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NUTRI.PROF®FEDERAZIONE NUTRIZIONISTI PROFESSIONISTI ITALIANI

ATTUALITA’ IN SCIENZE DELLA NUTRIZIONE UMANA,

2015

Associazione di riferimento Nazionale per Medici /

Nutri.Prof®

NUTRI.PROF® FEDERAZIONE NUTRIZIONISTI PROFESSIONISTI ITALIANI

ATTUALITA’ IN SCIENZE DELLA NUTRIZIONE UMANA,

SCIENZE DIETETICHE E NUTRIZIONE CLINICA

MAGAZINE

VOLUME

VI°

Associazione di riferimento Nazionale per Medici /Biologi Nutrizionisti e Dietisti

Nutri.Prof® - Federazione Nutrizionisti Professionisti Italiani

CF: 97684820588

Via di San Giovanni in Laterano, 250 – Roma

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FEDERAZIONE NUTRIZIONISTI PROFESSIONISTI ITALIANI

ATTUALITA’ IN SCIENZE DELLA NUTRIZIONE UMANA,

SCIENZE DIETETICHE E NUTRIZIONE CLINICA

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Biologi Nutrizionisti e Dietisti Registered Nutritionist

Federazione Nutrizionisti Professionisti Italiani

Roma

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Presidente Nutri.Prof.: Dott. Riccardo Monaco

Comitato Scientifico

Dott. Riccardo Monaco

Dott. Giovanni Borghini

Dott. Gioacchino di Leo

Grazie ai colleghi che hanno scritto questo volume 6

Dott.ssa Beltrami Martina (Referente Nutri.Prof Regione Liguria)

Dott. Andrea Urso (Referente Nutri.Prof. Regione Puglia)

Dott. Giulio Maria Ranalli (Referente Nutri.Prof. Regione Abruzzo)

Dott.ssa Marialaura Ingenito (Referente Nutri.Prof Regione Campania)

Dott.ssa Giusi Balzano (Referente Nutri.Prof Regione Lazio)

Dott. Francesco Iarrera (Referente Nutri.Prof. Regione Sicilia)

Dott.ssa Maria Luce Molinari (Adama srl)

Dott.ssa Tiziana Mennini (CEC Editore)

DISCLAIMER Le informazioni e gli articoli presenti in questo Magazine non intendono fornire trattamento o prevenzione a disturbi, malattie o condizioni cliniche, né sostituirsi al trattamento medico o come alternativa ad un consulto specialistico. Costituiscono divulgazione delle opinioni dell'/gli Autore/i, per scopi puramente informativi. Gli autori sono responsabili degli articoli pubblicati e dei loro contenuti. Le raccomandazioni qui presentate non dovrebbero essere adottate senza una revisione completa dei riferimenti scientifici a supporto ed una visita medica. L'uso delle indicazioni presentate in questo sito è a completa discrezione e responsabilità del lettore. Questo Magazine e gli articoli in esso pubblicati non rappresentano testata giornalistica, in quanto aggiornaoi senza particolare periodicità. Pertanto, non possono considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della Legge n. 62 del 7.03.2001. Tutti i marchi appartengono a Nutri.Prof. Le informazioni e gli articoli presenti in questo magazine o qualsiasi parte di esso non possono essere riprodotte o riscritte in nessun modo senza il permesso del proprietario, tranne per brevi citazioni in articoli critici o di revisione.

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IN QUESTO NUMERO

Position Paper Nutri.Prof ®” Dott. Riccardo Monaco ………………………………………………………………….……… pag. 4 “Infezioni del tratto urinario: Alimentazione e pre venzione” Dott .Andrea Urso…………………………………………………………………………..…… pag. 10 “Dieta ed endometriosi” Dott.ssa Martina Beltrami………………………………………………….………….………… pag. 17 Rubrica Cec Editore L’ Integratore Nutrizionale – a cura dott.ssa Tiziana Mennini

• Associazione maltitolo + fruttoligosaccaridi …………………………………………… pag 20 • Probiotici e prebiotici …………………………………………………………………….. pag.22 • Omega 3 in pazienti ad alto rischio cardiovascolare …………………………………..pag. 24

“Sostanze naturali nella prevenzione dell’invecchia mento del cuore” Dott. Gioacchino di Leo – Chimico Farmaceutico …………………………………..……..… pag. 25 “Celiachia e autoimmunità” A cura del Dott. Giovanni Borghini …………………………………………………………….. pag. 30 “Crescione e cancerogenesi” A cura del Dott. Giovanni Borghini …………………………………………………………….. pag. 32 “Alimentazione Sport e Intelligenza” A cura del Dott. Giulio Maria Ranalli …………………………………………………..……….. pag. 34 “La Medicina verde dell’estate” A cura del Dott.ssa Giusi Balzano …………………………………………………………….. pag. 37 “Donne Sportive attenzione alla dieta” A cura del Dott.ssa Marialaura Ingenito ………………………………………..…………..….. pag. 39 Rubrica Adama Srl – Estratti Idroenzimatici – a cura dott.ssa Maria Luce Molinari

• Mastice di Chios: un’arma vincente contro l’Helicobacter Pylori ……………..……. pag 40 • Innovazione in Fitoterapia……………………………………………….................. … pag. 42

“Le ragioni del sovrappeso” A cura del Dott. Francesco Iarrera ………………………………………….………………….. pag. 46

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“L’idratazione durante l’attività sportiva” A cura del Dott. Andrea Urso ………………………………………………………………….….. pag. 52 “Bioimpedenziometria e composizione corporea” A cura del Dott. Giulio Maria Ranalli …………………………………………………….……….. pag. 55 “Disbiosi Intestinali” A cura del Dott.ssa Giusi Balzano………………………………………………………….…….. pag. 58 “Dieta Mediterranea” A cura del Dott.ssa Marialaura Ingenito…………………………………………………..…….. pag. 60 “Erbe aromatiche e sale da cucina” A cura del Dott.ssa Martina Beltrami…………………………………………………………….. pag. 62 “Omocisteina” A cura del Dott. Andrea Urso………………………………………………………………….….. pag. 64 “Il succo di melograno” A cura del Dott. Gioacchino di Leo……………………………………………………………….. pag. 67 “Acqua …tante funzioni in una” A cura del Dott. Giulio Maria Ranalli …………………………………………………………….. pag. 72 “Frode alimentare” A cura del Dott.ssa Giusi Balzano ………………………………………………………….…….. pag. 75 “Magnesio e ipertensione” A cura del Dott.ssa Martina Beltrami …………………………………………………………….. pag. 77 “Vit. B12: carenze e utilizzo nello sport” A cura del Dott. Andrea Urso ………………………………………………………………….….. pag. 79 “Invecchiamento del cuore” A cura del Dott. Gioacchino Di Leo ………………………………………………………..…….. pag. 83 “Sovrappeso ed obesità in Abruzzo” A cura del Dott. Giulio Maria Ranalli ……………………………………………………………... pag. 92 “Sindrome della permeabilità intestinale” A cura del Dott.ssa Giusi Balzano ……………………………………………………………….. pag. 96 “Il miele: alternativa naturale” A cura del Dott.ssa Martina Beltrami …………………………………………………………….. pag. 98 “PQQ: Pirrolo – chinolino - chinone” A cura del Dott.Giocchino Di Leo ………………………………………………………..…….. pag. 100

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A cura del Dott. Riccardo Monaco Presidente Nutri.Prof.®

Roma, 16/03/2015

Position Paper Nutri.Prof. ®

QUESTIONS

Quali sono le figure professionali abilitate a parlare di nutrizione e più precisamente ad elaborare o prescrivere diete (o piani alimentari/nutrizionali o consigli nutrizionali, educazione alimentare, alimentazione naturale etc) consigliare integratori, prescrivere farmaci omeopatici, trattare le intolleranze/allergie/reazioni avverse alimentari o occuparsi di nutrigentica sia nel soggetto sano che in quello malato?

PREMESSE LEGISLATIVE

La L. 14 gennaio 2013, n. 4 , legge che molti Naturopati e altri professionisti usano per giustificare il loro operato; operato illegittimo, quando parlano di nutrizione ed alimentazione naturale, consigli nutrizionali etc. Testualmente si legge all’art. 1 (Oggetto e Definizioni): <<La presente legge, in attuazione dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione e nel rispetto dei principi dell'Unione europea in materia di concorrenza e di libertà di circolazione, disciplina le professioni non organizzate in ordini o collegi. >> Medici, Biologi, Dietisti sono organizzati in Ordini o Collegi (ndr). E continua al paragrafo 2 : <<Ai fini della presente legge, per «professione non organizzata in ordini o collegi», di seguito denominata «professione», si intende l'attività economica, anche organizzata, volta alla prestazione di servizi o di opere a favore di terzi, esercitata abitualmente e prevalentemente mediante lavoro intellettuale, o comunque con il concorso di questo, con esclusione delle attività riservate per legge a soggetti iscritti in albi o elenchi ai sensi dell'art. 2229 del codice civile, delle professioni sanitarie e delle attivita' e dei mestieri artigianali, commerciali e di pubblico esercizio disciplinati da specifiche normative.>> Al paragrafo 3 si precisa: <<[omissis]… L'inadempimento rientra tra le pratiche commerciali scorrette tra professionisti e consumatori, di cui al titolo III della parte II del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, ed e' sanzionato ai sensi del medesimo codice.>>

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ANALISI DELLE PROFESSIONI DI MEDICO, BIOLOGO E DIET ISTA.

Figura del Medico Chirurgo.

Il percorso universitario a ciclo unico ha la durata di 6 anni. Alla fine del percorso, e dopo discussione tesi, si consegue il titolo accademico di Dottore in Scienze Mediche o Dottore in Medicina. Alla fine del percorso accademico il neo laureato dovrà affrontare un esame di stato, superato il quale si acquisirà il titolo professionale di Medico Chirurgo. Fanno parte dell’attività esclusiva di professione medica le anamnesi, le diagnosi la prescrizione di terapie (naturali o artificiali) nonché la prescrizione della dieta o dietoterapia. Spetta al medico la valutazione dello stato di SALUTE o la determinazione dello stato di malattia. Il medico è un professionista sanitario (medico) che, anche se non in maniera esclusiva, interviene a pieno titolo nella prevenzione primaria, secondaria e terziaria. Il Medico è principalmente il professionista della salute della prevenzione della salute. All’interno del suo albo vi sono sezioni speciali o elenchi speciali dove i medici dopo percorsi formativi ben delineati, afferiscono e si iscrivono. Si parla delle medicine naturali o non convenzionali: Agopuntura, Omeopatia, Omotossicologia, Naturopatia, Medicina naturale, Fitoterapia Medicina Orientale, Medicina Energetica, Medicina Quantistica, Medicina Cinese, PNEI, etc etc. Tutte queste attività sono già oggetto della figura del medico Chirurgo e sono svolte dal medico Chirurgo, che le intende svolgere. Per cui (ndr) il Naturopata non può valutare e gestire il cosiddetto “terreno” o matrice o sostanza nobile. Tale attività è già svolta egregiamente dai medici omeopatici.

COSA È UN FARMACO (L.219/06 nonché direttiva 2003/94/CE) art. 1 (definizioni)

<<1)….[omissis] ogni sostanza o associazione di sostanze presentata come avente proprietà curative o profilattiche delle malattie umane;

2) ogni sostanza o associazione di sostanze che può essere utilizzata sull'uomo o somministrata all'uomo allo scopo di ripristinare, correggere o modificare funzioni fisiologiche, esercitando un'azione farmacologica, immunologica o metabolica, ovvero di stabilire una diagnosi medica;

b) sostanza: ogni materia, indipendentemente dall'origine; tale origine può essere:

1) umana, come: il sangue umano e suoi derivati;

2) animale, come: microrganismi, animali interi, parti di organi, secrezioni animali, tossine, sostanze ottenute per estrazione, prodotti derivati dal sangue; (ad es. i probiotici ndr)

3) vegetale, come: microrganismi, piante, parti di piante, secrezioni vegetali, sostanze ottenute per estrazione;(come gli integratori o i fitoterapici ndr)

4) chimica, come: elementi, materie chimiche naturali e prodotti chimici di trasformazione e di sintesi;( come la zeolite ndr) In poche parole un farmaco è qualsiasi sostanza di sintesi o NATURALE usata secondo gli scopi paragrafo (2), ovvero non solo per curare ma per modificare o correggere o trattare una patologia precedentemente diagnosticata o addirittura per fare diagnosi medica. E di

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esclusiva medica l’uso farmacologico di tutte le sostanze, di sintesi o NATURALI. Per cui il Naturopata (ndr) non può usare ne consigliare farmaci omeopatici, fiori di Bach o nessun altro rimedio, ne su persone malate ne su persone sane, perché questa è già attività esclusiva del medico, che appunto usa sia a scopo preventivo sia a scopo terapeutico sostanze naturali che assumono veste di farmaci o integratori. Il percorso accademico del medico prosegue con le varie e tante specializzazioni. Tra le varie specializzazioni vi è quella di Allergologo. L’allergologo è il medico che , unico, può fare diagnosi di allergia ed è l’unica figura che può trattare (curare) o prevenire tali quadri clinici. Recente tra l’altro un documento pubblicato dal ministero della salute riguardo queste tematiche (Allergie alimentari e sicurezza del consumatore- Documento di indirizzo e stato dell’arte). Documento tra l’altro, dove vengono chiarite quali sono le metodiche scientificamente valide per una diagnosi.

FIGURA DEL BIOLOGO NUTRIZIONISTA

Il Biologo è un laureato magistrale (5 anni) che già all’interno del suo percorso magistrale segue diversi indirizzi. Alla fine del suo percorso acquisisce il titolo accademico di Dottore in Scienze Biologiche e Scienze della Nutrizione. Affronta un esame di stato che lo abilita alla professione attraverso il titolo professionale di Biologo. E’ un professionista di alto rango professionale. Anche esso come il Medico può conseguire titolo accademico post laurea di Specializzazione. La Legge 24 maggio 1967, n. 396 che delinea la professione di Biologo, all’articolo 3, comma 1, lett. B recita: “La valutazione dei bisogni nutritivi ed energetici dell’uomo, degli animali e delle piante”. Bisogni nutritivi ed ENERGETICI. L’energia è una sola, per cui i naturopati non possono valutare lo stato energetico di un individuo in quanto questo è già prerogativa del Biologo. Inoltre il biologo è capace di ripristinare o promuovere, in mancanza di segni di affezione fisico-organica, la funzionalità efficiente del corpo. La nutrizione risulta, un concetto valutativo che tiene conto dell’adattamento dell’individuo al suo ambiente sociale, rispondendo al desiderio di vivere bene, tanto nella dimensione personale quanto in quella sociale e collettiva ed il suo compito immediato non è “di ridare la “salute” al paziente attraverso un’adeguata terapia”, bensì di conoscere le interazioni che la dieta può presentare con la salute, costituendo un modello corretto di scelte alimentari e prevenendo probabili fattori di rischio. Vale la pena sottolineare che l’intervento del biologo (nutrizionista) nella sfera della salute, induce la persona assistita a ristabilire una equilibrata capacità alimentare o a rimuovere disturbi psichici che hanno reso difficile il riuscire a far fronte in modo adeguato al proprio fabbisogno alimentare. Seguendo i vari pareri del Consiglio di Superiore di Sanità che si sono succeduti dal 2009 (consultabili da chiunque su internet), chiamato a dare un parere sull’attività del Biologo, si legge che il Biologo Nutrizionista è un professionista che:

1) Determina ed elabora diete, in completa autonomia a soggetti sani o le cui condizioni fisiopatologiche sono state preventivamente accertate dal medico.

2) Suggerisce e consiglia regimi alimentari o piani nutrizionali (consigli alimentari o nutrizionali)

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3) Promuove l’educazione alimentare anche attraverso strumenti quali il counseling nutrizionale, l’approccio cognitivo comportamentale etc., a singoli o gruppi di individui di ogni età e sesso.

4) Attua a livello alimentare prevenzione primaria, secondaria e terziaria anche in collaborazione con altre figure professionali quali medico, psicologo.

5) Consiglia su propria carta intestata integratori nutrizionali indicandone le dosi.

Il Naturopata o altra figura professionale quindi non può dispensare consigli nutrizionali o alimentari o effettuare educazione alimentare o consigliare integratori alimentari in quanto tanto è già svolto egregiamente dal Biologo Nutrizionista oltre che dal Medico. E a nulla vale appellarsi alla nutrizione naturale o approcci alimentari naturali. A parte la nutrizione artificiale cui sono ben note le linee guida , tutta l’altra nutrizione è già naturale in quanto sia il Biologo che il medico formulano diete o dispensano consigli nutrizionali usando alimenti che per definizione sono naturali. Stessa cosa vale per gi integratori. Il Naturopata o altra figura professionale non può consigliare integratori in quanto è già oggetto della professione di medico e Biologo. Cosi come la valutazione dello stato nutrizionale attraverso la valutazione della composizione corporea che si avvale di strumentazioni elettromedicali non invasivi (Bioimpedenziometri, bilance, plico metri, etc) non può essere effettuata dai Naturopati in quanto metodiche che già usano professionisti quali Biologi e Medici che appartengono ad ordini. Al Naturopata è vietata anche la valutazione e individuazione delle allergie alimentari (di appannaggio esclusivo medico) ma anche delle intolleranze alimentari in quanto già il Biologo effettua e a buon titolo tali indagini. Invero esiste anche una Associazione prestigiosa di Biologi (ACSIAN) che studia appunto le intolleranze alimentari. Anche nel campo della genetica e nella Nutrigentetica, Epigenetica già Medici e Biologi si occupano di queste discipline. In generale tutte le attività che sono funzionali alla diagnosi (comprese diagnosi di squilibri energetici etc) sono vietate al Naturopata in quanto di appannaggio del Medico Chirurgo. Altre metodiche di sopra menzionate, tra cui anche mineralogramma, lipidomica, valutazione delle disbiosi intestinali, del morfobiotipo, della costituzione, del micro bioma etc etc sono vietati al Naturopata perché già svolti dal Biologo e dal Medico.

FIGURA DEL DIETISTA

Il dietista è un laureato triennale o magistrale. E’ una figura professionale sanitaria che secondo la normativa vigente (DL. 744) elabora le diete prescritte dal medico. Lavora in regime di dipendenza (ovvero con contratti pubblici negli ospedali o nelle ditte di ristorazione) o in regime libero professionale (in autonomia nei propri studi). Il dietista è autonomo nell’elaborare la dieta ma abbisogna sempre della prescrizione che il medico rilascia al paziente. Il dietista anch’esso opera a pieno titolo e questa volta senza bisogno di prescrizione medica nel campo dell’educazione alimentare attraverso consigli alimentari o nutrizionali rivolti a singoli o a gruppi di persone. Il dietista inoltre è figura facente parte equipe per la Nutrizione artificiale.

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P.Q.M.

Nutri.Prof. ha elaborato e rende pubblica la sua posizione al fine di colmare quel vuoto normativo dove di fatto prolifera l’abusivismo e la nascita di ogni professione che giocando sui termini commette ogni giorno reato, mettendo a rischio la salute delle persone nonché ingannando il consumatore medio. <<Le uniche figure professionali abilitate a vario titolo, competenti per la Nutrizione umana attraverso diete, dietoterapie, consigli alimentari o nutrizionali, alimentazione naturale, vegana, crudista, nutrizione applicata in generale, in grado di assumersi la responsabilità e avendo le conoscenze adeguate per non mettere a rischio la salute umana sono il Medico, Il Biologo Nutrizionista e il Dietista. Per legge nessuna altra figura professionale quali Naturopati, Tecnologi alimentari, Personal Trainer, Coach, Psicologi, Venditori ambulanti e indipendenti, etc. etc. può operare in tale campo.

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Infezioni del tratto urinario: Alimentazione e prev enzione A cura del dott. Andrea Urso

Sono quelle infezioni che causano

un'infiammazione acuta o cronica che interessa

la vescia urinaria e i relativi annessi, in presenza

o meno di patologia urologica. Ne esistono

un'ampia varietà in base all'eziologia (le cause)

ed al tipo di danno arrecato. Le più comuni sono

quelle causate dalla specie Gram negativa ed in

particolare l'Escherichia Coli ed in minore percentuale altri entero-batteri come il Proteus,

Klebisella, Pseudomonas. Anche alcuni batteri Gram positivi sono responsabili, in minore

entità, d'infezioni urinarie e fra questi i più frequenti sono lo Staphylococcus saprophiticus

e Staphylococcus aureus. Generalmente questi tipi di batteri sono facilmente rintracciabili

tramite un semplice esame colturale delle urine. Ma esistono anche delle altre infezioni

urinarie, con delle evidenze sintomatiche ben distinguibili, che tramite il semplice esame

delle urine non vengono messi in evidenza. Sono solitamente dei batteri responsabili di

infezioni trasmesse sessualmente, come quelle da Neisseria gonorrhoeae e Chlamydia

trachomatis, o fungine da Candida albicans, capace di colonizzare le urine di soggetti

diabetici o immunodepressi. In questi casi, l'accertamento dell'agente patogeno viene in

genere effettuata mediante prelievo di uno striscio delle secrezioni delle vie urogenitali e

indagine microscopica.

La via urinaria è sterile e molto resistente alla colonizzazione batterica. Tuttavia,

l'infezione del tratto urinario (UTI) è la più comune infezione batterica in tutti i gruppi di età

e alcune caratteristiche delle popolazioni aumentano il rischio di infezione come: infanzia,

gravidanza, anzianità, lesioni al midollo spinale, cateterizzazione vescicale, diabete, SLA,

immunosopressione . Più della metà di tutte le donne esperienza almeno una infezione del

tratto urinario (UTI) durante la vita . La ragione è da ricercarsi nella brevità dell'uretra

femminile e nella vicinanza degli orifizi genitali e anali, che si traduce in una maggiore

possibilità di contaminazione da parte di germi di origine intestinale e in taluni casi si può

sviluppare una forma ricorrente. Il sesso femminile, l’età avanzata e la presenza di

malattie gravi concomitanti sono associati a un maggior rischio di infezione. Insieme a

questi fattori di rischio, che rientrano tra le condizioni inalterabili del paziente, ci sono altri

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fattori che invece possono essere modificati. L' infezione del tratto urinario (UTI) è di solito

un'infezione ascendente causata da batteri derivanti da feci e poiché la composizione

batterica delle feci dipende dalla dieta, è probabile che il rischio di IVU cambi con il variare

della dieta. E 'stato dimostrato in uno studio che il consumo frequente di frutti di bosco

freschi o succhi di frutta e derivati del latte fermentato contenenti batteri probiotici riduce il

rischio di recidiva IVU. (3) L’obiettivo di questo elaborato è quello di individuare quali siano

gli alimenti efficaci per la prevenzione delle infezioni delle vie urinarie (UTI), sulla base

della revisione di letteratura attraverso l’utilizzo di banche dati scientifiche nazionali e

internazionali, andando a indagare anche su alimenti poco noti ma ampiamente utilizzati

sulla base di credenze e usi, sgomberando il campo da abitudini e credenze non

supportate da riscontri scientifici.

Il termine infezioni delle vie urinarie (UTI) indica la presenza di un agente infettante,

generalmente di tipo batterico, nel tratto urinario che normalmente è sterile. L’infezione

può coinvolgere siti specifici quali il rene, la vescica, la prostata, l’uretra, o limitarsi alle

urine. La diagnosi delle IVU si basa sulla sintomatologia, sui segni clinici, e sui risultati di

semplici analisi di laboratorio. Fondamentali sono l’esame delle urine e l’urinocultura con

antibiogramma. Le infezioni del tratto urinario (UTI) sono comuni con una stima di

incidenza annuale globale di almeno 250 milioni e rappresentano un importante capitolo

nella medicina, collocandosi tra le più frequenti cause di morbilità, di visita ambulatoriale e

di costi sanitari (al 3° posto dopo infezioni delle vie respiratorie).

I batteri aerobi gram negativi provocano la maggior parte delle IVU. Sono poche le IVU

contratte per via ematica, ma circa il 95% si verifica quando i batteri risalgono dall'orifizio

vaginale, già colonizzato, dall'uretra alla vescica e nel caso di pielonefrite, fino all'uretere e

poi fino al rene. L'Escherichia coli è il batterio più frequentemente isolato nelle donne delle

infezioni acquisite in comunità, con incidenze che oscillano dal 75% al 90% (8, 9). In

ambiente ospedaliero nei pazienti ricoverati, l'E. coli è responsabile di circa il 50% dei casi.

Negli uomini il più frequente risulta essere Proteus Mirabilis e nei bambini Enterobacter.

Altri organismi isolati sono Klebsiella pneumoniae, Citrobacter, Serratia. La batteriuria è

più frequente nei pazienti anziani di sesso maschile per la presenza di patologie minzionali

e di un significativo residuo vescicale di urina; nella donna per uno scarso riempimento

vescicale dovuto a prolasso uterino, per la formazione di cistocele e per la contaminazione

del perineo per la presenza di incontinenza fecale, in entrambi i sessi per patologie

neuromuscolari e un aumento di manovre invasive e di cateterizzazione vescicale. I

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pazienti diabetici e mielolesi con vescica neurogena, o che hanno subito una

cateterizzazione, hanno un aumento dell'incidenza e gravità delle infezioni. Poiché la

gravidanza può provocare stasi urinaria da ostruzione funzionale e anatomica degli ureteri

e della vescica, l'IVU durante la gravidanza deve essere considerata come complicata.

Cranberry è un piccolo arbusto di origine nordamericana con caratteristiche botaniche

molto simili al V. myrtillus, cresce bene negli ambienti paludosi e viene coltivato su vaste

aree di territorio a scopo alimentare. Nel 1923, molto prima della scoperta degli antibiotici,

alcuni medici americani prescrivevano già il cranberry per diminuire la ricorrenza delle

infezioni urinarie, tra cui la cistite. Si pensava allora che gli effetti fossero dovuti ad una

acidificazione dell'urina provocata dagli acidi organici contenuti nel succo della pianta,

questa ipotesi fu rifiutata alla fine degli anni '50, ma si sarebbe dovuto attendere il 1984

perchè gli effetti della pianta trovassero una spiegazione scientifica. Infatti è stato

dimostrato e confermato successivamente che le proantocianidine contenute nel succo di

cranberry sono un potente inibitore di adesione batterica. Quindi il mirtillo inibisce

l'adesione del batterio patogeno E. coli alle cellule epiteliali dell'apparato urinario circa

dell'80% riducendo così lo 11 sviluppo di UTI. Il succo di mirtillo è anche in grado di ridurre

l'aderenza cellulare da parte di batteri resistenti all'antibiotico trimetoprim

sulfametossazolo .

Una recente revisione della letteratura da parte di Cochrane (27) ha analizzato dieci studi

per valutare l'efficacia dei prodotti a base di cranberry nella prevenzione delle infezioni del

tratto urinario nelle popolazioni suscettibili. Sono stati inclusi dieci studi (n = 1049, cinque

cross-over, cinque gruppi paralleli) nei quali si sono messi a confronto Cranberry e succo

di mirtillo, mirtilli freschi rispetto al placebo, compresse di mirtilli rispetto al placebo in

quattro studi (uno studio ha valutato due succhi di frutta e compresse mentre il succo e

l'acqua sono stati valutati in sette studi). I prodotti a base di Cranberry hanno ridotto

significativamente l'incidenza di infezioni del tratto urinario a 12 mesi (RR 0,65, IC 95%

0,46- 0,90) rispetto al placebo / controllo.

Fermenti lattici

Poiché le infezioni del tratto urinario sono strettamente correlate alla presenza di germi

intestinali patogeni nelle vie urinarie, il rischio di avere infezioni delle vie urinarie potrebbe

essere ridimensionata grazie alla somministrazione dei probiotici. II Lactobacillus

costituisce parte integrante dell'ecosistema vaginale nella donna sana e rappresenta il

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principale meccanismo naturale di difesa contro lo sviluppo di microrganismi patogeni. Ciò

si realizza principalmente attraverso la trasformazione, operata dai lattobacilli, del

glicogeno delle cellule epiteliali in acido lattico, con abbassamento del pH vaginale a valori

compresi tra 3,8 e 4,4, creando un ambiente acido che risulta ottimale per la crescita dei

lattobacilli, ma sfavorevole per la crescita di microrganismi patogeni. Altri meccanismi di

difesa da parte dei probiotici sono la propria capacità di aderire alle superfici delle cellule,

impedendo ai patogeni di aderire e la produzione di sostanze che inibiscono la

moltiplicazione degli agenti patogeni. Uno studio ha esaminato in vitro 15 specie di

Lactobacillus per determinare la capacità di inibire la crescita e bloccare l'aderenza dei

batteri uropatogeni. Lactobacillus crispatus è la specie che ha dimostrato un ottima

capacità di bloccare l'adesione batterica. Dei batteri patogeni 18 testati, Klebsiella

pneumoniae, Pseudomonas aeruginosa ed Enterococcus erano più suscettibili. Sono stati

recentemente pubblicati alcuni studi che hanno dimostrato come i probiotici, somministrati

per bocca, dopo aver colonizzato l’intestino sono in grado di raggiungere vivi e vitali le vie

urinarie.

Acido ascorbico La vitamina C

La vitamina C viene sintetizzata dalle piante e da molti animali (anfibi, rettili, alcuni uccelli

e Mammiferi) a partire dal glucosio. Tra i Mammiferi solo l'uomo, altri primati e la cavia non

sono in grado di sintetizzarla per carenza della L-gulono-g-lattone ossidasi. L'acido

ascorbico è ampiamente distribuito in natura e può essere assimilato attraverso

l'alimentazione, tuttavia la quantità può variare in funzione del grado di maturazione, delle

condizioni di conservazione e trattamento prima del consumo. Frutta e verdura sono le

migliori fonti di vitamina C . Agrumi, pomodori e succo di pomodoro e patate sono tra le

principali fonti di vitamina C inserite normalmente nella dieta . Altre fonti includono

peperoni rossi e verdi, kiwi, broccoli, fragole, cavoli di Bruxelles e melone, particolarmente

concentrata nel frutto di ciliegia amazzonica, l'acerola, dove sono contenuti 1677.6 mg di

vitamina C in 100 g di frutto. Anche se la vitamina C non è naturalmente Alimento

Vitamina C (mg/100g) 1) Uva, succo, in cartone 340 2) Guava 243 3) Peperoncini piccanti

229 4) Ribes 200 5) Peperoni, rossi e gialli 166 6) Prezzemolo 162 10) Rughetta o rucola

110 12) Kiwi 85 13) Cavoli di Bruxelles 81 17) Cavolfiore crudo 59 18) Lattuga da taglio 59

19) Broccolo a testa crudo 54 20) Spinaci crudi 54 21) Fragole 54 22) Clementine 54 23)

Cavoli di Bruxelles, cotti [bolliti in acqua distillata senza aggiunta di sale] 52 25) Tarassaco

o dente di leone 52 26) Cavolfiore, cotto [in forno a microonde senza aggiunta di acqua e

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di sale] 50 27) Arance 50 28) Limoni 50 34) Pomodori, conserva 43 48) Melone 32 89)

Patate crude 15 91) Mirtilli 15 Tab. 2 INRAN Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e

la Nutrizione - Tabelle di composizione degli alimenti 22 presente nei cereali, viene

aggiunta ad alcuni cereali per colazione. La vitamina C è, tra le vitamine, quella che va

incontro a maggiore degradazione, può perdersi nel caso in cui questi alimenti vengano

tenuti all'aria per molto tempo o dentro contenitori di metallo. La cottura può comportare

perdita di vitamina (in taluni casi fino al 75%), perché l'acido ascorbico è solubile in acqua

e viene distrutta dal calore Tale fenomeno può essere ridotto adottando una cottura

nell'acqua o al forno microonde. Fortunatamente molte delle maggiori fonti alimentari di

vitamina C, come frutta e verdura, di solito sono consumati crudi. Mangiare cinque

porzioni varie di frutta e verdura al giorno può fornire più di 200 mg di vitamina C. I livelli di

assunzione in Italia sono stati stimati in 120 mg nel Sud contro 103 mg nel Nord; gli

alimenti che maggiormente contribuiscono all’assunzione di vitamina C e che sono

responsabili di questa differenza sono le verdure a frutto ed in particolare i pomodori .

Nell’anziano la fonte principale di vitamina C è rappresentata dalle arance e dai mandarini,

seguiti dai pomodori. L'integrazione di vitamina C sotto forma di acido ascorbico viene

spesso raccomandata dai medici e farmacisti per prevenire le UTI ; l'acido ascorbico rende

l'urina acida, creando un ambiente inospitale per i batteri. Foxman e Chi, inoltre, hanno

rilevato che la vitamina C, dalle importanti proprietà antiossidanti, è in grado di proteggere

il tratto urinario prevenendo le infezioni.

Idratazione

L’idratazione riduce l’azione irritativa causata da urine troppo concentrate e assicura una

maggiore e continua eliminazione dei batteri presenti nelle vie escretrici. Inoltre, garantisce

anche un corretto funzionamento dell'organo imputato al riassorbimento, cioè il colon.

Infatti, un intestino regolare difficilmente favorisce la proliferazione dei batteri fecali,

spesso responsabili della batteriuria e quindi della cistite. È indicata in questi casi

l'introduzione di adeguati apporti di cibi ricchi di fibre. L'incremento della diuresi comporta

un miglioramento del flusso ematico a livello della midollare del rene, con diminuzione

dell'osmolarità e il potenziamento delle difese contro i batteri. Nell'intervallo fra le minzioni

il continuo rifornimento di nuova urina dagli ureteri assicura la progressiva diluizione della

carica batterica comunque giunta in vescica. Una soluzione per prevenire disturbi alle vie

urinarie è quella di mantenerle pulite attraverso una corretta e costante idratazione, meglio

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se con un'acqua altamente diuretica, come quelle "minimamente mineralizzate", con un

residuo fisso a 180° inferiore a 50 mg/L.

Alimenti da evitare

Uno studio ha utilizzato vari ioni minerali, già noti per aver la capacità di influenzare

l'interazione tra le cellule, per verificare l'influenza di essi sull'aderenza batterica alle

cellule uroepiteliali, mentre la maggior parte degli ioni esaminati non ha avuto effetto

sull'aderenza, gli ioni di calcio hanno aumentato significativamente l'aderenza batterica. È

stato dimostrato in vitro che quando la concentrazione di calcio è superiore ai livelli che si

trova normalmente nelle urine, c'è un aumento significativo dell'aderenza batterica. Inoltre

si è constatato che se l'alimentazione orale è stata integrata con del calcio in eccesso vi è

un aumento della escrezione di calcio nelle urine, un corrispondente aumento

dell'aderenza batterica e un potenziale maggiore per le infezioni del tratto urinario, anche

se, l'aggiunta di calcio nel latte, non ha evidenziato nessuna associazione tra assunzione

di calcio e il rischio di UTI.

BIBLIOGRAFIA

PUBMED: Ferri C., Marchetti F., Nickel J.C., Naber K.G. Prevalence and clinical

management of complicated urinary tract infections in Italy: a prospective multicenter

epidemiological study in urological outpatients. J. Chemother 2005;17:601-606

Carnovale E., Marletta L., Banca dati interattiva - Composizione degli alimenti, INRAN,

aggiornamento 2000

PUBMED: Int J Gen Med. 2011; 4: 333–343. Urinary tract infections in women: etiology

and treatment options. Daniele Minardi, Gianluca d’Anzeo, Daniele Cantoro, Alessandro

Conti, and Giovanni Muzzonigro.Wagenlehner F.Vahlensieck W, Watermann D, Weidner

W, Naber KG. Med Decis Making. 2011 Ma Jun;31(3):405-11. Epub 2010 Dec 29.

Cassani E and Petroni ML. 2013. Schede: alimentazione e patologie. Infezioni delle vie

urinarie. Educazione Nutrizionale Grana Padano.

UNIVERSITA DEGLI STUDI DI TORINO Facoltà di medicina e chirurgia Corso di laurea in

infermieristica . Relatore dott.Giovanni Casetta

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DIETA ED ENDOMETRIOSIa cura di Dott.sa Beltrami Martina

infiammatorio il cui sintomo priAd oggi l'endometriosi viene trattata con diverse terapie, le principali sono quella farmacologica – ormoni estroprogestinici eprogestinici e antidolorifici – laparoscopia diagnostica e operativa, lapaannessiectomia. (2) Benchè la causa scatenante non sia correlata all'alimentazione, si è visto come diversi alimenti possano contribuire al perpetuare della patologia favorendo lo stato infiammatorio, stimolando la produzione di prostaglandine proestrogeni; viceversa altri alimenti sono in grado di ridurre l'infiammazione migliorando il quadro patologico e sintomatologico della donna. Si stima che l'Endometriosi colpisca il 1incidenza tra i 30 e i 40 anni. (3) Un'alimentazione specifica potrebbe ridurre fortemente i sintomi della patologia, in particolare riducendo lo stato infiammatassociato e rallentando lo sviluppo cellulare estrogeno La fibra Un aumentato consumo di fibre nella dieta aiuta la digestione e il buon funzionamento dell'intestino e determina una riduzione degli estrogeni circolanti nel sangue con minor impatto sui tessuti estrogeno dipendenti. Aè possibile scegliendo cereali integrali in sostituzione di quelli raffinati, e aumentando il consumo di frutta, verdura e legumi.Frutta e verdura in particolare sono in gradconsiderato ad oggi uno dei possibili fattori implicati nell'insorgenza della patologia. Omega3 Gli acidi grassi, della serie Omega3, si trovano nell'olio extravergine di oliva, nella frutta secca, nel tonno, nel salmone, nello sgombro, nella trota e nelle alici. Gli Omega3 sono precursori delle prostaglandinte ad attività antiarachidonico, che porta invece alla produzione di prostaglandine pro Prodotti di origine animale Latte e derivati, così come la carne, possono contribuire invece alla stimolazione di prostaglandine pro-infiammatorie (PGE2 e PGF2A) e andrebbero fortemente ridotti.

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DIETA ED ENDOMETRIOSI a cura di Dott.sa Beltrami Martina

L'endometriosi, è una patologia diffusa di cui non si parla molto. Provoca dolore cronico mestruazione, la defecazione, la minzione e i rapporti sessuali riducendo fortemente la qualità della vita della donna. Si tratta di una patologia cronica estrogenocui le cellule dell'endometrio, il tessuto di cui è rivestito l'utero, si moltiplicano in modo anomalo in organi in cui non dovrebbero trovarsi: ovaie, tube, peritoneo, intestino sono i siti più frequentemente coinvolti. Lo sfaldamento dell'endometrio in tessuti estranei genera uno stato

infiammatorio il cui sintomo principale è il dolore cronico. (1) Ad oggi l'endometriosi viene trattata con diverse terapie, le principali sono quella

ormoni estroprogestinici eprogestinici e antidolorifici –laparoscopia diagnostica e operativa, laparatomia con taglio addominale, isterectomia e

Benchè la causa scatenante non sia correlata all'alimentazione, si è visto come diversi alimenti possano contribuire al perpetuare della patologia favorendo lo stato infiammatorio,

do la produzione di prostaglandine pro-infiammatorie (PGE2 e PGF2A) e di estrogeni; viceversa altri alimenti sono in grado di ridurre l'infiammazione migliorando il quadro patologico e sintomatologico della donna.

Si stima che l'Endometriosi colpisca il 10-15% delle donne in età fertile con la massima incidenza tra i 30 e i 40 anni. (3) Un'alimentazione specifica potrebbe ridurre fortemente i sintomi della patologia, in particolare riducendo lo stato infiammatorio e il dolore ad esso

o lo sviluppo cellulare estrogeno-dipendente.

Un aumentato consumo di fibre nella dieta aiuta la digestione e il buon funzionamento dell'intestino e determina una riduzione degli estrogeni circolanti nel sangue con minor

tessuti estrogeno dipendenti. Aumentare del 20/30% la fibra presente nei piatti è possibile scegliendo cereali integrali in sostituzione di quelli raffinati, e aumentando il consumo di frutta, verdura e legumi. Frutta e verdura in particolare sono in grado in oltre di ridurre lo stress ossidativo , considerato ad oggi uno dei possibili fattori implicati nell'insorgenza della patologia.

Gli acidi grassi, della serie Omega3, si trovano nell'olio extravergine di oliva, nella frutta el salmone, nello sgombro, nella trota e nelle alici. Gli Omega3 sono

precursori delle prostaglandinte ad attività anti-infiammatoria e in grado di inibire l'acido arachidonico, che porta invece alla produzione di prostaglandine pro-infiammatorie.(4)

Latte e derivati, così come la carne, possono contribuire invece alla stimolazione di infiammatorie (PGE2 e PGF2A) e andrebbero fortemente ridotti.

L'endometriosi, è una patologia diffusa di cui non si parla molto. Provoca dolore cronico durante la mestruazione, la defecazione, la minzione e i rapporti sessuali riducendo fortemente la qualità della vita della

Si tratta di una patologia cronica estrogeno-dipendente in cui le cellule dell'endometrio, il tessuto di cui è rivestito

ero, si moltiplicano in modo anomalo in organi in cui non dovrebbero trovarsi: ovaie, tube, peritoneo, intestino sono i siti più frequentemente coinvolti. Lo sfaldamento dell'endometrio in tessuti estranei genera uno stato

Ad oggi l'endometriosi viene trattata con diverse terapie, le principali sono quella – e quella chirurgica

ratomia con taglio addominale, isterectomia e

Benchè la causa scatenante non sia correlata all'alimentazione, si è visto come diversi alimenti possano contribuire al perpetuare della patologia favorendo lo stato infiammatorio,

infiammatorie (PGE2 e PGF2A) e di estrogeni; viceversa altri alimenti sono in grado di ridurre l'infiammazione migliorando il

15% delle donne in età fertile con la massima incidenza tra i 30 e i 40 anni. (3) Un'alimentazione specifica potrebbe ridurre fortemente i

rio e il dolore ad esso

Un aumentato consumo di fibre nella dieta aiuta la digestione e il buon funzionamento dell'intestino e determina una riduzione degli estrogeni circolanti nel sangue con minor

umentare del 20/30% la fibra presente nei piatti è possibile scegliendo cereali integrali in sostituzione di quelli raffinati, e aumentando il

o in oltre di ridurre lo stress ossidativo , considerato ad oggi uno dei possibili fattori implicati nell'insorgenza della patologia.

Gli acidi grassi, della serie Omega3, si trovano nell'olio extravergine di oliva, nella frutta el salmone, nello sgombro, nella trota e nelle alici. Gli Omega3 sono

infiammatoria e in grado di inibire l'acido infiammatorie.(4)

Latte e derivati, così come la carne, possono contribuire invece alla stimolazione di infiammatorie (PGE2 e PGF2A) e andrebbero fortemente ridotti.

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Alcune carni e alcuni derivati industriali del latte possono contenere inquinanti ambientali che favorirebbero ulteriormente lo stato infiammatorio, in oltre bisogna tenere in considerazione il mangime con cui vengono nutriti gli animali negli allevamenti industriali intensivi, spesso il contenuto di estrogeni nelle carni è elevato a causa dei mangimi arrichiti di queti ultimi e ne andrebbe quindi ulteriormente limitato il consumo. Bevande e carboidrati raffinati Bevande zuccherate, carboidrati raffinati e dolci sono tutti alimenti che stimolano la produzione di molecole pro-infiammatorie; si tratta infatti di alimenti che stimolano la produzione di insulina, che a sua volta induce la liberazione di sostanze pro-infiammatorie dal tesssuto adiposo. Soia e derivati Diversi studi hanno indagato il ruolo della soia e dei suoi derivati nello sviluppo e nel mantenimento di patologie estrogeno-dipendenti come l'endometriosi. Tuttavia ancora non è chiaro il loro ruolo, se da una parte i fitoestrogeni sembrerebbero affiancarsi agli estrogeni aumentando gli effetti, dall'altra alcuni recenti studi sembrerebbero modulare proprio la produzione endogena di estrogeni, con un effetto quindi in parte protettivo. (5) Modificare le proprie abitudini alimentari potrebbe essere una possibile alternativa terapeutica, in grado di migliorare la qualità della vita delle pazienti riducendo la somministrazione di farmaci e il rischio di intervento chirurgico.

Bibliografia 1. “Endometriosis” Bulun, Serdar E.; New England J Med 2009. 2. Winkel CA, Scialli AR, “Medical and surgical therapies for pain associated with endometriosis” J Womens Health Gend Based Med, 2001Mar; 10(2):137-62. 3. Iannella A, Lauletta A “Endometriosi, alimentazione e intolleranze alimentari” Nutrizione Clinica 4. Sears B et al., “Anti-inflammatory nutriotion as a pharmacological approach to treat obesity”. J Obesity 2011; 2011. pii:431985. 5. Effects of soya isoflavones on oestrogen and phytooestrogen metabolism in premenopausal women. Xu X et al. Cancer Epidemiology, Biomarkers and Prevention: vol. 7, 1101 – 1108, 1998.

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Associazione maltitolo + fruttoligosaccaridi* Effetti sulla tollerabilità e sulle risposte glicem iche e insuliniche (*) da: L'Integratore Nutrizionale 2014 17 (3) 54-55

A cura della dott.ssaTiziana Mennini, Pharm. D., Ph.D. [email protected] Direttore scientifico editoriale, L’Integratore Nutrizionale Section Editor, Nutrafoods

I più utilizzati sostituti dello zucchero, quali polioli (come il maltitolo) e fruttoligosaccaridi (FOS), sono ben documentati per i sintomi digestivi e per il loro effetto sulle riposte glicemiche ed insuliniche. Tuttavia questi ingredienti sono spesso associati nelle preparazioni alimentari, e l'effetto della associazione non è molto documentato.

E' stato recentemente pubblicato (1) uno studio randomizzato, cross-over, in doppio cieco, con lo scopo di verificare gli effetti di diverse associazioni di maltitolo (Maltilite P200, Tereos Syral, F) e FOS da saccarosio (Actilight 950P, Beghin Meji, F) in un budino al cioccolato (Tab 1).

Sono stati reclutati (in un singolo centro- Clinica Biofortis di Nantes(F)) 36 soggetti sani di età compresa tra 18 e 60 anni, e indice di massa corporea (BMI) 18,5-30 kg/m2, di cui 32 hanno completato lo studio. Ogni soggetto ha provato tutti i tipi di dessert in 6 sessioni sperimentali diverse, con almeno 2 settimane di washout tra i singoli test. I soggetti hanno riportato l'intensità di 4 sintomi gastrointestinali (flatulenza, borborigmi, gonfiore e disagio/dolore addominale), e la frequenza e la consistenza di evacuazione nelle 48 ore successive al consumo del dessert, che avveniva al mattino a digiuno. Le risposte glicemiche ed insuliniche post-prandiali (due ore dopo il consumo del budino) sono state valutate in un sottogruppo di soggetti (n=18).

Tabella 1. Composizione nutrizionale dei dessert in studio (g/210g)

Controllo Destrosio (24) + FOS (11)

Maltitolo (35) Maltitolo (30) + FOS (5)

Maltitolo (24) + FOS (11)

Maltitolo (17,5) + FOS (17,5)

Calorie (kcal) 218,9 193,0 162,9 159,3 154,8 151,6 Carboidrati 48,1 32,1 48,1 41,6 32,1 25,9 di cui Zuccheri 36,0 25,3 1,1 1,2 1,2 1,6 di cui Polioli 0,0 0,0 35,0 29,9 24 17,5 Lipidi 2,2 3,0 2,2 2,5 3,0 3,0 Proteine 6,1 8,3 6,1 6,8 8,3 8,2 Fibre 2,7 14,8 2,7 8,0 14,8 21,3 di cui FOS 0 11,2 0 5,0 11,2 17,7

Il punteggio totale calcolato per i sintomi gastrointestinali era significativamente più elevato (p<0,0001) per i dessert che contenevano maltitolo e/o FOS rispetto al dessert controllo, che conteneva destrosio, ma rimaneva di entità lieve (punteggio massimo 10,8/40). La frequenza di evacuazione era lievemente aumentata (p=0,0006) e la consistenza minore (p=0,0045) nelle 24 ore successive al consumo di dessert contenenti maltitolo e/o FOS rispetto al dessert controllo, ma ritornavano non diverse dal controllo nelle 24 ore successive. La severità e la durata dei sintomi non erano diverse tra le varie miscele di maltitolo + FOS rispetto al solo maltitolo.

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La risposta glicemica (Fig 1A) era inferiore dopo il consumo di budini senza zucchero rispetto al controllo (p<0,0001), come indicato dalla AUC 0-120 min e dal picco glicemico. Questa minore riposta non era dovuta a iperinsulinemia indotta dagli ingredienti sostitutivi dello zucchero: sia l' AUC 0-120 min e il picco insulinico erano ridotti rispetto al controllo (p<0,0001; Fig 1B). Da notare tuttavia che il dessert contenente destrosio + FOS aveva effetti minori e non raggiungeva la significatività per l' AUC 0-120 min del glucosio e per il picco insulinico.

In conclusione questo studio conferma che la sostituzione dello zucchero con polioli o fibre ha un minimo impatto sui sintomi gastrointestinali nel breve termine, e, soprattutto, indica che maltitolo e FOS possono essere utilizzati in associazione per ridurre la risposta glicemica post-prandiale senza ulteriori effetti gastro-intestinali rispetto all'utilizzo di solo maltitolo.

Bibliografia

1. Respondek F, Hilpipre C, Chauveau P, Cazaubiel M, G endre D, Maudet C, Wagner A (2014) Digestive tolerance and postprandial glycaemic and insulinaemic responses after consumption of dairy desserts containing maltitol and fructo-oligosaccharides in adults . Eur J Clin Nutr 68 575–580

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Varie dalla letteratura Scientifica

Prebiotici e probiotici: revisioni sistematiche del Cochrane Collaboration

A cura della dott.ssa Tiziana Mennini, Pharm. D., Ph.D. [email protected] Direttore scientifico editoriale, L’Integratore Nutrizionale Section Editor, Nutrafoods

In questo periodo 'difficile' per prebiotici e probiotici nel superare il vaglio dell'EFSA, ci sembra interessante riportare due recenti revisioni sistematiche di The Cochrane Collaboration che portano un po' di 'ottimismo' nello scenario, almeno per le indicazioni di prevenzione dell'eczema nei bambini e della diarrea causata dall'uso di antibiotici, rispettivamente.

I prebiotici nel latte in povere possono prevenire l'eczema nei bambini

Le reazioni allergiche (asma, eczema, orticaria, riniti da fieno) sono molto comuni nei bambini, e a volte, nei lattanti, puo comparire sensibilità al latte in polvere.

I prebiotici aggiunti nel latte in polvere possono aiutare a prevenire l'eczema nei lattanti, ma non è chiaro se possono prevenire le allergie. E' quanto risulta da una recente revisione sistematica, pubblicata sulla Cochrane Library (1), focalizzata sull'utilizzo dei prebiotici nei lattanti per la prevenzione di allergie.

I prebiotici sono presente nel latte materno, e possono essere aggiunti al latte in polvere. Tra questi, quelli maggiormente utilizzati nei bambini sono degli oligosaccaridi non-digeribili, quali i frutto-oligosaccaridi (FOS) e i galatto-oligosaccaridi (GOS).

La revisione ha esaminato 4 studi clinici randomizzati che confrontavano l'utilizzo dei prebiotici aggiunti verso il latte in polvere standard per la prevenzione delle allergie, per un totale di 1428 bambini di età compresa tra 4 mesi e 2 anni. Solo un singolo studio riportava la riduzione della comparsa di eczema nei bambini che ricevevano la supplementazione GOS:FOS (9:1, 6.8 g/L) e oligosaccaridi acidi (1.2 g/L).

La meta-analisi dei 4 studi complessivi ha indicato che la comparsa di eczema era significativamente inferiore (p= 0.03) nei bambini che assumevano il latte con aggiunta di prebiotici, mentre non c'era nessun effetto significativo per la comparsa di asma (valutata solo in due studi) o di orticaria (un singolo studio).

Nel sottogruppo di bambini ad alto rischio di sviluppare allergie in base alla storia familiare, considerati in un unico studio, era riportata una significativa riduzione della comparsa di asma ed eczema con la supplementazione con 8 g/L di GOS:FOS (9:1).

John Sinn, che ha condotto lo studio insieme a David A Osborn (Università di Sidney (Australia)), conclude che il latte in polvere contenente integratori prebiotici può aiutare a

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prevenire l'eczema nei bambini fino a due anni di età, anche se la qualità degli studi è bassa, e non è chiaro se l'uso di prebiotici debba essere raccomandato solo nei bambini ad alto rischio di sviluppare allergie. Sono quindi necessari ulteriori trial clinici prima di poter raccomandare l'uso dei prebiotici per la prevenzione delle allergie in tutti i bambini.

I probiotici possono prevenire la diarrea causata d all'uso di antibiotici

Gli antibiotici sono ampiamente utilizzati, tuttavia possono modificare la flora batterica intestinale fino a ridurre la resistenza a patogeni quali il Clostridium difficile, causando diarrea (CDAD) o colite.

I probiotici, secondo la revisione della Cochrane Collaboration, possono contribuire a ribilanciare la flora intestinale, e ridurre i sintomi della diarrea in pazienti in trattamento con antibiotici (2).

La revisione comprendeva 31 studi randomizzati e controllati (placebo, altra profilassi alternativa o nessun trattamento) per un totale di 4492 partecipanti. Di questi 23 studi (4213 soggetti tra adulti e bambini) hanno riportato che l'incidenza di CDAD era 2% nel gruppo che prendeva probiotici e 5.5% nel gruppo controllo, con una riduzione del rischio pari a 64%. I risultati non erano sostanzialmente differenti tra bambini ed adulti, alte o basse dosi , o specie di probiotici.

I probiotici riducevano gli eventi avversi (crampi addominali, nausea, febbre, flatulenza, alterazioni del gusto) del 20% rispetto al placebo, almeno analizzando gli studi che li hanno riportati (26 studi, 3964 soggetti).

Non si sono trovate differenze significative per quanto riguarda l'incidenza di infezioni da C. difficile (13 studi, 961 partecipanti).

Gli Autori concludono che l'integrazione con probiotici durante il trattamento con antibiotici sembra essere un modo sicuro ed efficace per prevenire la diarrea associata a C. difficile, anche se non riduce il numero di persone infettate dal batterio. Sono tuttavia necessari ulteriori studi per definire quali ceppi di probiotici e quali dosi forniscano i risultati migliori, e per chiarire se i probiotici possano essere usati con sicurezza anche in pazienti immunocompromessi o debilitati.

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Omega 3 in pazienti ad alto rischio cardiovascolare 'Bocciati' dai medici di medicina generale’ L’integrazione con acidi grassi omega 3 puo essere efficace nel ridurre la mortalità in pazienti infartuati (3) o con insufficienza cardiaca (4). Ci sembra interessante riportare questo nuovo studio, anche se negativo, perché è stato condotto 'sul territorio', da 860 medici di medicina generale italiani, che hanno valutato l'effetto della supplementazione con acidi grassi omega 3 in pazienti ambulatoriali con multipli fattori di rischio cardiovascolare o aterosclerosi, che non avevano avuto infarti in precedenza (5).

Lo studio, in doppio cieco, controllato con placebo, ha arruolato 12513 partecipanti con età media 64 anni (39% donne), assegnati per randomizzazione alla supplementazione con 1 g/die di acidi grassi omega 3 (EPA:DHA in range da 0.9:1 a 1.5:1) o con placebo (olio di oliva), seguiti per 5 anni. Tutti i pazienti ricevevano (poli)terapie per patologie croniche e una buona assistenza medica da parte dei medici di medicina generale. I risultati sono chiari: la supplementazione con omega 3 non riduce la mortalità ne la ospedalizzazione per motivi cardiovascolari in soggetti ad alto rischio cardiovascolare.

Due sono le considerazioni che si possono fare su questo studio, firmato dai medici di famiglia insieme ai ricercatori del IRCCS Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri e Consorzio Mario Negri Sud: è il profilo di sicurezza e tollerabilità dell’integrazione con omega 3 in una popolazione di soggetti anziani che gia assumevano diversi farmaci per patologie croniche; e la riguardevole numerosità dello studio, raggiunta grazie all’impiego della medicina generale, che si è dimostrata partner ideale di centri indipendenti coinvolti nel ‘laboratorio di ricerca’ del Servizio Sanitario Nazionale.

BIBLIOGRAFIA

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DOI: 10.1002/14651858.CD006474.pub3.

2 Goldenberg JZ, Ma SSY, Saxton JD, MartzenMR, Vand vik PO, Thorlund K, Guyatt GH, Johnston BC. (2013) Probiotics for the prevention of Clostridium difficile-associated diarrhea in adults and children. Cochrane Database of Systematic Reviews, Issue 5.

Art. No.: CD006095. DOI: 10.1002/14651858.CD006095.pub3.

3. Gruppo Italiano per lo Studio della Sopravvivenz a nell’Infarto miocardico (GISSI) (1999) Dietary supplementation with n-3 polyunsaturated fatty acids and vitamin E after myocardial infarction: results of the GISSI Prevenzione trial. Lancet 354 447-455. [Errata, Lancet (2001) 357:642, (2007 ) 369 106.]

4. GISSI-HF Investigators.( 2008) Effect of n-3 polyunsaturated fatty acids in patients

with chronic heart failure (the GISSI-HF trial): a randomised, double-blind, placebo controlled

trial. Lancet 372 1223-1230.

5. The Risk and Prevention Study Collaborative Group ( 2013) n−3 Fatty Acids in Patients with Multiple Cardiovascular Risk Factors. N Engl J Med 368 1800-1808.

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Sostanze naturali nella prevenzione dell’invecchiam ento del cuore FruitFlow un particolare estratto di pomodoro ad at tività antiaggregante piastrinica A cura del Dott. Gioacchino di Leo

Un nuovo derivato idrosolubile del pomodoro è stato presentato con il nome di FruitFlow e le ricerche cliniche su questo preparato hanno ottenuto dall’EFSA (EU Article 13.5 Health Claim) di poter utilizzare il seguente claim: Fruitflow aiuta a mantenere una situazione normale dell’attività di aggregazione piastrinica, contribuendo a instaurare e mantenere nel tempo

un flusso sanguigno sano”. Considerando l’autorevole fonte di approvazione, sicuramente ci troviamo di fronte a una novità importante nel campo dei nutrimenti naturali funzionali e dei loro effetti sulla salute umana. Ormai anche le persone comuni hanno preso confidenza con i valori dei livelli nel sangue dei trigliceridi e quelli del colesterolo in tutte le loro forme cliniche, e soprattutto, la maggior parte di essi ha anche familiarità con il loro significato sia in un regime di prevenzione che di terapia. D’altronde, numerosi studi clinici hanno scientificamente dimostrato che livelli importanti di Omega-3 (una miscela di EPA e DHA, specifici acidi grassi poliinsaturi) sono in grado di diminuire le concentrazioni nel sangue dei trigliceridi dose-dipendenti, inoltre, possono aumentare la frazione delle HDL e migliorare il rapporto LDL/HDL, (nonché il rapporto stesso Omega6-Omega3). La contemporanea assunzione di Vitamine del gruppo B (B6 e B12 in particolare, e di acido Folico (vit. B9) contribuisce ad abbassare anche i valori dell’omocistinemia , convertendola in un più sicuro amminoacido (L-metionina): ricordiamo che alti valori di Omocistinemia sono correlati con un aumento più che significativo delle patologie cardiovascolari e cerebrali. Infine, l’assunzione regolare di fibre contribuisce positivamente a un abbassamento dei lipidi nel sangue (colesterolo compreso). Il problema dei livelli del colesterolo e dei lipidi in generale non sono però il solo fattore di rischio da prendere in considerazione per una buona prevenzione dell’aterosclerosi : come abbiamo già evidenziato, questa malattia è multifattoriale e combattere uno o due fattori di rischio, sebbene importanti, a volte può non rappresentare una sicurezza dal punto di vista della protezione cardio e cerebrovascolare, statisticamente significativa. Un altro fattore fisiopatologico è da sempre considerato prioritario nella gestione dell’aterosclerosi: l’iperattività piastrinica causata da determinati p olimorfismi genetici, o da alcuni stati patologici dell’organismo, ma anche dallo ste sso stile di vita del soggetto in esame. La formazione di aggregati piastrinici con il coinvolgimento di fattori coagulativi di conseguenza è un importante fattore patogenetico in molti disordini cardiovascolari: infatti, l’improvvisa occlusione di un vaso arterioso per la formazione di un tappo trombotico (in mancanza di una rottura del vaso stesso) è l’evento cruciale che induce una carenza di

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ossigeno, in grado di alterare la funzionalità di organi come il cuore ed il cervello. Le piastrine svolgono un ruolo fondamentale nel mantenimento dell’omeostasi della coagulazione: in condizioni di normalità, le piastrine si muovono liberamente nella corrente sanguigna e non aderiscono l’una all’altra; ma in caso di iperattività piastrinica si verificano una serie di rapide reazioni a catena, che vanno a stimolare il processo di coagulazione del sangue e la produzione di sostanze che inducono l’attivazione piastrinica, un processo estremamente complesso che coinvolge molteplici recettori e ligandi. Sulla base di questi dati sono state testate numerose classi di farmaci antiaggreganti come: i mimetici del metabolismo dell’Acido Arachidonico (Aspirina), gli antagonisti del recettore dell’ADP P2Y12 (Ticlopidina, Clopidogrel), gli antagonisti della glicoproteina IIb/IIIa (Abciximab, Eptifibatide, Tirofiban), gli inibitori della fosfodiesterasi (Dipiridamolo,Indobufene) e gli antagonisti del recettore TP del TXA2 (Picotamide).

L’era delle terapia antiaggregante piastrinica ha rivoluzionato il trattamento delle malattie cardiovascolari, principale causa di morte e morbilità nei paesi industrializzati ed ancora oggi la ricerca in questo campo prosegue. Sono, infatti, in fase di studio clinico altre molecole che probabilmente verranno emesse sul mercato nei prossimi anni, una volta dimostrata la loro efficacia, tollerabilità e sicurezza. Le piastrine, elemento figurato contenuto all’interno dei vasi sanguigni, sono chiamate anche

Trombociti : in pratica derivano da frammenti cellulari che hanno origine dai megacariociti presenti nel midollo osseo, che a loro volta prendono vita da una cellula staminale totipotente. Questa cellula subisce una maturazione per endomitosi (divisione nucleare, ma non citoplasmatica) dando origine al megacarioblasto e successivamente al megacariocita da cui si formano da 2.000 a 8.000 piastrine in 3-12 ore. La maggior parte dei megacariociti resta nel midollo osseo e libera le piastrine nel sangue circolante; alcuni, invece, possono entrare nel sangue e farsi trasportare in altri organi, particolarmente nel polmone, ove rimangono e producono trombociti. Le piastrine appaiono come piccoli corpuscoli sferici, ovali o allungati, delimitati da membrana, anucleati e con un diametro di 2-4 µm: quelle più grandi sono più giovani e quindi metabolicamente e funzionalmente più attive, invecchiando, subiscono un processo di frammentazione e perciò risultano di dimensioni inferiori. Esse sono presenti nel sangue in un numero variabile da 150.000 a 350.000 per microlitro e hanno una vita media di circa 10 giorni, e se non vengono consumate nel processo di coagulazione, vanno incontro ad una distruzione ad opera dei macrofagi del fegato e della milza. Le piastrine contengono due specifici tipi di granuli, quelli α che esprimono sulla loro membrana la molecola di adesione P-selectina e contengono fibrinogeno, fibronectina, il fattore V e vWF, il fattore piastrinico 4, il fattore di crescita di derivazione piastrinica ( PDGF ) e il fattore di crescita trasformante-β ( TGF-β ); gli altri granuli sono i corpi densi o granuli δ che contengono nucleotidi dell’adenina ( ADP e ATP ), ioni calcio, istamina, serotonina ed epinefrina.

Le piastrine hanno diverse funzioni:

• Emostasi : esse sono dotate della capacità di aderire ai margini dei vasi e di aggregarsi formando il cosiddetto trombo bianco piastrinico; facilitano, inoltre, la

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formazione di fibrina liberando importanti fattori della coagulazione e partecipano alla retrazione del coagulo;

• Infiammazione : oltre a svolgere un ruolo nell’emostasi, le piastrine liberano anche sostanze biologicamente attive che hanno un ruolo nella risposta infiammatoria; ammine vasoattive, quali la serotonina e l’istamina, possono contribuire ad iniziare la risposta infiammatoria; inoltre i neutrofili e i monociti producono sostanze che attivano le piastrine, promuovendone l’aggregazione e inducendo la liberazione di nuove sostanze vasoattive.;

• Fagocitosi : le piastrine fagocitano batteri e piccole particelle e legano le endotossine collaborando alla detossificazione del plasma; il materiale estraneo di piccole dimensioni è fagocitato attraverso il sistema di canali esistente sulla membrana.

La funzione più importante delle piastrine è nell’emostasi , cioè il meccanismo che minimizza o previene la perdita di sangue in seguito ad un danno endoteliale; essa è caratterizzata da diverse fasi:

• Fase vascolare : subito dopo la lesione si ha una vasocostrizione locale grazie ad un fattore che è l’endotelina e la riduzione del flusso ematico;

• Fase piastrinica : con la formazione del “trombo bianco”; questa fase avviene entro pochi minuti dalla lesione e, insieme alla fase vascolare, costituisce il processo noto come emostasi primaria, che in genere è sufficiente a riparare le lesioni capillari;

• Fase coagulativa : nel caso di lesioni più profonde l’emostasi primaria non è sufficiente a riparare il danno, si ha perciò la trasformazione della protrombina in trombina, la quale converte il fibrinogeno in fibrina, formando il coagulo o “trombo rosso”.

• Fase fibrinolitica : infine, c’è la retrazione del coagulo, grazie ad una proteina contrattile, la trombostenina; dopo che l’emorragia è stata arrestata, il coagulo viene gradualmente dissolto mediante la degradazione dalla fibrina in frammenti solubili ad opera dell’enzima plasmina.

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FruitFlow: il prodotto

Fruitflow ® è un ingrediente alimentare di nuova introduzione nel mercato mondiale delle materie prime funzionali e rappresenta un importante passo nel consentire a mantenere una normale attività di aggregazione piastrinica, che è alla base di un flusso sanguigno sano. In numerosi studi clinici internazionali, il consumo regolare di Fruitflow ® ha consentito il raggiungimento di un ottimale stadio di aggregazione piastrinica (omeostasi piastrinica) con conseguente miglioramento del flusso di sangue. L'effetto si verifica dopo l’ingestione di una dose di FruitFlow (entro 1,5 ore) e dura da 12 a 18 ore. Se assunto regolarmente con una posologia di una volta al giorno, l'effetto è continuativo e lo rende ideale per l'uso in alimenti funzionali o integratori alimentari. L’aggregazione piastrinica può variare la sua attività fino a diventare un fenomeno patologico: in questo caso le piastrine mostrano una tendenza spiccata ad aggregarsi tra loro, a causa di una varietà di situazioni fisio-patologiche come lo stress, il sovrappeso, in presenza di alti valori di colesterolo ma anche a causa di sforzi atletici intensi durante l’attività sportiva di tipo agonistica. Il consumo regolare di Fruitflow mantiene un livello di aggregazione piastrinica il più fisiologico possibile e consente il mantenimento di un flusso di sangue più regolare nei vasii sanguigni. Nel caso di utilizzo giornaliero di Fruitflow ® il meccanismo di aggregazione piastrinica non viene inibito nel caso di un infortunio o una emorragia, non interferendo con il naturale processo di coagulazione del sangue. FruitFlow rappresenta il primo ingrediente alimentare ad aver ottenuto uno specifico claim dall’EFSA (articolo 13.5), è supportato da almeno 8 lavori clinici sull’uomo pubblicati, è completamente naturale sano e sicuro anche in un consumo giornaliero di diversi mesi. Gli studi dimostrano una risposta clinica nel 97% dei casi trattati: la sostanza è altamente stabile e solubile in acqua e quindi facilmente impiegabile in bevande, in compresse, o addizionato come alimento funzionale; non ha un odore particolare o un sapore deciso così come mostra un colore tenue.

Impieghi salutistici possibili

Dalla disamina delle caratteristiche possedute da FruitFlow è facile indicare un suo utilizzo in prodotti pensati per garantire un benessere duraturo dell’apparato artero-venoso e cardiovascolare in primis; in quest’ambito, infatti, tre sono i fattori di rischio più impattanti sul benessere di vasi e cuore: l’aumento della pressione arteriosa, l’alterazione dei parametri della colesterolemia (HDL, LDL, VLDL e dei trigliceridi) e l’aumento della aggregazione piastrinica. L’introduzione di FruitFlow consente di avere a disposizione una sostanza funzionale in grado di assicurare la normalizzazione dell’attività piastrinica e prevenirne una sua alterazione fisiopatologica.

L'efficacia e la sicurezza di impiego

Fruitflow ® è stato scoperto dal professor Asim Duttaroy al Rowett Research Institute in

Aberdeen nel 1999; da allora, l'efficacia di Fruitflow è stata testata in dieci diversi studi su

volontari sani con i seguenti risultati:

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• Il consumo a spot o regolare di FruitFlow ha consentito una più fisiologica attività delle piastrine che sono sembrate meno influenzabili a variare il loro stato di omeostasi anche in presenza di stimoli favorenti una iperattività piastrinica; e anche l’aspetto delle piastrine ha mostrato un miglioramento della loro superficie che è diventata “più liscia e meno rugosa” a tutto beneficio di una diminuita tendenza ad aderire l’una con l’altra (sempre senza agire negativamente in caso d’improvviso bisogno d’intervento);

• La risposta dei pazienti “responder” è risultata del 97% anche in studi isolati e di post-marketing;

• La sicurezza d’impiego anche continuato è stata confermata in diversi studi sull'uomo.

• La manegevolezza d’impiego e l’assenza di effetti collaterali di una certa importanza si sono verificate anche su trattamenti a medio e lungo periodo: in particolare non sono stati segnalati casi di allergia e/o aumento del rischio emorragico anche in pazienti in trattamento con farmaci anti-piastrinici specifici.

Composizione

Fruitflow ® è un solubile in acqua, ed è ottenuto attraverso un procedimento brevettato trattando soluzioni di pomodoro concentrato e sviluppato in due varianti:

1. FruitFlow sciroppo idrosolubile; 2. FruitFlow il suo zucchero derivato sotto forma di polvere. 3.

Questi due prodotti sono preparati da estratto di pomodoro utilizzando processi di alta tecnologia e sono destinati ad essere utilizzati come ingredienti nutrizionali per il cibo, bevande e Integratori Alimentari (entrambe le forme di Fruitflow ® sono standardizzate su 3 frazioni bioattive.

Applicazioni e dosaggio

Fruitflow ®I è facile da impiegare in caso di produzione di bevande, o unito al latte alla dose di 3 grammi al giorno

Fruitflow ®II è stato sviluppato per l'uso in Integratori Alimentari, con un dosaggio giornaliero raccomandato di 150 mg.

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CELIACHIA E AUTOIMMUNITA’: TIROIDE COME TARGET PRIMARIO

A cura del Dott. Giovanni Borghini

La celiachia è una delle malattie croniche più comuni dell'infanzia, che colpisce circa il 0,5-3% della popolazione nel mondo occidentale. Essa è caratterizzata da una risposta autoimmune innescata dal glutine o da altri cofattori ambientali quali lo stress o un infezione virale, apportando lesioni a carico della mucosa dell'intestino tenue. Questa condizione a sua volta porta a malassorbimento con manifestazione clinica alquanto variabile, che spazia dal nessun sintomo a grave malnutrizione. La malattia può avere insorgenza a qualsiasi età e durare per tutta la vita. Oggigiorno è risaputo che alla base della malattia celiaca vi è una predisposizione genetica, ossia bisogna essere portatori degli aplotipi DQ2 e/o DQ8 HLA, la cui prevalenza nella popolazione italiana è dello 0,27%, con 164.492 celiaci conclamati ed una differenza significativa tra maschi (0,16%) e femmine (0,37%). Il 46% della popolazione celiaca italiana risulta residente al nord, il 22 % al centro, il 19 % al sud ed infine il 13 % nelle isole. La Regione dove sono concentrati più celiaci risulta la Lombardia, con il 17.4 %, seguita da Lazio con il 10.1% e Campania con il 9.4%. La presenza degli aplotipi HLA DQ2 e / o DQ8 rappresenta condizione necessaria ma non sufficiente per lo sviluppo della malattia. Infatti studi condotti su gemelli identici e fratelli suggeriscono che il contributo genetico HLA si attesti intorno al 50%, mentre il restante 50% è rappresentato dai fattori ambientali precipitanti (stress, alimentazione, virus, lattosio, attività fisica sbagliata, stile di vita scorretto…ecc). Condizioni autoimmuni, tra cui le malattie della tiroide, come la tiroidite di Hashimoto e il morbo di Graves-Basedow sono strettamente associati con la malattia celiaca, con una prevalenza elevata nella popolazione generale italiana ed europea. Alcuni studi hanno suggerito che la malattia celiaca non trattata o silente in soggetti geneticamente predisposti e quindi l'esposizione al glutine, con conseguente infiammazione e lesioni della mucosa, aumentino il rischio di sviluppare altre malattie autoimmuni come quelle della tiroide e il diabete mellito insulino-dipendente. Ventura e altri studiosi nel 2014 hanno dimostrato che i pazienti con malattia celiaca avevano un'alta prevalenza sia di insulino dipendenza-diabete mellito e sia di autoanticorpi contro la tiroide (tiroiditi). Inoltre, questi autoanticorpi (anti-tireoglobulina, anti-microsomiali e anti-perossidasi) dovevano essere gluten-dipendenti, dal momento che sono scomparsi durante il trattamento con una dieta priva di glutine. Questi risultati sollevano interrogativi sull’esistenza di risposte immunitarie anomale, a livello della mucosa intestinale, quando si è esposti ad antigeni ambientali, in grado di estendersi a livello sistemico, qualora sia presente una predisposizione genetica alla celiachia. Se pertanto la durata dell'esposizione al glutine è strettamente correlata allo sviluppo della malattia autoimmune, e se è vero che la diagnosi precoce e il trattamento della malattia riducono il rischio di sviluppare autoimmunità, allora bisogna puntare nella direzione dello screening di massa per la celiachia fin dall’ età più precoce o comunque il prima possibile. Uno studio del 2014 ha voluto indagare la prevalenza di autoimmunità tiroidea in bambini di 12 anni con malattia celiaca rispetto ai referenti sesso abbinati non celiaci e verificare se l'introduzione precoce di una dieta privativa di glutine nei soggetti con predisposizione

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genetica alla malattia celiaca riducesse il rischio di sviluppare malattie autoimmuni della tiroide. Un totale di 12.632 bambini (69% degli invitati) ha partecipato allo studio. Sono stati analizzati i campioni di sangue prelevati da tutti i bambini partecipanti, con valutazione delle transglutaminasi tissutali, degli anticorpi anti-endomisio di classe Ig-a e degli anticorpi anti-perossidasi di classe Ig-a della tiroide. I bambini con valori superiori a predefinito cut-off sono stati inviati alla clinica pediatrica più vicina per una piccola biopsia intestinale, che rappresenta il gold standard per la diagnosi della celiachia. Dopodichè è stata eseguita la genotipizzazione HLA DQ2/DQ8, riscontrata predittiva e positiva in tutti i soggetti con celiachia conclamata. Sottoponendo i bambini celiaci a dieta privativa di glutine per almeno 16 settimane è stato riscontrato nella maggior parte dei casi un sensibile abbassamento dei valori degli anticorpi anti-perossidasi di classe Ig-a, specifici per la diagnosi di tiroidite. Ad oggi possiamo concludere che avere celiachia conclamata all’età di 12 anni aumenta il rischio di sviluppare altre malattie autoimmuni come la tiroidite, rispetto a bambini sani. Lo screening genetico di massa, con la ricerca degli aplotipi DQ2-DQ8 HLA, e la dieta privativa o a ridotto contenuto di glutine potrebbero rappresentare un valido strumento di identificazione precoce dei soggetti a rischio di tiroidite, permettendo loro di effettuare una prevenzione primaria potenzialmente efficace, modificando la loro dieta.

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CRESCIONE E CANCEROGENESI: un possibile effetto epi genetico protettivo? A cura del Dott. Giovanni Borghini Il crescione (Nasturtium officinale R. Br.) è un’erba acquatica perenne della famiglia delle Brassicaceae originaria dell’europa, commestibile in foglie crude e contenente alti livelli di vitamina C, vitamina E, vitamine del gruppo B, minerali come Ca, P, K, Fe, Mg, Zn, tracce di Se, β-carotene, e glucosinolati (Zahradníková H, Petříková K. 2013). Questa erba viene largamente usata come depurativo, diuretico, espettorante, ipoglicemizzante antidolorifico, stimolante e stomacico oltre che nell’ipertensione e in alcuni disturbi cardiovascolari (Amri H 2012). Già da qualche anno studi in vivo avevano dimostrato l’efficacia del crescione sull’assetto metabolico di ratti sottoposti a dieta iperlipidica; infatti il suo estratto alcolico è risultato in grado di abbassare dal 30% al 50% le concentrazioni plasmatiche del colesterolo totale (TC), dei trigliceridi (TG) e delle lipoproteine a bassa densità (LDL); mentre i livelli delle lipoproteine ad alta densità (HDL) venivano innalzati di circa il 30% (Bahramikia S, Yazdanparast R. 2008). Inoltre il riscontro, in modelli sperimentali simili, di un abbassamento dei valori delle transaminasi sieriche, aveva spinto a indagare l’effetto del crescione sul fegato e a riconoscerne la fondamentale azione antiossidante testimoniata sia dall’incremento di glutatione ridotto (GSH), di catalasi (CAT) e di superossido-dismutasi (SOD), che per contro dalla riduzione della malonaldeide (MDA), della glutatione perossidasi (GPx) e della glutatione riduttasi (GR) intraepatiche (Yazdanparast R et al 2008). Solo recentemente però è stato individuato nel crescione uno dei principi attivi capaci di indurre l’attivazione enzimatica: il glicosinolato. L’ingestione di tale molecola infatti, una volta convertita dalla flora intestinale in fenetil-isotiocianato (PEITC), promuove a diverse concentrazioni la sintesi di sulfotransferasi (SULT), regolatore antiaterosclerotico del metabolismo lipidico e dell’infiammazione cellulare apoptosica (Ren S, Ning Y. 2014). Gli Isotiocianati (ITC) derivati da crocifere hanno dimostrato essere dei promettenti agenti contro la proliferazione del cancro, perlomeno in coltura di cellule umane, in modelli animali e in studi epidemiologici. Diversi studi epidemiologici hanno dimostrato una relazione tra l'assunzione di isotiocianati apportati con la dieta e la riduzione del rischio di sviluppare tumori, in particolare a carico del polmone, del colon, e della mammella. Ancora più importanti sono gli effetti protettivi degli ITC alimentari, che influenzano la glutatione S-transferasi (GST); in particolare, gli individui con genotipo mutato per la glutatione S-transferasi Theta 1 (GSTT1) e la glutatione S-transferasi Mu 1 (GSTM1) sono meno protetti di quelli con GSTT1 e M1 wild type. Anche se la maggioranza degli studi, in particolare quelli condotti in popolazioni esposte a dieta ricca di ITC, ha dimostrato questi effetti protettivi, tuttavia ci sono anche pochi studi che hanno evidenziato un azione opposta o comunque discordante. Mentre la prova che le interazioni tra gli ITC alimentari e i geni che codificano per la GST è relativamente forte, le ragioni degli effetti differenziali rimangono poco chiare. Probabilmente gli individui con genotipo mutato perdono per escrezione renale una maggiore quantità di ITC rispetto a quelli con genotipo wild type, dopo aver assunto succo di crescione, che costituisce una ricca fonte di ITC.

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Lo studio di coorte di Shanghai è stato il primo ad associare una dieta ricca di ITC e una diminuzione del rischio di sviluppare cancro ai polmoni, nonchè ha dimostrato che l'effetto protettivo degli ITC è stato riscontrato solo tra individui con delezione omozigote della GSTM1 o della GSTT1, e che era particolarmente forte nei soggetti con delezione sia della GSTM1 che della GSTT1. Questa conclusione è stata supportata anche da un ampio studio caso-controllo condotto su pazienti con tumore polmonare, scelti tra donne per lo più non fumatrici di origine cinese a Singapore. Un ampio studio prospettico condotto in Europa centrale e orientale ha prestato ulteriore supporto, confermando un effetto protettivo di verdure crocifere contro il cancro al polmone, in particolare tra gli individui con GSTM1 wild type o i GSTM1 / T1 entrambi wild type. Recentemente una metanalisi ha concluso che, indipendentemente dal consumo di fumo di sigaretta, vi è un' associazione inversa di modesta entità tra il rischio di cancro ai polmoni e un alto consumo di verdure crocifere e che l'effetto è più forte tra i soggetti con genotipo wild type per la GSTM1 e la GSTT1. Rimangono tuttavia necessarie ulteriori ricerche per valutare i meccanismi di protezione degli isotiocianati contro la proliferazione del cancro.

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Alimentazione, sport e... intelligenza!

A cura del Dott. Giulio Maria Ranalli

Partendo dal presupposto che non esistono alimenti magici e che nessun alimento o

integratore ci farà vincere, possiamo affermare con una certa tranquillità e sicurezza che la

vittoria ce la dobbiamo sudare, dando per assodato che la stessa sia scritta nei nostri geni.

È doveroso sottolineare l’importanza della alimentazione, ed eventualmente

dell’integrazione, quando si parla di sport.

Facciamo innanzitutto una piccola, ma necessaria, distinzione tra attività fisica ed attività

sportiva, due terminologie che spesso vengono usate impropriamente ed indistintamente:

per attività fisica si intende “qualunque sforzo esercitato dal sistema muscolo-scheletrico

che si traduce in un consumo di energia superiore a quello in condizioni di riposo”. In

questa definizione rientrano quindi tutti i semplici movimenti quotidiani come camminare,

andare in bicicletta, ballare, giocare, fare giardinaggio e lavori domestici. OMS

D’altro canto l’attività sportiva può essere definita come l'insieme delle attività, individuali o

collettive, che impegnano e sviluppano determinate capacità

psicomotorie, svolte anche a fini ricreativi o salutari, ovvero ogni

attività fisica praticata secondo precise regole, spesso in

competizione con altri, che prevede piani di allenamento, recupero

ed, ovviamente, alimentazione mirati.

Ciò detto, l’errore più frequente è quello di pensare che

l’alimentazione venga dopo oppure che sia un qualcosa di scontato

ed ovvio. Qualcuno diceva, già diverso tempo fa <<noi siamo quello

che mangiamo>>. Non sbagliava affatto.

Non si può, infatti, pensare di avere risultati ottimali, fisici e/o

prestativi, senza prendere in considerazione l’aspetto più importante di questo percorso:

l’alimentazione. Sono tre, in ordine di importanza, i fattori determinanti per l’ottenimento

del risultato finale migliore:

• Alimentazione;

• Allenamento;

• Una sana ed intelligente integrazione (quando necessaria).

La dieta (dal latino diaeta, a sua volta dal greco δίαιτα, dìaita, «modo di vivere») è, senza

dubbio, uno degli elementi chiave per la costruzione di un corpo “perfetto”, efficace,

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efficiente e funzionale e, grazie ad esso possiamo ambire al raggiungimento dei nostri

obiettivi, che siano essi semplicemente salutistici oppure agonistici (competitivi).

Ogni individuo ha il proprio metabolismo e di conseguenza avrà il proprio fabbisogno

energetico, il quale, essendo funzione di parametri costanti (età, sesso, altezza) e variabili

(peso, stile di vita, sport, patologia, status sociale, locus geografico, ecc.) dovrebbe essere

scrupolosamente analizzato e valutato da un professionista, nel momento in cui si

decidesse di intraprendere un percorso di miglioramento psico-fisico (intendendo questo

miglioramento come l’avviare una attività sportiva, dunque allenamento regolare ed

eventualmente competizioni), al fine di poter garantire allo sportivo gli adeguati apporti,

energetici e non, in termini di macronutrienti (glucidi, protidi, lipidi) e micronutrienti (fibra,

sali minerali, vitamine ed acqua).

Vien da sè che gli apporti in macronutrienti (+++) e micronutrienti (+) saranno aumentati

(in funzione del tipo di sport praticato) rispetto alla popolazione “normale” ovvero quella

parte di popolazione che, seppur praticante attività fisica/sportiva in maniera più o meno

costante, non risulta essere particolarmente impegnata, in termini neuro-fisio-endocrino-

muscolari, tanto da poter giustificare un surplus energetico per far fronte agli sforzi fisici e

al recupero muscolare.

Nel programmare un piano alimentare ottimale, per supportare al meglio le fasi stressanti

dell’allenamento e della prestazione atletica ma anche e soprattutto il recupero muscolare,

andrebbero tenuti in considerazione due fattori molto importanti, il primo (soprattutto nel

periodo compreso tra la pre-pubertà alla post-adolescenza) forse più importante del

secondo, l’età ed il sesso (in aggiunta alle sopracitate costanti e variabili).

Il fabbisogno energetico, nel caso di un soggetto giovane, sarà ancor più aumentato e

quindi ancor più sarà necessaria accortezza, poichè in questa fase della vita bisognerà

garantire un giusto apporto nutritivo (quali-quantitativo) per l’attività sportiva ma tenendo in

considerazione che il soggetto è in una fase di accrescimento pondero-staturale e di

modificazioni fisio-morfologiche.

Concludendo con un esempio teorico-pratico, abbiamo due soggetti di sesso maschile

(A=16aa vs B=35 aa) con BMI (Indice di Massa Corporea) nella norma (BMI=23.5; peso

medio 65kg), entrambi con LAF molto alto (LAF=Livelli di Attività Fisica) pari al 75° pct (A)

e a 2.10 (B), che avranno quasi lo stesso fabbisogno energetico (A=3430kCal e

B=3400kCal). LARN-2014

La domanda sorge spontanea, il fabbisogno energetico di A è (troppo) alto o il fabbisogno

energetico di B è (troppo) basso? O viceversa? Oppure, sono giusti entrambi o sono

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sbagliati entrambi? Assumendo che il soggetto A pratichi un’attività intensa (in fase di

sviluppo) e B un’attività intensa di resistenza potremmo considerare che, ad esempio, il

fabbisogno proteico (consigliato stimato) sarà differente poichè avrà bisogno finanche di

2.0g/kg p.c. mentre B necessiterà di 1.2-1.4g/kg p.c., MIGGIANO-2013 questo anche in virtù di

quanto accennato precedentemente, contribuendo quindi ad un maggiore introito calorico.

Inoltre varierà anche il contributo in glucidi ed in lipidi, nonchè in fluidi.

Per fare qualunque cosa, l’ingrediente fondamentale è l’intelligenza (non sto parlando di

essere Einstein), non in termini di intelligenza assoluta ma relativa, ovvero relativa al

contesto in cui ci troviamo, alla situazione che dobbiamo/vogliamo affrontare, all’obiettivo

che vogliamo raggiungere non dimenticando mai chi siamo (e come siamo fatti) e chi sono

gli altri affianco a me, poichè quello che va bene (fa bene) per me, non necessariamente

va bene (fa bene) per un altro.

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LA MEDICINA VERDE DELL’ESTATE

A cura della Dott.ssa Giusi Balzano

Tradizionale alleato del pomodoro, il basilico fa subito profumo di cucina, ci rimanda a

un'alimentazione di tipo mediterraneo, parla italiano.

Il suo nome deriva dal greco

presso i Romani il basilico era ritenuto magico e sacro a Venere e come molte altre erbe,

andava raccolto seguendo precisi rituali: chi lo tagliava doveva indossare

purificare la mano destra con un ramo di quercia bagnato d'acqua di tre fonti diverse. Il

basilico contiene varie sostanze che sono utili e benefiche per l’organismo umano: in

particolar modo è ricco di potassio che serve a regolare l’equil

e contiene piccole quantità di calcio; contiene fosforo e inoltre, magnesio e vitamina A

importanti per il sistema immunitario.

Fin dall’antichità ne sono note le molteplici proprietà erboristiche e naturali:

Articolazioni e dolori reumatici: agisce grazie alle sue proprietà antinfiammatorie in quanto

le sue foglie ricche di eugenolo, non solo ne conferisce il caratteristico profumo, ma aiuta a

lenire i dolori (1)

Raffreddori e malattie della pelle: grazie all’azione dell’e

Apparato digerente: il basilico stimola l’appetito e l’olio essenziale ha un effetto calmante

sulle mucose gastriche, favorendo la digestione e calmando gli stati di ansia e stress che

vengono somatizzati in disturbi intestinali

Effetto rilassante: ha effetto sul sistema nervoso e può essere utile a chi soffre di insonnia

o di emicrania. E’ utile in allattamento in quanto le sue foglie stimolano la produzione lattea

grazie alla presenza in esse di flavonoidi.

Il basilico può essere utilizzato come olio essenziale, oppure si possono utilizzare le foglie

(fresche o essiccate) per farne decotti o infusi.

Non va dimenticata, inoltre, l’applicazione del basilico nel campo della cosmesi grazie

all’eugenolo e ai flavonoidi con effetto anti

capelli.

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LA MEDICINA VERDE DELL’ESTATE

A cura della Dott.ssa Giusi Balzano

Tradizionale alleato del pomodoro, il basilico fa subito profumo di cucina, ci rimanda a

un'alimentazione di tipo mediterraneo, parla italiano.

Il suo nome deriva dal greco basileus che significa "erba da re". Originario dell'Oriente,

presso i Romani il basilico era ritenuto magico e sacro a Venere e come molte altre erbe,

andava raccolto seguendo precisi rituali: chi lo tagliava doveva indossare

purificare la mano destra con un ramo di quercia bagnato d'acqua di tre fonti diverse. Il

basilico contiene varie sostanze che sono utili e benefiche per l’organismo umano: in

particolar modo è ricco di potassio che serve a regolare l’equilibrio idrico nel corpo, di ferro

e contiene piccole quantità di calcio; contiene fosforo e inoltre, magnesio e vitamina A

importanti per il sistema immunitario.

Fin dall’antichità ne sono note le molteplici proprietà erboristiche e naturali:

e dolori reumatici: agisce grazie alle sue proprietà antinfiammatorie in quanto

le sue foglie ricche di eugenolo, non solo ne conferisce il caratteristico profumo, ma aiuta a

Raffreddori e malattie della pelle: grazie all’azione dell’eugenolo (2)

Apparato digerente: il basilico stimola l’appetito e l’olio essenziale ha un effetto calmante

sulle mucose gastriche, favorendo la digestione e calmando gli stati di ansia e stress che

vengono somatizzati in disturbi intestinali

nte: ha effetto sul sistema nervoso e può essere utile a chi soffre di insonnia

o di emicrania. E’ utile in allattamento in quanto le sue foglie stimolano la produzione lattea

grazie alla presenza in esse di flavonoidi.

Il basilico può essere utilizzato come olio essenziale, oppure si possono utilizzare le foglie

(fresche o essiccate) per farne decotti o infusi.

Non va dimenticata, inoltre, l’applicazione del basilico nel campo della cosmesi grazie

onoidi con effetto anti-age per la pelle e donando lucentezza ai

LA MEDICINA VERDE DELL’ESTATE

Tradizionale alleato del pomodoro, il basilico fa subito profumo di cucina, ci rimanda a

s che significa "erba da re". Originario dell'Oriente,

presso i Romani il basilico era ritenuto magico e sacro a Venere e come molte altre erbe,

andava raccolto seguendo precisi rituali: chi lo tagliava doveva indossare abiti candidi e

purificare la mano destra con un ramo di quercia bagnato d'acqua di tre fonti diverse. Il

basilico contiene varie sostanze che sono utili e benefiche per l’organismo umano: in

ibrio idrico nel corpo, di ferro

e contiene piccole quantità di calcio; contiene fosforo e inoltre, magnesio e vitamina A

Fin dall’antichità ne sono note le molteplici proprietà erboristiche e naturali:

e dolori reumatici: agisce grazie alle sue proprietà antinfiammatorie in quanto

le sue foglie ricche di eugenolo, non solo ne conferisce il caratteristico profumo, ma aiuta a

Apparato digerente: il basilico stimola l’appetito e l’olio essenziale ha un effetto calmante

sulle mucose gastriche, favorendo la digestione e calmando gli stati di ansia e stress che

nte: ha effetto sul sistema nervoso e può essere utile a chi soffre di insonnia

o di emicrania. E’ utile in allattamento in quanto le sue foglie stimolano la produzione lattea

Il basilico può essere utilizzato come olio essenziale, oppure si possono utilizzare le foglie

Non va dimenticata, inoltre, l’applicazione del basilico nel campo della cosmesi grazie

age per la pelle e donando lucentezza ai

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Controindicazioni

Il basilico può avere effetti nocivi su coloro che soffrono di allergia alle parietarie. Di questa

pianta è bene utilizzare le foglie grandi, in quanto sembra che quelle piccole contengono

una sostanza cancerogena (3), anche se scientificamente questo non è stato provato con

certezza. Va evitato in gravidanza perché potrebbe causare la toxoplasmosi.

Bibliografia

1. Nascimento SS, Araújo AA, Brito RG, Serafini MR, Menezes PP, DeSantana JM, Lucca W

Jr, Alves PB, Blank AF, Oliveira RC, Oliveira AP, Albuquerque RL Jr, Almeida JR,

Quintans LJ Jr. Cyclodextrin-complexed Ocimum basilicum leaves essential oil increases

Fos protein expression in the central nervous system and produce an antihyperalgesic

effect in animal models for fibromyalgia. Int J Mol Sci. 2014 Dec 29; 16(1):547-63.

2. Vyry Wouatsa NA, Misra L, Venkatesh Kumar R.

Antibacterial activity of essential oils of edible spices, Ocimum canum and Xylopia

aethiopica. J Food Sci. 2014 May; 79(5): M972-7.

3. Maralhas A, Monteiro A, Martins C, Kranendonk M, Laires A, Rueff J, Rodrigues AS.

Genotoxicity and endoreduplication inducing activity of the food flavouring eugenol.

Mutagenesis. 2006 May; 21(3):199-204.

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DONNE SPORTIVE, ATTENZIONE ALLA DIETA

Allenamenti intensi possono sottoporre l’organismo a uno stress eccessivo

A cura della Dott.ssa Marialaura Ingenito

È il grido di allarme dell’American College of Sports Medicine: le donne che praticano molto sport e non controllano la propria dieta possono incorrere, a lungo andare, in disturbi di tipo alimentare, dall’amenorrea all’osteoporosi. Ciò dipende dal fatto che, in genere, le persone sportive privilegiano un’alimentazione proteica, con apporti spesso insufficienti di carboidrati, grassi e vitamine. La prima regola, quindi, per beneficiare dell’attività fisica, è iniziare a praticarla con gradualità tenendo d’occhio la tavola.

Quando e come mangiare

Se siamo in procinto di andare in palestra, a fare una partita a tennis o la corsa quotidiana è meglio non appesantire la digestione: il pasto, a base di carboidrati, verdura e frutta, va consumato almeno 2 ore e mezza prima. Dopo l’allenamento, aspettare almeno mezz’ora prima di mangiare qualcosa, scegliendo tra frutta di stagione, frutta disidratata o succhi di frutta. Qualsiasi sport comporta un dispendio di acqua e sali minerali, che vanno reintegrati. Il succo d’ananas e il succo di pomodoro sono i più indicati per recuperare in fretta. Non ci sono limiti al consumo di acqua naturale.

Ecco a quali sostanze prestare maggiore attenzione

Gli sforzi a cui è sottoposto un organismo in attività possono ridurre i livelli di magnesio nel sangue, con conseguenti crampi muscolari. Ma una carenza di questo prezioso minerale, che favorisce la produzione di energia, può essere causata anche da un eccesso di zuccheri semplici o proteine. Dove trovare il magnesio negli alimenti? Nella verdura a foglia verde, nelle noci, nei legumi e nelle banane.

Anche le scorte di vitamine del gruppo B , necessarie alle cellule per usare in modo corretto i carboidrati a disposizione, tendono a calare in chi fa sport con una certa frequenza. Ecco perché è necessario non farsi mancare le vitamine B1, B2, B6 e PP (niacina). Gli alimenti più comuni che le contengono sono cereali integrali, le noci, le mandorle, il tuorlo d’uovo, i legumi e i cavoli.

Una carenza di calcio , minerale che interviene nelle funzioni neuromuscolari, oltre a essere responsabile di osteoporosi, può provocare amenorrea, cioè scomparsa del ciclo mestruale, fenomeno non raro tra le donne che praticano sport. Il calcio si recupera con il latte e i suoi derivati ma anche aggiungendo salvia e rosmarino alle pietanze.

Infine, nella dieta ideale di chi consuma molte energie con l’attività fisica non devono mancare zinco , (presente in crostacei, latte e carni) protettivo della muscolatura, e vitamina C , che favorisce l’assorbimento del ferro e contribuisce a mantenere in forma i muscoli sottoposti a impegno costante. La vitamina C è presente soprattutto nel kiwi, negli agrumi, nel ribes, nel prezzemolo e nei peperoni.

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Mastice di Chios: un’arma vincente contro Helicobac ter pylori A cura della Dr.ssa Maria Luce Molinari Medico Chirurgo, Fitoterapeuta, Omeopata Il Mastice di Chios, gommoresina estratta dall’albero di Pistacia lentiscus, utilizzato già

nell’antica Grecia per le sue proprietà terapeutiche, trova oggi utilizzo nella moderna

fitoterapia, per le sue molteplici proprietà e specificamente per la sua comprovata efficacia

in patologia gastroenterica e nella clinica odontostomatologica.

Il Mastice infatti ha dimostrato di agire rapidamente contro l’ulcera peptica e di essere

estremamente efficace nei confronti di Helicobacter pylori, come riportato in un articolo del

1998, pubblicato sul New England Journal of Medicine. In questo articolo Huwez et al.

hanno studiato l’attività antiulcerosa del Mastice di Chios, partendo dal dato clinico che 1

grammo di mastice al giorno somministrato per 2 settimane si era dimostrato capace di

curare rapidamente pazienti con ulcera gastrica.

Il meccanismo di azione del Mastice nella cura dell’ulcera peptica è stato in effetti da

questi autori ricondotto al potere antibatterico del Mastice di Chios contro Helicobacter

pylori. Da questa studio è emerso che la concentrazione battericida minima a 24 ore per

tutti i ceppi del batterio che erano stati studiati, era di 0,06 mg del mastice greggio per

millilitro. A concentrazioni più basse, la crescita batterica è stata ancora significativamente

inibita, con un chiaro effetto anche alla più bassa concentrazione utilizzata, 0,0075 mg per

millilitro. Il Mastice ha inoltre indotto evidenti cambiamenti ultrastrutturali nell’Helicobacter,

come dimostrato mediante microscopia elettronica. Studi più recenti (Tomofumi Miyamoto,

Tadayoshi Okimoto, 2014) hanno messo in evidenza quali tra le componenti del

fitocomplesso del Mastice di Chios siano efficaci specificamente contro i ceppi di

Helicobacter pylori, anche antibiotico-resistenti. Nel succitato lavoro si evidenzia infatti

come sia stato possibile individuare all’interno del fitocomplesso del Mastice di Chios

almeno 20 componenti attive con capacità cicatrizzante, antiossidante e gastroprotettrice.

All’interno di queste componenti l’ α-terpineolo e il metil-iso-eugenolo hanno mostrato la

massima capacità antibatterica contro quattro diversi ceppi di H. pylori, prelevati da

pazienti con gastrite, ulcera gastrica e carcinoma gastrico. Questi componenti sono inoltre

stati riconosciuti come utili nel vincere la farmaco-resistenza presente in alcuni ceppi di

H.pylori. L’elevata attività antinfiammatoria, secondo uno studio condotto nel 2007 da

Kaliora et al., rende inoltre il Mastice efficace nella terapia dei pazienti affetti da Morbo di

Crohn. In questo studio pilota pubblicato sul World Journal of Gastroenterology, si è

infatti evidenziato come il Mastice, somministrato per 4 settimane, sia stato in grado di

diminuire in modo statisticamente significativo il CD Activity Index (CDAI), il livello

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plasmatico di IL-6 e il valore della PCR, in 10 pazienti affetti da MC in fase attiva di grado

moderato. Il Mastice di Chios ha infine dimostrato di avere elevato potere antisettico e

cicatrizzante, utile nelle affezioni del cavo orale come gengiviti e parodontiti (Takahashi e

Fukazawa , 2003). In particolare è stata studiata la sua attività battericida nei confronti di

Streptococcus mutans (Aksoy e Duran, 2006), ritenuto il principale agente responsabile

della carie dentale. In un successivo studio del 2007 si consiglia l’uso del Mastice di Chios

come presidio preventivo delle infezioni del cavo orale nei pazienti con apparecchi

ortodontici fissi. Da queste evidenze scientifiche arriva quindi una inequivocabile conferma

dei benefici effetti dell’uso del Mastice di Chios nella clinica gastroenterica e

odontostomatologica, a conferma della saggezza empirica della medicina popolare, che

da sempre utilizza questa resina per gli stessi usi con sicuro beneficio.

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L’ innovazione in Fitoterapia: la metodica di estra zione E.I.E.

A cura della Dr.ssa Maria Luce Molinari Medico Chirurgo, Fitoterapeuta, Omeopata.

La moderna Fitoterapia si avvaleva fino ad oggi di

composti ottenuti da piante officinali mediante

tecniche di estrazione con vario tipo di solventi,

che permettono di ottenere dalla pianta in toto solo i principi attivi solubili nel solvente

prescelto; in questo modo si ottengono le Tinture Madri, (solvente idroalcolico), i Macerati

Glicerici ( solvente acqua, alcool e glicerolo) gli Estratti Secchi (solvente idroalcolico). In

tutte queste metodiche il comun denominatore è la presenza di uno o più solventi che

solubilizzano a e rendono disponibili solo alcune componenti del fitocomplesso totale della

pianta, e non altre. Una nota Università italiana, ha però messo a punto una nuova

metodica estrattiva, ad oggi già disponibile sul mercato, la tecnica di Estrazione Idro

Enzimatica. Detta tecnica, al contrario delle metodiche precedenti, utilizza acqua e mix

enzimatici specifici per ogni singola pianta trattata, in grado di agire come “forbici

molecolari “ liberando i principi attivi contenuti nella pianta, ed è in grado di rendere

biodisponibile l’intero fitocomplesso presente nel vegetale, in totale assenza di alcol o altri

solventi nel prodotto finale, rispettando così i raffinati equilibri naturali di composizioni e

concentrazioni reciproche che madre natura ha donato alla pianta stessa. L’estrazione

Idro Enzimatica dalle matrici vegetali si basa sull’utilizzo di una serie di processi

biotecnologici enzimatici sequenziali, totalmente innovativi in Fitoterapia, che consentono

di disgregare a livello molecolare e in maniera specifica le macrostrutture polisaccaridiche

e proteiche vegetali tramite tagli molecolari mirati. In questo modo è possibile idrolizzare le

molecole strutturali che costituiscono i tessuti vegetali e recuperare tutti i principi attivi che

sono parte integrante di tali strutture, rendendoli al contempo massimamente biodisponibili

e solubili in ambiente acquoso. Negli E.I.E. i principi attivi della pianta in toto sono inoltre

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già pronti all’assorbimento, in quanto la pianta è stata già “predigerita” per via enzimatica,

con notevoli vantaggi rappresentati da alta biodisponibilità, alta efficacia e alta velocità di

azione. Si tratta in pratica di avere a disposizione “la pianta liquida in toto” pronta per

l’utilizzo di tutti i suoi principi attivi. Studi in Spettroscopia Infrarossa mettono in evidenza

con chiarezza come ci sia perfetta corrispondenza tra “l’impronta digitale” della pianta in

origine ottenuta alla Spettroscopia Infrarossa e il suo Estratto Idro Enzimatico,

corrispondenza che invece manca nel caso di altre tecniche di estrazione, come ad

esempio nell’Estratto Secco.

Esempi di Studio in S.I. di Tarassaco e Astragalo i n toto, E.S. e E.I.E

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Le analisi effettuate dimostrano chiaramente che l’Estratto Idro Enzimatico ha la stessa

“impronta digitale” (spettro I.R.) della pianta d’origine e quindi contiene il 100% dei principi

attivi presenti nella pianta in forma altamente biodisponibile, cosa non affermabile invece

per l’Estratto Secco. Ad oggi è chiaro a tutti i fruitori della Fitoterapia come la forza di

questa metodica terapeutica sia proprio nell’utilizzo di un fitocomplesso, e non di una

singola molecola attiva, come succede nella stragrande maggioranza delle preparazioni

farmaceutiche tradizionali. Tanto più il fitocomplesso è intatto e biodisponibile tanto più

potremo contare sulla sua efficacia terapeutica “ a largo spettro di azione”. In questa

prospettiva quindi, questa nuova tecnica estrattiva sembra proporsi come un aiuto in più

per tutti gli utilizzatori e estimatori della moderna Fitoterapia.

E.I.E. Mastice di Chios

Ingredienti

Glicerina vegetale, acqua, Pistacia lentiscus (resina), acido citrico.

Indicazioni

Il Mastice di Chios (Pistacia lentiscus L.) resina, risulta utile per favorire le fisiologiche funzioni del sistema

digerente e regolarizzare il transito intestinale.

Modalità d’uso

20 gocce a stomaco vuoto due volte al giorno, astenendosi dall’introdurre cibo nelle due ore successive.

Via Cà di Mazzè, 21 37134 Verona

Tel. 045 8779235 - Fax 045 8775312 www.adama.it [email protected]

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Le ragioni del sovrappeso

A cura del dott. Francesco Iarrera

Viviamo in un’era in cui l’uomo, ad ogni latitudine, ha imparato a governare il luogo in cui vive. È riconosciuto che l’evoluzione abbia conferito alla nostra specie lo scettro di comandante supremo dei territori e dei mari di questo pianeta. Forse è anche per questo che quando si viene a contatto con una persona che, evidentemente, persiste in comportamenti non salutari, la prima cosa che viene da dirgli è: “ma perché continui a farlo se sai che ti danneggia la salute?”. Ancor più evidente tutto questo è quando l’argomento è il peso, o meglio, la perdita di peso. Tutti a dire mangia meno, impegnati, tutti a tenere alto il vessillo del “volere è potere!”. Ma è davvero cosi? Ma perché mangiamo ciò che mangiamo? Cosa influenza le nostre scelte?

La cultura Il nostro modo di pensare al cibo caratterizza ciò che mangiamo sin da quando siamo nati. I nostri genitori – quelli che oggi hanno almeno cinquant’anni -, sono cresciuti in un’epoca in cui bisognava pulire il piatto, a volte per guadagnarsi il diritto al dolce, altre perché in un mondo in cui alcuni bambini muoiono per la fame non ci si può permettere di sprecare cibo: bisogna mangiare tutto ciò che ci si trova nel piatto, anche se troppo. Ai figli si è insegnato che per mangiare il gelato occorreva finire tutti i broccoli, così, nel tentativo di educare alla buona alimentazione, s’insegna che mangiare le verdure è talmente repellente che ci si merita in premio un dolce. Le morti, le nascite, le malattie così come le guarigioni sono eventi da celebrare e da consolare nel cibo. E le feste religiose, poi, tutte da santificare mangiando. Quando si parla di Natale vengono in mente i panettoni, Pasqua è diventato il passaggio dalle piccole alle grandi uova. Per non parlare di battesimi, comunioni, cresime, matrimoni, compleanni e anniversari vari: passiamo più tempo a usare il cibo per festeggiare che a mangiare per nutrirci. E via così, di mese in mese, anno dopo anno, in un susseguirsi di giorni e poi anni in cui nel calendario non si registrano più le scadenze ma un costante aumento del peso dei cittadini nel mondo occidentale.

E l’ambiente che ruolo ha? I ricercatori sostengono che l’ambiente eserciti un ruolo determinate, tanto da attribuirgli gran parte delle responsabilità dell’attuale epidemia di sovrappeso. Le porzioni dei cibi che compriamo oggi sono più grandi di quanto non lo fossero dieci o venti anni fa. Nei ristoranti, nei cinema, nei supermercati tutto è cresciuto, tutto è big. Maxi offerte e micro prezzi, che inducono ad acquistare cibi in contenitori più grandi. E questo incide parecchio nel determinare quanto si mangia, poiché gli uomini tendono a consumare tutto ciò che gli è proposto nel piatto, indipendentemente dal reale bisogno.

“Viviamo in un ambiente

ingrassante.”

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“Le diete fanno

ingrassare.”

Le etichette sono raffinate e attraenti, figlie di chi conosce bene le regole del marketing, così da far valere le leggi del commercio e non quelle della tutela alla salute. Il cibo è diventato un veicolo di piacere, un vettore di buone emozioni: ci si diverte con il cibo, si gioca, e si fanno trasmissioni di successo. E’ sempre maggiore il numero di ore che le televisioni dedicano a talk e reality a sfondo culinario che ci insegnano come cucinare, ma non a saper mangiare. Le moderne tecnologie, poi, sembrano incanalate in un’unica direzione: dobbiamo smettere di muoverci. Dal telecomando per tutto alle scale mobili, dagli elettrodomestici alle auto, tutto contribuisce a renderci talmente immobili che, ad un certo punto, spinti dai sensi di colpa, percorriamo chilometri a motori per andare a correre su un tappeto elettrico.

L’evoluzione alimentare Probabilmente la fame è stata la sola ragione che ha spinto gli uomini primordiali a ricercare e poi mangiare il cibo. Bisognava nutrirsi per procurarsi le energie necessarie a mantenersi in vita, correre, accendere fuochi e costruirsi dei rifugi. Oggi non è più cosi e la fame non è l’unico movente che induce a mangiare. Le aziende produttrici di cibo insegnano che l’atto di mangiare è legato anche alle caratteristiche organolettiche del cibo a disposizione. Chi produce cibo lo manipola in modo da renderlo più palatabile, tanto che in alcuni casi, proprio, non si riesce a starne alla larga. La forma, il colore, la grandezza, l’accostamento dei vari ingredienti; oggi esiste una sorta di ingegneria della nutrizione che le studia tutte per indurci a mangiare sempre di più.

Il paradosso delle diete In questo mondo costruito per farci ingrassare, scoppia il paradosso che manda in tilt milioni di persone: esiste una pressione sociale che impone di essere magri! Ci sforziamo

in tutti i modi di privarci del cibo per allinearci alle esigenze estetiche della società occidentale. E così inizia il valzer delle diete andate a male, le soluzioni miracolo, il salto dei pasti, l’evitamento di cibi considerati ingrassanti e tutta una serie di iniziative che in un primo momento

riducono il peso al ribasso e dopo poco tempo, attivando tutta una serie di complessi meccanismi biologici e soprattutto cognitivi, lo fanno recuperare, spesso con gli interessi. Game over. Forse è un po’ strano sentirlo dire, ma l’affermazione secondo cui le diete facciano ingrassare, non è soltanto un ossimoro.

Il peso dello stress E lo stress? Non possiamo certo pensare che, nell’era in cui lo stress è la risposta buona per le domande cui risposta buona non si trova, non abbia un ruolo nel comportamento alimentare. Ora, la domanda interessante è: quale ruolo? Per qualcuno lo stress fa

“Oggi esiste una sorta di

ingegneria della

nutrizione che le studia

tutte per indurci a

mangiare sempre di più.”

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ingrassare, per altri fa dimagrire. Quando si è stressati, c’è chi cerca il cibo e chi lo rifiuta. E allora? La ricerca ha cercato delle risposte, si è impegnata, ha esplorato, scavato, sperimentato, fino a fornirci una risposta inattesa: con molta probabilità, lo stress non influenza il peso, ma solo i comportamenti delle persone impegnate nel tentativo di modificarlo, indipendentemente che lo si voglia far salire o scendere. Insomma, gli eventi stressanti competono con lo sforzo che ogni persona si riserva di compiere quando decide di cambiare il proprio stile di vita, e non con il peso direttamente.

Mangiatori emotivi o estremisti?

Le emozioni sono un mondo a se, dove non ci sono regole se non quelle legate alle proprie percezioni, che non conoscono regole per definizione. Alcune persone, in preda a forti emozioni, di solito negative, cercano di eluderle ricorrendo ad un calmante naturale e di facile reperimento come il cibo. Questo almeno quanto ci è viene riferito in clinica. Tuttavia, realmente le emozioni inducono le persone a mangiare di più? Quando di fronte a della cioccolata, s’inizia a mangiarne un quadratino per poi finire tutta la stecca, davvero era l’emozione a spingere a consumarla tutta? Non si può escludere, certo. Eppure, esiste anche un’altra ragione che, pur coinvolgendo aspetti emotivi, ha origini cognitive. Alcune persone sono guidate nella propria vita da uno schema di pensiero estremistico, chiamato “tutto o nulla”, secondo cui ogni cosa deve essere fatta bene altrimenti è meglio non farla. Questo estremismo concettuale, applicato al contesto del controllo alimentare, induce le persone a sviluppare un profondo senso di colpa – e dunque, ecco le emozioni negative – nel momento in cui, questo perfezionistico obiettivo non viene rispettato, quando cioè si rompe la regola alimentare che ci si era posti. Se consideriamo, inoltre, che “trasgredire” il dogma tutto o nulla non è l’eccezione, bensì la regola, ci si rende conto che provare emozioni negative, quando si è guidati da questo pensiero, è sostanzialmente obbligato. Quindi, vero è che molte persone percepiscono forte emozioni quando mangiano certi cibi, ma quasi sempre nascono da privazioni alimentari, costanti e continue, la cui trasgressione genera emozioni negative.

Il cibo sopra tutto Insomma, le ragioni per cui oggi le persone mangiano sono pressoché illimitate: dalle emozioni alle feste, dai premi al sostegno sociale, dallo stress agli stimoli fisici, naturalmente, senza dimenticare i pensieri. La verità è che la nostra cultura alimentare oggi è confusa, pressata, da un lato, da una cultura che induce ad avere un basso peso e, dall’altra, dall’ambiente che seduce verso l’iperalimentazione. E così, molte persone alternano periodi di dieta forzata a pasti luculliani, in una specie di montagne russe che hanno fatto perdere il senso del misurato equilibrio. L’evoluzione umana degli ultimi cento anni ha proiettato l’uomo moderno in un mondo totalmente sconosciuto ai nostri geni, ritrovatisi a dover contrastare un cambiamento

“O seguo bene la

dieta o meglio non

farla.”

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“Non si può smettere

di mangiare i cibi che si

amano, non si può

rifiutare tutti gli inviti

di amici e parenti.”

“Bisogna evitare i

divieti e imparare la

moderazione, puntare

a scelte sostenibili e

non a privazioni.”

ambientale che ha stravolto tutto ciò che avevano imparato in migliaia di anni. Si è passati, troppo in fretta, da una famelica e fisiologica, ricerca di cibo, all’ossessivo bisogno di trovare soluzioni che consentano di rifiutarlo. E la verità è che forse non eravamo pronti. I nostri geni non si sono ancora adattati a questa schizofrenia alimentare, e da quel che sembra in questa lotta fra bene e male, almeno per ora, a vincere è sempre il cibo e chi lo produce in forme, colori e sapori sempre più accattivanti. Mangiamo, mangiamo e mangiamo. E non ci muoviamo praticamente più. Se non vogliamo rassegnarci a questa ineluttabile deriva che ci renderà malati di obesità dovremo impegnarci a trovare rimedi validi ed efficaci, che forniscano un equilibrio alimentare in cui si mangiano nutrienti e non emozioni, stress, pensieri e relazioni finite. In fondo, se osserviamo cinicamente la questione, non è nemmeno così complicato: basterebbe amare con le carezze, essere tristi e piangere, felici e ridere, festeggiare ballando, essere arrabbiati urlando, stressati e fare un bagno caldo. Naturalmente avere fame e mangiare. Ecco, basterebbe mettere le cose al proprio posto, come in quei giochi enigmistici in cui bisogna unire con una linea due vocaboli considerati inerenti l’uno all’altro. La realtà ci insegna che non è così semplice, visti i numeri che indicano il sovrappeso-obesità come una vera e propria epidemia mondiale.

Le soluzioni Per gestire il peso bisogna imparare ad adattarsi all’ambiente in cui viviamo, alla cultura, alle usanze e le credenze, apportando opportuni cambiamenti

ambiziosi ma realistici, che possano diventare parte della nostra quotidianità, piuttosto che avere la

presunzione di stravolgerla. Ecco, questo potrebbe essere un buon punto di partenza, una base su cui poggiare le nostre prospettive speranze di sviluppare un buon controllo sul peso.

Certamente sarebbe più utile stare alla larga dal pensare tutto o nulla. In una nostra ricerca che ha

coinvolto i pazienti afferenti al nostro centro, abbiamo osservato che circa l’ottanta per cento dei pazienti che interrompevano la terapia senza successo, erano caratterizzati da questo schema di pensiero. Chi ha avuto a che fare con persone a dieta avrà certamente sentito frasi del tipo “la dieta si fa bene, altrimenti è meglio non farla”. E qui, di solito, cala il sipario. Semplicemente perché non è realistico, non si può riuscire a restare coerenti con quel pensiero. E non si tratta di bassa motivazione, di assenza di volontà, né, tantomeno, di poco valore come persona: semplicemente è sbagliato pensare in questo modo, poiché contro natura. Non si può non sbagliare. Non si può smettere di mangiare i cibi che si amano, non si può rifiutare tutti gli inviti di amici e parenti. Si tratta di apprendere nuove e più realistiche abilità che prevedano moderazione e non divieti, scelte sostenibili e non privazioni assolute.

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“Per risolvere il

problema occorre

prima averne

coscienza.”

“Bisogna abolire il

termine Dieta”

Ancora, è necessario apprendere specifiche tecniche utili a gestire l’ambiente obesiogeno. Piatti, bicchieri e confezioni più grandi ci hanno allontanato dalle dimensioni consigliate di cibo utili a vivere bene in salute. Compriamo big dosi di tutto, entusiasti per il risparmio, ma alla fine mangiamo tutto quello che compriamo, che è più di quanto serva. E così, aumentiamo di peso, dobbiamo comprare vestiti più grandi, curare i problemi alle ginocchia e consultare un nutrizionista. E questo costa molti soldi. Comprare quanto serve mangiarne, questo è il vero risparmio. Non saltare la colazione. Molte ricerche si sono occupate di questo aspetto. E ci sono pochi dubbi sull’importanza della colazione nel controllo del peso. Le ragioni? Fare colazione è in grado di ridurre le voglie nei vari spuntini e riduce la fame ai pasti principali. Gli strumenti E’ necessario che chi ha un problema di peso sia in grado di riconoscere quali sono le ragioni che inducono a consumare cibo, così da sviluppare un piano di difesa personalizzato. Per risolvere un problema occorre averne coscienza. E conoscenza. La soluzione migliore è purtroppo un po’ indigesta ai pazienti e si chiama scheda di monitoraggio alimentare. Uno strumento che, se ben utilizzato, aiuta a comprendere cosa accade, come ci si sente, cosa si pensa e in che situazione ci si trova, nel momento in cui si mangia.

E a quel punto? Tanti problemi, altrettante soluzioni. Questo dovrebbe essere il motto che accompagna un programma per

la perdita di peso. Imparare a usare la tecnica del “problem solving” può essere la giusta strada per personalizzare davvero un programma di dimagrimento. Magari iniziando dalle cose che accadono più di frequente.

Una volta identificati i meccanismi attivanti è necessario concedersi il tempo necessario al cambiamento, iniziando un

passo alla volta. Non è importante ciò che si deve fare, ma ciò che la persona pensa di poter fare. Solo dopo che un cambiamento è diventato una consuetudine nella routine quotidiana si dovrebbe puntare ad un altro. Anche il mangiare emotivo è "curabile", malgrado necessiti un lavoro specifico e focalizzato, con tecniche e strategie del tutto dedicate. Smettere di sentirsi in colpa: il senso di colpa induce le persone a nascondersi, e sfuggire dal proprio problema. Questo non serve. Chi ha un problema di peso non è colpevole ma vittima di un complesso meccanismo che sembra creato apposta per indurre le persone ad ingrassare. Infine, eliminiamo la famigerata parola "dieta". Certo, lo sappiamo bene, lo abbiamo sentito tante volte. Il termine dieta non significa privazione, rinuncia, fatica, sacrifici. Il termine dieta deriva dal greco e significa “modo di vivere”. Questo, ciò che viene ribadito ad ogni occasione, di solito, da chi le diete le propone. Ma il punto non è determinare il valore etimologico del vocabolo, bensì conoscere cosa rappresenti nell’immaginario di una persona quando si rivolge ad uno specialista per perdere peso. Ebbene, si tratta un progetto a termine, che di norma, implica una scadenza, come uno yogurt. L’idea stessa di mettersi a dieta, dà in partenza

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una idea sbagliata di ciò che dovrebbe accadere nella vita, ossia modificare la propria relazione con il cibo, finalizzandola ai valori che riteniamo più importanti, e che spesso, senza accorgersene vengono sabotati dal cattivo utilizzo che facciamo del cibo.

In conclusione Certo, chi avrà avuto la pazienza di leggere fino in fondo avrà capito che in gioco c’è ben più di ricevere un consiglio dopo averlo richiesto, fiduciosi che questa sia la volta buona. Affatto. Le persone sbagliano quando pensano di aver trovato, finalmente, il terapeuta giusto: “il dottore è bravo, lui sa cosa è meglio per me”. E sbagliamo anche noi terapeuti quando crediamo di poter guarire i nostri pazienti. In realtà deve cambiare totalmente l’approccio con la persona. Bisogna che chi ha il problema sia coinvolto nel cambiamento, protagonista nelle decisioni. Non basta dire alle persone come devono comportarsi, occorre che credano di poterlo fare, dopo averlo considerato importante per se. Agire in simbiosi con la persona che chiede aiuto, accettandone le difficoltà, considerandola, genuinamente, parte del cambiamento, non una persona da cambiare. Relazione, motivazione e pensieri, tutti assieme a stimolare nuovi e più funzionali comportamenti, così che la perdita di peso non sia un obiettivo ma un nuovo modo di vivere la vita. In breve: modificazione dello stile di vita ed anche del modo di interpretarla.

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Idratazione durante attività sportiva

A cura del Dott. Andrea Urso

“il prezzo che il nostro organismo deve pagare per il mantenimento dei processi

termoregolativi e’ elevato e il mancato adempimento puo’ portare anche alla morte. un

uomo e’ in grado di sopportare un abbassamento della temperatura profonda del corpo

fino a 10°c ma difficilmente e’ in grado di sopportare innalzamenti superiori ai 5°c.”

L'acqua è un elemento fondamentale per la vita

dell'essere umano e soprattutto per lo sportivo.

In particolare in chi pratica attività di lunga

durata e/o che si svolgono in un ambiente che

determina una sudorazione abbondante

(irraggiamento, tasso di umidità, temperatura).

Importante per lo sportivo arrivare in

allenamento e a maggior ragione in gare in condizioni di perfetta idratazione ed è

fondamentale reintegrare le perdite di liquidi causate dalla sudorazione. Una insufficiente

idratazione durante l’attività sportiva determina un peggioramento della performance e può

diventare addirittura pericolosa fino a compromettere lo stato di salute, se le perdite sono

maggiori.

Non bisogna dimenticare che l'organismo perde di continuo acqua attraverso i reni (urina),

l'apparato digerente (feci), la cute (sudore) e i polmoni (vapore acqueo). Inoltre

giornalmente le ghiandole dello stomaco e del primo tratto dell'intestino secernono una

grande quantità di liquidi dai 7 ai 10 litri, che vengono quasi totalmente riassorbiti

nell'intestino crasso.

Affinché quindi il bilancio idrico sia mantenuto, le perdite di acqua devono essere

pareggiate dalle assunzioni, ricordando che la sudorazione non è l’unico aspetto da tenere

in considerazione. Una gran parte dell'acqua esogena non deriva dalle bevande, ma dai

cibi. Infatti sono pochi i cibi totalmente privi di acqua. Frutta, verdura, carne, pesce, sono

costituiti da circa il 70% e più di acqua.

Per arrivare all’allenamento ben idratati, soprattutto nei periodi invernali, è sufficiente

seguire un’ alimentazione bilanciata, bevendo costantemente durante la giornata,

dilazionando l’introito di acqua. L’errore comune è quello di bere ingenti quantitativi di

liquidi in una sola volta, obbligando il nostro organismo a reagire per ripristinare

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l’omeostasi, attraverso la deplezione dei liquidi in eccesso. Il discorso è differente per

determinati allenamenti in periodi caldi, come ad esempio un “lungo” corso agosto, che

prevede la necessità di una “pre-idratazione” strutturata, al fine di prevenire una

disidratazione durante l’allenamento. Questa pre-idratazione può essere effettuata con

bevande saline ipotoniche. Durante l’allenamento, nei periodi invernali può essere bevuta

solo acqua ma sempre per allenamenti lunghi, per altre tipologie di allenamento basterà

arrivare all’inizio della seduta ben idratati.

Dopo l’allenamento, nei periodi invernali, sempre solo acqua. Il discorso cambia in

condizioni di temperatura e/o umidità elevate. Quando le condizioni climatiche sono tali da

determinare la produzione di notevoli quantità di sudore, è fondamentale che ci si

preoccupi di bere prima , durante e dopo la competizione o l’allenamento, in base alle

caratteristiche dell'impegno stesso. E' fondamentale, in ogni caso, la scelta della bevanda

più adeguata, soprattutto quella che viene assunta immediatamente prima o nel corso

dello sforzo: essa deve essere tale per cui sia minima la permanenza nello stomaco e sia

rapido l'assorbimento a livello intestinale.

L'American College of Sports Medicine consiglia di assumere circa 500 mL di fluidi 2h

prima dell'esercizio per favorire una adeguata idratazione ed avere il tempo necessario per

eliminare l'eccesso. La raccomandazione dell'American Dietetics Association è molto

simile: da 400 a 600 mL di fluidi 2 h prima. La National Athletic Training Association sua

sostiene che per garantire una adeguata idratazione pre esercizio, l'atleta dovrà

consumare circa 500-600 mL di acqua o bevanda specifica per lo sport 2-3 ore prima

dell'esercizio e 200-300 mL di acqua o bevanda specifica 10-20 minuti prima dell'inizio

della competizione. La quantità di liquidi che è bene assumere appena finito il

riscaldamento e prima dell'inizio dello sforzo dipende dalla capacità di sopportare la

presenza della bevanda nello stomaco, senza avvertire disagio. Specie in attività come la

corsa, bevande molto concentrate e ricche di soluti, possono dare luogo a problemi

intestinali. Per quello che riguarda le quantità di liquidi da assumere durante, l'American

Dietetics Association raccomanda di bere da 150 a 350 mL ad intervalli di 15-20

minuti.

E' però impossibile dare indicazioni quantitative esatte per ciascun atleta, poichè il volume

dei liquidi da assumere dovrà essere in relazione con il volume di quelli persi e

quest'ultimo risente di vari fattori. Inoltre le possibilità di reintegrare i liquidi variano a

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seconda della disciplina: nei giochi di squadra è possibile farlo negli intervalli e nelle pause

di gioco, mentre nella maratona e nella marcia ai punti di ristoro e così via.

La quantità di liquido da assumere non deve causare un'eccessiva dilatazione dello

stomaco e la quantità massima che provoca fastidio è differente da individuo a individuo e

in rapporto alla disciplina. Quindi ciascun atleta deve individuare quale sia quella adatta a

lui con l'aiuto di un professionista abilitato. Un nutrizionista esperto saprà individuare le

esigenze dell'atleta e consigliare adeguatamente, con l'obiettivo il benessere a 360°

dell'atleta .

BIBLIOGRAFIA

1) L’idratazione dello sportivo , Maurizio Schiavon , Daniele Bordin Padova Dip.

Medicina dello sport

2) PUBMED : Eston R, Evans R, Fu F. Estimation of body compositionin Chinese and

British men by ultrasonographicassessement of segmental adipose tissue volume. Br

JSports Med. 1994; 28: 9-13.

3) Valutazione della composizione corporea nell’atleta:metodiche integrate per la

valutazione di massa grassa,massa magra e stato di idratazione

4) Study of body composition in athlete: methods for fat mass,free fat mass and

hydration status evaluationP. BRANCACCIO1, S. ASCIONE1, C. GRASSO1, T. INGINO2,

F. M. LIMONGELLI1

1Seconda Università degli Studi di Napoli, Dipartimento di Medicina Sperimentale,

Servizio di Medicina dello Sport 2Università degli Studi di Salerno, Dipartimento di Scienze

Farmaceutiche

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Bioimpedenziometria e composizione corporea

A cura di : Dott. Giulio Maria Ranalli

La bioimpedenziometria, conosciuta in ambito bio-medico con l’acronimo semplificativo

BIA (Body Impedence Assessment), è un metodo “veloce e preciso” Lukaski et al. e,

soprattutto non invasivo, di valutazione della composizione corporea, attraverso l’analisi

della impedenza bioelettrica, utile pe la valutazione dello stato nutrizionale di un soggetto.

Il corpo umano, nella sua complessità costituiva, oppone una certa resistenza al

passaggio di corrente (impedenza = Z) espressa come rapporto tra l'ampiezza di un

potenziale alternato e la conseguente ampiezza della corrente alternata in un conduttore

biologico. Il concetto di impedenza bioelettrica è stato approfondito da Lukaski, nel 1985:

Z = opposizione di un conduttore

biologico verso una corrente

alternata.

La bioimpedenziometria è un metodo

indiretto di valutazione della

composizione corporea,

principalmente in termini di Massa

Magra (FFM: Fat Free Mass), Massa

Grassa (FM: Fat Mass), Fluidi

Corporei Totali (TBW: Total Body Water), campione dipendente, che presenta però

numerosi pregi e vantaggi: rapidità di esecuzione, facilità d'uso, non invasività, più

economica della DEXA (densitometria), trasportabile, quindi ideabile sia per l'ambulatorio

che per le rilevazioni da campo.

E’ necessario specificare alcuni concetti riguardo la composizione corporea, poichè si può

parlare di modelli compartimentali e, in base al tipo di analisi che viene effettuata ed in

funzione del risultato atteso possono essere fatte osservazioni differenti.

Partendo dal più antico e classico, nonchè desueto, modello mono-compartimentale, si

può inquadrare un individuo in base al solo peso corporeo e all’altezza (BMI), risultando

una analisi di tipo quantitativo.

In seconda battuta identifichiamo il modello bi-compartimentale, anche esso piuttosto

desueto, sempre di tipo quantitativo, il quale fotografa il corpo come una struttura

composta da FFM e da FM ed assumendo che la quantità dei fluidi corporei sia

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fisiologicamente ed ipoteticamente fissata al 73%, la TBW è costitutivamente presente

all’interno della FFM.

Poichè la semplicistica valutazione con modello bi-compartimentale non consentiva una

discriminazione funzionale e strutturale tra soggetti con stesso peso corporeo, altezza ed

età ma aventi, evidentemente, differenti caratteristiche morfo-funzionali nonchè fisio-

patologiche, è stato adottato il modello tri-compartimentale.

Questo modello prevede la distinzione di tre compartimenti, rispettivamente FM, BCM

(Body Cell Mass) e ECM (Extra Cellular Mass). La BCM ovvero massa cellulare è quella

componente, particolarmente rilevante nella valutazione antropometrica nutrizionale e

fisio-funzionale, della composizione corporea ricca in potassio, che scambia ossigeno e

che ossida il glucosio per la generazione di energia. Moore et al.

La ECM ovvero massa extra cellulare è quell’insieme di fluidi e tessuti corporei che include

il plasma, i fluidi interstiziali, l'acqua transcellulare (fluido cerebrospinale, fluidi articolari), i

tendini, il derma, il collagene, l'elastina e lo scheletro. Moore et al.

I fluidi interstiziali possono essere definiti Fluidi Extra Cellulari (ECW: Extra Cellular Water)

sono rappresentati come percentuale dei fluidi corporei totali (TBW) e rappresentano

quindi la porzione maggiore della ECM.

La massa cellulare sommata alla massa extra cellulare andrà a formare la massa magra

(FFM=ECM+BCM).

Per una valutazione ottimale dello stato nutrizionale e, eventualmente, un monitoraggio nel

tempo, occorre quindi un esame di tipo qualitativo (BIA) e non quantitativo (BMI). Assunto

che le variazioni di peso si possono avere nell’ordine di ore (ECW), di giorni (TBW, FFM

[ECM,BCM]) e di settimane (FM) è implicito pensare che sia fondamentale effettuare un

esame di tipo qualitativo con BIA per valutare la componente “liquida” (ECW) e la

componente “solida” (BCM ed ECM), conseguentemente si può conoscere anche il

rapporto ECM/BCM che dovrebbe assestarsi su valori di ±0.95.

Questo rapporto può variare sia in termini di ▲o▼ ECM (▲o▼ ECW) sia in termini di

▲o▼ BCM.

Ad esempio, nel caso di abbondante ritenzione idrica si avrà ECM/BCM=±1.30 ossia ▲

ECM (▲ ECW) e ◄►BCM, per cui vedremo prevalentemente un incremento di fluidi extra

cellulari e un valore di BCM pressochè invariato. Nel caso contrario, invece, di un soggetto

disidratato avremo ECM/BCM=±0.6 ossia ▼ ECM (▼ ECW) e ◄►BCM, per cui il

soggetto avrà perso in fluidi extra cellulari pur preservando la massa muscolare.

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Gli esempi sopra riportati si riferiscono, ovviamente, a casistiche tanto comuni quanto di

facile interpretazione, poichè se l’alimentazione e l’allenamento risultano corretti e

bilanciati le variazioni si avranno solo a carico dei fluidi e del livello di idratazione, per cui

l’intervento nutrizionale sarà piuttosto semplice nonchè immediato. Sarebbe cosa ben

diversa se si prospettasse uno scenario differente, ossia variazioni (in negativo s’intend

a carico della BCM, con decremento della massa muscolare, la cui diminuzione potrebbe

anche essere il campanello d’allarme per una eventuale patologia.

In conclusione, l’analisi e la valutazione

della composizione corporea, utilizzando il

modello tri-compartimentale, mediante

bioimpedenziometria, è parte integrante

della biologia della nutrizione

(principalmente ma non esclusivamente) e degli approcci tecnico

applicare per migliorare un determinato quadro fisiologico o patologic

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Gli esempi sopra riportati si riferiscono, ovviamente, a casistiche tanto comuni quanto di

facile interpretazione, poichè se l’alimentazione e l’allenamento risultano corretti e

azioni si avranno solo a carico dei fluidi e del livello di idratazione, per cui

l’intervento nutrizionale sarà piuttosto semplice nonchè immediato. Sarebbe cosa ben

diversa se si prospettasse uno scenario differente, ossia variazioni (in negativo s’intend

a carico della BCM, con decremento della massa muscolare, la cui diminuzione potrebbe

anche essere il campanello d’allarme per una eventuale patologia.

In conclusione, l’analisi e la valutazione

della composizione corporea, utilizzando il

compartimentale, mediante

bioimpedenziometria, è parte integrante

della biologia della nutrizione

(principalmente ma non esclusivamente) e degli approcci tecnico-pratici che si possono

applicare per migliorare un determinato quadro fisiologico o patologic

Gli esempi sopra riportati si riferiscono, ovviamente, a casistiche tanto comuni quanto di

facile interpretazione, poichè se l’alimentazione e l’allenamento risultano corretti e

azioni si avranno solo a carico dei fluidi e del livello di idratazione, per cui

l’intervento nutrizionale sarà piuttosto semplice nonchè immediato. Sarebbe cosa ben

diversa se si prospettasse uno scenario differente, ossia variazioni (in negativo s’intende)

a carico della BCM, con decremento della massa muscolare, la cui diminuzione potrebbe

pratici che si possono

applicare per migliorare un determinato quadro fisiologico o patologico.

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DISBIOSI INTESTINALE

A cura della Dott.ssa Giusi Balzano

Con il termine disbiosi si identifica una generica

alterazione della flora batterica umana ed è per tale

motivo che è seguito da un aggettivo che specifica il

distretto corporeo interessato (vaginale, cutanea, orale

ecc…). Quando si parla, invece, di disbiosi si fa in

genere riferimento ad una alterazione della microflora,

prevalentemente batterica che alberga nell’intestino

umano, soprattutto in quello crasso e si identifica

come disbiosi intestinale. A tale livello è presente una

elevata quantità e varietà di microrganismi; basti

pensare che in un grammo di feci si rinvengono circa 100 miliardi di batteri. Ogni giorno la

pubblicità ci ricorda quanto sia importante il normale equilibrio di questa flora batterica in

cui dovrebbero prevalere i simbionti cioè batteri amici dell’organismo che ostacolano la

proliferazione dei patogeni, migliorando la funzionalità della mucosa intestinale e, di

riflesso, la salute dell’intero organismo. Nonostante l’importanza della flora batterica

intestinale la disbiosi non è ancora considerata una vera e propria malattia anche se

sempre più spesso viene chiamata in causa come elemento scatenante di svariati disturbi

e patologie. In caso di disbiosi, infatti, organismi a bassa virulenza intrinseca, possono

indurre malattie tramite alterazioni dello stato nutrizionale o risposta immune

dell’organismo causando direttamente o indirettamente numerosi disturbi quali: cattiva

digestione, gonfiore ed aria addominale, infiammazione dell’apparato digerente,

intolleranze alimentari, sviluppo di candidosi ed altri funghi a livello della cute e delle

mucose, cistiti ricorrenti.

Le diverse disbiosi

Si possono distinguere cinque principali tipi di disbiosi:

� Disbiosi deficitaria o carenziale: l’esposizione a farmaci o una dieta priva di fibre solubili

può creare un deficit di flora comprendente Bifidobatteri e Lattobacilli. I farmaci coinvolti in

questo tipo di disbiosi spaziano dagli antibiotici (soprattutto clindamicina, cefoperazone,

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ceftriaxone e eritromicina), cortisonici, immunosopressori, radioterapia, contraccettivi orali

e psicofarmaci.

� Disbiosi putrefattiva: dovuta ad una dieta ricca in grassi e carne con basso apporto di fibre

il che comporta un’aumentata concentrazione in batteroidi e l’induzione della

metabolizzazione degli acidi grassi biliari.

� Disbiosi fermentativa: condizione di intolleranza ai carboidrati indotta da un’eccessiva

fermentazione batterica, per lo più dovuta ad una sovracrescita batterica a livello del

piccolo intestino, dove sono ricchi i substrati fermentabili. Si osservano frequenti

intolleranze a verdure a foglia verde, legumi, mais e castagne.

� Disbiosi da sensibilizzazione: dovuta ad una risposta immune anomala ai componenti

della microflora fisiologica; la causa è ritenuta essere un deficit di IgA e/o una barriera

immunitaria insufficiente.

� Disbiosi da funghi: è una variante della disbiosi fermentativa dovuta alla sovracrescita di

saccaromiceti o della Candida ed è favorita da un’alimentazione ricca in zuccheri, alimenti

raffinati e povera di fibre. Da non trascurare come causa di disbiosi intestinale le

intossicazioni da metalli pesanti (piombo, cadmio, mercurio), le patologie dell’apparato

gastroenterico e le infezioni da protozoi, nematodi e Rotavirus.

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DIETA MEDITERRANEA: I BENEFICI DELLA DIETA OTTIMALE PER ANTONOMASIA A cura della dott.ssa Marialaura Ingenito

Studi epidemiologici hanno dimostrato che una maggiore aderenza alla Dieta Mediterranea è associata ad un longevità prolungata con un significativo miglioramento dello stato di salute , com’è dimostrato anche da una riduzione significativa della mortalità generale, della mortalità per malattie cardiovascolari, dell’incidenza e mortalità per tumore e del morbo di Parkinson e della malattia di Alzheimer. Il termine “dieta” si riferisce all’etimo greco “stile di vita ” cioè all’insieme delle pratiche, delle rappresentazioni, delle espressioni, delle conoscenze, delle abilità, dei saperi e degli spazi culturali con i quali le popolazioni del Mediterraneo hanno creato e ricreato nel corso dei secoli una sintesi tra l’ambiente culturale, l’organizzazione sociale, l’universo mitico e religioso intorno al mangiare. La Dieta Mediterranea, nata a Pioppi frazione di Po llica nel Cilento, nel 2010 viene riconosciuta dall’UNESCO “Bene Immateriale dell’Umanità ”, un prestigioso riconoscimento che indubbiamente identifica questo tipo di alimentazione come espressione e prodotto di una Cultura, quella Mediterranea che certamente ha segnato il progresso dell’Umanità. Il primo ad intuire la connessione tra alimentazione e malattie del ricambio fu il medico nutrizionista Lorenzo Piroddi , nel 1939, considerato il “padre” della dieta mediterranea. Qualche anno dopo fu lo scienziato americano Keys che, trasferitosi a Pioppi rimase nel Cilento per 28 anni, studiando accuratamente l’alimentazione della popolazione locale e giungendo alla conclusione che la dieta mediterranea apportava evidenti benefici alla salute. Il suo ragionamento partiva dall’allora scarsa incidenza delle malattie coronariche al Sud e qui riuscì a provare la relazione tra l’assunzione dell’olio d’oliva e il funzionamento dell’apparato cardiocircolatorio. La Dieta Mediterranea è caratterizzata da un modello nutrizionale rimasto costante nel tempo e nello spazio, costituito principalmente da olio di oliva, cereali integrali, frutta fresca o secca e verdure, una moderata quantità di pesce, latticini e carne soprattutto bianca, e molti condimenti e spezie, il tutto accompagnato da vino o infusi, sempre in rispetto delle tradizioni di ogni comunità. Tuttavia, la Dieta Mediterranea è molto più che un semplice alimento. Essa promuove l'interazione sociale, poiché il pasto in comune è alla base dei costumi sociali e delle festività condivise da una data comunità, e ha dato luogo a un notevole corpus di conoscenze, canzoni, massime, racconti e leggende. La Dieta si fonda nel rispetto per il territorio e la biodiversità, e garantisce la conservazione e lo sviluppo delle attività tradizionali e dei mestieri collegati alla pesca e all'agricoltura nelle comunità del Mediterraneo come nelle zone della Soria in Spagna, Koroni in Grecia, Cilento in Italia e Chefchaouen in Marocco. Va quindi considerata, in base alle sue tradizionali caratteristiche, come una dieta prevalentemente vegetariana , normoproteica e iperglicidica, ricca di fibre, acqua e sostanze antiossidanti, capace di esercitare un benefico effetto anche sui comportamenti

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alimentari, migliorando sia la sazietà immediata dopo il pasto che il senso di fame che precede il pasto successivo. Contraddistinta anche da una bassa densità energetica, un basso “carico glicemico” (ottenuto utilizzando alimenti a basso”indice glicemico”) risulta molto gradevole e ben accetta anche se presenta tempi medio-lunghi per la preparazione delle pietanze e, soprattutto nelle società molto urbanizzate, costi piuttosto elevati. Possiamo quindi affermare che la Dieta Mediterranea, nella sua comune considerazione e definizione, rappresenta realmente ed ancora oggi un buon presidio non farmacologico per la nostra salute , che insieme ad un regolare e costante esercizio muscolare è alla base della Medicina Preventiva e contribuisce alla cura di molte patologie, potenziando tra l’altro l’efficacia terapeutica dei farmaci patologia - specifici.

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ERBE AROMATICHE E SALE, IN CUCINAa cura di Dott.sa Beltrami Martina Le erbe aromatiche, tipiche della storia gastronomica e culturale mediterranea, hanno avuto un ruolo molto importante nei secoli passati, che è andato via via scemando con la diffusione del sale da cucina. In passato, il sale, era considerato un prodotto prezioso e quindi di non facile reperibilità, oggi è a disposizione di tutti ed ha in gran parte sostituito l'uso delle erbe aromatiche nella preparazione degli alimenti. Il Sodio, il principale minerale contenuto nel sale da cucina, è un micronutriente estremamente importante per il nostro organismo, regola l'osmolarità del sangue, forma gradienti elettrochimici per la trasmissione degli impulsi nervosi e muscolari, regola l'equilibrio acido/base. Il ricambio giornaliero di questo minerale è compreso tra 0,1 e 0,6gr al giorno e si raccomanda un'assunzione giornaliera tra lo 0,6gr e 2,5gr (1)Il sale che noi assumiamo attraverso l'alimentazione può derivare da diverse fonti: quello contenuto naturalmente nel prodotto, quello che viene aggiunto per motivi di conservazione o preparazione nei prodotti industriali elaborati, e quello che viene aggiunto in cucina durante la preparazione dei pasti.E' stato stimato che, al giorno d'oggi, un indiv4gr di Sodio, al giorno: quasi 10 volte le necessità fisiologiche. (2)

Fonti di sale nell'alimentazione quotidiana. Fonte INRAN

Un eccesso di Sodio nella dieta aumenta il rischio di ipertensione, didei vasi sanguigni e dei reni, alcuni studi hanno evidenziato che un alevato consumo di sodio è associato all'insorgenza di tumori allo stomaco. Ridurre il consumo di sale rappresenta quindi un forte fattore di prevenzione per moltissime patologie e un atto necessario per migliorare le condizioni di salute di moltissimi soggetti. Per beneficiare di un ridotto apporto di Sodio, bisognerebbe scendere almeno sotto i 6gr di sale, un cucchiaino, ovvero 2,4gr di Sodio.E' possibile fare maggiore attenzione al sale nascosto negli alimenti elaborati

36,00%

10,00%

Fonti di sale nell'alimentazione quotidiana

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AROMATICHE E SALE, IN CUCINA tt.sa Beltrami Martina

Le erbe aromatiche, tipiche della storia gastronomica e culturale mediterranea, hanno avuto un ruolo molto importante nei secoli passati, che è andato via via scemando

sale da cucina. In passato, il sale, era considerato un prodotto prezioso e quindi di non facile reperibilità, oggi è a disposizione di tutti ed ha in gran parte sostituito l'uso delle erbe aromatiche nella preparazione degli alimenti.

ncipale minerale contenuto nel sale da cucina, è un micronutriente estremamente importante per il nostro organismo, regola l'osmolarità del sangue, forma gradienti elettrochimici per la trasmissione degli impulsi nervosi e muscolari, regola

ido/base. Il ricambio giornaliero di questo minerale è compreso tra 0,1 e 0,6gr al giorno e si raccomanda un'assunzione giornaliera tra lo 0,6gr e 2,5gr (1)Il sale che noi assumiamo attraverso l'alimentazione può derivare da diverse fonti: quello

to naturalmente nel prodotto, quello che viene aggiunto per motivi di conservazione o preparazione nei prodotti industriali elaborati, e quello che viene aggiunto in cucina durante la preparazione dei pasti. E' stato stimato che, al giorno d'oggi, un individuo adulto assume circa 10gr di sale, ovvero 4gr di Sodio, al giorno: quasi 10 volte le necessità fisiologiche. (2)

Figura1.

Fonti di sale nell'alimentazione quotidiana. Fonte INRAN

Un eccesso di Sodio nella dieta aumenta il rischio di ipertensione, didei vasi sanguigni e dei reni, alcuni studi hanno evidenziato che un alevato consumo di sodio è associato all'insorgenza di tumori allo stomaco.

Ridurre il consumo di sale rappresenta quindi un forte fattore di prevenzione per ime patologie e un atto necessario per migliorare le condizioni di salute di

moltissimi soggetti. Per beneficiare di un ridotto apporto di Sodio, bisognerebbe scendere almeno sotto i 6gr di sale, un cucchiaino, ovvero 2,4gr di Sodio.

iore attenzione al sale nascosto negli alimenti elaborati

54,00%

10,00%

Fonti di sale nell'alimentazione quotidiana

Presente nei cibi

trasformati a livello

industriale o nella

ristorazione

Aggiunto in cucina durante

la preparazione casalinga

Presente in natura negli

alimenti

Le erbe aromatiche, tipiche della storia gastronomica e culturale mediterranea, hanno avuto un ruolo molto importante nei secoli passati, che è andato via via scemando

sale da cucina. In passato, il sale, era considerato un prodotto prezioso e quindi di non facile reperibilità, oggi è a disposizione di tutti ed ha in gran parte

ncipale minerale contenuto nel sale da cucina, è un micronutriente estremamente importante per il nostro organismo, regola l'osmolarità del sangue, forma gradienti elettrochimici per la trasmissione degli impulsi nervosi e muscolari, regola

ido/base. Il ricambio giornaliero di questo minerale è compreso tra 0,1 e 0,6gr al giorno e si raccomanda un'assunzione giornaliera tra lo 0,6gr e 2,5gr (1) Il sale che noi assumiamo attraverso l'alimentazione può derivare da diverse fonti: quello

to naturalmente nel prodotto, quello che viene aggiunto per motivi di conservazione o preparazione nei prodotti industriali elaborati, e quello che viene aggiunto

iduo adulto assume circa 10gr di sale, ovvero

Un eccesso di Sodio nella dieta aumenta il rischio di ipertensione, di malattie cardiache, dei vasi sanguigni e dei reni, alcuni studi hanno evidenziato che un alevato consumo di

Ridurre il consumo di sale rappresenta quindi un forte fattore di prevenzione per ime patologie e un atto necessario per migliorare le condizioni di salute di

moltissimi soggetti. Per beneficiare di un ridotto apporto di Sodio, bisognerebbe scendere

iore attenzione al sale nascosto negli alimenti elaborati

Presente nei cibi

trasformati a livello

industriale o nella

Aggiunto in cucina durante

la preparazione casalinga

Presente in natura negli

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industrialmente leggendo le etichette, mentre per quanto concerne l'aggiunta del sale durante la preprazione casalinga è necessario migliorare le proprie abitudini alimentari adottando strategie alternative per dare sapore ai cibi senza l’uso del sale da cucina. Per dare gusto agli alimenti, limitando fortemente l'aggiunta di sale in cucina, sarebbe utile riscoprire l’uso delle erbe aromatiche nelle preparazioni culinarie: aglio, alloro, basilico, erba cipollina,maggiorana, menta, origano,prezzemolo, rosmarino, salvia, timo; sono solo alcune tra le più diffuse erbe aromatiche della tradizione mediterranea.Insaporire i cibi con le erbe aromatiche, non solo permette di ridurre il consumo di sale ma permette di arricchire la propria alimentazione con vitamine e minerali essenziali.La maggior parte delle Erbe aromatiche ha proprietà antiossidanti significative, sono infatti tutte estremamente ricche in vitamina A, poi si distinguono per avere altri quantità variabile; ad esempio la Salvia e il Basilico sono particolarmente ricche in vitamina K; il Timo è ricco di vitamina C; Maggiorana e Alloro sono ricchi di Ferro e Manganese. Alloro, Salvia, Basilico e Timo sono in oltre erbe aromatiche con un contenuto naturale di Sodio estremamente basso. 100gr di Alloro contengono circa 23mg di Sodio, 100gr di Salvia ne contengono circa 11mg, il Timo, contiene in 100gr solo 9mg di Sodio, e il Basilico ne ha solo 4mg. Riscoprire l'uso delle erbin cucina rappresenta quindi un'occasione unica per dare più gusto ai nostri cibi e più salute al nostro organismo, un modo per integrare del termine - la nostra alimentazione in modo naturale e a costo zero.

1. RDA (Reccomended Daily Allowance)2. “Poco sale per guadagnare salute”

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industrialmente leggendo le etichette, mentre per quanto concerne l'aggiunta del sale durante la preprazione casalinga è necessario migliorare le proprie abitudini alimentari

ernative per dare sapore ai cibi senza l’uso del sale da cucina.

Per dare gusto agli alimenti, limitando fortemente l'aggiunta di sale in cucina, sarebbe utile riscoprire l’uso delle erbe aromatiche nelle preparazioni culinarie: aglio, alloro, basilico,

rba cipollina,maggiorana, menta, origano,prezzemolo, rosmarino, salvia, timo; sono solo alcune tra le più diffuse erbe aromatiche della tradizione mediterranea.Insaporire i cibi con le erbe aromatiche, non solo permette di ridurre il consumo di sale ma

rmette di arricchire la propria alimentazione con vitamine e minerali essenziali.La maggior parte delle Erbe aromatiche ha proprietà antiossidanti significative, sono infatti tutte estremamente ricche in vitamina A, poi si distinguono per avere altri quantità variabile; ad esempio la Salvia e il Basilico sono particolarmente ricche in vitamina K; il Timo è ricco di vitamina C; Maggiorana e Alloro sono ricchi di Ferro e

Alloro, Salvia, Basilico e Timo sono in oltre erbe atiche con un contenuto naturale di Sodio

100gr di Alloro contengono circa 23mg di Sodio, 100gr di Salvia ne contengono circa 11mg, il Timo, contiene in 100gr solo 9mg di Sodio, e il Basilico

Riscoprire l'uso delle erbe aromatiche in cucina rappresenta quindi un'occasione unica per dare più gusto ai nostri cibi e più salute al nostro organismo, un modo per integrare - nel senso più ampio

la nostra alimentazione in modo naturale e

Bibliografia 1. RDA (Reccomended Daily Allowance) 2. “Poco sale per guadagnare salute” www.salute.gov.it ministero della salute

industrialmente leggendo le etichette, mentre per quanto concerne l'aggiunta del sale durante la preprazione casalinga è necessario migliorare le proprie abitudini alimentari

ernative per dare sapore ai cibi senza l’uso del sale da cucina.

Per dare gusto agli alimenti, limitando fortemente l'aggiunta di sale in cucina, sarebbe utile riscoprire l’uso delle erbe aromatiche nelle preparazioni culinarie: aglio, alloro, basilico,

rba cipollina,maggiorana, menta, origano,prezzemolo, rosmarino, salvia, timo; sono solo alcune tra le più diffuse erbe aromatiche della tradizione mediterranea. Insaporire i cibi con le erbe aromatiche, non solo permette di ridurre il consumo di sale ma

rmette di arricchire la propria alimentazione con vitamine e minerali essenziali. La maggior parte delle Erbe aromatiche ha proprietà antiossidanti significative, sono infatti tutte estremamente ricche in vitamina A, poi si distinguono per avere altri micronutrienti in quantità variabile; ad esempio la Salvia e il Basilico sono particolarmente ricche in vitamina K; il Timo è ricco di vitamina C; Maggiorana e Alloro sono ricchi di Ferro e

ministero della salute

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L’ OMOCISTEINA

A cura del dott. Andrea Urso

nostro organismo si forma dalla sintesi delle proteine animali.L’omocisteina deriva dalla

metabolizzazione della metionina, un aminoacido proteico che noi introduciamo

nell’organismo con il consumo di carne, uova, latte e suoi derivati.

Il suo metabolismo è regolato delle alle vitamine B6 e B12 e dai folati che noi

introduciamo sempre con l’alimentazione.

queste vitamine sono ricchi alimenti quali pesci,

frutta, verdura e legumi. In particolare di vitamina

B6 sono ricchi cereali integrali, germe di grano,

polpo, fave, banane e avocado.

I folati si trovano soprattutto in verdure come

broccoli, cavoli, asparagi, spinaci, bieta, broccoletti.

La vitamina B12 è presente in alimenti come carni bianche, manzo, merluzzo, tonno,

sgombro, rombo, fegato e carne di

I meccanismi attraverso i quali si esplica l'azione patogena dell'omocisteina sul sistema

cardiovascolare includono l'attivazione della trombogenesi, l'incremento della produzione

di perossido di idrogeno con conseguente disfunzione endoteliale, l'

I fattori che determinano iperomocisteinemia sono:

• Fattori Genetici

• Fattori Alimentari

• Patologie Renali

• Altre condizioni patologiche.

È importante mantenere i livelli plasmati

l’iperomocisteinemia sembra:

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L’omocisteina è un aminoacido

tempi ha molto interessato la medicina perché, al

pari del colesterolo, è ritenuto un fattore di rischio

per malattie cardiovascolari e tromboemboliche

come ictus cerebrale e trombosi.

La provenienza dell’omocisteina è alimentare e nel

tro organismo si forma dalla sintesi delle proteine animali.L’omocisteina deriva dalla

metabolizzazione della metionina, un aminoacido proteico che noi introduciamo

nell’organismo con il consumo di carne, uova, latte e suoi derivati.

regolato delle alle vitamine B6 e B12 e dai folati che noi

introduciamo sempre con l’alimentazione. Di

queste vitamine sono ricchi alimenti quali pesci,

frutta, verdura e legumi. In particolare di vitamina

B6 sono ricchi cereali integrali, germe di grano,

polpo, fave, banane e avocado.

I folati si trovano soprattutto in verdure come

broccoli, cavoli, asparagi, spinaci, bieta, broccoletti.

La vitamina B12 è presente in alimenti come carni bianche, manzo, merluzzo, tonno,

sgombro, rombo, fegato e carne di manzo.

I meccanismi attraverso i quali si esplica l'azione patogena dell'omocisteina sul sistema

cardiovascolare includono l'attivazione della trombogenesi, l'incremento della produzione

di perossido di idrogeno con conseguente disfunzione endoteliale, l'ossidazione delle LDL.

I fattori che determinano iperomocisteinemia sono:

È importante mantenere i livelli plasmatici di omocisteina nella norma

L’omocisteina è un aminoacido che negli ultimi

tempi ha molto interessato la medicina perché, al

pari del colesterolo, è ritenuto un fattore di rischio

per malattie cardiovascolari e tromboemboliche

come ictus cerebrale e trombosi.

La provenienza dell’omocisteina è alimentare e nel

tro organismo si forma dalla sintesi delle proteine animali.L’omocisteina deriva dalla

metabolizzazione della metionina, un aminoacido proteico che noi introduciamo

regolato delle alle vitamine B6 e B12 e dai folati che noi

La vitamina B12 è presente in alimenti come carni bianche, manzo, merluzzo, tonno,

I meccanismi attraverso i quali si esplica l'azione patogena dell'omocisteina sul sistema

cardiovascolare includono l'attivazione della trombogenesi, l'incremento della produzione

ossidazione delle LDL.

ci di omocisteina nella norma perché

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• favorire l’ aterosclerosi

• aggravare lo stress ossidativo

• ridurre la vasodiltazione

• aumentare l’attivazione, l’adesione e l’aggregazione piastrinica favorendo il rischio di

trombosi.

L’iperomocisteinemia risulta essere causata da un insieme di più fattori: alcuni di questi

non sono modificabili (predisposizione genetica, sesso, età), altri sono difficilmente

modificabili (stati patologici, terapie farmacologiche...), mentre quelli legati a determinati

stili di vita sono invece modificabili (tabagismo, eccessivo consumo di caffè e di bevande

alcoliche, alimentazione scorretta, ridotta attività fisica...). Pertanto la riduzione del

consumo di caffè e di bevande alcoliche, una dieta varia e una supplementazione

vitaminica mirata (Vit. B6, B12, e folati) nonché l’astensione dal fumo, possono ridurre i

livelli di omocisteina anche in presenza di altre cause.

Strategie Terapeutiche

Quando necessario le modifiche dello stile di vita dovrebbero essere prese in seria

considerazione in tutti i pazienti:

• sia nei soggetti con iperomocisteinemia borderline (10-12 µmol/L),

• che in quelli che richiedono un trattamento con supplementazione vitaminica.

La finalità è quella di ridurre i valori plasmatici di omocisteina modulando così i fattori di

rischio correlati e le condizioni cliniche associate.

Per modifiche dello stile di vita si intende:

1) incremento dell’apporto di frutta e verdura;

2) abolizione del fumo;

3) incremento dell’attività fisica;

4) riduzione del consumo di alcool;

5) riduzione del consumo di caffè.

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Modifiche dello Stile di Vita

L’iperomocisteinemia risulta essere causata da un insieme di più fattori, alcuni di questi

non sono modificabili (predisposizione genetica, sesso, età) altri, sono difficilmente

modificabili (stati patologici, terapie farmacologiche...),mentre quelli legati a determinati

stili di vita sono invece modificabili (tabagismo, eccessivo consumo di caffè e di bevande

alcoliche, alimentazione scorretta, ridotta attività fi sica...).

Pertanto la riduzione del consumo di caffè e di bevande alcoliche, una dieta varia e una

supplementazione vitaminica mirata (Vit. B6, B12, e folati) nonché l’astensione dal fumo,

possono ridurre i livelli di omocisteina anche in presenza di altre cause.

È bene ricordare che non esiste un solo alimento “completo” o “perfetto” che contenga

tutte i nutrienti nella giusta quantità e che sia quindi in grado di soddisfare da solo i nostri

fabbisogni nutrizionali. Di conseguenza, il modo più semplice e sicuro per garantire, in

misura adeguata, l’apporto di tutti i nutrienti indispensabili, è quello di variare il più

possibile le scelte seguendo una dieta equilibrata. Comportarsi in questo modo significa

non solo evitare possibili squilibri nutrizionali e conseguenti squilibri metabolici, ma anche

soddisfare maggiormente il gusto e combattere la monotonia dei sapori.

Diversificare le scelte alimentari assicura un maggior benessere, favorendo un apporto di

vitamine e di minerali completo, che svolgono in vari modi una funzione regolatrice e

protettiva per l’organismo. Per realizzare una dieta completa e bilanciata sarà sufficiente

fare in modo che ogni gruppo di alimenti sia rappresentato secondo le porzioni indicate,

variando il più possibile le scelte .

BIBLIOGRAFIA

1) www.accmed.org

2) “Linee guida della società italiana dell'ipertensione arteriosa sulla

misurazioneconvenzionale e automatica della pressione arteriosa nello studio medico,

adomicilio e nelle 24 ore”, G.Parati,

3) Statistica medica e biomatematica”, 13/e Lantieri, Rovida, Ravera, Risso, ECIG,

2003

4) PUBMED : Armitage J M et al on behalf of the SEARCH Collaborative Group. Effect

of homocysteine-lowering with folic acid plus vitamin B12 vs placebo on mortality and

major morbidity in myocardial infarction survivors. JAMA 2010; 303:2486-2494.

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IL SUCCO DEL MELOGRANO A cura del dott. Gioacchino Di Leo

Differenti ricerche svolte in varie parti del mondo confermano che il succo di melograno o meglio alcune sostanze ottenute con una particolare estrazione, rappresentano una delle fonti più ricche di sostanze antiossidanti naturali.(1-3) Recenti ricerche, non solo confermano quanto detto prima ma consentono di ipotizzare come un utilizzo continuato di tali estratti possa ritardare il processo aterosclerotico e/o addirittura, in qualche caso, “invertirlo”. Questi strabilianti risultati indicano che il

melograno è in grado di assicurare una protezione cardiovascolare senza precedenti, ristabilendo un normale stato endoteliale, ma anche di diminuire la pressione sanguigna e di prevenire l’ossidazione delle lipoproteine a bassa densità (LDL), primo movens del processo aterosclerotico a carico degli endoteli arteriosi. Le buone notizie per i consumatori sono che oggi sono disponibili estratti titolati accessibili e altamente purificati.

Il melograno aumenta la produzione endogena di ossi do di azoto, migliorando la funzione endoteliale

Il melograno, quindi, è in grado di svolgere azione protettiva su tutto l’apparato cardiovascolare, contribuendo fra l’altro ad incrementare anche la produzione di ossido di azoto (come fa l’arginina), ottimizzando il funzionamento delle cellule endoteliali dei vasi arteriosi, che risultano così “normalizzati” per quanto riguarda il loro tono arteriolare di base. L'ossido di azoto agisce sui muscoli lisci

vascolari, rilasciandoli: il sangue, di conseguenza, scorrerà con flusso più ordinato attraverso le arterie e le vene. L'ossido di azoto riducendo il tono arteriolare diminuirà lo stress parietale, uno dei fattori chiave nello scatenare e/o sostenere il processo aterosclerotico.(4) Ricerche specifiche sull’argomento dimostrano come la lipoproteina a bassa densità ossidata (LDL) può avere un impatto negativo sulla sintesi dell'ossido di azoto, diminuendo l’attiva catalitica dell’enzima ossido d’azoto sintetasi. Le presenti ricerche sul melograno (e i suoi estratti) hanno evidenziato un forte stimolo all’attività della ossido d’azoto sintetasi (5): e ancora, le proprietà antiossidanti del melograno, preservando l'ossido di azoto dalla distruzione ossidativa, ne aumenterebbe la biodisponibilità tissutale.(6,7).

Uno studio italiano ha esaminato il ruolo del succo del melograno sull'attività della ossido di azoto sintetasi in campioni di sezione dell'arteria di coniglio che già avevano sviluppato un certo grado di aterosclerosi.(8).

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In questi segmenti, il flusso sanguigno viene ostacolato nel regolare percorso a causa della presenza di placche sub-endoteliali, e il risultato consiste in un aumento della tensione parietale (>stress parietale) con conseguente azione di proliferazione del fenomeno aterosclerotico già in atto (ipertrofia e iperplasia dei miociti).

Questo aumento dello stress di parete riduce l'espressione (e quindi l’attività) della ossido di azoto sintetasi, favorendo lo sviluppo e/o la velocità di estensione dei processi deteriorativi a carico degli endoteli interessati dal processo aterosclerotico (aprendo di fatto la strada alla disfunzione endoteliale).

I ricercatori hanno selezionato topi geneticamente predisposti a sviluppare aterosclerosi; li hanno sottoposti a una dieta ricca di grassi, hanno lasciato la malattia libera di svilupparsi per sei mesi e poi hanno aggiunto il succo del melograno all'acqua potabile del gruppo sperimentale per 24 settimane per verificare quali vantaggi potessero conseguirsi.

Al gruppo di controllo (placebo) è stato dato semplicemente la sola acqua potabile.(8) I risultati dimostrano che il succo del melograno non solo ha aumentato l'espressione della ossido di azoto sintetasi, sia nei vasi sanguigni sani che aterosclerotici, ma l’aumento più significativo si è avuto proprio nel gruppo di topi aterosclerotici di partenza.(8) Aumenti di espressione della sintesi dell'ossido di azoto indotti dagli estratti di melograno:

• Su porzioni di arterie con processi aterosclerotici di bassa intensità (+26,1%); • arterie con processi aterosclerotici avanzati (+46,7%); • arterie libere da processi aterosclerotici (+3,3%).

La capacità del melograno di aumentare l’enzima produttore dell’ossido di azoto ha indotto una riduzione significativa delle lesioni aterosclerotiche (dove meno era intenso il processo aterosclerotico si è ottenuto un miglioramento pari al -20%; nelle zone a più alto indice di rischio il miglioramento è stato pari a -19,3; nei vasi senza presenza di placche il miglioramento è stato del 25,6% (calcolato con parametri reologici).(8)

Quindi, in porzione di aorta sane, comunque il succo del melograno ha migliorato il flusso di sangue di un 26%; nelle aree già affette da fenomeni visibili di processi degenerativi (presenza di placche di estensione variabile), il succo di melograno ha ridotto il volume delle lesioni di circa 20%.

In definitiva, la supplementazione continuata di estratti del melograno ha avuto un impatto più che significativo proprio sul grado di disfunzione endoteliale, migliorando la performance cardiaca.

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Conseguenze cliniche di una riduzione della disfunz ione endoteliale

Per anni, gli scienziati hanno ritenuto che mentre gli antiossidanti e altre sostanze nutrienti potevano rallentare il fenomeno aterosclerotico (agendo più in prevenzione che direttamente sulle placche già formatesi): ora con le ricerche che hanno visto coinvolto il succo di melograno (studio specifico condotto in Israele) abbiamo prove scientifiche rivoluzionarie che testimoniano come un certo grado di miglioramento sia possibile constatarlo anche a carico delle placche già esistenti!

(Studio Israeliano) Diciannove pazienti provenienti dalla clinica di chirurgia vascolare di Haifa, in Israele, sono stati selezionati e inseriti in uno studio clinico controllato della durata di tre anni.(9) Tutti i soggetti arruolati nello studio erano non-fumatori con una età compresa fra i 65 e 75 anni: almeno una delle due arterie carotidee dovevano presentare una stenosi severa asintomatica di grado non inferiore al 70% e non superiore del 90% (in pratica le loro arterie erano così occluse a causa di placche visibili all’eco-doppler a colori che solo una minima parte del lume arterioso permetteva loro un flusso di sangue!). A 10 dei 19 pazienti sono stati somministrati 50 ml/die di succo del melograno (titolato e standardizzato), mentre gli altri nove hanno ricevuto una bevanda placebo; a tutti erano indicati stili di vita più o meno identici e anche le scelte alimentari erano sottoposte a verifiche periodiche (comunque a tutti erano consegnati dei diari giornalieri di apporto di calorie max da ingerire).

Risultati acquisiti dopo 3 anni di trattamento

In tutti e due i gruppi di pazienti la pressione sanguigna, i livelli di colesterolo e di glucosio sono rimasti inalterati rispetto al momento dell’arruolamento e nonostante la presenza di un evidente stato di aterosclerosi documentato strumentalmente e giudicato di gravità medio-alta, dopo appena tre mesi, lo spessore medio dell’intima delle arterie esaminate era già diminuito di un 13% (valore medio), e dopo 12 mesi di osservazione, il valore aveva raggiunto un -35% (valore medio) rispetto a quello riscontrato al momento della partenza dello studio. Durante questo stesso periodo di 12 mesi, lo spessore medio dell'arteria carotidea del gruppo placebo (9 pazienti) è aumentato invece di un fattore pari al 9%! Questo studio, inoltre, ha considerato anche altri parametri biologici di salute cardiovascolare. Un anno di somministrazione del succo melograno ha ridotto la velocità sistolica massima di sangue nelle arterie carotidee, mentre lo stress parietale è diminuito di circa un 21%. L'assunzione del melograno sembra migliorare il flusso di sangue all’interno delle carotidi (diminuisce cioè la resistenza al flusso stesso con un impatto più che positivo sull’ossigenazione del vaso e dei tessuti relativi).(9) L’ingestione del succo di melograno non ha innalzato i livelli ematici di glucosio, delle LDL o delle HDL. La funzionalità del cuore, rene e fegato come pure i conteggi dei globuli rossi e dell'omocisteina sono rimasti sostanzialmente inalterati, mentre si sono notati una serie di miglioramenti in altri parametri normalmente indicativi di salute cardiovascolare. Per esempio, la quantità di potere antiossidante del sangue è aumentato di un fattore pari al 130% dopo 12 mesi di uso del melograno, mentre la perossidazione lipidica del siero è stata ridotta del 59%.

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Inoltre, a contribuire ai miglioramenti clinici osservati si evidenziava un incremento del 83% nel siero della paraoxonase-1, un enzima che da solo può ridurre i nocivi perossidi lipidici in cellule arteriose e di lipoproteine in lesioni coronariche e carotidee.(9-11)

Inoltre, nel gruppo che utilizzava il succo di melograno si notava che era raddoppiato il tempo richiesto per l'inizio dell'ossidazione delle LDL (da 30 minuti a 65 minuti) (9); considerando che le LDL devono essere ossidate prima di poter aderire alla parete arteriosa, i ritardi osservati nell’andare incontro all’ossidazione non poteva che essere considerato un risultato significativo. Mentre tutti questi miglioramenti osservati con un solo anno di trattamento, altri parametri hanno continuato a mostrare il miglioramento fino alla conclusione dello studio triennale.

Per esempio, la perossidazione lipidica a 36 mesi diminuiva di un altro 16%.

Sembra, tuttavia, che per garantirsi questi effetti positivi la somministrazione del succo di melograno deve essere costante e continuata nel tempo e già un solo mese di interruzione causa una caduta del potere antiossidante del sangue di ben -35% e la produzione della paraoxonase1 di un -18%. (9)

Un altro studio israeliano ha confermato che il melograno riduce sia la pressione sanguigna sistolica agendo sull’enzima convertente l’Angiotensina (agendo da vero e proprio ACE-inibitore): questo studio non si è ancora concluso ma i dati preliminari sono molto confortanti.

Riferimenti

1. Aviram m., Dornfeld L, Rosenblat m., et al. consumo del succo del melograno riduce lo sforzo ossidativo, le modifiche atherogenic a LDL e l'aggregazione della piastrina: studi in esseri umani e nei topi E-carenti dell'apolipoproteina aterosclerotica. J Clin Nutr. 2000 maggio; 71(5): 1062-76.

2. Gil MI, Tomas-Barberan FA, Hess-Pierce B, Holcroft dm, Kader aa. Attività antiossidante del succo del melograno e la sua relazione con composizione e l'elaborazione fenoliche. Alimento chim. di J Agric. 2000 ottobre; 48(10): 4581-9.

3. Singh RP, Chidambara Murthy KN, Jayaprakasha GK. Studi sull'attività antiossidante della buccia e degli estratti di semi del melograno (punica granatum) facendo uso dei modelli in vitro. Alimento chim. di J Agric. 2 gennaio 2002; 50(1): 81-6.

4. Ignarro LJ, Cirino G, Casini A, ossido di azoto di Napoli C. come molecola di segnalazione nel sistema vascolare: una panoramica. J Cardiovasc Pharmacol. 1999 dicembre; 34(6): 879-86.

5. de Nigris F, Williams-Ignarro S, Botti C, Sica V, Ignarro LJ, succo di Napoli C. Pomegranate riduce il downregulation ossidato della lipoproteina a bassa densità della sintasi endoteliale dell'ossido di azoto in cellule endoteliali coronarie umane. Ossido di azoto. 2006 novembre; 15(3): 259-63.

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6. Ignarro LJ, Byrns CON RIFERIMENTO A, Sumi D, de Nigris F, succo di Napoli C. Pomegranate protegge l'ossido di azoto dalla distruzione ossidativa e migliora le azioni biologiche di ossido di azoto. Ossido di azoto. 2006 settembre; 15(2): 93-102.

7. de Nigris F, Williams-Ignarro S, Sica V, et al. effetti di una frutta del melograno estrae i ricchi nel punicalagin ai sui geni ossidazione sensibili e nell'attività del eNOS ai siti della resistenza di taglio e del atherogenesis perturbati. Ricerca di Cardiovasc. 1° settembre 2006; [Epub davanti alla stampa].

8. de Nigris F, Williams-Ignarro S, Lerman LO, et al. effetti benefici del succo del melograno ai sui geni ossidazione sensibili ed attività endoteliale della sintasi dell'ossido di azoto ai siti della resistenza di taglio perturbata. Proc Acad nazionale Sci U.S.A. 29 marzo 2005; 102(13): 4896-901.

9. Aviram m., Rosenblat m., Gaitini D, et al. consumo del succo del melograno per 3 anni dai pazienti con stenosi dell'arteria carotica riduce lo spessore di intima-media di carotide comune, la pressione sanguigna e l'ossidazione di LDL. Clin Nutr. 2004 giugno; 23(3): 423-33.

10. Aviram m., Rosenblat m., CL di Bisgaier, Newton RS, Primo-Parmo SL, La Du BV. Paraoxonase inibisce l'ossidazione della lipoproteina ad alta densità e conserva le sue funzioni. Un ruolo peroxidative possibile per il paraoxonase. J Clin investe. 15 aprile 1998; 101(8): 1581-90.

11. Aviram m., Hardak E, Vaya J, et al. i paraoxonases umani del siero (PON1) Q e le R fanno diminuire selettivamente i perossidi del lipido in lesioni aterosclerotiche coronarie e carotiche umane: Esterasi PON1 ed attività del tipo di perossidasi. Circolazione. 2000 30 maggio; 101(21): 2510-7.

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Acqua.... tante funzioni in una. A cura di : Dott. Giulio Maria Ranalli

L’acqua è fondamentale per il nostro organismo. Costituisce infatti l’elemento principale

della maggior parte delle cellule dell’organismo (ad eccezione delle cellule adipose) e

protegge e lubrifica il cervello e le articolazioni. Trasporta le sostanze nutritive, aiuta le

cellule ad eliminare le scorie e contribuisce a regolare la temperatura corporea

ridistribuendo il calore dai tessuti attivi alla pelle e raffreddando l’organismo attraverso la

traspirazione.

L’acqua è l’elemento più abbondante nel corpo umano. Rappresenta circa il 65% del peso

di un maschio adulto e una percentuale leggermente inferiore di quello di una donna (circa

50-55%), a causa della percentuale più elevata di grasso corporeo.

Questa percentuale varia al variare dell’età, nel lattante (12mesi) rappresenterà quasi

l’80% del peso corporeo, mentre nell’anziano sarà circa il 50%. I

muscoli e il cervello sono costituiti per il 75% da acqua, il sangue e i

reni per circa l’81%, il fegato per circa il 71%, le ossa per il 22% e il

tessuto adiposo per circa il 20%.

La maggior parte dell’acqua presente nell’organismo si trova nelle

cellule (circa il 60% nello spazio intracellulare) e il resto nello spazio

extracellulare, ovvero nello spazio compreso tra le cellule (interstiziale)

e il plasma ematico.

L’idratazione corporea totale e il bilancio tra l’assunzione e il rilascio di

acqua sono assoggettati al controllo omeostatico, in base a meccanismi che ne

modificano le vie d’escrezione (urina, feci, perspiratio sensibilis e insensibilis) e ne

stimolano l’assunzione (sete).

Il corpo ha bisogno di acqua per sopravvivere e per funzionare adeguatamente. Gli essere

umani non possono vivere senza bere per più di due-tre giorni, a seconda delle condizioni

climatiche e di altri fattori. Nel caso di altre sostanze nutritive, invece, questo intervallo può

protrarsi per settimane o mesi. Nessun altro nutriente è più importante o necessario in

quantità così elevate. EHI – European Hydration Institute

Abbiamo detto quindi che l’acqua è fondamentale per tanti processi, ma in questa

esposizione tratteremo, seppur brevemente, la termoregolazione, che a mio avviso è uno

dei compiti più importanti cui l’acqua assolve.

Una persona può tollerare una diminuzione della temperatura corporea di circa 10°C ma

un aumento solo di 5°C. Questa condizione prende il nome di ipertermia.

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<<Nel 1996 vennero sospesi i giochi Olimpici ad Atlanta poichè la temperatura media

estiva si aggirava tra i 21 ed i 31°C ed il tasso di umidità relativa tra il 50 ed il 90%>> (ri)

portando l’interesse sull’importanza della regolazione della temperatura corporea durante

l’attività sportiva.

La temperatura del core o tempuratura interna è mediamente di 37°C±1°C e viene

finemente regolata da un “termostato” chiamato ipotalamo, che è una struttura del sistema

nervoso centrale situata alla base del cervello nella zona interna ai due emisferi.

I fattori che influenzano le variazione termiche (positive e negative) sono riassunte nella

seguente immagine (Figure 10.1). McARLDE & KATCH

Nel nostro corpo abbiamo diversi tipi di recettori, periferici e centrali, deputati alla

captazione di stimoli termici. Quelli periferici sono numerosi nella cute e sono i corpuscoli

del Pacini e i corpuscoli del

Krause (rispettivamente per il

caldo e per il freddo, questi ultimi

sono più numerosi).

La regolazione della temperatura

corporea è difatto un fine

adattamento bio-fisio-

endocrinologico, dovuto alla

necessità di mantenere

l’omeostasi termica, evitando

dannose fluttuazioni.

Il costante processo di

termoregolazione consiste nella

perspiratio insensibilis, ovvero la

sudorazione o traspirazione

insensibile, un processo fisiologico che consiste nella perdita continua ed impercettibile di

piccole quote d'acqua dalla pelle, dalle mucose e dalle vie respiratorie, che consente al

corpo di disperdere il calore in maniera continua, contribuendo al processo di

termoregolazione. La quantità di acqua persa nell’arco dell 24 ore può essere mediamente

di 850 ml, permettendo di dissipare ±0,6 calorie per ogni grammo di acqua persa.

Avviene anche il processo di vasodilatazione dovuta a convezione circolatoria, che porta a

dilatazione dei capillari sottocutanei, con classica mafinestazione cutanea (rubor e calor)

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con conseguente dispersione del calore corporeo, la cui efficacia sarebbe attendibile fino a

temperature di circa 32°C o in caso di lieve attività fisica.

Un altro tipo di “raffreddamento” prende il nome di perspiratio sensibilis ovvero la cosidetta

sudorazione propriamente detta. Il sudore è un liquido ipotonico (110mmol/L) composto

circa al 70% di acqua e la restante parte di zuccheri, sali minerali, immunoglobuline, urea

e, durante sforzi fisici rilevanti, da acido lattico.

La secrezione di sudore può variare fortemente tra individui ed in funzione del lavoro,

sport, locus geografico, ecc., toccando livelli compresi tra 0.5 e 10L al giorno. Il sudore

viene secreto all’esterno del corpo attraverso ghiandole esocrine presenti su tutta la pelle

(circa 3 milioni), nell’uomo le zone a maggiore concentrazione di ghiandole sudoripare

sono le piante dei piedi, i palmi delle mani, le ascelle e intorno alle aperture corpore di

faccia e genitali.

In conclusione è bene far presente un concetto molto importante riguardo la sudorazione,

poichè essa avviene per regolare la temperatura corporea, tramite evaporazione

dell’acqua contenuta nel sudore stesso, ma il successo della sudorazione (successo

inteso come raggiungimento dell’obiettivo=abbassamento della temperatura corporea) è

condizionato dal grado di umidità esterno, semplicemente perchè se l’umidità relativa

dell’ambiente in cui siamo è molto elevata (>80%) l’aria sarà satura di vapore acqueo e di

conseguenza l’acqua contenuta nel sudore non sarà in grado di evaporare, quindi non ci

sarà abbassamento della temperatura corporea, rischiando un “colpo di calore” o ancor

più grave l’ipertermia.

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FRODE ALIMENTARE

Dott.ssa Giusi Balzano

Frodi sanitarie

Consistono nel rendere nocive le sostanze alimentari e attentano alla salute pubblica.

Possono essere commessi da "chiunque detiene per il commercio o pone in commercio o

distribuisce per il consumo acque, sostanze o cose da altri avvelenate, adulterate o

contraffatte in modo pericoloso per la salute pubblica" (artt. 442 e 444 del Codice Penale).

Il reato si configura anche per il solo fatto di esporre e porre in commercio sostanze

pericolose anche in caso di distribuzione gratuita.

I casi di frode sanitaria si identificano in

� Adulterazione. Una sostanza alimentare è adulterata quando ad opera dell’uomo

viene introdotta una modifica della sua composizione a seguito di mescolamento con altre

sostanze di qualità inferiore o a seguito di privazione di elementi utili o caratterizz

prodotto.

� Contraffazione. L’alimento viene posto in commercio con una composizione o con

valori diversi da quelli dichiarati. L’inganno in cui può essere tratto il consumatore può

essere esplicito se l’etichetta dichiara il falso o implicito quando

forma, il marchio, pur in assenza di una oggettiva dichiarazione di falso, possono trarre in

inganno il consumatore.

� Sofisticazione. Viene modificata la composizione di un alimento sostituendo

parzialmente alcuni elementi della s

e valore inferiore, oppure mediante l'uso di additivi non consentite dalla legge.

75

La frode alimentare è un termine

generico che si riferisce alla

produzione e al commercio di

alimenti non conformi alle

normative vigenti. Le frodi

alimentari si dividono in due

tipologie: frodi sanitarie e frodi

commerciali

nocive le sostanze alimentari e attentano alla salute pubblica.

Possono essere commessi da "chiunque detiene per il commercio o pone in commercio o

distribuisce per il consumo acque, sostanze o cose da altri avvelenate, adulterate o

ericoloso per la salute pubblica" (artt. 442 e 444 del Codice Penale).

Il reato si configura anche per il solo fatto di esporre e porre in commercio sostanze

pericolose anche in caso di distribuzione gratuita.

I casi di frode sanitaria si identificano in:

Adulterazione. Una sostanza alimentare è adulterata quando ad opera dell’uomo

viene introdotta una modifica della sua composizione a seguito di mescolamento con altre

sostanze di qualità inferiore o a seguito di privazione di elementi utili o caratterizz

Contraffazione. L’alimento viene posto in commercio con una composizione o con

valori diversi da quelli dichiarati. L’inganno in cui può essere tratto il consumatore può

essere esplicito se l’etichetta dichiara il falso o implicito quando il tipo di confezione, la

forma, il marchio, pur in assenza di una oggettiva dichiarazione di falso, possono trarre in

Sofisticazione. Viene modificata la composizione di un alimento sostituendo

parzialmente alcuni elementi della sostanza alimentare con l’aggiunta di alimenti di qualità

e valore inferiore, oppure mediante l'uso di additivi non consentite dalla legge.

alimentare è un termine

generico che si riferisce alla

produzione e al commercio di

alimenti non conformi alle

normative vigenti. Le frodi

alimentari si dividono in due

tipologie: frodi sanitarie e frodi

nocive le sostanze alimentari e attentano alla salute pubblica.

Possono essere commessi da "chiunque detiene per il commercio o pone in commercio o

distribuisce per il consumo acque, sostanze o cose da altri avvelenate, adulterate o

ericoloso per la salute pubblica" (artt. 442 e 444 del Codice Penale).

Il reato si configura anche per il solo fatto di esporre e porre in commercio sostanze

Adulterazione. Una sostanza alimentare è adulterata quando ad opera dell’uomo

viene introdotta una modifica della sua composizione a seguito di mescolamento con altre

sostanze di qualità inferiore o a seguito di privazione di elementi utili o caratterizzanti il

Contraffazione. L’alimento viene posto in commercio con una composizione o con

valori diversi da quelli dichiarati. L’inganno in cui può essere tratto il consumatore può

il tipo di confezione, la

forma, il marchio, pur in assenza di una oggettiva dichiarazione di falso, possono trarre in

Sofisticazione. Viene modificata la composizione di un alimento sostituendo

ostanza alimentare con l’aggiunta di alimenti di qualità

e valore inferiore, oppure mediante l'uso di additivi non consentite dalla legge.

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� Alterazione. Consiste in modifiche delle caratteristiche chimico-fisiche e/o

organolettiche di un alimento, dovute a processi naturali. Sono casi in cui la condotta

umana può aver provocato l’episodio e non vi è volontà di arrecare un danno.

Frodi Commerciali

Secondo l’art. 515 del Codice Penale le frodi commerciali ledono i diritti contrattuali e

patrimoniali del consumatore. Si tratta del caso in cui nell’esercizio di una attività

commerciale avviene la «consegna all’acquirente di una cosa per un’altra, o diversa da

quella dichiarata o pattuita per origine, provenienza, qualità o quantità». Non vi è

alterazione delle qualità dell’alimento tali da renderlo nocivo, ma un illecito profitto a danno

del consumatore.

Il danno e…la frode

Olio modificato con la clorofilla; lardo di Colonnata prodotto a Enna; latte con la scadenza

posticipata; aceto balsamico di Modena che arriva da Afragola; mozzarelle di bufala fatte

con latte vaccino; uova di frigo vendute come fresche; tagliatelle e fettuccine colorate per

mascherarle da pasta all’uovo; miscele diverse di riso vendute come prodotto di alta

qualità. E' lunga la lista delle frodi alimentari scoperte dal Nas dei carabinieri (Nucleo

antisofisticazione).

Molti sono i trucchi per i prodotti tipici: nel caso dei formaggi, un'azienda romana è

diventata leader nel Lazio grazie a un formaggio Norcia che non ha nulla a che vedere con

la cittadina umbra e un Siena prodotto con latte di altre zone. Attenzione anche ai ristoranti

cinesi, specie se a buon mercato in quanto possono usare soia geneticamente modificata

senza avvertire i clienti.

Sfortunatamente i danni per la nostra salute avvengono alla luce del sole e anche

legalizzati. L’uso indiscriminato di coloranti, conservanti e additivi vari trovano le stesse

motivazioni di guadagno indiscriminato sulla nostra pelle. Non vanno dimenticati tutti quei

cibi spazzatura contenenti sostanze che danneggiano la nostra salute e per i quali vi è una

preoccupante ed aumentata diffusione. Si parla di obesità legata all’assunzione di cibo

ricco di calorie vuote e nutrizionalmente inutili quando si può essere o ritornare in forma

mangiando cibi sani e nutrienti.

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MAGNESIO E IPERTENSIONE a cura di Dott.sa Beltrami Martina

Il magnesio (Mg) è un minerale fondamentale, agisce come catalizzatore nell'uso

di carboidrati, grassi, proteine, calcio, fosforo e potassio, partecipando in più di 300 reazioni biochimiche e risultando fondamentale per la crescita, le difese immunitarie, il dispendio energetico, la formazione del tessuto osseo, l'attività cerebrale e muscolare. Per un adulto si raccomanda un'assunzione minima giornaliera di 240mg di Mg al giorno (1), mentre dosi superiori ai 30000mg al giorno possono avere effetti di tossicità in particolare per chi ha disturbi renali. Un'alimentazione varia che comprenda ortaggi, legumi e frutta secca ne garantisce la corretta assunzione. E' necessario invece ridurre il consumo di alcool, che lavora come antagonista del Mg e aumentare l'assunzione di Mg quando si usano farmaci diuretici e farmaci corticosteroidi, anch'essi antagonisti.

Figura1.

Principali alimenti contenenti Magnesio e quantità espressa in mg su 100gr di prodotto (2)

Magnesio e ipertensione: Nella maggior parte degli studi epidemiologici è stata evidenziata una correlazione inversa tra assunzione di Mg con la dieta e pressione sanguigna . Il Mg compete con il sodio per i siti di legame nella muscolatura liscia e agisce come calcio-antagonista, aumenta le prostaglandine e coopera con il potassio per la riduzione della pressione del sangue. Una dieta povera di sodio e un apporto significativo di Mg con la dieta (tra i 500 e i 1000 mg al giorno) ha mostrato di ridurre l'ipertensione contribuendo a mantenerla vicino a valori ottimali.(3)

; 550264

175170

160160158

130120120

8380

634541

13

0 200 400 600

Contenuto di Magnesio espresso in mg su 100gr di

prodotto

UOVA

POLLO

CARCIOFI

GRANA

SPINACI

LENTICCHIE

FARINA

MAIS

CECI

PISTACCHI

NOCCIOLE

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Alcune condizioni fisiologiche, come la gravidanza, sono associate ad una riduzione dei livelli di Mg nel sangue e ad una aumentata secrezione del Mg nelle urine. In un recente studio sono stati paragonati i livelli di Mg plasmatici e nel secreto urinario di donne in età fertile e donne in stato di gravidanza, evidenziando come in queste ultime i livelli plasmatici siano sensibilmente diminuiti e ci sia una correlazione diretta tra l'aumento della pressione arteriosa e il Mg nel secreto urinario. (4) Il Mg è considerato parte del trattamento dell'Ipertensione Gestazionale e della pre-eclampsia, ma va considerato anche come fattore preventivo di tali patologie, infatti, pur non essendo l'unico fattore coinvolto nella patogenesi di queste complicanze, tre diversi studi hanno evidenziato come una sufficiente assunzione di Mg nella dieta abbinata a un supplemento di Mg durante la gravidanza riduca la frequenza di ipertensione gestazionale, in particolare riducendo la pressione diastolica (4)

Bibliografia

1. Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia per la popolazione italiana (LARN). Revisione 2012 2. Tabelle degli alimenti 3. Houston MI. The role of cellular micronutrient analysis, nutraceuticals, vitamins, antioxidants and mineral in the prevention and treatment of hypertension and cardiovascular disease. Ther Adv Dis 2010; 4(3): 165-183. 4. Rylandr R, et al. "Pregnancy and Magnesium" Pregnancy Hipertens. 2015

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VITAMINA B12 carenze e utilizzo nello sport

A cura del dott. Andrea Urso

La vitamina B12 o

cobalamina è una vitamina

idrosolubile essenziale che

si trova comunemente in

una varietà di alimenti,

come pesce, crostacei,

carne, uova, e prodotti

caseari.

La vitamina B12 è un

nutriente che aiuta a

mantenere sane le cellule

nervose e del sangue nel

corpo e contribuisce a

rendere nel DNA, la genetica del materiale in tutte le cellule. La vitamina B12 aiuta anche

a prevenire un tipo di anemia detta anemia megaloblastica che rende le persone stanche

e deboli.

Sono necessari due passaggi per il corpo per assorbire la vitamina B12 dal cibo. Primo,

l'acido cloridrico nello stomaco separa la vitamina B12 dalle proteine in cui la vitamina B12

è attaccata nel cibo. Dopo questo, la vitamina B12 combina con una proteina prodotta

dallo stomaco chiamato fattore intrinseco e viene assorbito dal flusso sanguigno nel corpo.

Alcune persone hanno l'anemia perniciosa , una condizione in cui non possono fare fattore

intrinseco. Come risultato, hanno problemi di assorbimento della vitamina B12 da tutti gli

alimenti e integratori alimentari.

Le vitamine del gruppo B sono importanti per chiunque e in particolare per chi pratica

attività fisica perché hanno un ruolo importante nel metabolismo cellulare, nella

produzione di energia e per il sistema nervoso.

Un loro apporto carente può determinare un decremento del rendimento atletico e

ostacolare i processi di riparazione del tessuto muscolare, influenzando negativamente la

capacità di autoriparazione del corpo.

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I rischi di carenza riguardano soprattutto gli sportivi che devono tenere sotto controllo il

proprio peso (ad esempio ginnaste e ballerine, ma anche pugili) e in generale tutte quelle

persone che pongono un'attenzione esasperata alla forma fisica e al controllo del peso

corporeo e che spesso seguono diete troppo rigide e restrittive, squilibrate dal punto di

vista nutrizionale: spesso chi soffre di disturbi alimentari fa ricorso alla pratica eccessiva di

attività fisica come metodo di controllo del peso.

Una delle principali cause di valori bassi di vit b12 rimane il ridotto assorbimento

gastrointestinale .

Come predentemente detto, la vitamina B12 che si trova in tutti i cibi animali (carni,

latticini e uova) non viene prodotta dall'animale, ma rappresenta la quota che l'animale

non utilizza, cioè quella in più rispetto alle richieste del suo organismo. Essa viene

ottenuta parte dalla contaminazione microbica del cibo e parte dalla sintesi dei batteri

intestinali. Tuttavia, queste fonti non sono considerate sufficienti al giorno d'oggi, dal

momento che negli allevamenti gli animali ricevono mangimi addizionati, che contengono

anche vitamina B12 che, quasi sicuramente, deriva sempre da sintesi chimica, più

economica.

La tanto propagandata naturalità dell'assunzione di vitamina B12 dai cibi animali (e la

conseguente supposta innaturalità delle diete che non ne contengono) appare quindi in

tutta la sua paradossale, ridicola, inconsistenza, perché: sia gli animali che l'uomo non

producono vitamina B12 ma la ricavano naturalmente dai batteri. Si ricorda che la flora

batterica intestinale, che ne produce piccole quantità, viene pesantemente alterata dalla

terapia antibiotica.

La vitamina presente nei cibi animali deriva sempre più spesso prevalentemente da

mangimi addizionati. Certo gli animali non vengono supplementati con B12 per fornire

all'uomo prodotti ricchi di vitamina B12: il razionale dell'integrazione del mangime è quello

di favorire una crescita ottimale in condizioni innaturali e nel minor tempo possibile. E

proprio questo breve tempo di vita dell'animale non gli permetterebbe probabilmente più di

ricavare quantità di B12 da fonti che per lui un tempo erano naturalim anche in

considerazione del massiccio utilizzo di antibiotici negli allevamenti.

Credo che questo ultimo sia un aspetto molto importante sul quale va fatta chiarezza: la

B12 presente nei cibi animali deriva oggi principalmente dagli integratori che vengono

somministrati all'animale. Ma anche se la vitamina B12 presente nei cibi animali derivasse

esclusivamente dai batteri, è forse più naturale aggiungere un "passaggio", cioè ricavare

la vitamina B12 da un animale che a sua volta la ricava dai batteri (e peggio dal

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mangime)? E' più naturale assumere un nutriente trasformato dall'animale o uno non

trasformato?I LARN italiani prevedono nell'adulto sano un'assunzione di 2 mcg/die di

vitamina B12 da fonti dietetiche, nel caso di supplementazione le dosi da assumere come

mantenimento sono di 3 mcg totali al giorno, in più assunzioni da varie fonti alimentari,

compresi cibi addizionati.

Poiché l'assorbimento della vitamina B12 è meno efficace a partire da dosi più elevate e

meno frequenti, l'assunzione a partire da integratori richiede dosaggi più elevati: 5-10 mcg

in unica assunzione giornaliera, o 2.000 mcg in unica assunzione settimanale

(preferibilmente sublinguale). Questi dosaggi elevati non devono essere considerati

pericolosi o eccessivi, in quanto oltre i 500 mcg l'assorbimento della vitamina si riduce

all'1%.

Queste dosi soddisfano però i requisiti per il mantenimento e sono pertanto in grado di

prevenire lo sviluppo di una carenza. Se questa fosse già presente, vanno assunte per

almeno 1-2 mesi dosi superiori, per poi passare a quelle indicate per il mantenimento.

Se mancano la performance cala. Uno studio statunitense ha dimostrato che una carenza

di vitamine del gruppo B può influenzare negativamente l’attività fisica e le prestazioni

degli atleti.L’indagine, condotta da un team di ricercatori dell’Arizona State University e

pubblicata sulla rivista International Journal of Sport Nutrition and Exercise Metabolism, ha

preso in esame il regime dietetico e le prestazioni sportive di alcuni atleti dell’Università.

I risultati affermano che uno scarso apporto di vitamine del gruppo B può determinare un

decremento del rendimento atletico degli sportivi e ostacolare i processi di riparazione del

tessuto muscolare.

Anche soltanto una marginale carenza delle vitamine di questo gruppo può influenzare la

capacità del corpo di autoripararsi, di lavorare attivamente e di combattere le malattie.

Tra gli sportivi più a rischio ci sono coloro che devono tenere sotto controllo il proprio

peso, come pugili, ginnasti e ballerine, ma anche coloro che sono ossessionati dalla forma

fisica, che spesso cadono nell’errore di seguire una dieta squilibrata dal punto di vista

nutrizionale.

BIBLIOGRAFIA

1) Human Anatomy and Phyisology - Marieb – 1999

2) 'Nutrition and Athletic Performance', Dr D. Graham, 1999

3) LE VITAMINE" del Prof. Alberto Fidanza - Editrice I.T.L. 1996 Palestrina

4) Fisiologia della nutrizione PICCIN 2003

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Relazione su: L’invecchiamento del cuore e gli effe tti dell’invecchiamento dei vasi correlati A cura del dott. Gioacchino Di Leo

“I legami forti non si deteriorano con il tempo, i sentimenti profondi non si sciolgono: il cuore non invecchia, ovvero invecchia solo la parte…meccanica.”

Proprio come cantato dai più grandi poeti e mirabilmente narrato nelle più grandi opere letterarie in riferimento alla forza dei sentimenti profondi, anche biologicamente la forza del cuore è tale da renderlo più resistente rispetto agli altri organi ai processi di deterioramento conseguenti ad invecchiamento fisiologico. Il miocardio, il tessuto che lo costituisce è formato da cellule le cui caratteristiche di contrattilità , potenza , ed elasticità ne fanno il tessuto che può assolvere nel miglior modo le funzioni di pompa che il cuore esplica efficacemente e incessantemente per tutta la vita dell’organismo. Le cellule del miocardio, tuttavia, sono cellule permanenti e questo vuol dire che non sono più in grado di riprodursi: qualsiasi danno che ne provochi la morte cellulare è irreversibile; nelle aree in cui il tessuto del miocardio muore esso non può rigenerarsi; la riparazione avviene per sostituzione connettivale e, purtroppo, il tessuto connettivo che ripara l’area di necrosi del miocardio non ha le caratteristiche di elasticità ed efficienza contrattile del miocardio di partenza. In questi punti in cui il tessuto cardiaco è stato sostituito da connettivo si creano aree di rigidità e di inerzia contrattile che nel medio e lungo periodo inducono lo sfiancamento delle aree contrattili adiacenti con perdita dell’efficienza della pompa (insufficienza cardiaca, scompenso cardiaco). Se fosse possibile, una volta avvenuta la riparazione connettivale, indurre la differenziazione di cellule staminali nell’area della lesione, si genererebbe nuovo miocardio con distruzione da parte della matrice del connettivo inefficiente e il cuore recupererebbe la sua perfetta efficienza. L’obiettivo della rigenerazione del miocardio dopo infarto è ciò che si è tentato di ottenere negli esperimenti di innesto nel cuore di staminali tratte dal midollo, durante interventi di cardiochirurgia post infartuale con un certo successo, secondo quanto riferito, ma si trattava in genere di infarti recenti. Ma in quali casi e a causa di quali eventi si può avere morte del tessuto miocardio?

I danni sul cuore da invecchiamento dei vasi: l’ate rosclerosi coronarica e la cardiopatia ischemica

Se il cuore invecchia relativamente poco subisce, tuttavia, drammaticamente l’invecchiamento dei sui vasi artero-venosi e del microcircolo sottostante.La cardiopatia ischemica si identifica con le conseguenze miocardiche dell’aterosclerosi coronarica. La cardiopatica ischemica è un’affezione cardiaca caratterizzata dal comune meccanismo fisiopatologico dell’insufficienza coronaria (arterie che irrorano il cuore) ovvero dallo squilibrio tra fabbisogno e apporto di ossigeno nel muscolo cardiaco. La causa prevalente a livello statistico dell’insufficienza coronarica ovvero dello squilibrio tra fabbisogno e apporto di ossigeno nel muscolo cardiaco è l’aterosclerosi stenosante (occlusiva) delle coronarie o meglio delle grandi arterie coronarie epicardiche.

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Che significa?

Ciò significa che dal momentomiocardio l’ossigeno e gli elementiprocesso aterosclerotico a carico delle coronarie è consistente con importante restrizione del lume vasale (generalmente superiore al 70%) nella parte del miocardio irrorato da queste arterie si istaura uno stato di sofferenza per ridotto apporto di ossigeno (cardiopatia ischemica).Anche l’ipertensione (comune patologia da invecchiamento delle arterie) è causa di sofferenza del miocardio in quanto ne induce un aumento del fabbisogno di ossigeno e quindi, se non controllata, è causa essa stessa di cardiopatia ischemica: l’ipertensione è, peraltro, fattore di rischio per l’aterosclerosi stessa.La cardiopatia ischemica può manifestarsi sotto molteplici aspetti che vanno dalle manifestazioni meno gravi (angina pectoris da sforzosindromi coronariche acutedella placca arterioscleroti ca

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Ciò significa che dal momento che le arterie coronarie irrorando il cuore, apportano al miocardio l’ossigeno e gli elementi nutritivi necessari al tessuto stesso, quando il processo aterosclerotico a carico delle coronarie è consistente con importante restrizione

eralmente superiore al 70%) nella parte del miocardio irrorato da queste arterie si istaura uno stato di sofferenza per ridotto apporto di ossigeno (cardiopatia ischemica).Anche l’ipertensione (comune patologia da invecchiamento delle arterie) è

offerenza del miocardio in quanto ne induce un aumento del fabbisogno di ossigeno e quindi, se non controllata, è causa essa stessa di cardiopatia ischemica: l’ipertensione è, peraltro, fattore di rischio per l’aterosclerosi stessa.

a può manifestarsi sotto molteplici aspetti che vanno dalle angina pectoris da sforzo ) a quelle più gravi (cosiddette

sindromi coronariche acute ) che si instaurano generalmente quando l’accrescimento ca viene turbato da fissurazione o rottura della placca

che le arterie coronarie irrorando il cuore, apportano al necessari al tessuto stesso, quando il

processo aterosclerotico a carico delle coronarie è consistente con importante restrizione eralmente superiore al 70%) nella parte del miocardio irrorato da

queste arterie si istaura uno stato di sofferenza per ridotto apporto di ossigeno (cardiopatia ischemica).Anche l’ipertensione (comune patologia da invecchiamento delle arterie) è

offerenza del miocardio in quanto ne induce un aumento del fabbisogno di ossigeno e quindi, se non controllata, è causa essa stessa di cardiopatia ischemica:

a può manifestarsi sotto molteplici aspetti che vanno dalle ) a quelle più gravi (cosiddette

quando l’accrescimento da fissurazione o rottura della placca .

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Le sindromi coronariche acute

In realtà una vera e propria ischemia del miocardio si istaura solo se l’accrescimento progressivo di placche aterosclerotiche coronariche comporta un restringimento superiore al 70% del lume delle coronarie. Tuttavia come abbiamo detto, l’accrescimento delle placche aterosclerotiche anche non molto rilevanti può essere turbato da fissurazione, rottura della placca, o semplicemente dalla formazione di un trombo: questi eventi scatenano le cosiddette “sindromi coronariche acute” dovute all’ulteriore riduzione improvvisa del flusso coronarico perché la formazione del trombo comporta una ulteriore occlusione del lume vasale già ristretto dalla presenza di placche aterosclerotiche. Il destino del trombo che chiude il lume coronarico è variabile: se labile (entro circa 15’), si dissolve rapidamente, alternativamente la trombosi può essere di più lunga durata; ne conseguono diverse manifestazioni: angina instabile, infarto non Q e infarto Q .

L’angina instabile è causata da una piccola rottura endoteliale eventualmente complicata dal trombo labile di durata inferiore a 10-20 minuti; l’infarto non Q è causato da una trombosi è di più lunga durata (più di un ora) e consegue ad un danno endoteliale maggiore: l’infarto non Q non da luogo a necrosi del miocardio importante perché il territorio sottostante è per lo più protetto da microcircolo collaterale. L’infarto Q è causato da una fissurazione più ampia della placca con form azione di trombo persistente di durata superiore all’ora con conseguente necrosi de l miocardio Alla necrosi del miocardio succedono gli eventi di cui abbiamo parlato in apertura ovvero sostituzione connettivale e, se l’area di necrosi è estesa, nel medio lungo termine consegue compromissione dell’efficienza cardiaca. Sembra che per scatenare una sindrome coronarica acuta possa essere sufficiente anche la formazione di un trombo che sia generato non da fissurazione dell’endotelio conseguente a fissurazione della placca ma semplicemente da un evento acuto successivo a grave “disfunzione endoteliale ” con conseguente aumento dell’aggregabilità piastrinica, riduzione della fibrinolisi spontanea, attivazione del sistema coagulativo, aumento della fibrinogenemia.

“La disfunzione endoteliale” da invecchiamento dell e arterie è il primum movens della patologia cardiaca (ischemia, scompenso)

Da quanto sopradetto è evidente che la “patologia coronarica” ovvero “la disfunzione endoteliale” delle coronarie conseguente a invecchiamento endoteliale è a tutti gli effetti la prima causa della patologia cardiaca importante: in effetti gli interventi sul cuore post infarto o conseguenti a ischemia coronarica mirano a sostituire vasi invecchiati ed inefficienti con vasi nuovi o non altrettanto danneggiati.

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Ricordiamo che l’invecchiamento endoteliale non decorre in maniera sincrona all’invecchiamento cronologico o anagrafico dell’organismo ma è molto più precoce e soprattutto non decorre nei diversi individui con la stessa velocità; va, inoltre, ricordato che la disfunzione endoteliale da invecchiamento non decorre in maniera sincrone nei diversi distretti arteriosi.

Focalizzazione degli eventi connessi a disfunzione endoteliale da invecchiamento: origine dell’aterosclerosi

L’endotelio vascolare contribuisce all’omeostasi vascolare, alterando in maniera adattativa il suo stato funzionale: questo avviene attraverso il monitoraggio continuo da parte dell’endotelio vascolare di stimoli regolati dal sangue e generati localmente attraverso risposte rapide a cambiamenti nel suo ambiente. Le proprietà funzionali dell’endotelio in grado appunto di fornire tale regolazione omeostatica comprendono un ruolo attivo non soltanto nell’omeostasi ma anche nell’aggregazione delle piastrine, la coagulazione e il sistema fibrinolitico, il controllo del tono vascolare e della crescita delle cellule muscolari lisce, il controllo della permeabilità vascolare a componenti del sangue e il mantenimento di una superficie non adesiva nei confronti dei leucociti circolanti. Invecchiando l’endotelio va incontro alla cosiddetta “disfunzione endoteliale ” che, in sintesi, è un’alterazione funzionale di diverse sue proprietà emostatiche, di controllo del tono, della permeabilità alle lipoproteine plasmatiche e infine acquisisce un’iper-adisività nei confronti dei leucociti del sangue che è una manifestazione dell’acquisizione di proprietà antigeniche evento che induce il richiamo sulla parete dei vasi arteriosi di leucociti del sangue (attivazione endoteliale ). Circa l’alterazione delle proprietà emostatiche, l’endotelio disfunzionale permette la deposizione sulla superficie vascolare di piastrine in condizioni in cui l’aggregazione piastrinica non serve (in assenza di lesioni della parete): di conseguenza, l’anormale deposizione di piastrine scatena una serie di eventi che comportano tra l’altro l’emissione di fattori di crescita come PDGF chemo-attraente per le cellule muscolari lisce e questo è un evento critico all’origine delle trombosi.

La disfunzione endoteliale cambia la funzione barri era di permeabilità selettiva nei confronti delle lipoproteine plasmatiche , a ciò ne consegue accumulo locale di lipoproteine plasmatiche LDL nell’intima arterios a e ossidazione delle stesse.

L’endotelio disfunzionale acquisisce proprietà antigeniche: questo comporta accumulo di cellule del sangue (leucociti monociti, linfociti) attorno alla parete endoteliale con penetrazione di queste cellule all’interno dell’intima dei vasi.

L’alterazione della funzione barriera nei confronti delle lipoproteine plasmatiche e l’acquisizione di proprietà antigeniche è all’origine della formazione della “stria lipidica ” ovvero un’area di ispessimento all’interno delle arterie sostenuto dall’accumulo di macrofagi carichi di lipidi (cellule schiumose,foams cells …) circondate da matrice extra cellulare e con un numero variabile di linfociti.

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La stria lipidica è il primo nucleo di formazione d ella placca aterosclerotica.

Ma cosa sono le lipoproteine LDL?

L’ipercolesterolemia fattore di rischio per aterosc lerosi: il bersaglio delle “statine” i farmaci antiaterosclerotici

Il colesterolo viene sintetizzato dal fegato, dalla corteccia surrenale, dalla cute, dall’intestino e dall’aorta con una media di 1g/die mentre l’organismo ne assume dalla dieta 300-600g/die, il controllo dell’attività sintetica è esercitato sull’enzima β-Oh-β metilglutaril CoA reduttasi. Un aumento nella dieta di colesterolo diminuisce la quota di colesterolo endogeno; la quota di colesterolo intestinale è controllata dalla concentrazione nel lume intestinale di sali biliari. Il colesterolo viene esterificato dalla cellule intestinali per quel che riguarda la quota alimentare e dal fegato per la quota endogena: il colesterolo viene trasportato nel sangue da lipoproteine e precisamente da β lipoproteine (LDL: colesterolo LDL ) e da α lipoproteine (HDL: colesterolo HDL) e da pre-beta lipoproteine (VLDL); queste proteine trasportano anche altri lipidi e in particolare i trigliceridi.

Tali macromolecole sono formate da una componente proteica superficiale che isola dall’ambiente plasmatico le componenti lipidiche.

Le lipoproteine HDL, α-lipoproteine sono prodotte esclusivamente dal fegato che immette i precursori delle HDL sotto forma di dischi a doppia membrana contenenti alternati su entrambi le facce colesterolo e fosfolipidi; questi dischi in circolo assorbono altro colesterolo fungendo da tensioattivi e aumentando di volume. Quando le HDL hanno

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raggiunto un equilibrio dinamico vengono riprese dal fegato con meccanismo di pinocitosi; il colesterolo assunto dalle cellule viene immesso nelle secrezioni biliari.

Il ruolo più importante delle HDL è il trasporto di colesterolo dai tessuti perif erici al fegato dove viene eliminato come acidi biliari o colesterolo biliare. Le lipoproteine LDL, beta-lipoproteine sono sintetizzate a livello epatico, e i loro precursori sono le particelle residue che restano dopo la digestione dei chilomicroni (trigliceridi provenienti dalla dieta). Le LDL si legano a ricettori cellulari specifici per introdursi all’interno delle cellule: dunque, il ruolo delle lipoproteine LDL è il trasporto del colesterolo alle cellule.

Quando l’endotelio diventa disfunzionale, le LDL attraversano e si accumulano nell’intima arteriosa; esse stesse o loro prodotti di biotrasformazione possono stimolare il reclutamento monocitario. Sembra che siano le modificazioni ossidative delle LDL nell’intima arteriosa (in un ambiente cioè non protetto dagli antiossidanti circolanti), l’evento critico in grado di conferire all’endotelio stesso le proprietà antigeniche, quelle cioè che inducono il reclutamento dei monociti (sembra cioè che l’alterato ingresso e l’ossidazione delle LDL sia il “primum movens” della stria lipidica e conseguentemente della placca aterosclerotica).

Dunque, esiste una stretta correlazione tra livelli di colesterolo LDL e rischio aterosclerotico. Da qui la necessità effettiva di monitoraggio del colesterolo LDL nei soggetti a rischio per familiarità e per patologia nell’invecchiamento.

L’effetto protettivo del colesterolo HDL dal rischio coronarico risulterebbe dall’inibizione dell’ossidazione delle LDL. Le statine, i farmaci oggi impiegati nel trattamento e prevenzione dell’aterosclerosi agiscono abbassando i livelli di LDL (inibendo in modo competitivo la 3-idrossi-3-metilglutaril CoA -redattasi enzima coinvolto nella sintesi di colesterolo dal fegato) e questo indurrebbe da una parte un ampliamento del diametro del lume inteso come regressione vera e propria della placca ma for se, molto di più, questi farmaci devono la loro efficacia all’induzio ne dell’abbassamento della concentrazione delle LDL ossidate , evento critico nella genesi dell’ateroma.

La terapia anti-aterosclerotica consiste fondamentalmente nel cercare di inibire la formazione e l’accrescimento della stria lipidica-ateroma, inibendo la sintesi del colesterolo e di conseguenza la quantità di colesterolo LDL che, penetrando nell’intima delle arterie

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con conseguente alterazione da parte dell’endotelio della permeabilità alle lipoproteine (disfunzione endoteliale), promuove la formazione dell’ateroma

Le statine hanno ridotto notevolmente l’incidenza d i eventi coronarici (circa il 34% nello studio 4S (130)), ma gli eventi coronarici continuano a verificarsi anche in pazienti in trattamento e la malattia coronaria rimane al primo posto nelle cause di morte nei paesi occidentali .

In effetti la terapia con statine nulla può contro la causa pr incipale della patologia coronarica: non può cambiare la “disfunzione endoteliale” derivante dall’invecchiamento dell’endotelio che è più o meno accelerato nei diversi individui e nei diversi distretti.

Ancora una volta la risoluzione definitiva sarebbe la rigenerazione del l’endotelio delle coronarie che, se nuovo, sarebbe perfettamente efficiente nell’esplicare tutte le sue funzioni e pertanto anche quella di barriera alle lipoproteine, sarebbe privo cioè di tutte le alterazioni caratteristiche della “disfunzione endoteliale” alla base delle più importanti patologie vascolari e per conseguenza delle più gravi patologie cardiache l’ischemia, le sindromi coronariche acute, lo scompenso cardiaco.

Gli esiti sul cuore degli infarti e lo scompenso ca rdiaco

Un mezzo farmacologico che fosse in grado di far s parire completamente le smagliature di vecchia data con perfetta restitutio ad integrum della cute sarebbe forse in grado, di indurre la rigenerazione del m iocardio post-infartuato, sarebbe forse così definitivamente debellabile lo scompenso cardiaco.

Come già detto, negli infarti importanti, alla necrosi del miocardio conseguente l’infarto, consegue una sostituzione connettivale che causa nelle aree del miocardio in cui si localizza, punti di inerzia contrattile, dal momento che il connettivo non ha le caratteristiche di capacità contrattile del tessuto miocardio integro.

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In queste aree si concentra la chirurgia anche quella sperimentale di innesto delle staminali tratte da midollo, proprio per indurre, previa digestione da parte della matrice del connettivo, la rigenerazione del miocardio.

Se questo esperimento fosse coronato da successo si otterrebbe una perfetta “restituito ad integrum” con totale ripristino dell’efficienza cardiaca.

Eppure le staminali sono presenti a quanto pare ovunque e soprattutto sono trasportate dal sangue: piuttosto che tentarne l’innesto sulle aree di lesione, basterebbe indurne la differenziazione con opportuno mezzo farmacologico

E’ probabile che, per lo stesso meccanismo attraverso il quale detto mezzo, se opportunamente veicolato in sede potrebbe indurre la differenziazione delle staminali con conseguente rigenerazione del miocardio, esso potrebbe indurre la scomparsa delle smagliature di vecchia data con perfetta ricostituzione dell’integrità cutanea.

Dunque, se è possibile questo ultimo evento, è probabile che siano altrettanto brillantemente trattabili gli esiti sul miocardio dell’infarto.

Certamente un mezzo farmacologico che fosse in grado di indurre la restitutio ad integrum( con perfetta ricostituzione degli annessi e totale repigmentazione) in ustioni profonde ed estese per le quali sarebbero giustamente prevedibili gravi esiti cicatriziali (data la gravità della lesione ben oltre le capacità riparative del tessuto) molto probabilmente, se opportunamente veicolato nel miocardio, sarebbe in grado di indurre rigenerazione del tessuto con scomparsa degli esiti cicatriziali postinfartuali conseguentemente, potrebbe restituire al cuore la sua perfetta efficienza anche dopo infarti gravi ed estesi ai quali l’organismo fosse sopravvissuto.

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Relazione su Sovrappeso ed Obesità Infantile in Abr uzzo provincia dell’Aquila a cura di : Dott. Giulio Maria Ranalli

Attualmente in Abruzzo circa il 40% dei bambini soffre di eccesso ponderale: questo il

quadro in base ad alcuni rilevamenti del Servizio Regionale di Auxoendocrinologia

Pediatrica della Clinica Pediatrica dell’Ospeda

Bambini e ragazzi italiani alle prese con problemi di bilancia, specialmente al Sud. Il 22,9%

dei bimbi di 8-9 anni è infatti in sovrappeso e l’11,1% è obeso. E’ quanto emerge dal Libro

bianco 2011 sulla salute dei bambini, un’analisi approf

popolazione fino ai 18 anni, pubblicata dall’Osservatorio nazionale sulla salute nelle

regioni italiane in collaborazione con la Società Italiana di Pediatria (SIP), e presentata al

Policlinico Gemelli di Roma.

Nelle Province autonome, invece, si registrano i valori minori (sovrappeso a Bolzano

11,4%, obesità a Trento 3,5%).

Per esempio, dal confronto dei dati 2008

settentrionali (escludendo il Ve92

Relazione su Sovrappeso ed Obesità Infantile in Abr uzzo

cura di : Dott. Giulio Maria Ranalli

Attualmente in Abruzzo circa il 40% dei bambini soffre di eccesso ponderale: questo il

quadro in base ad alcuni rilevamenti del Servizio Regionale di Auxoendocrinologia

Pediatrica della Clinica Pediatrica dell’Ospedale di Chieti.

Bambini e ragazzi italiani alle prese con problemi di bilancia, specialmente al Sud. Il 22,9%

9 anni è infatti in sovrappeso e l’11,1% è obeso. E’ quanto emerge dal Libro

bianco 2011 sulla salute dei bambini, un’analisi approfondita sullo stato di salute della

popolazione fino ai 18 anni, pubblicata dall’Osservatorio nazionale sulla salute nelle

regioni italiane in collaborazione con la Società Italiana di Pediatria (SIP), e presentata al

L’Abruzzo

classifica con il 28,3%

(bimbi di 8

seguito dalla Campania

(27,9%) e a pari merito

da Molise e Basilicata

(26,5%), mentre per

l’obesità le regioni

interessate dal

fenomeno sono la

Campania (20,5%), la

Calabria (15,4%) e

Molise (14,8%).

Nelle Province autonome, invece, si registrano i valori minori (sovrappeso a Bolzano

11,4%, obesità a Trento 3,5%).

Per esempio, dal confronto dei dati 2008-2010 si evidenzia che nelle regioni centro

settentrionali (escludendo il Veneto che presenta una tendenza opposta dovuta alla

Relazione su Sovrappeso ed Obesità Infantile in Abr uzzo – Focus sulla

Attualmente in Abruzzo circa il 40% dei bambini soffre di eccesso ponderale: questo il

quadro in base ad alcuni rilevamenti del Servizio Regionale di Auxoendocrinologia

Bambini e ragazzi italiani alle prese con problemi di bilancia, specialmente al Sud. Il 22,9%

9 anni è infatti in sovrappeso e l’11,1% è obeso. E’ quanto emerge dal Libro

ondita sullo stato di salute della

popolazione fino ai 18 anni, pubblicata dall’Osservatorio nazionale sulla salute nelle

regioni italiane in collaborazione con la Società Italiana di Pediatria (SIP), e presentata al

L’Abruzzo è in cima alla

classifica con il 28,3%

(bimbi di 8-9 anni)

seguito dalla Campania

(27,9%) e a pari merito

da Molise e Basilicata

(26,5%), mentre per

l’obesità le regioni

maggiormente

interessate dal

fenomeno sono la

Campania (20,5%), la

Calabria (15,4%) e il

Molise (14,8%).

Nelle Province autonome, invece, si registrano i valori minori (sovrappeso a Bolzano

2010 si evidenzia che nelle regioni centro-

neto che presenta una tendenza opposta dovuta alla

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notevole riduzione del numero di soggetti obesi che determina l’aumento dei soggetti in

sovrappeso) vi è una riduzione dei tassi di sovrappeso che oscilla tra il

Venezia Giulia e il -1,5% del Piemonte, mentre gli incrementi colpiscono il Meridione, a

parte la Sicilia dove il trend è in diminuzione (

registrato l’aumento più consistente è la Sardegna (+11,2%).

Le ricerche in questo settore

appaiano continue e gli

aggiornamenti sono costanti,

come freschi sono i dati

dell’Unicef contenuti nell’ultimo

rapporto “Bambini e adolescenti

tra nutrizione e malnutrizione”.

Complessivamente in Italia sono

i bambini maschi ad esserne più

soggetti all’obesità, con

percentuali del 30%, rispetto al

23% nelle femmine.

Sono le regioni meridionali a mostrare il numero maggiore di soggetti obesi, con un 34% a

fronte di un 22% al Nord e un 24% al Centro.

Che le percentuali siano alte lo si evince anche osservando quelle famiglie dove l’attività

motoria è marginale o male e discontinuamente praticata, oppure dove sono presenti

difficoltà economiche parallelamente a bassi livelli di istruzione dei genitori. Tra i

giovanissimi, la fascia di età più colpita è compresa tra 11 e 17 anni, con un tasso del

16,7% dei soggetti sul totale del campione.

che possono favorire un aumento di peso, specie se concomitanti, dai dati 2014 emerge

che l'8% dei bambini salta la prima colazione, il 31% fa una colazione non adeguata (ossia

sbilanciata in termini di carboidrati e proteine),il 52% fa una merenda di meta' mattina

93

notevole riduzione del numero di soggetti obesi che determina l’aumento dei soggetti in

sovrappeso) vi è una riduzione dei tassi di sovrappeso che oscilla tra il

del Piemonte, mentre gli incrementi colpiscono il Meridione, a

parte la Sicilia dove il trend è in diminuzione (-4,1%), anche se la regione in cui si è

registrato l’aumento più consistente è la Sardegna (+11,2%).

Le ricerche in questo settore

appaiano continue e gli

aggiornamenti sono costanti,

come freschi sono i dati

dell’Unicef contenuti nell’ultimo

rapporto “Bambini e adolescenti

tra nutrizione e malnutrizione”.

Complessivamente in Italia sono

ad esserne più

soggetti all’obesità, con

percentuali del 30%, rispetto al

Sono le regioni meridionali a mostrare il numero maggiore di soggetti obesi, con un 34% a

fronte di un 22% al Nord e un 24% al Centro.

lte lo si evince anche osservando quelle famiglie dove l’attività

motoria è marginale o male e discontinuamente praticata, oppure dove sono presenti

difficoltà economiche parallelamente a bassi livelli di istruzione dei genitori. Tra i

cia di età più colpita è compresa tra 11 e 17 anni, con un tasso del

16,7% dei soggetti sul totale del campione.

Non solo brutte notizie, si evidenzia una

leggera e progressiva diminuzione del

fenomeno di obesità e sovrappeso nel corso

degli anni e, in concomitanza, c’è anche un

leggero aumento del numero di ragazzi che

praticano sport in modo continuativo.

Per quanto riguarda le abitudini alimentari,

che possono favorire un aumento di peso, specie se concomitanti, dai dati 2014 emerge

salta la prima colazione, il 31% fa una colazione non adeguata (ossia

sbilanciata in termini di carboidrati e proteine),il 52% fa una merenda di meta' mattina

notevole riduzione del numero di soggetti obesi che determina l’aumento dei soggetti in

sovrappeso) vi è una riduzione dei tassi di sovrappeso che oscilla tra il -17,9% del Friuli

del Piemonte, mentre gli incrementi colpiscono il Meridione, a

4,1%), anche se la regione in cui si è

Sono le regioni meridionali a mostrare il numero maggiore di soggetti obesi, con un 34% a

lte lo si evince anche osservando quelle famiglie dove l’attività

motoria è marginale o male e discontinuamente praticata, oppure dove sono presenti

difficoltà economiche parallelamente a bassi livelli di istruzione dei genitori. Tra i

cia di età più colpita è compresa tra 11 e 17 anni, con un tasso del

Non solo brutte notizie, si evidenzia una

leggera e progressiva diminuzione del

fenomeno di obesità e sovrappeso nel corso

ncomitanza, c’è anche un

leggero aumento del numero di ragazzi che

praticano sport in modo continuativo.

Per quanto riguarda le abitudini alimentari,

che possono favorire un aumento di peso, specie se concomitanti, dai dati 2014 emerge

salta la prima colazione, il 31% fa una colazione non adeguata (ossia

sbilanciata in termini di carboidrati e proteine),il 52% fa una merenda di meta' mattina

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abbondante. Il 25% dei genitori dichiara che i propri figli non consumano quotidianamente

frutta e verdura. Il 41% dei genitori dichiara che i propri figli assumono abitualmente

bevande zuccherate e gassate.

Dai dati 2014, come nel

passato, emerge che tra

le madri di bambini in

sovrappeso o obesi, il

38% non ritiene che il

proprio figlio sia in

eccesso ponderale e solo

il 29% pensa che la

quantita' di cibo da lui

assunta sia eccessiva.

Inoltre, solo il 41% delle

madri di bambini

fisicamente poco attivi

ritiene che il proprio figlio

svolga poca attivita'

motoria.

Focalizzando l’attenzione sui ragazzi abruzzessi, sono a rischio, in particolar modo, i

bambini under 10 residenti in provincia dell’Aquila, un territorio che conta 48 adulti su 100

(di età compresa tra i 18 e i 69 anni) in sovrappeso o obesi. Poca attenzi

operatori sanitari, dal 2009 al 2012 solo al 45% delle persone in sovrappeso o obese è

stato consigliato di mettersi a dieta e al 29% è stato suggerito di fare attività motoria. E’

stato stimato che una prevenzione consapevole potrebbe far rispar

sanitario nazionale oltre 21 milioni di euro l’anno. Un’alimentazione poco controllata e

sedentarietà sembrano le cause dell’obesità infantile che nella Marsica ha raggiunto 26

bambini su 100, superando la media nazionale.

Il 7% dei bambini tra gli 8 e i 10 anni salta la colazione, il 98% mangia poca frutta e

verdura, 4 su 10 bevono bevande gasate più volte al dì, attività fisica insufficiente, ore

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abbondante. Il 25% dei genitori dichiara che i propri figli non consumano quotidianamente

e verdura. Il 41% dei genitori dichiara che i propri figli assumono abitualmente

bevande zuccherate e gassate.

Focalizzando l’attenzione sui ragazzi abruzzessi, sono a rischio, in particolar modo, i

bambini under 10 residenti in provincia dell’Aquila, un territorio che conta 48 adulti su 100

(di età compresa tra i 18 e i 69 anni) in sovrappeso o obesi. Poca attenzi

operatori sanitari, dal 2009 al 2012 solo al 45% delle persone in sovrappeso o obese è

stato consigliato di mettersi a dieta e al 29% è stato suggerito di fare attività motoria. E’

stato stimato che una prevenzione consapevole potrebbe far rispar

sanitario nazionale oltre 21 milioni di euro l’anno. Un’alimentazione poco controllata e

sedentarietà sembrano le cause dell’obesità infantile che nella Marsica ha raggiunto 26

bambini su 100, superando la media nazionale.

ni tra gli 8 e i 10 anni salta la colazione, il 98% mangia poca frutta e

verdura, 4 su 10 bevono bevande gasate più volte al dì, attività fisica insufficiente, ore

abbondante. Il 25% dei genitori dichiara che i propri figli non consumano quotidianamente

e verdura. Il 41% dei genitori dichiara che i propri figli assumono abitualmente

Focalizzando l’attenzione sui ragazzi abruzzessi, sono a rischio, in particolar modo, i

bambini under 10 residenti in provincia dell’Aquila, un territorio che conta 48 adulti su 100

(di età compresa tra i 18 e i 69 anni) in sovrappeso o obesi. Poca attenzione degli

operatori sanitari, dal 2009 al 2012 solo al 45% delle persone in sovrappeso o obese è

stato consigliato di mettersi a dieta e al 29% è stato suggerito di fare attività motoria. E’

stato stimato che una prevenzione consapevole potrebbe far risparmiare al sistema

sanitario nazionale oltre 21 milioni di euro l’anno. Un’alimentazione poco controllata e

sedentarietà sembrano le cause dell’obesità infantile che nella Marsica ha raggiunto 26

ni tra gli 8 e i 10 anni salta la colazione, il 98% mangia poca frutta e

verdura, 4 su 10 bevono bevande gasate più volte al dì, attività fisica insufficiente, ore

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davanti alla tv. Questa la sintesi di uno studio della Asl Avezzano-Sulmona-L’Aquila,

inserito in un progetto di respiro regionale dal titolo: “Prevenzione e modifica in età

prescolare e scolare di comportamenti alimentari scorretti per contrastare sovrappeso e

obesità”. Il progetto è stato avviato nella Marsica nel settembre del 2013, a inizio anno

scolastico e si è concluso nel giugno scorso, alla chiusura delle scuole. Un’educazione

alimentare che ha riguardato 250 alunni delle classi terze elementari (8-10 anni) di

Avezzano (via Fucino), Cerchio, Pescina e Ortucchio: in tutto 20 classi e 25 docenti oltre,

ovviamente, ai rispettivi presidi.Le conclusioni di queste analisi dicono che, nella Marsica i

bambini in sovrappeso sono il 26%, nettamente al di sopra della media nazionale che è

del 22%. Superiore allo standard nazionale, sia pure di poco, anche il dato sul numero di

obesi: 10,6% in Italia contro il 10,9 nel territorio. Il 3,7% è severamente obeso, il 10%

obeso; altro fatto tutt’altro che tranquillizzante: le madri seguono per i figli un’alimentazione

sbagliata, pensando di essere nel giusto. Vale per 8 madri su 10 di bambini sovrappeso e

per 4 su 10 di piccoli obesi. A ciò va aggiunto che solo il 2% consuma quattro o più

porzioni al giorno di frutta e verdura, come consigliano gli esperti e il 79% fa una merenda

inadeguata. Senza contare che 8 bambini su 10 fanno attività fisica meno di cinque giorni

a settimana e 4 su 10 trascorrono più di 2 ore al giorno davanti a tv e videogiochi. Un

quadro su cui occorre intervenire per introdurre opportuni cambiamenti ed evitare guai seri

alla salute dei bambini.Un’altro dato, con un forte impatto psico-socio-sanitario, è

rappresentato dall’incidenza di diabete mellito infantile, pari a 5 nuovi casi all’anno (0-15

anni), come evidenziato dal servizio di Pediatria dell’ospedale di Avezzano, e ciò potrebbe

anche essere legato all’eccesso ponderale e alla scarsa attività fisica, ed in questi termini

è fondamentale la prevenzione primaria attraverso l’educazione alimentare e l’educazione

all’attività fisica. Al momento nella provincia di L’Aquila sono attive alcune iniziative locali

(Let’s Move – Montesilvano; Progetto Benessere... la salute vien giocando – Sulmona;

ecc.) oltre alle campagne nazionali (Mangia bene, cresci bene; Frutta nelle scuole; ecc.) di

prevenzione con l’intento di contrastare l’incessante incalzare di questa problematica che

oggi affligge l’Italia in prima battuta e l’Abruzzo, con il primo posto.

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Sindrome della permeabilità intestinale A cura della Dott.ssa Balzano Giusi

Diverse patologie umane partono da un intestino poco efficiente. Cosa può rendere un

intestino poco efficiente? La risposta a tale domanda riguarda la rivalutazione del rapporto

tra cibo e salute. Aumentando le nostre conoscenze sulle interazioni tra cibo, abitudini

alimentari, genomica e ambiente è possibile effettuare una prevenzione e/o terapia.

Siamo, oramai, nell’era dell’epigenetica.

Molti studi sulla permeabilità della barriera gastro-intestinale indicano che essa è

strettamente legata al genoma dei batteri intestinali e che un intestino con flora batterica

compromessa pregiudica la produzione di enzimi digestivi che, perdendo le normali

condizioni biochimiche relative a pH, vitamine, peptidi e batteri, genera un’infiammazione

sub mucosale secondaria, relativa soprattutto, ai microvilli. Una corretta funzionalità del

sistema gastro-enterico è sicuramente un elemento fondamentale per l’equilibrio

dell’intestino in quanto solo alcuni componenti possono attraversarlo ed entrare nel flusso

sanguigno. In condizioni anomale si determina il passaggio di macromolecole oltre la

barriera gastrointestinale che possono essere identificate come non self e risultando

immunogene, scatenare una risposta immunitaria. Stati di squilibrio possono indurre quella

che viene ormai comunemente definita la “Leaky Gut Sindrome” o Sindrome dell’Intestino

Permeabile (Fig.1).

Fig. 1

Tale quadro ormai viene associato a

manifestazioni che spaziano dalle intolleranze

alimentari all’asma, dalle forme autoimmuni a

disturbi dell’intestino (quali Rettocolite Ulcerosa

e Morbo di Chron), passando attraverso

manifestazioni di stanchezza cronica,

fibromialgia, febbricole aspecifiche ed

innumerevoli altri sintomi. Questa maggiore permeabilità permette anche a tossine, batteri,

funghi e parassiti, che in condizioni normali non potrebbero passare. Un intestino

disbiotico inoltre, cioè con una flora batterica alterata e insufficiente, diventa sede di varie

sostanze tossiche che sovraccaricano continuamente il sistema immunitario, il quale col

tempo può perdere la sua efficienza e causare varie disfunzioni e malattie.

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Un piccolo grande caso

anomali che influenzano il meccanismo della neurotrasmissione in quanto riescono ad

oltrepassare la barriera ematoencefalica. Tali molecole, per la loro affinità co

possono essere una concausa del comportamento di tali pazienti e di conseguenza

dovrebbe essere loro indicata una dieta priva di tali alimenti in quanto l’astensione da

glutine e caseina, che deve variare in base al caso, permette di abbas

livelli di tali peptidi soprattutto se praticata nei primi anni di vita, quando le potenzialità

evolutive e la neuro plasticità sono ancora molto attive. Il lato positivo di questo regime

alimentare è espresso dal notevole migliorament

miglioramento delle capacità interattive, regressione dell’iperattività e dei comportamenti

violenti, maggiore resistenza alle infezioni e miglioramento della qualità del sonno.

Conclusioni

La contaminazione degli alimenti,

così di inquinare tutta la catena alimentare, è di fondamentale importanza per cogliere

l’obiettivo di ridurre il problema della permeabilità intestinale, punto di partenza di diverse

patologie.

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Nei bambini affetti da autismo si

evidenziano sempre più nelle urine la

presenza di elevati livelli di peptidi

quali la casomorfina e la glutomorfina.

Ciò consente di ipotizzare che durante

i processi digestiv

digestione delle proteine prima citate,

questi bambini assorbono peptidi

anomali che influenzano il meccanismo della neurotrasmissione in quanto riescono ad

oltrepassare la barriera ematoencefalica. Tali molecole, per la loro affinità co

possono essere una concausa del comportamento di tali pazienti e di conseguenza

dovrebbe essere loro indicata una dieta priva di tali alimenti in quanto l’astensione da

glutine e caseina, che deve variare in base al caso, permette di abbas

livelli di tali peptidi soprattutto se praticata nei primi anni di vita, quando le potenzialità

evolutive e la neuro plasticità sono ancora molto attive. Il lato positivo di questo regime

alimentare è espresso dal notevole miglioramento ottenuto: maggiore attenzione,

miglioramento delle capacità interattive, regressione dell’iperattività e dei comportamenti

violenti, maggiore resistenza alle infezioni e miglioramento della qualità del sonno.

La contaminazione degli alimenti, sia nella dieta dell’uomo che in quella animale, evitando

così di inquinare tutta la catena alimentare, è di fondamentale importanza per cogliere

l’obiettivo di ridurre il problema della permeabilità intestinale, punto di partenza di diverse

Nei bambini affetti da autismo si

evidenziano sempre più nelle urine la

presenza di elevati livelli di peptidi

quali la casomorfina e la glutomorfina.

Ciò consente di ipotizzare che durante

i processi digestivi, per un’alterata

digestione delle proteine prima citate,

questi bambini assorbono peptidi

anomali che influenzano il meccanismo della neurotrasmissione in quanto riescono ad

oltrepassare la barriera ematoencefalica. Tali molecole, per la loro affinità con i recettori µ,

possono essere una concausa del comportamento di tali pazienti e di conseguenza

dovrebbe essere loro indicata una dieta priva di tali alimenti in quanto l’astensione da

glutine e caseina, che deve variare in base al caso, permette di abbassare sensibilmente i

livelli di tali peptidi soprattutto se praticata nei primi anni di vita, quando le potenzialità

evolutive e la neuro plasticità sono ancora molto attive. Il lato positivo di questo regime

o ottenuto: maggiore attenzione,

miglioramento delle capacità interattive, regressione dell’iperattività e dei comportamenti

violenti, maggiore resistenza alle infezioni e miglioramento della qualità del sonno.

sia nella dieta dell’uomo che in quella animale, evitando

così di inquinare tutta la catena alimentare, è di fondamentale importanza per cogliere

l’obiettivo di ridurre il problema della permeabilità intestinale, punto di partenza di diverse

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MIELE, ALTERNATIVA NATURALEa cura di Dott.sa Beltrami Martina

a produrre diversi altri tipi di dolcificanti, di origine chimica, dal potere edulcorante molto superiore al saccarosio e per i quali è sufficiente una quantità estremamente ridotta per ottenere gli stessi effetti dolcificanti.Tra i più noti sono stati molto pubblicizzati, promossi e quindi utilizzati dolcificanti chimici a base di Asparame, ormai presente in migliaia di prodotti dell'industria alimentare e farmaceutica, tuttavia studi recdi aspartame e l'insorgenza di tumore.Volendo escludere i prodotti della chimica dalla propria alimentazione, un altro alimento con un potere edulcorante piuttosto elevato è il Miele.Il miele è un dolcificante naturale, di facile digeribilità, formato da zuccheri semplici fruttosio e glucosio - e contenente piccole quantità di minerali e vitamine ad azione bioregolatrice. Ne esistono moltissime varietà di colori e consistenze diverse in base pianta di origine, ma in ogni caso ha un potere dolcificante superiore a quello del saccarosio e può essere usato in dosi più piccole per averne gli stessi effetti.Alcuni recenti studi hanno valutato l'efficacia del miele come sostituto naturale del saccarosio e i risultati hanno evidenziato che l'uso del miele riduce l'aumento di peso, abbassa i livelli di trigliceridi plasmatici e favorisce l'aumento del colesterolo HDL (considerato protettivo per il rischio di patologie cardiovascolari). (2)Il miele è considerato un dolcificante adatto anche per soggetti che hanno disturbi legati al metabolismo degli zuccheri, come ad esempio soggetti affetti da diabete di tipo 1 e 2.In un recente studio (3) 97 soggetti, di età compresa tra i 25 e i 68 anni, con ddiabete di tipo 2 sono stati suddivisi in 3 gruppi. Ad un gruppo sono stati somministrati 75gr di Miele, ad un gruppo 35gr di Miele e al terzo gruppo 75gr di glucosio.La risposta glicemica è stata valutata dopo 1ora e dopo 2 ore.L'incremento medio della glicemia, dopo 2 ore, è stato naturalmente più basso nel gruppo 2 (30mg/dl), ma molto significativa è stata la differenza tra il gruppo 1 (a cui sono stati somministrati i 75gr di miele) e il gruppo 3 (75gr di glucosio): nel gruppo 1 infatti la variazione glicemica a 2 ore è stata di 85mg/dl contro i 170mg/dl del gruppo 3.Spesso i pazienti affetti da diabete hanno difficoltà a seguire una dieta completamente priva di zuccheri semplici e il miele, usato in piccole dosi, può essere preso in considerazione come sostituto naturale del saccarosio, avendo un indica glicemico più basso e provocando quindi una risposta glucidica significativamente più bassa..

98

MIELE, ALTERNATIVA NATURALE a cura di Dott.sa Beltrami Martina

Il consumo abituale di zucchero,

il comune saccarosio, contenuto in moltissimi alimenti naturali e aggiunto in molte preparazioni dolci a livello casalingo, è associato ad un aumentato rischio di obesità, sindrome metabolica e diabete. Sebbene non sia di per se un alimento dannoso, la quantità e la frequenza del suo utilizzo lo rendono un fattore di rischio per la popolazione generale. La richiesta crescente di alternative allo zucchero ha portanto nel tempo

a produrre diversi altri tipi di dolcificanti, di origine chimica, dal potere edulcorante molto superiore al saccarosio e per i quali è sufficiente una quantità estremamente ridotta per

enere gli stessi effetti dolcificanti. Tra i più noti sono stati molto pubblicizzati, promossi e quindi utilizzati dolcificanti chimici a base di Asparame, ormai presente in migliaia di prodotti dell'industria alimentare e farmaceutica, tuttavia studi recenti (1) hanno evidenziato una stretta correlazione tra l'uso di aspartame e l'insorgenza di tumore. Volendo escludere i prodotti della chimica dalla propria alimentazione, un altro alimento con un potere edulcorante piuttosto elevato è il Miele.

è un dolcificante naturale, di facile digeribilità, formato da zuccheri semplici e contenente piccole quantità di minerali e vitamine ad azione

bioregolatrice. Ne esistono moltissime varietà di colori e consistenze diverse in base pianta di origine, ma in ogni caso ha un potere dolcificante superiore a quello del saccarosio e può essere usato in dosi più piccole per averne gli stessi effetti.Alcuni recenti studi hanno valutato l'efficacia del miele come sostituto naturale del saccarosio e i risultati hanno evidenziato che l'uso del miele riduce l'aumento di peso, abbassa i livelli di trigliceridi plasmatici e favorisce l'aumento del colesterolo HDL (considerato protettivo per il rischio di patologie cardiovascolari). (2)

le è considerato un dolcificante adatto anche per soggetti che hanno disturbi legati al metabolismo degli zuccheri, come ad esempio soggetti affetti da diabete di tipo 1 e 2.In un recente studio (3) 97 soggetti, di età compresa tra i 25 e i 68 anni, con ddiabete di tipo 2 sono stati suddivisi in 3 gruppi. Ad un gruppo sono stati somministrati 75gr di Miele, ad un gruppo 35gr di Miele e al terzo gruppo 75gr di glucosio.La risposta glicemica è stata valutata dopo 1ora e dopo 2 ore.

edio della glicemia, dopo 2 ore, è stato naturalmente più basso nel gruppo 2 (30mg/dl), ma molto significativa è stata la differenza tra il gruppo 1 (a cui sono stati somministrati i 75gr di miele) e il gruppo 3 (75gr di glucosio): nel gruppo 1 infatti la variazione glicemica a 2 ore è stata di 85mg/dl contro i 170mg/dl del gruppo 3.Spesso i pazienti affetti da diabete hanno difficoltà a seguire una dieta completamente priva di zuccheri semplici e il miele, usato in piccole dosi, può essere preso in

erazione come sostituto naturale del saccarosio, avendo un indica glicemico più basso e provocando quindi una risposta glucidica significativamente più bassa..

consumo abituale di zucchero,

il comune saccarosio, contenuto in moltissimi alimenti naturali e aggiunto in molte preparazioni dolci a livello casalingo, è associato ad un aumentato rischio di obesità, sindrome metabolica e diabete. Sebbene non sia di per se un alimento dannoso, la quantità e la frequenza del suo utilizzo lo rendono un fattore di rischio per la popolazione

iesta crescente di alternative allo zucchero ha portanto nel tempo

a produrre diversi altri tipi di dolcificanti, di origine chimica, dal potere edulcorante molto superiore al saccarosio e per i quali è sufficiente una quantità estremamente ridotta per

Tra i più noti sono stati molto pubblicizzati, promossi e quindi utilizzati dolcificanti chimici a base di Asparame, ormai presente in migliaia di prodotti dell'industria alimentare e

enti (1) hanno evidenziato una stretta correlazione tra l'uso

Volendo escludere i prodotti della chimica dalla propria alimentazione, un altro alimento

è un dolcificante naturale, di facile digeribilità, formato da zuccheri semplici – e contenente piccole quantità di minerali e vitamine ad azione

bioregolatrice. Ne esistono moltissime varietà di colori e consistenze diverse in base alla pianta di origine, ma in ogni caso ha un potere dolcificante superiore a quello del saccarosio e può essere usato in dosi più piccole per averne gli stessi effetti. Alcuni recenti studi hanno valutato l'efficacia del miele come sostituto naturale del saccarosio e i risultati hanno evidenziato che l'uso del miele riduce l'aumento di peso, abbassa i livelli di trigliceridi plasmatici e favorisce l'aumento del colesterolo HDL

le è considerato un dolcificante adatto anche per soggetti che hanno disturbi legati al metabolismo degli zuccheri, come ad esempio soggetti affetti da diabete di tipo 1 e 2. In un recente studio (3) 97 soggetti, di età compresa tra i 25 e i 68 anni, con diagnosi di diabete di tipo 2 sono stati suddivisi in 3 gruppi. Ad un gruppo sono stati somministrati 75gr di Miele, ad un gruppo 35gr di Miele e al terzo gruppo 75gr di glucosio.

edio della glicemia, dopo 2 ore, è stato naturalmente più basso nel gruppo 2 (30mg/dl), ma molto significativa è stata la differenza tra il gruppo 1 (a cui sono stati somministrati i 75gr di miele) e il gruppo 3 (75gr di glucosio): nel gruppo 1 infatti la variazione glicemica a 2 ore è stata di 85mg/dl contro i 170mg/dl del gruppo 3. Spesso i pazienti affetti da diabete hanno difficoltà a seguire una dieta completamente priva di zuccheri semplici e il miele, usato in piccole dosi, può essere preso in

erazione come sostituto naturale del saccarosio, avendo un indica glicemico più basso e provocando quindi una risposta glucidica significativamente più bassa..

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In particolare, un diverso studio, ha valutato la risposta glucidica anche in bambini affetti da diabete di tipo I evidenziando ancora una volta come la risposta glucidica dopo assunzione di miele sia più bassa rispetto al saccarosio rendendolo un sostituto adeguato in moderate quantità. (4) Le proprietà del miele possono variare in base alla pianta di origine. Generalmente i mieli di acacia e castagno hanno un contenuto più basso di glucosio (inferiore al 28%) ed uno più alto di fruttosio, con un potere dolcificante maggiore e un indice glicemico più basso. (5) Anche per i non diabetici il miele dovrebbe essere preso in considerazione come dolcificante naturale abituale, il miele biologico grezzo, che non ha subito eccessive lavorazioni industriali, è infatti un alimento funzionale, ricco di polifenoli, antiossidanti naturali che possono aiutare l'organismo nel prevenire patologie cardiovascolari e rallentare l'invecchiamento dei tessuti , contrastando l'azione dei radicali liberi.(6)

Bibliografia

1."The carcinogenic effects of aspartame: the urgent need for regulatory re-evaluation" Soffritti M., et al. Am Journal Ind Me, aprile 2014. 2. "Honey promotes lower weight gain, adiposity, and triglycerides than sucrose in rats" T.M. Nemoseck, et al. Nutrition Research gennaio 2011 3. "Comparison of glycaemic response to honey and glucose in type 2 diabetes" Nazir L. et al.; Journal Pak Med Assoc. Gennaio 2014. 4. “The glycemic and peak incremental indices of honey, sucrose and glucose in patients with type 1 diabetes mellitus: effects on C-peptide level-a pilot study.” Abdulrhman M, El-Hefnawy M, et al. Acta Diabetol 2011 Jun;48(2):89-94. 5. “Dentro un vasetto di miele” Dott.sa Nadia Spano, Università degli studi di Sassari, dipartimento di Chimica e farmacia 6. “Functional properties of honey, propolis, and roal jelly” Viuda-Martons M, Ruiz-Navajas Y, et al. J Food Sci 2008 Nov; 73(9)

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PQQ: pirrolo-chinolino- chinone, un “nuovo” cofattore enzimatico correlate alla famiglia dell’Ubichinolo A cura del Dott. Gioacchino di Leo

Il PQQ è facilmente rintracciabile polvere stellare, confermando l’ipotesi di un suo ruolo importante nell’evoluzione della vita sulla terra! Tutte le piante conosciute contengono PQQ: ma né gli umani né i batteri sono in grado di sintetizzarlo; questo ha convinto gli esperti a classificare il PQQ come un micro- nutrimento essenziale

Formula di struttura del Pirrolo-chinolino-Chinone (PQQ)*

Approf ondimento della scoperta del PQQ

Scienziati giapponesi hanno scoperto una nuova vitamina che svolge un ruolo importante nella fertilità dei topi e che potrebbe avere una funzione del tutto simile anche negli esseri umani. Il gruppo di ricercatori, guidatochimica (RIKEN) di Tokyo, ha confermato che il pirrolochinolino chinone (PQQ), una sostanza scoperta nel 1979, può essere etichettata come vitamina. I topi privati di PQQ presentano una fertilità ridotta topi, ha affermato Kato, di solito agiscono nello stesso modo anche sugli esseri umani. “Sono molti i fattori che potrebbero avere a che fare con questo calo di fertilità, spiegato il ricercatore - e ci sarà bisogno di molti altri studi per scoprire esattamente cosa accade a questi topi e quali sarebbero gli effetti sull'uomo”. vitamina scoperta dal 1948; le vitamine, sostanze organiche necessarie in piccole quantità per la salute e la crescita, devono essere ottenute dal cibo e non possono essere prodotte dal corpo. Esistono altri 13 tipi di vitamina conosciuti: il PQQ dovrebbe far parte del gruppo delle vitamine B. La miglior fonte di PQQ che si conosca finora è il piatto giapponese a base di soia fermentata. comprendono il prezzemolo, il pepe verde, il tè verde, il kiwi e la papaya. è compresa nelle tavolette multiper stimolare la biogenesi dei mitocondri e ricerche in tal senso confermano ulteriormente un suo ruolo di strategica importanza nella produzione di energia cellulare, tanto è vero che gli è stato riconosciuto un ruolo di potente faanche per gli organismi superiori.

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chinone, un “nuovo” cofattore enzimatico correlate alla famiglia dell’Ubichinolo A cura del Dott. Gioacchino di Leo – Chimico Farmaceutico

Il PQQ è facilmente rintracciabile nelle sostanze naturali: è stato scoperto anche nella polvere stellare, confermando l’ipotesi di un suo ruolo importante nell’evoluzione della vita

Tutte le piante conosciute contengono PQQ: ma né gli umani né i batteri sono izzarlo; questo ha convinto gli esperti a classificare il PQQ come un

nutrimento essenziale .

Chinone (PQQ)*

ondimento della scoperta del PQQ

Scienziati giapponesi hanno scoperto una nuova vitamina che svolge un ruolo importante nella fertilità dei topi e che potrebbe avere una funzione del tutto simile anche negli esseri

Il gruppo di ricercatori, guidato da Takafumi Kato dell'Istituto di ricerca fisica e chimica (RIKEN) di Tokyo, ha confermato che il pirrolochinolino chinone (PQQ), una sostanza scoperta nel 1979, può essere etichettata come vitamina. I topi privati di PQQ presentano una fertilità ridotta e hanno il pelo più ruvido; le vitamine che hanno effetto sui topi, ha affermato Kato, di solito agiscono nello stesso modo anche sugli esseri umani. “Sono molti i fattori che potrebbero avere a che fare con questo calo di fertilità,

e ci sarà bisogno di molti altri studi per scoprire esattamente cosa accade a questi topi e quali sarebbero gli effetti sull'uomo”. PQQ è la prima nuova vitamina scoperta dal 1948; le vitamine, sostanze organiche necessarie in piccole quantità

er la salute e la crescita, devono essere ottenute dal cibo e non possono essere prodotte Esistono altri 13 tipi di vitamina conosciuti: il PQQ dovrebbe far parte del

La miglior fonte di PQQ che si conosca finora è il piatto giapponese a base di soia fermentata. Altri cibi ricchi di questa sostanza comprendono il prezzemolo, il pepe verde, il tè verde, il kiwi e la papaya. è compresa nelle tavolette multi-vitaminiche disponibili sul mercato. PQQ ha il potenziale per stimolare la biogenesi dei mitocondri e ricerche in tal senso confermano ulteriormente un suo ruolo di strategica importanza nella produzione di energia cellulare, tanto è vero che gli è stato riconosciuto un ruolo di potente fattore di crescita per le piante, i batteri ma anche per gli organismi superiori.

chinone, un “nuovo” cofattore enzimatico

nelle sostanze naturali: è stato scoperto anche nella polvere stellare, confermando l’ipotesi di un suo ruolo importante nell’evoluzione della vita

Tutte le piante conosciute contengono PQQ: ma né gli umani né i batteri sono izzarlo; questo ha convinto gli esperti a classificare il PQQ come un

Scienziati giapponesi hanno scoperto una nuova vitamina che svolge un ruolo importante nella fertilità dei topi e che potrebbe avere una funzione del tutto simile anche negli esseri

da Takafumi Kato dell'Istituto di ricerca fisica e chimica (RIKEN) di Tokyo, ha confermato che il pirrolochinolino chinone (PQQ), una sostanza scoperta nel 1979, può essere etichettata come vitamina. I topi privati di PQQ

e hanno il pelo più ruvido; le vitamine che hanno effetto sui topi, ha affermato Kato, di solito agiscono nello stesso modo anche sugli esseri umani. “Sono molti i fattori che potrebbero avere a che fare con questo calo di fertilità, - ha

e ci sarà bisogno di molti altri studi per scoprire esattamente cosa PQQ è la prima nuova

vitamina scoperta dal 1948; le vitamine, sostanze organiche necessarie in piccole quantità er la salute e la crescita, devono essere ottenute dal cibo e non possono essere prodotte

Esistono altri 13 tipi di vitamina conosciuti: il PQQ dovrebbe far parte del La miglior fonte di PQQ che si conosca finora è il “natto”, un

Altri cibi ricchi di questa sostanza comprendono il prezzemolo, il pepe verde, il tè verde, il kiwi e la papaya. Attualmente non

PQQ ha il potenziale per stimolare la biogenesi dei mitocondri e ricerche in tal senso confermano ulteriormente un suo ruolo di strategica importanza nella produzione di energia cellulare, tanto è vero

ttore di crescita per le piante, i batteri ma

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Recenti studi clinici dimostrano che animali allevati privandoli di tale cofattore mostrano difficoltà nella normale crescita, una contemporanea compromissione del sistema immunitario, disfunzione dell’apparato riproduttore, e, naturalmente, un diminuito numero di mitocondri cellulari. Inoltre, in penuria o assenza di PQQ diminuiscono le quantità di nuovi nati, la loro sopravvivenza statistica, e il loro stato di salute generale. La reintroduzione di adeguati livelli di PQQ da luogo a cambiamenti positivi e alla reversibilità delle osservazioni precedenti.

Il principale effetto clinico osservabile di PQQ è la difesa dei mitocondri

I Mitocondri rappresentano, per la cellula umana ma non solo, la fonte primaria di energia ottenibile dall’ossidazione di substrati biologici (substrati biologici--------ossidazione----------ATP); ma come conseguenza dei processi fisiologici in atto abbisognano di notevoli quantità di sostanze anti-ossidanti in grado di controbilanciare la produzione endogena di radicali liberi (come conseguenza dell’attività ossidante). I Mitocondri al massimo della loro capacità ossidante sono strutture abbastanza stabili: per il loro funzionamento ottimale necessitano di numerosi fattori nutrizionali specifici come il CoQ10 e un suo similiare cofattore, oggi, più noto come PQQ. A differenza di altri anti-ossidanti il PQQ mostra una straordinaria stabilità che gli permette di trasportare migliaia di elettroni (lungo la catena respiratoria) e di trasferirli a substrati ideali senza andare incontro a fenomeni di alterazione strutturale e, quindi, a perdita di efficacia nel corso del tempo. Così, oltre a trasferire elettroni con meccanismi a basso consumo di energia, è in grado di svolgere contemporaneamente attività anti-ossidanti. In accordo con ricerche recenti le proprietà anti ossidanti del PQQ valgono da 30 a 5000 volte quelle dell’Acido Ascorbico (Vit. C)!

Numerosi studi di biochimica dimostrano queste osservazioni e oggi il PQQ è considerato il cofattore (vitamina?)più importante della pur numerosa famiglia degli anti-ossidanti. Il PQQ, grazie a questa duale attività (rende ottimale la produzione di energia cellulare e svolge attività anti-ossidante di rara potenza) viene visto come la sostanza ideale per combattere le malattie degenerative dell’anziano soprattutto quelle caratterizzate da perdita di performance cardiaca e cerebrale.

Azioni Neuroprotettive

Il PQQ ha dimostrato di ottimizzare le funzioni fisiologiche dell’organismo compreso il Sistema Nervoso Centrale: infatti, una sua supplementazione costante nel tempo ben si correla con una netta diminuizione dei segni precoci di Alzheimer e una sensibile riduzione dei processi di ossidazione neuronale con miglioramenti sensibili di memoria e capacità intellettive, dimostrandosi utile anche nei casi di prevenzione del Parkinson.

Come è noto le specie reattive dell’Azoto (RNS) come anche quelle dell’Ossigeno (ROS) rappresentano una effettiva minaccia per tutti i neuroni, contribuendo al peggioramento delle capacità mnemoniche e intellettive (indotte dall’avanzare dell’età biologica).

Il PQQ sopprime direttamente gli RNS e i ROS, risultando molto utile nel diminuire i danni da infarto del miocardio o neuronale indotto nell’animale da esperimento; inoltre, il PQQ sopprime il gene che produce INOS (la maggior sorgente di RNS).

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Il PQQ protegge direttamente le cellule del sistema nervoso centrale (SNC) dalle conseguenze dei danni ossidativi causati da infiammazione, ischemia e riperfusione (secondaria a fattori ischemico-infartuali, contribuendo a una ripresa delle attività in tempi molto più rapidi che qualsiasi altro alimento-nutrimento essenziale).

Infatti, somministrandolo immediatamente prima di indurre uno stroke o un infarto nell’animale da esperimento, si assiste a una netta diminuzione delle dimensioni dell’area infartuale indotta, con notevoli benefici di mantenimento delle attività cellulari cardiache o neuronali interessate dai fenomeni ischemici; inoltre, il PQQ protegge i neuroni dai cambiamenti indotti dai recettori NMDA, responsabili dell’eccito-tossicità.

L'eccito-tossicità è un fenomeno di tossicità neuronale conseguente all'esposizione a concentrazioni relativamente alte di acido glutammico (50-100 µM). Il fenomeno risulta particolarmente importante perché il glutammato è il principale neurotrasmettitore eccitatorio a livello del sistema nervoso centrale: l'applicazione locale di glutammato a livello di sezioni di cellule neuronali induce degenerazione dei corpi cellulari vicini al sito di iniezione, mentre risparmia le fibre assoniche. E’, quindi, il glutammato, tramite interazione con i recettori NMDA del glutammato stesso (sottotipo di recettori ionotropici del glutammato sensibili al N-metil-D-aspartato), a determinare tossicità a causa dell'aumento ingresso di elevate concentrazione di calcio nel neurone postsinaptico. L'aumento del calcio intracellulare determina, infatti, alterazioni nella permeabilità della membrana mitocondriale e attivazione della caspasi citosoliche (che inducono la cellula all’apoptosi).

Il meccanismo della eccito-tossicità sembra implicato nella patogenesi di numerose malattie neurodegenerative, come il morbo di Parkinson e la corea di Huntington, e nel danno neurale conseguente a grave ipossia, come nel caso di ictus e arresto cardiaco, con grave ipo-perfusione cerabrale (l'ipossia sembra determinare, infatti, aumento dell'attivazione dei recettori al glutammato NMDA). Numerose ricerche in questo campo confermerebbero che il PQQ rappresenta e rappresenterà in futuro la strategia migliore per la complessa cura e prevenzione dell’ Alzheimer e il Parkinson, malattie caratterizzate appunto da accumulo di proteine che rappresentano la cascata di eventi in grado di scatenare a livello cellulare fenomeni ossidativi di notevole intensità tali da scatenare una vera e propria morte anticipata della cellula. Il PQQ ha dimostrato di prevenire lo sviluppo di una proteina (alfa-sinucleina) associata direttamente al Parkinson; allo stesso tempo il PQQ protegge il corpo neuronale cellulare dai fenomeni ossidativi che portano alla formazione della proteina beta-amieloide fortemente associata ai fattori scatenanti l’Alzheimer. Nell’uomo la supplementazione di 20 mg/die di PQQ soprattutto in aggiunta a 300 mg di Coq10 (Ubiquinolo) ha mostrato miglioramenti clinici evidenti sia sotto l’aspetto delle capacità di memoria che di mantenimento delle capacità intellettive, anche in tarda età e in pazienti interessati da fenomeni ischemici.

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Quali situazioni cliniche si adattano meglio al PQQ ?

• Casi di disfunzione mitocondriale legati all’età biologica del paziente o a seguito di

malattie ischemico-infartuali (ricercatori in varie parti del mondo hanno evidenziato i più gravi episodi di disfunzione mitocondriale in pazienti di 70 anni confrontati con quelli di 40 anni);

• Numerosi studiosi sono ormai convinti che la longevità dei mitocondri e la loro efficacia-efficienza sia direttamente legata a un buon funzionamento del mitocondrio stesso, così come un’attenzione particolare allo stato di conservazione della capacità mitocondriale fortemente si correla con un aumento delle aspettative di vita;

• La supplementazione di PQQ ha dimostrato come questa nuova famiglia di cofattori sia in grado non solo di migliorare le capacità lavorative dei mitocondri ma anche di agire come fattore responsabile di aumento della biogenesi di nuovi mitocondri a sostituzione dei quelli malfunzionanti o inattivi;

• A differenza del CoQ10, mentre l’Ubichinolo ottimizza la funzione dei mitocondri, il PQQ agisce direttamente sui geni che governano la riproduzione di nuovi mitocondri, proteggendo quelli ben funzionanti e riparandone le strutture danneggiate (dai fenomeni di ossidazione da radicali liberi).

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