FIBONACCI...2017/03/16  · ella vita di Leonardo Pisano, oggi più noto con il nome di Leonardo...

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Avvenire - 16/03/2017 Pagina : A27 Copyright © Avvenire Marzo 16, 2017 6:22 am (GMT -1:00) Powered by TECNAVIA Copia ridotta al 61% del formato originale letter della pagina a luna risplende come una luce bianchissima nel buio del cielo, mi attardo a guardarla, gustando quel- la pace che solo una notte così può trasmettere. Una pace che ha il sapore dell’eternità. Ed è il pensiero dell’eternità che mi sorprende e fa rimbalzare nel cuore le notizie di questi giorni: i selfie dei ragazzi davanti a un treno in corsa o la morte volon- taria di dj Fabo, il quale, forse, non ha mai accettato di essere semplicemente Fabiano, chia- mato così in vista dell’eternità. Quel "dj" gli si era appiccicato addosso diventando la sua stes- sa consistenza. Senza quell’ap- pellativo nulla è rimasto per cui è valsa la pena di vivere. Un dipinto di Bosh mi com- mosse all’indomani di un inci- dente stradale gravissimo che ebbi a 21 anni. Nel pieno della vita un’auto in corsa ha travolto la mia vettura consegnandomi a un buio infinito, profondo co- me questa notte senza stelle. A- vevo 21 anni e stavo morendo. E dissi di sì, accettai questa sorte e fu la pace. In fondo al buio u- na luce come piccola stella a- vanzava verso di me, come un richiamo, una prepotente no- stalgia. Dio era là ad attendermi con le sue braccia spalancate, con la sua bellezza, la sua bontà, la sua grazia. Volli raggiungere quella luce ma non potei perché vidi tutti i fo- togrammi della mia vita in un secondo, scoprendo che in me quella luce non c’era, né c’erano quell’amore e quella bellezza. Il dolore mi invase, ma insieme, inspiegabilmente anche la gioia mi invase: là, in fondo al buio, c’era il mio destino, la mia vita vera, la mia eternità. Scoprii che l’anima è immortale. Bosch nel 1490 dipinge uno sce- nario così. Senza accanimento terapeutico o stati vegetativi permanenti già nel XV secolo qualcuno aveva fatto la mia stes- sa esperienza. Quello che i criti- ci d’arte chiamano l’empireo, u- na delle quattro "Visioni dell’al- dilà", è piuttosto l’ascesa delle anime verso il tunnel misterio- so che precede la visione beati- fica di Dio. Bosch dipinge anche la lotta, la purificazione, che ac- compagna tale ascesa. Anime con le mani aperte in croce, so- no trattenute da angeli con le a- li nere, cioè dalla loro oscurità. Desiderano la luce ma non la possono raggiungere. Tuttavia il desiderio purifica e, più sopra, un’anima con le ma- ni giunte in preghiera sale verso la luce accompagnata da angeli con le ali rosse, segno, appunto, della purificazione che il desi- derio di Dio e la preghiera ope- rano in noi. Ma lassù, nello straordinario cono di luce che realizza la danza dell’amore di Dio, le anime tendono le braccia come nell’attesa di un incontro e sono scortate da angeli con a- li luminose. Sì, questo cielo senza stelle che sta davanti a me è pieno di an- geli e nessuno li vede. Essi ge- mono per la nostra miopia. Con- segnarci alla morte prima del tempo è una tragedia, sigilla l’a- nima immortale in un gesto che nega Dio stesso e la sua provvi- denza d’amore. Mi sorprendo a piangere. Quan- do si fa un’esperienza così non si può più vivere come prima, paradossalmente morire inse- gna a vivere e si desidera che tut- ti lo possano comprendere. Scri- vere mi consente di gridare dai tetti questa Bellezza che ci at- tende. Con gli occhi affondati nella luce della luna sale dal cuo- re la preghiera: che i tanti Fabio o Welby della storia possano, ve- dendo quella luce e quell’amo- re, ardere di desiderio, rinnega- re la loro scelta e raggiungere l’e- ternità a cui siamo destinati. © RIPRODUZIONE RISERVATA L Bosch e quella visione di aldilà che sorprende e fa amare la vita dentro la bellezza di Gloria Riva BOSCH “Quattro visioni dell’Aldilà”, particolare della “Ascesa all’Empireo” (1500-1503) Venezia, Galleria dell’Accademia

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GIUSEPPE O. LONGO

ella vita di Leonardo Pisano, oggi più noto con ilnome di Leonardo Fibonacci o semplicementecon il patronimico Fibonacci, si sa poco: nato a Pi-sa intorno al 1175, da ragazzino passò alcuni an-ni a Bugia, città dell’odierna Algeria, dove il padre,facoltoso mercante e rappresentante dei com-mercianti della Repubblica di Pisa, lo avviò allo

studio delle tecniche aritmetiche che gli studiosi arabi avevanoimportato dall’India e stavano diffondendo nel mondo musul-mano. A sua volta Leonardo esportò questa matematica nuovain Italia e di qui in Europa: matematica utilissima nei commer-ci per la conversione da una valuta all’altra o da una misura li-neare o di capacità all’altra, in un mondo dove le unità di misu-ra variavano di città in città e dove i calcoli erano resi difficili dal-la notazione romana. La matematica indiana, adottata dagli Arabi, aveva sulla nota-zione classica alcuni vantaggi decisivi: ricorreva alla base dieci,dunque a pochi segni per indicare le cifre; a-dottava lo zero, che sorprendentemente iGreci, con tutto il loro genio, non avevanoscoperto; infine impiegava la notazione po-sizionale, per cui una cifra indicava le unità,le decine, le centinaia e così via a seconda del-la posizione che occupava in seno al nume-ro. Tutto ovvio per noi, ma a quel tempo sitrattava di una vera e propria rivoluzione cheincontrò molte opposizioni: a Firenze l’arit-metica araba non fu accettata fino alla finedel Quattrocento. Eppure questa notazionenuova permise il grande sviluppo dell’alge-bra e in genere della matematica prima ita-liana e poi europea, che era stato precluso al mondo classico. Che di Fibonacci si sappia poco ha consentito, paradossalmen-te, al giornalista Paolo Ciampi di scrivere un libro godibile e sug-gestivo (L’uomo che ci regalò i numeri. La vita e i viaggi di Leo-nardo Fibonacci; Mursia, pagine 184, euro 17,00). La scarsità dinotizie su Pisano ha infatti trasformato quella che poteva esse-re una cronaca piatta in una narrazione seducente, sorretta dal-l’immaginazione, dalle interpolazioni e dalle congetture e vivi-ficata da una lingua scorrevole e ricca, senza indulgenze allasciatteria che affligge la prosa di tanti giornalisti. Ciampi, che nonè matematico, e se ne duole, subisce il fascino di questa disci-plina che, al di là dei suoi aspetti pratici, contiene una forte va-lenza estetica (secondo il filosofo bizantino Proclo del V secolo,«dove c’è numero c’è bellezza» e secondo il matematico ingle-se Godfrey H. Hardy, «nel mondo non c’è posto per la matema-tica brutta»). Ma per apprezzare la bellezza della matematicaoccorre un lungo apprendistato, che non ammette scorciatoiee che scoraggia i più (ma che sia invece, questa avversione perle formule, un effetto deleterio della pochezza di certi inse-gnanti?). L’autore si pone anche il problema, antico e irrisolto, se i numeriesistano oppure siano creazioni della mente umana: alla que-stione il fisico ungherese-statunitense Eugene Wigner (Nobel1963) dedicò nel 1960 un articolo famoso, "L’irragionevole effi-cacia della matematica nelle scienze naturali", dove si chiede-va, senza trovare una risposta, come sia possibile che un’inven-zione in apparenza arbitraria dell’uomo consenta di descrivere

Dcon precisione i fenomeni della natura, che certo non sono u-na nostra creazione. Torniamo a Fibonacci, che fin da ragazzino viene a contatto conquella che all’epoca era la civiltà più raffinata del Mediterraneo:gli Arabi avevano preservato ciò che era sopravvissuto della cul-tura classica traducendo molti testi filosofici e matematici gre-ci, preludendo così alla fioritura dell’Umanesimo italiano. Maavevano anche raccolto l’eredità tecnica degli Alessandrini, dan-do vita per esempio a un’importante tradizione nel campo del-la fabbricazione degli automi, che avrebbero poi consegnato al-l’Europa. In questo fervore d’intelligenza e di creatività crescee matura il nostro Leonardo, che nel 1202 pubblica la primaedizione, manoscritta, del monumentale Liber Abaci, o li-bro dell’aritmetica, denso di regole di calcolo di radicaliquadratici e cubici, di criteri di divisibilità e di problemisvariatissimi di carattere pratico, per lo più legati a que-stioni di conversione basate sulla regola deltre semplice, del tre composto e così via, svi-scerando la nozione di proporzione e altre an-

cora, risolte con una sempli-cità che al tempo doveva ap-parire prodigiosa. Tra i problemi affrontati nel Li-ber Abaci il più fecondo di conse-guenze matematiche è quello deiconigli, animali quanto mai proli-fici: data una coppia di questi sim-patici leporidi capaci di riprodursidopo un paio di mesi, con quale rit-mo, si chiede Fibonacci, cresce laloro popolazione? E qui il matema-tico scopre una successione nu-merica che è conosciuta con il suo

nome: 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21... dove ogni numero è lasomma dei due precedenti. In apparenza la faccendaè innocua, anzi bambinesca, ma questi numeri sonoi depositari di una quantità incredibile di proprietà:tanto che dal 1963 si pubblica (quattro volte l’anno)una rivista intitolata "Fibonacci Quarterly", intera-mente dedicata a questa successione e a oggetti ma-tematici a essa collegati. Tra gli oggetti imparentati con la successione di Fi-bonacci bisogna menzionare la sezione aurea, det-ta anche divina proporzione o numero aureo, che,per uno di quei misteri che collegano matematicae realtà, si ritrova dovunque in natura, contribuen-do alla bellezza del creato, e che fin dall’antichità èstata adottata nelle loro opere da artisti, architetti,musicisti e via elencando. Il corpo umano è unasplendida epitome della sezione aurea: per esem-pio i nostri arti si dividono in segmenti (braccio eavambraccio; coscia e gamba) le cui lunghezze ri-spondono alla divina proporzione, cioè al nume-ro 1,618... Ciò è fonte di meraviglia e di stupore,quello stupore di fronte al mistero che per Ein-stein era la vera spinta che sta alla base della ri-cerca scientifica e della creazione letteraria e ar-tistica.

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DibattitoLa fisica e quell’illusione che il tempo non esistaGIORGIO DE SIMONE

l tempo non esiste per la fisica moderna(dominata dallo spaziotempo), è inconcepibileper la meccanica quantistica mentre esiste,misurato e misurabile, per la neurobiologia che,

come dimostra questo stimolante libro di ArnaldoBenini (professore emerito all’Università di Zurigo),Neurobiologia del tempo (Raffaello Cortina, pagine118, euro 14,00) lo riesce oggi a esplorare inprofondità e ampiezza. L’evoluzione biologica ci hamesso 2 milioni e 200 mila anni per costruire quella"macchina del tempo" che ha assegnato agli esseriumani, in competizione con la natura, il dominiosulla Terra. Ma considerato fondamentalmente unmistero, indagato dalla filosofia, quindi preso incarico dalla fisica e definito da Einstein «quartadimensione dello spazio», il tempo ha trovato la suaattuale, duplice identità di "tempo vissuto" e"tempo dell’orologio" grazie agli esperimenticondotti a metà dell’Ottocento (stimolando imuscoli delle zampe delle rane) dall’alloraventottenne medico, fisiologo e fisico diKönigsberg, Hermann von Helmholtz (1821-1894).Si riteneva, all’epoca, che il trasferimento di unostimolo all’interno del sistema nervoso fosseistantaneo, ovvero così rapido da non produrrelatenze apprezzabili. Viceversa la conduzionenervosa era quantificabile.C’era un prima, c’erano undurante e un dopo. E ildurante era il "tempocompresso" costituito dauna fase sottratta allacoscienza, perduta per lamemoria, ma reale, come ilpassato della stella cheosserviamo in una notteserena. Qualcosa che nonc’è, dunque, che non si vede,ma che la coscienza ricevedai meccanismi cerebrali:ecco il tempo. Definito dalfisico americano RichardFeynman (1918-1988) come«quel che succede quandonon succede niente», il cervello lo forma facendonela dimensione della nostra vita. Ci dà emozioni eaffettività (Pt, personal time), ci dà però unriferimento oggettivo, universale, il tempodell’orologio (Gt, government time). C’è poi untempo che noi non avvertiamo, un "tempocompresso" che smentisce l’illusione che noiabbiamo della simultaneità di un evento sensorialecon la percezione che ne riceviamo perché di fattosi tratta di due momenti distinti con in mezzo untempo non avvertito, di circa mezzo secondo, mareale, il tempo richiesto dai meccanismi del nostrocervello per riprodurre e farci avvertire lasensazione. Così diventiamo coscienti sempremezzo secondo dopo. Come dire che siamoperennemente in ritardo e che il presente dellanostra vita diventa un «passato ricordato». Imeccanismi del tempo sono stati selezionatidall’evoluzione anche per il sonno e perl’autorisveglio, fondamentali per tutte le attivitàumane, dalla caccia alla pesca, ai viaggi, tenendoconto del fatto che fino a poco più di un secolo fanon esistevano le sveglie. Con tutto ciò, per la fisicada Einstein in poi il tempo è un’illusione. Lameccanica quantistica lo ha espulso dalla natura,ma per un famoso fisico americano, Lee Smolin(1955), così facendo si è venuto a determinare unsubsistema dove ogni esperimento avviene in unascatola, dunque in un mondo a sé. Illusione èperciò, per Smolin, non il tempo, ma la suaeliminazione a colpi di equazioni, ignorando larealtà. Se non altro perché i componenti nervosiche lo realizzano fanno parte dell’universo, il temponon può che rimanere una caratteristica realeuniversale. Congedarsene, visto che la coscienza losente come sua componente essenziale, è difficile.Spazio e tempo esistevano prima dello spaziotempoed esistono anche dopo perché nello spazio ècollocato ciò che percepiamo e nel tempo abita lasensazione che ne abbiamo proveniente dai

meccanismi, reali, realissimi ancorché non deltutto chiari, del cervello.

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Oggi si parla di “spaziotempo” ma la neurobiologia ci dice che nello spazio si colloca ciò che percepiamo e nel tempo abita la sensazione che ne abbiamo, nata da processi, reali, del cervello

ScienzeAll’inizio del Duecentola sua opera principale, il “Liber abaci”, introduce i numeri arabi, riscopre la sezione aurea e utilizzando i simpaticianimali spiega la “sequenza”che porta il suo nome

Nato a Pisa nel 1172vive qualche anno in Algeria

dove il padre mercante lo avvicina alle conoscenzearitmetiche che i colleghi

islamici avevano importatodall’India. I suoi studi ispirati

alla pratica rivoluzionanoanche la contabilità aziendale

SUCCESSIONE A sinistra, una rappresentazione grafica della successione di Fibonacci sulla moltiplicazione dei conigliSotto, la statua dedicata al matematico al Camposanto monumentale di Pisa

a luna risplende come unaluce bianchissima nelbuio del cielo, mi attardo aguardarla, gustando quel-

la pace che solo una notte cosìpuò trasmettere. Una pace cheha il sapore dell’eternità. Ed è ilpensiero dell’eternità che misorprende e fa rimbalzare nelcuore le notizie di questi giorni:i selfie dei ragazzi davanti a untreno in corsa o la morte volon-taria di dj Fabo, il quale, forse,non ha mai accettato di esseresemplicemente Fabiano, chia-mato così in vista dell’eternità.Quel "dj" gli si era appiccicatoaddosso diventando la sua stes-sa consistenza. Senza quell’ap-pellativo nulla è rimasto per cuiè valsa la pena di vivere.Un dipinto di Bosh mi com-

mosse all’indomani di un inci-dente stradale gravissimo cheebbi a 21 anni. Nel pieno dellavita un’auto in corsa ha travoltola mia vettura consegnandomia un buio infinito, profondo co-me questa notte senza stelle. A-vevo 21 anni e stavo morendo. Edissi di sì, accettai questa sortee fu la pace. In fondo al buio u-na luce come piccola stella a-vanzava verso di me, come unrichiamo, una prepotente no-stalgia. Dio era là ad attendermicon le sue braccia spalancate,con la sua bellezza, la sua bontà,la sua grazia. Volli raggiungere quella luce manon potei perché vidi tutti i fo-togrammi della mia vita in unsecondo, scoprendo che in mequella luce non c’era, né c’erano

quell’amore e quella bellezza. Ildolore mi invase, ma insieme,inspiegabilmente anche la gioiami invase: là, in fondo al buio,c’era il mio destino, la mia vitavera, la mia eternità. Scoprii chel’anima è immortale.Bosch nel 1490 dipinge uno sce-nario così. Senza accanimentoterapeutico o stati vegetativipermanenti già nel XV secoloqualcuno aveva fatto la mia stes-sa esperienza. Quello che i criti-ci d’arte chiamano l’empireo, u-na delle quattro "Visioni dell’al-dilà", è piuttosto l’ascesa delleanime verso il tunnel misterio-so che precede la visione beati-fica di Dio. Bosch dipinge anchela lotta, la purificazione, che ac-compagna tale ascesa. Animecon le mani aperte in croce, so-

no trattenute da angeli con le a-li nere, cioè dalla loro oscurità.Desiderano la luce ma non lapossono raggiungere. Tuttavia il desiderio purifica e,più sopra, un’anima con le ma-ni giunte in preghiera sale versola luce accompagnata da angelicon le ali rosse, segno, appunto,della purificazione che il desi-derio di Dio e la preghiera ope-rano in noi. Ma lassù, nellostraordinario cono di luce cherealizza la danza dell’amore diDio, le anime tendono le bracciacome nell’attesa di un incontroe sono scortate da angeli con a-li luminose. Sì, questo cielo senza stelle chesta davanti a me è pieno di an-geli e nessuno li vede. Essi ge-mono per la nostra miopia. Con-

segnarci alla morte prima deltempo è una tragedia, sigilla l’a-nima immortale in un gesto chenega Dio stesso e la sua provvi-denza d’amore. Mi sorprendo a piangere. Quan-do si fa un’esperienza così nonsi può più vivere come prima,paradossalmente morire inse-gna a vivere e si desidera che tut-ti lo possano comprendere. Scri-vere mi consente di gridare daitetti questa Bellezza che ci at-tende. Con gli occhi affondatinella luce della luna sale dal cuo-re la preghiera: che i tanti Fabioo Welby della storia possano, ve-dendo quella luce e quell’amo-re, ardere di desiderio, rinnega-re la loro scelta e raggiungere l’e-ternità a cui siamo destinati.

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LBosch e quella visione di aldilà che sorprende e fa amare la vitadentro

la bellezzadi Gloria Riva

27Giovedì16 Marzo 2017 A G O R À c u l t u r a

BOSCH“Quattro visioni

dell’Aldilà”,particolare

della “Ascesaall’Empireo”(1500-1503)

Venezia,Galleria

dell’Accademia

Nei conigli di FIBONACCIil cilindro della matematica