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12 Scienza e Conoscenza - n. 41, luglio/agosto/settembre 2012 Numeri magici in natura Dalla sequenza di Fibonacci al numero Aureo: le meraviglie della matematica trovano vita nelle mirabili forme naturali Sabrina Mugnos G alileo Galilei davvero non sbagliò quan- do, quasi quattro secoli or sono, nella sua celebre opera Il Saggiatore (1623) scrisse: «… la filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi ma non si può intendere se prima non si impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, né quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggi- rarsi vanamente per un oscuro labirinto». In effetti è evidente che l’universo si esprima in un linguaggio squisitamente matematico attraverso leggi fisiche alle quali soggiacciono i fenomeni naturali che osserviamo (sebbene molte dinamiche rimangano ancora oscure), sebbene le forme della natura siano ben lungi dall’assomigliare a figure geometriche perfette. Eppure dietro al senso di bellezza ed armonia che sanno suscitare, a ciò che è esteticamente sublime, inatteso e talvolta spiritualmente mistico si celano ancora eleganti e misteriose leggi matematiche e geometriche. Cristalli di ghiaccio e spirali: meraviglie di natura Qualche anno fa mi trovavo a sciare in Valle d’Aosta. Era una giornata grigia e talmente fredda che neanche il cielo pareva sentirsela di aprirsi per far cadere la neve. In compenso piovevano fitti ma minuscoli gra- nelli bianchi che, sospinti come piccoli proiettili dalla discesa sugli sci, martoriavano il volto come spilli. Spesso siamo così distratti e assorti nei nostri pensieri che non prestiamo attenzione a ciò che ci circonda (per inciso credo che sia proprio questa la principale virtù che abbiamo perduto nel corso della nostra evoluzio- ne). Tuttavia quel giorno, durante il percorso sulla seg- giovia, nell’istante in cui il mio sguardo si è soffermato sulle piccole palline candide che punteggiavano il mio piumino nero, ho potuto scorgere la loro forma: erano perfetti e meravigliosi cristalli di ghiaccio. Quel rigido giorno di febbraio piovevano cristalli dal cielo a milioni, a miliardi, e gli occhi di chiunque potevano cogliere la loro bellezza. I miei l’hanno fatto. Si dice che nessuno di essi sia uguale all’altro; e anche se la statistica potrebbe porre un prudente veto su tale affermazione, resta il fatto che è pressochè impos- sibile scorgerne di uguali, sebbene possano essere raggruppati in categorie di forme. Non esiste artista che potrebbe partorire dalla sua mente geometrie più belle e suggestive, eppure la loro genesi segue rigidi schemi matematici; l’estroso architetto che li assembla è qualche ammasso informe di nubi, destreggiandosi su sottili equilibri di temperatura e umidità dell’aria. Alcune delle sublimi forme che esibiscono i fiocchi di neve.

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Numeri magiciin natura

Dalla sequenza di Fibonacci al numero Aureo: le meraviglie della matematica

trovano vita nelle mirabili forme naturali

Sabrina Mugnos

Galileo Galilei davvero non sbagliò quan-do, quasi quattro secoli or sono, nella sua celebre opera Il Saggiatore (1623) scrisse: «… la filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci

sta aperto innanzi a gli occhi ma non si può intendere se prima non si impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, né quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggi-rarsi vanamente per un oscuro labirinto».In effetti è evidente che l’universo si esprima in un linguaggio squisitamente matematico attraverso leggi fisiche alle quali soggiacciono i fenomeni naturali che osserviamo (sebbene molte dinamiche rimangano ancora oscure), sebbene le forme della natura siano ben lungi dall’assomigliare a figure geometriche perfette. Eppure dietro al senso di bellezza ed armonia che sanno suscitare, a ciò che è esteticamente sublime, inatteso e talvolta spiritualmente mistico si celano ancora eleganti e misteriose leggi matematiche e geometriche. Cristalli di ghiaccio e spirali: meraviglie di natura Qualche anno fa mi trovavo a sciare in Valle d’Aosta. Era una giornata grigia e talmente fredda che neanche il cielo pareva sentirsela di aprirsi per far cadere la neve. In compenso piovevano fitti ma minuscoli gra-nelli bianchi che, sospinti come piccoli proiettili dalla discesa sugli sci, martoriavano il volto come spilli.Spesso siamo così distratti e assorti nei nostri pensieri che non prestiamo attenzione a ciò che ci circonda (per inciso credo che sia proprio questa la principale virtù che abbiamo perduto nel corso della nostra evoluzio-ne). Tuttavia quel giorno, durante il percorso sulla seg-giovia, nell’istante in cui il mio sguardo si è soffermato

sulle piccole palline candide che punteggiavano il mio piumino nero, ho potuto scorgere la loro forma: erano perfetti e meravigliosi cristalli di ghiaccio.Quel rigido giorno di febbraio piovevano cristalli dal cielo a milioni, a miliardi, e gli occhi di chiunque potevano cogliere la loro bellezza. I miei l’hanno fatto.Si dice che nessuno di essi sia uguale all’altro; e anche se la statistica potrebbe porre un prudente veto su tale affermazione, resta il fatto che è pressochè impos-sibile scorgerne di uguali, sebbene possano essere raggruppati in categorie di forme. Non esiste artista che potrebbe partorire dalla sua mente geometrie più belle e suggestive, eppure la loro genesi segue rigidi schemi matematici; l’estroso architetto che li assembla è qualche ammasso informe di nubi, destreggiandosi su sottili equilibri di temperatura e umidità dell’aria.

Alcune delle sublimi forme che esibiscono i fiocchi di neve.

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Galeotta è la preziosa molecola dell’acqua, che nella sua fase ghiacciata si sbizzarrisce in inaspettati capo-lavori artistici e non solo quando piove dal cielo, ma anche quando si dispone su superfici fredde come i parabrezza delle auto, per esempio. Per qualche buona ragione essa non si distribuisce uniformemente come un sottile manto lattiginoso, ma forma una giungla surreale di minuscole felci frastagliate. Ma, a quanto pare, gli spigoli non sono le uniche vanità di madre natura, che si diletta anche con sinuose curve come le spirali. La più affascinante la troviamo dentro le nostre cellule ed è il Codice Genetico, il motore della vita come la conosciamo, ma se ne trovano di sublimi espressioni pressochè ovunque. Il Nautilo, per esempio, è un mollusco marino superstite dell’antichissima era Paleozoica, scampato alla più colossale estinzione di massa di tutti i tempi allorchè oltre il 90% delle specie capitolarono per cause ancora non chiare. Questo curioso organismo costruisce la sua dimora calcarea secondo quella che in matematica viene chiamata Spirale Logaritmica. Le spirali sono curve piane che girano intorno ad un punto centrale spostandosi sempre più all’esterno via via che si procede. Quelle in cui la distanza tra una spira e la successiva è costante si chiamano Spirali

di Archimede, e ne sono ottimi esempi conchiglie altrettanto vetuste come le ammoniti, per esempio, purtroppo non abbastanza fortunate da aver resistito alla crisi Permiana e giunte a noi solo sottoforma di fossili. Quando invece la distanza tra le spire aumenta in maniera esponenziale raddoppiando le dimensioni in un intervallo determinato, la spirale si chiama loga-ritmica, e abbiamo forme come il Nautilo.

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I segreti di questo straordinario mondo della “matemagica”, che esibisce vere e proprie opere d’arte, sono sbalorditive sequenze numeriche, come si accorse più di otto secoli fa un grande matematico toscano di nome Leonardo Pisano, meglio noto come Fibonacci

Sulla sinistra è visibile la conchiglia del Nautilus (organismo tuttora esistente) strutturata secondo una spirale logaritmica. Alla sua forma si con-trappone la spirale di Archimede utilizzata dalle Ammoniti (in alto sulla destra) purtroppo estinte alla fine del periodo Paleozoico.

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Tale curva fu chiamata anche equiangola dal matema-tico e filosofo Cartesio nel 1638 perché, tracciando una linea dritta dal polo a un suo punto qualsiasi, questa la intercetta formando sempre lo stesso angolo. E ancora la natura sfrutta tale proprietà. Il falco pel-legrino, per esempio, avendo un apparato visivo che guarda lateralmente, seguendo tale spirale, può tenere la testa dritta (e non doverla ruotare di continuo in un senso e nell’altro) non perdendo di vista la preda e massimizzando la velocità durante l’attacco in pic-chiata di caccia.Questa forma partorita dalla natura, peraltro scelta per svariati altri oggetti come le galassie, gli uragani ecc., è talmente armonica e ipnotica dall’aver ispirato opere d’arte come quella dell’americano Frank Lloyd Wright, che ha progettato il museo Guggenheim di New York secondo la sua struttura. Ma già il grande Leonardo da Vinci ne restò ammaliato, immortalan-dola nell’opera Leda e il Cigno nei capelli raccolti, e ancora sottoforma di vortici in un’impressionante serie di schizzi catastrofici ispirati al Diluvio. E lo stesso dio indù Shiva, danzante, ha in mano questa conchiglia come simbolo della Creazione.Altri gusci come quelli delle chiocciole sia di mare che di terra, invece, esibiscono spirali più anguste che si attorcigliano nello spazio come quelle strette scale da arredamento che portano nelle mansarde. Sempre per tale forma hanno optato molte piante per disporre i loro semi. Le squame delle pigne dell’abete, per esempio, sono disposte secondo spirali intrecciate, così come i gustosi semi che punteggiano il capolino di un girasole.

La sequenza di FibonacciI segreti di questo straordinario mondo della “mate-magica”, che esibisce vere e proprie opere d’arte, sono sbalorditive sequenze numeriche, come si accorse più di otto secoli fa un grande matematico toscano di nome Leonardo Pisano, meglio noto come Fibonacci. Partendo dalla proliferazione di una coppia di coni-gli, egli si rese conto che la popolazione delle coppie cresceva secondo la seguente progressione numerica (che ovviamente prese il suo nome): 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, 34, 55, 89, 144, 233, 377, 610, … ecc. dove ogni numero a partire dal terzo è la somma dei due precedenti. E il mondo naturale è stracolmo di tali numeri che utilizza per disporre le proprie configurazioni.Facciamo qualche esempio cominciando dal regno floreale e proprio dalla ben nota margherita di campo, che spesso interroghiamo per dissipare i nostri tor-menti sentimentali con la domanda: “M’ama o non m’ama”?. La maggior parte di questi fiori ha 13, 21 o 34 petali, e a proposito del dilemma amoroso, quan-do la beccate con i numeri dispari e cominciate col “m’ama” l’esito sarà affermativo; quindi vi conviene sempre cominciare con questa domanda!Poi ci sono i gigli che hanno 3 petali, i ranuncoli 5, i delphinia 8, i tageti 13, gli astri 21 e i girasoli che oscil-lano tra 34, 55, 89 o 144. Se vi cimentate nel conteggio considerate che qualche petalo potrebbe essere caduto, oppure la corolla potrebbe essere doppia (ma sempre multipla dei numeri di Fibonacci) come conseguenza delle tecniche agricole di lavorazione.

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Phi esprime una relazione geometrica considerata talmente preziosa da essere definita sezione aurea o numero aureo e da aver ispirato pensatori di tutte le discipline più di qualunque altro numero nella storia della matematica

Le immagini mostrano l’intreccio di spirali che assemblano i semi di girasole nel suo capolino.

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Nel girasole i semi sono disposti lungo spirali il cui numero dipende di solito dalle sue dimensioni. Nel caso più comune ci sono 34 spirali avvolte in senso orario o antiorario, e 55 avvolte nel senso opposto. Ma sono stati osservati girasoli con rapporti del numero di spirali 89/55, 144/89 e perfino 233/144. Anche gli alberi non sono immuni da tali configura-zioni. Le squame della pigna dell’abete sono disposte in due famiglie di spirali intrecciate, e ogni famiglia contiene un numero di Fibonacci di squame. E che dire dei frutti? La maggior parte degli ananas presenta sulla superficie 5, 8, 13 o 21 spirali via via più ripide di squame esagonali.

Phi, il Numero AureoMa c’è di più. Oltre un millennio prima che Fibonacci facesse balzare fuori dal cilindro la sua “magica” sequenza numerica, i primi grandi pensatori erano in piena crisi filosofica per le anomale caratteristiche di alcuni numeri che, per questo, vennero definiti irrazionali. Senza entrare troppo nel dettaglio che esulerebbe dal nostro scopo, diciamo solo che questi utlimi non possono essere il quoziente di due numeri interi (in pratica non scaturiscono da una frazione e, quindi, tramite essa non si possono esprimere);

ma, soprattutto, la loro rappresentazione decimale non termina mai e non è periodica. In sostanza sono numeri interminabili, incommensurabili o infiniti, e nel loro esserlo riescono pure a non ripetersi!Il pi greco (π), pari al rapporto tra la circonferenza e il diametro di un cerchio qualsiasi per un valore che parte da 3,14159…, è il più noto di questi numeri anche al grande pubblico. Meno famoso ma ancora più affascinante, invece, è phi (φ), corrispondente ad un anonimo 1,6180339887. Eppure, esprime una relazione geometrica considerata talmente preziosa da essere definita sezione aurea o numero aureo, e da aver ispirato pensatori di tutte le discipline più di qualun-que altro numero nella storia della matematica.Il suo potere, poi, si è rafforzato quando nel dicias-settesimo secolo l’astronomo polacco Giovanni Keplero si accorse del suo legame con la sequenza di Fibonacci: procedendo, infatti, lungo i numeri della sua successione, si trova che il rapporto tra un termine e il suo precedente oscilla (risultando ora in eccesso ora in difetto) intorno a un numero al quale si avvi-cina sempre di più. E quel numero è proprio Phi, il Rapporto Aureo. Quindi la misteriosa sequenza nume-rica racchiude qualcosa di ancora più strabiliante che la natura sfrutta di continuo con grande disinvoltura.

Anche la corolla della rosa è collegata al rapporto aureo. Gli angoli che definiscono le posizioni dei petali (in frazioni di angolo giro) sono la parte decimale di semplici multipli di phi

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Per esempio, a causa del fenomeno scientifico noto come fillotassi (disposizione delle foglie) le piante tendono a disporre i loro tronchi e il loro fogliame secondo schemi regolari per cercare di massimizzare l’esposizione alla luce, alla pioggia e all’aria. E tali schemi seguono moti rotatori in quanto evitano che la pianta ombreggi le proprie fronde le une con le altre (vale anche per i frutti come le pigne o i semi; ecco perché la disposizione spiraliforme di questi ultimi come abbiamo visto in precedenza).Qualche esempio? I tigli collocano le proprie foglie da due parti opposte corrispondenti a un mezzo giro intorno al fusto (quoziente di fillotassi ½); il rovo, il faggio e il nocciolo dispongono il passaggio da una foglia all’altra con un terzo di giro (quoziente di fil-lotassi 1/3); il melo, alcune querce e l’albicocco 2/5 di giro, il pero e il salice piangente 3/8 ecc. Le foglie, insomma, si succedono tutte lungo una stretta spirale chiamata vegetativa scandita dai numeri di Fibonacci, avanzando lungo una circonferenza secondo un ango-lo costante (noto come Angolo di Divergenza) pros-simo a 137,5° e ancora legato al Rapporto Aureo! Infatti l’angolo maggiore risultante dalla divisione dell’angolo giro secondo il Rapporto Aureo misura 360°/ φ, ovvero 222,5°. Quindi l’angolo minore in cui l’angolo giro è diviso è 360° – 222,5° cioè 137,5°: l’Angolo Aureo.A livello ottico l’impressione che questa disposizione genera è quella di due spirali di senso opposto che si avvi-tano l’un l’altra così come esibisce il capolino del girasole, le spire delle pigne, e tanti altri organismi ancora.Anche la corolla della rosa è collegata al rapporto aureo. Gli angoli che definiscono le posizioni dei petali (in frazioni di angolo giro) sono la parte deci-male di semplici multipli di phi. Il primo petalo è a un 0,618esimo (la parte decimale di 1 x phi) di giro dal petalo 0; il secondo è a un 0,236esimo (la parte decimale di 2 x phi) dal petalo 1 e così via. Ma perché accade tutto ciò? Qualche secolo fa l’astronomo polacco Keplero si con-vinse che si trattava di pura efficienza: se posti secondo la cadenza degli Angoli Aurei i germogli risultano più fitti e utilizzano lo spazio nel modo migliore. D’altro canto se l’Angolo di Divergenza avesse un’ampiezza di qualsiasi altro prodotto razionale dell’angolo giro, le foglie si alli-neerebbero o in modo da lasciare inutilizzata una grande quantità di spazio tra l’una e l’altra, o sovrapponendosi

ostacolandosi a vicenda. Naturalmente è solo un’ipotesi, anche perché è giusto sottolineare che più che di regole si tratta di tendenze prevalenti, le cui eccezioni potrebbero invalidare ogni congettura.Idem varrebbe per l’ingegno del Nautilo: poiché con l’età la creatura dal corpo molle cresce, diventa trop-po grande per la camera e amplia la casa secernendo nuovo materiale per la costruzione. Ma mentre la conchiglia si allunga, il raggio aumenta in proporzio-ne, cosicchè la forma del guscio resta immutata. In tal modo questo inconsapevole e geniale architetto della natura, pur ampliandola, trascorre tutta la vita nella stessa dimora in costante equilibrio.In altri casi è una questione di avido sfruttamento degli spazi, come dimostra la forma esagonale dei nidi d’api, in assoluto la configurazione più efficiente per stipare cerchi in un piano.E a questo punto sembra che cotanta efficienza valga anche per il mondo inorganico; avendo, infatti, la maggior parte dei cristalli di neve sei punte, essi tendono a incastrarsi egregiamente ottimizzando lo spazio vuoto e agevolando la trasformazione del vapor acqueo in neve.

Le figure geometriche aureeMa Aureo non è solo un numero o un angolo, bensì anche alcune figure geometriche. Il Rettangolo Aureo, per esempio, si ottiene quando i suoi lati, maggiore e minore, stanno in rapporto con φ, e accade che è l’uni-co che consente, togliendo un quadrato corrispondente alla sua area, di ottenere un rettangolo simile al primo. Così facendo, tracciando due diagonali che si interse-cano in ciascuna coppia di rettangoli padre e figlio, si trova che tutte passano per un punto, in modo che una serie di rettangoli aurei sempre più piccoli converga nel suo intorno senza mai raggiungerlo (il matematico Clifford Pickover lo chiamò “l’Occhio di Dio”).E se si congiungono i punti in cui questo vortice di quadrati divide i lati secondo il Rapporto Aureo, si ottiene la famosa spirale logaritmica che si avvolge intorno all’“Occhio”.Idem vale per il Triangolo Aureo, un triangolo in cui il rapporto di lunghezza tra i lati uguali e la base è pari a φ. Anche in questo caso continuando a bisecare gli angoli alla base si forma un vortice di triangoli sempre più pic-coli i cui vertici, collegati, danno una curva logaritmica.Il legame di phi esiste anche nell’ambito di figure

La matematica sembra essere dotata di una dimensione estetica che comunica diretta-mente all’animo umano tramite la semplice contemplazione delle forme che cesella

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piane come il Pentagramma, ottenuto collegando tramite diagonali tutti i vertici di un Pentagono. Quest’ultimo è la comune stella a cinque punte ognu-na costituita da un triangolo isoscele dove il rapporto della lunghezza di uno dei lati con la base è uguale alla Sezione Aurea.Se continuiamo all’infinito a inscrivere il Pentagramma all’interno del Pentagono, si può dimostrate che ogni segmento è minore del precedente di un fattore esat-tamente uguale al Rapporto Aureo, e che la diagonale e il lato del Pentagono sono incommensurabili, ovvero che il rapporto delle loro lunghezze non può essere espresso come rapporto di numeri interi.Anche i poliedri regolari (quelli che possono essere inscritti in una sfera, ovvero i “solidi platonici” tetra-edro, cubo, ottaedro, il dodecaedro, l’icosaedro) sono legati al Rapporto Aureo, essendo le facce costituite da figure piane; in particolare l’icosaedro (con 20 facce triangolari) e il dodecaedro (con dodici facce pentago-nali). Nel primo i dodici vertici si possono dividere in tre gruppi di quattro, e i vertici di ciascuna tetrade si possono collocare in cima agli angoli di un Rettangolo

Il grafico illustra la relazione tra il Rettangolo Aureo e la Spirale Logaritmica. Stando i lati maggiore e minore del Rettangolo in rapporto con φ, togliendo un quadrato corrispondente all’area del primo si può ottenere un rettangolo simile. Così facendo tracciando due diagonali che si intersecano in ciascuna coppia di rettangoli padre e figlio, si trova che tutte passano per un punto, in modo che una serie di rettangoli aurei sempre più piccoli converga nel suo intorno senza mai raggiungerlo (il matematico Clifford Pickover lo chiamò “l’Occhio di Dio”). E se si congiungono i punti in cui questo vortice di quadrati divide i lati secondo il Rapporto Aureo, si ottiene la famosa spirale logaritmica che si avvolge intorno all’“occhio”.

Iscrivendo un Pentagramma (la comune stella a cinque punte) all’interno di un Pentagono, si può dimostrate

che ogni segmento è minore del precedente di un fattore esattamente uguale al Rapporto Aureo, e che la diagona-le e il lato del Pentagono sono incommensurabili, ovvero

che il rapporto delle loro lunghezze non può essere espresso come rapporto di numeri interi.

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Aureo. In egual modo i centri delle dodici facce penta-gonali del dodecaedro si possono raggruppare quattro a quattro, e ciascuno di questi gruppi corrisponde ai vertici di un Rettangolo Aureo.

Matematica, storia e arteÈ indubbio che il senso estetico umano provi un senso di piacere nell’ammirare forme che possiedo-no certe simmetrie, ovvero emanano una sorta di armonia inducendo un’estasi quasi mistica. E così nel Rinascimento il Rapporto Aureo sconfinò oltre il mondo matematico per approdare in quello dell’arte e dello studio dei fenomeni naturali.Sebbene molti siano convinti che tale proporzione sia stata incorporata già in strutture antichissime come la Grande Piramide di Giza, il Serapeo del Tempio di Seti I o il Partenone di Atene, non sembrano esistere prove scientifiche inattaccabili a suffragio di tale tesi.Di certo, però, sappiamo che il teologo e matematico toscano Luca Pacioli nel 1509 pubblicò a Venezia un trattato in tre volumi sulle proprietà del Rapporto Aureo chiamato Compendio de Divina Proportione ufficializzandone l’esistenza anche al mondo dei non matematici. Quindi è probabile che, da allora, nume-rosi artisti abbiamo provato a sfruttarne la sua efficacia visiva, e anche acustica, nelle loro opere. Ma anche in questo caso l’affermazione rimane ambigua, per-ché spesso si riscontrano parametri figurativi che più che altro si avvicinano a questo numero, come per esempio le dimensioni del quadro di Salvador Dalì Il

Sacramento dell’Ultima Cena del 1955, grande all’in-circa 268 x 167 cm, peraltro abbellita di un enorme dodecaedro che fluttua sopra la tavola e la circonda. Poi ci sono opere come la splendida tela de La Madonna di Ognissanti del pittore e architetto Giotto di Bondone, dove molti studi affermano che le figure centrali (rappresentate dalla Madonna e il Bambino) siano inscrivibili in Rettangoli Aurei, così come la Madonna di Rucellai (di Duccio di Buoninsegna) e la Madonna di Trinità di Cimabue, che però sono molto precedenti alla data ufficiale di diffusione del Rapporto Aureo al di fuori del mondo matematico, essendo state dipinte tra il 1200 e il 1300.La matematica, insomma, sembra essere dotata di una dimensione estetica che comunica direttamente all’animo umano tramite la semplice contemplazione delle forme che cesella. Ma in fondo è una consape-volezza, magari inconscia, che già possediamo; non rimaniamo, forse, estasiati da fiori di vario colore o pietre pregiate al punto che le doniamo per esprimere i nostri sentimenti e le nostre emozioni? Quale gesto d’amore può essere più struggente del sacrificio di una rosa rossa o della luce immortale di un gioiello?Ma ciò dischiude tutta un’altra serie di domande: questa “umanità” che trasuda dai numeri è stata fatta per essere contemplata da noi oppure ha un’esisten-za indipendente? Dio è un matematico? Un geniale architetto? E perché profondere tanti sforzi estetici per cesellare parti di un mondo di cui spesso neppure ci accorgiamo?

Numeri magici in natura

Scritto daSabrina MugnosGeologa, ha studiato e visitato decine di vulcani in giro per il mondo attraverso esplo-razioni avventurose e talvolta estreme. Si occupa da tanti anni anche di astrobiologia e di Archeoastronomia. Il suoi libri, I maya e il 2012, Catastrofi Naturali, Vulcani, L’universo che pensa, (Macro Edizioni), stanno riscuotendo un grande successo in Italia e in diversi paesi stranieri. Impegnata in corsi, seminari e convegni a respiro inter-nazionale, è spesso ospite di trasmissioni televisive e radiofoniche. Per maggiori infor-mazioni: www.sabrinamugnos.com

Letture

Keith DevlinI Numeri Magici di FibonacciL’avventurosa scoperta che cambiò la storia della matematicaRizzoli, 2012

Alfred S. Posamentier, Ingmar LehmannI (favolosi) Numeri di FibonacciEmmebi, 2011

Mario LivioLa Sezione AureaStoria di un numero e di un mistero che dura da tremila anniBUR, 2007

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Vi siete mai soffermati, anche solo un istante, a riflettere sulle forme naturali del mondo che ci circonda? Sono montagne, vallate, canyon, fiumi, oceani e mari, caverne, alberi, rocce, nubi e animali di ogni gene-

re. Ma qual è la loro esatta geometria? E se volessimo misurarli?Idem vale per i moti turbolenti dell’aria (ovvero la dinamica del clima, delle perturbazioni atmosferiche, ecc.), delle acque in generale (oceaniche, fluviali, lacustri, sotterranee), e di tutti i fenomeni elettro-magnetici (fulmini, aurore, propagazione del campo geomagnetico e dell’elettricità ecc.).

Le curve patologicheFin dai tempi antichi ci siamo arrangiati con gli schemi e le figure messe a disposizione dalla geome-tria euclidea, ma la consapevolezza dei limiti di tale approssimazione non è mai venuta meno, e l’occasio-ne di affrontarli arrivò nel 1875 quando il matematico Karl Weierstrass scoprì una curva priva di tangente in ogni suo punto, ovvero, in gergo, non derivabile e, quindi, priva di una descrizione analitica. L’impeccabile raziocinio del regno matematico astrat-to, quindi, cominciò a vacillare, e lo scompiglio totale sopraggiunse quando il matematico russo Georg Cantor (la cui ossessione nel risolvere i problemi dell’infinito lo portò a impazzire e trascorrere interna-to buona parte della sua vita) inventò la Teoria degli insiemi (una delle colonne portanti della matematica moderna) dimostrando, nel 1877, uno strabiliante teorema (l’infinito numero di punti su una retta monodimensionale è uguale al numero di punti all’in-terno di un qualsiasi cubo tridimensionale).A quel punto uscirono dall’ombra altri oggetti strava-ganti e inconsueti che indignarono l’ortodossia mate-

matica facendo urlare alle “mostruosità”, a stranezze ripugnanti e deformi o, per usare le parole di Charles Hermite, suscitando «... la paura e l’orrore della trista piaga delle funzioni senza derivata...». Una di queste prime curve dette anche “patologiche” (sia per i folli paradossi che racchiudono che come gioco di parole dall’inglese path, percorso), fu inven-tata dal matematico Giuseppe Peano, ed è in grado di girare in modo così complesso da toccare ogni punto in un piano, così da reiterarsi potenzialmente all’infi-nito, rimanendo però circoscritta a un’area limitata. Avete già colto il paradosso? Un linea che serpeggia all’infinito ma dentro una spazio definito.

Broccoli, fegato, mercati finanziari, universo: la struttura similare del mondo

Sabrina Mugnos

Geometria frattale

La curva di Peano reitera infinitamente se stessa fino a ricoprire un quadrato. Si racconta l’aneddoto che a

Spinetta di Cuneo, fino a non molto tempo fa sul balco-ne della casa di Peano fosse ammirabile una piastrella-tura simile a quella rappresentata dalla sua curva, poi

smantellata dall’ignara, attuale inquilina.

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Nel tentativo di diradare l’oscurità dentro alla quale erano piombati gli studiosi, il matematico svedese Helge von Koch, nel 1904, creò un’altra di quelle fastidiose curve continue prive di punti di tangenza che prese il suo nome. Cominciò a costruirla parten-do da un triangolo equilatero dividendo ogni lato in tre segmenti uguali e collocando nel mezzo un altro triangolo equilatero più piccolo di un terzo, e poi ripetè ancora e ancora la stessa operazione. Stesso controsenso della curva di Peano, a ogni operazione la lunghezza del perimetro della curva aumentava di un fattore 4/3 crescendo indefinitamente, sebbene le

dimensioni dell’area del poligono rimanevano limitate a 8/5 dell’area del triangolo di partenza.Nel mondo della geometria euclidea gli oggetti hanno un numero di dimensioni espresso da un valore inte-ro: i punti non hanno dimensione, le line rette ne hanno una, le figure piane due e i solidi tre. Tuttavia le forme anomale di cui stiamo parlando cambiano dimensione e in modo irregolare tra l’una e le due dimensioni (come la saetta, per esempio, che spostan-dosi nello spazio oscilla tra 1 e 2 dimensioni); come sciogliere il dilemma?

La struttura similare Nell’indagare questo affascinante mondo astratto gli studiosi si accorsero di un’altra caratteristica impor-tante di tali bizzarre curve, chiamata autosimilitudine, secondo la quale ogni loro più piccola parte riproduce, in scala ridotta, la forma dell’intero disegno; in prati-ca troviamo un ordine (la reiterazione di uno stesso motivo) soggiacente a un’irregolarità (la forma gene-rale). E notarono altresì che gran parte degli oggetti del mondo naturale sembrano seguire questa regola. Facciamo un meraviglioso esempio? Avete mai notato

dal verduraio o al supermercato, nel periodo inver-nale, che ammassati insieme ad altri ortaggi spiccano elaborate sculture? Si tratta della varietà di broccolo verdognolo (chiamato romano o cimoso) che esibisce la parte centrale come un insieme di piccoli torrioni in stile barocco assemblati nella forma di una spirale. Farlo a pezzi e divorarlo è altrettanto sacrilego che sfoderare una coltellata su una tela di Leonardo! La sua bellezza incanta, e, a uno sguardo appena un poco più attento, si nota che l’infiorescenza del grosso cavolo è costruita con tanti micro cavoletti assemblati

Una rappresentazione della Curva di Koch, che molto ricorda la forma del fiocco di neve ma anche i confini frastagliati di molti oggetti come una linea costiera.

Il broccolo romano o cimoso è forse il più sublime esempio di oggetto frattale nel quale spicca ben visibile la struttura autosimilare. Ogni più piccola parte della sua infiorescenza riproduce il motivo generale.

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con struttura spiraliforme. Un altro bell’esempio è la felce, dove ogni fronda presenta una grande somi-glianza con l’intera pianta; ma sono svariate le forme naturali che rivelano innumerevoli sequenze di motivi sempre uguali o molto simili che si ripetono all’in-

finito variando solo la scala. Non sono solo il regno animale a vegetale a esibire tanto estro. I fenomeni geologici che modellano la superficie terrestre, per esempio, sanno ricamare motivi a dir poco stupefa-centi (vedi immagini).

La felce è un altro splendido esempio di autosimilarità, dove ogni fronda riproduce la forma dell’intera pianta.

Una serie di immagini satellitari di alvei e bacini fluviali mostra la loro complessità, che può essere

affrontata quantitativamente solo tramite la geometria frattale.

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Matematica e geometria frattale I paradossi matematici sembravano avere un corrispet-tivo nel mondo naturale, dove a quel punto era il caso di trasferirsi per risolvere l’arcano; ed è quello che fece il matematico franco-polacco Benoit Mandelbrot che nel 1975, dopo aver battezzato tali bizzarri oggetti come frattali (dal latino fractus, frammentare), affron-tò il rompicapo domandandosi quanto fosse lunga la costa della Gran Bretagna (che ricalca una situazione reale della Curva di Koch).Per compiere una tale misura molto dipende dallo strumento che si utilizza. Più la sua scala è grande (per esempio una rilevazione satellitare) più partico-lari vengono trascurati. Quindi per considerare ogni irregolarità dovremmo compiere un lavoro titanico recandoci in loco e utilizzando un metro a mano! Ma anche in questo caso le sinuosità ancora più piccole ci sfuggirebbero. In altre parole ogni volta che si riducono le dimensioni dello strumento di misura, la lunghezza del soggetto aumenta indefinitamente.Tuttavia, dato un oggetto di un certo numero di dimensioni, e verificando quanti oggetti simili ma più piccoli occorrano per formarlo, si può constatare che vi è una relazione tra il numero di oggetti prodotti (n), il fattore di riduzione (f), e la mono o bi – dimen-sionalità o Dimensione Frattale (D), espressa secon-do la semplice formula:

n = (1/f)D

dove

D = - log n / log f

Quindi la Dimensione Frattale di un sistema del genere mette in relazione il numero di elementi costi-tuenti e le loro dimensioni, permettendoci di farne una misura quantitativa.Un altro modello teorico è scaturito dal Tappeto di Sierpinski, inventato dall’omonimo matematico polacco all’inizio del secolo scorso. Anch’egli come

Koch è partito da una figura geometrica, ma questa volta togliendo in modo ripetitivo porzioni di essa: si parte da un quadrato e lo si divide in nove quadrati uguali e si elimina quello centrale lasciando un bordo di otto quadrati il cui lato è 1/3 del lato originale. Quindi si compie la stessa proceduta con gli otto qua-drati più piccoli e così via all’infinito, fino ad ottenere otto copie di se stesso ognuna larga 1/3.Applicando lo stesso meccanismo, ma usando come partenza un triangolo equilatero, la figura che si ottie-ne è chiamata Gerla o Triangolo di Sierpiski, ed è composta da tre copie di se stessa ognuna delle quali costituita da un triangolo di lato pari a metà del lato del triangolo di partenza.Quest’ultima configurazione trova spesso riscontro nel mondo naturale, per esempio come ornamenta-zione sulla conchiglia di diverse specie di molluschi che vivono negli oceani. Più che un vezzo di madre natura si tratta però di una sorta di elegante schema della dinamica chimica dei pigmenti che vengono depositati sulla parte che si sviluppa.

Lassù non troviamo semplici punti sparpagliati nel vuoto, ma centinaia di milioni di assembramenti di stelle (le galassie) organizzati in grumi, ammassi singoli, doppi, tripli, regolari, irregolari ecc. ricamati in estrosi arabeschi con tentacoli filamentosi e separati da gi-ganteschi vuoti a forma di celle di alveare, bolle, e chissà che altro; visione ben distante dalle pacate e uniformi pianure disegnate dalla Legge di Hubble

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La superficie della Conchiglia Oliva Porphyria è ricamata secondo gli stessi schemi creati

matematicamente da Sierpiski.

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Sulle tre dimensioni, invece, si è cimentato il matema-tico austriaco Karl Menger prendendo un cubo pieno di massa, lato e densità unitari, dividendo ogni faccia in nove quadrati uguali e praticando tre aperture che attra-versino il solido al centro di ciascuna delle sue facce.Quindi ha ripetuto la procedura per i restanti venti cubetti, ottenendo una struttura che racchiude lo stesso volume, ma con una massa diminuita di un fattore pari a 20/27, ovvero di densità minore di quella di partenza.

Il concetto di frattale ha colto un aspetto intimo ed essenziale della natura che precedentemente era stato trascurato, ovvero che persino i suoi tratti più casuali possiedono simmetrie nascoste. Ciò significa che sim-metria e caos sono due facce della stessa medaglia: la forma complessiva (che apparentemente sembra caoti-ca) riflette la prima, e i particolari intricati il secondo. Quindi, fenomeni che esibiscono strutture bizzarre e inattese diventano possibili da studiare quantitati-

vamente a grandezze visivamente inaccessibili, grazie all’anello di congiunzione tra la scala micro e macro rappresentato dall’autosimilarità.Naturalmente i frattali ottenuti matematicamente (deterministici) sono perfetti, ovvero l’autosimilarità si conserva impeccabilmente fino a scale infinitesime. Nei casi reali, invece, ovvero nei fenomeni naturali o negli organismi animali e vegetali, la reiterazione introduce via via un errore statistico, ovvero le struttu-re non si ripetono sempre e rigorosamente immutate ma esibiscono piccole variazioni (ma è proprio questo il bello di madre natura)!L’utilizzo della matematica frattale si è rivelato utilissi-mo in molti campi come, per esempio, in quello della medicina. Nel corpo umano e animale, infatti, svariati organi presentano tale struttura. Uno è il fegato, sud-diviso in diversi lobi ognuno irrorato da una diversa ramificazione della Vena Porta. Se, poniamo il caso, qui si dovesse scatenare un tumore, si può isolare solo il lobo malato e asportarlo senza danneggiare tutto il resto, perché utilizzando gli strumenti di calcolo della geometria frattale a partire dalla versione ridotta della Vena Porta si può risalire alla sua versione complessiva e intervenire in modo mirato.Altro settore che si presta a tale studio è il mercato azionario, perché se si disegna il grafico dell’andamen-to delle sue quotazioni nei mesi, si ottiene una curva irregolare con molti alti e bassi che mantiene l’anda-mento anche quando la si frammenta per osservare il trend settimanale, giornaliero, orario o addirittura in tempo reale.Quindi individuando un oggetto o sistema come frattale, ovvero adottando l’autosimilarità come legge della sua struttura, si può vedere matematicamente anche laddove la scala ci impedirebbe di farlo.

Universo frattale Balzando dai cavoli alle stelle anche i cieli si rivela-no piuttosto inquieti. Il nostro Sistema Solare, per esempio, è si governato da leggi matematiche che ne definiscono la sua struttura (la legge di Gravitazione Universale di Newton, le leggi di Keplero che regola-no le orbite planetarie ecc.), tuttavia è anche soggetto al caos nella forma dell’imprevedibilità orbitale di milioni e milioni di corpi minuti che interagiscono tra loro rendendosi impredicibili, nonché nella dinamica di titanici vortici atmosferici come la Grande Macchia Rossa su Giove (che potrebbe inglobare almeno un paio di Terre), quella Scura su Nettuno, e le insolite formazioni nuvolose cesellate da venti a 1800 km/h su Saturno. O ancora delle caotiche formazioni geo-logiche che tormentano le superficie dei pianeti o dei satelliti, soprattutto quelli privi di atmosfera.Ovviamente tutto ciò vale anche per le complesse dinamiche delle stelle, di ammassi di stelle nonché dei moti turbolenti che avvengono nelle nebulose sparpagliate per la galassia e, in ultima analisi, di tutta

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Una rappresentazione della Spugna di Menger, un esperimento frattale che utilizza le tre dimensioni.

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la materia che la compone. Ma aumentando ancora lo zoom, dal momento che l’universo è formato da miliardi di galassie, viene spontaneo domandarsi fino a che scala si spinge il “gioco a incastri” dell’autosi-milarità. Potrebbe, cioè, il cosmo esprimersi in una forma frattale dalla trama di un fiore fino a quella degli spazi siderali? Può essere possibile che, all’oc-chio di un osservatore esterno, magari il fantomatico Creatore, non siamo che una delle tante matrioske?All’inizio del secolo scorso, grazie alla sua celeberrima Teoria della Relatività Generale, Albert Einstein, suo malgrado, aveva rivelato al mondo che l’universo era tutt’altro che statico, bensì in espansione, sebbene da uomo del suo tempo cercò di rinnegarlo in tutti i modi anche contro le evidenze matematiche che lui stesso aveva partorito (gesto che poi riconobbe come il suo più grande abbaglio).Ma fu solo nel 1929 che si ebbe la prova che le sue equazioni non mentivano, quando l’astronomo ame-ricano Edwin Hubble, fotografando diverse regioni di cielo, si accorse che, ovunque si guardasse, le galassie si allontanavano rapidamente da noi, e tanto più velocemente quanto più erano lontane. E, addirittura, oggi abbiamo scoperto che tale moto sta accelerando sempre più, sospinto da una forma di materia ed ener-gia che non conosciamo e non rileviamo. In realtà è il tessuto cosmico a dilatarsi e le galassie, essendo come le uvette incastonate in un pudding in lievitazione, si allontanano reciprocamente distribuen-dosi in modo uniforme e isotropo (ovvero si vedono in ugual quantità in qualunque direzione si guardi).Tuttavia quando gli studiosi cominciarono a compilare le prime mappe della distribuzione galattica, si resero conto che è raro trovare una galassia a vagare sola soletta nel vuoto siderale, perché nel suo disegno il cosmo le ha disposte in gruppo. Per esempio, la nostra Via Lattea appartiene al Gruppo Locale delle Galassie composto da una ventina di elementi e di cui fa parte anche la famosa galassia di Andromeda, distante da noi circa 2 milioni di anni luce. L’ammasso nostro vicino di casa che ospita centinaia di galassie, invece, è quello che si proietta nella costellazione della Vergine, ed è il centro di un sistema molto più grande chiamato Superammasso Locale. Comprensibilmente tali evidenze si rivelarono una

spina nel fianco del modello cosmologico standard e, già al tempo, molti studiosi si affrettarono a metterci una toppa invocando la presenza di nubi di polveri oscure come causa del panorama frastagliato osserva-to, quindi solo apparente. Ma i dati sperimentali diventavano sempre più schiac-cianti, e già nel 1977 Benoit Mandelbrot non aveva dubbi sul disegno frattale del cosmo, esprimendone la convinzione nel suo libro Les Objets fractals, dove ne diede anche la prima descrizione matematica specifi-cando che solamente se l’osservatore si trova situato su un punto della struttura frattale riesce a vedere che la distribuzione della materia segue il suo schema, diminuendo di densità verso l’esterno. Se, invece, si trova in un vuoto ampio può rilevare la diminuzione di densità frattale solo a scale molto più grandi della dimensione del vuoto stesso. Ne consegue che l’asimmetria tra osservatori posti su punti della struttura e osservatori dispersi casualmen-te nello spazio è di particolare importanza, perché un punto scelto a caso potrebbe trovarsi, con buona probabilità, in un vuoto indefinitamente grande e un osservatore in questa situazione non arriverebbe a conoscere quasi nulla dell’universo. La sua convinzione fu sposata dallo studioso italiano Luciano Pietronero che, negli anni Ottanta, dimostrò, tramite studi di fisica statistica, che almeno a livello locale l’universo presentava una struttura frattale con l’autosimilarità che si manifestava a partire da 0,1 fino a 100 Mpc (Megaparsec, equivale a un milione di parsec, dove quest’ultimo equivale a 3,26 anni luce) implicando una diminuzione di densità della mate-ria all’aumentare del volume considerato, ovvero al crescere della scala, secondo una legge di potenza. E nel gennaio del 1999 la prestigiosa rivista «Nature» ne diede conferma, pur dichiarando che le opinioni erano ancora divergenti relativamente alle scale più ampie.Pochi mesi dopo (agosto 1999) alla notizia fece eco anche la testata «New Scientist», ospitando l’acceso confronto tra il noto cosmologo Ofer Lahav e il giova-ne astronomo Sylos Labini (dello staff di Pietronero) relativamente alla scala alla quale si spinge la frattalità del cosmo prima di trasformarsi in uniformità.Era evidente che l’ultima parola doveva metterla la

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Potrebbe il cosmo esprimersi in una forma frattale dalla trama di un fiore fino a quella degli spazi siderali? Può essere possibile che all’occhio di un osservatore esterno, magari il fantomatico Creatore, non siamo che una delle tante matrioske?

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tecnologia, permettendoci di avere visioni sempre più lontane e dettagliate della distribuzione galattica. E ciò arrivò col progetto Sloan Digital Sky Survey (SDSS), uno dei più importanti e ambiziosi della storia dell’astronomia, che in otto anni di lavoro (dal 2000 al 2008, ma una terza fase si concluderà nel 2014) ottenne una mappa tridimensionale contenen-te più di 930.000 galassie e 120.000 quasar disposti innegabilmente in modo frattale.Il dibattito sulla distanza fino alla quale si spinge la struttura frattale prima di trasformarsi in una mono-tona uniformità (sempre che davvero ciò accada) è ancora acceso, e di nuovo la chiave di volta per dare una risposta rimane nelle mani della tecnologia. Resta, tuttavia, il fatto che lassù non troviamo sempli-ci punti sparpagliati nel vuoto, ma centinaia di milio-ni di assembramenti di stelle (le galassie) organizzati in grumi, ammassi singoli, doppi, tripli, regolari, irre-golari ecc. ricamati in estrosi arabeschi con tentacoli filamentosi e separati da giganteschi vuoti a forma di celle di alveare, bolle, e chissà che altro; visione ben distante dalle pacate e uniformi pianure disegnate dalla Legge di Hubble. La scienza, dunque, stoicamente e caparbiamente, ancora si avventura nell’arte, e si spinge a ritroso ai primordi della formazione dell’universo, quando la gravità e il mondo dell’infinitamente piccolo della meccanica quantistica si contendevano l’appalto della sua geometria. E ipotizza che furono fluttuazioni ini-ziali di densità a creare l’alternanza di galassie e vuoti che osserviamo. Ma da qui a comprendere perché una disposizione tanto peculiare, cioè frattale, beh, la

strada è ancora lunga, e percorrerla significherà anche scoprire il significato dell’armonica forma di un fiore, una conchiglia o quell’anonimo ma straordinario broccolo che rende i verdurai dei mercanti d’arte.

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Letture

Benoit MandelbrotNel mondo dei frattaliDi Renzo Editore, 2001

Giuseppe ArcidiaconoSpazio Iperspazi FrattaliIl magico mondo della geometriaDi Renzo Editore, 2009

Tutti i libri di Sabrina Mugnos possono essere richiesti in libreria oppure suwww.scienzaeconoscenza.it - Letture consigliate

L’immagine riproduce parte della map-patura in 3D della distribuzione delle galassie effettuata dal progetto (SDSS). La Terra deve considerarsi al centro, e ogni punto rappresenta una galassia con un contenuto medio di stelle di 100 milioni. La colorazione delle galassie dipende dall’età delle stelle che conten-gono; quelle rosse sono le più vecchie e anche le più ammassate. Il circolo bianco esterno rappresenta il raggio di indagine di 2 miliardi di anni luce. I due cunei scuri di lato rappresentano un vuoto nella mappatura a causa delle polveri oscure che oscurano la nostra visuale in quella direzione. Credit: M. Blanton and the Sloan Digital Sky Survey.

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