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Letteratura italiana Einaudi Odi di Giuseppe Parini

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Letteratura italiana Einaudi

Odi

di Giuseppe Parini

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Letteratura italiana Einaudi

Edizione di riferimento:Le odi, edizione critica a cura di Dante Isella,Ricciardi, Milano-Napoli 1975

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L’innesto del vaiuolo 1

La salubrità dell’aria 7

La vita rustica 12

Il bisognoAl sig. Wirtz pretore per la Repubblica Elvetica 16

Il brindisi 19

La impostura 21

Il piacere e la virtù 25

La primavera 27

La educazione 29

La laurea 35

La musica 41

La recita de’ versi 45

La tempesta 47

Le nozze 51

La caduta 54

Il pericolo 58

Piramo e TisbeAd uno improvvisatore 62

AlcesteAl medesimo 64

La magistraturaPer Cammillo Gritti pretore di Vicenza nel 1787 66

In morte del maestro Sacchini 73

Sommario

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ivLetteratura italiana Einaudi

Il donoPer la Marchesa Paola Castiglioni 76La gratitudine Per Angelo Maria Durini cardinale 78Per l’inclita Nice 88A Silvia 93Alla Musa 98

Sommario

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1Letteratura italiana Einaudi

L’INNESTO DEL VAIUOLO

al dottore

giammaria bicetti de’ buttinoni

O Genovese ove ne vai? qual raggioBrilla di speme su le audaci antenne?Non temi oimè le penneNon anco esperte degli ignoti venti?Qual ti affida coraggio 5All’intentato pianoDe lo immenso oceano?Senti le beffe dell’Europa, sentiCome deride i tuoi sperati eventi.

Ma tu il vulgo dispregia. Erra chi dice, 10Che natura ponesse all’uom confineDi vaste acque marine,Se gli diè mente onde lor freno imporre:E dall’alta pendiceInsegnolli a guidare 15I gran tronchi sul mare,E in poderoso canape raccorreI venti, onde su l’acque ardito scorre.

Così l’eroe nocchier pensa, ed abbatteI paventati d’Ercole pilastri; 20Saluta novelli astri;E di nuove tempeste ode il ruggito.Veggon le stupefatteGenti dell’orbe ascosoLo stranier portentoso. 25Ei riede; e mostra i suoi tesori arditoAll’Europa, che il beffa ancor sul lito.

Più dell’oro, bicetti, all’Uomo è caraQuesta del viver suo lunga speranza:

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Più dell’oro possanza 30Sopra gli animi umani ha la bellezza.E pur la turba ignaraOr condanna il cimento,Or resiste all’eventoDi chi ’l doppio tesor le reca; e sprezza 35I novi mondi al prisco mondo avvezza.

Come biada orgogliosa in campo estivo,Cresce di santi abbracciamenti il frutto.Ringiovanisce tuttoNell’aspetto de’ figli il caro padre; 40E dentro al cor giulivoContemplando la spemeDe le sue ore estreme,Già cultori apparecchia artieri e squadreA la patria d’eroi famosa madre. 45

Crescete o pargoletti: un dì sareteTu forte appoggio de le patrie mura,E tu soave cura,E lusinghievol’ esca ai casti cori.Ma, oh dio, qual falce miete 50De la ridente messeLe sì dolci promesse?O quai d’atroce grandine furoriNe sfregiano il bel verde e i primi fiori?

Fra le tenere membra orribil siede 55Tacito seme: e d’improvviso il destaUna furia funestaDe la stirpe degli uomini flagello.Urta al di dentro, e fiedeCon lièvito mortale; 60E la macchina frale

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O al tutto abbatte, o le rapisce il bello,Quasi a statua d’eroe rival scarpello.

Tutti la furia indomita voraceTutti una volta assale ai più verd’anni: 65E le strida e gli affanniDai tugurj conduce a’ regj tetti;E con la man rapaceNe le tombe condensaProle d’uomini immensa. 70Sfugge taluno è vero ai guardi infetti;Ma palpitando peggior fato aspetti.

Oh miseri! che val di medic’ arteNè studj oprar nè farmachi nè mani?Tutti i sudor son vani 75Quando il morbo nemico è su la porta;E vigor gli comparteDe la sorpresa salmaLa non perfetta calma.Oh debil’ arte, oh mal secura scorta, 80Che il male attendi, e no ’l previeni accorta!

Già non l’attende in oïente il foltoPopol che noi chiamiam barbaro e rude;Ma sagace deludeIl fiero inevitabile demòne. 85Poichè il buon punto ha coltoOnde il mostro conquida,Coraggioso lo sfida;E lo astrigne ad usar ne la tenzoneL’armi, che ottuse tra le man gli pone. 90

Del regnante velen spontaneo eleggeQuel ch’è men tristo; e macolar ne suoleLa ben amata prole,

Giuseppe Parini - Le odi

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Che non più recidiva in salvo torna,Però d’umano gregge 95Va Pechino coperto;E di femmineo mertoTesoreggia il Circasso, e i chiostri adornaOve la Dea di Cipri orba soggiorna.

O Montegù, qual peregrina nave, 100Barbare terre misurando e mari,E di popoli varjDisseppellendo antiqui regni e vasti,E a noi tornando graveDi strana gemma e d’auro, 105Portò sì gran tesauro,Che a pareggiare non che a vincer bastiQuel, che tu dall’Eussino a noi recasti?

Rise l’Anglia la Francia Italia riseAl rammentar del favoloso Innesto: 110E il giudizio molestoDe la falsa ragione incontro alzosse.In van l’effetto arriseA le imperse tentate;Chè la falsa pietate 115Contro al suo bene e contro al ver si mosse,E di lamento femminile armosse.

Ben fur preste a raccor gl’infausti doniChe, attraversando l’oceàno aprico,Lor condusse Americo; 120E ad ambe man li trangugiaron pronte.De’ lacerati troniGli avanzi sanguinosi,E i frutti venelosiStrinser gioiendo; e da lo stesso fonte 125De la vita succhiar spasimi ed onte.

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Tal del folle mortal tale è la sorte:Contra ragion or di natura abusa;Or di ragion mal usaContra natura che i suoi don gli porge. 130Questa a schifar la morteInsegnò madre amanteA un popolo ignorante;E il popol colto, che tropp’alto scorge,Contro ai consigli di tal madre insorge. 135

Sempre il novo, ch’è grande, appar menzogna,Mio bicetti, al volgar debile ingegno:Ma imperturbato il regnoDe’ saggi dietro all’utile s’ostina.Minaccia nè vergogna 140No ’l frena, no ’l rimove;Prove accumula a prove;Del popolare error l’idol rovina,E la salute ai posteri destina.

Così l’Anglia la Francia Italia vide 145Drappel di saggi contro al vulgo armarse.Lor zelo indomit’ arse,E di popolo in popolo s’accese.Contro all’armi omicideNon più debole e nudo; 150Ma sotto a certo scudoIl tenero garzon cauto discese,E il fato inesorabile sorprese.

Tu sull’orme di quelli ardito corriTu pur, bicetti; e di combatter tenta 155La pietà violentaChe a le Insubriche madri il core implica.L’umanità soccorri;Spregia l’ingiusto soglio

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Ove s’arman d’orgoglio 160La superstizïon del ver nemica,E l’ostinata folle scola antica.

Quanta parte maggior d’almi nipotiColtiverà nostri felici campi!E quanta fia che avvampi 165D’industria in pace o di coraggio in guerra!Quanta i soavi motiPropagherà d’amore,E desterà il languoreDel pigro Imene, che infecondo or erra 170Contro all’util comun di terra in terra!

Le giovinette con le man di rosaIdalio mirto coglieranno un giorno:All’alta quercia intornoI giovinetti fronde coglieranno; 175E a la tua chioma annosa,Cui per doppio decoroGià circonda l’alloro,Intrecceran ghirlande, e canteranno:Questi a morte ne tolse o a lungo danno. 180

Tale il nobile plettro infra le ditaMi profeteggia armonïoso e dolce,Nobil pïettro che molceIl duro sasso dell’umana mente;E da lunge lo invita 185Con lusinghevol suonoVerso il ver, verso il buono;Nè mai con laude bestemmiò nocenteO il falso in trono o la viltà potente.

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LA SALUBRITÀ DELL’ARIA

Oh beato terrenoDel vago Eupili mio,Ecco al fin nel tuo senoM’accogli; e del natìoAere mi circondi; 5E il petto avido inondi.

Già nel polmon capaceUrta sè stesso e scendeQuest’etere vivace,Che gli egri spirti accende, 10E le forze rintegra,E l’animo rallegra.

Però ch’austro scorteseQuì suoi vapor non mena:E guarda il bel paese 15Alta di monti schiena,Cui sormontar non valeBorea con rigid’ale.

Nè quì giaccion paludi,Che dall’impuro letto 20Mandino a i capi ignudiNuvol di morbi infetto:E il meriggio a’ bei colliAsciuga i dorsi molli.

Pera colui che primo 25A le triste ozïoseAcque e al fetido limoLa mia cittade espose;E per lucro ebbe a vileLa salute civile. 30

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Certo colui del fiumeDi Stige ora s’impacciaTra l’orribil bitume,Onde alzando la facciaBestemmia il fango e l’acque, 35Che radunar gli piacque.

Mira dipinti in visoDi mortali palloriEntro al mal nato risoI languenti cultori; 40E trema o cittadino,Che a te il soffri vicino.

Io de’ miei colli ameniNel bel clima innocentePasserò i dì sereni 45Tra la beata gente,Che di fatiche onustaÈ vegeta e robusta.

Quì con la mente sgombra,Di pure linfe asterso, 50Sotto ad una fresc’ ombraCelebrerò col versoI villan vispi e scioltiSparsi per li ricolti;

E i membri non mai stanchi 55Dietro al crescente pane;E i baldanzosi fianchiDe le ardite villane;E il bel volto giocondoFra il bruno e il rubicondo, 60

Dicendo: Oh fortunateGenti, che in dolci tempre

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Quest’aura respirateRotta e purgata sempreDa venti fuggitivi 65E da limpidi rivi.

Ben larga ancor naturaFu a la città superbaDi cielo e d’aria pura:Ma chi i bei doni or serba 70Fra il lusso e l’avariziaE la stolta pigrizia?

Ahi non bastò che intornoPutridi stagni avesse;Anzi a turbarne il giorno 75Sotto a le mura stesseTrasse gli sceleratiRivi a marcir su i prati

E la comun saluteSagrificossi al pasto 80D’ambizïose mute,Che poi con crudo fastoCalchin per l’ampie stradeIl popolo che cade.

A voi il timo e il croco 85E la menta selvaggiaL’aere per ogni locoDe’ varj atomi irraggia,Che con soavi e cariSensi pungon le nari. 90

Ma al piè de’ gran palagiLà il fimo alto fermenta;

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E di sali malvagiAmmorba l’aria lenta,Che a stagnar si rimase 95Tra le sublimi case.

Quivi i lari plebeiDa le spregiate creteD’umor fracidi e reiVersan fonti indiscrete; 100Onde il vapor s’aggira;E col fiato s’inspira.

Spenti animai, ridottiPer le frequenti vie,De gli aliti corrotti 105Empion l’estivo die:Spettacolo deformeDel cittadin su l’orme!

Nè a pena cadde il soleChe vaganti latrine 110Con spalancate goleLustran ogni confineDe la città, che destaBeve l’aura molesta.

Gridan le leggi è vero; 115E Temi bieco guata:Ma sol di sè pensieroHa l’inerzia privata.Stolto! E mirar non vuoiNe’ comun danni i tuoi? 120

Ma dove ahi corro e vagoLontano da le belle

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Colline e dal bel lagoE dalle villanelle,A cui sì vivo e schietto, 125Aere ondeggiar fa il petto?

Va per negletta viaOgnor l’util cercandoLa calda fantasìa,Che sol felice è quando 130L’utile unir può al vantoDi lusinghevol canto.

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LA VITA RUSTICA

Perché turbarmi l’anima,O d’oro e d’onor brame,Se del mio viver AtropoPresso è a troncar lo stame?E già per me si piega 5Sul remo il nocchier brunColà donde si niegaChe più ritorni alcun?

Queste che ancor ne avanzanoOre fugaci e meste, 10Bella ci renda e amabiliLa libertade agreste.Quì Cerere ne mandaLe biade, e Bacco il vin:Quì di fior s’inghirlanda 15Bella innocenza il crin.

So che felice stimasiIl possessor d’un’arca,Che Pluto abbia propizioDi gran tesoro carca: 20Ma so ancor che al potentePalpita oppresso il corSotto la man soventeDel gelato timor.

Me non nato a percotere 25Le dure illustri porteNudo accorrà, ma liberoIl regno de la morte.No, ricchezza nè onoreCon frode o con viltà 30Il secol venditoreMercar non mi vedrà.

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Colli beati e placidi,Che il vago Èupili mioCingete con dolcissimo 35Insensibil pendìo,Dal bel rapirmi sento,Che natura vi diè;Ed esule contentoA voi rivolgo il piè. 40

Già la quiete, a gli uominiSì sconosciuta, in senoDe le vostr’ombre apprestamiCaro albergo sereno:E le cure e gli affanni 45Quindi lunge volarScorgo, e gire i tiranniSuperbi ad agitar.

In van con cerchio orribile,Quasi campo di biade, 50I lor palagi attornianoTemute lance e spade;Però ch’entro al lor pettoPenetra nondimenIl trepido sospetto 55Armato di velen.

Qual porteranno invidiaA me, che di fior cintoTra la famiglia rusticaA nessun giogo avvinto, 60Come solea in AnfrisoFebo pastor, vivrò;E sempre con un visoLa cetra sonerò!

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Non fila d’oro nobili 65D’illustre fabbro curaIo scoterò, ma sempliciE care a la natura.Quelle abbia il vate espertoNell’adulazïon; 75Chè la virtude e il mertoDaran legge al mio suon.

Inni dal petto suppliceAlzerò spesso a i cieli,Sì che lontan si volgano 75I turbini crudeli;E da noi lunge avvampiL’aspro sdegno guerrier;Nè ci calpesti i campiL’inimico destrier. 80

E, perchè a i numi il fulmineDi man più facil cada,Pingerò lor la miseraSassonica contrada,Che vive arse sue spiche 85In un momento sol;E gir mille faticheCol tetro fumo a vol.

E te villan sollecito,Che per nov’orme il tralcio 90Saprai guidar frenandoloCol pieghevole salcio:E te, che steril parteDel tuo terren, di piùRender farai, con arte 95Che ignota al padre fu:

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Te co’ miei carmi a i posteriFarò passar felice:Di te parlar più secoliS’udirà la pendice. 100E sotto l’alte pianteVedransi a riverirLe quete ossa compianteI posteri venir.

Tale a me pur concedasi 105Chiuder campi beatiNel vostro almo ricoveroI giorni fortunati.Ah quella è vera famaD’uom che lasciar può quì 110Lunga ancor di sè bramaDopo l’ultimo dì!

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IL BISOGNO

al sig. wirtz

pretore per la repubblica elvetica

Oh tiranno SignoreDe’ miseri mortali,Oh male oh persuasoreOrribile di maliBisogno, e che non spezza 5Tua indomita fierezza!

Di valli adamantiniCinge i cor la virtude;Ma tu gli urti e rovini;E tutto a te si schiude. 10Entri, e i nobili affettiO strozzi od assoggetti.

Oltre corri, e frementeStrappi Ragion dal soglio;E il regno de la mente 15Occupi pien d’orgoglio,E ti poni a sedereTiranno del pensiere.

Con le folgori in manoLa legge alto minaccia; 20Ma il periglio lontanoNon scolora la facciaDi chi senza soccorsoHa il tuo peso sul dorso.

Al misero mortale 25Ogni lume s’ammorza:Ver la scesa del male

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Tu lo strascini a forza:Ei di sè stesso in bandoVa giù precipitando. 30

Ahi l’infelice alloraI comun patti rompe;Ogni confine ignora;Ne’ beni altrui prorompe;Mangia i rapiti pani 35Con sanguinose mani.

Ma quali odo lamentiE stridor di catene;E ingegnosi stromentiVeggo d’atroci pene 40Là per quegli antri oscuriCinti d’orridi muri?

Colà Temide armataTien giudizj funestiSu la turba affannata, 45Che tu persuadestiA romper gli altrui drittiO padre di delitti.

Meco vieni al cospettoDel nume che vi siede. 50No non avrà dispettoChe tu v’innoltri il piede.Da lui con lieto voltoAnco il Bisogno è accolto.

O ministri di Temi 55Le spade sospendete:Da i pulpiti supremiQuà l’orecchio volgete.

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Chi è che pietà niegaAl Bisogno che prega? 60

Perdon, dic’ei, perdonoAi miseri cruciati.Io son l’autore io sonoDe’ lor primi peccati.Sia contro a me diretta 65La pubblica vendetta.

Ma quale a tai paroleGiudice si commove?Qual dell’umana proleA pietade si move? 70Tu wirtz uom saggio e giustoNe dai l’esempio augusto:

Tu cui sì spesso vinseDolor de gl’infelici,Che il Bisogno sospinse 75A por le rapitriciMani nell’altrui parteO per forza o per arte:

E il carcere temutoLor lieto spalancasti: 80E dando oro ed aiuto,Generoso insegnastiCome senza le peneIl fallo si previene.

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IL BRINDISI

Volano i giorni rapidiDel caro viver mio:E giunta in sul pendìoPrecipita l’età.

Le belle oimè che al fingere 5Han lingua così prestaSol mi ripeton questaIngrata verità.

Con quelle occhiate mutoleCon quel contegno avaro 10Mi dicono assai chiaro:Noi non siam più per te.

E fuggono e folleggianoTra gioventù vivace;E rendonvi loquace 15L’occhio la mano e il piè.

Che far? Degg’io di lagrimeBagnar per questo il ciglio?Ah no; miglior consiglioÈ di godere ancor. 20

Se già di mirti teneriColsi mia parte in Gnido,Lasciamo che a quel lidoVada con altri Amor.

Volgan le spalle candide 25Volgano a me le belle:Ogni piacer con elleNon se ne parte alfin.

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A Bacco, all’AmiciziaSacro i venturi giorni. 30Cadano i mirti; e s’orniD’ellera il misto crin.

Che fai su questa cetera,Corda, che amor sonasti?Male al tenor contrasti 35Del novo mio piacer.

Or di cantar dilettamiTra’ miei giocondi amici,Augurj a lor feliciVersando dal bicchier. 40

Fugge la instabil VenereCon la stagion de’ fiori:Ma tu Lièo ristoriQuando il dicembre uscì.

Amor con l’età fervida 45Convien che si dilegue;Ma l’amistà ne segueFino a l’estremo dì.

Le belle, ch’or s’involanoSchife da noi lontano, 50Verranci allor pian pianoLor brindisi ad offrir.

E noi compagni amabiliChe far con esse allora?Seco un bicchiere ancora 55Bevere, e poi morir.

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LA IMPOSTURA

Venerabile ImposturaIo nel tempio almo a te sacroVo tenton per l’aria oscura;E al tuo santo simulacro,Cui gran folla urta di gente, 5Già mi prostro umilemente.

Tu de gli uomini maestraSola sei. Qualor tu dettiNe la comoda palestraI dolcissimi precetti, 10Tu il discorso volgi amicoAl monarca ed al mendico.

L’un per via piagato reggi;E fai sì che in gridi straniSua miseria giganteggi; 15Onde poi non culti paniA lui frutti la semenzaDe la flebile eloquenza.

Tu dell’altro a lato al tronoCon la Iperbole ti posi: 20E fra i turbini e fra il tuonoDe’ gran titoli fastosiLe vergogne a lui celateDe la nuda umanitate.

Già con Numa in sul Tarpèo 25Desti al Tebro i riti santi,Onde l’augure potèoCo’ suoi voli e co’ suoi cantiSoggiogar le altere mentiDomatrici de le genti. 30

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Del Macedone a te piacqueFare un dio, dinanzi a cuiPaventando l’orbe tacque:E nell’Asia i doni tuiFur che l’Arabo profeta 35Sollevàro a sì gran meta.

Ave dea. Tu come il soleGiri e scaldi l’universo.Te suo nume onora e coleOggi il popolo diverso: 40E fortuna a te devotaDiede a volger la sua rota.

I suoi dritti il merto cedeA la tua divinitade,E virtù la sua mercede. 45Or, se tanta potestadeHai qua giù, col tuo favoreChe non fai pur me impostore?

Mente pronta e ognor feraceD’opportune utili fole 50Have il tuo degno seguace:Ha pieghevoli parole;Ma tenace, e quasi monteIncrollabile la fronte.

Sopra tutto ei non oblìa 55Che sì fermo il tuo colossoNel gran tempio non starìa,Se qual base ognor col dossoNon reggessegli il costanteVerosimile le piante. 60

Con quest’arte Cluvïeno,Che al bel sesso ora è il più caro

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Fra i seguaci di GalenoSi fa ricco e si fa chiaro;Ed amar fa, tanto ei vale, 65A le belle egre il lor male.

Ma Cluvien dal mio destinoD’imitar non m’è concesso.Dell’ipocrita CrispinoVo’ seguir l’orme da presso. 70Tu mi guida o Dea cortesePer lo incognito paese.

Di tua man tu il collo alquantoSul manc’ omero mi premi:Tu una stilla ognor di pianto 75Da mie luci aride spremi:E mi faccia casto ombrelloSopra il viso ampio cappello.

Qual fia allor sì intatto giglioCh’io non macchj, e ch’io non sfrondi, 80Dalle forche e dall’esiglioSempre salvo? A me fecondiDi quant’oro fien gli strilliDe’ clienti e de’ pupilli!

Ma qual arde amabil lume? 85Ah, ti veggio ancor lontanoVerità mio solo nume,Che m’accenni con la mano;E m’inviti al latte schietto,Ch’ognor bevvi al tuo bel petto. 90

Deh perdona. Errai seguendoTroppo il fervido pensiere.

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Giuseppe Parini - Le odi

I tuoi rai del mostro orrendoScopron or le zanne fiere.Tu per sempre a lui mi togli; 95E me nudo nuda accogli.

24Letteratura italiana Einaudi

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IL PIACERE E LA VIRTÙ

Vada in bando ogni tormento:Ecco riede il secol d’oro.A scherzar tornan fra loroInnocenza e libertà.

Sol fra noi regni il contento; 5Coroniamo il crin di rose:Su si colgan rugiadoseDa la man dell’onestà.

La virtù non move guerraA i diletti onesti e belli. 10Colà in ciel nacquer gemelliIl piacere e la virtù.

E gli dei portàro in terraUn tesor così giocondo;E così beàr del mondo 15La primiera gioventù.

Folle stirpe de’ mortali,Che sè stessa ognor delude!Il piacer da la virtudeInsolente dipartì. 20

L’atra allor di tutti i maliSi destò nova procella:E la coppia amica e bellaSolo in ciel si riunì.

Ma tornàro i dì beati. 25Or veggiam congiunti ancoraCon un nodo, che innamoraLa virtude ed il piacer.

Giuseppe Parini - Le odi

25Letteratura italiana Einaudi

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Giuseppe Parini - Le odi

Sposi eccelsi a voi siam grati,Che il bel dono a noi rendete: 30Siete voi che l’uomo ergeteA lo stato suo primier.

Ah perchè velar l’aspettoSotto strane e varie forme?Al fulgor de le vostr’orme 35Si conosce il divin piè.

La Virtude et il Diletto,ferdinando e beatrice!Oh spettacolo felice,Che rapisci ogn’alma a te! 40

Sol fra noi regni il contento:Coroniamo il crin di rose:Su si colgan rugiadoseDa la man dell’onestà.

Vada in bando ogni tormento. 45Ecco riede il secol d’oro:A scherzar tornan fra loroInnocenza e libertà.

26Letteratura italiana Einaudi

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LA PRIMAVERA

La vaga PrimaveraEcco che a noi sen viene;E sparge le sereneAure di molli odori.

L’erbe novelle e i fiori 5Ornano il colle e il prato.Torna a veder l’amatoNido la rondinella.

E torna la sorellaDi lei a i pianti gravi: 10E tornano a i soaviBaci le tortorelle.

Escon le pecorelleDel lor soggiorno odioso;E cercan l’odoroso 15Timo di balza in balza.

La pastorella scalzaNe vien con esse a paro;Ne vien cantando il caroNome del suo pastore. 20

Ed ei, seguendo Amore,Volge ove il canto sente;E coglie la innocenteNinfa sul fresco rio.

Oggi del suo desio 25Amore infiamma il mondo:Amore il suo giocondoSenso a le cose inspira.

Giuseppe Parini - Le odi

27Letteratura italiana Einaudi

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Giuseppe Parini - Le odi

Sola il dolor non miraClori del suo fedele: 30E sol quella crudeleAnima non sospira.

28Letteratura italiana Einaudi

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LA EDUCAZIONE

Torna a fiorir la rosaChe pur dianzi languìa;E molle si riposaSopra i gigli di pria.Brillano le pupille 5Di vivaci scintille.

La guancia risorgenteTondeggia sul bel viso:E quasi lampo ardenteVa saltellando il riso 10Tra i muscoli del labroOve riede il cinabro.

I crin, che in rete accoltiLunga stagione ahi foro,Su l’omero disciolti 15Qual ruscelletto d’oroForma attendon novellaD’artificiose anella.

Vigor novo confortaL’irrequieto piede: 20Natura ecco ecco il portaSì che al vento non cedeFra gli utili trastulliDe’ vezzosi fanciulli.

O mio tenero verso 25Di chi parlando vai,Che studj esser più tersoE polito che mai?Parli del giovinettoMia cura e mio diletto? 30

Giuseppe Parini - Le odi

29Letteratura italiana Einaudi

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Giuseppe Parini - Le odi

Pur or cessò l’affannoDel morbo ond’ei fu grave:Oggi l’undecim’ annoGli porta il sol, soaveScaldando con sua teda 35I figliuoli di Leda.

Simili or dunque a dolceMele di favi Iblèi,Che lento i petti molce,Scendete o versi miei 40Sopra l’ali sonoreDel giovinetto al core.

O pianta di bon semeAl suolo al cielo amica,Che a coronar la speme 45Cresci di mia fatica,Salve in sì fausto giornoDi pura luce adorno.

Vorrei di genïaliDoni gran pregio offrirti; 50Ma chi diè liberaliEssere ai sacri spirti?Fuor che la cetra, a loroNon venne altro tesoro.

Deh perché non somiglio 53Al Tèssalo maestro,Che di Tetide il figlioGuidò sul cammin destro!Ben io ti farei doniPiù che d’oro e canzoni. 60

Già con medica manoQuel Centauro ingegnoso

30Letteratura italiana Einaudi

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Rendea feroce e sanoIl suo alunno famoso.Ma non men che a la salma 65Porgea vigore all’alma.

A lui, che gli sedeaSopra la irsuta schiena,Chiron si rivolgeaCon la fronte serena, 70Tentando in su la liraSuon che virtude inspira.

Scorrea con giovanileMan pel selvoso mentoDel precettor gentile; 75E con l’orecchio intento,D’Eacide la proleBevea queste parole:

Garzon, nato al soccorsoDi Grecia, or ti rimembra 80Perchè a la lotta e al corsoIo t’educai le membra.Che non può un’alma arditaSe in forti membra ha vita?

Ben sul robusto fianco 85Stai; ben stendi dell’arcoIl nervo al lato manco,Onde al segno ch’io marcoVa stridendo lo straleDa la cocca fatale. 90

Ma in van, se il resto oblìo,Ti avrò possanza infuso.Non sai qual contro a dio

Giuseppe Parini - Le odi

31Letteratura italiana Einaudi

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Giuseppe Parini - Le odi

Fe’ di sue forze abusoCon temeraria fronte 95Chi monte impose a monte?

Di Teti odi o figliuoloIl ver che a te si scopre.Dall’alma origin soloHan le lodevol’ opre. 100Mal giova illustre sangueAd animo che langue.

D’Èaco e di PelèoCol seme in te non sceseIl valor che Tesèo 105Chiari e Tirintio rese:Sol da noi si guadagna,E con noi s’accompagna.

Gran prole era di GioveIl magnanimo Alcide; 110Ma quante egli fa prove,E quanti mostri ancide,Onde s’innalzi poiAl seggio de gli eroi?

Altri le altere cune 115Lascia o Garzon che pregi.Le superbe fortuneDel vile anco son fregi.Chi de la gloria è vagoSol di virtù sia pago. 120

Onora o figlio il NumeChe dall’alto ti guarda:Ma solo a lui non fumeIncenso e vittim’arda.

32Letteratura italiana Einaudi

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È d’uopo Achille alzare 125Nell’alma il primo altare.

Giustizia entro al tuo senoSieda e sul labbro il vero;E le tue mani sienoQual albero straniero, 130Onde soavi unguentiStillin sopra le genti.

Perchè sì pronti affettiNel core il ciel ti pose?Questi a Ragion commetti; 135E tu vedrai gran cose:Quindi l’alta rettriceSomma virtude elice.

Sì bei doni del cieloNo, non celar Garzone 140Con ipocrito velo,Che a la virtù si oppone.Il marchio ond’è il cor scoltoLascia apparir nel volto.

Da la lor meta han lode 145Figlio gli affetti umani.Tu per la Grecia prodeInsanguina le mani:Qua volgi qua l’ardireDe le magnanim’ ire. 150

Ma quel più dolce senso,Onde ad amar ti pieghi,Tra lo stuol d’armi densoVenga, e pietà non nieghi

Giuseppe Parini - Le odi

33Letteratura italiana Einaudi

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Giuseppe Parini - Le odi

Al debole che cade 155E a te grida pietade.

Te questo ognor costanteSchermo renda al mendico;Fido ti faccia amanteE indomabile amico. 160Così, con legge alternaL’animo si governa.

Tal cantava il Centauro.Baci il giovan gli offrivaCon ghirlande di lauro. 165E Tetide che udiva,A la fera divinaPlaudìa dalla marina.

34Letteratura italiana Einaudi

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LA LAUREA

Quell’ospite è gentil, che tiene ascosoAi molti bevitoriEntro ai dogli paterni il vino annosoFrutto de’ suoi sudori;E liberale allora 5Sul desco il reca di bei fiori adorno,Quando i Lari di lui ridenti intornoDegno straniere onora:E versata in cristalli empie la stanzaInsolita di Bacco alma fragranza. 10

Tal io la copia che de i versi accolgoEntro a la mente, sordoNiego a le brame dispensar del volgo,Che vien di fama ingordo.In van l’uomo, che splende 15Di beata ricchezza, in van mi tentaSì che il bel suono de le lodi ei senta,Che dolce al cor discende:E in van de’ grandi la potenza e l’ombraDi facili speranze il sen m’ingombra. 20

Ma quando poi sopra il cammin dei buoniMi comparisce innantiAlma, che ornata di suoi propri doniMerta l’onor dei canti,Allor da le segrete 25Sedi del mio pensiero escono i versi,Atti a volar di viva gloria aspersiDel tempo oltra le mete:E donator di lode accorto e saggioIo ne rendo al valor debito omaggio. 30

Ed or che la risorta insubre Atene,Con strana meraviglia,

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35Letteratura italiana Einaudi

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Le lunghe trecce a coronar ti vieneO di Pallade figlia,Io rapito al tuo merto 35Fra i portici solenni e l’alte mentiM’innoltro, e spargo di perenni unguentiIl nobile tuo serto:Nè mi curo se ai plausi, onde vai nota,Pinge ingenuo rossor tua casta gota. 40

Ben so, che donne valorose e belleA tutte l’altre esempioVeggon splender lor nomi a par di stelleD’eternità nel tempio:E so ben che il tuo sesso 45Tra gli ufizi a noi cari e l’umil’ artePuote innalzarsi; e ne le dotte carteImmortalar sè stesso.Ma tu gisti colà, Vergin preclara,Ove di molle piè l’orma è più rara. 50

Sovra salde colonne antica moleSorge augusta e superba,Sacra a colei, che dell’umana prole,Frenando, i dritti serba.Ivi la Dea si asside 55Custodendo del vero il puro foco;Ivi breve sul marmo in alto locoIl suo volere incide:E già da quello stile aureo, sinceroApprendea la giustizia il mondo intero. 60

Ma d’ignari cultor turbe nemicheCon temerario piedeOsàro entrar ne le campagne apriche,Ove il gran tempio siede:E la serena piaggia 65

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Occuparon così di spini e bronchi,Che fra i rami intricati e i folti tronchiA pena il sol vi raggia;E l’aere inerte per le fronde crebreV’alza dense all’intorno atre tenèbre. 70

Ben tu di Saffo e di Corinna al pari,O donne altre famose,Per li colli di Pindo ameni e variPotevi coglier rose:Ma tua virtù s’irrìta 75Ove sforzo virile a pena basta;E nell’aspro sentier, che al piè contrasta,Ti cimentasti arditaQual già vide ai perigli espor la fronteFiere vergini armate il Termodonte. 80

Or poi, tornando dall’eccelsa impresa,Quì sul dotto TesinoScoti la face al sacro foco accesaDel bel tempio divino:E dall’arguta voce 85Tal di raro saper versi torrente,Che il corso a seguitar de la tua menteVien l’applauso veloce,Abbagliando al fulgor de’ raggi tuiLa invidia, che suol sempre andar con lui. 90

Chi può narrar qual dal soave aspettoE da’ verginei labriPiove ignoto finora almo dilettoSu i temi ingrati e scabri?Ecco la folta schiera 95De’ giovani vivaci a te rivoltaVede sparger di fior, mentre t’ascolta,

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37Letteratura italiana Einaudi

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Sua nobile carriera:E al novo esempio de la tua tenzoneSente aggiugnersi al fianco acuto sprone. 100

Ai detti al volto a la grand’alma espressaNe’ fulgid’ occhi tuoiOgnun ti crederìa Temide stessa,Che rieda oggi fra noi:Se non che Oneglia, altrice 105Nel fertil suolo di palladj ulivi,Alza ai trionfi tuoi gridi giulivi;E fortunata dice:Dopo il gran Doria, a cui died’ io la culla,È il mio secondo sol questa fanciulla. 110

E il buon parente, che su l’alte cimeDi gloria oggi ti mira,A forza i moti del suo cor comprime,E pur con sè s’adira,Ma poi cotanto è grande 115La piena del piacer, che in sen gli abbonda,Che l’argin di modestia alfine innonda,E fuor trabocca e spande:E anch’ei col pianto, che celar desìa,Grida tacendo: questa figlia è mia. 120.

Ma dal cimento glorïoso e belloTanto stupore è nato,Che già reca per te premio novelloL’erudito Senato.Già vien su le tue chiome 125Di lauro a serpeggiar fronda immortale:E fra lieto tumulto in alto saleStrepitoso il tuo nome;E il tuo sesso leggiadro a te dà lodeDe’ novi onori, onde superbo ei gode. 130

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Oh amabil sesso, che su l’alme regniCon sì possente incanto,Qual’ alma generosa è che si sdegniDel novello tuo vanto?La tirannìa virile 135Frema, e ti miri a gli onorati seggiSalir togato, e de le sacre leggiInterprete gentile,Or che d’Europa ai popoli soggettiFin dall’alto dei troni anco le detti. 140

Tu sei, che di ragione il dolce frenoSul forte Russo estendi;Tu che del chiaro Lusitan nel senoL’antico spirto accendi.Per te Insubria beata, 145Per te Germania è glorïosa e forte;Tal che al favor de le tue leggi accorteSpero veder tornataL’età dell’oro, e il viver suo giocondo,Se tu governi, ed ammaestri il mondo. 150

E l’albero medesmo, onde fu coltoIl ramoscel, che ombreggiaA la dotta Donzella il nobil volto,Convien che a te si deggia.In esso alta Regina 155Tien conversi dal trono i suoi bei rai;Tal che lieto rinverde, e più che maiAl cielo s’avvicina.Quanto è bello a veder che il grato alloroDoni al sesso di lei pompa, e decoro! 160

Ma già la Fama all’impaziente OnegliaLe rapid’ ali affretta;E gridando le dice: olà, ti sveglia:

Giuseppe Parini - Le odi

39Letteratura italiana Einaudi

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Giuseppe Parini - Le odi

E la tua luce aspetta.Insubria, onde romore 165Va per mense ospitali ed atti amici,Sa gli stranieri ancor render feliciNel calle dell’onore.Or quai, Vergine illustre, allegri giorniTi prepara la patria allor che torni? 170

Pari alla gloria tua per certo a penaFu quella, onde si cinseColà d’Olimpia nell’ardente arena,Il lottator che vinse;Quando tra i lieti gridi 175Il guadagnato serto al crin ponea;E col premio d’onor, che l’uomo bea,Tornava ai patrj lidi;E scotendo le corde amiche ai vatiPindaro lo seguìa con gl’Inni alati. 180

40Letteratura italiana Einaudi

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LA MUSICA

Aborro in su la scenaUn canoro elefante,Che si strascina a penaSu le adipose piante,E manda per gran foce 5Di bocca un fil di voce.

Ahi pera lo spietatoGenitor che primieroTentò di ferro armatoL’esecrabile e fiero 10Misfatto onde si duoleLa mutilata prole.

Tanto dunque de’ grandiPuò l’ozïoso udito,Che a’ rei colpi nefandi 15Sen corra il padre ardito,Peggio che fera od angueCrudel contro al suo sangue?

Oh misero mortaleOve cerchi il diletto? 20Ei tra le placid’ aleDi natura ha ricetto:Là con avida bramaSusurrando ti chiama.

Ella femminea gola 25Ti diede, onde soaveL’aere se ne volaOr acuto ora grave;E donò forza ad essoDi rapirti a te stesso. 30

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Giuseppe Parini - Le odi

Tu non però contentoDe’ suoi doni, prorompiContro a lei vïolento,E le sue leggi rompi;Cangi gli uomini in mostri, 35E lor dignità prostri

Barbara gelosìaNel superbo orïenteSo che pietade oblìaVer la misera gente, 40Che da lascivo ingannoAssecura il tiranno:

E folle rito al nudoUltimo Caffro imponeIl taglio atroce e crudo, 45Onde al molle garzoneIl decimo funestoAnno sorge sì presto.

Ma a te in mano lo stileItalo genitore 50Pose cura più vileDel geloso furore:Te non error ma vizioSpinge all’orrido ufizio.

Arresta empio! Che fai? 55Se tesoro ti preme,Nel tuo figlio non l’hai?Con le sue membra insieme,Empio! il viver tu furiAi nipoti venturi. 60

Oh cielo! E tu consentiD’oro sì cruda fame?

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Nè più il foco rammentiDi Pentapoli infame,Le cui orribil’ opre 65Il nero àsfalto copre?

No. Del Tesor, che apertoGià ne la mente pingi,Tu non andrai per certoLieto come ti fingi 70Padre crudel! Suo drittoDe’ avere il tuo delitto.

L’oltraggio, ch’or gli è occultoIl tuo tradito figlioRicorderassi adulto; 75Con dispettoso ciglioDa la vista fuggendoDel carnefice orrendo.

In vano in van pietadeTu cercherai: chè l’alma 80In lui depressa cadeCon la troncata salma;Ed impeto non trovaChe a virtude la mova.

Misero! A lato a i regi 85Ei sederà cantandoFastoso d’aurei fregi;Mentre tu mendicandoAndrai canuto e soloPer l’Italico suolo: 90

Per quel suolo, che vantaGran riti e leggi e studj;

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E nutre infamia tanta,Che a gli Affricani ignudi,Benchè tant’alto saglia, 95E a i barbari lo agguaglia.

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LA RECITA DE’ VERSI

Qual fra le mense locoVersi otterranno, che da nobil venaScendano; e all’acre focoDell’arte imponga la sottil Camena,Meditante lavoro, 5Che sia di nostra età pregio e decoro?

Non odi alto di vociI convitati sollevar tumulto,Che i Centauri ferociFa rammentar, quando con empio insulto 10All’ospite di litiSparsero e guerra i nuzïali riti?

V’ha chi al negato ScaldiCon gli abeti di Cesare veleggia;E la vast’onda e i saldi 15Muri sprezzati, già nel cor saccheggiaDe’ Batavi mercantiLe molto di tesoro arche pesanti.

A Giove altri l’armataDestra di fulmin spoglia; ed altri a volo 20Sopra l’aria domataOsa portar novelle genti al polo.Tal sedendo confidaCiascuno; e sua ragion fa delle grida.

Vincere il suon discorde 25Speri colui che di clamor le folliMènadi, allor che lordeDi mosto il viso balzan per li colli,Vince; e, con alta fronte,Gonfia d’audace verso inezie conte. 30

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O gran silenzio intornoA sè vanti compor Fauno procace,Se del pudore a scornoAnnunzia carme onde ai profani piace;Da la cui lubric’arte 35Saggia matrona vergognando parte.

Orecchio ama placatoLa musa e mente arguta e cor gentile.Ed io, se a me fia datoOrdir mai su la cetra opra non vile, 40Non toccherò già cordaOve la turba di sue ciance assorda.

Ben de’ numeri mieiGiudice chiedo il buon cantor, che destroVolse a pungere i rei 45Di Tullio i casi; ed or, novo maestroA far migliori i tempi,Gli scherzi usa del Frigio e i propri esempj.

O te Paola, che il rettoE il bello atta a sentir formaro i Numi; 50Te, che il piacer concettoMostri dolce intendendo i duo bei lumi,Onde spira caloreSoavemente periglioso al core.

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LA TEMPESTA

Odi Alcone il muggitoNell’alto mar de la crudel tempestaE la folgor funesta,Che con tuono infinitoScoppia da lungi, e rimbombar fa il lito. 5

Ahimè miseri legni,Che cupidigia e ambizïon sospinse;E facil’ aura vinsePer li mobili regniLor speme a sciorre oltre gli Erculei segni! 10

Altro sperò giocondoTornar da ignote prezïose cave;E d’oro e gemme graveOpprimer col suo pondoDe la spiaggia nativa il basso fondo. 15

Credeva altro d’immaniMostri oleosi preda far nell’alto;Altro feroce assaltoDare a gli abeti estrani,E dell’altrui tesoro empier suoi vani. 20

Ma il tuono e il vento e l’ondaTerribilmente agita tutti e batte;Nè le vele contratteNè da la doppia spondaIl forte remigar, l’urto che abbonda 25

Vince nè frena. E in tantoSerpendo incendïoso il fulmin fischia:E fra l’orribil mischiaDe’ venti e il buio mantoDel cielo, ognun paventa essere infranto. 30

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E già più l’un non puoteL’alto durar tormento: uno al destinoFa contrario cammino;Un contro all’aspra coteDi cieco scoglio il fianco urta e percote: 35

E quale il flutto avversoBeve già rotto: e qual del multiformeMonte dell’acqua enormeSopra di lui riversoCede al gran peso; e alfin piomba sommerso. 40

Alcon, non ti rammentiQuel che superbo per ornata proraVeleggiava finora,Di purpurei lucentiSegni ingombrando gli alberi potenti? 45

A quello d’ambo i latiIgnivome s’aprìan di bronzo bocche;Onde pari a le roccheForza sprezzava e agguatiD’abete o pin contro al suo corso armati. 50

E l’onde allettatriciStendeansi piane a lui davanti: e ai grembiFregiati d’aurei lembiDe’ canapi feliciSpiravan ostinati i venti amici: 55

Mentre Glauco e i TritoniPur con le braccia lo spingean più forte;E da le conche torteLusingavano i buoniAugurj intorno a lui con alti suoni. 60

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E lungo i pinti banchiLe Dee del mar sparse le chiome biondeCarolavan per l’onde,Che lucide su i bianchiDorsi fuggian strisciando e sopra i fianchi. 65

Fra tanto, senza alcunoIl beato nocchier timor che il roda,Dall’alto de la prodaAl mattin primo e al brunoVespro così cantava inni a Nettuno: 70

A te sia lode o nume,Di cui son l’opre ognor potenti e grandi,O se nel suol ti spandiCon le fuggenti spumeO di Cinzia t’innalzi al chiaro lume. 75

Tu col tridente alteroAl tuo piacer la terra ampia dividi;Tu fra gli opposti lidiDel duplice emisperoScorrevole a i mortali apri sentiero. 80

Rota per te le nuoveCon subitaneo piè veci Fortuna:E quello, che con unaOcchiata il tutto move,Non è di te maggior superno Giove. 85

Tale adulava. Or miraOr mira, Alcon, come del porto in facciaLungi dal porto il cacciaNettuno stesso; e a diraSorte con gli altri lo trasporta e aggira! 90

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E la ricchezza impostaIndi con la tornante onda ritoglie;E le lacere spoglieNe gitta, e la scompostaMole a traverso dell’arida costa. 95

Ahi qual furore il menaPur contra noi d’ogni avarizia schivi,Che sotto a i sacri uliviRadendo quest’arenaPeschiam canuti con duo remi a pena! 100

Alcon, che più s’aspetta?Ecco il turbine rio, che omai n’è sopra.Lascia che il flutto copraLa sdrucita barchetta;E noi nudi salvianci al sasso in vetta. 105

O giovanetti, piantePonete in terra; quì pomi inserite;Quì gli armenti nodriteSotto a le leggi santeDe la natura in suo voler costante. 110

Quì semplici a regnare;Quì gli utili prendete a ordir consigli;Nè fidate de’ figliLa sorte, o de le careSpose a l’arbitrio del volubil mare. 115

50Letteratura italiana Einaudi

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LE NOZZE

È pur dolce in su i begli anniDe la calda età novellaLo sposar vaga donzella,Che d’amor già ne ferì.

In quel giorno i primi affanni 5Ci ritornano al pensiere:E maggior nasce il piacereDa la pena che fuggì.

Quando il sole in mar declinaPalpitare il cor si sente: 10Gran tumulto è ne la mente:Gran desìo ne gli occhi appar.

Quando sorge la mattinaA destar l’aura amorosa,Il bel volto de la sposa 15Si comincia a contemplar.

Bel vederla in su le piumeRiposarsi al nostro fianco,L’un de’ bracci nudo e biancoDistendendo in sul guancial: 20

E il bel crine oltra il costumeScorrer libero e negletto;E velarle il govin petto,Ch’or discende or alto sal.

Bel veder de le due gote 25Sul vivissimo coloreSplender limpido madore,Onde il sonno le spruzzò:

Giuseppe Parini - Le odi

51Letteratura italiana Einaudi

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Giuseppe Parini - Le odi

Come rose ancora ignoteSovra cui minuta calda 30La freschissima rugiada,Che l’aurora distillò.

Bel vederla all’improvvisoI bei lumi aprire al giorno;E cercar lo sposo intorno, 35Di trovarlo incerta ancor:

E poi schiudere il sorrisoE le molli paroletteFra le grazie ingenue e schietteDe la brama e del pudor. 40

O Garzone amabil figlioDi famosi e grandi eroi,Sul fiorir de gli anni tuoiQuesta sorte a te verrà.

Tu domane aprendo il ciglio 45Mirerai fra i lieti lariUn tesor, che non ha pariE di grazia e di beltà.

Ma oimè come fugaceSe ne va l’età più fresca, 50E con lei quel che ne adescaFior sì tenero e gentil!

Come presto a quel che piaceL’uso toglie il pregio e il vanto;E dileguasi l’incanto 55De la voglia giovanil!

Te beato in fra gli amanti,Che vedrai fra i lieti lari

52Letteratura italiana Einaudi

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Un tesor, che non ha pariDi bellezza e di virtù! 60

La virtù guida costantiA la tomba i casti amori,Poi che il tempo invola i fioriDe la cara gioventù.

Giuseppe Parini - Le odi

53Letteratura italiana Einaudi

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Giuseppe Parini - Le odi

LA CADUTA

Quando Orïon dal cieloDeclinando imperversa;E pioggia e nevi e geloSopra la terra ottenebrata versa,

Me spinto ne la iniqua 5Stagione, infermo il piede,Tra il fango e tra l’obliquaFuria de’ carri la città gir vede;

E per avverso sassoMal fra gli altri sorgente, 10O per lubrico passoLungo il cammino stramazzar sovente.

Ride il fanciullo; e gli occhiTosto gonfia commosso,Che il cubito o i ginocchi 15Me scorge o il mento dal cader percosso.

Altri accorre; e: oh infeliceE di men crudo fatoDegno vate! mi dice;E seguendo il parlar, cinge il mio lato 20

Con la pietosa mano;E di terra mi toglie;E il cappel lordo e il vanoBaston dispersi ne la via raccoglie:

Te ricca di comune 25Censo la patria loda;Te sublime, te immuneCigno da tempo che il tuo nome roda

54Letteratura italiana Einaudi

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Chiama gridando intorno;E te molesta incìta 30Di poner fine al Giorno,Per cui cercato a lo stranier ti addita.

Ed ecco il debil fiancoPer anni e per naturaVai nel suolo pur anco 35Fra il danno strascinando e la paura:

Nè il sì lodato versoVile cocchio ti appresta,Che te salvi a traversoDe’ triviii dal furor de la tempesta. 40

Sdegnosa anima! prendiPrendi novo consiglio,Se il già canuto intendiCapo sottrarre a più fatal periglio.

Congiunti tu non hai, 45Non amiche, non ville,Che te far possan maiNell’urna del favor preporre a mille.

Dunque per l’erte scaleArrampica qual puoi; 50E fra gli atrj e le saleOgni giorno ulular de’ pianti tuoi.

O non cessar di porteFra lo stuol de’ clienti,Abbracciando le porte 55De gl’imi, che comandano ai potenti;

E lor mercè penètraNe’ recessi de’ grandi;

Giuseppe Parini - Le odi

55Letteratura italiana Einaudi

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Giuseppe Parini - Le odi

E sopra la lor tetraNoja le facezie e le novelle spandi. 60

O, se tu sai, più astutoI cupi sentier trovaColà dove nel mutoAere il destin de’ popoli si cova;

E fingendo nova esca 65Al pubblico guadagno,L’onda sommovi, e pescaInsidïoso nel turbato stagno.

Ma chi giammai potrìaGuarir tua mente illusa, 70O trar per altra viaTe ostinato amator de la tua Musa?

Lasciala: o, pari a vileMima, il pudore insulti,Dilettando scurrile 75I bassi genj dietro al fasto occulti.

Mia bile, al fin costrettaGià troppo, dal profondoPetto rompendo, gettaImpetuosa gli argini; e rispondo: 80

Chi sei tu, che sostentiA me questo vetustoPondo, e l’animo tentiProstrarmi a terra? Umano sei, non giusto.

Buon cittadino, al segno 85Dove natura e i primi

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Casi ordinàr, lo ingegnoGuida così, che lui la patria estimi.

Quando poi d’età carcoIl bisogno lo stringe, 90Chiede opportuno e parcoCon fronte liberal, che l’alma pinge.

E se i duri mortaliA lui voltano il tergo,Ei si fa, contro ai mali, 95Della costanza sua scudo ed usbergo.

Nè si abbassa per duolo,Nè s’alza per orgoglio.E ciò dicendo, soloLascio il mio appoggio; e bieco indi mi toglio. 100

Così, grato ai soccorsi,Ho il consiglio a dispetto;E privo di rimorsi,Col dubitante piè torno al mio tetto.

Giuseppe Parini - Le odi

57Letteratura italiana Einaudi

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Giuseppe Parini - Le odi

IL PERICOLO

In vano in van la chiomaDeforme di canizie,E l’anima già domaDai casi, e fatto rigidoIl senno dall’età, 5

Si crederà che scudoSien contro ad occhi fulgidiA mobil seno a nudoBraccio e all’altre terribiliArme della beltà. 10

Gode assalir nel portoLa contumace Venere;E, rotto il fune e il tortoFerro, rapir nel pelagoInvecchiato nocchier; 15

E per novo periglioDi tempeste, all’arbitrioDarlo del cieco figlio,Esultando con perfidoRiso del suo poter. 20

Ecco me di repente,Me stesso, per l’undecimoLustro di già scendente,Sentii vicino a porgereIl piè servo ad amor: 25

Benchè gran tempo al saldoAnimo in van tentasseroNovello eccitar caldo

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Le lusinghiere giovaniDi mia patria splendor. 30

Tu dai lidi sonantiMandasti, o torbid’Adria,Chi sola de gli amantiPotea tornarmi a i gemitiE al duro sospirar; 35

Donna d’incliti pregiLà fra i togati principi,Che di consigli egregiFanno l’alta VeneziaStar libera sul mar. 40

Parve a mirar nel voltoE ne le membra Pallade,Quando, l’elmo a sè tolto,Fin sopra il fianco scorrereSi lascia il lungo crin: 45

Se non che a lei dintornoLe volubili grazieDannosamente adornoRendeano ai guardi cupidiL’almo aspetto divin. 50

Qual, se parlando, egualeA gigli e rose il cubitoMolle posava? Quale,Se improvviso la candidaMano porgea nel dir? 55

E a le nevi del petto,Chinandosi da i morbidiVeli non ben costretto,

Giuseppe Parini - Le odi

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Giuseppe Parini - Le odi

Fiero dell’alme incendio!Permetteva fuggir? 60

In tanto il vago labro,E di rara facondiaE d’altre insidie fabro,Già modulando i lepidiDetti nel patrio suon. 65

Che più? Da la vivaceMente lampi scoppiavanoDi poetica face,Che tali mai non arseroL’amica di Faon; 70

Nè quando al coro intentoDe le fanciulle LesbieL’errante vïolentoPer le midolle fervideAmoroso velen; 75

Nè quando lo interrottoDal fuggitivo giovanePiacer cantava, sottoA la percossa ceteraPalpitandole il sen. 80

Ahimè quale infeliceGiogo era pronto a scendereSu la incauta cervice,S’io nel dolce pericoloTornava il quarto dì! 85

Ma con veloci roteMe, quantunque mal docile,Ratto per le remote

60Letteratura italiana Einaudi

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Campagne il mio buon GenioOpportuno rapì. 90

Tal che in tristi cateneAi garzoni ed al popoloDi giovanili peneIo canuto spettacoloMostrato non sarò. 95

Bensì, nudrendo il mioPensier di care immagini,Con soave desìoIntorno all’onde AdriacheFrequente volerò. 100

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Giuseppe Parini - Le odi

PIRAMO E TISBE

ad uno improvvisatore

Ahi qual fiero spettacoloVegg’ io, che il cor mi fiede,Sotto a la luna pallida,Là di quel gelso al piede?

Una donzella e un giovane 5In loro età più acerba,Ecco trafitti giaccionoInsanguinando l’erba.

Oh dio, che orror! La miseraSembra morir pur ora; 10E il crudo acciar nel tiepidoSeno sta immerso ancora.

L’altro comincia a spargereGià le membra di gelo;E ne la mano languida 15Tien lacerato un velo.

Ahi per gelosa furiaUn tanto error commiseIl dispietato giovane...Ma chi lui stesso uccise? 20

Intendo. Aperse un invidoRivale i bianchi petti,O un parente implacabileAi furtivi diletti.

Indi fuggendo, il barbaro 25Ferro lasciò confitto,

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Che testimon del perfidoEsser potea delitto.

Ma tu sorridi? IngannomiForse nel mio pensiero? 30Tu dal crudel mi liberaDubbio; e mi spiega il vero.

A te diè di conoscereLe cose Apollo il vanto;E dilettarne gli uomini 35Col divino tuo canto.

Giuseppe Parini - Le odi

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Giuseppe Parini - Le odi

ALCESTE

al medesimo

Ne’ più remoti secoliApparver strane cose,Che poi son favoloseCredute a questa età.

Lascio conversi in alberi 5In sassi in fonti in fiumiE gli uomini ed i numi,Cose che il vulgo sa.

Sol parlo d’un miracolo,Ch’or niegan le persone, 10Non so se per ragioneO per malignità.

Questo è una donna egregia,Che per salvar da morteUno infermo consorte 15Lieta a morir sen va.

Ed ei, da morte liberoE da la moglie insieme,Odia la vita e gemeE vuol la sua metà. 20

Fin che un amico intrepidoPer lui sceso a lo inferno,La toglie al fato eterno;E intatta a lui la dà.

Alceste, Admeto ed Ercole 25A te gentil cantore

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Poetico furoreVeggo che inspiran già.

Dunque il bel caso pingine;E fa de’ prischi tempi 30Veri parer gli esempiD’amore e d’amistà.

Sai che d’Ameto pascereFebo degnò gli armenti:Sai che de’ suoi lamenti 35Ebbe di poi pietà.

Oh quanto a tai memorieAvrà diletto! Oh quantoDal sublime tuo cantoRapido penderà! 40

Giuseppe Parini - Le odi

65Letteratura italiana Einaudi

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Giuseppe Parini - Le odi

LA MAGISTRATURA

per

cammillo gritti

pretore di vicenza nel 1787

Se robustezza ed oroUtili a far cammino il ciel mi desse,Vedriansi l’orme impresseDe le rote, che lievi al par di CoroMe porterebbon, senza 5Giammai posarsi, a la gentil Vicenza:

Onde arguta mi vieneE penetrante al cor voce di donna,Che vaga e bella in gonna,Dell’altro sesso anco le glorie ottiene; 10Fra le Muse immortaliCon fortunato ardir spiegando l’ali.

E da gli occhi di leiOltre lo ingegno mio fatto possente,Rapido da la mente 15Accesa il desïato Inno trarrei,Colui ponendo segnoChe de gli onori tuoi, Vicenza, è degno.

Che dissi? Abbian vigoreDi membra quei che morir denno ignoti; 20E sordidi nipotiSpargan d’avi lodati aureo splendore.Noi delicati, e nudiDi tesor, che nascemmo ai sacri studj,

Noi, quale in un momento 25Da mosso speglio il suo chiaror traduce

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Riverberata luce,Senza fatica in cento parti e in cento,Noi per monti e per pianiL’agile fantasìa porta lontani. 30

Salute a te, saluteCittà, cui da la Berica pendiceScende la copia, altriceDe’ popoli,c operta di lanutePelli e di sete bionde, 35Cingendo al crin con spiche uve gioconde.

A te d’aere vivaceA te il ciel di salubri acque fe’ dono.Caro tuo pregio sonoLeggiadre donne, e giovani a cui piace 40Ad ogni opra gentileL’animo esercitar pronto e sottile.

Il verde piano e il monte,Onde sì ricca sei, caccian la infameNecessità, che brame 45Cova malvage sotto al tetro fronte;Mentre tu l’arti opponiAll’ozio vil corrompitor de’ buoni.

E lungi da feroceLicenza e in un da servitude abbietta, 50Ne vai per la dilettaStrada di libertà dietro a la voce,Onde te stessa reggi,De’ bei costumi tuoi, de le tue leggi.

Leggi, che fin dagli anni 55Prischi non tolse il domator Romano;Nè cancellàr con mano

Giuseppe Parini - Le odi

67Letteratura italiana Einaudi

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Giuseppe Parini - Le odi

Sanguinolenta i posteri tiranni;Fin che il Lione alteroTe amica aggiunse al suo pacato impero. 60

E quei mutar non godeIl consueto a te ordin vetusto;Ma generoso e giustoVuol che ne venga vindice e custodeAl varïar de’ lustri 65Fresco valor degli ottimati illustri.

Ahi! quale a me di boccaFugge parlar, che te nel cor percote,A cui già su le goteCon le lagrime sparso il duol trabocca, 70E par che solo un dannoCotanti beni tuoi volga in affanno!

Lassa! davanti al tempioChe sul tuo colle tanti gradi sale,Supplicavi che uguale 75A un secol fosse con novello esempioIl quinquennio speratoQuando l’inclito gritti a te fu dato.

Ed ecco, a pena lietoSopra l’aureo sentier battea le penne, 80A fulminarlo venneRepentino cadendo alto decreto,Che, quasi al vento foglie,Ogni speranza tua dissipa e toglie.

E qual dall’anelante 85Suo sen divelto innanzi tempo vedeLungi volgere il piedeNova tenera sposa il caro amante,

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Che tromba e gloria avitaPer la patria salute altronde invita: 90

Così l’eroe tu miriDa te partirsi: e di te stessa in bando,Vedova afflitta errandoE di querele empiendo e di sospiriI fori ed i teatri 95E le vie già sì belle e i ponti e gli atrj

E i templi a le divineCure sagrati, che di te sì degni,De’ tuoi famosi ingegniAhimè! l’arte non pose a questo fine, 100Altro più ben non godiChe tra gli affanni tuoi cantar sue lodi.

Non già perch’ei non porseLe mani a l’oro o a le lusinghe il petto;Nè sopra l’equo e il retto 105Con l’arbitro voler giammai non sorse;Nè le fidate a luiSpada o lanci detorse in danno altrui.

Vile dell’uomo è pregioNon esser reo. Costui da i chiari apprese 110Atavi donde scese,D’alte glorie a infiammar l’animo egregio,E a gir dovunque in formePiù insigni de’ miglior splendano l’orme.

Chi sì benigno e forte 115Di Temide impugnò l’util flagello?O chi pudor sì belloDiede all’augusta autorità consorte?

Giuseppe Parini - Le odi

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Giuseppe Parini - Le odi

O con sì lene ciglioFe’ l’imperio di lei parer consiglio? 120

Davanti a più maturoGiudizio le civili andar fortune,O starsene il comuneCenso in maggior frugalità securoQuando giammai si vide 125Ovunque il giusto le sue norme incide?

Ei, se il dover lo impose,Al veder lince, al provveder fu pardo;Ei del popolo al guardoGli arcani altrui, non sè medesmo ascose; 130Nè occulto orecchio sciolse,Ma solenne tra i fasci il vero accolse.

Ei gli audaci repressiTenne con l’alma dignità del viso;Ei con dolce sorriso, 135Poi che del grado a sollevar gli oppressiTutto il poter consunse,A la giustizia i beneficj aggiunse.

E tal suo zelo sparse,Che grande a i grandi, al cittadino pari, 140Uom comune ai volgari,Rettor, giudice, padre, a tutti apparse;Destando in tutti, estremeCose, amicizia e riverenza insieme.

Ben chiamarsi beata 145Può fra povere balze e ghiacci e brume,Genet cui sia dal numeSimil virtude a preseder mandata.

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Or qual fu tua ventura,Città, cui tanto il ciel ride e natura! 150

Ma balsamo, che toltoVien di sotterra, e s’apre al chiaro giorno,Subitamente intornoCon eterea fragranza erra disciolto;Tal che il senso lo ammira, 155E ognun di possederne arde e sospira.

Quale stupor, se bramaDel nobil figlio al gran Senato nacque;E repente, fra l’acqueOnde lungi provvede, a sè il richiama? 160Di tanto senno ai raggiVoti non sorser mai, altro che saggi.

Non vedi quanti adunaFerri e fochi su l’onda e su la terraVasto mostro di guerra, 165Che tre Imperi commette a la Fortuna;E con terribil facciaAnco l’altrui securità minaccia?

Or convien che s’affretti,Cotanto a le superbe ire vicina, 170Del mar l’alta ReginaIl suo fianco a munir d’uomini eletti,Ov’ardan le sublimiAnime di color che opposer primi

Al rio furore esterno 175Il valor la modestia ed i consigli;E dai miseri esigliFecer l’Adria innalzarsi a soglio eterno;

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Giuseppe Parini - Le odi

E sonar con preclareOpre del nome lor la terra e il mare. 180

Godi, Vicenza mia,Che il gritti a fin sì glorïoso or vola:E il tuo dolor consola,Mirando qual segnò splendida viaCo’ brevi esempi suoi 185Alla virtù di chi verrà da poi.

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IN MORTEDEL MAESTRO SACCHINI

Te con le rose ancoraDella felice gioventù nel voltoVidi e conobbi, ahi toltoSì presto a noi da la fatal tua oraO di suoni divini 5Pur dianzi egregio trovator sacchini!

Maschia beltà fiorìaNell’alte membra; dai vivaci lumiSplendido di costumiE di soavi affetti indizio uscìa: 10Il labbro era potenteDell’animo lusinga e de la mente.

All’armonico ingegnoQuante volte fe’ plauso; e vinta poiDa gli altri pregi tuoi 15Male al tenero cor pose ritegnoDamigella immatura,O matrona di sè troppo secura!

Ma perfido o fastosoTe giammai non chiamò tardi pentita: 20Nè d’improvviso uscitaMadre sgridò nè furibondo sposo,Te ingenuo, e del procaceRito de’ tuoi non facile seguace.

Amò de’ bei concenti 25Empier la tromba sua poscia la Fama;Tal che d’emula bramaArser per te le più lodate genti

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73Letteratura italiana Einaudi

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Che Italia chiuda, o l’AlpeDa noi rimova, o pur l’Erculea Calpe. 30

E spesso a breve oblìoLa da lui declinante in novo imperoIl Britanno severoAmerica lasciò: tanto il rapìo,Non avveduto ai tristi 35Casi, l’arguzia onde i tuoi modi ordisti.

O, se la tua dal mareArte poi venne a popol più faceto,Nel teatro inquietoTacquer le ardenti musicali gare; 40E in te sol uno immotiStetter dei cori e de l’orecchio i voti:

Poi che da’ tuoi pensieriMirabile di suoni ordin si schiuse,Che per l’aria diffuse 45Non peranco al mortal noti piaceri,O se tu amasti vantoDare a i mobili plettri, o pure al canto.

Fra la scenica luceBen più superbi strascinaron gli ostri 50I prezïosi mostri,Che l’Italo crudele ancor produce;E le avare sireneGravi a l’alme speràro impor catene;

Quando su le sonore 55Labbra di lor tuo nobil estro scese;E novi accenti appreseDelle regali vergini al dolore,

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O ne’ tragici affanniTurbò di modulate ire i tiranni. 60

Ma tu, del non virileGregge sprezzando i folli orgogli e l’oroInnalzasti il decoroDella bell’arte tua, spirto gentile,Di liberi diletti 65Sol avido bear gli umani petti.

Nè, se talor converseLa non cieca Fortuna a te il suo viso;E con lieto sorrisoFulgido di tesoro il lembo aperse, 70Indivisi a gli amiciI doni a te di lei parver felici.

Ahi sperava a le belleSue spiagge Italia rivederti alfine;Coronandoti il crine 75Le già cresciute a lei fresche donzelle,Use di te le lodiAscoltar da le madri e i dolci modi!

Ed ecco l’atra manoAlzò colei, cui nessun pregio move; 80E te, cercante nuoveGrazie lungo il sonoro ebano in vano,Percosse; e di famoseLagrime oggetto in su la Senna pose.

Nè gioconde pupille 85Di cara donna, nè d’amici affetto,Che tante a te nel pettoValean di senso ad eccitar faville,Più desteranno argutoSuono dal cener tuo per sempre muto. 90

Giuseppe Parini - Le odi

75Letteratura italiana Einaudi

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IL DONO

per la marchesa

paola castiglioni

Queste, che il fero AllobrogoNote piene d’affanniIncise col terribileOdiator de’ tiranniPugnale, onde Melpomene 5Lui fra gl’Itali spirti unico armò;

Come oh come a quest’animoGiungon soavi e belle,Or che la stessa GraziaA me di sua man dielle, 10Dal labbro sorridendomi,E dalle luci, onde cotanto può!

Me per l’urto e per l’impetoDe gli affetti tremendi,Me per lo cieco avvolgere 15De’ casi, e per gli orrendiDei gran re precipizii,Ove il coturno camminando va,

Segue tua dolce immagine,Amabil donatrice, 20Grata spirando ambrosiaSu la strada infelice;E in sen nova eccitandomiMista al terrore acuta voluttà:

O siache a me la fervida 25Mente ti mostri, quandoIn divin modi, e in varioSermon, dissimulando,

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Versi d’ingegno copiaE saper che lo ingegno almo nodrì: 30

O sia quando spontaneoLepor tu mesci a i detti;E di gentile aculeoAltrui pungi e dilettiMal cauto da le insidie, 35Che de’ tuoi vezzi la natura ordì.

Caro dolore, e specieGradevol di spaventoÈ mirar finto in tavolaE squallido, e di lento 40Sangue rigato il giovaneChe dal crudo cinghiale ucciso fu.

Ma sovra lui se pendereLa madre de gli amori,Cingendol con le rosee 45Braccia si vede, i coriOh quanto allor si sentonoDa giocondo tumulto agitar più!

Certo maggior, ma simileFra le torbide scene 50Senso in me desta il pingermiTue sembianze serene;E all’atre idee contessereI bei pregi, onde sol sei pari a te.

Ben porteranno invidia 55A’ miei novi piaceriQuant’altri a scorrer prendanoI volumi severi.Che far, se amico genioSì amabil donatrice a lor non diè? 60

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Giuseppe Parini - Le odi

LA GRATITUDINE

per

angelo maria durini

cardinale

Parco di versi tessitor ben fiaChe me l’Italia chiami;Ma non sarà che infamiTaccia d’ingrato la memoria mia.Vieni o Cetra al mio seno; 5E canto illustre al buon durini sciogli,Cui di fortuna dispettosi orgogliDuro non stringon freno;Sì che il corso non volga ovunque ei senteNon ignobil favilla arder di mente. 10

Me pur dall’ombra de’ volgari ingegniTolse nel suo pensiero;E con benigno imperoCollocò repugnante in fra i più degni.Me fatto idolo a lui 15Guatò la invidia con turbate ciglia;Mentre in tanto splendor gran meravigliaA me medesmo io fui:E sdegnoso pudore il cor mi punse,Che all’alta cortesìa stimoli aggiunse. 20

Solenne offrir d’ambizïose cene,Onde frequente schieraSazia si parta e altera,Non è il favor di che a bearmi ei viene.Mortale, a cui la sorte 25Cieco diede versar d’enormi censi,Sol di tai fasti celebrar sè pensi

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E la turba consorte.Chi sovra l’alta mente il cor sublimaMeglio sè stesso e i sacri ingegni estima. 30

Cetra il dirai; poi che a mostrarsi grato,Fuor che fidar nell’aliDe la fama immortali,Non altro mezzo all’impotente è dato.Quei, che al fianco de’ regi 35Tanto sparse di luce e tanto accolseFin che le chiome de la benda involsePremio di fatti egregi,A me, che l’orma umìl tra il popol segno,Scender dall’alto suo non ebbe a sdegno. 40

E spesso i Lari miei, novo stupore!Vider l’ostro romanoRiverberar nel vanoDell’angusta parete almo fulgore:E di quell’ostro avvolti 45Vider natìa bontà, clemente affetto,Ingenui sensi nel vivace aspettoAlteramente scolti,E quanti alma gentil modi ha più rari,Onde fortuna ad esser grande impari. 50

Qual nel mio petto ancor siede costanteDi quel dì rimembranza,Quando in povera stanzaL’alta forma di lui m’apparve innante!Sirio feroce ardea: 55Ed io, fra l’acque in rustic’ urna immerso,E a le Naiadi belle umil converso,Oro non già chiedeaChe a me portasser dall’alpestre vena,Ma te cara salute al fin serena. 60

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Giuseppe Parini - Le odi

Ed ecco, i passi a quello dio conformeCui finse antico gridoVerso il materno lidoDal Xanto ritornar con splendid’orme,Ei venne; e al capo mio 65Vicin si assise; e da gli ardenti lumiE da i novi spargendo atti e costumiSovra i miei mali oblìo,A me di me tali degnò dir cose;Che tenerle fia meglio al vulgo ascose. 70

Io del rapido tempo in vece a scornoCustodirò il momento,Ch’ei con nobil portentoRuppe lo stuol, che a lui venìa dintorno;E solo accorse; e ratto, 75Me, nel sublime impazïente cocchioPer la negata ohimè forza al ginocchioMale ad ascender atto,Con la man sopportò lucidi dardiDi sacre gemme sparpagliante a i guardi. 80

Come la Grecia un dì gl’incliti figliDi Tindaro credetteAgili su le vetteDe le navi apparir pronti a i perigli;E di felice raggio 85Sfavillando il bel crin biondo e le vesti,Curvare i rosei dorsi; e le celestiPorger braccia, coraggioDando fra l’alte minaccianti spumeAl trepido nocchier caro al lor nume: 90

Tale in sembianti ei parve oltra il mortaleUso benigni allora;Onde quell’atto ancora

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Di giocondo tumulto il cor m’assale:Chè la man, ch’io mirai 95Dianzi guidar l’amata genitrice,Ahi prima del morir tolta infeliceDel sole a i vaghi rai,E tolta dal veder per lei dal ciglioSparger lagrime illustri il caro figlio: 100

Quella man, che gran tempo a lato a i troniOnde frenato è il mondo,Di consiglio profondoCarte seppe notar propizie a i buoni:Quella che, mentre ei presse 105De le chiare provincie i sommi seggi,Grate al popol donò salubri leggi;Quella il mio fianco resseInsigne aprendo a la fastosa etadeSpettacol di modestia e di pietade. 110

Uomo, a cui la natura e il ciel diffuseVoglie nel cor benigne,Qualora desìo lo spigneL’arti a seguir de le innocenti Muse,Il germe in lui nativo 115Con lo aggiunto vigor molce ed affina,Pari a nobile fior, cui cittadinaMano in tiepido clivoEduca e nutre, e da più ricche foglieCara copia d’odori all’aria scioglie. 120

Costui, se poi dintorno a sè contesteD’onori e di fortunaFulgide pompe aduna,Pregiate allor che a la virtù son veste,Costui de’ proprj tetti 125Suo ritroso favor già non circonda;

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Giuseppe Parini - Le odi

Ma con pubblica luce esce e ridondaSopra gl’ingegni eletti,Destando ardor per le lodevol’ opre,Che le genti e l’età di gloria copre. 130

Non va la mente mia lungi smarritaCo’ versi lusinghieri;Ma per varj sentieriDell’inclito durin l’indole addita:E, come falco ordisce 135Larghi giri nel ciel volto a la preda;Tal, benchè vagabondo altri lo creda,Me il mio canto rapisceA dir com’egli a me davanti egregioUditor tacque; ed al Licèo diè pregio. 140

Quando dall’alto disprezzando i rudiTempi a cui tutto è vileFuor che lucro servile;Solo de’ grandi entrar fu visto; e i nudiScanni repente cinse 145De’ lucidi spiegati ostri sedendo;E al giovane drappel, che a lui sorgendoDi bel pudor si tinse,Lene compagno ad ammirar sè diede;E grande a i detti miei acquistò fede. 150

Onde osai seguitar del miserandoDi Làbdaco nipoteLe terribili noteE il duro fato e i casi atroci e il bando;Quale all’Attiche genti 155Già il finse di colui l’altero carme,Che la patria onorò trattando l’armeE le tibie piagnenti;E de le regie dal destin converseSorti, e dell’arte inclito esempio offerse. 160

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Simuli quei, che più sè stesso ammira,fuggir l’aura odorosaChe da i labbri di rosaLa bellissima lode a i petti inspira;Lode figlia del cielo, 165Che mentre a la virtù terge i sudori,E soave origlier spande d’alloriA la fatica e al zelo,Nuove in alma gentil forze compone;E gran premio dell’opre al meglio è sprone. 170

Io non per certo i sensi miei scorteseDi stoïco superboManto celati serbo,Se propizia giammai voce a me scese.Nè asconderò che grata 175Ei da le labbra melodìa mi porse,Quando facil per me grazia gli scorseDa me non lusingata;Poi che tropp’alto al cor voto s’imprimeD’uom che ingegno e virtudi alzan sublime. 180

Pur, se lice che intero il ver si scopra,Dirò che più mi piacqueAllor che di me tacque,E del prisco cantor fe’ plauso all’opra.Sorser le giovanili 185Menti da tanta autorità commosse:Subita fiamma inusitata scosseGli spiriti gentili,Che con novo stupor dietro a gl’invitiDe la greca beltà corser rapiti. 190

Onde come il cultor, che sopra il gremboDe’ lavorati campiMira con fausti lampi

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Stendersi repentino estivo nembo;E tremolar per molta 195Pioggia con fresco mormorìo le frondi;E di novi al suo piè verdi giocondiRider la biada folta,Tal io fui lieto, e nel pensier descrissiBelle speranze a la mia Insubria, e dissi: 200

Vedrò vedrò da le mal nate fonti,Che di zolfo e d’impuraFiamma e di nebbia oscuraScendon l’Italia ad infettar da i monti;Vedrò la gioventude 205I labbri torcer disdegnosi e schivi;E a i limpidi tornar di Grecia rivi,Onde natura schiudeAlmo sapor, che a sè contrario il folleSecol non gusta, e pur con laudi estolle. 210

Questi è il Genio dell’arti. Il chiaro focoOnde tutt’arde e splendeIrrequieto ei stendeSimile all’alto sol di loco in loco.Il Campidoglio e Roma 215Lui ancor biondo il crine ammirar videI supremi del bello esempi e guide,Che lunga età non doma;E il concetto fervore e i novi auspicjLargo versar di Pallade a gli amici. 220

Nè già, benchè per rapida le penneStrada d’onor levasse,Da sè rimote o basseLe prime cure onde fu vago ei tenne:O se con detti armati 225D’integra fede e cor di zelo accenso

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Osò l’ardua tentar fra nuvol densoMente de i re scettrati;O se nel popol poi con miti e pureMan le date spiegò verghe e la scure. 230

Però che dove o fra le reggie eccelseLoco all’arti divineO in umili officineO in case ignote la fortuna scelse,Ivi amabil decoro 235E saggia meraviglia al merto destaVenne guidando, e largità modesta,E de le grazie il coroCo’ festevoli applausi ora discintiOr de’ bei nodi de le Muse avvinti. 240

Anzi, come d’Alcide e di TesèoSuona che da le viveGenti a le inferne riveL’ardente cortesìa scender potèo;Ed ei così la notte 245Ruppe dove l’oblìo profondo giace;E al lieto de la fama aere vivaceTornò le menti dotte;E l’opre lor, dopo molt’anni e lustri,Di sue vigilie allo splendor fe’ illustri. 250

Tal che onorato ancor sul mobil etraVa del suo nome il suonoDove il chiaro PolonoDell’arbitro vicino al fren s’arretra;Dove il regal Parigi 255Novi a sè fati oggi prepara, e doveL’ombra pur anco del gran Tosco moveChe gli antiqui vestigiDel saper discoperse, e fèo la chiusaValle sonar di così nobil Musa. 260

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È ver che, quali entro al loro fondo avitoI Fabrizi e i CammilliTornar godean tranquilliPronti sempre del Tebro al sacro invito:Tal di sè solo ei pago 265Lungi dall’aura popolar s’invola;E mentre il ciel più glorïosa stolaForse d’ordirgli è vago,Tra le ville natali e l’aere puroDa i flutti or sta d’ambizïon securo. 270

Ma i cari studj a lui compagni annosi,E a i popoli ed all’artiI beneficj spartiSon del suo corso splendidi riposi.Vedi amplïarsi alterno 275Di moli aspetto ed orti ed agri ameni,Onde quei che al suo merto accesser beniE il tesoro paternoVersa; e dovunque divertir gli piaccia,L’ozio da i campi e l’atra inopia caccia. 280

Vedi i portici e gli atrj ov’ei conduceIl fervido pensiere,E le di libri alterePareti, che del vero apron la luce:O ch’ei di sè maestro 285Nell’alto de le cose ami recessoGir meditando, o il plettro a lui concessoTentar con facil estro;E in carmi, onde la bella alma si spande,Soavi all’amistà tesser ghirlande. 290

Ed ecco il tempio ove, negati altronde,Qual da novo EliconaPremj all’ingegno ei dona;

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E fiamme acri d’onore altrui diffonde.Ecco ne’ segni sculti 295Quei che del nome lor la patria ornaro,Onde sol generoso erge all’avaroOblìo nobili insulti;E quelle glorie a la città rivela,Ch’ella a sè stessa ingiurïosa cela. 300

Dove o Cetra? Non più. Rari i discretiSono: e la turba è densaChe già derider pensaI facili del labbro a uscir segreti.Di lui questa all’orecchio 305Parte de’ sensi miei salgane occulta,Sì che del cor, che al beneficio esulta,Troppo limpido specchioNon sia che fiato invidïoso appanni,Che me di vanti e lui d’error condanni. 310

Lungi o profani! Io d’importuna lodeVile mai non apersiCambio; nè in blandi versiAl giudizio volgar so tesser frode.Oro nè gemme vani 315Sono al mio canto: e dove splenda il mertoLà di fiore immortal ponendo sertoVo con libere mani:Nè me stesso nè altrui allor lusingoChe poetica luce al vero io cingo. 320

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PER L’INCLITA NICE

Quando novelle a chiedereManda l’Inclita NiceDel piè, che me costrignereSuole al letto infelice,Sento repente l’intimo 5Petto agitarsi del bel nome al suon.

Rapido il sangue fluttuaNe le mie vene: invadeAcre calor le trepideFibre: m’arrosso: cade 10La voce: ed al rispondereUtil pensiero in van cerco e sermon.

Ride, cred’io, partendosiIl messo. E allor solettoTutta vegg’ io, con l’animo 15Pien di novo diletto,Tutta di lei la immagineDentro a la calda fantasìa venir.

Ed ecco ed ecco sorgereLe delicate forme 20Sovra il bel fianco; e mobiliScender con lucid’orme,Che mal può la doviziaDell’ondeggiante al piè veste coprir.

Ecco spiegarsi e l’omero 25E le braccia orgogliose,Cui di rugiada nudronoFreschi ligustri e rose,E il bruno sottilissimoCrine, che sovra lor volando va: 30

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E quasi molle cumuloCrescer di neve alpinaLa man, che ne le florideDita lieve declina,Cara de’ baci invidia, 35Che riverenza contener poi sa.

Ben puoi ben puoi tu rigidoDi bel pudore costume,Che vano ami dell’avideLuci render l’acume, 40Altre involar delizie,Immenso intorno a lor volgendo vel:

Ma non celar la graziaNè il vezzo, che circondaIl volto affatto simile 45A quel de la giocondaEbe, che nobil premioAl magnanimo Alcide è data in ciel.

Nè il guardo, che dissimulaQuanto in altrui prevale; 50E volto poi con subitoImpeto i cori assale,Qual Parto sagittario,Che più certi fuggendo i colpi ottien.

Nè i labbri or dolce tumidi 55Or dolce in sè ristretti,A cui gelosi temonoGli Amori pargolettiNon omai tutto a suggereDoni Venere madre il suo bel sen: 60

I labbri, onde il sorridereGratissimo balena,

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Giuseppe Parini - Le odi

Onde l’eletto e nitidoParlar, che l’alme affrena,Cade, come di limpide 65Acque lungo il pendìo lene rumor;

Seco portando e i fulgidiSensi ora lieti or gravi,E i genïali studiiE i costumi soavi; 70Onde salir può nobileChi ben d’ampia fortuna usa il favor.

Ahi, la vivace immagineTanto pareggia il vero,Che, del piè leso immemore, 75L’opra del mio pensieroSeguir già tento; e l’ariaCon la delusa man cercando vo.

Sciocco vulgo a che mormori,A che su per le infeste 80Dita ridendo noveriQuante volte il celesteA visitare ArieteDopo il natal mio dì Febo tornò?

A me disse il mio Genio 85Allor ch’io nacqui: L’oroNon fia che te solleciti,Nè l’inane decoroDe’ titoli, nè il perfidoDesìo di superar altri in poter. 90

Ma di natura i liberiDoni ed affetti, e il grato

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De la beltà spettacoloTe renderan beatoTe di vagare indocile 95Per lungo di speranze arduo sentier.

Inclita Nice. Il secolo,Che di te s’orna e splende,Arde già gli assi. L’ultimoLustro già tocca, e scende 100Ad incontrar le tenebre,Onde una volta pargoletto uscì:

E già vicino ai limitiDel tempo i piedi e l’aliProvan tra lor le vergini 105Ore, che a noi mortaliGià di guidar sospiranoDel secol, che matura il primo dì.

Ei te vedrà nel nascereFresca e leggiadra ancora 110Pur di recenti grazieGareggiar con l’aurora;E di mirarti cupidoDe’ tuoi begli anni farà lento il vol.

Ma io, forse già polvere, 115Che senso altro non serbaFuor che di te, giacendomiFra le pie zolle e l’erba,Attenderò chi dicamiVale passando, e ti sia lieve il suol. 120

Deh alcun, che te nell’aureoCocchio trascorrer veggia

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Giuseppe Parini - Le odi

Su la via, che fra gli alberiSuburbana verdeggia,Faccia a me intorno l’aere 125Modulato del tuo nome volar.

Colpito allor da brividoReligïoso il core,Fermerà il passo; e attonitoUdrà del tuo cantore 130Le commosse reliquieSotto la terra argute sibilar.

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A SILVIA

Perché al bel petto e all’omeroCon subita vicendaPerchè, mia Silvia ingenua,Togli l’Indica benda,

Che intorno al petto e all’omero, 5Anzi a la gola e al mentoSorgea pur or, qual tumidaVela nel mare al vento?

Forse spirar di zefiroSenti la tiepid’ora? 10Ma nel giocondo arieteNon venne il sole ancora.

Ecco di neve insolitaBianco l’ispido vernoPar che, sebben decrepito, 15Voglia serbarsi eterno.

M’inganno? O il docil animoGià de’ feminei ritiCede al potente imperio:E l’altre belle imiti? 20

Qual nome o il caso o il genioAl novo culto impose,Che sì dannosa copiaSvela di gigli e rose?

Che fia? Tu arrossi? E dubia, 25Col guardo al suol dimesso,Non so qual detto mormoriMal da le labbra espresso?

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Parla. Ma intesi. Oh barbaro!Oh nato da le dure 30Selci chiunque togliereDa scellerata scure

Osò quel nome, infamiaDel secolo spietato;E diè funesti augurii 35Al femminile ornato;

E con le truci EumenidiLe care Grazie avvinse;E di crudele immagineLa tua bellezza tinse! 40

Lascia, mia Silvia ingenua,Lascia cotanto orroreAll’altre belle, stupideE di mente e di core.

Ahi, da lontana origine, 45Che occultamente noce,Anco la molle giovanePuò divenir feroce.

Sai de le donne esimie,Onde sì chiara ottenne 50Gloria l’antico Tevere,Silvia, sai tu che avvenne;

Poi che la spola e il FrigioAgo e gli studj cariMal si recàro a tedio 55E i pudibondi Lari;

E con baldanza improvvida,Contro a gli esempi primi,

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Ad ammirar convenneroI saltatori e i mimi? 60

Pria tolleraron faciliI nomi di TerèoE de la maga ColchicaE del nefario Atrèo.

Ambìto poi spettacolo 65A i loro immoti cigliFur ne le orrende favoleI trucidati figli.

Quindi, perversa l’indole,E fatto il cor più fiero, 70Dal finto duol, già sazie,Corser sfrenate al vero.

E là dove di LibiaLe belve in guerra oscenaEmpièan d’urla e di fremito 75E di sangue l’arena,

Potè all’alte patrizieCome a la plebe oscuraGiocoso dar solleticoLa soffrente natura. 80

Che più? Baccanti, e cupideD’abbominando aspetto,Sol dall’uman pericoloAcuto ebber diletto:

E da i gradi e da i circoli 85Co’ moti e con le voci,

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Di già maschili, applauseroA i duellanti atroci:

Creando a sè deliziaE de le membra sparte, 90E de gli estremi aneliti,E del morir con arte.

Copri, mia Silvia ingenua,Copri le luci; et odiCome tutti passarono 95Licenzïose i modi.

Il gladiator, terribileNel guardo e nel sembiante,Spesso fra i chiusi talamiFu ricercato amante. 100

Così, poi che da gli animiOgni pudor disciolse,Vigor da la libidineLa crudeltà raccolse.

Indi a i veleni taciti 105Si preparò la mano:Indi le madri ardironoDi concepir in vano.

Tal da lene principioIn fatali rovine 110Cadde il valor la gloriaDe le donne Latine.

Fuggi, mia Silvia ingenuaQuel nome e quelle forme,

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Che petulante indizio 115Son di misfatto enorme.

Non obliar le originiDe la licenza antica.Pensaci: e serba il titoloD’umana e di pudica. 120

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ALLA MUSA

Te il mercadante, che con ciglio asciuttoFugge i figli e la moglie ovunque il chiamaDura avarizia nel remoto flutto,Musa, non ama.

Nè quei, cui l’alma ambizïosa rode 5Fulgida cura; onde salir più agogna;E la molto fra il dì temuta frodeTorbido sogna.

Nè giovane, che pari a tauro irrompaOve a la cieca più Venere piace: 10Nè donna, che d’amanti osi gran pompaSpiegar procace.

Sai tu, vergine dea, chi la parolaModulata da te gusta od imita;Onde ingenuo piacer sgorga, e consola 15L’umana vita?

Colui, cui diede il ciel placido sensoE puri affetti e semplice costume;Che di sè pago e dell’avito censoPiù non presume. 20

Che spesso al faticoso ozio de’ grandiE all’urbano clamor s’invola, e viveOve spande natura influssi blandiO in colli o in rive.

E in stuol d’amici numerato e casto, 25Tra parco e delicato al desco asside;E la splendida turba e il vano fastoLieto deride.

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Che a i buoni, ovunque sia, dona favore;E cerca il vero; e il bello ama innocente; 30E passa l’età sua tranquilla, il coreSano e la mente.

Dunque perchè quella sì grata un giornoDel Giovin, cui diè nome il dio di Delo,Cetra si tace; e le fa lenta intorno 35Polvere velo?

Ben mi sovvien quando, modesto il ciglio,Ei già scendendo a me giudice feaMe de’ suoi carmi: e a me chiedea consiglio:E lode avea. 40

Ma or non più. Chi sa? Simile a rosaTutta fresca e vermiglia al sol, che nasce,Tutto forse di lui l’eletta SposaL’animo pasce.

E di bellezza, di virtù, di raro 45Amor, di grazie, di pudor natìoL’occupa sì, ch’ei cede ogni già caroStudio all’oblìo.

Musa, mentr’ella il vago crine annodaA lei t’appressa; e con vezzoso dito 50A lei premi l’orecchio; e dille: e t’oda.Anco il marito.

Giovinetta crudel, perchè mi togliTutto il mio d’Adda, e di mie cure il pregio,E la speme concetta, e i dolci orgogli 55D’alunno egregio?

Costui di me, de’ genj miei si accesePria che di te. Codeste forme infanti

Giuseppe Parini - Le odi

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Page 104: Odi - Biblioteca della Letteratura · PDF fileL’innesto del vaiuolo 1 La salubrità dell’aria 7 La vita rustica 12 Il bisogno Al sig. Wirtz pretore per la Repubblica Elvetica 16

Giuseppe Parini - Le odi

Erano ancor, quando vaghezza il preseDe’ nostri canti. 60

Ei t’era ignoto ancor quando a me piacque.Io di mia man per l’ombra, e per la lieveAura de’ lauri l’avviai ver l’acque,Che al par di neve

Bianche le spume, scaturir dall’alto 65Fece Aganippe il bel destrier, che ha l’ale:Onde chi beve io tra i celesti esaltoE fo immortale.

Io con le nostre il volsi arti divineAl decente, al gentile, al raro, al bello: 70Fin che tu stessa gli apparisti al fineCaro modello.

E, se nobil per lui fiamma fu destaNel tuo petto non conscio: e s’ei nodrìaNobil fiamma per te, sol opra è questa 75Del cielo e mia.

Ecco già l’ale il nono mese or scioglieDa che sua fosti, e già, deh ti sia salvo,Te chiaramente in fra le madri accoglieIl giovin alvo. 80

Lascia che a me solo un momento ei torni;E novo entro al tuo cor sorgere affetto,E novo sentirai da i versi adorniPiover diletto.

Però ch’io stessa, il gomito posando 85Di tua seggiola al dorso, a lui col suono

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De la soave andrò tibia spirandoFacile tono.

Onde rapito, ei canterà che sposoGià felice il rendesti, e amante amato; 90E tosto il renderai dal grembo ascosoPadre beato.

Scenderà in tanto dall’eterea moleGiuno, che i preghi de le incinte ascolta.E vergin io de la Memoria prole 95Nel velo avvolta

Uscirò co’ bei carmi; e andrò gentileDono a farne al Parini, Italo cigno,Che a i buoni amico, alto disdegna il vileVolgo maligno. 100

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