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Claudio Urbani LE CONFRATERNITE ALLERONESI DAL XVI AL XIX SECOLO

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Claudio Urbani

Claudio Urbani

LE CONFRATERNITE ALLERONESI

DAL XVI AL XIX SECOLO

Allerona, 2008

Le confraternite alleronesi

dal XVI al XIX secolo

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In copertina: Quadro della Confraternita del Suffragio di San Pietro Aquaeortus

Premessa

Questa ricerca è stata svolta su tutto il materiale archivistico disponibile per arrivare a tracciare i lineamenti della storia delle confraternite alleronesi costituite nell’Età Moderna.

Secondo la definizione data dallo studioso Christopher F. Black, “una confraternita è un’associazione di persone che si uniscono, sotto la guida di regole precise, per condurre in comune la loro vita religiosa. Di norma si tratta di un gruppo o di una fratellanza di persone laiche, parimenti amministrata da laici“.

L’immagine visiva comune ai più è forse quella delle processioni di uomini incappucciati, vestiti di toghe bianche, nere o di altri colori, che seguono un crocifisso e degli stendardi, alcuni portando torce o candele, altri che si flagellano con funi dentellate o con corde di seta. Si tratta, in realtà, di un fenomeno molto più articolato e da studiare in profondità perché le confraternite sono uno strumento di cui la Chiesa si è servita, dal Concilio di Trento (1545-1563), insieme alla catechesi e alla liturgia, per formare i cristiani alla pietà e alla carità, ma non c’è dubbio che esse abbiano rappresentato, e rappresentano tuttora, uno strumento di partecipazione alla vita della comunità.

In tempi in cui non esistevano ancora i servizi sociali a carico della collettività, le confraternite hanno assolto anche finalità di promozione umana dando assistenza ai poveri e agli ammalati, ai viandanti e pellegrini, prestando soccorso in caso di calamità, gestendo istituzioni economiche come i Monti di Pietà e i Monti Frumentari e occupandosi anche della sepoltura dei morti. In questo senso sono state anche una grande scuola di solidarietà e di pedagogia.

E’ utile perciò conoscere la storia delle confraternite perché hanno svolto un ruolo importante nella vita religiosa, sociale, politica e culturale di un gran numero di persone, con evidenti ripercussioni anche nella successiva evoluzione della società italiana.

Nel presentare questo studio intendo esprimere sinceri ringraziamenti al pievano di Allerona monsignor Luigi Farnesi, che mi ha fornito materiali preziosi per la ricerca e mi ha sostenuto, e a tutte quelle persone che a vario titolo mi hanno offerto indicazioni, consigli ed aiuti.

L’autore

Le fonti

Per poter comprendere il ruolo delle confraternite nella società della prima Età Moderna è necessario far riferimento alle fonti disponibili che sono, in primo luogo i loro statuti, gli atti delle visite pastorali dei Vescovi e dei visitatori apostolici e, per il periodo successivo al 1590, gli storici possono disporre delle relazioni delle visitationes ad limina, cioè le relazioni sullo stato delle diocesi che tutti i Vescovi, ad intervalli di tempo prestabiliti, devono mandare in Vaticano per il controllo pontificio.

Altro materiale utilizzabile è costituito dai documenti d’archivio prodotti dalle stesse confraternite, i più ricchi d’informazione sono i verbali delle riunioni ufficiali in cui si dice quali fossero le preoccupazioni dei membri, come prendessero le decisioni, quale ordine di precedenza seguissero nelle attività e nelle spese, se e come esaminassero accuratamente i loro membri. Insieme a questi documenti è possibile ricavare notizie anche dalle richieste di assistenza.

Un’ulteriore fonte d’informazione sono le testimonianze visive: esiste ancora oggi un discreto numero di oratori e di cappelle appartenute o appartenenti alle confraternite, anche se ora la destinazione d’uso è cambiata. La loro forma e le decorazioni offrono vari elementi per osservare la vita delle confraternite e la loro attività, soprattutto nei casi in cui è rimasto del materiale d’archivio collegato. Analogamente si può dire per quanto riguarda pitture mobili su quadri e stendardi. La pittura con le sue immagini serviva a far capire il significato di una specifica devozione ai confratelli ed ora è d’aiuto agli storici per capire quali idee avessero delle devozioni e dell’aldilà.

Questa ricerca è stata condotta principalmente sugli atti delle confraternite alleronesi conservati nell’archivio parrocchiale di Allerona in una serie d libri catalogati coi numeri. 1-3-5-6-7-8-9 e su un registro delle stesse confraternite (dal 1679 al 1759) conservato presso l’archivio delle famiglie Bernardini e Misciattelli di Allerona.

Altre pregevoli fonti sono state gli atti delle visite apostoliche e pastorali dei vescovi di Orvieto dal 1573 al 1950.

CAPITOLO I

Cenni storici sulle origini delle confraternite.

Il Medioevo

L’origine delle confraternite è incerta. Secondo Ernesto Sestan, grande storico del Medioevo e dell’Età Moderna, se ne trova traccia in Francia fino dall’VIII secolo, con il Concilio di Nantes dell’895.

L’opinione prevalente ne fa risalire la diffusione al XII-XIII secolo in concomitanza con la nascita delle corporazioni artigiane delle quali condividevano lo spirito associativo.

Secondo quanto afferma Romano Pierotti, nelle corporazioni “le funzioni assistenziali testimoniano del profondo senso di solidarietà tra i membri delle varie Arti che si manifestava, ad esempio, nel soccorrere gli associati che si trovavano in momentanee condizioni di difficoltà, oppure nel fornire sostegno a vedove e orfani di associati, cui era tra l’altro garantita la necessaria istruzione al fine di inserirli nell’attività professionale non appena raggiunta l’età prescritta. Le funzioni religiose, infine, esprimevano il diffuso desiderio di manifestare pubblicamente la fede, mediante la partecipazione collettiva, ad esempio, sia alle ricorrenze celebrate da tutta la comunità cristiana, sia a quelle particolari di ogni Arte, come la festa del proprio Santo Patrono”(1).

Alla metà del XII secolo, dicono i documenti, la prima associazione volontaria di mestiere è stata quella dei mercanti, nuovi leader dell’economia cittadina, persone intraprendenti e col senso degli affari che impararono a fare bene di conto, a valutare gli acquisti e perfino a parlare un po’ le lingue dei paesi lontani, ma anche coscienti della precarietà e degli incerti della loro condizione. A seguire si sono associati i notai, i cambiavalute, i lanaioli, i calzolai, i fabbri(2).

Le prime questioni che bisogna affrontare, trattando di confraternite, ci sono quelle se la loro nascita si debba alle corporazioni e se abbiano avuto o no elementi di continuità con queste e con altri tipi di comunità organizzate, ad esempio gli ospedali medievali.

Quanto alla prima questione, il rapporto tra confraternite e corporazioni è un tema che, pur spesso individuato e sottolineato nella storiografia italiana, ha prodotto poche puntualizzazioni sui nessi creatisi fra le associazioni professionali e di devozione nelle fasi del loro sviluppo e maturità. Tuttoggi questo rapporto non risulta un argomento semplice da affrontare perché lo sviluppo delle confraternite e delle corporazioni è stato sfasato poiché, sia le une che le altre, fin dal loro sorgere appaiono inserite nella trama di un’organizzazione complessa. La questione è ancora aperta e si può riesaminare partendo dalla terminologia usata dal Concilio di Trento che nella XXII sessione, tenutasi nell’autunno del 1562, ribadì per i Vescovi l’antico ius visitanda hospitalia, estendendo tale diritto dell’autorità ordinaria anche ai collegia quaecumque ac confraternitates laicorum, etiam quas scholas sive quocumque alio nomine vocant(3).

Il Concilio ha individuato nel vocabolo latino schola un termine sufficientemente ampio e indefinito per riunire sotto di sé numerose forme associative, per lo meno in alcune aree(4). Il termine in età romana fu utilizzato per indicare l’edificio in cui “conveniunt plurimi eiusdem negotii causa”, cioè luogo di riunione di individui aventi interessi comuni, per passare poi a significare “luogo di riunione” e quindi si adoperò la terminologia schola cantorum, schola militum, schola tabellionum e così via. Data la sua ambiguità il termine si adattava molto bene a fungere da equivalente a “società”, “corporazione” e “confraternita” perciò ebbe un largo uso nel settore dell’associazionismo devoto e, dal secolo XII, anche di quello artigianale. La tipologia delle scholae nella sua varia articolazione è senz’altro esemplificativa dei rapporti intercorrenti tra associazionismo di mestiere e confraternite(5).

Anche tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento alcuni storici (Roberti, Simeoni, Carli) si sono posti il problema che sotto la veste terminologica potesse nascondersi il rapporto tra corporazioni e confraternite e, richiamando l’importanza del fattore religioso nell’esperienza corporativa – ravvisabile nell’esistenza di confraternite che perseguivano scopi professionali e nello spirito assistenziale e caritativo presente negli statuti di molte corporazioni d’arte – arrivarono ad enunciare la teoria che faceva risalire alle confraternite l’origine delle arti. Alcuni di essi usarono il termine fraternitas per definire “la forma generale che assume fin dai primi tempi cristiani l’associazione laica, indipendentemente dal contenuto e dagli scopi concreti delle singole associazioni”. Essa potè quindi dar luogo, nel tempo, sia a tipi associativi in cui i fini economici, dapprima coperti dall’aspetto religioso, finirono per rimanere prevalenti o esclusivi, sia a quelli in cui rimasero prioritari gli scopi religiosi; di qui la differente fioritura di corporazioni da un lato e di confraternite dall’altro in cui le prime si distaccarono via via dalla istituzione ecclesiastica e si resero autonome(6).

Altri studiosi (Monti, Volpe) invece non sono d’accordo sulla derivazione delle arti medievali dalle confraternite e mantengono distinte le due tematiche(7). Anche gli studiosi più recenti sono restii a parlare di derivazione delle corporazioni dalle confraternite pure nell’evidenza di una relazione fin dal principio come prova l’antichità di certi documenti che testimoniano l’esistenza di strutture confraternali su base professionale. Il problema rimane quindi controverso.

Passando a trattare la seconda questione, se cioè vi sia stato un nesso di continuità tra confraternite e ospedali medievali, occorre richiamare l’attenzione che i cristiani hanno avuto verso il mondo della povertà perché l’individuazione dei legami intercorsi fra gli ospedali e il contesto socio politico ci svelerà anche quelli con le confraternite.

A partire dal XII secolo una straordinaria fioritura di istituzioni ospedaliere e caritatevoli interessò la cristianità medievale. “Per quanto la cura dei più deboli fosse stata una costante preoccupazione del popolo cristiano fin dalle origini e durante l’alto Medioevo (…), dopo l’anno Mille tale impegno fu indubbiamente rafforzato sia sotto la spinta delle trasformazioni sociali che, nel contesto della nuova economia urbana, avevano accresciuto il numero dei poveri, sia per una motivazione ideale…”(8).

Da una parte l’aspirazione, condivisa da tanti, a una pratica cristiana più rigorosa e dall’altra la consapevolezza che la pietà religiosa dovesse esprimersi in forme concrete portarono gli uomini a individuare nelle confraternite la via meglio strutturata e lo strumento più consono per realizzarsi. Al crescente bisogno sociale non si doveva rispondere solo con l’elemosina, tradizionale dovere di ognuno, ma con l’assistenza organizzata di molti, così nacquero gli ospedali per malati e pellegrini, nelle città e nei centri minori, ma anche lungo gli snodi delle maggiori vie di comunicazione(9).

“L’elemento associativo è caratteristica essenziale degli ospedali medievali che si costituirono, soprattutto nella fase originaria, come comunità religiose nelle quali convivevano assistiti e assistenti, ovvero poveri, malati, pellegrini, bambini, fratres, sorores, conversi”(10) Nel Medioevo il termine hospitale era inteso infatti come esercizio e luogo di una più ampia accoglienza, con finalità anche diverse da quelle strettamente sanitarie, anzi la polifunzionalità ne fu una delle caratteristiche(11). Elementi comuni erano l’accoglienza di poveri, pellegrini e infermi, la compresenza di uomini e donne in comunità, l’appoggio di famiglie signorili e benestanti, il sostegno dei Vescovi(12).

Intorno alle comunità ospedaliere si sono attuate esperienze molto innovative nel contesto di una più larga partecipazione dei laici allo status di religioso. Nella seconda metà del XII secolo si era infatti allargato il concetto di religioso, sino allora riservato ai membri delle comunità monastiche e canonicali. Il papa Alessandro III aveva approvato le regole di comunità ospedaliere e Innocenzo III aveva poi continuato su questa linea riconoscendo gli Umiliati e altri gruppi pre-mendicanti. “Laicus-religiosus” (un binomio che oggi sembra antitetico) designava bene la situazione di molti conversi ospedalieri. Queste figure hanno rappresentato anche un elemento di continuità fra le comunità ospedaliere e le confraternite laicali del tardo Medioevo(13).

Già dagli ospedali si irradiava una solidarietà esterna, esplicata nella distribuzione di viveri ed elemosine, nella ricerca dei moribondi e dei cosiddetti poveri vergognosi, di coloro cioè che si vergognavano a mostrare la loro povertà(14).

Nel mezzo delle trasformazioni istituzionali e organizzative che hanno interessato gli ospedali quattrocenteschi è possibile cogliere una continuità ideale con le precedenti iniziative. Tale aspetto è tra l’altro documentato da un sorprendente e significativo legame fra storia dell’assistenza e storia dell’arte. Esistono infatti importanti nuclei di fonti poetico liturgiche e iconografiche che sono state finora studiate con un interesse quasi esclusivamente letterario o artistico, mentre esse hanno pure un grande rilievo come fonti per la spiritualità dell’associazionismo ospedaliero e confraternale(15). Emblematico in tal senso è il caso dei Disciplinati per i quali l’attività ospedaliera fu molto importante tant’è che essi fondarono molti ospedali(16).

Occorre tenere presenti tutte queste argomentazioni perché le esperienze dei movimenti e degli ospedali, confluite nella gestione delle confraternite torneranno pertinenti per spiegare la nascita di quest’ultime ma saranno trasferibili anche alle confraternite alleronesi nel cui territorio sono esistiti un ospedale e un monte frumentario già da prima del Cinquecento.

Al termine di questo excursus si può quindi affermare che l’origine delle confraternite va ricercata in un complesso di fattori e di esperienze ad esse precedenti ad indirizzo professionale e caritativo.

Dal XIII secolo, dopo l’avvento degli Ordini Mendicanti e dei loro terzi ordini invece le confraternite, pur mantenendo le stesse condizioni giuridiche del tempo precedente, divennero uno strumento di cui la Chiesa si servì per avvicinare a sé i fedeli, specie la borghesia e il popolo, contro gli eretici (17). E’ questo, tra gli altri, il caso delle confraternite o compagnie del SS.Corpo di Cristo o del SS.Sacramento quale risposta alla negazione calvinista della presenza reale di Cristo nell’Ostia consacrata ed al ripudio luterano del culto eucaristico fuori della Messa.

Gli Ordini Mendicanti svolsero in questo periodo una multiforme attività che mirava ad avvolgere tutta la vita del laicato assistendolo in una quantità di suoi bisogni pratici, dandogli il gusto di nuovi riti, cerimonie, culti perché lo spirito del credente fosse sempre tenuto vigile e pronto, perché avesse molte occasioni di stare attaccato alla sua chiesa, ai suoi sacerdoti, alle idee che essi professavano, alla loro filosofia(18). Furono le confraternite a dare al popolo il senso di una Chiesa nuova, che è nei fedeli e per i fedeli, con una ridotta distanza tra i laici e i loro pastori spirituali che precedentemente era abissale (si pensi al Vescovo-Conte dell’alto Medioevo). Anzi, i laici entrarono, per così dire, a far parte della gerarchia ecclesiastica, essendo elevati a ricoprire le cariche di tante confraternite, cariche che dovevano “vegliare sulla vita morale borghese e sulla retta fede o per lo meno sulla puntuale assiduità religiosa dei loro membri“(19). E certo per un rappresentante della media e piccola borghesia era lusinghiero ritrovarsi priore o camerlengo o anche ricoprire altre cariche della sua compagnia e partecipare così alle processioni con una carica spirituale. Insomma, nei secoli XIII e XIV, le confraternite raggiunsero certamente il loro scopo principale, annodando per secoli tutta la piccola borghesia strettamente alla Chiesa(20). Ciò che il clero mondanizzato e il papato perdettero nella loro situazione politica e finanziaria, guadagnò la Chiesa, d’altra parte, in influenza, per mezzo delle compagnie laiche. Influenza che crebbe d’importanza nella prima parte del XV secolo con la ”Riforma cattolica“(21) con la nascita di una serie di movimenti mediante i quali veniva dato sempre maggior peso alla partecipazione dei laici all’esperienza e all’attività religiosa. In altri termini, l’attenzione si spostò sempre di più sul ruolo religioso dell’individuo, sulla contemplazione e meditazione personale aiutata da scritti istruttivi e da opere mistiche e, parallelamente, si cominciò a dare meno importanza al ruolo delle istituzioni ecclesiastiche e del clero.

L’Età Moderna

In Italia nel Quattrocento e all’inizio del Cinquecento si diffuse la “Riforma“ ad opera dei grandi predicatori del tempo i quali, tanto nelle grandi che nelle piccole città della penisola facevano risuonare incessantemente la loro voce di esortazione e di minaccia contro la corruzione, scuotendo le coscienze, dedicandosi alla conversione dei peccatori, all’incoraggiamento dei buoni, a confermare i vacillanti, prendendone a cuore anche i malesseri sociali, promuovendo devozioni speciali per alcuni santi. Celebri fra tutti furono San Bernardino da Siena(22), Bernardino da Feltre (23), Giacomo della Marca, Giovanni da Capestrano, tutti dell’Ordine francescano. Così, mentre alcuni riformatori predicavano un rinnovamento spirituale con i richiami all’importanza di una vita morale corretta, della disciplina, della confessione e comunione frequenti, altri si adoperarono per trovare risposte sempre più urgenti al problema dell’assistenza ai meno fortunati, in situazioni di povertà a causa delle malattie, della vecchiaia, della vedovanza o della disoccupazione. Occorre qui ricordare che molte delle annate tra il 1520 e il 1540 portarono in tutta Italia povertà e carestia, causate dalle guerre, dalle condizioni climatiche e dalle epidemie. Durante il Sacco di Roma ad opera delle truppe imperiali nel 1527 fu distrutta gran parte della città e si ebbero poi influenze a catena in tutto il resto del Paese. La lista delle vittime, dei feriti, degli orfani, dei malati che giacevano lungo le strade fece emergere l’inadeguatezza dell’assistenza pubblica e privata e il conseguente bisogno di persone che svolgessero opere umanitarie e ciò portò gli ordini religiosi e le confraternite, che crebbero di numero, ad agire.

Come sostiene il Morghen, in questo periodo storico “alle aspettative e agli ideali di rinnovamento totale collettivo di tutta la società cristiana, sottentra l’aspirazione prevalente della salvezza individuale”(24). Salvezza che il singolo poteva conseguire attraverso i sacramenti amministrati dalla Chiesa e l’adempimento di opere buone, cioè attraverso la beneficenza.

Le opere pie erano perciò considerate dai cattolici un mezzo per ottenere il perdono dei peccati e la salvezza dell’anima e avevano quindi un significato che andava al di la dell’attività in sé e del fare elemosina. Quanto alla salvezza dell’anima, bisogna osservare che si cercava sia quella del donatore che del ricevente. Dedicarsi alla salvezza delle persone più povere era una condizione per cercare anche la propria. Queste opere non comprendevano solo l’assistenza materiale ed economica, ma anche la preghiera, la confessione e la comunione frequenti e il conforto spirituale al prossimo, specialmente agli ammalati e ai moribondi. I Gesuiti furono quelli che forse più di tutti contribuirono a convincere i laici a comunicarsi di frequente. La loro opera aiutò a far crescere il numero delle confraternite dedicate al sacramento dell’Eucaristia. Pregare per i vivi e per i morti era una delle sette opere di misericordia spirituali, perciò nelle confraternite si dedicava molto tempo alla preghiera per le anime dei defunti, preghiera che nel corso del Cinquecento si estese anche alle anime delle persone che non avevano fatto parte della fratellanza.

A partire dal 1560 circa, le confraternite furono influenzate dal Concilio di Trento, che ne stabilì i canoni e le disposizioni. A Trento i padri conciliari si erano occupati delle confraternite con un testo che contiene disposizioni di carattere amministrativo e afferma la competenza giurisdizionale dei Vescovi diocesani su questo tipo di istituzioni(25). Da ciò conseguì che i Vescovi, nonostante le controversie insorte tra le confraternite esistenti e le curie vescovili, per esercitare questo controllo subito dopo la chiusura del Concilio, intrapresero la visita pastorale nelle loro diocesi per riaffermare la propria giurisdizione sugli istituti laicali intervenendo anche con clausole e sanzioni nei loro statuti societari per vincolarli ancor più alle proprie approvazioni.

Questo strategia risultò incisiva ai fini della sistematica creazione, in ogni parrocchia di città e paese, delle confraternite intitolate al SS. Sacramento, spesso inglobando quelle preesistenti, dedicate di frequente alla Vergine, sino a coprire in pratica tutta l’area della diocesi con un reticolo esteso, ma laddove incontrò delle resistenze alcune confraternite eucaristiche, contrarie all’ingerenza dei Vescovi a partire dai primi decenni del XVII secolo(26), si trasformarono in sostanza nelle fabbricerie delle chiese parrocchiali(27).

Le dimensioni del fenomeno divennero concretamente tangibili nel 1604 con la costituzione Quaecumque di Clemente VIII con la quale si sottomisero alla fine tutte le confraternite alla giurisdizione dei Vescovi e si prescrisse ai laici di limitare la propria adesione a un solo sodalizio(28).

Il Concilio sancì, come si ribadisce, il diritto dei Vescovi “di visitare gli ospedali, qualsiasi collegio e le confraternite dei laici …“(29) e stabilì altresì che “gli Amministratori sia ecclesiastici che laici della fabbrica di qualsiasi chiesa, anche Cattedrale, dell’Ospedale, della Confraternita, dell’Elemosina del Monte di Pietà, e di qualsiasi altro luogo pio, tutti gli anni sono tenuti a rendere conto dell’amministrazione all’Ordinario-Vescovo ...“(30).

Da parte loro i Vescovi esercitarono questa autorità sui luoghi pii in modo molto restrittivo, perciò le confraternite si trovarono completamente subordinate alla gerarchia ecclesiastica perdendo così autonomia economica e d’iniziativa.

Nel corso del Seicento, a seguito delle disposizioni pontificie e a causa del mutamento dello assetto demografico che nei piccoli centri tendeva a diminuire, l’intera popolazione in genere faceva capo ad un’unica confraternita intitolata al SS. Sacramento e localizzata presso la chiesa parrocchiale cui di solito se ne agiungeva una mariana legata alla recita del Rosario polarizzando in questo modo la devozione su una primordiale ripartizione in cui da un lato predominava una oligarchia maschile, che rivendicava a sé la gestione dei beni ecclesiastici (fabbriceria) e dall’altro si offriva uno sbocco istituzionale(31) alla religiosità femminile inglobando così nel tessuto delle istituzioni ecclesiastiche tutti gli strati(32).

Le confraternite subirono un certo ridimensionamento nel decennio 1620-30 quando vennero meno le risorse economiche a tutto il Paese a causa delle guerre, soprattutto quella che va sotto il nome di Guerra dei Trent’anni che causò una crisi generale e il fallimento di numerose banche. Ad accrescere lo stato di crisi intervennero anche devastanti epidemie di peste negli anni 1629 e 1633.

Il decadimento delle confraternite riscontrato nel XVII secolo si trasformò in profonda crisi nella seconda metà del secolo successivo poiché questi sodalizi non riuscivano a raggiungere i propri scopi. Perciò da allora iniziò l’unificazione di tutte le confraternite esistenti in ogni parrocchia, mantenendo solo le loro denominazioni, ma con un’unica amministrazione.

Occorre ricordare che all’inizio dell’Ottocento l’istituto delle confraternite subì la soppressione a seguito della promulgazione del decreto napoleonico, datato Roma 7 maggio 1810, con cui vennero abolite tutte le corporazioni religiose di ambo i sessi, cosicché tutti i conventi, monasteri, confraternite e luoghi pii, con i relativi mobili e immobili, furono incamerati dal Governo imperiale francese. L’esecuzione di questo decreto, che salvò solo le confraternite del SS. Sacramento, venne regolata da una serie di disposizioni successive. Gli editti applicativi dettarono le disposizioni con cui eseguire il passaggio dei beni allo Stato, la nomina del commissario prefettizio, l’inventario generale di tutti gli effetti mobili e immobili, la lista dell’argenteria dei conventi, delle chiese, delle cappelle, dei quadri, statue, manoscritti, medaglie ed altri oggetti preziosi, il mobilio, le suppellettili. Il commissario doveva prendere visione dei documenti riguardanti “tutti i titoli di proprietà, contratti, registri, libri de’conti, piani, ed altri documenti relativi alle possessioni“(33).

Nel 1867 pure il Governo italiano, nella soppressione degli enti ecclesiastici, fece eccezione per i benefici o prebende parrocchiali, e per le confraternite, perciò alcune sopravvissero inosservate mentre altre si rianimarono e resistettero alle opposizioni dei primi governi liberali dell’Italia unita. Tuttavia le confraternite, ai sensi della legge del 1890 sulle opere pie, dovevano presentare al prefetto i propri bilanci consuntivi e preventivi e potevano subire, come alcune subirono, trasformazioni o essere aggregate alla locale Congregazione di Carità, se l’autorità civile riteneva che fosse venuto a mancare il loro fine(34).

A rimettere le cose a posto è intervenuto il Concordato tra lo Stato italiano e la Santa Sede che, con la legge 27 maggio 1929 n. 848, ha riportato le confraternite e i luoghi pii alle dipendenze dell’autorità ecclesiastica e da quel momento sono ritornati ad essere puri enti ecclesiastici, riconosciuti agli effetti civili senza limitazioni, compresa la possibilità di possedere e acquistare beni immobili.

Subito dopo la seconda Guerra Mondiale (1940-1944), il Papa e i Vescovi si mostrarono seriamente preoccupati dell’espandersi delle idee marxiste e del Partito Comunista che cercava di realizzarle. Il papa Pio XII condannò marxismo e comunismo, comminando addirittura la scomunica contro i loro fautori e l’estromissione di fatto da tutte le pratiche e iniziative di religione segnando così la fine di quasi tutte le confraternite come associazioni cristiane laicali che avevano avuto tanti meriti per rendere vissuta la fede cristiana dal popolo.

Finalità e aspetti organizzativi.

Al termine di queste premesse storiche si può sintetizzare che le istituzioni confraternali furono dettate da sentimenti di fratellanza per la reciproca difesa degli uomini. L’individuo del Medioevo, abbandonato a sé, non contava nulla, non poteva essere qualche cosa, non poteva vivere, produrre e difendere se stesso e i propri interessi se non in quanto faceva parte di una collettività(35). Su questo presupposto si è fondata la dottrina della Chiesa, interprete dell’insopprimibilità del sentimento di fratellanza alla luce del primo e più grande insegnamento di Gesù di amare il prossimo come se stessi.

A questo sentimento, vivificato dal cristianesimo, le confraternite medievali aggiungevano quello religioso di operare il bene per raggiungere la salvezza eterna, sia per amor di Dio che per timore del suo castigo.

Bisogna avere ben presente però che l’uomo del Medioevo era indiscutibilmente un uomo di fede, profondamente convinto che una vita ultraterrena l’attendeva al di là dell’avventura umana vissuta in questo mondo, ed è appunto da ciò che scaturiva l’esigenza di salvarsi l’anima, di guadagnarsi un posto la dove si contempla quel Dio la cui esistenza nel Medioevo non è mai stata posta in discussione(36).

La struttura organizzativa fondamentale era uguale per tutte le confraternite, ma si distinguevano per il fine da raggiungere che era principalmente quello di sostenere una particolare devozione con pratiche quali l’adorazione del Santissimo Sacramento, il trasporto del Viatico agli infermi, il Rosario, i Dolori della Beata Vergine, oppure la devozione a qualche santo ”invocato speciale“, come Sant’Antonio Abate, San Sebastiano, San Giuseppe ecc. Sorsero anche sodalizi religiosi per l’esercizio della penitenza come quelle dei Flagellanti, dette anche confraternite della Frusta (37), come quelle per l’assistenza ai pellegrini, ai malati e possedevano ospedali/ospizi, o quelle per l’assistenza agli appestati, ai moribondi e per il seppellimento dei morti, dette della Buona Morte.

Nel Medioevo, in cui erano frequenti le occasioni di contesa fra i diversi “poteri” civili e religiosi, le confraternite si trovarono spesso a svolgere un ruolo da protagonista tanto sul piano religioso che su quello civile. Sul fronte religioso rappresentavano lo sforzo dei laici per ritagliarsi uno spazio fra la gerarchia ecclesiastica, i monaci e il popolo dei fedeli. Su fonte civile rappresentavano invece una delle forme attraverso cui si esprimeva il desiderio di partecipazione alla vita sociale, ma anche politica, della comunità.

I membri delle confraternite

Le confraternite erano prevalentemente composte da uomini adulti laici di ogni genere e condizione, ma ne facevano parte anche donne e a volte perfino bambini e ragazzi. Vi erano rappresentati tutti i livelli sociali, dai contadini agli artigiani, dai mercanti ai nobili, era facile però che quest’ultimi, o gli appartenenti alle professioni più qualificate, dominassero nelle cariche e nell’amministrazione, mentre era altrettanto raro che un confratello di basso ceto sociale avesse un ruolo importante. Il dominio delle classi sociali alte nelle cariche costituiva uno strumento di controllo sociale, ma presentava anche il vantaggio che queste persone si trovavano in una posizione più forte per trattare con i Vescovi o col governo locale, e per raccogliere denaro.

Mentre in certe confraternite c’era una consistente partecipazione clericale, ve n’erano altre che assumevano un prete per singoli servizi, quando ne avevano bisogno. Molte altre si servivano del parroco della chiesa nella quale avevano la propria cappella o altare. Alcune infine avevano un proprio cappellano che collaborava con loro con un contratto più formale.

Per l’ammissione dei fratelli e delle sorelle si esigeva il raggiungimento del ventunesimo anno d’età mentre per i minorenni occorreva il consenso dei genitori, erano richieste altresì precise garanzie di buona condotta morale. Chi voleva associarsi doveva farne richiesta agli ufficiali, che la sottoponevano all’approvazione di un consiglio o dell’assemblea dei confratelli, e pagare una quota che poteva variare a seconda dell’età. L’elenco dei fratelli e delle sorelle doveva essere esposto al pubblico in un’apposita tabella.

I membri delle confraternite erano obbligati a partecipare alle processioni vestiti del camice, stretto in vita da un cordone, e con la mozzetta. L’eventuale assenza era multata con il pagamento di una somma di denaro.

Gli statuti, gli ufficiali e le loro funzioni

Le confraternite erano governate attraverso regole compendiate negli statuti che venivano scritti dagli stessi membri o presi dall’esterno. Questi statuti dovevano essere presentati ai Vescovi che, soprattutto dopo il Concilio di Trento, ne esaminavano scrupolosamente i contenuti acquisendo informazioni, sia circa le pratiche religiose o le attività umanitarie svolte, sia la tenuta dell’amministrazione delle entrate e di eventuali patrimoni.

L’attività veniva controllata tramite assemblee generali, convocate dai priori o dall’insieme dei funzionari di solito una o due volte l’anno, in corrispondenza delle feste religiose più importanti per la confraternita stessa, e a volte anche più frequentemente. Durante le assemblee generali si stabilivano le cariche, si ratificavano le regole della società, quando ce n’era bisogno, si esaminavano e si ammettevano nuovi membri, si allontanavano o punivano quelli che si discostavano dal comportamento conveniente, si discutevano anche le questioni finanziarie più importanti relative all’amministrazione, all’adozione o meno di una spesa straordinaria, mentre le decisioni di minore importanza venivano prese dai consigli o da singoli funzionari.

Prima del Concilio di Trento gli ufficiali erano pochi, tre o quattro, ed erano per lo più laici. Dopo il Concilio, il numero e le funzioni degli ufficiali ebbero una certa evoluzione e ciascuna confraternita di quelle che avevano lo stesso scopo si dava ufficiali comuni alle altre, ma ne conservava pure alcuni propri.

Dall’esame degli statuti della seconda metà del XIX secolo a noi pervenuti si possono individuare i seguenti ufficiali:

il presidente:

di solito il parroco, delegato dal Vescovo, che ordinariamente convocava le adunanze e le moderava,

il priore:

era il capo ed era previsto in tutte le confraternite, durava in carica tre anni e poteva essere rieletto, a lui era attribuita la rappresentanza e la responsabilità del benessere economico e sociale della società,

il camerlengo:

era l’amministratore del patrimonio, a lui venivano consegnati i denari delle quote annuali, delle questue, di eventuali multe e di tutti gli altri proventi; doveva provvedere alle spese del sodalizio ed era tenuto a rendere conto della sua amministrazione ogni anno ai confratelli e al Vescovo in occasione della visita pastorale,

il segretario:

redigeva i verbali delle adunanze, annotava le presenze dei fratelli alle attività religiose e teneva in ordine l’archivio,

il cappellano:

prestava i servizi religiosi, cioè celebrava le messe di suffragio per i defunti, partecipava alle processioni e presenziava tutti gli altri riti propri della confraternita,

i questuanti:

erano incaricati di raccogliere denari, grano, lana, uova, polli e ogni altro prodotto che poteva procurare denaro.

Note al Capitolo I°

1) P. Scandaletti, Le confraternite nella società di Città della Pieve dal Medioevo a oggi, pag.24.

2) P. Scandaletti, citato, pag.24.

3) Le scholae in età medievale furono punti di intersezione fra la vita economica, religiosa, sociale e spesse volte politica, di un vasto raggio di individui.

4) M.Gazzini, Confraternite/corporazioni: i volti molteplici della schola medievale, pagg.51-54.

5) M.Gazzini, citato, pagg.55-56.

6) M.Gazzini, citato, pag.57.

7) M.Gazzini, citato, pag.59.

8) M.T.Brolis, Comunità ospedaliere dell’Italia centro-settentrionale (Sec.XII-XV). Modelli, episodi e protagonisti, pagg.74-75.

9) P. Scandaletti, citato, pag.23.

10) M.T.Brolis, citato, pag.74.

11) M.T.Brolis, citato, pag.77.

12) M.T.Brolis, citato, pag.78.

13) M.T.Brolis, citato, pag.80.

14) M.T.Brolis, citato, pag.81.

15) M.T.Brolis, citato, pag.82.

16) M.T.Brolis, citato, pag.83.

17) G. M.Monti, Le confraternite medievali dell’alta e media Italia, pagg.83-85.

18) G. M.Monti, citato, pag.84.

19) G. M.Monti, citato, pag.85.

20) G. M.Monti, citato, pag.86.

21) Il termine si riferisce a quei movimenti e sviluppi che presero piede nelle zone rimaste fedeli all’eredità apostolica di Roma, sia prima della sfida di Lutero sia contemporaneamente alle istanze della Riforma protestante, ma indipendentemente da queste.

22) S. Bernardino da Siena è raffigurato nelle due tele che si trovano ad Allerona, una sull’altare di destra della chiesa della Madonna dell’Acqua, l’altra nella sacrestia della pievania di Santa Maria Assunta.

23) Bernardino da Feltre fu uno dei promotori dei Monti di Pietà, istituzioni di credito “cristiane“ nate con lo scopo di sottrarre i poveri agli usurai.

24) L. Fumi, San Bernardino da Siena in Orvieto e in Porano, pagg.30-33, sta in Porano, note storiche, di Marilena Rossi Caponeri, pag.31. I documenti d’archivio citati sono due delibere comunali del 1427, una che accorda un’elemosina al frate per la sua predicazione e l’altra che stabilisce la riforma delle leggi pubbliche secondo i suoi ammonimenti.

25) R. Morghen, Medioevo cristiano, pag.282.

26) R. Rusconi, Storia d’Italia, pag.485.

27) R. Rusconi citato, pag.486.

28) R. Rusconi citato, pag.487.

29) R. Rusconi citato, pag. 490.

30) Concilio di Trento Sess. XXII, De Reformatione, Cap.VIII.

31) Concilio di Trento Sess. VII, Cap.IX.

32) R. Rusconi citato, pag.495.

33) R. Rusconi citato, pag.496.

34) Archivio di Stato di Perugia, Archivio Storico del Comune di Perugia, Editti e bandi, n.61, c.134, doc. datato 7 maggio 1810; Periodo 1797-1816, Impero Francese, busta 290, doc. datato 4 giugno 1810, p.1. Cfr.A. – B. P.A.P., busta 51.

35) Disposizioni per le confraternite a cura di Mons. Salvatore Fratocchi, Vescovo di Orvieto, Unione Tipografica, Foligno, 1930, pag. 3.

36) G. M.Monti, citato, pagg. 3 e 4.

37) G.Casagrande, Gli iscritti della confraternita dei Disciplinati di San Francesco in Perugia, pag.49.

CAPITOLO II

Cenni storici sulle confraternite umbre

Dal XII secolo si ha notizia, come si è detto, della presenza di confraternite laiche esistenti nelle città, e di alcune anche nei villaggi. Da allora sappiamo anche dell’esisitenza in Umbria delle prime confraternite che prestavano attività negli ospedali, come quella di Orvieto che cominciò ad offrire assistenza ai poveri ammalati e ai viaggiatori(1).

A Perugia, nell’anno 1260 prese avvio ad opera di Raniero Fasani la Grande Devozione dei Flagellanti che praticavano una vita di penitenza ostentando sulle piazze e sulle strade, durante le processioni, la flagellazione a sangue delle proprie membra mentre imploravano la misericordia divina. Pian piano il moto da Perugia si diffuse in quasi tutta la penisola(2).

Col tempo ai Flagellanti subentrò il movimento dei Disciplinati che trasferì la pratica delle punizioni corporali dalle piazze all’interno di appositi oratori costruiti da queste nuove confraternite che inseguivano anche altre finalità quali l’astinenza dalle carni, il digiuno, un certo modo di vita religiosa che bandiva soprusi e menzogne e che si uniformava alla condotta umile e onesta.

Intorno al primo quarto del Trecento, dopo l’esperienza dei Flagellanti, sorsero a Perugia tre grandi confraternite di Sant’Agostino, San Francesco e San Domenico che si presentarono come eredi dirette del movimento dei Disciplinati di Gesù Cristo crocifisso. In questo stesso tempo sorsero in Umbria confraternite disciplinate ad Assisi, Terni e Todi(3).

Sono ampiamente dimostrate le notizie sulla presenza, alla fine del Trecento, delle confraternite disciplinate a Orvieto nella chiesa di San Francesco e nel Duomo (4).

Con la fine del Cinquecento si ritrovano i Disciplinati in tutto il territorio regionale. Le loro compagnie comprendevano uomini di ogni genere e condizione, donne e a volte anche ragazzi, laici ed ecclesiastici, nobildonne e mercanti, apprendisti e contadini.

Molti studi hanno messo in luce l’esistenza di confraternite nel XVI e XVII secolo sottolineandone il ruolo nella struttura assistenziale. Così sappiamo che ad Assisi in quel periodo ce n’erano 11 in città e 28 sparse nel territorio circostante, a Foligno ne esistevano almeno 13 in città e 33 nel territorio extraurbano, formatesi in epoca pretridentina sotto la spinta di alcuni spiriti riformatori; a Orvieto nel 1573, durante la visita apostolica del vescovo Binarino, esistevano 8 confraternite in città e 7 fuori, di cui alcune dedite alla devozione eucaristica e altre impegnate nell’assistenza agli infermi, ai carcerati, ai minori abbandonati e alle fanciulle povere. Tra esse la confraternita di San Giovanni dei Disciplinati che nel 1578 fece edificare il proprio oratorio. Nel 1606, al tempo del vescovo Giacomo Sannesio, le confraternite orvietane erano salite a 15 in città e a 37 nei paesi e borghi dintorno(5). Per quanto riguarda questo territorio, c’è da notare che Orvieto alla fine del XVI secolo presentava un’estensione molto assottigliata rispetto alle epoche precedenti per l’estensione a Nord del Granducato di Toscana e la creazione a Sud del Ducato di Castro. A causa di ciò, e anche a seguito delle frequenti pestilenze, la popolazione aveva subìto un forte regresso: agli inizi del Seicento la popolazione della città era di 6000 anime (cfr. atti della visita Sannesio 1607) contro le 15.000 del XIII secolo(6).

Lo studioso Christopher F. Black sostiene che dagli atti di visita relativi ad alcune diocesi dell’Italia centrale per gli anni 1570-80 risulta che le confraternite fossero largamente diffuse a Norcia dove c’erano 14, a Spello 13, a Spoleto 12 e altri 92 piccoli paesi avevano almeno una confraternita ognuno, molto spesso una del SS. Sacramento. Nella diocesi di Perugia c’erano 138 fratellanze collocate in 88 posti, oltre a quelle della città(7).

E’ impossibile comporre una tabella completa, mancando di alcune confraternite la relativa documentazione. Continuavano la loro esperienza le tre grandi confraternite di Sant’Agostino, San Francesco e San Domenico e vi era quella dell’Annunziata fondata dal vescovo Bossio nel 1565 con lo scopo di fornire doti alle ragazze povere. Questo sodalizio, secondo gli statuti riveduti nel 1587, escludeva le donne dalle cariche e dalla partecipazione alle assemblee mentre potevano partecipare alle processioni e alle attività di assistenza. In questo periodo c’è da ricordare la confraternita ospedaliera di Santa Maria della Misericordia, dominata dai patrizi, e quelle formate dai Gesuiti nella loro chiesa del Gesù, una per i nobili, una per gli artigiani e una per i contadini con tre distinti oratori, come distinte erano le classi di provenienza dei fratelli(8).

A Todi nel Cinquecento, sotto gli episcopati dei vescovi Federico, Giovanni Andrea e Angelo Cesi venne fondata dapprima la compagnia della Misericordia, poi la fraternità della Madonna delle Grazie, quella di San Giovanni Decollato e molti altri sodalizi laici, ma già nel 1574 al tempo del vescovo Camaiani esistevano 77 confraternite(9).

Nel loro insieme le confraternite delle parrocchie dell’Umbria, esprimevano molte devozioni, in ordine di importanza e diffusione, verso il SS. Sacramento, il S. Rosario, altri culti mariani e dei santi.

Note al Capitolo II°

1) C.F.Black, Le confraternite italiane del Cinquecento, pag.44.

2) C.F.Black, citato, pag.45.

3) P.L.Meloni, Topografia, diffusione e aspetti delle confraternite, pag.28.

4) Archivi di Orvieto, Chiese e conventi degli ordini mendicanti in Umbria nei secoli XIII e XIV, a cura di Marilena Rossi Caponeri e Lucio Riccetti, pagg.147-148.

5) L.Proietti Pedetta, Le confraternite in Umbria in epoca post tridentina: primi sondaggi e risultati, pag.19.

6) E.Carpentier, Une ville devant la pest. Orvieto e la Peste Noire du 1348, pag.31.

7) C.F.Black, citato, pagg.75-76.

8) C.F.Black, citato, pagg.55-70.

9) A.Fortunati, Con riverentia et devotione, pagg.26-32.

CAPITOLO III

Le confraternite alleronesi

La struttura delle parrocchie di Allerona

Prima di addentrarci nello specifico della ricerca è necessario riportare l’assetto organizzativo di Allerona dal punto di vista religioso così come risulta descritto dagli atti delle visite apostoliche e pastorali dei Vescovi a partire dal 1573.

Alla fine del Cinquecento il castello di Allerona sotto l’aspetto civile aveva una struttura giuridico amministrativa con proprie regole compendiate in un nuovo statuto redatto nel 1585 e con propri ufficiali di governo. Anche le chiese parrocchiali, con tutte le istituzioni religiose ad esse strettamente collegate, l’ospedale, il monte frumentario, le confraternite, rappresentavano altrettanto un elemento di unione.

Dopo il Concilio di Trento, in virtù delle disposizioni relative al controllo più accurato delle parrocchie, i Vescovi hanno cominciato a percorrere in lungo e in largo il territorio di loro competenza per rendersi conto sia dello stato di salute delle anime che della conservazione e amministrazione dei beni patrimoniali funzionali al mantenimento delle opere di religione.

Nel territorio del comune di Allerona, dopo il Concilio, il visitatore apostolico Alfonso Binarino nel 1573 trovò che fino dai secoli precedenti erano state erette alcune chiese con cura di anime, altre soltanto devozionali. Tra le prime ricordiamo la pieve di Santa Maria Assunta, la cura di San Michele Arcangelo, la cura del castello di Meana, la rettoria di San Pietro Aquaeortus e la cura di Sant’Abbondio. Tra le seconde la chiesa della Madonna del Poggio Vecchio, la chiesa di Bargiano e quella di Santo Sano.

Il numero e i titoli delle parrocchie sono rimasti invariati nel corso dei secoli successivi e fino alla fine dell’Ottocento. E’ cresciuto invece il numero delle chiese devozionali, che per quel secolo vengono ben descritte dal vescovo Lambruschini, cioè la chiesa della Madonna dell’Acqua, la chiesa di San Giovanni Decollato a Torre Bisensi, la chiesa di Maria S.ma detta del Tufo, la chiesa di Sant’Antonio a Montemoro(1)

La pievania di Santa Maria Assunta aveva giurisdizione sulle famiglie racchiuse all’interno delle mura castellane di Allerona. Secondo quanto riportato dagli atti di visita del vescovo- cardinale Savio Millini, nel 1687 la popolazione di questa chiesa era pari a 73 persone(2).

La cura di San Michele Arcangelo, che si estendeva su tutto il territorio esterno al perimetro delle mura di Allerona a confine con le parrocchie di Torralfina, Acquapendente, Trevinano, San Pietro Aquaeortus, Salci, Fabro, Ficulle, Sant’Abbondio e Meana, aveva giurisdizione sui seguenti casolari di campagna: Tufo, Casella Saracinelli, La casa delle monache di San Paolo, Montarciano, Poderetto, Mandrioli, Celvie, Granciare, Roscelle, Monticchi, Spiagge, Scopeto, Torre Bisensi, Casalta, Casa Bassa, Palombaiolo, Campo Cricco (sic), Osteriaccia, Taverne, Po Frattino, Podere la Fratta, Molinaccio, Bargiano, Belvedere e villa diruta, Campano, Peccio, Fontalone, Monte Guizzo, Casa Bassa della Chiesa, Buzzaghetto, Poggio del Lupo, Mostarda, Ospedale, Carnevale, Bardanella, Torrone, Palombara, Alvenella, Ponton de Frati diruto, L’Armata e Bellisario, Il Molino del Seminario, Casaccia e Belvedere diruto, Monte Moro, Palombaro, Sant’Ansano, San Lorenzo, Campitelli, Acquaviva, Chiusamorra, Pratale, La Casa dei Signori Saracinelli, Poderuccio oggi diruto, La Casaccia, L’Aiarella, Macchia Piana, Casa Lunga, Casa Nera, Moschea, Monte Spano, Fallo o Granaro, Casa Francesca oggi diruta, Casella della Pievania, Casella dello Spedale, Casella diruta al Quadruccio(3). Secondo quanto riportato dalla visita pastorale del vescovo Savio Millini, nel 1687 la popolazione della cura di San Michele Arcangelo era pari a 520 persone(4).

La parrocchia di San Pietro Aquaeortus confinava con la pievania di Allerona, Salci, Palazzone, San Casciano e Trevinano, aveva giurisdizione sulla casa parrocchiale e sulla fattoria all’interno del borgo e sulle famiglie abitanti nei poderi Le Case I, Le Case II, Poderetto, Valandria, Mezza Costa, Capanna, Pazzarella, Leprara, Fargneto, Casanova, Stredisa, Poggio Leone, Acquaviva, Poggio Spino, San Nicolò, Sconfitta, Cascina, Buschei, Palombara, Poggio di Sotto, La Casa, Busseto, Pian Cerreto. I dati relativi agli abitanti, annotati nella sua visita pastorale del 1687 dal vescovo Millini, dimostrano che erano 209(5).

La cura di Meana comprendeva l’abitato del castello, Belvedere di Meana, Faustina, Fontana, Fornaccio, Meanella, Molino di Paglia, Pilello, Poggio Barile (…). Secondo quanto riportato dalla visita pastorale del vescovo Savio Millini, nel 1687 la popolazione della cura di Meana era pari a 71 persone(6).

La cura di Sant’Abbondio, formatasi per distaccamento dal piviere di Ficulle comprendeva la Villa Sant’Abbondio, Po’ Ranieri, L’Armata, Monsaralle e Pocolle(7) cui si sono aggiunti nel tempo Monte Regole, Sant’Andrea, Santa Annunziata, Le Monache, San Rocco e Palazzone. Secondo quanto riportato dalla visita pastorale del vescovo Savio Millini, nel 1687 la popolazione di questa cura era pari a 130 persone.

Dal punto di vista socio economico il territorio alleronese rifletteva le avverse condizioni che nel Cinquecento hanno interessato buona parte del Paese. In modo particolare nell’ultimo periodo di questo secolo si acuirono le situazioni di povertà, di disoccupazione, di brigantaggio. Emerse chiara l’inadeguatezza dell’assistenza pubblica e privata e si inasprì l’atteggiamento nei confronti dei poveri e degli elementi sociali potenzialmente pericolosi e, di conseguenza, il bisogno di persone e di confraternite che svolgessero opere umanitarie(8).

Non bisogna però restringere il campo di attività delle confraternite al soccorso dei poveri perché esse, oltre all’assistenza materiale ed economica, esigevano dai fratelli una condotta di vita nel segno della fede e della morale cristiana che si concretizzava con la preghiera, la confessione e la comunione frequenti e il conforto spirituale al prossimo. In sintesi dovevano testimoniare la messa in pratica del comandamento dell’amore che si compenetra di quello verso Dio insieme a quello verso il prossimo.

Le confraternite alleronesi

Le notizie che ci sono pervenute in ordine alla vita dei sodalizi di Allerona nella seconda

metà del XVI secolo, nel periodo storico caratterizzato dalla corrente riformatrice, ispirata a un rinnovato fervore religioso e a una pratica più coerente della vita cristiana culminato col Concilio di Trento, riguardano le seguenti confraternite:

del SS. Sacramento nelle parrocchie di Santa Maria Assunta, San Pietro Aquaeortus, Sant’Abbondio e Meana,

del S. Rosario nelle parrocchie di Santa Maria Assunta e San Pietro Aquaeortus,

della Madonna del Carmine nelle parrocchie di Santa Maria Assunta e San Pietro Aquaeortus,

della Compassione nella parrocchia di Santa Maria Assunta,

del Suffragio nelle parrocchie di Santa Maria Assunta e di San Pietro Aquaeortus,

della Disciplina nella parrocchia di Santa Maria Assunta,

di San Sebastiano nella parrocchia di San Pietro Aquaeortus,

del SS. Nome di Gesù nella parrocchia di San Michele Arcangelo.

La mancanza di dati anteriori al XVI secolo non ci aiuta a chiarire se siamo in presenza di confraternite sorte proprio in quest’epoca oppure se si tratta di riforma di società preesistenti che ripresero vitalità.

In qualche caso si è trattato di iniziative messe in campo da laici, cioè da un motus ab intrinseco, in altri casi la diffusione del fervore religioso mediante le nostre confraternite può essere derivata dall’intervento del clero parrocchiale, dei religiosi che salivano ad Allerona per la predicazione quaresimale, del Vescovo diocesano o di altri visitatori apostolici.

Si sa con assoluta certezza che si deve all’iniziativa di laici la costituzione della confraternita della Compassione della Madonna (sulla quale ritorneremo più diffusamente in seguito), fondata dal cavaliere orvietano Bernardino Lattanzi sul finire del Cinquecento, e che quella del Corpo di Cristo (che in seguito sarà chiamata del SS. Sacramento) della pieve di Santa Maria ha seguìto l’itinerario già descritto a livello generale che vuole le confraternite legate alla gestione degli ospedali. Ricordiamo ancora che ad Allerona è esistito l’Ospedale dei poveri(9) e che questa struttura, già indicata storicamente fino dal 1373, era in funzione nella seconda metà del XVI secolo. Ce ne danno testimonianza la copia di un testamento che riporta in proposito le volontà di una persona laica ed alcuni volumi, intitolati “registri delle Congregazioni” conservati presso l’Archivio di Stato di Orvieto(10). Il termine “Congregazioni” usato per questi registri riferiti all’Ospedale fa ritenere che si sia trattato di una gestione da parte della stessa confraternita del Corpo d Cristo.

Un riferimento molto esplicito a questa istituzione ospedaliera alleronese che, in realtà, altro non era se non un ospizio per i poveri della parrocchia e per i viandanti e pellegrini, lo si ritrova nella visita apostolica fatta ad Allerona nel 1573 dal vescovo Alfonso Binarino che la chiama Ospedale della Misericordia mentre nel registro n. 179 dell’Archivio di Stato si trova annotato col titolo Ospedale della Risurrezione del Corpo di Cristo, termine che porta ad ipotizzare una sua gestione da parte della confraternita omonima. Un’ulteriore testimonianza è resa dal vescovo Sannesio in occasione dalla prima visita pastorale svolta ad Allerona il 29 novembre 1607. L’annotanzione relativa all’esistenza della “Confraternita del SS. Corpo di Cristo unita con la società chiamata della Compassione” e la simultaneità della presenza di queste istituzioni sotto lo stesso titolo ci fanno dedurre che sia stata la stessa Confraternita a svolgere un impegno assistenziale nella conduzione dell’Ospedale. Lo stesso presule torna a parlare di nuovo nella seconda visita dell’11 e 12 settembre 1616 dell’Ospedale e dell’Oratorio del SS. Sacramento sottolineando che si trattava di una struttura consolidata, con numerosi adepti e mezzi finanziari, cioè di un’organizzazione efficiente ed in comunione di intenti con la chiesa locale(11).

Note del Capitolo III°.

1) Di queste chiese sono già state scritte le note storiche più importanti nel mio libro Allerona. Vicende storiche dalle origini alle soglie del XX secolo a cui si rimanda.

2) Nel 1809, durante la prima visita Lambruschini (c.138r) c’erano 42 famiglie, nel 1818, all’atto della seconda visita Lambruschini (c.211v), secondo le indicazioni del pievano Don Geremia le famiglie erano 49.Al tempo del vescovo Briganti (1872) le famiglie erano 120 e 186 al momento della visita di Mons. Ingami (1886).

3) Additiones Secundae Visitationis Dioecesis, 1818 DD. Episcopi Lambruschini, carte. 232rev, e 233 r.

4) Nel 1809 aveva 415 anime di cui 209 maschi e 206 femmine raggruppate in 87 famiglie (prima visita Lambruschini, 1809, c.143rev.). Gli abitanti erano saliti a 620 al tempo del vescovo Briganti (1872) e a 823 al momento della visita di Mons. Ingami (1886).

5) Quelli risultanti dalla visita di Mons. Briganti del 1872 corrispondevano a 228 e dalla visita di Mons. Salvatore Fratocchi del 1910 risulta che ammontavano a circa 260. Cinquant’anni dopo, nel bel mezzo del fenomeno dell’esodo mezzadrile, la popolazione era scesa a 113 persone.

6) Nel 1809 c’erano 88 persone di cui 44 maschi e 44 femmine (prima visita Lambruschini, 1809, c.185v).

7) E.Carpentier, Orvieto à la fin du XIII siècle, pag.66.

8) C.F.Black, citato, pag.23.

9) C.Urbani, L’Ospedale dei poveri in Allerona, Allerona, 1997.

10) Archivio di Stato di Orvieto, L’Ospedale di Allerona, cartella contenente i registri contabili dal numero 177 al 185, (con gli atti dal 1554 al 1616) e 181 (con gli atti dal 1554 al 1739).

11) Archivio Vescovile di Orvieto, Atti delle visite pastorali del vescovo di Orvieto Giacomo Sannesio. Anno 1606 senza numerazione, Anno 1616, Scansia H, Divisione I, Prot.n.2.

CAPITOLO IV

Le confraternite del Santissimo Sacramento

Nella dottrina della Chiesa, le confraternite del Santissimo Sacramento sono “Associazioni pie debitamente riconosciute dall’autorità ecclesiastica aventi per scopo di onorare pubblicamente il SS. Sacramento con particolari manifestazioni devote. Nella loro costituzione non differiscono dalle altre confraternite, che lo spirito di associazione fece sorgere in tutto l’Occidente cristiano a partire dal sec. XII, se non per l’oggetto della loro particolare venerazione“(1).

Tra le prime e più importanti, anche come punto di riferimento per tutte le altre, se ne devono ricordare due sorte a Roma e che acquisirono il titolo di arciconfraternite:

- quella del SS. Sacramento a San Lorenzo in Damaso, fondata da alcuni devoti nel 1501;

- quella del SS. Sacramento a Santa Maria della Minerva, fondata dal frate domenicano Tommaso Stella nel 1538, approvata dal papa Paolo III con bolla del 30 novembre 1539.

Le confraternite del SS. Sacramento si diffusero rapidamente in Italia dopo che furono rese obbligatorie in tutte le parrocchie dalla Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari il 30 agosto 1578. La loro aggregazione ad una delle due arciconfraternite, appena ricordate, era condizione indispensabile perché i loro aderenti acquistassero le indulgenze e usufruissero di altri beni spirituali. Perciò tutte le confraternite del SS. Sacramento ottennero questa aggregazione.

Com’è noto, il Concilio di Trento ha elaborato in modo chiaro e sistematico le verità della fede e dettato norme per l’organizzazione dell’azione pastorale. Per tradurre in pratica e realizzare nella vita delle diocesi e delle parrocchie questi insegnamenti, Papi e Vescovi si dettero degli strumenti, che tanto hanno inciso nella vita cristiana e nella pietà popolare, quali i sinodi, seminari, visite pastorali, nuovo messale e nuovo rituale, luoghi pii, confraternite, benefici ecclesiastici, ecc..

Dell’Eucaristia il Concilio di Trento trattò in tre sessioni: XIII, XXI e XXII.

Nella sessione XIII si afferma: ”la reale presenza del Signore nostro Gesù Cristo nel Sacramento della SS. Eucaristia“, istituita dallo stesso Gesù Cristo nell’ultima cena. In questo Sacramento Gesù Cristo “ha effuso le ricchezze del suo amore verso gli uomini, facendo memoria delle sue meraviglie; comandò, nel prenderlo, di alimentare il suo memoriale, di annunciare la sua morte, finché venga come giudice del mondo. Volle che si prendesse questo Sacramento come cibo spirituale delle anime. Inoltre volle che fosse pegno e caparra per la gloria futura, simbolo di quell’unico corpo di cui lui è il Capo e noi le membra nell’intima unione di fede, speranza e carità “.

L’Eucaristia è il più eccellente dei Sacramenti, perché contiene lo stesso Signore Gesù Cristo, il suo corpo e il suo sangue, sotto le apparenze del pane e del vino. “Attraverso la consacrazione del pane e del vino avviene la trasformazione (o conversione) di tutta la sostanza del pane nella sostanza del Corpo di Cristo nostro Signore, e di tutta la sostanza del vino nella sostanza del suo sangue e tale trasformazione o conversione è chiamata propriamente dalla Chiesa Cattolica “transustanziazione“, termine adeguato a indicare la trasformazione da una sostanza all’altra”.

La sessione XIII conclude il decreto dell’Eucaristia con undici canoni:

I – Nel Sacramento dell’Eucaristia c’è veramente, realmente, sostanzialmente il Corpo e il Sangue con l’anima e la divinità del Signore nostro Gesù Cristo, cioè tutto Cristo.

II- Nel Santissimo Sacramento dell’Eucaristia non c’è la sostanza del pane e del vino insieme al Corpo e al Sangue di Cristo, ma tutta la sostanza del pane e del vino si è cambiata nella sostanza del Corpo e del Sangue di Cristo.

III – Cristo è tutto intero sia sotto la specie del pane come sotto la specie del vino.

IV – Fatta la consacrazione, nel Santissimo Sacramento dell’Eucaristia c’è il Corpo e il Sangue di Cristo sempre e non soltanto quando si prende e se ne fa uso. E le particole, che si conservano dopo la Comunione, rimangono Corpo di Cristo.

V – Oltre la remissione dei peccati l’Eucaristia produce anche altri effetti.

VI – Nel Sacramento dell’Eucaristia si deve adorare, anche con culto esterno, Cristo, Figlio Unigenito di Dio, con feste e processioni in particolare.

VII – E’ lecito e utile conservare la santa Eucaristia nel tabernacolo e portarla agli infermi.

VIII – Cristo nell’Eucaristia si prende e si mangia non spiritualmente, ma sacramentalmente e realmente.

IX – I Cristiani, arrivati all’età della ragione o discrezione, sono tenuti a comunicarsi almeno una volta all’anno a Pasqua.

X – Il sacerdote può comunicarsi da se stesso durante la celebrazione di questo Sacramento.

XI – La sola fede non è sufficiente per ricevere il Santissimo Sacramento dell’Eucaristia. Il Santo Concilio comanda che per “non ricevere la morte e la propria condanna, chi ha la coscienza gravata dal peccato mortale è necessario che premetta la Confessione sacramentale prima di comunicarsi“.

A questo Santissimo Sacramento si deve l’adorazione e la venerazione dei fedeli, perché è lo stesso Signore Gesù Cristo, vero uomo e vero Dio. Perciò questo Sacramento dell’Eucaristia dai cristiani, durante l’anno, deve essere adorato e venerato con feste, solennità, processioni, portandolo per le strade e per le piazze(2).

Come manifestazione di fede e di devozione al SS. Sacramento, il Concilio di Trento ricordava la Festa del Corpus Domini e la relativa processione (Sess. XIII, Cap. V De cultu et veneratione huic Sanctissimo Sacramento exhibenda, e canone VI). Oltre ad essere un dovere, specialmente per le parrocchie della diocesi di Orvieto nel cui duomo si custodisce il Corporale che ha raccolto il Sangue di Cristo grondante dall’Ostia del miracolo di Bolsena, era un onore per i fratelli delle confraternite organizzare e partecipare alla santa Messa e alla processione del Corpus Domini.

A cura dei fratelli veniva organizzata anche una processione ogni terza domenica del mese, o prima della messa del mattino o durante le funzioni del pomeriggio, detta Processione di Terza. Nelle giornate di pioggia si svolgeva dentro o attorno alla chiesa.

Nei giorni di Giovedì e Venerdì Santo, nel rispetto di un preciso dovere contemplato nello statuto, i fratelli facevano a turno l’adorazione al SS. Sacramento, questa pia pratica veniva chiamata Guardia al Sepolcro. Nella giornata di Giovedì Santo allestivano il Sepolcro in un altare laterale dove veniva riposto il SS. Sacramento per far la comunione il Venerdì Santo, giorno in cui, per antichissima tradizione, non si celebra la Messa. In questo Sepolcro, come si fa ancora oggi, venivano posti molti lumi, fiori delle specie iris e gigli e vasi di veccia. La veccia veniva seminata nei mesi precedenti e veniva fatta germogliare in cantina, lontana dalla luce del sole per conservarle il colore bianco.

Altra pratica di adorazione e devozione verso il SS. Sacramento erano le sacre Quarantore. Furono istituite a Milano, nella prima metà del XVI secolo, per opera di un frate cappuccino, P. Giuseppe da Fermo, e consistevano nell’esporre in modo solenne il SS. Sacramento dal mattino al tardo pomeriggio, per tre giorni consecutivi. Questa pia pratica si diffuse rapidamente in Italia anche perché raccomandata e assistita da indulgenze da parte dei papi Clemente VIII e Clemente XI. Sono state le confraternite del SS. Sacramento ad assumersi il compito di organizzare le sacre Quarantore, stabilendo per i fratelli turni di un’ora d’adorazione da farsi indossando la veste della compagnia. Non era stabilito un periodo particolare ed ogni parrocchia si regolava a suo modo. Ad Allerona venivano celebrate nei fine settimana antecedenti le domeniche di quaresima. In occasione di queste esposizioni spesso gli altari venivano riccamente adornati, anche con scenari ed effetti di luce, con l’impiego di baldacchini, drappi e ostensori.

Un compito molto importante per gli iscritti alla confraternita del SS. Sacramento era quello di accompagnare il pievano, mentre portava la Comunione agli infermi e ai malati più gravi come Viatico. Era abitudine suonare la campana per annunciare a tutti che il SS. Sacramento usciva dalla chiesa e i fratelli della compagnia facevano ala attorno al sacerdote, vestito di cotta, stola e velo omerale, sostenendo l’ombrellino e i lampioni (dapprima le fiaccole o torce) e suonando un campanello per richiamare l’attenzione e la venerazione dei viandanti che al passaggio dell’Eucaristia si inginocchiavano, scoprivano il capo e recitavano anche una preghiera per l’infermo.

Tra le pratiche di devozione, non obbligatorie, rientravano anche le Funzioni con l’esposizione e la benedizione col SS. Sacramento nel pomeriggio delle domeniche e delle feste in cui allora non si celebravano sante Messe. Le Funzioni erano di corredo ai tridui o alle novene in preparazione della festa di un santo, del Natale, dell’Immacolata Concezione e si componevano della recita del Rosario, delle Litanie e di qualche preghiera particolare. Si esponeva quindi il SS. Sacramento, aprendo la porticina del tabernacolo o, in forma più solenne, apponendo l’Ostia grande consacrata nell’ostensorio. Si cantava il Tantum ergo, poi il sacerdote recitava un’orazione e quindi impartiva la benedizione con il SS. Sacramento. Con l’autorizzazione del Vescovo, il SS. Sacramento veniva esposto anche per rivolgere suppliche e preghiere in caso di calamità naturali come le tempeste, le inondazioni, la mancanza di pioggia, il terremoto, la peste o altre catastrofi o per soddisfare le richieste di persone o singole famiglie bisognose di grazie particolari.

Altra pratica di devozione verso l’Eucaristia era la Visita al SS. Sacramento conservato nel tabernacolo su un altare, che poteva essere quello maggiore o uno di quelli laterali, con una porticina chiusa a chiave. Accanto al SS. Sacramento c’era sempre una lampada alimentata a spese della confraternita, accesa giorno e notte. La Visita, da farsi individualmente, veniva raccomandata non solo ai fratelli della compagnia ma a tutto il popolo cristiano. Si consigliava infatti di fare il segno della croce nel passare davanti alla chiesa e, se possibile, di entrare per visitare il SS. Sacramento con la recita di alcune preghiere, per lo più composte da Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, che molte persone anziane sanno ancora recitare a memoria.

Note al Capitolo IV°

1) Enciclopedia Cattolica, Vol. IV, col.262.

2) R. Serafini, Le confraternite del Santissimo Sacramento i loro statuti e la devozione eucaristica, pagg.45 e 46.

CAPITOLO V

Le confraternite del SS. Sacramento nelle parrocchie di Allerona.

La confraternita del SS. Sacramento nella pievania di Santa Maria Assunta.

Nel Cinquecento

Il già citato vescovo Binarino, negli atti della visita apostolica effettuata ad Allerona nei giorni dal 23 al 25 settembre 1573, ha lasciato quali uniche note degne di rilievo per il nostro studio le citazioni della presenza costante del Sacramento nella pievania e nella chiesa di San Pietro Aquaeortus, senza alcun cenno specifico all’esistenza della compagnia del Corpo di Cristo. Del resto, come riportato in precedenza, in tutte le parrocchie del contado Binarino rinvenne solo 6 confraternite senza nominarle nello specifico.

Ma i registri parrocchiali di Allerona fanno giustizia di questa omissione e proprio nel libro I° della confraternita denominata allora del Corpo di Cristo, e non ancora del SS. Sacramento, troviamo la trascrizione di lasciti testamentari a favore di questo stesso sodalizio proprio dal 1573 e dunque la sua erezione dev’essere datata anteriormente alla visita Binarino se già in quell’anno raccoglieva sostegni economici per il conseguimento dei propri scopi.

La notizia più importante è quella relativa all’annotazione sotto la data dell’8 giugno 1577 in cui si riferisce di un debito di scudi 11 e baiocchi 24 dovuti alla confraternita del Corpo di Cristo da Stefano di Guido quando venne fatto priore dall’allora pievano don Alessandro Palazzi. Se Stefano fu eletto priore della Compagnia al tempo del Palazzi, pievano di Allerona all’atto della visita apostolica di monsignor Binarino, che lo cita nella sua relazione a pagina 82, vuol dire che nel 1573 la stessa Compagnia esisteva e può essere una delle sei citate dal Vescovo.

I manoscritti, riferiti al 1573, pongono perciò l’esistenza di questa Confraternita in Allerona appena 34 anni dopo la costituzione della prima eretta ufficialmente con questo titolo a Roma, con la bolla Dominus noster promulgata dal papa Paolo III il 30 novembre 1539 presso la chiesa di Santa Maria sopra Minerva.

Ragionando sul terreno delle ipotesi si potrebbe far risalire questa Compagnia ad un periodo antecedente, vicino al 1501, anno in cui fu creata la confraternita di San Lorenzo in Damaso. Potrebbe essere anche probabile che la sua nascita sia da legare come gemmazione dell’erezione della confraternita del SS. Sacramento, promossa a Orvieto nel 1488 dal beato Bernardino da Feltre, come è riportato da G. Barbiero ne Le confraternite del SS. Sacramento prima del 1539, o addirittura alla diffusione del culto eucaristico nell’orvietano a ridosso della istituzione della festa del Corpus Domini del 1297 per diffondere tra i laici l’adorazione eucaristica e la pratica della comunione frequente.

Come le altre confraternite, anche quella di Allerona aveva la finalità di onorare pubblicamente con particolare solennità il SS. Sacramento e di svilupparne la devozione. Le pratiche con cui tutto ciò si manifestava erano le comunioni frequenti, le visite al tabernacolo in chiesa, la partecipazione alle feste, specie quella del Corpus Domini e della domenica successiva detta l’Ottava del Corpus Domini, la partecipazione alle processioni nella terza domenica di ogni mese, la celebrazione delle Quarantore durante la settimana santa, l’accompagnamento del Viatico agli infermi e moribondi, l’acquisto di cera, incenso e suppellettili sacre per la cura dell’altare.

La Confraternita si è adoperata per raggiungere queste finalità e realizzarle ha significato far diventare pratica quotidiana la dottrina e le disposizioni del Concilio di Trento sull’Eucaristia. La devozione era sostenuta da particolari indulgenze elargite dalla chiesa e che i Papi accrebbero anche nei secoli successivi.

Lo scopo principale di questa devozione era la salvezza dell’anima che doveva essere cercata in vita con la grazia di Dio e le buone opere e in morte con le preghiere di suffragio. E’ per questo che diverse persone, come vedremo, hanno lasciato particolari disposizioni agli eredi affincché i loro beni servissero anche per sostenere le attività della Chiesa i cui ministri si impegnavano a celebrare Messe di suffragio per i defunti.

Tuttavia nulla escludeva che la Confraternita potesse inculcare nei propri iscritti, oltre a quella del SS. Sacramento, devozioni ulteriori. E’ quanto risulta essere avvenuto sul finire del secolo perché negli atti figurano le notizie di un pellegrinaggio dei fratelli di Allerona al SS. Crocifisso di Todi nel 1592 e di un altro alla Madonna del Soccorso di Orvieto nel 1596(1).

I lasciti testamentari

La Confraternita era amministrata con le regole di una associazione di persone che liberamente si mettevano insieme per il perseguimento di uno scopo e faceva fronte con la propria organizzazione a tutte le necessità sia di carattere spirituale che materiale. Per amministrarsi poteva disporre dei beni in entrata derivanti da elemosine, collette particolari e gestione di eredità testamentarie.

Nel I° libro della confraternita del Corpo di Cristo si trova una serie di brevi testamenti della fine del Cinquecento, regolarmente redatti alla presenza di un notaio, relativi alle ultime volontà di cittadini che “per l’amor di Dio e per la remissione dei propri peccati“ hanno lasciato alla Compagnia somme di denaro, immobili come case e terreni, o anche beni materiali consistenti in quantità di grano, al fine di far celebrare Messe di suffragio per la propria anima.

Così Pace di Sano di Cappelletto il giorno 13 dicembre 1573 lasciò alla Compagnia uno staio di grano, con rogito eseguito dal notaio Michelotto Tonelli. Nello stesso giorno risulta trascritta la donazione di uno staio di grano nelle mani del priore Stefano di Guido da parte di Momo di Vincenzo. Sotto la data del 2 febbraio 1576 venne registrato il debito di mastro Paolo, fabbro, di scudi 1 e baiocchi 20 come controvalore di una partita di grano vendutagli da Tonino e mastro Antonio sarto, rispettivamente priore e camerlengo della Compagnia, e venne anche registrato un debito di scudi 1 e baiocchi 20 da parte di mastro Silvestro, muratore, per una quantità di tavole che gli erano state vendute dallo stesso camerlengo.

Il 29 dicembre 1578 Antonio Paolini lasciò 10 scudi con atto dello stesso notaio Tonelli. precisando ulteriormente con altro rogito le proprie volontà secondo cui i suoi eredi fossero obbligati a far dire in suffragio della sua anima due Messe ogni mese e due nel giorno di santa Lucia sull’altare a lei dedicato, inoltre che se i suoi eredi fossero morti senza lasciare figli legittimi e naturali dovesse succedere nell’eredità la compagnia del Corpo di Cristo. Il lascito dei 10 scudi venne versato effettivamente agli ufficiali della Compagnia da donna Lorenza, vedova di Antonio Paolini, il 20 aprile 1581.

Il 9 aprile 1581 risulta un debito nei confronti della Confraternita di 6 scudi e 90 baiocchi quale avanzo di gestione del camerlengato di Simone della Vica esercitato nell’anno precedente. Il 21 maggio 1581 una scrittura conferma che Giovanni di Ciarre doveva dare 60 baiocchi per il pagamento di un pezzo di corallo della compagnia del Corpo di Cristo vendutogli dal priore Pirro Coelli e dal camerlengo Stefano di Nencio. Questo debito verrà saldato dagli eredi il 23 settembre 1598. Sotto la stessa data del 21 maggio 1581 è stato registrato il debito di uno scudo che l’Ospedale della Nona aveva ricevuto in prestito “gratis et amore“, cioè senza interessi, nell’anno in cui fu priore Antonio di Meo (verosimilmente in uno degli anni tra il 1577 e il 1580). Il primo giugno del 1581 Simone di Vincenzo versò nelle mani del priore e del camerlengo 6 scudi con i quali vennero acquistati un calice e una patena. Un lascito di 5 scudi venne in quest’anno anche da Tofo di Salvatore e risultò incassato completamente l’8 novembre.

Il 9 giugno 1582 Giannino di Menico aveva dato alla Confraternita 1 scudo e mezzo che erano stati lasciati in testamento da sua moglie Marzia(2) mentre sotto la data dell’8 luglio 1582 Toma del Bologna aveva lasciato 4 staia di grano. Il 17 aprile 1583 Toma di Vincenzo ha consegnato agli ufficiali della Compagnia, Ascanio di Santoro e Meio di Nardo, 4 staia di grano lasciati per testamento redatto dal notaio Vincenzo Nobile.

Il 20 gennaio 1584 Francesca di Angelo lasciò uno scudo.

Il 14 giugno 1587 Masso di Giovagnolo ha lasciato 3 scudi, mentre Marco, sarto, doveva pagare di parte sua la multa di 8 giulii per aver dato via il terreno dell’Ospedale in contrada La Casella (notizia che avvalora l’esistenza di una relazione fra l’Ospedale e la confraternita del SS. Sacramento).

Uno scudo venne lasciato il primo maggio 1593 da Gioma di Valentino e 5 scudi il primo novembre 1597 da Pasqua, sorella di Masso di Giovagnolo.

Con questi ed altri lasciti la Confraternita venne in possesso di vigne e terreni seminativi nelle località Fontalone, Monte Guizzo, Quadruccio, il Vignaccio, Chiusamorra, La Casella, di case nel paese di Allerona e di somme di denaro liquido.

La gestione interna della Confraternita

Elemosine spontanee, questue e lasciti dettero presto alla Confraternita la possibilità di impiantare una propria gestione economica. I terreni venivano dati in affitto per più generazioni e i denari venivano concessi in prestito ad un tasso d’interesse del cinque per cento (che intorno al 1620 raggiunse anche l’otto per cento) a coloro che portavano come garanti familiari o conoscenti abbienti e solvibili.

Per discutere delle pratiche spirituali (Messe, processioni, acquisto di suppellettili per la chiesa) ma soprattutto delle richieste di prestiti (o censi), delle loro restituzioni, della nomina di nuovi ufficiali (amministratori), delle varie questioni interne relative alla gestione, i confratelli venivano radunati nel giorno di domenica, salvo casi eccezionali, ad esempio quando le adunanze dovevano svolgersi contemporaneamente alla visita pastorale del Vescovo o di un suo delegato.

I soci, il cui numero oscillava tra le 15 e poco oltre le 20 unità, appartenevano a tutte le estrazioni sociali, ma gli ufficiali erano scelti in genere fra le categorie degli artigiani (con frequenza infatti ricorre l’appellativo di mastro accanto a un priore o camerlengo e spesso viene precisato se trattatasi di muratore, tessitore, sarto, fabbro o altro).

Elenco dei priori, camerlenghi e risultati di bilancio

Anno

Priore

Camerlengo

Risultato in scudi romani

1576

Tonino

Mastro Antonio, sarto

1577

Stefano di Guido

1580

Simone della Vica

1581

Pirro Coelli

Stefano di Nencio

1582

Felice

Stefano della Vica

1583

Ascanio di Santoro

Meio di Nardo

1586

Ascanio di Santoro

Meio di Nardo

1588

Mastro Fabrizio Meco di Cola e Ottavio Cappelletti

1590

Ascanio di Santoro

Stefano detto Beo

4,64

1591

Toma del Bologna

Fabrizio Ucellini

13,05

1592

Girolamo di Gnagni,

Ludovico di mastro Alberto

2,50

1593

Pascuccio

Fabrizio Ucellini

7,50

1594

Pascuccio

Fabrizio Ucellini

9,10

1595

Antonio di Martino

Ottavio Mancini, muratore

16,51

1596

Girolamo di Giovanni

Orazio Mancini

10,61

1597

Rasimo di Leonetto

Orazio Alberti, fabbro

7,80

1598

Momo di Pace

Bernardino Mancinelli

2,77

1599

Toma del Bologna

Antonio …

8,19

Nel Seicento

Anche il vescovo monsignor Giacomo Sannesio, che visitò le parrocchie di Allerona nei giorni dal 28 al 30 novembre 1607, e poi ancora l’11 e il 12 settembre del 1616, annotò fin dalla prima volta nella chiesa di Santa Maria Assunta l’esistenza della compagnia del Corpo di Cristo che in quegli anni aveva già incorporato la confraternita della Compassione(3).

Dal 1609 al 1626 figura un cappellano, nella persona del prete Dante Tedeschi, il quale riceveva un emolumento annuo di 16 scudi in compenso delle celebrazioni liturgiche proprie del Sodalizio(4).

Anche se verso la fine del secolo precedente abbiamo incontrato lasciti ad opera delle donne, è con la data del 25 novermbre1620 che per la prima volta compare il nome di “Donna Agostina coniugata Mancini sorella della Compagnia del SS. Sacramento“.Ciò ci da la conferma che la Confraternita aveva iscritte anche “sorelle”.

Da questo momento la dizione “SS. Sacramento” sostituì quella di “Corpo di Cristo“.

Aspetti di ordine economico.

Come nel secolo precedente, continuarono i lasciti testamentari e la formazione delle proprietà si incrementò ulteriormente.

Il 6 settembre 1606 Margherita di Lorenzo lasciò 10 scudi con l’obbligo per la Confraternita di far celebrare ogni anno un Uffizio in suo suffragio con tutti i preti presenti in Allerona(5) mentre nello stesso anno Tullio, figlio di Menico di Valentino, consegnò alla Confraternita 6 scudi che suo padre aveva lasciato per testamento(6) e Bastiana, moglie di Paolino di Baldo, fece testamento con il lascito di 4 scudi(7). Il 25 dicembre 1610 la Confraternita ereditò 3 scudi da Angelo di Sano (o Tono) “per l’amor di Dio e per elemosina“(8).

Mastro Antonio di Martino, bolognese, lasciò 12 scudi e mezzo il 23 novembre 1620 per far suffragare la propria anima con una Messa da ufficiarsi ogni anno da tutti i preti presenti ad Allerona(9) e due giorni dopo Orazio Mancini consegnò il lascito di 2 scudi, stabilito dalla madre Agostina, nelle mani del camerlengo Ottavio di Girolamo, alla presenza del prete Guido Andreani che redasse la scrittura(10).

Il 5 aprile 1623 fu ereditato il lascito di 12 scudi e mezzo di Gio Maria di Battista di Peccio (11) mentre il 24 febbraio 1625 il camerlengo Marco Alberti dichiarò di aver ricevuto da Polidoro di Pasquale della Meana, tutore degli eredi di Giulio di Carlo e dai suddetti eredi, quattro staia di grano lasciati da Giulio alla Confraternita, con l’obbligo che fossero dette per la sua anima due Messe l’anno di suffragio, una il giorno di San Carlo e l’altra il giorno di San Sebastiano. Il cappellano Dante Tedeschi, autore della scrittura, si obbligò alla celebrazione di questi anniversari finché fosse rimasto nella carica(12).

Sotto la data del 15 agosto 1626, il pievano di Allerona don Luca Felicelli ha registrato il lascito di un legato di 30 scudi da parte di Giulio di mastro Antonio Martini per fare la dote a una povera zitella alleronese, da scegliersi a cura degli ufficiali e dei fratelli della confraternita del SS. Sacramento. Fu scelta, tra tante, la figlia del fu Pietro d’Angelo, detto Birichicca(13). Alla stessa data figura altresì il versamento di 1 scudo e 25 baiocchi da parte di Marco Alberti, somma lasciata per testamento alla Confraternita da suo padre Lodovico(14).

Ancora il 6 settembre 1629 lo stesso don Luca ha registrato il lascito di un legato di 12 scudi fatto dal padre di Andrea e Giacomo Andreani(15).

Non tutte le donazioni furono spontanee perché ci fu anche chi, come Francesco d’Angelo, fu costretto a cedere alla Confraternita, il 22 novembre 1649, la vigna che aveva piantato con un prestito di 25 scudi e 12 di interessi che non era riuscito a restituire. La Confraternita nel ricevere la vigna aveva però il problema di farla rendere almeno quel tanto che serviva per soddisfare gli obblighi degli anniversari legati al lascito dei 25 scudi. La notizia non è corredata da ulteriori sviluppi(16).

Il 31 agosto 1653 l’adunanza dei fratelli prese atto della volontà del cavaliere Bernardino Lattanzi, cameriere segreto di Sua Santità, domicello orvietano, in qualità di erede della buon anima di Lattanzio Lattanzi, suo zio, già Maestro di Camera di Sua Santità, di pagare il legato di centocinquanta scudi lasciato alla Confraternita con l’obbligo di far celebrare una Messa al mese in perpetuo in suffragio dell’anima sua. La Confraternita si trovò quel giorno a decidere anche circa l’impiego di tale somma, se cioè fosse stato più opportuno investirla nell’acquisto di un bene immobile, che avesse reso frutti annui pari al cinque per cento, secondo le regole di allora, o se invece impegnarli in un “Monte non vacabile“(17) a Roma. Prevalse in quell’occasione il parere che fosse meglio cercare di acquistare dei possedimenti in Allerona, previa stima redatta da due esperti di cui uno di nomina della Compagnia e uno del venditore(18). Il 17 settembre successivo, con autorizzazione scritta da parte del vicario del Vescovo, gli ufficiali della Compagnia nominarono gli estimatori Medoro Carli e Giuliano di Gio Cristoforo i quali valutarono, come bene immobile rispondente a 90 scudi romani della somma da investire, la vigna in frutto di proprietà di Giulio di Girolamo in contrada Fontalone. Videro anche un altro campo del medesimo proprietario in località Monte Guizzo, del valore di 12 scudi. Furono perciò comprati la vigna e il campo e la stessa assemblea, a voti unanimi, autorizzò il priore Orazio di Giulio ad accettare il lascito di Lattanzio Lattanzi e a ricollocare in affitto la vigna e il terreno al migliore offerente in quarta generazione(19).

Figura un atto, sotto la data del 1° maggio 1654, con cui Feliziano di Fidenzio lasciò alla Confraternita un pezzo di terra in contrada La Casella per far celebrare Messe in suffragio della sua anima(20).

Il 20 ottobre 1658 furono radunati gli iscritti per prendere in esame la proposta di cessione, fatta da Marco Alberti, di un suo terreno piantato a olivi nel luogo detto Le grotte di Valentino, in sconto dei denari che doveva rendere. Pasquale Taddei, uno dei fratelli, consigliò di accettare l’offerta e di chiedere la debita autorizzazione al vicario del Vescovo onde procedere alla riassegnazione dell’oliveto in affitto per ricavarne guadagni(21).

Il 24 maggio 1673 è stato registrato un atto notarile relativo al censo di 6 scudi e mezzo, tenuto con la Confraternita da Gio Batta di Marzio, equivalenti alla metà di un lascito ceduto dagli eredi di Bastiano Cerrini con l’obbligo di far celebrare una Messa l’anno in suffragio della propria anima(22).

Il giorno 16 maggio 1688 (cfr.libro V°, c.59r) furono radunati i fratelli della compagnia del SS. Sacramento per decidere sull’impiego dei frutti del legato del cavaliere Bernardino Lattanzi, per deliberare cioè se si doveva accettare o no. L’argomento è riportato in questo modo:“Essendo devoluto il legato del signor Cavaliere Bernardino Lattanzi seniore e nonno del vivente iuniore come per sentenza di Mons. Vice Gerente di Orvieto data nell’anno 1684, e volendo il signor Cavaliere vivente far cosa grata a questa nostra compagnia del SS. Sacramento ha stabilito che con il frutto dei 150 scudi lasciato dal già suo signor nonno come per rogito del signor Ascanio Nati nel 1601 alla medesima compagnia del SS. Sacramento, si dia per elemosina dotale un anno sì e l’altro no scudi 5 ad una zitella di onesta condizione nella forma da estrarsi dalla bussola e l’altro anno si dicano Messe cioè una per settimana, in modo che al beneficio di detta elemosina debba parteciparvi ogni sacerdote abitante ad Allerona, come potrà meglio vedersi dallo strumento da stipularsi e stipulato il…”(la data non è riportata). Questa proposta venne favorevolmente accolta da tutti i 23 fratelli presenti perché con questo pio legato, come scrisse il pievano don Severino Rossi estensore del verbale, si potevano svolgere funzioni di utilità pubblica.

Gli atti di questa Confraternita, nel loro insieme, danno fede di movimenti ed intrecci complicatissimi di censi, frutti, interessi e prestiti e tuttavia di una amministrazione delle rendite non sempre scrupolosa.

Molti gettiti, se non tutti, dipendevano dai raccolti agricoli più o meno fruttuosi, calavano in presenza di calamità naturali e crescevano con le buone annate agrarie(23).

Chi non pagava i canoni d’affitto dei terreni rischiava anche il sequestro delle produzioni raccolte e, in casi estremi, di dover comparire secondo le leggi canoniche davanti al Tribunale Ecclesiastico. A riscuotere erano ordinariamente tanto il pievano che il camerlengo ma in casi particolari veniva nominato un apposito esattore e in quelli più difficili e delicati si faceva intervenire un alto prelato da Roma. Le relazioni, che oggi chiameremmo contabili, venivano eseguite con dettaglio.

Il 23 gennaio 1656 era stata fatta un’assemblea della Confraternita per nominare un procuratore di Orvieto per tutte le riscossioni che c’erano da fare. A voti unanimi, i 15 fratelli presenti incaricarono il priore Orazio di Giulio e il pievano di stipulare una procura con la persona da essi ritenuta idonea riconoscendole la provvigione corrente(24).

Nel 1661 la Confraternita aveva entrate da lasciti, censi e offerte pari a 110 scudi romani che impiegò quasi totalmente per le Messe ed Uffizi, come da obblighi testamentar