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Associazione Italiana Cultura Qualità

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FEDERATE DI SCOPO DELLA FEDERAZIONEAICQ - SICEV20124 Milano - via Cornalia 19tel. 02 66713425 - fax 02 [email protected]

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COMITATI TECNICIComitato Ambiente e EnergiaPresidente: Antonio ScipioniComitato Salute e SicurezzaCoordinatore: Diego CerraComitato Metodi StatisticiPresidente: Egidio CasciniComitato Metodologie di Assicurazione della QualitàPresidente: Francesco CarrozziniComitato Normativa e Certificazionedei Sistemi Gestione QualitàPresidente: Cecilia de PalmaComitato Qualitàdel Software e dei servizi ITPresidente: Mario CislaghiComitato Risorse Umane e Qualità del LavoroPresidente: Piero Dettin

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sommario2

EditorialeRisorse umane: tutto cambia, ma comee verso dove? 3Giovanni Mattana

Tema 1 - Risorse umaneLa creatività nel ciclo del sapere organizzativo 4Raffaele Perrotta

Cresce in ISO il peso delle RU 7Giovanni Mattana

Il mobbing: tra tutela delle condizioni di lavoroed efficienza organizzativa 12Stefano Bini

Tema 2 - ManagementBalanced Scorecard & EFQM 2013 15Domenico Faraglia

Comitato editoriale e di supportoComposto da: Giovanni Mattana (coordinatore),Presidente AICQ, Sergio Bini,Alessandro Manzoni, Fazio Caroti,Vittorio Cecconi.EditoreMediavalue srlVia G. Biancardi, 2 - 20149 Milanotel. +39 0289459724 - fax +39 0289459753www.mediavalue.it - [email protected], grafica, [email protected]@mediavalue.itPubblicità[email protected] - NovaraGli articoli di questo numero, pur ritenuti validi daglieditori per il loro contenuto, vengono pubblicati sotto la

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n. 3 maggio/giugno 2013

Edizione Nazionale AICQAutorizzazione del Trib. di Torinon. 783 del Registro del 28/11/52

ISSN 2037-4186

Direttore responsabileGiovanni Mattana

RedazioneAnnalisa Rossi

Segreteria di redazioneAICQ - via Cornalia, 1920124 MilanoTel. 02 66712484Fax 02 [email protected]

Si ringraziano tutti i collaboratori ed in particolare il Settore Educationed il suo Presidente Dott. Paolo Senni Guidotti Magnani ed il Comi-tato Risorse Umane ed il suo Presidente Dott. Piero Dettin

Su questo numero i Corsi di Formazione Aicq non compa-riranno. Saranno nuovamente presenti con il prossimo numerodi Luglio-agosto 2013!

Vendor Rating 21A. Di Benedetto, A. Di Domenicantonio, E. Innocenzi, C. Cerruti

La “resilienza organizzativa” come rispostaalle crisi 25Alessandro Cafiero

Adriano Olivetti parla “ai lavoratori” 28Sergio Bini

Tema 3 - Responsabilità SocialeIl piano di azione italiano 2012-14 sulla CSR 31Danilo Giovanni Festa

The sustainability compass 33Det Norske Veritas (DNV) - Università Bocconi

Tema 4 - EducationQualità per l’Education – autovalutazione pertutte le scuole? 36Rassegna a cura di Paolo Senni Guidotti Magnani

Rubrica ANFIA 52a cura di Marco Mantoan

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Risorse umane:tutto cambia, ma comee verso dove?

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Giovanni Mattana

Il filo rosso delle RU attraversa tutto questo numero. E parlare di RU risulta difficile e anche frustrante, nell’attuale tremendo sprecoo sotto utilizzo del loro potenziale. Ma impone anche di guardare alle grandi sfide epocali da cui è attraversato:•la disoccupazione giovanile, con tutte le sue implicazioni di prospettiva, valori, comportamenti;•l’allungamento della vita media e l’utilizzo degli anziani;•la flessibilità non solo come realtà cui adeguarsi ma anche come atteggiamento mentale e psicologico;•l’arrivo in azienda di giovani ‘millennials’, digitalizzati e irrequieti, a contatto di lavoratori più esperti ma pagati molto di più, cherompe una piramide demografica consolidata da decine d’anni1; •la gestione di risorse sempre più eterogenee per età, origine geografica, valori sociali, stili di vita, metodi di apprendimento;•la tesaurizzazione delle proprie conoscenze ed esperienze e la loro valorizzazione oggettiva - il libretto delle competenze;•la traduzione nel sociale di questi cambiamenti individuali e i connessi cambi di valore e di progetti di vita.Le implicazioni sono moltissime e includono, per esempio, la necessità di riprogrammare la gestione delle RU su una progettazioneorganizzativa più capace di unire il vecchio e il nuovo, di riconsiderare la flessibilità nella gestione del lavoro, la capacità di assor-bire i cambiamenti in atto e trasformarli in potenzialità.È solo un caso che la comunità mondiale decida di mettere a fuoco proprio ora questo mondo, in modo coordinato, sia sull’insie-me delle competenze e delle prassi, sia sul piano normativo?E’ solo un caso che in Italia si cominci a considerare la insufficiente partecipazione del personale come una delle cause della man-cata crescita di produttività? (una ricerca danese, già dieci anni fa mostrava come il successo era direttamente proporzionale al gradodi partecipazione!);È solo un caso che le aziende più lungimiranti investano nelle persone-e negli strumenti più avanzati di conoscenze e di prassi- perstimolare la loro creatività e dare spazi al loro potenziale?Necessità di nuovi equilibri o anche cambiamenti più radicali?Marco Minghetti (v. il Manifesto dello Humanistic Management) ritiene necessario saltare ad un nuovo modo di fare impresa, aduna “organizzazione 2.0” fondata su: velocità e flessibilità nel cambiamento continuo di ruoli e modalità operative; collabora-zione tra le persone indipendentemente da gerarchie e schemi organizzativi predefiniti; apertura dei confini dell’organizzazione percoinvolgere attori esterni quali clienti, partner e fornitori; virtualità nell’accesso a strumenti, informazioni e relazioni, indipendente-mente dalla localizzazione fisica e dagli orari di lavoro; spinta alla creazione diffusa e partecipativa di contenuti e conoscenza (co-creation); spinta alla socialità nella comunicazione e nei rapporti; visione etica forte e coerentemente agita.“Viene individuato un modello di evoluzione della social organization aziendale in quattro stadi: 1- gerarchia /burocrazia, 2- comunità emergenti, 3- comunità diffusa, 4-rete.In questi quattro stadi, per esempio:- la strategia passa da rigetto o solo ascolto, a partecipazione, a costruzione, a integrazione- la leadership passa da comando e controllo, a consenso, a collaborazione, per poi diventare convocativa;- la management community, assente nel primo stadio, diventa informale nel secondo, con ruoli e processi definiti nel terzo , conruoli e processi integrati nel quarto;- la gestione delle RU passa da funzioni/famiglie professionali, a comunità di pratica, a comunità di apprendimento, a comunità inte-grata.”

Potrebbe anche essere uno stimolo di guida per un’autodiagnosi?Nota1- vedi pag.6

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Il ciclo del sapere organizzativoIl prof. Choo indaga sullo scopo percui nascono e sui modi in cui si utiliz-zano le informazioni e giunge a identi-ficare tre fasi fondamentali di un cicloiterativo attraverso cui le organizzazio-ni conoscono se stesse e si adattanocontinuamente alle mutevoli condizio-ni ambientali esterne per sopravviveree attuare la propria missione con suc-cesso.Le informazioni fluiscono continua-mente tra le fasi del “sensemaking”(dare un senso), “knowledge creating”(creare conoscenza) e “decison ma-king” (prendere decisioni), in modoche il risultato dell’uso delle informa-zioni in uno dei modi fornisca il conte-sto e le risorse per l’uso delle informa-zioni negli altri modi, come mostratoin Figura 1.

Dare un senso alla realtàAttraverso il “sensemaking”, i membridell’organizzazione mettono in atto enegoziano credenze e interpretazioniper costruire significati condivisi eobiettivi comuni, cioè per dare un sen-so alla realtà circostante, che si manife-sta attraverso l’esperienza. In questomodo si identificano significati e scopicondivisi (Figura 1), che costituisconoun quadro di riferimento per la spiega-

Raffaele PerrottaIngegnere dell’informazione

La creatività nel ciclodel sapere organizzativo

zione della realtà osservata e determi-nano i criteri per valutare se i fatti sia-no rilevanti e attinenti ai propri scopi.Significati e scopi condivisi aiutano adarticolare un’agenda organizzativacondivisa, un insieme di problemi sucui i membri dell’organizzazione con-cordano che siano importanti per il be-nessere dell’organizzazione. Questepersone possono non essere d’accordosul contenuto di un problema partico-lare e possono adottare posizioni diver-se su come dovrebbe essere risolto, maconcordano che questi problemi sianorilevanti per l’organizzazione. Signifi-cati e scopi condivisi aiutano anche adefinire un’identità organizzativa con-divisa. Definire un’identità condivisastabilisce norme e attese circa la corret-tezza, la responsabilità e la legittimitàdelle scelte e dei comportamenti del-l’organizzazione. Un quadro di signifi-cati e scopi condivisi viene quindi usa-to dai membri dell’organizzazione pervalutare la logica e l’appropriatezza, eper ridurre l’ambiguità e l’incertezzadelle informazioni ad un livello checonsenta dialogo, scelte e azioni. Lad-dove i messaggi dall’ambiente esternosiano altamente equivoci, i significaticondivisi riducono l’ambiguità aiutan-do i membri a selezionare interpreta-zioni plausibili. Laddove i messaggidall’ambiente esterno siano altamenteincompleti, i significati condivisi ridu-

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Intorno al concetto di creatività esi-stono molti luoghi comuni. C’è chicrede che creativi si nasca, che la

creatività sia un processo solitario, cheappartenga solo agli artisti ed ai comu-nicatori e non agli scienziati. C’è, invece, chi crede che la creativitàsia un processo individuale e di gruppoin cui gioca un ruolo importante l’im-maginazione, ma un ruolo ancora piùgrande la tecnica, lo studio, il lavoro.Tra questi è famoso Thomas Alva Edi-son, inventore della lampadina, che af-ferma: “Genius is 1% inspiration and99% perspiration” (il genio è 1% ispi-razione e 99% traspirazione), oppureThe Cambdrige Handbook of Expertiseand Expert Performance (2006), che af-ferma che la creatività è “1% ispirazio-ne, 29% buone scuole, 70% lavoro.”Per fare un po’ d’ordine tra le varieconcezioni è molto interessante partiredal contributo fornito negli anni scorsida Chun Wei Choo, professore alla Fa-coltà di Informatica dell’Università diToronto (Canada), che ha descritto il ci-clo del sapere organizzativo nella suaopera "Strategic Management of Intel-lectual Capital and OrganizationalKnowledge" (Gestione strategica delcapitale intellettuale e della conoscen-za organizzativa), edito dalla OxfordUniversity Press nel 2002, ed ha collo-cato la creatività all’interno di tale ci-clo.

La fase creativa come motoreper l’innovazione e l’adattamento evolutivo

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cono l’incertezza fornendo assunti easpettative per riempire i vuoti. I signi-ficati condivisi devono essere aggiorna-ti continuamente di fronte a nuovieventi e condizioni. Consentendo am-biguità e diversità nelle interpretazioni,un’organizzazione può monitorare co-stantemente i significati condivisi neiconfronti dell’ambiente per assicurareche siano ancora validi.

Creare nuove capacità e innovazioniAll’interno del quadro dei suoi signifi-cati, agenda e identità costruiti, l’orga-nizzazione sfrutta le specializzazionicorrenti e sviluppa nuove capacità perperseguire la sua visione ed i suoiobiettivi. Il movimento può esserebloccato da carenze nelle conoscenzenecessarie per congiungere significatoe azione. Quando l’organizzazionescopre carenze nelle conoscenze attua-li o limitazioni delle sue capacità attua-li, inizia la ricerca e la creazione di co-noscenza, all’interno di parametri deri-vati da un’intepretazione di obiettivi,agende e priorità dell’organizzazione. Imembri dell’organizzazione produco-no nuova conoscenza individualmentee collettivamente convertendo, condi-videndo e sintetizzando la loro cono-scenza tacita ed esplicita, così come

mutuando conoscenza da individui,gruppi e istituzioni esterne. Il risultatodella creazione di conoscenza sononuove capacità e innovazioni (Figura 1)che migliorano le competenze esistentio ne costruiscono di nuove; generanonuovi prodotti, servizi, o processi; oespandono il repertorio di risposte or-ganizzative proficue. Il valore di nuoveconoscenze viene valutato in modopuntuale attraverso la capacità di risol-vere il problema in esame, così comein generale dalla possibilità di miglio-rare le capacità dell’organizzazione nellungo periodo. La nuova conoscenzaconsente nuove forme di azione, maintroduce anche nuove forme di incer-tezza. I rischi ed i benefici di innova-zioni non sperimentate e capacità maimesse in pratica sono confrontate e va-lutate in base a regole e preferenze delprocesso di presa di decisioni organiz-zative.

Prendere decisioniSignificati e scopi condivisi, così comenuove conoscenze e capacità conver-gono nel “prendere decisioni”, che èl’attività che conduce alla scelta edall’avvio dell’azione. Significati condi-visi, agende e identità selezionano lepremesse, le regole e le pratiche opera-

tive con cui si prendono le decisioni.Nuove conoscenze e capacità rendonopossibili nuove alternative e risultati,espandendo il campo di risposte orga-nizzative disponibili. Mediante la defi-nizione di ruoli, prescrizioni, regole epratiche operative, l’organizzazionesemplifica l’attività decisionale, codifi-ca e trasmette le esperienze e sanciscei criteri di valutazione delle competen-ze e di assegnazione delle responsabi-lità. Regole e pratiche operative specifi-cano i criteri “razionali” per la valuta-zione di alternative, “legittimano” me-todi per l’allocazione di risorse, e “og-gettivano” le condizioni per distingueretra stati normali e situazioni nuove chepossano aver bisogno della ricerca dinuove regole.

I processi creativi per l’innovazioneSecondo Choo, quindi, la creatività en-tra in gioco nella fase in cui occorrecreare nuova conoscenza per prenderedecisioni di fronte ad eventi che nonhanno senso o comunque disorientanorispetto agli schemi usuali e condivisi.Nel campo economico tali eventi sonospesso collegati ad instabilità di merca-to causati dall’ingresso di nuovi con-correnti e prodotti, dal successo dinuove tecnologie, dalla scoperta dinuovi modelli di business oppure daeventi fortemente dirompenti comeguerre, rivoluzioni, catastrofi naturali.In queste situazioni la creatività con-sente di reagire e attuare cambiamentiimportanti nella propria organizzazio-ne e nella propria visione nella pro-spettiva della sopravvivenza. Nel 2005 il progetto "CREATE - Creati-ve Processes for Enterprise Innovation",finanziato dalla Commissione Europeae coordinato dall'Università di Udine,ha sintetizzato una metodologia com-pleta, basata sulle migliori tecniche perfavorire la creatività e l'innovazionenelle organizzazioni. Secondo questostudio le imprese possono mettersi nel-le condizioni ideali per l’innovazioneattraverso la “disorganizzazione creati-va”, un principio simile al concetto di

� La creatività nel ciclo del sapere organizzativo �tteemm

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> Figura 1 - Il ciclo del sapere organizzativo

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rienze, memorie, conoscenze e aspet-tative interiori, che appartengono soloa se stessi . Questo è il motivo per cuil’imprenditore crea la sua visione e de-cide di attuarla da solo, nell’intimo delsuo animo, facendo leva prima di tuttosulle sue emozioni. Anche la conquistadel consenso dei suoi collaboratori,all’inizio, si basa sulla consonanza chesi stabilisce tra le sue emozioni e le lo-ro, che, a loro volta, li spingono all’a-zione. Solo successivamente si generail processo con cui si comincia a dareun senso comune alla realtà circostantee si condivide il modo più appropriatoper affrontarla. A questo punto entranoin gioco i meccanismi descritti daChoo e si giustifica l’affermazione diEdison che la creatività sia 1% ispira-zione e 99% sudore.

� NOTE1 Mauro De Bona, Campus s.r.l., “Vita, Morte,

Miracoli della CREATIVITA’ in azienda”, relazio-

ne al Convegno “La valorizzazione del capitale

intangibile per vincere le sfide del mercato di

oggi e di domani”, organizzata dalla Provincia

di Pordenone il 28 novembre 2008.

2 Edoardo Boncinelli, Mi ritorno in mente (2010) –

Longanesi ISBN 978-88-304-2312-1.

Il ruolo dell’ispirazioneTuttavia, a differenza di quanto sostie-ne Choo, è ormai cognizione comuneche gli strumenti “razionali” siano ne-cessari, ma non sufficienti per prenderedecisioni. La spiegazione è data dalle risultanzedi molteplici studi nel campo della psi-cologia, della sociologia, della comu-nicazione, delle neuroscienze e altrediscipline, che spiegano come la men-te umana si adatti all’ambiente esterno,nella prospettiva della sopravvivenza,mediante azioni che in parte sono mo-tivate da valutazioni coscienti e razio-nali ed in parte da valutazioni emotiveo affettive. Anzi, nella maggior partedei casi, le decisioni più rapide e con-vincenti sono quelle prese in modoemotivo, dal momento che la presa dicoscienza razionale è un processo in-trinsecamente lento, seriale, riduttivo,mentre la percezione emotiva è rapida,parallela, complessa. Tuttavia, mentrele valutazioni razionali sono condivisi-bili con gli altri, dal momento che siconformano a logiche e criteri comuni,quelle emotive sono individuali, per-ché derivano dal complesso delle espe-

innovazione proposto dall'economistaaustriaco Schumpeter (1942). La disor-ganizzazione creativa può essere favo-rita agendo in tre direzioni differenti:strutture organizzative, stili direzionalie management. Per quanto riguarda lestrutture organizzative è necessariocreare strutture piatte, riducendo i liveligerarchici e puntando sulle competen-ze di risorse umane flessibili piuttostoche sull’assegnazione rigida di mansio-ni; è opportuno favorire il coordina-mento laterale e la decentralizzazionedelle decisioni. Rispetto agli stili dire-zionali, è necessario sviluppare l’im-prenditorialità, non avere paura deglierrori, non temere i conflitti ma sfruttar-li per far emergere nuove idee e propo-ste. Riguardo al management, è impor-tante usare tecniche per sviluppare lacreatività individuale e di gruppo.Secondo questi orientamenti, dunque,la creatività è fortemente connaturata aiprocessi razionali e può essere suppor-tata mediante adeguate tecniche creati-ve. Tra queste sono ben noti il “brain-storming” di Alex Osborn, il “pensierolaterale” e la tecnica dei sei cappelli diEdward de Bono ed il TRIZ di GenrichAltshuller oltre ad altre meno famose.

www.aicq.itmaggio/giugno 2013

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Continua da pag 3

� NOTE1 Come mostra una indagine europea della Boston

Consulting Grup, l’evoluzione demografica in

corso ha determinato l’affacciarsi sul mercato

del lavoro dei figli della rivoluzione digitale, i

cosiddetti millennials, ragazzi sempre connessi -

smartphone in primis ma non solo - e con una

spiccata iper-socialità (da Facebook a Twitter);il

26% di loro possiede un blog, contro il 9% dei

più anziani; l’ approccio all’impiego è ben diffe-

rente da quello delle generazioni precedenti: i

‘millennials’ sono meno disponibili ai compro-

messi, si immaginano percorsi lavorativi rapidi e

stimolanti, non sono abituati ad aspettare: si

aspettano che le cose accadono velocemente

(promozioni, responsabilità,…);si attendono capi

in sintonia con il loro modo di guardare il mon-

do, incentrato su reti digitali e rapporti sociali im-

pensabili fino a qualche anno fa.

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Asupporto di tale affermazione con-tribuiscono due fatti: la recentissi-ma uscita della Iso 10018-Linee gui-

da per il coinvolgimento e la competenzadel personale, che integra, interpreta e sup-porta il ruolo delle RU nella Iso 9001 e lacostituzione di un nuovo comitato Iso, il TC260 - Human Resource Management.Nel seguito considereremo separatamen-te questi due fatti.

La nuova ISO 10018Nel lontano 2004, entro il Comitato in-ternazionale incaricato, si rilevò che gliaspetti relativi al personale nella iso9001 erano relativamente sottovalutati;l’anno dopo, partendo dall’affermazionecontenuta nei principi dei sistemi qualitàche “le persone sono l’essenza dell’orga-nizzazione”, venne presa la decisione diavviare lo studio di una nuova Normaper il (quality) management per svilup-pare la competenza e gli aspetti relativial personale. Ora la norma è uscita e neè in corso la traduzione italiana.Nella Introduzione nella norma si legge:GeneralitàLa performance complessiva di un siste-ma di gestione per la qualità e dei suoiprocessi in definitiva dipende dal coin-volgimento delle persone e dal fatto cheesse siano adeguatamente introdotte einserite nell’organizzazione.Il coinvolgimento del personale è impor-tante perché un sistema di gestione della

qualità dell’organizzazione raggiunga irisultati stabiliti, coerenti ed allineati conle strategie e i valori dell'organizzazione.Diventa allora critico identificare, svilup-pare e valutare le conoscenze, le abilità,i comportamenti e l'ambiente di lavororichiesto per ottenere un efficace coin-volgimento delle persone con la neces-saria competenza. Questa norma internazionale fornisce lelinee guida per quei fattori umani che in-fluenzano il coinvolgimento e la compe-tenza delle persone e crea valore cheaiuta a raggiungere gli obiettivi dell'orga-nizzazione.Relazioni con il sistema di gestione perla qualitàLe norme per i sistemi di gestione per la

qualità sviluppati dall’ISO/TC 176 sonobasati sui principi di gestione per la qua-lità descritti nella Iso 9000.Le correlazioni instaurate tra questa nor-ma e la Iso 9001 facilitano il coinvolgi-mento e la competenza delle personeentro il sistema di gestione per la qualità. Tuttavia, questa norma internazionalepuò anche essere usata per altri sistemidi gestione.L’approccio basato sui processi inrelazione al coinvolgimento e alla competenza del personaleQuesta norma internazionale è basata suun approccio di processo strategico persviluppare il coinvolgimento e la compe-tenza del personale a tutti i livelli dell'or-ganizzazione (vedi figura 1.)

Cresce in ISO il peso delle RU

> Figure 1 - Stategic process for people involvement and competence

La nuova ISO 10018 e il nuovo TC 260

Giovanni MattanaPresidente Commissione UNI Gestione Qualità e Metodi Statistici

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mmaa Il modello di processo illustrato in figura

2 mostra le azioni tattiche, i risultati e ipiani per il coinvolgimento e la compe-tenza del personale.Se il coinvolgimento e la competenzadel personale vengono monitorati, misu-rati e analizzati entro il sistema di gestio-ne per la qualità, ciò produce risultatiche mettono in grado la direzione diprendere decisioni per il miglioramento,in tal modo guidando verso migliori li-velli di soddisfazione dei clienti.L’utilizzo di questa normainternazionaleIl capitolo quattro descrive i processi cheun'organizzazione può utilizzare permettere in atto e conservare il coinvolgi-mento e la competenza del personale inun sistema di gestione per la qualità.I fattori descritti al punto 4.6 suggerisco-no azioni che possono essere intrapreseper rinforzare il coinvolgimento del per-sonale. Le linee guida fornite ai capitolida 5 a 8 suggeriscono azioni specificheche possono essere intraprese per soddi-sfare specifici requisiti del sistema di ge-stione per la qualità, quali quelli specifi-cati nell'Iso 9001.Questa norma internazionale fornisce li-nee guida per tutti i livelli, dai massimiresponsabili fino agli operatori per laqualità e ai responsabili delle risorseumane. La gestione del coinvolgimento e dellacompetenza del personale4.1 GeneralitàL’organizzazione può usare queste lineeguida per assicurare un impegno a lun-go termine circa il coinvolgimento e lacompetenza del personale. 4.2 Coinvolgimento della leadership estrategia Un efficace sistema di gestione per laqualità richiede che i leader siano visi-bilmente coinvolti nel raggiungere gliobiettivi di coinvolgimento e competen-za del personale. I leader dovrebbero in-coraggiare le persone ad assumersi re-sponsabilità e creare quelle condizioniche permettano alle persone di ottenerei risultati desiderati, assicurando che ipertinenti requisiti siano soddisfatti.I leader dovrebbero dimostrare il loro

impegno verso il coinvolgimento e lacompetenza delle persone attraverso leseguenti azioni:a) fissare le strategie, le politiche diobiettivi;

b)definire le responsabilità e le autorità;c) assicurare la comprensione delle ne-cessità e delle aspettative dei clienti;

d) stabilire i requisiti necessari e relativial personale quali le conoscenze, leabilità e i comportamenti;

e) stabilire i requisiti relativi alle risorse,relativamente alle infrastrutture all'am-biente di lavoro alle condizioni di la-voro;

f) fornire le risorse richiesteg) incoraggiare la comunicazione.4.3 Il processo di coinvolgimento delpersonale e di acquisizione delle com-petenze La competenza può essere perseguitacon piani di sviluppo che contribuisco-no anche al coinvolgimento del perso-nale. Il processo per il coinvolgimentodel personale e per l'acquisizione dellacompetenza è descritto in figura 2.Gli altri punti del capitolo 4 prendono inconsiderazione e sviluppano i seguentiaspetti:4.4 Analisi di coinvolgimento del perso-nale e acquisizione della competenza 4.4.1 Necessità di identificazione 4.4.2 Valutazione 4.5 Pianificazione e del coinvolgimentoe della competenza 4.5.1 Generalità4.5.2 Pianificazione organizzativa 4.5.3 Pianificazione del coinvolgimentoe della competenza delle singole perso-ne 4.6 Attuazione Azioni della leadership per rinforzare il

coinvolgimento del personale dovrebbe-ro comprendere fattori quali la comuni-cazione, il lavoro di gruppo, le respon-sabilità, l'innovazione e i riconoscimen-ti. Questi fattori sono descritti in maggiordettaglio nell'appendice A.Il coinvolgimento richiede un ambientein cui le persone partecipino alla pianifi-cazione e possano influenzare le deci-sioni e le azioni che hanno effetti sul lo-ro lavoro.L'ambiente di lavoro dovrebbe favorireil coinvolgimento delle persone nell'ot-tenimento degli obiettivi dell'organizza-zione. Il processo di coinvolgimento del perso-nale include vari fattori, tra I quali:•la comunicazione •il reclutamento•la consapevolezza •il coinvolgimento •il lavoro di gruppo e la collaborazione •la responsabilità e l’autorità •la creatività e l’innovazione •I riconoscimenti ed i premi.4.6.3 La implementazione di piani per lacompetenza 4.7 La valutazione Responsabilità della direzioneGuida al punto 5 della Iso 9001, Responsabilità della direzione, ai fini del coinvolgimento e della competenza5.1 Impegno della direzione Per dimostrare il proprio impegno versoil coinvolgimento del personale, la dire-zione dovrebbe:a) spiegare al personale dell'organizza-zione il valore creato attraverso il si-stema di gestione per la qualità;

b)assicurare che gli obiettivi per la ge-stione della qualità siano stabiliti e ap-

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> Figure 2 - Development process of people involvement and competence acquisition within an organization

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� Cresce in ISO il peso delle RU �

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propriatamente assegnati nell'organiz-zazione;

c) acquisire consapevolezza della rela-zione fra il sistema di gestione qualitàe le performance economiche.

Gli altri punti del capitolo 5 prendono inconsiderazione e sviluppano verso le RUi seguenti aspetti:5.2 Customer focus5.3 Politica per la qualità5.4 Pianificazione e obiettivi per la qua-lità5.5 Responsabilità, autorità e comunica-zione5.5.1 Responsabilità ed autorità5.5.2 Rappresentante della direzione5.5.3 Comunicazione interna5.6 Riesame di direzioneQuando si valuta l'efficacia e l'efficienzadel sistema di gestione per la qualità, ladirezione dovrebbe riesaminare gli inputad intervalli pianificati e fare le seguenticose:a) prendere decisioni ed avviare azioniper migliorare il coinvolgimento e lacompetenza del personale;

b) stabilire obiettivi per il coinvolgimentoe la competenza e comunicarli a tuttele persone coinvolte;

c) stabilire meccanismi per assicurarel'ottenimento degli obiettivi di coin-volgimento e competenza;

d) fornire le risorse per sviluppare lacompetenza del personale;

e) coinvolgere il personale nelle opera-

zioni del sistema di gestione per laqualità ed essere consapevoli delledifficoltà e opportunità del personale;

f) fornire una piattaforma per lo scambiodi idee proposte dal personale.

Gestione delle risorse Guida al punto 6 della Iso 9001, Re-sponsabilità della direzione, ai fini delcoinvolgimento e della competenza.La norma prende in considerazione esviluppa verso le RU i seguenti aspetti:6.1 Messa a disposizione delle risorse 6.2 Human resources6.2.2 Competenza, formazione- adde-

stramento e consapevolezza 6.3 Infrastrutture6.4 Ambiente di lavoroRealizzazione del prodottoGuida al punto 7 della Iso 9001, 7 Rea-lizzazione del prodotto, ai fini del coin-volgimento e della competenzaLa norma prende in considerazione esviluppa verso le RU i seguenti aspetti:7.1 Pianificazione della realizzazionedel prodotto7.2 Processi relativi al cliente7.3 Progettazione e sviluppo7.4 Approvvigionamento7.5 Produzione e erogazione del servizio7.6 Tenuta sotto controllo delle apparec-chiature di monitoraggio e misurazioneMisurazione, analisi e miglioramentoGuida al punto 8 della Iso 9001, 8 Misu-razione, analisi e miglioramento, ai finidel coinvolgimento e competenza.

Anche in questo caso la norma integra ivari punti della norma; riportiamo alcuniesempi di tali integrazioni.8.1 GeneralitàL’organizzazione dovrebbe pianificare emettere in atto processi di monitoraggio,misurazione, analisi e miglioramento.In aggiunta:a) Dovrebbero essere definite le respon-sabilità di cui in 5.5.1 per le personeche sono incaricate delle misurazioni,valutazioni e monitoraggio;

b) il personale responsabile per un pro-cesso dovrebbe essere coinvolto nellaselezione degli aspetti chiave da misu-rare, per scopo di presidiare la qualità;

c) le persone responsabili delle misura-zioni dovrebbero essere competentinelle tecniche di misurazione, analisie miglioramento;

d) le persone dovrebbero essere informa-te su come le misure contribuisconoalla misura della performance com-plessiva dell'organizzazione;

e) le persone dovrebbero essere messein grado di migliorare la performancedei loro processi attraverso mezzi ap-propriati

8.2.1 Soddisfazione del clienteL’organizzazione dovrebbe monitorarele informazioni relative alle percezionidel cliente circa il soddisfacimento omeno dei suoi requisiti. Si applicano leseguenti linee guida:a) Il personale dovrebbe ricevere un’illu-strazione del valore della misurazionee monitoraggio della soddisfazionedel cliente (vedi iso 10.004);

b)Dovrebbero essere spiegati al perso-nale i risultati del monitoraggio e dellamisura della soddisfazione del clientee le conseguenti azioni decise.

8.2.2 Audit internoL’organizzazione dovrebbe condurre gliaudit interni a intervalli pianificati perdeterminare se il sistema di gestione èapplicato efficacemente, e assicurarsiche:a)……b)……c)……d) il personale conosca gli obiettivi del-l’audit nel riportare alla direzione l’ef-

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re azioni per eliminare le cause poten-ziali delle non conformità, allo scopo diprevenire il loro gradimento, assicuran-dosi che:a)…..b)…..c) ci sia una comprensione del valoredelle azioni preventive in confronto alcosto di quelle correttive.

Appendice A: Fattori che hanno impatto

sul coinvolgimento e sulla competenzadel personale GeneralitàIn questo annesso vengono trattati I se-guenti fattori:•attitude and motivation (see Clause A.2);•awareness (see Clause A.3);•communication (see Clause A.4);•creativity and innovation (see Clause A.5);•education and learning (see Clause A.6);

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ficacia e l’efficienza del sistema di ge-stione per la qualità

e) la direzione capisca il processo di au-dit e abbia competenza nel monito-raggio dei risultati.

8.2.3 Monitoraggio e misurazione deiprocessiQuando non vengano raggiunti i risultatipianificati, dovrebbero essere prese cor-rezioni o azioni correttive. In aggiunta,dovrebbero essere prese in considerazio-ne le seguenti:a) i process owners dovrebbero monito-rare i processi loro assegnati;

b)dovrebbero essere sviluppati dal per-sonale coinvolto in un dato processogli indicatori più adatti per le misura-zioni;

c) dovrebbero essere spiegate le relazio-ni tra le misure di processo che il per-sonale esegue e le conseguenti azionicorrettive.

8.2.4 Monitoraggio e misurazione del prodotto 8.3 Tenuta sotto controllo del prodottonon conforme8.4 Analisi dei datiLe organizzazioni dovrebbero effettuareun’analisi dei dati per consentire il con-tinuo miglioramento e dovrebbero:a) far crescere la competenza del perso-nale nella raccolta, analisi, interpreta-zione e valutazione dei dati.

8.5 Miglioramento8.5.1 Miglioramento continuoL’organizzazione dovrebbe migliorarecon continuità l’efficacia del sistema digestione e coinvolgere il personale attra-verso:a) sviluppare delle flowchart delle rela-zioni tra il riesame del sistema e le mi-sure, le azioni correttive o preventive,e il miglioramento continuo;

b) incoraggiare i responsabili a decideree mettere in atto programmi di miglio-ramento che coinvolgano il personalein modo interfunzionale;

c) incoraggiare I responsabili ad adde-strare il personale al processo di mi-glioramento continuo.

8.5.2 Azioni correttive8.5.3 Azioni preventiveL’organizzazione dovrebbe intraprende-

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• Organization Design and Development

• Workforce Planning

• Recruitment

• Talent Management

• Learning Management

• Compensation Management

• Global Mobility

• Employee Data Maintenance

• Employee Relations / HR Business Partner

• Health Benefits Management

• Retirement Management

• Time and Attendance

• Payroll

• HR Delivery

• HR Information Technology

• Compliance

• Reporting and Analytics

• Leave and Absence Management

• HR Communications

• Occupational Health and Safety

> Table B.1 - Self assessment of people involvement

> Table B.2 - Self assessment of competence

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f) social responsibilityÈ anche stato approvato l’avvio di unprogetto di norma sulla Gestione delpersonale per mezzo di un'occupabilitàsostenibile.In Melbourne, in congiunzione col 14°World HR Congress, ISO TC 260 ha pre-sentato il progetto su “Creating GlobalBusiness Value through ISO Human Re-source Management Standards”. Nella stessa occasione è stato distribuitoun importante studio preparato dallaAcademy of Management Annual Mee-ting Boston, Massachusetts August 3-7,2012 su International Transferability ofHuman Capital Measurement: Worldwi-de Standardization of HR Metrics, a curadi Christian Scholz*,University of Saar-land, Germany e Volker Stein, Universityof Siegen, Germany.Si è avuta una presentazione di avanza-mento da parte dei quattro gruppi: HRMetrics, Operating Models , HR Practi-ces, Human Governance. La delegatione USA ha raccomandato inquesto lavoro l’utilizzo della recente nor-ma ISO 10.018 (vista sopra).Tra le decisioni quella di avvio formale diuna Proposta di Nuova Norma (NWIP)su: Human Governance - Human di-mension as a fundamental part of theoverall corporate strategy - Guidelines (dicui in fig. 3 è presentato il processo stra-tegico).

� Cresce in ISO il peso delle RU �

D. Human governance. Coprono, come si vede, non solo uncampo enorme, ma anche un campoche sappiamo essere in grande cambia-mento, per esempio nei seguenti aspetti:•Ageing workforce•Dejuvenation•Social services are under pressure•Companies have to work with fewer peo-ple•Smarter workmethods•Combining work and private gets moreimportant•New-style employees will be participatinglonger in the workforceIl gruppo B ha inizialmente individuateun centinaio di aree potenziali ricompre-se nelle seguenti 20 Aree Funzionali:Tutte applicabili, con differenti modalità,agli stadi del ciclo di vita del dipenden-te: Attraction and Recruitment, Hiringand Onboarding, Talent Management,Separation.Il gruppo D ha preparato uno schemache prevede la definizione di mission,vision, and value statements & their rolein human governance e suggerisce il se-guente paniere di principi base:a) honesty and integrityb)equal opportunity and non-discrimi-nation

c) transparency & accountabilityd)professionalisme) innovation/creativity

•empowerment (see Clause A.7);•engagement (see Clause A.8);•leadership (see Clause A.9);•networking (see Clause A.10);•recognition and rewards (see ClauseA.11);•recruitment (see Clause A.12);•responsibility and authority (see ClauseA.13);•teamwork and collaboration (see Clau-se A.14).La descrizione dei fattori fornisce unaspiegazione dell’importanza di ciascunodi essi e dei benefici attesi dalla loro im-plementazione. Appendice B: Self-assessment(informativa) vedi tab. B1 e B2La maggior parte delle considerazioni ri-portate nei capitoli da 5 a 8 può essereusata come una checklist per valutare lasituazione rispetto al coinvolgimento ealla competenza del personale di un’or-ganizzazione. Il livello di coinvolgimen-to e competenza del personale potrebbeanche essere valutato paragonando leazioni svolte rispetto ai punti indicati afronte di ciascuna voce della Norma. Sono possibili vari aggiustamenti quandosi vuol determinare il livello di coinvolgi-mento, per esempio assegnando unagraduatoria a quali singole azioni sonocompletate o fissando differenti pesi perle varie azioni.

IL NUOVO TC 260 dell’ISO-Human ResourceManagementIl tema della gestione delle risorse uma-ne, uno dei temi con le più vaste biblio-grafie esistenti, ha trovato un nuovo tavo-lo in cui venire affrontato: la Iso ha costi-tuito il Technical Committee 160, HumanResource Management. La proposta èstata approvata nel febbraio 2011 e ilnuovo TC ha tenuto la sua prima riunio-ne a Washington nel novembre 2011.In quella sede fu deciso di creare quattrogruppi di lavoro sui seguenti temiA. Operating model(s) of HRB. HR practices (including list of effecti-ve processes)

C. Metrics - Key social and business im-pacts

> Figura 3 - Strategic process of Human Governance

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Stefano Binidottorando di ricerca in “diritto ed impresa” - Univ. Luiss di Roma, socio Aicq CI

Ilmobbing: tra condizioni di lavoro e organizzazione

>>

PremessaNella sezione dedicata al “lavoro” del“Rapporto Italia 2013”

1sul sentiment

degli italiani, recentemente presentatodall’istituto di ricerca EURISPES, emer-ge un quadro non certo rasserenante;l’indagine, invero, prende in analisi al-cuni dei principali elementi di criticitàdel contesto sociale italiano, tra i qualiun ruolo di primaria importanza puòessere riconosciuto al “mobbing”, che:«da semplice forma di repressione neiconfronti di un lavoratore, si è ormaidelineato come problematica comples-sa».I dati riportati nel richiamato studio sipresentano come intrinsecamente allar-manti: il 23,5 % degli occupati - senzaparticolare distinzione tra soggetti disesso femminile e soggetti di sesso ma-schile - affermano di riconoscere i “sin-tomi” del mobbing e di essere stati, al-meno una volta, interessati dal medesi-mo, dichiarando di aver subìto forme disopruso o, addirittura, di persecuzione.Fra le classi di età interessate dall’inda-gine, i giovani risultano i maggiormentecolpiti, in una percentuale del 35,5 %di soggetti interessati, con ogni probabi-lità, in ragione della diffusa precarietà.Di sicuro interesse, inoltre, è il dato re-lativo alla diffusione delle due forme dimobbing: il c.d. mobbing “verticale”,meglio noto come “bossing” risulta pre-valentemente diffuso (nell’87,6 % dei

casi), mentre il c.d. mobbing “orizzon-tale” si riscontra, “solamente”, nel 39,2% dei casi.Una interpretazione “consapevole” deidati enucleati dal rapporto EURISPESpresuppone, necessariamente, una pre-liminare sintetica ricostruzione sistema-tica del quadro disciplinare di riferi-mento, tesa a fornire gli strumenti di let-tura degli attuali scenari sociali.

Introduzione all’inquadramento del fenomeno Il termine “mobbing”, da tempo ormaientrato pienamente nel linguaggio con-temporaneo, come dimostrato dalla suaintroduzione nei principali vocabolaridella lingua italiana, costituisce un neo-logismo di origine anglofona, la cui tra-duzione letterale può essere individuatacon riferimento all’idea dell’“accalcarsiintorno, assalire in gruppo”.L’espressione, inizialmente ideata edelaborata in ambito psicologico dal ce-lebre etologo tedesco Konrad Lorenz

2,

rievoca concetti quali “prevaricazione”,“persecuzione”, “vessazione” che de-terminino, conseguentemente, “isola-mento”, “esclusione”, “allontanamen-to” ed “emarginazione”.Come appena anticipato, il primo uti-lizzo del termine fu in ambito etologi-co, essendo stato elaborato per definirequel fenomeno, tipico in effetti del

comportamento animale, «dell’attaccoconcentrico e simultaneo di più essericontro un altro, al fine di isolarequest’ultimo ed allontanarlo dal grup-po, o dal territorio cui appartiene»

3.

Nella piena consapevolezza della diffi-coltà, se non addirittura dell’impossibi-lità, di identificare una definizionechiara ed univoca di mobbing nell’ordi-namento giuridico italiano, è ragione-vole inquadrare il fenomeno come unaforma di violenza psicologica sul luogodi lavoro.La sempre maggiore attenzione, focaliz-zata dalla giurisprudenza, tanto di meri-to quanto di legittimità, attorno al feno-meno in questione, ha determinato lafioritura di una pluralità ed eterogeneitàdefinitoria di tale fattispecie, tanto at-tuale quanto indeterminata e “sfuggen-te” nei suoi contorni essenziali.«Per “mobbing” si intende una condot-ta del datore di lavoro o del superioregerarchico, sistematica e protratta neltempo, tenuta nei confronti del lavora-tore nell’ambiente del lavoro, che si ri-solve in sistematici e reiterati comporta-menti ostili che finiscono per assumereforme di prevaricazione o di persecu-zione psicologica, da cui può conse-guire la mortificazione morale e l’emar-ginazione del dipendente con effettolesivo del suo equilibrio fisiopsichico edel complesso della sua personalità»(Cass., 10 gennaio 2012, n. 87)

4.

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� Il mobbing: tra condizioni di lavoro e organizzazione �

espressiva del termine in questionespesso identificativa di una insopprimi-bile e quanto mai primaria istanza ditutela di diritti fondamentali della per-sona umana, coinvolta in un rapportodi lavoro. Il mobbing può essere pienamente con-siderato come un fenomeno intrinseca-mente caratterizzato da una peculiaredinamicità, essendo i suoi stessi contor-ni in continua e costante evoluzione.Proprio tale varietà è pertanto da consi-derare come il principale fattore dellemolteplici ed eterogenee tipologie e for-me di mobbing che, in concreto, posso-no riscontrarsi.Sebbene le condotte integranti la fatti-specie di mobbing si caratterizzinoprincipalmente per la loro estrema ete-rogeneità, varietà e pluralità di forme,l’elaborazione giurisprudenziale ha tut-tavia provveduto ad enucleare alcunitratti, costantemente riscontrabili inconcreti casi di specie, che concorronoa delineare le caratteristiche necessarie,solo in presenza delle quali può effetti-vamente parlarsi di mobbing.Si rende, pertanto, opportuno eviden-ziare che, alla luce dei più recentiorientamenti giurisprudenziali, per po-tersi configurare una fattispecie di mob-bing, la condotta deve: essere attuata eprotratta in modo continuativo nel tem-po; mantenuta nei confronti di un lavo-ratore, nell’ambito del contesto e del-l’ambiente di lavoro; concretizzarsi incomportamenti intenzionalmente ostili,reiterati e sistematici, nonché esorbitan-ti ovvero incongrui rispetto all’ordinariagestione del rapporto di lavoro, essereidonea ex se a determinare un effettolesivo sulla salute psicofisica del lavora-tore interessato. Ulteriore e centrale elemento che deve,necessariamente, costituire oggetto diprova è rappresentato dal nesso eziolo-gico intercorrente tra la condotta postain essere dal superiore gerarchico(mobbing verticale), ovvero dal collega(mobbing orizzontale) ed il pregiudizioall’integrità psico-fisica, sofferto dal la-voratore

8.

Al di là dell’interesse originariamente

suscitato nel legislatore italiano dall’in-novativa nozione, non si è riscontratal’elaborazione di alcun tessuto normati-vo a corredo del fenomeno in questio-ne; di seguito, si tenterà allora di pro-porre una ragionata ricostruzione delleimplicazioni, tanto organizzative quan-to giuridiche, del mobbing.

Mobbinged efficienza organizzativa delle impreseIn dottrina (Del Punta, 2003) si defini-sce il mobbing come «un fattore diinefficienza per organizzazioni che sipretendono intelligenti»

9. Prendendo le

mosse da tale significativo riconosci-mento, un aspetto di straordinario inte-resse da investigare è quello attinentealle implicazioni intrinsecamente con-nesse, tra il fenomeno mobbing e l’effi-cienza organizzativa delle imprese. A fronte, invero, della significativa dif-fusione di questo «rischio, di nuova ge-nerazione, per la sicurezza sullavoro»

10, viene avvertita come forte la

necessità di assicurare e garantire effet-tive condizioni di salute mentale neiluoghi di lavoro, attraverso una proficuaprevenzione delle molestie nelle rela-zioni interpersonali, in contesti lavorati-vi.Come anticipato, il fenomeno de quopuò constare di un corpus tanto varie-gato e complesso di comportamenti, traloro eterogenei, che in vario modo inci-dono sulla qualità dei rapportilavorativi

11.

Più specificamente, le condotte inte-granti la fattispecie - se di fattispecie, ef-fettivamente, può parlarsi - di mobbingrisultano generalmente connotate dallaintrinseca ed implicita loro idoneità adincidere, negativamente, sull’integritàfisica e sulla personalità morale del la-voratore, inteso in primis nella sua di-mensione di persona. Tra i principali ef-fetti, tanto transitori quanto permanenti,del fenomeno in questione, tipizzatidalla ricca produzione giurisprudenzia-le, stratificatasi nel corso degli anni,possono essere annoverati labilità emo-

La stessa giurisprudenza di merito si èin verità confrontata, nel corso degli an-ni, con la necessità di sopperire alla la-cuna definitoria propria della normativanazionale, non essendo invero indivi-duabile un’espressa qualificazione delfenomeno, accompagnata da un relati-vo apparato sanzionatorio

5; un’interes-

sante definizione si rinviene, in partico-lare, in Trib. Forlì, 15 marzo 2001: ilmobbing consiste nel «comportamentoreiterato nel tempo da parte di una opiù persone, colleghi o superiori dellavittima, teso a respingere dal contestolavorativo il soggetto mobbizzato, che,a causa di tale comportamento subisceconseguenze negative anche di ordinefisico»

6.

Il mobbing, inteso nella sua accezionedi “fenomeno”, rilevante tanto sotto l’a-spetto psicologico, quanto sotto quellosociale e relazionale (sempre limitata-mente al contesto lavorativo), non trovaun’analoga tipizzazione in termini di“fattispecie”, giuridicamente qualifica-ta: mancando, come detto, una specifi-ca disciplina legislativa, la tutela del la-voratore asseritamente mobbizzato è,pertanto, interamente rimessa all’esitodi un’azione giudiziaria, nella qualel’ambito valutativo del giudice assumeampiezza e portata rilevantemente am-pie.Dalla eterogeneità di approcci definito-ri, forniti dalla ricca produzione giuri-sprudenziale in materia, deriva conse-guentemente la difficoltà di elaborareprima ed aggiornare poi un’unitaria de-finizione del fenomeno, che rappresentiil frutto di una costante opera di sintesitra i molteplici, e talvolta dissimili,orientamenti giurisprudenziali.Prima ancora che nella sua accezionegiuridica, ad ogni buon conto, il mob-bing ha precedentemente interessato lostudio di ampi ed eterogenei settoriscientifici e disciplinari, tra i quali, inprimis, quelli psicologico-comporta-mentale e sociologico-relazionale. Circa la straordinaria ed intrinseca ca-pacità metaforico-evocativa

7 della paro-

la in questione, non pare possa nutrirsidubbio alcuno, essendo la potenzialità

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a scongiurare il rischio di una possibilee non remota espansione “non control-lata” della categoria del mobbing, cheinduca a considerare rientrante nel fe-nomeno in questione qualsiasi ipotesidi conflittualità nel contesto lavorativo.

Considerazioni conclusive: il mobbing come paradossoAlla luce delle considerazioni sin quisviluppate, si ritiene doveroso fornire,in conclusione, alcuni ulteriori spunti diriflessione su un fenomeno che, nellasua magmaticità, appare oggi di ap-prezzabile espansione.A corollario della disamina dei princi-pali aspetti inerenti il mobbing, occorreacquisire una piena consapevolezzacirca la natura culturale, prima ancorache giuridica ed organizzatva, del feno-meno in questione: certamente nuovarisulta essere l’elaborazione della no-zione e della categoria di mobbing,“importata” nell’ambito giuridico da al-tri settori scientifici e in Italia (sia pursolo nella produzione giurisprudenzia-le) da altri ordinamenti; sussumibile pe-raltro nelle norme codicistiche, quantomeno in nuce, appare invece essere lospirito proprio del fenomeno

16.

Risulta di fondamentale importanzacomprendere, infine, che, come evi-denziato in dottrina (Monateri, 2004),«il primo danneggiato dell’attività dimobbing è l’impresa stessa»

17, ripercuo-

tendosi, in realtà, gli effetti negativi pro-dotti dalle condotte integranti la fatti-specie di mobbing, sia sull’attività lavo-rativa dei dipendenti che su quella pro-duttiva dell’impresa in generale. La ma-nifestazione di comportamenti mobbiz-zanti rappresenta, pertanto, un signifi-cativo ed allarmante segnale di ineffi-cienza, che può certamente determinar-si in fattore penalizzante, per un’impre-sa che si ponga l’obiettivo di esserecompetitiva sul mercato.

note sul sitohttp://aicqna.com/redazione/qualita/sezione segnalazione articoli

mento12.

Il principale substrato da cui si sviluppail mobbing è, pertanto, da individuarenell’insieme di antagonismi, contrasti econtrapposizioni che frammentano l’or-ganizzazione imprenditoriale, determi-nando sempre più bassi livelli di coope-razione e coordinamento nello svolgi-mento delle attività. Un elevato tasso diconflittualità interna (tanto orizzontalequanto verticale), unitamente all’assen-za di un reale “benessere” nel clima la-vorativo e ad una scarsa motivazionedei lavoratori, minano significativamen-te e pericolosamente la proficua effi-cienza dell’organizzazione.«Ciò che rende veramente attrattivaun’azienda agli occhi dei lavoratori è lastabilità occupazionale accompagnatadalla motivazione al lavoro. Ossia lacapacità di gestire le risorse umanedando loro una forte motivazione. Ciòche attrae i lavoratori non è solo un sa-lario o dei bonus, ma più in generaleun ottimo clima aziendale e l'esistenzadi un progetto complessivo a cui aderi-re»

13.

Orbene, giova a tal punto riflettere at-torno all’individuazione di quello chepotrebbe definirsi come il labile confinetra fisiologia e patologia, ovvero tramobbing e conflitto industriale. Deveinfatti riconoscersi la necessaria ed in-sopprimibile essenza conflittuale delrapporto di lavoro, data dalla contrap-posizione di interessi tra loro distanti:capitale e lavoro, impresa e persona, ef-ficienza economica e tutela dei diritti

14.

Come infatti riconosciuto da autorevo-lissima dottrina (Persiani, 2002), il dirit-to del lavoro ha le sue radici che affon-dano nel terreno del conflitto industria-le, originato dalla inevitabile contrap-posizione tra chi detiene i mezzi dellaproduzione e chi, invece, vive dellaproduzione medesima

15.

Essendo tale dualismo proprio del mo-dello di produzione capitalistico, unrapporto conflittuale “sano” tra datoredi lavoro e lavoratore è inquadrabilenell’ottica di un fisiologico incontro trainteressi differenti e distanti. Occorredunque prestare particolare attenzione

tiva, ansia, PTS (Post Traumatic Stress),squilibri psichici, perdita di autostima edi fiducia in se stessi.Si intuisce allora, già ad una prima ri-flessione sul tema, come un effettivo esostanziale benessere organizzativo,costituisca un fattore decisivo e fonda-mentale per il conseguimento di un rea-le e proficuo miglioramento della per-formance, non solo individuale, ma an-che complessiva dell’intero sistema or-ganizzativo.Il superamento di condotte inquadrabilinell’ambito del mobbing si pone, inve-ro, quale imprescindibile fattore per unvirtuoso processo di miglioramento del-le globali condizioni lavorative. Un col-laborativo e, per quanto possibile, ar-monico clima organizzativo e relazio-nale all’interno dell’impresa, in pienacoerenza con una condivisa culturadella qualità, determina direttamentebenefici effetti sulla motivazione e sulcoinvolgimento dei lavoratori, e quindisui complessivi risultati organizzativo-gestionali. L’orientamento al migliora-mento continuo, in una costante ricercadell'eccellenza competitiva, deve ne-cessariamente fondarsi anche, ed anziprimariamente, sull’impegno generale,condiviso e consapevole, teso all’edifi-cazione ed alla implementazione di re-lazioni lavorative ed interpersonali, im-prontate ad uno spirito di partecipazio-ne e proattiva collaborazione.Quella che potrebbe essere definita co-me una visione sistemica ed integratadel rapporto persona/impresa, invero,poggia sul fattivo coinvolgimento e sul-la reale motivazione delle risorse uma-ne, nel quadro di un complessivo climadi positiva collaborazione e generalecondivisione di obiettivi.L’origine del fattore di inefficienza perl’organizzazione imprenditoriale, rap-presentato dal mobbing, è diffusamen-te da rinvenire nell’assenza di una rea-le e “partecipata” cultura d’impresa,nell’ambito della quale siano declinatii principi ispiratori delle organizzazionisnelle, sintetizzabili nel perseguimentodell'eccellenza organizzativa, attraver-so un sistematico e continuo migliora-

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� Management � 15tteemm

aaDomenico FaragliaQuality Auditor EN 9100, TQM Assessor n.45 SICEV register, CMMI Appraiser - SEI registered (Quality Dept. - Intecs)

>>

Sinergie e complementarietà

Balanced Scorecard & EFQM 2013

Il Modello EFQM per l’Eccellenza

2

Il Modello EFQM trae le sue radici nellafilosofia del TQM; il potenziale che questoha mostrato come mezzo per ottenere unvantaggio competitivo sostenibile ha spin-to quattordici aziende leader europee afondare la European Foundation for Qua-lity Management (EFQM), con l’obiettivodi stimolare l’adozione dei principi del To-tal Quality Management per migliorare lacompetitività dell'industria europea, an-che attraverso l’istituzione del premioEFQM Excellence Award, nel 1991.Il Modello EFQM è un quadro di riferi-mento non prescrittivo che consente aduna organizzazione di: valutare la propriaposizione sul cammino verso l’eccellen-za, evidenziando i rispettivi punti di forzae di debolezza; acquisire uno strumentodi benchmark in grado di facilitare la co-municazione di programmi e risultati aiprincipali stakeholder; fornire la struttura dibase per il proprio sistema di gestione

3.

L’approccio si fonda su alcuni concetti fon-damentali che delineano gli elementi es-senziali per ottenere l’eccellenza sosteni-bile da parte di una organizzazione di qual-siasi settore/dimensione e costituiscono labase per descrivere le caratteristiche di-stintive della cultura aziendale, ovvero, iprincipi ai quali ogni organizzazione do-vrebbe traguardare scelte, attività e com-portamenti del personale.I nove criteri del Modello EFQM, classifi-

certo numero di caratteristiche fonda-mentali; entrambi sono basati sulla mi-surazione, incoraggiano il miglioramentodelle prestazioni, agiscono come cata-lizzatori del cambiamento e si basanosui principi di apprendimento ed inno-vazione. In ambedue i casi, il successosul lungo termine dipende dall'impegnocontinuo nel migliorare le performancedell'organizzazione; inoltre, tutti e dueincludono rapporti di tipo causa-effetto,fattori abilitanti e risultati di business.Ognuno segue un proprio processo strut-turato, per fornire una visione completae profonda dell’organizzazione, parten-do in un caso dalle migliori pratiche diTotal Quality Management (TQM), nel-l’altro dalla definizione, diffusione e rea-lizzazione della strategia aziendale. Mal-grado queste similitudini i due approc-ci sono molto diversi; è proprio dalle dif-ferenze e dai loro comuni obiettivi dimiglioramento delle prestazioni che sipuò ottenere il maggior beneficio di unloro utilizzo congiunto. Il Modello EFQMpuò infatti aggiungere una prospettivaalla Balanced Scorecard inserendo unaulteriore categoria di stakeholder nellarappresentazione della sua struttura; vi-ceversa, la Balanced Scorecard può for-nire valide indicazioni nella definizio-ne delle priorità di intervento in seguitoad una autovalutazione, eseguita con ilModello EFQM, che identifica equiva-lenti aree di miglioramento.

IntroduzioneLa complessità dell’ambiente competi-tivo in cui le imprese si trovano ad ope-rare è in continua crescita; questa ten-denza, condizionata da diversi fattori dinatura essenzialmente macroeconomi-ca, ha messo in evidenza il ruolo del mi-glioramento continuo delle prestazionicome requisito strategico delle organiz-zazioni. In tale contesto, le misure di perfor-mance

1sono ampiamente utilizzate per

gestire e migliorare processi, prodot-ti/servizi e valutare il livello di realizza-zione delle strategie nel raggiungere omantenere un vantaggio competitivo.A partire dai primi anni novanta, sonostati sviluppati molti sistemi di misura-zione delle performance, integrati e mul-ti-dimensionali, che possono essere rag-gruppati in due macrocategorie: •Modelli che enfatizzano l'autovaluta-zione e la partecipazione a premi: De-ming Prize (Giappone e Asia), MalcolmBaldrige National Quality Award (USA),l’EFQM Excellence Award (Europa);•Modelli progettati per aiutare il mana-gement a misurare le prestazioni e mi-gliorare i processi aziendali: Capabi-lity Maturity Model Integrated (CMMI),Effective Progress and PerformanceMeasurement (EP2M), Balanced Sco-recard (BSC).La Balanced Scorecard ed il ModelloEFQM per l’Eccellenza condividono un

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proccio è la promozione del processo diAutovalutazione delle organizzazioni at-traverso l’utilizzo del modello EFQM; l’at-tività, eseguita con frequenza tipicamenteannuale, è in grado di fornire all’organiz-zazione una visione dei propri punti di for-za e delle potenziali aree di miglioramen-to. I risultati sono presentati in un rappor-to che normalmente riflette la struttura delmodello EFQM.I sotto-criteri sono esaminati con il siste-ma di punteggio utilizzato per il premioeuropeo EFQM Excellence Award; il si-stema consente ad una organizzazione diconfrontare il punteggio ottenuto con quel-lo delle precedenti Autovalutazioni e conquelli di altre organizzazioni simili, siaesterne che interne (e.g. altre Divisioni). Ilmodello di per se non fornisce indicazio-

cati in Fattori (ciò che una organizzazionefa) e Risultati (ciò che l’organizzazioneconsegue) sono suddivisi in 32 sotto-cri-teri. Il modello poggia sulla premessa che:Risultati di eccellenza relativamente a Bu-siness, Personale, Clienti e Società sonoraggiunti attraverso l’azione di guida del-la Leadership su Strategia, Personale, Part-nership & Risorse, Processi, Prodotti & Ser-vizi. Il Modello EFQM è diagrammato nel-la seguente figura 1; la sua natura dinami-ca è sottolineata dalle frecce che indicanocome Apprendimento, Creatività e Inno-vazione contribuiscano a rafforzare i Fat-tori, che, a loro volta, determinano il mi-glioramento complessivo dei Risultati.Dei nove criteri del Modello EFQM illu-strato nella precedente figura:•Cinque sono i Fattori (leadership; strate-gia; personale; partnership & risorse; pro-cessi, prodotti & servizi) che insieme val-gono 500 punti, pari al 50% del punteg-gio totale; •Quattro sono i Risultati (risultati relativi aiclienti; risultati relativi al personale; ri-sultati relativi alla società; risultati di bu-siness) che valgono altri 500 punti, parial restante 50% del punteggio totale. Il modello EFQM può essere utilizzato nel-le attività di autovalutazione, valutazioneeffettuata da terzi e benchmark, oltre adessere il principale riferimento per la par-tecipazione al premio Europeo e a 25 pre-mi nazionali, tra cui il Premio Qualità Ita-lia

4. Un aspetto fondamentale dell’ap-

ni su come migliorare le aree a basso pun-teggio, in quanto si limita a consigliare diapprendere dall’esperienza favorendo losviluppo di creatività e innovazione, diadottare le migliori pratiche di manage-ment ed educare il personale ad applica-re nel modo migliore i concetti fonda-mentali dell’eccellenza.Il flusso di informazioni è una parte delmodello EFQM; i risultati sono considera-ti come flussi delle principali informazio-ni di ritorno. Più precisamente, lo schemain figura 2 mostra i flussi di informazionidi ritorno dai criteri Results ai criteri Ena-blers del modello di eccellenza; l’effettoretroattivo dei risultati dovrebbe essere ana-lizzato nell’ambito del riesame del siste-ma di gestione dell’organizzazione, al fi-ne di pianificare eventuali correttivi ed ini-ziative di miglioramento

5.

La Balanced ScorecardLa metodologia Balanced Scorecard è sta-ta sviluppata da Robert Kaplan e DavidNorton; nell’articolo “The Balanced Sco-recard - Measures that Drive Performan-ce”, Harvard Business Review (1992) con-siderato la pietra miliare della letteraturasull’argomento, proposero un approccioolistico alla misurazione delle performan-ce aziendali che permettesse il supera-mento dei limiti della tradizionale conta-bilità economico-finanziaria. Con questolavoro, Kaplan e Norton hanno reso ap-plicabili i concetti esposti da Robert Ec-cles che, nell’articolo “The PerformanceMeasurement Manifesto, Harvard Business

> Figura 1 - Modello EFQM per l’Eccellenza (©EFQM Model 2013)

> Figura 2 - Schema di retroazione per il miglioramento continuo (fonte: [8] con adattamenti)

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tteemmaa

questa prospettiva, le misure si concen-trano sui processi destinati ad avere ungrande impatto sulla proposta di valore peril cliente, e quindi, contribuiscono mag-giormente al conseguimento degli obiet-tivi economico-finanziari attesi.Apprendimento e Crescita. Identifica l’in-frastruttura che l’impresa deve costruireper realizzare lo sviluppo futuro e la cre-scita sul medio-lungo periodo, ovvero, l’in-frastruttura intangibile necessaria per so-stenere le altre prospettive (e.g. compe-tenze e tecnologie strategiche, clima la-vorativo, capacità, comportamenti e com-petenze del personale). Il processo di mi-surazione delle componenti del capitale

lere per realizzare con successo la propriastrategia. In termini generali, è possibile ri-condurre le varie tipologie di processiaziendali alle seguenti macro-classi: pro-cessi di tipo operativo legati alle attività diapprovvigionamento, produzione logisticae vendita; processi che consentono di ge-stire le relazioni con i propri clienti; pro-cessi orientati all’innovazione che con-sentono all’organizzazione di svilupparenuovi prodotti/servizi o di entrare in nuo-vi mercati; processi finalizzati a salva-guardare l’integrità dell’organizzazione nelcontesto in cui opera, per aspetti concer-nenti l’ambiente, la salute e sicurezza, ildiritto del lavoro, la comunità locale. In

Review (January - February 1991)” evi-denziava i limiti dei risultati economico-finanziari nell’offrire indicazioni sulle pro-spettive di sviluppo di una impresa e sug-geriva di integrare le tradizionali misurecon le metriche della qualità, di customersatisfaction ed innovazione.La Balanced Scorecard, nel modello clas-sico definito in [1], propone una chiave dilettura multi-dimensionale delle perfor-mance aziendali utilizzando in modo bi-lanciato indicatori organizzati nelle se-guenti prospettive:Economico-Finanziaria. Le misure in que-sta prospettiva indicano se e in quale mi-sura, nel perseguire la strategia aziendale,l’organizzazione è in grado di salvaguar-dare (o massimizzare) la propria econo-micità, soddisfacendo le attese degli sta-keholder più direttamente interessati allesue performance. Le variabili economico-finanziarie, attraverso numerosi indicato-ri di tipo lagging

6, tendono a monitorare

alcuni elementi basilari, quali, la redditività,il tasso di crescita e, in tempi più recenti,il valore aggiunto economico (EVA) cal-colato come differenza tra il reddito ope-rativo e il costo del capitale impiegato perottenerlo.Cliente. Si concentra su un aspetto fonda-mentale: la proposta di valore per il Clien-te. La scelta strategica adottata può porta-re a definire obiettivi orientati all’eccel-lenza operativa, all’innovazione di pro-dotto, ad un rapporto privilegiato con ilCliente. Il successo di una organizzazioneè valutato rispetto alla sua capacità di: as-sumere un ruolo significativo in segmentidi mercato target (market share) o nei con-fronti di particolari classi di clienti (accountshare); acquisire nuovi clienti (customeracquisition); aumentare le vendite agli at-tuali clienti (customer cross-selling); man-tenere la clientela già esistente (customerretention) soddisfacendo le loro attese (cu-stomer satisfaction) e rendendo sempre piùstretta la relazione che li lega all’organiz-zazione (customer loyalty); gestire il rap-porto con i clienti ottimizzando i risultatieconomici che da esso derivano (custo-mer profitability). Processi interni. Identifica i processi di bu-siness in cui l’organizzazione deve eccel-

> Figura 3 - La Balanced Scorecard nella rappresentazione sequenziale

17

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spettiva economico-finanziaria (il punto divista degli shareholder) con la definizionedei risultati attesi; segue quella del Clien-te, con l’individuazione degli obiettivi checontribuiscono a favorire crescita e reddi-tività e l’identificazione delle modalità concui avere successo presso il potenziale tar-get di clienti destinati ad incrementare lacrescita dei ricavi e a favorire lo sviluppoe la realizzazione di un certo mix prodot-ti e servizi. Gli obiettivi in tali prospettiverappresentano dunque i risultati attesi. Lacreazione del valore è possibile attraver-so un’attenta gestione dei processi interni(e.g. progettazione del prodotto, eroga-zione del servizio, sviluppo del marchio edel mercato, vendita dei prodotti/servizi,miglioramento della catena di fornitura)diretta all’individuazione delle attività ne-cessarie a creare una proposta di valoreper il cliente che consenta di perseguire irisultati economico-finanziari attesi. Infi-ne, la prospettiva di apprendimento e cre-scita tiene conto della capacità di eserci-tare processi interni attraverso modalitànuove e distintive che dipendono dallecompetenze strategiche presenti e futuredell’organizzazione.Lo sviluppo, realizzato da Kaplan e Nor-ton dal 1992 al 2008, ha condotto a quat-tro generazioni di Balanced Scorecard, l’ul-tima delle quali può ritenersi un comple-to sistema di management strategico. L'en-fasi si è così spostata progressivamente dal-la misurazione delle performance alla ge-

intellettuale non è finalizzato a determi-narne il valore in termini assoluti, bensì averificare la loro attitudine a sostenere inmodo efficace la strategia perseguita dal-l’organizzazione [3]. I quattro punti di vista sopra riportati nonsono “le prospettive” da utilizzare in qual-siasi contesto, sono solo le più ricorrenti;in alcuni casi possono rilevarsi insufficienti,in altri addirittura inadeguate, non ri-uscendo a focalizzare quanto rilevante peril successo aziendale. La realizzazione della Balanced Scorecardparte dalla visione per arrivare a delimita-re le priorità strategiche, le prospettive e irelativi Fattori Critici di Successo

7. Indivi-

duare i Fattori Critici di Successo porta adidentificare ciò in cui è necessario eccel-lere, per realizzare il successo; occorrequindi determinare gli indicatori di per-formance, gli obiettivi e le relative re-sponsabilità, le modalità per reperire i da-ti e gestire i risultati. La definizione delle prospettive, di targeted indicatori avviene declinando sceltestrategiche e fattori critici di successo inobiettivi da realizzare nell’ambito di undefinito orizzonte temporale; il modellocosì costruito è ritagliato su misura per lastrategia adottata, è quindi lo strumentoche si adatta all'organizzazione e non vi-ceversa.La Balanced Scorecard risponde ad unalogica di tipo top-down; quanto definito alivello strategico determina ciò che vieneelaborato ai livelli inferiori. Il punto di par-tenza è quindi rappresentato dalla defini-zione della strategia che è tradotta in azio-ni attraverso l’utilizzo di una mappa stra-tegica; ogni misura viene quindi inseritain una catena di rapporti di tipo causa-ef-fetto che collega i risultati attesi con gliobiettivi strategici del livello gerarchico im-mediatamente superiore. Nella rappre-sentazione di figura 3, le frecce riflettonola natura dinamica delle interazioni; la Ba-lanced Scorecard consente infatti di crea-re flussi di informazione dall’alto verso ilbasso e di feedback dal basso verso l’altoche permettono una efficace gestione stra-tegica dell’impresa.Con riferimento alla sequenza illustrata infigura 3, il processo ha inizio nella pro-

� Management �

www.aicq.itmaggio/giugno 2013

stione strategica [2], [3], [4]; in particola-re, attraverso la costruzione della mappastrategica si realizza il collegamento stra-tegia/indirizzi strategici – indicatori/targetai livelli più operativi. La Balanced Scorecard nella sua versionecorrente [5] è quindi un sistema di mana-gement strategico ritagliato su misura perchi la impiega, non si presta pertanto abenchmarking con organizzazioni di altrisettori o di differenti dimensioni. Inoltre,la frequenza con cui sono effettuate le mi-surazioni è variabile; anche all’interno diuna stessa Balanced Scorecard alcune mi-sure possono avere una cadenza mensile,altre addirittura annuale. Rientrano nel pri-mo caso le misure effettuate nei processiinterni, nell’ultimo i risultati dei sondaggidi Customers / People Satisfaction.

Balanced Scorecard - Modello EFQM: alcune correlazioni rilevanti[8], [9]Entrambi i modelli affrontano il tema delmiglioramento delle prestazioni attraver-so l'utilizzo della misurazione; si basano suprincipi di management simili, hanno pe-rò origini diverse, seguono distinti approcci,producono risultati e benefici differenti. LaBalanced Scorecard è progettata per co-municare le strategie e valutare il grado diraggiungimento degli obiettivi strategici,per contro le applicazioni del ModelloEFQM sono orientate a sostenere l'ado-

tteemm

aa18

> Figura 4 - BSC e Modello EFQM: analisi complementari (fonte [7]: con adattamenti)

Migliorare il livello di qualità

Mantenere alto il livello di qualitàraggiunto

Migliorare fino ad un

livello minimo accettabile

Area di potenziale

riduzione degli investimenti

Aree dimiglioramento

Punti di Forza

Strategico

NonStrategico

VantaggioCompetitivo

AspettiGenerali

Balanced Scorecard

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� Balanced Scorecard & EFQM 2013 �

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aadebole e che sostengono le priorità strate-giche richiedono molta attenzione nel de-finire e realizzare urgenti iniziative di mi-glioramento.In questo scenario, i risultati di performancedelle quattro prospettive possono essereintegrati con i risultati dell’autovalutazio-ne; la figura 4 illustra come la BalancedScorecard può essere considerata com-plementare al Modello EFQM. Le risorsepossono essere così impegnate in aree diimportanza strategica, come necessarioche sia, e non in modo generalizzato intutte le aree di basso punteggio che risul-tano dalle attività di autovalutazione. Inoltre, la Balanced Scorecard, consentedi monitorare le performance dell'orga-nizzazione su base regolare, ad esempio,con frequenza mensile; i risultati valutatinell’ambito di una Autovalutazione an-nuale prendono in considerazione risul-tati annuali e trend degli ultimi 3 anni. Gliobiettivi della Balanced Scorecard posso-no pertanto essere stabiliti in base ai datidi benchmarking, ai risultati della prece-dente autovalutazione e rispetto ai risulta-ti consuntivati nell’anno precedente.È infine possibile definire la Balanced Sco-recard del Modello EFQM (v. figura 5), ov-vero, correlare i criteri Risultati (6, 7, 8, 9)del Modello EFQM con le prospettive del-la Balanced Scorecard.In particolare, il criterio 9 ‘Risultati di Bu-siness’ del modello EFQM (sotto-criteri:9a. Risultati chiave di business; 9b. Indi-catori di prestazione relativi al business),che include misure finanziarie e non, cor-risponde a più prospettive della BalancedScorecard. Viceversa, il criterio 8 ‘Risulta-ti relativi alla Società’ richiede una pro-spettiva aggiuntiva; i criteri 6 e 7 trovanoinvece una sostanziale corrispondenza con

ced Scorecard sono polarizzate sulla stra-tegia aziendale. Quest’ultimo approcciopuò essere pertanto considerato più fles-sibile; mentre il primo è “regolamentato”da un organismo ufficiale l’EFQM, il se-condo si presta ad una adattabilità moltopiù spinta che cresce con l’esperienza dichi lo utilizza.Una organizzazione che impiega il Mo-dello EFQM per eseguire una Autovaluta-zione ha una evidente consapevolezza deipropri punti di forza e di debolezza; co-me risultato di tale attività, avrà una indi-cazione su dove può essere necessario mi-gliorare significativamente, dove le attivi-tà sono svolte in modo adeguato e dove sieccelle rispetto ad un prefissato bench-mark. Per l’Alta Direzione è tuttavia im-portante individuare dove investire comepriorità strategica e dove il miglioramentopotrà avere il maggiore impatto in terminidi prestazioni e risultati di business.

La Balanced Scorecard può fornire il fo-cus strategico necessario per dare la giu-sta priorità alle azioni e nella conseguen-temente allocazione delle risorse disponi-bili. Se le aree di debolezza “catturate” dalprocesso di autovalutazione non sono diimportanza strategica per l'organizzazio-ne allora ci sono meno motivi per miglio-rare aspetti non prioritari. Ci possono es-sere delle motivazioni nel miglioramentodelle prestazioni in aree non-strategichese le prestazioni sono al di sotto degli stan-dard di qualità accettabili; allo stesso mo-do, la valutazione può indicare delle atti-vità in cui l'organizzazione eccelle, cheperò sono considerate non-strategiche. Inquesto caso, c’è un ragionevole motivo perridurre il livello degli investimenti; vice-versa, i processi in cui l'organizzazione è

zione delle migliori prassi di TQM nellagestione di una organizzazione.Per meglio comprendere come la BalancedScorecard ed il Modello EFQM affronta-no il tema del Performance Management

8

occorre approfondire le loro caratteristi-che peculiari.Il modello EFQM e l’associato processo diAutovalutazione consentono di valutare lemigliori pratiche a livello di processo, alfine di offrire un confronto oggettivo e unsistema di benchmarking. Il modello è ap-plicato in modo coerente nella sua struttura,nei criteri, nell’approccio e consente aduna organizzazione di posizionarsi in unasorta di classifica costituita dai cinque li-velli del percorso EFQM verso l’eccellen-za. Per contro, l'approccio della BalancedScorecard dipende interamente ed è ba-sato sul posizionamento di una organiz-zazione, dal contesto competitivo e ov-viamente dalla strategia prescelta; pertan-to, è adattato alle specifiche esigenze diuna organizzazione.Il Modello EFQM e il processo di autova-lutazione adottano deliberatamente unavisione del presente e restituiscono unavalutazione accurata degli attuali punti diforza e delle potenziali aree di migliora-mento; di conseguenza, indicano dovel'organizzazione può impegnare le pro-prie risorse. Il risultato fornito non è cor-relato alle priorità strategiche. Al contra-rio, la Balanced Scorecard individua obiet-tivi di performance che l'organizzazionedeve realizzare per raggiungere la sua vi-sione dei prossimi anni. La Balanced Sco-recard parte dall’obiettivo futuro e funzio-na a ritroso (ad esempio: in quali proces-si dobbiamo eccellere per raggiungere gliobiettivi economico-finanziari attesi?). De-finiti questi traguardi, viene quindi stabi-lito un insieme di iniziative che l'organiz-zazione deve intraprendere per sostenereil raggiungimento degli obiettivi futuri; unaanalisi aggiuntiva è comunque necessariaper determinare l’impegno che può soste-nere in termini di risorse, dati gli attualipunti di forza e di debolezza.Una ulteriore differenza è nella definizio-ne delle iniziative: mentre nel ModelloEFQM sono assegnate sulla base dei prin-cipi del TQM, nella metodologia Balan- > Figura 5 - Correlazione “Criteri Modello EFQM - Prospettive BSC” (fonte: [7] con adattamenti)

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mmaa Scorecard and the EFQM Excellence Model, Mea-

suring Business Excellence, Vol. 7 No. 1 2003.

[9] H. Andersen, G. Lawrie, M. Shulver, The Balanced

Scorecard vs. the EFQM Business Excellence Mo-

del – which is the better strategic management

Tool? - 2GC Working Paper: June 2006.

� NOTE1 Performance: il grado di raggiungimento degli

obiettivi di cui un’organizzazione si è dotata; in

questa accezione non è un valore “assoluto” ma il

rapporto tra una prestazione e un obiettivo.

2 Segue una breve introduzione al Modello EFQM

per l’Eccellenza; per maggiori ed aggiornate infor-

mazioni occorre rivolgersi alle organizzazioni che

ne detengono i diritti: European Foundation for

Quality Management (EFQM) ed Associazione Ita-

liana Cultura per la Qualità (AICQ) che è National

Partner Organization (NPO) di EFQM per l’Italia.

3 Sistema per stabilire politica ed obiettivi e per con-

seguire tali obiettivi.

4 Alcuni dati: il modello EFQM è utilizzato da più di

25.000 organizzazioni in Europa , ovvero, il 60%

delle 25 maggiori aziende europee, 20 delle

aziende Eurostoxx50 ed inoltre 9 delle 13 aziende

europee “most respected” (Financial Times).

5 Tale aspetto si può correlare al requisito 5.6 della

norme ISO 9001, EN 9100, TL 9001 e TS 16949.

6 Mostrano il risultato finale di una azione, un certo

tempo dopo la sua conclusione. La redditività è un

“lagging indicator” delle scelte fatte nel passato;

anche le misure di percezione rientrano in questa

tipologia, a causa della loro evidente posteriorità.

Viceversa, i “leading indicator” sono fattori di pre-

visione di un risultato futuro dotati di un certo gra-

do di affidabilità. Ad esempio, la soddisfazione del

personale, benché sia un “lagging indicator” del

morale dei dipendenti, è normalmente considerata

un “leading indicator” della Soddisfazione del

Cliente.

7 Le condizioni di base da realizzare per poter con-

seguire un obiettivo considerato strategico..

8 Performance Management: si riferisce sia alle atti-

vità di misurazione che a quelle di gestione. Misu-

rare significa fotografare un fenomeno attraverso

delle metriche specifiche; gestire implica interveni-

re sul fenomeno in atto con correttivi ed iniziative

di miglioramento.

9 RADAR è l’acronimo di Results, Approach, De-

ployment, Assessment, Review; la logica RADAR è

utilizzata in fase di valutazione o di autovalutazio-

ne nella attribuzione dei punteggi all’organizza-

zione.

zioni che emergono dalla autovalutazio-ne, effettuata con il modello EFQM, è pos-sibile individuare le aree di processo sucui indirizzare le iniziative di migliora-mento. Per sviluppare le attività presentate in pre-cedenza occorre mobilitare la propria or-ganizzazione e mantenere nel tempo loslancio necessario per realizzarle con suc-cesso; senza Leadership, ovvero, in man-canza di un chiaro commitment dell’AltaDirezione, qualsiasi programma atto a sta-bilire e gestire i risultati di performance diuna organizzazione è destinato a fallire,indipendentemente dal modello utilizza-to. Balanced Scorecard e Modello EFQMpropongono una chiave di lettura multi-dimensionale delle performance azienda-li; la scelta delle misure da adottare deveassumere come razionale di riferimento laloro capacità di “catturare” aspetti rilevantidella strategia che l’impresa persegue. Vatuttavia sottolineato che, come gli stessiKaplan e Norton ci ricordano [5], “It’s notjust what is measured but how the mea-surements are used that determines the or-ganizational success”.

� BIBLIOGRAFIA[1] Robert S. Kaplan, David P. Norton, Balanced Sco-

recard. Tradurre la strategia in azione, ISEDI, 2000

[2] Robert S. Kaplan, David P. Norton, L' impresa

orientata dalla strategia. Balanced Scorecard in

azione, ISEDI, 2002

[3] Robert S. Kaplan, David P. Norton, Mappe strategi-

che. Come convertire i beni immateriali in risultati

tangibili, ISEDI 2005

[4] Robert S. Kaplan, David P. Norton, Allineamento

strategico. Come usare le Balanced Scorecard per

aumentare la competitività, ISEDI, 2006

[5] Robert S. Kaplan, David P. Norton, The Execution

Premium. Linking Strategy to Operations for Com-

petitive Advantage, Harvard Business School Press,

2008

[6] EFQM Model 2013, Il Modello EFQM per l’Eccel-

lenza, ©EFQM 2012

[7] Santos, M. L. & Alvarez-Gonzalez, L. (2007). TQM

and firms performance: An EFQM excellence mo-

del research based survey. Journal of Business

Science and Applied Management. Vol. 2, No. 2,

PP. 21-42.

[8] S. Wongrassamee, P.D. Gardiner, J.E.L. Simmons,

Performance measurement tools: the Balanced

le prospettive del Cliente ed Apprendi-mento e Crescita. Riprendendo lo schemadi figura 2, ai criteri Risultati del ModelloEFQM corrisponde una BSC con cinqueprospettive, secondo le correlazioni illu-strate in figura 5.I Fattori (criteri: 1, 2, 3, 4, 5) del ModelloEFQM non trovano una corrispondenzaimmediata con la metodologia BSC; tut-tavia, una attenta rilettura dei ModelloEFQM consente di correlare alcuni sotto-criteri e punti-guida con diversi elementidella metodologia BSC (e.g. criterio Stra-tegia, sotto-criterio 2b: la strategia si fon-da sulla comprensione delle prestazioni edelle capacità interne; sotto-criterio 2c: lestrategie e le politiche di supporto sonosviluppate, riesaminate e aggiornate; sot-to-criterio 2d: le strategie e le politiche disupporto sono comunicate, attuate e sot-toposte a monitoraggio; le organizzazio-ni eccellenti sviluppano la strategia e lepolitiche di supporto in modo sistematicoper ottenere l’insieme desiderato di risul-tati, con una relazione “causa-effetto” chia-ramente definita). Da ciò si evince che larealizzazione di una BSC comporta un po-tenziale miglioramento del punteggio nel-la sezione Fattori della matrice Radar

9 cal-

colata con la metodologia EFQM.

Considerazioni finali La Balanced Scorecard ed il ModelloEFQM non sono mutuamente esclusivi;gli scopi per cui sono realizzati sono pe-rò diversi: la BSC è uno strumento per ge-stire un’organizzazione basandosi su unaserie di parametri dipendenti dal conte-sto; il Modello EFQM è utilizzato per va-lutare una organizzazione attraverso uninsieme di criteri oggettivi orientati al TQM.Il vantaggio di integrare la Balanced Sco-recard con il Modello EFQM è nella pos-sibilità di dare priorità strategica alle ini-ziative di miglioramento e di gestire le per-formance dell'organizzazione su base pe-riodica (mensile o trimestrale), tra una au-tovalutazione e l’altra (tipicamente an-nuale). Viceversa, per un’organizzazioneche utilizza la Balanced Scorecard è im-portante avere “qualità” nei processi in-terni, per raggiungere gli obiettivi strate-gici prefissati; basandosi sulle informa-

� Balanced Scorecard & EFQM 2013 �

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� Management � 21tteemm

aaAntonio Di Benedetto, Adriano Di Domenicantonio, Elena Innocenzi, Corrado CerrutiUniv. Tor Vergata

>>

Vendor RatingUna ricerca sullo stato dell'arte

Premessa sul Vendor RatingL’esigenza di controllo dei fornitori nellevarie interazioni con i clienti è espressa-mente indicata nella norma ISO 9001 (Si-stemi di gestione per la qualità) che pre-vede che il committente dell’acquisto delgenerico prodotto/servizio:•verifichi la conformità dei prodotti ap-provvigionati ai requisiti specificati•selezioni i fornitori in base alla loro ca-pacità di fornire prodotti conformi ai re-quisiti richiesti. •registri i risultati delle valutazioni e ditutte le azioni conseguenti.La raccomandazione non indica il livellodi analisi o di applicazione delle suddet-te attività alle forniture di prodotti/servizie ciò ha ingenerato spesso l’equivoco, nel-le aziende che hanno affrontato il pro-

cesso di certificazione ISO, che esse deb-bano essere svolte per la totalità dei con-tratti di approvvigionamento, generandocosti impropri che hanno condizionatotalvolta il corretto sviluppo delle attivitàdi controllo.I requisiti sopra indicati sono ricollegabi-li in sintesi a tre attività di controllo fina-lizzate a consentire acquisti in condizio-ni competitive (ottimizzazione costi/tem-pi/qualità):•la Qualificazione: attività pre-forniturafinalizzata all’accertamento delle com-petenze tecniche e della solidità socie-taria dei fornitori •il Controllo della qualità entrante: fina-lizzato all’accertamento della rispon-denza alle specifiche contrattuali dellecaratteristiche tecniche del prodotto/ser-vizio rilasciato dal fornitore

•il Vendor Rating: finalizzato alla valu-tazione di tutte le risultanze del rap-porto di fornitura e alla evidenziazio-ne delle criticità da superare assiemeai fornitori.I monitoraggi di Vendor Rating (di segui-to V.R.) ricomprendono quindi la verifi-ca, in fase di accettazione della fornituradel prodotto/servizio, dei parametri defi-niti contrattualmente ma non si esauri-scono in essa, prendendo in considera-zione, in chiave di confronto competitivotra i vari fornitori, tutte le interazioni de-gli stessi con la committenza e fattori suc-cedanei alla fase di acquisto. I parametri vengono riportati su strutturelogiche ad albero, sulle quali vengono as-segnate opportune ponderazioni e defini-te metriche di valutazione.

Finalità e impostazione del progetto di ricercaIl progetto di ricerca è nato a seguito diun workshop tenutosi nell’ambito delleiniziative legate al Master in ProcurementManagement dell’Università di Tor Verga-ta che ha evidenziato l’interesse genera-le delle aziende partecipanti ad appro-fondire le varie problematiche di proget-tazione e gestione del V.R.. Tale interesseè legato sostanzialmente a due motivi:•presa d’atto di un quadro delle applica-zioni del V.R. nelle aziende nazionalimanifatturiere e di servizio molto etero-geneo, sia a livello di modelli di riferi-

SommarioL’articolo sintetizza i principali risultati del progetto di ricerca sulla valutazionedelle performance dei fornitori (“Vendor Rating”) svoltosi nel 2012 in collabora-zione tra l’Università di Tor Vergata, Anie, Enel, Eni, Terna, KPMG, Procout e Reply.Dopo una breve premessa sul ruolo del Vendor Rating nell’ambito delle attività dicontrollo dei fornitori e su finalità e impostazione del progetto, viene presentatoun quadro di sintesi sullo stato dell’arte dell’utilizzo del Vendor Rating presso uncampione di aziende nazionali, rappresentative di vari comparti merceologici.Successivamente vengono presentati due modelli di riferimento per il Vendor Ra-ting che potranno risultare utili alle aziende che decidano di dotarsi di tale stru-mento di valutazione sia a livello di singolo comparto merceologico che a livel-lo globale, prendendo cioè in considerazione anche aspetti trasversali alle singo-le forniture.

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consegne).La frequenza dei monitoraggi di V.R. piùricorrente (39%) è quella semestrale.Circa la trasparenza di metodologie e ri-sultati, le metodologie di V.R. vengono re-se note ai fornitori in fase contrattuale inuna discreta percentuale (48%), spingen-dosi anche al dettaglio di formule, metri-che e pesi (35%). Le valutazioni elemen-tari vengono condivise o eventualmentecontrofirmate dai fornitori solo in una mo-desta percentuale mentre i risultati finali diV.R. vengono comunicati con regolaritàai fornitori nella maggioranza dei casi(76%), prevalentemente in termini di ri-sultati assoluti e più raramente in terminidi posizionamento competitivo. Gli impatti più ricorrenti dei monitoraggidi V.R. riguardano prevalentemente azio-ni di miglioramento o correttive (38%),ma anche interventi sull’Albo e provvedi-menti contrattuali (es. bonus/malus) lega-ti ai risultati di V.R.Infine, le principali criticità riscontrate neimonitoraggi di V.R. sono quelle legate al-la tempestiva e sistematica raccolta dellevalutazioni da parte dei clienti interni(43%), alle quali si pone rimedio preva-lentemente agendo su sistemi informativie semplificando i questionari di valuta-zione.In caso di fornitori operanti su vari mer-cati e/o comparti merceologici viene ri-cavato un indicatore di V.R. “Globale” so-lo in una modesta percentuale di casi(19%), per lo più come media ponderatadei risultati di V.R. di categoria.Considerando i tre tipi di segmentazioneadottati (ruolo prevalente di committen-te/fornitore, comparto merceologico, fa-scia di fatturato) non si sono riscontratedifferenze significative nelle risposte aiquesiti, a meno delle seguenti:•Presenza di V.R.. Il settore delle teleco-municazioni risulta quello che utilizzamaggiormente lo strumento del V.R., inparticolare nelle aziende con una fasciadi fatturato alta.•Owner del processo. Le metodologie diV.R. sono definite prevalentemente inambito Direzione Acquisti sia per i com-mittenti che per i fornitori. La funzioneorganizzativa Qualità gioca un ruolo pre-

Il presente articolo, su autorizzazione del-le aziende sopra citate, sintetizza i risul-tati principali dell’analisi effettuata.

Stato dell’arte delleapplicazioni di VendorRatingL’Università di Roma Tor Vergata ha con-tattato oltre 150 aziende, rappresentativedel mondo sia della committenza

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della fornitura su vari comparti merceo-logici e fasce di fatturato, inviando loroun questionario articolato sui diversi aspet-ti progettuali e gestionali. 53 aziende (cir-ca un terzo di quelle contattate) hannofornito le risposte qui riportate in formacumulativa.Circa la presenza nelle aziende di sistemidi V.R., le applicazioni di V.R. sono in granparte di recente introduzione (delle 38aziende che lo utilizzano, il 44% dal 2007)e 6 aziende sono al momento nella fase dipianificazione di un sistema di V.R. Le metodologie di V.R. vengono definiteprevalentemente in ambito Direzione Ac-quisti, che opera come owner del pro-cesso per la maggior parte dei casi (66%),spesso in sinergia con altre funzioni azien-dali (Direzione Tecnica, Qualità, Sicurez-za, etc.). Le aree di valutazione più ricorrenti (90%)sono riconducibili alla Qualità tecnica(qui intesa come comprensiva delle valu-tazioni in fase di consegna e di vita utiledella fornitura) e commerciale (relativa al-le fasi di gestione del contratto di fornitu-ra da parte della Direzione Acquisti). I parametri di valutazione sono definitiprevalentemente in modo oggettivo o mi-sto ma solo in parte sono ricuperati dal si-stema informativo di supporto alle attivi-tà d’acquisto che di norma registra infor-mazioni relative alla fornitura, dalle qua-li possono essere ricavati degli importan-ti indicatori di V.R. (es. puntualità delle

mento che soprattutto di logiche di uti-lizzo dei risultati•considerazione che l’adozione di logi-che di valutazione comuni dovrebbe es-sere vantaggiosa sia lato committenzache lato fornitori, specie in caso di ado-zione lungo l’intera supply chain.Gli obiettivi che il progetto si è posto so-no stati sostanzialmente due:•tracciare una sorta di inventario a li-vello nazionale dello stato dell'arte del-le applicazioni di V.R., identificandobest practice e scelte strategiche edoperative più comuni •costruire modelli di riferimento del V.R.sia a livello di categoria merceologicasia a livello globale, ossia tenendo con-to anche di aspetti trasversali alle sin-gole forniture.

L’Università di Tor Vergata ha contattatodiverse società nazionali potenzialmenteinteressate al progetto, nel doppio ruolodi soggetto valutato (fornitore di presta-zione prodotto o servizio) e di soggettovalutatore (committente). L’invito è statoraccolto da sette aziende: un’associazio-ne di categoria di imprese (Anie

2), tre tra

le principali aziende di servizi nazionali(Enel, Eni, Terna) e tre aziende operantinel campo della consulenza e della rea-lizzazione di sistemi informativi a sup-porto delle attività d’acquisto (KPMG, Pro-cout e Reply).Al gruppo di lavoro interaziendale, coor-dinato dal team di Tor Vergata, hanno pre-so parte anche rappresentanti dell’Auto-rità di Vigilanza per i Contratti Pubblici.

Fascia di fatturato

Altissima (> 1 € miliardo) 26

alta (> 100 € milioni e ≥ 1 € miliardo) 15

media (> 10 € milioni e ≥ 100 € milione) 10

bassa (≥ 10 € milione) 2

Totale 53

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Le caratteristiche del modello sono state poi analizzate in termini di:•Periodo di monitoraggioLa scelta del periodo di monitoraggio, ingenerale da effettuarsi in modo differen-ziato per categoria merceologica, va ef-fettuata di norma in relazione alla fre-quenza delle interazioni commerciali coifornitori del comparto.•Campionamento, riferito:- al campione minimo di valutazioni ele-mentari per poter considerare signifi-cativa in termini di V.R. la performan-ce di un fornitore (memoria minimaper il calcolo dell’indicatore)- all’eventuale limitazione del monito-raggio nel caso di comparti con eleva-to numero di fornitori.

•Metriche: per ogni parametro elemen-tare di valutazione va definita la relativametrica (binaria, pentenaria, etc.) e peri parametri aggregati potrà essere pre-scelta una metrica di pesatura lineareovvero non lineare con logiche a soglia.•Pesi: l’assegnazione dei pesi ai vari li-velli dell’albero del V.R. è aspetto ope-rativamente delicato, per il quale è au-spicabile un’analisi adeguata se non unperiodo di sperimentazione sul campodegli effetti. Nei casi più complessi, aimetodi tradizionali di definizione unila-terale dei pesi relativi ad ogni elementodi valutazione vanno preferiti metodi co-me l’ “Analytic Hierarchy Process” cheadotta un sistema di comparazione acoppie e test di consistenza finali.•Soglie: sono da preferire in generale le as-segnazioni di valori fissi e noti a priorianche se quelle dinamiche, legate adesempio alla media dei valori registratidurante il monitoraggio, quando non visiano rischi percepiti di performance co-ordinate dei fornitori, possono essere

ponderante tra i fornitori, mentre le azien-de committenti sono spesso coadiuvateda figure tecniche o responsabili dell’e-secuzione del contratto. •Parametri elementari soggettivi/ogget-tivi. I parametri elementari di valutazio-ne vengono ritenuti prevalentemente og-gettivi e misurabili tra i fornitori (43%,contro il 33% dei committenti).

Modello di riferimento per ilVendor Rating operante alivello di categoriaSulla base dei risultati del questionario edelle esperienze delle aziende parteci-panti al gruppo di lavoro, sono state svi-luppate delle linea guida per l’applica-zione di V.R. per comparto merceologico,descrittive del processo di valutazione edelle sue implicazioni.In termini di impostazione metodologi-ca sono stati inizialmente identificati 4principi di base: 1. Adeguata analisi e scelta degli ambitidi monitoraggio: a fronte dei costi di im-plementazione e gestione di un sistemadi V.R., un’efficace selezione dei compartida sottoporre a monitoraggi di V.R. nonpuò che partire dalla individuazione del-la classe di rischio associata al comparto.In termini generali si può affermare chel’ambito preferenziale per i monitoraggidi V.R. è quello delle forniture di prodot-ti/servizi ad alto rischio, commissionatead una pluralità di fornitori con contrattipluriennali omogenei. 2. Trasparenza nei confronti dei fornitori:sia sugli aspetti metodologici (che vannoresi noti, se non in alcuni casi impostaticongiuntamente, all’atto delle richieste diofferta, per una preventiva conoscenza daparte dei fornitori di tutti i parametri di va-lutazione, degli impatti dei risultati e deicosti associati al controllo, e comunque

allegati ai contratti), sia sui risultati otte-nuti, non solo in termini di risultati asso-luti ma anche di confronto competitivo.3. Preventiva definizione degli impatti deirisultati di V.R. che dipende fortementedalla natura dell’acquisto (pubblico/pri-vato) e dell’ambito della fornitura.4. Chiara identificazione dei ruoli me-diante la definizione di una metodologiache definisca le responsabilità operativedelle varie fasi del processo che di normadovrebbero vedere nella Direzione Ac-quisti il process owner del processo. È stato identificato un “Albero” tipico divalutazione basato su tre distinte aree:•la qualità tecnica della fornitura, valu-tata dalla Direzione del cliente finale alquale la fornitura è destinata (di normain base a parametri quali il rispetto diSLA, tempi di consegna/puntualità, ri-torni dal campo)•la qualità commerciale, relativa al pro-cesso di gestione dell’iter d’acquisto pree post contrattuale, valutata dalla Dire-zione acquisti (in base a parametri dipuntualità, correttezza, flessibilità etc.)•la qualità amministrativa, relativa in par-ticolare al processo di fatturazione, va-lutata dalla Direzione amministrativa (inbase alla rispondenza al disposto con-trattuale delle fatture emesse).A tali aree si possono aggiungere, in rela-zione alla rilevanza in termini di rischioper specifici ambiti merceologici, le areedella sicurezza e dell’impatto ambienta-le e sociale, che altrimenti si possono con-siderare incluse nella valutazione dellaqualità tecnica della fornitura. Nel corso del progetto sono anche statidefiniti i parametri di valutazione asso-ciati a ciascuna delle suddette aree conriferimento a due macrocomparti consi-derati prioritari per il GDL: lavori e svi-luppo e manutenzione software.

VENDOR RATING

Qualità CommercialeQualità Tecnica Qualità Amministrativa

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da stimolo ulteriore per la competizionein termini di qualità.Rilevato che l’analisi dei risultati di V.R.costituisce un interessante strumento divalutazione dell’evoluzione qualitativanon solo dei singoli fornitori ma anchedell’intero comparto sotto monitoraggioe che la trasparenza sui risultati del sin-golo fornitore è evidentemente essenzia-le per poterlo indirizzare alla rimozionedelle criticità riscontrate, sono state defi-nite due tipologie di reportistica:•ad uso interno, per le funzioni azienda-li coinvolte nelle valutazioni, che evi-denzi oltre ai risultati analitici del mo-nitoraggio le criticità riscontrate sui para-metri di valutazione e gli andamenti sto-rici, anche allo scopo di verificare l’e-ventuale necessità di aggiornamento del-la Normativa Applicativa di riferimentoe più in generale la rispondenza del mo-nitoraggio alla metodologia adottata•specifica per ciascun fornitore sotto mo-nitoraggio consistente nella valutazionedi ciascuno dei parametri del monito-raggio, del valore complessivo dell’in-

dicatore di V.R. e del posizionamentocompetitivo dello stesso rispetto agli al-tri fornitori monitorati nello stesso pe-riodo (ad esempio in termini di scosta-mento rispetto alla media, ovvero di ran-king).Sono quindi stati identificati i principaliimpatti del V.R.L’efficacia del V.R. è strettamente legataanche all’attuazione di provvedimenti,contrattuali/gestionali, idonei a stimolarei fornitori verso l’erogazione di prodot-ti/servizi di qualità.Sul piano contrattuale possono essere ri-portate nei contratti clausole che in baseai risultati di V.R. modulino in alternativa:•Bonus/Penali•Prezzi unitari di acquisto•Volumi d’acquisto •Durata del contratto (rinnovo/esten-sione/risoluzione nel caso di elevatacriticità etc.).

Sul piano gestionale, risultati non positi-vi di V.R. possono avere impatto sia sul-l’Albo Fornitori (modulando diversamen-te lo stato di qualificazione con provve-

dimenti di temporanea sospensione ov-vero cancellazione), sia sulle logiche diselezione dei fornitori da invitare a com-petizioni d’acquisto, sia sulle attività diaudit ovvero di attivazione di piani d’a-zione correttivi o di miglioramento.Sono stati infine definiti i requisiti di ba-se di un sistema informativo, a supportodei monitoraggi di V.R. che si rende ne-cessario quando vi sia una pluralità dicomparti merceologici e di fornitori damonitorare con normative applicative di-stinte.Tale sistema, di grande utilità anche perle modifiche che nel tempo i monitorag-gi possono richiedere, dovrà coprire le va-rie fasi in cui il generico monitoraggio diV.R. può essere scomposto:•definizione della normativa applicativa(metodologia di dettaglio) di V.R.•raccolta dei dati sulle perfomance delfornitore nel periodo di monitoraggio•elaborazione dei dati raccolti•emissione della reportistica•attuazione dei provvedimenti conse-guenti al monitoraggio

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l’Investimento Sostenibile e Responsabi-le della finanza italiana”.Il piano e i suoi allegati (in italiano e inlingua inglese) si possono scaricare al se-guente link del Ministero del Lavoro edelle Politiche sociali: http://www.lavo-ro.gov.it /Lavoro/Notizie/20130307_Pia-noRSI.htmNe Riportiamo l’indiceSeguono Allegati 1 e 2

Allegato 1 - Iniziative regionali in temadi RSISono riportate nel presente allegato, lepiù significative azioni di RSI, segnalatedalle Regioni.Si tratta nel complesso di 55 iniziative didiversa natura (progetti specifici, atti diprogrammazione o dispositivi di attua-zione), realizzate, quasi esclusivamente,negli ultimi 5 anni, o in corso di realiz-zazione, o in corso di definizione.Le iniziative fanno riferimento alle se-guenti 11 Regioni:

1. Emilia-Romagna2. Friuli-Venezia Giulia3. Liguria4. Lombardia5. Marche6. Piemonte7. Puglia8. Sardegna9. Toscana10. Umbria11. VenetoSi fa inoltre presente che dieci delle un-dici Regioni che hanno segnalato inizia-tive in tema di RSI, partecipano alla rea-lizzazione del progetto interregionale“Creazione di una rete per la diffusionedella responsabilità sociale di impresa”,la cui scheda viene riportata alla fine delpresente allegato.

Allegato 2 - Buone prassi regionali in tema di RSISono riportate, nel presente allegato, lebuone pratiche maturate nei singoli con-testi, realizzate dalle Regioni stesse o da

altre organizzazioni pubbliche o privatedel territorio (Province, associazioni diimprese, ecc.). Tali buone pratiche, in al-cuni casi, coincidono con le medesimeiniziative riportate nell’Allegato 2.Non si tratta solo di interventi a caratte-re progettuale, ma di iniziative di diver-sa natura (atti di programmazione, dis-positivi di attuazione, percorsi di colla-borazione) che, in relazione ai risultaticonseguiti, sono state segnalate dalle Re-gioni come esperienze di successo, ingrado di contribuire alla definizione diuna strategia nazionale di Responsabili-tà Sociale di Impresa.Le buone prassi fanno riferimento alle se-guenti 8 Regioni:1. Emilia-Romagna2. Liguria3. Lombardia4. Marche5. Piemonte6. Puglia7. Toscana8. Veneto

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aaAlessandro CafieroDirettore CPT (Comitato Paritetico Territoriale) di Venezia, Componente Comitato Salute e SicurezzaAicq, Consigliere Associazione Italiana Formatori

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La “resilienza organizzativa”come risposta alle crisi

Reagire alle circostanzesfavorevoli, resistere alle crisie superarle può essere unelemento che distingueun’organizzazione; ma in chemisura tale condizione rende

Crisi e stress organizzativoNell’attuale momento di crisi economica,occuparsi di benessere dell’organizzazio-ne implica l’esigenza di definire quantosia presente un effettivo “malessere del-l’organizzazione” e quanto, invece, deb-ba essere esclusa la presenza di un “nonmalessere” (che non implica la presenzadel “benessere”) e a un connesso rischiopotenziale di danno per le persone. Tale circostanza consente, inoltre, di sele-zionare fra i disagi organizzativi relativi alnormale corso dell’azione culturale azien-dale e quelli atipici (e in evoluzione) chesi caratterizzano in un contesto di crisi. La riflessione sul fenomeno del malesseree il conseguente danno alle persone cheoperano in un’organizzazione, introducedue tematiche: quella della costrittivitàorganizzativa e dello stress organizzativoQuesti motivi, in quanto legati al triplicerapporto organizzazione/ambiente/perso-ne, assumono forme diverse e il loro av-verso potenziale è subordinato alla capa-cità di rappresentare, da parte degli agen-ti esterni nei confronti dei soggetti coin-volti, eventi con significato negativo. Qualche anno fa l’INAIL ha introdotto ladefinizione di costrittività organizzativa,cercando di individuare un ambito di fat-tori psicosociali patogeni tangibili e ap-partenenti all’ambito dei rischi da tutelaree includendo in quest’ambito (almeno nel-le forme più assimilabili) anche il mob-bing. In pratica, costrittività organizzativa

e stress organizzativo costituiscono due ti-piche forme di stress psicosociale. Prima di proseguire provo, però, a deli-neare la mia personale interpretazione (suuno schema di riferimento affine al sensodi questo mio contributo) sui concetti dicostrittività organizzativa e stress organiz-zativo,La Costrittività Organizzativa è il com-plesso di disposizioni e successive azionidi cui si avvale l’organizzazione per rea-lizzare le proprie attività e raggiungere irisultati attesi. Esse possono riguardare ilsingolo o il gruppo, e introducono, in mo-do giustificato o ingiustificato gli elemen-ti di sofferenza emotiva (singola o collet-tiva) nello svolgimento dell’attività lavora-tiva. Può generare la sensazione di esserecostretti a vincoli che possono contraddi-re lo scopo stesso della funzione lavorati-va. La CO si presenta raramente come con-dizione isolata; spesso, infatti, è un pre-supposto definito nell’ambito di un dise-gno vessatorio. Si distingue per la difficol-tà di trovare, più per il singolo che per il col-lettivo, efficaci tecniche di adattamentoper una situazione che si mostra in tutta lasua illegittimità. Lo Stress Organizzativo è una condizio-ne diffusa dell’ambiente di lavoro indottada molteplici e interagenti fattori che spin-gono a una situazione di malessere a cau-sa di un sovraccarico di lavoro o di unamarcata disarmonia con le sostanziali esi-genze personali. Generalmente lo SO è

abbinato a una propensione individualeall’inadeguatezza o all’incapacità di rag-giungere un obiettivo o di fronteggiare un’e-mergenza sostenuta come potenzialmen-te avversa. Ciò produce un senso di ini-doneità la cui intensità interagisce tra gliaspetti personali (individuali o collettivi) ei fattori propri dell’organizzazione. Il prolungarsi di queste condizioni origi-na, inizialmente negli individui e in se-guito nell’organizzazione, segnali di ras-segnazione e adattamento con comporta-menti che, nel tempo, riproducono dis-funzioni negli assetti organizzativi ali-mentando una sostanziale depressione nel-le decisioni risolutive.

Stress organizzativo e resilienzaAttualmente, fra tutte le molteplici formeconnesse al concetto di salute organizza-tiva, quello dello stress è indubbiamenteil fenomeno più studiato. Il suo significa-to risale, però, alla realtà lavorativa dellefabbriche durante il periodo della rivolu-zione industriale nel XIX secolo, grazie alquale veniva individuato il grado di resi-stenza con cui una struttura metallica po-teva contrastare l’imposizione di una de-terminata forza. Nel tempo la definizione di stress si è evo-luta e attualmente gode di un consistentecontenuto psicofisico e di peculiarità chefanno riferimento al rischio o al danno perla salute. Pertanto, per una persona lo stress

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non è nient’altro che la risposta esercitatadall’organismo nei confronti delle trasfor-mazioni che lo opprimono. Nondimeno, è avvalorata la tesi secondocui esporre una persona a una determina-ta condizione di stress, che non superi lasua stessa capacità di affrontarlo, può si-curamente far migliorare le sue prestazio-ni. In pratica, la performance di un indivi-duo sollecitato può risultare migliore diquella di un’altro scarsamente stimolato. Questo conferma che lo stress non ripro-duce solo qualcosa di nocivo ma si mo-stra funzionale in occasioni compatibili eattraverso processi di apprendimento fa-vorevoli con atteggiamenti e con stimolirigenerativi.Tutto questo vale anche per l’organizza-zione in quanto composta da persone. In-fatti, quando le richieste del contesto ol-trepassano le reali capacità di far fronte econtrollare opportunamente i problemi, sidetermina una maggior vulnerabilità del-la struttura e delle sue strategie provocan-do una fase di depressione organizzativa(stress organizzativo). Tuttavia, se una struttura è coinvolta ineventi straordinari sfavorevoli, può addi-rittura essere in grado di attivare idonee ri-sposte allo stress modificandosi utilmentee stimolando soluzioni in grado di solle-citare il cambiamento.Al contrario di quanto si pensi, lo stress or-ganizzativo non si può evitare e un’orga-nizzazione deve, piuttosto, controllarlo ef-ficacemente. Da questo riscontro essa de-ve trarne i maggiori benefici acquisendoconsapevolezza dei propri automatismi eriadattare a questi, in modo duraturo, lapropria struttura. È fondamentale rilevare che, rispetto adanaloghe situazioni di stress, ogni orga-nizzazione può avvertire contenuti, situa-zioni, forme e prassi in modi estremamentediversi; da stimolanti per talune a terribil-mente ansiogene per altre.L’adeguamento di un’organizzazione neiconfronti di una situazione critica si ma-nifesta attraverso un percorso costituito da4 fasi: Per ogni fase la struttura può servirsi di cri-teri di adattamento alla circostanza criti-ca favorevoli o sfavorevoli. In funzione del-

l’approccio, i risultati che si conseguono so-no, ovviamente, diversi.Troppo spesso si sottovaluta il lato av-verso dell’adattamento e l’atteggiamen-to sfavorevole finisce per “inibire” al cam-biamento tutta l’organizzazione (inclu-se le persone più inclini); come succedea certi materiali di elevata plasticità omalleabilità che, una volta piegati ri-mangono tali. Un’organizzazione che sa affrontare il cam-biamento e le sollecitazioni da esso pro-dotte senza risultarne stremata, sfrutta itraumi e le preoccupazioni accadute co-me occasione di crescita e rafforzamento,rimanendo se stessa pur trasformando emigliorando le proprie capacità.Nelle scienze umane il concetto di resi-lienza indica la forza di reagire a eventitraumatici, la precisa volontà di rimuove-re gli ostacoli e di superare le difficoltàcontingenti per andare avanti con una fi-ducia consapevole. La resilienza è, quin-di, la capacità di rimanere flessibili e resi-stenti reagendo positivamente a eventi dif-ficili o situazioni traumatiche. In questo senso, qualche anno fa l’idea diresilienza era circolata nei discorsi dei lea-der inglesi (il premier Tony Blair e la stes-sa Regina Elisabetta) dopo gli attentati diLondra. Il termine "resilience" definiva la ca-pacità dei londinesi di rimanere sereni,reattivi, decisi e fiduciosi per piegare le av-versità a fronte della minaccia di attacco ter-roristico. Proprio come lo erano stati sot-

to le bombe tedesche della seconda guer-ra mondiale. In un’organizzazione la resilienza può di-venire una qualità diffusa e trasformarsi inun requisito distintivo della struttura stes-sa. In questo senso possiamo parlare di re-silienza organizzativa.

Alcune considerazioni sulla“resilienza organizzativa”Il termine “resilienza” deriva dal latino “re-silire” (re salio) che significa rimbalzare,saltare indietro. La parola assume diversesfumature di significato a seconda del-l’ambito in cui viene impiegata. In ingegneria si intende l'indice di resi-stenza di un materiale alla deformazionee/o alla rottura il cui valore viene deter-minato attraverso una prova d'urto. In bio-logia e in ecologia questo termine espri-me la capacità di un sistema di ritornare auno stato di equilibrio in seguito ad unaperturbazione. In psicologia il vocabolospiega la capacità di un individuo nell’af-frontare qualunque evento traumatico, ina-spettato o permanente, e in seguito di ri-pristinare (e in certi casi addirittura mi-gliorare) il precedente equilibrio psico-fi-sico. Di questa definizione sono presenti dueindirizzi, introdotti da Crawford Hollingqualche decennio fa, che mi sembrano im-portanti:•il primo esprime una concezione piùcongiunturale, è collegato a tutti quei

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individuale e la potenziale creazione direti per il mutuo aiuto e la solidarietà, so-no di grande importanza.5.Predisporre un network di diffusione econdivisione di valori e credenze

La visione partecipata di tutti gli apparte-nenti è una risorsa indispensabile per svi-luppare l’identità di un’organizzazione cheaffronta una crisi. Infatti, “memorie” e “si-gnificati”, possono rinforzare il legame frasingoli individui e gruppi con l’organiz-zazione.6.Generare una cultura competitivaAffinché l’organizzazione possa far frontein modo efficace all’evento sfavorevole ènecessario che i leader (formali e/o infor-mali) riformulino gli avvenimenti negati-vi, evidenzino le prevedibili opportunitàe intraprendano la sfida competitiva.7. Incrementare e mantenere le nuovecompetenze

Tutti gli appartenenti all’organizzazionehanno continuamente bisogno di formar-si e acquisire abilità, esperienze e com-petenze sia in previsione degli eventi cri-tici, sia per superarli una volta accaduti.Di conseguenza, gli elementi che caratte-rizzano un’organizzazione resiliente ri-siedono nel valore che essa riconosce:•nel raggiungere i propri obiettivi e quel-li delle persone, •nel pervenire a risultati condivisi soste-nendo ritmi consapevolmente adeguati, •nell’acconsentire a relazioni funzionalie interpersonali adeguate e concilianti,•nel combinare il lavoro aziendale con lavita personale dei propri dipendenti.Del resto, il senso di frustrazione causatoda uno o più bisogni non appagati e l’im-possibilità della fuga da tali condizioni fru-stranti, generano in ogni caso premesse distress che si manifestano, a livello indivi-duale ma ricadono, in seguito, nelle per-formance organizzative moltiplicando unacondizione depressiva incondizionata.Il risultato, per organizzazione e personeche vi operano, è quello di essere entrambecostrette a condizioni che non collimanocon l’interpretazione organica della re-sponsabilità produttiva, generando ele-menti di reciproco appannamento chespesso accompagnano a disegni persecu-tori o discriminatori.

e trasforma “vision” e “mission” in accor-te operazioni strategiche verso il benesse-re dell’organizzazione.

ConclusioniLa resilienza organizzativa, interpretata co-me attributo del benessere dell’organiz-zazione, è molto più di una forma di em-powerment (che permette all’individuo diessere in grado di accertare e gestire le cir-costanze). È un processo che consente diottenere percezioni e attese per riformu-lare le vicende critiche e conseguire glistrumenti per mettere in atto e gestire ilcambiamento. Essa può essere favorita intervenendo al-meno con 7 azioni:1.Riconoscimento degli effetti della crisie controllo delle situazioni

Tale azione presuppone l’esistenza di or-ganismi formali e informali che aiutino tut-ta l’organizzazione (individualmente e col-lettivamente) ad affrontare le crisi.2.Creazione di un forte senso di appar-tenenza all’organizzazione

Questo aspetto è caratterizzato da un for-te impegno e fornisce la percezione di es-sere parte integrante di un sistema condi-viso che fornisce supporto e empower-ment.3.Sostegno a una prospettiva ottimisticaLa crisi deve essere presentata come unciclo all’interno della storia dell’organiz-zazione e non come una sua (possibile!?)fine. Tra l’altro, si può sfruttare tale circo-stanza anche come occasione per contri-buire alla creazione di una nuova identi-tà organizzativa.4. Esaminare e supportare i bisogni deisingoli

Per l’organizzazione resiliente il sostegno

processi di recupero e miglioramentoin cui la stabilità è considerata comeuno stato di equilibrio consolidato edove la resistenza ai fattori di disturboe la velocità di ritorno a tale stato diequilibrio vengono impiegate per mi-surare la resilienza,•il secondo espone un aspetto più strut-turale, ed evidenzia quelle condizioni incui non esiste affatto una situazione diequilibrio e la presenza di tale instabili-tà può generare la trasformazione di unsistema. In questo caso la resilienza vie-ne misurata nella capacità del sistema diassorbire quelle situazioni di contestocausate da più fattori che agiscono con-temporaneamente. Quindi, se in fisica resilienza è la capaci-tà della materia di resistere a impatti im-provvisi senza spezzarsi e nelle scienzeumane indica l’attitudine dell’individuo adaffrontare le avversità della vita superan-dole e uscendone rinforzati e trasformati,per l’organizzazione la resilienza corri-sponde all’esito dell’impatto fra assetto del-la struttura (valori, missione, cultura e ri-sorse impiegabili) e persone (individual-mente e collettivamente) che ne fanno par-te.In effetti, nel momento in cui si gestisco-no situazioni di crisi, considerare e gesti-re la resilienza organizzativa è molto im-portante. Si passa, cioè, da un approccioreattivo a uno proattivo, in cui si sollecitaun opportuno processo di pianificazioneper dare origine a una condizione culturalee di consapevolezza in grado di ridimen-sionare, non solo gli effetti del malesseresull’organizzazione e sulle persone coin-volte, ma che impegni a prevenirli.L’organizzazione resiliente è quasi sem-pre preparata al peggio ed è fornita di cri-teri e standard predefiniti che consentonodi utilizzare risposte istantanee idonee al-le situazioni di crisi. Generalmente il suomanagement acquisisce parte delle pro-prie competenze traendo conto dei proprierrori, trasforma le vicende inaspettate etraumatiche in rigenerazioni confacenti eguida i propri dipendenti ad azioni con-divise efficaci ed etiche. Inoltre, è in gra-do di utilizzare soluzioni alternative fraidealità e pragmatismo ugualmente valide

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Sergio Binipresidente AICQ Centro Insulare

Adriano Olivetti parla “ai lavoratori”

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Di recente è comparso sugli scaffalidelle librerie un piccolo libro,molto prezioso per il messaggio

contenuto al suo interno, che risulta esse-re ancora straordinariamente “moderno”nonostante abbia quasi sessant’anni.L’iniziativa editoriale raccoglie il testo didue discorsi tenuti da Adriano Olivettiagli inizi degli anni cinquanta «ai lavora-tori» della propria “fabbrica” e rimastinella storia; il piccolo e prezioso libro

curato dalle Edizioni di Comunità, la sto-rica casa editrice fondata nel 1946 pro-prio dallo stesso Adriano Olivetti. La presentazione dei “due discorsi ai la-voratori” non poteva che essere affidata aLuciano Gallino

2, esegeta del pensiero

dell’«ingegner Adriano» -come il vecchioed autorevole professore sociologo conti-nua a chiamare con affettuosi rispettoso ilsuo primo capo-.Da più parti questo libricino è stato defi-nito come una sorta di “microscopica bib-bia che ha per protagonista il lavoro, il rap-porto tra imprenditore e dipendenti e cheha, soprattutto, per protagonista il vivereche può e deve essere civile”.

I due discorsiI due discorsi che Adriano Olivetti ha ri-volto «ai lavoratori» delle sue fabbriche sicollocano temporalmente tra la fine del1954 e gli inizi del 1955; più precisa-mente: •il primo è stato tenuto il 23 aprile 1955,

in occasione dell’inaugurazione del nuo-vo stabilimento di Pozzuoli. In questodiscorso, con un po’ di sana retorica vie-ne posta una domanda cruciale: «puòl'industria darsi dei fini? Si trovano que-sti semplicemente nell'indice dei profit-ti?»; a questa viene data una risposta che,in realtà, è un’ulteriore domanda: «nonvi è al di là del ritmo apparente qualco-sa di più affascinante, una destinazione,una vocazione anche nella vita di unafabbrica?».In quel lontano “sabato di primavera”,Adriano Olivetti ricorda a quegli operaidel Sud che la Società: «crede nei valorispirituali, nei valori della scienza, credenei valori dell'arte, crede nei valori dellacultura, crede, infine, che gli ideali di giu-stizia non possono essere estraniati dallecontese ancora ineliminate tra capitale elavoro. Crede soprattutto nell'uomo, nel-la sua fiamma divina, nella sua possibili-tà di elevazione e di riscatto».•Il secondo discorso è stato tenuto, inve-ce, il 29 dicembre 1954 nella sede diIvrea in occasione della consegna delle“spille d’oro” agli operai che avevano la-vorato per venticinque anni nella Socie-tà. Con l’occasione Adriano volle con-dividere con la propria gente l'ammoni-mento fattogli dal padre “ingegner Ca-millo” quando, molti anni addietro, glitrasmise la completa responsabilità nel-l'azienda: «non licenziare mai quandomutano i metodi di lavoro, perché la dis-

occupazione è il male più terribile che af-fligge la classe operaia!». Infatti, anchese il rapporto con il padre fondatore erastato vissuto in modo molto dialettico enon sempre facile -perché i due posse-devano una forte personalità, una gran-de cultura ed idee molto chiare, anchese spesso non coincidenti-, Adriano Oli-vetti rispettò per tutta la vita le lezioni pa-terne e soprattutto quella fondamentaleraccomandazione etica.In questi due discorsi “storici”, Adrianoaffronta con limpidezza i problemi no-dali della società proprio perché era unricercatore nato, sempre proteso alla sco-perta del nuovo; è stato fondamental-mente un incompreso all’interno di ungrigio e conformista scenario costituitodal capitalismo dell’epoca (erano, quel-li, gli anni delle schedature, dei reparti-confino in cui venivano relegati i sinda-calisti, i non conformisti e gli apparte-nenti a partiti politici non graditi); persottolineare con orgoglio questa sua vi-sione ariosa, l’ingegnere Adriano nel dis-corso di Pozzuoli sottolinea con energia:«voglio ricordare come in questa fab-brica, in questi anni, non abbiamo maichiesto a nessuno in quale religione cre-desse, in quale partito militasse». Corrado Stajano, nella sua recensione ospi-tata sulle pagine del Corriere della Sera,evidenzia come l’ingegner Adriano, «sidistinse tra gli industriali italiani per le sueiniziative in campo culturale e l’attenzio-

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Quando l’imprenditoredialogava con le persone per trasformare la propriaorganizzazione in una comunità competitiva

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� Adriano Olivetti parla “ai lavoratori” �tteemm

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ne alla responsabilità sociale dell’impresa.Nei suoi due discorsi affrontò il proble-ma meridionale, oggi scomparso o quasidalla discussione politica. Fu custode deiproblemi dell'ambiente, della tutela delterritorio che sarà poi devastato. Non fu unastratto poeta. Morì nel 1960. Quel che aveva seminato durò un po' ditempo. Poi, poco alla volta, tutto finì nelnulla, come l'elettronica, orgoglio e van-to dell'azienda. Vinse la vocazione fi-nanziaria, l'amato profitto.Fu una utopia la lezione di Adriano? Pro-babilmente sì. Quell'uomo di Ivrea, libero antifascista,vicino a Godetti …aveva indicato anzi-tempo, non solo producendo macchineda scrivere, addizionatrici, telescriventi,calcolatrici, quale avrebbe dovuto esse-re la via del futuro in un Paese moderno.Ma vinsero i feroci egoismi…»

3.

I due discorsi olivettiani costituiscono unantesignano tra i modelli di comunica-zione evoluta ed etica del rapporto diret-to imprenditore/lavoratore senza filtri esenza intermediari; Olivetti parla comeun vero leader cosciente delle proprie re-sponsabilità e determinato a farvi fronte.Imbastisce una serie di narrazioni ben co-struite al punto da creare una atmosfera“emotivamente coinvolgente ed etica-mente esemplare”. Come scrive nella pre-sentazione al volume Luciano Gallino:«in questi discorsi … colpiscono i modidel comunicare e alcune affermazioni chesi potrebbero definire datate, salvo poiscoprire che sono quanto mai attuali an-che se ignorate dai contemporanei. L’in-gegnere Adriano parla di comune parte-cipazione alla vita della fabbrica, di fina-lità materiali e morali del lavoro, di im-presa che crede nell’uomo e nelle suepossibilità di elevazione e di riscatto. Macosì dicendo non vuol sembrare un im-prenditore amico che parla agli amici ope-rai, ma parla come un dirigente coscien-te delle proprie responsabilità e determi-nato a farvi fronte”» [pagina 11].

Il “sogno olivettiano” e latraiettoria di una grandeesperienza industrialeLa vita e l’esperienza della Società OLI-

VETTI coincide con l’esperienza terrenadi tre esponenti della famiglia: il padre“ing. Camillo” [il fondatore, nel 1908,della Società, è un uomo di fede pro-fonda negli ideali che dovrebbero sor-reggere l'esistenza]; “l’ingegner Adria-no” [l’imprenditore esemplare con unapproccio etico, mecenatesco, lungimi-rante e cattolico]; il figlio “dottor Ro-berto” [anche lui scomparso prematura-mente (1928-1985); volenteroso erederimasto schiacciato sia dalla gigantescafigura paterna, sia dal forte e asfissiante“abbraccio” dei rappresentanti di quelcapitalismo italiano che aveva risorseeconomiche, potere contrattuale ed unavisione molto meno umana ed impren-ditoriale del lavoro].Una vita in nome della «fabbrica»: il prof.Gallino, nella sua presentazione, ricordache i rilevanti dividendi generati dall'Oli-vetti «non si trasformavano, come inveceavviene ai giorni nostri, nella maggior par-te delle imprese, in larghi dividendi pergli azionisti, né in compensi per i massi-mi dirigenti pari a tre o quattrocento vol-te il salario di un operaio, né in sperico-late operazioni finanziarie. Diventavanoalti salari, magnifiche architetture, unabuona qualità del lavoro, una crescenteoccupazione, servizi sociali senza para-goni». Olivetti riuscì a costruire una retedi stabilimenti in tutto il mondo con 25mila addetti, investendo i guadagni anchein asili nido, case per i dipendenti, bi-blioteche, colonie, centri di psicologiaavanzata.

La fabbrica come “comunità”: per l’in-gegnere Adriano la fabbrica rimaneva: «lanostra indimenticabile dimora di ogni gior-nata» [pag. 49] e soprattutto per questomotivo che i posti di lavoro ed i punti ven-dita per Olivetti dovevano essere piace-voli ed accoglienti; «… ed ecco perchéin questa fabbrica … rispettando, nei limitidelle nostre forze, la natura e la bellezza,abbiamo voluto rispettare l’uomo che do-veva, entrando qui, trovare per lunghi an-ni tra queste pareti e queste finestre, traquesti scorci visivi, un qualcosa che avreb-be pesato, pur senza avvertirlo, nel suoanimo. Perché lavorando ogni giorno tra le pare-ti della fabbrica e le macchine e i banchie gli altri uomini per produrre qualcosache vediamo correre nelle vie del mondoe ritornare a noi in salari che sono poi pa-ne, vino e casa, partecipiamo ogni gior-no alla vita pulsante della fabbrica, allecose sue piccole e alle sue cose più gran-di, finiamo per amarla, per affezionarci eallora essa diventa veramente nostra ani-ma, diventa quindi una immensa forzaspirituale …» [pag. 33].Non era solo una questione di lessico o dilinguaggio, bensì di metodo: l’ingegnereAdriano per parlare alla “sua” gente, usa-va un linguaggio diretto, anche se colto,spesso romantico ed a volte persino mi-stico; soprattutto non utilizzava ipocrisielessicali come: risorse umane; capitaleumano; etica; efficienza o produttività; re-sponsabilità sociale, e così via. Campeg-giavano, invece, i termini: “fabbrica”, “la-

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voratori”, “comunità”, “be-nessere”. Tral’altro, ricordava che il padre “ing. Ca-millo”, nei primi anni della storia dellafabbrica, saliva su una cassetta per parla-re ai “suoi lavoratori”. Si comprende bene che la linea maestraderiva da uno studio approfondito e con-creto dei testi di Taylor sullo “scientificmanagement”, ovvero sulla “organizza-zione scientifica del lavoro”

4e della sua

corretta implementazioni dei principi edella filosofia del metodo taylorista. Al ri-guardo meritano di essere ricordate le pa-role di De Masi nella sua introduzione aduna recente edizione: «lo scientific ma-nagement è l’unico metodo in grado dieliminare lo spreco. Esso parte dal pre-supposto che gli interessi fondamentalidei datori di lavoro e quelli dei lavorato-ri, anziché essere necessariamente anta-gonistici, coincidono. Le parole usate daTaylor sono sorprendentemente simili aquelle che aveva utilizzato Leone XIII nel-la sua Rerum Novarum

5. L’unica differen-

za consiste nei rimedi: contro l’aberra-zione della lotta di classe, Taylor propo-ne “la stretta, intima, personale collabo-razione tra direzione e manodopera” tra-mite lo scientific management; Leone XIIIpropone invece l’armonia, l’equilibrio,“l’amplesso dell’amore fraterno” raggiuntitramite lo spirito evangelico»

6.

La qualità dei prodotti e dei servizi nonpuò essere maggiore della qualità del-l’organizzazione che li produce: la qua-lità della vita ed il benessere dei lavora-tori dell’Olivetti -e delle loro famiglie- gra-zie alla guida illuminata dell’ingegnereAdriano, si erano riverberate sull’ambientelavorativo divenuto fertilissimo dal puntodi vista della innovazione e della qualitàdei prodotti.I risultati sono stati grandiosi e rimarran-no nella storia dell’economia del nostroPaese.Merita di essere ricordato un “esempio”che vale più di migliaia di parole: il casodi Natale Cappellaro (Ivrea, 1902; Tori-no, 1977), l’apprendista operaio assuntoquattordicenne con la licenza elementa-re che inventa, in autocommittenza, le piùfamose calcolatrici elettriche e scriventinel mondo dell’epoca (come la famosa

ria nazionale che ha segnato la storia in-dustriale del Paese, traspare l’humanitas -o meglio: «humanitatis civica» - che è al-la base del modello comunitario dell’im-presa e della società idealizzato dall’in-gegner Adriano nei suoi studi e nelle sueteorizzazioni. Il suo approccio sembra rifarsi, a sua vol-ta, al modello di organizzazione della co-munità e del lavoro disegnato quindici se-coli fa dalla “Regola Benedettina”

9 e che

il nostro protagonista ha respirato sin dapiccolo nella propria abitazione di Ivrea,che era un antico monastero benedettinotrasformato, dall’illuminato padre ing. Ca-millo, in residenza-laboratorio per le esi-genze personali e della sua famiglia.

� NOTE1 Adriano OLIVETTI (2012), AI LAVORATORI, Co-

munità Editrice, Roma/Ivrea (55 pagg.; 6,00 Euro).

2 Il professor Luciano Gallino, illustre sociologo ha

lavorato alla OLIVETTI in una irripetibile fervida

stagione, con scrittori, poeti, architetti, politologi -

tra i quali meritano di essere ricordati: Volponi,

Momigliano, Bazlen, Ferrarotti, Colombo, Terzani,

Fortini, Rozzi, Novara, Zevi, Ottieri -.

3 Corrado STAJANO, OLIVETTI, L'IMPRESA OL-

TRE IL PROFITTO - investiva in attività culturali

e nel be-nessere dei dipendenti, recensione del

libro sul Corriere della Sera del 24/12/2012 (pa-

gina 39).

4 Frederick W. TAYLOR (2004), L’ORGANIZZAZIO-

NE SCIENTIFICA DEL LAVORO, Edizioni Etas

Kom-pass, Milano [riedizione curata da Domeni-

co DE MASI che è autore dello scritto introdutti-

vo: «il cronometro e le rose - lavoro e società in-

dustriale nell’opera di Taylor»].

5 S.S. LEONE XIII, Enciclica RERUM NOVARUM,

15 maggio 1891.

6 Domenico DE MASI «il cronometro e le rose - la-

voro e società industriale nell’opera di Taylor»,

op. cit.

7 Natale Cappellaro, la genialità di un autodidatta”,

in http://www.storiaolivetti.it/percorso.asp?idPer-

corso=581.

8 Gianfranco DIOGUARDI (2007), NATURA E SPI-

RITO DELL’IMPRESA, Donzelli Editore, Roma

(pag. 16).

9 Sergio BINI (2012) , La Regola Benedettina: uno

strumento sempre attuale per una gestione effica-

ce delle organizzazioni; in L’Amministrazione Fer-

roviaria, Rivista CAFI, Roma n. 1/gennaio.

“Divisumma”) ed applica concretamentei principi dell’organizzazione scientificadel lavoro importati in fabbrica dall’inge-gner Adriano. Cappellaro trova la solu-zione tecnica per consentire il montaggiodella macchina per scrivere “M20” in 4ore e 20 minuti, invece delle precedenti 11ore, «con minor fatica e maggior preci-sione»

7.

Gradino dopo gradino, questo mitico “ap-prendista del reparto montaggio” -sco-perto, stimolato e coinvolto (anche emo-tivamente) dall’ingegner Adriano- arrivaal ruolo di Direttore Generale Tecnico edottiene la laurea honoris causa in Inge-gneria, prima di lasciare l’Olivetti.

ConclusioniPer concludere, si ritiene opportuno ci-tare Gianfranco Dioguardi -una sorta diAdriano Olivetti dei tempi nostri- da unodei suoi scritti dedicati “alla riscoperta divalori per l’impresa”

8, quando teorizza

che: «si potrebbe enunciare una sorta dilegge per la quale il “valore” prodotto ènecessariamente generato dai “valori” suiquali si fonda la natura dell’impresa: en-trambi questi elementi vivono la storiadell’impresa e quindi dipendono dall’e-sperienza che essa ha saputo generare …D’altra parte l’impresa si propone sem-pre come un insieme di individui motivativerso il conseguimento di obiettivi co-muni, e per questo realizza di fatto unambiente interno dal quale è necessariofare emergere un contesto di valori mo-ralmente motivanti, così da favorire inprimo luogo la positiva convivenza dipersone che devono lavorare insieme eperciò esprimere una sempre maggioreefficacia ed efficienza operativa. Di con-seguenza, si determinerà anche una at-mosfera di costante apprendimento co-noscitivo, grazie al quale gli interessi cul-turali dei singoli concorreranno a far lie-vitare una cultura d’impresa soddisfa-cente anche nel senso dei valori di com-portamento. L’impresa, peraltro, è radi-cata nell’ambiente circostante e può co-sì agevolmente portare avanti l’obiettivodi migliorarlo continuamente…».In questo spirito, che si tramanda nellamigliore cultura della storica imprendito-

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Danilo Giovanni FestaMin. del Lavoro e politiche sociali, Direttore generale per Terzo Settore e Formazioni Sociali

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Il piano di azione italiano2012-14 sulla CSR

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� Responsabilità sociale �

Una nuova strategia europeasulla Responsabilità Sociale di Impresa

La Direzione Generale del TerzoSettore e delle Politiche Sociali ela Direzione Generale per la Poli-

tica Industriale e la Competitività delMinistero dello Sviluppo Econo micohanno inviato alla Commissione Euro-pea il Piano Nazionale della Re sponsa-bilità sociale d’impresa 2012-2014.L’Italia è stata la prima in Europa a con-segnare il suddetto documento di 66 pa-gine, scaturito da una consultazione pub-blica che ha coinvolto, a livello nazio-nale e locale, pubbliche amministrazio-ni, organizzazioni del terzo settore e del-la società civile, aziende, parti sociali,banche, enti pubblici e privati.In linea con la ricerca di un modello al-ternativo di sviluppo e di uscita dalla cri-si economica, il piano definisce le azio-ni prioritarie e i progetti volti alla realiz-zazione della “Strategia rinnovata del-l’UE per il periodo 2011-2014 in mate-ria di responsabilità sociale delle impre-se” (COM (2011) 681 definitivo).Una strategia, quella della CSR (Re-sponsabilità Sociale delle Imprese (RSI)in italiano), che fa riferimento sia ai prin-cipi e agli orientamenti riconosciuti a li-vello internazionale (ivi inclusi i princi-pi guida ONU e le Linee guida OCSE),sia alle indicazioni contenute in Europa2020, nell’Iniziativa per la politica indu-striale e nell’Atto unico per il mercato in-terno, volte a creare le condizioni favo-revoli per una crescita sostenibile, un

comportamento responsabile delle im-prese e una creazione di occupazionedurevole nel medio e lungo termine. Una strategia che il governo italiano fapropria, consapevole dell’importanza“del ruolo dell’impresa nella società esulla gestione responsabile delle attivitàeconomiche quale veicolo di creazionedi valore, a mutuo vantaggio delle im-prese, dei cittadini e delle comunità”.Si tratta, quindi, di un’occasione nellaquale le imprese, su base volontaria, con-templino nel processo di attuazione del-le strategie di mercato, istanze sociali,ambientali, etiche, al fine di creare va-lore aggiunto condiviso con proprietari,azionisti e con tutte le componenti del-la società in generale. Per promuovere la RSI in Italia nei pros-simi anni, gli obiettivi del Piano sono iseguenti:A. Aumentare la cultura della responsa-bilità sociale presso le imprese, i cit-tadini e le comunità territoriali

B. Sostenere le imprese che adottano laRSI

C. Contribuire al rafforzamento degli “in-centivi di mercato per la RSI”

D. Promuovere le iniziative delle impre-se sociali delle organizzazioni di Ter-zo settore, di cittadinanza attiva e del-la società civile

E. Favorire la trasparenza e la divulga-zione delle informazioni economiche,finanziarie, sociali e ambientali

F. Promuovere la RSI attraverso gli stru-menti riconosciuti a livello interna-zionale e la cooperazione internazio-nale.

Il documento, oltre a prevedere quantogià realizzato a livello nazionale, valo-rizza le buone pratiche al fine di fornireorientamenti condivisi per le azioni fu-ture sulla RSI che necessitano, per at-tuarle, di un’azione sinergica tra le isti-tuzioni e tutti portatori di interesse (sin-dacati, lavoratori, consumatori, organiz-zazioni di terso settore, società civile).Vista la struttura produttiva italiana, nel-l’attuazione di queste azioni sono coin-volte, oltre alle grandi aziende, anche lePMI per il loro radicamento nelle comu-nità, i legami con le grandi imprese nel-la catena di fornitura e il ruolo crescen-te che assumono nell’internazionalizza-zione delle produzioni.Inoltre, è riconosciuto il contributo del-le imprese sociali e delle organizzazio-ni di terzo settore, di cittadinanza attivae della società civile per la loro atten-zione al territorio, il rapporto diretto conla cittadinanza e perché contribuisconoallo sviluppo della comunità locale e del-la coesione sociale fornendo servizi so-ciali e/o beni e servizi a soggetti esclusisocialmente e/o vulnerabili.Nell’ambito delle linee prioritarie e del-le azioni del Piano, tra i numerosissimi in-terventi previsti, che risaltano la perva-sività della RSI negli ambiti socio-eco-

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nomici, si evidenziano: la valorizzazio-ne e la visibilità delle imprese virtuose(premi, tra i quali l’“European CSRAward”; albi; ecc.); la collaborazione nel-le iniziative del settore bancario e dei

fondi di investimento per incrementarela quota di risorse finanziarie investite inimprese “virtuose”; l’integrazione delleiniziative nazionali e regionali per la de-finizione di criteri socio-ambientali ne-

gli appalti pubblici; il sostegno alle ini-ziative di lotta alla corruzione di tipo le-gislativo e di accompagnamento delleimprese; la promozione della “Carta del-

� Il piano di azione italiano 2012-14 sulla CSR �

Indice

I. LLaa ssttrraatteeggiiaa nnaazziioonnaallee .........................................................................................................................................Errore. Il segnalibro non è definitoIIII.. IIll qquuaaddrroo ddii rriiffeerriimmeennttoo.......................................................................................................................................Errore. Il segnalibro non è definito

1.La strategia europea .......................................................................................................................................EErrrroorree.. IIll sseeggnnaalliibbrroo nnoonn èè ddeeffiinniittoo

2.L’evoluzione internazionale della RSI e gli impegni del Governo .................................................................EErrrroorree.. IIll sseeggnnaalliibbrroo nnoonn èè ddeeffiinniittoo3.La dimensione territoriale della RSI ...............................................................................................................EErrrroorree.. IIll sseeggnnaalliibbrroo nnoonn èè ddeeffiinniittoo4.Gli altri attori coinvolti...................................................................................................................................EErrrroorree.. IIll sseeggnnaalliibbrroo nnoonn èè ddeeffiinniittoo

IIIIII.. IIll PPiiaannoo dd’’AAzziioonnee 22001122 -- 22001144...........................................................................................................................Errore. Il segnalibro non è definitoLL’’aammbbiittoo ddii iinntteerrvveennttoo ..............................................................................................................................................Errore. Il segnalibro non è definitoTTaabbeellllaa 11-- RRiieeppiillooggoo ddeeggllii oobbiieettttiivvii,, ddeellllee lliinneeee pprriioorriittaarriiee ee ddeeggllii iinntteerrvveennttii 22001122--22001144............................................................Errore. Il segnalibro non è definitoAA.. OOBBIIEETTTTIIVVOO:: AAuummeennttaarree llaa ccuullttuurraa ddeellllaa rreessppoonnssaabbiilliittàà ssoocciiaallee pprreessssoo llee iimmpprreessee,,

ii cciittttaaddiinnii ee llee ccoommuunniittàà tteerrrriittoorriiaallii..................................................................................................................................................................................................................Errore. Il segnalibro non è definito1. Diffusione della RSI come approccio integrato e strategico dell’impresa..........................................................EErrrroorree.. IIll sseeggnnaalliibbrroo nnoonn èè ddeeffiinniittoo

a) Azioni di informazione e formazione delle imprese e diffusione delle buone pratiche ...............................EErrrroorree.. IIll sseeggnnaalliibbrroo nnoonn èè ddeeffiinniittoo

b) Integrazione della RSI nell’ambito dell’istruzione, della formazione e della ricerca....................................EErrrroorree.. IIll sseeggnnaalliibbrroo nnoonn èè ddeeffiinniittoo2. Rendere consapevoli i cittadini e evitare pratiche sleali....................................................................................EErrrroorree.. IIll sseeggnnaalliibbrroo nnoonn èè ddeeffiinniittooa) Strumenti per la visibilità delle imprese responsabili ...................................................................................EErrrroorree.. IIll sseeggnnaalliibbrroo nnoonn èè ddeeffiinniittoo

b) Azioni per migliorare il livello di fiducia dei consumatori ...........................................................................EErrrroorree.. IIll sseeggnnaalliibbrroo nnoonn èè ddeeffiinniittoo

c) Miglioramento dei processi di autoregolamentazione e co-regolamentazione............................................EErrrroorree.. IIll sseeggnnaalliibbrroo nnoonn èè ddeeffiinniittoo

d) Il contributo della PA: trasparenza e legalità ................................................................................................EErrrroorree.. IIll sseeggnnaalliibbrroo nnoonn èè ddeeffiinniittooBB.. OOBBIIEETTTTIIVVOO:: SSoosstteenneerree llee iimmpprreessee cchhee aaddoottttaannoo llaa RRSSII ...................................................................................Errore. Il segnalibro non è definito1.Sostegno dal lato dell’offerta pubblica ...............................................................................................................EErrrroorree.. IIll sseeggnnaalliibbrroo nnoonn èè ddeeffiinniittoo

a) Incentivi, sgravi fiscali, premialità e semplificazione ...................................................................................EErrrroorree.. IIll sseeggnnaalliibbrroo nnoonn èè ddeeffiinniittooCC.. OOBBIIEETTTTIIVVOO:: CCoonnttrriibbuuiirree aall rraaffffoorrzzaammeennttoo ddeeggllii ““iinncceennttiivvii ddii mmeerrccaattoo ppeerr llaa RRSSII””.......................................Errore. Il segnalibro non è definito1. Il contributo del mondo finanziario ..................................................................................................................EErrrroorree.. IIll sseeggnnaalliibbrroo nnoonn èè ddeeffiinniittoo

a) Promozione delle iniziative per gli investimenti e il credito sostenibili........................................................EErrrroorree.. IIll sseeggnnaalliibbrroo nnoonn èè ddeeffiinniittoob) Finanza etica ................................................................................................................................................EErrrroorree.. IIll sseeggnnaalliibbrroo nnoonn èè ddeeffiinniittoo

2. Appalti pubblici.................................................................................................................................................EErrrroorree.. IIll sseeggnnaalliibbrroo nnoonn èè ddeeffiinniittoo

a) Promozione di appalti pubblici che integrino criteri sociali e ambientali ....................................................EErrrroorree.. IIll sseeggnnaalliibbrroo nnoonn èè ddeeffiinniittoo

3. Consumatori......................................................................................................................................................EErrrroorree.. IIll sseeggnnaalliibbrroo nnoonn èè ddeeffiinniittooa) Reti e forum di consumatori.........................................................................................................................EErrrroorree.. IIll sseeggnnaalliibbrroo nnoonn èè ddeeffiinniittoo

DD.. OOBBIIEETTTTIIVVOO:: PPrroommuuoovveerree llee iinniizziiaattiivvee ddeellllee iimmpprreessee ssoocciiaallii,, ddeellllee oorrggaanniizzzzaazziioonnii ddii TTeerrzzoo sseettttoorree,, ddii cciittttaaddiinnaannzzaa aattttiivvaa ee ddeellllaa ssoocciieettàà cciivviillee ...........................................................................Errore. Il segnalibro non è definito

1. Promozione delle potenzialità sociali ed economiche delle organizzazioni di terzo settore, di cittadinanza attiva e della società civile ............................................................................................................EErrrroorree.. IIll sseeggnnaalliibbrroo nnoonn èè ddeeffiinniittooa) Diffusione della RSI presso le organizzazioni di Terzo settore e sostegno al dialogo con le imprese...........EErrrroorree.. IIll sseeggnnaalliibbrroo nnoonn èè ddeeffiinniittoo

EE.. FFaavvoorriirree llaa ttrraassppaarreennzzaa ee llaa ddiivvuullggaazziioonnee ddeellllee iinnffoorrmmaazziioonnii eeccoonnoommiicchhee,, ffiinnaannzziiaarriiee,, ssoocciiaallii ee aammbbiieennttaallii.........................................................................................................................Errore. Il segnalibro non è definito

1. Informazione, trasparenza e reporting delle imprese ........................................................................................EErrrroorree.. IIll sseeggnnaalliibbrroo nnoonn èè ddeeffiinniittooa) Diffusione e coerenza dei quadri di riferimento e degli indicatori...............................................................EErrrroorree.. IIll sseeggnnaalliibbrroo nnoonn èè ddeeffiinniittoob) Sostegno per l’adozione di standard di sostenibilità e per il reporting extra-finanziario ..............................EErrrroorree.. IIll sseeggnnaalliibbrroo nnoonn èè ddeeffiinniittoo

FF.. OOBBIIEETTTTIIVVOO:: PPrroommuuoovveerree llaa RRSSII aattttrraavveerrssoo ggllii ssttrruummeennttii rriiccoonnoosscciiuuttii aa lliivveelllloo iinntteerrnnaazziioonnaallee ee llaa ccooooppeerraazziioonnee ee llaa ssoolliiddaarriieettàà iinntteerrnnaazziioonnaallee ............................................................................................Errore. Il segnalibro non è definito

1. Le Linee Guida OCSE per le imprese multinazionali ........................................................................................EErrrroorree.. IIll sseeggnnaalliibbrroo nnoonn èè ddeeffiinniittoo

a) Attuazione delle Linee Guida OCSE ............................................................................................................EErrrroorree.. IIll sseeggnnaalliibbrroo nnoonn èè ddeeffiinniittoo2. Promozione di standard e iniziative internazionali ...........................................................................................EErrrroorree.. IIll sseeggnnaalliibbrroo nnoonn èè ddeeffiinniittooa) Global Compact delle Nazioni Unite ..........................................................................................................EErrrroorree.. IIll sseeggnnaalliibbrroo nnoonn èè ddeeffiinniittoo

b) ISO 26000....................................................................................................................................................EErrrroorree.. IIll sseeggnnaalliibbrroo nnoonn èè ddeeffiinniittoo

c) Extractive Industries Transparency Initiative (EITI).........................................................................................EErrrroorree.. IIll sseeggnnaalliibbrroo nnoonn èè ddeeffiinniittoo

d) Gruppo di lavoro del G20 sulla lotta alla corruzione...................................................................................EErrrroorree.. IIll sseeggnnaalliibbrroo nnoonn èè ddeeffiinniittoo3. Cooperazione internazionale............................................................................................................................EErrrroorree.. IIll sseeggnnaalliibbrroo nnoonn èè ddeeffiinniittooa) Attrarre le imprese verso i Paesi prioritari della cooperazione italiana e della solidarietà internazionale ....EErrrroorree.. IIll sseeggnnaalliibbrroo nnoonn èè ddeeffiinniittoo

continua a pag 24

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aaDet Norske Veritas (DNV) - Università Bocconi>>

Una indagine sull’agenda degli imprenditori italiani

The sustainabilitycompass

Oltre l’85% delle imprese italianedichiara di investire nella sosteni-bilità nonostante la crisi. Cresce

l’attenzione delle piccole e medieimprese ai temi della responsabilità diimpresa, dell’ambiente e del sociale. Superare la crisi economica, valorizza-re le risorse umane e garantire la sicu-rezza dei lavoratori: ecco i temi all’ordi-ne del giorno nell’agenda degli impren-ditori e dei manager italiani. È quantoemerge da una ricerca condotta da DNV(Det Norske Veritas) e l’Università Boc-coni che ha coinvolto circa 7.000 im-prese nel mondo.

Obiettivi, metodologia ecampione della ricercaL’obiettivo di questa ricerca, condotta daDNV (Det Norske Veritas) e UniversitàBocconi, è comprendere le aspettativedel management e le prospettive di svi-luppo delle attività di Corporate Re-sponsibility (o CR) in una logica di so-stenibilità, da parte di imprese di tutto ilmondo con un focus particolare sulle im-prese italiane. L’indagine è stata svoltadurante i mesi di settembre e ottobre2009, (dal 18/9 al 13/10) su un campio-ne di 6.781 imprese worldwide (di cui2.129 italiane) a cui è stato sommini-stra¬to un questionario con la metodo-logia CAWI (Computer Assisted Web In-terview) indirizzato agli imprenditori eal top management delle stesse.

Il contesto italianoIl livello di conoscenza della sostenibi-lità e responsabilità d’impresa nelleaziende italianeLa prima domanda valuta il grado di co-

noscenza che imprenditori e manageritaliani dimostrano di avere sulla soste-nibilità: più del 50% degli intervistati di-chiara di avere una buona conoscenzadi questi temi. Dall’indagine emerge chel’attenzione alla sostenibilità non è piùsolo patrimonio delle grandi imprese. So-no sorprendentemente gli operatori del-le micro e piccole imprese del centro-sud a dichiarare un livello di conoscen-za comparabile a quello delle impresedi maggiori dimensioni, già da tempo im-pegnate su questo fronte.Assume particolare rilievo constatare cheuna vasta maggioranza degli imprendi-tori e dei manager italiani intervistati(80%) ritiene che la responsabilità d’im-presa (CR) sia parte integrante della stra-tegia generale dell’azienda.Entrando nel dettaglio si scopre che, inItalia, la CR è riconducibile prima di tut-to alla gestione delle risorse umane e al-la tutela dell’ambiente naturale. Circa il45% dei manager e degli imprenditoriintervistati dichiara di avere attuato negli

> Campione imprese italiane per dimensione

> Campione imprese italiane per area geografica

> Livello di conoscenza in Italia sui temi della sostenibilità

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riscontrato alcun vantaggio significativo.Ancora una volta sono le piccole e microimprese a confermare che comportamentiresponsabili e strategie di sostenibilità so-no un importante fattore di competitività.

I driver della CR nelle imprese italianeLa possibilità di misurare in modo pre-

del 60% ha adottato un sistema di ge-stione certificato) rispetto a quelle delnord Italia (circa il 50%).

I benefici per le imprese L’attenzione alla sostenibilità ha ricadu-te positive sulla vita delle imprese. Il 41%del campione ne riconosce i benefici,mentre solo il 12% dichiara di non aver

ultimi tre anni delle strategie volte allagestione della sicurezza dei dipendentie alla gestione dell’ambiente, come di-mostra il consistente ricorso a sistemi digestione certificati (55%).Non sorprende che tali strumenti sianoprincipalmente prerogativa delle grandiaziende, ma è in controtendenza il ri-sultato delle imprese del centro-sud (più

> Definizione di responsabilità d’impresa da parte di imprenditori e manager

> Gli strumenti per attuare programmi di responsabilità d’impresa in aziende italiane

> La percezione del management italiano rispetto ai benefici delle attività di respon-

sabilità d’impresa

> Livelli di investimento in attività correlate alla responsabilità d’impresa > I driver della CR nelle imprese italiane (giudizio medio)

> Le priorità attuali e le prospettive future del management e degli imprenditori italia-

ni (in una scala da 0 a 5)

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> I driver della CR nelle imprese italiane (giudizio medio)

ciso i benefici e i costi correlati alle atti-vità di sostenibilità e responsabilità d’im-presa costituisce, per il campione inter-vistato, il fattore più rilevante nel pro-cesso decisionale. A questi fattori fannoseguito anche la possibilità di sfruttarecompetenze specifiche interne all’im-presa e l’opportunità di rispondere allerichieste dei clienti.

Sostenibilità eResponsabilità d’Impresastrategiche anche nella crisi economica Malgrado l’attuale fase di crisi economi-ca, l’85% dei manager e degli impren-ditori intervistati dichiara di mantenerecostanti i livelli di investimento nella CR(circa il 70%) e, in alcuni casi addirittu-ra di incrementarli (18%). Spicca qui l’in-traprendenza delle piccole imprese, conun 26% disposto ad incrementare gli in-vestimenti, rispetto ad una media del15%.Ambiente e risorse umane: in futuro sem-pre più al centro dell’attenzione A fianco di tradizionali strategie di effi-cienza e crescita strategica, che vedononella qualità dei prodotti, nella riduzio-ne dei costi e nell’incremento dei ricavile basi per la creazione del valore e losviluppo dell’impresa, i manager e gli im-

prenditori intervistati dichiarano di volerinvestire anche in specifiche iniziative disostenibilità e di CR. Particolare atten-zione viene posta (mediamente con unincremento del 10% rispetto a quanto fi-no a oggi già fatto), alla riduzione del-l’impronta ecologica dell’impresa, al ri-sparmio e all’efficienza energetica e al-la gestione delle risorse umane.

Il confronto tra Italia e resto del mondoConfrontando i risultati del contesto ita-liano con i dati raccolti a livello globaleemerge una maggiore diffidenza dei ma-nager italiani sul reale interesse dell’o-pinione pubblica nei confronti di questitemi. Infatti, il 43% degli intervistati inItalia (contro meno del 30% all’estero)ritiene che la sostenibilità sia percepitaal di fuori dell’impresa come uno stru-mento finalizzato al miglioramento del-l’immagine aziendale o addirittura, nel20% dei casi, un puro costo (meno del10% all’estero).D’altro canto, non sorprende che le im-prese italiane siano prevalentemente in-dirizzate su strategie volte alla massi-mizzazione del benessere di specifici sta-keholder (per esempio, le risorse uma-ne), mentre in altre aree, in particolare,nell’America del nord, sconvolta da scan-

dali societari prima e successivamentedalla crisi economica, le imprese si fo-calizzano maggiormente sull’adozionedi codici di condotta (più del 60%).In una situazione di crisi economica glo-bale i manager intervistati, che operanoin sistemi economici in fase di rapido svi-luppo (Asia e America del sud), dichiara-no la necessità di incrementare ulte¬ri-ormente i loro investimenti in strategie diCR rispetto a quanto già avviene altri incontesti econo¬micamente più sviluppati(Italia, Europa e Nord America).Il sistema imprenditoriale italiano pre-senta dei fattori di vantaggio competitivoriconducibili alla migliore resistenza allacrisi non tanto economica, quanto dei va-lori. Lo conferma, in particolare, la mag-giore attenzione che il management dialtre regioni (prima fra tutte il nord Ame-rica) dichiara di dovere dedicare in futu-ro alla gestione delle risorse umane e al-la promozione di comportamenti etici. Il venir meno della fiducia in una cre-scita economica senza limiti e l’aver com-preso l’impossibilità di trascurare il le-game tra economia e ambiente, nellaconvinzione che le attività economicheabbiano un impatto tutt’altro che trascu-rabile sull’ecosistema, hanno introdottolo sviluppo sostenibile quale obiettivocondiviso di tutti i Paesi avanzati.

> Gli strumenti per attuare programmi di CR nelle imprese italiane > Previsioni di investimento in attività di CR

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Rassegna a cura di Paolo Senni Guidotti MagnaniPresidente Settore Education, già dirigente scolastico e ricercatore IRRE ER

Qualità per l’Education -

autovalutazione per tutte le scuole?

>>

Anche quest’anno AICQ è in gradodi presentare ciò che dal TQM edalle novità della normativa può

giungere come risorsa alle istituzioni for-mative col presente dossier suddiviso in 3settori: Fare il punto, Proposte e Esempi.In Fare il punto Infante (Itinerari d’eccel-lenza nell’Education - Fare il punto: ISO,EFQM/CAF, SAPERI, AMICO CAF, VA-LeS, SA8000i) ragiona unendo alle novi-tà introdotte dal neo-Decreto sul sistemadi valutazione della scuola il meglio sul-la piazza in fatto di modelli per l’eccel-lenza e la rendicontazione. Prosegue suquesta linea Cerini (I soggetti del nuovosistema di valutazione delle scuole) met-tendo in luce anche nuove figure profes-sionali indispensabili per dare gambe alDecreto e al miglioramento. La Rosa(Qualità, Valutazione, Università) pre-senta, un preoccupato quadro sulla si-tuazione nell’Università. La parte delleProposte introduce con Senni GuidottiMagnani (Ruoli complementari da strin-gere nel nome della competenza fra for-mazione, ricerca educativa, metodologiae scienza organizzativa - TQM) il temacomplesso della collaborazione fra mon-do dell’educazione e mondo della quali-tà nel nome della competenza, che è co-me dire nel nome delle norme europeesulla formazione. Segue poi la propostadi Santucci (Il middle management nellascuola: riconoscimento giuridico di nuo-ve figure di sistema per un nuovo para-

digma organizzativo) che ancora unavolta dimostra come la cultura della qua-lità sappia indicare concrete vie per isti-tuzionalizzare il miglioramento. Dai ter-ritori provengono i quattro Esempi diQualità vissuta e agita. Benini e Baldas-sarri (Migliorare la didattica con le proveINVALSI - Il caso di un ciclo completo:valutazione esterna, autovalutazione,progettazione, attuazione, verifica) daRavenna presentano un ciclo completodi messa a regime delle prove INVALSIsugli apprendimenti in una scuola se-condaria di I° grado. Di Grazia e Pelli (IlCAF nelle scuole toscane: gli sviluppi2012/2013 del progetto CIPAT) docu-mentano l’avanzare di una realtà ormaiconsolidata e in crescita. Pasqualin inve-ce dal Veneto (Dalla cultura della qualitàstrategie per il miglioramento della di-dattica e dell’apprendimento) porta unesempio di incontro fra scuola e Univer-sità e fra TQM e ricerca educativa permigliorare la didattica della geometrianella scuola primaria. Battistin (Il proget-to AMICO CAF) conclude la rassegnadegli esempi presentando dall’Emilia Ro-magna un caso di implementazione delCAF, quale strumento di introduzione al-la cultura della qualità.

Fare il puntoItinerari d’eccellenza nell’EducationFare il punto: iso, efqm/caf, vales, sa-peri, sa8000

Vito Infante, Dirigente Scolastico, Centro di

Documentazione Qualità, Eccellenza, Mar-

chio SAPERI dell’Ufficio Scolastico Regionale

del Piemonte

In Alice nel paese delle meraviglie,quando la protagonista chiede alla Regi-na di Cuori una mappa per fare un viag-gio nel suo piccolo regno si sente rispon-dere che i geografi ci stavano lavorandoma avevano interrotto i lavori perché nelsovrapporre i fogli al terreno avevanooscurato il sole e danneggiato i raccolti. Questo episodio chiarisce un concettocaro anche alla psicoanalisi: la mappanon è il territorio

1: serve se interpreta il

territorio e permette di organizzare leinformazioni in modo esauriente e sin-tetico. Esistono mappe di ogni tipo, aseconda degli itinerari che si voglionopercorrere. Perché sia utile, una mappa deve esseredettagliata ma non ridondante e devecontenere i dati significativi per cui vie-ne consultata. I vari modelli di valutazio-ne fanno sempre riferimento in modopiù o meno esplicito a una mappa di ca-ratteristiche attese.Il Sistema nazionale di valutazioneIl recente decreto per la costituzione diun sistema nazionale di valutazione hareso il discorso sull’autovalutazione degliistituti un argomento di grande attualità. Il decreto prevede che tutti gli istitutidebbano effettuare un’autovalutazioneinterna scegliendosi il proprio modello.

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� Qualità per l’Education - autovalutazione per tutte le scuole? �tteemm

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Sarà compito dell’INDIRE2, del l’INVAL -

SI3 e del corpo ispettivo costituire team di

auditor e procedere a una valutazioneesterna e alla definizione di obiettivi dimiglioramento al cui raggiungimento sa-rà in qualche modo legata la retribuzio-ne dei dirigenti. Per rendere operativo ilmodello è stato avviato a livello speri-mentale il progetto VALeS

4su 300 scuo-

le. La sperimentazione durerà tre anni esarà diffusa all’intero sistema. Il modelloVALeS fa riferimento a un modello dibuona scuola. L’obiettivo è il migliora-mento dei risultati degli apprendimentimonitorati tramite l’INVALSI.La mappa SAPERI

5

La mappa di una buona scuola deve pre-vedere la collocazione delle attività e deiprocessi interconnessi in aree significati-ve, come nei quadranti di una carta geo-grafica. La domanda, a questo punto è:che cosa caratterizza una buona scuola?In Piemonte si è andati oltre una sempli-ce definizione e, attraverso la creazionedel Marchio SAPERI, si è definito un cri-terio condiviso. Si sono messi al lavorotutti insieme: Scuole, Ufficio scolasticoregionale, Partner istituzionali, Rappre-sentanti del mondo del lavoro e gliesperti AICQ Education. Si sono incon-trati per un anno, raccogliendo le miglio-ri pratiche didattiche e le esperienze dicertificazione sui sistemi qualità d’istitu-to, sull’accreditamento e sui modelliEFQM/CAF maturate all’interno delle100 scuole della rete SIRQ. In questomodo è nata una mappa di requisiti diqualità ed eccellenza che coprono tuttele principali aree della scuola e sonoraccolti in un Disciplinare Tecnico. Laregistrazione del Marchio collettivo SA-PERI per la qualità e l’eccellenza dellascuola, da parte della Direzione Scolasti-ca Regionale del Piemonte, è avvenutanel 2007. L’acrostico SAPERI nasce dallesei macroaree in cui sono suddivisi i re-quisiti di qualità di una scuola: S comeServizi, A come Apprendimenti, P comePari opportunità, E come Etica e Respon-sabilità sociale, R come Ricerca, I comeIntegrazione con le scuole e il territorio.Ogni macroarea suddivide i suoi proces-si secondo le fasi di un ciclo di migliora-

mento Organizzazione e gestione, Fatto-ri di qualità, Misure e riesame, Migliora-mento. La mappa dei requisiti SAPERI èsuddivisa in 24 quadranti e costituisceun riferimento autorevole non solo percertificare la qualità ma anche per orga-nizzare, gestire e migliorare una scuola.L’autovalutazione è una delle principalimodalità di utilizzo della mappa. Perconseguire la certificazione di qualitàSAPERI, che è facoltativa, all’autovaluta-zione segue un audit esterno, attuatocon la metodologia della peer review(valutazione tra pari opportunamenteformati): molte scuole accettano le valu-tazioni esterne solo se effettuate tra pari.In questo modo si evita l’intervento diauditor privi di competenze specifiche esi facilita lo scambio delle buone prati-che tra Istituti. Così l’audit apre al cam-biamento e al confronto e può coinvol-gere gradualmente la totalità della co-munità scolastica (bench learning).Gli auditor SAPERI costituiscono un cor-po autonomo, indipendente dalla Dire-zione scolastica regionale e dalle scuole,che agisce con un statuto e segue un co-dice deontologico approvato dagli stake-holder istituzionali. Per identificare lecriticità e quantificare i miglioramentinel tempo, alle performance di ogni ma-croarea viene attribuito un punteggioche permette di capire la distanza dellascuola reale dai requisiti attesi e identifi-ca il settore sul quale concentrare gli in-terventi di miglioramento.La mappa SAPERI integra al suo internoesplicitamente i risultati INVALSI comeelemento da analizzare per identificare erimuovere eventuali criticità. Due sonole differenze significative con il VALeS: lecaratteristiche di qualità nel Marchio SA-PERI sono condivise con tutti gli stake-holder e la valutazione esterna, facoltati-va, viene effettuata con la metodologiadella peer review.Le mappe del TQMUn altro importante sistema di riferimen-to per la gestione e la valutazione dellescuole deriva dalle metodologie del TotalQuality Management. Nel 2000, conl’autonomia, il processo di diffusione delTQM nelle scuole si sviluppò sotto la

spinta della necessità dell’ accredita-mento regionale, per gli istituti che vole-vano accedere al fondo sociale europeo.Le prime scuole certificate ISO 9001:1994 fornirono la dimostrazione che sipossono applicare alle scuole le logichedel TQM per migliorare l’organizzazionee la gestione del sistema qualità. I mo-delli ISO si sono rivelati particolarmenteutili per migliorare il clima interno e in-trodurre la cultura della rendicontazio-ne, del controllo e del miglioramento. Le difficoltà iniziali erano legate alla na-tura delle ISO, nate in ambito aziendalee aventi forti riferimenti al proprio mer-cato e al proprio sistema cliente. Le scuole statali non hanno un mercatocome riferimento principale ma fini isti-tuzionali da perseguire e aventi valore“nello spazio e nel tempo”. In Italia nonvi sono standard nazionali di riferimentoriconosciuti e il sistema cliente dellascuola è molto complesso e articolato. In secondo luogo tutta la filosofia TQMha una base deterministica: i prodotti/ser vizi sono una conseguenza diretta deiprocessi, ma nella scuola questa correla-zione è meno stretta quando si conside-rino i processi didattici. I processi centra-li della scuola, quelli di insegnamento-apprendimento, infatti non sono determi-nistici perché dipendono in parte anchedagli allievi e non sono sotto il controlloesclusivo di chi fornisce il servizio. Con queste limitazioni, i modelli di au-tovalutazione per l’eccellenza EFQM/CAF, possono essere delle mappe eccel-lenti, ma richiedono forti adattamentiquando si focalizzi l’attenzione sui pro-cessi di programmazione, realizzazionee valutazione didattica. Questa necessitàdi adattamento ha determinato la nascitadi SAPERI, che ha l’ambizione di non es-sere altro se non il TQM per la scuola. Il parallelo tra MARCHIO SAPERI, meto-do VALeS in via di sperimentazione emetodologie TQM è infatti immediatoperché tutti partono da un’autovalutazio-ne e si ispirano al modello PDCA di De-ming per le fasi del miglioramento.Una mappa per l’Etica e la Responsa-bilità socialeUna buona mappa scolastica ha le coor-

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dinate centrate sulla qualità degli ap-prendimenti, declinati in conoscenze,abilità e competenze, ma deve connotar-si anche per il chiaro riferimento a prin-cipi e a valori oltre che contenere le co-ordinate per le pari opportunità, l’etica ela responsabilità sociale.La scuola deve esaminare la propria mis-sion a tutto tondo, al proprio interno eall’esterno, in direzione di un territorio edi una società in cui contribuisce a pro-muovere comportamenti socialmenteapprezzabili in linea con uno svilupporispettoso dell’ambiente e delle persone.Una buona mappa orienta la scuola inquesta direzione.Un modello centrato sui risultati degliapprendimenti, che non esamini l’effica-cia delle finalità educative e l’impattocomplessivo sulla società è certamentelimitato e limitante. Una buona scuoladeve muoversi anche in direzione dellaricerca, della sperimentazione e deve es-sere attentissima alla sua responsabilitàsociale, il cui standard internazionale diriferimento è la Social accountability(S.A. 8000)

6. In questa filosofia della

qualità, la meta è il percorso consapevo-le di miglioramento da affrontare avendoa disposizione delle buone mappe.Il miglioramentoUn’efficace mappa dei processi scolasticiè un sistema di riferimento per la gestio-ne e il miglioramento di un istituto e puòanche diventare una guida per la rendi-contazione, per la redazione del bilanciosociale dell’istituzione e per il benchmar-king. Le valutazioni e gli interventi di mi-glioramento non sono di facile previsionese si considera che la scuola sia per certi

aspetti assimilabile a un organismo ed haun ciclo di vita connotato dalla sua storiae dal contesto con propri tempi e modali-tà di cambiamento. Di seguito si riporta un esempio di ciclodi vita di una scuola (infanzia, adole-scenza, maturità, obsolescenza).È questa la nuova frontiera per le scuole:passare dalla diagnosi alla terapia e perquesto occorreranno esperti e auditorper le diagnosi e terapeuti per le cure e ilmiglioramento.ConclusioneI modelli descritti rappresentano stru-menti solo parzialmente sovrapponibili edi fatto complementari. Alcuni colgonomaggiormente gli aspetti di gestione, al-tri la didattica. Tutti possono essere co-munque finalizzati al miglioramento del-la scuola sia pure con approcci parzial-mente diversi. Di seguito è riportato unoschema esemplificativo per chiarire pun-ti di convergenza e divergenza tra le di-verse metodologie: il colore scuro con-nota le caratteristiche prevalenti.Per le scuole autonome sono necessariedelle mappe in grado di indicare la metae la strada da percorrere in un territorioin cui è facile perdersi. In assenza di rife-rimenti condivisi, cioè di una mappa ef-ficace, il disorientamento di una scuolapuò essere grande perché: Nessun ventoè buono per chi non abbia un porto do-ve andare (Seneca).

I soggetti del nuovo sistemadi valutazione delle scuoleSi rinnova il sistema di valutazioneGiancarlo Cerini, Dirigente Tecnico USR Emi-

lia Romagna, Membro CTS MIUR sulle speri-

mentazioni della valutazione

La riflessione sulle professionalità neces-sarie per far crescere la valutazione di si-stema si intreccia con il significato che siintende attribuire alla valutazione “ester-na” delle scuole, in particolare al rappor-to tra autovalutazione (o valutazione in-terna) e valutazione esterna, rendiconta-zione sociale e miglioramento, cioè alleconseguenze che possono essere asso-ciate ai processi valutativi.Occorre anche prestare attenzione al-l’evoluzione che si può intravvedereper il futuro sistema nazionale di valu-tazione (SNV), alla luce del nuovo Re-golamento (DPR), approvato in extre-mis in seconda lettura dal Consiglio deiMinistri al termine della legislatura2008-2013.

7Altri indizi provengono

dal corposo Progetto VALES (Valutazio-ne e Sviluppo Scuole) che interessa,300 scuole in tutto il territorio naziona-le, anche se localizzate prevalente-mente nelle regioni del Sud che usu-fruiscono di finanziamenti europei.

8

Il progetto VALES è caratterizzato da al-cune variabili:a) assenza di un sistema premiale (gra-duando le scuole) e, viceversa, eroga-zione di finanziamenti a tutte le istitu-zioni scolastiche partecipanti alla spe-rimentazione;

b) inserimento nel disegno valutativo an-che della performance del dirigentescolastico (in relazione a quanto pre-visto dal quadro normativo: d. lgs.165/2001 e d. lgs. 150/2009);

c) finalizzazione delle varie fasi del pro-cesso di valutazione alle azioni di mi-glioramento dell’offerta formativa e

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Metodologia È una Mappa È un sistema È un sistema È specifica per È specifica per della scuola di valutazione di gestione gli apprendimenti l’etica social

accountability

ISO 9001/9004

EFQM/CAF

SA 8000

VALES

OCSE

PROVE INVALSI

SAPERI

> Gli strumenti per attuare programmi di CR nelle imprese italiane

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dei risultati degli allievi;d)accentuazione della dimensione auto-valutativa, per favorire l’iniziativa deisoggetti “interni”, con l’assunzione diresponsabilità da parte della scuolaper il suo sviluppo.

Si tratta di un progetto con finalità com-posite, che si innesta con le sue specifi-cità su precedenti iniziative sperimentali(Valutazione e miglioramento; VSQ,PQM) e che può essere letto in controlu-ce anche con il progetto SAPERI in fasedi realizzazione nella regione Piemonte.In quest’ultimo caso si definiscono deglistandard di funzionamento ottimale diuna scuola, da verificare attraverso un si-stema di auditing e di visite alle scuole.Al raggiungimento di una soglia predefi-nita, sintetizzata in un punteggio, vienerilasciata una certificazione alla scuolaoggetto di valutazione (con un modelloin qualche modo mutuato dal CAF-Com-mon Assessment Framework).I protocolli di visita alle scuoleNell’impianto di un sistema di verificheesterne è decisiva l’articolazione e lastruttura dei protocolli di analisi dellescuole, così come raccomanda la delegacontenuta nella legge 10/2011, solo de-bolmente recuperata nel nuovo regola-mento

9.

Il protocollo dovrebbe considerare le di-mensioni didattiche, progettuali, orga-nizzative e gestionali delle istituzioniscolastiche. Ponendo mente a quanto staemergendo dalle varie sperimentazioni èpossibile delineare una mappa degli in-dicatori attraverso i quali apprezzare laqualità di una scuola: a) apprendimenti, eccellenze e disper-sione:apprendimenti degli allievi (rilevati at-traverso prove strutturate nazionali,prove elaborate a livello locale o diistituto, elementi di valutazione “au-tentica”, portfolio e dossier);

b) partecipazione e inclusione degli stu-denti alla vita di istituto:iniziativa degli allievi, clima socialedell’istituto, pratiche inclusive, spiritodi collaborazione, responsabilità so-ciale;

c) organizzazione didattica e innovazio

ne tecnologica:modelli organizzativi e didattici, quali-tà delle metodologie, impiego di tec-nologie digitali e multimediali, artico-lazione dei gruppi, didattiche labora-toriali, utilizzo di risorse culturaliesterne;

d) capitale professionale, ricerca, valuta-zione e documentazione:organizzazione della comunità profes-sionale, sviluppo professionale, azionidi ricerca formazione e documenta-zione; disponibilità alla valutazioneinterna ed esterna dell’insegnamento;

e) rapporti con la comunità scolastica eil territorio:gradimento e soddisfazione dei diversisoggetti della comunità scolastica, conparticolare riferimento agli studenti, aigenitori, ai rappresentanti della comu-nità sociale (stakeholder, enti locali,ecc.), e relative procedure di rendi-contazione;

f) stili di leadership e processi decisionali:ruolo del dirigente scolastico (e dellostaff di direzione) in relazione alla ge-stione delle risorse umane, alla pro-mozione culturale e professionale, alledinamiche relazionali e comunicative,al sistema delle decisioni;

g) servizi gestionali e di supporto:gestione dei servizi amministrativi,tecnici, ausiliari e di supporto, in rap-porto all’efficacia ed efficienza delleprocedure di gestione delle risorse fi-nanziarie e strumentali.

L’analisi dell’organizzazione scolasticaviene effettuata dalle equipe esterne at-traverso incontri, audizioni, sopralluoghi,visite a classi e laboratori, acquisizionedi documentazione. Gli indicatori ven-gono sviluppati in rubriche di osserva-zione, sulla base di standard di riferi-mento. Questi strumenti dovrebberoconsentire l’apprezzamento del funzio-namento dell’istituto, supportato da evi-denze affidabili.Ma chi sono i valutatori delle scuole?Gli orientamenti normativi più recenti(Legge 10/2011, Regolamento SNV) at-tribuiscono al corpo ispettivo la funzionedi valutazione esterna delle scuole, pre-vedendo che un apposito contingente di

ispettori si impegni in questo compito.Questa previsione di legge si scontra pe-rò con difficoltà pratiche e teoriche:a) il servizio ispettivo italiano è ridotto allumicino (circa 30 ispettori in serviziosui 300 in organico), dopo anni di dis-interesse. L’attuale concorso (che peraltro focalizza il profilo su competen-ze giuridiche e procedurali) non sem-bra garantire un sufficiente ricambio;

b) la visita alle scuole dovrebbe esserecompiuta da equipe multi-professiona-li, in grado di apprezzare le diversevariabili in gioco nel funzionamentodelle scuole; ad esempio, occorre pre-stare attenzione, da un lato, alla di-mensione gestionale e organizzativa e,dall’altro, agli aspetti di funzionamen-to didattico e quindi alle caratteristi-che dell’offerta formativa;

c) manca in Italia un profilo di valutato-re, se si eccettua qualche progetto pi-lota realizzato dall’Invalsi, prevalente-mente nelle regioni del Sud e l’ormaivetusta esperienza dei monitoraggi(Monipof, Moniform) connessi all’av-vio dell’autonomia scolastica attornoagli anni duemila;

d) resta da risolvere la dicotomia tra fun-zioni di valutazione e funzione di ac-compagnamento-miglioramento che,al momento, sono state nettamente se-parate e ricondotte le prime all’Invalsie le seconde all’Indire.

Si fa comunque strada l’idea che gliispettori coordineranno i team di valuta-zione, composti da altre professionalità,provenienti dall’interno e dall’esternodella scuola. In tal senso si muove l’IN-VALSI per reclutare attraverso un apposi-to Bando le figure da utilizzare per gli in-terventi nelle scuole “VALES” oggetto divalutazione esterna. Ma, al di là dellasperimentazione che riguarda un picco-lo numero di scuole, occorre soppesareimpatto, costi, praticabilità di un sistemache voglia essere presente in tutte lescuole italiane (circa 9.000) e non limi-tarsi ad intervenire solo in quelle chepresentano criticità. Un buon modello di riferimento è l’OFF-SET inglese, l’ufficio per il controllo deglistandard in educazione, affidato agli

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ispettori di ”sua maestà”. Il servizioispettivo riesce a garantire un sistema divisite generalizzate e sistematiche allescuole che si conclude con il rilascio diun report valutativo che rappresenta labase conoscitiva per ulteriori interventi.Ma altri paesi hanno adottato strategie incui prevalgono figure di sistema che ab-binano alla funzione ispettiva quella disupervisione ri-orientamento delle prati-che professionali. In Australia è stato ad-dirittura coniata una nuova professiona-lità, quelle del network leader, come“agente di innovazione” e figura di rac-cordo e di stimolo alla progettualità del-le scuole di una certa area territoriale

10.

L’azione valutativaNel nostro paese è stata enfatizzata lasomministrazione di prove standardizza-te per la rilevazione degli apprendimenti,suscitando non poche polemiche

11, ma

manca una tradizione di osservazione di-retta delle scuole, di audit e survey, cheaffianchi le agenzie che si occupano dirilevazione degli apprendimenti. Ora, ilnuovo regolamento colma questa lacunae il sistema appare più equilibrato, inquanto i dati sui risultati degli apprendi-menti saranno controbilanciati dalla let-tura diretta dei contesti, da analisi deiprocessi organizzativi, da interazioni insituazione con i soggetti interessati. La qualità di una scuola non si giocherà,dunque, solo sugli esiti dei test (una mi-sura sempre parziale e discutibile), masu una conoscenza più ampia del suomodo di essere, quindi anche sui suoivalori, sulle sue scelte educative, sullacapacità di produrre equità e non solo di“tirare a lucido” gli apprendimenti degliallievi in alcune discipline (con tutti ifraintendimenti del caso).I dati numerici, gli indici, i punteggi,saranno accompagnati da osservazioni,argomentazioni, interpretazioni, capacidi suggerire piste di miglioramento oconfermare buona pratiche. Si rendecosì possibile far interagire valutazionee sviluppo della qualità, che resta l’o-biettivo vero di un onesto sistema di va-lutazione.Valutazione vs Miglioramento? Resta aperto il nodo dei soggetti che de-

vono svolgere le funzioni di accompa-gnamento, se cioè siano da affidare ai“valutatori” o ad altre figure. In alcuniprogetti sperimentali (come VSQ, PQMed ora VALES) appare la figura del “tutorper il miglioramento” cui è affidato uncompito di intervento nella scuola, a se-guito delle prime diagnosi valutative, perpromuovere azioni di informazione, ri-cerca, formazione, progettazione assisti-ta. “La sua figura si pone proprio all’in-tersezione tra i diversi momenti e le dif-ferenti prospettive valutative e si qualifi-ca proprio nel raccordarli tra loro; pun-tare ad una separazione tra ruoli valuta-tivi e ruoli progettuali o tra accompagna-mento della valutazione esterna ed inter-na può essere comprensibile entro unalogica di controllo, ma in una logica disviluppo risulta contraddittorio in rap-porto agli scopi e disfunzionale in rap-porto ai risultati attesi”(Castaldi v. sotto).Tenendo conto di queste osservazioni sipotrebbe immaginare almeno l’attivazio-ne di una figura “interna” all’istituto sco-lastico, con compiti di catalizzatore del-le azioni di valutazione (esterne ed inter-ne) in funzione del miglioramento deiprocessi organizzativi e curricolari.Il tutor per il miglioramentoScheda di approfondimento

a cura di Mario Castoldi

La figura del tutor di miglioramento siqualifica in quanto consulente di proces-so, ovvero di colui che aiuta le scuole astrutturare un percorso di riflessione e diazione progettuale in merito alle proprieproblematiche, in una prospettiva di ap-prendimento organizzativo. Il suo ruoloè quindi di accompagnamento, nel“prendere per mano” la scuola a gestirein modo rigoroso e funzionale un per-corso di revisione delle proprie scelte edi qualificazione dell’offerta formativa.Una più attenta disanima delle funzioniconnesse a tale ruolo può essere fatta ri-chiamando la lezione di Huberman(1982) in merito alla promozione di pro-cessi innovativi nelle scuole; l’autoreevidenziava quattro macro-funzioni dapresidiare:•Facilitatore: agevolare e promuoverel’autodeterminazione e l’elaborazione

collegiale nei gruppi professionali;•Catalizzatore: favorire una rivisitazionecritica della propria azione professio-nale e valorizzare e mobilitare le risor-se interne ed esterne potenzialmentedisponibili al cambiamento;•Consigliere tecnico: mettere a disposi-zione una competenza esperta in rap-porto agli specifici temi che caratteriz-zano il progetto di cambiamento, ac-compagnare la riflessione e la progetta-zione attraverso approcci teorici, pro-poste operative, altre esperienze, sug-gerimenti di merito;•Figura di collegamento con l’esterno ereperimento di risorse: stimolare co-stantemente il processo migliorativo,sia operando dall’interno, sia metten-dolo in collegamento con esperienze esoggetti esterni.Facilitare, catalizzare, consigliare, colle-gare: quattro azioni chiave da affidare altutor per il miglioramento, in una prospet-tiva di integrazione tra valutazione internaed esterna, tra diagnosi e sviluppo. Si trat-ta di azioni delicate e strategiche, che ri-chiedono un bagaglio di competenze tec-niche, sociali, organizzative; ne consegueuna domanda di selezione e formazionedi figure di questo genere nel nostro siste-ma scolastico: un passaggio ineludibileper partire con il piede giusto.

Qualità, Valutazione, Università Salvatore La Rosa, Prof. Ordinario di Stati-

stica Aziendale e Controllo della Qualità -

Univ. Palermo Palermo, Vicepresidente

AICQ Sicilia

Qualsiasi discorso che riguardi la Quali-tà, la Certificazione o l’Accreditamentoin ambito universitario, non può prescin-dere dalla conoscenza del contesto e deipunti di debolezza del “sistema universi-tà”, un sistema complesso che attraversauna condizione crepuscolare con posi-zione marginale nelle classifiche interna-zionali, e con conti in profondo rosso.Punti deboliSostanziale fallimento del cosiddettomodello “tre più due” Il mercato del lavoro ha dimostrato dinon gradire il laureato triennale poiché

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ritiene che il livello di preparazione diun giovane in possesso della sola laureadi primo livello non sia sufficiente ad af-frontare i problemi di una realtà semprepiù complessa e globalizzata. Il mondodel lavoro richiede oggi almeno una lau-rea specialistica che si consegue al ter-mine di un biennio nel corso del quale,nella sostanza, si approfondiscono alcu-ne discipline del triennio. A questo si ag-giunga una preoccupante distorsione delsistema: i giovani che frequentano i corsitriennali spesso scelgono consapevol-mente un percorso di basso profilo, ac-cettando votazioni scadenti e mediocri,confidando sul fatto che ciò che conta èla votazione conseguita alla fine delbiennio.Scarsa attenzione rivolta al corpo studentiNei passaggi chiave della carriera univer-sitaria (orientamento, accoglienza, tuto-raggio, placement), l’università non im-piega sufficienti energie e risorse. Duran-te gli studi i giovani sono fortementeesposti al rischio dispersione: lasciati ase stessi, specie nei mega atenei sonoper lo più invisibili ai docenti e all’istitu-zione; spesso cominciano ad andar ma-le, a smettere di dare esami e a trasfor-marsi in fuori corso.Difficile implementazione di un Sistema di Valutazione della QualitàQui occorre distinguere tre categorie divalutazione della qualità: la qualità delladidattica, la qualità dei servizi, la qualitàdella ricerca. La Qualità della didattica ela qualità dei servizi interessano diretta-mente i principali stakeholders del servi-zio universitario: gli studenti. La qualitàdella ricerca, di base ed applicata, inte-ressa lo sviluppo e la competitività delsistema Paese e quindi l’intera società.Sulla valutazione della ricerca e sulla va-lutazione dei ricercatori si dibatte da an-ni nel tentativo di pervenire a misuretendenzialmente oggettive e trasparenti.La diatriba principale riguarda non tantoe non solo la qualità dei contenuti e ilcontributo scientifico del singolo ricerca-tore (qui inteso nella sua più ampia ac-cezione, comprendente cioè anche laclasse dei professori associati e quella

dei professori ordinari) quanto l’uso diindicatori per cosi dire indiretti quali ilcosiddetto “fattore h” e la collocazioneeditoriale dei contributi scientifici (rivi-sta, casa editrice,ecc). Attingendo allamemoria e pensando ai maestri che cihanno guidato nel nostro percorso acca-demico non ricordo che si preoccupas-sero eccessivamente dell’importanzadella collocazione editoriale quantopiuttosto della rilevanza, dell’originalitàe del rigore metodologico dei contenuti.Era la qualità del contributo e l’autorevo-lezza scientifica dell’autore che dava lu-stro alla rivista piuttosto che il contrario.Di norma erano sufficienti pochi ma si-gnificativi lavori, monografie o articoli, adeterminare l’esito concorsuale nel con-seguimento della “libera docenza” o nel-la vincita di un concorso a cattedra. Quantità a scapito della QualitàLa valutazione del sistema universitariooggi avviene sulla base di indici e indi-catori essenzialmente quantitativi doveinvece sarebbero la qualità e l’eccellen-za l’oggetto dell’analisi. Una griglia defi-nita a livello europeo prende in esameparametri quali il numero di studenti chesi laureano, il numero dei corsi di lau-rea, il numero di pubblicazioni nelle ri-viste classificate, il numero dei brevetti,il numero di stage proposti, ecc. Ciascu-no di questi “numeri” può nascondererealtà diverse e prestarsi a evidenti e per-verse distorsioni (una per tutte, il numerodi studenti che si laurea può essere arta-tamente gonfiato con percorsi facilitati etrattamenti generosi pur di non esserepenalizzati nell’assegnazione di fondi econtributi). Sul fronte della ricerca il ri-sultato della logica quantitativa può rive-larsi pernicioso: tanti curriculum sonopieni di un numero spropositato di arti-coli spesso ripetitivi, aridi e poco interes-santi. Articoli in cui, fra l’altro, ci si citavicendevolmente per far aumentare il fa-migerato fattore “h”.Inutilità della valutazione della qualitàdella didattica in assenza di concretiinterventi correttiviPer diversi anni gli studenti sono stati in-vitati a compilare questionari e ad espri-mere giudizi e valutazioni sui loro do-

centi, sugli aspetti organizzativi, sullaqualità del corso, ecc. Al di là di qualchecaso in cui tali giudizi hanno costituitooggetto di riflessione personale (per il ri-spetto della privacy, le valutazioni sonotrasmesse ai docenti in forma riservata)più raramente hanno costituito oggettodi discussione all’interno degli organicollegiali (dipartimento, consiglio di cor-so di studi, consiglio di facoltà, senatoaccademico).Solo recentemente qualche ateneo (LaSapienza di Roma) ha intrapreso la stra-da di una maggiore attenzione alla qua-lità della didattica introducendo nel pro-prio statuto una norma che escludedall’elettorato attivo i docenti “inattivi” ocoloro che abbiano riportato un giudizionegativo per l’attività didattica. Ciò per-ché la loro “improduttività” penalizza l’i-stituzione nell’accesso ai finanziamenti.La norma “meritocratica”, che riguardaanche il personale tecnico- amministrati-vo, sottrae in sostanza potere decisionalea chi sfrutta diritti e privilegi senza com-piere il proprio dovere ProvincializzazioneL’espletamento dei concorsi a livello lo-cale ha contribuito a dequalificare la do-cenza universitaria proiettando il sistemaverso una progressiva provincializzazio-ne. Il proliferare di nuove sedi senza inecessari prerequisiti ha certamentenuociuto alla immagine dell’università ealla sua collocazione nei ranking inter-nazionali. Qualità delle relazioni umane Un’ampia letteratura ha messo in evi-denza come la qualità delle relazioniumane nella scuola e nell’università siain grado di compromettere l’efficaciastessa del processo di apprendimento ol-tre che essere determinante delle condi-zioni di benessere, di motivazione, divalorizzazione della persona. E’ infattiattraverso la valorizzazione della perso-na e delle relazioni interpersonali che ilrapporto didattico diventa “relazioneeducativa”. La condivisione delle rela-zioni umane riguarda non soltanto le re-lazioni verticali determinate dal rapportodocenti-discenti ma anche quelle oriz-zontali (rapporti tra studenti, tra docenti,

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tra personale docente ed amministrativo,tra tutor e dottorandi, ecc). Tali relazioni,orizzontali e verticali, trovano oggi lacornice di sfondo in un ambiente carat-terizzato da una forte competizione, esa-sperata dalle drammatiche ristrettezze fi-nanziarie che affliggono tutti gli ateneioltre che da una campagna denigratoriaspesso artatamente condotta nei con-fronti della massima istituzione culturaledel Paese. Una ipotesi che andrebbe sottoposta acontrollo è quella della correlazione trabuona qualità ed efficaci meccanismi,formali e informali, di controllo socialeoperanti all’interno dell’istituzione uni-versitariaUniversità “torre d’avorio”Docenti e ricercatori universitari sonospesso accusati di vivere in torri d’avoriolontani dai problemi della collettività.Come dice Andrei Gejm, Premio Nobelper la Fisica, il pregio delle torri d’avorioè che consentono di vedere più in là deiproblemi immediati. Per l’uomo dellastrada la ricerca pura può sembrare unospreco di denaro perché non fornisceimmediatamente l’equivalente del “pa-nem et circenses”. Se si allarga lo sguar-do però si vede che non esiste niente dipiù importante dell’inutile conoscenzadi base. Punti di forzaProviamo a concludere guardando aqualche “punto di forza”. Complessiva-mente l’università italiana fornisce aipropri studenti una preparazione ancoracompetitiva a livello internazionale. Pro-va ne sia l’annoso dibattito sulla fuga deicervelli, o i risultati che i nostri studentiottengono quando si recano all’esterocon il progetto Erasmus. Sulla base delleclassifiche internazionali i ricercatori ita-liani sono sufficientemente allineati congli altri paesi. Anzi, nonostante gli scarsiinvestimenti fatti in tema di ricerca e uni-versità, le posizioni conquistate in termi-ni di produzione scientifica possono giu-dicarsi decisamente buone.Il punto di vista del Ministro Profumo“Non è però possibile negare”, ha am-messo il Ministro Francesco Profumo atermine del suo mandato di governo,

“una sofferenza generale del sistemauniversitario italiano che sconta sceltenon sempre coerenti e un generale disin-teresse della politica per gli investimentiin quello che resta un settore strategicoper il futuro del Paese, e, infine, unamancanza storica di programmazione amedio e lungo termine. E’ questo, in as-soluto, il maggiore elemento di debolez-za del sistema universitario italiano che,nel corso delle continue riforme è appro-dato ad un’autonomia responsabile, cheperò per essere esercitata appieno ha bi-sogno di una vision generale capace diprogettare nel tempo con certezza dilegge il terreno su cui fare gli investi-menti in capitale umano e finanziario.”ConclusioniLa sfida che la Qualità deve affrontarenelle università è allora la gestione delconflitto tra riduzione della spesa pubbli-ca e obiettivi di miglioramento continuo,fra obiettivi locali ed obiettivi nazionali.Sperimentare ed implementare modelliuniversali quali il CAF può consentire al-le università, alle nuove strutture diparti-mentali che, in virtù della legge Gelmini,stanno soppiantando le facoltà, di dis-porre di una griglia comune di autovalu-tazione, base imprescindibile per qualsi-voglia processo di miglioramento in ter-mini di efficienza e di efficacia. Altroschema interessante è la definizione del-l’Albero della Performance cioè quellamappa logica che rappresenta i legamitra mandato istituzionale, missione, vi-sione, aree strategiche, obiettivi strategicie piani di azione. La costruzione dell’Al-bero può fornire una rappresentazionearticolata, completa, sintetica ed integra-ta della performance dell’amministrazio-ne universitaria.Occorre infine rafforzare una culturacondivisa della valutazione. La questio-ne riguarda soprattutto il settore pubbli-co ed è una chiave importante in un pro-cesso di apertura internazionale degliatenei e di riduzione del provincialismo.Tale cultura si fonda su almeno cinquecardini: la condivisione degli obiettivi fi-nali della valutazione, l’autonomia deivalutatori rispetto a chi li nomina, la loroterzietà rispetto ai valutati, la loro legitti-

mazione e infine la trasparenza dei pro-cedimenti di valutazione.

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n. 23, op.cit.

La Tona Letizia, La qualità della didattica universita-

ria rilevata attraverso il nucleo di valutazione in “La

qualità delle relazioni umane..” op.cit

PROPOSTEFormazione, ricerca educativa, meto-dologia e scienza organizzativa (TQM)Paolo Senni Guidotti Magnani, Presidente

Settore Nazionale AICQ Education, già diri-

gente scolastico e ricercatore IRRE ER

Chi in AICQ si occupa di Education pro-viene sia dalla cultura tecnica e scientifi-ca sia da quella umanistica. Si tratta diprofessionisti della scuola, docenti e diri-genti, che sono portatori di saperi disci-plinari, relazionali, organizzativi, norma-tivi, scientifici, che hanno trovato unpunto di riferimento riordinatore nellacultura della Qualità e nel TQM.Questa premessa è indispensabile percomprendere la proposta sostenuta dallaseguente riflessione che, partendo dauna presentazione della cultura dellacompetenza in chiave Europa propone

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la necessità di collegamenti organici nelsuo nome fra formazione, ricerca educa-tiva, metodologia e scienza organizzati-va (TQM).La legislazione europea in fatto di forma-zione e istruzione pare essere semprepiù orientata da e verso il concetto siste-mico di competenza pervasivo in tutte leistanze formative: competenza delle isti-tuzioni (scuola, università, formazioneprofessionale e permanente), delle go-vernance, delle direzioni a tutti i livelli,dei professionisti e operatori, del perso-nale amministrativo, competenze chiaveda acquisire e formare nel cittadino.Nei documenti legislativi e raccomanda-tari europei la filosofia portante del signi-ficato della parola “competenza” pareessere costituita dal binomio lavoro e de-mocrazia che lega la competenza all’ac-cupabilità, inclusione sociale e sosteni-bilità e alla rendicontazione sociale.12

Pertanto quando si parla di competenzain ambito europeo si parla di un insiemevasto di abilità, attitudini, capacità teori-che e pratiche, concrete e astratte, diconsapevolezze etiche e di responsabili-tà individuale, collettiva e sociale, il tuttoelaborato e definito nelle norme e nelleraccomandazioni del Parlamento Euro-peo recepite dagli stati nazionali, ove so-no anche definite le competenze chiaveper il cittadino europeo.Il mondo del TQM si è evoluto con lenuove vision a partire dagli anni 2000, lenuove ISO, l’EFQM e il CAF. Si è passatidal prodotto al processo, si vede in altrae nuova luce la certificazione, nascononorme ISO a respiro etico e sociale, chetengono presente l’inclusione sociale ela sostenibilità, la Qualità sempre piùspesso viene vista, soprattutto nei servizi,come autovalutazione e miglioramentocontinuo, nel pubblico impiego anchecome valutazione e misurazione dellaperformance organizzativa e individuale.Ma pare essere l’autovalutazione in Italiail terreno innovativo nell’ambito delTQM e delle sperimentazioni ministeria-li-INVALSI: Formez e Polo Qualità di Mi-lano hanno adattato il CAF alla Scuola;Premio Qualità Italia, soprattutto in Ve-neto, coinvolge numerose scuole; Rete

SIRQ, USR e AICQ Education Piemontehanno messo a punto il marchio SAPERI(Servizi Apprendimenti, Pari Opportuni-tà, Etica, Ricerca, Integrazione); MIURcon l’INVALSI ha condotto e conducesvariate sperimentazioni che coinvolgo-no scuole verso il miglioramento e l’ec-cellenza (PQM, PON, VSQ, VALeS);AICQ Education Tosco-Ligure in collabo-razione con Regione Toscana ha fondatoil CIPAT, consorzio di istituti scolasticiprofessionali che in collaborazione colMinistero della funzione Pubblica affron-tano il miglioramenti col CAF indivi-duandone diversi livelli,; AICQ ER Edu-cation ha lanciato AMICO CAF (AicqMiglioramento Continuo).13

La scuola e la formazione arrivate intempi recenti in Italia al TQM (anni Ot-tanta) hanno contribuito e contribuisco-no allo sviluppo di una cultura dellaqualità che integri sempre di più qualitàgeneralista (modelli e norme) e qualitàapplicata alla persona, alle relazioni, alladidattica e alla valutazione e misura de-gli apprendimenti, all’organizzazionedei tempi scuola (vedi gli adattamentiquali la ISO 9004 per gli istituti scolasticie CAF Education).Afferma in proposito Castoldi, sulla spe-cificità della formazione nella presenta-zione della ricerca sulla qualità della di-dattica Nell’aula la scuola14:L’assunto della ricerca consiste nell’assu-mere l’azione di insegnamento comeprocesso chiave della qualità del servizioscolastico, analizzabile e gestibile inmodo razionale e condiviso sulla base dialcuni principi:•la natura situata dell’azione formativa,che impedisce la definizione di modelliidealtipici di insegnamento, validi inqualsiasi realtà, indipendentemente dal-le variabili contestuali relative agli scopidell’insegnante, alla natura del conte-nuto di insegnamento, alle caratteristi-che dei soggetti di apprendimento;•la natura complessa dell’azione forma-tiva, che richiede una visione globaledelle dimensioni che la compongono edelle loro reciproche relazioni ed è ca-ratterizzata da una corrispondenza nonlineare tra azioni e risultati;

•la natura pubblica dell’azione formati-va in ambito scolastico, che implica laricerca di un equilibrio tra la discrezio-nalità professionale del singolo docen-te e la gestione sociale del servizio sco-lastico.Numerosissimi sono gli esempi deglistretti rapporti fra ricerche scientifiche incampo educativo, i cui portati sono ap-plicati al sostegno e allo sviluppo dicompetenze chiave del cittadino o pro-fessionali dei docenti e principi e metodidel TQM. La seguente tabella esemplifi-ca tali nessi nel caso del progetto di ri-cerca sopracitato per migliorare l’effica-cia didattica del Consiglio di casse:Se si cerca di mettere in pratica la riccaconcettualizzazione relativa alla filosofiadella competenza in chiave Europa fino-ra richiamata, se è vero che la ricercascientifica sviluppa metodologie e stru-menti per rendere più efficace l’insegna-mento e l’apprendimento, se è vero chefra metodologia della ricerca e metodo-logia della qualità (TQM) esistano nume-rosi punti di contatto, pare possibileavanzare la suggestiva, ma necessariaipotesi, che l’universo concettuale adot-tato dalla elaborazione del Consiglio Eu-ropeo circa il significato di “competen-za”, possa essere un condiviso punto diriferimento per l’interazione fra i campidella formazione, della ricerca educativae del TQM.

Il middle managementnella scuolaRiconoscimento giuridico di nuove fi-gure di sistema per un nuovo paradig-ma organizzativoGiuseppe Santucci, Docente scuola secon-

daria, membro del Consiglio direttivo del

Settore Nazionale AIOCQ Education

“Per qualsiasi organizzazione il miglio-ramento implica l’esistenza di tappeevolutive il cui insieme dà corpo al ciclodi vita dell’organizzazione, che può es-sere descritto come una successione distadi, dalla nascita alla conclusionedell’attività”.15

Bisogna quindi comprendere e catego-rizzare la natura dell’organizzazionescolastica per poter progettare ed attuare

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un paradigma che realizzi pienamente,non solo il dettato normativo, ma una vi-sion che porti ad una crescita effettiva econcreta tutti i soggetti coinvolti.Il modello strutturale proposto da Mintz-berg della burocrazia professionale, cheda molti viene utilizzato per analizzarele organizzazioni scolastiche, basa il suofunzionamento sulle capacità e sulle co-noscenze dei docenti/professionisti.Ma il docente/professionista si inseriscein una organizzazione che deve non sol-tanto “erogare” un servizio, ma si inseri-sce in una organizzazione che deve “vi-vere”, evolversi, migliorare, proiettataquotidianamente verso la costruzionedella conoscenza. La scuola è piuttosto un sistema “auto-poietico”, nel significato proprio del ter-mine coniato da Maturana e Varela16,perché esprime le dinamiche di autono-mia che caratterizzano i sistemi viventi.L’autonomia scolastica ope legis è stataed è, per troppi aspetti, una rivoluzioneincompiuta, monca di elementi essen-

ziali per tenersi in piedi, mancante ditessuto connettivo, sia a livello formaleche sostanziale. L’autonomia purtroppo viene letta damolti come disimpegno e deresponsabi-lizzazione da parte dello Stato a favoredi soggetti diversi che avrebbero campolibero e condurrebbero la scuola pubbli-ca verso la deriva della privatizzazione.Se al contrario ci si mette nell’ottica del-la sussidiarietà come forma di responsa-bilizzazione e come impegno di tutti allacostruzione del bene comune, un diver-so assetto organizzativo risulterà neces-sario e positivo.Lo Stato potrebbe riconoscere e valoriz-zare quelle professionalità individuali giàpresenti nel mondo scolastico, sociologi,psicologi, counselor, esperti di sicurezza,solo per fare alcuni esempi.La mancanza di un riconoscimento so-ciale per gli sforzi e per la mancata “rea-lizzazione” personale all’interno dellaroutine lavorativa portano alcuni alla fru-strazione, altri ad impegni extrascolastici

più gratificanti o remunerativi, con unprogressivo disimpegno (questa volta dellavoratore, non dello Stato) all’internodel rapporto esclusivo con l’Istituzione.E allora l’attenzione del docente/profes-sionista, professionista riflessivo17, dovràrivolgersi all’individuo e alla sua espe-rienza, nella consapevolezza della re-sponsabilità del ruolo assegnatogli dallasocietà, nonostante la percezione dimarginalità che spesso ha di se stesso.Certamente la funzione docente è il ful-cro della vita delle organizzazioni scola-stiche, ma molti dei processi principali,di gestione e di supporto18, funzional-mente e strutturalmente correlati allamission dell’Istituzione scolastica, nonpossono essere delegati tout court al Di-rigente scolastico o alle funzioni stru-mentali.La complessità organizzativa impone lapresenza di diversi process owner, di unmiddle management opportunamenteformato e consapevole, che vada a presi-diare ogni area funzionale.

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> I contatti fra formazione, ricerca educativa e TQM nel nome della competenza in un progetto di ricerca per migliorare la competenza didattica

RICERCA

Nell’aula la scuola – kit

professionale per consigli di classe

•Progetto condiviso di reciproca

conoscenza dei valori e di

autovalutazione;

•Centratura su bisogni e le

caratteristiche di tutte le parti

interessate;

•Progetto in fasi;

•Dall’analisi al progetto di

miglioramento;

•Coerenza fra ipotesi scientifiche

e obiettivi assunti e

realizzazione

dell’intervento;Verifica

dell’efficacia del miglioramento

e sua validazione;

•Formazione dei docenti;

•Messa a regime nell’IS delle

buone pratiche;

•….

CORRISPONDENZA FRA IL PARADIGMA DELLARICERCA E IL TQM•orientamento al cliente;

approccio basato sui processi;

•approccio sistemico

coinvolgimento

•decisioni basate su dati di fatto

•leaderschip,

•valorizzazione delle risorse

umane

•confronto con tutte le parti

interessate

•autovalutazione

•progetti di miglioramento

•messa a regime nell’IS

CORRISPONDENZA CON LA FILOSOFIA DELLA COMPETENZA•soddisfare il principio di

inclusione;

•migliorare l’efficacia del cc;·

•migliorare l’immagine dell’IS;·

•migliorare l’apprendimento

degli studenti e le competenze

disciplinari e trasversali;·

•migliorare la competenza

professionale del cc e dell’IS;

•imparare a progettare

il curricolo per competenze

RISVOLTIORGANIZZATIVI

•lavoro per progetti;

•organizzazione mirata

del tempo extra-cattedra

dei docenti (autovalutazione,

lavoro di gruppo);

•organizzazione del tempo

scuola che permetta

il coordinamento strategico

del cc;

•attuazione degli interventi

secondo quanto presente

nel POF;

•generalizzare nell’IS le buone

pratiche;

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Di necessità virtù? Purtroppo possiamoben osservare, nella nostra esperienza dioperatori della scuola, che non sarà suf-ficiente la presa d’atto della necessitàformale, espressa attraverso delibere de-gli OO.CC., o la cooptazione da partedel Dirigente di docenti “volontari”, perrealizzare un efficiente organigrammafunzionale.Le recenti proposte di riforma delle Isti-tuzioni scolastiche nel loro iniziale im-pianto avevano predisposto, per la pro-fessione docente, una articolazioni su trelivelli che non implicava “sovraordina-zione gerarchica”.Senza entrare nel merito del dibattito le-gislativo ancora in corso, e al di là di cri-tiche ideologiche sulla bontà o menodella proposta di legge citata, credo chesia comunque necessario, proprio allaluce di quanto espresso in premessa, va-lutare la fattibilità e la necessità della re-visione dello stato giuridico dei docentiche preveda il riconoscimento di figuredi sistema intermedie, che si faccianocarico, in maniera istituzionale, di tutti iprocessi organizzativi.

ESEMPIMigliorare la didattica conle prove invalsiIl caso di un ciclo completo: valutazio-ne esterna, autovalutazione, progetta-zione, attuazione, verificaAnna Maria Benini, già Dirigente Tecnica

Ufficio Scolastico Regionale Emila Romagna

e Coordinatrice per l’ER delle indagini na-

zionali INVALSI e internazionali OCSE-PISA

Sandra Baldassarri, Dirigente Scolastica

Scuola Secondaria I° grado “Ricci-Muratori”

di Ravenna

Ponendosi in continuità con il preceden-te articolo di A.M. Benini Misurare lecpmpetenze per migliorare il sistema,pubblicato nel n. 3/2012 di questa rivi-sta, con il quale condivide l’impiantonormativo/conoscitivo, il presente contri-buto ne rappresenta uno sviluppo didat-tico-organizzativo. Esso intende fornirespunti di riflessione sull’utilizzo del vastomateriale messo a disposizione dall’IN-VALSI-SNV, per avviare percorsi di mi-glioramento della didattica nella scuola.

Le informazioni fornite dalla valutazioneesterna possono infatti diventare, per lascuola nel suo complesso e per i docentiin particolare, uno stimolo per interro-garsi sull’efficacia del proprio lavoro, perripensare al processo di insegnamento-apprendimento e per riflettere sulle pro-prie responsabilità nei confronti della so-cietà. Perché usare l’espressione “posso-no diventare”? Perché il rischio di buro-cratizzazione è reale se tali informazioninon vengono lette alla luce dello specifi-co contesto e delle risorse proprie di cia-scuna scuola. Per evitare ciò, è necessa-rio che la comunità scolastica intrapren-da prioritariamente un percorso di auto-valutazione. A titolo di esempio, illustria-mo come la Scuola Secondaria di primogrado “Ricci-Muratori” di Ravenna hautilizzato i dati INVALSI nella direzionedel miglioramento dei livelli di apprendi-mento dei propri studenti in matematica.Punto di partenza è stato il processo diautovalutazione che è maturato e si èsviluppato nel corso del triennio 2009-2012. La riflessione si è avviata confron-tando i risultati ottenuti in matematica,in sede di scrutinio finale, dagli studentidi nove classi nel corso di un triennio,dall’a.s. 2009-2010 all’a.s. 2011-2012,con gli esiti della prova nazionale otte-nuti dagli stessi studenti durante l’esameconclusivo del primo ciclo di istruzionenell’a. s. 2011-2012. Da tale confronto èemerso un evidente disallineamento del-la valutazione interna rispetto a quellaesterna. Infatti, mentre la percentuale diinsufficienze accertate dai docenti nelloscrutinio finale diminuisce nel corso deltriennio, passando dal 15,72% delleclassi prime all’8,47% delle classi terze,la prova nazionale accerta il 66,09% diinsufficienze durante l’esame in classeterza. Considerati i risultati, è divenutoimmediato chiedersi come questa scuolasi pone rispetto alla media nazionale, inriferimento ai livelli di apprendimentodei suoi studenti in matematica. Esami-nando il grafico fornito dall’INVALSI, re-lativo al risultato complessivo della pro-va nazionale di matematica, osserviamoche la scuola si pone leggermente al disopra della media di scuole con indice

ESCS simile, della regione e della macroarea e si pone, invece, molto al di sopradella media nazionale. Come mai si èottenuta una percentuale di insufficienzecosì elevata nella prova nazionale di ma-tematica durante l’esame? Un aiuto a ri-spondere viene dal grafico elaborato dal-l’INVALSI che mostra la differenza diprestazione tra le classi: due classi, infat-ti, si pongono significativamente al disotto della media nazionale. A questopunto i docenti, riuniti in dipartimentodisciplinare di matematica, hanno esa-minato la percentuale di risposte correttein ciascun ambito e in ciascun processo,i punteggi per item, la percentuale discelta dei singoli distrattori e la percen-tuale di risposte omesse. E ancora, quan-to incide la differenza tra le classi e den-tro le classi nella variabilità dei punteg-gi? I dati forniti dall’INVALSI mettono inevidenza un livello di variabilità legger-mente superiore alla media nazionale trale classi e leggermente inferiore alla me-dia nazionale dentro le classi. Ciò signi-fica che il dirigente scolastico dovrà te-nere sotto maggior controllo l’assegna-zione dei docenti, la continuità didatticae l’attività svolta, mentre il risultato otte-nuto dentro le classi indica un buonequilibrio nella composizione delle clas-si stesse. Il processo di autovalutazione,intrapreso utilizzando i dati interni discuola e i dati esterni forniti dall’INVAL-SI, ha consentito di individuare e inter-pretare le aree di forza e di debolezza diciascuna classe e della scuola, al fine dielaborare una strategia di sviluppo permigliorare il livello degli apprendimentidegli studenti in matematica.Il piano di miglioramento ha preso cosìavvio con il ripensamento del curricolodi matematica, sostanziandosi con l’ana-lisi dei risultati, la riflessione sugli esiti alivello di classe e di istituto, l’individua-zione dell’obiettivo strategico e dei rela-tivi indicatori; il tutto interpretato alla lu-ce dello specifico contesto scolastico.L’analisi dei risultati è passata attraversouna serie di domande: sono assicuratiesiti uniformi tra le varie classi? Quali ti-pologie di quesiti hanno creato difficol-tà? Qual è il ruolo e il significato dei dis-

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trattori? Quale tipologia di errori e omis-sioni sono più frequenti? Quali rispostesono state fornite alla richiesta di esplici-tare il procedimento seguito? I dati ela-borati dall’INVALSI, attraverso i grafici ele tabelle messi a disposizione, consen-tono utili risposte. I docenti di matemati-ca hanno interpretato l’analisi dei risulta-ti e, dalla riflessione sugli esiti, è emersoche lo scarso livello di performance de-gli studenti in alcuni item dipende da di-versi fattori: errata interpretazione e/olettura frettolosa del testo, argomentazio-ni e competenze linguistiche non sem-pre adeguate, difficoltà a riconoscerescritture diverse dello stesso numero, nu-clei tematici non pienamente affrontati.Si è allora individuato l’obiettivo strategi-co di sviluppo/miglioramento: consoli-dare progressivamente le forme tipichedel pensiero matematico, quali conget-turare, verificare, giustificare, definire,generalizzare. Tale obiettivo strategico ri-entra nel macro-processo “Argomenta-zione” individuato dall’INVALSI nelQuadro di riferimento di matematica, èin linea con i traguardi per lo sviluppodelle competenze al termine della scuo-la secondaria di primo grado fissati dalleIndicazioni Nazionali e conduce allacompetenza-chiave dell’apprendere adapprendere prevista dalle Raccomanda-zioni del Parlamento europeo e del Con-siglio UE del 18-12-2006. Tale obiettivovuole anche valorizzare, nell’apprendi-mento della matematica, la componentedi crescita culturale della persona piutto-sto che l’aspetto di memorizzazione ed

esecuzione di regole.Per favorire il raggiungimento dell’obiet-tivo strategico è stato necessario indivi-duare alcuni indicatori, quali risultati at-tesi misurabili e controllabili. In relazio-ne all’apprendimento, gli indicatori postisono: la riduzione del numero di risposteerrate, la riduzione del numero di rispo-ste omesse, la riduzione del numero del-le insufficienze tra primo e secondo qua-drimestre in matematica da parte deglialunni. In relazione all’insegnamento, gliindicatori del lavoro dei docenti per mi-gliorare il livello di apprendimento inmatematica dei propri studenti sono cosìindividuati: presenza della didattica percompetenze nel lavoro quotidiano, pre-senza di periodici confronti a livello didipartimento disciplinare di matematica,presenza di curricoli disciplinari coordi-nati e presenza di test d’ingresso e verifi-che finali comuni a tutte le classi. Il pro-cesso di insegnamento-apprendimentoviene coinvolto dalla riflessione nellasua interezza e gli indicatori ad esso af-ferenti ampliano l’ambito del migliora-mento che, dal curricolo disciplinare, siestende a livello di istituto. Vengono po-sti tra loro in relazione gli obiettivi di esi-to con gli obiettivi di processo e si co-mincia a delineare il cambiamento diprospettiva: dal “fare le cose giuste”, chenasconde il rischio di burocratizzazione,al “fare le cose giuste per la nostra scuo-la”, che sintetizza l’essere situato, plura-le, partecipato e proattivo del processoautovalutativo. La riflessione sui processi ha condotto,

pertanto, ad elaborare un piano di mi-glioramento, ponendo come obiettivostrategico il miglioramento del livello diapprendimento degli studenti. Le inizia-tive e gli indicatori, che costituiscono lepiste di lavoro per il prossimo triennio2012-2015, si collocano all’interno diquattro prospettive di analisi: Efficaciadella didattica, Sviluppo delle risorseumane e professionali, Sviluppo organiz-zativo e sostenibilità finanziaria, Soddi-sfazione e cooperazione degli stakehol-der locali. A titolo esemplificativo si pre-senta la seguente tabella che prende inconsiderazione l’Efficacia della didatticacome prospettiva di analisi.Il piano di miglioramento che si svilup-perà nel triennio, attraverso le priorità in-dicate all’interno delle quattro prospetti-ve di analisi sopra menzionate, necessitadi alcune condizioni di fattibilità: il coin-volgimento delle componenti scolastichee la condivisione di mission, vision e va-lori dell’Istituzione scolastica, la chiarez-za organizzativa e comunicativa, la con-vergenza operativa. Esse infatti rendonociascuno, in relazione al ruolo che rico-pre, parte attiva e responsabile della co-munità educante. La cultura professiona-le condivisa, la riflessione collaborativa ela socializzazione di conoscenze e com-petenze consentono la crescita del capi-tale professionale, vero propulsore del-l’efficacia del processo di autovalutazio-ne e della realizzazione del piano di mi-glioramento della scuola. Usando questachiave di lettura, i collegi docenti e iconsigli di classe diventano luoghi di au-

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Iniziative

Individualizzazione/Personalizzazione dei

percorsi formativi

Attenzione alla valutazione diagnostica

Riflessione su esiti prove INVALSI cl. 1^ e

cl. 3^ (livelli scuola e regione)

Monitoraggio attività del POF

Monitoraggio successo scolastico

Indicatori•Riduzione numero di insufficienze di italiano, matematica e inglese tra primo e secondo

quadrimestre.

•Presenza di prove d’ingresso in tutte le classi.

•Presenza di prove d’ingresso di italiano e matematica uguali per tutte le classi prime

•Tabella per confronto esiti prove d’ingresso classi prime con esiti prove INVALSI classi prime.

•Tabella per confronto esiti prove INVALSI classi terze con esiti stessa classe in prima media.

•Presenza scheda di valutazione/rendicontazione attività del POF.

•Diminuzione numero degli abbandoni.

•Consiglio orientativo/scelta del ragazzo

•Tabella riepilogativa esiti test d’ingresso e esiti finali dei nostri studenti al primo anno delle

superiori.

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toformazione e dipartimenti interdiscipli-nari funzionali alla connessione tra le di-scipline. I dipartimenti disciplinari e ilgruppo di ricerca/formazione-azionecontribuiscono a connotare la scuola co-me comunità professionale, attraversol’approccio dell’apprendimento organiz-zativo orientato ad un processo di rifles-sione continua. Il consiglio di istitutocondivide le priorità di sviluppo finaliz-zate a migliorare il livello di apprendi-mento degli studenti, assumendo sceltedi gestione politica della scuola.Per concludere, migliorare la didatticacon le prove INVALSI è possibile e fatti-bile, purché i dati forniti dallo stesso IN-VALSI siano letti e interpretati unitamen-te ai dati raccolti dalla scuola nel proces-so di autovalutazione, processo che co-involge anche gli aspetti non cognitividel percorso formativo dello studente.Solo in questo modo le misurazioni for-nite dall’INVALSI possono costituire unostrumento per migliorare la didattica euna sfida cognitiva e professionale permigliorare i livelli di apprendimento de-gli studenti di una scuola.

Il CAF nelle scuole toscaneGli sviluppi 2012/2013 del progettocipatMauro Di Grazia, Presidente del Comitato

Tecnico Scientifico del CIPAT

Alfio Pelli, Vice-Presidente Settore AICQ

Education, Coordinatore Educazion Toscoli-

gure

Il 22 marzo 2012 la Regione Toscana,l’Ufficio Scolastico Regionale per la To-scana, il CIPAT, il Dipartimento Funzio-ne Pubblica/CNRCAF, hanno sottoscrittoun protocollo d’intesa territoriale teso apromuovere la cultura dell’autovaluta-zione fra le istituzioni scolastiche dellaToscana, da realizzarsi anche attraversola diffusione del modello CAF. Sono pre-visti impegni specifici per i diversi part-ner; il coordinamento delle attività è affi-dato al CIPAT. Obiettivi per il periodo 2012/13•Sviluppare la cultura della valutazioneper accrescere la consapevolezza daparte dei dirigenti che un sistema sipuò gestire solo conoscendone punti di

forza e di debolezza•Diffondere la conoscenza del modelloCAF, quale modello consigliato dallaRegione per la valutazione del sistemascuola. In questa prima fase l’informa-zione e la successiva formazione è li-mitata ai Dirigenti scolastici degli istitu-ti comprensivi

•Diffondere il Modello CAF in tutte leprovince toscane, con attività di forma-zione decentrata, sviluppando quantogià attuato nella Provincia di Massa

•Assistere le scuole che stanno realiz-zando pratiche di autovalutazione emiglioramento, in particolare quelleche intendono partecipare al CAF Ex-ternal Feedback

•Supportare pratiche di benchmarking apartire dall’individuazione di indicatoridi risultato comuni ai vari ordini e gra-di di scuola

•Formare sul territorio regionale figuredi facilitatori e valutatori in grado disupportare le pratiche di autovalutazio-ne e miglioramento.Attività previste fino a giugno 20131. Costituzione, entro luglio 2012, delGruppo regionale di coordinamentocomposto da:- due rappresentanti della Regione- un rappresentante dell’Osservatorioscolastico regionale- due rappresentanti dell’Ufficio Sco-lastico Regionale per la Toscana- un dirigente scolastico di Istitutocomprensivo- un dirigente scolastico di Liceo- un dirigente scolastico di Istitutotecnico - un dirigente scolastico di Istitutoprofessionale- due rappresentanti del CIPAT

2. Emanazione, entro settembre 2012,da parte della Regione Toscana, di unprovvedimento normativo che favori-sca le condizioni di flessibilità nelpassaggio al CAF come modello utileai fini dell’accreditamento regionale

3. Individuazione, entro il mese di otto-bre 2012, da parte del Gruppo regio-nale di coordinamento di indicatoridi risultato comuni ai diversi gradi etipologie di istituti scolastici

4. Organizzazione, entro il mese di otto-bre 2012, di incontri di informazionecon tutti i Dirigenti degli Istituti com-prensivi. Gli incontri saranno organiz-zati dall’Ufficio Scolastico Regio naleper la Toscana a livello interprovincia-le secondo i raggruppamenti:- Firenze, Pistoia, Prato- Arezzo, Siena Grosseto- Livorno, Pisa, Lucca e Massa

5. Organizzazione di corsi di formazio-ne per i Dirigenti scolastici degli Isti-tuti comprensivi sulla base delle ade-sioni dopo gli incontri informativi.Ogni corso, organizzato dall’UfficioScolastico Regionale per la Toscana,avrà una durata di quattro giorni diotto ore ciascuno. I relatori sarannoesperti CAF nazionali e locali

6. Prosecuzione dei corsi di formazioneCAF decentrati già in svolgimento

7. Assistenza on line per tutti e assisten-za on site per le scuole che ne fannorichiesta

8. Costituzione formalizzata della retetoscana delle scuole CAF per la speri-mentazione del benchmarking e delbenchlearning

9. Costituzione di gruppi di lavoro inte-ristituzionali (esperti Regione, scuole,USR) per l’individuazione di indicato-ri di risultato comuni alle diverse tipo-logie di Istituti omogenei (IstitutiComprensivi, Istituti Professionali, Isti-tuti Tecnici, Licei); prime conclusionidel lavoro ottobre 2012

10.Realizzazione, a cura del CNRCAF, dialmeno un corso di formazione per fa-cilitatori con la partecipazione di per-sone che hanno effettuato l’esperienzadi applicazione del CAF in Toscana. Ladisponibilità di un gruppo di facilitatori(15/20) è condizione indispensabileper l’assistenza alle scuole che inten-dono padroneggiare il modello e avva-lersi della valutazione esterna.

Risultati attesie) Coinvolgere nella formazione dirigentie docenti di almeno il 30% degli isti-tuti comprensivi, che si aggiungono al-le attuali 37 scuole che hanno già spe-rimentato il CAF e che stanno prepa-randosi o hanno acquisito il CAF Ex-

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ternal Feedbackf) Assistere on line tutte le scuoleg) Assistere direttamente almeno 10scuo le

h)Formare 15/20 facilitatori.Sul sito dell’USR Toscana (http://www.to-scana.istruzione.it), nelle news del17/01/2013, sono disponibili i materialiutilizzati nei corsi di formazione per iDirigenti scolastici degli Istituti compren-sivi, di cui al punto 5 delle attività previ-ste (tutti realizzati, oltre 100 le scuolecoinvolte per un totale di oltre 400 fradirigenti e insegnanti). E’ operativo ilgruppo di lavoro su questionari/indicato-ri regionali (con un occhio a Vales).

Dalla cultura della qualitàstrategie per ilmiglioramento delladidattica edell’apprendimento Catterina Pasqualin, Vice-presidente Settore

Nazionale Aicq Education

Coloro che hanno avviato ed attuatoprocessi di autovalutazione e di miglio-ramento nella Scuola utilizzando stru-menti quali le ISO, l’EFQM o il CAF con-dividono l’idea che, per favorire e garan-tire ricadute positive nel servizio, non èsufficiente operare esclusivamente nelladimensione organizzativa ma è assoluta-mente necessario portare l’autovaluta-zione e quindi il miglioramento propriodove il servizio si esprime direttamente ecioè in classe, con gli studenti. Molti per-corsi, pur ben avviati, si sono infatti suc-cessivamente arenati e rinsecchiti, prin-cipalmente ed appunto perché non si so-no trasformati in utili strumenti nelle ma-ni dei docenti per migliorare il loro lavo-ro e le performance degli alunni. Perquesto è importante far conoscere leesperienze positive, non poche, orientatein tal senso, rese possibili grazie alla dis-ponibilità di Scuole che hanno saputocogliere stimolazioni ed opportunità.21

Riporto pertanto l’esperienza del proget-to Giochiamo con le forme relativo al-l’insegnamento-apprendimento dellamatematica in ambito geometrico, rea-lizzato in una sezione di bambini di cin-que anni della Scuola dell’Infanzia Il Gi-

rasole nell’anno scolastico 2008-2009del Circolo Didattico di Conselve (PD)da me diretto. Trattandosi di una scuolacertificata ISO e che stava applicandol’autovalutazione CAF, il progetto di in-tervento sull’insegnamento-apprendi-mento della geometria alla scuola del-l’Infanzia si è potuto realizzare grazie al-l’utilizzo di strategie tipiche della qualitàinsite nella cultura dell’Istituto22.La disciplina con maggiori carenze, inbase ai risultati nelle Prove Invalsi, era ri-sultata la matematica, se pure in lineacon le rilevazioni regionali e nazionali.Per migliorare l’apprendimento, sullascorta delle argomentazioni delle inse-gnanti di scuola dell’infanzia che, nel-l’ambito dell’analisi di contesto, avevanoevidenziato la scarsa sistematicità dell’e-ducazione logico-matematica al primolivello di scolarità, si è ritenuto importan-te e quindi deciso di rinnovare i metodid’insegnamento sin dagli inizi del per-corso di scolarizzazione.23 Sono stati per-tanto individuati e condivisi i punti didebolezza relativi alle competenze deglistudenti e dei docenti e fissati gli obietti-vi prioritari relativi a contenuti e metodi. In applicazione della metodologia dellaQualità il passo successivo è stato avviar-si verso un percorso di formazione e ri-qualificazione professionale, che si èconcretizzato nel corso Potenziamentodella cognizione logico-matematica, or-ganizzato da importanti portatori d’inte-resse quali l’UST (Ufficio Scolastico Terri-toriale di Padova)24. L’approfondimentodell’analisi dei bisogni in fatto di compe-tenza didattica e possibilità di apprende-re ha evidenziato i punti di debolezzasul versante delle potenzialità (non ade-guatamente sviluppate nei bambini) esul versante dei metodi d’insegnamento(non sufficientemente aggiornati sullecompetenze e i meccanismi cognitivi),cui si è corrisposto ricercando ulterioririsorse e partnership esterne. Per questonon è sfuggita l’opportunità offerta dallaFacoltà di Psicologia dello sviluppodell’Università degli Studi di Padova disperimentare l’apprendimento della ma-tematica in ambito geometrico cosa cheha permesso di riconoscere l’Università

da parte dei docenti come importante in-terlocutore oltre che portatore d’interes-se. Il continuo feedbak fra l’Università ela scuola ha permesso inoltre di metterealla prova e di rielaborare l’attività didat-tica e gli input teorici non solo nel casopreso in considerazione della geometria.Scuola ed Università hanno pertantocondiviso l’idea che in aula si impara fa-cendo sia da parte degli alunni sia daparte dei docenti. Il Progetto Giochiamocon le forme infatti si è caratterizzato co-me ricerca-azione e i suoi risultati so nostati valutati col seguente dato: le com- petenze specifiche nella definizione difigure geometriche sono state acquisiteda parte del 72% dei bambini (previsto il70%); i docenti hanno rinnovato e mi-gliorato il metodo d’insegnamento, di-chiarando di aver capito che occorre for-nire più attenzione a ciò che avvienenella mente del bambino che non a ciòche gli si propone di fare (vedi ilavoretti)25. La sperimentazione in classeguidata dall’Università di Padova ha ri-proposto in tutte le sue fasi il PDCA sianel versante ricerca-azione sia nel ver-sante attività d’aula.Spero che l’esperienza sinteticamentedescritta e le riflessioni correlate possanocontribuire, insieme ad altre, ad aprirenuovi orizzonti, a fornire nuovi stimoli aidirigenti ma soprattutto ai docenti.26 A talfine il Coordinamento Nazionale AICQ,settore Education, sta realizzando unapresentazione-raccolta di “Buone prati-che” di qualità nella didattica che mette-rà a disposizione delle Scuole.

Il progetto AMICO CAFMarina Battistin - Dirigente IC 16 Bologna,

AICQ Education Emilia Romagna

La scommessa di AICQ Education EmiliaRomagna è partire dalla storia e dall’or-ganizzazione di ciascuna IstituzioneScolastica e offrire ai Gruppi Qualità in-terni strumenti e metodologie per l’auto-valutazione e l’avvio di percorsi di mi-glioramento. L’ambizione é integrare idiversi modelli autovalutativi, quali laNorma UNI EN ISO 9004:2000 per gliistituti scolastici, il Marchio Saperi del-l’USR e della rete SIRQ del Piemonte,

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l’EFQM e il CAF semplificandone l’utiliz-zo attraverso la proposta di questionari-obiettivo. AICQ suggerisce un approccionon normativo, ma “culturale” alle scuo-le perché lavorino verso una qualità so-stanziale e sostenibile. Il questionario-obiettivo proposto nel2010/2011 denominato AMiCo era sud-diviso in dieci sezioni: clima; comunica-zioni; organizzazione (staff, dirigente,gestione per processi, responsabilità, se-greteria); didattica; coinvolgimento delpersonale; formazione; miglioramentocontinuo (autovalutazione, reclami,azioni); rapporti col territorio e le istitu-zioni; acquisti e gestione degli spazi;contratti e collaborazioni. Si chiedeva diassegnare ad ogni indicatore un punteg-gio da 1 a 4 (1= Situazione a macchia dileopardo; 2= Situazione a macchia dileopardo – Sensibilità al problema; 3=Situazione parzialmente sotto controllo emiglioramenti in atto; 4= Situazione sot-to controllo “Buone pratiche” diffuse Si-stema Qualità). Parte integrante del que-stionario era la individuazione dei docu-menti a sostegno del punteggio assegna-to e il suggerimento di criticità da mi-gliorare.Benché basato su un solido impiantoteorico, AMiCo era un prodotto autono-mo: introduceva, accompagnava e sem-plificava l’approccio al processo di auto-valutazione ma lasciava ogni singolascuola in una posizione difficilmenteconfrontabile con altre realtà istituziona-li, italiane ed europee.27

Nell’autunno 2012 AICQ EducationEmilia Romagna ristruttura AMICO inAMICO CAF un questionario-obiettivoad applicazione guidata del modelloCAF Education. AMICO CAF mantieneinvariata la struttura portante di CAFEducation in 9 criteri e 28 sotto-criteri. I28 sotto-criteri, che afferiscono a cinquefattori abilitanti e a quattro fattori di risul-tato, vengono assunti da AMICO CAFcome “voci” di un questionario cui igruppi di autovalutazione nelle scuoleattribuiscono i punteggi. Anche nel que-stionario AMICO CAF, come nel prece-dente, è previsto di annotare, accanto alpunteggio, i documenti ai quali fa riferi-

mento la scelta del punteggio e indicaresuggerimenti per migliorare quella di-mensione. Tale spazio viene nel questio-nario definito plan per incentivare il co-stante riferimento al PDCA. AMICO CAFprevede l’utilizzo del punteggio classicodel CAF, da zero a 5. Il kit auto assistito AMICO CAF recente-mente messo a punto da AICQ Educa-tion Emilia Romagna si caratterizza perla facilità di lettura e di utilizzo, ma so-prattutto, inserisce un corredo di esempifacilitanti. In calce a ciascun criterio so-no elencate situazioni reali e verificabilinelle scuole. Come esempio si riporta diseguito la sezione del questionario affe-rente al criterio abilitante leadeship.Criterio 1: Leadership Esempi:1:1 - Il DS incontra sistematicamente lo

Staff di Direzione per discutere deiproblemi relativi all’attuazione delPOF; Il DS pianifica incontri e/o mo-menti per sensibilizzare e coinvolge-re maggiormente il personale scola-stico nell’attivare percorsi di miglio-ramento

1.2 - E’ in atto un sistema strutturato dimonitoraggio e analisi dei dati. L’au-tovalutazione e l’analisi dei dati è fi-nalizzata all’individuazione delle cri-ticità. I dati vengono utilizzati per at-tivare percorsi di miglioramento. Siaffrontano le criticità nell’ambito diuna pianificazione condivisa. C’è unrapporto fra gli investimenti e i risul-tati dell’autovalutazione. L’IS usufrui-sce di strumenti tecnici e proceduralicondivisi per attuare i miglioramenti.Esistono attività finalizzate al miglio-ramento degli apprendimenti. Esisto-no attività finalizzate al migliora-mento della lavoro individuale.

1.3 - Il DS ricerca sistematicamente sug-gerimenti e soluzioni dallo Staff diDirezione e dai docenti. Il DS propo-ne suggerimenti e soluzioni in baseall’analisi di dati.

1.4 - L’istituto compie in modo sistemati-co e periodico l’osservazione delproprio contesto socio economico,normativo e tecnico e l’osservazionedi tutto l’apparato Education del ter-

ritorio di riferimento.Il progetto AMICO CAF prevede che l’as-segnazione del punteggio nasca dall’au-toanalisi e risponda a precisi descrittori,per i quali devono essere individuati idocumenti presenti nell’Istituzione Sco-lastica. I punteggi da zero a cinque ven-gono attribuiti con le due note scale didescrittori comulative e riferite al PDCApresentate dal manuale CAF and Educa-tion.29

AICQ Education Emilia Romagna ha pre-sentato il percorso AMICO CAF l’1 feb-braio 2013 a Bologna, in un seminariopatrocinato da USR Emilia Romagna, cuihanno presenziato 50 fra dirigenti e inse-gnanti. Al progetto-percorso hanno ade-rito 18 scuole: 8 della provincia di Bolo-gna, 4 della provincia di Ferrara, 1 Ra-venna, 2 Forli’-Cesena, 1 Parma e 2 Reg-gio Emilia. La partecipazione al progettoè offerta gratuitamente alle scuole eAICQ Education ER offre un accompa-gnamento a distanza con tutor di scuolae in presenza con due incontri di rete. Lapartecipazione al progetto comporta ilricevimento di uno strumento in excelper tabulare velocemente i dati raccolti esuggerisce l’uso di Google Drive-form (oaltri format analoghi) per la diffusione ela raccolta di informazioni e risposte sul-le quali il gruppo di autovalutazione del-la scuola e la direzione trovano efficacistrumenti di analisi per la scelta e la pro-gettazione di un percorso di migliora-mento. Si riportano esempi di graficiprodotti:Alla prima fase di autovalutazione (pri-ma annualità) è previsto che segua unaseconda fase di progettazione del mi-glioramento e nuova valutazione avvian-do un ciclo continuo PDCA (secondaannualità).

� NOTE1 Principio reso famoso dallo psicanalista Alfred

Korzybski

2 Istituto Nazionale di Documentazione Innovativa

e Ricerca Educativa

2 Istituto Nazionale per la valutazione del Sistema

dell’Istruzione, D. Livo n. 258/1999, vedi anche A.

Benini, Misurare le competenze per migliorare il

sistema – OCSE E Invalsi in “Qualità” n. 3/2012, p.

Page 52: novembre/dicembre · -la leadership passa da comando e controllo, a consenso, a collaborazione, per poi diventare convocativa; -la management community , assente nel primo stadio,

33.

4 Valutazione e Sviluppo, vedi C. Pasqualin, Auto ed

etero valutazione: sperimentazioni ministeriali e ri-

flessioni sul campo, in “Qualità” n. 3/2012, p. 36

5 Il Marchio, di proprietà dell’USR Piemonte è un

Marchio Collettivo Nazionale registrato presso la

CCIA di Roma. Il disciplinare è stato proposto nel

2005 dalle scuole della rete SIRQ che comprende

100 istituti. E’ stato approvato da USR Piemonte e

dagli stakeholder rappresentati nel Comitato Interi-

stituzionale, che oggi

rilascia il Marchio, e

che è composto da

Università, Regione,

Unioncamere, Sinda-

cati, AICQ, ANCI,

Unione delle province.

6 Vedi anche V. Infante,

La SA 8000 nell’Edu-

cation, in “Qualità” n.

3/2012, p. 43

7 Lo schema di Regola-

mento è stato approva-

to definitivamente dal

Consiglio dei Ministri

in data 8-3-2013, do-

po aver acquisito i pa-

reri positivi, con richie-

ste di modifiche, dalla

Commissione Unifica-

ta Stato-Regioni-

Autonomia (25-10-2012), dal Consiglio Nazionale

della Pubblica Istruzione (20-11-2012), dal Consi-

glio di Stato (16-1-2013), dalla Commissione Cul-

tura del Senato (14-2-2013). Non risulta espresso il

parere della Commissione Cultura della Camera

dei Deputati.

8 Gli aspetti fondamentali del Progetto VALES sono

descritti nella CM 3-2-2012, n. 16 e nei relativi al-

legati, mentre un apposito spazio informativo sul

progetto è reperibile sul sito dell’INVALSI

(www.invalsi.it) .

9 Per una analisi dello schema di regolamento del

SNV, cfr. G.Cerini, Un sistema in fieri. Il dibattito

sul regolamento SNV, in G.Cerini-M.Spinosi, Cul-

tura re strumenti della valutazione, Voci della

Scuola, 2/2013, Tecnodid, Napoli, febbraio 2013.

10 G.Barzanò, Accountability: il caso australiano, in

“Rivista dell’istruzione”, n. 1-2, gennaio-aprile

2012, Maggioli.

11 Tracce delle perplessità espresse dal mondo della

scuola sono ben rappresentate dal documento “La

valutazione: un tema cruciale, un impegno condi-

viso“, sottoscritto il 5 febbraio 2013 da un nutrito

gruppo di associazioni professionali (tra cui AIMC

e CIDI). Nel documento si chiede di tornare a rile-

vazioni a campione (e non più censuarie) e di eli-

minare la prova nazionale dall’esame di 3^ media

(cfr. www.cidi.it).

12 A questo proposito è opportuno riportare alcuni

elementi relativi alla genesi e allo sviluppo del con-

cetto di competenza in ambito formativo i cui sno-

di principali paiono essere: i programmi Wasburne

per la scuola elementare italiana post-bellica

(1945-1955), la piramide di David Mac Lelland per

il reclutamento del personale basato sul concetto

di competenza (1970), i documenti UNESCO e

della Commissione europea altrimenti noti come

documento Delors (1996), i documenti europei di

Lisbona (2000), le indagini OCSE-PISA sugli ap-

prendimenti delle competenze (2006), i documenti

del CEDEFOP (Centro europeo per lo sviluppo del-

la formazione professionale e permanente) (2006).

Si riportano anche e alcune fra le principali defini-

zioni ufficiali correnti di “competenza”: Documen-

to programmatico dei ministri dell’istruzione dello

Stato federale tedesco (2004) - Definiamo le com-

petenze come le abilità e capacità cognitive posse-

dute o che possono essere apprese dagli individui e

che consentono loro di risolvere problemi partico-

lari, oltre che il possesso della motivazione, della

disponibilità volitiva e sociale e della capacità di

utilizzare le soluzioni in maniera efficace responsa-

bile in situazioni variabili (Federal Ministry of Edu-

maggio/giugno 2013 www.aicq.it

� Education �ttee

mmaa

50

Considerare l’evidenza di quanto la dirigenza dell’istituzione sta facendo per: punteggio da 0 a 5 documenti plan

1.1. Orientare l’istituzione attraverso lo sviluppo di una mission, una vision e dei valori

1.2. Sviluppare e implementare un sistema di gestione dell’istituzione, delle sue

performance e del cambiamento

1.3. Motivare e supportare il personale dell’istituzione e agire come modello di ruolo

1.4. Gestire i rapporti con i politici e gli altri portatori di interesse al fine di assicurare

la condivisione delle responsabilità

Rating % Peso CAF TotaleLeadership 75% 10 45

Politiche e strategie 75% 10 45

Personale 80% 10 48

Partnership e Risorse 60% 10 36

Processi 87% 10 52

Risultati discenti e famiglie 30% 15 27

Risultati personale 30% 10 18

Risultati società 80% 10 48

Performance chiave 70% 15 63

Totale (600 max) 382

> Criterio 1: Leadership

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maggio/giugno 2013www.aicq.it

� Qualità per l’Education - autovalutazione per tutte le scuole? �tteemm

aa51

cation and Research, 2004, p. 65); Documento Ce-

defop (2006) - Le prime tre dimensioni - competen-

ze cognitive, funzionali e sociali -sono abbastanza

universali e sono chiaramente in linea con l’ap-

proccio francese (savoir, savoir faire, savoir-etre),

così come quello di lunga data degli Stati Uniti (co-

noscenze, abilità e attitudini) relativo alla formazio-

ne in campo professionale derivata dalla tassono-

mia dell’apprendimento di Bloom (Cedefop, 2006,

p. 40); Circolare Ministeriale 10 novembre 2005,

n. 84 - La competenza è l’agire personale di cia-

scuno, basato sulle conoscenze e abilità acquisite,

adeguato, in un determinato contesto, in modo

soddisfacente e socialmente riconosciuto, a rispon-

dere a un bisogno, a risolvere a un problema, a

eseguire un compito, a realizzare un progetto. Non

è mai un agire semplice, atomizzato, astratto, ma è

sempre un agire complesso che coinvolge tutta la

persona e che connette in maniera unitaria e inse-

parabile i saperi (conoscenze) e i saper fare (abili-

tà), i comportamenti individuali e relazionali, gli at-

teggiamenti emotivi, le scelte valoriali, le motiva-

zioni e i fini. Per questo, nasce da una continua in-

terazione tra persona, ambiente e società, e tra si-

gnificati personali e sociali, impliciti e espliciti; DM

22/8/07, n. 139 - “Competenze” indicano la com-

provata capacità di usare conoscenze, abilità e ca-

pacità personali, sociali e/o metodologiche, in si-

tuazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo pro-

fessionale e/o personale; le competenze sono de-

scritte in termini di responsabilità e autonomia.

(Raccomandazione del Parlamento Europeo e del

Consiglio del 23/4/08 sulla costituzione del Qua-

dro europeo delle qualifiche per l’apprendimento

permanente, 2008/C 111/01 Guasti, L., Didattica

per competenze - Orientamenti e indicazioni prati-

che, Le Guide Erikson, 2012

13 Vedi il recentissimo Decreto del MIUR sull’autova-

lutazione e il miglioramento continuo per l’Uni-

versità 30 gennaio 2013 n. 47 “Decreto autovalu-

tazione, accreditamento iniziale e periodico delle

sedi e dei corsi di studio e valutazione periodica”

e il programma ValSiS (Valutazione di Sistema e

delle Scuole) dell’INVALSI già operativo con diver-

se sperimentazioni in atto già presentate sulla pre-

sente rivista (n. 3/2012).

14 Ufficio Scolastico Regionale del Piemonte – AICQ

(Associazione Italiana Cultura Qualità): Piemonte-

se, Emilia Romagna e Marche, Tosco Ligure, Vene-

to, Sirq - Scuole in rete per la Qualità, Centro Rete

Qualità USR Piemonte c/o IIS D’Oria Ciriè (TO).

Nell’aula la scuola - Valutare e migliorare l’inse-

gnamento - Un progetto di ricerca, in Notizie della

scuola, ed. Tecnodid, allegato al n. 16/17 del

15/5/2010

15 Infante V., Qualità e scuola: sulle strade del miglio-

ramento, Rivista dell’istruzione 3/2011)

16 Maturana H.R., Varela F.J., Autopoiesi e cognizio-

ne. La realizzazione del vivente, Marsilio 1985

17 Cerini G.( a cura di), A che punto siamo con la for-

mazione degli insegnanti?, http://www.edscuola.it/

archivio/riformeonline/forma_00.html

18 CAF Education, Criterio 5 - Processi, http://www.

qualitapa.gov.it/fileadmin/mirror/t-autoval/CAFEdu-

cation.pdf

19 Proposta di Legge 953, http://www.camera.it/126?

tab=&leg=16&idDocumento=953&sede=&tipo=

20 Proposta di Legge d’iniziativa del deputato APREA

- Art. 17 http://www.camera.it/_dati/leg16/lavori

/stampati/pdf/16PDL0001960.pdf

21 Mi riferisco al kit per Consigli di classe Nell'aula la

scuola - un itinerario per il miglioramento dell'in-

segnamento già citato nel contributo di Senni, Ali-

ce nel paese della qualità già citato nel contributo

di Infante e l’EQDL, La patente europea della qua-

lità, vedi sito AICQ Nazionale

22 Mi riferisco all’abbondante sitografia sul CAF e al-

le pubblicazioni specifiche disciplinari quali: G.

Miele, M. Todeschini, D. Lucangeli, Riconosci-

mento e dominazione d figure geometriche: una

ricerca con bambini di 4, 5 e 6 anni in “Difficoltà

in matematica” 5/1 ottobre 2008, pp.31-56. e D.

Lucangeli, I. Mammarella, M. Todeschini, G. Mie-

le, C. Cornoldi, Conosco le forme, Giunti 2009;

M. Todeschini, F. Sella, P. Gaviano, A. Soave, Primi

apprendimenti nell’ambito della geometria: un’e-

sperienza nella scuola dell’infanzia in "Difficoltà

in matematica", vol 6/ 2 febbraio 2010, Erickson

23 Vedi argomentazioni delle docenti realizzatrici del

progetto Paola Gaviano e Antonella Soave cui si fa

riferimento.

24 Circ n. 22671/C12a del 18/12/2008 Progetto pro-

vinciale di formazione sul potenziamento della

cognizione logico-matematica

25 Interessante pare essere la seguente testimonianza

delle insegnanti di scuola dell’infanzia: Spesso nel-

la scuola dell’infanzia, in fase di progettazione

dell’attività didattica, l’attenzione è posta quasi

esclusivamente sui “prodotti”, cioè sul “cosa” far

fare ai bambini (quale lavoretto, quale scheda, qua-

le disegno). Più raramente ci si chiede quali pro-

cessi cognitivi è bene sviluppare, cioè in che mo-

do, adeguato allo sviluppo, si possono promuovere

e potenziare le abilità implicate negli apprendi-

menti. Quindi è importante che l’insegnante sappia

come si sviluppano le varie abilità implicate negli

apprendimenti che via via affronta (D’Amore 1999)

e per questo è indispensabile un’adeguata forma-

zione. Il cambiamento di prospettiva, anche nello

scegliere, progettare, realizzare, verificare e rivede-

re in itinere un percorso didattico, è totale e porta

con sé uno stravolgimento della visione del bambi-

no che passa dalla condizione di “mero esecutore

di consegne” a quella di attivo costruttore di com-

petenze, significati, idee e pensieri”.

26 L’esperienza è stata recentemente presentata al

III Congresso Nazionale a Firenze il 7-8 febbraio

ca, promosso dalla Rivista “Psicologia e scuola”,

Casa Editrice “ Giunti”. Il Progetto Giochiamo

con le forme, inserito nel Macroprogetto Acca-

lappia buone pratiche; benkmarchin e benc-

klearning interno ed esterno ha partecipato al

Concorso promosso dal Dip. Funzione Pubblica

Premiamo i risultati ed è stato premiato a Roma

al Forum PA il 17/05/ ‘10.

27 Le scuole sono state tra le prime amministrazioni

pubbliche italiane che, hanno iniziato ad avvalersi

delle metodologie TQM, utilizzando dapprima le

ISO e in particolare la 9004, poi il modello EFQM

e successivamente, soprattutto in Veneto e in To-

scana, il modello CAF. Per questa ragione già nel

2008 il Dipartimento della Funzione pubblica, in

collaborazione con il Ministero dell’Istruzione,

l’INVALSI, gli uffici scolastici regionali del Pie-

monte, della Lombardia, del Veneto e della Tosca-

na e i dirigenti scolastici di alcune scuole del nord,

del centro e del sud Italia che avevano già matura-

to un’esperienza nell’applicazione del modello

CAF, aveva promosso e realizzato il “CAF istruzio-

ne” in lingua italiana.

28 Lo staff del progetto AMICO CAF di AICQ Edu-

cation Emilia Romagna è composto dalla

prof.ssa Monia Berghella, Docente IC 5 di Bolo-

gna - Coordinatrice AICQ ER e progetto AMICO;

dal prof. Nerino Arcangeli, Psicoterapeuta, già

Ispettore Scolastico e ricercatore IRRSAE ER; dal-

la dr. Marina Battistin - Dirigente scolastico IC

16 Bologna - esperta in valutazione; dal prof. Fe-

derico De Cillis, cultore della materia “Gestione

della qualità totale” presso la Facoltà di Econo-

mia dell’Università di Urbino, già Dirigente Sco-

lastico dell’IIS di Urbino; dalla prof. Gloria Gra-

mantieri, docente IC 16 di Bologna Funzione

Strumentale per la Qualità; dai docenti Giusep-

pe Santucci, Angela Savino e Roberta Tosi; da

Paolo Senni Guidotti Magnani, Presidente Na-

zionale AICQ Education già dirigente scolastico

e ricercatore IRRSAE ER.

29 CAF and Education - versione in ital., pag. 41 e 42

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ISO/TS 16949: gli esordi

La specifica tecnica ISO/TS 16949 ha dapoco compiuto 14 anni di vita: quale oc-casione migliore per ripercorrerne la sto-ria fin dagli esordi, per poi riflettere sul-la sua più recente evoluzione?Intorno alla metà degli anni ’90, i mag-giori Costruttori europei e le Associazio-ni nazionali dell’automotive sviluppano,in maniera indipendente gli uni dagli al-tri, i primi schemi di certificazione per ifornitori del mondo auto.Prima di questa fase, esistevano già deidocumenti per la valutazione dei forni-tori, realizzati nell’ambito di specifici pro-grammi per lo sviluppo della Qualità nelsettore autoveicolistico. In particolare,guardando all’Europa: la Guida franceseEAQF ’94, la Guida tedesca VDA 6 e laGuida ANFIA AVSQ ‘94 “Valutazione Si-stemi Qualità” che, elaborata attraversoil lavoro comune dei Costruttori e deicomponentisti, una volta ottenuto il mu-tuo riconoscimento con le corrispondentialtre due guide, diventa il riferimento na-zionale in materia.Già a quell’epoca, molti fornitori aveva-no come clienti diverse Case auto, dallequali venivano auditati secondo differentimodelli, con conseguenti necessità diadattamento della documentazione suisistemi di gestione, e notevole dispendiodi tempo anche in termini di intere gior-nate da dedicare ai clienti.Sempre in quegli anni, viene introdottolo standard di Qualità QS9000, nato dal-lo sforzo comune dei tre Costruttori ame-ricani General Motors, Chrysler e Ford, ecaratterizzato da un orientamento allacertificazione, ovvero all’affidamento del-la valutazione di conformità o non con-formità dei fornitori a organismi di parteterza, mentre le guide europee erano perlo più di parte seconda, cioè orientate al-la valutazione da parte del cliente, e ba-sate sull’assegnazione di un punteggio.Con il graduale sviluppo della globaliz-zazione, i fornitori ampliano il portafo-

glio clienti e le Case auto estendono lapropria presenza produttiva in altre na-zioni e continenti, servendosi presso retidi fornitura locali, che necessariamenterispettino livelli minimi accettabili di qua-lità, e innescando così processi di globalsourcing.Nel 1996, dal confronto tra i maggioriCostruttori e le Associazioni nazionali del-l’automotive, scaturisce il tentativo di met-tere a fattor comune le singole esperien-ze in materia, per individuare un unicodocumento condiviso, orientato alla cer-tificazione e valido in tutto il mondo, ingrado di far risparmiare buona parte deltempo e delle energie impiegati negli au-dit ripetuti secondo i diversi modelli.La strada del mutuo riconoscimento fradocumenti difformi, infatti, non era piùpercorribile, non solo per i differenti tipidi approccio, ma anche perché sia i va-lutatori di parte seconda e terza, sia i re-ferenti delle aziende fornitrici, avrebberodovuto essere formati all’impiego di do-cumenti diversi, a loro volta passibili dimodifiche ed evoluzioni da ricondivide-re ad ogni occasione.Allo stesso modo, affidarsi unicamentealla norma ISO 9001 – che, pure, nell’e-dizione del 1994, fungeva da base, nel-le linee generali, anche per il mondo del-l’auto – non poteva rappresentare una so-luzione, essendo la norma necessaria-mente generalista e basata sul rispetto direquisiti molto elastici, mentre il com-parto automotive aveva già sviluppato,nel corso degli anni, metodologie appli-cative specifiche per il prodotto auto.Di qui, la nascita dell’IATF (InternationalAutomotive Task Force), i cui membri fon-datori sono ANFIA e le Associazioni con-sorelle statunitense AIAG, inglese SMMT,tedesca VDA e francese FIEV, nonché lecorrispondenti Case automobilistiche –

Fiat in Italia, Chrysler, Ford e General Mo-tors in USA, BMW, Volkswagen e Daim-ler in Germania, Peugeot, Citroen e Re-nault in Francia – la quale, in circa 3 an-ni, elabora la specifica tecnica ISO/TS16949, pubblicata, alla sua prima edi-zione, a marzo 1999.In sintesi, gli obiettivi del documento era-no: garantire la fiducia nel global sour-cing, migliorare la qualità di prodotti eprocessi – molto più di quanto si potesseottenere dall’applicazione dell’ISO 9001– adottare un unico approccio, riducen-do, così, la variabilità e il numero di va-lutazioni.

ANFIA Service nasce nel 1996 comeSocietà di Servizi di ANFIA (Associa-zione Nazionale Filiera Industria Auto-mobilistica); è certificata ISO 9001:2000. Opera in di-versi settori di attività, tra cui i principalisono la consulenza, la formazione, iconvegni e le pubblicazioni tecnichein ambito Qualità, Ambiente, Sicurez-za ed Etica.ANFIA, in qualità di membro IATF (In-ternational Automotive Task Force) inrappresentanza dell’industria naziona-le, ha contribuito allo sviluppo dellaSpecifica Tecnica ISO/TS 16949: 2009e ne monitora costantemente l’appli-cazione dello schema di certificazionein Italia. E’ dunque anche alla luce del-le ultime e originali indicazioni forniteda IATF che ANFIA Service progetta eaggiorna tempestivamente l’offerta for-mativa di in area Qualità.Tutte le informazioni dettagliate e gliultimi aggiornamenti sulle attività diANFIA Service sono disponibili sul por-tale www.anfia.it

Marco Mantoan Responsabile Consulenza e Formazione di ANFIA Service

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� Rubrica Anfia �

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