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XXVI Convegno SISP
Università Roma Tre - Facoltà di Scienze Politiche, Dipartimento di Studi Internazionali e Dipartimento di Istituzioni pubbliche, Economia e Società
13 - 15 settembre 2012
Dalle urne all’Eliseo. Il discorso d’investitura de l presidente nella Quinta repubblica francese
di Nicola Genga*
Introduzione: linguaggio politico e rituale preside nziale
Volendo usare una formula generale si potrebbe dire che studiare il linguaggio politico significa,
essenzialmente, ragionare sul nesso tra la realtà politica e la sua rappresentazione attraverso le parole. Fu
Edelman a scrivere che “il linguaggio politico è la realtà politica”, perché “ciò di cui il pubblico fa esperienza è
pur sempre il linguaggio sugli eventi politici piuttosto che gli eventi stessi”1. Tuttavia, lungi dall’essere fondato
sull’evidenza intrinseca dei contenuti linguistici, il rapporto tra il “pubblico” e la “realtà politica” riposa su
delicati equilibri interpretativi.
La celebre affermazione di Edelman, in effetti, acquisisce pienezza di significato solo a patto di considerare
alcuni fondamentali caveat. Come asserì, ad esempio, Giorgio Fedel “il linguaggio politico, al pari di qualsiasi
specie di linguaggio, non funziona nel vuoto, ma in rapporto a un contesto extralinguistico, fatto di attori,
eventi, circostanze”2. Analizzare i discorsi di investitura dei presidenti francesi dal ’59 ad oggi, come si
cercherà di fare in questo contributo, vuol dire allora considerare sì le forme e i contenuti delle allocuzioni,
ma prima ancora tenere conto del contesto e degli attori che intervengono nella relazione comunicativa tra
potere e popolo. Il presente intervento muove dunque dall’inquadramento di una precisa figura politico-
* Dottore di ricerca in “Linguaggi politici e comunicazione”, Cultore della materia in Scienza Politica presso la “Sapienza” Università di Roma, Facoltà di Scienze Politiche, Sociologia, Comunicazione, Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale. 1 M. Edelman, Constructing the political spectacle, Chicago, Chicago University Press, 1988 (trad it. Costruire lo spettacolo politico, Torino, Nuova Eri, 1992, p. 98). 22 G. Fedel, Saggi sul linguaggio e l’oratoria politica, Milano, Giuffrè, 1999, p. 25. Ancora secondo Edelman (Gli usi simbolici della politica, Napoli, Guida, 1987, pp. 199-200) “Come ci insegna la linguistica, l’antropologia e la psicologia sociale, non si deve pensare che il linguaggio di per sé trasmetta significati. Il significato di un discorso, infatti, dipende da vari fattori, come il contesto in cui viene pronunciato, i bisogni e gli interessi disparati dei destinatari e i loro rispettivi modi di percepirlo”.
2
istituzionale (il presidente della Quinta repubblica) e di uno specifico genere discorsivo (il discorso di
investitura) per focalizzare l’attenzione sugli aspetti retorico-argomentativi che definiscono il rapporto tra
leadership nazionale e cittadini in uno dei più importanti sistemi democratici contemporanei.
Prima di tutto, la salienza del discorso di investitura del capo dello Stato francese come unità di analisi
dipende dalla natura rituale, liminare ed ecumenica di questo tipo di esternazione.
La natura rituale è legata al “carattere formale” delle allocuzioni e alla presenza in esse delle componenti
che Kertzer chiama “sequenze altamente standardizzate e strutturate” e Desideri “sequenze di atti
coscientemente elaborati per programmare la risposta del destinatario”3, oltre che ad una collocazione
spazio-temporale “in particolari luoghi o momenti dotati di rilevanza simbolica”4. Secondo Navarini, il rito
coincide con “forme di integrazione sociale” e si compie per mezzo di “azioni che favoriscono la continuità e
l’ordine dell’agire in comune”5. In questo caso la consistenza rituale attiene anche alla periodica
riconciliazione tra il corpo politico e il corpo naturale del “sovrano” e alla celebrazione della permanenza del
sistema politico-istituzionale a fronte della transitorietà dei titolari della carica presidenziale6. I rituali
presidenziali rispondono, in generale, agli scopi di “trasmettere in modo efficace informazioni di ordine
politico e affermare un potere”7.
La rilevanza simbolica dei discorsi di investitura è, inoltre, dovuta alla liminarità di questo cerimoniale
oratorio, che si svolge sulla soglia simbolica di una duplice transizione. Da un lato “mette in discorso” la
successione tra due mandati presidenziali; dall’altro sancisce il passaggio dalla dimensione dello scontro
elettorale a quella della pacificazione nazionale che il capo dello stato eletto si trova a dover incarnare in
maniera equanime e autorevole.
Il carattere ecumenico dei discorsi di investitura è, infine, riflesso dell’assetto istituzionale del
semipresidenzialismo francese e del tipo di legittimazione popolare dei presidenti, che arrivando all’Eliseo
dopo un’elezione ad alto tasso di partisanship hanno la necessità di puntellare il proprio consenso stabilendo
un primo contatto “universalistico” con la collettività nazionale. Si tratta quindi di discorsi rivolti all’intera
cittadinanza e dotati di una estroversione “grand public”, per il fatto di essere irradiati dai media a
un’audience ampia ed indifferenziata, quanto di più simile vi sia all’idealtipo retorico dell’uditorio universale.
Oltre a fornire utili elementi interpretativi in ordine agli orientamenti di policy e alla caratterizzazione politico-
culturale della presidenza, i discorsi pronunciati in occasione dell’insediamento all’Eliseo rappresentano per
il nuovo leader politico nazionale l’occasione di svelare il proprio profilo di leadership, operando al periodico
riassestamento del rapporto immediato presidente-nazione che contraddistingue la Repubblica dei cittadini.
Con il presente paper si intende elaborare una comparazione diacronica che muova dall’analisi dei testi per
ricostruire l’evoluzione delle modalità di presentazione dei presidenti della Quinta repubblica, da de Gaulle a
Hollande.
3 P. Desideri, Teoria e prassi del discorso politico. Strategie persuasive e percorsi comunicativi, Roma, Bulzoni, 1984, p. 19. 4 D. I. Kertzer, Simboli politici, in Enciclopedia delle scienze sociali, vol. VII, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani, 1997, p. 783. Cfr. L. Cedroni, T. Dell’Era, Il linguaggio politico, Roma, Carocci, 2002, p. 107, che parla di funzioni rituali, evocative e simboliche del linguaggio politico. Sulla nozione di rito è implicito il rimando a E. Durkheim, Le forme elementari della vita religiosa, Milano, Comunità, 1971. 5 G. Navarini, Le forme rituali della politica, Roma – Bari, Laterza, 2001, p. 13. 6 Cfr. S. La Mendola, D. Sterchele, Costruire “Noi”. I presidenti della Repubblica italiana come cerimonieri di un rituale mediale, in M. A. Cortelazzo, A. Tuzzi, Messaggi dal Colle. I discorsi di fine anno dei presidenti della Repubblica, Venezia, Marsilio, 2007, p. 56. La dottrina del doppio corpo del sovrano è illustrata in E. H. Kantorowicz, The King's two bodies: a study in mediaeval political theology Princeton, Princeton University Press, 1957; trad. it. I due corpi del re. L’idea di regalità nella teologia politica medievale, Torino, Einaudi, 1989. 7 D. Fleurdorge, Les rituels du président de la République, Paris, Puf, 2001, p. 248.
3
1. Le allocuzioni di investitura come genere discor sivo
Come sosteneva già John Locke, il linguaggio è “il grande vincolo che tiene assieme la società e la condotta
comune”8. Il discorso di investitura è, in effetti, il momento culminante della cerimonia di insediamento del
presidente eletto, che secondo una consuetudine ormai consolidata si svolge circa dieci giorni dopo il
secondo turno dell’elezione presidenziale o, al più tardi, nel giorno di scadenza del precedente mandato.
Tale occasione di pubblica interlocuzione è cruciale per un capo dello Stato che è profondamente popolare
per motivi che si possono definire “genetici”: l’elezione diretta a suffragio universale, introdotta nel 1962, e
l’imprinting di una figura storica di primo piano come de Gaulle hanno avuto un’importanza decisiva in
questo consolidamento simbolico.
Dal punto di vista retorico l’allocuzione pronunciata dal capo dello Stato nella prima uscita ufficiale
rappresenta la mise en discourse del peculiare mix tra personalizzazione del potere e istituzionalizzazione
della sovranità popolare che la costituzione e le tradizioni della Quinta repubblica consegnano nelle mani
dell’inquilino dell’Eliseo. Un passaggio preliminare all’analisi dei testi è, pertanto, la valutazione delle
condizioni sociali e istituzionali che presiedono alla loro produzione e alla loro ricezione9 e influiscono
sull’immagine pubblica dell’oratore, in sostanza sul suo ethos, da intendersi qui in senso classico come
prestigio, carattere e personalità di chi parla.
Nel contesto delle democrazie contemporanee il caso del presidente della Quinta Repubblica francese è
piuttosto singolare. Questo “monarca repubblicano” detiene una forma pontificale di carisma e incarna una
legittimità istituzionale che prescinde dalla personalità di chi ne indossa la carica10. Per paradosso un simile
presidente carismatico agisce in un quadro politico-costituzionale dai connotati instabili. Come è noto la
locuzione “semi-presidenziale”, coniata da Duverger11 per denotare il sistema francese, fotografa un modello
istituzionale contrassegnato da un dualismo nel potere esecutivo che si manifesta nell’oscillazione del
controllo effettivo del governo tra capo dello Stato e primo ministro12. Il semipresidenzialismo ha, insomma,
una fisionomia che Sartori definiva diarchia flessibile13, poiché dipende dalla combinazioni maggioritarie
prodotte dalle varie scadenze elettorali. La natura del capo dello Stato risente della congiuntura e risulta
essere, pertanto, anfibia. Si tratta, al contempo, del leader dello schieramento che l’ha sostenuto alle
8 J. Locke, Saggio sull’intelligenza umana, Milano, Mondadori, 2008 (1690), p. 573. Sui rapporti biunivoci tra istanza discorsiva e potere si rinvia a M. Foucault, L’ordre du discours, Paris, Gallimard, 1971. 9 Cfr. P. Bourdieu, Ce qui parleur veut dire. L’économie des échanges linguistiques, Paris, Fayard, 1982, p. 105 (traduzione mia). P. Desideri, La comunicazione politica: dinamiche linguistiche e processi discorsivi, S. Gensini (a cura di), Fare comunicazione. Teoria ed esercizi, Roma, Carocci, 2006, p. 165. 10 Oltre a B. François (Le président, pontife constitutionnel. Charisme d’institution et construction juridique du politique in B. Lacroix, J. Lagroye, Le Président de la République: usages et genèses d’une institution, Paris, Presses de la FNSP, 1992, pp. 306-331) si rimanda a L. Cavalli, Governo del leader e regime dei partiti, Bologna, Il Mulino, 1992, passim. 11 M. Duverger, Institutions politiques et droit constitutionnel, Paris, 1970, p. 277. In G. Quagliariello, De Gaulle e il gollismo, Bologna, Il Mulino, 2003, p. 730, si evoca invece l’idea di “incardinatura presidenziale delle istituzioni”. 12 M. Volpi, op. cit., p. 39. Sulla classificazione del sistema francese della V repubblica si veda M. Baudrez, B. Ravaz, La Quinta Repubblica: regime semi-presidenziale o parlamentarismo? in L. Pegoraro, A. Rinella (a cura di), Semipresidenzialismi, Padova, Cedam, 1997, pp. 45-59. Si rimanda poi a O. Massari, I sistemi semipresidenziali: differenze e analogie in prospettiva comparata, in S. Ceccanti, O. Massari, G. Pasquino, Semipresidenzialismo. Analisi delle esperienze europee, Bologna, Il Mulino, 1996, p. 16. Si rimanda inoltre ai recenti contributi F. Lanchester, V. Lippolis (a cura di), La V Repubblica francese nel dibattito e nella prassi in Italia, Napoli, Jovene, 2009; G. Pasquino, S. Ventura (a cura di), Una splendida cinquantenne: la Quinta Repubblica francese, Bologna, Il Mulino, 2010. 13 G. Sartori, Ingegneria costituzionale comparata, Bologna, Il Mulino, 2004, p. 139.
4
elezioni e del rappresentante di tutti i francesi. Lo si può paragonare ad un “Giano bifronte”14 o, ricorrendo
alla metafora sportiva di Massot, osservare che ricopre sia il ruolo di arbitro che quello di capitano15.
L’inquilino dell’Eliseo non è paragonabile ad altre figure presidenziali, né a quelle di primo ministro (o del
presidente del consiglio) esistenti nei sistemi parlamentari16 neanche per ciò che riguarda il suo statuto di
locutore. Non lo è nel senso che ne ibrida e ne supera le prerogative. È più presenzialista di un capo dello
Stato privo di poteri di direzione politica ma centellina le proprie esternazioni più di quanto faccia un normale
capo del governo. Al pari di qualsiasi presidente di una repubblica parlamentare rivolge alla nazione un
solenne messaggio augurale di fine anno. Come qualsiasi premier indìce e presiede conferenze stampa, è
ospite di trasmissioni radiofoniche o televisive, è intervistato da telegiornali e organi della carta stampata.
Può parlare in televisione di frequente senza suscitare eccessive recriminazioni dell’opposizione o destare
allarmi democratici. Ma, al tempo stesso, è il dominus dei grandi rituali pubblici.
Questo protagonismo comunicativo si ripercuote sulla produzione delle esternazioni presidenziali
determinando la fioritura di molteplici tipi di testo, i quali, a loro volta, risentono di specifiche virtualità che ne
condizionano la forma: i generi discorsivi. Si parla qui di generi discorsivi piuttosto che di tipi di testo per due
motivi principali. Innanzitutto l’unità testo è di per sé, è “troppo complessa e troppo eterogenea per
presentare delle regolarità linguisticamente osservabili e codificabili”17. La nozione di discorso è invece più
aperta a diverse situazioni di enunciazione e interazione. In secondo luogo il genere, a differenza del tipo, è
una categoria pratico-empirica che consente di cogliere in maniera più flessibile la diversità socioculturale
delle pratiche discorsive umane e rappresenta l’ideale cerniera tra il testo ed il discorso18.
Nell’amplissima casistica delle esternazioni presidenziali si possono isolare alcuni “discorsi rituali” rivolti alla
nazione o a destinatari specifici in corrispondenza di scadenze prestabilite o, al contrario, in occasioni
straordinarie. A prescindere dal loro carattere più o meno estemporaneo, tali discorsi rituali si configurano
come “eventi mediali”19 caratterizzati, lo si è accennato, dall’importanza collettiva delle circostanze temporali
in cui si collocano e dalla presenza di tratti stilistici riconducibili alle già citate “sequenze standardizzate e
strutturate”.
Nell’ambito del macrogenere in cui rientrano questi “monologhi rituali” (ossia discorsi rituali contraddistinti da
una dinamica interattiva monologica), i discorsi di investitura sono riconducibili al genere dei “discorsi alla
nazione”20. Si tratta, in sostanza, di riti di passaggio nei quali avviene il contatto tra il vertice istituzionale del
paese e la comunità immaginata della nazione21. I discorsi alla nazione sono, più nello specifico, allocuzioni
14 Cfr. J. Chapsal, La vie politique sous la Ve République, II, 1974-1987, Paris, PUF, 1993, p. 215. 15 J. Massot, L’arbitre et le capitaine. Essai sur la responsabilité présidentielle, Paris, Flammarion, 1987. Cfr. anche H. Portelli, Arbitre ou chef de l’opposition?, “Pouvoirs”, n. 91, 1999, pp. 59-70. 16 A questo proposito, si veda l’accuratissima tipologia delle esternazioni dei presidenti italiani proposta da Mario Dogliani, Il “potere di esternazione” del Presidente della Repubblica, in M. Luciani, M. Volpi (a cura di), Il Presidente della Repubblica, Bologna, Il Mulino, 1997, pp. 221-246. 17 J.-M. Adam, Linguistique textuelle. Des genres de discours aux testes, Paris, Nathan, 1999, p. 82 (traduzione mia). M. Reisigl ha proposto (“Analyzing Political Rhetoric”, in R. Wodak, M. Krzyzanowski, Qualitative discourse Analysis in the Social Sciences, Palagrave, MacMillan, 2008) uno schema di “sistematizzazione di campi di azione, generi o tipi di testo e comunicazione ed argomenti del discorso”, cit. in L. Cedroni, Il linguaggio politico della transizione. Tra populismo e anticultura, Roma, Armando Editore, 2010, p. 22. 18 Cfr. J.-M. Adam, op. cit., pp. 40, 92-93. Di generi discorsivi parlava già nel ‘28 Bakhtin (La méthode formelle en critique littéraire, Leningrad, 1928; riportato nella traduzione francese in T. Todorov, Mikhaïl Bakhtine: le principe dialogique. Écrits du Cercle de Bakhtine, Paris, Seuil, p. 127). 19 Per la nozione di “media event” si rimanda a D. Dayan, E. Katz, Media Events: The Live Broadcasting of History, Cambridge, Harvard University Press, 1992 (trad. it. Le grandi cerimonie dei media, Bologna, Baskerville, 1993). 20 Si allude alla classificazione in generi discorsivi adottata in N. Genga, Le parole dell’Eliseo. I discorsi dei presidenti francesi da Giscard d’Estaing a Sarkozy, Roma, Aracne, 2012 e richiamata in Id., Text Typology, Political Language and Rhetoric at the Elysée: a Case Study, “Segni e comprensione”, n. 77, maggio-agosto 2012, pp. 23-35. 21 Cfr. B. Anderson, Imagined Communities Reflections on the Origins of Nationalism, London, Verso, 1991 (1983).
5
pronunciate dal capo dello Stato per rivolgersi all’intera cittadinanza in circostanze di transizione (come la
fine dell’anno, le elezioni, la fine del mandato) e irradiate dai mass media a beneficio di un’audience ampia
ed indifferenziata. Ricondurre tale genere discorsivo ai generi dell’oratoria, secondo l’antica tripartizione in
deliberativo, giudiziario ed epidittico22, non pone eccessivi problemi classificatori. La caratterizzazione
prettamente “epidittica”, ossia dimostrativa, dei discorsi alla nazione non è oggetto di controversie. I discorsi
di investitura sono fondamentalmente discorsi epidittici che rispondono “alla necessità di glorificare in
pubblico i valori della tradizione”23 riferendosi tipicamente a valori condivisi per “stabilire una concordanza
intorno ad alcuni valori riconosciuti dall’uditorio”24 e “rinforzare o suscitare atteggiamenti (sentimenti) […] nei
riguardi dei grandi valori di cui è intessuta una civiltà”25.
I discorsi di investitura vengono considerati, in questo caso, species del genus discorsi alla nazione: in essi il
presidente si rivolge ritualmente alla nazione pronunciando un discorso epidittico liminare ed ecumenico. Nel
farlo, egli opera scelte sintattiche e semantiche tali da fornire elementi di analisi sulla propria concezione del
ruolo e sul proprio profilo politico.
2. Corpus testuale e metodologia d’analisi
Il corpus di cui è oggetto il presente contributo si compone di 10 discorsi di investitura, pronunciati dai 7
diversi presidenti eletti dal 1958 ad oggi. In ordine cronologico si tratta di Charles de Gaulle, Georges
Pompidou, Valéry Giscard d’Estaing, François Mitterrand, Jacques Chirac, Nicolas Sarkozy e François
Hollande.
Si è scelto di inserire nel corpus sia i discorsi di “prima investitura”, resi dai presidenti in occasione della loro
prima elezione all’Eliseo, sia i discorsi di “reinvestitura” di quanti, già in carica, hanno ottenuto la rielezione e
si sono sottoposti nuovamente al cerimoniale. Questo perché la procedura di elezione diretta priva gli
incumbent del loro status di presidenti al di sopra delle parti e rende necessario un momento palingenetico
che rimuova le scorie partisan prodotte dalla competizione elettorale. Il rituale che segue la rielezione è, per i
motivi precedentemente illustrati, altrettanto rilevante di quello celebrato in occasione del primo
insediamento, anche perché può offrire spunti di comparazione tra il primo e il secondo discorso di uno
stesso presidente.
La tabella seguente (TAB. 1) illustra i principali dati quantitativi dei discorsi. Il corpus è stato oggetto di una
preliminare esplorazione testuale condotta con il software Lexico 3, applicativo lessicometrico. I testi sono
stati normalizzati e standardizzati per poi essere sottoposti a trattamento. I dati ottenuti sono stati in seguito
elaborati al fine di fornire una descrizione di superficie del corpus e un’analisi dimensionale del vocabolario
in grado di restituire indicazioni generali sull’evoluzione diacronica dei testi.
22 Come testimoniato da Quintiliano nella sua Institutio Oratoria (III, 4, 9) è Anassimene a distinguere i tre generi dell’oratoria, in deliberativo (symboleutikon), dimostrativo o epidittico (epideiktikon), giudiziario (dikanikon). Cfr. anche A. Plebe, Breve storia della retorica antica, Roma, Laterza, 1988, p. 54. 23 L’oratoria epidittica e il dibattito formale sono le due “forme” tipiche del discorso politico nei contesti poliarchici in equilibrio. Cfr. G. Fedel, op. cit., pp. 34-35; W. E. Utterback, Patterns of Public Discussion in School and in Life, in “The quarterly Journal of Speech”, XXIV, 1938, pp. 584-589; H. Lausberg, Elementi di Retorica, Bologna, Il Mulino, 1969, pp. 19-22. 24 Ch. Perelman, L. Olbrechts-Tyteca, Trattato dell’argomentazione: la nuova retorica, Torino, Einaudi, 2001, p. 54. 25 G. Preti, Retorica e logica, Torino, Einaudi, 1968, p. 151.
6
Le variabili prese in esame sono la lunghezza dei discorsi, in occorrenze (le “unità di conto”, ossia i segmenti
di testo compresi tra due spazi bianchi o due segni di interpunzione definibili come “separatori”), in battute
tipografiche (ossia in caratteri spazi inclusi) e in frasi (segmenti di testo compresi tra due punti fermi); la
lunghezza media delle frasi, in occorrenze e battute; il numero di forme grafiche (parole significanti, intese
quindi come “unità di senso”) presenti in ogni discorso; il numero di hapax legòmenon (le forme grafiche
presenti una sola volta) in ogni discorso.
TAB. 1 – IL CORPUS DEI DISCORSI DI INVESTITURA PRESIDENZIALI NELLA QUINTA REPUBBLICA FRANCESE (1959-2012)
Discorso Battute
(B)
Occorrenze
(O)
Forme
grafiche
(F)
Estensione
lessicale
%
F/O
Hapax
(H)
%
H/F
Frasi
Lunghezza
media
delle frasi
(B)
Lunghezza
media
delle frasi
(O)
De Gaulle (I)
1959 3587 624 306 49,0% 235 76,8% 23 155,96 27,13
De Gaulle (II)
1966 711 123 83 67,5% 67 80,7% 4 177,75 30,75
Pompidou
1969 1407 248 143 57,7% 107 74,8% 9 156,33 27,56
Giscard
d’Estaing
1974
1999 347 179 51,6% 119 66,5% 15 133,27 23,13
Mitterrand (I)
1981 2755 502 262 52,2% 191 72,9% 22 125,23 22,82
Mitterrand (II)
1988 3856 676 355 52,5% 282 79,4% 28 137,71 24,14
Chirac (I)
1995 3175 551 281 51,0% 215 76,5% 25 127,00 22,04
Chirac (II)
2002 6059 1010 497 49,2% 274 55,1% 58 104,47 17,41
Sarkozy
2007 6427 1192 410 34,4% 281 68,5% 50 128,54 23,84
Hollande
2012 7422 1257 512 40,7% 372 72,7% 70 106,03 17,96
Totale 37398 6530 3028 46,4% 2143 70,8% 304 123,02 21,48
Elaborazione dei dati ottenuti attraverso trattamento lessicometrico effettuato con il software Lexico 3
Limitatamente a estensione lessicale, percentuale di hapax e lunghezza media frasi (in battute e occorrenze) sono stati evidenziati in
verde i valori più alti, in arancione quelli più bassi.
7
La lunghezza dei discorsi va dal minimo di 123 occorrenze del secondo discorso di de Gaulle al massimo di
1257 di Hollande nel 2012. Se si considerano solo le prime investiture, il dato ha fatto registrare un
incremento ininterrotto dal ’69 ad oggi.
La lunghezza media delle frasi raggiunge l’apice nell’discorso di de Gaulle del ‘66 (30,75 occorrenze per
frase) e il suo valore più basso nella reinvestitura di Chirac nel 2002. Anche in questo caso se si prendono in
esame le sole prime investiture il dato mostra una tendenza univoca, che è all’abbreviazione costante delle
frasi.
Mettendo in rapporto, per ogni discorso, il numero di occorrenze con il numero di forme grafiche, sono stati
inoltre calcolati due indicatori di ricchezza lessicale: l’estensione lessicale, risultante dal rapporto tra forme e
occorrenze (F/O), e la percentuale di hapax sulle forme (H/F)26. Anche in rapporto a questi indicatori la
seconda investitura di de Gaulle è caratterizzata dai valori più elevati, ben superiori rispetto alla media del
corpus: l’indicatore di estensione lessicale di oltre 20 punti, la percentuale di hapax di circa 10. Come si
evince dalla tabella il discorso dal vocabolario meno ricco è quello di Sarkozy nel 2007, mentre quello con la
percentuale più bassa di hapax è stato pronunciato da Chirac nel 2002.
Naturalmente questa semplice constatazione attiene solo alle caratteristiche immediatamente misurabili del
corpus e ha il solo scopo di tracciare una sommaria descrizione statistica dei testi. Le indicazioni emerse da
questa preliminare sinossi richiedono infatti una contestualizzazione da condurre osservando lo stile
oratorio, la struttura dei discorsi e le specificità enunciative, oltre che effettuando l’analisi retorica dei campi
semantici e dei luoghi argomentativi più ricorrenti.
L’accostamento di una ricognizione quantitativa ad un’analisi qualitativa di questo tipo è motivata
dall’intenzione di non sminuire gli aspetti retorici a meri orpelli formali, nella convinzione che, come scrive
Cortelazzo “lo stile di un discorso non è una variabile indipendente rispetto ai contenuti nozionali, ideologici,
simbolici del testo; un’accorta descrizione stilistica e retorica può fare emergere, al pari di altri tipi di analisi,
la natura profonda del testo e la fisionomia del suo autore; la descrizione retorica e l’analisi del lessico,
spesso condotte disgiuntamente, se non addirittura come metodologie poste in opposizione, possono,
invece, essere proficuamente intrecciate tra di loro”27.
Va precisato che l’analisi qui proposta si concentra soprattutto sul testo scritto, dunque sulle parti del
discorso che nella retorica classica sono definite come inventio, dispositio e elocutio. La dimensione
dell’actio, ossia della recitazione ed interpretazione del discorso, è consapevolmente e volutamente
tralasciata. La scelta di circoscrivere l’analisi al dato testuale omettendo di considerare altri elementi
semiotici, di carattere prossemico e cinesico ma anche scenografico, non è soltanto frutto di preferenze
metodologico-disciplinari, ma anche e soprattutto una decisione motivata dalla constatazione della rigidità
cerimoniale del protocollo in cui si incardina questo genere discorsivo e degli scarsi margini di
personalizzazione espressiva consentiti dalla messa in scena.
26 Si rimanda anche al lavoro effettuato da L. Bernardi, A. Tuzzi, Parole lette con misura (statistica), in M.A. Cortelazzo, A. Tuzzi, op. cit., pp. 109-134. 27 M. A. Cortelazzo, A. Tuzi, “Considerazioni finali”, in Idd., op. cit., p. 230.
8
3. Invarianti e specificità nello stile oratorio
Come tutte le allocuzioni rituali che hanno luogo secondo un cerimoniale consolidato, il discorso di
investitura presenta degli elementi invarianti abbastanza stabili, a partire dalle formule di apertura e di
chiusura28.
Della formula di chiusura basti dire che si tratta del “Vive la République, Vive la France” che si trova non solo
in questo, ma in tutti i generi del discorso monologico presidenziale. Vanno rilevate due sole eccezioni. La
prima è rappresentata dalla prima investitura di De Gaulle, in cui compare come terzo membro
l’esclamazione “Vive la Communauté”, riferito ai possedimenti coloniali allora detenuti dalla Francia, e nello
specifico alla situazione algerina allora al centro del dibattito pubblico. La variazione che si motiva pertanto
con ragioni congiunturali. La seconda si trova nel discorso di Giscard d’Estaing nel ’74, che non contiene
alcuna formula di chiusura staccata dal resto del testo. Questa variante pare in linea con la tendenza
giscardiana alla rottura e al superamento del rituale a fini di “normalizzazione” e “familiarizzazione”
dell’immagine presidenziale29.
Come si può osservare nei frammenti seguenti la formula di apertura mostra un grado minore di
standardizzazione e una articolazione più personalizzata.
DE GAULLE I (1959) Monsieur le Président, Messieurs, A tout ce que cette cérémonie comporte d'imposant et d'émouvant je suis profondément sensible. DE GAULLE II (1966) Monsieur le Président, Messieurs, Les résultats de l'élection présidentielle, tels qu'ils ont été contrôlés et proclamés par le Conseil constitutionnel, m'amènent à assumer aujourd'hui et de nouveau les fonctions de Président de la République. Veuillez croire, Monsieur le Président, que je suis profondément sensible aux sentiments que vous venez d'exprimer à cette occasion. POMPIDOU (1969) Au moment où, désigné par le peuple français pour exercer la charge de Président de la République, j'en prends officiellement possession, j'évoquerai d'abord la personne du général de Gaulle. GISCARD D’ESTAING (1974) Messieurs les Présidents, Mesdames, Mesdemoiselles, Messieurs, De ce jour, date une ère nouvelle de la politique française. Ceci n'est pas seulement dû, M. le président du Conseil Constitutionnel, à la proclamation du résultat que vous venez de rappeler et dont, par respect pour la France et pour sa longue histoire, je mesure l'honneur. Ceci n'est pas seulement dû aux 13 396 203 femmes et hommes qui m'ont fait la confiance de me désigner pour devenir le vingtième Président de la République française. Ceci est dû en réalité à la totalité des suffrages du 19 mai 1974. MITTERRAND I (1981) Messieurs les Présidents, Mesdames, Mesdemoiselles, Messieurs, En ce jour où je prends possession de la plus haute charge, je pense à ces millions et ces millions de femmes et d'hommes, ferment de notre peuple qui, deux siècles durant, dans la paix et la guerre, par le
28 A questo proposito Edelman parlava de “La ripetzione cronica di clichés e di frasi fatte […]” come di uno degli elementi più tipici del rituale discorsivo della politica, cfr. Gli usi simbolici della politica, cit., p. 192. 29 D. Fleurdorge, Les rituels du président de la République, Paris, Puf, 2001, pp. 212-222.
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travail et par le sang, ont façonné l'Histoire de France, sans y avoir accès autrement que par de brèves et glorieuses fractures de notre société. MITTERRAND II (1988) Monsieur le Président du Conseil constitutionnel, Mesdames, Messieurs, Au seuil de ce septennat, je souhaite interpréter en peu de mots, aussi justement que possible, la volonté populaire exprimée le 8 mai. CHIRAC I (1995) Messieurs les Présidents, Mesdames, Messieurs, En ce jour où je prends la responsabilité d'assumer la plus haute charge de l'État, je me sens dépositaire d'une espérance. L'élection présidentielle n'a pas vu la victoire d'une France contre une autre, d'une idéologie contre une autre. Elle a vu la victoire d'une France qui veut se donner les moyens d'entrer forte et unie dans le troisième millénaire. CHIRAC II (2002) Monsieur le Président du Conseil Constitutionnel, Monsieur le Premier Ministre, Mesdames, Messieurs, Les Françaises et les Français m'ont renouvelé leur confiance. Les devoirs que j'ai envers chacun d'eux seront constamment présents à mon esprit, aujourd'hui et pour les cinq années du mandat qu'ils m'ont donné. SARKOZY (2007) Mesdames et Messieurs, En ce jour où je prends officiellement mes fonctions de Président de la République française, je pense à la France, ce vieux pays qui a traversé tant d'épreuves et qui s'est toujours relevé, qui a toujours parlé pour tous les hommes et que j'ai désormais la lourde tâche de représenter aux yeux du monde. HOLLANDE (2012) Monsieur le Président, Mesdames, Messieurs En ce jour où je suis investi de la plus haute charge de l'État, j'adresse aux Français un message de confiance. Pur non essendo prevista una formula fissa, si possono isolare alcune invarianti in grado di caratterizzare
l’incipit di questi testi. In primo luogo l’accenno agli interlocutori che introducono il discorso di investitura.
Con il vocativo “Monsieur Président”, al singolare, o “Messieurs les Présidents”, al plurale, il capo dello Stato
si rivolge al proprio predecessore, qualora presente, oppure al presidente del Consiglio costituzionale che ha
proclamato i risultati delle elezioni, ai presidenti del Senato e dell’Assemblea Nazionale o, infine, a più di uno
tra questi se presenti contemporaneamente.
Vi è poi il ricorso ad un’espressione deittica riferita in genere alla temporalità, come l’Au moment où di
Pompidou, il De ce jour di Giscard d’Estaing, gli En ce jour e Au seuil de ce septennat di Mitterrand, fino all’
En ce jour où che accomuna Chirac, Sarkozy e Hollande. De Gaulle menziona invece cette cérémonie che si
riferisce alla circostanza spazio-temporale dell’evento nel suo complesso.
È poi tipicamente presente nelle prime investiture una sottolineatura etica al ruolo del presidente e
all’accettazione delle prerogative che ad esso si riferiscono. Con un atto linguistico illocutivo30 il capo dello
Stato neoeletto dichiara di prendere possesso ufficialmente delle funzioni relative alla carica. In questi
termini si esprimono Pompidou (j'en prends officiellement possession), Mitterrand (je prends possession de
30 J. L. Austin distingue gli enunciati performativi in atti locutivi, illocutivi e perlocutivi. Cfr. Austin, How to Do Things with Words, Oxford, Clarendon Press, 1962 (trad. It. Come fare le cose con le parole, Genova, Marietti, 1987).
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la plus haute charge), Chirac (je prends la responsabilité d'assumer la plus haute charge de l'État) e Sarkozy
(je prends officiellement mes fonctions de Président de la République française). Lievemente diversa
l’espressione usata Hollande, che ricorrendo alla diatesi passiva “je suis investi de la plus haute charge de
l'État” imprime una sfumatura meno assertiva all’enunciato, attenuando il carico di ethos che esso potrebbe
esercitare.
Si rileva inoltre con regolarità una nota patemica riferita alla pregnanza emotiva insita nel golliano “A tout ce
que cette cérémonie comporte d'imposant et d'émouvant je suis profondément sensible”; alla continuità
istituzionale rappresentata dalla carica, come nell’accenno di Pompidou a de Gaulle (j'évoquerai d'abord la
personne du général de Gaulle); al prestigio di ricoprirla che Giscard riconosce nel dire “je mesure
l'honneur”; infine, alla Francia ed ai francesi, con una forma di captatio benevolentiae. Quest’ultima
componente dell’incipit viene variamente declinata. Mitterrand ad esempio, nel dire « je pense à ces millions
et ces millions de femmes et d'hommes, ferment de notre peuple »; « je souhaite interpréter […] la volonté
populaire » si rivolge soprattutto alla parte dell’elettorato politicamente a lui più vicina, esprimendo una
propensione alla caratterizzazione partisan del discorso di investitura.
Giscard d’Estaing, Sarkozy e Hollande dimostrano un afflato più consensuale. Il primo cerca di ampliare
esplicitamente l’uditorio al di là dei confini del proprio elettorato (Aux 13 396 203 femmes et hommes qui
m'ont fait la confiance de me désigner) fino a « la totalité des suffrages du 19 mai 1974 ». Sarkozy parla alla
France, entità stereotipica che, come si vedrà, nell’oratoria presidenziale assurge quasi a categoria etico-
spirituale31, rappresentandola attraverso una figura di personificazione come « ce vieux pays qui a traversé
tant d'épreuves et qui s'est toujours relevé ». Hollande si rivolge ai cittadini dicendo « j'adresse aux Français
un message de confiance » che sembra intriso di un pathos volontarista simile a quello di cui si fa portavoce
Chirac nel ’95 “je me sens dépositaire d'une espérance” e nel 2002 “les Françaises et les Français m'ont
renouvelé leur confiance”.
La parte centrale dei testi, interposta tra l’esordio e l’epilogo, presenta una struttura frasale prevalentemente
paratattica, il che è dovuto anche alla natura di questi discorsi, concepiti come saluto e presentazione di
proposizioni spesso nella forma di elenchi con l’eccezione del secondo discorso di investitura di Mitterrand,
che si segnala per un equilibrio tra costruzione coordinata e subordinata. I singoli presidenti e le loro
allocuzioni si distinguono per la presenza variabile di sequenze enumerative e strutture iterative di tipo
anaforico che, in un modo o nell’altro, concorrono a delineare uno stile ridondante e improntato
all’amplificazione o, al contrario, uno sobrio e caratterizzato da sottrazione e brevitas.
Il primo discorso di investitura di de Gaulle mostra un’organizzazione frasale generalmente paratattica o di
ipotassi semplice, basata sulla presenza di una subordinata e una principale (« Dans l'ensemble ainsi formé,
une place de choix est destinée à l'Algérie de demain, pacifiée et transformée » ; « Au cours du dernier demi
siècle, il a subi les blessures et les déchirements les plus graves de son histoire ») in alcuni casi intervallate
da incisi (« Depuis qu'à Paris, voici bientôt mille ans, la France prit son nom et l'État sa fonction, notre pays a
beaucoup vécu »). La prima parte dell’allocuzione del ’59 contiene però un esempio di “stile commatico”, che
31 D. Mayaffre, Paroles de président: Jacques Chirac, 1995-2003, et le discours présidentiel sous la Ve République, Paris, Champion, 2004, p. 27.
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si manifesta nella presenza di una frase principale che regge una lunga serie di proposizioni secondarie32. In
questo caso la frase principale è posta alla fine della serie
DE GAULLE I (1959) la noble adresse du Président de la Commission constitutionnelle ; la présence du gouvernement, du doyen et de l'un des membres du corps diplomatique, des présidents et des membres des bureaux de l'Assemblée nationale, du Sénat, du Conseil économique, des Premiers ministres des États de la Communauté, d'un maréchal de France, du Grand Chancelier de la Légion d'honneur et du chancelier de l'ordre de la Libération, des représentants de tous les corps et services de l'État et du commandement des armées, de la délégation de l'Académie française et de l'Institut de France, confèrent à notre réunion le caractère de majesté qui répond à son objet. Tale modalità di costruzione del periodo è tipica dello stile scritto e conferisce al discorso, quando
pronunciato a voce, una minore leggibilità. La scansione ritmica della frase acquista maggiore incisività
laddove de Gaulle ricorre a sequenze ternarie (Destin de la France! Ces mots évoquent l'héritage du passé,
les obligations du présent et l’espoir de l'avenir) a volte irrobustite da procedimenti di ridondanza
sinonimica come la metabole, ossia la “ripetizione di una stessa idea, concetto, usando parole diverse”33
(« Mais, voici qu'une occasion soudaine s'est offerte à lui de sortir du doute , des divisions , des
humiliations » ; « Ce concours , cet appui , ce soutien , qui me furent naguère assurés dans les angoisses
du péril national»). Altro strumento retorico usato da de Gaulle nella sua prima investitura è l’anafora, ossia
la ripetizione di una parola all’inizio di membri successivi34.
DE GAULLE I (1959) Mais, voici qu'une occasion soudaine s'est offerte à lui de sortir du doute, des divisions, des humiliations. Voici qu'il veut la saisir en faisant passer l'intérêt général au-dessus de tous les intérêts et préjugés particuliers. Voici que le meilleur est, grâce à Dieu !, à la portée des Français, pourvu qu'ils restent fidèles à l'effort et à l'unité. […] Au milieu d'un monde dangereux, quel atout pour la paix des hommes, quelle carrière ouverte au progrès, quel honneur pour les Français et pour leurs frères africains. Nell’investitura del ’66, di una concisione quasi scheletrica (4 frasi e 123 occorrenze), de Gaulle si limita
all’inserzione di tre sequenze binarie:
DE GAULLE II (1966) En ma qualité de garant de la Constitution adoptée par le peuple français en 1958 et complétée par lui en 1962, je constate que celle-ci a été et continue d'être appliquée dans son esprit et dans sa lettre . […] Il en sera de même au cours de ce septennat, afin que soient assurés la continuité de la République et le service de la France . Anche la successiva allocuzione di insediamento, pronunciata da Pompidou nel ’69, è improntata a una
sostanziale sobrietà, che lascia spazio a poche successioni binarie più o meno articolate (« J'ai la ferme
intention de le remplir dans le strict respect de la Constitution de la Ve République et avec la volonté de
maintenir la dignité de la France »; « C'est dans cet esprit que je vous assure de toute ma considération et
de ma confiance ») e tramite l’uso di dittologie (« Durant ces dix années, le général de Gaulle a représenté
ici la France avec un éclat et une autorité sans précédent »), congiunzione di due vocaboli tra loro « simili
32 Cfr. M.A. Cortelazzo, A. Tuzzi, op. cit., p. 217. 33 Ch. Perelman, L. Olbrechts-Tyteca, Trattato dell’argomentazione, cit., p. 186. 34 Cfr. B. Mortara Garavelli, op. cit., pp. 123-124.
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nel significato e complementari »35. Una sequenza ternaria viene riservato all’encomio tributato alla figura di
de Gaulle (« nous avons pendant dix années connu la stabilité politique, dominé plusieurs crises d'une
extrême gravité, et pour finir assuré sans secousses la transmission des pouvoirs présidentiels»).
Pur nella sobrietà formale del suo discorso, Valery Giscard d’Estaing utilizza elencazioni dalla struttura
binaria, semplice (« Nous ferons ce changement avec lui, pour lui, tel qu'il est dans son nombre et dans sa
diversité , et nous le conduirons en particulier avec sa jeunesse qui porte comme des torches la gaieté et
l'avenir ») o concatenata (« de ceux des femmes et des hommes, des jeunes et des moins jeunes, des
travailleurs et des inactifs, et qui l'action à entreprendre associera le gouvernement dans ses initiatives et le
Parlement dans son contrôle et dans ses droits »).
Nel Mitterrand dell’81 emerge un’analoga propensione per l’elencazione binaria, con una dittologia (A toutes
les Françaises et à tous les Français, au-delà de cette salle, je dis ayons confiance et foi dans l'avenir),
mediante una sequenza multipla (« l'idée que je m'en fais et la volonté qui me porte, assuré qu'il ne peut y
avoir d'ordre et de sécurité là où règnerait l'injustice , gouvernerait l'intolérance »; « il ne saurait y avoir
de véritable communauté internationale tant que les deux tiers de la Planète continueront d'échanger leurs
hommes et leurs biens contre la faim et le mépris » ) e a volte con configurazione « a grappolo », come
nell’estratto seguente.
MITTERRAND I (1981) je pense à ces millions et ces millions de femmes et d'hommes , ferment de notre peuple qui, deux siècles durant, dans la paix et la guerre , par le travail et par le sang , ont façonné l'Histoire de France, sans y avoir accès autrement que par de brèves et glorieuses fractures de notre société. La propensione mitterrandiana all’accumulazione tramite elencazioni enumerative si ritrova nel discorso
dell’88, tramite la dittologia (Nous en sommes tous, à des titres différents, les garants et les artisans ) o
l’uso di strutture binarie semplici (« Aller à l'unité et comprendre les contradictions » ; « l'amour de la
patrie et l'attachement à la démocratie ») e concatenate (C'est pourquoi je ne sépare pas le devoir politique
d'ouverture de l'obligation sociale de solidarité, ni l'obligation de solidarité de l'esprit d'entreprise).
Il primo presidente socialista ricorre frequentemente a strutture ternarie («Je compte sur le concours de leur
intelligence , de leur expérience et de leur dévouement » ; « Au-delà des vicissitudes du moment, des
hésitations , des retards » ; « Que notre pays sache en garder la jeunesse , l'élan et le rayonnement ! » ;
« On connaît son message de paix , de justice , de progrès » .) e inserisce nella propria allocuzione anche
un brano in stile commatico, composto da sintagmi verbali in forma di infinitive:
MITTERRAND II (1988) Démocratiser la société, refuser l'exclusion rechercher l'égalité des chances, instruire la jeunesse, la former aux métiers et aux techniques qui lui apporteront la sécurité de l'emploi dans des entreprises elles-mêmes modernisées, accroître le savoir, servir la création de l'esprit et des mains, guérir la vie quotidienne du plus grand nombre des Français de ses multiples tares, et parfois de ses intolérables servitudes, priorité au dialogue ici et là-bas à l'autre bout de la planète, voilà le chemin qu'il faut prendre, La presenza di elencazioni è ancor più marcata nei discorsi di Chirac del ’95 e del 2002, che si
caratterizzano entrambi per la propensione del locutore ad usare non solo strutture binarie (« rendre les
Français plus unis , plus égaux , et la France plus allante , forte de son histoire comme de ses atouts » ;
« État impartial, assumant pleinement ses missions de souveraineté et de solidarité , soit pour les citoyens
35 Ivi, p. 58.
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le garant de leurs droits et le protecteur de leurs libertés»), dittologie (Je ferai tout pour que notre
démocratie soit affermie et mieux équilibrée , conformément à l'esprit et à la lettre de nos institutions,
« réduire les incertitudes et l'instabilité d'un monde troublé »; « Il est bien légitime que beaucoup de nos
compatriotes ressentent inquiétude et parfois angoisse face aux mouvements du monde) e sequenze
ternarie (« une République attentive à tous, ouverte , humaine , tolérante », « Je suis décidé à placer le
septennat qui commence sous le signe de la dignité , de la simplicité , de la fidélité aux valeurs essentielles
de notre République »), ma soprattutto elenchi quaternari e quinquenari.
La sovrabbondanza di sequenze enumerative a quattro membri, visibile nel discorso del 1995, si accentua
nettamente nel discorso del 2002, in cui è presente l’interconnessione tra una struttura a quattro e una a
cinque membri.
CHIRAC I (1995) La campagne qui s'achève a permis à notre pays de se découvrir tel qu'il est, avec ses cicatrices , ses fractures , ses inégalités , ses exclus , mais aussi avec son ardeur , sa générosité , son désir de rêver et de faire du rêve une réalité […] Je voudrais que ces années, lourdes d'enjeux, mais ouvertes à tous les possibles, les voient devenir plus confiants , plus solidaires , plus patriotes , et en même temps plus européens CHIRAC II (2002) La mondialisation des économies est source d'échanges , de création de richesses, d'activité et d'emplois nouveaux. […] Notre pays […] saura agir pour par les conflits entre les peuples, par le sous -développement , par la violation des libertés et des droits fondamentaux, et par l'irruption de nouvelles formes de terrorisme, […] En faisant échec à la tentation de l'extrémisme, les Français viennent de réaffirmer avec force l'attachement qu'ils portent à leurs institutions démocratiques, aux libertés publiques, à notre engagement européen, à notre vocation universelle. […] Le rétablissement de la sécurité des Français en dépend, c'est-à-dire leur liberté , leur égalité , leur tranquillité d'esprit, une meilleure qualité de vie permettant d'agir , d'entreprendre , de construire , de faire des projets, de s'engager . Il discorso del 2002 presenta una struttura puntellata da ampie e incalzanti anafore, a volte intrecciate tra
loro.
CHIRAC II (2002) Cela signifie pour moi une solidarité renforcée. Une solidarité concrètement attentive aux difficultés de chaque Français. Une solidarité qui fasse reculer la précarité et qui redonne l'espoir à ceux qui l'ont perdu. Une solidarité soucieuse de la sauvegarde d'une protection sociale […] Cela signifie aussi une confiance plus grande faite à nos compatriotes […] Cela signifie le renforcement de l'égalité des chances, depuis l'école jusqu'à l'emploi, et l'égalité d'accès à la culture. […] la France doit être forte, affirmer sa place et son rang. Elle doit avoir l'économie d'une grande nation. Elle doit soutenir un effort militaire digne de son influence et garant de sa sécurité. Elle doit s'engager avec détermination pour que l'Europe s'exprime avec force sur la scène internationale […] La France, enfin, doit être à la hauteur des attentes de tant de peuples amis pour lesquels la francophonie est synonyme de liberté, de justice et de culture. Da tecnica ritmica di enfatizzazione del discorso, l’anafora passa a diventare elemento centrale e
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strutturante nel discorso di investitura di Sarkozy, costruito sulla successione di tre lunghe sequenze
anaforiche. La prima è quella di omaggio ai predecessori, introdotta da “je pense à”; la seconda e principale,
basata sul sintagma “exigence de”, contiene un’elencazione di dieci priorità strategiche; la terza, fondata sul
pronome personale “je” seguito da verbi performativi coniugati al futuro, mette in discorso la volontà di
azione del presidente eletto.
SARKOZY (2007) Je pense à tous les Présidents de la Ve République qui m'ont précédé. Je pense au Général De Gaulle Je pense à Georges Pompidou et à Valéry Giscard d'Estaing qui, chacun à leur manière, firent tant pour que la France entrât de plain-pied dans la modernité. Je pense à François Mitterrand, qui sut préserver les institutions et incarner l'alternance politique à un moment où elle devenait nécessaire pour que la République soit à tous les Français. Je pense à Jacques Chirac, qui pendant douze ans a œuvré pour la paix et fait rayonner dans le monde les valeurs universelles de la France. Je pense au rôle qui a été le sien pour faire prendre conscience à tous les hommes de l'imminence du désastre écologique et de la responsabilité de chacun d'entre eux envers les générations à venir. […] Exigence de rassembler les Français […] Exigence de respecter la parole donnée et de tenir les engagements […] Exigence morale […] Exigence de réhabiliter les valeurs du travail, de l’effort, du mérite, du respect, […] Exigence de tolérance et d’ouverture […] Exigence de changement […] Exigence de sécurité et de protection […] Exigence d’ ordre et d’autorité […] Exigence de résultat […] Exigence de justice […] Exigence de rompre avec les comportements du passé, les habitudes de pensée et le conformisme intellectuel […] […] Je défendrai l’indépendance et l’identité de la France. Je veillerai au respect de l’autorité de l’État et à son impartialité. Je m’efforcerai de construire une République fondée sur des droits réels et une démocratie irréprochable. Je me battrai pour une Europe qui protège, pour l’union de la Méditerranée et pour le développement de l’Afrique. Je ferai de la défense des droits de l’homme et de la lutte contre le réchauffement climatique les priorités de l’action diplomatique de la France dans le monde. L’uso martellante che Sarkozy fa della ripetizione del membro iniziale sfrutta in pieno le potenzialità
dell’anafora come “figura dell’insistenza”36. Il ritmo frasale si regge, inoltre, come evidente nei frammenti
appena citati, sull’uso di coppie di sintagmi verbali e nominali (« préserver les institutions et incarner
l'alternance », « l’indépendance et l’identité », « l’autorité de l’État et à son impartialité », « des droits réels et
une démocratie irréprochable ») che conferiscono una scansione regolare al discorso. Un esempio ancor più
evidente e circoscritto di ramificazione anaforica si può osservare nel segmento seguente.
SARKOZY (2007) Le 6 mai il n'y a eu qu' une seule victoire, celle de la France qui ne veut pas mourir, qui veut l'ordre mais qui veut aussi le mouvement , qui veut le progrès mais qui veut la fraternité , qui veut l'efficacité mais qui veut la justice , qui veut l'identité mais qui veut l'ouverture . Le 6 mai il n'y a eu qu' un seul vainqueur, le peuple français qui ne veut pas renoncer, qui ne veut pas se laisser enfermer dans l'immobilisme et dans le conservatisme, qui ne veut plus que l'on décide à sa place, que l'on pense à sa place. La figura dell’anafora ha una funzione di rilevo, sebbene minore protagonismo, nella costruzione frasale di
Hollande. I brani citati di seguito forniscono due esempi di sequenze anaforiche composte di tre frasi. La
prima, introdotta da “Il est temps”, la seconda da “l’Europe/elle a besoin”
36 Ivi, pp. 123-124.
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HOLLANDE (2012) Il est temps de remettre la production avant la spéculation, l'investissement d'avenir avant la satisfaction du présent, l'emploi durable avant le profit immédiat. Il est temps d'engager la transition énergétique et écologique. Il est temps d'ouvrir une nouvelle frontière pour le développement technologique et pour l'innovation. […] Pour surmonter la crise qui la frappe, l'Europe a besoin de projets. Elle a besoin de solidarité. Elle a besoin de croissance. La sequenza enumerativa più ricorrente nell’investitura del secondo presidente socialista è quella a tre
membri. La ritmica ternaria viene utilizzata a più riprese e applicata soprattutto a sintagmi nominali, sostantivi
in grado di sintetizzare obiettivi e valori cui il discorso si riferisce (“Le pays a besoin d'apaisement , de
réconciliation , de rassemblement ”, “le souci de récompenser le mérite , le travail , l'initiative […]”,
“défendre la liberté des peuples, l'honneur des opprimés, la dignité des femmes”, “je veux servir une
grande cause: le rassemblement , le redressement , le dépassement ”).
In generale, la struttura sintattica hollandiana appare più incline alla variatio stilistica e, pur in presenza di
una organizzazione frasale prevalentemente paratattica e di frasi mediamente molto brevi, caratteristiche
della retorica politica più recente, manifesta alcuni tratti dell’oratoria politica classica, come ad esempio la
presenza di periodi contraddistinti da stile commatico che, lo si è detto, si adattano più al registro scritto che
a quello orale.
HOLLANDE (2012) Ils sont considérables: la productivité de notre main-d'œuvre, l'excellence de nos chercheurs, le dynamisme de nos entrepreneurs, le travail de nos agriculteurs, la qualité de nos services publics, le rayonnement de notre culture et de notre langue sans oublier la vitalité de notre démographie et l'impatience de notre jeunesse. […] Je mesure le poids des contraintes auxquelles nous faisons face: une dette massive, une croissance faible, un chômage élevé, une compétitivité dégradée et une Europe qui peine à sortir de la crise. 4. Campi semantici e luoghi argomentativi: elementi di ricorrenza
La “sceneggiatura discorsiva” ricavabile dall’analisi stilistica dei testi fornisce indicazioni sul posizionamento
oratorio assunto dai presidenti “investendi”. La presentazione dell’immagine presidenziale trova il suo
completamento in operazioni di elocutio semantica e retorico-argomentativa che attengono a scelte lessicali
ed enunciative, attivazione di campi semantici, utilizzazione di sistemi metaforici, evocazione di topoi (o
luoghi argomentativi)37.
Distinguendo tra le invarianti nel genere discorsivo e le specificità dei locutori si possono formulare inferenze
che riguardano la concezione del genere discorsivo e del ruolo espressa dai singoli presidenti, nonché la
personalizzazione e la caratterizzazione politico-culturale del messaggio di cui essi si rendono artefici.
Volendo ricavare una sinossi della dimensione lessicale occorre constatare che la semplice elencazione
delle parole più ricorrenti non fornisce, come spesso accade, indicazioni particolarmente rilevanti. Ad
37 I luoghi sono da intendere come “premesse di ordine generale”, “rubriche sotto le quali si possono classificare gli argomenti” e in definitiva come “magazzini di argomenti”. Cfr. Ch. Perelman, L. Olbrechts-Tyteca, op. cit., pp. 88-89 e Aristotele, Topici, 1. VIII, cap. 14, 163b.
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esempio, nella lista dei sostantivi più utilizzati (Tab. 2) compaiono ai primi posti termini prevedibili e poco
significativi come France, République, monde, Président, peuple e pays.
TAB. 2 – I SOSTANTIVI PIÙ RICORRENTI NEI DISCORSI DI INVESTITURA (ALMENO 10 OCCORRENZE)
Lessema Occ.
France 60 République 40 monde 22 Président 22 peuple 20 pays 18 exigence 16 confiance 16 nation 13 valeurs 13 hommes 12 communauté 11 droits 11 justice 11 volonté 11 histoire 10 place 10 respect 10
Elaborazione di trattamento lessicometrico effettuato con il software Lexico 3
A seguire, il termine exigence, presente 16 volte nel corpus è, come abbiamo visto in precedenza, stato
usato 10 volte dal solo Sarkozy in funzione iterativa. Per il resto, la taglia ridotta del corpus e dei singoli
discorsi e, conseguentemente, la scarsa frequenza dei lessemi nella lista rende poco indicativo il calcolo
delle specificità per locutore e consiglia una contestualizzazione che tenga invece conto del contesto frastico
e transfrastico in cui sono inserite le forme grafiche. Piuttosto che effettuare una ricognizione lessicometrica
sarà dunque utile stilare un breve catalogo dei principali comuni denominatori che caratterizzano i discorsi di
investitura nella Quinta repubblica sul piano semantico e retorico-argomentativo, per poi passare a rilevare
in maniera puntuale le peculiarità dei singoli presidenti.
Dal punto di vista retorico-argomentativo i topoi che attraversano longitudinalmente tutti i discorsi di
investitura sono essenzialmente quattro: il riferimento al futuro, l’esaltazione dell’interesse generale,
l’invocazione del popolo e l’esaltazione della Francia come orizzonte di senso e catalizzatore epidittico.
4.1. Il futuro, il nuovo, il cambiamento
Le espressioni che rimandano alla novità, al cambiamento, alla proiezione verso il futuro emerge sin nel
primo discorso di de Gaulle, che le impiega per battezzare l’ordine costituzionale appena avviato ( entrent en
vigueur les institutions renouvelées de la République française et celles, nouvelles, de la Communauté. […]
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l'une et l'autre ont, une fois de plus, attribué la charge de les conduire vers leur destin). Questo luogo
argomentativo si ritrova, con maggior accentuazione in Giscard, che insiste sull’immagine di una nuova era
(« De ce jour, date une ère nouvelle de la politique française »; « abordons l'ère nouvelle de la politique
française»), e sull’idea di cambiamento (« volonté de changement. […] nous ferons ce changement […]) et
non disdegnando coloritura metaforica (« nous le conduirons en particulier avec sa jeunesse qui porte
comme des torches la gaieté et l'avenir […] « le livre du temps avec le vertige de ses pages blanches »).
Il riferimento alla dimensione temporale del futuro è tipico del cosiddetto “spirito romantico”38 e rispecchia una
concezione della temporalità tipica del linguaggio politico odierno, che svaluta il passato e valorizza i “luoghi
del nuovo” a discapito di quelli “dell’esistente”39.
Nel discorso di Mitterrand dell’81 ne troviamo esempio negli accenni al « monde de demain » e nell’invito,
rivolto ai francesi di « ayons confiance et foi dans l'avenir ». Chirac, nella sua prima investitura, sottolinea la
« volonté de changement » del popolo francese, collegando l’ « avenir personnel » dei singoli al « destin
collectif » dell’intera cittadinanza.
Similmente Sarkozy carica di pathos le aspettative per il futuro (Je pense avec émotion à cette attente, à
cette espérance, à ce besoin de croire à un avenir meilleur), enfatizzando la necessità di cambiamento
veloce (parce que jamais l'immobilisme n'a été aussi dangereux pour la France que dans ce monde en
pleine mutation où chacun s'efforce de changer plus vite que les autres) mettendo fine ad abitudini e
comportamenti del passato (Exigence de rompre avec les comportements du passé, les habitudes de
pensée et le conformisme intellectuel).
4.2. L’interesse generale
Il richiamo dell’interesse generale rientra tra le caratteristiche “ecumeniche” del discorso di investitura cui si è
accennato in premessa, oltre a ricondursi alla natura epidittica di questo genere. De Gaulle nel ‘59 se ne fa
portavoce sottolineando un’opportunità da cogliere « en faisant passer l'intérêt général au-dessus de tous
les intérêts et préjugés particuliers » e distinguendo « l'intérêt national » per la Nazione, da « l'intérêt
commun » che riguardava la Communauté française, l’unione tra la repubblica francese e i possedimenti
d’Oltre-mare da poco istituita. Nell’88 Mitterrand accentua la propria vena consensuale « au nom de la
Nation tout entière », ponendo in antitesi « l'intérêt général » agli « intérêts particuliers ou partisans » ;
Chirac si dichiara nel ’95 « garant du bien public, en charge des intérêts supérieurs de la France dans le
monde et de l'universalité de son message », mentre sette anni dopo promette « mon engagement au
service de l'intérêt général » e riecheggia le parole mitterrandiane aggiungendo « un intérêt général qui va
bien au-delà de tous les intérêts particuliers, de tous les intérêts partisans ». Sarkozy, cinque anni più tardi
menziona « les idées et les convictions de ceux qui sont animés par la passion de l'intérêt général », e
Hollande individua « le sens de l'intérêt général » come criterio discriminante alla base delle proprie nomine
istituzionali (seront les seuls critères pour déterminer mes choix pour les plus hauts serviteurs de l'Etat).
4.3. Il legame con il popolo
38 Ch. Perelman, L. Olbrechts-Tyteca, op. cit., pp. 101-103. 39 Ivi, p. 103.
18
Altro elemento ricorrente è quello che riguarda l’esplicitazione di un legame con il popolo come strategia
discorsiva di legittimazione del proprio mandato. Nella prima investitura golliana ciò avviene attraverso una
sottolineatura della preminenza etica del presidente (En ma qualité de garant de la Constitution adoptée par
le peuple français en 1958 et complétée par lui en 1962 [...]), nel Mitterrand dell’88 assume la portata di un
argomento di autorità espresso in tono apodittico (C'est sur ce thème que je me suis engagé devant le pays.
Notre peuple l'a ratifié). A volte l’appello al popolo si risolve nella rivendicazione di un dovere di
accountability nei confronti di un elettorato cui viene riservato un procedimento di captatio benevolentiae non
troppo nascosto, come accade nei casi di Giscard ( j'écoute et que j'entends encore l'immense rumeur du
peuple français qui nous a demandé le changement) e Sarkozy (Le peuple m'a confié un mandat. Je le
remplirai. Je le remplirai scrupuleusement, avec la volonté d'être digne de la confiance que m'ont manifesté
les Français). Nel caso di Pompidou il riferimento al popolo si limita invece ad una sottoloneatura delle
implicazioni dell’esito elettorale (Mon devoir [..] m'est dicté par la confiance que m'a manifestée le pays).
4.4. La Francia come catalizzatore epidittico
La quarta e ultima invariante è l’esaltazione della Francia. La France, nel discorso presidenziale, non
coincide necessariamente con i suoi cittadini, con le istituzioni, con lo Stato o con il patrimonio valoriale della
République. Più che un aggregato nazionale è una categoria etico-spirituale e un’entità in grado di assumere
le funzioni mutevoli di soggetto, oggetto e destinatario del discorso40.
La discorsivizzazione della Francia passa per procedure di personificazione. De Gaulle, nella sua prima
investitura descrive la Francia come « notre pays a beaucoup vécu […] Depuis qu'à Paris, voici bientôt mille
ans, la France prit son nom et l'État sa fonction ». Allo stesso modo per lo Chirac del ’95 la Francia est un
« vieux pays », ma anche « une Nation jeune, enthousiaste, prête à libérer le meilleur d'elle-même ». La
figura di personificazione è ripresa con le stesse modalità anche da Sarkozy, il quale inquadra la France
come « ce vieux pays qui a traversé tant d'épreuves et qui s'est toujours relevé » e aggiunge con accenti
carichi di pathos « qui a toujours parlé pour tous les hommes et que j'ai désormais la lourde tâche de
représenter aux yeux du monde ». Lo aveva già fatto Mitterrand, nell’88, dicendo « Je n'exagérerai pas le
rôle de la France si je rappelle que ce qu'elle fait et la manière dont elle agit intéressent le monde entier ».
L’incombenza di parlare in nome dell’umanità agli occhi del mondo intero è legata alla convinzione
presidenziale nel ruolo messianico del paese, che secondo il primo Mitterrand « peut éclairer la marche de
l'humanité », per Hollande « est une nation engagée dans le monde. Par son histoire, par sa culture, par ses
valeurs d'humanisme, d'universalité, de liberté, elle y occupe une place singulière » e nella visione di Chirac
(2002) « doit être forte, affirmer sa place et son rang ». Con questo utilizzo retorico del “totem” nazionale i
presidenti perseguono l’obiettivo principale di qualsiasi allocuzione epidittica, che non è mutare le idee
dell’uditorio bensì intensificare con il pathos l’adesione a ciò che è già consensualmente ammesso41.
40 D. Mayaffre, op. cit., p. 27. 41 Cfr. Ch. Perelman, L. Olbrechts-Tyteca, op. cit., pp. 56-58. Si veda anche Ch. Perelman, “Rhétorique et politique”, in M. Cranston, P. Mair (a cura di), Langage et politique. Language and politics, Bruxelles, Bruylant, 1982, pp. 5-10.
19
5. Profili retorici: da de Gaulle a Hollande
5.1. L’archetipo golliano
L’allocuzione del 1959 inaugura il nuovo genere discorsivo con una prestazione oratoria che risente di una
molteplice matrice liminare. Nelle parole di de Gaulle si impone come centrale il tema dell’attraversamento,
per la Francia e per la Comunità di cui l’Algeria fa parte, di una soglia che separa due realtà tra loro
antitetiche: non solo il passato dal futuro, ma anche la Quarta dalla Quinta Repubblica, le divisioni e il dolore
dall’unità. Con una rappresentazione carica di pathos e a tratti incline al manicheismo, la dimensione,
pertinente al passato della guerra, dell’instabile repubblica dei partiti (les innombrables vicissitudes, les
blessures et les déchirements les plus graves, du doute, des divisions, des humiliations, les intérêts et
préjugés particuliers, les angoisses du péril national, la douleur) è connotata in maniera del tutto negativa.
Radicalmente opposta la visione del presente di cui il nuovo ordine della Quinta repubblica incarna la
palingenesi (l'espoir de l'avenir, la gloire, l'effort et à l'unité, la lumière de nos grandes espérances, la paix
progrès, honneur, salut public, pacifiée et transformée). L’enunciazione golliana si manifesta in debrayage
alla terza persona singolare e poggia la sua elocutio su un’aggettivazione densa e iperbolica (frappante,
grand, parfaite, exemplaire, solennelle, noble, innombrable, magnifique).
La componente di evenemenzialità legata alla congiuntura politica è una variabile decisiva nel determinare lo
spessore retorico delle allocuzioni presidenziali. Di tutt’altro tenore è, infatti, il discorso di seconda investitura
del’66 che, come già accennato in precedenza, è improntato alla brevitas e composto da enunciati constativi
e stativi (Les résultats de l'élection présidentielle […]m'amènent à assumer aujourd'hui et de nouveau les
fonctions, […]je constate que […] Il en sera de même) che poco spazio lasciano alla ridondanza e
all’espressione di emozioni che si discostino dall’assunzione di responsabilità di operare affinché siano «
assurés la continuité de la République et le service de la France », secondo una rigida concezione dell’etica
e della deontologia istituzionale.
5.2. La transizione di Pompidou tra sobrietà e deferenza
Il discorso di Pompidou può essere considerato l’ideale prosecuzione di quello golliano. Alla figura del
Generale, che nella sintetica esposizione assurge a modello42, è dedicato un omaggio esplicito che occupa
quasi metà dell’allocuzione.
POMPIDOU (1969) […] j'évoquerai d'abord la personne du général de Gaulle. C'est lui qui a doté notre pays d'institutions grâce auxquelles nous avons pendant dix années connu la stabilité politique, dominé plusieurs crises d'une extrême gravité, et pour finir assuré sans secousses la transmission des pouvoirs présidentiels […] le général de Gaulle a représenté ici la France avec un éclat et une autorité sans précédent. Lo stile disadorno nulla concede all’ornatus e si combina con un’aggettivazione leggera e, in generale, con
scelte lessicali sobrie nella parte nominale del discorso (ferme, strict, nationale, stabilité, gravité, exemple,
confiance, respect, dignité, importance, désir, esprit, considération). L’enunciazione alla terza persona
42 “Possono servire da modello persone o gruppi il cui prestigio valorizza gli atti”. Ch. Perelman, L. Olbrechts-Tyteca, op. cit., p. 383.
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singolare lascia spazio alla prima singolare solo laddove Pompidou esprime la volontà di rispettare
rigorosamente il dettato costituzionale (J'ai la ferme intention de le remplir dans le strict respect de la
Constitution de la Ve République) e si pronuncia sull’importanza della cooperazione interistituzionale
(l'importance des tâches qui vous incombent et le désir que j'ai de collaborer largement avec chacun d'entre
vous, dans le cadre de vos attributions propres […] je vous assure de toute ma considération et de ma
confiance), dimostrando dunque un ethos di responsabilità nei confronti della Quinta Repubblica e del suo
fondatore.
5.3. Giscard d’Estaing: lirismo presidenziale
Il discorso di investitura torna a manifestare le proprie potenzialità di salienza retorica dopo presidenziali del
1974. L’eccezionalità della tornata elettorale e del nuovo settennato che seguì la morte prematura di
Georges Pompidou, si coglie nei toni enfatici assunti dalle parole di Giscard d’Estaing. Nel già menzionato
incipit «De ce jour, date une ère nouvelle de la politique française» si intravedono l’afflato messianico ed il
tono lirico che il neopresidente imprimerà poi a molte esternazioni del suo settennato. Si tratta di un discorso
all’insegna della variatio, privo di marcate specificità enunciative, sul piano pronominale, visto che il
presidente alterna la terza (conduirait) e la prima persona singolare (j'entends, je ne le conduirai pas ,
j'accepte), alla prima plurale (nous ferons, nous le conduirons). A questo “noi” esclusivo, riferito all’equipe
presidenziale, se ne affianca uno in chiusura (comme un grand peuple uni et fraternel abordons) che con un
congiuntivo esortativo e l’evocazione di un grande popolo unito e fraterno, richiama l’idea di una larga
inclusione dei cittadini nell’azione per il cambiamento. L’accentuazione del pathos si giova dell’uso di verbi
coniugati al futuro dai toni ottativi (conduirait, conduirai, ferons, conduirons) e di una costruzione metaforica
vivida (sa jeunesse qui porte comme des torches la gaieté et l'avenir, s'ouvre le livre du temps avec le
vertige de ses pages blanches) tali da rendere il discorso giscardiano l’esempio più significativo di discorso
di investitura proiettato sui luoghi del nuovo e lo spirito romantico.
5.4. Mitterrand tra alternanza e coesione
Il primo discorso mitterrandiano (1981) reca evidenti segni dell’evento senza precedenti che lo ha reso
possibile: la realizzazione dell’alternanza politica nella Quinta repubblica. Non sembra casuale il riferimento
in apertura alla “presa del potere” che risulta dall’uso di un sintagma je prends possession combinato con la
metafora spaziale « la plus haute charge »43. E non lo sono certamente i brani successivi in cui il presidente
socialista parla prima del « ferment de notre peuple qui, deux siècles durant, dans la paix et la guerre, par le
travail et par le sang, ont façonné l'Histoire de France, sans y avoir accès autrement que par de brèves et
glorieuses fractures de notre société », con evidente allusione alla difficoltà storiche delle forze politiche
progressiste di conquistare il governo in maniera durevole. Mitterrand aggiunge, inoltre, un riferimento
esplicito a
43 Di solito le metafore dell’alto incarnano valori politici e alludono al potere. F. Rigotti, Metafore della politica, Bologna, Il Mulino, 1989. p. 91.
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l'enseignement de Jaurès rappresentando attraverso una metafora di movimento la propria elezione
vittoriosa come la terza tappa (après le Front populaire et la Libération) di un long cheminement in cui la
majorité politique des Français démocratiquement exprimée vient de s'identifier à sa majorité sociale.
Va detto che questo discorso si inserisce nel quadro di un’insolita quanto solenne cerimonia durante la quale
il neopresidente si reca al Pantheon per deporre tre mazzi di rose sulle tombe di Jean Jaurès, Jean Moulin e
Victor Schoelcher44. La componente “partigiana” è quindi un ingrediente essenziale di questa investitura,
come appare ancora evidente sulla superficie testuale quando Mitterrand esprime l’haute exigence di
“réaliser la nouvelle alliance du socialisme et de la liberté”. Di conseguenza la prima parte del discorso è
decisamente meno ecumenica, in quanto rivolta in modo privilegiato ad un uditorio parziale che non coincide
con il popolo tout court ma con una parte di esso.
Il tornante in cui avviene il passaggio dal nous riferito alla collettività della gauche al nous nazionale è
sancito dalla paronomasia “C'est convaincre qui m'importe et non vaincre” e dal passaggio successivo che
mette in evidenza la speranza come vincitrice dell’elezione (Il n'y a eu qu'un vainqueur le 10 mai 1981, c'est
l'espoir). L’ampliamento consensuale operato da Mitterrand si fa ancora più evidente nella dichiarazione di
intenti Président de tous les Français, je veux les rassembler pour les grandes causes qui nous attendent et
créer en toutes circonstances les conditions d'une véritable communauté nationale, dove il riferimento alla
rappresentanza di una collettività coesa è inequivocabile. Il noi nazionale (espresso dalla figura etimologica
in allitterazione nous projetons notre regard hors de nos frontières) è l’argine ai pericoli rappresentati da
entità negative quali risques, affrontements, rivalités, faim, mépris.
L’investitura dell’88 assume invece da subito, e comprensibilmente, un respiro più consensuale e incline
all’esaltazione della tradizione repubblicana tout court. Ciò si deve anche al fatto che Mitterrand era
l’incumbent e aveva condotto la campagna elettorale indirizzando all’intera cittadinanza la celebre Lettre à
tous les Français.
La prima parte del discorso contiene l’attribuzione alla Francia dell’aspirazione a « rassembler ses forces
dans le respect de ses valeurs, les valeurs de la République », con l’aggiunta dell’epanortosi45 « Et quand je
dis la France, je pense à l'immense majorité des Français ».
Ciò nonostante lo spirito di parzialità continua ad allignare nel discorso mitterrandiano, che si sforza di
coniugare l’appartenenza alla famiglia socialista con la carica formalmente super partes assegnata dalla
Costituzione al presidente. L’esplicita citazione di un aforisma di Jaurès (Aller à l'unité et comprendre les
contradictions) è un argomento di autorità ma anche un tentativo di conciliare il dna socialista con
l’imparzialità presidenziale, proprio perché Mitterrand la accompagna con la previsione che « l'amour de la
patrie et l'attachement à la démocratie prendront le pas sur la querelle ».
L’allocuzione di Mitterrand è intrisa di antimanicheismo (Répétons-le sans nous lasser. Ce mois de mai 1988
n'a pas vu les bons l'emporter sur les méchants - ni le contraire -. Je n'aime pas cette dialectique sommaire)
e pur nella persistente rivendicazione di appartenenza, espressa da una proposizione concessiva (même si
je reste ardemment attaché à l'idéal que servent les socialistes) il capo dello Stato rimarca l’importante del
rispetto reciproco tra i cittadini per la tenuta del patto comunitario che cementa l’unità nazionale (« Le
44 Jean Moulin è stato un eroe della Resistenza, mentre Victor Schoelcher fu uno degli uomini politici francesi che nell’Ottocento più si batterono per l’abolizione della schiavitù e la proibizione delle pene corporali nelle carceri. Cfr. M. Gervasoni, François Mitterrand. Una biografia politica e intellettuale, Torino, Einaudi, 2007, p. 135. 45 L’epanortosi “consiste nel rettificare ciò che s’è appena detto”, O. Reboul, Introduzione alla retorica, Bologna, Il Mulino, 2003, p. 151.
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respect des uns pour les autres est à la base du pacte hors duquel la communauté nationale perdrait son
véritable sens » […] « une France injuste est une France divisée »). La salvezza nazionale non dipende
dunque dalla prevalenza di una fazione sull’altra, ma dal mantenimento di un equilibrio simboleggiato dai
termini positivi unité, amour, attachement, confiance, pacte, respect, ouverture, solidarité, ésperance, che si
contrappongono a catalizzatori negativi quali hésitations, retards, divisée, querelle, contradictions, tare,
servitudes, peur, affrontements.
Oltre che nelle scelte lessicali l’ecumenismo mitterrandiano si delinea per mezzo di procedimenti metaforici
che si riferiscono agli ambiti semantici dello sport (gagner, arène), della salute (guérir, tares) e della
medicina e del lavoro (chantier, artisans). Il riferimento al lavoro da fare insieme per vincere battaglie
condivise viene espresso da Mitterrand come si può osservare nei frammenti seguenti.
MITTERRAND II (1988) Une France refermée sur elle-même et sur ses divisions est ou serait inapte à gagner les enjeux qui l'attendent dans l'arène du monde, plus encore dans l'Europe sans frontières de demain. […] guérir la vie quotidienne du plus grand nombre des Français de ses multiples tares, […] Sur le chantier de ces valeurs toujours neuves, pour ces combats de chaque jour qui se nomment liberté, égalité, fraternité, aucun volontaire n'est de trop. […]C'est en somme une victoire de la République qu'il nous faut ensemble assurer. La République n'appartient à personne. Nous en sommes tous, à des titres différents, les garants et les artisans. 5.5. Chirac: più arbitro e meno capitano
Con il suo primo discorso di investitura Chirac rinnova il riferimento al tema della speranza caro a Mitterrand
(je me sens dépositaire d'une espérance) usandolo come chiave di lettura di un discorso consensuale ma al
contempo povero di riferimenti a contenuti politici concreti e distinguibili.
Anche il fulcro dell’elocutio chiraquiana del ’95 è l’enfasi sull’unità della Francia (L'élection présidentielle n'a
pas vu la victoire d'une France contre une autre, d'une idéologie contre une autre. Elle a vu la victoire d'une
France qui veut se donner les moyens d'entrer forte et unie dans le troisième millénaire.) resa possibile sulla
funzione suturante di un nuovo patto repubblicano (j'engagerai toutes mes forces pour restaurer la cohésion
de la France et renouer le pacte républicain entre les Français) che deve far fronte alle ferite del paese (La
campagne qui s'achève a permis à notre pays de se découvrir tel qu'il est, avec ses cicatrices, ses fractures,
ses inégalités, ses exclus). Il ricorso alla metafora medica della “fracture sociale” non è fortuito, poiché la
ricomposizione della frattura sociale era già stato il filo conduttore e uno degli slogan cardine (insieme a “La
France pour tous”) della campagna presidenziale chiraquiana46.
Nelle parole di Chirac la missione di ridurre tale frattura si declina in obiettivi neutri, che sembrano evocare
una visione autoreferenziale e statica della funzione presidenziale. Il solo riferimento programmatico fatto da
Chirac è quello che riguarda l’impegno per la riduzione della disoccupazione (L'emploi sera ma
préoccupation de tous les instants). Per il resto Chirac menziona « la dignité, de la simplicité, de la fidélité
aux valeurs essentielles de notre République » ed esprime l’intenzione di « rendre les Français plus unis,
plus égaux, et la France plus allante, forte de son histoire comme de ses atouts » senza specificare però i
contenuti delle politiche alle quali affidare il perseguimento di questi obiettivi generali.
46 J. Chirac, La France pour tous, Paris, Nil, 1994; J. Charlot, Pourquoi Jacques Chirac? Comprendre la présidentielle 1995, Paris, Fallois, 1995.
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Il presidente neogollista manifesta il proprio interesse a lavorare per l’imparzialità di uno Stato sovrano e
solidale che garantisca ai cittadini diritti e ne protegga le libertà (Je ferai tout pour qu'un État impartial,
assumant pleinement ses missions de souveraineté et de solidarité, soit pour les citoyens le garant de leurs
droits et le protecteur de leurs libertés) e assicuri una democrazia affermie et mieux équilibrée grazie al
rispetto dell’eredità di de Gaulle. A questo proposito Chirac si produce, come già Pompidou, in
un’elencazione delle attribuzioni istituzionali dei principali organi repubblicani (Le Président arbitrera, fixera
les grandes orientations, assurera l'unité de la Nation, préservera son indépendance. Le Gouvernement
conduira la politique de la Nation. Le Parlement fera la loi et contrôlera l'action gouvernementale). Ciò che
certifica un ulteriore ancoraggio discorsivo all’eredità golliana è la citazione interdiscorsiva, più o meno
voluta, di una dittologia usata dal generale nell’investitura del’66 (conformément à l'esprit et à la lettre de nos
institutions).
Chirac si esprime usando prevalentemente la prima persona singolare, ma il tono ottativo delle sue
affermazioni, spesso poste ad inizio frase (Je suis décidé, Je n'aurai d'autre ambition que, Je ferai tout pour
qu'un, Je veillerai à ce qu'une , j'engagerai toutes mes forces) trasmette nell’insieme l’idea di un leader
politico consapevole dei limiti posti da un contesto politico sempre più complesso e, perciò, confinato in
un’enunciazione di principio di puro volontarismo, come pare evidente in massimo grado nella leggerezza
assertiva dell’anafora basta sulla ripetizione del sintagma Je voudrais que
CHIRAC I (1995) Je voudrais qu'à l'issue de mon mandat, les Français constatent que le changement espéré a été réalisé. Je voudrais que, plus assurés de leur avenir personnel, tous nos compatriotes se sentent partie prenante d'un destin collectif. Je voudrais que ces années, lourdes d'enjeux, mais ouvertes à tous les possibles, les voient devenir plus confiants, plus solidaires, plus patriotes, et en même temps plus européens, car la force intérieure est toujours la source d'un élan vers l'extérieur. Sulla tessitura discorsiva dell’allocuzione del 2002 influisce una forte componente congiunturale:
nell’elezione presidenziale appena svolta Chirac aveva prevalso su Jean-Marie Le Pen, il quale aveva
guadagnato sorprendentemente l’accesso al secondo turno dopo una campagna elettorale incentrata sui
temi della sicurezza e dell’immigrazione. Il capo dello Stato in carica aveva poi ottenuto al ballottaggio la
rielezione con l’82% dei voti espressi, presentandosi come ultimo baluardo “repubblicano” (e trasversale alla
contrapposizione destra-sinistra) in grado di arginare la “minaccia” antisistema incarnata dal leader della
destra radicale. Quelle elezioni, tra l’altro, si erano tenute dopo un quinquennio di coabitazione nel quale
Chirac, non potendo contare di una maggioranza politica favorevole all’Assemblea nazionale, aveva svolto
funzioni simili a quelle di un presidente di una repubblica parlamentare.
La spoliticizzazione dell’immagine di Chirac, che appare più il simbolo dell’unità nazionale e della coesione
istituzionale che non il leader politico del paese, si riflette nell’attenuazione dell’ethos oratorio del locutore.
Tale tendenza si manifesta nel testo innanzitutto nella disimplicazione degli enunciati attraverso il prevalente
ricorso alla terza persona singolare, a costrutti verbali impersonali, espressi in forma delocutiva47 o retti da
soggetti astratti (C'est une exigence majeure, La première exigence, c'est celle de la cohésion nationale,
L'autorité de l'État doit être réaffirmée, La mondialisation des économies doit impérativement s'accompagner
47 L’enunciazione delocutiva attenua la responsabilità di chi parla rispetto a ciò che egli dice, cfr. P. Charaudeau, Le discours politique. Les masques du pouvoir, Paris, Vuibert, 2005, p. 138.
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d'une mondialisation de la solidarité, L'unité de la République s'impose à moi comme une exigence
primordiale, La France doit mettre fin à des temps où les repères civiques se sont trouvés brouillés). Inoltre,
come è già visibile negli estratti appena citati, si intensifica la presenza di espressioni verbali (doit être, doit
avoir, doit souvenir, doit s’engager, doit developper, s’impose) riconducibili alle categorie modali deontica e
aletica e a parole e a sintagmi nominali (devoirs, exigence primordiale, impératifs supérieurs, exigence
majeure) riferibili alla sfera del dovere48 e pertinenti all’invocazione di processi non direttamente connessi
all’azione performativa di un leader politico.
Al cospetto di difficoltà che vengono pure rilevate (extrémisme, inquiétude, angoisse, détruit, exploitation non
raisonné, précarité, incertitudes, instabilités, conflits, terrorisme) l’allocuzione chirachiana del 2002 sembra
quindi improntata al debrayage e all’elusione di responsabilità politiche. Partendo da un’allusione alla sfida
elettorale vinta contro un avversario antisistema (En faisant échec à la tentation de l'extrémisme les Français
viennent de réaffirmer avec force l'attachement qu'ils portent à leurs institutions démocratiques) e contando
su un paterno “ethos di moderazione”49 Chirac costruisce il proprio discorso in maniera elusiva, evocando
temi astratti e lontani dalla quotidianità immediata (aux libertés publiques, à notre engagement européen, à
notre vocation universelle, la mondialisation). Facendo leva su strategie di diversione argomentativa che
offuscano i legami con i referenti empirici dell’azione politica50, il presidente rieletto sembra intenzionato a far
prevalere l’immagine sembiante, ossia ciò che egli è o sembra che sia grazie alla carica che ricopre, a
dispetto del record, ossia di ciò che egli ha effettivamente realizzato come presidente51.
5.6. Sarkozy: l’ethos e il presidente del popolo
Come già notato precedentemente, nel discorso sarkozyano la standardizzazione rituale lascia spazio a una
marcata personalizzazione e politicizzazione del messaggio. Nella sua investitura il sesto presidente della
Quinta Repubblica fa leva sulla legittimazione plebiscitaria rappresentata dal voto popolare allo scopo di
rivendicare una delega piena al presidente, concepito come diretto responsabile dell’implementazione di un
programma politico.
Nell’illustrare la propria missione di rupture nei confronti del passato (rompre avec les idées, les habitudes et
les comportements du passé) per mettere in opera il cambiamento, Sarkozy pare voler conferire alla figura
del capo dello Stato un surplus di autorevolezza per mezzo del pathos. Questa propensione è individuabile
nel ricorso ad argomenti ad populum, tipici dell’oratoria epidittica52 (ma pensée va d'abord au peuple français
qui est un grand peuple, qui a une grande histoire et qui s'est levé pour dire sa foi en la démocratie, pour
dire qu'il ne voulait plus subir […] le peuple français qui ne veut pas se laisser enfermer dans l'immobilisme
et dans le conservatisme, qui ne veut plus que l'on décide à sa place, que l'on pense à sa place) che
contribuiscono a delineare un’immagine titanica del popolo stesso anche per mezzo di espressioni
48 Sulle categorie modali aletiche e deontiche si vedano H. Parret, La mise en discours en tant que déictisation et modalisation, “Langages”, 1983, XVIII, n. 70, p. 91 ; A.J. Greimas, Pour une théorie des modalités, “Langages”, 1976, X, n. 43, pp. 97-98. Cfr. anche A.J. Greimas, A. Courtés, Semiotica. Dizionario ragionato della teoria del linguaggio, Milano, Mondadori, 2007, pp. 93-94. 49 P. Charaudeau, Le discours politique, cit., p. 112. 50 Si veda Pierre Fiala, “Langue de bois”, in P. Charaudeau, D. Maingueneau (a cura di), Dictionnaire d’analyse du discours, Paris, Seuil, 2002, p. 336. 51 La definizione di immagine record e sembiante si trova in Luciano Cavalli, Il presidente americano, Il Mulino, Bologna, 1987, pp. 103-106. Si rimanda anche a F. Marchianò, Walter Veltroni. Una biografia sociologica, Roma, Ediesse, 2012, p. 166. 52 R. Amossy, L’argumentation dans le discours, Paris, Colin, 2006, p. 184.
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iperboliche (Je pense au peuple français qui a toujours su surmonter les épreuves avec courage et trouver
en lui la force de transformer le monde).
In Sarkozy l’ethos presidenziale si alimenta tramite un procedimento retorico che conosce due fasi: la
captatio benevolentiae nei confronti del popolo (Je pense avec gravité au mandat que le peuple français m'a
confié et à cette exigence si forte qu'il porte en lui et que je n'ai pas le droit de décevoir, construire une
démocratie irréprochable, Le 6 mai il n'y a eu qu'un seul vainqueur, le peuple français) e la messa in
discorso dell’immagine del presidente come diretto e accountable esecutore del mandato. In un discorso
complessivamente connotato dalla prevalenza della prima persona singolare nelle scelte enunciative, spicca
l’anafora in Je (Je défendrai […] Je veillerai […] Je m'efforcerai […] Je me battrai […] Je ferai) che utilizza
verbi dalla forte accezione performativa (faire, remplir, se battre, s’efforcer) coniugandoli al futuro, tempo che
aggiunge ulteriore nettezza all’enunciato.
Dal discorso di investitura di Sarkozy emerge dunque la valorizzazione dell’immagine performativa53 del
leader, del suo pragmatismo (Exigence de résultat), della sua attitudine al cambiamento e al movimento
(jamais l'immobilisme n'a été aussi dangereux pour la France que dans ce monde en pleine mutation où
chacun s'efforce de changer plus vite que les autres, où tout retard peut être fatal et devient vite
irrattrapable). La presentazione del presidente come agente del cambiamento per conto del popolo si
caratterizza nell’antitesi tra valori positivi (rassemblement, sécurité, force, protection, ordre, travail, autorité,
effort, justice, mérite, respect, rompre, tolérance, changement, identité) e negativi (intolérance, sectarisme,
immobilisme, peur de l’avenir, sentiment de vulnérabilité, désordre, violence) che conferisce contenuti
valoriali alla connotazione etica del nuovo presidente come “guida suprema”54 della nazione.
5.7. Hollande o il discorso della differenza
Nel discorso di investitura di Hollande si assiste ad un ridimensionamento dell’ethos che non corrisponde ad
una parallela diluizione dei contenuti politici. Dal punto di vista enunciativo, il secondo presidente socialista si
avvale della forza assertiva garantita dall’embrayage pronominale aprendo di frequente le proprie frasi con
verbi coniugati alla prima persona singolare (Je veux lui dire, Je crois en, Je lui rendrai la place, je
proposerai, je réaffirmerai en toutes circonstances […]comme je lutterai). La centralità del protagonismo
presidenziale non è però illimitata, e trova un argine nell’esplicitazione di una visione collegiale della politica
(Je fixerai les priorités mais je ne déciderai pas de tout ni à la place de tous). In maniera analoga a quanto si
è detto di Chirac e Pompidou in precedenza, Hollande si esprime sulla necessaria imparzialità dello Stato
(L'Etat sera impartial) e provvede a rammentare le attribuzioni dei diversi organi istituzionali (Conformément
à la Constitution, le gouvernement déterminera et conduira la politique de la Nation. Le Parlement sera
respecté dans ses droits. La justice disposera de toutes les garanties de son indépendance). L’ethos di
Hollande come capo dello Stato è quello che attiene all’assolvimento istituzionale della funzione (présider,
représenter, responsabilité de conduire) in nome della collettività nazionale.
A differenza di quanto accadeva con Mitterrand, specialmente nella prima investitura, il noi hollandiano è
esclusivamente riferito alla Francia come paese (Nous sommes un grand pays) al quale il capo dello Stato
53 Sull’immagine del leader e le sue implicazioni politico-simboliche si rimanda a M. Barisione, L’immagine del leader. Quanto conta per gli elettori?, Bologna, Il Mulino, 2006, p. 91. 54 P. Charaudeau, Le discours politique, cit., pp. 118-124
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intende rivolgere un messaggio di fiducia (confiance). Il polo semantico della fiducia viene applicato a sei
dimensioni valoriali: unité de la nation, laicité, exemplarité, démocratie, justice, jeunesse. L’elemento coesivo
dell’unità nazionale viene declinato con una metabole ternaria che combina termini legati da rapporto di
sinonimia come apaisement, réconciliation, rassemblement. Il riferimento alla democrazia, invece, viene
specificato con un’aggettivazione corrispondente a tre declinazioni concettuali di questo principio (Je crois
en la démocratie locale […] Je crois en la démocratie sociale […] Je crois en la démocratie citoyenne […]) e
che accentua la componente consensuale con accenni alla necessità di coesione nazionale a livello
economico, civico ed amministrativo.
Nonostante le apparenze di superficie, questa enfasi sull’aggregazione della comunità nazionale non evoca
una visione puramente arbitrale e spoliticizzata del ruolo presidenziale. Hollande svolge anzi un discorso
imperniato sulla differenza, alludendo polemicamente alle politiche dei suoi predecessori.
Un esempio di questo atteggiamento discorsivo è nel ricorso ad antitesi tra termini connotati positivamente,
come sacrifici, merito, lavoro, iniziativa, produzione, investimento nel futuro ed altri dall’accezione
evidentemente e volutamente spregiativa, come privilegi, remunerazioni esorbitanti, speculazioni, profitto
immediato (sacrifices pour les uns, toujours plus nombreux, et des privilèges pour les autres, sans cesse
moins nombreux […] récompenser le mérite, le travail, l'initiative, et de décourager la rente et les
rémunérations exorbitantes […]Il est temps de remettre la production avant la spéculation, l'investissement
d'avenir avant la satisfaction du présent, l'emploi durable avant le profit immédiat).
Hollande dimostra inoltre la propria volontà di politicizzare il discorso effettuando una diagnosi sulle
patologie nazionali (une dette massive, une croissance faible, un chômage élevé, une compétitivité
dégradée et une Europe qui peine à sortir de la crise), proponendo un’articolazione di priorità
programmatiche molto dettagliate (la productivité de notre main-d'œuvre, l'excellence de nos chercheurs, le
dynamisme de nos entrepreneurs, le travail de nos agriculteurs, la qualité de nos services publics, le
rayonnement de notre culture et de notre langue sans oublier la vitalité de notre démographie et l'impatience
de notre jeunesse […] la formation professionnelle, l'accompagnement des jeunes vers l'emploi et lutter
contre la précarité, mon engagement pour l'école de la République), enfatizzando una serie di valori guida
(laicité, exemplarité, loyauté, compétence) e fissando le proprie linee di azione nel trittico allitterante
composto da le rassemblement, le redressement e le dépassement. A questi elementi pertinenti all’ambito
del logos Hollande associa due catalizzatori di pathos quali la già citata confiance e l’espoir, che rivestono la
funzione di attribuire un surplus di trascendenza all’immanenza rappresentata dalla mera elencazione di
priorità strategiche.
Nel complesso l’attuale presidente francese adotta una sorta di “stile programmatico” che, accumulando nel
discorso contenuti valoriali e di policy in grado di determinare un effetto di “amplificazione per congerie”55 gli
permette di puntare sulla propria immagine politica56 compensando il deficit etico legato a un’immagine
personale poco accattivante sul piano dell’appeal estetico.
55 Ch. Perelman, L. Olbrechts-Tyteca, op. cit., p. 248. 56 Sul concetto di immagine politica si veda ancora M. Barisione, op.cit., pp. 67-85.
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6. Linee di tendenza: estroversione, presidenzializ zazione, drammatizzazione
Le linee sintetiche desumibili dall’analisi del corpus rimandano a processi politici di lungo periodo che si sono
compiuti nell’ampio arco temporale (1959-2012) in cui si collocano i discorsi esaminati. L’osservazione
d’insieme del materiale testuale consente di mettere a fuoco alcune tendenze diacroniche che riguardano sia
il genere discorsivo in sé, sia l’evoluzione del ruolo del presidente della Repubblica francese come figura
pivotale nell’immaginario politico nazionale.
Per ciò che attiene alle caratteristiche formali (sintattiche e stilistiche) del genere discorsivo si colgono le
tracce di una progressiva dilatazione, semplificazione ed enfatizzazione del discorso di investitura. Si può
innanzitutto riscontrare un netto allungamento della taglia delle allocuzioni, passata da una media di 335
occorrenze degli anni ’50-’70 alle 576 degli anni ’80-’90, fino ad arrivare al dato di 1153 relativo agli anni
‘2000. Tale dilatazione può essere spiegata con l’opportunità per i capi dello Stato investendi di presentarsi
in maniera approfondita, avvalendosi della diffusione sempre più capillare garantita dai media, oltre che della
liminarità e dell’ecumenicità del rituale. Il monologo presidenziale acquisisce infatti maggiore respiro nel
momento in cui è possibile e necessario chiudere un fase di alta conflittualità come quella elettorale.
La semplificazione dei testi si evince, invece, sia dal decremento degli indicatori di ricchezza lessicale, sia
dall’abbreviazione delle frasi (da una media di circa 30 a 17 occorrenze). Questi dati vanno accostati alla
costruzione frasale paratattica, dunque sintatticamente più lineare, che da sempre tende a
contraddistinguere questo genere discorsivo. L’enfatizzazione del discorso è, infine, accentuata dalla
presenza sempre più percepibile di procedimenti di schematizzazione formale mirati a conferire una
scansione ritimica incalzante al discorso attraverso l’uso di dispositivi stilistici quali le sequenze enumerative
e le strutture iterative, in particolare l’anafora.
Questi aspetti, che differenziano l’archetipo golliano dalle più recenti manifestazioni discorsive del XXI
secolo, possono essere letti come sintomi di impoverimento e neutralizzazione del discorso oppure, in una
prospettiva meno valutativa, come riflessi dei trend che caratterizzano l’evoluzione del linguaggio politico
nelle democrazie contemporanee e hanno a che vedere con la mediatizzazione e l’estroversione dell’oratoria
politico-istituzionale. De Gaulle e Pompidou hanno, in effetti, pronunciato discorsi più interni, ossia rivolti in
primis alle istituzioni e allo società politica. In Giscard, e ancor più in Mitterrand, si intravede la transizione ad
una concezione delle allocuzioni di investitura come discorsi esterni, aperti e indirizzati essenzialmente ai
cittadini.
L’estroversione del discorso di investitura si lega anche alla sua politicizzazione, riferita sia all’ambito dei
contenuti semantici, sia a quello della messa in scena elocutiva del sé57 come “capo politico popolare”
proposta dai presidenti soprattutto a partire dagli anni’80.
Dal punto di vista contenutistico si possono cogliere alcune distinzioni tra il discorso di centro-destra e quello
di sinistra. I presidenti collocabili nell’area politica del centro-destra, di ispirazione liberal-democratica,
gollista e conservatrice (de Gaulle, Pompidou, Giscard d’Estaing, Chirac e Sarkozy), prediligono la
dimensione del cambiamento e dell’accountability presidenziale. I presidenti socialisti (Mitterrand e
Hollande), dal canto loro, enfatizzano maggiormente i versanti politico-valoriali (politics) e programatici
(policy), mettendo l’accento sulla differenza tra opzioni divergenti e dunque sulla possibilità di un’alternativa
57 P. Desideri, Il potere della parola: il linguaggio politico di Bettino Craxi, Venezia, Marsilio, 1987, pp. 5-16.
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tra modelli contrapposti perché incarnati da maggioranze che esprimono istanze non sempre del tutto
sovrapponibili a quelle dell’interesse generale. La politicizzazione e contestualizzazione del discorso è
riconoscibile anche nella graduale comparsa di nuovi grandi temi, tra tutti quello dell’Europa, che compare
per la prima volte nell’88 e ricorre in seguito stabilmente nel corpus.
Per ciò che riguarda, infine, la messa in scena della figura presidenziale, si può osservare che cresce, dagli
anni ’70 in poi, toccando la sua maggiore intensità nel discorso di Sarkozy, la propensione del capo dello
Stato a evidenziare il proprio ethos di decisore ed esecutore politico. Questa torsione etica contribuisce a
valorizzare la già richiamata immagine performativa dell’inquilino dell’Eliseo e sembra l’epifenomeno di una
più generale tendenza alla “presidenzializzazione”, vale a dire il rafforzamento e la personalizzazione delle
cariche monocratiche, che attraversa molte democrazie contemporanee58.
Tali sintomi di presidenzializzazione, cui fa eccezione forse il solo Jacques Chirac, appaiono correlati ad una
tendenziale popolarizzazione dei discorsi di investitura. Il capo dello Stato si pone al centro di tentativi di
consolidamento simbolico della leadership che passano per l’esplicitazione della propria vicinanza al popolo
e l’amplificazione del pathos. Si è notato nei paragrafi precedenti che i presidenti, nei discorsi di investitura,
sembrano ricorrere sempre di più ad argomenti ad populum e, in generale, ad invocazioni della collettività
popolare a scopo di autolegittimazione.
Oltre a focalizzarsi su un destinatario esplicitamente evocato (il popolo) la popolarizzazione poggia su effetti
di drammatizzazione favoriti da procedimenti di costruzione formale particolarmente enfatici, come l’iteratività
ed i ritmi frasali sincopati, e da strategie argomentative globali, come quella rappresentata dal cosiddetto
triangolo della drammatizzazione. Il riferimento al triangolo è dovuto ad una costruzione discorsiva
strutturata su tre vertici: il disordine sociale, di cui è vittima il cittadino; la fonte del “male”, incarnata dagli
avversari; e la soluzione salvatrice, impersonata dal locutore59. Da Mitterrand in poi questa rappresentazione
triangolare emerge con regolarità nei discorsi di investitura, caratterizzando in maniera patemica le
allocuzioni dei vari presidenti.
Quanto detto sulla presidenzializzazione e sulla drammatizzazione del discorso trova tuttavia una parziale
controtendenza nel discorso dell’ultimo capo dello Stato in carica. François Hollande, infatti, pare
propendere per una discorsivizzazione più improntata al logos che al pathos e all’ethos, e delinea una
concezione del ruolo presidenziale come vettore di dinamiche politiche collegiali, che trovano il loro sviluppo
in un’idea meno verticale e più orizzontale di democrazia. Sarà interessante verificare se nel medio periodo
del suo mandato quinquennale Hollande interpreterà la propria funzione in modo da far coincidere la “realtà
politica” con “la sua rappresentazione attraverso le parole”.
58 Si vedano B. Clift, Dyarchic Presidentialization in a Presidentialized Polity: The French Fifth Republic, in T. Poguntke, P. Webb (a cura di), The Presidentialization of Politics. A Comparative Study of Modern Democracies, Oxford, Oxford University Press, 2007 (2005), pp. 221-245; M. Calise, Il partito personale. I due corpi del leader, Roma-Bari, Laterza, 2010; H. Portelli, La présidentialisation des partis français, “Pouvoirs”, n. 14, 1980, pp. 97-106; N. Genga, Francia: partiti e presidenzializzazione della politica nella Quinta Repubblica, “Democrazia e diritto”, n. 3-4, 2009, pp. 264-288. 59 P. Charaudeau, Le discours politique. cit., p. 70.