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Fondamenti teologici del culto dei Santi Por el R.P. Daniel OLS, OP. Publicado en: AA. VV. “Studium Congregationis de Causis Sanctorum.”, pars theologica, Roma 2002, pp. 1-54.

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Daniel Ols - Canonizaciones - Falibilidad - Infalibilidad

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Fondamenti teologici del culto dei Santi

Por el R.P. Daniel OLS, OP.

Publicado en: AA. VV. “Studium Congregationis de Causis Sanctorum.”, pars theologica, Roma 2002, pp. 1-54.

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FONDAMENTI TEOLOGICIDEL CULTO DEI SANTI

* * *

Sotto questo titolo un po' genérico vorrei soprattutto e prima di tuttoparlare della santitá in genérale. Puó sembrare che, nel contesto dell'insegnamentoche qui viene dispénsalo, questo vada da sé. Si puó tuttavia notare che non tuttisembrano considerare necessaria o utile premettere una riflessione sulla santitácome preámbulo alie trattazioni avendo come oggetto specifíco la santitácanonizzata, i suoi requisiti e la legislazione che la riguarda. II nostro « Mae-stro », Prospero Lambertini, Papa Benedetto XIV, ad esempio, non prova ilbisogno di definiré la santitá all'inizio della sua monumentale opera su laBeatificazione dei Serví di Dio e la canonizzazione dei Beati1, ma cominciaentrando súbito in medias res con la considerazione di alcune praeliminarescontroversiae (1. 1) riguardanti il rapporto fra canonizzazione e apoteosi pagana(c. 1), poi diverse questioni sul martirio e gliAtti dei martiri (ce. 2-4), e cosí via.Non é che qualche volta egli non ci dica qualcosa sulla santitá considérala in sestessa, ma ció awiene di rado e di sfuggita e, salvo errore, Fesposizione pin

1 BENEDICTOS XIV, De servorum Dei beatificatione et Beatorum Canonizatione, 1 voll., Prati,in typograpbia Aldina, 1839-1842. — Notíamo tuttavia che almeno uno dei predecessori delLambertini nel trattare delle cause dei santi, U vescovo Cario Felice de Matta, inizia la sua operacon un capitolo intitolato De sanctitate, in cui esamina, in modo — a dke il vero — piuttostosommario, le etimologie tradizionali della parola, poi la definizione data da Dionigi, poi quella diS. Tommaso, prima di passare, attraverso turto un gioco di distinzioni e suddistinzioni all'esaraedella santítá canonizzata e canonizzabile (ved. Caroli Felicis DE MATTA, Novissimus de SanctorumCanonizatione tractatus [.. J, Romae, Typis & Sumptibus Nicolai Angelí Tinasij, M.DC.LXXVin,Pars I, cap. 1 [pp. 2b-5b]).

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sviluppata a questo proposito non riempie nemmeno una pagina (1. 1, c. 37, n. 7)e si tratta di una parentesi esplicativa. Potrebbe esser interessante chiedersi perchéBenedetto XIV non ha provato il bisogno di definiré la santitá prima che diparlare della beatifícazione e della canonizzazione, ma questo ci porterebbe troppoall'inruori del nostro tema. Per tornare a noi, diciamo semplicemente che misembra utile (per non diré indispensabile) far precederé le lezioni piü precisamen-te consacrate alia santitá canonizzata (o sarebbe meglio diré canonizzabüe) daconsiderazioni piú globali e piú fondamentali sulla santitá stessa. Perció, lademanda fundaméntale che ci guiderá in queste lezioni sará: che cos'é la santitá?Dovremo anche chiederci quale ruólo hanno in rapporto alia vita dei viatori coloroche sonó giá nella patria celeste. Dopo di che, potremo brevemente approdare aduna considerazione teológica della canonizzazione (e della beatificazione),chiedendoci perché la Chiesa canonizza e, infine, che valore hanno le canonizza-zioni dal punto di vista dell'assenso di fede.

I. Brevi considerazioni etimologiche2.

A. É l'uso, si potrebbe diré, di iniziare ogni ricerca a proposito di unadeterminata realtá con delle precisazioni di ordine etimológico sulle parole chedesignano la realta in questione. Non vorrei certamenteMire che questo uso siasbagliato, ma vorrei anche metter in guardia contro una illusione che spessoanima i ricercatori di etimologia, quella cioé che 1'etimología ci fornisca il sensodella parola3. Uno dei maggiori meriti della lingüistica moderna, e segnatamentedi Ferdinand de Saussure, é stato tuttavia di riportare enérgicamente rattenzionesu questa evidenza che le parole hanno come significato il significato cheintendono coloro che le usano e non il significato « etimológico »4. L'esempioforse piú chiaro di ció é la parola tedesca Jungfrau. L'etimologia ne é evidenteed é senza dubbio percepita dal locutore; non di meno, quando egli dice Jungfrau,vuol diré, generalmente, * vergine » e non « ragazza » e Jungfráulichkeit significa« verginitá » e nient'altro. É importante insistere su questa evidenza perché

2 Sulla materia trattata qui di seguito nelle sezioni I, II e ni, cf. Hippolyte DELEHAYE,SANCTVS. Essai sur le cuite des saints dans l'antiquité, Bruxelles, Société des Bollandistes("Subsidia hagiographica, 17"), 1927, in cui si trovera, in particolare, un gran numero ditestimonianze epigrafiche.

3 Tale convincimento é vecchio quanto 1'umanitá, a quanto sembra, e ne troviamo le tracciesia nella Bibbia, sia nella letteratura pagana. Piü tardi, S. Isidoro di Siviglia non esitera a scrivere:dum videris unde ortum est nomen, citius vim ejus intelligis (Etymologiarum libri, 1. 1, c. 29[PL 82, 105 Bj). — Su questo tema, si leggera con interesse Yexcursus XV, intitolato« L'etimologia come forma di pensiero », dell'opera classica di Ernst Robert Curüus, La üttératureeuropéenne et le moyen age latín (trad. fr., París, Presses Pocket ["Agora, 15"], 1991, pp. 781-792).

4 Cfr., p. es., Ferdinand DE SAUSSURE, Cours de linguistique genérale, París, Payot, 19313,p. 117. — C'e da precisare tuttavia, e questo Saussure non lo fa abbastanza, che U signifícateattuale di una parola puó dipendere dalla percezione da parte del locutore dell' etimologia (vera osupposta) di questa parola.

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l'illusione etimológica fa ancora molti danni, dalla veritá (áArjfleía) come« svelamento » di Heidegger fino alia dissennata traduzione tráncese della Bibbiaad opera di Chouraqui5. Quale interesse allora puó avere 1'etimología? non quellodi svelarci il senso delle parole che usiamo, ma, spesso, quello di farci capire1'origine e l'evoluzione dei concetti che queste parole esprimono, permettendocianche di misurare che cosa é rimasta, e in quale misura, nel concertó espresso dauna determinata parola, dal concetto originario e dalle sue implicanze.

B. « Santitá, santo » (come fr. « sainteté, saint », sp. « santidad, santo »)si riallacciano, com'é evidente al latino sanctus e, d'altronde, anche se non fossecosí (es. ted. « heilig » o il corrispondente inglese « holy »6) rimarrebbe evidenteche dobbiamo esaminare la parola latina che vuol diré santo poiché la nostraChiesa ha pensato e scritto in latino quasi fino ai nostri giorni.

Forse non ci abbiamo mai pensato ma sanctus é il participio passatopassivo del verbo sondó. II latino ecclesiastico ha sostituito questo vocabolo(sanctus), nel suo uso participiale, con sandtus, ma si tratta di una forma chesembra estranea alia lingua classica7: per gli antichi, sanctus, anche quando usatocome aggettivo, é sempre sentito come derivante da sancire*. C'é ogni motivodi pensare che sancire e sacer hanno la stessa radice (sondo e la sua famigliapresentano una nasale infissa che si ritrova, p. es., in con-iungere di fronte a con-iugaré). L'idea fondamentale di sacrum é « appartenente al mondo divino », peropposizione aprofanum (« ció che é davanti, cioé fuori, dello spazio consacrato ».Sondo significa dunque « rendere sacro, inviolabile » e, per conseguenza,* stabilire solennemente una legge ». Sacer puó aver un senso funesto: « votatoagli déi infernali » e anche sondo puó significare « proclamare come escorando »,donde « vietare solennemente » e « puniré ». Sanctus significa quindi < reso sacro,inviolabile; sancito ». Ulpiano, nel Digesto 1, 8, 9 (KR 1, 40a), stabilisce cosí ladistinzione fra sacer e sanctus:

5 Ved. Jean-Luc VESCO, in Revue thomiste 74 (1974), pp. 474-476 & 659-662 (spec. p. 661).

6 Heilig si riallaccia evidentemente a heil « indenne, sano e salvo », donde das Heil «laprosperitá, la salvezza ». Heilig vuol diré originariamente Heil bringend « che procura lasalvezza » e é stato usato per tradurre sanctus, ma si vede fácilmente quanto lo sviluppoetimológico della parola non ha niente a che vedere con quello di sanctus o con quello di óryíog(V. Ernst WASSERZffiHER u. Weraer BETZ, Woher? Ableitendes Worterbuch der deutschenSprache, Bonn, Ferd. Dümmler's Verlag, 197418, pp. 227-228).

71 dizionari, da Forcellini in giú, citano, come esempio di uso classico di sonatas, Lucr. 1,587 che, di fatti, viene cosí stampato nelle edizioni:

Quid porro nequeant, sancitum quandoquidem extat.Basta pero darsi la pena di scandire il verso per rendersi contó che é necessario leggere sanctume non sancitunú

8 Per quanto segué, v. A. ERNOUT & A. MEILLET, Dictionnaire étymologique de la languelatine, París, Klincksieck, 19513.

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proprie dicimus sancta quae ñeque sacra ñeque profana sunt, sed sanctíonequadam confirmata, ut leges sanctae sunt, quia sanctíone quadam sunt subnrxae.Quod enim sanctione quadam subnixum est, id sanctum est, etsi deo non sitconsecratum.

Insomma, ció che é essenziale perché qualcosa sia santa, é 1'espletamento di unrito religioso (la sanzione)9; come dicono Ernout e Meillet: « sacer indica unostato, sanctus il risultato di un'azione ».

Sante essendo le cose dichiarate tali da un rito o da una legge, non c'é dameravigliarsi che la nozione sia stata usata per qualifícare le cose erette secondoun determinato rito come i muri della cittá10 e i personaggi insigniti di unaqualche funzione ufficiale11: i senatori sonó sancti, ma anche i tribuni12 o ipretori. Come si vede, la valenza che si trova messa in risalto é quella diinviolabilitá13. Sembra chiaro, pero, a leggere Cicerone, ad esempio, che questaparola sanctus si va caneando anche di una valenza morale: il funzionarioveramente santo essendo colui che conduce una vita privata degna della suacarica14. Siccome, poi, una vita privata retta comporta necessariamente la pietá

9 Si legge, in uno scolio di Servio sull'Eneide:Sancire autem proprie est sanctum aliquid, id est consecratum, faceré tusosanguine hostiae, et dicitur sanctum quasi sanguine consecratum (In Aen., 12,200; cit. da DELEHAYE, SANCTVS, cit., p. 4)

10 « sanctum est, quod ab iniuria hominum defensum atque munirum est [...] In municipiisquoque muros esse sanctos [...] » (Dig., 1, 8, 8 [KR 1, 40a]).

11 Per quanto segué, vedi H. LECLERCQ, art. « Saint », in Dictiormaire d'Archéologiechrétienne et de Liturgie.

12 « tribuni [se. plebis] [...] sanctíque sunto » (M. TVLLFVS CICERO, De Legibus, 3, 3, 9).

13 Come ne testimonia, ad es., questa curiosa etimología di Marciano:Sanctum autem dictum est a sagminibus; sunt autem sagmina quaedam herbae,quas legati populi Romani ferré solent, ne quis eos violaret, sicut legatiGraecorum ferunt ea quae vocantur cerycia. (Dig. 1, 8, 8 [KR 1, 40a] — É assaipiú probabüe il contrario e, cioé, che sagmen, vocabolo riservato all'usoreligioso, derivi da sondo).

14 Cosi, p. es., Cicerone dice di P. Rutilius Rufus:illo nemo ñeque integrior esset in ciuitate ñeque sanctior (M. TVLLIVS CICERO,De Oratore, 1. 1, c. 53, n. 221);

e presenta Yerres (nel Pro Cluentiol):C. Yerres, praetor urbanus, homo sanctus et diligens (ID., Pro A. Cluentio,c. 33, n. 91);

tutti ricorderanno anche come, una cinquantina d'anni piü tardi, Livio descrive i vizi di Annibale:inhumana crudelitas, perfidia plus quam Púnica, nihil ueri, nihil sancti, nullusdeum metus, nullum ius iurandum, nulla religio (T. Lrvrvs, Ab Vrbe condita1. 21, c. 4, n. 9).

Vi é puré un caso particularmente interessante che ritengo necessario esaminarebrevemente (tenuto contó, anche, che epistula non erubesciñ), perché vi vediamo comparirel'espressione sanctus + nome proprio, che sará cosí caratteristica dell'uso cristiano (anche ses'incontrano esempi pagani, particularmente epigrafici, di tale nesso, in cui generalmente il nome

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nei riguardi degli déi, l'uomo santo sará anche un uorao pió15 e Ciceronearriverá a daré questa definizione della santitá: sanctitas [...] est scientiacolendorum deorum (De natura deorum, 1, 41).

Poi, sanctus ha ricevuto il senso di «710?, il quale, presso i giudei e icristiani, aveva ricevuto il senso di qádós.

proprio 6 un nome di divinitá [ved. DELEHAYE, SANCTVS, cit., pp. 11-21]) .A proposito dell'XI libro dei suoi Epigrammi, Mámale scrive:

Sunt chartae mihi quas Catonis uxoret quas horribiles legant Sabinae:hic totus uolo rideat libelluset sit nequior ómnibus libellis.Qui uino madeat nec erubescatpingui sordidus esse Cosmiano,ludat cum pueris, amet puellas,nec per circuitos loquatur illam,ex qua nascimur, omnium parentem,quam sanctus Numa mentulam uocabat.(M. VALERIVS MARTIALIS, Epigrammata, 11, 15, w. 1-10).

Qual'e il senso preciso di sanctus nell'espressione sanctus Numal Non si puó escluderedel tutto una certa valenza religiosa, soprattutto se ci si ricorda che, secondo la tradizione, ilsecondo re di Roma Numa Pompilio fu 1'organizzatore della religione romana (cf., ad es.,T. LWTVM, Ab Vrbe condita, 1. 1, c. 18) e capire « il pió Numa » o espressione análoga; pero,dal contesto vicino e lontano, sembra piuttosto che qui il vocabolo non abbia rapporto diretto conla religione, ma piuttosto con la reputazione di austerita di cui godeva Numa, il quale diverse volteé ricordato sotto questo aspetto da Marziale stesso e spesso in compagina di altri personaggianch'essi esempi tradizionali della severitá degli antíchi costumi. Scrive, ad es., nello stesso libroXI (ep. 104, w. 1-3):

Vxor, uade foras aut moribus utere nostras:non sum ego nec Curius nec Numa nec Tatius.

Me iucunda iuuant tractae per pocula noctes [...].Perció, sembra chiaro che la parola appartiene qui, ahneno prevalentemente, piú al

registro morale che non al registro religioso. Si potrebbe tradurre « l'austero Numa » oppure « ilsevero Numa » e l'effetto cómico del verso 10 viene proprio dalTawicinare una parola del registrovolgare (cf. M. TVLLIVM CICERONEM, Adfam., 9, 22, 3) e dalle connotazioni generalmentedeprávate (méntula) al virtuoso (sanctus) Numa (notare come le due parole inquadrano, nel verso10, il nome di Numa, posto, per giunta, alia cesura deU'endecasillabo falecio), il quale Numa,pero, non esitava a chiamare le cose con il proprio nome e, quindi, in un certo qual modo,giustificava anticipatamente Marziale di usare quelle parole crude che si leggono nella sua opera(altro aspetto del ragionamento implicito in questo verso, ma che non ha mente a vedere con laparola sanctus, é la sottolineatura dell'antichitá del vocabolo, e quindi della sua rispettabilita!).

Notiamo, tuttavia, terminando con questo testo di Marziale, come e difficile fiareastrazione del senso che la parola sanctus ha acquisito nel cristianesimo. H. J. Izaac, ad es., chespiega correttamente l'expressione come riferimento al secondo re di Roma « reputé pour lasévérité de ses moeurs », traduce tuttavia « le venerable Numa » (MARITAL, Épigrammes, texteétabli et traduit par H. J. IZAAC, tome 2, 1er8 partie, París, Les Selles Lettres ["Coll. Budé"],1933, p. 122), introducendo la valenza di venerazione, la quale é inseparabile dal concertócristiano di santo, ma non é presente, come tale, in quello antico (anche se, evidentemente, pergli antichi come per noi, le persone virtuose sonó degne di venerazione).

15 « [•••] lúa sancüssimi nomines pietate erga déos immortales esse soleant » (M. TVLLIVSCICERO, Ad Quirinium posí reditum, 18).

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C. La parola greca che sará ritenuta dai LXX, poi dal NT e dagli scrittoricristiani, per significare « santo » é, come abbiamo appena accennato, la parolaayioc;16. Questa parola si riallaccia ad un radicale *ócj insieme con &fr[j.ai eceyvóc;17. 'Afojuat é utilizzato da Omero e dai poeti arcaici, con il senso di« provare un timore rispettoso » (generalmente di ordine religioso). Soprawivenella tragedia; assente dalla lingua classica.

' f^vóq significa « sacro » in Omero (che ignora áyioc;); si applica aliedivinitá (Zeus, Artemide, Demetra, ecc.) cosí come a delle realtá concrete comeun fiume. Dopo Omero, si é evoluto nel senso dell'espressione della purezza(spesso unito a nudapóq) e ha anche signifícate « casto » e « non contamínate (dasangue) ». Non ha mai senso funesto.

"A7ioc non si trova in Omero, come appena detto, né in Esiodo, né neitragici e non é molto frequente all'epoca classica. Significa « sacro, consacrato »,esprime il tabú religioso che dev'essere rispettato; si usa originariamente solo peri luoghi o le cose (o gli animali); puó significare maledetto.

II greco possiede altre parole per indicare il sacro, prima di tutto lepóq,che, secondo Chantraine, « esprime ció che appartiene agli déi o proviene da essi,ció che manifesta un potere soprannaturale; si dice anche di fiumi, del mare, ecc.Con valore piü técnico si applica a quanto appartiene agli déi: poderi, animali,oggetti consacrati ».

Bisogna anche menzionare, poiché applicato a Cristo dalla Lettera agliEbrei (7,26), 5cno? che si traduce generalmente con « pió » (cioé « che siconforma alia volontá divina »), ma che si distingue da eúcre/Sijc in quanto,applicato all'uomo, oaioq comporta una prospettiva morale, mentre evcrefíriqsignifica solíante il rispetto degli déi e déi riti (cfr. l'inizio dell'Eutifronte, in cui,trattandosi del rispetto dovuto al proprio padre, tutto il discorso tende a definiréTCt OfflCt KOÍÍ TCX

Tornando alie parole principali che indicano la santitá in latino e in greco,ossia sanctus e áyioq possiamo fare una osservazione interessante. La nozione di« santitá » si elabora in latino a partiré dalFidea di determinazione (rituale, légale)di ció che appartiene agli déi, mentre, in Grecia, l'idea di santitá si sviluppa apartiré dall'idea di timore di fronte al divino. Anche qui ritroviamo il tratto

16 Per quanto segué, vedi Fierre CHANTRAINE, Dictionnaire étymologique de la languegrecque, París, Klincksieck, 1968-1980.

17 Bisognerebbe anche aggiungere rb ctyoq che significa « il sacrilegio » e anche « l'espiazio-ne », ma che pare aver avuto primitivamente il senso di « timore religioso degli déi », sensoattestato, sembra, nell'inno omerico a Demetra (v. 479). Si trova anche, in Ipponace (fine VI sec.a. C.), <ryijg (Bergk, fg. 4) che viene tradotto con « maledetto ».

18 Ma si deve anche forse tener presente 1'osservazione di Lidell-Scott (s. u.), secondo la qualel'uso di eúff6|3^c e raro neU'antica lingua.

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fundaméntale di ciascuna delle due civiltá: da un lato, l'attenzione scrupolosa alrito, dall'altro la coscienza trágica dell'uomo schiacciato dalle forze divine19.

Debbo pero aggiungere che, in queste brevi note etimologiche, h'o lasciatoda parte ció che é uso chiamare le « etimologie popolari » (anche se spesso nonhanno niente di popolare). Gli é che, come indicavo sopra, il mió intento erasoprattutto di far vedere come si era evoluto il concertó designato dalle parolesanctus e ájioq, ma, per approfondire il senso che si dava a queste parole in unadeterminata época o in un determínalo ambiente, sarebbe anche utile, in unatrattazione piú ampia che non la nostra, prender in contó il modo in cui aquell'epoca o in quelFambiente ne erano spiegate le etimologie20.

19 Questo, evidentemente, richiederebbe precisazioni e srumature. Rimane tuttavia che esprimebene le note dominanti dell'attítudine del Romano e dell'attitudine del Greco di fronte al divino.Per U primo, si tratta soprattutto di esser in regola con gli déi, di non offenderli con riti compiutimale, ecc.; il Greco, lui, sa che non si puó mai esser in regola con gli déi, perché gli déi non sonó« affidabili », posseggono un formidabile potere che usano arbitrariamente nei riguardi déi mortali,l'unica cosa che si possa fare é cercare di ingraziarseli mediante sacrifici e offerte. — Da questopunto di vista, é interessante l'osservazione fatta da Ernout e Meillet (s. u. sondó):

II est curieux qu'aucun mot pour la notion de « sacre » ne soit attesté pourl'indo-européen commun: le vocabulaire proprement religieux varié beaucoupd'une langue indo-européenne á l'autre.

20 Scriveva giustamente il P. Hubert:[...] l'étymologie populaire est un fait de reflexión sur la parole et le fruit d'uneffort pour trouver l'intelligibüité des mots de forme obscure par des comparai-sons synchroniques. Elle n'a done rien á voir avec les mauvaises étymologiesdiachroniques élaborées par des grammairiens amateurs ou les spécialistesaventureux. Les étymologies populaires sont une donnée socio-ünguistique réelle,dont, á ce niveau, on est en droit de tirer des legons (Martin HUBERT, « Notesde lexicographie thomiste. V. Présentation, ponctuatíon et mots-outils»,ArchivumLatinitatisMediiAevi (Bulletindu Cange) 36 [1967-1968], pp. 59-108[p. 82] — Cf. anche il notevole artícelo del card. Yves Congar, « Cephas -Céphalé - Caput », Revue du mayen age latín 8 [1952], pp. 5-42).

Ecco come S. Tommaso raccoglie le considerazioni etimologiche correnti alia sua épocaa proposito della santitá e le inserisce nella sua riflessione:

Dicendum quod nomen sanctitatís dúo videtur importare. Uno quidem modomunditiam; et huic significationi competít nomen graecum, dicitur enim agios,id est sine térra [da á- (senza) e yíj (térra); cf. ORIGENEM, In Lev., hom. 11(PG 12, 530)]. Alio modo importat firmitatem; unde apud antiquos sanctadicebantur quae legibus erant munita ut violan non deberent; unde et dicituraliquid esse sancitum quia est lege firmatum. Potest etíam secundum Latinos hocnomen sanctus ad munditiam pertinere ut intelligatur sanctus quasi sanguinetinctus, eo quod antiquitus illi qui purifican volebant sanguine hostiae tingeban-tur, ut Isidorus dicit in libro Etymol. [1. 10, ad litt. S (PL 82, 393)].

Et utraque significatio competit, ut sanctitas attribuatur his quae divinocultui applicantur; ita quod non solum homines sed etiam templum et vasa et aliahuiusmodi sanctificari dicantur ex hoc quod cultui divino applicantur. Munditiaenim necessaria est ad hoc quod mens Deo applicetur. Quia mens humanainquinatur ex hoc quod inferioribus rebus coniungitur [Piona : immergiturLeonina], sicut quaelibet res immixtione peioris sordescit, ut argentum eximmixione plumbi. Oponet autem quod mens ab inferioribus rebus abstrahatur,ad hoc quod supremae rei possit coniungi. Et ideo mens sine munditia Deo

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u. La santitá nella Sacra Scrittura .

A. L'Antico Testamento.

In ebraico, la santitá é espressa mediante la radice qds (U7 1p). Sembra cheil signifícate originario sia quello di separazione, separazione dal profano; qds« esprime la caratteristica fondamentale di tutto ció che ha attinenza al culto »(Kittel, i. 1.). AH'origine, qui come in latino o in greco, non c'é nessuna valenzamorale del concertó; la nozione che fa coppia con la « santitá » é quella di« purezza rituale ». Anche se la nozione di santitá si é forse per primo applicataa dei luoghi di culto (Es 3,5, p. es.), poiché, evidentemente, il culto é culto diIHWH, sará IHWH per primo ad essere caratterizzato con la santitá (qódds). GiáAmos, il piü antico dei profeti, ci presenta IHWH che giura per la sua santitá(4,2) « ossia — commenta Procksch — per la sua essenza piü intima, che éopposta a tutto ció che é creato e a maggior ragione a tutto ció che é impuro epeccaminoso »: assistiamo a uno slittamento del concetto da una prospettivapuramente rituale a una prospettiva morale. E, attraverso gli usi dei Salmi, inparticolare, si vede che il concetto di santitá viene quasi ad identificarsi conquello di divinitá: « la santitá di Dio diventa [...] espressione della sua perfezioneessenziale e soprannaturale ».

Pero, al Sinai, Dio si costituisce un popólo. Israele diventa popólo di Dio,unito a Dio mediante l'alleanza (Es 24,4-8). Se Israele appartiene a Dio, se Dioé continuamente presente in mezzo al suo popólo, Israele diventa il popólo toltodal mezzo delle nazioni, sepárate per Dio e, per conseguenza, diventa un popólosanto ('can qádos) « e non deve aver contatti di sorta con i culti e i riti di altripopoli, ma adorare Jahvé, il Dio único (Deut. 6,4) ». Questa santitá del popólodi Dio é, per cosí diré, sviscerata nel « códice di santitá » del Levitico (17-26),interamente fondato sul principio: « siate santi perché santo sonó io » (19,2, ecc.).Come vediamo leggendo questi capitoli del Levitico, anche se qualche volta sisupera la prospettiva di una purezza puramente rituale per raggiungere l'idea diuna purezza morale (c. 19), tutto ció rimane in un quadro strettamente cultuale.

Questo quadro sará supérate dai profeti.Un posto a parte merita Osea che unisce intimamente la santitá di Dio

all'amore di Dio, « idea, questa che non ha confronti nell'A. T. né prima né dopoOsea. II profeta [...] concepisce la santitá di Jahvé — ossia la stessa natura

applicari non potest. Unde Ad Hebr. ult, 14, dicitur: « Pacem sequimini cumómnibus, et sanctimoniam, sine qua nenio videbit Deum ». — Firmitas etiamexigitur ad hoc quod mens Deo applicetur. Applicatur enim ei sicut ultimo finíet primo principio; huiusmodi autem oportet máxime immobüia esse. Undedicebat Apostolus, Rom. 8,38: « Certus sum quod ñeque mors ñeque vitaseparabit me a caritate Dei » (IIa u", q. 81, a. 8, c.).

21 Per quanto segué, e che non ha la mínima pretesa di essere una trattazione un po' completadell'argomento ma vuole soltanto offrire una veduta genérale, ved. soprattutto l'art. óryío? delKittel, dovuto a O. Procksch e, per la parte riguardante il giudaismo, a K. G. Kuhn.

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divina — come sorgente di un amore incrolíabile e fecondo che puó, si,distruggere, ma poi ridá la vita (cfr. 6,1 s.) ».

Isaia puó esser detto il profeta della santitá. Al centro della sua teologíasta il trisaghion (6,3). « Esso significa che il Signore degli eserciti é in qualchemodo santo alia terza potenza »; mentre la gloria di Dio (kabód) si manifesta inqualche modo nel mondo, « la santitá é invece l'essenza piü intima e nascosta diDio ». Da qui, il tremeré del profeta che di fronte alia santitá cosí rivelata si vedeimpuro, di una impuritá che forse non é soltanto rituale ma anche morale (6,7:« la colpa é tolta, il peccato é perdónalo »), impuritá che Dio stesso distnigge.

Vediamo quindi, attraverso in particolare la legge di santitá del Leviticoe anche Isaia, che non solo Dio é santo, ma chiama alia santitá e rende santi. Ésanto il popólo d'Israele, é santo il sommo sacerdote, sonó santi i sacerdoti, ileviti e tutto il popólo. Questo, nel periodo postesilico é stato spesso inteso insenso únicamente rituale, producendo « una materializzazione del sacro, controla quale ha dovuto prender posizione Gesü (Mí. 23,17.19) ».

B. n Nuovo Testamento.

II NT, come si sa, eredita la lingua dei LXX, i quali avevano sistemática-mente tradotto qádós con ájioq. Ritroviamo quindi nel NT le valenze fondamen-tali del concertó vetero-testamentario di santitá.

Prima di tutto, la santitá é attributo proprio di Dio e il trisaghion di Isaiariecheggia nell'Apocalisse (4,8). Ancora nell'Apocalisse, Dio é qualificato comeó 0:710? Kai áAr/flivó? dai martiri che chiedono vendetta (6,10). In S. Giovanni,Gesú stesso, in un momento particularmente solenne, s'indirizza a suo Padrechiamandolo Trárzp áyie (17,11). A parte questi testi, 0:710? si trova applicato aDio, nel NT, solo in 1 Pt 1,15. Aggiungiamo infine il testo del Padre nostro incui si chiede che il nome di Dio (= Dio) sia santificato. Raccolta un po' scarsa,ma si puó diré con ragione, insieme a Procksch: « nel N. T. la santitá di Dio,anche se solo di rado é esplicitamente affermata, é pero costantemente presuppo-sta ».

Anche Gesü é abbastanza raramente chiamato cfyto?22, ma non é inutileesaminare brevemente questi casi.

In Le 1,35 (« e, perció, l'essere santo che nascerá sará chiamato figlio diDio »), é insinuata l'idea che la santitá di Gesú dipenda dai fatto di proveniredall'opera dello Spirito Santo. E l'appellazione di Gesü come « santo di Dio »0:710? TOÍI 0eoD (Le 4,34; Me 1,24) mostra come Gesú é santo in quanto ricevequesta santitá da Dio (dallo Spirito Santo) e in quanto é, per cosí diré, portatoredi questa santitá. Notiamo che, in Gv 6,69, la confessione di Pietro consiste nelriconoscere in Gesü ó 0:710? TOV 9eov. Si tratta di un atto di fede in colui che ilPadre ha santificato (wíctaev) e che apparirá nell'Apocalisse chiamato ó 0:710?Kai áArjflu'ó? e possedendo gli stessi attributi di Dio (6,10): « Come si vede, intutti i passi fin qui citati «710? indica la divinitá di Cristo ».

22 Le occorrenze sonó: Me 1,24; Le 1,35; 4,34; Gv 6,69; 1 Gv 2,20; Ap 3,7; Atti 3,14; 4,27.30.

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Secondo Procksch, e, sembra, con giusta ragione, la portata di 07101;nell'espressione 6 0:7101; Trcdq (Atti 3,14; 4, 27.30) é diversa: si tratta del servodi Dio ( 'ebedjhwh) che, come vittima e come sacerdote, dev'essere santo perpoter, come dice la lettera agli Ebrei (2,11; 9,13; 13,12 sqq), santificare

Lascio da parte turto ció che si potrebbe diré sullo Spirito Santo. Perquanto c'interessa direttamente qui, possiamo diré che la qualifícazione delloSpirito come santo (0:710 v) vuole indícame la natura divina.

Piü direttamente attinente al nostro tema é Tésame deirattribuzione dellasantitá alia Chiesa e ai cristiani.

Prima di tutto é la Chiesa, infatti, ad essere santa. Essa é, secondo 1 Pt1,16, Wvoq &JLOV. Cristo, ci dice S. Paolo (Ef 5,26), si é consegnato per « laChiesa, per santificarla [...] perché sia santa e senza difetto (ájía KOCÍ á/ioj/¿oc) »;la Chiesa é un rao£ ayioq. E cosí, coloro che ne fanno parte sonó ctyioi, perchésonó stati * santificad in Cristo Gesü » (1 Co 1,2). Come si sa, sia negli Atti siain S. Paolo, i fedeli sonó correntemente designati come oí 0:7106 (Atti 9, 13.32.41;ecc.; Rom 1,7; 15,25; 1 Co 1,2; 16,1; ecc.). S. Paolo precisa, mediante inparticolare l'espressione /cXi/roi ¿7101 (Rm 1,7; 1 Co 1,2), che « i cristiani [...]non sonó 0:71,01 per natura, ma per la chiamata di Dio ». Ma essendo stati cosíchiamati e santificati, i cristiani devono condurre una vita degna di tale chiamata,devono essere « un'ostia vívente santa per Dio » (Rm 12,1; cfr. 15,16).

Come si vede, anche se l'aspetto d'impegno morale, é presente, ció chesembra caratterizzare il concertó di santitá nel NT é il rapporto con Dio, sia chetratti di indicare la divinitá di Cristo, sia che si tratti d' indicare la « divinizzazio-ne » del cristiano. II NT, pero, accentua le conseguenze.di tale « santificazione »,insegnando chiaramente che non si tratta d'imputazione esterna ma di rinnovamen-to interiore mediante il quale ci si riveste di Cristo.

. La santitá secondo i Padri.

Anche qui, il titolo di questo capitolo ricopre in realtá un contenitorequasi vuoto. Siamo infatti costretti a limitarci ad alcune brevi osservazioni.

.23A. L'uso delle parole sanctus e

1. n cristianesimo primitivo.'S

« [...] durante il periodo che si puó veramente chiamare primitivo, cioé idue primi secoli dell'era cristiana circa, il vocabolo 0:710?, e il suo equivalentesanctus, non deve essere inteso come una testimonianza resa á la santitáindividúale o come la designazione di un gruppo < particolare nella Chiesa >. II

23 V. H. LECLERCQ, art. « Saint », in Dictionnaire d'Archéologie chrétienne et de Liíurgie.

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11vocabolo designa, senza eccessiva precisione, gli iniziati, gli aggregati medianteil battesimo, quale che sia il valore morale di ciascuno di loro. I "santi" sonócoloro che noi oggi chiamiamo correntemente i "fedeli"24 ».

2. L'epoca patrística.

L'uso genérale rimane ancora quello del NT e dei primi due secoli. D'usofrequente sonó le espressioni plebs sánela (che equivale al nostro: « il popólofedele »). S. Agostino s'indirizza a volte ai suoi auditori chiamandoli sanctitasuestra; Gregorio di Elvira li chiama con una certa rrequenza sanctissimi fratres,ecc.

É piü interessante cercare di vedere come si é arrivato ad applicare, inámbito cristiano, il vocabolo sanctus o SÍJLOC; a delle persone singolari. Sembrache ció sia awenuto sotto un doppio influsso.

Da un lato, si designa correntemente 1'insieme dei morti cristiani conl'espressione sancti o spirita sancta [sic]. Nelle iscrizioni funerari l'espressioneViuas cum sanctis o espressioni analoghe sonó correnti. Pero, si vorrá precisare;e, parallelamente alio sviluppo del culto dei mártir i, questi verranno, a volte,decorati del titolo di santi: soneto martyri Laurentio, ad esempio.

Questo andava a incontrarsi con l'uso, influenzato dalla titolatura ufficialedell'impero romano (secondo cui gli imperatori, in particolare, erano sanctissimi),di utilizzare sanctus come titolo protocollare25. H. Leclercq fa notare che, seS. Ambrogio chiama santi molti personaggi defunti che noi chiamiamo cosí(sanctus Neemias, sanctus Dauid, sanctus Paulus, sancta Agnes, ecc.), attribuivaanche questo titolo alia sua sorella Marcellina. S. Girolamo, benché preferiscausare beatus, attribuisce anche il titolo di sancta alie sue amiche Melania,Marcella, Paula.

In greco, o^toc é assai meno usato, ma seguirá con un certo ritardoFevoluzione del latino sanctus, fínendo col designare dei personaggi morti eoggetto di un culto.

A questo breve esame, bisognerebbe aggiungere, come fa dom Leclercq,la considerazione di altri vocaboli come domnus26, beatus" e beatissimus (di

24 Ibid., col. 376.

25 Questo uso fu applicato in modo particolare ai vescovi, che spesso sonó chiamati sanca osanctissimi; gli esempi antichi e altomedievali sarebbero sovrabbondanti. Attualmente, il titolo disanctissimus, nella Chiesa latina, é riservato al Papa.

26 Giovanni Beleth scrive al capitolo 25 della sua Summa de ecclesiasticis offidis (databüeintorno al 1182):

[...] Hic dompne dicit, quoniam ad hominem loquitur, qui semiplenus etinperfectus respecta Domini, et ideo utitur sincópate uocabulo, quod obseruantmonachi dicentes dorrmus abbas, non dominus abbas (CCMed 41A, p. 52).

Si deve tuttavia confessare che tale distinzione fta donmus applicato agli uomini e dominusriservato a Dio sembra essere stata osservata in modo piuttosto incestante. Infatti, per quantopossiamo fidarci dei scribi antichi e delle edizioni moderne, se si usa abbastanza raramente donmusapplicato a Dio o a Cristo (ma ne vedremo súbito un esempio), si usa pero con facilita, anche ad

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cui i vescovi dei IV e V secoli fanno grande uso) e il corrispondente grecoptoc28. Applicati a defunti, non signifícano necessariamente che si afferma laloro presenza in paradiso; pero, a poco a poco, hanno preso (e, per domnus,hanno poi perso29) questo senso. Occorre infine menzionare la parola bffioq che

época tarda, dominas per un uomo. Si legge, ad es., nel De situ terrae sanctae che ci ha lasciatoun certo Teodosio (sec. VI):

Sanctus iacobus, quera donúnus manu sua episcopum ordinauit, post ascensumdomni de pinna templi praecipitatus est et nihil ei nocuit, sed fullo eum de uecte,in quo res portare consueuerat, occidit et positus est in monte oliueti (CCLat175, p. 119 [corsivo nostro]).

Diverse volte, poi, si trovano nel regesto di S. Gregorio Magno (f 604) formule di questo tipo,in cui si usano in modo promiscuo le forme domnus et domnus:

Data die x kalendarum iuliarum, imperante domino nostro mauricio tiberiopiissimo augusto armo xvnn, post consulatum eiusdem domni nostri anno xvm,indictione nn (GREGORTVS MAGNVS, Registrum epistularum, 1. 11, ep. 45[CCLat 140A, p. 943 - corsivo nostro]).

27 Come sonetos, beatus & un participio passato passivo; appartiene al verbo beare che significa« colmare i vori di qualcuno, render felice, gratificare, arricchire »; etimología oscura (forse unrapporto con bonus}; mentre beare é poco usato, almeno nella lingua colla, beatus é diventato unaggettivo con comparativo e superlativo, di uso frequente.

28 Etimología oscura; primitivamente riservato agli dei, diventa alTépoca classica una paroladel tutto corrente per designare la felicita di un uomo; ben rappresentato nei LXX e nel NT (cf.il relativo art. nel Kittel). Per l'uso di yMnúpioq nell'antichitá cristiana, v. DELEHAYE, SANCTVS,cit., pp. 69-72.

29 < Domnus, forme réduite de dominas, a été, aux époques mérovingienne et carolingienne,un véritable synonyme de sanctus » (A. LONGNON, cit. da H. LECLERCQ, art. cit., col. 448).Concurrentemente a questo uso, domnus é « un titre honorifique qui precede le nom propre du roíou de l'empereur, du pape, des évéques, des abbés, puis (Xc siécle) des seigneurs et finalemení(XUC siécle) des chevaliers » (J. F. NiERMEYER, Mediae latinitatis lexicón minus, Leiden, E. J.Brill, 1976, s. u. dominus'); solo quest'ultimo uso si é mantenuto fino a noi, attraverso il « don »che si da, fra l'altro, ai sacerdoti secolari itaüani e ai vescovi brasiliani e il « dom » che sipremette, in Francia, ad es., al nome dei monaci. Notiamo tuttavia che, se domnus usato da solonon indica piü la santita di un personaggio, continua tuttavia (insieme a dominus) a qualificare isanti, e ció verra reso nelle lingue volgari: per prender esempi al femminile, nel lai di Eliduc(w. 821-826), María di Francia scrive:

Deu recleiment devotement,Seint Nicholas e seint ClementE madame seinte MarieQue vers sun fiz lur quiere aie,Qu'il les guarisse de perirE qu'al hafne puissent venir.

E, tre secoli piü tardí, Jean Molinet dice:[...]Mes pour avoir paix, Madame saínete Anne,Mente odorant, conchut la douce manne,Tout purement, sans tache originelle,[.-](Jean MOLINET, Chant royal; in Paul ZUMTHOR, Anthologie des granasrhétoriqueurs, París, Union Genérale d'Éditions ["10/18, n. 1232"], 1978,pp. 101-102).

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designerá, a partiré dal medioevo, i confessori non pontefíci e le vergini nonmártir i30.

B. La concezione patrística della santitá31.

Ma se le parole, come abbiamo appena visto, sonó a volte un po'imprecise, non é per questo che i Padri non hanno una dottrina sulla santitá.Anche qui mi limiteró a poche e incomplete indicazioni.

I Padri, raccogliendo la dottrina del NT, insistono sul profondo rinnova-mento che produce il battesimo e che fa di noi delle nuove creature, che cideifica. Bisogna tuttavia confessare che non sembrano usare molto le parole dellafamiglia di sanctus o di ajLoq in tale contesto.

Raccogliamo tuttavia questa bella defínizione della santitá, dovuta aS, Giovanni Crisostomo: « si é santo per il dono dello Spirito e per la rettitudinedelle credenze32 ».

Poi, spesso, quando fanno il ritratto del buon cristiano ed elencano le virtúche esso deve possedere parlano di santitá. Infine, evidentemente, come abbiamoappena visto, dánno in un modo del tutto particolare il titolo di santo ai martirie a quei defunti che, per la loro vita di unione con Dio, sonó degni di essereesempi per i fedeli33.

IV. La santitá secondo il concilio Vaticano EL

Questo capitolo non intende esporre e nemmeno riassumere tutto ció cheil Vaticano II insegna a proposito della santitá, insegnamento che avremo aritrovare per di poi alFoccasione della nostra ulteriore trattazione. In modo assaipiü limitato, vorrebbe semplicemente cercare quale definizione della santitá da ilconcilio. Ora non é una impresa cosí facile come potrebbe sembrare. IIVaticano II parla in continuazione della santitá, ha perfino consacrato un intero

30 « Le superlatif bmúrrccrot; est un des titres qui sont fréquemment donnés aux évéques ets'emploie comme de nos jours "sa Grandeur", "sa Sainteté", "sa Béatitude". Dans les

temps antiques Serios ne se rencontre pas faisant fonction de áyioq devant le nom d'un saint. Cen'est qu'au cours du moyen age qu'aprés avoir été employé pour désigner les moines en réputationde sainteté, il devient un terme officiel pour désigner une catégorie de saints, correspondant a ceuxque l'Église latine appelle confesseurs non pontifes, ou les vierges non martyres. Dans les MeneesFappellation est courante dans cette acception > (DELEHAYE, SANCTVS, rít. , pp. 72-73).

31 Per l'ambito greco, ved. evidentemente il dizionario di Lampe s. u. cryíog, óryíór»;?,, ájiafffió<;t K. r. \.

orfíovc, [ . . . ] 6ióí TTJ£ TOV wevuaroq 8óaeü)£ /caí rüv óp9&v Soyuccrav (Hom. 82, 1, in Jo.).

33 Notiamo tuttavia che S. Atanasio, che nomina collettivamente i martiri oí 07101 ¡non attribuisce mai il titolo di «7101; a S. Antonio, di cui scrive la vita (e nemmeno a S. Pietrodi Alessandria, l'ultimo dei martiri).

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capitolo della Lumen gentium alia « vocazione universale alia santitá nellaChiesa » (c. 5), ma non sembra considerare cosa molto urgente di definiré cosaintende con questa parola. Cercando bene, si puó tuttavia trovare una « defínizio-ne ». Leggiamo, infatti, non in questo capitolo 5, ma piü in la, nel capitolo 7(« L' Índole escatologica della Chiesa pellegrinante e la sua unione con la Chiesaceleste »), al n. 50:

Dura enim illorum conspiscimus vitara qui Christum fideliíer sunt secuti, novaratíone ad futuram Civitatem inquirendam (cf. Hebr. 13, 14 et 11, 10) incitamursimulque tutissimam edocemur viam qua ínter mundanas varietates, secundumstatum ac condicionen! unicuique propriam, adperfectam cum Christo unionemseu sanctitatem pervenire poterimus [corsivo nostro].

Vediamo qui la santitá equipárala con la perfecta unione con Cristo e, anche senon in modo cosí esplicito, potremmo ritrovare questa idea attraverso diversi testiconciliar!. Bisogna tuttavia confessare che difficilmente si puó riconoscerenelFequazione: « santitá = unione con Cristo » una vera defmizione della santitá.Lo stesso Concilio, infatti, insegna che Cristo é santo (p. es. LG 8): dovremmoallora diré che lo é perché perfectamente unito con se stesso? e, piü ancora, ilConcilio dice anche che Dio é santo (p. es. Presbyterorum ordinis, 5): questosignifica che Dio é santo perché é unito con Cristo? Evidentemente no. E poi, inpiú di una occasione, il Concilio stesso riporta la santitá a Dio e all'unione conDio, come, ad es., nel bellissimo n. 40 della LG. Non é qui il luogo di esaminarei motivi che hanno potuto portare a voler leggere in alcune espressioni delConcilio, sepárate da altre espressioni complementar i, una « defmizione » dellasantitá34; ci bastí rilevare che il Concilio non ha inteso daré definizioni (confor-memente al suo índole pastorale), nemmeno una defmizione della santitá, ma hapreferito tracciare delle descrizioni della santitá.

Per noi, pero, che dobbiamo metter le cose in ordine (sapientis estordinaré) e prender della realtá una conoscenza piú scientifica, piü speculativa,é giocoforza ricorrere alia riflessione teológica per cercare di formarci unconcertó il piú chiaro possibile della santitá. In questa impresa non possiamoprendere migliore guida se non quella che il Concilio stesso ha indicato (Optaíamtotius 16): S. Tommaso d'Aquino.

34 Fra questi motivi c'é senz'altro un « cristocentrismo » mal inteso o piuttosto, in molti casi,inteso nella coerenza del pensiero rahneriano, il quale, in modo paradossale, ma non piú di tanto,conduce a un rinnovato monofisismo, confondendo la cosiddetta « santitá sostanziale » di Cristo(che riguarda, in realtá, la sola persona) con la santitá di Cristo nella sua umanitá, la quale, comela santitá di ogni altra creatura, é data da Dio con la grazia abituale e le virtü e i doni che nesgorgano.

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Y. Riflessione teológica sulla santita.

A. La santita divina.

I manuali di teología (o, piuttosto, di spiritualitá), quando parlano dellasantita, iniziano la loro trattazione con un parágrafo sulla santita di Dio; e cosífaceva anche Benedetto XIV, nella breve trattazione che segnalavo iniziandoquesto corso. Ecco quanto scrive:

In sacris litteris Deus dicitur Sanctus, uti constat ex 1. Reg. cap. 2. v. 2. Nonest Sanctus, ut est Domínus; Deus etiam vocatur Sanctus Sancíorum; et ipsaEcclesia de Deo dicit: Tu solas Sanctus. Deus enim sanctus est substantialiter,ita ut in eo vox Sanctus ejus substantiam significet, idest sanctitatem peressentíam, seu sanctitatem essentialem, secundum doctrinam Theologorum cumD. Thoma 1. part. qu. 13. art. 2. Et hac quidem de causa Dei sanctitas estordinis superioris, cum a se ipso sanctitatem habeat: creaturae autem sanctaesunt ex accidenti, et in eis non est idem sanctitas, ac essentia, sed sanctitatemhabent participatam, fortuitam, et quae ex sua ratione deficere potest [...] (1. 1,c. 37, n. 7 [ed. cit., t. 1, p. 250a]).

L'esposizione del Lambertini é del tutto chiara e lineare. Si noterá tuttaviache, neU'articolo di S. Tommaso al quale rimanda, il Dottore non parla dellasantita, ma in genérale dei nomi che si dicono di Dio substantialiter (e prendel'esempio della bontá). Quanto alia santita, come vedremo súbito, quando neparla, non risale alia santita divina, nonostante ció che potrebbe sembrare uninvito della Scrittura: estáte sancti quia ego sanctus. II motivo di un tale modo difare, che puó forse risultare per noi un po' sorprendente, mi sembra tuttosommato abbastanza evidente. S. Tommaso, certamente, non nega che Dio siasanto, afferma chiaramente che in ipso est principium et orígo totius sanctítatis(Super Ev. loannis, c. 17, 1. 3 [Marietti, n. 2213])35, ma non crede che si debbapartiré dalla santita di Dio per cercare di capire cos'é la santita dell'uomo, e cióper il motivo che espone precisamente neU'articolo al quale rinvia Benedetto XIV:

[...] huiusmodi quidem nomina significan! substantiam divinara, et praedicanturde Deo substantialiter, sed deficiunt a rapraesentatione ipsius. Quod sic patet.Signifícant enim sic nomina Deum, secundum quod intellectus noster cognoscitipsum. Intellectus autem noster, cum cognoscat Deum ex creaturis, sic cognoscitipsum, secundum quod creaturae ipsum rapraesentant (Ia, q. 13, a. 2, c.).

In altre parole, le realtá signifícate sonó certamente per primo in Dio, mai concetti che noi utilizziamo per parlare di Dio, sonó concetti che abbiamoformato a partiré delle cose sensibili e hanno senso per noi in questo nostro

33 Bisogna tuttavia confessare che S. Tommaso non sembra essersi molto interessato alia santitadi Dio. Ne parla rare volte e en passant, anche laddove uno sviluppo sul tema sembrerebbe andaréda sé: cfr., ad es., lo scarno e delúdeme commento al trisaghion nella sua Expositio super Isaiam(c. 6 [EL 28, p. 50a]). — Probabilmente, e lo capiremo meglio dopo gli sviluppi del parágrafoseguente, gli sembrava aver detto tutto sull'argomento parlando della conoscenza che Dio ha dise stesso e dell'amore che Dio ha per se stesso.

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mondo; quando li applichiamo a Dio sappiamo che diciamo bene ma nonsappiamo che cosa, in realtá, diciamo (o, come dicevano gli scolastici, conoscia-mo la ratio ma non il modus)26l Perció non ha senso partiré dalla santitá di Dioper definiré la santitá delFuomo, poiché non sappiamo che cosa é la santitá diDio37. La santitá di Dio, infatti, é, l'abbiamo appena sentito, idéntica all'essenzadivina, a ció che Dio é in se stesso e ció che Dio é in se stesso ci rimaneirremediabilmente — sonó le parole stesse di S. Tommaso — penitus ignotum (3CG 49). E cosí, una indagine sulla santitá deve necessariamente partiré dallasantitá umana e, una volta questa definita, forse potremo formare a partiré di cióuna vaga idea di ció che potrebbe essere la santitá divina.

B. La santitá umana38.

Vediamo dunque cosa insegna S. Tommaso a proposito della santitádell'uomo. A diré il vero, si potrebbe rimanere un po' delusi nel costatare che,sui 2669 articoli che comporta Topera39, un articolo solo della Summa theologia-e, l'articolo 8 della questione 81 della IIa IIae, ha per oggetto la santitá. Per potervalutare giustamente tutta la portata di quest'unico articolo, bisogna pesareattentamente, una per una, le parole della definizione che qui S. Tommaso dadella santitá, ponendosi nella prospettiva d'insieme della sua dottrina. Ci dicedunque: sanctitas dicitur per quam mens hominis seipsam et suos actus applicatDeo40.

Prima di tutto, si deve notare che S. Tommaso parla qui della mente.Infatti, la santitá investe, senza dubbio, l'uomo tutt'intero, ma essa ha la sua sedein ció che specifica 1'uomo in rapporto alie altre creature corporali: l'intelletto41.

36 Cfr., ad es., Super 1 Sent., á. 25, a. 2, c. (Mandonnet, p. 607):[.,.] persona dicitur de Deo et creaturis, non univoce nec aequivoce, sedsecundum analogiam; et quantum ad rem significatam per prius est in Deo quamin creaturis, sed quantum ad modum significandi est e converso, sicut est etiamde ómnibus aliis nominibus quae de Deo et creaturis analogice dicuntur.

37 Ed é inoperante far notare che Dio, nella Rivelazione, ci fa conoscere la sua santitá, perchélo fa attraverso, precisamente, concetti umani che non sonó adeguati alia sua realtá.

38 Lascio da parte Tésame della santitá degli Angelí, la cui definizione, peraltro, efondamentahnente la stessa che non quella della santitá umana

39 Evidentemente non abbiamo tenuto contó, in questo computo, del Supplementum.

40 In modo meno técnico ed articolato, ma del tutto equivalente, S. Tommaso scrive, nelCommemo al Vangelo di Giovanni: In hoc est sanctitas hominis quod ad Deum vadat (Super ev.loannis, c. 13, 1. 1, n. 4 [Marietti, n. 1743]).

41 «Id [...] in quo creatura rationalis excedit alias creaturas, est intellectus sive mens » (Ia,q. 93, a. 6, c.).

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In altre parole: né la pietra, né il gatto possono essere santi nel senso in cui lecreature intellettuali possono esserlo42.

Poi, crea senz'altro un po' di meraviglia la distinzione che fa S. Tommasofra « applicare se stesso a Dio » e « applicare i suoi atti a Dio », póiché é evidenteche « applicare se stesso a Dio » é un arto. Sembra, quindi, che sarebbe bástatediré: « applicare i suoi atti a Dio ». Pero, come sappiamo, non é costume diS. Tommaso di parlare per non diré milla e, sotto l'espressione apparentementeridondante da lui usata, si cela una importante distinzione fra la mente considéralain se stessa, nella sua attivitá propria, immanente ed elicita, da un lato, e leoperazioni imperate ed esterne, dall'altro; ci torneremo fra un istante, ma, prima,bisogna chiarire il senso preciso della parola « applicare ».

S. Tommaso da come equivalente alia espressione « applicare a Dio »,l'espressione « riferire, rapportare a Dio » (referí in Deum)43: ambedue significa-no, come appare alia lettura della questione 81, « prender Dio come fine »: lasantitá, come la virtü di religione (e si tratta, peraltro, della stessa cosa44),ordina l'uomo a Dio45.

Questo significa che l'uomo prende Dio come fine di tutu i propri atti e,in primo luogo, come fine della sua stessa mente; e tale fine si raggiungemediante gli atti proprii (eliciti) di questa mente: la conoscenza e l'amore; lamente « si applica a Dio » quando si sforza di conoscerlo e di amarlo, e, in questomodo, l'uomo diventa alFimmagine di Dio, póiché Dio e lui hanno il medesimofine della loro attivitá intellettuale: Dio stesso46. Gli altri atti deH'uomo, i qualihanno un fine ¿inmediato che non é né puó essere Dio, saranno tuttavia ordinati

42 É possibile, pero, daré della santitá una defínizione piú genérica che s'applichi insieme aliecreature irrazionali e alie creature intellettuali, come fa S. Tommaso, ad es., nel Deperfectionespiritualis vitae:

Dicitur [...] aliquid sanctum ex eo quod ordinatur ad Deum ; unde et altaresanctum dicitur quasi Deo dicatum, et alia huiusmodi quae divino ministeriomancipantur (c. 14 [EL 41, p. B 86a]).

«ITEr, q. 81, a. 8, c.

44 « sanctitas [...] non differt a religione secundum essentiam, sed solum ratione » (ibid.).

43 Ved., in part., IIa üae, q. 81, a. 1. — S. Tommaso diceva giá, in modo genérico, in Ia,q. 36, a. 1, c.: « Sanctitas autem illis rebus attribuitur, quae in Deum ordinantur ».

46 « Responsio. Dicendum quod cum homo secundum intellectualem naturam ad imaginem Deiesse dicatur, secundum hoc est máxime ad imaginem Dei, secundum quod intellectualis naturaDeum máxime imitari potest. Imitatur autem intellectualis natura máxime Deum quantum ad hocquod Deus seipsum intelligit et amat. — Unde imago Dei tripliciter potest considerari in nomine.Uno quidem modo, secundum quod homo habet aptitudinem naturalem ad intelligendum etamandum Deum; et haec aptitudo consistit in ipsa natura mentís, quae est communis ómnibushominibus. Alio modo, secundum quod homo actu vel habitu Deum cognoscit et amat, sed tamenimperfecte; et haec est imago per conformitatem gratiae. Tertío modo, secundum quod homoDeum actu cognoscit et amat perfecte; et sic attenditur imago secundum similitudinem gloriae.Unde super illud Psalmi 4,7, "Signatum est super nos lumen vultos tui, Domine", Glossa distinguittriplicem imaginem: scilicet creationis et recreationis et similitudinis. Prima ergo imago inveniturin ómnibus hominibus; secunda in iustis tantum; tertia vero solum in beatis » (Ia, q. 93, a. 4, c.).

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a Dio come fine ultimo, di modo che il santo autentico é colui la cui vita trovasenso soltanto in riferimento a Dio (poiché é il fine a daré senso): questo siverifica perfettamente nel caso di Gesü Cristo47.

Per S. Tommaso, dunque, la santitá consiste nella conoscenza e nelFamoredi Dio. E si deve súbito precisare che tale conoscenza e tale amore sonónelFuomo solo per grazia e si realizzano quaggiü per mezzo della fede e dellacarita. Si tratta, infatti, come lo abbiamo appena visto, non soltanto di acquisireuna certa conoscenza di Dio e di amarlo in qualche modo, ma di fare di Dio ilfine ultimo di tutta la riostra vita, e questo si puó fare solo per grana4*. Pero,anche in questo caso, dobbiamo citare il famoso detto: grana non tollit naturamsed perficit (Ia, q. 1, a. 8, ad 2m). É chiaro, infatti, che la santitá, cosí comel'abbiamo definita seguendo S. Tommaso, non é qualcosa di sovraggiunto, unornamento magnifico di certo, ma come appiccicato dalFesterno sull'uomo, maé, tutt'al contrario, ció che porta alia sua perfezione la natura umana: la santitáé, nella sua realizzazione perfetta, idéntica alia beatitudine che tutti gli uomini,necessariamente, desiderano da un desiderio naturale e che consiste nella visionedi Dio. Diventare santo, quindi, non significa, come a volte si vorrebbe farcredere, allontanarsi dall'umanitá, ma significa awicinarsi sempre pin aliaperfezione per la quale é fatta, intrínsecamente, la natura umana. Abbiamo qui ilfondamento di questa «chiamata universale alia santitá» che il concilioVaticano II ha vigorosamente riproposta nel capitolo 5 della costituzione Lumengentium (= nn. 39-42)49.

Se la santitá, poi, é la conoscenza e l'amore di Dio, possiamo caratteriz-zarla con un concetto, di origine pagana, é vero, ma che, da molto tempo, é statoaccolto nel cristianesimo: il concetto di contemplazione. Questa parola, a volte,puó fare un po' paura e molti pensano che si tratti di qualcosa che é riservato apoche anime elette. Questo é un errore funeste, perché, in realtá, il cristiano écontemplativo oppure non é veramente cristiano50. Difatti, se amiamo Dio,

47 Cf. m*, q. 19, a. 2.

48 Ved. Ia IIa*, q. 109, aa. 1 & 3, senza dimenticare che « facienti quod in se est Deus nondenegat gratiam » (ibid., q. 112, a. 3); cf. ibid., q. 89, a. 6.

49 Arrivati a questo punto, si potrebbe far rilevare come Cristo sia assente da tutto quaatoS. Tommaso ci dice sulla santitá e rimanere perplesso di fronte a una dottrina sulla santitá chesembra non fare posto a colui che é « il santo di Dio » e nel quale siamo santificati. Tale assenzaé dovuta al fatto che Cristo, nella sua umanitá, é soltanto un mezzo nell'economia voluta da Dio,mezzo necessario e sublime, certamente, ma mezzo (e, in quanto tale, contingente) della nostrasantiñcazione. Su questo punto, che non possiamo sviluppare qui, ved. Yves CONGAR, « Lemoment 'économique' et le moment 'ontologique' dans la Sacra doctrina (Révélation, Théologie,Somme théologique) », in Mélanges Chenu, París, J. Vrin, 1967, pp. 135-187; ID., « 'Ecclesia'et 'Populus (fidelis)' dans l'ecclésiologie de S. Thomas », in St. Thomas Aquinas. 1274-1974.Commemorative Studies, Toronto, Pont. Instituteof Mediaeval Studies, 1974, vol. 1, pp. 159-173(spec. p. 170); Louis-Bertrand GILLON, « L'imitation du Christ et la morale de saint Thomas »,Angelicum 36 (1959), pp. 263-286 (spec. pp. 278-284).

30 «[...] hoc videtur esse atnicitiae máxime proprium, simul conversan ad amicum.Conversatio autem hominis ad Deum est per contemplationem ipsius: sicut Apostolus dicebat,Philipp. 3,20: Nostra conversado in caelis est. Quiaigitur Spiritus Sanctus nos amatores Dei facit,

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desideriamo di conoscerlo meglio, e, piú conosciamo Dio, piü lo amiamo; questacircolazione (nel senso etimológico della parola) é la contemplazione stessa51;essa non si limita alie esperienze mistiche straordinarie, né al tempo passatoneU'orazione: include tutto ció che riguarda il nostro progresso nella conoscenzadi Dio52 e S. Tommaso enumera i sei gradi attraverso i quali 1'uomo raggiunge,a partiré dalla considerazione delle creature, la contemplazione di Dio53. Cosídiventa manifestó come lo studio e, in particolare, lo studio della sacra dottrina(condotto, evidentemente, da ognuno secondo la propria condizione e le propriecapacita) é essenziale alia santitá, poiché é in tale studio che consiste fondamental-mente la contemplazione, anche se essa puó, a volte, elevarsi al di la dellaconsiderazione discorsiva.

Pertanto — e bisogna insistere con grande energía su questo punto —,pertanto, lo studio, e in particolare lo studio della teología, puó essere considératecome un mezzo solíante da un punto di vista esclusivamente estrinseco egiuridico. Infatti, é evidente che la Chiesa deve preoccuparsi che i suoi ministriposseggano le qualifiche e le conoscenze necessarie aH'adempimento corretto delloro ufficio (ed é questa la prospectiva — del tutto legittima, poiché si tratta del

consequens est quod per Spiritum Sanctum Dei contemplatores constituamur » (4 CG 22).

31 « [.,.] vita contemplativa, licet essentialiter consistat in intellectu, principium tamen habetin affectu, inquantum videlicet aliquis ex caritate ad Dei contemplationem incitatur. Et quia finísrespondet principio, inde est quod etiam terminus et finís contemplativae vitae habetur in affectu,dum scilicet aliquis in visione rei amatae delectatur et ipsa delectado rei visae amplius excitatamorem. Unde Gregorius dicit, Super Ezech. [1. 2, hom. 2 (PL 76, 954)], quod "cum quis ipsumquem amat viderit, in amorem ipsius amplius ignescit". Et haec est ultima perfectio contemplativaevitae, ut scilicet non solum divina ventas videatur, sed etiam ut ametur > (IIa u", q. 180, a. 7,ad lm).

52 «[...] ad vitam contemplativam pertinet aliquid dupliciter: uno modo principaliter, aliomodo, secundario vel dispositive. Principaliter quidem ad vitam contemplativam pertinetcontemplatio divinae veritatis, quia huiusmodi contemplatio est finís totius vitae humanae. [...] Sedquia per divinos effectus in Dei contemplationem manuducimur, secundum illud Ad Rom. 1,20:"Invisibilia Dei per ea quae facta sunt, intellecta, conspiciuntur", inde est quod etiam contemplatiodivinorum effectuum secundario ad vitam contemplativam pertinet, prout scilicet ex hocmanuducitur homo in Dei cognitionem » (IP IIa6, q. 180, a. 4, c.).

53 Riccardo di S. Vittore distingueva sei specie di contemplazione, di cui solo l'ultimasembrava concernere la contemplazione della venta divina (De gratia contemplationis [ = Beniaminmaior], 1. 6, c. 6 [PL 196, 70]); S. Tommaso interpreta e organizza nel modo seguente1'enumerazione del vittorino:

Dicendum quod per illa sex designantur gradus quibus per creaturas in Deicontemplationem ascenditur. Nam in primo gradu ponitur perceptio ipsorumsensibilium; in secundo vero gradu ponitur progressus a sensibilibus adintelligibilia; in tertio vero gradu ponitur diiudicatio sensibilium secundumintelligibilia; in quarto vero gradu ponitur absoluta consideratio intelligibiliumin quae per sensibilia pervenitur; in quinto vero gradu ponitur contemplatiointelligibilium quae per sensibilia invenir! non possunt, sed per rationem capípossunt; in sexto gradu ponitur consideratio intelligibilium quae ratio necinvenire nec capere potest, quae scilicet pertinent ad subliman contemplationemdivinae veritatis, in qua finaliter contemplatio perficitur (IIa üae, q. 180, a. 4, ad3ra).

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bene delle anime, che é la legge suprema34 — dei testi legislativi55); feriscepero le orecchie sentir diré, ad esempio, che si studia per diventare sacerdote: inmodo genérale, se si studia checchessia, dovrebbe essere a motivo deH'interesseche vi si trova; ma, quando si tratta di Dio, come si potrebbe ridurlo ad essereun mezzo? S. Tommaso ha espresso questa autofinalitá dello studio della veritádivina quando spiega che esso non potrebbe esser meglio paragonato se non algioco, poiché, come il gioco, esso ha il suo fine in se stesso ed é sorgente didiletto56. Gaudium de ventóte, é proprio in questo che consiste la beatitudine: incontemplatione divinorum máxime consistit beatitudo (Ia IIae, q. 3, a. 5, c.).

Probabilmente, si sará notato che, finora, non abbiamo parlato per nientedelle virtú morali. Difatti, la santitá consiste essenzialmente neU'attivita dell'intel-letto suscitata dalla virtú teologale di carita ed esercitata, quaggiü, mediante lavirtú teologale di fede, e non puó, quindi, esser definita con l'esercizio delle virtú(morali). Quest'ultime sonó soltanto le condizioni che rendono possibile la

34 «[...] prae oculis habita salute animarum, quae in Ecclesia suprema lex esse debet»(CIC 1752 — sonó queste le ultime parole del Códice).

55 S. Tommaso stesso si pone, quand'é necessario, in questa prospettiva:[...] sacerdos habet dúos actus: unum principalem, supra corpus Christi verum,et alium secundarium supra corpus Christi mysticum. Secundus autem actusdependet a primo, sed non convertitur; et ideo aliqui ad sacerdotium promoven-tur, quibus committitur primus actas tantum, sicut religiosi quibus curaanimanim non committitur; et a talium ore non requiritur lex, sed solum quodsacramenta conficiant; et ideo talibus sufficit, si tantum de scientía habeant quodea quae ad sacramentum perficiendum spectant, rite servare possint. Alii autempromoventur ad alium actum qui est supra corpus Christi mysticum; et a taliumore populus legem requirit; unde scientia legis in eis esse debet, non quidem utsciant omnes difficiles quaestiones legis, quia in his debet ad superiores haberirecursus; sed sciant quae populus debet credere et observare de lege. Sed adsuperiores sacerdotes, scilicet Episcopos, pertinet ut etiam ea quae difficultatemin lege faceré possunt, sciant; et tanto magis, quanto in majori gradu collocantur(Super 4 Sent., d. 24, q. 1, a. 3, q" 2, ad 1ra [Parm., 7, p. 893b]).

56 « [...] sapiencie contemplado conuenienter ludo comparatur propter dúo que est in ludoinuenire. Primo quidem quia ludus delectabilis est et contemplado sapiencie maximam habetdelectationem, unde Eccli. xxnn [27] dicitur ex ore Sapiencie: "Spiritus meus super mel dulcís".Secundo quia operationes ludi non ordinantur ad aliud set propter se queruntur, et hoc ídemcompetit in delectationibus sapiencie. Contingit enim quandoque quod aliquis apud se ipsumdelectatur consideratione eorum que concupiscit uel que agere proponit, set hec delectado ordinaturad aliquid exterius ad quod nititur peruenire; quod si deficiat uel tardetur delectationi huiusmodiadiungitur non minor afflictio, secundum illud Eccli. XXXffl [rectius Prou. 14,13]: "risus doloremiscebitur". Set delectado contemplationis sapiencie in se ipsa habet delectationis causara, undenullam anxietatem patitur quasi expectans aliquid quod desit; propter quod dicitur Sap. vm [16]:"Non habet amaritudinem conuersatio nec tedium conuictus illius", scilicet sapiencie. Et ideodiuina Sapiencia suam delectationem ludo comparat, Prou. vra [30]: "Delectabar per singulos diesludens coram eo", ut per diuersos dies diuersarum ueritatum considerationes intelligantur. Vndeet hic subditur [Eccli. 32,16]: et illic age conceptiones tuas, per quas scilicet homo cognitionemaccipit ueritatis » (Expositio libri Boetii de ebdomadibus, I [EL 50, pp. 267b-268a]).

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contemplazione (e, perció, la santitá)57 e che manifestano la grazia santificante58

37 « [...] ad vitam contemplativam potest aliquid pertinere dupliciter: uno modo, essentialiter;alio modo, dispositive. Essentialiter quidem virtutes morales non pertinent ad vitam contemplati-vam. Quia finís contemplativae vitae est consideratio veritatis. Ad virtutes autem morales "scirequidem", quod pertinet ad considerationem veritatis, "parvam potestatem habeí", ut Philosophusdicit in II Eth. [1105b2]. Unde et ipse in X Eth. [1178a9], virtutes morales dicit pertinere adfelicitatem activara, non autem ad contemplativam. — Dispositive autem virtutes morales pertinentad vitam contemplativam. Impeditur enim actus contemplationis, in quo essentialiter consistit vitacontemplativa, et per vehementiam passionum, per quam abstrahitur intentio animae abintelligibilibus ad sensibilia, et per tumultus exteriores. Virtutes autem morales impediuntvehementiam passionum, et sedant exteriorum occupationum tumultus. Et ideo virtutes moralesdispositive ad vitam contemplativam pertinent » (u" II", q. 180, a. 2, c.).

58 « [...] gratia [...] est [...] habitado quaedam quae praesupponitur virtutibus infusis, sicuteorum principium et radix » (Ia IPe, q. 110, a. 3, ad 3m). — Nella prospettiva che stiamosviluppando si capisce perché, nelle cause di canonizzazione, le virtú che interessano sonó le virtúinfuse: sonó esse, infatti, a manifestare la relazione di grazia fra la creadora e Dio. — Un alteamanifestazione della santitá sonó i miracoli. Su questo argomento bisogna fare diverseosservazioni. Per primo, si deve distinguere fra i miracoli fatti in vita da un fedele e i miracoliattribuiti all'intercessione di un fedele morto in odore di santitá. Infatti, il dono dei miracoli é unagratia gratis data e non é impossibile (anche se non si tratta del caso nórmale) che uno sia favoritodi tale grazia senza possedere la grazia santificante (ved. u* H"6, q. 178, a. 2; S. Gregorio Magnoinsegnava giá: « Probado [...] sanctitatis non est signa faceré, sed unumcumque ut se diligere, deDeo autem uera, de próximo uero meliora quam de se sentiré » [S. GREGORH MAGNI, Moralia inlob, 1. 20, c. 7, n. 17 (CCLat USA, p. 1016)]). Con il núracolo, Dio conferma la veritá dellapredicazione, anche se questa e opera di un peccatore. I miracoli fatti dopo morte, pero, come éevidente, non hanno per scopo la confennazione della predicazione, ma la manifestazione dellasantitá: perció, sonó da ritenersi come sanzione divina ad una progettata beatificazione ocanonizzazione. In secando luogo, c'e da notare come, nella procedura cattolica dei tempimoderni, i miracoli vengano sempre preso in considerazione in un secondo tempo, una volta chesi sia stabilito la eroicitá delle virtú o la realtá del martirio. Nell'alto medio evo e, spesso, ancorapiú tardi, invece, i miracoli possono essere stati considerad per primi e, a volte, costituire a sesoli la prova della santitá. Si trova una traccia di questa situazione in S. Tommaso, ad es., ilquale, nel quodübet che citeremo piú in la (p. 45), indica bene ch&pontifex, cuius est canonizaresonetos, potest certifican de statu alicuius per inquisitionem uite et attestationem miraculorwn, etprecipue per instínctum Spirítus sanca, qui omnia scrutatur, etiam profunda Dei [1 Co 2,10](Quodlibet 9, a. 16, ad lm), ma dimostra anche di esser cosciente del ruólo primordiale giocatodai mkacoli nella canonizzazione dei santi antichi quando fa riferimento a S. Alessio (cf. Acta SS.MU, IV, Venetiis, 1748, 252 B & F):

cuius sanctitatis indicium fuit vox caelitus delapsa, audientibus papa etimperatoribus Honorio et Arcadio et universo populo romano in ecclesia beatiPetri existentibus, quae testata est mentís eius Romam stare: multis etiammiraculis post mortem claruit, unde et canonizatus est et eius festum a romanaecclesia solemniter celebratur (Contra impugnantes, c. 7, § 8 [EL 41,p. A 114b]).

Nella procedura moderna, invece, i miracoli sonó considerad, non come una prova direttadella santitá, ma come una confennazione divina ad un giudizio umano, il quale, per quanto serioe fondato, rimane sempre soggetto a possibile errare, poiché si tratta di decidera a partiré da indizi(la apparente pratica delle virtú) di ció che e, in sé, inafferrabile per l'uomo, cioé la santitá:« nessuno sa se é degno di amore o di odio » (Qo 9,1 [sec. VgJ); se ciascuno non lo sa di sestesso, tanto meno lo possono sapere gli altri (cf. nota seguente); e anche se uno é in cielo, puódarsi che non sia poi cosí degno come sembra di un culto pubblico. Perció il miracolo e diimportanza capitale, perché é come la sanzione divina data alie illazioni nostre e, se diverse cause

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che é la sorgente della contemplazione. Siccome é impossibile védete la grazia omisurare la contemplazione59, si é costretto di giudicare della santitá dellepersone a partiré dai loro atti virtuosi; é del tutto necessario, pero, sottolineareche questi sonó soltanto degli indizi di santitá, non la santitá stessa. Troppospesso, lungo i secoli (e ancora oggi!) si é pensato che essere santo voleva dirémultiplicare gli atti virtuosi (o supposti tali) e compiere atti virtuosi sempre piüdifficili60: non é cosí! S. Tommaso lo spiega benissimo a proposito di unproblema che potrebbe forse sembrare un po' futile, quello dei meriti rispettividel martire e del confessore:

[...] quantum ad genus operis plus meretur minimus martyr quam quicumqueconfessor. Tamen quantum ad radicem operis potest confessor plus merereri inquantum ex maiori caritate operatur; et quia praemium essentiale respondetradici caritatis, accidéntale vero generi actas, inde est quod aliquis confessorpotest aliquo martyre esse eminentior quantum ad praemium essentíale, martyrtamen quantum ad praemium accidéntale61 (QQ. DD. de veníate, q. 26, a. 6,ad 8m; cf. Super ep. ad Hebr., c. 11, 1. 8 [Marietti, n. 645]).

sonó da moho tempo ferme per mancanza di miracolo, ció puo certamente esser dovuto al fattoche nessuno chiede rintercessione del Servo di Dio con sufficiente fervore, ma puó anche esserdovuto al fatto che, per motívi da lui conosciuti, Dio ritenga che il Servo di Dio in questione noné degno dell'onore degli altari. É quindi di somma importanza conservare la necessita dei miracolinelle cause di canonizzazione.

59II concilio Tridentino insegna:[...] quilibet, dum seipsum suamque propriam infirmitatem et indispositionemrespicit, de sua gratia formidare et timere potest, cum nullus scire valeatcertitudine fidei, cui non potest subesse falsum, se gratiam Dei esse consecutum(DS 1534 - Cf. I1 n-, q. 112, a. 5).

É evidente che se uno non lo puó sapere di se stesso, tanto meno lo puó sapere degli altri.Ma, come puó congetturarlo da determinati segni (S. Tommaso dice, nelTarticolo citato:inquantum percipit se delectan in Deo, et contemnere res mundanas; et inquantum homo non estconscius sibi aücuius peccati mortalis), cosí puó congetturare, vedendo che uno compie le opereche normahnente sonó effetti della grazia, che questi fc in grazia.

60 Si trovera un esempio veramente estremo di tale mentalitá negli exploits ascetico-sportividi S. Domenico Loricato (t 1062), raccontati con compiacimento da S. Pier Damiani (Vita sanctiRodulphi et sancti Dominici Loricati [PL 144, 1015-1021]).

61 Ecco cosa si deve intendere con praemium essentiale e praemium accidéntale:Qui [...] habet uoluntatem dandi eleemosinam et non dat quia non habetfacultatem, tantundem meretur quantum si daret, per comparationem aá premiumessentiale quod est gaudium de Deo: hoc enim premium respondet caritati, quead uoluntatem pertinet; set per comparationem ad premium accidéntale, quod estgaudium de quocumque bono créalo, magis meretur qui non solum uult daré setdat: gaudebit enim non solum quia daré uoluit, set quia dedit, et ex ómnibusbonis que ex illa datione prouenenmt (QQ. DD. de malo, q. 2, a. 2, ad 8m

[EL 23, p. 34 — corsivo nostro]).

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E S. Tommaso insegna, richiamandosi all'autoritá di S. Anselmo62, che non sideve sovraccaricare i novizi di osservanze, poiché ció che conta é l'adesione alialegge di Cristo, che é la legge della carita, e la moltiplicazione delle osservanzepotrebbe scoraggiarli e allontanarli63.

Da tutto ció risalta, quindi, come la santitá si realizzi nella contemplazionedella veritá divina, che dev'essere il fine di ogni nostro desiderio e di ogni nostraazione64 e che é quaggiü l'anticipazione della beatitudine del cielo65.

Per essere completi, dovremmo ora, dopo aver defmito la santitá nella suaessenza, cercare di scendere un po' piü nel particolare e vedere come essa sirealizza nelle diverse condizioni della vita deH'uomo. Per fare ció, si dovrebbetener presente, contemporáneamente, da un lato, il numero 41 della Lumengentium e, dall'altro, i trattati della IIa IIae sulla vita attiva e la vita contemplativa(qq. 179-182) e sugli stati di vita (qq. 183-189). Una tale considerazione, pero,richiederebbe troppo tempo e possiamo tralasciarla, poiché, in sostanza, si trattasoltanto dell'applicazione concreta dei principi che abbiamo appena illustrati66.

62 L'edizione Marietti porta Ambrosias, ma si tratta di una lectura evidentemente errónea perAnselmas. S. Tommaso cita con una certa Érequenza, attribuendola sempre alio stesso Anselmo,la raccolta di detti di S. Anselmo pubblicata dal suo segretario Eadmero e conosciuta sotto il títoloLíber de sancti Anselmi similitudinibus. Nel testo citato alia nota seguente, S. Tommaso rimandaai capitoli 177-179 del libro (PL 159, 695-697).

63 « Aliud habuit primordium lex vetus, et aliud lex nova; lex enim vetus primordium habuitin timore; lex nova in amore; unde Rom. 8,15: Non enim accepistis spiritum servitutis iterum intimare, sed accepistis spiritum adoptionis fiüorum Dei. Et Hebr. 12,22: Accessistis ad montemSion, et civitatem Dei viventis lerusalem. Quia igitur primordium novae legis fuit in amore, ideodiscipulos suos nutriré debuit in amore quodam: ideo se sponsum nominat, et discípulos filios, quiaista sunt nomina [corr. : nomine Marietti] amoris. Unde bonum est quod conservera eos, et ideonolo aliquid grave eis imponere ne abhorreant, et sic retrocedant.

Et ideo qui in religionibus sunt novi non sunt gravandi. Unde Anselmus [corr. : Ambro-sius Marietti] in lib. De símil, reprehendit eos qui novitios graviter onerant. Et hoc est quodChristus dicit: Numquid possunt filii sponsi lugere? etc. [Mt 9,15]; quasi dicat: non oportet quodieiunent, sed magis in quadam dulcedine vivere et amore; ut sic legem meara recipiant in amore,ut habetur ad Rom. 6,4: Quomodo surrexit Christus a mortuis per gloriara Patris, ita et nos innovitate vitae ambulemus » (Super ev. S. Matthaei, c. 9, 3 [Marietti, n. 769]).

64 « [...] ventas prima, quae est fidei obiectum, est finís omnium desideriorum et actionumnostrarum [...]> (u1 H", q. 4, a. 2, ad 3m).

65 « [...] Sic igitur patet quod per visionem divinam consequuntur intellectuales substandaeveram felicitatem, in qua omnino desideria quietantur, et in qua est plena sufficientia omniumbonorum, quae secundum Aristotelem [X Ethic., 7, 3; 1177a], ad felicitatem requiritur. Unde etBoetius dicit [III De Cons., prosa 2] quod beatitudo est status omnium bonorum congregationeperfectas.

Huius autem ultimae et perfectae felicitatis in hac vita nihil est adeo simile sicut vitacontemplantium veritatem, secundum quod est possibile in hac vita » (3 CG 63).

66 Proponíanlo tuttavia due osservazioni.In primo luogo, si puó, ancora una volta, rilevare la differenza di prospectiva fra il

Concilio Vaticano n e la Summa theologiae. Nel n. 41 della Lumen gentium, il concilio si limitaad enumerare diversi stati di vita (non sempre distinti fra di loro in modo adeguato). Si elenca,per primo, i chierici (vescovi, presbiteri, diaconi, chierici inferiori che si preparano al sacro

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VI. U ruólo dei beati.

A. D vítale consortium.

Con la parola « beati », non intendo qui únicamente i beati « beatifican »,ma tutti coloro che sonó definitivamente santi, cioé che aderiscono a Diodefinitivamente, in modo inammissibile, mediante la visione beata. Sonó i cristianiche sonó arrivati al traguardo, che hanno vinto il premio, per riprenderel'espressione paolina, e che formano la vera e definitiva Chiesa, quella alia quale,come dice S. Tommaso, la nostra Chiesa militante é esemplata e verso la qualetende67.

Sarebbe tuttavia un errore immaginare una radicale soluzione di continuitáfra la nostra Chiesa terrena e la Chiesa del cielo. I beati fanno parte del corpo diCristo in modo piü perfetto che non noi, ma anche noi facciamo, secondo diversigradi, parte del Corpo di Cristo68 o, per dirlo diversamente, viviamo o siamo

ministero); poi, i laici che « sonó chiamati dal vescovo perché si diano piü completamente alieopere apostoliche »; poi, i coniugi e i genitori cristiani; poi, le persone vedove e quelle nonsposate; poi, i lavoratori; infíne, coloro che soffrono. Come si vede, nonostante un certo sforzodi classificazione, si tratta di un'elenco che non presenta una reale necessitá in rapporto alia santitá(e, per di piü, si sonó dimenticate alcune categorie come i religiosi). Nella Somma, al contrario,tutto é ordinato secondo quel cardine della santitá ch'é la contemplazione. Per prima cosa, sidefinisce in rapporto alia contemplazione, due grandi tipi di vita, la vita attiva e la vitacontemplativa, poi, si considerano gli stati concreti di vita nel loro rapporto alia possibilitá cheoffrono di attuare la vita contemplativa.

In secondo luogo, arrivati a questo punto, si deve sottolineare due cose. Da un lato, vitaattiva e vita contemplativa, normalmente, coesistono nel cristiano (cf. q. 182, a. 1, ad 3m); anzi,la vita attiva, mediante Topera delle virtü morali che collegano e ordinano le passioni, aiuta la vitacontemplativa (cf. q. 182, a. 3, c.). DalPaltro lato, ne segué immediatamente che vitacontemplativa non s'identifica con vita religiosa. La vita religiosa é soltanto lo stato di vita piüfavorevole per lo sviluppo della vita contemplativa (cf. q. 184, a. 5, c.).

67 «[...] non per ecclesiam terrenam, sed caelestem, quia ibi est vera ecclesia, quae est maternostra et ad quam tendimus et a qua nostra ecclesia militans est exemplata » (Super Ep. adEphesios, c. 3, 1. 3 [Marietti, n. 161]).

68 Mi pare estremamente importante ricordare che l'appartenenza al Corpo di Cristo é, se cosísi puó diré, modulata, in tal modo che, in maniera assoluta e definitiva, ne fanno parte solo i beatiin cielo, ma che, finché uno £ su questa térra, ne fa parte almeno in potenza. Spiega beneS. Tommaso (ffl1, q. 8, a. 3):

[...] accipiendo generaliter secundum totum tempus mundi, Christus est caputomnium hominum, sed secundum diversos gradus.

Primo enim et principaliter est caput eorum qui actu uniuntur sibi pergloriara.

Secundo, eorum qui actu uniuntur sibi per caritatem.Tertio, eorum qui actu uniuntur sibi per fidem.Quarto vero, eorum qui sibi uniuntur solum in potentia nondum reducta

ad actum, quae tamen est ad actum reducenda secundum divinara praedestinatio-

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chiamati a vivere della stessa vita di cui vivono i beati e, cioé, la vita dellagrazia, infatti, la grazia e la gloria non differiscono essenzialmente e grafía [...]per sui augmentumfit gloría (QQ. DD. de ventóte, q. 27, a. 5, ad 6m [EL 22,p. 81 Ib])69. Questa dottrina é ribadita dal Vat. II in questi termini, non senzaqualche solennitá:

Quam venerabilem maiorum nostrorum fidem circa vítale consortium cumfratribus qui in gloria coelesti sunt vel adhuc post mortem purifícantur, magnacum pietate haec Sacrosancta Synodus recipit et decreta Sacrorum ConciliorumNicaeni n, Florentini et Tridentini rursus proponit (LG 51).

Lasciando da parte le anime purganti, che qui non ci interessanodirettamente, dobbiamo ora chiederci come si traduce questo vítale consortium alpiano dell'operare. I beati aderiscono a Dio mediante la carita, che é amore diDio e del prossimo. E non é che una volta in cielo, i beati si dimentichino diamare il prossimo. Anzi piü ardentemente sonó congiunti a Dio, pin ardentementevogliono ció che Dio vuole e cioé la salvezza degli uomini70.

Com'é risaputo, questa salvezza che Dio avrebbe poluto, di potenzaassoluta, operare « da solo », egli l'ha operata invece, secondo il disegno della suasapienza, mediante Pumanitá a sé ipostaticamente unita e mediante la partecipazio-ne di ciascun uomo alFopera del Verbo incarnato. L'uomo, sálvate da Cristo, nonpuó aver effettivamente parte a questa salvezza senza il proprio impegno che siattua prima di turto con la fede (« la tua fede ti ha sálvate »), la quale fede é essastessa dono di Dio71. D'altra parte il cristiano é chiamato a proseguiré e a

nem.Quinto vero, eorum qui in potentia sunt sibi uniti quae nunquam

reducetur ad actum; sicut nomines in hoc mundo viventes qui non suntpraedestinati. Qui tamen, ex hoc saeculo recedentes, totaliter desinunt essemembra Christi, quia iam nec sunt in potentia ut Christo uniantur.

Non é possibile commentare qui un tale testo; bisogna tuttavia far notare che S. Tommasosi pone dal punto di vista decisivo (e invisibile) che é l'unione a Cristo mediante la carita; peressere completo bisognerebbe integrare anche l'aspetto visibile e, in particolare, situare ilbattesimo: per fare ció, bisogna partiré dalla LG 7-8.

69 Per il delicato problema deU'identitá specifica qui affermata da S. Tommaso e le sfumatureche essa richiama, ci pennettiamo di rimandare al nostro lavoro: « Plénitude de gráce et visiónbeatifique. Une voie peu fréquentée pour établir la visión beatifique du Christ durant sa vieterrestre », Doctor commwis 44 (1991), pp. 14-28 (spec. pp. 17-21). Comunque, ció cheinteressava a noi, qui, era di segnalare il modo vigoroso con cui S. Tommaso insegna l'identitádel principio vítale soprannaturale dei viatori e dei comprensori.

70 S. Tommaso riassume in una frase turto quanto andiamo dicendo:Quia cum oratio pro alus facta ex caritate proveniat [...], quanto sancti qui suntin patria sunt perfectioris caritatis, tanto magis orant pro viatoribus, quiorationibus iuvari possunt; et quanto sunt Deo coniunctiores, tanto eorumorationes sunt magis efficaces (IIa E", q. 83, a. 11, c.).

71 « f...] Sed si supponamus, sicut fidei ventas habet, quod initíum fidei sit in nobis a Deo;iam etiam ipse actus fidei consequitur primam gratiam, et ita non potest esse meritorius primaegratiae. Per fidem igitur iustificatur homo, non quasi homo credendo mereatur iustificationem, sed

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diffondere Topera di Cristo nel mondo intero. Ho brevemente ricordato questedottrine che richiederebbero lunghissimi sviluppi e molte sfumature per renderpresente alia mente lo sfondo sul quale si svolge la nostra presente considerazio-ne.

L'uomo é, quindi, chiamato a collaborare all'opera di Cristo, e questacollaborazione si concretizza principalmente nel mérito72. É questa una parolapoco di moda; il concertó, pero, che designa é indispensabile se vogliamo farciuna idea un po' precisa della salvezza e, per quel che ci riguarda, dellacomunione dei santi73.

B. Breve richiamo di alcuue nozioni sul mérito.

1. U mérito in senso univoco (mérito secondo giustizia; méritoex condigno).

Meritare vuol diré rendersi degno secondo giustizia di un compenso. Ciócapita, generalmente, mediante l'esecuzione di un contratto. Se Tizio s'impegnacon Caio a eseguire un determinato lavoro e se Caio, da parte sua, s'impegna adaré a Tizio una determinata somma per l'esecuzione di detto lavoro, una voltache Tizio ha fatto il lavoro, egli menta il compenso pattuito con Caio.

Esiste, nei confronti di Dio, un mérito di tale tipo? I farisei (o, almeno,alcuni fra di loro) lo pensavano: la relazione fra Dio e l'uomo era regolata dalcontratto che era la Legge e, se l'uomo adempiva la legge, Dio era tenuto ingiustizia di ricompensarlo. Contro questa concezione, Gesú reagisce nel Vangelo:la salvezza é dono gratuito di Dio (parábola degli operai dell'ultima ora). La

quia dura iustificatur, credit; eo quod motus fidei requintar ad iustificationem impii [...] » (Ia W,q. 114, a. 5, ad lm).

72 Una tale affermazione puó sembrare sorprendente. Pensiamo infatti a tutte le opere, a tuttele fatiche apostoliche mediante le quali i cristiani cercano di collaborare con Cristo. Sonó tuttecose necessarie, ma hanno solo valore di preparazione. L'opera di Cristo £ la salvezza, vale a diréla comunicazione della grazia. Ora, il modo che abbiamo di collaborare da piü vicino a questaopera é, precisamente, l'intercessione, il cui valore dipende dal mérito. Tutte le altte cose sonódelle preparazioni estrinseche all'opera di Cristo, che possono essere per chi le attua fonte digrandi mentí, ma che di per sé non contribuiscono direttamente a daré la grazia o a preservarela grazia, perché sonó opere umane e la grazia b opera divina. II ponte fra Topera divina dimisericordia e Topera umana é proprio il mérito.

73 Quanto segué (nei paragrafí B e C) non é altro che una breve spiegazione di questeaffermazioni del concilio Vaticano u:

<fratres qui in pace Christi dormierunt> in patriam recepti et praesentes adDomirmm (cf. 2 Cor. 5,8), per Ipsum, cum Ipso et in Ipso non desinunt apudPatrem pro nobis intercederé, exhibentes menta quae per unum Mediatorem Deiet hominum, Christum lesum (cf. 1 Tim. 2, 5), in terris sunt adepti, Domino inómnibus servientes et adimplentes ea quae desuní passionum Christi in carne suapro Corpore Eius quod est Ecclesia (cf. Col. 1, 24). Eorum proinde fraternasollicitudine infirmitas nostra plurimum iuvatur (LG 49).

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giustificazione non é in nessun modo meritata daH'uomo: é stata meritata perl'uomo da Cristo, mediante la sua passione e morte. Ma, una volta giustifícato,l'uomo si trova messo in grado di mentare, sul fundamento della graziasantificante che gli é comunicata da Cristo e che é partecipazione alia grazia diCristo, in modo che si puó diré, come diceva il Gaetano a Lulero, che quandodiciamo che meritiamo, diciamo che Cristo menta in noi74. Meritiamo, quindi,la nostra salvezza, sul fondamento della grazia abituale, mediante gli atti virtuosiche noi operiamo75.

2. U mérito analógicamente detto (o mérito ex congruo).

Accanto al mérito in giustizia (ex condigno), si chiama anche mérito cióche lo é solo in quanto si tratta di un certo contraccambio, il quale, pero, non éregolato dalla giustizia, ma dalla benevolenza. Se do a un operaio una gratifíca-zione in considerazione dell'impegno con il quale svolge il proprio lavoro, nonsi puó diré che egli l'abbia meritato in giustizia (poiché quel che merita cosí é ilsuo salario), ma si puó diré che l'ha in qualche modo meritato mediante il suoimpegno, il quale ha mosso la mia benevolenza a ricompensarlo. Quel che éimportante notare é come intervengono qui elementi non pertinenti nel caso delmérito ex condigno, come sonó 1'impegno dell'operaio e la benevolenza delpadrone.

Se trasportiamo questo nel campo delle relazioni con Dio, notiamo súbitoche Dio puó avere benevolenza (soprannaturale, che riguardi, cioé, la salvezza)

74 « [...] non enim dicimus, quod ex operibus nostris, quatenus a nobis sunt, sed quatenus aChristo in nobis et per nos sunt, meremur uitam aeternam » (THOMAS DE Vio, CARD. CAIETANUS,Defide et operibus, c. 12; in Opúsculo omnia Thomae de Vio Caletean [...] in tres distincta tomos,Venetiis, Apud Tuntas, 1588, t. 3, p, 292a).

S. Agostino aveva detto in un testo citato spesso e ripreso dalla liturgia:Quid est ergo meritum hominis ante gradara, quo mérito percipiat gratiam, cumorone bonum meritum nostrum non in nobis faciat nisi grada ; et cum Deuscoronat merita nostra, nihil aliud coronet quam muñera sua ? (S. AUGUSTINUS,Epístola 194, 5, 19 [PL 33, 880]).

E, come lo sottolinea giustamente il card. Congar, nella teologia del mérito elaborata daS. Tommaso,

<la> référence décisive est la promesse de Jesús, dans son entretien avec laSamaritaine : « L'eau que je lui donnerai deviendra en lui une source jaillissanteen vie éternelle » (Jn 4, 14) [P nac, q. 114, a. 3 et a. 6; Com. in Rom. c. 8 lect.4; in loan. c. 4 lect. 2; comp. C. Gent. IV, 21 et 22; Compend. theol. I, 147](Yves CONGAR, Je crois en l'Esprit Saint, t. 2, París, Éd. du Cerf, 1980,p. 85).

73 II concilio tridentino ha espresso tutto ció con precisione e brevita:Si quis dixerit, hominis iustificati bona opera ita esse dona Dei, ut non sint etiambona ipsius iustificati merita, aut ipsum iustificatum bonis operibus, quae ab eoper Dei gratiam et lesu Christi meritum (cuius vivum membrum est) fiunt, nonveré mereri augmentum gratiae, vitara aeternam et ipsius vitae aeternae (si tamenin gratia decesserit) consecutionem, atque etiam gloriae augmentum: anathemasit (Can. 32 de iustificatione [DS 1582]).

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solo per chi é in grazia76 e che l'impegno della creatura sará dunque fondatosulFamore di Dio, sulla carita. Avremo allora il mérito ex congruo.

3. I punti di applicazione del mérito ex condigno e del méritoex congruo (nel campo soprannaturale).

Si puó meritare ex condigno únicamente per se stesso, perché la graziasantificante, radice del mérito, ci é stata data per la nostra propria salvezza.

Per gli altri si puó meritare únicamente ex congruo. Grazie alie opere divirtú che noi facciamo e che manifestano la nostra carita, il nostro amore per Dio,possiamo ottenere dalla benevolenza divina tale o tale beneficio per tale o talepersona (o per il mondo intero, ecc.)-

C. L'intercessione dei beati.

Come si vede, l'efficacia della intercessione é fondata sulla intensitá delrapporto di amicizia che c'é fra Dio e l'intercessore. Piú uno ama Dio, piü i suoiatti hanno valore agli occhi di Dio, piü i suoi meriti, per dirlo diversamente, sonóimportanti. Questo, il popólo cristiano lo capisce istintivamente, che si rivolge achi ritiene essere piü santo, piü vicino a Dio, per chiedergli di intervenire in suofavore. E come dicevo piú su, i beati in cielo sonó in grado di intercederé pressoDio in nostro favore; certamente non sonó piü nella condizione di potermeritare77, ma, sulla base dei meriti acquisiti durante la loro vita terrena e delgrado di carita raggiunto, possono muovere la benevolenza divina a favore di chili invoca. Bisogna notare che, in questo caso, ció che determina Dio a daré taleo tale grazia non é il mérito di chi riceve la grazia, ma il mérito di chi intercede;considerando che il beato é amico di Dio, mi rivolgo a lui perché intervenga perme presso Dio78: vediamo qui, concretamente, come si realizza la « communio

76 Per il semplice motivo che la volontá (consequente) di Dio fe necessariamente efficace: seDio ama qualcuno, questi si converte (v. IIIa, q. 86, a. 2, ad 3m; Ia H", q. 114, a. 5, ad 2m).

77 Non voglio entrare nella giustificazione di questa asserzione. Credo che il motivo sta nelfatto che il mérito é proporzionale alia carita; ora la carita della vía é una quantitá discreta inrapporto ad atti molteplici (che precisamente sonó atti meritori), mentre la carita della patria é unaquantitá continua in rapporto ad un solo atto eterno, che é la visione beata (ved. u* IIM, q. 24,a. 7, ad 3m & a. 8, c.; per quanto riguarda direttamente il problema del mérito, ved., soprattutto,Ia, q. 62, a. 9, ad lm, e anche Super 4 Sera., d. 45, q. 3, a. 3, ad 2m; IIa IIae, q. 83, a. 11, ad lm,ecc.).

78 É un po' quanto awiene nella « raccomandazione ». Quando qualcuno mi viene raccomanda-to, se accordo ció che é chiesto, non lo faccio in considerazione del raccomandato (chegeneralmente non conosco nemmeno), ma in considerazione del raccomandatore (sia in virtudelTamicizia che ho per lui, sia per paura, sia per interesse, ecc.).

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sanctorum », che é insieme comunione dei santi e comunione delle cose sante79:grazie alia comunione che ho con un beato posso aver parte ai benefici procuratidai suoi meriti. A giusto titolo, il concilio Vaticano II, parlando della intercessio-ne dei santi, ha voluto inquadrarla nella vitale unione di carita che dobbiamoavere con essi:

Nam sicut christiana Ínter viatores communio propinquius nos ad Christumadducit, ita consortium cum Sanctis nos Christo coniungit, a quo tamquam aPonte et Capite omnis grada et ipsius Populi Dei vita promanat. Summopereergo decet ut hos lesu Christi amicos et coheredes, fratres queque nostros etbenefactores eximios diligamus, debitas pro ipsis Deo rependamus gratias,« suppliciter eos invocemus et ob beneficia impetranda a Deo per Filium eiuslesum Christum, Dominum nostrum, qui solus noster Redemptor et Salvator est,ad eorum orationes, opem auxiliumque confugiamus » [Conc. Trid., DS 1821](LG 50).

É in questa prospettiva che la Chiesa in genérale e ciascun fedele inparticolare ricorrono alia intercessione dei santi: non si tratta di istituire, al mododelle teologie neo-platoniche, gradi intermedian attraverso i quali si dovrebbe perforza passare per aver accesso a Cristo e a Dio; si tratta piuttosto di prender attodella feconditá della grazia di Cristo. Ció che il Vaticano II spiega a propositodella Beata Vergine María, lo dobbiamo anche intendere di tutti i santi:

[...] B. VirgoinEcclesia, titulis Advocatae, Auxiliatricis, Adiutricis, Mediatricisinvocatur. Quod tamen ita intelligitur, ut dignitati et efficacitati Christi uniusMediatoris nihil deroget, nihil superaddat.

Nulla enim creatura cum Verbo incarnato ac Redemptore connumerariumquam potest; sed sicut sacerdotium Christi variis modis tum a ministris tuma fideli populo participatur, et sicut una bonitas Dei in creaturis modis diversisrealiter diffunditur, ita etiam única mediatio Redemptoris non excludit, sedsuscitat variam apud creaturas participatam ex único fonte cooperationem(LG 62).

Senza entrare in un commento dettagliato di questo testo, limitiamoci a farnotare come la dottrina, sopra ricordata, del mérito nostro come mérito di Cristoin noi permette di capire meglio ció che insegna qui il concilio.

79 In realta, storicamente, si intende generalmente con communio sanctorum (sanctorumessendo inteso al neutro) la comunione nei sacramenti, in particolare neU'Eucaristia. Infatti, anchese nella sua prima apparizione (fine del IV secólo, presso Niceta di Remesiana [ved. DS 19])l'espressione é interprétala come « communione dei santi >, il medio evo ha preferito capire laparola sanctorum come neutra, poiché, cosí facendo, trovava nei símbolo una allusione aisacramenti (cf. Yves CONGAR, Je erais en l'Esprit Saint, t. 2, París, Éd. duCerf, 1980, pp. 83-84[la nota 26, p. 83, presenta una buona bibliografía sul tema]).

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D. L'esempio dei beati.

Ma non dobbiamo guardare soltanto ai nostri fratelli del cielo come adegl'intercessori, ma anche considerarli, se cosi posso diré, in se stessi; meditarecioé il loro tenore di vita e imitarlo, poiché é cosi che hanno meritato diconseguiré la gloria eterna80.

Dice il Vaticano II:

Duro [...] illorum conspicimus vitam qui Christum fideliter sunt secuti, novaratione ad futuram Civitatem inquirendam (cf. Hebr. 13, 14 et 11, 10) simulquetutissimam edocemur viam qua Ínter mundanas varietates, secundum statum accondicionem unicuique propriam, ad perfectam cum Christo unionem seusanctitatem pervenire poterimus. In vita eorum qui, humanitatis nostraeconsortes, ad imaginera tamen Christi perfectius transformantur (cf. 2 Cor. 3,18), Deus praesentiam vultumque suum hominibus vivide manifestat. In eis Ipsenos alloquitur, signumque nobis praebet Regni sui, ad quod tantam habentesimpositam nubem testium (cf. Hebr. 12, 1), talemque contestationem veritatisEvangelii, potenter attrahimur (LG 50).

Notiamo soltanto qui l'accento messo sulla diversitá delle condizioni in cuii beati si sonó santificad: possiamo diré che completano cosi l'esempio di Cristo;non che manchi niente alia santita di Cristo, ma evidentemente questa sua santitási é manifestata in circostanze necessariamente particolari: quelle di un giudeodell'época di Tiberio; i santi ci mostrano come nelle piü svariate condizioniambientali, sociali, politiche é possibile imitare Cristo e vivere la carita.

E. Una vera comunione.

Ma i nostri rapporti con i beati, questo vítale consortium di cui parla ilconcilio non si esauriscono nel culto che tributiamo loro, nell'esempio che cidánno e nelFintercessione che attuano a nostro favore. Formiamo, come abbiamodetto, con i beati un solo corpo, una sola famiglia, una sola Chiesa. Perció lidobbiamo amare di carita, di questa carita che tende a Cristo e, per mezzo suo,

80 Origene ha vigorosamente sottolineato come il desiderio di essere con i santi nella gloriaimplica necessariamente la volonta di imitare la loro vita e i loro patimenti (cosí come, per esserecon Cristo nella gloria, bisogna prendere la propria croce):

Spesso nelle preghiere diciamo: « Dio omnipotente, dacci di aver parte con iprofeti, dacci di avere parte con gli Apostoli del ruó Cristo, per poterci ritrovareanche noi insieme con Cristo ». Ma, quando diciamo questo, non ci rendiamocontó di che cosa chiediamo. In realta, noi diciamo: « Dacci di pariré ció chehanno patito i profeti; dacci di essere odiati como furono odiati i profeti; daccidi proferiré parole che ci rendano oggetto di odio; dacci di subiré awersitasimili a quelle che subirono gli Apostoli ». Infatti, diré: « Dammi di aver partecon gli Apostoli, senza voler diré in verita, con la stessa disposizione di Paolo:* piü di loro nelle fatiche, piú di loro nelle prigionie, immensamente di piü sottole battiture e spesso nei pericoli di morte •» [2 Co 11,23], ecc., questo é piüingiusto di turto (ORIGENE, Hom. in leremia, 14 [GCS 6, 119]).

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a Dio81. Infatti, abbiamo, noi e loro, lo stesso fine, tendiamo alio stesso beneche é Dio. Dio é il bene comune della Chiesa di lassü e della Chiesa di quaggiü,Dio visto dalla prima, Dio crédulo dalla seconda; e, se ci ricordiamo comeabbiamo definito la santitá come tensione verso Dio, capiremo come essa uniscale due partí della Chiesa.

VIL La canonizzazione.

A. Perché canonizzare?

X

E evidente che non abbiamo qui a fare la storia del come si é sviluppatonella Chiesa l'istituto della canonizzazione. Dal nostro punto di vista, che éspeculativo, dobbiamo cercare di evidenziare i motivi che fondano tale istituto.

1. Una necessaria disciplina.

Come si sa, e come lo vedrete, la venerazione litúrgica nei riguardi dicerti defunti é nata spontaneamente, ma ben presto le autoritá ecclesiastiche hannoawertito la necessitá di una regolazione, per il bene stesso delle anime dei fedeli.

Bisognava, infatti, assicurarsi, per quanto possibile, che la personavenérala fosse veramente in cielo (il che all'inizio sembra esser stato « provato »soprattutto dai miracoli operad post mortení).

Bisognava anche assicurarsi che la vita della persona in questione fossedegna di essere proposta alia imitazione dei fedeli.

Celebérrimo e decisivo (perché inscrito nelle Decretal?2) é l'interventodi Alessandro III (6 luglio 1170) in cui il papa, scrivendo al re, ai vescovi, alclero e al popólo di Svezia, si lamenta che sia venéralo come santo martire un taleucciso mentre era ubriaco83.

Come si vede, l'inlervenlo dell'autorila ecclesiastica nella canonizzazione(quali che siano state poi le forme concrete di essa) é pienamente giustificalo dalsuo compito pastorale.

81 « Omne enim genuinum amoris testimonium coeliíibus a nobis exhibitum, suapte naturatendit ac tenninatur ad Christum qui est "corona sanctorum omnium" et per Ipsum ad Deum quiest mirabilis in Sanctis suis et in ipsis magnificatur » (LG 50).

82 Decretal. Gregor. IX, 1. 3, tit. 45 De reliquiis et Veneratione Sanctorum, cap. Audivimus(FR 2, 650).

83 II testo origínale della lettera di Alessandro III (il celebre canonista bolognese RolandoBandinelli) é stato pubblicato da Johannes Gustavus Liljegren, Diplomatarium Suecanum, I,Holmiae, 1829, pp. 61-63, e le sue partí essenziali sonó riprodotte da quasi tutti gli autori chehanno scritto sulle canonizzazioni.

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2. Una proposta autorevole.

Ma non si tratta soltanto di evitare degli abusi, si tratta anche di offrire alpopólo cristiano una proposta autorevole. É ruólo pastorale dell'autoritágerarchica di adoperare i mezzi atti a far crescere la santitá del popólo cristiano.Uno di questi mezzi é, proprio, di proporre al popólo cristiano dei modelli e degliintercessori. Certamente, questi modelli e intercessori ognuno se li puó scegliereda sé, ma ricorrendo a quelli proposti dalla Chiesa, da un lato é assicurato di noncommettere valutazioni erronee e, dall'altro lato, mette in pratica la virtú delladocilita, lasciandosi insegnare dalla Chiesa.

B. U valore dogmático della canonizzazione84.

Ho appena evócate la sicurezza che ha il fedele che venera chi gli éproposto a tale effetto dalla Chiesa (intendendo con Chiesa l'autoritá gerarchica).Ora sorge un problema molto complesso che é quello della natura e del grado diquesta sicurezza. Per cercare di render le cose piü chiare possibili, credo che énecessario prender le cose un po' alia larga, situando le canonizzazioni nel genereal quale vengono generalmente ascritte, quello cioé dei cosiddetti «fattidogmatici ».

1.1 fatti dogmatici.

É dottrina di fede (anche se non propriamente definibile) che la Chiesagode dell'assistenza dello Spirito Santo, non per proporre dottrine nuove, ma percustodire il deposito della fede ed esporlo fedelmente, in modo che possa definiréinfallibilmente dottrine che riguardano la fede o i costumi (cf. DS 3070 e 3074).Insegna il Vaticano II:

Haec autem infallibilitas, qua Divinus Redemptor Ecclesiam suam in definiendadoctrina de fide vel moribus instructam esse voluit, tantum patet quantum divinaeRevelationis patet depositum, sánete custodiendum et fideliter exponendum(LG 25).

84 Su questo tema, lo studio piü recente e: Ernesto PIACENTINI, Infallibile anche nelle causedi canonizzazione?, Roma, E. N. M. I., 1994, che riprende lo studio pubblicato sotto il titolo« L'infallibilitá pontificia nelle cause di canonizzazione » nel volume Sacramenti, Liturgia, Causedei Santi. Studi in onore del cardinale Giuseppe Casona, a cura del Prof. Antonio MORONI, diMons. Cario PINTO e di Mons. Marcello BARTOLUCCI, Napoli, Campagna Notizie / E. C. S.Editoriale Comunicazioni sociali, 1992, pp. 541-588 (si tratta di uno scritto notevole per il numeroimpressionante di errori di stampa). — Si avrá sempre interesse a ricorrere a Max SCHENK, DieUnfehlbarkeií des Papstes in der Heiligsprechung, Freiburg (Schweiz), Paulusverlag ("Thomisti-sche Studien, 9"), 1965, che ha radunato e studiato moltissimi testi relativi al nostro argomento.

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II problema nasce, in particolare85, quando ci si chiede se la Chiesa puóanche essere infallibile neU'affermare fatti, in se stessi contingenti, estranei aldeposito della fede e senza relazione necessaria con esso, ma che hanno qualcherapporto con una dottrina da affermare o una eresia da condannare.

Per capire meglio, bisogna evocare brevemente come é nato il problema,o, diciamo meglio, come é diventato oggetto di maggiore attenzione da parte deiteologi.

II 31 maggio 1653, Innocenzo X condanna cinque proposizioni trattedair'Augustinus di Giansenio. I giansenisti fecero allora ricorso alia seguentedistinzione. Accettiamo, dissero, rinfallibilitá della condanna portata contro lecinque proposizioni; neghiamo pero che queste proposizioni si trovino nel libroincriminato e affermiamo che la Chiesa non ha alcun potere di determinarechecché sia a questo proposito, perché si tratta di un fatto contingente noncontenuto nella Rivelazione e senza légame necessario con essa.

Non faccio qui la storia della controversia. Dico soltanto la posizione cheé generalmente accettata. É vero che da nessuna parte nella Rivelazione si parladell'Augustinus di Giansenio. Pero, la Chiesa, fin dagli inizi, si é riconosciuto ildiritto di condannare non solo delle proposizioni astratte, ma anche le personeconcrete che ne erano giudicate fautori. Su che cosa si fonda questo comporta-mento della Chiesa? sulla consapevolezza che il suo fondatore l'ha fornito di tuttii mezzi necessari alio svolgimento della propria missione86. Ora, per il benepastorale dei fedeli, é necessario non soltanto condannare astrattamente deglierrori (spesso poco comprensibili da molti), ma indicare anche i fautori di questierrori e gli scritti che li propagano87, in modo che i fedeli possano starsene alia

83 Dico « in particolare », perché si incontra qui anche un altro problema, quello delle ventadi ordine teológico o metafisico che non sembrauo appartenere — almeno esplicitamente — aldeposito rivelato, ma che sostengono con esso un rapporto necessario, in modo che negarnequalcuna ha per conseguenza inevitabile un danno inferto a questo deposito (si puó daré comeesempio di tale tipo di verita, la necessitá, per il cristiano, di essere « realista », necessitáaffermata da Paolo VI nel n. 5 del prologo della Sollemnis Professio Fidel [AAS 60 (1968),pp. 433-445 (p. 435)]).

86 o, come dice S. Tommaso: « Spiritus sanctus sufficienter providet Ecclesiae inhis quae suntutilia ad salutem » (IIa 11*=, q. 178, a. 1, c.)..

87 Si dovrebbe anche precisare che, secondo molti autori, quando la Chiesa condannaproposizioni estratte da uno scritto in sensu auctoris, si deve capire che condanna questeproposizioni nel senso che risultano avere dall'insieme del contesto deü"opera da cui sonó estratte,ma non nel senso che hanno o possono avere nella testa dell'autore, la qual cosa sfugge aliepossibilita della conoscenza umana. Cosí, quando uno e condannato come erético, é condannatoperché dice delle eresie e rifiuta di correggersi, ma non si puó mai sapere a rigore (anche se cisonó segni che difficihnente potrebbero ingannare) se pensa veramente eresie (su questo, ved.Yves M. J. CONGAR, Sainte Église, París, Éd. du Cerf ["Uñara Sanctam, 41"), 1964, pp. 363-364).

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larga. Non v'é dunque dubbio, sembra, che la Chiesa possa ritenere di esserinfallibile anche quando si tratta di definiré un « fatto dogmático »?8.

2. La canonizzazione come fatto dogmático.

Quando si canonizza qualcuno, si afferma che, a motivo delía santitá dellasua vita, manifestata daH'eroicitá delle sue virtú, o a motivo della testimonianzadel suo martirio, tale persona singolare é in paradiso. Ci sonó dunque due aspettiin una canonizzazione: da un lato 1'affermazione, che possiamo senz'altro riteneredefinibile, che chi pratica le virtú cristiane va in paradiso e poi, dall'altra parte,l'applicazione di tale affermazione alia persona singolare. Ora, se si puófácilmente mostrare che la proposizione genérale é contenuta nella Rivelazione,é altrettanto evidente che il fatto che Tizio o Caio abbia vissuto in modo da esseresanto non vi é contenuto né esplicitamente né implícitamente. Si dice dunque,generalmente, che siamo qui di fronte ad un « fatto dogmático ». E, per lo piü,chi esamina il problema si ferma qui e conclude che la Chiesa puó infallibilmentecanonizzare89.

Le cose, pero, forse non sonó cosí semplici, perché il caso dellacanonizzazione non é esattamente simile a quello della condanna di un erético.

Nel caso della condanna, é chiaro che siamo di fronte a un grave pericoloper la fede dei cristiani e che l'individuazione precisa di tale pericolo é necessariaalia preservazione di questa fede. Quando si tratta di canonizzazione, invece, nontroviamo niente di questo. Si tratta di un movimento spontaneo della Chiesa cheritiene bene di proporre qualcuno alia venerazione dei fedeli. In caso di errore,non ne conseguirebbe un danno mortale per la fede, anche se ció sarebbe

88 Molti teologi tuttavia credono bene di precisare che la definizione cosí portata non puóessere crédula de fide divina, poiché non é in nessun modo rivelata, ma é creduta de fideecclesiastica; non b qui il luogo per entrare nella discussione di tale asserzione (per un primoorientamento, ved. Yves M.-J. CONGAR, op. cit. alia nota precedente, pp. 358-363).

89 Mons. Veraja scrive, ad es.:L'oggetto del Magistero infallibile della Chiesa, com'é noto, oltre alie

veritá rivelate (credendae fide divina) e le dottrine che sonó in connessionelógica necessaria con una veritá di fede, sonó anche i cosiddetti fatti dogmatici,ossia fatti contingenti che sonó in connessione morale necessaria con U fineprimario della Chiesa, che é quello di conservare e spiegare il deposito rivelato.Ora, tra i fatti dogmatici £ umversalmente annoverata anche la canonizzazione,nella quale in modo definitivo viene dichiarata la santitá di un servo di Dio cheviene proposto come modello di santitá. Se la Chiesa universale errasse nelvenerare un individuo come modello di santitá evangélica, ossia se il Papaerrasse neU'imporre a tutta la Chiesa un tale culto, la Chiesa non sarebbeinfallibile neH'annunciare la santitá, che b l'ideale della vita cristiana (FabijanVERAJA, La canonizzazione equipollente e la questione dei miracoü nelle causedi canonizzazione, Roma, 1975, p. 14, nota 19).

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evidentemente molto spiacevole90. In altre parole, che i fedeli si pongano aseguito di Lutero sarebbe di mortale gravita per loro; che venerino, per assurdo,un santo che in realtá sarebbe alFinferno non ha tale gravita91 e puó, lo stesso,aiutare la loro vita cristiana, perché la loro venerazione s'indirizza a quellapersona únicamente in quanto la ritengono santa, árnica di Dio. Afortiori, si devericonoscere che la venerazione di santi dubbi o perfino inesistenti (S. Filomena),anche se, evidentemente punto auspicabile, non reca tuttavia nessun danno aliafede dei devoti (v. S. Giovanni María Vianney) e ció per lo stesso motivo, e cioéche si venerano questi personaggi a motivo delle loro (supposte) virtú cristiane,segno della loro (supposta) unione con Dio. Non c'é nemmeno motivo di pensareche le preghiere indirizzate mediante l'intercessione di questi pseudo-santirimangano necessariamente vane. Infatti, come diceva giustamente il bollandistaH. Delehaye:

C'6 da ricordarsi che la fiducia nella intercessione dei santi non e se non unaforma della fiducia in Dio. Perianto, si capisce che Dio esaudisca delle preghiereche, in mancanza delTintermediario, vanno direttamente a lui92.

Perció, non essendo la canonizzazione di tale o tale persona necessaria aliacustodia e difesa del deposito della fede, non sembra che la materia dellacanonizzazione sia tale da poter essere soggetta alia infallibilitá.

90 Bisogna puré tener presente che i cristiani, nella loro grandissima maggioranza, non sipreoccupano molto di sapere come un santo é diventato tale e non fa differenza fra i santiformalmente canonizzati e i santi delTantichitá cristiana, ad es. Bisognerebbe puré non dimenticareche la Chiesa, per secoli, ha preséntalo, nei suoi libri liturgici, alia venerazione dei fedeli santiperlomeno dubbi. Tutto ció dimostra che la materia non S di tale vítale gravita da richiedereTinfaUibilitá.

91 Nei testo del Qdl 9 che citiamo infra (p. 45), S. Tommaso riserva l'infallibilitá della Chiesaa ció che é necessario alia salvezza; ora é chiaro che b necessario alia salvezza professare la verafede, non sembra necessario alia salvezza pregare solo persone degne di esser prégate.

92 « II faut se souvenir que la confiance dans l'intercession des saints n'est qu'une forme dela confiance en Dieu. L'on concoit que Dieu exauce des priéres qui, l'intermédiaire faisant défaut,vont directement á Lui » (Anal. Boíl. 44 [1946], p. 233). — Era giá, insomma, quanlo insegnavaInnocenzo IV (Sinibaldo de' Fieschi, f 1254):

Venerandi sunt omnes sancti canonizati [...] dicimus quod etiam si Ecclesiaerraret quod non est credendum: tamen preces per talem bona fide porrectasDeus acceptaret (INNOCENTIUS IV, Super libros quinqué Decretalium, \. 3, tit.45 De reliquiis et veneratione sanctorum, c. 1 [tit. da Max SCHENK, op. laúd.,p. 9]).

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3. La formula della soleóme canonizzazione93.

a. La formula stessa.

Pero, si dice, contra factum non valet illatio e la formula che usano i Papinella canonizzazione dimostra chiaramente che intendono portare una definizioneinfállibile.

Vediamo quindi questa formula. Riproduco il testo di una delle piú recenticanonizzazioni, quella di Rafaello di S. Giuseppe Kalinowski (17 novembre1991):

Ad honorem Sanctae et Individuae Trinitatis, ad exaltationem fidei catholicae etvitae christianae incrementum, auctoritate Domini nostri lesu Christi, beatorumApostolorum Petri et Pauü ac Nostra, matura deliberatione praebabita et divinaope saepius implórala, ac de plurimorum fratruin Nostrorum consilio, beatumRaphaelem a Sancto loseph Kalinowski Sanctum esse decernimus et definimus,ac Sanctorum Catalogo adscribimus, statuentes eum in universa Ecclesia ÍnterSanctos pia devotione recoli deberé. In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti(AAS 85 [1993], pp. 223-224).

Questa formula, usata, all'epoca moderna94, con variazioni che non netoccano la sostanza95, offre senza dubbio una impressionante similitudine con le

93 Ved., in part., Amato Pietro FRUTAZ, « Auctoritate ... Beatorum Apostolorum Petri etPauli. Studio sulle formule di canonizzazione », Antonianum 42 (1967), pp. 435-501. — Mons.Veraja lamenta che, quando trattano della infallibilitá della canonizzazione, i teologi tenganopresente soltanto le canonizzazioni formali, « dimenticando la canonizzazione equipollente •»(Fabijan VERAJA, La canonizzazione equipollente e la questione dei miracoli nelle cause dicanonizzazione, Roma, 1975, p. 14, nota 19). Ricordiamo, anzitutto, che, secondo la dottrina diBenedetto XIV cosí come viene interprétala da Mons. Veraja, la canonizzazione fórmale si haquando il Papa pronuncia « una fórmale solenne dichiarazione sulla santitá del Beato, U quale vieneiscrillo nell'albo dei Santi »; quando, invece, il Papa si limita a disporre che un beato sia oggettodi un culto da parte della Chiesa universale, si tralla di una canonizzazione equipollenle (ibid.,p. 16). Manca, quindi, nella canonizzazione, la formula che ci accingiamo a studiare (e che 6generalmente ritenuta come la prava che il Papa inlende impegnare la propria infallibililá nellacanonizzazione); perció, se si puó mosttare che, nonoslante qualche apparenza, le canonizzazioniformali non debbono essere ritenute come esercizio della infellibilitá pontificia, afortiorí si devediré la stessa cosa delle canonizzazioni equipollenti. O, detto con altre parole, le canonizzazioniequipollenti fanno difficoltá per gF« infallibilisti > perché non vi é nessuna formula che possaindicare una definizione (e anche perché sonó stati canonizzati in modo equipollente « certi santi"discussi", la personalitá storica dei quali costituisce un problema •» [ibid., p. 15, nota 19]), maqueste canonizzazioni equipollenti non pongono alcun problema particolare se si pensa che lecanonizzazioni, in modo genérale, non impegnano 1'infallibilitá pontificia.

94 E, precisamente, dal 1° novembre 1658, per la canonizzazione del beato Tommaso daVillanova, ad opera di Alessandro VE (ved. A. P. FRUTAZ, art. cit., p. 441).

95 Ecco l'esempio che da Benedetto XIV (si tratta di una canonizzazione fatta da Clemente XIil 22 maggio 1712):

Ad honorem Sanctae et Individuae Trinitatis, ad exaltationem fidei catholicae etchristianae Religionis augmentum, auctoritate D. N. J. C. Beatorum Apostólo-

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formule che i Papi Pió IX e Pió XII hanno usato per le definizioni dogmaticherispettivamente della Immacolata Concezione di María e delF Assunzione di María(e maggiormente con quella usata da Pió IX96 che non con quella usata daPió XII97). Dobbiamo tuttavia notare che queste ultime formule dicono esplicita-mente che una determinata dottrina deve essere creduta (oppure che é un dogmarivelato da Dio, il che é lo stesso). La formula della canonizzazione é piü vagapoiché si limita a definiré (il che vuol diré determinare) non che si deve credereche un tale é santo, ma soltanto che un tale é santo. Ora, se prendiamo santo nelsenso di comprensore, l'espressione é strana, perché non tocca alia Chiesa (alPapa) determinare chi é santo e chi no, ma a Dio; la Chiesa non puó chericonoscere (anche autoritativamente) ció che é disposto da Dio98; forse allora

rum Petri et Pauli, ac Nostra, matura deliberatione praehabita, et divina opesaepius implórala, ac de venerabilium Fratrum nostrorum S. R. E. Cardinalium,Patriarcharum, Archiepiscoporum, etEpiscoporum in Urbe existentium consilio,Beatos Pium V. Pontificem, Andream Avellinum, et Felicem a CantalicioConfessores, ac Catharinam de Bononia Virginem, sanctos, et sanctam essedecernimus et definimus, ac Sanctorum catalogo adscribimus: statuentes, abEcclesia universali illorum memoriam quolibet armo die eorum natali, nempe Piidie quinta Maji Ínter sanctos Confessores Pontífices, Andreae die décimaNovembris, et Felicis a Cantalicio die decima octava Maji ínter sanctosConfessores non Pontífices, et Catharinae die Nona Martii ínter sanctas Virginesnon Martyres, pía devotione recoli deberé. In nomine Paftris, et Fiflii, etSpiritus t Sancti Amen (BENEDICTOS XIV, De Servorum Dei beatificatione etBeatorum canonizatione, 1. 1, c. 36, § 9, n. 21 [ed. cit., t. 1, pp. 236b-237a]).

96 « Ad honorem sanctae et indíviduae Trinitatis, ad decus et ornamentum Virginis Deiparae,ad exaltationem fidei catholicae et christianae religionis augmentum, auctoritate Domini nostri lesuChristi, beatorum Apostolorum Petri et Pauli ac Nostra declaramus, pronuntiamus et definimus,doctrinam quae tenet, beatissimam Virginem Manara in primo instanti suae conceptionis fuissesingulari omnipotentis Dei gratia et privilegio, intuitu meritorum Christi lesu Salvatoris humanigeneris, ab omni originalis culpae labe praeservatam immunem, esse a Deo revelatam atque idcircoab ómnibus fidelibus firmiter constanterque credendam » (DS 2803).

97 « [...] ad Omnipotentis Dei gloriam, qui peculiarem benevolentiam suam Mariae Virginidilargitus est, ad sui Filii honorem, immortalis saeculorum Regís ac peccatí mortisque victoris,ad eiusdem augustae Matris augendam gloriam et ad totius Ecclesiae gaudium exsultationemque,auctoritate Domini Nostri lesu Christí, Beatorum Apostolorum Petri et Pauli ac Nostrapronuntiamus, declaramus et definimus divinitus revelatum dogma esse: Immaculatam Deiparamsemper Virginem Mariam, expleto terrestris vitae cursu, fuisse corpore et anima ad caelestemgloriam assumptam > (DS 3903).

98 Abbiamo preso qui in esame le definizioni della Immacolata Concezione e deü" Assunzionedi Mana a motivo della similitudine della formula in esse usata con la formula della canonizzazio-ne, ma si deve rilevare che anche a Calcedonia, per esempio, i Padri non dicono: « definiamo(ópífo/iej', definimus) che in Cristo ci sonó due nature concorrenti in una única persona » ma« insegnamo (kKdibáano¡ie.v, docenws) » (DS 301-302), perché, evidentemente non tocca ai Padridi decidere come deve essere Cristo, ma tocca loro di insegnare con autoritá cosa la rivelazioneci fa conoscere su di lui e, perció, la parola « definiré », assente dalla « definizione > stessa,appare nella cosiddetta « sanzione » che segué, in cui il sínodo « ha definito (Hipiaev, definivit) »che non é lecho a nessuno professare un'altra fede (DS 303). É vero, tuttavia, che, in un casoalmeno, abbiamo una definizione dogmática che usa una formula simile a quella delle canonizza-zioni. Si tratta della definizione che chiude la bolla Unam sanctam di Bonifacio VIII (18 novembre

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bisogna prender santo in un senso piü debole che é: oggetto del culto ecciesiasti-co. Insomma, non direbbe niente di piü che l'iscrizione nell'albo dei santi e, cioé,il fatto che la Chiesa decide di venerarlo come tale, essendo evidente che, se lofa, é perché crede effettivamente che é in paradiso, ma senza che si debba vederequi una definizione infallibile di questo fatto.

Per di piü c'é da osservare che la formula di canonizzazione non dicequale tipo di assenso il fedele deve avere nei confronti della « definizione »,mentre sia per 1'Immacolata sia per l'Assunzione, é chiaro dal testo che si devecredere queste dottrine come rivelate da Dio (cioé defide divina).

b. La censura annessa.

Infine, si deve rilevare che si chiudono con un anatema sia la definizioneportata da Pió IX" sia quella portata da Pió XII100, il che non si verifica nellecanonizzazioni. Questa affermazione appena fatta richiede, pero, qualchedelucidazione.

Infatti, una bolla di canonizzazione comporta un anatema e, fino a tempirecenti, le bolle101 comportavano una clausula che si potrebbe giudicare equiva-lente ad un anatema. Esaminiamo l'uno e l'altro caso.

1302):Porro subesse Romano Pontifici omni humanae creaturae declaramus, dicimus,diffinimus omnino esse de necessitate salutis (DS 875).

In questa definizione, la brachilogia é evidente: non é Bonifacio VHI a decidere che lasottomissione al Papa e necessaria alia salvezza, ma é lui a dichiarare con autoritá che tale dottrinaé dottrina di fede. — Si deve puré rilevare come il formulario usato nella formula di canonizzazio-ne (e, in particolare, la formula auctoritate beatorum Apostolorum Petri et Paulí) e comune ad essae a molti altri atti del Papa, come sonó le scomuniche (referenze in A. M. FRUTAZ, art. cit.,p. 467, nota 1) e le concessioni d'indulgenza (cf., ad es., la bolla di Alessandro u del 1063, citatada Dom H. Leclercq, art. « Indulgence », mDictionnaire d'Archéologie chrétieme et de Liturgia,t. 7, col. 540). Ció che é soprattutto messo in rilievo é l'autorita con la quale agisce il Papa.

99 « Quapropter si qui secus ac a Nobis definitum est, quod Deus avertat, praesumpserint cordesentiré, ii noverint ac porro sciant, se proprio iudicio condemnatos, naufragium circa fidem passosesse et ab unitate Ecclesiae defecisse, ac praeterea fácto ipso suo semet poenis a iure statutissubicere, si, quod corde sentiunt, verbo aut scripto vel alio quovis externo modo significare ausiruerint» (DS 2804).

100 « Quamobrem, si quis, quod Deus avertat, id negare, vel in dubium vocare voluntarie aususfuerit, quod Nobis definitum est, noverit se a divina ac catholica fide prorsus defecisse »(DS 3904).

101 Conformemente all'uso córreme, designamo con il vocabolo « bolle » gli strumenti dellecanonizzazioni. Notiamo tuttavia che, sotto Leone Xin e S. Pió X, tali strumenti vengono intitolatiLitterae apostolicae e, da Benedetto XV ai nostri giorni, Litterae decretales.

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(1) L'anatema102.

Giovanni XV, nella prima bolla di canonizzazione conosciuta, quella diUlrico (993), decreta :

Si quis interea (quod non credimus) temerario ausu contra ea, quae ab hac nostraauctoritate pie ac finniter per hoc privilegium constituía sunt, contrairetentaverit; vel haec, quae a nobis ad laudem Dei, pro reverentia iam dictiEpiscopi statuta sunt, rerragari; aut in quoquam transgredí; sciat, se auctoritatebeati Petri, Principis Apostolorum, cuius vel immeriti vices agimus anathematisvinculo innodatum (FONTANINI, Codex Constitutioman quas Sumirá Pontíficesediderunt insolemni canonizatione SanctorumaJohanne XVadBenedictum XIII,sive ab A. D. 993 ad A. D. 1729, Romae, Ex typographia Reverendae CameraeApostolicae, 1729, p. 2 [JAFFÉ-WATTENBACH, n. 3848]).

Dobbiamo quindi chiederci cosa comporta, per Giovanni XV, l'anatema.Senza entrare in dettagli qui fuori luogo, si puó diré che, a quelFepoca, esso nonsanziona necessariamente il crimine di eresia, ma corrisponde a una formaaggravata della scomunica, secondo quanto si puo ricavare da un testo di GiovanniVIII (f 882) raccolto dal Decreto:

Hengiltrudam uxorem Bosonis noueris non solum excommunicatíone,que a fraterna societate separat, sed etiam anathemate, quod ab ipso corporeChristi (quod est ecclesia) recidit, crebro percussam.

Gradan. Unde datur intelligi, quod anathematizati intelligendi sunt nonsimpliciter a fraterna societate ormino separati, sed a Corpore Christi (quod estEcclesia) (Decr., P. 2, causa 3, q. 4, c. 12 [FR 1, 514])103.

Sarebbe quindi del turto fuori luogo cercare di concludere da quell'anatemaa una definizione dogmática: si tratta soltanto di una sanzione giuridica di cui siminaccia non coloro che penserebbero diversamente, ma coloro che non siconformerebbero esternamente a quanto prescrive la bolla.

Fino a Gregorio XI, poi, le bolle di canonizzazione (all'eccezione di unabolla di Benedetto IX, con formula piuttosto blanda [FONTANINI, p. 5]) noncomportano la comminazione di alcuna censura né la minaccia di alcuna sanzioneper chi vi contrawerrebbe.

(2) L'indignazione.

Con la bolla di Gregorio XI promulgando la canonizzazione di Elzeariofatta da Urbano V (5 gennaio 1371), appare la clausula seguente:

102 Sulla prudenza con la quale si deve giudicare della pórtala degü anatemi, ved., ad es.,Raphael FAVRE, « Les condamnations avec anathéme >, Bulletin de littérature ecclésiastique 47(1946), pp. 226-241 & 48 (1947), pp. 31-48.

103 Sul complesso problema delle diverse forme di scomunica nell'antico diritto, ved.P. HUIZING, « Doctrina decretistarum de variis speciebus excommunicationis », Gregorianum 33(1952), pp. 499-530.

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Nulli ergo hominum íiceat hanc paginam nostrae voluntaos & constitutionisLnfringere, vel ei ausu temerario contraire. Si quis autem hoc attentare praesum-pserit, indignatíonem omnipotentis Dei, & beatorum Petri et Pauli Apostolorumejus se noverit incursurum (FONTANINI, p. 150).

Tale formula riappare nella bolla di Nicoló V per la canonizzazione diBernardino da Siena (23 giugno 1450 [FONTANINI, p. 168]) e, a partiré da Pió II(bolla di canonizzazione di Caterina da Siena, 29 giugno 1461 [FONTANINI,p. 187]), viene usata, con amplificazioni che non ne mutano la sostanza104, intutte le bolle di canonizzazione.

Sotto il pontificato di Giovanni XXIII, si nota un certo inizio di evoluzio-ne. Mentre le bolle per la canonizzazione di Joachima de Vedruña (12 aprile1959) e di Gregorio Barbarigo (26 maggio 1960) comportano la clausulatradizionale, nelle bolle di canonizzazione di Giovanni de Ribera (12 giugno 1960[AAS 53 (1961), p. 140]), di Martino de Forres (6 maggio 1962 [AAS 55 (1963),p. 203]) e di Antonio María Pucci (9 dicembre 1962 [AAS 55 (1963), p. 768])appare questa nuova formula:

Nemini autem iis quae per has Litteras statuimus obnití íiceat. Quod si quistemeré ausus ruerit, iustis poenis plectetur.

Nella bolla per la canonizzazione di Maria Bertilla Boscardin (11 maggio1961), si legge:

Nemini autem iis quae per has Litteras statuimus obniti íiceat. Quod si quistemeré ausus ruerit, sciat se poenas esse subiturus iis iure statutas, qui Summo-rum Pontificum iussa non fecerint (AAS 53 [1961], p. 713).

Infine, nelle bolle di canonizzazione di Giuliano Eymard (9 dicembre 1962[AAS 55 (1963), p. 375]), Francesco Maria da Camporosso (9 dicembre 1962[AAS 56 (1964), p. 72]) e Vincenzo Pallotti (20 gennaio 1963 [AAS 55 (1963),p. 807]), la clausula manca del tutto.

La stessa assenza si rileva nelle bolle di canonizzazione di Paolo VI,tranne nel caso di Giulia Billiart (22 giugno 1969 [AAS 62 (1970), p. 154]) nellacui bolla vediamo riapparire la formula usata nella bolla di Maria BertillaBoscardin.

Le bolle di canonizzazione di Giovanni Paolo II non comportano laclausula in parola. Soltanto nella bolla di canonizzazione di Michele PebresCordero (21 ottobre 1984) appare la formula:

Ceterum, quae egimus ac decrevimus sancta sunto, nunc et in posterum (AAS78 [1986], p. 12)105.

104 Giustificheremo piú in la questa asserzione (ved. infra, pp. 41 sq.).

103 Si puó notare una evoluzione esattamente parallela a quella che abbiamo brevementedescritta per quanto concerne una altra clausula tradizionale delle bolle, quella che attribuiva aliecopie certifícate della bolla lo stesso valore dell'origínale e conteneva la formula: caeterís nonobstantibus. Tale clausula 6 sparita all'epoca attuale.

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Quali conclusioni possiamo trarre dalle osservazioni appena faite?1) Non é sembrato agli ultimi Papi che la clausula fosse necessariamente

richiesta per sanzionare il valore dell'atto riportato nella bolla. Se i papi avesserovisto nella clausula in questione una sanzione delía infallibilitá del loro pronuncia-mento, sicuramente non l'avrebbero soppressa. Se invece si trattava solo diawertire delle pene divine e umane incorse da chi avrebbe disubbidito, si potevaanche sopprimerla senza cambiare niente alia sostanza delle cose, poiché éevidente di per sé, anche se non si dice, che chi non obbedisce al Papa si esponeall'indignazione divina e alie pene previste dal diritto.

2) Bisogna notare che la clausula Nulli ergo hominum... Si quis autem...non é particolare alie bolle di canonizzazione, ma fa parte dello schema nórmaledi ogni bolla, anche di quelle che non hanno alcuna pórtala dottrinale. Adesempio, Clemente VIII, che usa la clausula nella bolla di canonizzazione diRaimondo di Peñafort (29 aprile 1601)106, l'aveva anche usata nella bolla EaRomani Pontificis (8 agosto 1596) relativa alia giurisdizione, ai privilegi, ecc.,degli uditori della Camera apostólica107.

3) Si fará notare, pero, che bisogna porre attenzione alie enumerazioni,dall'abbondanza barocca, che designano gli atti ai quali non ci si deve opporre.Tali enumerazioni, anche se sovrabbondanti, hanno tuttaviaun rapporto piú strettoche non potrebbe sembrare a prima vista con il contenuto della singóla bolla. Perquanto ci riguarda, si sottolineerá che spesso vi si parla, fra l'altro, di definizionee si dirá, forse, che il fatto di minacciare dall'indignazione divina chi nonobbedisce a tale definizione é affermare implícitamente 1'infallibilitá di questadefinizione. A ció, si deve rispondere che si parla di definizione perché,effettivamente, la parola definimos é usata nel corpo del documento. Pero, éevidente che il vocabolo definitio, che riprende questo definimos, ha esattamentela stessa pórtala che definimus, e non si puó inferiré dalla minaccia dell'indigna-zione divina che si tratla di definizione infallibile, poiché sonó oggetti di questastessa minaccia anche coloro che non rispetterebbero le tariffe stabilite per i notai,ecc. La minaccia, quindi, deH'indignazione divina non dirime il problema dellainfallibililá o meno delle canonizzazioni.

4) Infine, bisogna notare che, in questa clausula, non si minacciadaH'indignazione divina chi non crederebbe alia verita della canonizzazione, machi andrebbe contro, cioé manifesterebbe esternamente il proprio dissenso. Glianatemi delle definizioni dogmatiche, invece, condannano prima di turto coloro

106 « Nulli ergo hominum liceat hanc paginam nostrorum definitionis, decreti, adscriptionis,statuti, concessionis, elargitionis et voluntatis infringere, vel ei ausu temerario contraire. Si quisautem hoc attentare praesumpserit, indignationem omnipotentis Dei, ac beatorum Petri et Pauliapostolorum Eius se noverit incursum » (Bull. Rom., ed. Taur., t. 10, p. 704b).

107 « Nulli ergo omnino hominum liceat hanc paginam nostrae absolutionis, concessionum,assignationis, deputationis, substitutionis, subrogationis, approbationis, confirmationis,innovationis, extensionis, ampliationis, impartitionis, obligationis, hypothecae, remissionis,condonationis, commissionis, inhibitionis, indultorum, decretorum, statutorum, praecepti,mandatorum, ordinationum, voluntatum, derogationis et declarationis infringere, vel ei ausutemerario contraire; si quis autem hoc attentare praesumpserit, indignationem omnipotentis Dei,ac beatorum Petri et Pauli apostolorum Eius se noverit incursum » (Bull. Rom., ed. Taur., t. 10,p. 291b).

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che non credono alia veritá defmita e solo dopo li minacciano di censure seesprimono pubblicamente il loro dissenso.

Per concludere con queste osservazioni relative alia formula dellacanonizzazione, ci sembra doveroso attirare l'attenzione sul fatto che, agli occhidello stesso papa Benedetto XIV (che puré la usó nella única cerimonia dicanonizzazione del suo regno — ma canonizzazione quintupla! — [29 giugno1746]108), tale formula non implicava con evidenza rinfallibilita poiché, comevedremo fra poco, egli ritiene che le due opinioni si possano sostenere (anche sepropende per rinfallibilitá)109.

4. La /ex orandi.

Si potrebbe anche, per tentare di provare rinfallibilitá delle canonizzazio-ni, ricorrere al celebérrimo adagio lex orandi legem statuat credendino epretendere che, poiché la Chiesa venera i santi nella sua liturgia, questo implicache si deve credere che questi santi sonó veramente tali. Ora, tale posizione si

108 Ecco la formula usata in tale circostanza da Benedetto XTV:Ad honorem Sanctae et individuae Trinitatis, ad exaltatíonem Fidei Catholicae,et Christianae Religionis augmentum, authoritate Domini Nostri Jesu Christi,beatorum Apostolorum Petri, et Pauli, ac Nostra; matura deliberationepraehabita, et Divina ope saepius implórala, ac de Venerabilium Fratrumnostrorum Sanctae Romanae Ecclesiae Cardinalium, Patriarcharum, Archiepisco-porum, et Episcoporum in Urbe existentium consilio, beatos Fidelem aSigmaringa Martyrem, Camillum de Lellis, Petrum Regalatum, Josephum aLeonissa, Confessores, ac Catharinam de Ricciis Virginem, Sanctos, ac Sanctamesse decernimus et definimus, ac Sanctorum Catalogo adscribimus: Statuentesab Ecclesia universali illorum memoriam quolibet anno, die eorum natali, nempeFidelis die vigésima quarta Aprilis ínter Sanctos Martyres, Camilli decima quintaJulii, Petri decimatertía Maii, Josephi quarta Februarii, Ínter Sanctos Confesso-res non Pontífices, et Catharinae decimatertia ejusdem mensis Februarii ÍnterSanctas Virgines non Martyres, pía devotíone recoli deberé: In nomine Pattris,et Fitlü, et SpiritustSancti. Amen (BENEDICTOS XTV, De servorumDei..., cit.,1. 7 [ed. cit., t. 7, pp. 312-313]).

109 Questa sola osservazione rovina raffermazione di Mons. Veraja, secondo cui « che il Papa"voglia chiaramente impegnare la sua infallibilitá" nelle canonizzazioni/o/mz/z pare fuori dubbio »(Fabijan VERAJA, La canonizzazione equipollente e la questione dd náracoli nelle cause dicanonizzazione, Roma, 1975, p. 14, nota 19).

110 Tale adagio (sotto la forma: [...] ut legem credendi lex. statuat supplicandi) proviene da uninsieme di capitula antípelagiani, chiamato anche Indiculus de gratia Dei, opera probabile diProspero di Aquitania (secondo M. CAPPUYNS, « L'origine des Capitula pseudo-célestiniens contrele semi-pélagianisme », Revue bénédictine, 41 [1929], pp. 156-170), ma ha acquisito grandediffusione quando Dionigi il Piccolo inserí Topera nella sua Decretalium collectio sotto il nomedel Papa Celestino I (DS 246). — Ved. anche P. DE CLERCK, « "Lex orandi, lex credendi", Sensoriginel et avatars historiques d'un adage equivoque », Questions liturgiques 59 (1978), pp. 193-212.

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urta almeno a due difficoltá insuperabili: da un lato, il caso dei santi inesistenti;dall'altro, il caso dei beati.

a. I santi dubbi o inesistenti111.

Se l'adagio vale, vale evidentemente per tutti i santi, anche per quelli chenon sonó stati canonizzati dal Papa: se si celebra litúrgicamente un santo, questié veramente tale. Ora, come si sa, piú di un « santo » deve la sua esistenza (e ilsuo culto litúrgico) solo alia fantasía degli agiografi o all'ignoranza dei fedeli, senon alia cristianizzazione di culti antecedenti. Senza andaré a esaminare « tutti isanti delle nove diócesi di Bretagna », di cui Rabelais si faceva giá beffe112, tuttisanno come, a Roma, i fondatori dei tituli sonó automáticamente diventati santi:il titulus Eusebii diventa titulus S. Eusebii, il titulus Pudentianae diventa il titulusS. Pudentianae1", il titulas Práxedis diventa titulus S. Práxedis, ecc.; in modoanálogo Costanza (o Costantina) diventa S. Costanza.

Ma la « creazione » di santi non é limitata a Roma:

Si é raccontato spesse volte l'awentura di quel responsabile della viabilita la cuiinscrizione, conservata in una chiesa spagnola, dette nascita al culto di S. Viar,fino al giorno in cui si ristabill il testo frammentario: .. praefectuS Viarzwz114.

Si potrebbero citare molti altri esempi115. Questi bastano a mostrare

111 Su questo argomento, si puó védete, in part., il capitulo 5, intitolato « Les saints qui n'ontjamáis existe » dell'opera giá diverse volte citata di H. Delehaye, SANCTVS (pp. 208-232).

112 «Je vous jure le bon vraybis, que si cestuy monde, béat monde, ainsi á un chascunprestant, ríen ne refusant, eust pape foizonnant en cardinaulx et associés de son sacre colliége, enpeu d'années vous y voiriez les sainctz plus druz, plus miraclificques, á plus de lecons, plus deveuz, plus de bastons et plus de chandelles, que ne sont tous ceulx des neufz éveschéz deBretaigne. Exceptez seulement sainct Ivés »(Frangois RABELAIS, Le tiers lívre, c. 4; in RABELAIS,(Euvres completes, edd. Jacques BOULENGER & Lucien SCHELER, París, NRF-Gallimard["Bibliothéque de la Pléiade"], 1955, p. 344).

113 A diré il vero, in questo caso si assiste non solo a una « canonizzazione », ma anche a uncambiamento di sesso. Infatti, il fondatore del titolo era un certo Pudens e, di consequenza, iltitolo fu chiamato titulus Pudentis o titulus Pudentianus o ecclesia Pudentiana. Questa ultimadicitura, se messa al genitivo, come era spesso il caso nelle iscrizioni che indicavano Tappartenen-za di un chierico a una determinata chiesa, diventa ecclesiae Pudentianae, che puó essere capitocome « della chiesa di Pudentiana»; e arriviamo cosí a ecclesia Pudentianae, poi titulusPudentianae e titulus S. Pudentianae (ved. Dictionnaire d'Archéologie chrétienne et de Liturgie,t. 14, coll. 1970-1971).

114 H. LECLERCQ, art. « Saint », in Dictionnaire d'Archéologie chrétienne et de Liturgie, 15,col. 445.

115 Ved. íbid.. — Non resistiamo tuttavia al piacere di citare un altro esempio, per noisignificativo, anche perché il Papa stesso vi interviene e sancisce con la sua autoritá il culto resoai « santi »:

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come dall'esistenza di un culto, perfino di un culto litúrgico, anche approvatodalla autoritá ecclesiastica, non si puó concludere alia infallibilitá della canonizza-zione.

b. I beati.

Alia stessa conclusione porta Tésame del caso dei beati. D Papa concedeun culto litúrgico in onore di un determinato servo di Dio, ma, come vedremoinfra (p. 50), non intende mínimamente con ció portare un giudizio definitivosulla santitá di questo servo di Dio.

c. Un necessario capovolgimento.

Tutto ció non fa che manifestare i limiti dell'adagio lex orandi legemstatuat credendi e mostra quanto é legittimo il capovolgimento che Pió XII ritennenecessario di operare (ma che, purtroppo, é stato un po' dimenticato):

[...] Ecclesia ac SS. Patres, cum de aliqua veritate dubia controversaquedisceptabatur, a venerandis etiam ritibus ex antiquitate traditis lumen petere nonpraeteriere. Itaque notum et venerandum illud habetur effatum: « Legemcredendi lex statuat supplicandi ». Sacra igitur Liturgia catholicam fidem absolutesuaque vi non designat ñeque constituit; sed potíus, cum sit etiam veritatumcaelestium professio, quae Supremo Ecclesiae Magisterio subicitur, argumentaac testimonia suppeditare potest non parvi quidem momenti, ad peculiare

De la présence de trois stéles funéraires romaines encastrées dans le dallage del'église S.-Michel, á Etting (Baviére), on conclut des le XVe siecle á la présencede trois saints inconnus. Quand, lors de la contre-réformation, il parut bon deleur donner un ñora, on tira des inscriptions mal lúes le trio Archus, Herenneuset Guardanus ; leur cuite fut définitivement institué en 1627 et des indulgencesspéciales accordées aux pélerins par le pape Clément X, en 1676. Or voicicomment on a tiré ees saints de la seule épitaphe á peu prés lisible, insérée auCorpus inscrípt. latín., t. ffl, n. 5909 :

D- HERENNOSECVNDO- DVPL

V- I- I- OC- S- LO VTX E- IV-

VA- IAN- VAGVS.fflC

D(ecimo) Herrennio Secundo devint le second saint, d(ivo) Herenneo, quisemuaplus tard en Irénée. Dans le nom de celui qui avait elevé l'épitaphe á cedupl(arius), on voyait VA- LAN- V; on en tira Guardanus ou Quartanus, peut-étre sous l'influence du chiffre IV qui précédait (il appartenait en réalité á l'ágedu légionnaire). Manquait le premier saint : un érudit local dut se rappeler legrec ápxós * le premier, le chef » et Archus était trouvé; ainsi on invoqua lessaints Archus, Ireneus et Quartanus. II est superflu d'ajouter qu'on chercheraitinutilement leurs noms au martyrologe hiéronymien (A. R., « Trois saints nésd'une épitaphe romaine », Reme épigraphique 1 [1914], pp. 261-262; cit. daH.LECLERCQ, an. laúd., col. 445).

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decernendum christianae doctrinae caput. Quodsi volumus eas, quae ínter fidemsacramque Liturgiam intercedunt, radones absoluto generalique modo internosce-re ac determinare, iure meritoque dici potest: « Lex credendi legem statuatsupplicandi » (Plus XII, Ene. Mediator Dei, 20 nov. 1947 [AAS 39 (1947),pp. 521-595 (p. 541)]).

5. La posizione di S. Tommaso.

Tenuto contó di tutto quanto abbiamo detto fin qui a proposito dell'infalli-bilitá delle canonizzazioni, la posizione piü ragionevole mi sembra essere quelladi S. Tommaso, che, a volte, si é voluto arruolare fra gl'infallibilisti, ma che inrealtá propone una soluzione di buon senso, fondata sulla convinzione di fede chelo Spirito Santo assiste la Chiesa, senza che sia necessario, nel caso specificodelle canonizzazioni, spingere questa assistenza fino alia garanzia deH'infallibilitá.Interrógalo, nel corso di una disputa quodlibetale (tenuta probabilmentenell'awento 1257 a Parigi), se tutti i santi canonizzati dalla Chiesa sonó nellagloria o se alcuni sonó in inferno, cosí determinó:

Responsio. Dicendum quod aliquid potest iudicari possibile secundumse consideratum, quod relatum ad aliquid extrinsecum inpossibile inuenitur. Dicoergo quod iudicium eorum qui presunt ecclesie errare in quibuslibet, si personeeorum tantum respiciantur, possibile est. Si uero consideretur diuina prouidenciaque ecclesiam suam Spiritu sancto dirigit ut non erret, sicut ipse promisitlohannis xvi [13], quod Spiritus adueniens doceret omnem ueritatem, denecessariis scilicet ad salutem, certum est quod iudicium ecclesie uniuersaliserrare in bus que ad fidem pertinent, inpossibile est; unde magis est standumsentencie Pape, ad quem pertinet determinare de fide, quam in iudicio proferret,quarn quorumlibet sapientum hominum in scripturis opinioni, cum Caypbas,quamuis nequam, tamen quia pontifex legatur etiam inscius prophetasse,lohannis xi [51]. In aliis uero sentenciis, que ad particularia racta pertinent, utcum agitur de possessionibus uel de criminibus uel de huiusmodi, possibile estiudicium ecclesie errare propter falsos testes.

Canonizatio uero sanctorum médium est Ínter hec dúo; quia tamenhonor quem sanctis exhibemus quedara professio fidei est, qua sanctorumgloriam credimus, pie credendum est quod nec etiam in hiis iudicium ecclesieerrare possit (Quodlibet 9, a. 16, c. [EL 25, p. 119]).

Come si vede, S. Tommaso é convinto che la Chiesa non sbaglia nellacanonizzazione dei santi; pero questa convinzione, fondata sulla consapevolezzadell'assistenza dello Spirito Santo, é di un altro tipo che non la certezzadeH'infallibilitá della Chiesa nell'ambito delle veritá di fede: in quest'ultimo caso,certum est quod impossibile est, per quanto riguarda le canonizzazioni, piecredendum est quod non possit.

Sarebbe istruttivo condurre una inchiesta sugli altri casi (pochi in veritá:meno di dieci) in cui il nostro Dottore usa l'espressione pie creditur o pie

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credendum est116, poiché, nonostante l'apparenza, non c'é una distinzione moltorilevante fra queste due espressioni117. Limitiamoci qui ad una sommariaprospettiva d'insieme.

S. Tommaso usa l'espressione che ci occupa per affermare che isacramenti impartiti da un sacerdote o da un vescovo che non avrebbe ricevuto

116 Come mostra l'esempio che diamo qui di seguito, l'espressione risale almeno a S. Agostinoe potrebbe essere interessante studiare la sua fortuna e le sue sfumature attraverso la letteraturateológica. Esaminando il problema della « comunione frequente », S. Tommaso cosí determinanella Summa (ma la stessa citazione di S. Agostino si trova giá in Super 4 Sent., d. 12, q. 3, a. 1,sol. 2 [Moos, pp. 533-534] e ibid., a. 2, q11, arg. 3 [Moos, p. 535]):

Dicendum quod reverenda huius sacramenti habet timorem amori coniunctum;unde timor reverentiae ad Deum dicitur timor filialis, ut in Secunda Parte [T H",q. 67, a. 4, ad 2m; IP W°, q. 19, aa. 9, 11 & 12] dictum est. Ex amore enimprovocatur desiderium sumendi; ex timore autem consurgit humilitas reverendi.Et ideo utrumque pertinet ad reverentiam hüius sacramenti, et quod quotidiesumatur, et quod aliquando abstineatur. Unde Augustinus dicit [Epist. 54, c. 3(PL 33, 201)]: « Si dixerit quispiam non quotidie accipiendam Eucharistiam,alius contra [Piona : affirmat quotidie Leonina]: faciat unusquisque quodsecundum fidem suam pie credit esse faciendum. Ñeque enim litigaverunt Ínterse Zacchaeus et Ule Centurio, cum alter eorum gaudens suscepit Dominum [cf.Le 19,6], alter dixit [Mt 8,8]: "Non sum dignus ut intres sub tectum meum",ambo Salvatorem honorificantes, quamvis non uno modo ». Amor tamen et spes,ad quae semper Scriptura nos provocat, praeferuntur timón; unde et cum Petrusdixisset [Le 8,5]: « Exi a me, Domine, quia homo peccator sum », responditlesus [Le 5,10]: « Noli timere » (IIP, q. 80, a. 10, ad 3m).

Come si vede, in S. Agostino, l'espressione píe credit traduce un giudizio personale esoggettivo sulla propria situazione spirituale e S. Tommaso, pur accogliendo la posizione diS. Agostino (ved. il corpus di questo stesso articolo), ritiene tuttavia necessario di precisare comestanno le cose in sé. E quando l'espressione píe creditur (et aliae huiusmodf) viene sotto la pennadi S. Tommaso, non si tratta piü di una valutazione soggettiva, ma piuttosto di un giudiziooggettivo che tutti i cristiani sonó invitati a portare su un determinato argomento.

117 M. Schenk (op. cit. [supra, nota 84], pp. 176-177) insiste sul fatto che « "pie credendum"ist nicht "pie creditur", ist nicht "pie credibile", ist nicht "pium est credere" ». Tale osservazione,in sé incontestabile, non ha tuttavia rimportanza che sembra annetterle il suo autore. Senza entrarein considerazioni, qui probabilmente non del turto impertinenti, sull'indebolimento del senso diobbligo dell'aggettivo verbale giá percettibile.nel latino classico (ved. Alfred ERNOUT & FrancoisTHOMAS, Syntaxe latine, París, Klincksieck, 19532, p. 287) e assai diffuso nel latino tardivo emedievale (ved. Dag NORBERG, Manuel pratique de latín medieval, Paris, A. & J. Picard["Connaissance des langues, 4"], 1980, p. 104; cf. Veikko VÁÁNÁNEN, Introduction au loanvulgaire, Paris, Klincksieck ["Bibliothéque francaise et romane, A : Manuels et étudeslinguistiques, 6"], 19813, p. 132 & pp. 140-141), si deve notare che, quando S. Tommaso dice:pie creditur, non si tratta per lui di fare la semplice constatazione di un dato di fatto, bensl (comee chiaro per chi legge i testi) di approvare e legittimare questo fatto; cosicché, la distinzione chepassa fra pie credendum est e pie creditur e, pressappoco, quella che passa fra « secondo pietá,si deve credere che... » e « secondo pietá, si ha ragione di credere che... ». — Aggiungiamo cheS. Tommaso non usa mai le espressioni pie credibile e pium est credere.

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il battesimo sortirebbero tuttavia, per intervento divino, il loro effetto ultimo118;quando riporta, nel Commento alie Sentenze, l'opinione di chi dice che unbambino battezzato da chi non ha l'intenzione richiesta riceve tuttavia lasalvezza119; quando si tratta della assunzione della Beata Vergine María e di quelladi S. Giovanni120; quando, infíne, espone il modo particolare di agiré di alcunisacramentali, come l'acqua santa121.

Si potra costatare che si tratta sempre di casi in cui, almeno secondoS. Tommaso, non esiste né puó esistere un insegnamento infallibile della Chiesa,perché non ce ne sonó i fondamenti nella Rivelazione (o perché non si tratta direaltá necessarie alia salvezza), ma in cui, tuttavia, ci sonó motivi, piú o menodecisivi, di pensare che le cose siano in un determinato modo. Questi motivi, perlo piü, si possono ricondurre alia conoscenza genérale che la Rivelazione cifornisce del modo consueto di agiré di Dio. Quando dunque si trae da questomodo consueto delle conclusioni quanto a tale o tale problema lasciato nell'ombradalla Rivelazione, si fa una cosa pía, perché si dimostra cosí il rispetto filíale chesi ha per Dio e la coerenza del suo agiré122, ma, piü precisamente, si fa un

118 « [...] dicendum quod talis [se. vir non baptizatus] si ad sacerdotium promoveatur, non estsacerdos, nec conficere potest, nec absolvere in foro poenitentiali; unde secundum cañones debetbaptizan itérate, et ordinari. Et si etíam in Episcopum promoveatur; ilü quos ordinat, non habentordinem. Sed tamen pie credi potest quod quantum ad últimos effectus sacramentorum SummusSacerdos suppleret defectum, et quod non permitteret hoc ita latere quod periculum Ecclesiaeimminere potest » (Super 4 Sent., d. 24, q. 1, a. 2, q" 3, ad 2m [Parm. 7, p. 891b]).

119 « [...] Si autem sit puer, tune creditur pie quod summus sacerdos, scilicet Deus, defectumsuppleat et salutem ei conferat. Si tamen non facit, non iniuste facit, sicut nec in illo quisacramento non subjicitur » (Super 4 Sent., á. 6, q. 1, a. 2, q" 1, ad 2m [Moos, p. 237].)

120 « [...] resurrectio quorundam membrorum nobilium propter vicinitatem ad caput, non estdilata usque ad finem mundi, sed statim resurrectionem Christi secuta est, sicut pie creditur debeata Virgine et Joanne Evangelista » (Super 4 Sent., d. 43, q. 1, a. 3, qa 1, arg. 2 [Parm. 7,p. 1062b] — Come si vede il passo citato si trova in obiezione, ma S. Tommaso non contesta,nella sua risposta, che sia « pió » credere che la Madonna e S. Giovanni siano risuscitati primadegli altri; rifiuta, invece, che ció sia dovuto alia loro maggiore conformita a Cristo [cf. ibid., ad2m]. — II passo, quasi idéntico — ma con una significativa variante — che si legge nelle edizionidelle Collationes in Symbolum Apostolorum, a. 5 [Marietti, n. 939], e sicuramente unainterpolaáone).

121 « [•••] Quedara uero sunt que causant remissionem uenialis peccati secundum dúopredictorum : non enim causant gratiam set excitant rationem ad aliquid considerandum quodexcitet caritatis feruorem ; et etiam pie creditur quod uirtus diuina interius operetur excitandodilectionis feruorem, et hoc modo aqua benedicta, benedictio pontificalis et huiusmodisacramentalia causant remissionem uenialis peccati » (QQ. DD. de malo, q. 7, a. 12, c. [EL 23,pp. 189b-190a] — Questo testo necessiterebbe di un approfondito commento relativo alia dottrinadi S. Tommaso sui sacramentali, dottrina completamente dimenticata dalla teología moderna. Suquesto si puó vedere, in part., il Gaetano, In IIF* Partem, q. 83, a. 4 [EL 12, p. 276]).

122 Lascio da parte la questione di sapere se si tratta della pietá come virtü (di cui in na üac,q. 101 [in quanto riferita a Dio, ved., in part., a. 3, ad 2m]) o della pietá come dono (di cui ibid.,q. 121).

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ragionamento per analogia e quindi il concertó piú appropriato per qualificare lacredenza alia quale si approda sará quello di « ragionevole » e, difatti, nellaSumma, S. Tommaso non usa mai l'espressione pie creditur123, ma, a propositodell'assunzione di María e della sua santifícazione in útero, dice rationabilitercreditur124, sottolineando cosí l'attivitá razionale che porta alia convinzione difede.

Da queste brevi notazioni possiamo concludere che con pie credendum esto pie creditur non viene espressa una precisa « nota teológica », se é lecito usarequesto termine anacrónico. Si tratta, invece, di espressioni alia portata moltovariabile, la quale dipende dalla certezza intrínseca della conclusione teológica checosí viene qualifícata e, cioé, dalla certezza e dall'estensione delle premesse apartiré dalle quali si sviluppa il ragionamento. É chiaro che, cosí, per S. Tomma-so, l'inerranza nella canonizzazione, che si fonda sulla veritá di fede dellaassistenza dello Spirito alia Chiesa, senza essere una conclusione necessaria, étuttavia assai piú certa che non la santifícazione in útero o l'assunzione di Mariache si fondano su un ragionamento a fortiori; e si capisce perché dice a quelproposito: pie credendum est, mentre negli altri casi si limita a diré piecreditur125. Rimane tuttavia che, non avendo né potendo avere fondamentopreciso nella Rivelazione, la canonizzazione non puó essere considérala come attogarantito daH'infallibilitá, bensi come atto che la fede che abbiamo nella assistenzagenérale dello Spirito alia Chiesa ci invita a considerare come salvaguárdatedall'errore.

La pietá, quindi, e la ragione ci persuadono a credere che i santicanonizzati dalla Chiesa sonó effettivamente nella gloria.

123 Tranne quando cita S. Agostino in IIIa, q. 80, a. 10, ad 3m (ved. sopra, nota 116).

124 « Dicendum quod de santificatione Beatae Mariae, quod scilicet fuerit sanctificata in útero,nihil in Scriptura canónica traditur; quae etiam nec de eius nativitate mentíonem facit. Sicut tamenAugustinus, in sermone De Assumpt. [Ps.-AUGUSTlNtrs (PL 40, 1141)] ipsius Virginis,rationabiliter argumentatur quod cura corpore sit assumpta in caelum, quod tamen Scriptura nontradit; ita etiam rationabiliter argumentan possumus quod fuerit sanctificata in útero. Rationabiliterenim creditur quod illa quae genuit "Unigenitum a Patre, plenum gratiae et veritatis" [loann. 1,14], prae ómnibus alus maiora privilegia gratiae acceperit; unde, ut legitur Lúe. 1,28, Ángelus eidixit: "Ave, Maria, gratia plena". Invenimus autem quibusdam ah'is hoc privilegialiter esseconcessum ut in útero sanctificarentur; sicut leremias, cui dictum est, lerem. 1,5: "Antequamexires de vulva, sanctificavi te"; et sicut loannes Baptista, de quo dictum est, Lúe. 1,15: "SpiritúSancto replebitur adhuc ex útero matris suae". Unde rationabiliter creditur quod Beata Virgosanctificata fuerit antequam ex útero nasceretur » (IIIa, q. 27, a. 1, c. — É evidente che, dal puntodi vista sotto il quale consideriamo le cose ora, non si tratta di portare, col senno di poi, ungiudizio sulla veritá di quanto insegna qui S. Tommaso, ma di cercare di determinare il senso delleespressioni da luí úsate).

125 O, addirittura, nel caso della supplenza divina quanto alia res dei sacramenta impartid dachi non sarebbe sacerdote, pie credi potest (v. sopra, nota 118). — Notiamo anche come la stessaespressione pie creditur riveste una portata diversa quando si tratta della supplenza nel battesimoinvalido, dove S. Tommaso affenna esplicitamente la possibilitá del caso contrario (v. sopra,nota 119) e quando si tratta della risurrezione anticipata di Maria e di S. Giovanni Evangelista,dove non é evocata tale possibilitá (v. sopra, nota 120).

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6. La posizione di Benedetto XIV.

A conclusione di questa trattazione, se ci chiediamo cosa la dottrina dellaChiesa impone in questo campo, credo che dobbiamo accettare, quale che sia lanostra posizione persónate sulla infallibilitá, le conclusioni di Benedetto XIV.Egli, molto opportunamente, distingue due questioni: primo, é di fede che lecanonizzazioni sonó infallibili? e, secando, si puó negare che un determinato santocanonizzato sia salvato?

Alia prima demanda, risponde:

Videtur [... ] nobis utraque opinio in sua probabilitate esse relinquenda, usquequoSedis Apostolicae judicium prodeat (op. cit., 1. 1, c. 45, n. 27 [ed. cit., t. 1,p. 335b]).

Alia seconda demanda, risponde:

[...] si non haereticum, temerarium tamen, scandalum toti Ecclesiae afferentem,in Sonetos injuriosum, faventem Haereticis negantíbus auctoritatem Ecclesiae inCanonizatione Sanctorum, sapientem haeresim, utpote viam sternentemInfidelibus ad irridendum Fideles, assertorem erroneae propositionis, etgravissimis poenis obnoxium dicemus esse, qui auderet asserere, Pontifican inhac, aut illa Canonizatione errasse, huncque, aut illum Sanctum ab eo canoniza-tum non esse culta duliae colendum: quemadmodum assentiuntur etiam illi, quidocent, de fide non esse, Papara esse infallibilem in Canonizatione Sanctorum,nec de fíde esse, hunc, aut illum Canonizatum esse Sanctum (ibid., n. 28 [ed.cit., t. 1, p. 336b])126.

126 Forse queste affermazioni avrebbero bisogno di una certa precisazione. Senz'altro, lecensure elencate dal nostro autore si applicano a chi senza motivo suficiente e pubbUcamentenegherebbe o porrebbe in dubbio la santitá di un santo canonizzato. Pero, e finché non é definita1'infallibilitá delle canonizzazioni, mi pare che uno studioso, che riterrebbe di avere/oratoz motiviper negare la santitá di un santo canonizzato o dubitarne e che non darebbe pubblicitá a questa suaposizione, non cadrebbe sotto le dette censure. Mi sembra che agirebbe secondo quantoraccomanda la Istruzione Donum verítatts della Congregazione per la Dottrina della Fede (24maggio 1990):

Etiamsi doctrina fidei in discrimen non adducatur, theologus opiniones suas velhypotheses suas contrarias non exhibebit, quasi de conclusionibus agatur, quaenullam controversiam admittant. Quod exigitur ob reverentiam tum ergaveritatem, tum erga Populum Dei (cf. Rm 14, 1-15; 1 Cor 8; 10, 23-33). Obeasdem causas, ipse abstinebit ab earum publica declaratione intempestiva (n. 27[AAS 82 (1990), p. 1561]).

Si puó, d'altronde, far osservare che il P. Paul De Vooght aveva negato il valore dellacanonizzazione di S. Giovanni Nepomuceno (v., inpart., « Les dimensions réelles de l'infaillibilitépápale », in L 'infaillibilité, son aspect philosophique et théologique, París, Aubier, 1970). Nonrisulta che sia mai stato colpito da alcuna censura. — u P. Piacentini afferma che « De Vooght,dopo circa 20 anni dalla polémica, onestamente, conosciuta la venta storica, ha fatta una"rétractation" cioé ha ritrattato le sue affermazioni contra 1'infallibilitá del papa in materia dicanonizzazione per quanto riguardava in particolare il Nepomuceno » (Ernesto PIACENTINI, op.cit. [alia nota 84], p. 16; affermazione ripresa p. 29, nota 57 & p. 33). Ora siamo qui di frontead un madornale errore, che dimostra come il Piacentini non abbia letto nemmeno superficialmentelo scritto del De Vooght al quale rimanda, limitandosi a prender conoscenza del suo titolo efraintendolo. Infatti, alia fine del suo poderoso studio sulla eresia di Giovanni Huss, Paul De

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C. La beatificazione .

Dal punto di vista teológico, ch'é il nostro punto di vista qui, la beatifica-zione non dovrebbe porre grandi problemi. Si tratta, come si sa, della concessio-ne, da parte della Chiesa, di un culto limitato a certi luoghi o a certe congregazio-ni religiose e mai nessuno, che io sappia, ha preteso che si debba considerare lebeatificazioni come infallibili: Benedetto XIV insiste sul carattere non definitivodella sentenza di beatificazione128.

É giocoforza, pero, notare come la differenza fondamentale fra canonizza-zione (che é giudizio definitivo e precettivo per la Chiesa universale) e beatifica-zione (che é permissione per alcune categorie di fedeli) tende a diventaredifficilmente awertibile da parte dei cristiani. Da un lato, infatti, a partiré daPaolo VI, il rito della beatificazione é officiato dal Papa in persona e, daH'altro,

Vooght inserisce una « ré-tractation » relativa al caso di Giovanni Nepomuceno (Paul DE VOOGHT,L'hérésie de Jean Huss, Louvain, Publications universitaires de Louvain ["Bibliothéque de laRevue d'Histoire ecclésiastique, Fascicule 35 bis"], 19752, pp. 995-1009). Come lo sottolinea iltrattino introdotto nella parola, non si tratta, come ha crédulo il P. Piacentíni, di una « ritrattazio-ne », nel senso di una palinodia, ma di una « ri-trattazione », cioé di una nuova trattazione. Inessa, De Vooght prende in esame le obiezioni che gli sonó state mosse (in part. da J. V. Polc) eribadisce in modo deciso le proprie posizioni, affermando che « saint Jean Népomucéne n'a pasexiste historiquement » e che « du point de vue théologique, il [luí] paraít inadmissible qu'on luisubstitue un autre personnage que l'Église n'a pas canonisé » (p. 1009).

127 Ved. Fabijan VERAJA, La Beatificazione. Storia, problemi, prospettive, Roma, S. Congrega-zione per le Cause dei Santi ("Sussidi per lo studio delle Cause dei Santi, 2"), 1983; GaetanoSTAND, « II rito della beatificazione da Alessandro VII ai nostri giorni >, in CONGREGAZIONE PERLE CAUSE DEI SANTI, Miscellanea in occasione del IVcentenario della Congregazione per le causedei Santi (1588-1988), Cittá del Vaticano, 1988, pp. 367-422.

128 Ecco come Benedetto XIV riassume le differenze fra la beatíficazione e la canonizzazione:12. [...] primo, [...] Beatificationem esse cultus permissionem, et

aliquando etiam posse importare cultus praeceptum, constitutum taruen per actumdirectum ad sententíam definitivam non adhuc prolatam, sed, accedentibus noviscircumstantiis, proferendam, etin nonnullis particularibus locis coercitum. [...]

13. [...] secondo [...] Beatorum cultus coarctari sane intra aliquamprovinciam, dioecesim, civitatem, aut religiosam Familiam; at aliquando tamenposse ad universam Ecclesiam extendi, citra tamen legem praecepti, sed permodum semplicis facultatis, et per actum minime extremum, nec ultimodefinitivum. [...]

14. Tertio denique [...] Canonizationem esse summi Pontificissententiam ultimo definitivam, qua cultus praecipitur in universa Ecclesia.Idcirco ultima differentía ínter Beatificationem et Canonizationem minimequidem constituenda erit vel in permissione cultus, vel in ejus coarctatione adpersonas, aut locos particulares, quae in Beatificatione habeatur, secus ac inCanonizatione; sed in extrema et definitiva de sanctitate sententia cultum alusSanctis debitum in universa Ecclesia per Canonizationem, nequáquam perBeatificationem praecipiente (BENEDICTOS XIV, De servorum Dei..., cit., 1.1,c. 39, nn. 12-14 [ed. cit., pp. 266b-267a]).

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anche se la formula della beatificazione é molto diversa da quella della canonizza-zione129, l'omelia che pronuncia il Papa in tale circostanza (la quale é certamen-te piü afferrabile dal popólo che non la formula stessa) potrebbe generalmenteconvenire benissimo per una canonizzazione130. A ció si aggiunge che, dacchéla riforma litúrgica ha reso il culto di molti santi facultativo, la differenza fraculto universale e culto particolare non corrisponde piü, in realtá, alia distinzionefra santi e beati, poiché molti santi (e parecchi dei santi recentemente canonizzati)non hanno diritto al culto universale obbligatorio. Una differenza tuttavia rimane,ed é che, a tutti e ovunque, é lecito far memoria di un santo, anche se questi nongode di una memoria obbligatoria, mentre non si puó far memoria di un beato senon quando siano realizzate le condizioni poste dal decreto di beatifícazione.

Perció, potrebbe essere opportuno che, per tradurre meglio la realtáteológica della beatifícazione e la sua distinzione dalla canonizzazione, essa vengacelébrala con una cerimonia litúrgica che si distingua piü nettamente da quella inuso per la canonizzazione.

129 Quistamente scrive a tale riguardo il P. G. Stano:Ma l'elemento propriamente diversificante fra i due riti e la formula, che nerende il signifícate specifico teológico e giuridico, rimarcando la differenzasostanziale tra l'atto di beatifícazione e quello di canonizzazione: essendo laprima, una concezione indultiva di culto, sia puré ufficialmente autorizzato nellaChiesa, ma limitato e circoscritto nei luoghi e nelle forme manifestative; laseconda, invece, un atto o sentenza definitiva del Sommo Pontefice, che iscriveun Servo di Dio (sólitamente giá annoverato tra i Beati), nel catalogo dei Santi,indicándolo alia venerazione della Chiesa universale. Ed 6 specialmente suquesto punto, che va richiamata e diretta l'attenzione e riflessione dei fedeli, peruna piú esatta comprensione delle cose ed un maggiore approfondimento di riticosí venerandi e significativi (Gaetano STANO, art. cit,, p. 422).

130II Pontefice regnante ebbe a diré, ad es., neU'omelia della messa di beatificazione di Mons.Josemaría Escrivá de Balaguer e di Suor Giuseppina Bakhita:

« Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uní gli altri; come io vi hoamato, cosí amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che sietemiei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri » [Gv 13, 34-35]. Con questeparole di Gesú si conclude il Vangelo della Messa di oggi. In questa fraseevangélica troviamo la sintesi di ogni santitá; della santitá che hanno raggiunto,per strade diverse ma convergenti nella stessa ed única meta, Josemaría Escriváde Balaguer e Giuseppina Bakhita. Essi hanno amato Dio con tutta la forza delloro cuore ed hanno dato prova di una carita spinta fino all'eroismo mediante leopere di servizio agli uomini, loro fratelli. Perció la Chiesa li eleva oggi aglionori degli altari e li presenta come esempi nelTimitazione di Cristo, che ci haamato e ha donato se stesso per ognuno di noi [Cf. Gal 2, 20] (IOANNESPAULUS II, Homilía inforo S. Petri habita ob decretos Servís Dei losephmariaeEscrivá de Balaguer et losephinae Bakhitae Beatorum caelitum honores, 17 maii1992 [AAS 85 (1993), pp. 241-246 (p. 246)]).

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VIH. Conclusione.

«Si vis Deo et Sanctis placeré [...]; inspice vitam Sanctorum, legedoctrinara eorum, ut cum Sanctis sanctus fias, et a Sanctis erudiaris; per Sanctosadjuveris, a Sanctis exaudiaris, cum Sanctis coroneris1"-131

Roma, 12 décembre 1998.

Daniel Oís, O. P.

131 THOMAS A KEMPIS, De disciplina claustralium, c. 15, n. 2, in Ven. Viri THOMAEMALLEOLI A KEMPIS, Canonici Regularis Ordinis D. Augustini, Opera omnia f . . J, opera ac studioR. P. Henrici SOMMALn, é Societate Jesu, ed. 7a, Coloniae Agrippinae, apud Hermannum DemenBibliopolam, sub signo Monocerotis, Anno M.DC.LXXX, pp. 519-541 (pp. 539-540).

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Í N D I C E

I. Brevi considerazioni etimologiche 2

II. La santitá nella Sacra Scrittura . . . . 8A. L'Antico Testamento 8B. II Nuovo Testamento 9

III. La santitá secondo i Padri 10A. L'uso delle parole sanctus e áyLoq 10

1. II cristianesimo primitivo 102. L'epoca patrística 11

B. La concezione patrística della santitá 13

IV. La santitá secondo il concilio Vaticano II 13

V. Riflessione teológica sulla santitá 15A. La santitá divina 15B. La santitá umana 16

VI. II ruólo dei beati 24A. II vítale consortium 24B. Breve richiamo di alcune nozioni sul mérito 26

1. II mérito in senso univoco (mérito secondo giustizia;mérito ex condigno) 26

2. II mérito analógicamente detto (o mérito ex congruo). . . 273. I punti di applicazione del mérito ex condigno e del

mérito ex congruo (nel campo soprannaturale). . . . 28C. L'intercessione dei beati 28D. L'esempio dei beati 30E. Una vera comunione 30

VIL La canonizzazione 31A. Perché canonizzare? 31

1. Una necessaria disciplina 312. Una proposta autorevole 32

B. II valore dogmático della canonizzazione 321. I fatti dogmatici 322. La canonizzazione come fatto dogmático 343. La formula della solenne canonizzazione 36

a. La formula stessa 36b. La censura annessa 38

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(1) L'anatema 39(2) L'indignazione 39

4. La lex orandi 42a. I santi dubbi o inesistenti 43b. I beati 44c. Un necessario capovolgimento 44

5. La posizione di S. Tommaso 456. La posizione di Benedetto XIV 49

C. La beatificazione 50

VIII. Conclusione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52