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NUOVA RIVISTA STORICA Volume LXXXI - Anno 1997 SOCIETA EDITRICE DANTE ALIGHIERI

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NUOVA RIVISTA STORICA

Volume LXXXI - Anno 1997

SOCIETA EDITRICE DANTE ALIGHIERI

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«AD HONOREM IMPERII CUI FIDE ET DEVOTIONE TENEMINI» : FEDERICO II E LE CITTA LOMBARDE (*)

Due osservazioni preliminari: la frase latina citata nel titolo e tratta dalle Constitutiones et acta imperil, a stata estrapolata da una lettera del 30 luglio 1225 the annuncia per la Pasqua del 1226 la convocazione di una dieta da te- nersi nella cittä di Cremona - «que devota imperio est et ad quam facilius et sine difficultate itineris longioris ultra citraque Alpes constituti poterunt conve- nire» - per discutere «pro succursu et itinere Terre (Sancte), pro honore quo- que et reformatione status imperil ... » (1).

L'ho riportata perche la sua formulazione mi a parsa significativa della ideologia imperiale e della «piena consapevolezza the Federico II aveva di se, del suo potere, e dei suoi compiti» (2) ma anche perche, a mio vedere, espressione della volontä, o della speranza, the tale consapevolezza (non soltanto nel concetto della sovranazionalitä dell'impero, the del resto non venne mai negata) facesse malgrado tutto ancora pane del bagaglio ideologico e politico dei regni the gli erano soggetti. E probabile the il sovrano pensasse in particolare a quelle terre del Regnum Italicum - principalmente Milano ei suoi piü stretti alleati - the avevano combattuto con tanta asprezza e decisione l'avo Federico I, ottenendo con il trattato di pace di Costanza (1183) autonomie the il passare del tempo e una riflessione dottrinaria mirata avevano incrementato. Federico usa, nel com- plesso del discorso cui mi riferisco, una terminologia decisa (e significativo quel verbo mandamus poi tanto frequente nelle missive dei principi del Tre e Quattrocento) e al tempo stesso abbastanza accattivante: «... Quapropter

vestre dignationi precipiendo mandamus, sollicitantes instantius et ortantes

(*) Relazione tenuta al Convegno Internazionale di studi Federico 77 e la civiltä comunale nell'Italia del Nord, Pavia 13-15 ottobre 1994.

(1) Constitutiones et acta publica imperatorum, Monumenta Germaniae Historica (M. G. H. ), t. II, n. 103a, p. 664,1225, luglio 30: Mandatum de curia Cremone visitanda, indiriz- zato da Federico «Principibus Alemanne, ducibus, comitibus, potestatibus Lombardie et communitatibus, fidelibus suis ... ».

(2) P. BR=, La personalitä di Federico II, in Politica e cultura nell'etä di Federico II, a c. di S. Gensini, Pisa 1986, p. 37.

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quatenus ob reverentiam Christi cuius negotium specialiter agitur in hac parte, ad honorem quoque imperil, cui fide et devotione tenemini, pro- peretis ... La seconda osservazione concerne 1'aggettivo «Iombarde» usato per quali- ficare le cittä di cui si parla, qui considerato nella sua piü ampia accezione, che era, in fondo, molto vicina alla composizione della Societas Lombardonim neue sue due versioni (3).

Il significato del titolo imperiale, quello di primus inter pares provvisto perö di una maggiore dignitä e destinato a rappresentare 1'unitä ideale dei vari terri- tori dell'impero sebbene privo di effettivo potere sugli altri sovrani, si era an- dato precisando, com'e noto, da Carlomagno agli Ottoni che avevano gradual- mente assimilato la tradizione regia ed imperiale franca e 1'atteggiamento tenuto nei confronti della Chiesa, cosi come 1'inserimento delle alte gerarchie ecclesia- stiche ad ogni livello nella struttura dello stato. Molto importante e anche 1'a- spetto religioso dell'ideologia ottoniana che designa 1'imperatore quale guida e protettore della Chiesa, al di sopra del pontefice stesso. t il concetto della supe- riore dignitä dell'imperatore al quale compete 1'auctoritas imperandi rivendicata giä dal primo Svevo e riconosciutagli, ad esempio, anche dal potente sovrano d'Inghilterra Enrico II nel 1157.

Il termine auctoritas aveva infatti un preciso valore nel campo del diritto pubblico romano e tale valore era ben conosciuto nel Medioevo, significando che la superioritä dell'imperatore romano consisteva nel fatto che egli era il primo di tutti i magistrati, che possedeva prestigio e dignitä maggiori degli altri e rappresentava nella sua persona 1'unitä del governo e dello stato. E non si deve dimenticare che il periodo degli imperatori della casa di Svevia era quello della ripresa del diritto romano e che Federico II aveva tentato di porsi sulle traccie giustinianee con le sue Costituzioni melfitante (1231), di recente definite «... uno dei monumenti legislativi del Medioevo

.. .» con le quali lo Svevo «riusci a porre le basi normative di un vero stato territoriale ... ». >� infatti significativa «la molteplicitä dei "loro" contenuti normativi», che concernono tanto disposi- zioni costituzionali e amministrative, quanto regole sul processo civile e penale, sanzioni di diritto penale e numerose norme di diritto privato (4).

(3) L'area «lombarda» si puö definire attraverso i trattati delle Leghe omonime soprat- tutto in rapporto alle aree contermini, ossia la Marca Trevigiana e la Romagna. Si possono, in genere, comprendervi, oltre a Milano, Mantova, Brescia, Bergamo, Lodi, Pavia, Ferrara, Pa- dova, Vicenza, Verona, Bologna, il Monferrato e Genova.

(4) A. PADOA SCHIOPPA, II diritto nella storia d'Europa. I1 Medioevo, parte prima, Padova 1995, pp. 238-241. Si veda anche D. ABULAFIA, Federico II, un imperatore medievale, Torino

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«Ad honorem imperil cui fide et devotione tenemini»: etc.

Quanto alla trasposizione del potere assoluto di Giustiniano nell'impero svevo, essa era giä stata teorizzata per Federico I dai giuristi bolognesi, in una li- nea di diretta continuitä. L'intento di Federico II era quello di restaurare 1'auto- ritä imperiale sul Regnum Italicum, e tale restaurazione non mi pare sia da consi- derarsi mossa da intend reazionari nei confronti delle autonomie dei comuni cit- tadini, bensi come 1'applicazione dei principi del diritto, quello promulgato nel Corpus Juris giustinianeo e che divenne il diritto dell'Impero medioevale.

La politica e la personalitä del primo Svevo sono state oggetto di interpre- tazioni coeve - basterebbe citare i Gesta Friderici di Ottone di Frisinga e le molte cronache germaniche e padane -e di numerosi studi a partire dall'Otto-

cento i quali peraltro ne hanno spesso fornito interpretazioni arbitrarie e di- storte sull'onda delle emozioni del periodo risorgimentale.

L'amplissima documentazione esistente su Federico II, la grande quantitä delle imprese compiute e delle iniziative promosse, l'abbagliante immagine del

regno di Sicilia - anche se non del tutto aderente alla realtä - hanno dato vita ad una vastissima bibliografia sul terzo Svevo, a cominciare dall'ultimo decennio del secolo XIX e fino ai nostri giorni anzitutto con Winkelmann, poi con Kanto- roxvicz nel primo trentennio del Novecento, e con mold altri, anche italiani, come Momigliano, Morghen, De Stefano, Gabriele Pepe, Del Vecchio, Leicht, Calasso, e, piü recentemente Gina Fasoli, Paolo Brezzi fino ai recentissimi Maz- zarese Fardella, De Robertis, Colliva, Tramontana, Pispisa, Abulafia. ..

(5). Le indagini compiute hanno dato del secondo Federico immagini diverse,

mettendone in risalto gli aspetti piü vari, spesso interpretando, sulla base delle ideologie dominanti nello specifico momento storiografico, la sua azione reli- giosa, politica, culturale, fino ad esaltarlo come il nuovo Messia oa considerarlo 1'Anticristo: cosi il puerApulie, lo stupor mundi, il princeps pacis, l'amator sapien- tiae, il vicarius Dei, essendo il papa vicarius Christi, e divenuto un simbolo di

contraddizioni e ha avuto molteplici e spesso opposte interpretazioni. Non e mia intenzione analizzarne ora, a mia volta, la complessa ed enigma-

1988, p. 169 ss., II quale ritiene invece the le Costituzioni di Melfi manchino «dell'ampio re- spiro e dell'organicitä onnicomprensiva dei testi romani, limitandosi ad affrontare i problemi specifici ad un regno in urgente bisogno di ricostruzione. Ne si puö parlare di profonda origi- nalitä, ma piuttosto di una combinazione ben dosata di fonti romane, canoniche e feudali - elementi di diritto consuetudinario germanico, se giudicati di maggior praticitä, trovavano col- locazione accanto a radicate usanze italiche». Per un piü specifico esame delle Costituzioni, si v. alle pp. 174 ss., parr. II e III.

(5) Per non appesantire le note con riferimenti ad opere ampiamente conosciute dagli studiosi, rimando al volume di D. Abulafia citato a n. 4e alla bibliografia essenziale indicata nell'apposita sezione e nelle note, alle pp. 379-91.

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tica, giä per i suoi contemporanei, personaliä; cercherö invece di identificame,

sulla base di alcuni documenti di archivio e cronachistici, qualche aspetto attra- verso il filtro delle vicende the durante il suo regno coinvolsero le cittä padane. Ed anche questo non e del tutto agevole perche la cosiddetta seconda Societas Lombardorum non ebbe per i comuni che ne fecero parte lo stesso peso e signifi- cato della prima, ne dal punto di vista politico ne, a quanto mi risulta finora, da

quello economico. Si rileva quanto sopra anche dal fatto che la documentazione in proposito e scarsa: perduta, o forse neppure conservata perche di poca importanza (6)?

Nella prima meta del Duecento le sfere di influenza si erano ormai formate

e Milano, malgrado le lotte interne, era riconosciuta come la cittä egemone e co- stituiva comunque uno dei capisaldi degli opposti schieramenti: era nemica delle imperiali, per lunga tradizione, Cremona e Pavia, che coagulavano un certo numero di centri e, a sua volta, ne capeggiava altri.

Quanto alla figura e all'azione di Federico II, a mio vedere esse si collocano ambiguamente, o alternativamente su un duplice sfondo, da cui l'interrogativo

su che cosa egli abbia inteso e sentito di essere soprattutto: se il rex Siciliae, o l'imperatore del Sacro Romano Impero teso al pieno recupero delle prerogative spettanti all'impero stesso nei confronti della Chiesa e dei Regna, ponendosi quale «lex animata in terris», e quindi fonte unica della legge e del potere (il

che, del resto, sarebbe tomato a vantaggio anche del regno di Sicilia). Nei suoi primi anni Federico rivolse 1'attenzione solo all'Italia meridionale

e alla Germania, ma si ha l'impressione che le abbia considerate come successivi passaggi verso il traguardo ancora lontano ma tenacemente pensato e voluto dell'impero universale e questo, in fondo, era anche negli intend del pa- dre (7).

Nel 1212 Federico muove dunque dalla Sicilia verso la Germania per cin-

(6) G. Rom, in Federico II e le ciud padane, Politica e cultura cit., rileva (p. 55, n. 4), seguendo anche il Simeoni, the ]a Lega, sebbene rinnovata tre volte (1185,1195 e 1208) in corrispondenza delle preoccupazioni suscitate rispettivamente da Federico I, Enrico VI e Ot- tone IV, non aveva avuto in realtä occasione di impegnarsi a fondo sul piano politico-militare. Soprattutto ]a seconda Lega Lombarda «non svolse un'azione continua e coerente come la

prima, non cercö di essere come quella un organismo intercittadino rivolto a create una stabile intesa politica cd economica fra le cittä collegate; non ortenne successi clamorosi come ]a

prima; non ispirb una cronachistica altrettanto appassionata e svani nel nulla senza lasciare

ereditä esemplari e stimolanti» (ivi, p. 54). (7) E sempre importante per la figura e Is politics di Enrico VI l'interpretazione the ne

dä Giorgio Falco in La Santa roman repubblica, Milano-Napoli MChL. XVIII, ottava ediz., pp. 285-322.

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gerne la corona e in questo suo viaggio ha modo di conoscere e capire 1'atteggia- mento delle cittä «padane» nei suoi confronti: in altre parole, quali fossero fe- deli e quali no. E Milano non solo non lo era, essendo legata ad Ottone IV, ma addirittura intensificava in quel primo decennio del secolo XIII la sua spinta au- tonomistica e codificava le proprie norme consuetudinarie, estendendole al con- tado e ai territori soggetti ($). E Milano lo sconfisse i128 luglio 1212, al passag- gio del Lambro mentre era diretto a Cremona.

Federico, che giä nel regno di Sicilia aveva agito duramente contro le auto- nomie locali, e ancor piii lo avrebbe fatto in seguito, indirizzö da quel momento la sua politica, nella prospettiva del suo ritorno in Italia per cingere la corona imperiale, a favore dei centri che gli si mostravano amici, anche se forse non gli fu sempre agevole conoscere la reale disponibilitä dei comuni centro-settentrio- nali italiani, in cui le partes cambiavano spesso sia all'interno sia nelle alleanze esterne, come risalta chiaramente anche dalla mutevole composizione della Lega. Era peraltro indispensabile per Federico identificare e mantenere un iti- nerario percorribile senza troppi intralci entro la penisola italica che costituiva il trait-d'union tra i suoi regni del Nord e del Sud. Ea settentrione vi era la Pada- nia, al centro lo stato pontificio, che non aveva poi interesse a facilitargli troppo le cose. Intanto, da Basilea alla fine del 1214 infeuda ad Asti, i cui banchieri gli avevano prestato mille marche d'argento, il castello di Annone (9), un baluardo al confine con le terre dei Monferrato.

1125 luglio 1215 e incoronato ad Aquisgrana re dei Romani: il luogo ove av- viene 1'incoronazione e la tradizionale cerimonia sono indispensabili all'ideolo- gia federiciana centrata sulla continuitä con l'impero romano di Occidente, come pure rientra nella tradizione (cosi era stato per 1'avo e il padre), la volontä, espressa allora, di farsi crociato per liberate il Santo Sepolcro. Da quel mo- mento, inoltre, si impegna a percorrere in lungo e in largo la Germania, tenendo perö gli occhi e la mente rivolti all'Italia del nord. Com'e noto, in Germania pri- vilegiö tanto le cittä episcopali quanto quelle imperiali: tale politica, in termini di autonomia, ha destato sorpresa negli storici che 1'hanno interpretata come una riprova del suo disinteresse per la situazione tedesca (10); a me pare che sia piuttosto un segno di lungimiranza: una Germania pacificata e in grado di reg- gersi autonomamente e senza troppi contrasti, gli avrebbe consentito maggiore

(8) Per la situazione milanese nell'epoca di Federico I si v. ora R PERELLm CIPPO, Tra ar- civescovo e comune. Momenti e personaggi del Medioevo milanese, Milano 1995, in particolare la pane prima, pp. 9-61.

(9) J. L. A. Hun Uxn-BREfmoLLFS (d'ora in poi H-B), Historia diplomatica Friderici Secundi Romanonun imperatoris, Jerusalem et Siciliae regis, Parisiis MDCCCLII-MDCCCLIX, I, 1, 1214 nov. 22, p. 324.

(10) D. AmsuLAnA, Federico II cit., p. 102 s.

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libertä di azione verso gli obiettivi imperiali rafforzandone a tale fine 1'immagine.

Per quanto concerne le terre lombarde, il 15 giugno 1216, da Spira, con- cede ai sudditi comaschi «ob eorum fidelitate necnon ob honorem Pocubelli Lambertini» (Lambertenghi), legato del Comune, di giudicare le cause di ap- pello spettanti all'Impero nel centro urbano e nel suo distretto (11). Dona in per- petuo agli homines di S. Miniato il borgo di S. Ginesio con le partinenze ei di- ritti e decreta «quod her stratae per terram S. Miniati ire debeat» (12).

Nel 1219 si ha una raffica di privilegi. Concede ancora ad Asti, il 10 feb- braio e sempre da Spira -e assai vicino it momento della discesa in Italia verso Roma - «pro gratis servitiis» (ossia un ulteriore prestito in argento) la piena giu- risdizione su tutto il distretto della cittä «simulque universas consuetudines qui- bus uti consueverunt et omnia iura imperii attinentia» (13); il 23 febbraio ordina ai Ferraresi (nelle persone di Salinguerra e nipote) di lasciare liberamente transi- tare i Modenesi per il distretto cittadino, via terra o via acqua, nelle merci e nelle persone «unde cum majestatem regalem deceat stratas apertas et securas te- nere» (14); ancora da Spira, tra i123 ed i125 febbraio, giudicando nella contro- versia tra il comune e la Chiesa di Ivrea, dona a quest'ultima la cittä con il suo distretto, piü le cord di Romano e Fiorano ed investe il vescovo eporediese della

contea e della giurisdizione cittadina con tutte le pertinenze nel raggio di tre mi- glia (15). Sempre nel febbraio e da Spira, rinnova il privilegio concesso ad Imola da Enrico VI, vietando che il comitato o il vescovado imolese venissero dati in- teramente o in parte ai Bolognesi (16).

Quindi concede a Parma le regalie e le consuetudini che aveva avuto ed esercitato fino a quel momento, accordandole la piena giurisdizione criminale e civile, il permesso di fortificare la cittä, di appellarsi per le controversie feudali al vescovo o allo stesso sovrano (17). Conferma a Cremona tutti i privilegi giä ac- cordati da Federico Ie da Enrico VI, e specialmente il privilegio riguardante Crema, l'Insula Fulcheria e le terre al di lä dell'Adda (18).

In matzo scrive ai Bresciani, ai Veronesi e ai Bergamaschi che «quidquid cum ipsis a Cremonensibus in servitium et honorem suum tractatum et statutum

(11) H-B, I, 2, p. 467. (12) H-B, I, 2,1217 febbraio, p. 497. (13) Ivi, p. 592. (14) Ivi, pp. 602. (15) Ivi, febbraio 23 e 25, pp. 603-6, privilegio in lettere d'oro con bolla aurea. (16) Ivi, pp. 606-7. (17) Ivi, pp. 608-10. (18) Ivi, p. 611.

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fuisset, hoc ipse ratum et firmum habuisset .. .»

(19). 1129 agosto conferma ai Pavesi gli amplissimi privilegi dati loro dal nonno e dal padre: testimoni all'atto sono i vescovi di Vercelli, Como, Bergamo, Novara, Torino (che e il vicario della

curia regia) ed il marchese Guglielmo di Monferrato (20). Ancora nell'agosto di quell'anno investe Gaffo e Jacopo de Locarno, suoi fedeli, «pro recto feudo de

omni honore, districtu, fodris, angariis», spettanti «ad honorem et }urisdictio- nem» della Curia ad Ascona, Taverne, Cordula (Morgula? ), Mendrisio, ea Lo- carno e nel suo territorio (21).

In settembre, dal castello avito di Hagenau in Alsazia, prende sotto la sua protezione il monastero di Morimondo in Lombardia, con tutti i suoi beni, con- fermandogli i diritti e le immunitä, ossia vendere ovunque i propri prodotti, usare le acque pubbliche, mutare i percorsi viari pubblici, privati o vicinali, con la manutenzione dei ponti; gli conferma la donazione paterna della curia di Fara Basiliana, permette di dare in allodio e in proprietä le terre, di navigare sul Ti- cino e di pescare sia in questo flume sia nel Po, e cosi via (22). Conferisce la sua speciale protezione ad Alba concedendole la completa giurisdizione (23).

I117 aprile 1220, nella curia solenne di Francoforte, annuncia la nomina di Corrado vescovo di Metz e Spira a suo legato in Lombardia, Romagna, Toscana e in tutto il resto d'Italia (24). Federico vescovo di Trento, suo precedente legato, non era stato abbastanza forte e deciso nella sua azione nei confronti delle cittä padane ('S) e veniva pertanto sostituito.

Corrado avrebbe goduto di un mandato amplissimo: del resto Federico, il

quale aveva ben chiara la situazione dei comuni italiani (uno stato di crisi che egli stesso aveva peraltro contribuito a radicalizzare con la parzialitä dimostrata

nella concessione di privilegi e immunitä, di cui si e detto), dichiarava che le mi- sure prese «reformande pacis et unitatis et concordie», erano «nobis et imperio

nostro admodum necessarie»: non ha ancora cinto la corona, ma 1'impero e or- mai una sua prerogativa. Ben presto perö 1'azione del legato imperiale si mostra

(19) Ivi, 12 matzo, p. 611. (20) Ivi, p. 668. Si v. ora «Speciales fideles imperii». Pavia nell'etd di Federico II, Pavia

1995, in particolare E. DEZZA, «Breve seu Statuta civitatis Papie». La legislazione del comune di Pavia dalle origini a Federico II, pp. 97-144.

(21) Ivi, pp. 669-70. (22) H-B, I, 2, pp. 686-87. (23) Ivi, p. 690. (24) Ivi, 1220, aprile 17, pp. 753-54. (25) Ivi, p. 754. Corrado avrebbe dovuto ricevere il giuramento di fedeltä dei sudditi,

conciliare le discordie che li dividevano, prendere accordi - suppone la Fasoli - per il paga- mento del fodro, esercitando i piü ampi poteri nei confronti delle cittä, dei castelli e dei si- gnori feudali: si v. G. Fnsots, Federico II e le cittd padane cit., p. 59.

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anche troppo energica, cosicche, ad esempio, il 24 febbraio 1221 i podestä di Milano e Vercelli e gli ambasciatori di Alessandria si appellarono all'imperatore per alcuni provvedimenti presi da Corrado nei loro confronti (26).

Il viaggio di avvicinamento a Roma continua ed e necessario che Federico trovi la strada spianata. 11 7 ottobre 1220, con un atto datato dal suo accampa- mento presso Castel San Pietro, prende sotto la sua protezione il vescovo di Bobbio e lo investe della giurisdizione temporale su Bobbio stesso (27). Il 19 ot- tobre, e la volta dell'investitura al monastero di Pomposa in insula Padi che «ad Imperium immediate pertinet» (28), ed i120 agli homines di Vigevano con i loro beni e il castello (29).

1 122 novembre 1220 viene infine incoronato in S. Pietro Imperator Roma- norum: mi pare si possa agevolmente rilevare come il suo regno di Sicilia sembri ora essere presente solo in seconda istanza e far parte piü che altro dei suoi rap- porti con la Chiesa. Infatti, nel 1212, aveva riconosciuto i diritti della Sede di Roma sulla Sicilia, e promesso di non attaccare mai lo Stato della Chiesa, pre- stando giuramento di fedeltä al pontefice per il Regno di Sicilia e per il ducato di Puglia. Tutto ciö sembra non contare piü. Pur avendo giurato che mai Sicilia ed Impero avrebbero riunito le loro corone, pretende ora la designazione del figlio Enrico quale erede dei due troni, sia pure in unione personale, mostrando chia- ramente quale sia la sua idea di Impero e di successione all'Impero e mettendo in atto la linea politica intrapresa dal padre, ma senza patteggiamenti. La dignitä imperiale, malgrado il mutare dei tempi, aveva un peso assai maggiore di quella del rex Siciliae e di conseguenza anche di quello the, in quanto sovrano del Re- gno, gli poteva essere riconosciuto dal pontefice e dall'Europa delle monarchie nazionali e delle cittä autonome: e di ciö Federico fu senza dubbio sempre pie- namente conscio.

Gli spettava, come imperatore, di organizzare e partire per la Crociata

- ed egli rinnovö al papa l'impegno al momento dell'incoronazione assieme alla promulgazione della Constitutio in Basilica Petri, magna charta delle libertates Ecclesie: e un ribadire in ogni campo le prerogative imperiali, ma pare esservi una chiara volontä di pace e di collaborazione tra Impero e Chiesa romana, sebbene emergano tra le righe del documento tracce

(26) Gli Atti del Comune di Milano net secolo XIII, a c. di M. F. Baroni, vol. I: 1217- 1250, Milano 1976, doc. n. LXX, alto steso nella cappella del palazzo del vescovo di Como.

(27) H-B, II, 2, p. 872. (28) Ivi, p. 876. (29) Ivi, p. 877.

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di profondi dissapori e di inquietanti aperture secolari (30), che risultarono piü che evidenti in seguito.

Gli atti emanati dalla cancelleria imperiale dopo l'incoronazione mostrano costantemente 1'impiego di precise formule: «Fridericus II divina favente cle- mentia Romanorum imperator sempre augustus et rex Sicilie», oppure «Fride- ricus, Dei gratia Romanorum Imperator semper augustus, Sicilie rex» fino al 1225, quindi «Fridericus divina favente clementia ...

Jerusalem et Sicilie rex .. .»

(31). Gli iura imperii sono altrettanto costantemente richiamati nelle lettere fe-

dericiane. L'Encyclica ai sudditi comincia cosi: ... «qualiter iura imperii pro va- rietate temporis precedentis conculcata jaceant et depressa et qualiter tranquilli- tas fuerit olim et sit usque haec felicia nostra tempora perturbata .. .»

(32): e al- lora che fare nei confronti delle cittä padane alle quali vanno addossate be colpe per i continui disordini e per il disconoscimento dei suddetti iura?

Il ricorso e di nuovo a un atto di imperio e verso l'agosto 1225 lo Svevo, dopo essersi incontrato con Onorio III ed aver discusso i termini della Crociata, convoca i principi germanici, i duchi, i conti ei podestä della Lombardia ad una grande dieta da tenersi a Cremona (33), nella Pasqua dell'anno seguente e poco dopo (inizi gennaio 1226) invia it medesimo ordine « baronibus et militibus in- feudatis... ut omnes se preparent ad eundum secum in Lombardiam et ut omnes se apud Piscaram, ubi sexto intrante martii esse imperator ipse disponit, de- beant convenire .. .»

(34). Si rivolge chiaramente ai suoi vassalli siciliani, ma que- sto pressante «invito» unito alla lettera che Federico invia ai Cremonesi e nella quale dice con chiarezza - mandamus, e il termine usato - che se avessero avuto la possibilitä di fare «quid negocium ... in Lombardia ad honorem nostrum et ad vestram utilitatem. .. avrebbero dovuto farlo «sacramento vel pena aliqua non obstante», mette in allarme Milano, che si prepara a correre ai ri- pari (35).

Discordi in casa propria, ma concordi contro 1'Impero, le cittä padane si unirono a S. Zenone di Mozzo il 6 marzo 1226 in quella che venne chiamata la

(30) G. Fnsou, Federico II e le cittä padane, cit., p. 60. (31) H-B, II, 2,15 settembre 1225, p. 519. (32) H-B, II, 1,1226 circa marzo 22, pp. 549-50. (33) H-B, II, 2, (circa agosto 1225) p. 516, the cita quale fonte Ryccardi de Sancto Ger-

mano Chronica (a c. di A. Garufi, RRII. SS., II ed vol. VII, p. 11, Bologna 1936-38), ed anche M. G. H., SS. XIX, ad annum 1225.

(34) H-B, II, 1, p. 539: la fonte a ancora Riccardo di S. Germano. (35) H-B, II, 1, p. 548-9: le lettere di Federico II non Sono state rinvenute e H-B le cita

attraverso Riccardo di S. Germano the ne parla ad annum.

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seconda Lega Lombarda o meglio Societas Lombardorum, quale risposta di Mi- lano e dei comuni suoi alleati alla convocazione della dieta di Cremona e aua pretesa di Federico di ricevere a Milano la corona ferrea (36), la terza delle co- rone che gli spettavano. L'alleanza era peraltro legittima, in quanto la facoltä di

riunirsi in lega faceva parte del trattato di pace di Costanza, i cui privilegi erano stati rinnovati tanto da Enrico VI quanto da Ottone IV e dallo stesso Federico II.

11 gruppo originario era costituito da Milano, Brescia, Mantova, Padova e Treviso alle quali si unirono poi Faenza, Verona, Piacenza, Lodi, Vercelli, Ales- sandria, Bergamo, Vicenza; Vigevano, oggetto come si a visto di privilegi impe- rials, si aggiunse nel 1227 e Como nel 1228. In seguito (1228) i rettori vietarono ai cittadini della Lega di intrattenere rapporti commerciali con Parma, Cremona e Modena e di assumervi il podestariato (37). Era allora podestä di Milano it co- masco Guala Rusconi, arbitro a Piacenza di una pace tra le fazioni e autore della nomina a podestä del milanese Pruino Incoardo; altri due milanesi erano pode- stä di Vercelli e di Verona, rispettivamente Ottone da Mandello e Goffredo da Pirovano.

Da Pescara, Federico passa a Spoleto, terra Ecclesie sia pure da non molto restituita al papa e comanda agli uomini del ducato di andare al suo seguito in Lombardia, ma essi rifiutano di muoversi senza it preventivo ordine del ponte- fice (38). Raggiunta Ravenna, si dirige verso Imola, S. Giovanni in Persiceto, Mo- dena e Reggio Emilia, evitando abilmente Faenza e Bologna, e come narrano gli Annales Placentini Gibellini, le milizie di Cremona, Parma, Reggio Modena e dei signori romagnoli gli andarono incontro (39).

Nell'imminenza della Dieta, Federico prosegue nella sua politica di privi- legi richiamandosi ai suoi poteri e alla tradizione imperiale e concede, o con- ferma, da Parma, quelli di molts monasteri e chiese in Italia e 01- tralpe (40).

11 3 giugno nomina podestä di Pavia Villano de Aldigheriis, ferrarese, it quale giura di tutelare l'onore dell'imperatore e il felice stato della cittä, di ese- guire gli ordini imperiali per mantenere la pace, di espellere gli eretici da Pavia e dal suo distretto e di osservare le leggi dell'impero «pro ecdesiastica liber-

(36) B. Cotuo, Storia di Milano, a c. di A. Dlorisi Guerra, Milano 1978, vol. I, pp. 338-9.

(37) Atti del Comune di Milano cit., docc. n. CCXXXI e CCXVI. (38) H-B, II, 1, p. 549. (39) Annales Placentini Gibellini ab anno 1154 usque ad annum 1284. Gesta imperatoris

Friderici, de rebus gestis in Lombardia, in M. G. H., SS, XVIII, pp. 457-81 (p. 469). (40) G. Fnsou, Aspetti della politica italiana di Federico 11, Bologna 1964, p. 114.

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tate» (41). Prende sotto la sua protezione la badessa ed il monastero di S. Paolo di Parma, esonerandolo da ogni tributo e concedendogli la giurisdizione ci- vile (42). Il 7 giugno giunge infine ad una Cremona nella quale erano riuniti ben pochi dei convocati.

Da San Donnino, dove si e ritirato dopo il fallimento della Dieta, il 121u- glio 1226 commina il bando alle dodici cittä della Lega, bando che, fra 1'altro, privava Bologna e Padova del diritto di tenere lo Studium; conferma invece a Modena gli antichi diritti e privilegi, tra cui il privilegio di battere moneta grossa e piccola (che avrä corso in ogni terra dell'Impero), la giurisdizione in materia civile e criminale, il diritto di derivare, ove si voglia, le acque dei fiumi lo-

cali ... (43) e poco dopo (44) definisce i confini tra Bologna e Modena; ordina che

vengano osservati inviolabiliter i patti stretti tra i comuni di Modena e Ferrara

«ob devota et accepta Mutinensium servitia» (45). E ancora conferma i beni ei privilegi del monastero di Chiaravalle della Colomba presso Piacenza, con parti- colare riguardo per il privilegio concesso da suo padre nel 1191 (46). In luglio

conferma a Cremona i privilegi giä di Enrico V (dati presso Worms nel 1114) e quelli del padre e dell'avo circa la libera navigazione sul Po ed altre immu- nitä (47); prende sotto la sua protezione la Chiesa di Acqui (48): Da Parma con- cede privilegi a Pietro, abate del monastero di Chiaravalle in Lombar- dia (49).

Da Pontremoli rinnova a Genova il privilegio di armarsi, di eleggere con- soli e podestä, di costruire una fortificazione «super portam Monachi», di avere notai e «rugam unam» in ogni cittä di mare conquistata, di usare propri pesi e misure, di avere un proprio foro giudicante e, in generale, di godere di privilegi «quas ubique per partes imperii nostri rationabiliter habent» (50).

11 primo atto della novella Societas di fronte alla minacciosa e ambigua poli- tica di Federico II fu quello solito di bloccare le Chiuse di Verona, attraverso cui sarebbe dovuto passare Enrico di Svevia con i principi germanici al seguito, di-

(41) H-B, II, 2,1226, giugno 5, p. 608. (42) Ivi, p. 606. (43) Ivi, p. 614. (44) Ivi, p. 617 ss. (45) Ivi, pp. 621-22. (46) Ivi, p. 622. (47) Ivi, pp. 632,664. (48) Ivi, p. 648. (49) Ivi, p. 665. (50) Ivi. Per ii comportamento di Federico II a proposito di Genova, si v. D. ABuIAFfA

cit., p. 113.

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retti in aiuto dell'imperatore e costretti invece a riparare a Trento. A scongiurare ulteriori pericoli esterni, la Lega emanö disposizioni sempre piü rigide nei con- frond delle cittä che non erano alleate, onde evitare, nella scelta dei podestä e dei rettori, eventuali collegamenti con le parti filoimperiali che, come era ed e ben noto, esistevano anche all'interno delle cittä alleate e della stessa Mi- lano.

La cittä ambrosiana, che era venuta a trovarsi nella posizione di principale obiettivo dell'azione restauratrice di Federico II, non intendeva certo abdicare al suo ruolo, cui le minacce dell'imperatore di fronte al ricostituirsi della Lega avevano dato non solo maggiore forza unificatrice, ma anche sapore e significato di sfida rinnovata con ben altri mezzi di quelli del tempo di Federico I.

Da parte sua, lo Svevo sentiva 1'impegno di vendicare sia le offese subite dal grande avo, e dal padre, sia la fedeltä giurata e mantenuta da Milano ad Or- tone IV di Brunswick (51). E cosi Federico, che aveva sempre esibito quale primo obiettivo della dicta di Cremona la spedizione in Terra Santa, si vide ob- bligato ad includere tra i suoi principali problemi quello dell'Italia settentrio- nale e la necessitä che Milano e le cittä alleate - per il bene del Regmum Italicum

- si piegassero all'autoritä dell'Impero. Secondo Abulafia non era nelle intenzioni dello Svevo radicalizzare la si-

tuazione padana (52): tuttavia le cittä della Lega si muovevano in un ambito ideologico e politico assai vicino a quello della Societas del primo Federico e co- stringevano il nipote ad atti di forza. Dall'una pane e dall'altra vi era molto da perdere, come un'egemonia conquistata a caro prezzo e una auctoritas che non consentiva opposizioni. Cosi i comuni furono messi al bando e cassate le conces- sioni del trattato di Costanza minuziosamente elencate da Federico nel testo del bando stesso. Ma poi, rendendosi forse conto di non essere militarmente in grado di far rispettare quanto deliberato, o non intendendo usare le armi, Fede- rico chiese aiuto a Onorio III.

L'intervento del pontefice - it cui obiettivo immediato era sempre la cro- ciata - servI per il momento ad allontanare la guerra.

L'accordo tra Impero e Comuni, fonemente contrastato da questi ultimi che lasciarono passare alcuni mesi prima di sottoscriverlo (27 matzo 1227) (53) e accettato a malincuore da Federico, prevedeva da pane sua il perdono per la

(51) G. FASOU, Federico II cit., p. 61. (52) D. ABULAFIA cit., p. 129. Per l'intricata situazione del decennio 1216-1226, si v. anche

G. SOLDI RorroININI, Asti e le citth pedenrontane ne11a politico egemonica milanese durante il primo trentennio dell'impero di Federico II, in Bianca Landa d'Agliano fra i1 Piemonte e it Re-

gno di Sicilia, Atti del Convegno (Asti-Agliano, 28/29 aprile 1990), a c. di R. Bordone, Ales-

sandria 1992, pp. 45-53. (53) Atti del Comune cit., doc. n. CLXXX.

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sfida portata dalle cittä padane all'onore dell'Impero (54), il ritiro del bando im-

periale, e da pane della Lega, l'invio in Terra Santa di quattrocento cavalieri, 1'obbligo di perseguire ed espellere gli eretici dalle cittä padane, pur senza espropriare i loro patrimoni.

In quello stesso marzo 1227 moriva Onorio III e veniva eletto Ugolino ve- scovo di Ostia, che prese il nome di Gregorio IX, giä legato papale nella Pada- nia con Ottaviano degli Ubaldini (55) e non particolarmente favorevole all'impe- ratore.

Una fonte germanica (56), allineandosi ad altre fond coeve, parla di lui in termini assai duri cosi da far pensare ad una sort, di campagna libellistica nei confrond della Sede Romana: «. ..

Hic tanquam superbus primo anno pontifi- catus sui cepit excommunicare Fridericum Imperatorem pro causis frivolis et falsis et postposito omni ordine judiciario, sicut idem imperator in epistolis suis rescripsit principibus Alamanniae, retexens omnem progressum vitae suae et conversationem et actionem et innocentiam pro succursu Terrae Sanctae .. .»A queste parole segue nel testo del Chronicon un sunto delle lettere imperiali, che mette in risalto, in difesa di Federico, quanto da lui compiuto durante il pontifi- cato di Onorio EI (57) in nome dell'unitä che doveva esistere tra imperatore e papa, quali vicari dell'unico vero re del mondo.

Quanto alla crociata, sull'effettivo impegno in proposito di Federico, Gre- gorio IX aveva sempre avuto dei dubbi, e non a torto. Com'e noto, lo Svevo ri- tornö nel 1229 dalla Terrasanta avendo patteggiato la cessione di Gerusalemme: giuridicamente si trattava di un irnpium foedus (58), ma 1'imperatore non se ne preoccupö piü di tanto e se ne vantö egualmente con i Milanesi. Ovviamente la fonte germanica narra in un'ottica di pane queste vicende: sotto 1'anno 1228 ri- porta che «Imperator volens explere votum suum et pactum sibi efficere pa- pam, transfretavit ad terram Hierosolimitanam. Prius tarnen eodem anno condi- xerat curiam principum Alamanniae in quadragesima apud Ravennam, a qua si- militer impeditus fuit nunciis et legationibus domni papae». Infatti, Veronesi e Milanesi non permisero ad alcuno di passare per le loro terre, depredando dei loro beni gli stessi cruciad «ut asserebant, auctoritate domni papae, quod, proh dolor!, nefas est dicere». L'imperatore giunse comunque in Terra Santa nel

(54) D. ABu[. AFIA cit., p. 133. (55) D. ABuLAFIA cit., p. 135. (56) Burchardi et Cuonradi Uspergensium Chronicon..., in M. G. H. in usum scholarum,

XVI, 1874, p. 113 ss. (57) Ivi. (58) G. VIsrSARA, «Impium foedus». Le origini della « respublica christiana», in Comunitä e

diritto internazionale, vol. VII degli Scrilti di storia giuridica, Milano 1989, pp. 5-114.

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mese di agosto, osteggiato «ex perfidia proditione Templariorum», mentre «soli vero hospitalarii de domo Sanctae Niariae Teutonicorum fideliter sibi asti- terunt, similiter Ianuenses et Pisani et alii milites, qui cum ipso et pro ipso adve- nerant. Vened vero facillabant» (59).

Tuttavia, anche i nostri cronisti filoimperiali sono costretti a riconoscere che si era trattato di una «compositio» tra 1'Imperatore ed il Soldano, giustifi- candola perö con il pretesto the quest'ultimo avrebbe restituito a Federico quanto era stato di sua proprietä. Scrivendo l'imperatore «super hoc laudabili et glorioso facto» al pontefice e annunciando il «gaudium» alla cristianitä, «papa litteras illas abiecit et respuit» (60).

Gli Annales Placentini Gibellini intitolano Gesta douuini Frederici imperato- ris secundi, Romanorum imperatoris, Jerusalem et Scicilie regis, de rebus gestis in Lombardia, la narrazione degli anni 1220-1227 introdotta in modo significativo da espressioni degne di un «libellus tristitae et doloris»: sebbene «tribolationes bella angustie et tormenta quae gesta sunt in Lombardia tempore istius domni Frederici imperatoris» fossero ben note «ab antiquis scriptis», 1'annalista rite- neva giusto ed utile richiamarli alla memoria dei posten, desiderando soltanto chiarire e narrare la veritä, che e poi quella per cui «civitates, loca, magnates qui in gratia imperatorie maiestatis antiquirus fuerunt, cum imperialis excelencie potentia apparuerit, ad eandem gratiam liberrime inclinabunt» (61).

Accennato all'impresa di Terrasanta, 1'annalista passa poi agli anni 1231- 1232, quando Federico pareva intenzionato ad un'azione diretta contro le cittä padane, ancora una volta trattenuto dall'intervento di Gregorio IX, il quale ac- cettö a sua volta la convocazione di una nuova dieta imperiale a Ravenna indetta per il 1° novembre e destinata a trattare le cose di Germania e la politica di Enrico di Svevia, con il quale l'imperatore era in discordia (6=).

Ad essa furono invitate alcune delle cittä padane, che risposero immediata- mente con il rinnovo della lega del 1226. Si trattava soltanto di Milano, Bologna, Mantova, Brescia, Piacenza, Verona, Vicenza, Padova e Ferrara.

Malgrado 1'affermata volontä di pace da parte di Federico, che asseriva di essere «pacificus et inermis», le cittä leghiste, riunitesi a Bologna in ottobre, de- finirono la dislocazione di tremila cavalieri, diecimila fanti e millecinquecento balestrieri per ogni centro della lega «prout unicuique competit facere, qui sem- per sint et esse debeant intend et parat! equis et armis er aliis rebus necessariis

(59) Burchardi et Cuonradi cit., p. 116. (60) Ivi, p. 117. (61) Annales Placentini Gibellini ab anno 1154 ad annum 1284 cit., p. 469. (62) Annales cit., p. 470.

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equitandi et proficiscendi ad voluntatem rectorum» (63). Ancora una volta fu- rono sbarrare le chiuse di Verona e la valle dell'Adige. La dieta fu aperta a Na- tale; il 14 gennaio 1232 Federico pronuncie un nuovo bando contro le cittä della Lega proibendo a quelle fedeli all'impero di scegliervi eventualmente i po- destä e ancora una volta, e malgrado la mediazione dei due cardinali, il piacen- tino Jacopo da Pegorara e il vercellese Ottone di S. Nicola in Carcere, nominati ad hoc dal papa, non fu possibile mettere d'accordo l'imperatore ei rettori le- ghisti: anzi Federico si sottrasse alla possibilitä di un incontro abbandonando in fretta Ravenna e dirigendosi verso Venezia, per raggiungere poi Aquileia, nuova sede, e non ultima, della dieta, nella quale si trattö peraltro solo della Germania e di Enrico di Svevia.

Quando Ezzelino e Alberico da Romano si allearono all'Impero, anche Ve- rona, la cittä fedelissima della Lega, divenne filoimperiale abbandonando la di- fesa della via del Brennero.

Com'e noto, successivi incontri delle «parti» - il 13 maggio 1232, il 24 maggio 1233 e il 5 giugno dello stesso anno - non raggiunsero risultati soddisfa- centi - si pue peraltro osservare the le cittä padane ne uscirono sempre certa- mente meglio di Federico II, costretto a subire nuove offese e rifiuti che egli ve- deva come gravi lesioni del suo onore e di quello dell'Impero. A ciö si somma- vano i problemi causatigli dal figlio, ormai apertamente ribelle.

Infatti Enrico di Svevia, nel 1234, «conscilio quorundam principum Ala- manie», entre in trattative con la Societas Lombardorum; cosi Milanesi, Bre-

sciani e Bolognesi inviarono in Germania loro ambasciatori «et hec de mandato pape Gregorii tractabantur» (64).

L'ira dell'imperatore e il timore che non venisse riconosciuta la sua auctori- tas condussero all'arresto del figlio e alla sua detenzione per parecchio tempo in

un carcere della Puglia, sotto la custodia del marchese Manfredo Lancia, e quindi al suicidio. Anche gli ambasciatori della Lega, Manfredo Pietrasanta di Milano, Lanfranchino de Lavellolongo e Ugolino de Ugonibus di Brescia, furono imprigionati per un anno «in quodam castello» ma vennero poi libe- rati (65).

E la sfida continue: «Italia hereditas mea est», diceva l'imperatore, il quale in una lettera al vescovo di Como affermava anche: «estate presenti personaliter cum principibus nostris intrare condiximus Lombardiam, ad hec tria potissime consideracionum nostrarum oculos dirigentes, ut eradicata in Ytalia eretica pra- vitate, iura ecdesie et imperii reformemus ibidem, et ut pacem discordiarum sci-

(63) hi, p. 473. (64) hi, p. 470. (65) h7.

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smatibus fatigatis, et quibuslibet passi iniuriarum absque acceptione qualibet personarum iustitiam ministremus» (66). Sono parole the non hanno bisogno di

commento. All'esposizione ancora una volta solenne dei doveri e dei diritti dell'impero,

si affianca 1'immagine di Federico, resa evidente nella sua maestä dalla narra- zione dell'annalista, mentre sale a cavallo esdamando «peregrini et viatores am- bulant ubique, ego autem non sum ausus agredi per terras imperii» e afferrata 1'insegna dell'aquila imperiale, alla testa dei principi e dell'esercito passa il flume Mincio, incontro alle milizie dei Cremonesi. Era 1'agosto 1236 (67).

Il prezzo che andava pagato per la ribellione fu esatto da Federico con la battaglia di Cortenuova (1237), in cui 1'esercito della Lega, nel quale i Comuni riponevano tanta fiducia, venne sconfitto duramente: si contarono mold morti, mold prigionieri e la perdita del Carroccio, inviato a Cremona e poi trionfal- mente a Roma, per essere posto in Campidoglio: una delle forme di propaganda politica tipiche del tempo.

In seguito, le cittii della Lega manifestarono una sorta di sfiducia nei con- frond di Milano e alcune di esse 1'abbandonarono. Ancora una volta il pontefice salvo la situazione con 1'invio in Lombardia del legato Gregorio da Montelongo, abilissimo diplomatico che non esitava perö ad usare anche la forza e che seppe ricostruire il fronte antimperiale (1238-1251), valendosi di un prezioso alleato: frate Leone da Perego, che nel 1241 fu poi elevato al soglio arcivescovile ambrosiano.

Francescano, gran predicatore contro gli eretici, benvoluto dai cittadini di entrambe le fazioni, divenne con il Montelongo rettore della cittä dando l'aý-& ad un'opera di riforma anche sociale cittadina: a loro si deve, per esempio, il primo estimo di Milano che avrebbe dovuto consentire una piü equa distribu- zione dei carichi fiscali tra milites e poprrlares. l\'on andö a buon fine, ma intanto si era dimostrato che il problema della diseguaglianza tributaria esisteva ed era conosciuto (68).

Di Leone da Perego gli Annales Placentini Gibellini narrano che venne in- viato a Cremona, presso 1'Imperatore, quale ambasciatore per chiedere e trat- tare la pace a nome di Milano, ma Federico gli rispose che non avrebbe fatto al- cuna trattativa se prima i Milanesi the si trovavano a Lodi non avessero abban- donato la cittä, ed essi, secondo 1'annalista, obbedirono subito (69). 1 Lodigiani cacciarono immediatamente il podestä milanese Ottone Visconti; Leone da Pe-

(66) Ivi, p. 472 ss. (67) Annales cit., p. 474. (68) R PExEt. u Cippo, Tra arcivescovo e comune cit., pp. 65-97 (con documenti). (69) Annales cit., p. 478.

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rego con altri religiosi andö allora a Lodi affermando che Milano voleva «ei red- dere et dare suas rationes et iura, et pecuniam ad suam voluntatem ei dare dando ipse fidancia civitati et comitatui Mediolani». L'imperatore non accolse le proposte «nisi haberet civitatem et personas Mediolani ad suam volunta- tem».

A questo punto i Milanesi interruppero ogni rapporto, rafforzandosi in quella volontä di resistere alle richieste imperiali che non era mai venuta meno.

Se gli Annales Placentini Gibellini indugiano a lungo sull'elenco delle per- dite subite dalla Lega a Cortenuova (7°), le Memoriae Mediolanenses limitano a qualche riga le notizie sulla battaglia, ma non trascurano di sottolineare la viltä dei Cremonesi: «factum est bellum de Curte Nova, ubi capti et mortui sunt de Mediolanensibus plures quinginta (sic) et de peditibus plus quam duo milia, exceptis illis de aliis civitatibus. Cremonenses vero sub pritextu (sic) licentie fu- gierunt et vi per pontem de Vaprio transierunt» (71).

Ancora piü sintetici gli Annales Brixienses: «cepit Federicus Montemcla- rum, venitque Maner«um, et Mediolanenses venerunt cum carocio nobis in au- xilio, et abstulit Federicus carocium eis» (72); non vi e peraltro alcun giudizio sull'imperatore e sul suo operato.

Gil Annales Bergonrates sono un po' piü dettagliati, ma non fanno men- zione di morti, feriti e prigionieri, mettendo perö in rilievo come «. .. tunc Per- gamenses cum magna alacritate et laetitia dextruxerunt Curtemnovam usque ad solum .. .» the suona come un inno di vittoria (73).

Un duro giudizio viene pronunciato invece da Bernardino Corio, il quale narra the Federico II «nel lecto fu suffocato» per mano di Manfredi figlio di

una sua concubina, aggiungendo «E questo fine hebbe il nephario e sevissimo tyranno, perperuo inimico de sacerdoti, spoliatore di templi, contemptore de la

pontificia maiestade, perturbatore de la italica quiete, auctore d'ogni exiciale di-

scordia, dal quale puoi le seditione crescendo le mortalitate insine nel mezo de le citate non sono anchora cessate. A costui, morendo excomunicato, in tutto mancchö de divini sacramenti et ecciesiastica sepultura» (74).

Ritomando in breve su quanto fin qui detto, mi pare possibile affermare the Federico fu un vero imperatore « medioevale», nella linea e nella tradizione

(70) I%1, pp. 477-78. (71) llfemoriae Mediolanenses, in M. G. H., SS, XVIII, p. 402. (172) Annales Brixienses, iei, p. 819. (73) Annales Bergomates, hi, p. 810. (%a) B. Co1uo, Storia di Milano cit., vol. I, p. 402.

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dei suoi grandi predecessori ai quali si ispirava, the non dubitö mai della forza del diritto che sosteneva le sue azioni e le sue rivendicazioni e che all'Impero tenne certamente piü the alla Sicilia.

La sua disfatta fu probabilmente dovuta al fatto the, forte della sua premi- nenza di diritto, non aveva voluto, o potuto, riconoscere 1'alto livello di autono- mia cui erano giunti i Comuni urbani settentrionali, o forse aveva creduto di po- terli egualmente domare, e neppure aveva rinunciato a pretendere di ergersi a protettore della Chiesa pur avendo come amici-awersari pontefici della po- tenza, dell'abilitä e della preparazione anche giuridica di un Gregorio IX o di un Innocenzo IV e dei loro legati. E ciö malgrado (o proprio per reazione a ciö) Fe- derico fosse cresciuto sotto la tutela di Innocenzo III e avesse trascorso i primi anni della sua vita politica con Onorio III.

Federico mori ne11250 e non Ni e dubbio che questa prima parte del secolo XIII dominata dalla sua figura rappresenti uno dei piü grandi «momenti» del Medioevo, tra i tanti the si succedono nei dieci secoli della sua storia, momenti che potranno essere giudicati in modo positivo o negativo, ma certamente non come «bui tempi medievali», il the talvolta purtroppo avviene ancora. Sono cinquant'anni in cui si sono andati delineando molti cambiamenti, la maggior parte dei quali seguiva un percorso ancora incerto e the si e precisato solo in se- guito: Federico II di Svevia, imperatore del Sacro Romano Impero della nazione germanica, fu certamente un sovrano geniale e, in qualche caso, intuitivo, ma fu altrettanto certamente figlio di questo tempo nello scontro continuato tra la propria identitä ideale, la necessitä di pacificazione e ordine che riteneva impre- scindibile per il suo ruolo e le realtä politiche in cui viveva e che non avrebbe potuto mai, per definizione, accettare.

GIGUOLA SOLDI RONDIIv'INl