Notiziario di ottobre 2015

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NOTIZIARIO RIVISTA DELLA FONDAZIONE MEETING PER L’AMICIZIA FRA I POPOLI 4 ANNO XXXVI OTTOBRE 2015 Ma il cuore c'è, ed è sempre in ricerca

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NOTIZIARIO

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ANNO XXXVIOTTOBRE

2015

Ma il cuore c'è, ed è sempre in ricerca

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EDITORIALE

OTTOBRE 2015 5

Un dialogo che genera amicizia“È una ricerca quella che dobbiamo intraprendere, che si esprime in domande sul significato della vita e della morte, sull’amore, sul lavoro, sulla giustizia e sulla felicità… Perché dobbiamo soffrire e alla fine morire? Ha ancora un senso amare, lavorare, fare sacrifici e impegnarsi? Che cosa siamo a fare nel mondo?” . Citando questi interrogativi, che Papa Francesco poneva nel Messaggio inviato all’inizio del Meeting 2015, Eugenio Scalfari, su Repubblica del 23 agosto, così li commentava: “Rispondere a quelle domande realizza l’incontro della Chiesa con la modernità, ci fa sentire tutti simili”. Proprio nell’alveo di questo incontro con la modernità il Meeting ha tentato di collocarsi, invitando tutti a confrontarsi sulla provocazione contenuta nei versi di Luzi “Di che è mancanza questa mancanza, cuore, che a un tratto ne sei pieno?”. È stato un vero incontro, senza soluzioni precostituite, senza tesi da dimostrare o battaglie da lanciare. Un incontro semplicemente generato dalla convinzione, suffragata dall’esperienza, che tutti gli uomini condividano quella mancanza e che il solo fatto di trovarsi a ragionare della vita, dei problemi, delle grandi emergenze e delle tragedie spesso irrisolvibili, proprio a partire dall’esperienza di quella mancanza, sia un bene per sé e per tutti gli uomini.È stato un incontro libero, a tutto campo, su tutto e con chiunque. “Qui si parla di tutto e la gente ti guarda negli occhi”, commentava stupito un ospite importante, Timothy Shriver, nipote di John Kennedy, uno di quegli americani che, con i ventimila eventi all’anno che organizza con Special Olympics, di gente deve averne vista tanta.Non saremo mai sufficientemente grati a don Giussani per avere condiviso con noi questo entusiasmante amore alla libertà dell’altro, questa capacità di guardarlo negli occhi. Non siamo poveri né di Verità né di certezze, ma, come diceva don Julián Carrón nel memorabile incontro al Meeting con il Professor Weiler: “Abbiamo imparato che l’unico rapporto con la verità è quello che passa attraverso la libertà” . Questo dialogo, generativo di una amicizia e di una commossa condivisione, ha consolidato storie e rapporti, ne ha creato di nuovi, ha messo in moto strade per l’affronto di bisogni, ha fatto intravvedere percorsi di ricerca, ha creato trame e relazioni da una parte all’altra del mondo. Le pagine che seguono raccontano alcune di queste storie, ma soprattutto speriamo che il Meeting del prossimo anno possa già essere l’occasione per documentare l’inizio di questa novità all’opera.“Tu sei un bene per me” sarà il titolo del 2016. Non è stato difficile pronunciare questa frase l’ultimo giorno di Meeting, perché in essa sono racchiusi tutto il valore e la ricchezza vissute nell’esperienza del Meeting 2015. Un bene sono stati i volontari, gli ospiti, i relatori, gli artisti e i curatori delle mostre, i partner e gli amici che ci sostengono. Un bene sono stati anche coloro che non ci hanno apprezzato, che ci hanno, più o meno garbatamente, criticato, perché ancora una volta ci hanno costretto a dare le ragioni di ciò che facciamo, o, eventualmente, anche a correggerci. Ma cosa può generare uno sguardo all’altro e alla realtà tutto pervaso dalla certezza di una positività? Quale socialità e quale affronto dei problemi si profila all’orizzonte di una posizione che non abbia come criterio la semplice tolleranza del diverso, ma che intravveda un bene proprio nella diversità? Ma soprattutto cosa rende possibile una posizione come questa? La passione ad iniziare il lavoro in vista del 2016 nasce dal desiderio di potere cominciare a confrontarsi insieme a tanti su queste sfide e su tutte quelle che il Mistero della realtà vorrà farci intravedere.

Emilia GuarnieriPresidente Fondazione Meeting per l’amicizia fra i popoli

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4OTTOBRE 2015

SOMMARIOw w w . m e e t i n g r i m i n i . o r g

NOTIZIARIO

Anno XXXVI - N.4 Ottobre 2015Questo numero è stato chiuso in redazione il 19/10/2015

Proprietario/Editore:Fondazione Meeting per l’amicizia fra i popoliAutorizzazione del Tribunale di Riminin. 2008 del 2/11/82

DIRETTORE RESPONSABILE: Alver MetalliCOORDINAMENTO REDAZIONALE: Stefano Pichi SermolliREDAZIONE: Simona Angela Gallo, Roberto Neri, Nicoletta Rastelli HANNO COLLABORATO: Roberto Fontolan, Maria Acqua SimiFOTO: Roberto Masi, Angelo TosiPROGETTO GRAFICO: Davide Cestari, Lucia CrimiIMPAGINAZIONE: R&S&C - ModenaREDAZIONE E AMMINISTRAZIONE:Via Flaminia, 18-20 - C.P. 106 - 47923 RiminiTel 0541/78.31.00Telefax 0541/78.64.22email - [email protected]

PUBBLICITÀ: Evidentia Communication (società a direzione e coordinamento di Fondazione Meeting)Tel 0541/18.32.501Fax 0541/78.64.22

Il messaggio di Papa Francesco 8

TU SEI UN BENE PER MEXXXVII MEETING

PER L'AMICIZIA FRA I POPOLI

19-25 AGOSTO 2016, RIMINI FIERA

PERSONAGGI E TESTIMONI

Il messaggio del Presidente Mattarella 10

Il messaggio di Ban Ki Moon 11

La mancanza del cuore - Padre Mauro Lepori 12

Restiamo per aiutare la gentePadre Hibraim Alsabagh 16

Le religioni sono la soluzione - testimonianze dall'incontro inaugurale 21

Il "Fiore" dell'Afghanistan Rula Ghani 24

L'Italia e la sfida del mondo - Matteo Renzi 28

Dalla mancanza l’origine di un nuovo impegnoFausto Bertinotti

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Il fondamento dello stupore - Pietro Modiano 32

Pillole di Meeting 34

MOSTRE

La scelta di Abramo e le sfide del presente 36

La rinascita dell'io 38

Il dono dell'arte 42

Per me vivere è Cristo 46

Mossi da uno sguardo 50

Un pellegrinaggio fino al vero incontro 54

Istantanee. Viaggio nel cuore del Meeting 56SPETTACOLI

L'artista è nudo 58

VITA MEETING

Meeting in progress 62

Il Meeting 3.0 64

Partecipare alla vita di un popolo 66

#meeting2016

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OTTOBRE 2015OTTOBRE 20158 9

PERSONAGGI E TESTIMONIPERSONAGGI E TESTIMONI

Eccellenza Reverendissima, a nome del Santo Padre Francesco e mio personale, rivolgo un cor-diale saluto a Lei, agli organizza-

tori e ai partecipanti al XXXVI Meeting per l’amicizia fra i popoli.La suggestiva e poetica espressione scelta come tema di quest’anno - “Di che è man-canza questa mancanza, cuore, che a un tratto ne sei pieno?” (Mario Luzi) − pone l’accento sul “cuore” che è in ciascuno di noi, e che sant’Agostino ha descritto come “cuo-re inquieto”, che mai si accontenta e ricerca qualcosa all’altezza della sua attesa. È una ricerca che si esprime in domande sul signi-ficato della vita e della morte, sull’amore, sul lavoro, sulla giustizia e sulla felicità.Ma per essere degni di trovare una risposta occorre considerare in modo serio la propria umanità, coltivando sempre questa sana in-quietudine. In tale impegno - ci dice Papa Francesco - «è possibile ricorrere semplice-mente a qualche esperienza umana frequente, come la gioia di un nuovo incontro, le delu-sioni, la paura della solitudine, la compassione per il dolore altrui, l’insicurezza davanti al fu-turo, la preoccupazione per una persona cara» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 155).Qui vediamo emergere una delle grandi questioni del mondo di oggi: davanti a tante risposte parziali, che offrono solo dei «falsi infiniti» (Benedetto XVI) e che producono una strana anestesia, come dare voce agli

Riportiamo il messaggio di saluto inviato da Papa Francesco a Mons. Francesco Lambiasi, Vescovo di Rimini, in occasione dell'a-pertura della XXXVI° edizione del Meeting

interrogativi che tutti si portano dentro? Di fronte al torpore della vita, come risvegliare la coscienza? Per la Chiesa si apre una strada affascinante, come fu all’inizio del cristiane-simo, quando gli uomini si affannavano nel-la vita senza il coraggio, la forza o la serietà di esprimere le domande decisive. E, come accadde a san Paolo all’Areopago, parlare di Dio a chi ha ridotto, censurato o dimenti-cato i suoi “perché?”, risulta una stranezza che sembra lontana dalla vita reale con i suoi drammi e le sue prove.Perciò nessuno di noi può iniziare un dia-logo su Dio, se non riusciamo ad alimentare il lumino fumigante che arde nel cuore, senza accusare nessuno per i suoi limiti - che sono anche i nostri - e senza pretendere, ma acco-gliendo e ascoltando chiunque. Il compito dei cristiani - come ama ripetere Papa Francesco - è iniziare processi più che occupare spazi (cfr ibid., 222). E il primo passo è proprio ridestare il senso di quella mancanza di cui il cuore è pieno e che così frequentemente giace sotto il peso di fatiche e speranze deluse. Ma “il cuore” c’è, ed è sempre in ricerca.Il dramma di oggi consiste nel pericolo in-combente della negazione dell’identità e della dignità della persona umana. Una pre-occupante colonizzazione ideologica riduce la percezione dei bisogni autentici del cuore per offrire risposte limitate che non consi-derano l’ampiezza della ricerca di amore, ve-rità, bellezza, giustizia che è in ciascuno. Tutti

siamo figli di questo tempo e subiamo l’in-flusso di una mentalità che offre nuovi valori e opportunità, ma può anche condizionare, limitare e guastare il cuore con proposte alie-nanti che spengono la sete di Dio.Ma il cuore non si accontenta, perché, come disse Papa Benedetto XVI parlando ai gio-vani a San Marino, «è una finestra aperta sull’infinito» (19 giugno 2011). Perché dob-biamo soffrire e alla fine morire? Perché c’è il male e la contraddizione? Vale la pena vivere? Si può sperare ancora davanti a una “terza guerra mondiale combattuta a pezzi” e con tanti fratelli perseguitati e uccisi a motivo del-la loro fede? Ha ancora senso amare, lavorare, fare sacrifici e impegnarsi? Dove va a finire la mia vita e quella delle persone che non vor-remmo perdere mai? Che cosa stiamo a fare nel mondo?... Sono domande che si pongono

La nostra natura èfatta per cose grandi

tutti, giovani e adulti, credenti e non creden-ti. Prima o poi, almeno una volta nella vita, a causa di una prova o di un evento gioioso, riflettendo sul futuro dei propri figli o sull’uti-lità del proprio lavoro, ciascuno si trova a fare i conti con uno o più di questi interrogativi. Anche il negatore più incallito non riesce a estirparli del tutto dalla propria esistenza.La vita non è un desiderio assurdo, la man-canza non è il segno che siamo nati “sba-gliati”, ma al contrario è il campanello che ci avverte che la nostra natura è fatta per cose grandi. Come ha scritto il servo di Dio monsignor Giussani, «le esigenze umane costituiscono riferimento, affermazione im-plicita di una risposta ultima che sta al di là delle modalità esistenziali sperimentabili. Se venisse eliminata l’ipotesi di un “oltre”, quel-le esigenze sarebbero innaturalmente soffo-

cate» (Il senso religioso, Milano 1997, 157). Il mito di Ulisse ci parla del nostos algos, la nostalgia che può trovare soddisfazione solo in una realtà infinita.Per questo Dio, il Mistero infinito, si è cur-vato sul nostro niente assetato di Lui e ha offerto la risposta che tutti attendono anche senza rendersene conto, mentre la cercano nel successo, nel denaro, nel potere, nelle droghe di qualunque tipo, nell’affermazione dei propri desideri momentanei. Solo l’i-niziativa di Dio creatore poteva colmare la misura del cuore; ed Egli ci è venuto incon-tro per lasciarsi trovare da noi come si tro-va un amico. E così noi possiamo riposare anche in un mare in tempesta, perché certi della sua presenza. Ha detto Papa France-sco: «Anche se la vita di una persona è stata un disastro, se è distrutta dai vizi, dalla droga

o da qualunque altra cosa, Dio è nella sua vita. […] Anche se la vita di una persona è un terreno pieno di spine ed erbacce, c’è sempre uno spazio in cui il seme buono può crescere. Bisogna fidarsi di Dio» (La Civiltà Cattolica, 19 settembre 2013, 470).Con il tema di quest’anno, il Meeting può cooperare a un compito essenziale della Chiesa, cioè «non consentire che qualcu-no si accontenti di poco, ma che possa dire pienamente: “Non vivo più io, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20)» (Esort. ap. Evan-gelii gaudium, 160), perché quello di Gesù «è l’annuncio che risponde all’anelito d’in-finito che c’è in ogni cuore umano» (ibid., 165). Gesù «è venuto a mostrarci, a rendere visibile l’amore che Dio ha per noi. […] Un amore attivo, reale. […] Un amore che gua-risce, perdona, rialza, cura. Un amore che si avvicina e restituisce dignità. Una dignità che possiamo perdere in molti modi e for-me. Ma Gesù è ostinato in questo: ha dato la vita per questo, per restituirci l’identità per-duta» (Papa Francesco, Discorso nel Centro di rieducazione a Santa Cruz de la Sierra, Bolivia, 10 luglio 2015). Qui sta il contribu-to che la fede cristiana offre a tutti e che il Meeting può testimoniare innanzitutto con la vita delle persone che lo realizzano.Per questo il Santo Padre augura agli orga-nizzatori e ai volontari del Meeting di an-dare incontro a tutti sostenuti dal desiderio di proporre con forza, bellezza e semplicità la buona notizia dell’amore di Dio, che an-che oggi si china sulla nostra mancanza per riempirla dell’acqua di vita che scaturisce da Gesù risorto. Egli chiede di pregare per il Suo ministero e invia di cuore a Lei, Eccel-lenza, e a tutti i partecipanti al Meeting la Benedizione Apostolica.Nell’unire anche i miei migliori auspici, pro-fitto della circostanza per confermarmi con sensi di distinto ossequio.

Pietro Card. ParolinSegretario di Stato

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PERSONAGGI E TESTIMONIPERSONAGGI E TESTIMONI

Agli organizzatori, ai volontari e a tutti i partecipanti al Me-eting per l’amicizia tra i po-poli desidero rivolgere il salu-

to più cordiale e l’augurio affinché anche questa XXXVI edizione abbia il successo sperato.La persona è il fondamento della comu-nità e dello Stato. La sua libertà, il valo-re incomprimibile del suo essere unica e irripetibile, l’integralità dei diritti umani preesistono, come indica l’articolo 2 della nostra Costituzione, agli stessi ordinamen-ti. Da questa radice è nato il Meeting, che nel tempo ha prodotto centinaia di incon-tri e discussioni, ha arricchito il dialogo, ha sviluppato maturazioni e amicizie. In questa esperienza si sono formati tanti gio-vani, è cresciuta e si è fatta adulta la vostra associazione, ne ha tratto ricchezza il plu-ralismo della nostra società e della nostra cultura. L’intensa poesia di Mario Luzi dalla quale avete tratto il titolo del Mee-ting di quest’anno - “Di che è mancanza questa mancanza, cuore, che a un tratto ne sei pieno?” - scava ancor più in profondità nell’animo umano, alla ricerca della fonte di quell’incessante bisogno di verità, che sospinge le nostre energie spirituali e so-ciali. Viviamo in un mondo di comunica-zioni immediate, di straordinarie potenzia-lità tecnologiche, di connessioni multiple e all’apparenza infinite. Sono opportunità che vanno messe al servizio del progetto

di un umanesimo integrale, premessa dello sviluppo civile, evitando che sia la tecnica a dominarci. Ogni volta che siamo assaliti da sensazioni di strapotere scopriamo che si tratta soltanto di un’illusione se perdia-mo di vista la nostra umanità, la fraternità, il desiderio del bene e di ciò che è bello, il valore della legalità, la percezione dei li-miti invalicabili agli stessi poteri pubblici, l’aspirazione a una condizione di pace, di maggiore giustizia e uguaglianza. L’ideale personalista è una grande aspira-zione dell’uomo moderno che trova nelle formazioni sociali e nei corpi intermedi il suo pieno compimento. È un impegno di popolo, al quale ciascuno è chiamato a con-

tribuire nel pluralismo delle convinzioni e delle culture. Tutti ne trarremo beneficio. A partire dalle istituzioni e dalla politica. Il rischio di chiusure settarie, o di tenta-zioni fondamentaliste, è sempre in ag-guato. Basta guardare attorno a noi il riemergere di populismi e nazionalismi. Ebbene, la risposta viene offerta da tante testimonianze di moralità, di solidarietà, di impresa responsabile, di governo dei con-flitti, di ricostruzione del diritto laddove la sua rete è stata lacerata. Personalismo e solidarietà, valori che si trovano alla base della nostra Costituzione, hanno bisogno di essere continuamente realizzati. E chi lo fa con generosità, accresce anche gli

La persona: fondamento della comunità e dello stato

Un saluto a tutti i partecipanti al 36° Meeting per l’Amici-zia fra i Popoli. Congratu-lazioni per un incontro così

animato con migliaia di persone di diverse fedi, culture e tradizioni, che si uniscono in nome dell’amicizia e della pace. Il mon-do di oggi è deturpato dai conflitti, dalle disuguaglianze e da divari crescenti. Ma ovunque vado, incontro anche persone che favoriscono la comprensione, la ricon-ciliazione e la speranza. È proprio questo ciò che vi porta a Rimini. Ed è questo che

porterà i leader mondiali, tra cui Sua San-tità Papa Francesco, a New York il mese prossimo. A settembre adotteremo una nuova agen-da per lo sviluppo sostenibile al fine di trasformare il nostro mondo entro il 2030. Lavorando insieme ce la possiamo fare. Credo fermamente nel potere delle perso-ne, degli ideali e del cuore umano. Vi ringrazio per esservi riuniti per im-maginare un mondo migliore e costruirlo insieme. Grazie.

Il saluto del Segretario Generale delle Nazioni Unite

anticorpi per affrontare le difficoltà che si presentano nelle diverse stagioni. La no-stra società, dopo una lunga crisi econo-mica, che ha lasciato ferite così profonde, avverte ancor di più l’esigenza di valori e di percorsi ispirati a ideali sinceri. E ha bi-sogno di testimoni credibili, che conduca-no la loro azione con coerenza e moralità, rompendo l’area grigia dell’opportunismo, che purtroppo sfocia spesso nella corru-zione, germe distruttivo della società civile. La XXXVI edizione del Meeting si apre con un importante incontro sulle religioni. Dalla capacità di dialogo, di comprensione

reciproca, di collaborazione tra le religioni monoteiste dipenderà la pace nel mondo. Di questo dobbiamo essere consapevoli. Il terrorismo, alimentato anche da fanatiche distorsioni della fede in Dio, sta cercando di introdurre nel Mediterraneo, in Medio Oriente, in Africa i germi di una terza guerra mondiale. Sta alla nostra responsabilità fermarla. Sta a noi prosciugare l’odio, far crescere la fiducia e la cooperazione, mostrare i van-taggi della pace. L’Europa ha un compito di grande rilievo perché il dialogo tra le religioni monoteiste può svilupparsi già

all’interno delle nostre società, divenute plurali e multietniche. L’umanità che mo-streremo nell’accogliere i profughi dispe-rati, l’intelligenza con cui affronteremo i fenomeni migratori, la fermezza con cui combatteremo i trafficanti di esseri umani saranno il modo con il quale mostreremo al mondo la qualità della vita democratica. La democrazia si esporta con la cultura e con l’esempio.Con questo spirito seguirò i vostri lavori, rinnovando il mio sincero augurio.

Sergio Mattarella

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Il Presidente Sergio Mattarella ha inviato al Meeting un telegramma di saluto in occasione dell'a-pertura del Meeting.

Il Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki Moon ha inviato un saluto ai partecipanti alla XXXVI° edizione del Meeting.

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EDITORIALE

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Da quando, qualche mese fa, mi è giunto l'inatteso e commovente invito a tenere questa relazione sul tema del Meeting, il verso di Mario Luzi non ha cessato di provocarmi, anche se forse, a tutt'oggi, non sono riuscito a memorizzarlo corret-tamente. Mi ha provocato con quel suo martellare la parola "mancanza". (…)Il frammento di Mario Luzi ci martella con una domanda piena di stupore che ci ricorda che l'uomo è un cuore teso, o in equilibrio, fra due dimensioni: la mancan-za e la pienezza. Mancanza, cuore, pienez-za: sono le parole che, giustamente, il Me-eting sottolinea graficamente nel verso di Luzi diventato suo titolo. Una provocazio-ne che però non si rivolge a un pubblico, o ai media, ma al cuore: infatti, penso che il primo aspetto su cui ci provoca il verso di Mario Luzi sia proprio il fatto di inter-rogare il proprio cuore. Ma chi interroga ancora il cuore oggi? Chi tratta il cuore da soggetto responsabile? Pochissimi aiutano l'uomo contemporaneo a mettere il cuore con le spalle al muro, chiedendogli conto del suo desiderio, rendendolo responsabile del suo desiderio. Luzi, come Cristo, come Paolo, come Agostino, come Dante, come don Giussani, ci provoca ad interrogare il nostro cuore e, direi, a bloccarlo sotto la mira spietata della domanda a cui può e deve rispondere solo lui, di cui è il solo re-

sponsabile: la domanda sulla pienezza che desidera, la domanda sulla felicità, e quin-di la domanda su quale sia mai la realtà, l'esperienza che brama con tutto se stesso, tanto da sentirsi pieno della sua mancan-za. Il cuore potrebbe confessare, se è one-sto, che non lo sa, che non sa rispondere, che non sa rispondersi, che non sa cos'è, chi è quel "quid" della cui mancanza si sente pieno. La menzogna, infatti, è quan-do il cuore si dice soddisfatto, o lascia dire a tutti, a tutta la cultura, che è soddisfatto, censurando i margini infiniti della man-canza che lo riempie. (… )Ma perché il cuore si censura? Si censura proprio perché è pieno di mancanza, e la mancanza è un vuoto, è un'assenza, una privazione. Perché il cuore dovrebbe star attento ad essa, farle caso? Meglio occu-parsi di altro, meglio una piccola pienez-za a portata di mano meglio una piccola pienezza afferrabile che star di fronte ad una mancanza senza fondo. Ma c'è quel "tratto", come dice Luzi, quell'istante, che fa crollare i paraventi dietro i quali il cuore si censura, censurando la mancanza di cui è pieno.Deve accadere ad un tratto un richiamo, un lampo nella notte, un tuono nel si-lenzio, un volto, uno sguardo, una parola nella nebbia della solitudine che riempie il cuore. (…)

Padre Mauro Lepori, Abate Generale dell’ordine dei Cistercensi, è intervenuto lo scorso agosto al Meeting. Riportiamo qui di seguito un estratto dal suo intervento.

La mancanza del cuore

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OTTOBRE 2015 13OTTOBRE 201512

PERSONAGGI E TESTIMONI PERSONAGGI E TESTIMONI

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OTTOBRE 2015OTTOBRE 201514 15

PERSONAGGI E TESTIMONIPERSONAGGI E TESTIMONI

Ma cosa risponde Gesù a questa mancanza che si esprime in domanda? Risponde con una parola che in fondo è anch'essa una do-manda: "Seguimi!". La risposta è Gesù che gli dice "Seguimi!", perché "Seguimi!" vuol dire: "Quello che ti manca ancora, quello che ti manca sempre, oltre il limite di quello che hai e di quello che fai, anche di quello che fai per Dio, quello che ti manca sono io! Lascia tutto e seguimi perché ti manco solo io!". (…)E questo vale per tutti. Il consiglio di lascia-re effettivamente tutto per seguire Gesù è solo per esprimere il fatto ontologico che ci manca solo Lui. Chi è chiamato da Cristo a seguirlo radicalmente è tenuto al distacco da tutto per essere un segno effettivo di una realtà ontologica che vale per tutti: che solo Gesù Cristo manca al cuore dell'uomo, alla vita dell'uomo, al desiderio di pienezza e fe-licità di ogni essere umano. Così la povertà casta e obbediente del distacco da se stessi, da tutti e da tutto non è che corrispondenza esistenziale al fatto che Colui che solo man-ca al cuore umano si è fatto carne, è presen-te, è una Persona che incontro, che ascolto, che mi parla, mi guarda, mi ama, mi chiama, e con cui posso restare sempre, con cui posso camminare tutta la vita. E tutta la mia vita non esaurirà il cammino con Lui, perché Lui e Lui solo è e sarà sempre quello che manca alla pienezza della mia vita, e quello che manca alla pienezza della vita di tutti. (…)Lui è venuto per soddisfare la mancanza di amore eterno che riempie il cuore dell'uo-mo. Ma ancora una volta Gesù non ha trovato corrispondenza al suo offrirsi alla sete dell'uomo. È questa l'agonia di Cristo, e forse l'estrema tentazione a cui il demo-nio sottopone il suo cuore: "È proprio vero che sei tu che manchi al cuore dell'uomo? Sei sempre convinto che gli uomini desi-derano Dio? Forse che il primo peccato in cui Adamo ha desiderato altro che Dio, e

contro Dio, non è la parola definitiva sul de-stino dell'umanità? Tu puoi perdonare tutto, amare l'uomo fin che vuoi, morire per lui... Ma non ti sembra ormai evidente che l'uo-mo ha scelto di non riamarti, di preferire la libertà di mancare alla schiavitù di una pie-nezza che viene solo da te? La tua missione è fallita, e fallita in anticipo è la tua passione, la tua morte. Sei venuto nel mondo per con-statare che in fondo tu non manchi all'uo-mo..."(…)Ho l'impressione che questa sia la più gran-de tentazione anche per noi. La provo nel mio ministero. La tentazione più insidiosa non è lo scoraggiamento di fronte alla fra-gilità umana, al peccato, alla meschinità, in noi stessi e negli altri. La vera tentazione è quella di dover chiedersi se Cristo manchi veramente a coloro a cui lo annunciamo, se manchi veramente alle persone e co-munità, anche monastiche, anche contem-plative, anche impegnate nella Chiesa, che accompagniamo. Infatti, spesso ci sembra di constatare che l'attrattiva di Cristo non sia veramente per chi Lo incontra la rispo-sta esauriente alla mancanza che riempie il cuore. (…)La tentazione Gesù l'ha contraddetta so-prattutto riaffermando l'origine, il Padre che lo manda, il Padre che non rinuncia alla misericordia. La coscienza dell'origine della missione è più potente dell'esito apparente. La carità, la fede e la speranza scaturiscono dall'origine, e attingono in essa tutta l’invin-cibilità della missione. (…)

Ma cosa vuole il Padre? A Lui tutto è pos-sibile; ma cosa vuole veramente, cosa realiz-zerà veramente la sua onnipotenza? Ciò che ha mandato il Padre nel Figlio è fondamen-talmente una grande rivelazione, una gran-de rivelazione di Se stesso, del suo Cuore. In Cristo, Dio ha rivelato e sta rivelando a tutta l'umanità che l'uomo manca al Pa-dre infinitamente di più di quanto il Padre

possa mancare all'uomo. "Mi manchi!". È il ritornello drammatico dei rapporti umani. Quanto è presente questa espressione nel-la letteratura, nelle canzoni, nei film! È la grande ferita dei cuori umani, perché creati per compiersi nella relazione, nell'amici-zia. Misuriamo l'amore da quanto l'altro ci manchi o da quanto manchiamo all'altro. Ma tutto il mancarci profondo o superfi-ciale fra di noi, anche il mancare struggen-te della morte di chi ci è caro, non è che il simbolo del fatto che ci manca Dio. Ma che mistero è mai questo che tutta la mia con-

sistenza sia Uno che mi manca? Che miste-ro è questo che io continui a vivere, anche quando mi manca tutto, perché mi manca il Solo senza il quale non posso vivere? La risposta è che Colui che ci manca è Uno a cui manchiamo noi! È la grande rivelazione che Gesù ha condensato nella parabola del figliol prodigo: il figlio manca al padre più di quanto il padre manchi al figlio. La man-canza che riempie il nostro cuore, la ferita del nostro cuore, non è che il riflesso di una mancanza infinita, misteriosa, eterna: che noi manchiamo a Colui che ci fa, che noi

manchiamo a Colui che abbiamo abbando-nato. Ci ha fatti con una libertà che ferisce in Lui un'attesa, un'aspettativa, un'ansia, una solitudine, un abbandono, una mancanza di noi a Lui che è messa nelle nostre mani, nel nostro cuore, nella nostra decisione o meno di tornare a Lui, di rispondergli. (…)Ed è proprio da lì, da questa esperienza, che possiamo fare solo quando ci lasciamo riab-bracciare dal perdono di Dio, che nasce la nostra partecipazione alla missione di Cri-sto morto e risorto, e quindi la diffusione nel mondo del regno di Dio. Quando il pastore

torna dopo aver ritrovato la centesima pe-cora che si era perduta, fa festa con gli amici e i vicini. Quando la donna ha ritrovato la decima moneta perduta, fa festa con le sue amiche e vicine. Ma è soprattutto il padre che ha ritrovato il figlio perduto e morto, è Lui che vuole festeggiare con tutti: coi ser-vi, col figlio ritrovato e col figlio maggiore. La missione di Cristo, la diffusione del Re-gno, è croce e resurrezione, perché partecipa all'ansia del Padre che cerca ciò che è per-duto, ma anche alla letizia di festeggiarne il ritrovamento. Ma quando la missione parte dal lasciarci ritrovare noi stessi da Colui a cui manchiamo, è come se non ci fosse che la festa della risurrezione da diffondere, da testimoniare, da condividere con tutti. Non si può più vivere che per diffondere la testi-monianza della misericordia del Padre, cioè della scoperta che anche l'ultimo dei per-duti, soprattutto l'ultimo dei perduti, ha nel cuore di Dio uno spazio infinito di attesa, di desiderio, un abisso di amore misericor-dioso che arde di abbracciare, baciare, chi è perduto. (…)La missione cristiana è vittoriosa del-la vittoria di Cristo, e il suo metodo è di inoltrarsi verso tutti e tutto, anche il peg-gior nemico, lasciandosi precedere dal-la coscienza, cioè dall'esperienza, e dalla celebrazione della misericordia eterna di Dio. È la testimonianza di tanti martiri, oggi come sempre. (…)La vita cristiana è sempre missione perché ciò che salva è vivere con Cristo, la comu-nione con Lui. La missione è la comunione: poter vivere tutto con Lui, poter vivere con Cristo, con tutti. E la nostra vita reale, la no-stra vita umana, la nostra povera vita quoti-diana, diventa il dramma esplicito, il mistero svelato, della comunione con Lui, in tutto, con tutti, sempre. Con Lui da seguire, con Lui che ci è dato e che ci manca, come se ogni passo fosse un respiro, un battito del cuore che rigenera la vita.

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“Non possiamo continuare a resta-re in Siria senza la vostra amicizia, senza la convivenza pacifica tra le religioni, senza la comunione”. Con

queste parole padre Ibrahim Alsabagh, francescano di Aleppo, saluta gli ami-ci del Meeting di Rimini. Sono passati quasi tre mesi dal suo commovente in-contro alla kermesse riminese, ma la vita di questo coraggioso sacerdote e dei suoi confratelli continua, nonostante i bom-bardamenti e i cecchini che hanno reso una delle città più belle del mondo “la nuova Sarajevo”. Lo abbiamo raggiunto per farci raccontare la situazione, come la vivono i (pochi) cristiani rimasti e soprattutto per portargli l’abbraccio dei tanti amici che dal Meeting in poi si sen-tono fraternamente vicini ai fratelli siria-ni colpiti da quasi cinque anni di guerra. Racconta che due settimane fa “è cadu-to un missile, dietro la nostra chiesa nel quartiere di Azizieh, in una zona densa-mente abitata. Ci sono stati dei bombar-damenti. Il giorno seguente sono uscito a visitare le case danneggiate e ho visto ruderi e macerie. Dobbiamo ringraziare il Signore, perché questa volta le fami-glie colpite hanno subito soltanto danni materiali, anche se ci sono stati alcuni feriti. Ho visto però tanto dolore e tri-stezza nei cuori; tanto spavento e tan-

ta disperazione. Ho pregato nelle case, aspergendo tutti con l’acqua santa. Dopo essere tornato al convento, abbiamo po-tuto immediatamente consegnare alle fa-miglie segnalateci gli aiuti per la ripara-zione delle case. Ma, appena finito, ecco nuovi bombardamenti violenti in diverse altre zone”. L’emergenza è continua, un’e-morragia a cui il convento dei francesca-ni, alcune suore e i salesiani presenti in città provano a porre freno dando fon-do a tutte le energie. E con grande fede. “Tante famiglie arrivano al convento, piene di disperazione, per chiedere aiu-to. Un padre di famiglia l’altro giorno è arrivato in lacrime: mi ha raccontato di aver riparato la casa per due volte, dopo che era stata danneggiata dalle bombe; ma questa terza volta non ce la fa più a riparare la sua abitazione. È scappato e adesso vive dai suoi suoceri, insieme con la moglie e i bambini, nonostante la casa sia molto ma molto piccola. Tante fami-glie si sono ritrovate con le case distrutte e non c’è modo per rimediare, perché i loro quartieri sono diventati un bersa-glio continuo ed è sconsigliato tornarci a vivere”. Nonostante questa fatica, loro rimangono. Rimangono anche se manca l’acqua, rimangono anche se l’ospedale è stato bombardato e mancano le medici-ne, i medici sono fuggiti e nessuno più

Padre Ibrahim Alsabagh è stato una delle presenze più forti e decisive di questa edizione del Meeting. A qualche mese dal suo intervento a Rimini, abbiamo desiderato portagli nuovamente l’abbraccio del popolo del Meeting

Restiamo per aiutare la gente

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PERSONAGGI E TESTIMONI PERSONAGGI E TESTIMONI

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di Maria Acqua Simi

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TESTIMONIANZETESTIMONIANZE

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PERSONAGGI E TESTIMONI

lavora. Rimangono sotto il tiro dei cec-chini e le bombe che cadono all’im-provviso. Lo domandiamo a bassa voce, quasi instupiditi: “Perché vi ostinate a rimanere? Perché non fuggite anche voi? Rischiate la vita ogni minuto”. Pa-dre Ibrahim sorride, ma non un sorri-so abbozzato o triste. Sorride davvero. “Noi frati restiamo per aiutare la gente. È questo il tempo per essere ancora più presenti e in modo più forte con i pove-ri e con chi soffre: soffriamo con loro e preghiamo il Padre Provvidente e “ricco di misericordia” con loro. Abbiamo una grande fiducia nell’intelligenza di Dio, Lui sa cosa è bene per noi. Anche qui. E voglio ringraziare tutti voi che pregate per noi; tutti voi che pensate a noi; tutti

voi, disponibili alla volontà dello Spiri-to Santo, siete presenza attenta, tenera e attiva del “buon Samaritano” per la gen-te sofferente di Aleppo. Dalle macerie e dalle catacombe di Aleppo, una preghiera s’innalza sempre dalle nostre labbra per ognuno di voi. Che il Signore vi benedi-ca”. Ho pensato a lungo a come chiudere questo articolo: niente frasi ad effetto. Lasciamo ai lettori e agli amici del Mee-ting lo spazio per fare silenzio e accoglie-re, ma accogliere davvero, l’abbraccio dei nostri fratelli che dalle catacombe della nuova Sarajevo ci testimoniano una fede feconda, un bene capace di abbracciare l’umanità più ferita e il male più oscuro.

Ibrahim Alsabagh con Douglas Al-Bazi e Stefano Alberto

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PERSONAGGI E TESTIMONIPERSONAGGI E TESTIMONI

(…) Guardando il mondo di oggi, non si può non essere sorpresi nel constatare un ritorno del sacro, o piuttosto un ri-torno a una certa religiosità. (…) Questa nuova religiosità ha trasformato però il paesaggio religioso dell’occidente: la reli-gione si vive secondo una modalità direi più individualistica ed emotiva e ciò po-trebbe dipendere da diversi fattori, primo di tutto la proliferazione delle sette. Ma il paradosso è che le religioni sono spesso percepite come un pericolo: fondamen-talismo, fanatismo, derive settarie, sono spesso associati alla religione. In partico-lare ciò avviene a causa di atti terroristici ispirati a motivi religiosi perpetrati da una minoranza di adepti traviati di una religione l’Islam. (…)In realtà non esistono oggi conflitti re-ligiosi; è necessario quindi distinguere meglio ciò che appartiene alla politica da ciò che appartiene alla religione. (…) In altre parole si può pensare che non sia in discussione la fede, le guerre confessio-nali non si presentano più come guerre per la religione o per costringere a un cambiamento di religione; piuttosto la religione serve per definire il gruppo e manifestarne i valori. Dunque di fronte a questa situazione ci sono delle posizioni da evitare: primo, direi, di non usare mai la religione come vettore di legittimazio-ne della violenza. Non si può uccidere in nome di Dio, come ripete spesso papa Francesco. Due: non trasformare la religione in un fattore di mobilitazione. (…) Terzo: la religione non può essere una leva di potere, non si può sostituire ai governi nella soddisfa-

Le religionisono la soluzioneIl cardinale Jean-Louis Tauran, il rettore della Moschea Othmane Azzedine Gaci e il gran rabbino Haïm Korsia sono stati i tre protagonisti dell’incontro inaugurale della XXXVI edizione del Meeting. Riportia-mo di seguito alcuni brevi stralci dei loro interventi.

S.E. Card. Jean-Louis Tauran, Presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso

zione dei bisogni primari della popola-zione. Considerando ciò che ho appena esposto, oso dire che si impone più che mai un dialogo tra le autorità politiche e religio-se per il bene comune. Quando i responsabili della cosa pubbli-ca riescono a stabilire relazioni di fidu-cia con i responsabili religiosi, possono facilmente attingere al patrimonio spi-rituale delle diverse religioni, quei valori suscettibili di contribuire all’armonia de-gli spiriti, all’incontro delle culture e al consolidamento del bene comune. (…) Penso che nessuna congiuntura politica, nessuna cultura, proibiscano di perorare il rispetto delle persone create dall’unico Dio, la libertà di scrutare il mistero della condizione umana, in particolare la liber-

tà di coscienza, di pensiero e di religione. Siamo quindi chiamati a condividere le ricchezze delle nostre culture e a prati-care le nostre religioni nel rispetto delle nostre specificità onde la necessità del dialogo interreligioso che deve mirare pure ad elaborare una cultura che per-metta a tutti di vivere nella libertà e nella sicurezza. (…) Papa Francesco afferma nella sua ultima enciclica: “la maggior parte degli abitanti del pianeta si dichiarano credenti, e que-sto dovrebbe spingere le religioni ad en-trare in un dialogo tra loro orientato alla cura della natura, alla difesa dei poveri, alla costruzione di una rete di rispetto e di fraternità”. Carissimi amici, l’avete capito, non si può vivere e riflettere sul futuro della nostra società senza prendere in considerazione la dimensione religiosa della natura uma-na. Di fronte alla grande crisi culturale che viviamo, la dimensione religiosa della natura umana si impone. Noi ebrei, cristiani e musulmani dob-biamo ritrovare non solamente le nostre radici culturali ma anche quelle religiose e non temere di trasmettere ai giovani questi valori, se no avremo generazio-ni con eredi senza eredità e costruttori senza modelli. (…) Facciamo parte di questo mondo, il mondo che Dio ama e al quale dobbiamo offrire la possibilità di incontrarlo. Allora scopriremo che il futuro non è altro che il presente messo in ordine per permettere che si realizzi il disegno di Dio cioè rendere felice ogni persona umana.

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PERSONAGGI E TESTIMONIPERSONAGGI E TESTIMONI

(…) Nel mio dialogo interreligioso cito spesso un versetto coranico che va proprio nella direzione del rispetto dell’altro e del-la convivenza; questo versetto dice che le persone sono state create a partire da un uomo e da una donna e poi sono diventate popoli e nazioni affinché potessero cono-scersi. Quindi questo versetto del Corano racchiude due messaggi molto importanti: il primo è che esiste un’unica sola umanità, perché noi tutti discendiamo da Adamo ed Eva, quindi c’è un unico genere umano che è stato poi declinato in tanti popoli con tradizioni diverse, lingue diverse: noi siamo umani proprio attraverso le nostre differenze, ed è questo il primo messaggio importante di questo versetto coranico. Il secondo messaggio critico è proprio quel-lo che si rivolge a tutti coloro che portano una fede, quindi il vero credente è qual-cuno che è costantemente abitato dalla presenza di Dio. (…)Il secondo elemento dopo la conoscenza dell’altro, è il rispetto dell’altro. Ebbene insisto molto su questo tema del rispetto, perché i rapporti tra di noi vanno bene al di là del concetto di tolleranza, anche per-ché la tolleranza in realtà richiama un’idea di sofferenza della presenza dell’altro. Io sono qui oggi non perché la mia presen-za sia vissuta come una sofferenza, anzi io vorrei proprio che la mia presenza qui non richiamasse un arricchimento, perché io mi pongo verso l’altro che non è come me, che non ha la mia spiritualità e fede e cer-co di dire a questa persona che è Dio che vuole che esista questa diversità religiosa, è Dio che vuole che ci siano Cristiani, Musulmani, Ebrei. (…)Il terzo elemento conseguente è cercare di rivolgere uno sguardo positivo sull’altro e quindi arricchirsi con la presenza dell’al-tro. (…) È l’altro che può aiutarmi a capire meglio

Azzedine Gaci

Azzedine Gaci, Rettore della Moschea Othmane di Villeurbanne

la mia fede, ad approfondire quello che io ho già dentro di me. Non si tratta di perdersi nell’altro, di annegarsi nell’altro, ma di costruirsi con l’altro e di progredire insieme a lui. Ma si può essere aperti ver-so gli altri soltanto quando si sa davvero chi si è: l’apertura verso l’altro richiede un lavoro spirituale profondo, un lavoro quo-tidiano, continuo. (…)Avere uno sguardo positivo sull’altro si-gnifica guardare colui che è diverso, che non condivide la vostra fede e spiritualità e dire a questa persona che non ci assomi-glia: “Non sei come me, ma sono pronto a conoscerti, ad ascoltarti, a conoscere le

tue certezze e anche a camminare con te affinché io possa mettere in discussione le mie; non per essere come te, ma per es-sere meglio come individuo in quello che sono”. Io sono pronto quindi anche a ri-mettere in discussione le mie certezze, ma per vivere meglio quello che sono, la mia fede, quello che porto nel profondo di me stesso. (…)Dobbiamo pensare insieme, gli uni con gli altri e non gli uni contro gli altri, proprio per opporsi a tutti coloro che predicano l’odio e che manipolano le coscienze. Per opporsi a tutti coloro che intraprendono e fomentano la violenza.

(…) l’Ebraismo ritiene che nessuno è detentore della Verità, ognuno ha in so-stanza la propria Verità. L’umanità quindi raggruppa tutti i geni di tutte le culture, il genio di tutti noi; lo vediamo anche nella Bibbia, quando il popolo uscito dall’E-gitto rifiuta tutto ciò che gli ricorda la schiavitù e l’Egitto stesso; Pietro parla a Mosè e gli dice “devi essere capo di tutti, devi essere capo di dieci, di cento, di mil-le”. Ma essere capo di dieci, di cento, di mille significa costruire una piramide e la piramide è l’Egitto e quindi Pietro dice a Mosè di guardare verso l’Egitto, verso la Verità di quella piramide. Questa capacità di vedere un’altra Verità la troviamo an-che in un trattato del Talmud, il trattato del Sinedrio, che ci racconta una storia incredibile: in una piccola città, Shilo, c’e-ra un tabernacolo e a tre km di distanza un tempio idolatra; quando si compiva un sacrificio in entrambi i luoghi i fumi si al-zavano in cielo convergendo. Il Talmud ci racconta che gli angeli chiedono a Dio se vuole distruggere il tempio idolatra (…), ma Dio dice agli angeli di calmarsi, perché il culto idolatra consiste nel portare del cibo che possa essere mangiato dai poveri. Sicuramente l’idolatria è condannabile, si-curamente non è una Verità, ma visto che fa del Bene a chi ne ha bisogno, Dio lascia fare. (…) Perché la tradizione ci dice che le cicogne portano i bambini? La cicogna in ebraico si chiama “chassìd” che significa “la devo-ta”, perché è un uccello che ha un amore infinito per i propri figli. E come mai un animale che si chiama “il pio”, “il religio-so”, non può essere kasher? La risposta incredibile è perché la cicogna fa vedere la propria bontà solamente tramite i pro-pri figli. Una bontà che non si rivolge a sé, perché se si rivolge a sé non è bontà. Se non ci si apre alla sofferenza degli altri al-

Haïm Korsia

Haïm Korsia, Gran Rabbino di Francia

lora non si può accogliere nessuno. Quan-do sono arrivato a Bologna, mi sono detto: “Beh, adesso sono in Italia metto una suo-neria italiana sul mio telefono”; avevo in memoria una canzone di Zucchero. Luca, il mio accompagnatore, mi ha spiegato come Zucchero scrive le sue canzoni: beve molto e quando finisce tutto quello che c’è da bere si mette a scrivere canzoni. Que-sto mi ha fatto pensare a Noè, perché an-che Noè ha la responsabilità di ricostruire l’umanità dopo il diluvio e beve, beve per rifiutare le proprie responsabilità. (…)Perché Dio è molto più severo con il di-luvio che non con la torre di Babele? Per due ragioni: prima di tutto si può dire che Dio preferisce che si sia uniti contro di Lui piuttosto che di essere disuniti nel suo nome. Durante il diluvio, ognuno vo-leva uccidere l’altro, mentre nella torre di Babele erano in ribellione contro Dio, ma insieme. E poi c’è una grande idea, e cioè

che il diluvio era l’odio degli uni contro gli altri, la torre di Babele invece era la volon-tà di essere tutti gli stessi. L’uniformità è pericolosa per l’uomo, è l’unità la cosa im-portante, perché l’unità rispetta la diffe-renza: se siamo gli stessi non ci possiamo dare qualcosa l’uno all’altro, non possiamo avere uno scambio e quindi nessuno pro-gredisce, nessuno avanza.(…)La perfezione dell’uomo è la sua perfet-tibilità, cioè un uomo che va, che pro-gredisce verso la perfezione. È il bisogno dell’altro questa parte che mi manca, così come in me ho una parte di ognuno di voi: bisogna semplicemente saper accogliere, ricevere questa parte. E per sapere acco-gliere questa parte bisogna dare amore e l’amore è al cuore del dialogo. Senza anni-chilirsi e annegarsi nell’altro, senza sincre-tismo, sapendo chi siamo ma accettando comunque di incontrare l’altro, di andare verso l’altro per scoprirsi.

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EDITORIALE

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Il suo nome afghano è Bibi Gul, “si-gnora fiore”; il suo nome ufficiale è Rula Ghani, first lady dell’Afghani-

stan da quando il marito Ashraf vinse nel 2014 le elezioni politiche. Una donna sorprendente e tenace, dolce e determi-nata. Il settimanale americano Time l’ha inserita tra i cento più influenti prota-gonisti del mondo, anche se a lei non è piaciuta molto l’insistenza dell’articolo di accompagnamento, firmato dal celeberri-mo scrittore afghano Khaled Hosseini, sulle sue origini libanesi, come a rimar-care una distanza con il popolo e il Paese che non solo lei sente come suo, ma è il suo. Tra i mille inviti di cui è subissata ha accettato quello del Meeting, convin-

ta dal “per l’amicizia tra i popoli”: il suo massimo interesse e scopo, non solo sul piano internazionale, ma anche sul piano interno del suo Paese, quell’Afghanistan dove coesistono decine di etnie e lin-gue e varianti sunnite diverse. A Kabul si occupa molto di istruzione e donne, temi incandescenti nel Paese dove il re-gno talebano ha per anni impedito l’u-na e schiacciato le altre. E purtroppo il fatto è che non è una storia finita. Dopo quattordici anni di intervento americano e Nato, dopo un bilancio tremendo di vite umane perdute, devastazioni e in-calcolabili somme di denaro, i talebani non sono stati liquidati, anzi negli ultimi giorni di settembre tra lo sconcerto e la

Tenace e soprendente, al contempo dolce e gentile. Ritratto di Rula Ghani, First Lady dell'Afghanistan, graditissima presenza al Meeting

Il "Fiore" dell'Afghanistan

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PERSONAGGI E TESTIMONI

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PERSONAGGI E TESTIMONI

di Roberto Fontolan

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PERSONAGGI E TESTIMONI

rassegnazione di molti hanno conquistato Kunduz, una grande città del nord; dal 2001 una cosa del genere non era mai accaduta (rimarrà per sempre avvolta nel mistero la ragione per cui l’amministrazione Bush de-cise ad un certo punto che la guerra afghana fosse finita, i talebani definitivamente battu-ti e che occorresse puntare sull’Irak di Sad-dam, un momento in cui la storia ha imboc-cato una brutta strada ). In quei giorni ho pensato a Bibi Gul nel palazzo presidenzia-le di Kabul, mentre politica e esercito afgha-

ni non riescono a venire a capo del male che continua a divorare la speranza del Paese. Ho pensato a quel che ci aveva raccontato a Rimini, seguita dallo sguardo di una platea rapita dalla gentilezza dei suoi modi e dalla profondità delle sue parole. L’Afghanistan è una terra drammatica e avvicente. Rocce rosse, altitudini aspre, volti enigmatici, tribù bellicose, bambini ancora sorridenti, don-ne che si impegnano per costruire un’altra vita, per sè e per quelli che amano (mentre gli uomini sembrano dedicarsi ai giochi di

morte). Il racconto della signora fiore espri-meva tutto questo e chiedeva compassione: un patire insieme, un amare insieme, un sognare insieme. Noi e lei, noi e loro, noi e l’Afghanistan. Possiamo vivere le nostre occupazioni quotidiane senza avere nel cuore quella giornata? Senza che il pensie-ro cerchi Bibi Gul nelle stanze del palazzo presidenziale? Senza pregare per il bene di quella terra?

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Rula Ghani, First Lady dell’Afghanistan, assieme a Roberto Fontolan, responsabile del Centro Internazionale di Comunione e Liberazione

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PERSONAGGI E TESTIMONI

“Occorre richiamare ciascuno di noi, nella singola responsabilità, al fatto che quello che salverà il Paese è prendere consapevolezza della forza che abbiamo. L’Italia non finirà mai per la mancanza di meraviglie, ma se ci passerà la meraviglia, la capacità di stupirsi, di metterci in gioco. L’Italia ha uno spazio gigantesco, a condizione di riconoscere che ciò che ci fa grandi è ancora tutto lì e c’è bisogno del nostro impegno personale”.

Matteo Renzi

L'Italia ela sfida del Mondo

PERSONAGGI E TESTIMONI PERSONAGGI E TESTIMONI

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PERSONAGGI E TESTIMONIPERSONAGGI E TESTIMONI

Il senso profondo della mancanza, la prima visita al Meeting e il rapporto con Papa Francesco. Fausto Bertinotti si racconta ai microfoni del Meeting.

di Simona Angela Gallo

Che cosa è la mancanza per Fau-sto Bertinotti?Mi pare si possa parlare di man-

canza in due sensi diversi fra di loro: l’una è mancanza come desertificazione, come smarrimento, come perdita di senso, ed è una mancanza che produce alienazione; esiste invece un’altra mancanza al fondo della quale c’è una domanda, una domanda di senso, ed è la mancanza da cui si riparte

da una tradizione che è quella delle grandi feste popolari e per fare proprio la citazione precisa, c’è una similitudine fra il Meeting e la tradizione delle feste dell’Unità che è la costruzione del popolo, l’idea della co-struzione del popolo, l’idea della costruzio-ne di un momento entro cui cade la delega, cade, diciamo, la separazione dall’altro di te e c’è la costruzione di un essere partecipi di un destino comune. Può essere che così intensa valga solo quella settimana, ma è come un tempo liberato, la costruzione di un tempo liberato. Poi ci sono cose speci-fiche che mi incuriosiscono e mi piaccio-no molto, ho visto una mostra che mi ha molto intrigato e ho sentito un dibattito su Abramo che mi ha lasciato così tante domande per cui, insomma, ringrazio. Che cosa la provoca, invece, così tanto

“È LO SGUARDO CHE DETERMINA LA

SCINTILLA CHE CONSENTE LA LIBERAZIONE E

LA COMPRENSIONE DELL’ALTRO. NOI SIAMO IN ATTESA DI QUESTO

SGUARDO, QUESTO È IL PUNTO CRUCIALE.”

Dalla mancanzal'origine di unnuovo impegno

sempre. La seconda mancanza è la scatu-rigine di un nuovo impegno, della ricerca di un nuovo orizzonte e, si può dire, della speranza. Lei non era mai stato al Meeting, ieri ha fatto un giro, ha visto una mostra: cosa l’ha colpita di più?Intanto mi colpisce sempre, quindi anche del Meeting, ogni manifestazione che co-struisce un rapporto comunitario: vengo

nelle parole di Papa Francesco?La testimonianza che è in grado di andare alla radice dei mali del nostro tempo. C’è una radicalità in Papa Francesco che non casualmente si produce fuori dalla scena classica della politica, dove le parole di ve-rità non ascoltano più , che è la capacità di indagare insieme alla manifestazione di sofferenza e le cause che generano quella sofferenza senza farsi fermare dal potere.

Alcuni momenti del dialogo al Meeting tra Fausto Bertinotti e Andrea Simoncini

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PERSONAGGI E TESTIMONIPERSONAGGI E TESTIMONI

Pietro Modiano ha raccontato come è nato il suo rapporto con Don Giussani e Comunione e Libera-zione. Riportiamo il testo di una breve intervista avvenuta durante il Meeting

di Roberto Neri

Premetto che non mai incontrato don Giussani nella mia non bre-ve vita, anche se la stessa è stata

parallela per molte parti a quella di don Giussani e di Comunione e Liberazio-

munione e Liberazione. Solo in epoca abbastanza recente sono successi alcuni fatti che mi hanno in-curiosito in merito a CL, per merito di quello che si chiama comunemente un

Il fondamentodello stupore

ne. Io ho iniziato la mia storia personale al liceo Manzoni quando Giussani in-segnava al Berchet, a pochi chilometri di distanza. Il mio percorso personale è sempre stato distante da quello di Co-

“incontro sorprendente”, nel caso specifi-co con alcuni appartenenti alla comunità di CL di Torino appartenenti all’opera la Piazza dei Mestieri: è stato durante questo incontro che le così dette catego-rie “giussaniane” dello stupore e dell’in-contro hanno cominciato a far parte di me, facendo cadere tantissimi pregiudizi. Questo mi ha spinto poi a leggere i libri di Giussani. Pertanto il mio percorso è stato dall’in-contro con una realtà effettivamente in-teressantissima proveniente da CL, da uomini e donne di CL, fino alla lettura, devo dire, di questo pensiero complesso, perché io ho ascoltato discorsi di Gius-sani che sembravano semplicissimi, con un linguaggio semplicissimo… ma leg-

gerlo al contrario è in realtà un linguag-gio complicatissimo, pensieri veramente complicati su cui bisogna piegarsi per conoscerlo, e io credo che questo sia un esercizio utile, io stesso l’ho fatto durante questa estate in preparazione all’incon-tro cui sono stato chiamato a relaziona-re durante il Meeting. Un lavoro molto fruttuoso lo definirei, perché ti mette di fronte ai limiti dell’umano e all’esigenza di andare oltre a questi stessi limiti, che forse è la parte più importante di noi. Oggi sono stupito di questi miei rappor-ti con Comunione e Liberazione, anche i miei amici lo sono, perché vengo da lontano e il fatto di venire da lontano, di aver passato una lunga vita lontano, e poi, per i casi della vita o per il destino,

incontrare una realtà così interessante , in divenire, così legata al mondo che ci circonda, effettivamente mi stupisce. Ho quindi delle prospettive di grandissimo interesse, perché questo è uno di quei luoghi - dico il Meeting ma poi anche tutto quello che ci sta intorno - in cui si pensa ai problemi veri, che non sono solo i problemi della politica, neanche i pro-blemi della cronaca, anche se poi la cro-naca ci sottopone problemi che sembra-no soverchianti: in realtà i problemi sono sempre altri e questo è un luogo in dove si può pensare che i problemi sono altri e pensandoci si può cominciare a risolvere anche i problemi di questo momento.

Pietro Modiano, Presidente SEA (Società Esercizi Aeroportuali)

Pietro Modiano con Massimo Borghesi, Gianni Riotta e il moderatore Alberto Savorana, durante l’incontro “Incontrare don Giussani oggi”

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PERSONAGGI E TESTIMONIPERSONAGGI E TESTIMONI

Pilloledi Meeting

TIMOTHY SHRIVER, Chairman of Special Olympics

“È stupefacente. Qui si parla di tutto e la gente si guarda negli occhi”.

GIUSEPPE BETORI, Arcivescovo di Firenze

“L’arte non è il genio artistico, queste sono cose otto-centesche che tradiscono la vera identità dell’arte. L’ar-te è invece la risposta che si dà ai bisogni del popolo nella concretezza di un piano religioso e di un piano civile che sono tra loro uniti”.

NOAM CHOMSKY, Professore Emerito di Linguistica al MIT (Massachusetts Institute of Technology, Boston)

“L’idea che ci dovessero essere dei limiti alla compren-sione umana viene spesso oggi vista come un ritorno al misticismo o un’eresia liquidata come misterianesimo. Il vero misticismo sta nel credere che la nostra capacità di comprensione sia infinita”.

NUNZIO GALANTINO, Segretario Generale CEI

“Una Chiesa che fa del limite una risorsa assume lo stile missionario tanto invocato da Papa Francesco, divenen-do sempre meno dispensatrice di servizi e sempre di più “ospedale da campo”, chinata sugli ultimi, nei quali è presente lo stesso Signore”.

GEORGE PELL, Prefetto della Segreteria per l’Economia della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano

“La giustizia cattolica e il lavoro caritatevole sono sem-pre cristocentrici. Da una prospettiva cristiana, quindi, il lavoro buono è insufficiente quando Dio viene eliminato”.

ROBERTO VITTORI, astronauta dell'Agenzia Spaziale Europea

“Siamo letteralmente catturati - gli occhi e il cuore - dalla bellezza della vista del pianeta terra: è una tra-smissione di energia la vista del pianeta dalla stazione. L'effetto tridimensionale non è riproducibile, lo vedete su internet, in televisione, è assolutamente unico, incre-dibilmente forte sia per gli occhi sia per il cuore. E ti rimane dentro come immagine di energia forte, si spe-ranza".

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MOSTRE

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La scelta di Abramo e le sfide del presente"Dio ha preso un'iniziativa imprevedibile, chiamando un uomo, Abramo, per risvegliare il suo io, per farlo nascere" Julián Carrón

Il testo integrale dell'incontro è disponibile sul sito web del Meeting www.meetingrimini.org

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MOSTRE

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L'io umano è in crisi. Ha perso i suoi riferimenti fondamentali. Tutti d'accordo. Nessuna novità.

Allora, da dove partire? La cosa più lo-gica sarebbe mandarlo dallo psichiatra, in un tentativo di fare l'analisi dei suoi antecedenti biologici, sociologici o psico-logici. In una parola: identificare le forze che lo condizionano e implementare una terapia per arginare le conseguenze. Don Luigi Giussani preferisce, invece, andare dallo "storico". "L'io, così come lo cono-sciamo noi, dov'è nato?", si chiedeva. "In Abramo!", rispondeva. Allora torniamo ad Abramo per identificare i tratti del vero volto umano così come sono arriva-ti a noi tramite la cultura ebraico¬ cri-stiana. Ma, in che senso si può parlare di "nascita" dell'io in Abramo, cioè, verso il 1800 a.C., quando l'uomo era sulla terra ormai da parecchi secoli? Tra l'altro, non è vero che l'uomo è religioso sin dall'ini-zio, da quando l'uomo è uomo? Certo, ma quell'uomo "era incapace di dare del tu al fato", come afferma Giorgio Buccellati, noto archeologo della Mesopotamia del terzo e secondo millennio avanti Cristo. Per i mesopotamici, il mondo dal quale si è staccato Abramo, il fato restava una realtà inerme, una sorta di forza interna

della natura che poteva essere "controlla-ta" unicamente tramite un'appropriazio-ne razionale di un universo predicibile. Dal fato non si aspettava nessuna comu-nicazione. Si "esprimeva" tramite la sua prevedibilità, attraverso le leggi che reg-gono le dimensioni orizzontali e verticale del reale, cioè la natura delle cose e il loro destino. Gli dèi? Non erano che finestre aperte a quel fato. Frammentando l'uni-verso predicibile si riusciva a controllare meglio la realtà e le leggi che la reggono: giustizia, forza, fecondità, salute… Il pri-mo che ha dato del tu al destino è stato Abramo. Perché il Mistero si è fatto vivo in una chiamata situata nel tempo e nello spazio. D'allora l'io si capisce in rapporto col Dio vivente, un Tu imprevedibile che esprime una Sua volontà molto concreta, non controllabile. L'io si capisce in un dialogo reale col Mistero fattosi vivo nel-la storia, non più in un tentativo solitario di appropriarsi delle leggi che reggono l'universo prevedibile. La libertà dell'uo-mo, allora, diventa responsabilità, rispo-sta a una chiamata e al compito che quel-la voce assegna alla propria vita. Non c'è più cosa, tempo o spazio, inutile. La pro-messa che Dio fa ad Abramo, l'attesa di compimento che fa scattare, segnano una

“Abramo è stato il primo a poter dare del “tu” al Mistero. Da allora l’io può concepirsi in dialogo reale con il Mistero”. Questa l’intuizione che ha fatto nascere la mostra “Abramo: la nascita dell’io” allestita in occasione dell’ultimo Meeting.

La nascita dell'io

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OTTOBRE 2015 39OTTOBRE 201538

MOSTRE MOSTRE

di Ignacio Carbajosa Pérez

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MOSTRE MOSTRE

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concezione lineare del tempo, in contra-sto con la percezione ciclica che aveva il modo religioso mesopotamico. Con Abramo comincia una storia, con delle tappe significative che si protendono in avanti. La promessa è una discendenza ed è fatta alla discendenza: da Abramo in poi l'io si capisce all'interno di un po-polo che veicola la speranza degli uomini. Da tutto quanto detto, diventa chiaro che non è possibile capire Abramo studiando i suoi antecedenti biologici, sociologici o psicologici. Questi non spiegano il filo-ne che è partito da lui. Ci vuole dare lo spazio all'avvenimento della rivelazione di Dio nella storia. Ci troviamo di fronte ad un sorprendente incrocio di natura e storia: l'io si capisce a partire da un avve-

nimento storico. È importante osservare subito che questo incrocio di natura e storia è difficilmente sopportabile per la ragione moderna. Infatti, Kant, Lessing e altri "padri" dell'Illuminismo europeo sono partiti con la pretesa di arrivare a descrivere la natura dell'io a partire del solo uso della ragione, tralasciando espli-citamente una fede storica, il cristianesi-mo, nella cui tradizione spirituale si rico-noscevano ancora. L'alternativa, dunque, è chiara: continuare con un'analisi che si è mostrata fallimentare o tornare come facevano tutte le mattine i primi disce-poli a cercare Gesù, il vero "discendente di Abramo" (cf. Gal 3,16), con cui diven-tavano più se stessi. Solo in questo modo si può riguadagnare una comprensione

nuova delle mosse del proprio cuore, così strane alla coscienza moderna. I battiti del cuore si leggono con chiarezza nuova come nostalgia di un Tu che ha stabilito un rapporto storico con la sua creatura. Appunto, non "cosa è questa mancanza" ma "di chi è mancanza questa mancan-za" (Mario Luzi).

da www.ilsussidiario.net

Ignacio Carbajosa Pérez con Agnese Renzi in occasione della visita alla mostra “Abramo. La nascita dell’io”

FOCUS ON

Giorgio Buccellati Professore Emerito di Storia e Ar-cheologia del Vicino Oriente Antico alla UCLA Curatore della mostra “Abramo. La nascita dell’io”.

Il racconto di Abramo, così come ce lo restituisce la Bibbia, ha un’indubbia connotazione epica, ma questo non si-gnifica che sia in contraddizione con i dati accreditati dalla ricerca. In generale, direi che tutta la tradizione biblica sui Patriarchi corrisponde con esattezza alla documentazione storica e archeologica in nostro possesso. Un aspetto decisivo, da questo punto di vista, è rappresentato dal mancato rife-rimento alla scrittura, che invece svolge-

va un ruolo fondamentale nelle società mesopotamiche. Se davvero quella di Abramo fosse una leggenda tarda, immaginata a posterio-ri, tra Dio e l’uomo si stipulerebbe un contratto scritto e non ci si limiterebbe a una promessa verbale. Ma questo dettaglio è perfettamente compatibile con la cultura e le abitu-dini del popolo di Abramo, gli amorrei. La conquista della steppa da parte loro fu un’impresa di proporzioni veramente epiche, della cui storicità non possiamo tuttavia dubitare.Non si tratta soltanto di una migrazione. Nel momento in cui esce da Ur dei Cal-dei, Abramo indica un’alternativa alla Città-Stato, sottraendosi agli obblighi

che ne derivavano, come la pressione fiscale e la necessità di servire nell’eser-cito. Ed è proprio grazie a questa iniziativa che può nascere l’io, inteso come con-sapevolezza di un destino personale aperto all’assoluto. Intendiamoci, dal punto di vista gram-maticale l’io in Mesopotamia esisteva eccome, basterebbe riandare all’epo-pea di Gilgamesh per rendersene conto. Ma un conto è l’espressione di sé a li-vello individuale e un altro è il supera-mento della mentalità funzionalista, che nega il riconoscimento del valore della persona. Con Abramo si afferma un io umano che può finalmente dare del Tu a Dio.

Visitatori all'interno della mostra

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MOSTRE MOSTRE

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Il dono dell'arteGiuseppe Frangi, uno dei curatori della mostra “Tenere vivo il fuoco. Sorprese dell’Arte Contemporanea” racconta l’esperienza fatta durante il Meeting.

Bisogna sempre fidarsi dell’arte. Anche se fidarsi comporta spesso (o sem-pre…) un rischiare. È il

primo pensiero venuto alla fine della mostra (o meglio al percorso) sull’arte contemporanea, che il Meeting ha avu-to il coraggio di organizzare, affidando-la alla squadra dell’associazione Casa Testori. Perché ci si deve fidare? Perché l’arte è quel dono “imprevisto” fatto da Dio all’uomo, che proietta l’uomo in ogni momento della storia (anche in questo momento!) più vicino al cuore della realtà. È un dono molto libero, senza condizioni: per questo compor-ta sempre, necessariamente dei rischi. È un istinto a sporgersi in avanti, sul non ancora. A uscire dal recinto del-le cose sapute per inoltrarsi su terreni inesplorati. L’arte è il segno lasciato da sensibilità che scavalcano le cose note e approdano a cose non note, eppure molto reali. Se questa è una caratteristica che ha segnato l’identità dell’essere uomo da sempre, che ne è del suo modo di manifestarsi oggi? Il percorso pensato per il Meeting è stato un tentativo di rispondere a questa domanda, sfidando preconcetti e luoghi comuni. Ovvia-

mente se l’arte è sempre uno “sporgersi in avanti”, vuol dire che si svela come un qualcosa di nuovo, di spiazzante, di non previsto, a volte di difficile da ac-cettare. L’arte non è mai scontata nelle forme del suo proporsi. Per questo la scelta dei sette artisti che hanno com-posto il percorso è andata da una parte sulla notorietà e quindi sulla loro ca-pacità d’impatto nell’immaginario col-lettivo, e dall’altra sulla profondità delle domande da cui sono stati mossi. Che bilancio si può fare di questa esperien-za? Proviamo a farlo in tre punti.

1. L’arte contemporanea si è dimo-strata in grado di far breccia in un pubblico normale sostanzialmente digiuno da frequentazioni con mostre e biennali varie in parte anche più o meno prevenuto. Perché fa breccia? L’arte contemporanea ha come carat-teristica quella di dover trovare sempre nuove formule per dire cose che sono molte volte cose di sempre. Ma in que-sto scovare formule nuove produce un effetto spiazzamento che colpisce, che sollecita emotivamente, che mette in movimento intelligenze e sensibilità. Tra i commenti, tanti, che hanno co-stellato la mostra, uno mi è sembrato

particolarmente azzeccato: l’esperien-za della mostra provocava una sorta di “decentramento” nelle persone. È quello suscitato da chi ammette di es-sere stato portato a vedere le cose da un punto di osservazione del tutto impre-visto, ma molto più acuto e profondo di quanto prevedessimo. Uno sguardo,

quello suggerito dagli artisti, che non smantella il nostro ma lo rimette in movimento. Alla ricerca. Tener vivo il fuoco, come recitava il titolo, vuol dire proprio questo. Per tenerlo vivo non ci si può ripetere, si deve essere sempre nuovi… E il pubblico ha capito il fasci-no di chi si prende il rischio di inoltrar-

si nel “nuovo”.

2. Se ha fatto breccia è anche grazie al dispositivo della mostra che preve-deva una narrazione delle opere, che quindi invece di blindare le opere stes-se nell’enigmaticità di linguaggi critici incomprensibili, forniva delle chiavi,

delle ipotesi per entrarci. Non era un dispositivo critico, quindi, ma sempli-cemente narrativo, che poi lasciava al visitatore la libertà di approfondire e di farsi coinvolgere. 3. L’arte è sempre stata “bene comu-ne” anche quando principi (e anche vescovi e papi) ne incameravano il >

di Giuseppe Frangi

Visitatori dentro la mostra

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MOSTRE MOSTRE

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meglio nei loro palazzi. Ma le chiese, le piazze, hanno sempre parlato a tutti, e per tutti. Bernini ha riplasmato Roma cambian-do l’immaginario della città. Michelan-gelo il David lo aveva messo in piazza. Giotto e Masaccio erano fruibili da tutti. Ora non si vede perché nel nostro tem-po, che vorrebbe essere il più democra-tico ed egualitario, l’arte debba essere diventata materia di pochi. Affare per un’ élite. Roba da cerchio magico. La mostra di Rimini ha voluto riporta-re l’arte davanti allo sguardo e al giudi-zio dell’uomo comune. La rimette in piazza. Credo ci sia da guadagnarci per tutti.

I volontari rispondono alle domande dei visitatori

Visitatori di fronte ad un video della mostra

Particolare della stanza “Terrore in gabbia” dedicata alle opere di Damien Hirst

La “stanza” dedicata alle opere di Marina Abramovic

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MOSTRE MOSTRE

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Per me vivere è Cristo“L’incontro è sempre una gioia perché ogni incontro viene da Dio; è l’istante in cui le persone si trova-no faccia a faccia, a volte per un brevissimo istante, ma, nello stesso tempo, anche per sempre perché, quando ci si incontra con il cuore, con fede e carità, con una speranza comune, nel segno della comu-ne croce, nella luce della comune vittoriosa resurrezione che verrà, dopo non ci si può più separare. Le distanze terrene non separano più, non separeranno più, le persone”. Aleksandr Filonenko

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MOSTRE

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m o s t r e

ABRAMOla nascita dell’io

In che senso si può parlare di “nascita” dell’io in Abramo, cioè, verso il 1800 a.C., quando l’uomo era sulla terra ormai da parecchi secoli? Tra l’altro, non è vero che l’uomo è religioso sin dall’inizio, da quando l’uomo è uomo? Certo, ma quell’uomo “era incapace di dare del tu al fato”. Il primo che ha dato del tu al destino è stato Abramo. Perché il Mistero si è fatto vivo in una chiamata situata nel tempo e nello spazio. L’io si capisce in un dialogo reale col Mistero fattosi vivo nella storia, non più in un tentativo solitario di appropriarsi delle leggi che reggono l’universo prevedibile.

www.meetingmostre.com

Oltre 35.000 visitatori al Meeting di Rimini.L’io umano è in crisi. Ha perso i suoi riferimenti fonda-mentali. Tutti d’accordo. Nessuna novità.

Allora, da dove partire? L’io, così come lo conosciamo noi, dov’è nato? Torniamo ad Abramo per identificare i tratti del vero volto umano così come sono arrivati a noi tramite la cultura ebraico cristiana.

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MOSTRE MOSTRE

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"Mossi da uno sguardo". Dalla Sagrada Familia all'abbazia di Morimondo, storia di un'amicizia

“Perché costruiamo la Sagrada Familia?Gaudì ha detto che per costruire delle cose buone prima ci vuole l’amore e poi la tec-nica. Perché se non abbiamo l’amore non arriveremo mai a capire, anche a parità di tecnica e a parità di capacità. Se io sono preparato e c’è questo amore e c’è la voglia di fare bene, sono molto tranquillo perché sono sicuro che il risultato verrà fuori bene. Ed è questo il segreto della Sagrada Familia: sì, è un miracolo, ma è un miracolo costru-ito giorno dopo giorno, minuto dopo minuto assieme a ogni singolo lavoratore”.ETSURO SOTOO, Scultore

“Nella storia dell’amicizia che adesso ci riguarda Gaudì è stato l’origine, è stato lo strumento necessario,

però il fondamento ultimo è la presenza di Dio nei nostri cuori”.JOSÉ MANUEL ALMUZARA,

Presidente Associazione per la Beatificazione di Antoni Gaudì

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PERSONAGGI E TESTIMONI

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MOSTRE

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MOSTRE MOSTRE

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di Carlos "Charly" Olivero

Le vie del Signore sono infinite, a questo punto non ho dubbi.D’altronde, chi l’avrebbe mai detto che da un desiderio

espresso quasi per caso durante una cena sarebbero nate le infinite grazie che ab-biamo ricevuto? L’anno scorso sono venuto al Meeting per la prima volta per presentare il libro sulla Chiesa nelle villas di Buenos Aires, scritto qualche anno prima da una mia amica giornalista, una dei Memores Do-mini del Movimento. Stavo raccontan-do agli organizzatori tutte le cose belle che avevo visto, quando un desi-derio che avevo nel cuore diventò parola: “Quanto mi piacerebbe che i ragazzi del mio quartiere potes-sero vedere tutto questo!” “Perché no? Devono as-solutamente ve-nire…” - disse Alessandra - “sì, sarebbe fantasti-co” - risposi - “ma non sappiamo come venire fin qui”. “Riparlia-mone durante l’anno, vi aiutere-mo e se Dio vuole

i motivi per cui spesso siamo discrimi-nati, la nostra povertà, la mancanza di servizi base. Nella nostra città le persone si vergo-gnano di dire che vivono nella villa, preferiscono nasconderlo e a volte mol-ti arrivano addirittura a farsi “prestare” l’indirizzo da qualcun altro perché non si sappia che vivono lì. Sul posto di lavoro le persone che vivono nella villa vengono

Un pellegrinaggiofino al vero incontro

verrete” - mi disse.Ed è stato proprio così, evidentemente il Signore l’ha voluto. Il Movimento ci ha aiutato e dopo otto mesi di preparazione il 19 agosto sono arrivato a Rimini con altri 13 giovani della nostra parrocchia di Caacupé, della villa di Barracas.Appena arrivati al Meeting ci siamo commossi nel vedere lo stand che era stato allestito per noi. Ricreava le stra-de, le viuzze e le umili casette del nostro quartiere. Tutti erano stati sempre molto generosi con noi e finalmente noi pote-vamo offrire loro qualcosa.

Ho proposto ai ragazzi di divi-dere la mostra in quattro sezioni: la povertà della villa, la ricchezza umana nel nostro quartiere, la no-stra Chiesa e la predilezione che il Cardinale Ber-goglio aveva per le nostre villas. In realtà non era così semplice par-lare agli altri della nostra villa, per-ché implicava rac-contare qualcosa di cui i ragazzi si vergognavano, come ad esempio

discriminate e spesso licenziate, questo è dolorosissimo. Per i 13 ragazzi venuti con me in Italia parlare della povertà era estremamente difficile perché li metteva a disagio.“È stato difficile aprirsi agli altri, esporsi! Bisognava affidarsi mettendo da parte la vergogna… ed è stata un’esperienza me-ravigliosa!” diceva Alberto alla fine del Meeting.

Infatti, i ragazzi si sono aperti gratuita-mente. Hanno spalancato i loro cuori dinanzi alla domanda ricorrente dei visitatori della mostra: ma vivete davvero lì? Li ral-legrava rendersi conto che la loro povertà veniva guardata con profondo rispetto e altrettanta tenerezza. Si sentivano amati. E parlo proprio di amore, non di com-passione o di qualunque altro sentimento

che nasce dalla disuguaglianza; la povertà di cui parlavano è stata una preziosa oc-casione perché centinaia di visitatori in quei giorni aprissero i loro cuori e condi-videssero con loro domande, bisogni e la loro stessa povertà. Si sono sentiti fratelli nella debolezza, si sono resi conto del loro valore nello sguardo attento di chi ascoltava le loro storie. Jean Vanier, fondatore dell’Arca, in Segni. Sette parole per sperare (San Paolo Edi-zioni) afferma che un incontro non è un esercizio di potere. Non è neanche una dimostrazione di generosità dove si cer-ca di fare del bene agli altri, ma richiede sincera umiltà e profonda povertà, essere presenti nell’altro, ascoltarlo e guardarlo con rispetto e attenzione e permettere all’altro di fare altrettanto. È una comunione di cuori, un dono reci-proco, gratuito. L’incontro vero è “corro-sivo”, mette a nudo la nostra impotenza. Per farne esperienza è necessario poter riconoscere le proprie debolezze e il bi-sogno di essere aiutati. Nel Movimento ci sono molte perso-ne col cuore spalancato… si tratta di un prezioso tesoro da custodire. Sono con-vinto che quest’incontro sia stata la cosa più bella di un pellegrinaggio già pieno di fatti sorprendenti, come ad esempio l’ecclesialità di un Meeting che tratta i temi più disparati, dall’Iraq all’Africa, dai carcerati di Padova all’esperienza mistica del monastero, così come l’incontro col Santo Padre o la gita ad Assisi. Immense grazie che con grande amore il Signore aveva pensato per noi e che sono avvenute una dopo l’altra in modo mi-sterioso. Tutto era iniziato con una cena insieme, un incontro tra cuori spalancati. Il primo di una lunga serie.

Padre Carlos Olivero durante la prima visita guidata alla mostra

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MOSTRE MOSTRE

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Istantanee.Viaggio nel cuore di CL

Polaroid scattate dai visitatori alla mostra curata da Dario Curatolo dedicata a Don Giussani e ai 60 anni dalla nascita del

Movimento di Comunione e Liberazione

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SPETTACOLI

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SPETTACOLI

Il Meeting di quest’anno ha presentato una varietà sorprendente di spettacoli, concerti, incontri e performance. Oltre quindicimila persone hanno partecipato ai tredici principali eventi realizzati in colla-borazione con soggetti artistici nazionali e stranieri. Tra le produzioni 2015 tante sono state quelle create con il fondamen-tale sostegno del Meeting e ispirate dal potente verso del poeta Mario Luzi che ha titolato e provocato la XXXVI edizione del Festival internazionale Riminese. Il lungo lavoro di confronto, ricerca, con-tatti, viaggi e prove di un anno si è concen-trato in appena sei giorni in cui la provvi-soria ed eterogenea compagnia formata da un centinaio di artisti coinvolti nel corso dei mesi si è riversata nella moderna are-na allestita per l’occasione nei padiglioni della fiera di Rimini, in una teatrale unità di spazio e tempo. Qui l’audacia creativa degli artisti è salita sul temibile banco di prova rappresentato dal palco e dal pub-blico: ampio e vasto il primo, vario (per provenienza, età e gusti), il secondo.Il coraggio degli interpreti di sfidare titoli assai ‘ingombranti’, di giocarsi la notorietà con progetti d’innovazione, o, ancora, di sperimentare commistioni di generi di-

stanti tra loro, ha rappresentato la nota caratterizzante di questa straordinaria edizione.Il concerto-preghiera preparato dai mo-naci buddisti del monte Koya, in colla-borazione con il coro ‘Millennium’, brilla come piccolo ma luminoso esempio di una libertà che rende audaci. Un evento culturale e artistico unico, che ha sorpreso e commosso per bellezza e intensità. Un dialogo musicale avviato con le alternate presentazioni in forma canora e terminato con un brano corale che ha documentato in modo delicato e potente la profonda unità di cuore che lega Shodo Abukawa all’esperienza del Meeting.Grazie all’amicizia tra i chitarristi Marco Poeta e Marco Licci, è stato presentato un esperimento di crossover musicale tra il Fado portoghese e il Griko salentino. La nostalgia della chitarra portoghese, la forza del canto Griko e l’interpretazio-ne di alcuni testi tradizionali da parte di Giulia Poeta hanno offerto un ulteriore contributo e chiave di lettura alle parole prese a prestito da Mario Luzi: una serata di grande fascino di cui essere grati ancora una volta, merito della creatività e del ta-lento di alcuni artisti senza paura.

di Otello Cenci

L'artista è nudo!

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OTTOBRE 2015 59OTTOBRE 201558

SPETTACOLI SPETTACOLI

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SPETTACOLI

MARZO 2015MARZO 201560 61

SPETTACOLI

Durante il concerto Un cuore più grande della guerra i giovanissimi ragazzi del coro CET hanno prodigiosamente coinvolto oltre millecinquecento persone nell’ esecu-zione di un tradizionale canto di montagna, al termine di una stupenda serata realizzata grazie alla contagiosa passione e affascinan-te dedizione degli interpreti; e ancora per Teresa de Jesus sono state aggiunte tutte le sedie e le panche a disposizione della Chiesa del Suffragio, una delle chiese simbolo della città di Rimini. L’ opera in musica composta da un ensemble composto da attori, musici-sti, cantanti, compositori e autori di grande talento e realizzata grazie alla collaborazio-ne dello storico festival musicale della Sagra Malatestiana ha rivisitato un genere tradi-

zionale di rara freschezza e verità: il pubbli-co che ha riempito la chiesa ha ringraziato con un’ ovazione, continuata poi con diversi minuti di applausi. Impossibile dimenticare che questo è stato il Meeting di una grande opera come L’an-nuncio a Maria di Paul Claudel, ritradotta in maniera magistrale da Fabrizio Sinisi per ScenAperta: la compagnia, con una sana curiosità e un sincero affetto per il testo, si è confrontata con uno dei mostri sacri del teatro francese, ottenendo al termine i complimenti dall’ erede dell’autore, Violaine Claudel. Infine, grazie al talento e alla di-sponibilità di alcuni dei più importanti in-terpreti della scena teatrale internazionale, è stato possibile riascoltare una selezione di

poesie straordinarie sul tema della mancan-za. Lo spettacolo, costruito come un sogno lungo un giorno, dentro cui le voci, i suoni e le visioni si rincorrono e si accavallano come sensazioni, ha inaugurato un programma artistico definito dalla capacità di osare, sperimentando nuove strade e nuove forme suggerite da incontri, circostanze, passioni. Il coraggio di alcuni artisti di seguire piste non battute alla scoperta di se stessi e del mondo ha offerto alla manifestazione mo-menti di sorprendente bellezza e verità, confermandone la vivacità creativa. Finchè ci sarà questa voglia di mettersi a nudo e rischiare un confronto anche espressivo su temi importanti dell’esistenza, sarà bello co-struire insieme il Meeting di Rimini.

Un momento dello spettacolo “L’annuncio a Maria”

Il coro CET durante la sua esibizione al Meeting

Il cantante Morgan durante lo spettacolo “La dolce vita”

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PERSONAGGI E TESTIMONIVITA MEETING

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Meetingin progressLa campagna di fundraising avviata dal Meeting ha prodotto il risultato più sorprendente: l’afferma-zione della presenza di un popolo. Per entrare a far parte della Community e costruire con noi il Meeting vai sul sito www.meetingrimi-ni.org e clicca su “Sostienici”

RACCOLTA SETTIMANA MEETING

RACCOLTA ONLINE

FUNDRAISING DINNER: "LA MERAVIGLIA DELLE COSE"

CONTRIBUTO QUOTA VOLONTARI

87.23516.30028.86026.236

TOTALE 158.631UTILIZZO

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25%25%

CONVEGNI SPETTACOLI

MOSTRE VILLAGGIO RAGAZZI, SPORT E VOLONTARI

VITA MEETING

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VITA MEETING VITA MEETING

OTTOBRE 2015OTTOBRE 201564 65

I sorrisi, gli abbracci ma anche le foto scattate durante mostre o spettacoli; i video che hanno raccontato attimi di Rimini Fiera; le parole, le frasi,

le citazioni dei momenti salienti degli eventi; tutto racchiuso nell’hashtag #me-eting15.

L’altra faccia della manifestazione, quella dei visitatori, dei volontari e non solo, è racchiusa nelle esperienze e condivisio-ni online del “Vivilo con noi”. Un vero e proprio contenitore di emozioni dove scatti, momenti, pensieri, richieste, hanno portato a Rimini chi non poteva essere presente.

Un vero e proprio “bollettino informati-vo”, quello sui social network, sul sito ma anche attraverso il canale Youtube. Un filo che ha unito virtualmente tutto il mondo: servizi fotografici, interviste ai volontari, curatori di mostre, ospiti e attori; live degli eventi e on demand degli incontri. “Di che è mancanza questa mancanza, cuore, che a un tratto ne sei pieno”: l’edi-zione 2015 del Meeting ha registrato oltre 800mila presenze all’interno dei padiglio-ni della Fiera di Rimini, ma altrettanto si-

Anche quest’anno i ragazzi del team so-cial media hanno offerto gratuitamente il loro tempo per raccontare la manifesta-zione, lavorando continuamente per tra-smettere contenuti da ogni angolo della manifestazione. Hanno allietato i “navigatori” con live - tweet degli incontri, mostre, spettacoli ed eventi principali e hanno condiviso link e

Il Meeting3.0

gnificativi sono stai i numeri registrati sul web. Se il “seguito” su Facebook, Twitter e Instagram ha infatti raddoppiato i numeri della scorsa edizione, i dati più significa-tivi si sono registrati sul sito e sul canale Youtube, che da solo ha segnato un +57% rispetto all’anno precedente. I click dei visitatori del sito parlano chia-ro: 132.827 utenti unici, più di 1milione e 400 visualizzazioni di pagina da Pc, Ipad ma soprattutto da smartphone. Il traffico “mobile”, infatti, è cresciuto del 53% ri-spetto al 2014.Un dato riscontrato soprattutto nel “traf-fico” di condivisioni e nel numero di ac-cessi: che si fosse nei padiglioni della Fiera o altrove, ad esempio davanti al monitor del proprio computer, a lavoro o sulla spiaggia poco importava, l’importante è stato seguire il Meeting.

Ogni giorno, dal 20 al 26 agosto, tante fotogallery sono state proposte grazie a Flickr. Un contenitore di album che ritraevano la “vita” della manifestazione.Tantissime le visualizzazioni e condivisio-ni nel mondo web e social.

creato raccoglitori fotografici su Facebook (13.100 mi piace, +16% dal 2014). Dato curioso sui fan della pagina Meeting: il 52% sono donne, il restante 48% uomini.Il 26 agosto si è registrato il picco di 53.249 persone raggiunte, +116% rispet-to ai 365 giorni precedenti.A raccontare gli attimi della kermesse sono stati anche i tanti scatti su Insta-

gram. La mania, infatti, di fare e farsi foto e selfie dai padiglioni della fiera o dalla poltrona di casa ha contagiato davvero tanti. C’è chi ha postato il proprio autoscatto dalla mostra, spettacolo, attività sportiva o dal Villaggio Ragazzi, chi ha raccontato il proprio viaggio o lavoro al Meeting e chi poi dall’Italia e dall’estero si è mostrato sul

divano di casa mentre seguiva la diretta degli incontri live, o chi ha semplicemente usato #meeting15 per mostrare e dimo-strare la propria vicinanza. Una polaroid di ricordi quelli raccolti su Insta, un vero è proprio exploit di seguaci.

Novità 2015 le VIDEO NEWS, pillole d’informazione create da una squadra di giornalisti che hanno raccontato, in tempo reale, i fatti principali del giorno.Ospiti, curatori delle mostre, attori, can-tanti e volontari immortalati con teleca-mera e microfono alla mano. Video utiliz-zati nel mondo social ma resi disponibili anche su Youtube.I numeri: 53 servizi prodotti. Visuliazzazioni al 30 di settembre: 45.951 su FB - 38.135 sul canale Youtube

La piattaforma che ha permesso di vivere il Meeting anche da casa è stata Youtube. Ben 21 eventi sono stati trasmessi live, 74 in on-demand, 219mila visualizzazioni dei video, con una durata media di visione di oltre 12 minuti.Curiosità: il video più seguito in streaming è stato “L’Italia è la sfida del mondo”, con il Premier Renzi, mentre quello più visto on demand “La scelta di Abramo e le sfi-de del presente”.Infine, disparati i mezzi usati per segui-re, in tempo reale, la manifestazione: dal classico Pc (128.255), telefono(45.000) o Tablet (41.781) alla TV (3260) o ad-dirittura la console per videogiochi (206 utenti).Quel che è certo è che il Meeting conclu-so da poco è stato il più “social” tra tutte le edizioni.

Il Sito web, nel solo nel mese di agosto, ha registrato un milione e mezzo di visitatori di pagina. Twitter, Instagram e Facebook letteralmente sommersi da post con foto e video. L’altra faccia dell’evento è un Meeting a tutto social.

di Simona Angela Gallo

Alcuni post pubblicati sui profili social del Meeting

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VITA MEETING VITA MEETING

OTTOBRE 2015OTTOBRE 201566 67

Costruire. Questo il verbo che identifica, o meglio caratte-rizza, la partecipazione delle tante multinazionali e azien-

de leader del mercato che hanno scelto il Meeting.Esserci dunque sì, ma non semplicemen-te come elementare apparenza: parteci-pare al Meeting come sponsor, da qual-che anno, significa esprimere la volontà di essere una presenza, la decisione di

Perché una presenza è tale se si inseri-sce in un contesto comprendendone non solo le potenzialità, ma soprattutto le ne-cessità, i bisogni, la realtà. Fino ad arri-vare a quella comprensione che diventa azione, proattività diretta certamente ad un obiettivo, ma che contemporanea-mente sfocia in una compartecipazione con il Meeting e il suo cuore, le persone che lo popolano.

Partecipare alla vita di un popolo

concepire il proprio piano marketing come strumento di partecipazione, come chiave per entrare a far parte, impastan-dosi con storia, luoghi e persone e diven-tando “membra e corpo” di un evento. La scelta di esserci diventa così condivi-sione d’intenti e valori, nell’ottica di un Meeting che oggi ancora di più è incon-tro di popoli e culture in un luogo dove la differenza non è un ostacolo, ma un’oc-casione.

E allora dalla conoscenza e dalla condivi-sione nasce l’azione: succede così che un grande leader di mercato come Unipol - Sai, ad esempio, si appassioni alle mo-stre del Meeting fino a decidere di con-tribuire direttamente alla loro migliore valorizzazione, sponsorizzando comple-tamente la realizzazione delle audio gui-de e, cosa più importante, limitando al minimo l’inquinamento acustico a cui

spesso vengono costretti i visitatori. Visitare il Meeting, si sa, è un’occasione di straordinaria bellezza, ma a volte può essere non facile, soprattutto se si hanno figli molto piccoli. Come risolvere dunque il problema? Questo l’interrogativo che si è posto un’altra grande realtà internazionale, ENEL: ed ecco che il Villaggio Ragaz-zi si anima di nuove idee e iniziative per

i più piccoli, perché il Meeting sia una esperienza vera, anche per loro.Anche una grande realtà italiana come Ferrero, da sempre vicina alle famiglie e alle loro necessità, ha deciso di partecipa-re al Meeting coinvolgendosi attivamen-te con i bisogni e i desideri dei visitatori: è nato così il Kinder + Sport Village, un intero padiglione dedicato a sport, gare, giochi e iniziative per ragazzi e adulti di tutte le età, condividendo con il pubblico un modo di vivere il Meeting che diventa cultura dello stare assieme. Così essere partner del Meeting è oggi sempre di più modalità di incontro di un popolo, arrivando a condividerne bisogni ed esigenze e portando così all’interno dei padiglioni di Rimini Fiera quel fa-moso “valore aggiunto” che ogni buon progetto merita di conoscere.

Essere partner del Meeting significa diventare parte di un popolo, fino a condividerne necessità e desideri.

di Roberto Neri

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ESPERIENZE E PERCORSI

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TESTIMONIANZEESPERIENZE E PERCORSIVITA MEETING

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VITA MEETING

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Amici nello sport e nella vita.

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kinderpiusport.it

Che cos’è Kinder+Sport?Kinder+Sport è il progettodi responsabilità sociale di Ferrero, attivo in 27 paesi del mondo, nato per invogliare le nuove generazioni a condurre uno stile di vita sano all’inse-gna dell’attività fisica.

In Italia Kinder+ Sport collabora con il Coni e le principali Federazioni sportive per diffondere tra i giovani la passione per lo sport.

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