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Filippo Gallo VOFFICIUMDEL PRETORE NELLA PRODUZIONE E APPLICAZIONE DEL DIRITTO Corso di diritto romano G. Giappichelli Editore Torino

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Filippo Gallo

VOFFICIUMDEL PRETORENELLA PRODUZIONE

E APPLICAZIONE DEL DIRITTO

Corso di diritto romano

G. Giappichelli Editore — Torino

INDICE SOMMARIO

Premessa p. VII

PROSPETTO STORICO DELLA PRODUZIONE E APPLICAZIONEDEL DIRITTO NELL'EPOCA REPUBBLICANA E IMPERIALE

1. Il fenomeno, ignoto alla nostra attuale esperienza, délia produzione deldiritto attraverso la soluzione di casi concreti. Prima illustrazione nei ri-guardi délie esplicazioni délia iurisdictio pretoria, spazianti dalla conces-sione di un mezzo processuale previsto, al suo rifiuto, alla sua neutraliz-zazione, alla predisposizione di un mezzo non previsto. La concessionedi un mezzo nuovo per il caso concreto poteva esaurirsi nello stesso op-pure diventare, in forza di ripetute applicazioni, una norma générale.Con ius si indicavano sia le norme sostanziali che i mezzi processuali, siala soluzione concreta che le previsioni generali ed astratte. Esempi dimodifiche del diritto apportate dalla legge e fonti equiparate con l'intro-duzione di mezzi processuali o la modifica del loro ambito di applicazio-ne. I romani vedevano soprattutto nel ius la tecnica per la realizzazioneâeW'aequum nei rapporti umani, al quai fine venivano integrate e corret-te, aU'occorrenza, in sede applicativa, le previsioni normative generali edastratte. p. 17

2. Con le XII tavole appare attuato l'assetto repubblicano basato sulla sovra-nità popolare, di cui è affermato il supremo attributo costituito dalla pro-duzione del diritto. Il potere popolare trovava attuazione, oltre che nellalex, nella recezione moribus. In siffatto quadro il ruolo àeM'interpretatiopontificale (poi sostituita da quella laica) nei mores, quale fosse statonell'età regia, si risolveva in una proposta agli interessati (a cives, membridel populus), costituente una sorta di 'pendant' con la rogatio magistra-tuale nella lex. La rappresentazione délie XII tavole quale fonte di tutto il

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diritto romano trova giustificazione nella riserva, in esse stabilita, al po-pulus délie future modificazioni del diritto e nei fatto che lo stesso lo po-neva anche col comportamento. La lex e i mores si integravano in modofruttuoso. La prima continuava ad adempiere, su singoli punti, il compi-to che era stato assolto, in modo complessivo, dalle XII tavole. Ad essaerano riservate determinate materie (l'assetto costituzionale, il diritto eprocesso pénale, ecc); in générale essa era necessaria per compiere saltiqualitativi immediati. La recezione tnoribus, costituente il modo ordina-rio di produzione del diritto, operava sull'esistente (nei limiti consentitidalle possibilité estensive e combinatorie degli elementi già in essere) e ri-chiedeva del tempo. Si devono ad essa anche nuove figure di diritti reali euna nuova forma di testamento. p. 20

3. Il sistema dualistico descritto délia produzione del diritto, espressionedell'assetto costituzionale repubblicano, potè funzionare finché taie asset-to conserve) aderenza alla realtà e lo sviluppo socio economico si manten-ne entro la cornice délia civiltà contadina. Le deficienze emerse per le rot-ture deU'equilibrio tra la struttura giuridica e le esigenze sociali furonoprincipalmente colmate dal pretore, contitolare coi consoli deW'imperium einvestito délia iurisdictio. La concessione, già al tempo délie legis actiones,di mezzi rnagis imperii quam iurisdictionis. In particolare la tutela interdit-taie. L'accresciuta domanda di giurisdizione da parte délia rnulta turbaetiam peregrinorum confluente a Roma a partire dal III secolo a.C. e la crea-zione di un secondo pretore (il praetor peregrinus). Inadeguatezza ai biso-gni dei trattati commerciali stipulati da Roma e del rimedio délia fictio ci-vitatis. Apprestamento del nuovo strumento, per la tutela processuale deinuovi negozi, costituito dalla formula. Aderenza alla realtà délia rappre-sentazione del ius gentium, da parte dei rnaiores, tramandata da Cicérone.Gli istituti detti iuris gentium (le forme délia stipulatio diverse dal verbospondere, la compravendita, la locazione, ecc.) vennero recepiti moribus inquanto praticati anche inter cives. L'esercizio del ius edicendi da parte delpretore. In forza délia lex Cornelia del 67 a.C. gli edicta magistratuum as-sunsero il valore di norme generali ed astratte nei limite dell'anno di cari-ca; limite anch'esso presto superato, grazie al concorso dell'elaborazionegiurisprudenziale, mediante la recezione moribus. La lex Aebutia e le dueleges Iuliae iudiciorum privatorum. La conseguita stabilita délie clausoleedittali non escludeva il potere-dovere del pretore, ai fini délia realizzazio-ne in concreto del bonum et aequum, di disapplicare mezzi processuali invigore, corne di apprestarne uno apposito per il caso specifico. p. 27

4. Il sistema repubblicano di produzione e applicazione del diritto venneintegrato con l'attribuzione di valore normativo ai senatusconsulta (in

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precedenza, corne risulta dal segno, pareri). Infondatezza degli argo-menti addotti a sostegno délia tesi secondo cui taie attribuzione si ebbesolo in epoca impériale. Attenzione al racconto di Pomponio, che collo-ca I'acquisizione del potere normativo da parte del senato nei medesimotempo in cui si riconobbe valore di norme generali agli edicta dei magi-strati giusdicenti. È vero che, corne dice il giureconsulto, al tempo indi-cato era diventato difficile convocare la plèbe e il popolo per l'émana-zione di plebisciti e leggi. D'altro lato permaneva l'esigenza, talora for-temente sentita, di mutamenti immediati al sistema giuridico in vigore.L'esempio del senatoconsulto Macedoniano. Altre testimonianze del va-lore normativo dei senatoconsulti già in età repubblicana. Le ragionidélie dispute sul legis vicem optinere dei senatoconsulti: da una partemancô una lex populi Romani (si pensi invece alla lex Ortensia per i ple-bisciti e aile leges de imperio per le costituzioni imperiali); dall'altra ilrango e la composizione del senato potevano giustificare una rappre-sentanza del popolo da parte dello stesso. p. 39

. Il passaggio dalla repubblica al principato awenne senza contrasti, sulpiano formale, col principio délia sovranità popolare, su cui riposava lacostituzione repubblicana. Lo strumento utilizzato a ta] fine fu la lex deimperio, con la quale l'imperatore riceveva l'investitura iussu populi e laesercitava vice populi; in coerenza le sue constitutiones (le norme da luiposte) legis vicem optinebant. Il popolo non si spogliava peraltro del pro-prio potere, corne mostra la produzione di leges ancora nei I secolo d.C.parallelamente all'emanazione di constitutiones a partire da Auguste IIpotere normativo impériale ricevuto dal popolo non era assoluto, ma di-screzionale; il principe doveva esercitarlo nell'interesse del popolo, checonservava in via di principio il potere di destituirlo e di rescinderne gliatti. Scostamenti dal quadro delineato sono attestati da Pomponio e so-prattutto da Ulpiano, secondo la cui rappresentazione il popolo conferi-sce al singolo principe tutto il proprio potere, restandone privo finché re-sta in carica. Il potere popolare appare ridotto all'investitura dei successi-vi principi. A questo punto la costituzione impériale tiene il luogo délialegge nei senso che l'ha sostituita, soppiantata. Nei periodo impérialescomparve anche la recezione moribus, non più menzionata corne fonteviva né da Gaio né da Pomponio. Ad essa si sovrappose il ius respondendiex auctoritate principis, accordato dall'imperatore a giuristi di propria fi-ducia. La receptio moribus veniva messa in moto dal suggerimento delgiurista, ma la fonte era vista nei comportamento dei consociati (nella vo-luntas populi). Con la concessione a giuristi del ius respondendi la fontevenne viceversa individuata nei parère del giurista (a cui doveva confor-marsi il comportamento dei consociati). p. 43

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6. Per i senatoconsulti si delineô la tendenza a reputare preminente, rispet-to alla pronuncia dei senatori, la proposta, Yoratio in senatu habita delprincipe, Uofficium pretorio venne pressoché interamente svuotato. Il po-tere normativo impériale e il ius respondendi restrinsero gli spazi lasciatiagli intervenu dei pretori sia nei riguardi dei casi concreti che nella posi-zione di norme generali. La sfera del ius dicere si ridusse in connessionecol dilatarsi degli ambiti riservati al nuovo tipo di processo délia cognitioextra ordinem. Sotto Adriano le riforme connesse alla c.d. codificazionedell'editto (la riserva délie future modifiche di quest'ultimo all'imperatoree al senato e la prescrizione dell'analogia) tolsero al pretore il potere diporre o modificare norme generali ed astratte (clausole edittali) e ridus-sero la discrezionalità del ius dicere ai casi quali non si riteneva praticabi-le l'analogia. Anche per questi stessi casi il ius dicere risultô sganciato dal-la produzione del diritto, non potendo più sfociare nella posizione di nor-me generali. Al tramonto dell'epoca impériale appaiono poste le premes-se del disegno, poi attuato compiutamente da Giustiniano, di concentrarenell'imperatore tutta la produzione del diritto, compresa l'interpretazioneimplicante profili valutativi. p. 48

UN NUOVO APPROCCIO PER LO STUDIO DEL IUS HONORARIUM

1. Fondatezza délia premessa da cui era partito lo Schultze, sulla scia delWindscheid, nello studio del ius honorarium: Yofficium pretorio - impli-cante la legittima disapplicazione di norme in vigore - presuppone ve-dute diverse dalle nostre in tema di norma e di diritto soggettivo, cornedi azione e di giurisdizione. L'anomalia di taie officium non trova spie-gazione nella teoria délia duplicità di ordinamenti giuridici, la quale ècontraddetta dalle fonti e capovolge la vicenda storica: il ius honorariumnon è stato il fondamento, bensi il prodotto délia iurisdictio. Nécessitadi superare l'appagamento, largamente indotto da taie teoria nella dot-trina, su rappresentazioni consone (in apparenza) a nostre concezionidi fondo. p. 53

2. Uofficium del pretore - da considerare nella situazione giuridica e inquella socio economica che erano in atto - si esplicô nei ius dicere e nel-l'emanazione di edicta. Diversamente da quanto si è sostenuto, il pretoreponeva (poteva porre) nuovo tus. A seguito délie prescrizioni délia lex Cor-nelia de iurisdictione le clausole inserite neU'edictum assunsero il valore dinorme generali, sempre nei limite dell'annualità délia carica; limite chevenne anch'esso superato, col concorso dell'elaborazione giurispruden-

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ziale, a mezzo délia receptio moribus. Per lungo tempo gli edicta dei magi-strati giusdicenti furono ritenuti dai giuristi una parte o settore del dirit-to romano (dei iura populi Romani secondo la rappresentazione di Gaio).La distinzione, a livello scientifico, tra ius praetorium (introdotto dai pre-tori) e ius civile (prodotto dalle leges e dalle fonti ad esse equiparate) sitrova enunciata per la prima volta in Papiniano. Uofficium del pretore va,da un lato, posto in connessione (coordinato) con la recezione moribus e,dall'altro, tenuto da essa distinto. p. 68

3. lus indicava, oltre all'ordinamento e alla norma, la disciplina del casoconcrète Rientrava nel ius dicere non solo l'enunciazione del diritto in vi-gore, ma altresi il diniego dello stesso e la pronuncia di un diritto diverso.Le vedute sottese, incompatibili con le nostre, emergono più che da ela-borazioni teoriche, dal comportamento concludente. Il pretore si scosta-va dalle norme in vigore in presenza sia dell'emergere di esigenze nuove,non appagate coi modi normali di produzione del diritto, sia del profilar-si di disarmonie rispetto alla ratio di una norma o al bonum et aequum.Salvo deviazioni sporadiche, veniva applicato nel ius dicere il criterioâeW'aequum (= uguaglianza proporzionale), comprensivo del bonum.Emerge una connessione con la definizione celsina del ius e con quella ul-pianea di iustitia. Sono espressioni di una visione realistica il riconosci-mento del ius dicere basato sull'inique decernere e la negazione di seguitoalla norma posta non ratione, sed errore, con riferimento a un caso con-creto. p. 103

4. La funzione del ius dicere rientrava nel circuito délia produzione del di-ritto. Svolgendola il magistrato assolveva un compito integrativo e corret-tivo délie norme generali in vigore nelle situazioni in cui se ne presentaval'esigenza: ad esempio per sopperire aile lacune del sistema. In forza dél-ia lex Comelia il pretore svolse altresi una funzione supplente, o vicaria,rispetto ai modi tradizionali di produzione del diritto, ponendo norme ge-nerali ed astratte (clausole edittali) per appagare esigenze nuove, emer-genti nella società, da essi non appagate. Ne! diritto non si dava premi-nenza al momento normativo, bensi a quello délia realizzazione del bo-num et aequum nei concreti rapporti umani. Le norme erano si generalied astratte, ma subordinate al fine ultimo del diritto, visto in taie realiz-zazione; in coerenza andavano applicate nei casi concreti fin dove lo rea-lizzavano. Si tratta di concezioni confliggenti, in aspetti essenziali, conquelle portate, sotto spinte ideologiche (in armonia con posizioni giusti-nianee e in contrasto con la realtà), dal positivisme e, in parte rilevante,tuttora insuperate. p. 120

UOFFICIUM DEL PRETORE

5. Uofficium del pretore (abnorme secondo vedute oggi dominanti) è piùampio e incisive di quello attribuito in ordinamenti vigenti alla corte co-stituzionale. Anche nella dottrina romanistica si è cercato di ridimensio-narlo. È perô certo che la soluzione romana per sopperire aile deficienzedei modi ordinari di produzione del diritto e ai limiti insiti nelle normegenerali ed astratte (esigenze e limiti oggi vistosi), ha conseguito, nell'in-sieme, risultati di alta qualità. Non si intende proporre, con tutto ciô, unantistorico trapianto di taie soluzione nella nostra attuale esperienza. Gliscopi dello studio del diritto romano sono altri. Viene oggi nuovamente ri-conosciuta l'esistenza di leggi arbitrarie e si riscoprono, nell'uguaglianzae nella ragionevolezza (corrispondenti al bonum et aequum délia defini-zione celsina del ius), i supremi principi ispiratori del diritto. Si tratta dipassi decisivi per il superamento di posizioni positivistiche. Lo studio dél-ia produzione e applicazione del diritto nell'esperienza romana aiuta a ri-cercare le soluzioni più idonee, nella situazione esistente, per proseguirein taie direzione. p. 132

LA SOVRANITÀ POPOLARE QUALE FONDAMENTODELLA PRODUZIONE DEL DIRITTO IN D. 1,3,32:TEORIA GIULIANEA O MANIPOLAZIONE POSTCLASSICA?

1. La ricostruzione che avevo proposto e quella sostenuta dal Guarino inmerito a D. 1,3,32. Convergenze e divergenze tra le due ricostruzioni. Leprime attengono al metodo e al convincimento che Giuliano non equiparôius moribus receptum e consuetudo, ma trattô soltanto di una délie due fi-gure. La divergenza di fondo concerne l'individuazione délia figura di cuitrattô il giurista. p. 139

2. Secondo il Guarino, Giuliano si occupé délia consuetudo con riferimentoall'applicazione délia lex Papia in ambito provinciale. Difetta perô il pre-supposto délia tesi, costituito dalla normale applicazione ai provinciali(per Roma non cittadini, ma sudditi), délie leges publicae populi Romani.Al tempo di Giuliano la consuetudo non era ancora ritenuta, nella cerchiadei cives, una fonte del diritto, corne mostrano le posteriori trattazioni inargomento di Gaio e Pomponio. È viceversa attestato in modo sicuro, co-me riconosce anche il Guarino, la persistenza, in taie tempo, del ius mo-ribus receptum. p. 142

3. L'introduzione nel nostro frammento dei riferimenti alla consuetudo, a la-

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to del ius moribus receptum, considerato da Giuliano, ha lasciato segniinequivoci nelle discongruenze che tali riferimenti presentano sia tra lorosia col conteste. La manipolazione del testo tendeva a riferire alla con-suetudo la trattazione giulianea in tema di ius moribus receptum, al fine diabbassare quest'ultimo al rango inferiore (di fonte subordinata alla legge)délia prima. L'equiparazione perseguita non è risultata (non poteva risul-tare coi mezzi usati) perfetta. p. 146

4. Nella seconda parte del frammento è conservata la giustificazione dell'as-serzione iniziale, secondo cui, negli ambiti nei quali non si usano le leggi,si deve osservare il ius moribus receptum. Essa risale a Giuliano, salvo lazeppa dérivante dalla sostituzione di suffragio legis latoris a suffragio po-puli. Il Guarino riconosce la produzione del diritto da parte del popolo, af-fermata nella frase iniziale, ritenuta in coerenza genuina. Nega invece cheGiuliano ammettesse l'abrogazione moribus, espungendo la frase finale,in cui essa è enunciata. Sia la posizione di nuove norme che l'abrogazio-ne di norme esistenti sono perô aspetti dello stesso fenomeno délia pro-duzione del diritto. Secondo il Guarino esisteva la disapplicazione di nor-me divenute obsolète, ma non la loro abrogazione (eliminazione) per de-suetudine. Confutazione dell'assunto alla luce di dati testuali. p. 147

5. La recezione moribus è l'istituto antico, mentre la consuetudo rappresen-ta l'elemento nuovo, enucleato corne fonte del diritto dopo la concessionedélia cittadinanza ai sudditi provinciali. Con la nuova figura si ricondus-sero al sistema romano gli elementi dei diritti locali, con esso compatibi-li, ancora usati dai nuovi cittadini. La recezione moribus aveva rangoeguale alla legge; la consuetudo emerse invece corne fonte ad essa subor-dinata e taie rimase nell'età postclassica e giustinianea. Sotto il dominatoe nel diritto giustinianeo mancavano i presupposti e le ragioni per la teo-rizzazione del ius basato sulla sovranità popolare. Il Guarino, che ricono-sce il ius moribus receptum, amputa dalla relativa teorizzazione giulianea,l'elemento ictu oculi incompatibile con le vedute oggi dominanti, ma atte-stato in modo chiaro nelle fonti, dell'abrogazione délia iegge per desuetu-dine. p. 153

6. Il non iitimur e il sottinteso utimur, nel contesto iniziale, appaiono coe-renti con la teoria giulianea délia desuetudine: uti e non uti legibus non si-gnificano, com'è stato sostenuto, disporre e non disporre di norme légi-slative, ma usarle e non usarle. Siffatto impiego, riflettente una concezio-ne consolidata, è ampiamente documentato nelle fonti. Il non uti esprimeprecisamente l'aspetto fattuale délia desuetudine, raccordato, nella teo-rizzazione giulianea, alla volontà popolare (tacitus consensus omnium).

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Nel testo, de quibus causis scriptis legibus non utimur allude al non uso dinorme poste dalle leggi o fonti equiparate, sia perché esse mancano, siaperché, pur esistendo, vengono disapplicate dal populus (è compiuto o èin corso il fenomeno délia desuetudo). p. 155

7. Giuliano non si occupé, nella prima parte del nostro frammento, delproblema délie lacune délia legge nel senso attualmente inteso. I rilieviin contrario presuppongono un carattere meramente interpretativo ditaie operazione. Per contro nell'esperienza romana, prima del domina-to, era riconosciuta, in connessione con l'incompletezza délie previsioninormative, la produzione del diritto in relazione al caso concrète Testi-monianze di idée romane sul ius e il ruolo dei giuristi. Lo stesso Giulia-no teorizzô l'indicata incompletezza. In D. 1,3,10-12 si occupé dell'inte-grazione délie lacune nelle singole leggi e senatoconsulti ad opéradell'imperatore e dei giuristi muniti di ius respondendi, nonché dei ma-gistrati preposti alla iurisdictio. Nella parte iniziale del frammento inesame egli trattô, viceversa, dell'estensione in via analogica del ius mo-ribus receptum. p. 157

8. Si confuta la tesi délia genuinità, nel frammento, oltre che dei richiami al-la consuetudo, del riferimento al ius quo urbs Roma utitur, quale mezzo dichiusura per owiare aile lacune normative. Taie riferimento è estraneo alpensiero di Giuliano, che, nel passo in esame, non trattava délie lacunedélia legge e non teorizzava la consuetudo. Esso dà luogo, nella stesura at-tuale, a un coacervo di storture non attribuibili al giurista, al cui tempo ilius, quo urbs Roma utitur, non era sceverabile dal ius moribus inductum.Secondo la stessa graduazione ritenuta giulianea dal Guarino (legge, con-suetudine, analogia, ius, quo urbs Roma utitur), non sembra superabilel'irriducibilità alla consuetudine del ius usato nella città di Roma. È vero-simile che l'analogia e il ius, quo urbs Roma utitur, siano espressioni di di-versi indirizzi seguiti in età diverse per l'integrazione délie previsioni nor-mative, p. 164

9. Con ogni probabilità il testo giulianeo ha subito manipolazioni al di làdell'affiancamento délia consuetudo al ius moribus inductum e dell'in-serzione del ius quo urbs Roma utitur. Esistono tuttavia ragioni testua-li ed extratestuali (di cui non avevo tenuto conto in studi precedenti)per salvare la menzione dell'analogia. Tra le seconde émerge la codifi-cazione dell'editto eseguita da Giuliano ed accompagnata dalla riservaall'imperatore a al senato délie future modifiche dell'editto e dalla pre-scrizione del criterio analogico nel ius dicere. L'ammissione dell'analo-gia per il ius moribus inductum intégra, nell'elaborazione del giurecon-

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suite, la teorizzazione délia stessa in merito aile leggi e ai senatocon-sulti. Il testo, quale ricostruito, présenta uno scompenso: difetta, a latodell'articolata giustificazione del ius moribus inductum, ogni elementogiustificativo del criterio analogico, escogitato e suggerito da Giuliano.Non appare peraltro proficuo, allô stato, procedere oltre nella ricostru-zione. p. 167

10. Le manipolazioni coite nel frammento rispecchiano fasi délia storia déliaproduzione del diritto nell'esperienza romana con riguardo al riconosci-mento délia consuetudo e alla sua sostituzione al ius moribus receptum.Tentativo di individuare le epoche e i movimenti di idée in cui si collocaciascuna di esse. Nell'attuale stesura la consuetudo risulta assimilata alius moribus receptum, mentre nel diritto giustiniano è subordinata allalegge. L'adeguamento aile vedute giustinianee è stato operato in via di in-terpretazione, corne mostrano vari testi ricevuti nei Basilici. Le linee atte-state (sostituzione alla visuale giulianea del non uso di leggi, di quella dél-ie lacune del sistema legislativo; limitazione dell'abrogazione per desue-tudine aile norme consuetudinarie; ammissione del non uso délia leggesenza l'effetto abrogante) presentano coincidenze con forti indirizzi deli-neatisi nella tradizione occidentale. p. 171

11. Il convincimento che la desuetudine délia legge confligga, in assoluto (an-che nel diritto italiano vigente), con la certezza del diritto ha orientato aespungerne la teorizzazione dal nostro frammento. A prescindere dal si-curo riconoscimento délia desuetudine délia legge nel sistema giuridico dicui si è occupato Giuliano, va puntualizzato che il rapporto tra essa e lacertezza del diritto non è uguale nei vari ordinamenti. È vero che essa nonrisulta coerente nei sistemi nei quali la produzione del diritto è concen-trata nella legge, ma non è cosi per i sistemi in cui, corne in quello rama-no, si présenta normale taie produzione in relazione al caso concreto. Ilcollegamento délia certezza del diritto alla produzione dello stesso in vialegislativa ha una componente ideologica, dalla quale la dottrina dovreb-be affrancarsi per la presa di coscienza del fenomeno, esistente anche nel-la nostra attuale esperienza, délia disapplicazione délia legge, e per la suaanalisi, utile in varie direzioni, a cominciare dalla percezione délia suaconsistenza e dall'individuazione dei criteri per sceverare la disapplica-zione ricadente nell'obsolescenza délia legge da quella che ne costituisceviolazione. Prime osservazioni. p. 175

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SUL POTERE NORMATIVO IMPERIALE

1. Contrasti di opinioni correnti con le testimonianze délie fonti. p. 179

2. In se e per se, il tema del potere normativo impériale, se pure confluisco-no in esso fatto e diritto, attiene alla sfera del dover essere. Nécessita diuna rilettura preliminare délie fonti concernenti specificamente taie pote-re, di quelle relative alla solutio legibus del principe e délie clausole a noipervenute délia lex de imperio Vespasiani. Le attestazioni sono univochesu questi punti: fin dall'awento del principato l'imperatore ha avuto il po-tere normativo; secondo la testimonianza di Pomponio, è proprio essoche caratterizza, sul piano costituzionale, il principato; il potere di crearediritto viene conferito all'imperatore dal popolo - che ne è il legittimo ti-tolare nella visuale repubblicana - mediante la lex; si è passati dal confe-rimento ad personam all'attribuzione una volta per tutte (al trapasso sto-rico) alla carica impériale. Non appaiono invece univoci i testi in tema disolutio legibus. Emerge tuttavia, per l'età del principato, la visione déliasolutio circoscritta a determinate leggi. Conferme tratte, su vari punti,dalla parte pervenutaci délia lex de imperio Vespasiani. p. 179

3. Infondatezza délie tesi escludenti il potere normativo impériale nella pri-ma fase del principato. Inattendibilità sia délia prospettiva interpolazio-nistica (al présente in génère abbandonata), sia di giustificazioni più re-centi, quale l'attribuzione a Gaio, Pompono e Ulpiano di uno scopo di ca-rattere propagandistico, la quale difetta di ogni spunto probante e non siconcilia con dati testuali (ad. es., D. 32,23, se pure di altro giurista). Le te-stimonianze di Gaio, Pomponio e Ulpiano trovano conferma nelle nume-rose attestazioni conservate nei testi a noi pervenuti di giuristi classici cir-ca l'emanazione di costituzioni già da parte di Auguste, Tiberio e Claudio.La copia e il tenore di queste attestazioni escludono anche le attenuazio-ni dell'indirizzo criticato, secondo cui i primi imperatori avrebbero avutoil potere normativo solo in via di fatto o l'avrebbero esercitato solo in ca-si eccezionali. p. 185

4. Critica délia negazione che la lex de imperio conferisse all'imperatore ilpotere normativo e di quella, più radicale, che non sia nemmeno esistitauna legge tralaticia de imperio. Inconciliabilità con le testimonianze diGaio e Ulpiano e con clausole (specie quelle transitoria e discrezionale)délia lex de imperio Vespasiani. Altri argomenti contro di esse sono offer-ti dalla teorizzazione giulianea, al tempo di Adriano, délia sovranità po-polare esplicantesi nella lex e nella recezione moribus. Essa postula untramite per l'attribuzione del potere normativo dal popolo aU'imperato-

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re, tramite additato dalle fonti nella lex de imperio. A differenza dei ple-bisciti, che erano stati equiparati aile leggi, le costituzioni imperiali legisvicem optinebant. Sia questa funzione vicaria, sia la congiunta produzio-ne di leggi e di costituzioni richiedono una spiegazione, che si trova neldato che le seconde venivano emanate su mandato (iussu) e quindi inluogo (vice) del populus. Anche la circostanza che, nella lex de imperio Ve-spasiani, la ratifica è stabilita per l'operato dello stesso Vespasiano antehanc legem rogatam, mostra che, sul piano del dover essere, l'attribuzio-ne del potere impériale veniva compiuta per legge. Altra cosa, se pure an-ch'essa va tenuta in conto, è il difetto, nella lex de imperio, di una effetti-va (sufficientemente ampia) rappresentanza dei cives, difetto che era pe-raltro générale, nel I secolo d.C. (anzi già prima), per le leges populi Ro-mani, p. 189

5. Sono pure da respingere le correnti che fondano il potere normativo im-périale su\Y auctoritas oppure in parte suW'imperium (per edicta e manda-ta) e in parte suW'auctoritas (per rescripta e décréta). È palese il dissidiocon le attestazioni di Gaio, Pomponio e Ulpiano. Analisi e spiegazione dél-ie diversità délie formulazioni dei tre giuristi. Quelle tra Gaio e Ulpiano ri-flettono lo sviluppo intervenuto nella configurazione del potere impéria-le. In Ulpiano non appare più opérante la visuale del mandato conserva-tasi nel diritto privato, bensi affiora l'idea del mandato irrevocabile, fattapropria da dottrine pubblicistiche. Oltre a contrastare con le fonti consi-derate, le teorie circa l'auctoritas principis non paiono sempre perspicue.Esame critico délia ricostruzione del Magdelain e dell'opinione del DeMartino (più vicina aile fonti, ma anch'essa contradditoria ed introducen-te un anello superfluo), secondo la quale l'auctoritas era una conseguenzadélie cariche e dei poteri di cui il principe era investito. La vicenda se-mantica del segno auctoritas (svoltasi non in senso tecnico, ma atecnico e,lungo altra direttrice, dallo specifico al generico), esclude che i giuristi ro-mani si siano serviti di esso per indicare in senso proprio il potere impé-riale, al quai fine appariva viceversa consono il termine imperium spo-gliato dalle varie qualifiche. Manca ogni sentore nelle fonti di un dies auc-toritatis o di una lex de auctoritate, mentre sono testimonial il dies impe-rii e la lex de imperio. L'impiego di auctoritas per indicare il potere impé-riale risulta attestato con sicurezza solo a partire dal tardo dominato.L'ideazione délia lex de imperio fu un'operazione sul piano del dover esse-re; peraltro la forma giuridica, il diritto sono anche garanzia. Lo iussum,dato dal popolo con la lex al principe, lo vincolava, per quanto possibilenelle concrète situazioni storiche, ad esercitare il potere ricevuto nell'in-teresse del popolo. In linea di principio, com'era la volontà del popolo checreava l'imperatore, cosi poteva pure deporlo. Poteva aver luogo (e lo eb-

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be), se pure postuma, la rescissio actorum. Infondatezza anche dell'indi-rizzo che ricerca un diverso fondamento per le diverse forme di prowedi-menti normativi imperiali. p. 193

6. Non possono nemmeno seguirsi gli autori che vedono il fondamento deiprowedimenti normativi imperiali nelYimperium. Essi saltano pur sem-pre la lex de imperio, la derivazione del potere impériale dal popolo, il col-legamento con la costituzione repubblicana. Viene cosi preclusa la possi-bilità di cogliere la ragione del legis vicem optinere; viene preclusa la pe-netrazione di apparenti contraddizioni del principato, nel quale l'impera-tore aveva l'amplissimo potere espresso nella clausola discrezionale o dichiusura délia lex de imperio (porre in essere tutto quanto reputava ex usureipublicae maiestateque divinarum humanarum publicarum privatarum-que rerum), senza essere un monarca assoluto. La limitazione del potereimpériale non si poneva sul piano délia sua estensione, bensi su quellodélia sua qualità ed esercizio. Il passaggio al dominato si ebbe con la tra-sformazione di taie potere da discrezionale in assoluto (col suo affranca-mento dal iussum populi). p. 211

7. La lex de imperio fu lo strumento di un disegno complesso, facente capoai due poli del conferimento dei poteri dell'imperatore e délia ricondu-zione al dover essere délia nuova realtà. Al primo dei due poli appare inspecie rivolta, nel corpo délia lex, la clausola discrezionale o di chiusura.Nella visuale délia legge in oggetto, corne del dies imperii, non si ha più laconfluenza in una persona di distinti poteri, bensî un unico potere espri-mente la carica impériale e detto imperium. Similmente a 'propriété' ta-ie segno, spogliato délie qualificazioni, raffigura un potere a contenutoindefinito, non determinato in positivo. Le vecchie espressioni (impe-rium proconsulare, tribunicia potestas, ecc.) indicano ora facoltà del po-tere impériale. La riconduzione délia realtà al dover essere présenta varirisvolti, tra i quali il collegamento délia carica impériale alla sovranitàpopolare. Il vero antagonista del principe non era peraltro il popolo, mail senato, che aveva anch'esso acquisito il potere di emanare vice populiprowedimenti normativi. Sembra quindi plausibile che l'ideatore délialex de imperio mirasse con essa a realizzare un bilanciamento tra i duecentri di potere. È possibile che anche la parte senatoria si sia ritenutaappagata dal relativo disegno, poi rivelatosi nei fatti sbilanciato a favoredélia carica impériale. p. 212

8. Individuazione délie cause che hanno determinato il distacco, in materia,délia letteratura dalle fonti. La causa principale è costituita dall'autoritàdel Mommsen, la cui opinione che il principe non avesse il potere norma-

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tivo ha condizionato la dottrina successiva. La storia délia storiografia inargomento puô raffigurarsi corne una marcia di awicinamento da taieopinione aile attestazioni délie fonti: il présente scritto aspira a compierel'ultimo passo. Le altre cause sono rappresentate da una série di precon-cetti o idola, dovuti, corne si dimostra, all'acritica accettazione di frain-tendimenti presenti in vedute tralaticie. p. 213

9. Nécessita di proseguire in altre ricerche la rivalutazione awiata'delle te-stimonianze délie fonti sull'argomento studiato. In questo saggio si è con-siderato solo per sommi capi il problema délia solutio legibus e si sono so-lo sfiorati istituti, quali la destituzione dell'imperatore, la rescissio acto-rum del medesimo e il ius respondendi. Prime osservazioni intese a mo-strare che pure questi tre istituti si connettono, anche in dati testuali, altema del potere normativo impériale. p. 217

SULLA DEFINIZIONE CELSINA DEL DIRITTO

1. L'aiuto dérivante, per la ricerca, dalla monografia del Cerami su La con-cezione celsina del ius. L'approfondimento délia definizione del ius di Cel-so figlio (costituente una sorta di distillato del suo pensiero giuridico) pre-suppone l'esame del corpus dei frammenti da lui derivati, se pure la bre-vità délia trattazione impedisce di darne conto in modo dettagliato. Nel-l'enunciazione celsina ius est ars boni et aequi, appaiono colti elementi divalore permanente, in quanto espressione di dati connaturati all'esperien-za umana. p. 221

2. Il dictum celsino è una definizione e il definiendum (ius) indica il diritto.Una prima via per togliere ad essa valore: le opinioni, dovute a frainten-dimenti, che essa sia una vuota frase retorica oppure costituisca una defi-nizione metaforica per laudem. Antistoricità délia sua riconduzione allaexplicatio nominis (definizione nominale). Contraddizioni tra il dire e ilfare, e anche nel dire, di maestri dell'indirizzo analitico (Williams, Scar-pelli, Kantorowicz). Inaccettabilità dell'identih'cazione délia scientificitànel corretto uso del linguaggio, tendenzialmente sganciato dai dati déliarealtà. La limitazione dell'analisi al piano del linguaggio non consente dicogliere, com'è effettivamente awenuto per la definizione del diritto, leeventuali discrepanze dalla realtà. Le contraddizioni délie correnti anali-tiche ricevono spiegazione dalla considerazione di dati elementari, qualela funzione del linguaggio, creato dagli uomini per comunicare tra loro(ad es. per indicare cibo, vestiti, per dare notizie, ordini, per offrire colla-

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borazione, aiuto). Alla luce di questa funzione si colgono i rapporti tra de-finizione reale e nominale, entrambe formate solo da segni linguistici enecessariamente richiamanti con essi cose. Il termine diritto (non diver-samente, ad es., dal segno uccello) esprime un concetto, entità astrattaelaborata e usata daU'uomo per nécessita o comodità di espressione. Nelfenomeno detto diritto concorrono l'"essere" e il "dover essere". Guardan-do a quest'ultimo i moderni privilegiano i profili normativo ed ordina-mentale; guardando invece all'"essere", al fatto che il diritto è storica-mente un prodotto dell'uomo, Celso metteva in luce il profilo dell'ars, dél-ie regole e tecniche occorrenti per la sua produzione, interpretazione eapplicazione. Il giureconsulto era conscio de] carattere strumentale dellinguaggio: attraverso le parole, guardava alla concreta realtà dell'espe-rienza umana (per cui si créa e a cui si applica il diritto). p. 222

3. Si ribadisce che, nella definizione celsina, ius (il definiendum) significa di-ritto. L'indirizzo diffuso secondo cui esso indicherebbe invece la scienzadel diritto e l'opinione che esso richiamerebbe in modo unitario il bino-mio diritto-scienza, non trovano conferme testuali. L'attività definitoriarichiede rigore nell'uso dei termini. Se Celso avesse inteso definire lascientia iuris, avrebbe assunto corne definiendum questo sintagma. Nelladisamina sul significato di suppellettile egli accetta l'opinione secondo cuidire con termini usati in senso diverso dal significato comune è come nondire. Sia Ulpiano che riferi la definizione celsina, sia i compilatori giusti-nianei che aprirono i Digesta col frammento ulpianeo in cui essa è tra-mandata, intesero il definiendum nel significato di diritto. Anche la sus-sunzione di ius nel génère ars (da cui è derivato artificialis nel senso di do-vuto all'opera umana) osta alla riduzione alla scienza del diritto. Essa,nell'ambiente culturale romano, concerne sempre Tintera area délie atti-vità, e délie relative regole e tecniche, rivolte a specifiche finalità. La ridu-zione di !Ms a scientia iuris è dovuta alla medesima ideologia che orientaa cogliere nel diritto i soli aspetti prescrittivo e ordinamentale. Si tende asottrarre alla considerazione del giurista il momento délia produzione.Partecipa di questa limitazione l'orientamento secondo cui ius indica ilbinomio diritto-scienza, stante la sostenuta connessione dell'ars alla solaattività giurisprudenziale. p. 235

4. È comunemente accettato che ars nella definizione celsina individui il ge-nere prossimo di ius, ma ne è discusso il significato. Si tende anche perquesta via (con una forzatura del segno ars, inteso come sistema, scienza,ecc.) a togliere valore alla definizione celsina del diritto, escludendo sem-pre da essa il profilo délia produzione, salvo la parte dérivante dalYinter-pretatio. Ampio significato di ars nell'esperienza romana, a cui erano sco-

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nosciute le limitazioni derivate dalla posteriore enfatizzazione del mo-mento estetico e di quello creativo. Era ars ogni attività umana individua-ta (dalla matematica alla magia, dalla musica alla pettinatura dei capelli).Il segno richiamava tutto ciô che occorre apprendere, sapere e fare in unadeterminata attività. La ripartizione quintilianea, a proposito délia retori-ca, nei tre profili dell'ars, deW'artifex e dell'opus posto in essere e la suddi-visione délie arti nei tre generi animi, corporis, animi et corporis (nell'ulti-mo dei quali risultano annoverate la medicina e l'agricoltura). Versando ildiritto nel génère ars, Celso operô e rese cosciente il collegamento di ele-menti délia comune esperienza attinenti all'uno e all'altra. Rientra neW'arsiuris tutto ciô che si deve apprendere, sapere e porre in essere ai fini déliaproduzione, interpretazione e applicazione del diritto. p. 240

5. Controversie sul significato del binomio bonum et aequum, esprimentel'elemento distintivo di ius nel génère ars. Aequum présenta nelle fontiuna duplice valenza: di eguaglianza e di giustizia. La più risalente e rile-vante, a cui si attiene ancora Celso, è la prima. Mentre l'uguaglianza espri-me ad un tempo l'obiettivo e il criterio per perseguirlo, la giustizia indicaun idéale senza delimitazioni e lascia l'individuazione del criterio alla va-lutazione soggettiva. Aequus richiama l'uguaglianza adeguabile aile diver-sità délie situazioni. L'eguaglianza rigorosa è espressa con aequalis. Cosîsono aequales le quote ereditarie, ma sono (devono essere) eque le parti,anche formate da béni diversi, in cui si divide l'eredità. Con aequum Cel-so indicé l'eguaglianza proporzionale, supremo criterio del diritto. Conbonum esplicitô l'altro criterio (l'altra faccia del criterio), a cui si ispira(deve ispirarsi) la sua produzione, interpretazionee e applicazione. Se-condo Celso, Y ars boni et aequi è l'arte di reperire, in tali attività, la solu-zione ottimale nel rispetto dell'uguaglianza. Tramite la sussunzione delius nell'ars, egli estese a tutto il diritto (anche agli elementi rientranti nel-lo strictum ius) il bonum et aequum, circoscritto in precedenti elaborazio-ni giurisprudenziali a determinati settori. p. 244

6. Formulazione di rilievi conclusivi con riferimento a punti prima lasciatiin ombra. Sottoposizione a critica, sul primo punto, concernente le radi-ci délia concezione celsina, délia tesi del Cerami. Si riconosce l'esistenzadi coincidenze tra vedute celsine e gli indirizzi scientifici richiamati dal-lo studioso e non si esclude nemmeno l'influenza, su di esse, degli stessio di altri indirizzi. Tuttavia le due principali componenti dell'elaborazio-ne di Celso in argomento hanno radice nell'esperienza romana. Esse so-no Y ars (per la quale si adducono altre testimonianze di Vitruvio e Colu-mella) e il bonum et aequum (il quale - pur senza l'enucleazione del bo-num dalYaequum - aveva guidato anche le esplicazioni deW'officium pre-

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torio). Ridimensionamento, sul secondo punto (il contributo délia consi-derazione délia realtà alla percezione di condizionamenti ideologici),dello strumento dell'analisi del linguaggio. Il quale serve (è servito) a li-berarci da distorsioni e condizionamenti dovuti al linguaggio, ma non èdi aiuto a percepire quelli dipendenti da difettosa o incompleta rappre-sentazione délia realtà. Conferma tratta da un'analisi dello Scarpelli, lacui conclusione che il diritto è dover essere coattivo ha per corollario cheesso va osservato quale ne sia il contenuto: manca l'individuazione delcriterio per discernere, al disotto dell'aspetto formale, la sostanza del di-ritto. Viene consolidata la censura del fatto che il diritto è un prodottodell'uomo e, con essa, dei condizionamenti ideologici sottostanti. Sul ter-zo punto (valore délia dottrina celsina) si sottolinea anzitutto l'attenzio-ne del nostro giurista ai dati délia realtà e si richiamano i contributi dalui recati (alcuni dei quali rimasti fondamentali) nel campo dell'erme-neutica e in quello délia produzione del diritto. Vengono quindi illustra-te le implicazioni, conservanti valore attuale, délia sussunzione del iusnel génère ars. Altri elementi duraturi délia dottrina del nostro giuristadiscendono dalla nota differenziale (bonum et aequum) délia species, det-ta ius, di taie génère. Egli colse il grave problema posto dall'aspetto pre-scrittivo del diritto, tendendo a risolverlo nel senso che la norma intro-dotta non ratione, ma errore, e contrastante quindi col bonum et aequum,pur avendo l'apparenza, non ha la sostanza del diritto. Consonanza conun indirizzo delineatosi nell'esperienza degli Stati Uniti d'America. Celsopercepi l'esatto livello, tra astratto e concreto, in cui collocare il campod'azione proprio del diritto. Alla luce délia sua percezione emergono in-congruità nello stesso disegno délia nostra Carta costituzionale: in parti-colare il carattere antistorico (come si tende a riconoscere) délia cristal-lizzazione in essa realizzata e l'appiattimento dei supremi principi delbonum et aequum (razionalità e uguaglianza) sul piano di altri precettiche ne sono già attuazione. p. 252

TRADUZIONE DELLE FONTI CITATE p. 267