede il colloquio e gli viene chiesto cosa pensa di una classe politica che tra droga, donne e festini sta rubando la scena alle rockstar, alludendo ai recenti fatti di cronaca: «Credo che ormai il concetto di rockstar sia diventato tra-sversale, ha scavalcato l’ambito musicale a cui appartene-va ed è diventato mainstream». Evidentemente la rispo-sta non pare soddisfacente ai più, forse perché Lenny ha evitato di parlare di droga. Qualcuno ci riprova e butta di nuovo in campo la parolina magica, abbinandola alla povera Amy Winehouse. Lenny ha un’espressione annoiata, ma prova a ri-spondere ugualmente. «La droga legata all’arte è ora-mai un clichè, una moda. La verità è che la usano tutti, dagli imprenditori agli sportivi, fino a direttori di banca, alla gente comune. È qualcosa di pericoloso e da cui tener-si alla larga. Non dimentichiamoci però che chi ne fa uso, lo fa spesso per attutire un profondo dolore». Dalla Wine-house a Michael Jackosn il passo è breve. Lenny sorride e alza le spalle: «Michael… c’è bisogno di parlarne? Persi-no le sue registrazioni con i Jackson Five sono incredibili. Già allora aveva una personalità e una voce paragonabili a quelle di James Brown o di Aretha Franklin. È stato e sarà sempre un modello per me». Per fortuna, a questo punto, le domande imbarazzanti sembrano essere finite. Nel tempo rimasto a disposizione c’è spazio per indagare sulle altre nature di Lenny, per esempio quella di padre:

«A mia figlia vorrei riuscire ad insegnare che essere se stessi è l’unica cosa che abbiamo. Anzi, essere se stessi e parlare, dialogare». Due parole anche sulla sua carriera come attore. Già coprotagonista di Precious, premiato a Cannes, Lenny partecipa con un ruolo a Hungry Games, il film del regista Gary Ross. «Ho iniziato a recitare da bambino, poi ho smesso quando ho capito che volevo fare il musicista. Una sera ho incontrato Lee Daniels, il regista di Precious, e mi ha chiesto se mi sarebbe piaciuto provare

di nuovo e io ho accettato. Il bello della recitazione è che è tutto eccetto che una cosa mia, al contrario della musica che suono, che è completamente au-toindulgente. Ha a che fare con la visione di un’altra persona, e cercare di capire

quello che vuole, riuscire a portarlo fuori, è una bellissi-ma occasione».

Il futuro prossimo per Lenny Kravitz è in giro per il mon-do: dopo due date negli Stati Uniti e una a Buenos Aires, è iniziato il 24 ottobre a Lilla, in Francia, il suo tour eu-ropeo, che prevede anche due date in Italia, a Treviso e a Milano. «I miei piani per quest’anno? Viaggiare, viaggia-re e viaggiare. Ho così tanta musica che voglio portare dal vivo! Il tour è la parte più importante per me, il momento che mi mette in contatto con il pubblico. Se sono sul palco è per scambiare energia con la gente. Altrimenti resto a casa». Non fatelo neanche voi questo errore.

« La droga legata all’arte è oramai un clichè. Ma non dimentichiamoci che tutti ne fanno uso: imprenditori, sportivi, gente comune. È qualcosa di molto pericoloso e da cui tenersi

alla larga »

I MAESTRI DI LENNY

La musica di Kravitz è ricca di riferimenti. Ecco le principali fonti di ispirazione dell’artista americano.

James BrownNonostante amasse farsi chiamare “The Godfather Of Soul”, James Brown è il pa-drino del funk. Oltre alla musica, Lenny si ispira a Brown per lo stile vocale,

che fa di grugniti e urletti una componente espressiva fondamentale.

Marvin gayeA partire dagli anni Settanta, tutti gli artisti che hanno suonato musica soul devono qualcosa a Marvin Gaye. Lenny Kravitz compreso, che con il Prof. Gaye

ha cercato di mettere in pratica soprattutto la lezione intitolata “raffinatezza”.

Jimi HendrixQuando usci il primo disco di Lenny Kravitz, Let Love Rule, tutti pensarono “ecco il figlio di Jimi”. Nel tempo Lenny ha sperimentato altri sound, ma il suo stile

chitarristico hendrixiano è rimasto immutato.

Michael JacksonQuello che Lenny ha sempre amato di Jacko è la capacità di scrivere grandi can-zoni pop. Michael Jackson è il migliore di sempre secondo Kravitz, che non perde occasione per ricordarlo, indicando

il “Re del Pop” come suo grande ispiratore.

PrinceLa principale carat-teristica di Prince è la versatilità: il fol-letto di Minneapolis spazia tra funk, rock, blues, pop e soul con una scioltezza e abilità rare. C’è un

altro artista afro-americano che ama muoversi tra i generi: Lenny Kravitz.

Page 23: Onstage Magazine novembre 2011

ROCK’N’FASHIONROCK’N’FASHION

Quando c’era lo swing

Haikure: giacca di lana grigio scuro con tasconi sul davanti e fodera interna a quadretti in bianco e nero, € 269,00

Levi’s: jeans 505 Best of Levi’s, Red Tab men’s Collection, € 152

Lacoste: Tricot in lana e alpaca con motivo a quadri, € 211,50

Timberland: traspirante ed ecologica, prodotta per il 42% da pneumatici riciclati, € 150,00

Ray Ban: occhiale da vista dalla forma ampia, realizzato in acetato nero, € 134

H&M: mantellina con sciarpa da annodare, € 149

Rodenstock: lo stile inconfondibile degli ’60 e ’70,

con materiali innovativi ma fedeli agli originali, € 144

S ebbene abbia raggiunto il suo apice durante i favolosi anni Sessan-ta, il centralismo assoluto di Londra come capitale di moda, musica, cultura giovanile e letteratura comincia appena prima, nel 1959 per

l’esattezza, con la pubblicazione del romanzo Absolute Beginners di Colin McInnes (negli Ottanta anche un film di successo), che preconizza pro-prio una città swingante e ricchissima di stimoli. Basterà aspettare qualche anno, con la rivoluzione beatlesiana prima, la nascita della sottocultura mod, il successo di Who e Small Faces e la nascita della psichedelia verso la fine del decennio con la rapida ascesa di talenti come Cream, Jimi Hendrix e Pink Floyd.

Coniato dal Time nel 1966, il termine “Swinging London” finì per di-ventare sinonimo della colorata e elegantissima fauna che popolava la via più celebre della capitale inglese, quella Carnaby Street che ospitava le mi-gliori boutique del periodo. Lo stile mod, per esempio, può essere consi-derato, senza tema di smentite, quello più caratteristico del decennio, mai veramente tramontato e capace di influenzare a distanza di tempo anche movimenti successivi come quello brit pop di Blur e Oasis. Giacche a tre e quattro bottoni, mohair, pantaloni a tubo, mocassini italiani, scarpe loafers e cravatte strette, ampio uso della bandiera britannica e del simbolo della

R.A.F., il tutto contrapposto ai mitici parka, giacconi militari verdi con cui i mods si difendevano dal freddo in sella agli immancabili scooter sono mar-chi di stile che ancora oggi, sebbene in forme diverse, significano estrema eleganza e cura.

Sponsorizzati da band come Who, Small Faces e Kinks, i mods conqui-starono l’onore delle cronache, determinando un modello maschile di ri-ferimento e rivoluzionando anche il costume femminile grazie a modelle e stiliste come Mary Quant, Twiggy e Jean Shrimpton, tutti volti noti dei Sixties. Per loro si trattò soprattutto di abitini optical, minigonne e stivaletti in pelle. A immortalare quel momento di cambiamenti epocali ci pensarono telefilm come Agente Speciale e film come Casino Royale e Blow Up dell’ita-liano Michelangelo Antonioni. Bastarono un paio d’anni appena per assi-stere al cambio di stile, con l’arrivo della musica psichedelica, un radicale aumento della lunghezza dei capelli (e la comparsa di baffi e barba) e l’am-pio uso del paisley nella moda. “Our music is red - with purple flashes” dichiaravano i Creation nel 1967: anche la velocità delle anfetamine, droga per eccellenza del periodo, aveva lasciato spazio ad altre esperienze, come quelle con l’LSD, in un’escalation che avrebbe messo fine alla Swinging London e aperto le porte agli anni Settanta.

I Kooks, con quel nome scippato al David Bowie di fine anni Sessanta, sono un ottimo esempio dello stile british tanto caro a Carnaby Street e alla Londra dei bei tempi andati.

Florence + The Machine sono uno dei nomi nuovi della scena britannica, capace di unire uno stile retrò con suggestioni molto moderne.

ONSTAGE 44 NOVEMBRE ONSTAGE 45 NOVEMBRE

Pimkie: Kilt in lana scozzese rosso e nero, con doppio cinturino in pelle

sul lato, € 19,99

Esprit: Dolcevita in cotone cioccolato con grande fiocco in tessuto sul collo, € 40

Twin Set Simona Barbieri: ballerine con tacco e fiocchetti, € 174

Maybelline: il ciglia finte alate offre un nuovo tipo

di volume, € 12,50

Page 24: Onstage Magazine novembre 2011

Rock languido alla Radiohead vecchio stampo? Fatto. Cori da stadio modello U2? Fatto. Apertu-re a sperimentazioni elettroniche e concettuali?

Fatto. In 15 anni di carriera i Coldplay hanno emozionato nei modi più semplici e stupito esplorando sentieri meno battuti. Si sono emulati da soli e quando è affiorata la stanchezza hanno avuto la lucidità di reinventarsi. Sono stati idolatrati e sminuiti, odiati e amati. Ma per-correndo una strada tutta loro non si sono mai pentiti, ostentando una personalità forte, indistruttibile. Non è quindi più tempo di aspettarsi rivoluzioni, perché un fatto è certo: qualsiasi creazione nasca dalla mente di Chris Martin e soci è sigillata da una magica aura di cre-dibilità. Le discutibili accuse di plagio e il dito puntato su alcune derive dance non possono lontanamente scalfire le ambizioni e le convinzioni di una band che non deve più chiedere niente a nessuno, ma che al contrario si può per-mettere di indicare la via alla musica moderna - sia scalan-do le chart che rimanendo tra le ben più intime pareti dei propri dischi. Ecco quindi che il quinto album del quartet-

to inglese riassume adeguatamente tutte le caratteristiche che lo contraddistingue in tre quarti d’ora intensi e - una volta messi da parte i pregiudizi - quasi perfetti.

Partiamo dalle certezze: i Coldplay sono bravissimi a scrivere canzoni coinvolgenti che incontrano con facilità il gusto e l’approvazione di un pubblico molto vasto. La

formula è ben esemplificata da una ballad epocale come Paradise, che fa leva su un impeccabile arrangiamento orchestrale ed è abilmente insaporita da maliziosi accor-gimenti presi in prestito dalle classifiche pop. L’abilità compositiva della band non viene a galla solo con pez-zi strappa-lacrime: le dimostrazioni si trovano nella fre-schezza dell’opener Hurts Like Heaven, nel rock incalzante di Don’t Let It Break Your Heart, nella magia del variopinto finale Up With The Birds o in un pezzo solido come Major Minus - il cui ritornello farà certamente fischiare le orec-

chie a Bono e soci. Gli schizzi più confidenziali (Us Against The World e U.F.O.) sono brevi ma intensi, mentre gli inter-ludi ci ricordano che Chris Martin ha definito Mylo Xyloto un album concettuale e rendono evidente lo zampino del fidato Brian Eno.

Volendo si fa presto a criticare Every Teardrop Is A Water-fall per il suo riff che strizza l’occhio alla disco oppure Princess Of China per il chiacchieratissimo cameo della bella Rihanna: quello che non capisco è la facilità con cui certi pezzi vengo-no bollati come “spudorati” o “fuori

luogo” senza badare al cuore delle canzoni. L’apparenza è forse più essenziale del valore della musica in quanto tale? I Coldplay non sono più rock, ma soltanto un’altra band pop che contamina le nostre frequenze con featuring spiazzanti e tributi sfacciati? Il dibattito potrebbe anche andare avanti all’infinito, ma il succo non cambia: questa è un’ennesima prova di forza, bella e buona. Voglio spera-re che il ligio Chris Martin fosse ubriaco fradicio quando ha dichiarato che Mylo Xyloto sarebbe stato l’ultimo disco dei Coldplay.

Musica, cinema, videogames, libri

WHAT’SNEW

Prova di forzaIl quinto disco dei Coldplay è stato giudicato ancora prima che uscisse. Colpa, o merito, dei primi due singoli, che hanno fatto storcere il naso a molti fan. Ora però è tempo di mettere da parte i pregiudizi: Mylo Xiloto è l’ennesima grande prova della band inglese.

di Marco rigamonti

Un mese ricco di grandi ritor-

ni quello di novem-bre. A testimoniarcelo ecco Lou Reed & Metallica, Negrita, Justice, Gianluca Grignani, Subways e Zen Circus.

In questo numero: il

nuovo lavori di Ficarra e Picone, un quasi inedito Cesare Cremonini in veste di attore per Il cuore grande delle ragazze e il nuovo capitolo della saga di Twilight

Per voi amanti di sport e

action games eccovi servito una raffica di nomi: Rage, Pro Evo-lution Soccer 2012 e Michael Phelps - Push The Limit.

L’immancabile sezione libri si

avvale di nuovi titoli: Un doppio sospetto, Il respiro del buio e la biografia di Rick Rubin.

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ONSTAGE 47 NOVEMBRE

Coldplay Mylo Xyloto (Capitol Records) H H H H H

Le discutibili accuse di plagio e il dito puntato su alcune derive dance non possono scalfire le ambizioni e le convinzioni di una

band che non deve più chiedere niente a nessuno

Page 25: Onstage Magazine novembre 2011

ONSTAGE 48 NOVEMBRE ONSTAGE 49 NOVEMBRE

WHAT’S NEW

Florence + the MachineCeremonials (island/Universal)

H H H Hdi Gianni Olfeni

Grazie a un disco con le bollicine e al carisma della giovane Miss Welch, l’ul-tima delle dive britanniche, il 2009 si era

tinto dei colori raffinati di Florence + The Machine. Allora ci si aspettavano patimenti e dannazioni per battere il chiodo anco-ra caldo, e invece ci sono voluti oltre due anni perché il seguito di Lungs vedesse la luce. Florence ha osato prendersi il tempo che giusto i Signori della Musica si concedono: sapeva che solo un gran disco l’avrebbe confermata ad alti livelli, sapeva che la sua istrionica personalità artistica non si plasma a coman-do, sapeva che un tesoro è prezioso quanto facile da sciupare. Ceremonials è il risultato di tanta consapevolezza. Florence Welch è insieme poetessa e musa, artefice e ispiratrice di mondi sonori eleganti e impenetrabili come un quadro di Kandinskij. Sotto si muovono rock e soul, ma in superficie se ne perdo-no le tracce. Bene ha scelto i primi due singoli (What The Wa-ter Gave Me e Shake It Out), tratti decisi di una trama preziosa e sofisticata.

99 POsseCattivi guagliuni (Artist First)

H H di Guido Amari

Pensavate che il morbo della reunion fosse una prerogativa di inglesi e americani? I 99 Posse sono qui per contraddirvi oltre che

per continuare un discorso interrotto più di dieci anni fa con La vida que vendrà, ultimo lavoro in studio di una della realtà più rappresentative del sottobosco italiano, capace di passare dai centri sociali alle classifiche nazionali senza perdere di intensità. Cattivi guaglioni riporta all’attenzione del pubblico Zulù e com-pagni i quali, per l’occasione, chiamano a raccolta una batteria di amici (Caparezza, Valerio Iovine, Daniele Sepe, Speaker Cen-zou e molti altri) per un album che spazia tra elettronica, hip hop, rock, raggamuffin, con la consueta formula sonora targa-ta 99 Posse. Tutto perfetto? Non sempre, anzi: i pezzi mordo-no meno rispetto al passato, tranne in qualche caso e, a fare la differenza pare proprio essere la mancanza (voluta?) di un pez-zo spacca classifiche come era successo in passato con Quello che, Curre curre guaglio’, Cerco tiempo e Sfumature. Bentornati, in ogni caso.

Hot List

Dieci brani della playlist diLINUS

Deejay Chiama Italia (lun-ven, dal-le 10.00) insieme a Nicola Savino e Cordialmente (il lunedì alle 21.30) insieme a Elio e Le Storie Tese sono i programmi che impegnano ogni settimana Linus su Radio Deejay.

Should I Stay Or Should I Go The Clash Combat Rock (1982, Epic Records) Me Myself And I De La Soul 3 Feet High And Rising (1989, Tommy Boy) Relax Frankie Goes To Hollywood Welcome To The Pleasuredome (1984, ZTT Records) Steppin’ Out Joe Jackson Night And Day(1982, A&M) Everybody Wants To Rule The World Tears For Fears Songs from the Big Chair (1985, Mercury Records) Jump Around House Of Pain House Of Pain (1992, Rhino) Wonderwall Oasis (What’s the Story) Morning Glory? (1995, Creation) American Boy Estelle & Kanye West Shine (2008, Atlantic) Wake Me Up When September Ends Green Day American Idiot (2008, Reprise) Gold Digger Kanye West Late Registration(2005, Roc-A-Fella)

Musica

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WHAT’S NEW

Meglio non farsi troppe menate e arriva-re subito al punto: il nuovo disco dei Negrita è un gran bel disco, il migliore

in assoluto della band toscana. Sono belle le can-zoni, perché di questo si tratta - un album di belle canzoni – e non è scontato come sembra. Almeno dieci (su tredici) tracce di Dannato vivere sono po-tenziali singoli. Mai in passato gli aretini avevano messo insieme tanta qualità, nostante HELLdorado e, ancora prima, L’uomo sogna di volare, mostrasse-ro una crescita inequivocabile. Qui però siamo alla Mecca dei Negrita: d’ora in poi dovranno rivolgere il proprio sguardo a questo disco prima di rimet-tersi in cammino, qualunque sia la destinazione. Tutto gira intorno ai concetti fondamentali del rock:

melodia e istinto, cuore e palle. Il resto si adegua, la produzione artistica - preziosa eppure mai inva-dente - come le parole uscite dalla penna di Pau e Drigo, un misto di denuncia e speranza in qualche caso confuso ma sempre genuino. In sostanza Dan-nato vivere riesce dove molti dischi, anche più raffina-ti, falliscono: mette d’accordo bellezza e semplicità. Se si tratta del punto più alto della parabola dei Negrita, lo scopriremo con i prossimi lavori. Ma è certo che i toscani - in questo momento la migliore formazione rock italiana - sono cresciuti tantissi-mo, con una forza direttamente proporzionale al numero di bagagli di cui si sono liberati lungo la strada. Adesso, finalmente, la loro musica leggera è potentissima.

the subwaysMoney And Celebrity (Cooking Vinyl)

H H H di Claudio Morsenchio

In questo autunno inoltrato, dove le giornate si fanno più corte e il freddo comincia a pungere, si deve ricorrere ad

un’opportuna ventata di spensieratezza e di calore, capace di spazzare via l’uggiosa monotonia pre-invernale. In linea con queste aspettative, il nuovo disco dei Subways, giovane band inglese, soddisfa in pieno le nostre esigenze, sprizzando una divertente energia positiva di indie rock, con una evidente dose di punk pop che rende tutto veloce, digeribile e di facile approcio. Trascinati dalla personalità dell’esplicito singolo We Don’t Need Money To Have A Good Time, il terzo lavoro del trio britannico non si risparmia, dimostrando una sensibile cresci-ta di idee e suoni, con un’ottima produzione di Stephen Street e una buona scorta di scomode liriche. Non vi resta che unirvi a loro e pogare senza inibizioni.

JusticeAudio, Video, disco (warner)

H H H di Marco rigamonti

Un paio di mesi fa, i francesi Gaspard Augè e Xavier de Rosnay parlarono del loro album durante un’intervista: lo defi-

nirono, in quello che sembrò un impeto di modestia, “un disco prog-rock suonato da musicisti non all’altezza dell’impresa”. Altro che modestia: è esattamente l’impressione che si ricava, fin dalle prime note, ascoltando Audio, Video, Disco. Tra citazio-ni eccellenti e richiami anni 70, i Justice conservano la loro at-titudine dance fatta di ritmiche spezzate, synth distorti e com-pressioni spinte, deviando però il loro metodo compositivo verso territori più tortuosi rispetto a quelli in cui si muoveva l’esordio. Chi si aspettava singoli-bomba rimarrà deluso, ma non è abbastanza per gettare fango su un lavoro ben eseguito, degno ambasciatore dell’era bastarda nella quale viviamo.

sick tamburoA.i.U.t.O. (La tempesta dischi )

H H H di Marcello Marabotti

«Mi sento scossa, agitata, agitata a, un po’ nervosa». Lo cantavano nel 1998 i Prozac +, con quel nome derivato dal

marchio commerciale di un farmaco antidepressivo, la fluo-xetina. Poi, alti e bassi fino all’esibizione del 2007 agli Mtv Days. Da allora, si sono perse le tracce. Anche il loro sito web è scomparso dalla rete. Che fine hanno fatto? Attualmente, dei tre componenti originali Eva Poles fa la dj e partecipa al pro-getto Rezophonic, Gianmaria ed Elisabetta, invece, sono voce e chitarra dei Sick Tamburo, di cui nel 2009 è uscito il primo album omonimo. Ora, tornano con A.I.U.T.O.:, un disco più melodico del precedente, che «ruota attorno al conflitto, in-terno all’uomo, tra il procurarsi il male e il successivo bisogno di chiedere aiuto», come racconta Gian Maria. Ci sono riusciti alla grande.

Musica

Cuore + palleC’erano una volta i Negrita che piazzavano qualche singolo e poi sparivano. Dannato vivere apre (speria-mo defintivamente) l’era dei Negrita che sfornano dischi compatti. In nome della semplicità.

Negrita Dannato vivere(Universal) H H H H H

di Daniele Salomone

Metallica e Lou Reed: due mondi distanti che collidono per un disco pesantissimo e molto lungo. Lulu farà sicuramente discutere e non lascerà indifferente nessuno.

di Claudio Morsenchio

Scontro tra titani

Le innumerevoli collaborazioni del rock & roll hanno da sempre suscitato interesse, generando spesso pareri di-scordi riguardo gli intenti e la riuscita delle combina-

zioni musicali, e radunando nello stesso tempo languidi elogi e pungenti e spietate critiche. Non venendo meno al collaudato processo, anche questo atipico e atteso matrimonio non passerà indenne. L’amore sbocciato un paio d’anni fa, in concomitanza della festa per i venticinque anni della Rock & Roll Of Fame, ha portato in studio due epoche, due stili, due generazioni quasi opposte o comunque parallele. I due amanti si toccano, si sfio-rano, ma quasi mai si abbracciano e scambiano vere effusioni, creando solo in parte un vero disco comune. Reed canta alla sua maniera ed esercita reading surreali, i four horsemen pesta-

no quasi sempre come dei dannati, annullando praticamente il solo Hetfield, che lascia spazio per gran parte del disco alla magnetica voce di Lou. Pochi sono i momenti dove il mettersi in discussione genera qualcosa di completamente diverso: più facile, ma meno intrigante a nostro parere, mettersi solamente l’uno al servizio dell’altro, senza veramente attuare una rivo-luzione. Le parti migliori del lavoro si svelano quando i Metal-lica decidono di consegnare il palco all’ex Velvet, spegnendo in parte i loro distorsori, e concedendosi alla fusione poetica in un oneroso e doveroso rispetto. Un’opera sonora maesto-sa, conturbante e complicata, da ascoltare e riascoltare senza pregiudizi e stereotipi, cercando di capirne l’essenza e il vero significato.

the Zen Circusnati per subire (La tempesta)

H H H di Claudio Morsenchio

Un po’ meno incazzato. Il nuovo album degli Zen Cir-cus, il secondo dopo Andate

tutti affanculo, sa meno di protesta. Suona denso, una presa di coscienza sull’orlo della rassegnazione, fin dal titolo: Nati per subire. «Gommone, portami via da questa città/che era mia ora è degli idioti, che demo-crazia/agli sceriffi di paese, con la casetta verde/che fa rima con “merde” ma noi siamo educati», cantano in Atto secondo, una canzone che ricorda la world di Creüza de ma. Come dire, gli Zen in questo disco hanno capito quanto è sporco il mare in cui stiamo affondando, un mare che conoscono bene I milanesi al mare: «in campeggio a Porta Genova/che meravi-glia/fritto misto in via Padova». Altro che i Cani.

Gianluca Grignaninatura umana (sony Music)

H H H di Cristina Valentini

Un maglione blu a righe e ca-pelli ribelli: questa è l’immagi-ne del Gianluca Grignani che

16 anni fa salì sul palco di Sanremo con Destinazione Paradiso. Quel ragazzo inquieto è cresciuto, ha supe-rato momenti difficili, è diventato uomo. Un uomo sensibile, forte e fragile allo stesso tempo, che non ha paura di svelare al mondo le proprie debolezze. Perché questa è la Natura Umana. Ed è proprio que-sto il filo condutture del suo nuovo album; Gianluca ha analizzato l’animo umano, ha deciso di percor-rere questo viaggio insistendo sulla propria strada, scegliendo di essere libero. Un disco coraggioso, fat-to con il cuore da un artista che non ha mai perso quell’indole rock che lo caratterizza fin dall’esordio.

Lou Reed & Metallica Lulu (Universal) H H H H H

Page 26: Onstage Magazine novembre 2011

Edward e Bella si sposano con una ce-rimonia organizzata da Alice a casa dei Cullen. Durante i festeggiamenti si pre-senta Jacob, il quale non ha partecipato al matrimonio perché contrario alla tra-sformazione in vampiro di Bella. Dopo una discussione con il licantropo, Bella parte per la luna di miele con il suo spo-so. La destinazione è l’isola brasiliana di Esme. Edward soddisfa il desiderio di Bella di fare l’amore con lei mentre la ragazza è ancora umana. Bella scopre presto di essere incinta di un bambino metà umano e metà vampiro, un peri-colo per la sua stessa vita. Dal quarto e ultimo libro dell’acclamatissima saga letteraria di Stephenie Meyer. La secon-da parte uscirà nell’autunno 2012.

Hugh Jackman interpreta Charlie Ken-ton, un ex pugile che ha perso l’ultima occasione di conquistare il titolo quan-do un robot di 800 kg e oltre 2 metri d’altezza lo ha sostituito sul ring. Ora che non è altro che un promoter a tem-po perso, Charlie guadagna abbastan-za soldi montando robot di poco valo-re con metallo di scarto per passare da un incontro clandestino di boxe all’al-tro. Quando Charlie arriva a toccare il fondo non ha altra scelta che unirsi al figlioletto Max, dal quale si era separa-to, per costruire e allenare uno sfidante che possa vincere.Grandi effetti speciali per una storia che non dimentica di dare importanza al travagliato rapporto padre/figlio. Nel cast anche Evangeline Lilly, nota per essere stata la Kate della serie TV Lost.

Il brutale e assetato di sangue Iperione dichiara guerra all’umanità. Insieme al suo spietato esercito di soldati mette a ferro e fuoco l’intera Grecia in cerca dell’Arco di Epiro, forgiato da Marte, che gli permetterebbe di sconfiggere gli Dei dell’Olimpo e diventare l’incontra-stato padrone del mondo. L’unica spe-ranza per il genere umano è Teseo, un marmista che vuole vendicare la madre uccisa dall’onda di violenza scatenata da Iperione. Aiutato dalla sibilla Fedra, le cui visioni profetiche disegnano sce-nari ottimistici, Teseo riesce a mettere insieme una piccola armata di uomini e va incontro al suo destino.Diretto dal visionario Tarsem, il film è “un incontro tra Caravaggio e Fight Club” come ha definito lo stesso regista indiano. In 3D.

Siamo negli anni 30. La famiglia contadina dei Vigetti ha tre figli: il pic-colo Edo, Sultana e Carlino. Gli Osti invece sono proprietari terrieri che hanno fatto fortuna e vivono in una casa padronale con le loro tre figlie: Maria, Amabile e la giovane e bellis-sima Francesca. Facendo buon viso a cattiva sorte, Sisto e Rosalia Osti accet-tano che il giovane contadino Carlino Vigetti corteggi le due sorelle maggiori, con l’intento di sistemarne almeno una. Inizia un periodo di incontri con le due ragazze nel salotto di casa Osti, ma la scintilla scocca con Francesca, tornata all’improvviso dalla città dove è stata mandata a studiare.Dopo Un amore perfetto del 2002, Cesare Cremonini ritorna a recitare al cinema. Le musiche sono di Lucio Dalla.

the twilight saga: Breaking dawn - Pt.1Usa, 2011, 135 min. Cast: Kristen stewart, robert Pattinson, taylor Lautner, Jack-son rathbone, Ashley Greene, Anna Kendrick, nikki reed, Peter Facinelli, Kellan Lutz, Billy Bur-ke, Maggie Grace, dakota Fanning di Bill Condon

critica H H pubblico H H H H

real steelUsA, 2011, 127 min. Cast: hugh Jackman, evangeline Lilly, dakota Goyo, Kevin durand, Anthony Mackie, hope davis

di shawn Levy

critica H H H pubblico H H H

immortalsUsa, 2011, 110 min. Cast: henry Cavill, Freida Pinto, Mickey rourke, Kellan Lutz, isabel Lucas, Luke evans, John hurt, stephen dorff di tarsem singh

critica H H pubblico H H H

il cuore grande delle ragazzeitalia, 2011, 85 min. Cast: Cesare Cremonini, Micaela ramazzotti, Andrea roncato, Gianni Cavina di Pupi Avati

critica H H H pubblico H H H

WHAT’S NEWCinema

ONSTAGE 50 NOVEMBRE

Anche se è amore non si vedeItalia, 2011, 96 min.

Cast: Salvatore Ficarra, Valentino Picone, Ambra Angiolini, Diane Fleri, Sascha Zacharias

di Ficarra & Picone

critica H H H Hpubblico H H H HH

I due noti e amati comici interpretano Salvo e Valentino, amici di lunga data che hanno una piccola società di servizi per il turismo. Il loro mezzo, un restau-rato e coloratissimo autobus inglese di qualche anno fa, trasporta i turisti tra i monumenti di Torino. Valentino è piut-tosto timido e riservato, mentre Salvo è parecchio intraprendente e sfacciato. Alle loro dipendenze c’è Natascha, una giovane e bella guida turistica che pur-

troppo non conosce nessuna lingua stra-niera. Valentino ha una relazione stabile con Gisella, fidanzata storica che lui ama di un amore morboso, totalizzante e op-pressivo. Quando la loro storia arriva al capolinea, entra in gioco il fidato amico Salvo che si mette in testa di trovargli una nuova ragazza capace di fargli tor-nare il sorriso.Il più impegnativo film di Ficarra & Pico-ne che stavolta dirigono senza aiuti.

A cura di Antonio Bracco

Page 27: Onstage Magazine novembre 2011

WHAT’S NEWVideogames

Rage (Id Software)

Disponibile per: PS3 - Box 360 Genere: ActionH H H H

L’originalità della trama non è certo il punto forte del nuovo titolo sviluppa-

to dagli artefici di capolavori come Doom e Quake: il pro-tagonista si risveglia dopo un lasso di tempo sconosciuto ritrovandosi in un mondo completamente devastato da un cataclisma di dimensioni fantascientifiche, che ha la-sciato dietro di sé una terra arida e demolita. Si scopre presto che il giocatore è l’unico sopravvissuto del proget-to Arka, avviato appositamente anni prima per rimediare alla catastrofe che avrebbe colpito la terra nell’anno 2029; non sarà certo un compito facile, perché come in ogni scenario post-apocalittico che si rispetti, l’anarchia quasi

totale regna sovrana e bisognerà quindi partire dal basso per farsi strada e attirare l’attenzione che ci consentirà di svolgere incarichi di importanza ben più elevata. L’intro-duzione sbrigativa ha il pregio di catapultarci direttamen-te nel cuore dell’avventura, che non ha proprio nulla a che spartire con la banale storia che fa da sfondo al gioco: bastano poche ore per rendersi conto che Rage è un’espe-rienza godibile e multiforme, che coinvolge in ogni suo aspetto. Le obbligatorie sequenze di combattimento sono deliziosamente impostate alla vecchia maniera: niente fronzoli, coperture o tatticismi - vince chi spara meglio e possibilmente prima. Le corse a bordo dei curiosi veicoli

personalizzabili sono a dir poco spassose: che si tratti di consegnare pacchi in tempo oppure di vincere gare bom-bardando gli avversari, le fasi di guida a conti fatti risulta-no essenziali perché riescono a spezzare l’avventura con momenti di puro divertimento arcade. Il gameplay solido ed efficace è accompagnato da dettagli grafici curati, i per-sonaggi in cui ci s’imbatte sfoggiano personalità tutt’altro che banali e nonostante non esista un classico sistema di livelli il giocatore è invogliato a esplorare e a migliorare il suo arsenale o il suo bolide. I quasi cinque anni di atte-sa sono dunque più che giustificati: Rage è un’esperienza consigliata anche a chi non vive di soli shooter.

Arnaldur indridassonUn doppio sospetto (Guanda)

Dici “giallo” e la mente corre all’esplosione di talenti scandinavi trascinata da Henning Mankell, anni

fa, e dal successo della trilogia di Stieg Larsson. Dietro a quei due nomi sono comparsi però molti altri autori, tra cui - uno dei migliori - il talentuoso islandese Arnaldur Indridasson, che ha dato vita alla saga di Erlendur Sveinsson della polizia di Reykjavik. Tutti gli stilemi del genere, ma con ambientazioni ricche di fascino, come nel caso del suo nuovo romanzo.

nicolai LilinIl respiro del buio (einaudi)

Il respiro del buio è il terzo libro delle trilogia aperta nel 2009 con Educazione siberiana e continuata con Caduta libe-

ra. Dall’infanzia in Transnistria, passando per la guerra in Cecenia, Nicolai Lilin si ritrova nel terzo libro come un reduce incapace di dimenticare gli orrori a cui ha dovuto assistere. Il treno che lo riporta a casa è solo il primo passo verso un’idea di vita “normale” che perde di significato. Un drammatico romanzo di “formazio-ne estrema” come dice lo stesso autore.

Jake BrownRick Rubin(tsunami) Il sottotitolo di questo libro di Tsu-nami, valente case editrice milanese, dice tutto quanto serve sapere: “in

studio con il più influente produttore degli ultimi trent’anni”. Nulla da aggiungere, verrebbe da dire, se non che a sostegno di questa tesi c’è un curriculum che non ha eguali. Il nome di Rubin, guru della produzio-ne, compare su album storici di Red Hot Chili Peppers, Beastie Boys, Johnny Cash, Slayer e molti altri. Qui, oltre che sui dischi, c’è tutto ciò che vi serve sapere.

Non deve essere facile ritrovarsi nei panni di un programmatore della Konami a ottobre. Ogni anno ci si ritrova a dovere affrontare le critiche impietose degli ex aficionado di PES che ora sono passati a FIFA, forse perché più coinvolgente online, forse perché più profondo tatticamen-te, o chi più ne ha più ne metta. Spesso si è parlato di rivoluzione; ma quanto può essere rischioso azzerare un sistema di gioco che da tempo

appare convincente, divertente e spettacolare? Anche per questa volta è stata fatta la scelta di mettere da parte una parola tanto ridondante, preferendo perseverare lungo la via del miglioramento; e i fan possono gioire, visto che l’operazione è riuscita. Anche chi non ama addentrarsi in analisi approfondite si accorgerà che tutto gira meglio: dalla maggiore personalizzazione del sistema di controllo di calciatori e passaggi all’ottimiz-zazione dei dettagli grafici, dalle nuove implementazioni tattiche all’aggiunta della mo-dalità Club Boss, che permette di gestire l’aspetto manageriale e finanziario del club. La sensazione che fosse possibile svoltare in maniera molto più evidente è sempre lì; ma quando guardi l’orologio e scopri che sono passate ore da quando hai acceso la console, il pensiero diventa completamente inutile e capisci che PES va benissimo così.

I superstiti delle mitiche sale giochi degli anni 80 ricorderanno che ai tempi l’unico modo per poter controllare un atleta alle prese con le olim-piadi comportava sottoporsi a una buffa umiliazione pubblica: muscoli tesi, ginocchia piegate e lingua di fuori, il giocatore era costretto a sma-nettare furiosamente con lo scopo di raggiungere la massima velocità e trionfare. Trent’anni dopo la naturale evoluzione di una disciplina diffi-

cilmente simulabile e storicamente ignorata dall’universo videoludico come il nuoto è nelle mani di Kinect e del campione mondiale Michael Phelps, che ha creduto in questo titolo e ne è diventato testimonial d’eccezione. I movimenti necessari per gareggiare (dal tuffo alle bracciate, dalle virate agli sprint) si basano più su coordinazione, ritmo e tempi di reazione piuttosto che sulla sopracitata frenesia fine a se stessa; il contesto è curato e completo (ci si può cimentare in stile libero, delfino, rana e dorso) e oltre alla classica partita veloce è possibile affrontare la più impegnativa modalità carriera. Push The Limit è per costituzione un gioco studiato per la famiglia e le sessioni divertenti tra amici, che rappresenta un esperimento ben riuscito nella strada che porterà a sfruttare appieno le potenzialità della giovane periferica Microsoft.

Pro evolution soccer 2012 (Konami)

disponibile per: Ps3 - Xbox 360 – wii – Ps2 - PsP Genere: sport

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Michael Phelps – Push the Limit (Blitz Games)

disponibile per: Xbox 360 Genere: sport

H H H

Libri A cura di Stefano Gilardino

Blueglue consiglia: Dead Rising 2: Off (PS3 - Xbox 360) ...vuole rivivere le vicende di Fortune City attraverso l’occhio del fotoreporter Frank West.

Starfox 64 3DS (Nintendo 3DS) ...vuole assaggiare le potenzialità del portatile Nintendo con un classico ben rivisitato.Rochard (PS Network) ...ha voglia di un puzzle arcade divertente e a suo modo alternativo.

Titolo/Store Consigliato a chi...

ONSTAGE 52 NOVEMBRE

Page 28: Onstage Magazine novembre 2011

COMINGSOONdicembre

Red hot Chili PeppersFrusciante è uscito di nuovo dal gruppo, stufo de-

gli impegni di una band di fama mondiale, ma i peperoncini non hanno mollato, hanno continua-

to a credere in loro stessi e dopo aver rimpiazzato John con Josh Klinghoffer (che già conoscevano avendo accompagnato la band in tour), lo sviluppo del disco stesso è risultato più facile e scorrevole. Qualcu-no sostiene che Kiedis e soci siano diventati, con il pas-sare degli anni, troppo commerciali. Ma si sbagliano di grosso.

I RHCP hanno attraversato diversi periodi, a partire da quello prevalentemente funky, stile che hanno trasfor-mato e plasmato dentro Blood Sugar Sex Magik, quinto album del gruppo e capolavoro assoluto dei californiani. Ma

da allora acqua sotto i ponti ne è passata parecchia. E il tem-po, lo sappiamo, può cambiare le cose, il modo di pensare, le mode. È proprio nel cambiamento che i californiani, sempre aperti alla sperimentazione di diversi suoni e sti-li, hanno trovato continuità. Un’impresa notevole.

Puoi amare i Red Hot Chili Peppers oppure puoi odiar-li. Non c’è via di mezzo. E’ più grande gli esercito degli estimatori, le cui fila si sono ingrossate dopo l’uscita di I’m With You, un disco travolgente ed energico capace di far battere i cuori di tutti i fan della band e degli appas-sionati di musica. Quelli italiani scalpitano in vista del ritorno, dopo quattro anni di assenza, dei Red Hot nel nostro paese: sold out il 10 dicembre al Palaolimpico di Torino e sold out anche la data dell’11 dicembre al Forum

di Assago. Il tour toccherà le principali città europee e si concluderà il 17 dicembre a Madrid, ma voci credibi-li vogliono i Chili Peppers nel nostro continente anche quest’estate. Quindi non disperate se non siete riusciti ad accaparrarvi i biglietti per i live di quest’anno, i RHCP torneranno. Magari Mr. Kiedis non avrà più quei simpa-tici baffetti e Flea avrà cambiato per la centesima volta colore di capelli, ma state sicuri che la loro adrenalinica performance non mancherà.

Come la fenice che rinasce dalle proprie ceneri, I Red Hot Chili Peppers invece di crollare dopo l’ennesima uscita di scena di Frusciante, sono risorti con la stessa forza degli esordi. Sono ancora dei ragazzacci, questi or-mai cinquantenni. (C.V.)

» BUD SPENCER BLUES EXPLOSION10/12 Conegliano Veneto (TV) 16/12 Scandiano (RE) 23/12 Cesena 27/12 Copertino (LE) 29/12 Catania 30/12 Palermo

» GOGOL ACOUSTIC BORDELLO07/12 Grugliasco (TO) 08/12 Firenze 09/12 Padova 10/12 Roma

» I CANI 02/12 Lecce 03/12 Bari 04/12 Napoli 07/12 Modica 09/12 Catania 10/12 Palermo 15/12 Pisa 16/12 Modena 17/12 Ravenna

» MARCO MENGONI01/12 Perugia 03/12 Torino 04/12 Genova 07/12 Bologna

08/12 Padova 10/12 Ancona 14/12 Firenze 15/12 Napoli 17/12 Catania

» MARRACASH02/12 Cortemaggiore (PC) 03/12 Gualtieri (RE) 05/12 Roma 06/12 Frosinone 07/12 Napoli 09/12 Modugno (BA) 10/12 Pescara 12/12 Oristano 18/12 Vicenza

21/12 Catania 22/12 Catanzaro

» MINISTRI03/12 Torino 07/12 Perugia 09/12 Taneto di Gattatico (RE) 17/12 Messina

» PLANET FUNK02/12 Napoli 03/12 Corato (BA) 09/12 S. Martino di Lupari (PD) 10/12 Cortemaggiore (PC)

15/12 Alessandria 16/12 Ferrara 17/12 Gattatico (RE)

» RED HOT CHILI PEPPERS10/12 Torino 11/12 Milano

» RIHANNA11/12 Torino 12/12 Milano

» SUBSONICA02/12 Grosseto 03/12 Montecatini

04/12 Latina 06/12 Ancona 07/12 Pescara 09/12 Matera 10/12 Brindisi

» WHITE LIES02/12 Padova 03/12 Roma 04/12 Milano

» ZUCCHERO01/12 Rimini 03/12 Padova

I biglietti del tour degli Red Hot Chili Peppers sono in vendita presso i negozi Fnac!

live 10/12 Torino, 11/12 Milano

Ecco i Red Hot Chili Peppers targati 2011. Da sinistra: Anthony Kiedis (voce), Josh Klinghoffer (chitarra), Flea (basso), Chad Smith (batteria).

ONSTAGE 54 NOVEMBRE

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