Numero 14

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FA Cup 1997: il sogno di Chesterfield - I saints e quel giorno di maggio - Joe Fagan - Viaggi: Chester - Libri: Our club, our rules

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EDITORIALE Cari amici d’oltremanica,

Chester, Liverpool, Glasgow, Southampton e Manchester, sono queste le città chiave del nostro nuovo numero della cara fanzine che ci accompagna come di consueto alla scoperta della Gran Bretagna calcistica e non. La prima, la ritroveremo per ben due volte: parlaremo prima della cavalcata del Chesterfield nella FA Cup del 1997, una storia tutta da ripercorrere. Apriremo un focus poi sulla città di Chester, una delle più graziose dell’Inghilterra, grazie alla testimonianza diretta del nostro caro amico Conor. La protagonista in vetrina questo mese per quanto riguarda la conquista della FA Cup a Wembley è il Southampton, che batte lo United nel vecchio Wembley nel 1974. Liverpool? E’ da sempre una città densa di significati per il calcio inglese, e al suo nome è legata anche una delle sue grandi figure: il manager Joe Fagan, che portò i reds alla conquista della Coppa dei Campioni del 1984 all’Olimpico contro la Roma, e alla purtroppo triste pagina dell’Heysel l’anno successivo. La ferrovia Liverpool-Manchester è storicamente la più antica del mondo, la percorreremo per scoprire come i tifosi dello United, in contestazione con la proprietà Glazer, abbiano creato la loro personalissima “United of Manchester”, raccontata nel libro di Pete Crowther. Nel mezzo, un’escursione in Scozia per ammirare uno dei più importanti stadi d’Europa, l’Ibrox, casa di lungo corso dei Rangers. Buona lettura

BritishStyle

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INDICE

p. 4 - FA CUP 1997: IL SOGNO DI CHESTERFIELD p. 8 - I SAINTS E QUEL POMERIGGIO DI MAGGIO p. 10 - JOE FAGAN p. 14 - STADI: IBROX p. 16 - VIAGGI NELLE ISOLE BRITANNICHE: CHESTER p. 18 - LIBRI: OUR CLUB OUR RULES

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FA CUP 1997: IL SOGNO DI CHESTERFIELD

Se cercate il cuore dell'Inghilterra, troverete Chesterfield. La storica città anglosassone di Chesterfield

Peak District, il parco nazionale più antico della Gran Bretagna, dove il panorama più marcatamente

cittadino sfuma nelle immense distese di verde della campagna e dove la storia di duchi e duchesse si

mescola a quella leggendaria del vicino Nottinghamshire di Robin Hood.

E’ questa una parte di Gran Bretagna molto diversa da quella che probabilmente ci si aspetta avendo

come punti di riferimento le grandi metropoli inglesi. Per immaginarsela basta aver presente qualche

pagina del romanzo di Emily Bronte, Cime Tempestose, là dove l’autrice descrive con dovizia di particolari

paesaggi spianati nell’orizzonte pianeggiante e crinali spazzati dal vento.

Grandi spazi aperti, dunque, con una

natura che sovrasta architetture e

circonda strade asfaltate, questa è

l’impronta definitiva del Derbyshire - Peak

District, regione di confine dell’East

Midlands britannico, dove si trova

Chesterfield. E’ quasi scontato iniziare a

parlare della città citando quel curioso

monumento che la simboleggia, noto

come “Crooked Spire”, in gergo “twister”,

il più fotografato e il più chiacchierato.

Ma tant’è. Questa specie di torre in cima

al campanile della Chiesa di Saint Mary

and all Saints ha una inedita forma ricurva e avvolgente, che ha dato adito a svariate interpretazioni tra

lo scientifico e il folkloristico, non ultima quella che attribuisce il merito o la colpa al Diavolo in

persona...A Chesterfield il rito del tè viene preso molto seriamente, e per questo non sarete mai lontani

da una sala dove poter gustare un'ottima tazza della bevanda nazionale. Come per esempio all' Hobb’s

Cafe, dove potrete riscaldarvi le mani di fronte a un caminetto scoppiettante, oppure avvolgendole

attorno a una grande tazza di tè bollente. Questo delizioso caffè si trova affacciato sulla Valle di Monsal e

sull'elegante viadotto, così potrete anche rilassarvi osservando uno splendido panorama.

Forse gli appassionati bibliofili preferiranno la Music Room della libreria Scarthin Books, con i comodi

tavolini e le pareti ricoperte degli oggetti più disparati, dalle mappe antiche a un paio di corna di cervo.

Ma naturalmente, se sarete immersi nella lettura del vostro romanzo preferito, forse non vi accorgerete

di nulla. Ma di certo non potrete non notare gli scones biologici con la frutta secca o la deliziosa torta alla

polenta e limone, che meritano senza dubbio la massima attenzione.

E nel frattempo, se avete voglia di ascoltare della musica mentre sorbite la vostra tazza di tè, provate da

Old Smithy, ai confini della tenuta di Chatsworth. Anticamente l'edificio ospitava l'officina di un fabbro,

ma oggi è stato trasformato in un rinomato caffè. E oggi, in luogo del rumore della ferratura dei cavalli,

sentirete solo il tintinnio delle tazze di porcellana, accompagnato dalle note del gruppo musicale

'Smithy’s Brew Folk Club', che si esibisce regolarmente nel locale.

Ma il nome di Chesterfield in Gran Bretagna è noto soprattutto per il più grande mercato all’aperto che vi

si svolge ogni lunedì, venerdì e sabato, il Chesterfield Market appunto, di cui si ha notizia storicamente

accertata sin dal 1165. Nei banchi sparsi per tutto il centro storico si può trovare di tutto,

dall’abbigliamento alla gastronomia all’antiquariato.

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Se invece cercate il Chesterfield F.C., avete invece due opzioni. Se, come mi auguro avete un animo

romantico, allora la prima visita obbligatoria è giù in Saltergate, al vecchio Recreation Ground, lo stadio

che, dal 1871, fino a due anni fa ha ospitato le partite interne degli Spireites.

La seconda è nel nuovissimo impianto in Sheffield Road che le odiose regole del calcio moderno hanno

ribatezzato New B2 stadium. Struttura moderna è accogliente, ma senza radici, tanta comodità, e poca

anima. Ma probabilmente era giusto cambiare e ammodernarsi, se poi la scelta è stata dettata da un

referendum fra i tifosi, allora, amen. Forse siamo noi nostalgici che non ci accorgiamo del tempo che

cambia e ci illudiamo che nessuna ruspa possa seppellire i nostri ricordi.

Il Chesterfield è il quarto club più antico d'Inghilterra almeno nelle serie professionistiche; (dopo Notts

County, Nottingham Forest, e Sheffield Wednesday; anche se alcuni ritengono che lo Stoke City sia la

seconda più antica). Il Chesterfield sostiene di essere stato fondato nel 1866. Il primo documento ufficiale

è stato un avviso su un giornale locale messo da parte dai membri del Chesterfield Cricket Club (19

ottobre 1867). La squadra è stata ammessa per la prima volta in un campionato di seconda divisione nel

1899 ed ha assunto questo nome dal 1919 eliminando di fatto l'appellativo “Town” .

Gli spireites hanno trascorso la maggior parte della loro storia in basse divisioni e non hanno ma

raggiunto la massima serie. Il più importante risultato è stato raggiunto nel 1997, quando raggiunse una

clamorosa semifinale di FA Cup contro il Middlesbrough. Un

traguardo storico solo se si considera che l'ultima volta che una

squadra non partente dal terzo turno era arrivata a disputare una

semifinale fu il Plymouth Argyle nel 1984, eliminato poi dal

frizzante Watford di Peter Taylor e Elton John. Uno degli artefici

dell'impresa fu senza dubbio il manager scozzese John Duncan che

prese, (anzi sarebbe meglio dire riprese visto che aveva già guidato

il club dal 1983 al 1987) le redini della squadra nel 1993. E solo

dopo due anni il Chesterfield conquistò la promozione in second

division attraverso le emozioni dei play off's. Fu il preludio alla

grande giornata, a quel 14 aprile 1997 che vide quasi 30000 tifosi

in blu arrivare all' Old Trafford di Manchester. Per sostenere i loro

beniamini. Per battere il Middlesbrough dei campioni di Brian Robson, e per sognare Wembley. Il sogno

era cominciato come il romanzo più famoso di Mary Shelley, ovvero in “in una fredda e grigia sera di

novembre” quando al Recreation Ground al primo turno di FA Cup si presentò un agguerrito Bury deciso

a vendere cara la pelle. Servì un goal di testa del centrale Williams susseguente a un calcio d'angolo per

superare l'ostacolo e aspettare il sorteggio successivo che disse Scarborough, e, per fortuna, ancora nello

stadio di casa. Su un terreno visibilmente allentato dalla pioggia uno splendido pallonetto di Kevin

Davies, e un astuzia di Holland, che approfittò di uno sbandamento della difesa ospite siglando il 2-0

finale, inserì il Chesterfield nella nobile urna del turzo turno. La sorte fu ancora benevola per gli uomini di

Duncan. L'avversario non era di quelli di grande richiamo ma per lo meno le possibilità di andare avanti

c'erano tutte. Il 14 gennaio 1997 a Chesterfield arriva il Bristol City. Nel primo tempo un contropiede dei

padroni di casa interrotto da un fallo all' limite dell' area lascia i robins in 10 uomini. Nella ripresa una

doppietta di Jonathan Howard farà letteralmente esplodere di entusiasmo il pubblico accorso a

Saltergate. Il quarto turno dice Burnden park, la tana del Bolton Wanderers. E qui bisogna aprire una

parentesi. Digressione necessaria perché sarà la serata di Kevin Cyril Davies. Nato nel 1977 a Sheffield

tira i suoi primi calci a un pallone con la maglia dello Sheffield United, poi a 15 anni lascia le “Blades” e la

città dell'acciaio per trasferirsi a Chesterfield. Biondiccio, scaltro, istrionico quanto basta. Ai tempi di

Charles Dickens si sarebbe confuso benissimo fra i personaggi di Oliver Twist. Scarpe bucate, risse, e

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fughe. Ma il suo romanzo è l'area di rigore. Quella sera a Bolton, manderà completamente in tilt la difesa

dei “Trotters”mettendo a segno una tripletta variegata per stile d'esecuzione, che aprirà ai suoi l'accesso

agli ottavi di finale. Per la cronaca l'incontro terminerà 3-2 per il Chesterfield. Il quinto turno se non è

proprio un derby, vi assomiglia molto. A Saltergate arriva un nome di grido, una squadra che ha fatto la

storia in Inghilterra e sopratutto in Europa. Arriva il Nottingham Forest. C'e un bel sole su Chesterfield.

Nel Forest giocano gente del calibro di Dean Saunders e Brian Roy, mentre in panchina ringhia Stuart

Pearce. Ma gli Spireites, non si lasciano intimorire. Lasciano l'iniziativa agli ospiti, e appena possono

colpiscono con micidiali contropiedi. E infatti in avvio di ripresa Mark Crossley, il portiere del Forest è

costretto ad atterrare in piena area di rigore il lanciatissimo Holland. Dal dischetto Tom Curtis angola

splendidamente per l' 1-0, che sarà anche il risultato finale. Il sorteggio successivo per il sesto turno

confermerà il trend fortunato per i ragazzi di Duncan. Il sogno della semifinale se lo giocheranno ancora

in casa contro un avversario decisamente alla loro portata. Il 9 marzo 1997 si gioca Chesterfield-

Wrexham, in un clima visibilmente eccitato e con una folta rappresentanza di tifosi gallesi, anche loro alla

ricerca di un giorno di gloria. E se sono gli eroi che si procurano la gloria, quel giorno è Chris Beaumont

che sale l'olimpo del calcio inglese. Al 58° del secondo tempo soffia furbescamente un pallone alla difesa

del Wrexham alzando una parabola che si insacca dolcemente in rete fra il giubilo generale. Beaumont

avrebbe nei piedi anche la palla del raddoppio ma stavolta il palo gli dirà di no. Duncan esulta in

panchina, assomiglia a un Harry Potter attempato. La sua bacchetta magica funziona alla meraviglia. Il

Chesterfield vola in semifinale. Ad attenderlo in un Old Trafford che si preannuncia esaurito ci sarà il

“Boro” dei campioni. L' “attendance” ufficiale dichiarerà 49640 presenze. Due macchie di colore distinte

e entusiaste. E' il 13 aprile 1997. Chesterfield è deserta. Si va in campo così:

Chesterfield (4-4-2): Mercer; Hewitt, Williams, Dyche, Jules; Howard, Curtis, Holland, Perkins, Morris,

Davies. Substitute Carr, Leaning, Beaumont.

Middlesbrough (4-3-2-1): Roberts; Fleming, Festa, Vickers, Kinder; Hignett, Emerson, Mustoe; Juninho,

Beck, Ravanelli. Substitute Blackmore, Whyte, Campbell.

Referee: D Elleray (Harrow-on-the-Hill).

Sulla carta non dovrebbe esserci partita. Il Middlesbrough è una squadra ricca che può permettersi

campioni affermati. C'e “Silver Fox” Fabrizio Ravanelli fresco reduce della vittoria in Champions League

con la Juventus di Lippi, c'è il brasiliano Juninho, biondo, piccolo, quasi gracile, ma pieno di estro, finte,

percussioni letali. C'è il suo

connazionale di colore

Emerson, uno scorcio di 700

adagiato su botti di rum in

una taverna del mar delle

Antille, ma non siamo su un

brigantino diretto in

Giamaica, siamo su un

campo di calcio. E lui

nonostante la stazza è agile

e preciso, e in mezzo al

campo si fa sentire. C'è

Gianluca Festa proveniente

dall'Inter. Tenace e

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orgoglioso come tutti i sardi. Sembra un ufficiale pensieroso delle guerre del risorgimento italiano. In

realtà lontano da facili metafore, un ottimo e poderoso difensore. Il primo tempo si chiude sullo 0-0 ma

ci saranno due episodi significativi. Il primo è l'espulsione di Kinder per doppia ammonizione, il secondo

un salvataggio sulla linea dei difensori del Chesterfield. Con l'uomo in più gli Spireites guadagnano fiducia

e nella seconda parte di gara arrivano i fuochi d'artificio. Ad aprire le marcature sarà Morris al 54° che si

ritrova nei piedi un pallone con su scritto “spingere” frutto di un precedente tiro di Davies che Roberts

smorza ma non allontana. 1-0. Sull'onda dell'entusiasmo Morris è incontenibile. Sfugge di forza ai centrali

del Boro e Roberts lo stende platealmente. Elleray dice che è calcio di rigore. A trasformarlo è il capitano

Sean Dyche. Faccia da duro, testa calva, pare fuoriuscito dalla guerra dei cent'anni, compagno di sbronze

e saccheggi nei villaggi francesi. 2-0. A Duncan cadono gli occhiali mentre esulta. Sembra fatta. Non lo è.

Il Middlesbrough reagisce, e il Chesterfield incredibilmente viene rimontato. Prima Ravanelli, poi Hignett

su rigore portano l'incontro ai tempi supplementari. Ma fra la rete di di Ravanelli e il pareggio ci sarà un

episodio che sarà ricordato. Un tiro a botta sicura di Davies che sbatte violentemente sulla traversa e

rimbalza dentro la linea di porta. Ma l'arbitro e i suoi assistenti non vedono, o non vogliono vedere. E

allora arriva l'ulteriore punizione che sa tanto di beffa. Dopo 10 minuti Gianluca Festa sembrerà chiudere

i conti e ristabilire le impazzite gerarchie del calcio inglese. Un goal, quello del 3-2 che avrebbe spezzato

le gambe a chiunque. I tifosi in rosso cantano “Que sera sera, whatever will be, will be, We're going to

Wem- ber-ley Que sera, sera! Ma la dea fortuna non ha ancora abbandonato del tutto il Chesterfield. C'é

ancora un lembo della sua tunica che sfiora la testa di John Hewitt a un minuto dal termine del match. Il

suo colpo di testa sul lancio disperato di Beaumont è una preghiera che si insacca nell' angolino alto alla

sinistra di un Roberts incredulo. Tre a tre. La favola del piccolo Chesterfield non è finita. Ma nel replay

giocato a Hillsborough, questa volta il Middlesbrough non farà sconti. Finirà 3-0. Beck, Ravanelli,

Emerson. Il Boro va a Londra a giocarsi la finale di FA Cup contro il Chelsea, ma dovrà inchinarsi per 2-0 ai

blu di Stamford Bridge.

Sir Simon

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I SAINTS E QUEL POMERIGGIO DI MAGGIO Dicembre 1973, Southampton. Il manager del team locale, il Southampton, Ted Bates dopo otto anni alla guida della squadra, che ha portato anche alla qualificazione alla Coppa delle Fiere, si dimette e viene sostituito da Lawrie McMenemy, che subito fa retrocedere i Santi l'anno dopo insieme a Manchester United e Norwich City. Il secondo anno con il tecnico di Gateshead alla guida del club del Sud dell'Inghilterra si rivela subito molto incoraggiante: la squadra gioca un bel calcio, si trova in zona play-off e, nonostante l'età avanzata di molti giocatori, avanza in modo incredibile nella principale coppa inglese, la FA Cup. I Saints eliminano al replay l'Aston Villa, che di li a 5 anni avrebbero vinto la Champions League, il Blackpool, Il West Bromwich Albion sempre al replay e il Bradford City al sesto turno. Già arrivare alle semifinali per una squadra di Seconda Divisione voleva dire molto, in città si respirava un'aria di gioia e di felicità mai vista e i giocatori giocavano sempre meglio. Arrivati alla semifinale, a Stamford Bridge (stadio del Chelsea, a Londra), sfidarono il Crystal Palace che militava in Prima Divisione e vinsero 2-0, in maniera meritata costruendo un vero fortino davanti alla difesa e ripartendo sempre in modo eccelso in contropiede. Contemporaneamente anche il Manchester United, guidato da Tommy Docherty, aveva eliminato il Derby County a Sheffield e la squadra di McMenemy si apprestava a sfidare una delle pretendenti al titolo d'Inghilterra in una sfida impossibile da pronosticare all'inizio della stagione. Eppure era così, strano il calcio.

Finale: in uno stadio Wembley pienissimo i Saints partono, ovviamente, con tutti gli sfavori del pronostico. C'era addirittura qualcuno che ipotizzava il risultato finale tennistico per lo United, ma gli uomini in rosso guidati da capitan Peter Rodrigues non si persero d'animo ed entrarono in campo senza nulla da perdere, con la soddisfazione di arrivare alla finale giocando in Serie B. Il Manchester United tirava molto con i suoi attaccanti ma le parate di Turner tenevano ancora a galla il Southampton aumentarono la vivacità degli ospiti grazie anche ad un ottimo Channon. Nel finale lo United va vicino al goal due volte su calcio d'angolo ma un passaggio lungo di Mc Calliog lancia Stokes

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verso la porta dei Red Devils che di prima intenzione coglie di sorpresa Stepney. Goal dei Saints, goal dei Saints. Incredibile!! Esplode la gioia dei sostenitori giunti dal Sud e tutti saltano, si abbracciano e cantano "When the Saints Go Marching In". I giocatori non ci credono neanche: stanno vincendo la finale di FA Cup a Wembley contro il Manchester United. Sì, il Manchester United. Passano 7 minuti, lunghi per i tifosi dei Saints e tremendi per quelli dello United, e Clive Thomas fischia la fine dell'incontro. Il Southampton ha vinto la FA Cup, ha sovvertito tutti i pronostici, da squadra di Serie B a campione in carica della FA Cup. Dopo una decina di minuti di festeggiamenti con i tifosi sempre più impazziti di gioia e l'eroe Stokes corre e saluta tutti, come se fosse Natale. Poi arriva il momento storico: la regina Elisabetta II premia il capitano dei Saints, Rodrigues, e la vittoria di questo pomeriggio di Maggio entra nella storia del calcio inglese. Una squadra di Seconda Divisione vince la principale coppa nazionale contro una delle squadre più titolate d'Inghilterra. Questo è il calcio. Lunga vita al calcio.

Gio

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JOE FAGAN

Nacque a Liverpool il 12 Marzo 1921. Visse la sua infanzia nel quartiere di

Litherland, seguendo dal vivo le gesta di entrambe le squadre cittadine, con

una preferenza per i Reds in quanto, a suo dire, il settore riservato ai ragazzi

era migliore ad Anfield che non al Goodison Park.

Frequentò la St Elizabeth Central School, portando la squadra di calcio

dell’istituto alla vittoria nel Daily Dispatch Trophy in 1935. Stopper notevole,

ottimo di testa e difficile da superare palla al piede, dopo il diploma si unì

agli amatori dello Earlstown Bohemians, dove attirò su di sé le attenzioni di

diversi club. Nonostante avesse ricevuto un’offerta dal Liverpool, optò alla

fine per il Manchester City, che lo mise sotto contratto nell’ottobre del 1938.

Nell’anno successivo l’inizio della Seconda Guerra Mondiale interruppe

bruscamente la carriera di Fagan. In tempo di guerra Joe servì il suo paese in

Marina, il che non gli impedì di giocare, quando possibile, nelle varie leghe sorte in quel periodo.

Finita la guerra, Fagan fece il suo debutto con i Citizens il 1 Gennaio 1947 e nelle successive quattro

stagioni scese in campo 168 volte. A partire dal 1948 fu anche capitano della squadra.

Ormai trentenne, Joe lascio Maine Road nel 1951 per dedicarsi al suo nuovo impiego di ispettore di

gasometri, pur mantenendo un legame con il mondo del calcio come player manager di squadre

amatoriali. Grazie ai buoni uffici di un vecchio commilitone, Fagan arrivò ad Anfield come assistant

trainer nel 1958, con diciotto mesi di anticipo rispetto a Bill Shankly, che lo aveva sempre ammirato come

giocatore ai tempi del Manchester City, quando il manager scozzese era al Grinsby. Dello staff tecnico

Fagan, noto anche come “Uncle Joe”, era la figura più vicina ai giocatori, dei quali – oltre che coach – era

anche consigliere e amico. La sua capacità di esprimere critiche sempre sincere e ragionate lo rendeva del

tutto credibile agli occhi della squadra; d’altra

parte queste critiche erano sempre espresse in

modo calmo e compassato, senza che la

suscettibilità dei giocatori venisse sollecitata. Cio

non toglie che Fagan sapesse anche essere molto

duro quando qualcuno passava il segno, ma solo

pochi sprovveduti ebbero mai a sperimentarne la

versione “cattiva”. Queste capacità umane, unite

alla grande conoscenza del gioco, lo misero fin da

subito in ottima luce all’interno del club.

Fagan fu nominato “first team trainer” nel 1971, per poi essere promosso al ruolo di “chief coach” nel

1974, quando l’inatteso ritiro di Shankly portò ad una totale redistribuzione dei compiti ad Anfield. Nel

1979 Joe salì un altro gradino nella gerarchia della Boot Room, divenendo assistant manager. In questa

veste contribuì enormemente alla piu’ grande messe di successi nella storia del club. E’ noto come, nel

corso della stagione 1981/82, fu proprio Fagan a richiamare all’ordine la squadra: i giocatori passavano il

tempo a interrogarsi sui motivi del loro calo di forma piuttosto che a a concentrarsi su partite e

allenamenti. A fine stagione il Liverpool si laureò Campione di Inghilterra.

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Nell’estate del 1983 Bob Paisley si ritirò e Fagan fu nominato manager. L’ascesa, durata mezzo secolo, era

finalmente completata e Joe si ritrovò alle prese con un compito arduo: mantenere il Liverpool ai più alti

livelli, in patria come in Europa.

La stagione iniziò con una sconfitta contro il Manchester United a Wembley nella Charity Shield. I Reds

vennero meritatamente battuti per 2-0 e nella conferenza stampa del dopo partita Fagan diede una

prima prova di quanto avesse a cuore la tranquillità della squadra, da proteggere ad ogni costo mettendo

avanti la propria faccia e le proprie spalle larghe: invitò i giornalisti ad accusare lui e solo lui, colpevole di

aver sbagliato i tempi delle sostituzioni.

La prima di campionato al Molineux vide il Liverpool pareggiare 1-1 contro il Wolverhampton: era la nona

partita ufficiale consecutiva senza vittorie, la più lunga serie nera dall’inizio dell’era Shankly. La squadra,

ferita nell’orgoglio, reagì da par suo vincendo cinque delle successive sei partite. Il rodaggio poteva dirsi

concluso.

La stagione si concluse con la conquista del Silverware di Campioni d’Inghilterra, conquistato – per la

prima volta nella storia del club di Anfield – per tre stagioni consecutive. Ian Rush mise a segno 32 goal.

Erano 16 anni che un giocatore Red non superava quota 30 reti in campionato: l’ultimo a riuscire

nell’impresa era stato infatti Roger Hunt nel 1965/66. Da segnalare per il centravanti una cinquina inflitta

al Luton Town in ottobre ed una quaterna rifilata al Coventry a maggio. A fine stagione il bottino

complessivo per il gallese fu di ben 47 goal.

L’unica nota negativa della stagione fu la precoce eliminazione dalla FA Cup, ad opera del Brighton al

quarto turno. In compenso arrivò nella bacheca di Anfield la quarta League Cup consecutiva, ottenuta in

una storica finale contro l’Everton. Per la prima volta in 92 anni di storia le due squadre della Merseyside

si trovarono l’una di fronte all’altra nell’atto finale di una competizione. A Wembley finì 0-0; il replay si

disputò al Maine Road di Manchester e vide la vittoria dei Reds per 1-0. La disputa di replay fu una

costante di quell’edizione di League Cup per il Liverpool, che per aggiudicarsi il trofeo dovette giocare

ben 13 partite!

In Europa la vita non fu certo più facile: per ben tre turni gli uomini di Fagan dovettero giocare la partita

di ritorno in trasferta, dopo pareggi o vittorie di misura ottenuti tra le mura amiche. Dopo la facile

eliminazione dei danesi del BK Odense (6-0 il punteggio complessivo) il sorteggio riservò in sorte i baschi

dell’Athletic Bilbao, che all’andata riuscirono a strappare lo 0-0 ad Anfield. Nel ritorno, giocato nella

bolgia infernale del San Mamès, fu Ian Rush a levare le castagne dal fuoco marcando l’1-0 finale e

portando la squadra al turno successivo, dove l’attendeva il Benfica. L’andata fu risolta ancora una volta

dal gallese, il cui goal – unico della gara – non poteva però garantire nulla in vista del ritorno. Davanti agli

oltre 100mila del Da Luz il Liverpool giocò una delle migliori partite della sua storia, vincendo per 3-1.

In semifinale l’urna portò in dote i rumeni della Dinamo Bucarest, mentre dall’altra parte del tabellone si

affrontavano Roma e Dundee United. Sammy Lee garantì ai suoi un altro successo per 1-0 nell’andata in

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casa, risicato quanto prezioso: a Bucarest Fagan impostò la partita all’italiana, difesa d’acciaio e

contropiede fulminanti. Una doppietta di Rush portò il Liverpool alla finale di Roma, da giocare a tutti gli

effetti in trasferta contro i giallorossi di Liedholm.

Prima della finale, come detto, il Liverpool si laureò campione di Inghilterra pareggiando a Nottingham

contro il Notts County. Alla prima stagione da manager Fagan stava seriamente “rischiando” di ottenere

un incredibile Treble, impresa mai riuscita a nessuno fino ad allora in Inghilterra. Rimaneva l’ultimo

scoglio, quello di gran lunga più duro da superare: una finale da giocare nello stadio degli avversari, di

fronte a 60mila tifosi di casa che si apprestavano a vivere il giorno più importante della storia della loro

squadra. A favore dei Reds, 20mila tifosi scesi da Liverpool ed il dolce ricordo della storica vittoria del

1977, ottenuta proprio all’Olimpico contro il Borussia Mönchengladbach. Ora come allora Phil Neal

scrisse il suo nome sul tabellino dei marcatori, portando in vantaggio i Reds. La Roma pareggiò con

Pruzzo ed il punteggio non variò più, nemmeno dopo i due tempi supplementari. Ai rigori il vantaggio

ambientale si ritorse contro i giallorossi, i quali – chiaramente nervosi – sbagliarono due tiri su quattro. Il

rigore decisivo fu insaccato da Alan Kennedy, già match winner a Parigi contro il Real Madrid nel 1981. La

Coppa cosi’ tornava di nuovo sulle rive del Mersey e Fagan conquistava un treble alla sua prima stagione

da manager, entrando fin da subito nell’Olimpo dei Grandi. La festa dei supporters inglesi esplose, per

poi venire funestata, nel corso dell’intera nottata, da gravi scontri con gli ultras romanisti. Al momento

nessuno poteva saperlo, ma quello sarebbe stato solo un piccolo preludio di quanto sarebbe successo a

Bruxelles un anno dopo.

Dopo gli acquisti estivi di Walsh e Mølby, la stagione successiva iniziò esattamente come la precedente:

con una sconfitta nella Charity Shield, patita contro

l’Everton nella rivincita della finale di League Cup. Ad

Anfield nessuno fece drammi: anzi, molti videro la

debacle londinese come un buon auspicio. Non

sapevano che quella che andava ad iniziare sarebbe

stata la stagione più drammatica vissuta dal Liverpool

nei suoi 92 anni di storia. Limitando l’analisi ai risultati

sul campo, si trattò di una stagione mediocre, almeno

tra i patrii confini. In campionato arrivò un secondo

posto che si sarebbe potuto definire onorevole, non

fosse stato per i tredici punti di distacco dai cugini dell

Everton. In League Cup arrivò, ad opera del

Tottenham, la prima sconfitta nella competizione dopo cinque anni. Infine, il cammino in FA Cup si

concluse a Maine Road, nella semifinale contro il Manchester United.

Ogni speranza di successo era quindi affidata a quella che da anni era ormai una sorta di proprietà

privata: la European Cup. Il Liverpool arrivò alla finale di Bruxelles in totale scioltezza, eliminando via via i

polacchi del Lech Poznan, i portoghesi del Benfica, gli autriaci dell’Austria Vienna, per finire con i greci del

Panathinaikos, schiantati per 4-1 ad Anfield nella semifinale di andata e battuti anche in casa loro per 1-

0.

All’Heysel i Reds avrebbero quindi giocato la quinta finale in nove partecipazioni alla Coppa dei

Campioni. Avversaria, la Juventus di Trapattoni e Platini, già vincitrice della Supercoppa Europea proprio

ai danni degli uomini di Fagan. La pura cronaca sportiva narra che la partita, giocata il 29 maggio 1985, si

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concluse con la vittoria degli italiani per 1-0.

Fagan aveva già preso la decisione di abbandonare l’incarico di manager a fine stagione, ma ciò che

successe in terra belga lo distrusse umanamente oltre che professionalmente. Le immagini del manager

claudicante che scende la scaletta dell’aereo di ritorno al Liverpool Speke Airport sostenuto dal suo

grande amico Roy Evans sono tuttora impresse nella mente di milioni di persone.

Dopo il ritiro, Fagan mantenne un profilo molto basso, consapevole che, a dispetto di un incredibile

record di vittorie, per molti egli sarebbe stato ricordato con “il manager dell’Heysel”. Ritornò in visita a

Melwood, in qualche rara occasione, durante l’era di Roy Evans manager.

Fagan morì il 30 giugno del 2001, in tempo per assistere, poche settimane prima, alla conquista da parte

del suo Liverpool del secondo Treble di trofei della sua storia. Un Treble peraltro molto meno nobile di

quello conquistato dai suoi ragazzi in quel magico e lontano 1984.

Cody wan Kenoby

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STADI: IBROX

Ibrox (in origine Ibrox Park) è uno stadio della città britannica di Glasgow, in Scozia. Sede della squadra di calcio dei Rangers (anche noti impropriamente come Glasgow Rangers), si trova nel quartiere di Ibrox, sulla riva meridionale del fiume Clyde. È nel novero dei 25 stadi europei che hanno ricevuto le 5 stelle UEFA, il che ne fa uno degli impianti idonei a ospitare sia le finali di Champions’ League che del Campionato d’Europa UEFA per nazioni, oltre che il terzo stadio di calcio più grande della Scozia, avente una capacità di 51.082 posti a sedere. Lo stadio è aperto alle visite guidate. STORIA: Lo stadio di Ibrox ospita le gare casalinghe dei Rangers dal 1899. Il 2 aprile 1902, durante l’incontro annuale contro l’Inghilterra, 25 persone rimasero uccise e oltre 300 ferite a causa del crollo di una tribuna in legno, in quello che all’epoca fu il peggior disastro della storia del calcio[1]. Dal 1929 iniziò la ricostruzione dello stadio nella forma in cui è conosciuto oggi. In quell’anno, l’ingegnere civile scozzese Archibald Leitch, già responsabile del progetto degli spalti degli stadi di Arsenal, Chelsea e Tottenham (Londra), Manchester United, Everton (Liverpool) ed Aston Villa (Birmingham), progettò la tribuna centrale dello stadio di Glasgow. In seguito quel lavoro sarebbe stato giudicato uno dei più raffinati esempi di architettura applicata a un impianto sportivo: la tribuna principale di Ibrox si contraddistingue per la tipica cifra stilistica di Leitch, in particolare per le balaustre in ferro incrociato. Una volta terminata la tribuna centrale, Ibrox divenne il più grande stadio del Regno Unito dopo quello di Hampden Park, anch’esso di Glasgow. Nel 1939 fu registrato il record - mai più eguagliato per gare di campionato nel Regno Unito - di 118 567 spettatori per il derby contro il Celtic. Lo stadio rimase fondamentalmente invariato per circa mezzo secolo, finché alla fine degli anni settanta si procedette alla ristrutturazione delle altre tribune a seguito di un nuovo disastro, avvenuto nel 1971, in cui 66 persone persero la vita (e altre 200 rimasero ferite) schiacciate dalla folla su di una scalinata che portava all’esterno. I lavori di ristrutturazione si protrassero fino alla metà degli anni ottanta e consistettero nella distruzione delle due tribune adiacenti, e di quella frontale, a quella già esistente e progettata da Leitch. Fu sbancato il terreno circostante e ricostruita l’intera struttura dalle fondamenta. Le due tribune laterali (la Copland Stand, sul lato est dell’impianto, e la Broomloan, ad essa opposta) ospitano 7 500 spettatori ciascuno. La nuova tribuna opposta a quella centrale, la Govan Stand, ospita invece 11 000 posti a sedere. In totale, il nuovo stadio, una volta terminati gli interventi necessari alla sua messa in sicurezza, fu capace di ospitare 44 000 spettatori, un numero considerevolmente inferiore ai circa 85 000 che era abituato a contenere prima della ristutturazione: tuttavia, Ibrox non fece altro che precedere tutti gli altri stadi del Regno Unito, destinati, con una legge del 1989, a essere trasformati in impianti con posti solo a sedere e con elevati standard di sicurezza. A metà degli anni novanta una serie di ulteriori modificazioni fu adottata per aumentare la sicurezza dell’impianto: fu aggiunto un terzo anello nel 1995, il Club Deck, sopra la vecchia tribuna centrale di Leitch e furono eliminati gli ultimi posti in piedi. Oggi lo stadio può ospitare 50 411 spettatori, tutti seduti. Al termine dell’ultima ristrutturazione, del 1997, lo stadio fu ufficialmente rinominato Ibrox

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Stadium. È allo studio un progetto dei Rangers di allargare lo stadio ad altre attività quali casinò e centro giochi polivalente, per un esborso complessivo di circa 150 milioni di sterline; inoltre, è in progetto l’ampliamento della capacità di 4 000 posti, ma si sta ancora discutendo se tale obiettivo debba essere raggiunto costruendo una tribuna supplementare oppure abbassando il campo di gioco.

La facciata del Bill Struth Main Stand.

Una vista del Bill Struth Main Stand nel 2005. Il Club Deck (bianco) è stato costruito sopra il supporto

principale nel 1928 all'inizio degli anni 1990. La costruzione in mattoni e vetro di fronte è una delle scale

di accesso al piano superiore.

Andrew1684

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VIAGGI NELLE ISOLE BRITANNICHE: CHESTER

Con ancora in mente la magica notte di Deepdale,

prendiamo il treno che ci porta a Chester, una città che

non vedo l'ora di visitare anche se i bellissimi ricordi di

quello che ho vissuto a Preston mi avrebbero fatto

volentieri rimanere nel Lancashire!

Comunque ormai tutto è pianificato, il treno e soprattutto

la Guest House sono già prenotati, ed in ogni caso non mi

dispiace affatto andare in quella che considero una delle

città più belle d'Inghilterra.. ma darò il mio parere alla fine

di questo racconto...

Arriviamo in circa 1 ora e prendiamo un taxi per Grosvenor

Place, dove c'è la Grosvenor Guest House.

La prima impressione, durante il breve tragitto sul classico

taxi nero, è certamente positiva!

Ci sono tante costruzioni in stile Tudor, che mi piace

tantissimo, intravedo anche qualche via della città e non

vedo l'ora di tuffarmi

in mezzo alla folla per

visitarla!

Arriviamo alla Guest

House e Stefan, il

proprietario spagnolo, ci accoglie con molta gentilezza e,

nonostante la nostra stanchezza, ci intrattiene per una mezz'ora

abbondante per spiegarci la storia della città e per presentarci le

sue principali attrazioni.. molto gentile e disponibile in ogni caso!

Dopo un breve riposo usciamo e, rendendoci conto con piacere

che l'albergo è vicinissimo alle vie principali della città, andiamo

subito in Foregate Street, piena di negozi, in particolar modo noto

subito Jack Wills e Scotts, e che ci porta dritti verso East Gate

dove padroneggia il famoso orologio vittoriano... impossibile non

fare foto, è troppo bello!In serata ceniamo al bellissimo e

caratteristico pub Ye Olde Kings Head, birra e Fish & Chips e

atmosfera tipica, buona musica e serata divertente che passa

velocemente ed in piena tranquillità.

La mattina seguente, dopo una buona Full English Breakfast,

visitiamo i resti dell'anfiteatro romano, passeggiamo nel parco

vicino e percorrendo il bellissimo Queens Park Bridge arriviamo

lungo il fantastico canale dove possiamo riposare su una delle

tante panchine presenti.

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Percorrendo la strada che costeggia il canale

arriviamo ad un altro ponte che ci porta

all'Università di Chester ed al Castello.

Dopo aver visitato il Castello torniamo verso il

centro città percorrendo le mura, ma fermandoci

prima presso un altro canale, dove sono accostate

tante barche per me meravigliose.

Arriviamo in centro e ne approfittiamo per fare

un pò di shopping prima di tornare alla Guest

House per prepararci alla serata che passiamo al

pub The Victoria.

Si tratta di un pub posizionato proprio sulle Rows

e per questo molto affascinante. Guinnes e Banger and Mash per me!

Passeggiamo un pò per la città incontrando anche alcuni giocatori del Genoa in ritiro pre stagionale

proprio a Chester in quei giorni.

Torniamo poi alla Guest House, il giorno dopo sarà una giornata interessante, andremo a Llandudno, in

Galles!

ConorAdam

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LIBRI: OUR CLUB OUR RULES

Questo libro, quasi un diario, di Pete Crowther fa riflettere ancora di

più. L’autore infatti decise di mettere nero su bianco le sue sensazioni e

i suoi pensieri prima, durante e dopo la prima stagione dell’FC United of

Manchester, riflettendo sui motivi e le coseguenze di una scelta

coraggiosa fatta da lui e da qualche altro migliaio di tifosi del

Manchester United.

Partita per partita Crowther ci descrive le azioni, ci presenta i suoi nuovi

eroi, ci spiega i cori vecchi e quelli nuovi, ci fa sentire parte di

un’avventura che reputa in ogni momento troppo incredibile per non

essere raccontata. E forse ha ragione perchè non è facile rifiutare il

calcio di oggi quando la tua squadra è ancora al top in patria e in

Europa, attrae fior di giocatori, ha un potenziale economico, se non vero

almeno presunto, notevole, uno stadio eccezionale e alcune figure che

sono delle vere e proprie bandiere.

Ma se la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata l’arrivo dei Glazer, ci è spiegato più di una volta in

queste pagine come il processo di alienamento del tifoso normale, qualunque, fosse iniziato molto prima.

Per entrare in quello stadio eccezionale servivano sempre più soldi e una volta dentro ti dovevi sedere

vicino a persone estranee, lontano dai tuoi amici di sempre, se presenti anche loro e non sostituiti da

nuovi sostenitori affamati solo di successo. L’atmosfera tiepida, i controlli severi, i giocatori sempre più

idoli, distaccati, lontani, inarrivabili, avidi, venali. La sensazione di essere solo un cliente, di non

rappresentare più tutti insieme, tifosi e squadra, una comunità ma una categoria di consumatori.

Crowther forse a volte esagera nell’entusiasmo nella descrizione delle piccole cose, dell’atmosfera di Gigg

Lane, frutto del ritorno a quello che definisce il calcio di una volta seppur al decimo livello della piramide.

Le sue reazioni quasi infantili forse insistono troppo a volte nel volerci convincere per forza che la scelta

fatta sia stata la migliore possibile ma ciò non toglie che si sia dimostrata tale.Se in molti infatti davano

pochi mesi di vita a questa iniziativa, se altri li chiamavano Giuda per aver tradito la loro fede originaria,

rilleggendo il libro cinque anni dopo invece troviamo la squadra tre divisioni più su, con una base di tifosi

da fare invidia a parecchie squadre di League Two, con un merchandising invidiabile, con simpatizzanti in

tutta Europa, una grande avventura in FA Cup e sta trattando con il Comune per garantirsi il permesso di

costruire il nuovo stadio di proprietà o nella zona dove nacque il Man Utd, Newton Heath, o in quella di

Moston. I tifosi dell’FC rimarranno sempre legati al Man Utd, lo stesso autore in parecchi punti lo

ammette o lo fa capire anche attraveso riflessioni amare e piene di risentimento. Non hanno mai

veramente cambiato squadra se vogliamo, ma non si sentivano più rappresentati da una realtà calcistica

che aveva deciso anche di abolire le lettere FC dal proprio stemma. Football Club non compare più sul

badge dei Red Devils mentre erano le parole più siginificative, lì proprio ad indicare il legame tra la

squadra di calcio e la comunità di riferimento. Non era più un club come pensato da chi lo aveva fondato

e come vissuto dai tifosi da sempre, non apparteneva più alla gente, era diventato espressione fredda di

un calcio senza anima, alla caccia di revenue e non di passione. Non c’è da stupirsi quindi se quando lo

Utd ha cessato di essere un club ed è diventato azienda qualche migliaio di sostenitori disillusi ha creato

il proprio, scegliendo una vita non più sotto i riflettori e sicuramente più scomoda ma allo stesso tempo

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più vera ed appagante, piena di quei valori così facilmente calpestati e dimenticati da chi di una squadra

dovrebbe solo essere l’amministratote temporaneo ma mai il padrone. E mentre i prezzi degli

abbonamenti all’OT aumentano, per il secondo anno consecutivo, in questi giorni, l’FCUM lancia la

propria campagna per la stagione 2011/12 dove il prezzo è libero: i tifosi daranno quello che possono. È

un club della gente per la gente, è un esempio di autodeterminazione, efficienza e passione. Nel 2006,

quando questo libro fu scritto, non si osava sperare tanto.

Jimmy Floyd

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Questo viaggio nella storia del calcio Britannico e non solo e’ finito, vi ricordo di venirci a trovare sul nostro forum, ma di visitare anche i siti amici

Quindi vi diamo tutti i nostri indirizzi

http://rulebritanniauk.forumfree.it

http://www.ukcalcio.com

http://londracalcistica.blogspot.com

http://rulebritannia.blogspot.com

http://englishfootballstation.wordpress.com/

Arriverderci al prossimo mese…