Nuova Proposta gennaio febbraio 2013

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Bollettino ufficiale dell’UNEBA Unione Nazionale Istituzioni e Iniziative di Assistenza Sociale n. 1/2 - 2013 anno XXXIX Poste Italiane SpA spediz. in abb. post. 70% - C/RM/DBC Mi chiamo Alì, vengo dalla Tunisia, come tutti i miei compagni ho dovuto affrontare un lungo e brutto viaggio e solo grazie a Dio siamo tutti qui oggi per festeggiare questo anno insieme. Da due anni siamo lontani dalle nostre case, dalle nostre fami- glie, ma per fortuna siamo stati accolti da tante persone, Educa- tori, Operatori che noi oggi davanti a tutti voi vogliamo ringra- ziare perché hanno pensato a noi come a dei figli, a dei fratelli. Oggi siamo ragazzi di 16, 17, 18 anni e vogliamo poter vivere anche a Catania con le stesse possibilità che si danno a tutti i giovani italiani. Catania è una bella città, grande, allegra, sempre piena di gente e sicuramente potrebbe offrirci lavoro ma noi non pos- siamo ancora lavorare e quindi non possiamo crescere e aiutare le nostre famiglie, anche perché i permessi di soggiorno si fanno aspettare a lungo e perché nessuno fuori da qui vuole credere in noi e quindi aiutarci … ma molti di noi stanno facen- do diciotto anni e tutto sarà più complicato! Attraverso le foto che avete visto noi sorridiamo ad una vita spesso triste e fatta di molto poco, vorremmo poter vivere di più questa città, utilizzare tutto quello che Catania offre ai suoi ragazzi. Voi potete aiutarci. Grazie per averci ascoltato Amri Alì

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Numero di gennaio e febbraio 2013 di Nuova Proposta, il bimestrale di Uneba

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Bollettino ufficiale

dell’UNEBA

Unione Nazionale

Istituzioni e Iniziative

di Assistenza Sociale

n. 1/2 - 2013

anno XXXIX

Poste Italiane SpA

spediz. in abb. post.

70% - C/RM/DBC

Mi chiamo Alì, vengo dal

la Tunisia, come tutti

i miei compagni

ho dovuto affrontare un

lungo e brutto viaggio

e solo grazie a

Dio siamo tutti qui oggi

per festeggiare questo

anno insieme.

Da due anni siamo lontan

i dalle nostre case, dal

le nostre fami-

glie, ma per fortuna sia

mo stati accolti da tant

e persone, Educa-

tori, Operatori che noi o

ggi davanti a tutti voi v

ogliamo ringra-

ziare perché hanno pensa

to a noi come a dei figli,

a dei fratelli.

Oggi siamo ragazzi di

16, 17, 18 anni e vogliamo pote

r vivere

anche a Catania con le s

tesse possibilità che si

danno a tutti i

giovani italiani.

Catania è una bella ci

ttà, grande, allegra,

sempre piena di

gente e sicuramente po

trebbe offrirci lavoro

ma noi non pos-

siamo ancora lavorare e

quindi non possiamo cr

escere e aiutare

le nostre famiglie, an

che perché i permessi

di soggiorno si

fanno aspettare a lung

o e perché nessuno fuo

ri da qui vuole

credere in noi e quindi

aiutarci … ma molti di n

oi stanno facen-

do diciotto anni e tutto

sarà più complicato!

Attraverso le foto che

avete visto noi sorri

diamo ad una vita

spesso triste e fatta d

i molto poco, vorremmo

poter vivere di

più questa città, utili

zzare tutto quello che

Catania offre ai

suoi ragazzi.

Voi potete aiutarci.

Grazie per averci ascolt

ato Amri Alì

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Nominati dal Consiglio Nazionale dell’1.12.2012

I.P.A.B. Istituti femminili riuniti Provvidenza e S. Maria del Lume - Catania

Minori stranieri non accompagnati

Dall’Emergenza all’Accoglienza continua

Il servizio di accoglienza e le attività sociali e di integrazione chel’Ipab “Istituti Femminili Riuniti Provvidenza e Santa Maria del

Lume” di Catania offre oggi ai minori stranieri non accompagnatiinizia nel marzo 2011 quando, a seguito dell’emergenza umanitariacon gli sbarchi a Lampedusa di migliaia di immigrati nordafricani,l’ente si rese fin da subito disponibile all’urgente richiesta di ospita-lità per i tanti giovani e minori arrivati nella nostra terra, provatidalla drammatica esperienza della traversata, ma forti della speranzadi raggiungere i parenti al nord e di trovare un lavoro per aiutare e so-stenere le loro famiglie di origine.Da quell’emergenza, oggi la nostra Ipab, minori stranieri non ac-compagnati, con la sua ormai accreditata Comunità per MSNA, sipresenta come un modello di “Buona Pratica”, capace di sostenere edi guidare - pur in presenza di condizioni di svantaggio derivanti dal-le evidenti difficoltà psicologiche, della lontananza affettiva dalla fa-miglia, di un contesto nuovo, delle problematiche dovuteall’integrazione con una cultura diversa dalla loro, delle difficoltàdovute alla lingua - percorsi integrativi in linea con gli obbiettividell’accoglienza continua e della progettualità d’integrazione deiminori ospiti.In tale contesto la Comunità, coordinata da una equipe multidisci-plinare di alto profilo professionale oltre che umano e con il suppor-to operativo di figure educative e assistenziali, ospita e segue undiciminori che, sulla base di un progetto specifico e personalizzato(P.E.I: Piano Educativo Individuale), sono inseriti in attività scola-stiche e formative (scuola pubblica, laboratori di alfabetizzazioneper l’apprendimento della lingua italiana, laboratori d’informatica,altro) oltre che in attività extrascolastiche (tornei di calcio, attivitàsportive, gite e partecipazione a centri di aggregazione), così da fa-vorirne e svilupparne la piena integrazione sociale e lavorativa.

Marcella E. M. D’Arrigo – IPAB Istituti Femminili Riuniti

I nuovi organi UNEBA

Presidente:dott. Maurizio Giordano

Vice pres ident i :don Enzo Bugea, dott. Franco Massi, dott.Carlo Alberto Orvietani

S egretario generale:dott. Luciano Conforti

C omi tato esecut i v o:oltre ai membri di diritto (Presidente, Vicepresidenti, Segretario generale), avv. Bassa-no Baroni, rag. Severino Cantamessa, dott.Salvatore Caruso, dott. Francesco Facci,dott. Giuseppe Grigoni, dott. Dario Rinaldi

Presidente del C ol l egio dei rev i sori dei cont i :dott.ssa Patrizia Scalabrin

Tesoriere:dott. Alessandro Baccelli

Osserv atorio nazionale del lav oro:presidente dott. Ernesto Burattin, vice presi-dente dott. Alessandro Palladini

Il Consiglio nazionale ha anche nominato,per i loro meriti nel campo dell’assistenza eper la assidua e competente presenza nella sto-ria dell’UNEBA, cinque nuovi membri delComitato d’onore che vengono ad affian-carsi a Fratel Domenico Carena: mons. Anto-nino Calanna, dott. Luigi Fagà, mons. CarloPinto, mons. Pier Giorgio Ragazzoni, on.Anna Maria Vietti

3 Tra fuga, solitudine e impegno5 Apprendimento… al lavoro 8 Il lavoro di pubblica utilità

10 E’ un’impresa fare associazione12 Detenzione senza dignità 14 Spazi comuni di cittadinanza15 Falso allarme immigrazione? I dati dicono altro17 IMU… nizzati gli enti non profit19 Norme giuridiche e giurisprudenza23 Quote adesione UNEBA anno 201324 Colpo d’ala

SOMMARIOIn copertina: alunni dell’IPAB di Catania, in festa.

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di Paola Springhetti

La fantasia non ha confini, quando si trattadi forme di convivenza. L’ultima sigla èLAT, dall’inglese Living Apart To-

ghether, che si potrebbe tradurre “vivere insiemea parte” e indica quelle coppie che tali si conside-rano, anche se ognuno decide di continuare a vi-vere a casa propria. Insomma, i LAT sono ilcontrario dei “separati in casa”, diciamo che sono“uniti fuori casa”, e sono in genere di due tipi:giovani che ancora vivono con i genitori e nonse la sentono di imbarcarsi in una convivenza onon ne hanno le possibilità economiche, adultiche hanno già alle spalle un matrimonio o unaconvivenza, falliti e non se la sentono diricominciare. Chissà poi se è possibi-le e se è vero, che “si sta insieme”anche se non si vive insieme.Chissà se è un modo per mante-nere vivo il rapporto senza far-

lo cadere nell’abitudinarietà

– come sostiene chi fa questa scelta – o se è sem-plicemente un modo per avere alcuni vantaggidella vita di coppia, senza assumersi responsabi-lità nei confronti dell’altro. O magari per rendereindolore l’eventuale futura separazione.

Già, perché ormai sono proprio in tanti, amettere in conto che l’amore forse non è eter-no, ma la vita di coppia lo è ancora meno.L’amore è liquido, come dice Bauman, e quin-di sfugge via appena trova una fessura, e ilmatrimonio non è più vissuto comeun’istituzione, ma come una scelta, indivi-duale e romantica, fatta per realizzare se stessisenza mettere in discussione la propria auto-

nomia e libertà. La dimensione egoistica pre-vale su quella del dono, e permette di archivia-re l’esperienza, se l’impulso amoroso si affie-volisce e l’autonomia si sente limitata.

Per i giovani, quello della famiglia tradizionalenon è un modello particolarmente appetibile.Non più di altri, almeno. E, tanto per comin-ciare lo si rimanda sempre più, a dopo che sisono finiti gli studi e dopo che ci si è stabiliz-zati col lavoro, cioè tardissimo, o forse mai.Quando finalmente si decide di lasciare la casaavita, non è detto che lo si faccia sposandosi,anzi: tra il 2000 e il 2010 i matrimoni sonodiminuiti quasi del 24%. Prima comunque cisi sperimenta nella convivenza, e spesso

quando ci si decide al grande passo ilcurriculum ha già cominciato ad allun-garsi. A volte la convivenza sfocia nelmatrimonio: spesso la coppia si deci-de quando sente che è arrivato il mo-mento di fare un figlio. Ma non è det-to che per fare un figlio sia necessarioessere sposati, e non è necessario

neanche essere in due: oggi un bambi-no su 4 nasce al di fuori del matrimo-

nio.

Anche quando si decide per il matrimonio,comunque, la scelta non è definitiva: nel30% dei casi, infatti, si conclude con unaseparazione. Se un tempo la separazionee il divorzio erano appannaggio delle

coppie di reddito medio-alto, soprattuttoresidenti al Nord, oggi sono fenomeni nor-

malizzati, alla portata di tutti. In media il ma-trimonio dura 15 anni e nella maggior parte deicasi (85%) è consensuale. L’età media in cui cisi separa è di 45 anni per gli uomini e 42 per ledonne: in tempo per riannodare nuovi legami ericostituire nuove famiglie. Da notare che so-no più che raddoppiate le separazioni tra ultra-sessantenni: nel 2010 si è separato il 10% degliuomini di questa età e il 6% delle donne (Istat2010).Insomma il modello tradizionale di famigliafondato sul matrimonio, religioso o civile chesia, è adottato da un numero limitato di coppiee per un periodo limitato di tempo. Invece so-no aumentate, in questo decennio, le unioni li-

Tra fuga, solitudine e impegno

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possiamo vedere ancora tutte. Una però è giàvisibile e presente: il crescente numero dipersone sole, destinate ad invecchiare senzafigli, senza partner, senza una famiglia – diqualunque tipo – che dia affetto, sostegno,assistenza. Un over 65 su tre, soprattuttonelle città del Nord, vive solo, con una pen-sione che non raggiunge i mille euro. È unproblema esistenziale, ma anche sociale edeconomico. Un prezzo da pagare alla libertàdi scelta? Forse piuttosto all’incapacità dicoltivare rapporti.

Su un versante opposto a tutto questo si col-locano altre scelte di convivenza, sicuramen-te minoritarie, ma molto più profetiche. So-no quelle coppie e quelle famiglie che speri-mentano forme di vita comunitaria o semico-munitaria, aprendosi a stili di vita accoglien-ti e solidali, coltivando i rapporti interperso-nali non solo al proprio interno, per renderlidurevoli e stabili, ma anche all’esterno, for-mando reti che arricchiscono il tessuto socia-le. Sono esperienze che mostrano in una lucediversa quello che la famiglia tradizionale po-trebbe essere, e che la cambiano dall’interno,fortificandola. Insomma, indicano una stradaper il futuro proprio perché contraddicono ilpresente, segnato dalla prevalenzadell’individualismo, riproponendo la dimen-sione comunitaria della vita.Le nuove generazioni hanno bisogno di risco-prire soprattutto questo: la bellezza dei rapportianche impegnativi, il gusto di assumersi re-sponsabilità nei confronti degli altri. Possonosembrare fardelli pesanti da portare, ma inrealtà sono progetti di vita, solidi investimentisul futuro. Come ha scritto Marta Brancatisa-no, «è perlomeno curioso constatare chel’essere umano è abituato alla fatica e al dolore,in ogni sua esperienza: sia il lavoro che losport, ma anche il perseguimento di una ideo-logia, per non parlare di obiettivi come la ric-chezza e il successo, ci impongono quotidiana-mente fatiche, rinunce e dolori che sopportia-mo con assoluta naturalezza, consapevoli chenulla si ottiene senza sforzo e dispendio di sé.Solo di fronte all’amore ci si scandalizza delledifficoltà e si è indotti a rifiutarle».

Educare, oggi, significa proprio queste duecose: da una parte rimettere le persone in con-tatto con un futuro che non è “dato”, ma co-struito giorno per giorno, e dall’altra aiutarlea riscoprire le proprie solide radici nella co-munità in cui vivono, da cui prendono e allaquale danno. La stabilità che si costruisce perla propria famiglia, contribuisce alla stabilitàdella comunità e viceversa.

bere, che si calcola siano 880.000: coinvolgo-no 2,5 milioni di persone, figli compresi.

Nonostante tutto questo, però, il matrimonioresta un punto di riferimento, tant’è vero cheanche chi ha fallito tende a riprovarci: sonoaumentate e arrivate a 1.070.000 le famigliericostituite, cioè formate da partner con unmatrimonio alle spalle. Famiglie dalle orga-nizzazioni complicate, in cui devono accetta-re e abituarsi alle nuove convivenze non soloi genitori (che l’hanno scelto), ma anche i fi-gli (che non l’hanno scelto) e in qualche mo-do anche gli ex partner, che sono ancora geni-tori e che vedono moltiplicarsi le figure adul-te con cui i figli hanno a che fare.Probabilmente il secondo o terzo matrimo-nio risponde ad un desiderio di stabilità, e for-se anche a qualche cosa di più: la consapevo-lezza che l’unione matrimoniale è qualche co-sa che ha ancora valore, come una regola da ri-spettare. Libere scelte, ma forse non sempre. Per esem-pio, è un fatto che in genere le donne dicono didesiderare due figli, ma poi ne fanno uno solo.Se è vero che l’autorealizzazione è l’obiettivoprimario che l’individuo si propone nella so-cietà di oggi, perché le donne mortificano ilproprio desiderio di maternità? In genere si ad-dossa la colpa al lavoro, che oggi èun’aspirazione, oltre che una necessità, permolte di loro. Ma allora perché Paesi in cui lapercentuale di donne che lavora è molto più al-ta della nostra (non ci vuole molto, abbiamouna delle percentuali più basse tra quelle euro-pee) hanno anche un indice di natalità più alto?Insomma, non tutto ciò che gira intorno allaparola “famiglia” è sempre frutto di una libe-ra scelta: bisognerebbe capire quantoc’entrano fattori sociali, culturali, educativi.

Ma resta il fatto che le giovani generazioni sem-brano amare la leggerezza dei rapporti non for-malizzati dal matrimonio. Una leggerezza limi-tata, se vogliamo, visto che poi chiedono chevengano riconosciuti i diritti delle coppie di fat-to (il che presuppone dei doveri e mette le con-vivenze sulla strada dell’istituzionalizzazione).Come sostiene Chiara Saraceno, è questa leg-gerezza, che le coppie eterosessuali ricercanoanche sul piano giuridico, che ha aperto lastrada anche al riconoscimento delle coppieomosessuali o lesbiche, perché si è ormaiportata a compimento la scissione tra fami-glia e matrimonio, e anche tra famiglia e cop-pia eterosessuale. L’espressione “famiglianaturale” ha ormai perso significato,nell’esperienza di molte persone.Le conseguenze sono molte, e forse non le

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di Alessio Affanni

Lo s co p o del l a l eg g e “Disposi-zioni in materia di riforma del mer-cato del lavoro in una prospettiva di

crescita” è sintetizzato dal suo art. 1: “rea-lizzare un mercato del lavoro inclusivo edinamico, in grado di contribuire allacreazione di occupazione” favorendo“l’instaurazione di rapporti di lavoro piùstabili e ribadendo il rilievo prioritario dellavoro subordinato a tempoindeterminato”, affinché torni ad essere laforma contrattuale lavorativa più adottata,laddove ve ne siano le condizioni, limitan-do “l’uso improprio e strumentale degli

elementi di flessibilità progressivamenteintrodotti nell’ordinamento con riguardoalle tipologie contrattuali”.

Diverse disposizioni sono a tuteladel le fasce debol i : quellesull’Assicurazione sociale per l’impiego(ASPI) (art.2) e i provvedimenti per ostacola-re l’elusione da parte delle aziende del rispettodel collocamento obbligatorio; inoltre le di-sposizioni che incentivano le aziende ad assu-mere persone over 50 e svantaggiate, nonchéle norme per contrastare il lavoro irregolaredegli immigrati (art. 4).Altre disposizioni mirano a tutelare mag-giormente la maternità e paternità,quali, ad esempio, quelle per contrastare le“dimissioni in bianco” fatte firmare soprat-tutto nei casi di maternità, quelle a sostegnodel congedo di paternità obbligatorio e la pos-sibilità di servizio di baby sitting a favore del-la mamma lavoratrice, in alternativa al con-gedo facoltativo (art. 2).Un intento ambizioso della riforma Fornero,èperò, l’introduzione, nell’ordinamento italia-

Apprendimento… al lavoro

La riforma del mercato del lavoro promos-sa dal ministro Elsa Fornero (nota come“riforma Fornero”) è in vigore. E’ contenutanella Legge n. 92 del 28 giugno 2012, pub-blicata sul Supplemento ordinario n. 136alla Gazzetta Ufficiale - Serie generalen.153 del 3 luglio 2012

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In particolare si stabilisce che su proposta delMinistro del lavoro e delle politiche sociali edel Ministro dell’istruzione, di concerto conaltri Ministeri e d’intesa con la Conferenzaunificata Stato-Regioni, sentite le parti so-ciali, dovranno essere emanati uno opiù decreti legislativi perl ’individuazione e val idazione degl iapprendimenti non formal i e informa-l i , con riferimento al sistema nazionale dicertificazione delle competenze, sulla base deiseguenti criteri direttivi: • individuazione e val idazione degl i

apprendimenti non formal i e infor-mal i acquisiti, in modo da valorizzare ilpatrimonio culturale e professionale di cia-scuno e per rendere comparabili le compe-tenze certificate acquisite;

• definizione dei livelli essenziali nei servizidi individuazione e validazione da parte deisoggetti istituzionalmente competenti, in-cluse le imprese;

• possibi l i tà di riconoscimento degl iapprendimenti non formal i e infor-mal i convalidati come crediti forma-tivi nei titoli di istruzione e formazione;

• previsione di procedure di convalida valideper tutto il territorio nazionale, ispirate aprincipi di semplicità e trasparenza (rifa-cendosi a sistemi di referenziazionedell’Unione europea).

Al fine di attuare tali strategie, in coerenzacon il principio di sussidiarietà e sentite leparti sociali, saranno definiti gli indirizzi perla realizzazione di reti terri torial i di enti diistruzione, formazione e lavoro, dando prio-rità:a) a sostenere le persone nella costruzione dei

propri percorsi di apprendimento, colle-gandole alle competenze richieste dai siste-mi produttivi presenti nel territorio di rife-rimento, con particolare attenzione allecompetenze linguistiche e digitali;

b) al riconoscimento di crediti formativi e al-la certificazione degli apprendimenti acqui-siti;

c) alla fruizione di servizi di orientamentolungo tutto il corso della vita.

Alla realizzazione e allo sviluppo delle retiterritoriali dei servizi sono chiamate a concor-rere, oltre alle imprese, anche le università,onde offrire agli studenti anche idonei servizidi orientamento.In tal senso, anche la Commissione Europeasi è attivata per far sì che nei Paesi membrivenga adottato un Passaporto europeo delleCompetenze “affinché le capacità acquisite at-traverso il volontariato siano ufficialmente

no, del concetto di “apprendimento per-manente”, in cui rientra “qualsiasi attivitàintrapresa dalle persone in modo formale,non formale e informale, nelle varie fasi dellavita, al fine di migliorare le conoscenze, lecapacità e le competenze, in una prospettivapersonale, civica, sociale e occupazionale”,chiamando tutte le istituzioni (nazionali e lo-cali) a svolgere un ruolo fondamentalenell’accompagnare il lavoratore o futuro la-voratore a sviluppare le proprie capacità.

La legge 92/2012 distingue tre tipi di appren-dimento:• l ’apprendimento formale è quello ba-

sato sui servizi offerti da scuole, univer-sità e altri enti di formazione che rilascinotitoli di studio, qualifiche, diplomi profes-sionali (anche in apprendistato) o certifi-cazioni riconosciute;

• l ’apprendimento non formale è quel-lo derivante da una scelta intenzionale del-la persona al di fuori dei predetti sistemi inogni organismo che persegua scopi educa-tivi o formativi, compresi il volontariato,il servizio civile nazionale, il privato so-ciale o le imprese;

• l ’apprendimento informale è quelloche, anche a prescindere da una scelta in-tenzionale, si realizza nello svolgimento,da parte di ogni persona, di attività nellesituazioni di vita quotidiana e nelle intera-zioni che in essa hanno luogo,nell’ambito del contesto di lavoro, fami-liare e del tempo libero.

Un aspetto di particolare interesse della nuo-va legge è, quindi, la possibi l i tà del rico-noscimento, ai fini lavorativi , del lecompetenze acquisi te anche nei per-corsi di apprendimento non formale,incluse le esperienze svolte nel vo-lontariato e nel servizio civi le volon-tario .Della certificazione delle competenze si parlanel capo VII della legge (più precisamentenell’articolo 4, comma 53) in cui si dice chele attività nel volontariato e nel privato so-ciale vengono riconosciute come apprendi-mento non formale. Ma queste disposizionisono importanti enunciazioni di princìpio,che dovranno trovare attuazione in provvedi-menti governativi successivi: la legge92/2012 stabilisce, infatti, che entro seimesi dall’approvazione della riforma do-vranno essere individuati e validati dal gover-no gli apprendimenti formali, non formali einformali, offrendo al cittadino un sistema dicompetenze certificabili e crediti formativi ri-conoscibili.

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riconosciute sia a scopo professionale sia diapprendimento, elemento essenziale per lamotivazione dei potenziali volontari e percreare un tramite fra l’apprendimento non for-male e l’istruzione formale”.Gli enti del volontariato, del terzosettore e del privato sociale devono per-tanto prestare molta attenzione affinché que-ste disposizioni si traducano, in concreto, innuovi strumenti effettivamente utilizzabili.

Con riferimento a questi temi, già numerosericerche (le prime sono state effettuate inAmerica) hanno dimostrato quanto grande sial’apprendimento al di fuori dei contesti dovesi realizza l’insegnamento istituzionalizzato.Da queste premesse sono nati anche interes-santi progetti, come quello sulla misura-zione del volontariato e del suo im-patto sociale ed economico , che ha por-tato alla creazione di un apposito Manuale,con indicatori utilizzabili anche dagli stessienti del terzo settore (realizzato dalla JohnsHopkins University in collaborazione conl’OIL - Organizzazione Internazionale del La-voro); così come (European Volunteer Mea-surement Project) che si propone di giungereall’adozione di questi strumenti negl ii sti tuti statistici nazional i . Il documen-to è scaricabile in italiano da questo sitowww.evmp.eu In Italia, secondo Eurispes, la stima dei vo-lontari presenti nelle organizzazioni solidari-stiche a maggio 2010 è di circa 1.100.000unità e la maggioranza opera con continuità.Ad essi si aggiungono i 4 milioni di volontariche operano individualmente o in qualsiasi ti-po di organizzazione e istituzione, in modonon continuativo.Il tema del riconoscimento del le com-petenze acquisi te nel volontariato è,

pertanto, un tema senti to e la “riformaFornero” vuole andare in questa direzione.Si segnala, in proposito, che il 26 Ottobre2012 il Forum Europeo dei Giovani ha pre-sentato un nuovo studio intitolato“L’impatto sull’occupabilità dei giovanidell’Educazione Non-Formale nelle Organiz-zazioni Giovanili”. Gli autori dello studiohanno consultato 245 organizzazioni giova-nili e realizzato un’indagine con più di 1.300giovani e gruppi di discussione con datori dilavoro di tutta Europa.Lo studio ha valutato che le competenzeacquisi te attraverso l ’educazionenon-formale nelle organizzazioni giovani-li possono contribuire all’occupabilità deigiovani, perché coincidenti con le competen-ze maggiormente richieste dai datori di lavo-ro: comunicazione, lavoro di gruppo, capa-cità di prendere decisioni, capacità organizza-tive e auto-stima. Per i giovani che hannopartecipato ad attività all’estero, bisognaconsiderare inoltre un alto sviluppo di com-petenze linguistiche, interculturali e di lea-dership.L’esperienza e la competenza acquisi -bi l i nel le organizzazioni del terzo set-tore e del volontariato, quindi , po-tranno divenire sempre più apprezza-bi l i per i datori di lavoro , anche quando igiovani hanno poca (o nessuna) esperienza la-vorativa di tipo formale, contribuendo allatransizione dei giovani dall’istruzione al mer-cato di lavoro.Queste prospettive potrebbero anche creareun effetto virtuoso, stimolando nuove voca-zioni all’apprendimento soprattutto tra iNEET (coloro che non lavorano né studiano),tra coloro che hanno abbandonato gli studi enei giovani migranti (questo, per lo meno, èl’auspicio).

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va e alla pena pecuniaria, con le modalitàpreviste dall’art. 54 del decreto legislativo28 agosto 2000 n. 274.

• Come vi s i accedeLa sanzione viene disposta dal giudice surichiesta dell’imputato, con la sentenza dicondanna o di applicazione della pena su ri-chiesta delle parti a norma dell’art 444 delcodice di procedura penale (patteggiamen-to). Con la sentenza di condanna il giudiceindividua il tipo di attività, nonché l’ente ol’amministrazione dove deve essere svoltoil lavoro di pubblica utilità. La prestazionedi lavoro non retribuita ha una durata corri-spondente alla sanzione detentiva irrogata.

• Dove viene svol toL’attività di lavoro non retribuita vienesvolta presso gli enti pubblici territoriali ele organizzazioni di assistenza sociale e divolontariato individuati attraverso appo-s i te convenzioni stipulate dal ministerodella Giustizia o, su delega di quest’ultimo,dal Presidente del tribunale, a normadell’art. 2 del decreto ministeriale 26 marzo2001. Nelle convenzioni sono indicate leattività in cui può consistere il lavoro dipubblica utilità, i soggetti incaricati dicoordinare la prestazione lavorativa e lemodalità di copertura assicurativa. L’elencodegli enti convenzionati è affisso presso lecancellerie di ogni Tribunale.

• Modalità di prestazione dell’attivitàlavorativa

L’attività viene svolta nell’ambito dellaprovincia in cui risiede il condannato e

• Che cos’èIntrodotto dall’art. 73 comma 5-bis deld.p.r. 309/1990, il lavoro di pubblica uti-lità, consiste nella prestazione diun’attività non retribuita a favore dellacollettività da svolgere presso lo Stato, leregioni, le province, i comuni o pressoenti e organizzazioni di ass i s tenzasocial e o volontariato . La prestazionedi lavoro, ai sensi del decreto ministeriale26 marzo 2001, viene svolta a favore dipersone affette da HIV, portatori di handi-cap, malati, anziani, minori, ex detenuti oextracomunitari; nel settore della prote-zione civile, nella tutela del patrimoniopubblico e ambientale o in altre attivitàpertinenti alla specifica professionalità delcondannato.Gli articoli 186 comma 9-bis e 187 comma8-bis del d.lgs.285/1992, Nuovo codice del-la strada, come modificati, prevedono che lapena detentiva e pecuniaria per la guida instato di ebbrezza può essere sosti tui ta,se non vi è opposizione da partedell’imputato, con quella del lavoro di pub-blica utilità di cui all’articolo 54 d. lgs.274/2000, secondo le modalità ivi previstee consistente nella prestazione di un’attivitànon retribuita a favore della collettività dasvolgere, in via prioritaria, nel campo dellasicurezza e dell’educazione stradale presso loStato, le regioni, le province, i comuni opresso enti o organizzazioni di assistenzasociale e di volontariato, o presso i centrispecializzati di lotta alle dipendenze.

• Chi vi è ammessoLa sanzione è applicata all’imputato per ireati previsti dal comma 5 dell’art. 73 (pro-duzione, traffico e detenzione illecita di so-stanze stupefacenti di lieve entità), quandonon può essere concesso il beneficio dellasospensione condizionale della pena; vienecomminata in alternativa alla pena detenti-

Il lavorodi pubblica utilità

Estratto dal sito del Ministero della Giustiziawww.giustizia.it

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comporta la prestazione di non più di seiore di lavoro settimanale da svolgere conmodalità e tempi che non pregiudichino leesigenze di lavoro, di studio, di famiglia edi salute del condannato. Tuttavia, se ilcondannato lo richiede, il giudice può am-metterlo a svolgere il lavoro di pubblicautilità per un tempo superiore alle sei oresettimanali. La durata giornaliera della pre-stazione non può comunque oltrepassare leotto ore. Le amministrazioni e gli entipresso cui viene svolta l’attività lavorati-va, assicurano il rispetto delle norme e lapredisposizione delle misure necessarie atutelare l’integrità fisica e morale dei con-dannati.

• Compiti del l ’Uepe (Uffi cio esecu-zione penale esterna)

Il giudice, con la sentenza di condanna, in-carica l’ufficio di esecuzione penale esternadi verificare l’effettivo svolgimento del la-voro di pubblica utilità. L’ufficio riferisceperiodicamente al giudice.

• RevocaIn caso di violazione degli obblighi con-nessi allo svolgimento del lavoro di pub-blica utilità, su richiesta del pubblico mi-nistero, il giudice che procede o quellodell’esecuzione (con le formalità di cuiall’art. 666 del codice di procedura penale),tenuto conto dell’entità dei motivi e dellecircostanze della violazione, dispone la re-voca della sanzione con il conseguente ri-pristino della pena che era stata sostituita.Avverso al provvedimento di revoca è am-messo il ricorso in Cassazione, che non ha

effetto sospensivo. Il lavoro di pubblicautilità può sostituire la pena per non più didue volte.Con Circolare del Ministero della Giustiziadell’11 aprile 2011, il Dipartimentodell’amministrazione penitenziaria ha im-partito ulteriori disposizioni. Datal’attuale scarsa applicazione dell’istituto edal fine di contribuire a promuoverne unapiù ampia applicazione, le strutture istitu-zionali interessate sono state, infatti, invi-tate a stimolare e coordinare la realizzazio-ne, da parte degli uffici locali, di iniziativevolte alla promozione del ricorsoall’istituto in argomento.In particolare l’invito è di rinnovare ai sog-getti istituzionali interessati l‘offerta dicollaborazione per coordinare gli interventiin maniera efficace rispetto agli obiettiviche la legge persegue, attivando reti territo-riali al fine di promuovere:

a. la costituzione di tavoli, che coinvolga-no gli attori esterni (tribunali ordinari,enti locali e privato sociale, camere pe-nali) nell’attività di raccordo e sviluppodell’applicazione del lavoro di pubblicautilità;

b. la concreta individuazione, di concertocon gli Enti Locali, le Associazioni divolontariato e del privato sociale, delleopportunità di collocazione e degli am-biti di impiego di coloro che sarannosottoposti al lavoro di utilità pubblica;

c. la stipula di apposite convenzioni tra iTribunali ordinari, gli Uepe e gli Entilocali, finalizzate alla concreta esecuzio-ne della sanzione.

Cooperative (comprese quelle sociali): si tratta di imprese ex L. 59/’92 e L. 381/’91.

* * *

E’ possibile affermare che la differenza che intercorre fra il mercato e il terzo settore è la stessa che passa tra il terzo settore e le or-

ganizzazioni di volontariato. Infatti, prescindendo dalle attività, le quali possono essere svolte da qualsiasi settore, pubblico o pri-

vato, e limitando il raffronto al solo elemento possibile, cioè quello dei componenti dei vari organismi, risulta che:

- se facenti capo al mercato possono essere retribuiti e possono partecipare alla ripartizione degli utili;

- se appartenenti al terzo settore possono essere retribuiti ma non possono partecipare alla ripartizione degli utili;

- se appartenenti alle organizzazioni di volontariato non possono essere retribuiti né partecipare alla ripartizione degli utili.

Un discorso a parte va fatto per l’impresa sociale, disciplinata dal D.Lgs. 155/2006.

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to di scopi ideali, dovendo obbligatoria-mente optare per uno di quelli normativa-mente esistenti. Di conseguenza, unoscopo non lucrativo s i potrà perse-guire costi tuendo : una associazione (ri-conosciuta o non riconosciuta); una fonda-zione; un comitato. Un’associazione puòessere definita come un’organizzazionecollettiva per il perseguimento di uno sco-po ideale, l’associazione al tempo stessodeve essere inserita nel novero dei contrat-ti: essa prende vita dal contratto associati-vo (atto costituivo) e inoltre è un contrattoplurilaterale aperto (adesione successiva)con comunione di scopo.

Non è esclusa invece dal concetto diassociazione la commercial i tà del leattivi tà poste in essere dalla stessa, percui è possibile che una realtà associativavenda beni e servizi pagando tutte le impo-ste dovute per l’esercizio di attività com-merciale. Ciò che spesso genera fraintendi-menti sono le forzature al fine di ottenereagevolazioni fiscali. Il caso che viene subi-to in mente è la possibilità di ottenere la de-commercializzazione delle attività svolte afavore degli associati, cosa che di fatto èpossibile, purché vi sia effettività del rap-porto associativo: la qualifica di socio nondeve avere natura temporanea e tutti i socigodano degli stessi diritti e doveri, in parti-colare modo l’elettorato attivo e passivo. Icircoli e i club non sono le uniche alternati-ve a cui il modello associativo può condur-re, lo schema di associazione può essere an-che usato per attività di natura esclusiva-mente commerciale, senza però avere sgravifiscali di nessun tipo, sperimentando inquesto caso una via democratica all’impresabasata non sulla quantità di quote possedutema sul principio di “una testa un voto”, fer-mo restando ovviamente il divieto di distri-buzione degli utili.

Un discorso ben dettagliato merita anche ilconcetto di volontariato delineato dal

di Sergio Zanarella

Le proposte di trasformazione del-la Croce Rossa Italiana da perso-na giuridica di diritto pubblico a

persona giuridica di diritto privato offrelo spunto per formulare riflessioni sualcuni termini rimasti poco chiari, ma,al tempo stesso, usati come concetticardini di tutto il terzo settore: volonta-rio e associato. L’esempio della CroceRossa Italiana riassume e ricomprendetutte le possibili distorsioni e usi pro-miscui che possono essere fatti dei duetermini elencati; basti considerare cheleggere lo statuto della Croce Rossanon è semplice e già volerne dare la de-nominazione corretta può risultare diffi-cile: lo statuto e il decreto che lo modi-ficano riportano l’espressa dicitura di“Associazione Italiana della CroceRossa”, nelle comunicazioni esterne eanche in altre parti dello statuto prevalela tendenza ad identificarsi con il sim-bolo, per cui viene chiamata Croce Ros-sa Italiana.

La categoria degli enti senza scopo di lu-cro è frutto dell’elaborazione dottrinale egiurisprudenziale, in quanto il codice ci-vile non formula una definizione di talienti collettivi. Tradizionalmente, in giu-risprudenza e in dottrina, gli “enti senzascopo di lucro” sono individuati dalle fi-gure regolate dalle norme delle associa-zioni, fondazioni e comitati, di cui agliartt. 14 - 42 del libro I del c.c.Tali organizzazioni vengono nell’insiemecontrapposte alla categoria degli enti col-lettivi con scopo di lucro, costituita dai di-versi tipi di società regolamentati, invece,dagli artt. 2247 e ss. del libro V del codicecivile. La disciplina civilistica si presentasostanzialmente scarna ed essenziale. Nelnostro ordinamento vige il principio dellatipicità, in quanto i privati non possono,differentemente da quanto avviene in mate-ria contrattuale, dar vita a uno schema giu-ridico-organizzativo per il raggiungimen-

E’ un’impresafare associazione

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nostro ordinamento, difatti anche qui per lostesso termine vengono dati significati evalori diversi a seconda del contesto norma-tivo cui è riferito. Il volontario puro, quelloprevisto dalla L. 266/91, presta la propriaattività in modo personale, spontaneo e gra-tuito e può richiedere solo il rimborso dellespese effettivamente sostenute, qualora au-torizzate dall’associazione di appartenenza;credo che questa sia nella visione comunel’idea di volontariato che abbiamo tutti inmente. Diversa invece è la definizione divolontario forni ta dal la discipl inadel la cooperazione del l ’Ital ia con iPaesi in via di svi luppo ; in questo casoper i volontari deve essere, per contratto, di-sciplinato il rapporto economico, previden-ziale, assicurativo e assistenziale della dura-ta di almeno due anni. E’ per me tale defini-zione assimilabile alle figura di volontariodell’esercito italiano, piuttosto che a unvolontario di una associazione con fini disolidarietà. Altro uso distantedall’immaginario comune del termine vo-lontario è quello previsto dalla normativadel servizio civi le, in cui vengono defi-niti tali i ragazzi che scelgono di fareun’esperienza formativa presso gli enti delterzo settore e vengono retribuiti, seppurpoco, dall’ufficio nazionale del servizio ci-vile; anche in questo caso il termine volon-tario si riferisce al momento della scelta enon allo svolgimento delle attività e ha unaconnessine con l’alternativa al servizio dileva che una volta era obbligatorio.

Se poi riportiamo il termine volontariatoanche nell’ambito associativo si possotrovare delle sorprese inaspettate. Adesempio la legge 266/91 parla di volonta-rio come di colui che svolge la propria at-tività tramite l’organizzazione di cui faparte, quindi esclude espressamentel’ipotesi di volontario esternoall’associazione; inoltre sempre per la leg-ge 266/91 il rapporto di gratuità deve sus-sistere fra socio e associazione e fra socioe beneficiario dell’attività, ma non vienemai ribadita la gratuità nel rapporto fra as-sociazione e beneficiari dell’attività, cosache permette di non escludere la possibi-lità di svolgere i servizi a pagamento an-che da parte delle organizzazioni di volon-tariato, nella forma di attività commercia-li e produttive marginali espressamentedisciplinate dal decreto ministeriale del1995. C’è da dire che anche da questo pun-to di vista il sistema della Croce RossaItaliana ha una visione particolare del con-

cetto di volontariato. “La Croce Rossa èun’istituzione di soccorso, disinteressatae basata sul principio volontaristico; vo-lontario è la persona che aderisceall’organizzazione di sua spontanea vo-lontà e senza alcuna costrizione, questoperò non toglie che alcune prestazionipossano essere retribuite per i dipendenti,ovvero quanti fanno una scelta di vita pro-fessionale di aderire ai principi C.R.I. esoprattutto di aiutare il prossimo sofferen-te” (cfr. principi fondamentali – dal sitodella c.r.i.). Rimane il dubbio del perché iltermine volontario non viene affiancato aquello di gratuità, pur essendocene tanti divolontari che dedicano il proprio tempogratuitamente all’ente Croce Rossa. Ri-mane inoltre astratto il concetto di istitu-zione fondata sul principio volontaristico:un principio deve essere applicato e dallostatuto della Croce Rossa non emerge ilvincolo di una prevalenza della attività divolontariato prestata dagli associati. Ri-sulta fra l’altro comprensibile allo statoattuale delle cose la difficoltà ad inquadrarel’Ente in una associazione di diritto priva-to e in particolare all’interno della norma-tiva prevista per le associazioni di promo-zione sociale, se giustamente bisogna ga-rantire la tutela dei lavoratori, 4000 in tut-to, 1000 militari e circa 3.000 civili. C’èda dire per contro che per la prima volta laCroce Rossa Italiana è destinataria di unprovvedimento normativo che va contro ipropri interessi, dopo una serie di provve-dimenti, senza fondamento giuridico, chel’hanno equiparata, ai fini di ottenere agevo-lazioni, alle altre organizzazioni non profit.Ne è un esempio nel Lazio la possibilità diiscrivere i gruppi di donatori di sangue dellaCroce Rossa al registro regionale del volon-tariato, permettendo a gruppi di fatto privi diautonomia e soggettività giuridica di ottene-re le agevolazioni fiscali delle onlus di dirit-to: si pensi al cinque per mille e alla possibi-lità di stipulare convenzioni con gli ospedaliper la raccolta sangue.

Rimane da capire alla luce dell’analisisvolta se la Croce Rossa Italiana, nel casodiventi un soggetto di diritto privato, pos-sa mantenere il principio volontaristico,inteso questa volta nel rapporto fra perso-nale dipendente - personale volontario eprevalenza delle attività svolte dai volon-tari, oppure sia meglio che diventi unarealtà del terzo settore con possibilità disvolgere in modo più ampio attività com-merciali in regime agevolato.

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degli anni ’90 del secolo scorso il tema dellasicurezza (l’“ossessione securitaria” come silegge nel primo rapporto Antigone): per lagiustizia, nell’irrogazione facile di pene aquote considerevoli di tossicodipendenti (unosu quattro) e di immigrati (36 su 100) -con ilsolo risultato di ribadirne l’esclusione socia-le- e per il sistema penitenziario, restringendospazi interni di “libertà” e facendo così recede-re ogni tentativo di rendere l’esperienza di de-tenzione più umana, vivibile e formativa, mascivolando sempre più verso l’afflizione dellepersone a scapito del loro recupero sociale, ri-chiesto invece dalla Costituzione (art. 27).

Quali sono i problemi cronici del lecarceri i tal iane, oggetto di anal isi or-mai noiose nel la loro ossessiva ripe-ti tivi tà? Sono soprattutto il sovraffolla-mento che si somma all’inadeguatezza dellestrutture e dell’organico, criticità che si river-berano sulle scarse opportunità di trattamentoeducativo, di lavoro e di formazione al loro in-terno che peraltro costringono i detenuti a ri-manere in cella in media 20 ore su 24. Tuttociò determina un tasso di mortalità internaelevato e molteplici fenomeni di violenza e diautolesionismo (3.617 casi nel primo seme-stre del 2012). A un mese dalla fine dell’annosi contano 93 morti, di cui 50 per suicidio(nello stesso periodo del 2011 erano 91; 1morto ogni 25 tentati suicidi, spesso sventatidall’intervento della polizia penitenziaria),un’ecatombe se leggiamo i dati in serie stori-ca. L’ultimo era un ragazzo italiano di 22 an-ni, una vita sprecata, senza responsabilitàpresunta di alcuno, in un silenzio “assordan-te” per le nostre coscienze di cittadini. Il carce-re è luogo di sofferenza anche per gli agentipenitenziari, anch’essi non immuni da episo-di ricorrenti di suicidio (8, come nell’annoprecedente). Se questi dati sono i più dramma-tici altri, impietosamente, li spiegano, a par-tire dal disinvestimento finanziario nei con-fronti del sistema carcerario, pur a fronte diuna crescita costante di presenze per cui abbia-mo oggi un tasso di affollamento pari al142,5%, vale a dire che vi sono 142 detenuti

di Renato Frisanco

Nel gennaio del 2010 è stato dichiaratolo “stato di emergenza” per il so-vraffollamento carcerario: i detenuti

erano 64.791. Quasi due anni dopo, al31.10.2012, sono quasi duemila in più(66.685). Come a dire che lo stato di emer-genza è fallito, nonostante la legge n.199/2010 e il successivo decreto “svuota car-ceri” del dicembre 2010. Lo rivelal’Associazione Antigone che dal 2000pubblica un rapporto periodico sulle condi-zioni della detenzione in Italia avendo costi-tuito un Osservatorio nazionale che permetteai suoi ricercatori il monitoraggio della situa-zione attraverso un contatto diretto con i 206istituti penitenziari italiani.L’autorizzazione alle visite di tali operatoriha rappresentato la rottura di un tabù nellaimpenetrabilità della istituzione carceraria,tanto che il primo rapporto ha come titoloemblematico “Il carcere trasparente”. Siamoormai alla nona edizione del rapporto e quellodi quest’anno è tuttaltro che incoraggiante,come emblematicamente esplicitato dal tito-lo: “Senza dignità”, a rappresentare una con-dizione di detenzione al minimo storico intermini di diritti. Il carcere come “luogo deidiritti negati”, oltre quello temporaneo dellaprivazione della libertà, in continuità conl’analisi del precedente rapporto - l’ottavo -che non a caso titolava: “Le prigioni malate”.

Cosa non va nel le carceri? Non si trattadi un malessere acuto, generato da cause ine-dite o emergenziali, contingenti e straordina-rie, ma è la cronicizzazione di una lunga sta-gione caratterizzata da insufficienti politichegiudiziarie e penitenziarie, le prime, caratte-rizzate da un ricorso al carcere per ogni tipo direato, le seconde, da incertezzenell’applicazione di strumenti riformatori, dialleggerimento delle strutture, di adeguamen-to degli organici - storica è la taradell’insufficienza di operatori dell’area peda-gogica - di scarsa manutenzione di un’ediliziacarceraria, spesso fatiscente oltre che insuffi-ciente. Per entrambi i versanti -giustizia e ap-parato penitenziario- è prevalso fin dalla fine

Detenzione senza dignità

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ogni 100 posti disponibili, che non ha egualinei Paesi dell’UE, dove la media è del 99,6%.La scure degli ultimi governi si è abbattuta inmodo “lineare” anche su questo settore ridu-cendone significativamente i finanziamenti.Il Dipartimento dell’Amministrazione Peni-tenziaria (DAP) ha visto ridursi il propriobudget di 228 milioni di euro dal 2007 al2012. I tagli hanno fatto ridimensionare an-che l’irrealistico Piano carceri che prevedeva17.00 nuovi posti entro il 2012, mentre5.000 posti sono al momento non disponibi-li per ristrutturazione. Il bilancio del Diparti-mento per le mercedi dei detenuti (vedi bustepaga dei detenuti per il lavoro in carcere) si èridotto negli ultimi anni del 71%: dagli 11milioni di euro del 2010 ai 3,1 milioni del2012.In questo scenario, scuola, formazione pro-fessionale e lavoro sono opportunità com-plessivamente rare. Meno di un quarto dei de-tenuti presenti in carcere alla fine del 2010 eraimpegnato in attività scolastiche e solo pocopiù di un decimo dei presenti ha portato a ter-mine con successo un percorso di studio. Lecose vanno ancora peggio per la formazioneprofessionale. A fine giugno 2012 un misero4,4% dei detenuti presenti ha partecipato aduno dei 237 corsi realizzati. Molto dolente èanche la nota sul lavoro in carcere che impe-gna due detenuti su dieci (34 su 100 condanna-ti) con buste paga che nella maggior parte deicasi assomigliano più a rimborsi spesa forfet-tari per attività di volontariato: 30 euro al me-se. Anche la recente proposta di legge che in-tende estendere le agevolazioni fiscali e con-tributive e incrementare il credito di impostaper ogni lavoratore detenuto assunto si è are-nata per mancanza di copertura finanziaria.E’una Caporetto. Così il carcere, luogo elet-tivo di raccolta della diseguaglianza e della de-privazione sociale, non fa che aggravare e san-cire il destino sociale avverso di tante perso-ne. Da qui l’indicatore più eclatante del suofallimento: il tasso di recidiva per cui su 100persone che vi entrano per la prima volta, 68vi ritornano.

Di fronte a tale scenario cosa si puòfare? Occorre che tutti, istituzioni ai vari li-velli di responsabilità e cittadini, ne siamoconsapevoli e ce ne facciamo carico. Innanzi-tutto sollecitando le modifiche normative e lesoluzioni organizzative che sono a portata dimano, ragionevoli, fattibili. Occorre affron-tare con determinazione, a livello di governo eParlamento, la “questione penitenziaria” nel-la sua globalità e complessità e in tutti i puntidi criticità, con gli obiettivi di estendere l’uso

delle misure alternative alla detenzione (chevuol dire spostare sul territorio il recupero deisoggetti sanzionati), unitamente alla depena-lizzazione dei reati minori e quelli connessicon l’attuale normativa sulle droghe (motoreproduttore di carcerazione anche per chi è ac-cusato di reati di lieve entità), al maggior usodelle sanzioni non detentive, della mediazionepenale e dei progetti individualizzati di giusti-zia riparativa. Rivedere il sistema delle san-zioni significa restituire alla pena detentiva lasua natura residuale, come si è fatto con i mi-norenni, per cui l’Italia vanta un primato nelmondo. Insomma occorre favorire le uscite,limitare gli ingressi, ridurre i detenuti in cu-stodia cautelare (il 40,1% dei detenuti, a fron-te del 28,5% della media dell’UE), favorire ilpassaggio dalla detenzione alle misure alter-native, in preoccupante decrescita dal 2005,nonostante i dati ne indichino il successo (dra-stica riduzione del tasso di recidiva, solo lo0,6% di revoche nel 2012 per commissione diun nuovo reato). Migliorare la condizione in-terna dei detenuti con interventi di prevenzio-ne del disagio e della malattia (sportelli dedi-cati e screening generale dei reclusi), ridurredrasticamente le ore trascorse in cella a van-taggio delle ore trascorse in ambienti stimo-lanti, allargando la possibilità (prevista dauna recente circolare del DAP) di regimi aper-ti, basati su progetti innovativi di sorveglian-za dinamica e su patti di responsabilità dei de-tenuti, dando così al carcere una connotazionerieducativa effettiva. Un ruolo importante spetta anche al volonta-riato (circa 10 mila volontari operativi nelle200 strutture detentive e nei 44 UEPE -dell’area penale esterna) e alle varie compo-nenti del Terzo Settore per i progetti e le for-me di sostegno ai detenuti che realizzano e perl’azione di sensibilizzazione oggi necessarianei confronti dei giovani, soprattutto nel -le scuole, sui temi del la “giustiziamite” -non vendicativa- e del la cultu-ra del la rieducazione. Importante è ancheil ruolo delle Regioni che hanno siglato deiprotocolli di intesa con i Provveditorati Re-gionali dell’Amministrazione Penitenziaria edegli Enti locali nel rendere permeabile il rap-porto tra territorio e carcere. Se questo devecambiare al suo interno, sulla base di una con-cezione non meramente retributiva o affittivadella pena, da solo non è tuttavia in grado diumanizzarsi e di superare la logica mortifica-trice della persona che lo caratterizza, ma habisogno dello stimolo costante della societàcivile e delle istituzioni locali attraverso unsistematico impegno sia all’interno delle isti-tuzioni detentive che all’esterno.

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Le varie espressioni del Terzosettore in Italia hanno lungatradizione: nel tempo si sono

ramificate nel tessuto sociale del Pae-se e, pur nella diversità delle vocazio-ni e delle ispirazioni, rappresentanol’aspirazione della società alla solida-rietà e al mutuo soccorso. L’affermarsi del fenomeno migratorioe l’arrivo nelle nostre comunità dei cit-tadini immigrati hanno creato nuovibisogni e ne hanno ampliati altri. Aquesti ha subito tentato di risponderequel mondo dell’associazionismo che,come spesso accade, ha per primo col-to i segnali dell’emergenza sociale at-trezzandosi per agire con tempestivitàrispetto all’emergenza. I servizi di pri-ma necessità, spesso utilizzati dagliimmigrati per le condizioni precarie incui vivono, sono stati sviluppati pre-cocemente dal Terzo settore. È notocome il settore pubblico, in questoambito, abbia lasciato ampi marginidi intervento, per una duplice ragione:da una parte a causa dell’urgenza delproblema, che non sempre si è manife-stato secondo i modi e i tempi di rea-zione degli enti pubblici, dall’altraperché un’area della popolazione stra-niera è più facilmente raggiungibiledal privato sociale.La consuetudine con il mondodell’immigrazione ha consentito aglienti di Terzo settore di non limitarsi aun’azione di soccorso e di assistenza,ma di espandere le proprie attività indirezione di effettivi processi di inte-grazione: così nel tempo si è passatida servizi di assistenza di vario tipo(materiale, psicologica, burocratica,legale, informativa, ecc.) ai più com-plessi servizi di formazione e valoriz-zazione delle competenze perl’inserimento lavorativo, di orienta-mento e accompagnamento ai servizisul territorio, di promozione di gruppiparticolarmente svantaggiati, (p.e. le

donne immigrate),diorganizzazione dieventi per la sensibi-lizzazionedell’opinione pub-blica sui temi delledifferenze e del dialo-go. Si è progressiva-

mente passati, secondo gli studi piùaccreditati, da un associazionismo ca-ritativo e assistenziale a un associa-zionismo rivendicativo, che tutela idiritti degli immigrati e realizza ini-ziative antirazziste e di integrazionesociale, attirando l’attenzione delleistituzioni sui problemi emergenti esulle misure da prendere. Le iniziativesolidaristiche e l’azione di advocacydel Terzo settore, dei sindacati e dellerealtà ecclesiali, degli enti scolastici edi quelli locali hanno prodotto risulta-ti rilevanti, che rappresentano – comesostiene Ambrosini, esperto della ma-teria – “tasselli di integrazione” neiconfronti degli immigrati e ridefini-scono i rapporti con le istituzioni sul-la base di una più definita, benché in-compiuta,governance del fenomeno.Tuttavia, oggi che l’immigrazione èstrutturale, diversificata e complessanon possono essere trascurate le asso-ciazioni degli immigrati: si tratta diorganizzazioni di mutuo aiuto, chespesso mirano a salvaguardarel’identità culturale di provenienza. InItalia di solito, però, sono fragili e ascarsa struttura organizzativa. Il lorocontributo appare più importante perla costruzione di beni relazionali, dicapitale sociale e di rapporti fiduciari,mentre in altri Paesi svolgono il ruolodi soggetto politico e di mediazione,cui viene attribuita dalle istituzionipubbliche locali l’implementazionedi alcune politiche sociali.Ma proprio per l’evoluzione del feno-meno immigrazione non si può trascu-rare la collaborazione con le associa-zioni di stranieri. Esse svolgono unruolo di rappresentanza verso le istitu-zioni e nei processi di integrazione e diintermediazione tra i singoli immigratie la società di accoglienza, nonché didialogo interculturale.Il passo decisivoper il futuro, infatti, riguarda la promo-zione e la condivisione di vere espe-rienze di interculturalità, nelle quali leassociazioni degli immigrati giocanoun ruolo fondamentale anche come vet-tori di partecipazione dei cittadini im-migrati alla vita della società ospitan-te; purché riescano ad entrare nei pro-cessi decisionali come attori in dialogocon altri soggetti. Promuovere

l’interculturalità avrebbe un triplicevantaggio: migl iore comprens io -ne dei bi sogni e, quindi, maggioreadeguatezza delle risposte offerte afronte di problematiche in continuaevoluzione; rimozione del l ’ os ta-co lo per cui l’assenza di integrazionediventa causa di ulteriore emarginazio-ne condizionando negativamentel’accesso degli stranieri alle strutture ealle attività dei soggetti del Terzo Set-tore; migl iore interazione tra i di -vers i attori del privato sociale edel vo lontariato locale, in quantoconsentirebbe una maggiore consape-volezza della trasversalità e della multi-dimensionalità del fenomenodell’immigrazione, per le quali sono ri-chiesti interventi integrati.Per s v i l uppare s i nerg i e e v erai ntercul tural i tà ri s ul ta es s en-zi al e i l ruo l o dei v o l o ntari e de-g l i o perato ri del s o ci al e , che han-no una particolare sensibilità nel leg-gere i mutamenti in corso, nel com-prendere le necessità del territorio,nell’adeguare buone pratiche ai nuovibisogni, nell’inventare e sperimenta-re percorsi di successo. Ciò comportaun serio investimento sugli operatorie sui mediatori culturali e linguistici,italiani e stranieri. Valorizzare glistranieri come educatori ed operatorirappresenterebbe un esempio per gliutenti stranieri di una più profonda in-tegrazione, ma anche una base concre-ta di partecipazione diretta e democra-tica per promuovere i loro dirittidall’interno della società civile; e sa-rebbe uno stimolo culturale per glistessi operatori, anche in termini dicrescente professionalizzazione-nell’erogare servizi sempre più quali-ficati in linea con la stabilizzazionedelle presenze straniere. A fronte di più stabilità sta la ricerca diuna cittadinanza più garantita e la ri-chiesta di spazi adeguati di partecipa-zione e il riconoscimento dei dirittipolitici. Il Terzo settore e le comunitàeducativo-assistenziali, da questopunto di vista, potrebbero assumereuna funzione pubblica responsabile,essere attori consapevoli di processipartecipativi e culturali oltre che for-nitori di servizi di utilità sociale.

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Spazi comuni di cittadinanzadi Federica Volpi

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di David Recchia

Leggendo i dati relativi ai migranti resi-denti nel nostro Paese dal 1971 in poici si accorge immediatamente di quan-

to il fenomeno sia cresciuto secondo una pro-gressione tutt’altro che lineare. Quaranta annifa, infatti, gli immigrati residenti in Italia era-no soltanto 121.116, nel 1991 erano aumen-tati di oltre 235.000 unità, per superare nel2001 la soglia psicologia del milione, rag-giungendo la cifra record (per allora) di1.334.889 persone. L’anno scorso (ultimodato disponibile) gl i immigrati residentierano ben 3.865.385: un numero di poco su-periore a tutti gli abitanti toscani, solo per fa-re un esempio comparativo. Il costante au-mento della popolazione immigrata ha regi-strato fasi alterne, in particolare si sono veri-ficati dei picchi nel 2002, dovuti alla sanato-ria avviata a seguito della legge Bossi-Fini.Un’ulteriore accelerazione della crescita si ri-leva anche in corrispondenza del 2007, annoin cui è entrata in vigore la normativa europearelativa alla libera circolazione. Infine, unanuova accelerazione delle iscrizioni alle ana-grafi comunali si è verificata nel 2009, incorrispondenza della sanatoria rivolta a colf ebadanti.I dati citati, tratti dal Dossier statisticosull’immigrazione prodotto da Caritas e Mi-

grantes nel 2012, presentano due tipi di consi-derazioni: la prima, che l’atipico andamentosinusoidale dei flussi migratori verso l’Italiasembra essere soprattutto il frutto di provve-dimenti singoli fatti negli anni e non il risul-tato di un piano volto a governare il fenome-no; la seconda, che l’immigrazione, visti isuoi numeri, non può più essere gestita con“provvedimenti spot”, varati più sull’ondadell’emergenza e della paura che non sulla ba-se di una proficua riflessione politica e cultu-rale di lungo periodo. È necessario comincia-re a pensare agli immigrati come un dato difatto, un aspetto peculiare delle società mo-derne. Purtroppo sono ancora molto diffuse idee econvincimenti che derubricano il fenomenoimmigratorio a mero problema da contenere orespingere. Spesso tali convinzioni si basanosu dati di dubbia provenienza e statistiche a dirpoco grossolane, che sarebbe utile metterequantomeno in discussione; è quanto si pro-pone questo articolo. Uno degli stereotipi più diffusi descrivel’immigrazione in Italia come un fenomenosostanzialmente fallimentare sotto il profiloeconomico e pericoloso sotto il profilo dellasicurezza sociale. Possiamo confutarequesto ul timo pregiudizio con il sempli-

Falso allarme immigrazione?

I dati dicono altro

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un’esperienza fallimentare, basta proporre al-cune cifre per dimostrare quanto invece essasia vivace e dinamica, soprattutto sotto il pro-filo economico. Gli immigrati nel 2010 han-no versato 7,5 miliardi di euro in contributiprevidenziali. Sottraendo a questa cifra i costisanitari, per l’istruzione e per i servizi socialidei comuni, il saldo sarebbe positivo: 1,5 mi-liardi di euro (Caritas-Migrantes 2012). Perfinire, un accenno al dato sull’apporto del la-voro degli immigrati al valore aggiunto ita-liano (totale): nel 2006 il contributo deglistranieri era di poco superiore al 9%; tre annidopo (ultimo dato a disposizione) lo stessosuperava il 12%. È evidente, dunque, che lapartecipazione degli immigrati all’economiaitaliana sia significativa. Al termine di questabreve riflessione, sembra sostanzialmentepoco corretto pensare all’immigrazione sol-tanto come a un problema; da una lettura deidati più attenta e non ideologica, essa invecesi presenta effettivamente come una risorsaeconomica, oltre che demografica e umana, danon sottovalutare in tempi di crisi.

ce ausilio della logica: se unapopolazione più numerosa diquella residente in Toscanafosse effettivamente formatada delinquenti, il nostro Paesesarebbe, non da ora, in preda aldisordine più totale. Inoltre,pur senza sottovalutare il pro-blema della diffusione dellacriminalità tra gli immigrati,possiamo sottrarre il fonda-mento empirico all’equazioneimmigrazione = crimine ra-gionando anche su alcuni dati pubblicati direcente dalla Caritas. È vero che il numero distranieri in carcere è effettivamente sempremolto elevato rispetto a quello degli italianie, purtroppo, in crescita. In pochi sanno peròche molto spesso questa situazione è anche ilfrutto, da una parte dell’impossibilità dei mi-granti di usufruire di pene alternative (essi so-no quindi costretti e rimanere quasi sempre incarcere), dall’altra, del fatto chel’immigrazione stessa sia uno dei reati conte-stati agli stranieri. Infine, stando ai dati di-sponibili, a dispetto del sentire comune,emerge che negli ultimi lustri, tra gli immi-grati sono diminuiti sia i reati gravi comel’omicidio, sia quelli più odiosi come le rapi-ne e gli scippi. Concludendo su questo pun-to, mi sembra chiaro che gli stranieri non sia-no immuni dal crimine, ma mi pare altrettan-to chiaro che la popolazione di immigratipresente in Italia non sia naturalmente incli-ne a delinquere, come vorrebbero far crederealcune versioni strumentali.Sul fatto poi che quella italiana sia

Stranieri: l’esperienza della Caritas Italiana

Tra le organizzazioni che si occupano di assistenza, la Caritas è senza dubbio quella mag-giormente presente e conosciuta sul territorio nazionale. Essa infatti vanta una ramifi-

cazione capillare che copre l’intera penisola da Nord a Sud e costituisce un punto di riferi-mento per chiunque si trovi in difficoltà. L’organizzazione, di chiara ispirazione Cattolica,nel 2011, ha ricevuto nei propri Centri di Ascolto circa 30.000 persone, di cui ben i l 70%di origine non i tal iana. Gran parte degli stranieri che si sono rivolti alla Caritas ha ri-chiesto beni e servizi materiali, in circa 2 casi su 10 lavoro. Interessante è anche il fatto chequasi un quinto della popolazione straniera abbia richiesto agli operatori semplicemente diessere ascoltato.

Utenti dei centri d’ascolto Caritas (%) Utenti stranieri per tipo di richiesta (%)Cittadinanza straniera 70,7 Beni e servizi materiali 42,9Cittadinanza italiana 28,9 Ascolto 16,8Altro 4,0 Lavoro 17,0

Altro 23,3Fonte: Caritas-Migrantes, 2012

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di Alessio Affanni

E’stato pubblicato il Decreto delMinistero del l ’economia n.200 del 19 novembre 2012 ,

ossia il Regolamento di attuazione dell’art.91-bis, comma 3, del Decreto Legge n.1/2012 (convertito nella L. n. 27/2012), ri-guardante la disciplina IMU per gl i entinon commercial i . Il provvedimento è en-trato in vigore dall’8 dicembre 2012 . Lalunga vicenda dell’IMU per gli immobiliposseduti e utilizzati dagli enti non profit èquindi giunto ad una definizione conclusiva.Il Regolamento definisce, infatti, i casi diesenzione, chiarendo quando l’attività può es-sere considerata “non commerciale“ e indicacome procedere al calcolo dell’imposta quan-do invece l’immobile è adibito a uso misto fraattività istituzionali e commerciali. Il Decre-to ministeriale recepisce il parere consulti -vo n. 4180 del 4 ottobre 2012 delConsigl io di S tato , conformandosi alleraccomandazioni formulate: ricordiamo infat-ti che, per il Consiglio di Stato, il precedenteDecreto ministeriale andava modificato inmodo da essere coerente coni principi delineati dall’Unione euro-pea e, in particolare, con la nozione comuni-taria di attivi tà economica, onde evitareuna procedura d’infrazione. Il Consiglio diStato aveva anche ritenuto che il Ministeronon poteva dare generale attuazione alla nuo-va disciplina dell’esenzione IMU per gli im-mobili degli enti non commerciali, compien-do scelte applicative (di esenzione) che esula-vano dal proprio potere regolamentare (cfr.Nuova Proposta n. 11-12/2012). Il nuovoDecreto definisce attività non commercialiquelle che, per loro natura, non si pongono inconcorrenza con altri operatori del mercato eche siano espressione del perseguimento diprincipi di solidarietà e sussidiarietà.

Nel dettaglio il provvedimento individua i ca-si di esenzione dal l ’IMU e stabilisce mo-dal i tà e procedure per i l pagamentodel l ’imposta, a partire dal 1°gennaio 2013 .Affinché le attività svolte da un ente non pro-fit possano definirsi “non commerciali” oc-corrono due condizioni. La prima, prelimina-re, è che l’atto costitutivo o lo statutodell’ente prevedano:- il divieto di distribuire uti l i e

avanzi di gestione durante la vitadell’ente, in favore di amministratori, soci,partecipanti, lavoratori o collaboratori;

- l’obbl igo di reinvestire gl i eventua-l i uti l i e avanzi di gestione solo persviluppare attività funzionali allo scopoistituzionale di sol idarietà sociale;

- l’obbl igo di devolvere i l patrimoniodel l ’ente non commerciale, in caso di suosciogl imento per qualunque causa,adaltro ente non commerciale che svolgaanaloga attività.

In presenza di questi requisiti preliminari, laseconda condizione per la “noncommercialità” è che le attività svolte (assi-stenziali e sanitarie, didattiche, ricettive, cul-turali e ricreative, sportive) abbia-no ulteriori requisi ti , fissati dall’art. 4 delDecreto ministeriale; e cioè:- Per le attivi tà assistenzial i e/o sani-

tarie se l’ente è accreditato o convenziona-to con Stato, Regioni o Enti locali, le atti-vità devono essere gratuite o possono esse-re richiesti “eventuali importi di partecipa-zione alla spesa previsti dall’ordinamentoper la copertura del servizio universale” (peres. il pagamento dei ticket previsti dalleleggi). In questo caso, l’ente locale puòquindi consentire all’ente convenzionato dirichiedere eventuali somme che coprano icosti.Se l’ente non è accreditato né convenziona-to, le attività devono essere gratuite o puòessere chiesto “versamento di corrispettivi diimporto simbolico e, comunque, non supe-riore alla metà dei corrispettivi medi previsti

IMU… nizzati gli enti non profit

Il Ministero dell’economia e delle finanze haemanato il Regolamento IMU: è il Decretoministeriale n. 200 del 19 novembre 2012,pubblicato sulla Gazzetta ufficiale Serie Ge-nerale n. 274 del 23 novembre 2012

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rano non commerciali se non superano il 50%dei prezzi praticati dal mercato nello stessoambito territoriale: ma qual è l’ambito terri-toriale? E se i concorrenti di riferimento fos-sero altri enti con finalità analoghe che hannogià ridotto del 50% il loro prezzo? Si creereb-be un effetto a cascata verso il ribasso…Punti molto delicati e contestati del Regola-mento, soprattutto perché gli enti non profitgià ora riescono a malapena a coprire i costid’esercizio.

Per quanto riguarda il calcolodel l ’imposta quando l’immobile viene usa-to anche per attività commerciali, il Decretostabilisce che si determina con riferimento atre elementi: spazio dell’immobile destinatoa tale uso, numero di soggetti nei confrontidei quali vengono svolte le attività con moda-lità commerciali e tempo dedicato a tale atti-vità.- i l primo, e priori tario elemento, è

la superficie: va calcolata quanta porzio-ne di immobile è adibita a uso commercia-le, sulla quale va pagata l’imposta;

- per le unità indistintamente oggetto diun’utilizzazione mista, la proporzione è de-terminata in base al secondo elemento ,cioè al numero dei soggetti nei confron-ti dei quali le attività sono svolte con moda-lità commerciali, in rapporto al numerocomplessivo dei soggetti destinataridell’attività (nel caso di associazione, peresempio, sono non commerciali le attivitàistituzionali svolte a pagamento nei con-fronti dei soci, mentre si configurano comecommerciali le attività istituzionali svoltea pagamento per i non soci e quelle non isti-tuzionali svolte a pagamento per i soci);

- nel caso in cui l’utilizzazione mista sia effet-tuata solo per specifici periodidell’anno, la proporzione è determinatacon i l terzo, residuale criterio, cioè inbase ai giorni durante i quali l’immobile èusato per attività commerciali.

Di conseguenza, gli enti non commerciali de-vono dichiarare gli immobili per i quali èdovuta l’imposta e/o gli immobili per i qualil’esenzione IMU si applica in proporzioneall’utilizzazione non commerciale. Nel corsodegli anni l’ente dovrà effettuare una nuova di-chiarazione solo se ci saranno variazioni ri-spetto a quanto già comunicato.Gli enti non commerciali che vogliano bene-ficiare dell’esenzione IMU devono, comun-que, predisporre o adeguare il pro-prio statuto a quanto previsto dal Regola-mento.

per analoghe attività svolte con modalitàconcorrenziali nello stesso ambito territo-riale, tenuto anche conto dell’assenza di rela-zione con il costo effettivo del servizio”.

- Per le attivi tà didattiche viene richiestoche le scuole siano paritarie, non vi sianodiscriminazioni in fase di accettazione de-gli alunni, vengano accolti i portatori dihandicap, le strutture siano adeguate e ilpersonale docente e non docente sia contrat-tualizzato. Oltre alla richiesta attività di-dattica paritaria e non discriminante, si ri-chiede, anche in questo caso, o la gratuitàdei servizi o “corrispettivi di importo sim-bolico e tali da coprire solamente una fra-zione del costo effettivo del servizio, tenu-to anche conto dell’assenza di relazione conlo stesso”.

- Per le attivi tà ricettive si parla di “atti-vità che prevedono l’accessibilità limitataai destinatari propri delle attività istituzio-nali e la discontinuità nell’apertura non-ché, relativamente alla ricettività sociale,quelle dirette a garantire l’esigenza di siste-mazioni abitative anche temporanee per bi-sogni speciali, ovvero svolte nei confrontidi persone svantaggiate in ragione di condi-zioni fisiche, psichiche, economiche, so-ciali o familiari, escluse in ogni caso le at-tività svolte in strutture alberghiere e paral-berghiere”. In merito alle condizioni di noncommercialità, si ribadisce il concetto digratuità delle prestazioni o la richiesta di uncorrispettivo simbolico o che non superidel 50% prezzi praticati dal mercato nellostesso ambito territoriale.

- Per le attivi tà cultural i , ricreative esportive si richiede, anche qui, la gratuitàdelle prestazioni effettuate dall’ente o ri-chieste di corrispettivi simbolici o che co-munque non superino il 50% dei prezzi pra-ticati dal mercato nello stesso ambito terri-toriale.

Numerosi i dubbi sol levati su questedisposizioni . Molto interessante l’analisidi Carlo Mazzini, pubblicata il 24 novembre2012 sul suo sito www.quinonprofit.it, allaquale si rinvia, nella quale l’Autore rileva,giustamente, anzitutto che il riferimentoall’assenza di scopo di lucro nello statuto,cioè la non distribuzione di utili tra i soci,nulla ha a che fare con la natura commercialedi alcune attività che l’associazione può svol-gere… Condivisibile è anche la perplessitàsul limite ai corrispettivi che l’ente può ri-chiedere per i propri servizi, determinando co-sì la loro configurabilità come commerciali omeno ai fini IMU. I corrispettivi si configu-

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di organizzazioni non governative, associazioni, gruppi diassociazioni e/o cooperative anche tramite l’invio di volontari edi proprio personale nei PVS;

- l’attuazione di interventi specifici per il miglioramento dellacondizione femminile e dell’infanzia, per promuovere losviluppo sociale e culturale della donna con la sua direttapartecipazione ai programmi;

- la promozione e il sostegno al commercio equo e solidale; - iniziative volte a realizzare scambi con i produttori dei Paesi

partner che valorizzano le produzioni autoctone, con particolareriguardo alle coltivazioni biologiche e a basso impattoambientale;

- l’adozione di programmi di riconversione agricola perostacolare la produzione della droga nei Paesi in via disviluppo;

- la promozione di esperienze di microcredito per uno sviluppoendogeno sul lungo periodo;

- la partecipazione a programmi di cooperazione umanitaria, diricostruzione e riabilitazione e a programmi di rafforzamentodei processi di pace e di rafforzamento democratico;

- la promozione e il sostegno di gemellaggi tra istituzioni localifinalizzati a una evoluzione in accordi di cooperazione allosviluppo e partenariato internazionale, nel rispetto della vigentenormativa nazionale;

- la promozione di rapporti di collaborazione tra le associazionidegli immigrati presenti nel proprio territorio e i loro Stati diorigine;

- la promozione di momenti di consultazione e di incontrodell’Amministrazione regionale con i soggetti dellacooperazione e i competenti Organismi e Autorità nazionali,comunitari e internazionali.

Sono ammissibili a contributo le seguenti tipologie di progetti: a) progetti-quadro di durata minima di 1 anno e massima di 3 anni,

di dimensione finanziaria minima di 100.000,00 euro emassima di 150.000,00 euro, nei quali è prevista lapartecipazione di almeno 2 partner presenti sul territorioregionale e almeno due partner presenti sul territorio del Paesebeneficiario dell’intervento;

b) micro-progetti di durata non superiore ad un anno, didimensione finanziaria massima di 50.000,00 euro nei quali èprevista la partecipazione di almeno un partner locale nel Paesebeneficiario dell’intervento, oltre al soggetto proponente.

I progetti sono presentati da un unico soggetto proponente eprevedono che ad ogni partner sia affidata l’esecuzione di partedelle attività previste.Sono ammissibili le seguenti tipologie di spesa:a) spese relative a studi di fattibilità nel limite del 10% del costo

complessivo del progetto, unicamente nell’ipotesi di progettipluriennali. Lo studio di fattibilità deve essere presentatocongiuntamente alla domanda o con la prima relazionequadrimestrale, a pena di inammissibilità della spesa;

b) spese per personale o volontari italiani nel limite massimo del30% del costo complessivo del progetto: rientrano in questavoce anche le spese di viaggio sostenute dal proponente o daipartners per proprio personale o referenti italiani;

c) spese per attività di educazione allo sviluppo esensibilizzazione, nel limite massimo del 10% del costo

REGIONI

FRIULI VENEZIA GIULIA

REGOLAMENTO RECANTE CRITERI E MODALITA PER LA CONCESSIONE DI CONTRIBUTI IN MATERIA DI COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO

Gazzetta Ufficiale Serie Regioni n. 43 del 3 novembre 2012

Con Decreto del Presidente della Regione n. 189 del 18settembre 2012 è stato approvato il regolamento che disciplinacriteri e modalità per la concessione di contributi per iniziativedi cooperazione allo sviluppo in attuazione dell’articolo 4 dellalegge regionale 30 ottobre 2000 n. 19 (Interventi per lapromozione, a livello regionale e locale, delle attività dicooperazione allo sviluppo e partenariato internazionale).Possono beneficiare dei contributi di cui al presenteregolamento i seguenti soggetti: a) Enti locali; b) Istituzioni pubbliche e private, inclusi gli istituti di ricerca e le

associazioni e le istituzioni di rilievo sanitario e culturale; c) Università e loro Consorzi; d) Organizzazioni non governative; e) Organizzazioni di volontariato; f) ONLUS; g) Organizzazioni sindacali e imprenditoriali; h) Associazioni dei corregionali all’estero; i) Associazioni di immigrati. I soggetti beneficiari devono avere la sede legale o una sedeoperativa sul territorio regionale e hanno almeno un anno diesperienza di attività realizzate nei Paesi Terzi. Ogni soggettoproponente può presentare una sola domanda di contributo. Lapartecipazione al progetto di soggetti non inclusi di cui al comma 1o non aventi sede legale o operativa nel territorio regionale èpermessa in qualità di “Partner Associati”. I Partner Associatiandranno individuati nella domanda e il loro contributo dovrà essereindicato nella descrizione del progetto. Gli Associati non possonoaltresì agire in qualità di sub-fornitori nell’attuazione del progetto.Ai sensi dell’articolo 2 della legge regionale 19/2000, sonoammissibili a contributo i progetti riguardanti: - l’elaborazione di studi, la progettazione, la fornitura e

costruzione di impianti, infrastrutture, attrezzature e servizi e larealizzazione di progetti di sviluppo integrati e l’attuazionedelle iniziative anche a carattere finanziario in linea con lalegge regionale 19/2000;

- l’impiego, anche attraverso convenzioni con associazioni ostrutture finanziarie, di personale qualificato con compiti diassistenza tecnica, amministrazione e gestione, valutazione emonitoraggio dell’attività di cooperazione allo sviluppo epartenariato internazionale;

- la formazione professionale e la promozione sociale di cittadinidei Paesi in via di sviluppo, in loco e in Friuli Venezia Giulia,anche al fine di favorirne il rientro nei Paesi di origine, nonchéla formazione di personale residente in Italia destinato asvolgere attività di cooperazione allo sviluppo;

- il sostegno alla realizzazione di progetti e di interventi ad opera

Norme giuridiche e Giurisprudenzan.150

a cura di Alessio Affanni e Sergio Zanarella

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complessivo del progetto. Non sono ammissibili le spese perattività pubblicitarie finalizzate esclusivamente oprevalentemente alla raccolta di fondi;

d) spese generali di gestione del progetto nel limite del 5% delcosto complessivo del progetto;

e) spese per costruzioni, attrezzature, acquisto terreni, lavori,personale locale nel limite del 50% del costo complessivo delprogetto;

f) spese di formazione in loco nel paese partner nel limitemassimo del 30% del costo complessivo del progetto. Perspese di formazione si intendono spese relative allaformazione scolastica di primo e secondo grado eprofessionale.

Sono ammissibili le spese per le attività di progetto sostenutedopo la presentazione della domanda e in ogni caso a partire dalladata di effettivo avvio del progetto.La domanda, predisposta secondo il modello di cui all’allegatoA per i progetti-quadro e di cui all’allegato B per i micro-progetti può essere presentata entro il 31 marzo di ogni anno. La domanda, completa della documentazione richiesta, deveessere sottoscritta in originale, a pena di esclusione, e può esserepresentata a mano o spedita tramite posta ordinaria, corriere olettera raccomandata recante la dicitura “LR 19/2000.DOMANDA DI CONTRIBUTO PER INIZIATIVE DICOOPERAZIONE ALLO SVILUPPO” al Servizio competentein materia di affari internazionali ed integrazione europea. In talcaso la data di presentazione della domanda è determinata daltimbro datario apposto dall’Ufficio protocollo della Direzionecentrale competente. Per le domande presentate a mezzoraccomandata fa fede la data del timbro postale. La domanda può altresì essere inviata tramite posta elettronicacertificata (PEC) in conformità alle norme vigenti in materia. Intal caso, la domanda, sottoscritta con firma digitale a pena diesclusione e corredata dalla documentazione indicata, va inoltrataall’indirizzo di PEC:[email protected] .Il regolamento spiega anche i criteri di valutazione e i punteggiattribuibili ai progetti presentati, le modalità di erogazione deicontributi e le procedure di rendicontazione per i progettifinanziati.Per consultare il regolamento e scaricare la modulistica si puòvisitare il sitohttp://www.regione.fvg.it/rafvg/cms/RAFVG/fondi-europei-fvg-internazionale/cooperazione-sviluppo/FOGLIA11/ .

EMILIA ROMAGNA

MODIFICHE ALLE NORME IN MATERIA DI SERVIZI EDUCATIVI

PER LA PRIMA INFANZIA

Bollettino Ufficiale Emilia Romagna n. 104 del 22. 6. 2012

Con la Legge Regionale n. 6 del 22 giugno 2012 sono statemodificate alcune disposizioni della Legge regionale n. 1 del2000. In particolare si stabilisce che i nidi d’infanzia sono servizieducativi e sociali di interesse pubblico, aperti a tutti i bambini ele bambine in età compresa tra i tre mesi e i tre anni, checoncorrono con le famiglie alla loro crescita e formazione, nelquadro di una politica per la prima infanzia e della garanzia deldiritto all’educazione, nel rispetto dell’identità individuale,culturale e religiosa. I nidi hanno finalità di:

a) formazione e socializzazione dei bambini, nella prospettiva delloro benessere psicofisico e dello sviluppo delle loropotenzialità cognitive, affettive, relazionali e sociali;

b) cura dei bambini che comporti un affidamento continuativo afigure diverse da quelle parentali in un contesto esterno aquello familiare;

c) sostegno alle famiglie nella cura dei figli e nelle scelteeducative.

Si prevede che i soggetti gestori possano individuare moduliorganizzativi e strutturali differenziati rispetto ai tempi di aperturadei servizi e alla loro ricettività, ferma restando l’elaborazione diprogetti pedagogici specifici in rapporto ai diversi moduliorganizzativi. I nidi d’infanzia, anche a tempo parziale,garantiscono i servizi di mensa e di riposo dei bambini.Per quanto riguarda gli altri servizi educativi, al fine di garantire,anche nei luoghi di lavoro, risposte flessibili e differenziate alleesigenze dei bambini e delle famiglie, possono essere istituiti iseguenti servizi educativi per la prima infanzia:a) servizi domiciliari, che privilegiano il rapporto personalizzato

di piccolo gruppo;b) servizi integrativi, che prevedono modalità strutturali,

organizzative e di funzionamento diversificate, perl’accoglienza di bambini, anche accompagnati dai genitori oda altri adulti;

c) servizi sperimentali, per far fronte a emergenti bisogni o inparticolari situazioni sociali e territoriali.

Fanno parte del sistema integrato dell’offerta di tali servizianche le iniziative autonome delle famiglie disponibili a starein rete con i servizi di cui alla presente legge, anche tramite ilcoinvolgimento del coordinatore pedagogico. Le tipologie e lecaratteristiche di questo tipo di servizi saranno definiti condirettiva regionale, nella quale sarà anche stabilita la proceduraper il riconoscimento della sperimentalità dei servizi.Per quanto concerne il sistema integrato e l’offerta diffusa diservizi educativi per la prima infanzia, la legge afferma che inidi d‘infanzia e gli altri servizi educativi, in quanto centrieducativi territoriali, costituiscono il sistema educativo dei serviziper la prima infanzia, con l’obiettivo di garantire una pluralità diofferte, promuovere il confronto tra i genitori e l’elaborazionedella cultura dell‘infanzia, anche attraverso il coinvolgimentodelle famiglie e della comunità locale.La Regione promuove azioni e programmi per la messa in retedei servizi all’infanzia, per la stipula di convenzioni tra comunilimitrofi, in particolare quelli in zona montana, per l’utilizzo degliasili nido e che favoriscano la più ampia scelta di servizi e orari diapertura. La Regione e gli enti locali perseguono l’integrazione tra lediverse tipologie di servizi per la prima infanzia e lacollaborazione tra i soggetti gestori e garantiscono la qualità e lacoerenza del sistema anche attraverso l’omogeneità dei titoli distudio del personale dei servizi, ivi compresi quelli sperimentali.La Regione e gli enti locali promuovono inoltre l’integrazione e lacollaborazione con le università e gli enti di ricerca in materia epromuovono altresì la continuità di tutti i servizi educativi per laprima infanzia con le altre agenzie educative, in particolare con lascuola dell’infanzia, con i servizi culturali, ricreativi, sanitari esociali, secondo principi di coerenza e di integrazione degliinterventi e delle competenze.Nei nidi d’infanzia e nei servizi pubblici e a finanziamentopubblico l’accesso è aperto ai bambini e alle bambine fino ai treanni di età, senza distinzione di sesso, religione, etnia e gruppo

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educativo per la prima infanzia senza avere ottenuto la preventivaautorizzazione al funzionamento, o gestisca un servizio ricreativosenza avere presentato la segnalazione certificata di inizio attività,è soggetto ad una sanzione amministrativa da Euro 2.000,00 aEuro 10.000,00. Entro tali limiti, il regolamento comunalestabilisce la sanzione da applicarsi per la mancanza o la perdita diciascun requisito richiesto. Se la violazione persiste, il Comuneassegna al soggetto gestore un termine per provvedere, trascorsoinutilmente il quale, procede alla sospensione dell’autorizzazioneo all’emanazione del divieto di prosecuzione dell’attività e allachiusura del servizio. Presso ciascun ambito distrettuale socio sanitario, è istituita laCommissione tecnica distrettuale con funzioni istruttorie, asupporto delle funzioni dei comuni.La Commissione ha i seguenti compiti:a) esprime parere obbligatorio in relazione alle richieste di

autorizzazione al funzionamento e di accreditamento deiservizi privati, nonché parere vincolante in relazioneall’accreditamento di servizi pubblici;

b) svolge attività di consulenza a favore dei comuni e degli altrisoggetti interessati in merito alle procedure autorizzatorie e diaccreditamento dei servizi educativi.

La legge stabilisce inoltre che nella predisposizione deglistrumenti di pianificazione urbanistica i comuni programmino ilfabbisogno e individuino le aree da destinare ai servizi per laprima infanzia, che devono essere ubicati in aree accessibili,soleggiate, idonee morfologicamente, adeguatamente protette dafonti di inquinamento, di norma caratterizzate dalla presenza dizone verdi. Nel rispetto dei requisiti fissati dallo Stato per la determinazionedei profili professionali, il funzionamento dei servizi educativiper la prima infanzia è assicurato dal personale educatore e dalpersonale addetto ai servizi generali. L’Assemblea legislativaregionale definisce il rapporto numerico tra personale ebambini all’interno dei servizi domiciliari, integrativi esperimentali, in relazione alle caratteristiche specifiche delservizio offerto.I coordinatori pedagogici hanno il compito di assicurarel’organizzazione del personale e il funzionamento dell’équipe sulversante pedagogico e gestionale. Svolgono, in particolare,compiti di indirizzo e sostegno tecnico al lavoro degli operatori,anche in rapporto alla loro formazione permanente, di promozionee valutazione, nonché di monitoraggio e documentazione delleesperienze, di sperimentazione, di raccordo tra i servizi educativi,sociali e sanitari. Supportano inoltre il personale per quantoriguarda la collaborazione con le famiglie e la comunità locale,anche al fine di promuovere la cultura dell’infanzia e dellagenitorialità, in un’ottica di comunità educante.Ciascuna Provincia istituisce un Coordinamento pedagogicoprovinciale, formato dai coordinatori pedagogici dei servizi perl’infanzia accreditati.

LIGURIA

ACCESSO GRATUITO A INTERNET PER I PAZIENTI DELLE STRUTTURE SANITARIE

Gazzetta Ufficiale Serie Regioni n. 42 del 27 ottobre 2012

Con Legge Regionale n. 25 del 30 luglio 2012 è stato dispostoche le aziende sanitarie e strutture convenzionate pongono a

sociale, anche se di nazionalità straniera o apolidi. Tali servizifavoriscono in particolare l’inserimento dei bambini disabili o insituazione di svantaggio sociale e culturale e promuovono lamulticulturalità.Per quanto attiene all’integrazione dei bambini disabili,nell’ambito di quanto previsto dalla legge regionale 28 luglio2008, n. 14 (Norme in materia di politiche per le giovanigenerazioni) e, in particolare, dall’articolo 26 (Bambini eadolescenti disabili), i servizi educativi per la prima infanziagarantiscono il diritto all’integrazione dei bambini disabili,nonché di bambini in situazione di disagio relazionale e socioculturale, anche per prevenire ogni forma di svantaggio e diemarginazione.I servizi educativi per la prima infanzia, le aziende USL e icomuni individuano forme specifiche di collaborazione al fine digarantire la piena integrazione dei bambini disabili e con disagiosocio-culturale e di realizzare interventi di educazione alla salute.La Giunta regionale, ai fini dell’attuazione del programma,assegna alle province i contributi per il riparto e le risorse per ilsostegno contributivo ai coordinamenti pedagogici provinciali. Ifondi regionali per spese di investimento relativi a interventi dimanutenzione straordinaria, nuova costruzione, acquisto, restauroe risanamento conservativo, ristrutturazione edilizia, ripristinotipologico di edifici da destinare a servizi educativi per la primainfanzia, nonché arredo degli stessi, sono erogati dalle province:a) ai comuni e agli altri soggetti gestori pubblici, sentito, per

questi ultimi, il comune interessato;b) a soggetti privati, sentito il comune interessato.Gli edifici da ristrutturare o le aree sulle quali costruiredevono risultare, all’atto della concessione del contributo, inproprietà, oppure in diritto di superficie, o in comodato d’uso,o in concessione dei richiedenti l’ammissione a contributo, conscadenza non antecedente al termine del vincolo di destinazione.I finanziamenti concessi ai soggetti gestori privati sono revocatise i relativi servizi non ottengono l’autorizzazione alfunzionamento entro il termine stabilito dal Comune, oppure sel’autorizzazione è revocata.Nell’ambito dei programmi provinciali i fondi regionali perspese correnti sono erogati dalle province ai soggetti gestori,singoli o associati, per la gestione e la qualificazione dei servizi,il sostegno a figure di coordinamento pedagogico, laformazione degli operatori e degli stessi coordinatoripedagogici, nonché per la realizzazione di servizisperimentali.La Giunta regionale, con proprio atto, determinerà le modalità e leprocedure per la concessione di tali fondi.La legge parla anche del sistema informativo sui servizieducativi per la prima infanzia. La Regione, gli enti locali e isoggetti gestori dei servizi per la prima infanzia, sono infattitenuti a fornirsi reciprocamente e a richiesta informazioni, datistatistici ed ogni altro elemento utile allo sviluppo del sistemaeducativo integrato, anche ai fini dell’implementazione dellebanche dati statali, nel rispetto della protezione dei dati personali.Vengono istituiti i Registri provinciali dei servizi per la primainfanzia. Presso ciascuna Provincia vengono infatti istituiti iregistri dei servizi educativi per la prima infanzia autorizzati,accreditati, e dei servizi ricreativi attivati mediante segnalazionecertificata d’inizio attività. L’elenco dei servizi registrati a livelloprovinciale è pubblicato annualmente sul Bollettino UfficialeTelematico della Regione (BURERT).Stabilite anche le sanzioni. Chiunque, infatti, eroghi un servizio

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TRENTINO-ALTO ADIGE - PROVINCIA DI TRENTO

INTERVENTI A SOSTEGNO DEL SISTEMA ECONOMICO E DELLE FAMIGLIE

Supplemento straordinario n. 2 al Bollettino Ufficiale regionale n. 20 del 17 maggio 2012

Con Legge Provinciale n. 9 del 16 maggio 2012, la Provincia diTrento per l’anno 2012 ha istituito un fondo da destinare adinterventi volti al sostegno del potere d’acquisto dei nucleifamiliari che si trovano in difficoltà a seguito della situazionedi crisi economico-finanziaria del Paese e della conseguenteriduzione dei redditi familiari.A tale fine la Provincia può concedere un contributo ai nucleifamiliari la cui condizione economico-patrimoniale risultainferiore alla soglia determinata con deliberazione della Giuntaprovinciale, sentita la competente commissione permanente delConsiglio provinciale, che si esprime entro dieci giorni dallarichiesta. La somma è concessa a un solo componente per nucleo familiaree può essere diversificata, rispetto ai beneficiari, anche inrelazione alla composizione del nucleo familiare e all’eventualenascita di un figlio verificatasi nell’anno antecedente alla data diadozione della deliberazione e all’impatto di fattori che hannodeterminato la riduzione del potere d’acquisto.Con deliberazione della Giunta provinciale, sentita la competentecommissione permanente del Consiglio provinciale che siesprime entro dieci giorni dalla richiesta, sono stabiliti condizioni,criteri e modalità per l’attuazione di quest’articolo, comprese lemodalità per l’erogazione del contributo. Le funzioni e i compiti per l’attuazione di quest’articolo possonoessere affidati dalla medesima deliberazione alle agenzie o aglienti strumentali previsti.

VENETO

PROMOZIONE DEI DIRITTI ETICI E DELLA VITA NELLE STRUTTURE SANITARIE ESOCIO-SANITARIE

Gazzetta Ufficiale Serie Regioni n. 40 del 13 ottobre 2012

Pubblicata la Legge Regionale n. 27 del 27 luglio 2012, con cui laRegione del Veneto promuove e garantisce nelle strutturesanitarie e socio−sanitarie e nei consultori la diffusione e ladivulgazione dell’informazione sui diritti dei cittadini conriferimento alle questioni etiche e della vita, riconoscendo a tuttele associazioni, pari opportunità di comunicazione. Per le finalità citate e nel rispetto della privacy, la Giuntaregionale, sentita la commissione consiliare competente inmateria socio−sanitaria, entro novanta giorni dall’entrata invigore della presente legge, individuerà con regolamento lemodalità di diffusione e di divulgazione da parte delleassociazioni di volontariato, iscritte nell’albo regionale oriconosciute a livello nazionale.

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disposizione, a titolo gratuito, dei pazienti ivi ospitati, ancheper periodi di tempo non superiori a un giorno, le connessioniinternet senza fili (connessioni wireless) di cui sono dotate, aqualunque titolo, anche se tali connessioni hanno ampiezza soloparziale rispetto all’estensione della struttura stessa. Le struttureche dispongono di connessioni wireless utilizzabili dai pazienti aisensi della presente legge continuano ad avere la facoltà diistituire anche connessioni wireless distinte e riservate alpersonale.La connessione da parte dei pazienti si attua mediante proceduradi accreditamento.L’accreditamento è rilasciato su richiesta del paziente con lemodalità stabilite da apposito regolamento di disciplinaall’accesso alle connessioni internet senza fili che verrà emanatodalla Giunta regionale entro sei mesi dalla pubblicazione dellapresente legge. L’accreditamento può essere negato o revocato inogni momento.

PIEMONTE

PROMOZIONE DEL RICONOSCIMENTODELLA LINGUA DEI SEGNI ITALIANA (LIS)

Bollettino Ufficiale Regione Piemonte n. 31 del 2 agosto 2012

Con Legge regionale n. 9 del 30 luglio 2012 sono statepubblicate disposizioni per la promozione del riconoscimentodella lingua dei segni italiana e per la piena partecipazione dellepersone sorde alla vita collettiva. La Regione Piemonte, nelgarantire la piena integrazione delle persone sorde mediante ilsostegno di tutte le iniziative utili a favorire l’acquisizione daparte loro della lingua orale e scritta, promuove altresìl’acquisizione e l’uso della LIS.Nel favorire la ricerca e garantire l’utilizzo delle tecnologiedisponibili per il recupero delle capacità uditive, la Regione:a) promuove l’applicazione dell’impianto cocleare o di altre

tecnologie disponibili;b) agevola il supporto formativo delle persone sia impiantate sia

protesizzate, così come l’insegnamento della LIS nelle scuoleprimarie e secondarie, anche attraverso attività di sostegno eservizi specialistici, al fine di rendere effettivo per i sordil’adempimento dell’obbligo scolastico e il perseguimentodelle successive scelte di istruzione, ferma restandol’autonomia delle istituzioni scolastiche;

c) prevede la facoltà per gli enti locali di utilizzare la LIS neirapporti con le pubbliche amministrazioni;

d) sostiene forme di collaborazione con associazioni e istituticulturali e universitari volte ad incrementare l’uso della LIS;

e) promuove e attua, d’intesa con le emittenti pubbliche e private,trasmissioni televisive con traduzione simultanea nella LIS epromuove la realizzazione di trasmissioni fornite di adeguatasottotitolazione.

Nell’ambito di queste finalità, la Giunta regionale, sentita lacommissione consiliare competente, emanerà un appositoregolamento contenente le disposizioni per l’attuazione degliinterventi previsti.

Page 23: Nuova Proposta gennaio febbraio 2013

QUOTE NAZIONALIVal i de per: Val l e d’Ao s ta, Fri ul i Venezi aGi ul i a, Trenti no Al to Adi g e, Emi l i a Ro ma-g na, Umbri a, Marche, Lazi o , Abruzzo , Mo l i -s e, Campani a, Pug l i a, Bas i l i cata, Si ci l i a,Sardeg na• Scuole materne, euro 50• Istituti fino a 50 assistiti, euro 130• Istituti da 50 a 100 assistiti, euro 165• Istituti da 100 a 200 assistiti, euro 270• Istituti con oltre 200 assistiti, euro 320• Sostenitori, euro 600Le quote possono essere versate con una di queste mo-dalità:• sul conto corrente postale 18680009 intestato a

Uneba - Via Gioberti, 60 - 00185 Roma, utilizzandobollettini postali o con bonifico postale. CodiceIban: IT 45 Z 07601 03200 000018680009

• sul conto corrente bancario presso Credito Valtelli-nese, ag.14 di Roma, intestato a Uneba. CodiceIban: IT40D0521603214000000081783.

Si racco manda, al mo ment o del p ag ament o ,di s p eci fi care ci t t à e p ro v i nci a i n cui ha s edei l v o s t ro ent e, o nde ev i t are di s g ui di do v ut i acas i di ent i co n l o s t es s o no me.

QUOTE REGIONE LIGURIA (comprensive della quota nazionale)• Scuole materne, euro 80• Istituti fino a 50 assistiti, euro 230 • Istituti da 50 a 100 assistiti, euro 265• Istituti da 100 a 200 assistiti, euro 470• Istituti con oltre 200 assistiti, euro 540• Sostenitori, euro 850Le quote devono essere versate sul conto corrente posta-le 43151281 intestato a Uneba - Via Pisa, 9/1 - 16146Genova. Per informazioni: [email protected]

QUOTE REGIONE CALABRIA. La quo ta reg i o nal e annua è da s o mmare al l aquo ta nazi o nal e.• per enti che erogano servizi a carattere sociale: euro

5 a posto letto• per enti che erogano servizi a carattere sociosanita-

rio: euro 10 a posto letto• per enti e associazioni di volontariato: 100 euroLe quote devono essere versate sul conto corrente banca-rio presso Banca Popolare del Mezzogiorno, agenzia diSanta Maria, interessato a Federazione regionale UnebaCalabria, Iban IT56B0525604401000000926170.E’ possibile versare assieme quota nazionale equota regionale a Uneba Calabria, specificandolonella causale. Per informazioni: Massimo Torre-

grossa, segreteria Uneba Calabria,mtorregrossa@betania. it , 0961 763169

QUOTE REGIONE LOMBARDIA (comprensive della quota nazionale)• Scuole materne, euro 90• Istituti per minori con meno di 50

assistiti, euro 200• Istituti con meno di 50 assistiti, eu-

ro 430

• Istituti da 50 a 100 assistiti, euro 470• Istituti da 101 a 200 assistiti, euro 750• Istituti con oltre 200 assistiti, euro 950• Sostenitori, euro 1400Le quote possono essere versate con una di queste mo-dalità:• sul conto corrente postale 17738204 intestato a

Uneba - Piazza Fontana, 2 - 20122 Milano• sul conto corrente bancario intestato a Uneba Lom-

bardia presso Credito Artigiano, agenzia di via Lar-ga 7, Milano. Codice Iban: IT 45 X0351201602000000088126

Per informazioni rivolgersi alla segreteria di UnebaLombardia, aperta da lunedì a venerdì dalle 9 alle 13.Tel. 02.7200.20.18 - 02.8556.361 fax02.8556.361, [email protected]

QUOTE REGIONE PIEMONTE (comprensive della quota nazionale)• Scuole materne, euro 80• Istituti con meno di 50 assistiti, euro 220• Istituti da 50 a 100 assistiti, euro 280• Istituti da 101 a 200 assistiti, euro 450• Istituti con oltre 200 assistiti, euro 550• Sostenitori, euro 1200Le quote devono essere versate sul conto corrente po-stale 97389514 intestato a Uneba – Ass. Prov. TO –via San Giuseppe Benedetto Cottolengo 14 - 10152 -Torino. Iban: IT55V0760101000000097389514 .Per informazioni contattare Uneba Piemonte: 0115225560, [email protected]

QUOTE REGIONE TOSCANA (comprensive della quota nazionale)• Scuole materne, euro 55• Istituti fino a 50 assistiti, euro 150• Istituti da 50 a 100 assistiti, euro 185• Istituti da 100 a 200 assistiti, euro 290• Istituti con oltre 200 assistiti, euro 340• Sostenitori, euro 650Le quote devono essere versate sul conto correntedell’UNEBA nazionale – Roma.

QUOTE REGIONE VENETO (comprensive della quota nazionale)Per chi si iscrive per il primo anno a Uneba Veneto lequote sono ridotte del 50%.• Istituti con meno di 50 assistiti, euro 410. I° anno

di iscrizione a Uneba Veneto: euro 205• Istituti da 50 a 99 assistiti, euro 765. I° anno: euro

382,5• Istituti da 100 a 199 assistiti, euro 1170. I° anno:

euro 585• Istituti oltre i 200 assistiti, euro 1520 . I° anno: eu-

ro 760• Sostenitore, da euro 2500Le quote di iscrizione vanno versate con bonificobancario a favore di Uneba- Federazione RegionaleVeneto, Codice IBAN: IT 28 E033 5901 6001 00000001 599 c/o Banca Prossima; causale: iscrizioneUneba 2013.Su www.uneba.org troverete la scheda di iscrizione,da inviare, assieme a copia dell’avvenuto bonifico,a [email protected] o al fax 049.6683013.

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Quote adesione unebaanno 2013

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Da ciò che vuoi conoscere

e misurare devi prendere congedo,

almeno per un certo tempo.

Solo quando avrai lasciato la città

potrai vedere quanto alte

si ergono le sue torri sopra le case.

Friederich Wilhelm Nietzsche

Bollettino ufficiale dell’UNEBA - Unione Nazionale Istituzioni e Iniziative di Assistenza SocialeDirettore Responsabile: MAURIZIO GIORDANORedazione ed Amministrazione: 00185 Roma - Via Gioberti, 60 - Tel. 065943091 - Fax 0659602303e - mail: [email protected] - sito internet: www.uneba.orgAutorizzazione del Tribunale di Roma N. 88 del 21/2/1991Progetto e realizzazione grafica: www.fabiodesimone.itStampa: Consorzio AGE Arti Grafiche Europa - Roma

Il giornale è inviato gratuitamente agli associati dell’UNEBAFinito di stampare nel dicembre 2012

Questa pagina vuole essere un “colpo d’ala”, cioè una proposta per un momento di riflessione.

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