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Note del corso di Metodi Matematici della Meccanica Quantistica ”Chi dice di aver capito qualcosa della meccanica quantistica in realt`a non ha capito nulla” R. Feynman 1 Novembre, 2014

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Note del corso di

Metodi Matematici della Meccanica Quantistica

”Chi dice di aver capito qualcosa della meccanica quantistica in realta non hacapito nulla” R. Feynman

1 Novembre, 2014

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Bibliografia essenziale

- L.Landau e Lifsitz: Meccanica Quantistica non relativistica;- M.Reed e B.Simon:Methods of Mathematical Physics I. Functional Analysis (Academic

Press, 1980);- J.G.Taylor: Quantum Mechanics: an introduction (1970);- G.Teschl:Mathematical Methods in Quantum Mechanics, with applications to Schrodinger

operators (American Mathematical Society, 2009).

Citazioni serie ...

- ”I think I can safely say that nobody understands quantum mechanics”; Richard Feyn-man, Nobel Laureate.

- ”Anyone who is not shocked by quantum theory has not understood a single word”;Niels Bohr, Nobel Laureate.

- ”I do not like it (Quantum Mechanics), and I am sorry I ever had anything to dowith it” e ”Had I known that we were not going to get rid of this damned quantumjumping, I never would have involved myself in this business!”; Erwin Schrodinger,Nobel Laureate.

- ”God does not play dice with the cosmos”; Albert Einstein (Nobel Laureate). ”Do notpresume to tell God what to do”; Niels Bohr (Nobel Laureate), in risposta ad AlbertEinstein.

- ”If that (Quantum Mechanics) turns out to be true, I’ll quit physics”; Max von Laue,Nobel Laureate 1914, parlando a riguardo della tesi ondulatoria di de Broglie.

- ”A philosopher once said, ’It is necessary for the very existence of science that the sameconditions always produce the same results.’ Well, they don’t!”; Richard P. Feynman,Nobel Laureate.

... e meno serie ...

- ”Very interesting theory - it makes no sense at all”; Groucho Marx (attore comico diHollywood).

- ”You think quantum physics has the answer? I mean, you know, what purpose does itserve for me that time and space are exactly the same thing? I mean I ask a guy whattime it is, he tells me 6 miles? What the hell is that?”; Woody Allen tratto dal film”Anything else”

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Indice degli argomenti ragionato

1. Le difficolta della Meccanica Classica e la nascita della Meccanica Quantistica2. Equazione di Schrodinger indipendente dal tempo unidimensionale: proprieta generali

ed esempi notevoli3. Spazi di Hilbert: definizione e proprieta fondamentali, concetto di sistema ortonormale,

completezza, esempi notevoli di spazi di Hilbert e di sistemi ortonormale completi,teorema di proiezione.

4. Funzionale lineare e teorema di rappresentazione di Riesz.5. Operatori lineari limitati su uno spazio di Hilbert: definizione e norma dell’operatore;

aggiunto di un operatore lineare limitato.6. Convergenza forte e debole di vettori.7. Convergenza di operatori: convergenza forte e debole; convergenza in norma di oper-

atori limitati; estensione di un operatore limitato e densamente definito.8. Struttura assiomatica della Meccanica Quantistica.9. Operatore auto-aggiunto: definizione di operatore simmetrico, di operatore aggiunto

e di operatore auto-aggiunto; dominio di un operatore; operatori simmetrici e formequadratiche a valori reali; criterio di autogiunzione.

10. Esempi notevoli di operatori simmetrici e loro estensione (operatore di moltiplicazionee operatore differenziale).

11. Chiusura di un operatore: definizione e proprieta principali; operatore essenzialmenteauto-aggiunto e criterio di essenziale autogiunzione; Teorema del grafico chiuso.

12. Forme quadratiche ed estensione di Friedrichs: operatori simmetrici non-negativi e lim-itati dal basso; spazio dell’energia, Teorema di estensione di Friedrichs; forma quadrat-ica e dominio di forma; esempio notevole (operatore laplaciano unidimensionale).

13. Risolvente e spettro: operatore risolvente ed insieme risolvente; spettro di un opera-tore; prima formula del risolvente e sue conseguenze; esempio (risolvente dell’operatoredifferenziale); successione di Weyl.

14. Spettro di operatori auto-aggiunti ed unitari: proprieta fondamentali e stima dell’operatorerisolvente per operatori auto-aggiunti.

15. Teorema spettrale: definizione di p.v.m. e proprieta fondamentali; risoluzione dell’identitaP (λ); teorema spettrale e sue conseguenze; decomposizione spettrale per operatoriauto-aggiunti (spettro puramente puntuale, assolutamente continuo e singolare con-tinuo) e per operatori qualunque (spettro discreto ed essenziale); formula di Stone.

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VIII

16. Operatori relativamente limitati e Teorema di Kato-Rellich: definizione di operatorerelativamente limitato e proprieta principali; Teorema di Kato-Rellich; seconda formuladel risolvente.

17. Operatori di rango finito e compatti: definizione di operatore di rango finito; definizionedi operatore compatto e proprieta fondamentale; operatore relativamente compatto;operatori di Hilbert-Schmidt.

18. Teorema di Weyl: Criterio di Weyl; Teorema di Weyl.19. Convergenza del risolvente: definizione e proprieta fondamentali; criterio per la con-

vergenza del risolvente; Teorema di stabilita dello spettro.20. Principio di min-max.21. Teorema di Stone: operatore di evoluzione; generatore di un operatore di evoluzione;

Teorema di Stone.22. Teorema RAGE: Teorema di Wiener e media secondo Cesaro; Teorema RAGE.23. Operatore di Schrodinger libero: dominio di autogiunzione e spettro; operatore di

evoluzione temporale; forma esplicita dell’operatore risolvente.

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Sommario

1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11.1 Le difficolta della Meccanica Classica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1

1.1.1 La stabilita della materia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21.1.2 Spettro di emissione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21.1.3 Radiazione di un corpo nero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21.1.4 L’effetto fotoelettrico ed il fotone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3

1.2 Introduzione del quanto d’azione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4

2 Crash course in Quantum Mechanics for beginners . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72.1 Concetti fondamentali della Meccanica Quantistica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7

2.1.1 Funzione d’onda di una particella . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 72.1.2 Principio di sovrapposizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 82.1.3 Misure di una grandezza fisica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 82.1.4 Equazioni di Schrodinger e limite classico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 122.1.5 Stati stazionari ed equazione di Schrodinger indipendente dal tempo . 142.1.6 Proprieta fondamentali dell’operatore H e delle soluzioni

dell’equazione di Schrodinger indipendente dal tempo . . . . . . . . . . . . . . 152.2 Equazione di Schrodinger in dimensione 1- Applicazioni elementari . . . . . . . 18

2.2.1 Proprieta generali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 182.2.2 Esempi notevoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20

3 Operazioni elementari sugli spazi di Hilbert . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 333.1 Spazio di Hilbert . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 333.2 Base ortonormale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 363.3 Il teorema di proiezione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 383.4 Distribuzioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39

3.4.1 Spazio delle funzioni test . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 393.4.2 Definizione di distribuzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 393.4.3 Operazioni sulle distribuzioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40

3.5 Funzionale lineare e Teorema di rappresentazione di Riesz . . . . . . . . . . . . . . . 423.6 Operatore aggiunto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 453.7 Convergenza forte e debole di vettori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 463.8 Convergenza di operatori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48

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X Sommario

4 Operatori auto-aggiunti e spettro di operatori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 514.1 Struttura assiomatica della Meccanica Quantistica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 514.2 Operatori auto-aggiunti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53

4.2.1 Indice di difetto di un operatore simmetrico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 604.3 Chiusura di un operatore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 604.4 Forme quadratiche ed estensione di Friedrichs . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 634.5 Risolvente e spettro di un operatore lineare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67

4.5.1 Spettro di Operatori auto-aggiunti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 724.5.2 Somma ortogonale di operatori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 74

5 Teoria perturbativa per operatori auto-aggiunti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 755.1 Il Teorema spettrale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 75

5.1.1 Decomposizione spettrale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 825.2 Operatori relativamente limitati e teorema di Kato-Rellich . . . . . . . . . . . . . . . 835.3 Operatori di rango finito e operatori compatti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85

5.3.1 Operatori di Hilbert-Schmidt ed operatori di classe traccia . . . . . . . . . 875.4 Operatori relativamente compatti e Teorema di Weyl . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 885.5 Convergenza del risolvente in norma e forte . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 925.6 Il principio min-max. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 94

6 Dinamica di un sistema quantistico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 976.1 Il Teorema di Stone . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 976.2 Il Teorema Wiener . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1006.3 Il Teorema RAGE. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 101

7 Esempi notevoli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1057.1 L’operatore di Schrodinger libero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 105

7.1.1 Evoluzione temporale per il problema libero . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1077.1.2 Il risolvente e la funzione di Green. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 108

7.2 δ uni-dimensionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 109

A La trasformata di Fourier . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 111

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1

Introduzione

1.1 Le difficolta della Meccanica Classica

E ben noto che lo scopo della meccanica classica e determinato il moto di un dato sistemafisico riducendosi allo studio di un numero finito, anche se grande, di parametri lagrangianiqh(t) e determinandone il loro comportamento in funzione del tempo. Questo problemaviene affrontato partendo dalle leggi di Newton e la posizione e velocita iniziale del sistemadetermina lo stato del sistema ad ogni istante successivo.

Questa descrizioe classica di ogni sistema fisico in realta e stata dimostrata non piuadeguata verso la fine dell’ ’800; infatti certi fenomeni riguardanti sistemi di dimensionidell’ordine di 10−6 metri non potevano essere spiegati classicamente. Per spiegare questifenomeni ”recalcitranti” una nuova meccanica venne introdotta per sostituire la meccanicaclassica, questa meccanica venne chiamata ”Meccanica Quantistica” e riuscı nell’intentodi spiegare questi fenomeni, oltre che essere in accordo con la meccanica classica dovequesta era corretta.

La Meccanica Quantistica ha avuto sostanzialmente 2 periodi di sviluppo distinti.

- Il primo periodo inizia con l’introduzione del concetto di quanto d’azione nel 1900dovuto a Planck (o piu correttamente nel 1905 con il lavoro di Einstein). In questoperiodo la nuova meccanica era sostianzalmente una ”miscela” di concetti classici enon-classici, e non era considerata completamente soddisfacente.

- Il secondo periodo, che inizia nel 1925, e sostanzalmente frutto dei progressi, ottenutiindipendentemente ma alla fine equivalenti, di Heisenberg e Schrodinger. Le difficoltadella precedente versione della Meccanica Quantistica sono ora completamente risolteed e a questa versione che viene dato il nome di Meccanica Quantistica. L’approcciodi Schrodinger si basa sullo studio dell’equazione di Schrodinger ed e quello che noiadotteremo nel corso; l’approccio di Heisenberg, detto anche metodo delle matrici, nonviene da noi trattato. Comunque entrambi gli aprocci sono equivalenti.

In realta la Meccanica Quantistica, nella sua versione definitiva, descrive il compor-tamento di particelle quali atomi, elettroni, nuclei, molecole, fotoni, etc.. La descrizionedelle particelle sub-atomiche richiede un ulteriore sviluppo della Meccanica Quantisticache prende il nome di Quantum Field Theory e che inizia sostanzialmente attorno al 1947.

Riassumendo:

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2 1 Introduzione

- Meccanica Classica. Valida per oggetti di dimensione maggiore di 10−6 metri.- (Vecchia) Meccanica Quantistica. Nasce nel 1900/05 e fino al 1925 viene utilizzata

per descrivere la dinamica di oggetti di dimensione minore di 10−6 metri.- (Nuova) Meccanica Quantistica. Nasce nel 1925 viene utilizzata per descrivere la

dinamica di oggetti di dimensione minore di 10−6 metri, ma comunque di scala atomica(atomi, elettroni, etc.).

- Teoria dei campi quantistica. Nasce attorno al 1947 per descrivere la dinamica dioggetti di dimensione sub-atomica (quark, muoni, neutrini, etc.).

Per meglio comprendere lo sviluppo della Meccanica Quantistica sara di aiuto sof-fermarsi brevemente sui fenomeni ”recalcitranti” che non potevano spiegarsi classi-camente, seguendo la loro scansione temporale. Di fatto questi fenomeni ”recalci-tranti” nascono quando alle usuali legge della Meccanica Classica si accostano le leggidell’elettromagnetismo o della termodinamica.

1.1.1 La stabilita della materia

La materia e fatta di molecole, che a sua volta sono fatte di atomi. Gli atomi non sonomai in equilibrio, infatti essi sono costituiti di particelle cariche con diverse positivitatenuti insieme dalla legge di Coulomb. Seguendo l’approccio della Meccanica Classical’elettrone, come un satellite attratto da un pianeta, non cade sul nucleo solo se e in motolungo un’orbita. D’altra parte la teoria di Maxwell afferma che particelle cariche accel-erate devono emettere radiazione elettromagnetica, quindi l’elettrone attorno al nucleodovrebbe emettere radiazione e quindi perdere energia e rapidamente colassare sul nucleostesso nell’ordine di 10−10 secondi. E evidente che un tale collasso avrebbe conseguenzecatastrofiche e tutta la chimica non potrebbe funzionare; il fatto che i sistemi non col-lassino dopo 10−10 secondi significa che l’elettrone in orbita non emette radiazione (cheinfatti non viene misurata) e quindi la spiegazione classica e lei a colassare!

1.1.2 Spettro di emissione

Quando riscaldiamo un elemento (ad esempio una barra di metallo) o la sottometti-amo ad una forte scarica elettrica (come nel caso dei gas) esso emette una radiazioneelettromagnetica (luce). Questa radiazione e formata solamente da un certo numero difrequenze. La descizione classica stabilisce che queste frequenze devono essere le stesse(o loro combinazione lineare) delle frequenze normali dei moti periodici delle particellecariche negli atomi. Piu precisamente, se ωj sono le frequenze elementari allora noi ciaspettiamo (classicamente) di osservare frequenze della forma ω =

∑njωj dove nj sono

numeri interi positivi. In realta, quello che sperimentalmente si osserva e che le frequenzadell’emissione elettromagnetica sono della forma ω = ω′

n − ω′m dove ω′

n sono un fissatoinsieme di frequenze.

1.1.3 Radiazione di un corpo nero

Consideriamo la radiazione elettromagnetica all’interno di un dominio racchiuso che sia inequilibrio con l’ambiente; questa radiazione a anche storicamente detta radiazione di un

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1.1 Le difficolta della Meccanica Classica 3

corpo neroperche se pensiamo idealmente di fare un piccolo foro nell’involucro, per perme-ttere alla radiazione di uscire ed essere misurata, allora la radiazione che dall’esterno entranon ha praticamente possibilita di uscire e quindi il piccolo buco assorbe la radiazione, equindi appare come nero. La spiegazione classica porta a concludere che il numero (inrealta la funzione densita) n(ω) di onde elettromagnetiche con frequenza tra ω e ω + dωe dato da

n(ω)dω =8πω2

c3dω

dove c e la velocita della luce. In termini di energia sia ha che l’energia per unita divolume d’onda ha densita

E(ω)dω =8πω2

c3kTdω

dove T e la temperatura del corpo e k e la costante di Boltzmann. Quest’ultima prendeil nome di formula di Rayleigh-Jeans ed e in buon accordo con gli esperimenti solo perbasse frequenze; per alte frequenze essa non vale e cio non sorprende, infatti se vogliamocalcolare l’energia totale essa risulta essere

∫∞0 E(ω)dω e un integrale divergente.

Questo paradosso venne risolto da Planck nel 1900 per mezzo di una proposta radicale.Egli suggerı che la radiazione di una data frequenza ω puo solo scambiare energia con lamateria in pacchetti discreti di quanti, ognuno di energia hω, dove h e una costante, oradetta costante di Planck, che ha un valore fissato e che ha le dimensioni di una energiaper un tempo. Con questo approccio segue che la legge di distribuzione dell’energia hala forma

E(ω)dω =8πhω3

c31

ehω/kT − 1dω (1.1)

nota come legge di Planck. Osserviamo che per ω piccolo (o per T grande) ritroviamola legge di Rayleigh-Jeans. La legge di Planck descrive correttamente gli esperimenti perogni frequenza e l’energia totale emessa vale

∫ ∞

0E(ω)dω =

cT 4

dove

σ =2π5k4

15h3c2

e nota come costant di Stefan. Poiche c e noto e poiche l’energia totale si misura speri-mentalmente allora si trova che il valore della costante di Planck vale:

h = 6.55× 10−34 joule per secondo.

1.1.4 L’effetto fotoelettrico ed il fotone

Quando una luce ultra-violetta colpisce una superficie metallica si osserva sperimental-mente che si genera una corrente di elettroni, anche quando un potenziale ritardante e

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4 1 Introduzione

presente purche questo non sia troppo grande. Se il potenziale ritardante e abbastanzagrande allora non si osserva nessuna emissione di elettroni. Il piu grande potenziale rtar-dante per il quale si osserva emissione di elettroni viene denominato Vs ed e detto stoppingpotential, ed e proporzionale alla massima energia di elettroni emessa dalla superficieirradiata. Sulla base del formalismo classico ci si aspetta che l’energia degli elettroni au-menta con l’intensita della luce ultra-violetta e quindi, se l’energia della luce ultra-violettaaumenta, dovrebbe aumentare anche lo stopping potential. D’altra parte sperimental-mente e stato trovato che lo stopping potential era indipendente dall’intensita dellaluce, ma aumentava linearmente con la frequenza della luce. Questo fatto non trova sp-iegazione classica, infatti cambiare la frequenza non dovrebbe avere nessun effetto sullostopping potential.

L’estensione logica dell’ipotesi quantistica di Planck fu fatta nel 1905 da A. Einsteinper spiegare l’effetto fotoelettrico. Egli suggerı non solo che lo scambio di energia traradiazione e materia avviene attraverso pacchetti di quanti, ma che la radiazione ef-fettivamente consiste solamente di quanti discreti di energia detti fotoni, ognuno dienergia hω (dove ω e la frequenze della luce). Sulla base di questa ipotesi trova spiegazionel’effetto fotoelettrico; infatti se il fotone che colpisce la superficie metallica ha energia hωsuperiore al lavoro W necessario per ”strappare” l’elettrone all’atomo allora l’elettroneemergera con energia hω−W e quindi lo stopping potential sara questa differenza. QuindiVs sara linearmente proporzionale a ω e la costante di proporzionalita e la costante h. Erimarchevole sottolineare che tale costante di proporzionalita puo essere sperimentale mis-urata e coincide, con buon accordo, alla costante trovata nella radiazione del corpo nero.Piu precisamente, i dati sperimentali in possesso di Einstein nel 1905 gli permisero solodi stabilire che entrambe le costanti avevano valori compatibili; successivamente Millikanarrivo ad una misura piu precisa trovando che nell’effetto fotoelettrico

h = 6.5× 10−34 joule per secondo.

in sostanziale accordo con ilrisultato precedente.Le moderne misurazioni di h danno il valore

h = 6.62606896(33)× 10−34 joule per secondo.

1.2 Introduzione del quanto d’azione

La Meccanica Quantistica nasce con il concetto di quanto d’azione. Anche se e indis-cussa la parternita del quanto a Max Karl Ernst Ludwig Planck non e inutile vedere comequesto concetto e stato introdotto nel 1900.

Planck naque nel 1858 e venne nominato professore di Fisica presso l’Universita diBerlino nel 1889; la sua tesi di dottorato presso l’Universita di Monaco riguardava laseconda legge della termodinamica, argomento che fu soggetto di ricerca prevalente finoal 1905.

Lo studio della radiazione del corpo nero ebbe inizio nel 1859 con i lavori di RobertKirchoff, precedessore di Planck a Berlino. La prima legge empirica riguardante la radi-azione fu introdotta da Wien e derivata rigorosamente successivamente da Planck. Questa

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1.2 Introduzione del quanto d’azione 5

legge, inizialmente in accordo con gli esperimenti, venne messa rapidamente in discussionea causa di esperimenti realizzati a Berlino che mostravano che essa non descriveva corret-tamente lo spettro. Planck riprese le sue ricerche e arrivo finalmente alla legge (1.1) inaccordo con gli esperimenti, questa legge venne presentata alla riunione della Societa Fisicadella Germania il 19 Ottobre 1900. Nel Novembre 1900 Plack realizzo che la derivazionedella formula (1.1) non era basata su una derivazione rigorosa e cerco tenacemente dicolmare questa lacuna; questo risultato arrivo solamente il 14 Dicembre 1900 a seguito diun atto di disperazione (come Planck stesso commento il suo lavoro ”as an act of despair... I was ready to sacrifice any of my previous convictions about physics”): egli ammise,senza nessuna motivazione fisica ma solo come artificio matematico, che l’energia E siadi divisa in porzioni attraverso un processo di ”quantizzazione”.

Se il 14 Dicembre 1900 avvenne una rivoluzione non se ne accorse nessuno, nemmenoPlack. Di fatto la sua legge enunciata il 19 Ottobre 1900 fu immediatamente accettata, mala novita relativa all’introduzione dei quanti fu sostanzialmente ignorata. Uno delle pochepersone che prese sul serio l’idea di Planck fu un impiegato dell’ufficio brevetti di Zurigo:Albert Einstein, che nel 1905 pose l’idea dei quanti a base della spiegazione dell’effettofotoelettrico; a questo lavoro ne seguirono altri che posero le basi della Meccanica Quan-tistica.

Possiamo concludere che l’introduzione del quanto d’azione e avvenuto nel 1900 peropera di Planck, ma che la nascita della Meccanica Quantistica vede la luce nel 1905 conil lavoro di Albert Einstein.

The Nobel Prize in Physics 1918 was awarded to Max Planck ”in recognition of theservices he rendered to the advancement of Physics by his discovery of energy quanta”.

The Nobel Prize in Physics 1921 was awarded to Albert Einstein ”for his services toTheoretical Physics, and especially for his discovery of the law of the photoelectric effect”.

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2

Crash course in Quantum Mechanics for beginners

2.1 Concetti fondamentali della Meccanica Quantistica

2.1.1 Funzione d’onda di una particella

Denotiamo con q ∈ M = RN l’insieme delle coordinate di un sistema quantistico (nel caso

di una sola particella allora N = 3 in generale, nel caso di M particelle allora N = 3M),denotiamo poi con dq il prodotto dei differenziali di queste coordinate, cioe l’elementodi volume nello spazio delle configurazioni. Nel seguito, per semplicita, supponiamo diconsiderare una sola particella.

La meccanica quantistica nella interpretazione di Copenaghen si basa sulla propo-sizione che lo stato di un sistema ad ogni istante t puo essere descritto da una funzionedetta funzione d’onda a valori complessi ψ(q, t) delle coordinate e del tempo. Piu pre-cisamente il quadrato del modulo di questa funzione definisce la distribuzione delleprobabilita dei valori delle coordinate: sia A ⊆ M un qualunque insieme dello spaziodelle fasi misurabile, allora

P t(A) =∫

A|ψ(q, t)|2dq

e la probabilita di trovare la particella in A all’istante t. La funzione ψ prende il nomedi funzione d’onda.

Poiche la somma delle probabilita di tutti i valori possibili delle coordinate del sistemadeve, per definizione di probabilita, essere uguale a 1 allora segue che la funzione d’ondadeve soddisfare alla seguente condizione di normalizzazione

M|ψ(q, t)|2dq = 1 , ∀t. (2.1)

Quindi la funzione d’onda deve essere quadrato sommabile su tutto lo spazio delleconfigurazioni e l’ambito naturale in cui lavorare in meccanica quantistica e lo spazio diHilbert H = L2(M) sul quale e definito il prodotto scalare

〈f, g〉 =∫

Mf(q)g(q)dq .

La condizione di normalizzazione (2.1) si traduce quindi nella richiesta

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8 2 Crash course in Quantum Mechanics for beginners

‖ψ(·, t)‖ = 1 dove ‖f‖ =√〈f, f〉.

Poiche le grandezze fisiche dipendono dalla funzione d’onda attraverso il suo modulosegue che la funzione d’onda e sempre definita a meno di un fattore di fase deltipo eiα, dove α e una costante reale. Ovvero la funzione d’onda ψ e la funzione d’ondaψeiα definiscono lo stesso stato quantistico. Questa assenza di univocita non puo essereeliminata, tuttavia essa non e essenziale perche non influisce sulla descrizione del sistemaquantistico.

Inoltre osserviamo cheNota 2.1: Se una funzione d’onda ψ viene moltiplicata per un numero complesso c nonnullo, allora la nuova funzione d’onda cψ corrispondera allo stesso stato quantistico poiche,una volta normalizzata, ha la stessa funzione di distribuzione.

2.1.2 Principio di sovrapposizione

Il principio di sovrapposizione degli stati costituisce una delle tesi fondamentali dellameccanica quantistica. In forma elementare il principio di sovrapposizione degli stati sipuo esprimere nelle seguenti due proposizioni.

Ipotesi 1. Se un sistema si puo trovare in stati descritti dalle funzioni d’onda ψ1 eψ2, allora esso puo trovarsi anche in stati descritti da una funzione d’onda

ψ = a1ψ1 + a2ψ2

ottenuta mediante una combinazione lineare di ψ1 e ψ2; dove a1 e a2 sono dei numericomplessi qualsiasi indipendenti dal tempo.

Questa proposizione costituisce il principio fondamentale della meccanica quantisticae da esse segue necessariamente che tutte le equazioni cui soddisfano le funzioni d’ondadevono necessariamente essere lineari rispetto alla funzione d’onda ψ.

2.1.3 Misure di una grandezza fisica

Consideriamo una data grandezza fisica f a valori reale detta anche osservabile (ades. posizione, momento, energia, etc.) e i valori che questa puo assumere. In meccanicaclassica tipicamente puo assumere una distribuzione continua di valori. In meccanicaquantistica la situazione e diversa: i valori che l’osservabile puo assumere in meccanicaquantistica non sono, in generale, distribuiti con continuita e i valori ammessi sono dettiautovalori, e si parla del loro insieme come spettro puntuale. In meccanica quantis-tica esistono ugualmente fisiche (ad esempio le coordinate) i cui valori ammettono unadistribuzione continua, in tal caso si parla di spettro continuo. L’unione insiemisticadello spettro puntuale e dello spettro continuo prende il nome di spettro.

Dire che fn e l’autovalore associato all’osservabile f corrispondente all’autovettore ψnvuole dire che quando lo stato e rappresentato dalla funzione d’onda ψn allora l’osservabilef ha valore fn.

Supponiamo, al momento, che lo spettro sia puramente puntuale e indichiamo confn, n = 0, 1, 2, . . ., l’insieme dei suoi autovalori; indichiamo con ψn le funzioni d’onda cor-rispondenti allo stato quantistico di energia fn, queste funzioni sono denotate autovettorio autofunzioni e sono convenzionalmente assunte normalizzate, cioe

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2.1 Concetti fondamentali della Meccanica Quantistica 9

M|ψn(q)|2dq = 1 , ∀n.

In virtu del principio di sovrapposizione consideriamo una funzione d’onda combi-nazione lineare delle singole funzione d’onda

ψ(q) =∑

n

anψn , (2.2)

dove le costanti complesse an saranno scelte in modo da rendere questa somma conver-gente, nello spazio di Hilbert H assegnato. La nuova funzione d’onda normalizzata ψ(q)rappresenta un nuovo stato quantistico. Osserviamo che se l’insieme degli autovettori eun sistema ortonormale allora deve necessariamente essere

an = 〈ψn, ψ〉 =∫

Mψn(q)ψ(q)dq

e inoltre∑

n

|an|2 = 1 . (2.3)

Il viceversa non e sempre possibile, piu precisamente un qualunque stato quantisticopuo essere rappresentato da una funzione d’onda (2.2) se il sistema degli vettori ψn e unsistema (ortonormale) completo per lo spazio di Hilbert H.

Nel caso in cui lo spettro sia (almeno in parte) continuo allora questi concetti possonoessere generalizzati considerando, in alternativa alla (2.2), lo sviluppo

ψ(q) =∫

σcafψf (q)df

dove σc denota lo spettro continuo, ψf (q) la ”autofunzione” associata al valore fdell’osservabile e af denota una densita che deve essere normalizzata:

σc|af |2df = 1.

Sia dato uno stato quantistico avente rappresentazione data dalle funzioni d’onda ψdecomposte sugli autovettori ψn dalla (2.2). Introduciamo ora il concetto di valore medio(o valore atteso) 〈f〉 di un’osservabile f in un dato stato ψ definito dalla (2.2):

〈f〉 =∑

n

fn|an|2 (2.4)

dove fn sono i valori ammessi dal’osservabile f e dove abbiamo supposto lo spettro pura-mente discreto.

Introduciamo l’operatore integrale F formalmente definito su un vettore ”test” φ ∈ Hnel seguente modo:

(Fφ) (q) =∫

MK(q, q′)φ(q′)dq′

avente nucleo K definito come

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10 2 Crash course in Quantum Mechanics for beginners

K(q, q′) =∑

n

fnψn(q′)ψn(q)

Per definizione segue formalmente che l’operatore agisce sul vettore ψ definito dalla (2.2)nel seguente modo

(Fψ) (q) =∫

M

n

fnψn(q′)ψn(q)ψ(q

′)dq′

=∑

n

fnψn(q)∫

Mψn(q

′)ψ(q′)dq′ =∑

n

anfnψn(q)

e quindi

〈f〉 = 〈ψ, Fψ〉

Ovvero, l’operatore lineare F e l’operatore formalmente associato all’osservabile f , ed ilvalore attteso 〈f〉 e definito dall’azione dell’operatore F associato sulla funzione d’ondadello stato quantistico. Occorre osservare che questa procedura e al momento solo unaprocedura formale e non ben definita da un punto di vista matematico. Come risultatosi osserva che e possibile associare, mediante una opportuna operazione detta quantiz-zazione di un’osservabile, un’operatore lineare auto-aggiunto su uno spazio di HilbertH = L2(M):

Osservabile f −→ Operatore lineare F .

E immediato osservare che se la funzione ψ e una delle autofunzioni ψn (in modo chean′ = δn

n ) allora

Fψn = fnψn (2.5)

cioe i valori fn coincidono con gli autovalori dell’operatore lineare F e ψn ne sono gliautovettori associati.Nota 2.2: Poiche gli autovalori fn ed il valore medio 〈f〉 di una grandezza fisica a valorireali sono numeri reali allora l’operatore F deve essere un operatore simmetrico:

〈ψ, Fφ〉 = 〈Fψ, φ〉 , ∀ψ, φ ∈ H (2.6)

perche i suoi autovalori devono essere numeri reali. Infatti,

〈ψ, Fφ〉 =⟨∑

n

anψn, F∑

n′

bnψn′

=∑

n,n′

anbn′〈ψn, Fψn′〉 =∑

n,n′

anbn′〈ψn, fn′ψn′〉

=∑

n,n′

anbn′fn′〈ψn, ψn′〉 =∑

n,n′

anbn′fn′δn′

n

=∑

n

anbnfn

dalla relazione (2.5). Similmente segue che

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2.1 Concetti fondamentali della Meccanica Quantistica 11

〈Fψ, φ〉 =∑

n

anbnfn

dove le due sommatorie coincidono poiche fn = fn.Gli operatori lineari che soddisfano alla condizione (2.6) prendono il nome di oper-

atori hermitiani o operatori simmetrici; quindi gli operatori che sono di interessenell’apparato matematico della meccanica quantistica, corrispondenti a grandezze fisichereali, devono essere hermitiani. Esiste la seguente corrispondenza tra osservabili classichee operatori lineari:

coordinata spaziale x→ xmomento px → −ih ∂

∂x

Energia E = 12mp2 + V (x1, . . . , xN) → H = − h2

2m∆+ V (x1, . . . , xN )

dove

∆ =N∑

j=1

∂2

∂x2j

e dove h e una costante introdotta da M. Planck nel 1900 (piu esattamente Planck intro-dusse la costante h = 2πh) che vale

h = 1.054 · 10−27 erg · s.

Consideriamo ora due osservabili classiche f e g e i due operatori associati F e G. Se leosservabili f e g possono essere simultaneamente misurabili allora entrambe insistonosugli stessi autovettori ψn (con autovalori fn e gn non necessariamente coincidenti).Di conseguenza il prodotto dei due operatori ha come risultato

FGψ = FG∑

n

anψn =∑

fngnanψn

e similmente

GFψ = GF∑

n

anψn =∑

gnfnanψn .

Di conseguenza possiamo affermare che i due operatori commutano:

[F,G] = FG−GF = 0 .

Poiche vale il viceversa possiamo affermare che date due osservabili f e g e dati glioperatori associati F e G allora le due osservabili sono misurabili simultanea-mente se, e solo se, i due operatori associati commutano tra loro.Esempio 2.1: Le osservabili x e px non sono misurabili simultaneamente. Infatti

x→ x e px → −ih ∂∂x

e quindi

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12 2 Crash course in Quantum Mechanics for beginners

[x,−ih ∂

∂x

]= ih 6= 0 .

Invece x e py sono misurabili simultaneamente, infatti[x,−ih ∂

∂y

]= 0 .

Nota 2.3: Come conseguenza del fatto che[x,−ih ∂

∂x

]= ih e

[x,−ih ∂

∂y

]= 0

vale la seguente disuguaglianza (detto principio di indeterminazione di Heisemberg)

∆x∆px ≥1

2h e ∆x∆py ≥ 0

in cui ∆x l’errore sulla posizione e ∆px (risp. ∆py) quello sulla quantit di moto rispettoalla direzione x (risp. y).

2.1.4 Equazioni di Schrodinger e limite classico

Nella meccanica quantistica la funzione d’onda ψ determina, ad ogni istante, in modocompleto lo stato di un sistema fisico. Di conseguenza la sua variazione temporale ∂ψ

∂tdeve essere determinata a partire dalla funzione stessa:

∂ψ

∂t= H(ψ)

per una dato operatore H. D’altra parte, per il principio di sovrapposizione necessari-amente segue che la dipendenza di H da ψ deve essere lineare e quindi tale equazioneprende la forma

ih∂ψ

∂t= Hψ , ψ = ψ(q, t), (2.7)

dove H e un operatore lineare, dove il fattore i e legato alla conservazione della norma diψ e dove h e la costante di Plack.Nota 2.4: L’operatore H deve essere hermitiano, cio segue dalla conservazione dellanorma: se ‖ψ(·, t)‖ = 1 allora

0 =d

dt〈ψ(·, t), ψ(·, t)〉 =

⟨∂ψ

∂t(·, t), ψ(·, t)

⟩+

⟨ψ(·, t), ∂ψ

∂t(·, t)

=1

h[〈−iHψ(·, t), ψ(·, t)〉+ 〈ψ(·, t),−iHψ(·, t)〉]

=i

h[〈Hψ(·, t), ψ(·, t)〉 − 〈ψ(·, t), Hψ(·, t)〉]

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2.1 Concetti fondamentali della Meccanica Quantistica 13

Come operatore H viene scelto l’operatore associato all’osservabile energia:

H = − h2

2m∆+ V (2.8)

in tale modo l’equazione di Schrodinger dipendente dal tempo prende la forma

ih∂ψ

∂t=

[− h2

2m∆+ V

]ψ , ψ = ψ(q, t). (2.9)

Tal scelta e l’unica compatibile con il principio di corrispondenza formulato da N.Bohr nel 1920

Ipotesi 2. Le grandezze fisiche quantistiche devono tendere alle corrispondenti clas-siche nel limite macroscopico.

Con limite macroscopico si intende una scala fisica nella quale l’azione classica

S =∫L [q(t), q(t)] dt

e molto piu grande della costante di Planck h. In questo limite si puo sostanzialmenteaffermare che h e trascurabile e che gli effetti quantistici sono molto piccoli. Per questaragione il limite macroscopico si chiama anche limite semiclassico e si denota, in modoimproprio, h→ 0; questo limite non deve essere ovviamente preso alla lettera, infatti h euna costante (molto piccola) che non puo variare e comunque porre h = 0 nell’equazione(2.9) darebbe luogo ad un limite singolare.

Per rendersi conto del limite classico andiamo a considerare l’equazione (2.9) dove cer-chiamo la soluzione ψ(q, t) nella seguente forma (detta trasformazione di Madelung)

ψ(q, t) = a(q, t)eiS(q,t)/h

dove a ed S sono due funzioni incognite a valori reali. Sostituendo e separando tra lorola parte reale ed immaginaria si trova che queste devono soddisfare al seguente sistema diequazioni

∂S∂t

+ 12m

(∇S)2 + V − h2

2ma∆a = 0

∂a∂t

+ a2m∆S + 1

m∇S · ∇a = 0

Trascurando nella prima di queste equazioni il termine contenente h2 (limite semiclassico)si ottiene che la funzione S soddisfa all’equazione

∂S

∂t+

1

2m(∇S)2 + V = 0 (2.10)

che risulta essere l’equazione classica di Hamilton-Jacobi per l’azione S della particella.Dalla seconda equazione si ottiene invece la seguente relazione

∂a2

∂t+ div

(a2

∇Sm

)= 0

A questa equazione possiamo attribuire un significato fisico importante: ricordando che

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14 2 Crash course in Quantum Mechanics for beginners

ρ := |a|2 = |ψ|2

rappresenta la densita di probabilita e che dalla (2.10) ∇Sm

= pm

= v rappresenta la velocitaclassica della particella allora l’equazione

ρ+ div (ρv) = 0

rappresenta l’equazione di continuita per la densita ρ che esprime il fatto che la densitadi probabilita ρ si evolve nel tempo spostandosi secondo le leggi della meccanica classicaattraverso la velocita v.

2.1.5 Stati stazionari ed equazione di Schrodinger indipendente dal tempo

La legge di conservazione dell’energia in meccanica classica implica che l’energia di un datostato quantistico si conserva nel tempo. Infatti, sia H l’operatore associato all’energia E esia f una qualunque altra osservabile associata ad un operatore F , e immediato osservareche ponendo 〈f〉 = 〈ψ, Fψ〉

d〈f〉dt

=d

dt〈ψ, Fψ〉 dove ψ = ψ(q, t)

= 〈ψ, Fψ〉+ 〈ψ, Fψ〉+ 〈ψ, ψF 〉= 〈ψ, Fψ〉+ 1

h[〈−iHψ, Fψ〉+ 〈ψ,−iFHψ〉]

= 〈ψ, Fψ〉+ i

h〈ψ, [H,F ]ψ, 〉

=∂

∂t〈f〉+ i

h〈ψ, [H,F ]ψ〉

In particolare, se F = H e se lo stato ψ corrisponde ad una autofunzione ψn di autovaloreEn segue che

dEndt

=d〈E〉dt

=∂

∂t〈E〉+ i

h〈ψn, [H,H]ψn〉 = 0

poiche E non dipende esplicitamente dal tempo e [H,H] = 0Gli stati di un sistema in cui l’energia ha valori determinati En sono detti stati

stazionari; la funzione d’onda ψn associata ha una forma ben definita, infatti l’equazione(2.7) prende la forma

ih∂ψn∂t

= Hψn = Enψn

che ha soluzione elementare

ψn(q, t) = e−iEnt/hψn(q) (2.11)

dove En e ψn(q) sono la soluzione del seguente problema agli autovalori[− h2

2m∆+ V

]ψ = Eψ (2.12)

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2.1 Concetti fondamentali della Meccanica Quantistica 15

L’equazione (2.12) prende il nome di equazione di Schrodinger indipendente daltempo e gioca un ruolo molto importante.

Supponiamo, per un momento, che il problema agli autovalori Hψ = Eψ ammettasoluzioni ψn ed En con ψn ∈ H = L2(M), cioe quadrato sommabili; supponiamo inoltreche la famiglia delle autofunzioni ψnn costituisca un sistema (ortonormale) completo.Di conseguenza, in virtu del metodo di separazione delle variabli e assumendo che lospettro di H sia puramente puntuale, la soluzione generale del problema (2.9) prendela forma

ψ(q, t) =∑

n

ane−iEnt/hψn(q) (2.13)

dove i coefficienti an sono determinati dalla funzione d’onda in un dato istante inizialeψ0(q) = ψ(q, 0) attraverso la relazione

an = 〈ψn, ψ0〉

e dove i quadrati |an|2 rappresentano fisicamente le probabilita dei diversi valori dell’energiadel sistema.

Se lo spettro non e puramente puntuale, ma e ammesso anche una parte di spettrocontinuo σc, allora per E ∈ σc la corrispondente soluzione ψE(q) dell’equazione (2.12) nonsara quadrato sommabile (ma solamente limitata) e il contributo della spettro continuoalla soluzione generale sara dato da

ψ(q, t) =∫

σcaEe

−iEt/hψE(q)dE

Di qui in seguito assumiamo che lo spettro sia puramente puntuale e enunciamo(ed in parte dimostriamo) alcune proprieta fondamentali degli autovettori. Premettiamoche lo stato stazionario con valore dell’energia minimo tra tutti quelli possibili si chiamastato fondamentale, o anche ground state, del sistema.

2.1.6 Proprieta fondamentali dell’operatore H e delle soluzioni dell’equazione di

Schrodinger indipendente dal tempo

Anzitutto osserviamo che l’operatore H = − h2

2m∆+V , definito su H = L2(M) nell’ipotesi

in cui M = RN e V (x) e a valori reali, e simmetrico. Infatti, siano dati due vettori test

ϕ, ψ ∈ C∞0 (RN) e osserviamo che (per fissare le idee poniamo N = 1)

〈Hψ,ϕ〉 = 1

2m

R

[(−ih ∂

∂x

)·(−ih ∂

∂x

)ψ(q)

]ϕ(q) dq +

RV (q)ψ(q)ϕ(q) dq

= limR→+∞

1

2m

|q|≤R

[(−ih ∂

∂x

)·(−ih ∂

∂x

)ψ(q)

]ϕ(q) dq +

RV (q)ψ(q)ϕ(q) dq

= limR→+∞

1

2m

[(

−ih∂ψ(q)∂x

)ϕ(q)

]R

−R−∫

|q|≤R

(−ih∂ψ(q)

∂x

)(−ih∂ϕ(q)

∂x

)dq

+

+∫

RV (q)ψ(q)ϕ(q) dq

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16 2 Crash course in Quantum Mechanics for beginners

= limR→+∞

1

2m

[−∫

|q|≤R

(−ih∂ψ(q)

∂x

)(−ih∂ϕ(q)

∂x

)dq

]+∫

RV (q)ψ(q)ϕ(q) dq

= limR→+∞

1

2m

[ψ(q)

(−ih∂ϕ(q)

∂x

)]R

−R+∫

|q|≤Rψ(q)

[(−ih ∂

∂x

)(−ih ∂

∂x

)ϕ(q)

]dq

+

+∫

RV (q)ψ(q)ϕ(q) dq

= limR→+∞

1

2m

|q|≤Rψ(q)

[(−ih ∂

∂x

)(−ih ∂

∂x

)ϕ(q)

]dq +

RV (q)ψ(q)ϕ(q) dq

= 〈ψ,Hϕ〉

Poiche lo spazio C∞0 e denso in L2 la proprieta vale.

Proprieta 1

Stati stazionari ψn e ψm corrispondenti a diversi livelli En 6= Em dell’energia sono ortog-onali tra loro:

En〈ψn, ψm〉 = 〈Enψn, ψm〉 = 〈Hψn, ψm〉 = 〈ψn, Hψm〉 = 〈ψn, Emψm〉= Em〈ψn, ψm〉

poiche H e simmetrico, da cui segue che (En − Em)〈ψn, ψm〉 = 0. Osserviamo che statistazionari degeneri, ovvero corrispondenti ad uno stesso livello energetico, non sono nec-essariamente ortogonali tra loro; e comunque sempre possibile, mediante una opportunascelta, determinare stati stazionari ortonormali.

Proprieta 2

Poiche in uno stato stazionario (discreto) la norma ‖ψ‖2 = 1 e finita segue che la funzioned’onda deve decrescere rapidamente all’infinito e quindi il sistema si ”muove” in unaregione finita, si trova cioe in uno stato legato. Diverso e il caso dello spettrocontinuo in cui la norma ‖ψ‖2 non e finita.

Proprieta 3

Se l’energia potenziale V (q) e una funzione continua a tratti allora la funzione d’onda,soluzione dell’equazione (2.12), e continua insieme alla sua derivata prima; solo nel caso incui l’energia potenziale sia singolare sono presenti discontinuita nella funzione d’onda. Inparticolare se l’energia potenziale V ”assume” il valore ∞ in una regione allora su questaregione la funzione d’onda deve annullarsi identicamente.

Proprieta 4

Sia

Vmin = minq∈M

V (q)

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2.1 Concetti fondamentali della Meccanica Quantistica 17

Allora i valori dell’energia En in corrispondenza agli stati stazionari soddisfano allaseguente proprieta

En > Vmin. (2.14)

Infatti, sia ψn l’autovettore associato, esso ovviamente non puo essere identicamentecostante e inoltre soddisfa alla relazione (2.12); di conseguenza, moltiplicandola scalar-mente per ψn, si ottiene la seguente reazione

h2

2m〈ψn, (i∇)2ψn〉+ 〈ψn, V ψn〉 = En

Poiche

〈ψn, V ψn〉 ≥ 〈ψn, Vminψn〉 = Vmin

e

〈ψn, (i∇)2ψn〉 = 〈i∇ψn, i∇ψn〉 > 0

allora segue la disuguaglianza (2.14).

Proprieta 5

Sia

V∞ = lim infq→∞ V (q)

allora le soluzioni E < V∞ del problema (2.12) corrispondono a stati legati, cioe i cor-rispondenti autovettori sono quadrato sommabili. D’altra parte, le soluzioni E ≥ V∞ delproblema (2.12) corrispondono a stati non legati, cioe i corrispondenti autovettori nonsono quadrato sommabili. Ovvero, se denotiamo con σp lo spettro puntuale e con σc lospettro continuo segue che

σp ⊂ (Vmin, V∞) e σc ⊆ [V∞,+∞).

Proprieta 6

Sia E un autovalore non degenere soluzione dell’equazione (2.12) con autofunzione as-sociata ψ, allora ψ puo sempre essere scelta a valori reali. Infatti, se ψ e soluzionedell’equazione (2.12) allora, prendendone il complesso coniugato, segue che anche ψ ne esoluzione (assumendo che V e a valori reali), e di conseguenza anche la loro combinazionelineare 1

2(ψ + ψ) ne e soluzione. Osserviamo inoltre che se una funzione d’onda ψ e

soluzione dell’equazione (2.9) allora l’equazione ottenuta a partire dalla (2.9) invertendol’asse dei tempi t→ −t ammette soluzione ψ.

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18 2 Crash course in Quantum Mechanics for beginners

Proprieta 7

Il calcolo degli autovalori del problema (2.12) puo essere affrontato in modo variazionale.Introduciamo il funzionale energia

F : H = L2(M) → R

definito nel seguente modo (su un dominio appropriato)

F(ψ) = 〈ψ,Hψ〉 = h2

2m〈ψ, (i∇)2ψ〉+ 〈ψ, V ψ〉

=h2

2m〈i∇ψ, i∇ψ〉+ 〈ψ, V ψ〉 = h2

2m‖i∇ψ‖2 + 〈ψ, V ψ〉

Da qui appare che il dominio del funzionale e lo spazio di Sobolev H1, con condizioni dinormalizzazione ‖ψ‖ = 1. Premesso cio segue che gli autovettori di H sono tutti e solii ”punti” di stazionarieta per F . In particolare il minimo del funzionale sara il groundstate dell’operatore H:

minψ∈H1, ‖ψ‖=1

F(ψ) = E0.

Il ”punto” ψ0 di stazionarieta in corrispondenza al quale si determina in minimo delfunzionale F(ψ0) = E0 sara quindi l’autovettore (in senso debole) di H associato a E0. Invirtu di teoremi del calcolo variazionale si puo sempre dimostrare che ψ0 non si annullamai in alcun punto.

Per determinare il secondo autovalore E1 andreamo a cercare il minimo del funzionaleF sul sottospazio ortogonale a ψ0:

E1 = minψ∈H1, ‖ψ‖=1, 〈ψ,ψ0〉=0

F(ψ)

e di seguito gli altri autovalori.

Proprieta 8

Il livello energetico corrispondente al ground state e sempre non degenere. Infatti, seesso fosse degenere allora esistono almeno due diverse autofunzioni ψ′

0 e ψ′′0 corrispondeti

ad E0, ed anche una loro combinazione lineare c′ψ′0+c

′′ψ′′0 e associata allo stesso autovalore

E0. D’altra parte quest’ultima funzione si puo annullare in un qualunque punto prefissatoper una opportuna scelta delle costanti c′ e c′′ in contraddizione con il fatto che la funzioned’onda associata al ground state non si annulla mai.

2.2 Equazione di Schrodinger in dimensione 1- Applicazioni elementari

2.2.1 Proprieta generali

Consideriamo il caso particolare in cui la dimensione dello spazio si riduce a 1. In questocaso l’equazione indipendente dal tempo prende la forma

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2.2 Equazione di Schrodinger in dimensione 1- Applicazioni elementari 19

d2ψ

dx2+

2m

h2[E − V (x)]ψ = 0, ‖ψ‖ =

[∫

R|ψ(x)|2 dx

]1/2= 1 (2.15)

Anzitutto osserviamo che se V (x) e una funzione di classe Cr allora la soluzione ψ(x) delproblema agli autovettori (2.15) deve essere di classe Cr+2.

Una prima proprieta caratteristica dei sistemi unidimensionali e la seguente.

Teorema 2.1. I livelli energetici dello spettro puntuale sono non degeneri.

Dimostrazione. Supponiamo, per assurdo, che ad un dato valore E corrispondono due aut-ofunzioni ψ1 e ψ2 linearmente indipendenti. Poiche sono soluzioni della stessa equazionedeve essere

ψ′′1

ψ1

=2m

h2[E − V (x)] =

ψ′′2

ψ2

ovvero

ψ′′1ψ2 − ψ′′

2ψ1 = 0 .

Integrando ambo i membri segue che deve essere

ψ′1(x)ψ2(x)− ψ′

2(x)ψ1(x) = C

dove C e una costante. Poiche questa relazione vale per ogni x, e quindi vale anche nellimite x→ ±∞, e poiche le funzioni ψ1,2(x) sono quadrato sommabili e quindi si annullanoall’infinito segue che deve essere C = 0. Di conseguenze

ψ′1(x)ψ2(x)− ψ′

2(x)ψ1(x) = 0

da cui segue

ψ′1

ψ1

=ψ′2

ψ2

.

Integrando una seconda volta segue che deve essere ψ2 = cψ1, cioe le due funzioni sonolinearmente indipendenti, cadendo in assurdo.

Un secondo risultato, del quale omettiamo la dimostrazione, e il seguente.

Teorema 2.2. Consideriamo gli autovalori En dello spettro puntuale, ordinati in ordinecrescente, e siano ψn gli autovettori associati, n = 0, 1, 2, . . .. Il numero degli zeri realidi ψn(x), contandone la molteplicita, e esattamente uguale a n.

Se il potenziale e soggetto a proprieta di simmetria allora queste si riflettono anchesulle soluzioni.

Teorema 2.3. Se V (x) e una funzione pari, ovvero V (−x) = V (x), allora le autofunzioniψn(x) sono funzioni pari se n = 0, 2, 4, . . ., sono invece funzioni dispari se n = 1, 3, 5, . . ..

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20 2 Crash course in Quantum Mechanics for beginners

Dimostrazione. Infatti, se V (−x) = V (x) allora l’equazione (2.15) con soluzione reale ψ(x)resta invariata se scambiamo x→ −x e di conseguenza ψ(−x) e anch’esso soluzione. Perla condizione di non degenerazione deve essere ψ(−x) = cψ(x) per una qualche costantec e, dalla condizione di normalizzazione, deve essere c = ±1. Quindi le soluzioni ψ(x)sono funzioni pari o dispari. D’altra parte se n e pari allora l’autofunzione ammette unnumero pari di zeri, e quindi non puo che essere una funzione pari; se invece n e dispariallora l’autofunzione ammette un numero dispari di zeri, e quindi non puo che essere unafunzione dispari.

2.2.2 Esempi notevoli

Particella in dimensione 1 in una scatola

Come prima applicazione consideriamo un modello molto semplice: una particella in di-mensione 1 mobile tra due barriere di potenziale in x = 0 ed x = a, a > 0. Il potenzialeV (x) si scrive come

V (x) =

+∞ se x < 0 o x > a0 se 0 ≤ x ≤ a

.

Quindi, per 0 ≤ x ≤ a, la particella e libera ed essa non puo penetrare le due barriereinfinite; ovvero ψ(x) ≡ 0 per x ≤ 0 e per x ≥ a, gli estremi sono inclusi per continuitadella funzione d’onda in x = 0 ed in x = a.

Come primo passo studiamo l’equazione di Schrodinger indipendente dal tempo all’internodell’intervallo [0, a]

− h2

2m

d2

dx2ψ(x) = Eψ(x) (2.16)

con condizioni al contorno

ψ(0) = ψ(a) = 0

e con condizione di normalizzazione∫ a

0|ψ(x)|2dx = 1

E immediato riconoscere che l’equazione (2.16) non ha soluzioni compatibili con lecondizioni al contorno per E ≤ 0, per determinare le soluzioni corrispondenti a E > 0poniamo

k =

√2mE

h

e la soluzione generale dell’equazione d2

dx2ψ(x) = −k2ψ(x) ha la forma

ψ(x) = C sin(kx+ ϕ) .

Dalla condizione ψ(0) = 0 immediatamente segue che ϕ = 0, dalla seconda condizioneψ(a) = 0 segue invece che il parametro k non puo essere arbitrario ma deve soddisfare

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2.2 Equazione di Schrodinger in dimensione 1- Applicazioni elementari 21

alla condizione ka = nπ, n ∈ N. Quindi abbiamo una famiglia di soluzioni ψn+∞n=1 date

da

ψn(x) = Cn sin(knx), kn =nπ

a, (2.17)

corrispondenti al valore dell’energia En = π2h2

2ma2n2. La costante Cn di normalizzazione e

semplicemente Cn =√2/a. In conclusione, gli autovalori e le autofunzioni associate sono

date da

ψn(x) =

√2

asin

(nπ

ax), En =

π2h2

2ma2n2 , n = 1, 2, . . . . (2.18)

Nota 2.5: Si osserva che la densita dei livelli energetici En aumenta al crescere di a e dim; questo fatto implica che quando m ed a sono grandi (come nel caso dei corpi macro-scopici) allora i livelli quantistici diventano approssimativamente continui. Similmenteper h molto piccolo.Nota 2.6: Dalla teoria delle serie di Fourier si puo osservare che l’insieme delle autofun-zioni e una base per lo spazio di Banach X delle funzioni continue in [0, a] con condizionenulle agli estremi. Se denotiamo conH lo spazio di Hilbert delle funzioni quadrato somma-bili su [0, a] con condizione nulle agli estremi e se osserviamo che X ⊂ H ed e denso in Hcon la norma L2 allora possiamo affermare che ogni ψ ∈ H puo essere decomposta comesomma di una serie di Fourier convergente il H:

ψ(x) =+∞∑

n=1

cnψn(x) , cn = 〈ψn, ψ〉 =∫ a

0ψn(x)ψ(x)dx .

Poiche ψnn costituisce una base per lo spazio H siamo ora in grado di determinarela soluzione ψ(x, t) dell’equazione di Schrodinger dipendente dal tempo

ih∂

∂tψ = − h2

2m

∂2

∂x2ψ , x ∈ [0, a] , ψ(0) = ψ(a) = 0 ,

a partire da una configurazione iniziale ψ(x, 0) = ψ0(x) ∈ H. Ponendo

ψ0(x) =+∞∑

n=1

cnψn(x), cn = 〈ψn, ψ0〉 ,

segue che la soluzione ψ(x, t) ha la forma

ψ(x, t) =+∞∑

n=1

cnψn(x)e−iEnt/h =

√2

a

+∞∑

n=1

cne−i π2h

2ma2n2t sin

(nπ

ax). (2.19)

Esercizio 2.1: Poniamo a = 1, m = 1 e h = 1 e scegliamo le condizioni iniziali

ψ0(x) = cx(x− 1)eivx , v ∈ R

dove c e una costante di normalizzazione. Determinare c e la soluzione ψ(x, t) dell’equazionedi Schrodinger dipendente dal tempo mediante la serie (2.19). Calcolare poi per diversivalori di v

〈x〉 = 〈ψ(·, t), ·ψ(·, t)〉 =∫ a

0x|ψ(x, t)|2dx .

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22 2 Crash course in Quantum Mechanics for beginners

Buca di potenziale finita

Consideriamo ora un modello piu complesso: il potenziale esterno e una buca quadrata diprofondita finita:

V (x) =

V0 se x < 0 o x > a0 se 0 ≤ x ≤ a

,

dove V0 > 0 e un valore fissato. Distinguiamo l’asse reale in tre regioni

(I) x < 0(II) 0 ≤ x ≤ a(III) a < x

e cerchiamo le soluzioni dell’equazione di Schrodinger indipendente dal tempo per valoridell’energia E ∈ (0, V0). Nelle regioni (I) e (III) questa equazione prende la forma(imponendo fin d’ora che ψ ∈ L2)

d2

dx2ψ = h2ψ, dove h =

√2m(V0 − E)

h.

Nella regione (II) l’equazione prende la forma

d2

dx2ψ = −k2ψ, dove k =

√2mE

h.

Osserviamo che per E = 0 segue che k = kmin = 0 e per E = V0 allora k = kmax =√2mV0h

.La soluzione generale prende quindi la forma

ψI(x) = cI · ehx , x < 0ψII(x) = cII · sin(kx+ ϕ) , 0 ≤ x ≤ aψIII(x) = cIII · e−hx , x > a

(2.20)

dove dobbiamo imporre la condizione di continuita della funzione d’onda ψ e della suaderivata prima in corrispondenza di x = 0 e x = a (matching conditions):

ψI(0) = ψII(0)ψ′I(0) = ψ′

II(0)ψII(a) = ψIII(a)ψ′II(a) = ψ′

III(a)

cI = cII sin(ϕ)cIh = cIIk cos(ϕ)cII sin(ka+ ϕ) = cIIIe

−ha

cIIk cos(ka+ ϕ) = −cIIIhe−ha(2.21)

Da quest’ultimo sistema si perviene alla seguente condizione

tan(ϕ) =k

he tan(ka+ ϕ) = −k

h,

ovvero deve valere la seguente condizione

nπ − ka = 2arctan

(k

h

), n = 1, 2, . . . , (2.22)

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2.2 Equazione di Schrodinger in dimensione 1- Applicazioni elementari 23

dove la funzione arctan prende valori nell’intervallo [0, π/2]. Tornando all’espressioneiniziale di h e k in funione di E si perviene all’equazione

f(E) = g(E) dove f(E) := nπ −√2a2mE

h, g(E) := 2arctan

(√E

V0 − E

)(2.23)

E immediato osservare che f(E) e una funzione monotona decrescente tale che

f(0) = nπ > 0 e f(V0) = nπ −√2a2mV0h

;

inoltre g(E) e una funzione monotona crescente e tale che

g(0) = 0 e g(V0) = π .

Quindi,per ogni fissato n l’equazione f(E) = g(E) ammette una sola soluzione En =h2k2n/2m a condizione che il parametro n sia tale che

g(V0) > f(V0) ⇒√2a2mV0h

> (n− 1)π . (2.24)

Le rimanenti equazioni del sistema (2.21) e la condizione di normalizzazione

1 =∫ +∞

−∞|ψ(x)|2dx =

∫ 0

−∞|ψI(x)|2dx+

∫ a

0|ψII(x)|2dx+

∫ +∞

a|ψIII(x)|2dx

permettono di determinare i valori dei restanti parametri cI , cII e cIII e della fase ϕ.Nota 2.7: Non e possibile determinare in forma esplicita gli autovalori En e le autofunzioniassociate, ma solo in forma approssimata.Nota 2.8: A differenza dell’esempio 2.2.2 in questo caso noi otteniamo un numero finitoN di autovalori, dove N e tale che

N < 1 +

√2a2mV0hπ

.

Quindi il sistema degli autovettori ψnNn=1 non fornisce una base per lo spazio L2(R).Nota 2.9: In questo modello osserviamo un fenomeno tipico della meccanica quantisticache non trova il corrispondente in meccanica classica. La funzione d’onda non e identi-camete nulla al di fuori dell’intervallo [0, a], anzi e possibile calcolare la probabilita P ditrovare la particella al di fuori di questo intervallo attraverso gli integrali

P =∫ 0

−∞|ψI(x)|2dx+

∫ +∞

a|ψIII(x)|2dx .

Questo fenomeno, denominato effetto tunnel, e un effetto puramente quantistico chenon ha controparte classica; infatti in meccanica classica la regione in cui E < V (x) ecompletamente interdetta al moto delle particelle.Nota 2.10: Per E > V0 l’equazione di Schrodinger indipendente dal tempo non hasoluzioni quadrato sommabili, ma solo limitate, coerentemente con il fatto che lo spettrodiscreto sia un sottoinsieme di (0, V0), mentre lo spettro continuo σc = [V0,+∞).

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24 2 Crash course in Quantum Mechanics for beginners

Potenziale singolare di tipo δ di Dirac

Consideriamo ora un modello collegato con il modello precedente in cui il potenzialeesterno V e una δ di Dirac che, per fissare le idee, assumiamo posizionata nell’origine:V (x) = αδ(x) dove α ∈ R e un parametro fissato che misura l’intensita della δ; se α > 0si parla di δ repulsiva, invece se α < 0 si parla di δ attrattiva. Si puo dimostrare chel’effetto della δ sulla funzone d’onda consiste nel preservare la continuita e impone unadiscontinuita della derivata prima:

ψ(0 + 0) = ψ(0− 0) e ψ′(0 + 0) = ψ′(0− 0) + αψ(0 + 0) (2.25)

Esercizio 2.2: E ben noto che una distribuzione δ puo essere costruita come limitedistribuzionale di una buca di potenziale Vn di profondita n e ampiezza 1/n:

Vn(x) =

−n, x ∈ [0, 1/n]0, x /∈ [0, 1/n]

.

Dimostrare che le condizioni di matching del tipo (2.21) si traducono, nel limite n→ +∞,nella condizione (2.25).

Per risolvere l’equazione di Schrodinger indipendente dal tempo

− h2

2m

d2

dx2ψ + αδψ = Eψ (2.26)

distinguiamo l’asse reale in due regioni(I) x < 0(II) 0 < x

e cerchiamo separatamente le soluzioni dell’equazione di Schrodinger indipendente daltempo per valori dell’energia E ∈ R. Per ottenere soluzioni in L2 deve essere E < 0 e lasoluzione generale (in L2) prende quindi la forma

ψI(x) = cI · ekx , x < 0ψII(x) = cII · e−kx , x > 0

, k =√−E > 0 , E =

2mE

h2,

dove dobbiamo imporre la matching conditions (2.25) dove poniamo α = α 2mh2:

ψI(0) = ψII(0)ψ′I(0) + αψI(0) = ψ′

II(0)⇒

cI = cIIkcI + αcI = −kcII

Da quest’ultimo sistema si perviene alla seguente condizione

cI = cII e k = −1

ovvero deve valere la seguente condizione

α < 0 . (2.27)

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2.2 Equazione di Schrodinger in dimensione 1- Applicazioni elementari 25

Sotto la condizione (2.27) segue quindi che il problema agli autovalori (2.26) ammetteil solo autovalore

E = −1

4α2 ⇒ E = − m

2h2α2

con autofunzione normalizzata associata

ψ(x) =

√k

2e−k|x| =

√m|α|2h2

e−|α|m

h2|x| .

Nota 2.11: Per α < 0 possiamo quindi concludere che σd =− m

2h2α2, ovvero ha cardi-

nalita 1, e σc = [0,+∞). Invece, per α ≥ 0 segue che σd = ∅ e σc = [0,+∞).

Potenziale di tipo doppia buca simmetrico realizzato con due δ di Dirac

Il problema agli autovalori[− h2

2m

d2

dx2+ βδ−a + βδ+a

]ψ = Eψ

per β < 0 e equivalente al problema agli autovalori

Hαψ = Eψ (2.28)

dove abbiamo posto E = 2mE/h2 e dove

Hα = − d2

dx2+ αδ−a + αδ+a , α = 2mβ/h2

Le condizioni di matching sono date da

ψ(±a+ 0) = ψ(±a− 0)

e

ψ′(±a+ 0)− ψ′(±a− 0) = αψ(±a+ 0) .

Esercizio 2.3: Dimostrare che se α < 0 allora (2.28) ha i seguenti autovalori

- se a ≤ − 1αallora si ha un solo autovalore E1(a, α) definito da

E1(a, α) = − 1

4a2[W (−aαeaα)− aα]2 ;

- se a > − 1αallora si hanno due autovalori E1(a, α) and E2(a, α) dove

E2(a, α) = − 1

4a2[W (+aαeaα)− aα]2 .

dove W (x) e la funzione speciale di Lambert che soddisfa alla relazione

W (x)eW (x) = x.

I due autovettori associati hanno la seguente forma

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26 2 Crash course in Quantum Mechanics for beginners

i) Sia

k1 =√E1 =

i

2a[W (−aαeaα)− aα]

allora

ψ1(x) = C1

e−ik1x , x < −a2k1+iα2k1

(e−ik1x + eik1x

), −a ≤ x ≤ +a

e+ik1x , x > +a

dove C1 e la costante di normalizzazione data da

C1 =|k1|√

(2|k1|+ α) (2|k1|a+ aα + 1).

ii) Sia

k2 =√E2 =

i

2a[W (+aαeaα)− aα]

allora

ψ2(x) = C2

e−ik2x , x < −a2k2+iα2k2

(e−ik2x − eik2x

), −a ≤ x ≤ +a

−e+ik2x , x > +a

dove C2 e la costante di normalizzazione data da

C2 =|k2|√

−(2|k2|+ α) (2|k2|a+ aα + 1).

Nota 2.12: Ricordando che la funzione speciale di Lambert W (x) ha il seguente anda-mento asintotico

W (x) ∼ x− x2 +3

2x3 +O(x4)

allora segue che lo splitting e esponenzialmente piccolo:

|E1 − E2| ∼ h2α2eaα =β2

h2eaβ/h

2

=β2

h2e−a|β|/h

2

.

Nota 2.13: Si osserva che le due autofunzioni soddisfano a condizioni di simmetria:

ψ1(−x) = ψ1(x) e ψ2(−x) = −ψ2(x)

Consideriamo ora la dinamica associata all’equazione di Schrodinger dipendente daltempo

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2.2 Equazione di Schrodinger in dimensione 1- Applicazioni elementari 27

ih∂

∂tψ =

[− h2

2m

∂2

∂x2+ βδ−a + βδ+a

per β < 0 e dove assumiamo che all’istante iniziale la funzione d’onda ψ(x, t) sia unacombinazione lineare dei soli due autovettori ψ1,2(x):

ψ(x, 0) = ψ0(x) = c1ψ1(x) + c2ψ2(x)

La soluzione ψ(x, t) ha quindi la forma

ψ(x, t) = c1e−iE1t/hψ1(x) + c2e

−iE2t/hψ2(x) .

Per studiare la funzione d’onda ψ(x, t) andiamo ad introdurre i seguenti due vettorinormalizzati di L2(R):

ψR =ψ1 + ψ2√

2e ψL =

ψ1 − ψ2√2

(2.29)

La relazione inversa e immediata:

ψ1 =ψR + ψL√

2e ψ2 =

ψR − ψL√2

. (2.30)

Esercizio 2.4: Dimostrare che i vettori ψR e ψL sono localizzati solo su una delle due”buche”, nel senso che

∫ +∞

0|ψL(x)|2dx = termine esponenzialmente piccolo rispetto a h

e similmente∫ 0

−∞|ψR(x)|2dx = termine esponenzialmente piccolo rispetto a h .

Esprimendo ψ(x, t) attraverso questa base si ottiene che

ψ(x, t) = c1e−iE1t/hψ1(x) + c2e

−iE2t/hψ2(x)

= c1e−iE1t/h

ψR(x) + ψL(x)√2

+ c2e−iE2t/h

ψR(x)− ψL(x)√2

=1√2

[c1e

−iE1t/h + c2e−iE2t/h

]ϕR(x) +

1√2

[c1e

−iE1t/h − c2e−iE2t/h

]ϕL(x)

= e−iΩt/h

1√2

[c1e

iωt/h + c2e−iωt/h

]ϕR(x) +

1√2

[c1e

iωt/h − c2e−iωt/h

]ϕL(x)

dove abbiamo posto

Ω =E1 + E2

2e ω =

E2 − E1

2

Segue quindi che ψ(x, t) e, a meno di un fattore comune di fase E−iΩt/h inessenziale,una funzione periodica in t con periodo

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28 2 Crash course in Quantum Mechanics for beginners

T =πh

ω

Consideriamo infine il caso particolare in cui all’istante iniziale sia c1 = c2 =1√2, ovvero

ψ0(x) = ψR(x)

lo stato e inizialmente localizzato tutto su una buca (diciamo la buca destra). Con questecondizioni iniziali la funzione d’onda ψ(x, t) prende la forma

ψ(x, t) = e−iΩt/h [cos(ωt/h)ϕR(x) + sin(ωt/h)ϕL(x)]

e osserviamo che ha luogo un moto di battimento: all’istante iniziale lo stato e tuttolocalizzato sulla buca destra, dopo un tempo t = πh

2ω= 1

2T lo stato e invece localizzato

completamente sull’altra buca. Il passaggio della funzione da una buca all’altra e permessodall’effetto tunnel.

Oscillatore armonico

Consideriamo una particella che compie piccole oscillazioni unidimensionali (il cosidettooscillatore armonico o anche oscillatore lineare). L’energia potenziale V (x) dellaparticella di massa m e uguale a

V (x) =1

2mω2x2

dove ω rappresenta nella meccanica classica la frequenza propria delle oscillazioni.L’equazione di Schrodinger dipendente dal tempo assume la forma

ih∂

∂tψ = − h2

2m

∂2

∂x2ψ +

1

2mω2x2ψ (2.31)

Poiche l’energia potenziale diventa infinita nel limite x → ±∞ allora la particellasostanzialemnte puo compiere solo un moto finito e di conseguenza ci aspettiamo chelo spettro sia solamente puntuale e che l’insieme delle autofunzioni del problema agliautovalori

− h2

2m

d2

dx2ψ +

1

2mω2x2ψ = Eψ, ‖ψ‖ = 1, (2.32)

costituisca una base dello spazio di Hilbert L2(R). Osserviamo inoltre che deve essereE > minV = 0.

Per risolvere l’equazione (2.32) conviene fare il cambio di variabile

ξ =

√mω

hx

In tal modo l’equazione (2.32) prende la forma

ψ′′ +(2E

hω− ξ2

)ψ = 0 dove ′ =

d

dξ. (2.33)

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2.2 Equazione di Schrodinger in dimensione 1- Applicazioni elementari 29

Se osserviamo che per grandi valori di ξ il termine costante 2Ehω

e trascurabile alloral’equazione approssimata prende la forma ψ′′ = ξ2ψ che ammette soluzioni con com-portamento asintotico del tipo e±ξ

2/2. Poiche la funzione d’onda ψ deve essere quadratosommabile allora occorre scegliere la sola soluzione con il segno −. Di conseguenza lasoluzione dell’equazione completa (2.33) puo essere scritta nella forma

ψ(ξ) = e−ξ2/2χ(ξ) (2.34)

dove χ(ξ) e una funzione incognita che deve essere finita per ξ finito e che nel limiteξ → ±∞ puo crescere con velocita al piu di tipo potenza. Sostituendo la (2.34) nella(2.33) si ottiene che χ soddisfa alla equazione differenziale

χ′′ − 2ξχ′ + 2nχ = 0 (2.35)

dove abbiamo posto

2n =2E

hω− 1

Si puo dimostrare che l’equazione (2.35) ammette sempre due soluzioni linearmente

indipendente; per n /∈ N entrambe divergono all’infinito con velocita maggiore di eξ2/2,

invece per n ∈ N una diverge all’infinito con velocita maggiore di eξ2/2 mentre l’altra

diverge all’infinito con velocita di tipo potenza. Quest’ultima soluzione ha la forma

χ(ξ) = anHn(ξ)

dove an e una costante di normalizzazione e dove Hn(ξ) sono polinomi di Hermite di gradon in ξ definiti dalla formula

Hn(ξ) = (−1)neξ2 dne−ξ

2

dξn. (2.36)

Dove ricordiamo che i polinomi di Hermite sono funzioni a valori reali e soddisfano alleseguenti proprieta:

i. H0(ξ) = 1, H1(ξ) = 2ξ e in generale

Hn(ξ) = 2ξHn−1(ξ)− 2(n− 1)Hn−2(ξ) .

ii. sono ortogonali, nel senso che∫

Re−ξ

2

Hn(ξ)Hm(ξ)dξ = δmn 2nn!

√π .

Esercizio 2.5: Dimostrare che il sistema di vettori e−ξ2/2Hn(ξ) e un sistema ortonor-male completo.

Di conseguenza i soli valori ammessi per l’energia sono dati da

En =2n+ 1

2hω, n = 0, 1, 2, . . .

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30 2 Crash course in Quantum Mechanics for beginners

Imponendo le condizioni di normalizzazione ‖ψn‖ = 1 segue che i corrispondenti au-tovettori costituiscono un sistema ortonormale completo e sono dati da

ψn(x) =4

√mω

1√2nn!

e−mω2hx2Hn

(x

√mω

h

)(2.37)

Poiche il sistema di autovettori ψn e un sistema ortonormale completo dello spazio diHilbert L2(R) si puo determinare la soluzione dell’equazione (2.31) attraverso lo sviluppoin serie. Assegnata la funzione d’onda ψ(x, t) all’istante iniziale:

ψ0(x) = ψ(x, 0)

e ponendo

cn = 〈ψn, ψ0〉 , n = 0, 1, 2, 3, . . .

segue che la soluzione ψ(x, t) e determinata dalla serie

ψ(x, t) =∞∑

n=0

cne−iEnt/hψn(x) (2.38)

Esercizio 2.6: Sia assegnata la funzione d’onda all’istante inziale

ψ0(x) = ceivxe−(x−µ)2/σ2

dipendente dai parametri µ, σ e v; c e una costante di normalizzazione (da calcolare).Si deve calcolare la soluzione ψ(x, t) mediante la serie (2.38). Si calcoli poi il valore diaspettazione

〈x〉t = 〈ψ, xψ〉e lo si confronti, per diversi valori dei parametri, con il moto x(t) classico della particella.

Coefficiente di trasmissione

Consideriamo l’equazione di Schrodinger dipendente dal tempo in cui il potenziale V (x)forma una barriera; per fissare le idee e per semplicita assumiamo che questa barrierasia quadrata:

V (x) =

0 se x < 0 o x > aV0 se 0 ≤ x ≤ a

,

dove V0 e una grandezza positiva assegnata.Consideriamo una particella che si muove da sinistra verso destra con velocita positiva

assegnata, sia E la sua energia totale. In meccanica classica e ben noto che se:

i. l’energia totale E e minore del massimo V0 della barriera allora la particella saratotalmente riflessa dalla barriera e non potra mai visitare la regione destra;

ii. l’energia totale E e maggiore del massimo V0 della barriera allora la particella saratotalmente trasmessa dalla barriera e potra visitare la regione destra, uscendo com-pletamente dalla regione sinistra.

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2.2 Equazione di Schrodinger in dimensione 1- Applicazioni elementari 31

In meccanica quantistica si osservano invece due fenomeni nuovi. Se

i’. l’energia totale E e minore del massimo V0 della barriera allora la particella saraparzialmente riflessa dalla barriera, nel senso che la probabilita della particella diattraversare la barriera di potenziale (effetto tunnel) e di visitare la regione destra enon nulla (anche se piccola);

ii’. l’energia totale E e maggiore del massimo V0 della barriera allora la particella saraparzialmente trasmessa dalla barriera, nel senso che una piccola frazione della fun-zione d’onda sara riflessa.

Per semplicita consideriamo solo onde piane (anche se non sono quadrato sommabili ....). Un’onda piana trasmessa di energia E ha la forma eikx mentre un’onda piana riflessa

ha la forma e−ikx, dove k =√2mE/h. Infatti, la velocita, piu precisamente il momento

p, associata all’onda piana (consideriamo l’onda piana su un dominio limitato in modo dapoterla normalizzare) e data da

〈p〉 =⟨ψ,−ih ∂

∂xψ

⟩= kh〈ψ, ψ〉 = kh .

Fissato E andiamo a determinare la soluzione dell’equazione indipendente dal tempo

− h2

2m

d2

dx2ψ(x) = Eψ(x) (2.39)

con la condizione

ψ(x) = Deikx, x > a, k =√2mE/h

corrispondente al fatto che a destra della barriera abbiamo solo un’onda trasmessa. Ilcoefficiente D misura la ”quantita” di onda trasmessa e la grandezza |D|2 misura il coef-ficiente di trasmissione T . A sinistra della barriera la soluzione generale dell’equazione(2.39) ha la forma

ψ(x) = eikx + Ae−ikx, x < 0, k =√2mE/h

corrispondente al fatto che a sinistra della barriera abbiamo sia un’onda piana che simuove verso destra sia un’onda riflessa con coefficiente A. Il coefficiente A misura la”quantita” di onda riflessa e la grandezza |A|2 misura il coefficiente di riflessione R.

Osserviamo che deve sussistere la seguente relazione tra i due coefficienti: R = 1− T .Consieriamo separatamente due casi: E > V0 ed E < V0.Caso 1: E > V0. In questo caso all’interno della barriera la soluzione dell’equazione

(2.39) prende la forma

ψ(x) = Beihx + Ce−ihx, 0 < x < a, h =√2m(E − V0)/h (2.40)

Le costanti A, B, C e D sono determinate imponendo le condizioni di raccordo nei puntix = 0 e x = a: ψ e ψ′ continua in questi punti.Esercizio 2.7: Verificare che un calcolo porta al seguente risultato

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32 2 Crash course in Quantum Mechanics for beginners

T =4h2k2

(k2 − h2)2 sin2(ah) + 4h2k2. (2.41)

Nota 2.14: Osserviamo che

T < 1 e quindi R > 0 , ∀E > V0 tale che ah 6= nπ, n = 1, 2, . . . ,

e che

limE→+∞

T (E) = 1 e limE→V +

0

=1

1 +mV0a2/2h.

Inoltre per ah = nπ abbiamo che T = 1 e R = 0; cioe abbiamo che l’onda viene comple-tamente trasmessa.

Caso 2: E < V0. In questo caso all’interno della barriera la soluzione dell’equazione(2.39) prende ancora la forma (2.40) dove ora h e una grandezza puramente immaginaria

h =√2m(E − V0)/h = iχ , χ =

√2m(V0 − E)/h

Di conseguenza il coefficiente di trasmissione T ha la stessa forma data in (2.41) dove esufficiente ricordare che sin(iθ) = i sinh(θ):

T =4χ2k2

(k2 + χ2)2 sinh2(aχ) + 4χ2k2. (2.42)

Nota 2.15: Osserviamo che

T > 0 ∀E > V0 ,

e che

limE→0+

T (E) = 0 e limE→V −

0

=1

1 +mV0a2/2h.

Di conseguenza una piicola parte dell’onda viene trasmessa.Esercizio 2.8: Fissato V0 > 0, m > 0 e a > 0 determinare lo sviluppo asintotico della(2.42) nel limite semiclassico h→ 0.

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3

Operazioni elementari sugli spazi di Hilbert

3.1 Spazio di Hilbert

Sia H uno spazio vettoriale. Sia

〈·, ·〉 : H2 → C

una forma bilineare nel seguente senso〈λ1u1 + λ2u2, v〉 = λ1〈u1, v〉+ λ2〈u2, v〉〈u, µ1v1 + µ2v2〉 = µ1〈u, v1〉+ µ2〈u, v2〉 , λ1, λ2, µ1, µ2 ∈ C , (3.1)

e tale che 〈u, v〉 = 〈v, u〉. Una forma bilineare che sia anche definita positiva

〈u, u〉 ≥ 0 ∧ [〈u, u〉 = 0 ⇔ u = 0]

prende il nome di prodotto interno o prodotto scalare. Associato al prodotto scalaresi introduce la norma

‖u‖ =√〈u, u〉 . (3.2)

La disuguaglianza triangolare segue dalla disuguaglianza di Schwarz

|〈u, v〉| ≤ ‖u‖ · ‖v‖ , (3.3)

e l’uguaglianza vale se, e solo se, u e v sono paralleli, cioe v = λu per un qualche λ ∈ C.Se le spazio H e completo rispetto a questa norma, allora e detto spazio di Hilbert.

Nota 3.1: Se non c’e ambiguita di notazione nel seguito indicheremo con 〈u, v〉 e ‖v‖il prodotto scalare e la norma dello spazio di Hilbert H, dove u, v sono vettori di H.Se invece sono presenti piu spazi di Hilbert allora noi denoteremo il prodotto scalare elanorma dello spazio di Hilbert H con la notazione 〈u, v〉H e ‖u‖H.Esempio 3.1: Lo spazio L2(M,dµ) e uno spazio di Hilbert con prodotto scalare definitoda

〈f, g〉 =∫

Mf(x)g(x)dµ(x) . (3.4)

Esempio 3.2: Lo spazio ℓ2(N) e uno spazio di Hilbert con prodotto scalare definito come

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34 3 Operazioni elementari sugli spazi di Hilbert

〈u, v〉 =∞∑

j=1

ujvj , u = (u1, u2, . . . , un, . . .) , uj ∈ C . (3.5)

Osserviamo che quest’ultimo esempio e un caso particolare dell’esempio precedente in cuiM = R e µ e una somma di misure di Dirac:

µ(x) =∞∑

j=1

δ(x− xj), uj = f(xj) e vj = g(xj) .

Un vettore ψ ∈ H e detto normalizzato o vettore unitario se ‖ψ‖ = 1. Due vettoriψ, ϕ ∈ H sono detti ortogonali o perpendicolari (ϕ ⊥ ψ) se 〈ϕ, ψ〉 = 0, e paralleli seuno e il multiplo dell’altro.

Se ψ e ϕ sono ortogonali allora vale il Teorema di Pitagora

ψ ⊥ ϕ ⇒ ‖ψ + ϕ‖2 = ‖ψ‖2 + ‖ϕ‖2 . (3.6)

Supponiamo che ϕ sia un vettore unitario. Allora la proiezione di ψ nella direzionedi ϕ e definita da

ψ‖ = 〈ϕ, ψ〉ϕ (3.7)

e il vettore

ψ⊥ = ψ − 〈ϕ, ψ〉ϕ (3.8)

e perpendicolare a ϕ. Queste proprieta possono anche essere generalizzate a piu di unvettore. Un insieme di vettori ϕjj∈J , dove J e un insieme di cardinalita finita, e dettoun insieme ortonormale se

〈ϕi, ϕj〉 = δji dove δji =

1 se i = j0 se i 6= j

.

Osserviamo che, in generale, un qualunque insieme di vettori φjj∈J linearmenteindipendenti puo sempre essere associato ad un insieme di vettori ortonormali ϕjj∈J ,ed entrambi generano lo stesso spazio vettoriale. Questa procedura, che prende il nomedi metodo di ortogonalizzazione di Gram-Schimdt, opera nel seguente modo. Ilprimo vettore ϕ1 e semplicemente

ϕ1 =φ1

‖φ1‖.

Il secondo vettore viene definito come

ϕ2 =φ2 − 〈ϕ1, φ2〉ϕ1

‖φ2 − 〈ϕ1, φ2〉ϕ1‖,

per costruzione ϕ2 e normalizzato e inoltre e immediato verificare che

〈ϕ1, ϕ2〉 =〈ϕ1, φ2〉 − 〈ϕ1, φ2〉‖ϕ1‖2

‖φ2 − 〈ϕ1, φ2〉ϕ1‖= 0

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3.1 Spazio di Hilbert 35

Il procedimento procede in modo iterativo: definiti i primi n vettori ϕj, j = 1, 2, . . . , n,normalizzati ed ortogonali tra loro, allora si definisce il vettore n+ 1-esimo come

ϕn+1 =φn+1 −

∑nj=1〈ϕj, φn+1〉ϕj∥∥∥φn+1 −

∑nj=1〈ϕj, φn+1〉ϕj

∥∥∥.

In conclusione, e immediato verificare che il nuovo sistema di vettori ϕjj∈J e ortonormalee che gli spazi vettoriali generati dalle due basi coincidono.

Nel seguito possiamo quindi sempre supporre che la base di ogni spazio vettoriale,sottoinsieme di uno spazio di Hilbert nel quale e stato introdotto un prodotto scalare, siaformata da un insieme ortonormale.

Lemma 3.1. Supponiamo che ϕjj∈J sia un insieme ortonormale. Allora ogni vettoreψ ∈ H puo essere scritto come

ψ = ψ‖ + ψ⊥ dove ψ‖ =∑

j∈J〈ϕj, ψ〉ϕj (3.9)

dove ψ‖ e ψ⊥ sono ortogonali. Inoltre 〈ϕj, ψ⊥〉 = 0 per ogni j ∈ J . In particolare

‖ψ‖2 =∑

j∈J|〈ϕj, ψ〉|2 + ‖ψ⊥‖2 . (3.10)

Inoltre, ogni vettore φ appartenente allo span set di ϕjj∈J soddisfa alla relazione

‖ψ − φ‖ ≥ ‖ψ⊥‖ (3.11)

la cui uguaglianza vale se, e solo se, ψ = ψ‖. In altre parole, ψ⊥ e unicamente caratter-izzato come il vettore appartenente allo span set di ϕjj∈J piu vicino a ψ.

Dimostrazione. Posto ψ‖ =∑j〈ϕj, ψ〉ϕj e posto ψ⊥ = ψ−ψ‖ e immediato dimostrare che

〈ψ⊥, ψ‖〉 = 0. Infatti

〈ψ⊥, ψ‖〉 =∑

j

〈〈ϕj, ψ〉ϕj, ψ〉 −∑

i,j

〈〈ϕj, ψ〉ϕj, 〈ϕi, ψ〉ϕi〉

=∑

j

|〈ϕj, ψ〉|2 −∑

i,j

〈ϕj, ψ〉 〈ϕi, ψ〉 〈ϕj, ϕi〉 = 0 .

La proprieta 〈ϕj, ψ⊥〉 = 0 si verifica immediatamente, e analogamente la (3.10). Perdimostrare la (3.11) si consideri un qualunque vettore φ appartenente allo span set diϕjj∈J :

φ =∑

j∈Jcjϕj

dove cj ∈ C. Un calcolo immediato porta alla seguente relazione

‖ψ − φ‖2 = ‖ψ⊥ + ψ‖ − φ‖2 = ‖ψ⊥‖2 + ‖ψ‖ − φ‖2 ≥ ‖ψ⊥‖2

e l’uguaglianza ovviamente vale se, e solo se, ψ‖ = φ.

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36 3 Operazioni elementari sugli spazi di Hilbert

Nota 3.2: Dalla (3.10) segue la disuguaglianza di Bessel∑

j∈J|〈ϕj, ψ〉|2 ≤ ‖ψ‖2 (3.12)

e l’uguaglianza vale se, e solo se, ψ appartiene allo span set ϕjj∈J .Nota 3.3: Ricordiamo che il prodotto scalare 〈·, ·〉 puo essere ottenuto dalla norma (daesso definita) attraverso la identita di polarizzazione:

〈ϕ, ψ〉 = 1

4

[‖ϕ+ ψ‖2 − ‖ϕ− ψ‖2 + i‖ϕ− iψ‖2 − i‖ϕ+ iψ‖2

]. (3.13)

Definizione 3.2. Un operatore lineare biiettivo U tra due spazi di Hilbert H1 e H2 edetto unitario se U preserva i prodotti scalari:

〈Uϕ,Uψ〉H2 = 〈ϕ, ψ〉H1 , ∀ψ, ϕ ∈ H1 . (3.14)

Nota 3.4: In virtu dell’identita di polarizzazione (3.13) un operatore lineare biiettivo Utra due spazi di Hilbert H1 e H2 e unitario se preserva le norme:

‖Uψ‖H2 = ‖ψ‖H1 , ∀ψ ∈ H1 .

3.2 Base ortonormale

Estendiamo le proprieta della sezione precedente al caso in cui l’insieme dei vettori ortonor-mali ϕjj∈J ha cardinalita infinitamente numerabile: J = N. Dalla disuguaglianza diBessel (3.12) segue immediatamente che la serie

∞∑

j=1

|〈ϕj, ψ〉|2 (3.15)

converge, essendo superiormente limitata. Inoltre la serie di vettori∑∞j=1〈ϕj, ψ〉ϕj con-

verge in norma. Infatti, la sua norma e data da∥∥∥∥∥∥

N∑

j=1

〈ϕj, ψ〉ϕj∥∥∥∥∥∥

2

=N∑

j=1

|〈ϕj, ψ〉|2

in virtu del Teorema di Pitagora. Poiche la serie a destra converge quando N → +∞allora entrambe sono di Cauchy, inoltre essendo H uno spazio completo segue che la serieconsiderata converge in H. Di conseguenza il Lemma 3.1 continua a sussistere anche nelcaso in cui J = N.

Definizione 3.3. Un insieme ortonormale ϕjj∈J si dice completo, o anche baseortonormale dello spazio di Hilbert H, se per ogni vettore ψ ∈ H allora

ψ =∑

j∈J〈ϕj, ψ〉ϕj , (3.16)

dove la convergenza si intende in norma di H.

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3.2 Base ortonormale 37

Si hanno seguenti criteri di equivalenza.

Teorema 3.4. Per un sistema ortonormale ϕjj∈J le seguenti condizioni sono equiv-alenti:

i. ϕjj∈J e un sistema ortonormale completo;ii. per ogni vettore ψ ∈ H vale la seguente

‖ψ‖2 =∑

j∈J|〈ϕj, ψ〉|2 ; (3.17)

iii.〈ϕj, ψ〉 = 0 per ogni j ∈ J , implica che ψ = 0.

Dimostrazione. i.⇒ ii. segue immediatamente poiche i. implica che ψ⊥ = 0.ii.⇒ iii. se 〈ϕj, ψ〉 = 0 per ogni j allora la somma (3.17) implica che ‖ψ‖ = 0 e quindi

ψ = 0.iii.⇒ i. supponiamo, per assurdo, che esista un vettore ψ tale che

φ := ψ −∑

j∈J〈ϕj, ψ〉ϕj 6= 0 .

Moltiplicando scalarmente φ per ϕi, per ogni i ∈ J , segue che

〈ϕi, φ〉 = 〈ϕi, ψ〉 −∑

j∈J〈ϕj, ψ〉〈ϕi, ϕj〉 = 〈ϕi, ψ〉 −

j∈J〈ϕj, ψ〉δji = 0

Quindi φ = 0 in virtu della proprieta iii..

Esercizio 3.1: In virtu della disuguaglianza di Bessel dimostrare che la mappa ψ → ψ‖e continua (nella norma dello spazio di Hilbert).Nota 3.5: Poiche l’applicazione ψ → ψ‖ e continua allora e sufficiente verificare le pro-prieta di completezza (3.16) o (3.17) su un sottoinsieme denso di H.Esercizio 3.2: Determinare un sistema ortonormale completo per i seguenti spazi diHilbert:

i. L2([0, 2π], dx), cercare una base formata da funzioni armoniche;ii. L2([−1,+1], dx), cercare una base formata da polinomi;iii.L2(R+, dx);iv.L2(R, dx);v ℓ2(N).

Definizione 3.5. Uno spazio di Hilbert H si dice separabile se, e solo se, esiste unsistema ortonormale completo di cardinalita finita o numerabile.

Nota 3.6: E immediato osservare che se H e separabile allora una qualunque sua baseha la stessa cardinalita; la cardinalita delle sue basi prende il nome di dimensione dellospazio di Hilbert. Nel seguito supporremo di lavorare con spazi di Hilbert separabili.

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38 3 Operazioni elementari sugli spazi di Hilbert

3.3 Il teorema di proiezione

Definizione 3.6. Sia dato un sottoinsieme M di uno spazio di Hilbert H: M ⊆ H. Sidefinisce complemento ortogonale di M l’insieme

M⊥ = ψ ∈ H : 〈ψ, ϕ〉 = 0, ∀ϕ ∈M .

Esercizio 3.3: Dimostrare che M⊥ e un sottospazio vettoriale chiuso di H. Di-mostrare inoltre che

span(M)⊥=M⊥

e(M⊥

)⊥= span(M) .

Teorema 3.7. Sia M un sottospazio lineare chiuso di H. Allora ogni vettore ψ ∈ H puoessere scritto in modo univoco come somma di due vettori ϕ ∈M e φ ∈M⊥:

ψ = ϕ+ φ, ϕ ∈M , φ ∈M⊥ .

In questa situazione si scrive

H =M ⊕M⊥ (3.18)

Dimostrazione. La dimostrazione e immediata. Infatti, se M e chiuso allora a sua volta euno spazio di Hilbert ed ammettera una base ortonormale ϕjj∈J , dove J ha cardinalitafinita o numerabile. In virtu del Lemma 3.1 e della sua estensione al caso numerabilepossiamo quindi scrivere

ψ = ψ‖ + ψ⊥

dove ψ‖ ∈M per costruzione e ψ⊥ ∈M⊥.

In altri termini, ad ogni vettore ψ ∈ H noi possiamo associare un unico vettore ψ‖ chee il vettore di M piu vicino a ψ.

Definizione 3.8. Assegnato un sottoinsieme chiuso M di H, l’operatore

PMψ = ψ‖

e detta la proiezione ortogonale corrispondente a M .

Nota 3.7: E immediato osservare che l’operatore di proiezione ortogonale soddisfa alleseguenti proprieta

P 2M = PM e 〈PMψ, ϕ〉 = 〈ψ, PMϕ〉 . (3.19)

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3.4 Distribuzioni 39

3.4 Distribuzioni

3.4.1 Spazio delle funzioni test

Per introdurre il concetto di distribuzione sulla retta reale partiamo dallo spazio vettorialeC∞

0 (R), su questo spazio introduciamo la seguente nozione di convergenza (che si piodimostrare discendere da una famiglia di norme): sia data una sucessione di funzioni asupporto compatto infinitamente derivabili ϕn ∈ C∞

0 (R), questa converge ad una funzioneϕ ∈ C∞

0 (R)

ϕn → ϕ

se:

1. Esiste un insieme compatto K indipendente dall’indice n tale che ϕn(x) = 0 per ognix /∈ K;

2. Per ogni indice k la successione ϕ(k)n (x) converge a ϕ(k)(x) uniformemente rispetto ad

x (ma non rispetto all’indice k).

Lo spazio D := C∞0 (R), munito di questa nozione di convergenza, prende il nome di

spazio delle funzioni test.

3.4.2 Definizione di distribuzione

Si chiama distribuzione (sulla retta R) ogni funzionale continuo definito sullo spaziodelle funzioni test:

T : D → R ;

dove la continuita deve essere intesa nel senso che T (ϕn) → T (ϕ) (convergenza in R) seϕn → ϕ (convergenza intesa nella topologia dello spazio delle funzioni test D).

E immediato che ad ogni funzione f(x), integrabile su ogni intervallo finito, e possibileassociare una distribuzione Tf nel seguente modo

Tf (ϕ) =∫

Rf(x)ϕ(x) dx ; (3.20)

dove e immediato verificare che Tf risulta essere un funzionale lineare e continuo. Ledistribuzioni del tipo (3.20) sono anche dette distribuzioni regolari, le distribuzioni nonregolari sono invece dette distribuzioni singolari.

Vediamo alcuni esempi di distribuzioni singolari.

1. La ”funzione” δ. Consideriamo il funzionale definito come

T (ϕ) = ϕ(0) ,

che risulta un funzionale lineare e continuo su D, ossia una distribuzione. Di solitoquesto funzionale si scrive come

Rδ(x)ϕ(x)dx

dove δ e intesa come una ”funzione” nulla per ogni x 6= 0 e infinita nel punto x = 0 etale che

∫R δ(x)dx = 1.

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40 3 Operazioni elementari sugli spazi di Hilbert

2. La ”traslazione della funzione” δ definita come

T (ϕ) = ϕ(a) .

Di solito questo funzionale si scrive come∫

Rδa(x)ϕ(x)dx

dove δa(x) = δ(x− a).3. La ”derivata della funzione δ definita come

T (ϕ) = −ϕ′(0) ,

che risulta un funzionale lineare e continuo su D, ossia una distribuzione.4. Consideriamo la funzione f(x) = 1

x, che non risulta integrabile sugli intervalli conte-

nenti l’origine. Tuttavia l’integrale

R

1

xϕ(x)dx

esiste definito nel senso del valore principale:

T (ϕ) := P∫

R

1

xϕ(x)dx = lim

ǫ→0+

R\[−ǫ,+ǫ]

1

xϕ(x)dx = lim

ǫ→0+

[−R,+R]\[−ǫ,+ǫ]

1

xϕ(x)dx

= limǫ→0+

[−R,+R]\[−ǫ,+ǫ]

ϕ(x)− ϕ(0)

xdx+ lim

ǫ→0+

[−R,+R]\[−ǫ,+ǫ]

ϕ(0)

xdx

=∫

[−R,+R]

ϕ(x)− ϕ(0)

xdx

dove il supporto di ϕ ∈ D e contenuto nell’intervallo [−R,+R] e dove la funzioneϕ(x)−ϕ(0)

xrisulta essere integrabile.

Si osserva che nessuna di queste 4 distribuzioni e regolare.

3.4.3 Operazioni sulle distribuzioni

La operazione elementare di somma e ovvia. Introduciamo nello spazio delle distribuzionil’operazione di passaggio al limite: si dice che Tn → T se per ogni funzione test ϕ ∈ D siha che Tn(ϕ) → T (ϕ). Indicheremo con D′ lo spazio delle distribuzioni munito di questanozione di convergenza (detto anche lo spazio duale di D). Se α(x) ∈ C∞ allora definiamola nuova distribuzione αT come

αT (ϕ) := T (αϕ) ,

dove la definizione e ben posta poiche αϕ ∈ D. Introciamo ora l’operazione di derivatadi una distribuzione (detta anche derivata distribuzionale o derivata in senso debole),a tal fine consideriamo una distribuzione regolare T := Tf asociata ad una funzione finfinitamente derivabile:

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3.4 Distribuzioni 41

T (ϕ) =∫

Rf(x)ϕ(x)dx .

E naturale definiredTfdx

:= Tf ′ da cui, per integrazione per parti, segue che

dTfdx

(ϕ) =∫

R

df(x)

dxϕ(x)dx = −

Rf(x)

dϕ(x)

dxdx = −T (ϕ′) .

Cio premesso, si chiama derivata di una distribuzione il funzionale definito dalla relazione

dT

dx(ϕ) := −T (ϕ′) .

Analogamente si definiscono le derivate seconde, terze, etc..Nota 3.8: Warning notation: dT

dx(ϕ) e un simbolo che definisce la derivata di una dis-

tribuzione, non ha nessuna relazione con il limite di un rapporto incrementale.Non e difficile dimostrare che:

1. Ogni distribuzione T ammette derivate di ogni ordine.2. Se Tℓ e una successione di distribuzioni convergente ad una data distribuzione T al-

lora anche la successione dnTℓdxn

delle derivate n-esime converge alla distribuzione dnTdxn

,insomma ogni serie di distribuzioni convergente si puo derivare termine a termine unnumero qualsiasi di volte.

Concludiamo considerando alcuni esempi

1. Sia f(x) la funzione di Heaviside e sia Tf la distribuzione regolare associata

Tf (ϕ) =∫ +∞

0ϕ(x)dx ,

segue che la sua derivata e la distribuzione δ; infatti:

dTfdx

= −∫ +∞

0ϕ′(x) = ϕ(0) .

In generale, se f(x) e una funzione avente nei punti xi dei salti uguali a hi e derivabile(nel senso usuale) diversamente allora

dTfdx

= Tf ′ +∑

i

hiδxi .

2. Si puo definire la derivata della distribuzione δ ed essa vale dδdx(ϕ) = −ϕ′(0).

3. Consideriamo la funzione f(x) definita dalla serie di Fourier∑∞n=1

sin(nx)n

; e facile ri-conoscere che questa e la serie di Fourier della funzione periodica, di periodo 2π, definitacome

f(x) =

12(π − x) 0 < x ≤ +π

−12(π + x) −π ≤ x < 0

0 x = 0.

La sua derivata distribuzionale vale

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42 3 Operazioni elementari sugli spazi di Hilbert

dTfdx

= −1

2T1 +

+∞∑

k=−∞δ(x− 2kπ) . (3.21)

D’altra parte la derivata della serie di Fourier produce la serie∑∞n=1 cos(nx) divergente

nel senso ordinario. Tuttavia, nel senso della convergenza delle distribuzioni, questaserie in realta converge (e precisamente alla espressione (3.21)); quindi la nozione didistribuzione consente di attribuire un significato ben determinato alla somma di unaserie divergente nel senso usuale.

3.5 Funzionale lineare e Teorema di rappresentazione di Riesz

Ricordiamo che

Definizione 3.9. Si dice funzionale lineare ogni operatore lineare

ℓ : H → C

dove H e un dato spazio di Hilbert (in generale e sufficiente che H sia uno spazio diBanach).

Nota 3.9: Il funzionale lineare ℓ sara definito su un sottoinsieme di H, detto dominio delfunzionale lineare. Se il funzionale lineare e limitato, ovvero

∃C > 0 : |ℓ(ψ)| ≤ C‖ψ‖, ∀ψ ∈ H,

e il suo dominio coincide con H stesso.Esempio 3.3: Consideriamo un esempio notevole di funzionale lineare: dato un vettoreϕ ∈ H definiamo il seguente funzionale lineare ℓϕ nel seguente modo:

ℓϕ(ψ) = 〈ϕ, ψ〉 =∫ϕ(x)ψ(x)dx = Tϕ(ψ)

coincidente con una distribuzione regolare. E immediato osservare che ℓϕ e un funzionalelineare limitato:

∃C > 0 : |ℓϕ(ψ)| ≤ C‖ψ‖H ,

infatti e sufficiente prendere C = ‖ϕ‖H e la proprieta di limitatezza e conseguenza delladisugualianza di Schwarz. Inoltre segue che

‖ℓϕ‖ = ‖ϕ‖Hdove ‖ℓϕ‖ e la norma del funzionale lineare definita come

‖ℓϕ‖ = supψ : ‖ψ‖H=1

|ℓϕ(ψ)| .

Infatti,

‖ℓϕ‖ := supψ : ‖ψ‖H=1

|ℓϕ(ψ)| = supψ : ‖ψ‖H=1

|〈ϕ, ψ〉| ≤ supψ : ‖ψ‖H=1

‖ϕ‖H · ‖ψ‖H = ‖ϕ‖H

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3.5 Funzionale lineare e Teorema di rappresentazione di Riesz 43

D’altra parte siamo in grado di dimostrare che ‖ℓϕ‖ ≥ ‖ϕ‖H:

‖ℓϕ‖ = supψ : ‖ψ‖H=1

|ℓϕ(ψ)| ≥∣∣∣∣∣ℓϕ

‖ϕ‖H

)∣∣∣∣∣ =∣∣∣∣∣

⟨ϕ,

‖ϕ‖H

)⟩∣∣∣∣∣ = ‖ϕ‖H .

Da quanto segue dal prossimo Teorema si ha che questo non e, in realta, un casoparticolare, ma ogni funzionale lineare limitato ha la forma di prodotto scalare per undato vettore.

Teorema 3.10 (Lemma di rappresentazione di Riesz). Sia ℓ un funzionale linearelimitato su un dato spazio di Hilbert H. Allora esiste un unico vettore ϕ ∈ H tale cheℓ(ψ) = 〈ϕ, ψ〉 per ogni ψ ∈ H. Inoltre ‖ℓ‖ = ‖ϕ‖H.Dimostrazione. Anzitutto ricordiamo che se ℓ e un funzionale lineare limitato allora ildominio di questo funzionale coincide con lo spazio di Hilbert H. Se ℓ ≡ 0 allora, banal-mente, ϕ = 0. In caso contrario lo spazio

Ker(ℓ) = ψ ∈ H : ℓ(ψ) = 0

e un sottospazio proprio di H, ovvero esiste un vettore, che possiamo assumere unitario,φ ∈ Ker(ℓ)⊥. Per ogni ψ ∈ H immediatamente segue che

ℓ(ψ)φ− ℓ(φ)ψ ∈ Ker(ℓ) .

Infatti, per la linearita,

ℓ [ℓ(ψ)φ− ℓ(φ)ψ] = ℓ(ψ)ℓ(φ)− ℓ(φ)ℓ(ψ) = 0

e quindi

0 = 〈φ, ℓ(ψ)φ− ℓ(φ)ψ〉 = ℓ(ψ)‖φ‖2 − ℓ(φ)〈φ, ψ〉 = ℓ(ψ)− ℓ(φ)〈φ, ψ〉

perche abbiamo assunto φ unitario. Di conseguenza

ℓ(ψ) = ℓ(φ)〈φ, ψ〉 = 〈ℓ(φ)φ, ψ〉 .

Quindi abbiamo dimostrato l’esistenza del vettore ϕ cercato, basta infatti porre

ϕ = ℓ(φ)φ .

Sebbene il vettore ϕ apparentemente dipende dalla scelta del vettore φ, in realta esso eunico. Siano infatti ϕ1 e ϕ2 due vettori che soddifsano la stessa proprieta, quindi

〈ϕ2 − ϕ1, ψ〉 = 〈ϕ2, ψ〉 − 〈ϕ1, ψ〉 = ℓ(ψ)− ℓ(ψ) = 0 , ∀ψ ∈ H.

Da qui segue che (ϕ2 − ϕ1) ⊥ ψ per ogni ψ, e quindi (ϕ2 − ϕ1) = 0. Infine, il fatto che‖ℓ‖ = ‖ϕ‖H segua da quanto visto per ℓϕ.

Come conseguenza ovvia vale il seguente.

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44 3 Operazioni elementari sugli spazi di Hilbert

Corollario 3.11. Supponiamo che s sia una forma bilineare limitata; cioe

|s(ψ, ϕ)| ≤ C‖ψ‖ ‖ϕ‖ .Allora, esiste un unico operatore lineare e limitato A tale che

s(ψ, ϕ) = 〈Aψ,ϕ〉 ,e inoltre ‖A‖ ≤ C.

Nota 3.10: Dato uno spazio normato X (ad esempio uno spazio di Banach o di Hilbert),si denota con X ⋆ lo spazio duale di X come lo spazio vettoriale formato da tutti ifunzionali lineari limitati definiti su X . Una conseguenza del Lemma di rappresentazionedi Riesz e che lo spazio duale di uno spazio di Hilbert H e equivalente allo spazio diHilbert stesso.Esercizio 3.4: Sia U una trasformazione unitaria di uno spazio di Hilbert H in se stesso,e sia M ⊆ H. Provare che UM⊥ = (UM)⊥.Esercizio 3.5: Sia PM un proiettore ortogonale (dove M 6= ∅). Dimostrare che PM hanorma 1. Ricordiamo che la definizione di norma di un operatore lineare A : H1 → H2

qualunque e la seguente:

‖A‖ := supψ∈H1, ‖ψ‖H1

=1

‖Aψ‖H2 ≡ supψ∈H1, ‖ψ‖H1

≤1

‖Aψ‖H2 ≡ supψ∈H1, ψ 6=0

‖Aψ‖H2

‖ψ‖H1

Dimostrare inoltre che le tre definizioni sono equivalenti e che un operatore lineare elimitato se, e solo se, e continuo. Dimostrare inoltre che nel caso H1 = H2 sia uno spaziodi Hilbert allora

‖A‖ ≡ sup‖ψ‖=‖ϕ‖=1

|〈Aψ,ϕ〉|

Esercizio 3.6: Sia H uno spazio di Hilbert e sia A : H1 → H2 un operatore lineare elimitato su H1 a valori in H2. L’insieme di tali operatori si denota con L(H1,H2). SiaP ∈ L(H,H) tale che

P 2 = P e 〈Pψ, ϕ〉 = 〈ψ, Pϕ〉, ∀ψ, ϕ ∈ H .

Dimostrare che:

i. M = Ran(P ) e un insieme chiuso;ii. Pψ = ψ per ogni ψ ∈M ;iii.Pϕ = 0 per ogni ϕ ∈M⊥.

Di conseguenza P = PM e un operatore di proiezione ortogonale su M .Esercizio 3.7: Siano P1 e P2 due proiettori ortogonali. Dimostrare che P1 ≤ P2 (cioe〈ψ, P1ψ〉 ≤ 〈ψ, P2ψ〉) se, e solo se, Ran(P1) ⊆ Ran(P2). Dimostrare inoltre che, inquest’ultimo caso, i due operatori commutano (cioe [P1, P2] = P1P2 − P2P1) e che an-che P2 − P1 e un’operatore di proiezione ortogonale.Esercizio 3.8: Consideriamo il seguente operatore lineare su H = L2(R, dx):

(Af)(x) =1

2[f(x) + f(−x)] .

Dimostrare che:

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3.6 Operatore aggiunto 45

i. e limitato;ii. e un proiettore (cioe un operatore di proiezione);iii. determinarne il range ed il kernel.

3.6 Operatore aggiunto

Consideriamo operatori lineari limitati su uno spazio di Hilbert H in se stesso. Questaclasse di operatori viene denotata

L(H) = L(H,H) .

Definizione 3.12. Sia dato A ∈ L(H). Si dice che l’operatore A⋆ ∈ L(H) e l’operatoreaggiunto di A se

〈ϕ,A⋆ψ〉 = 〈Aϕ,ψ〉 , ∀ψ, ϕ ∈ H . (3.22)

Esempio 3.4: Se H = Cn e l’operatore A = (aij)

ni,j=1 si identifica con una matrice n× n;

allora A⋆ = (aji)ni,j=1.

Lemma 3.13. Siano dati A,B ∈ L(H) e sia α ∈ C; allora,

i. (A+B)⋆ = A⋆ + B⋆ e (αA)⋆ = αA⋆;ii. A⋆⋆ = A;iii.(AB)⋆ = B⋆A⋆;iv. ‖A‖ = ‖A⋆‖ e ‖A⋆A‖ = ‖A‖2.Dimostrazione. Le proprieta i. e ii. sono ovvie, anche la proprieta iii. immediatamentesegue osservando che

〈ϕ, (AB)ψ〉 = 〈A⋆ϕ,Bψ〉 = 〈B⋆A⋆ϕ, ψ〉 .Infine, la prima delle proprieta iv. segue dalla seguente relazione

‖A⋆‖ = sup‖ϕ‖=‖ψ‖=1

|〈ψ,A⋆ϕ〉| = sup‖ϕ‖=‖ψ‖=1

|〈Aψ,ϕ〉| = ‖A‖

Riguardo alla seconda proprieta osserviamo che

‖A⋆A‖ = sup‖ϕ‖=‖ψ‖=1

|〈ψ,A⋆Aϕ〉| = sup‖ϕ‖=‖ψ‖=1

|〈Aψ,Aϕ〉| ≥ sup‖ϕ‖=1

‖Aϕ‖2 = ‖A‖2

D’altra parte

‖A⋆A‖ = sup‖ϕ‖=‖ψ‖=1

|〈ψ,A⋆Aϕ〉| = sup‖ϕ‖=‖ψ‖=1

|〈Aψ,Aϕ〉| = supφ=Aψ,‖ϕ‖=‖ψ‖=1

|〈φ,Aϕ〉|

= supφ=Aψ,‖ϕ‖,‖ψ‖=1

|〈φ,Aϕ〉|‖Aϕ‖ ‖Aϕ‖ ≤ sup

φ=Aψ,‖ϕ‖=1

|〈φ,Aϕ〉|‖Aϕ‖ sup

‖ϕ‖=1

‖Aϕ‖

≤ supφ=Aψ,‖ψ‖=1

‖φ‖ sup‖ϕ‖=1

‖Aϕ‖ = ‖A‖2

dove abbiamo usato la proprieta

‖ϕ‖ = sup‖ψ‖=1

|〈ψ, ϕ〉| . (3.23)

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46 3 Operazioni elementari sugli spazi di Hilbert

Esercizio 3.9: Dimostrare la (3.23).

Definizione 3.14. Un operatore lineare e limitato A ∈ L(H) e detto:

- Normale se AA⋆ = A⋆A;- Auto-aggiunto se A = A⋆;- Unitario se AA⋆ = A⋆A = I;- Proiettore (operatore di proiezione ortogonale) se A = A⋆ = A2;- Positivo se A = BB⋆ per un qualche B ∈ L(H)

Nota 3.11: In realta un operatore A si dice positivo se 〈Aψ, ψ〉 ≥ 0 per ogni ψ. Si puocomunque dimostrare che le due definizioni sono equivalenti. Inoltre, se A = BB⋆ allorasi dice che B e la “radice quadrata” di A.Esercizio 3.10: Sia A ∈ L(H). Mostrare che A e normale se, e solo se,

‖Aψ‖ = ‖A⋆ψ‖, ∀ψ ∈ H .

Esercizio 3.11: Mostrare che un operatore U : H → H e unitario se, e solo se, U⋆ = U−1

(dove U−1 e l’operatore inverso di U).Esercizio 3.12: Consideriamo il seguente operatore A : ℓ2(N) → ℓ2(N) che ad ognisequenza associa la sequenza ottenuta mettendo uno 0 come primo elemento e shiftandogli altri a destra:

(a1, a2, . . .) → (0, a1, a2, . . .) .

Calcolarne l’aggiunto.

3.7 Convergenza forte e debole di vettori

Definizione 3.15. Sia ψnn∈N una successione di vettori ψn ∈ H. Si dice che la suc-cessione converge fortemente ad un vettore ψ ∈ H se

limn→∞ ‖ψ − ψn‖ = 0 ;

la convergenza forte si denota

s− limn→∞ψn = ψ o anche ψn → ψ .

Si dice che la successione converge debolmente ad un vettore ψ ∈ H se

limn→∞

〈ψ − ψn, ϕ〉 = 0 , ∀ϕ ∈ H ,

La convergenza debole si denota

w− limn→∞ψn = ψ o anche ψn ψ .

Esercizio 3.13: Dimostrare che la convergenza forte implica la convergenza debole. Di-mostrare, fornendo un contro-esempio, che il viceversa e falso.

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3.7 Convergenza forte e debole di vettori 47

Definizione 3.16. Una successione ψnn∈N di vettori ψn ∈ H e detta una successionedebole di Cauchy se 〈ϕ, ψn〉 ∈ C e di Cauchy per ogni ϕ ∈ H.

Lemma 3.17. Sia H uno spazio di Hilbert. Valgono le seguenti proprieta:

i. ψn ψ implica che ‖ψ‖ ≤ lim inf ‖ψn‖;ii. ogni successione debole di Cauchy e limitata, ovvero esiste C > 0 tale che ‖ψn‖ ≤ C

per ogni n;iii.se la successione ψn converge debolmente a ψ allora questa converge in senso forte se,

e solo se, lim sup ‖ψn‖ ≤ ‖ψ‖.Dimostrazione. La i. segue immediatamente poiche

‖ψ‖2 = 〈ψ, ψ〉 = |〈ψ, ψ〉| = limn→∞ |〈ψ, ψn〉|

= lim infn→∞ |〈ψ, ψn〉| ≤ ‖ψ‖ lim inf

n→∞ ‖ψn‖ .

Per dimostrare la ii. sia fissato ϕ ∈ H e consideriamo la successione di Cauchy 〈ϕ, ψn〉in C. Questa converge in C e quindi risulta essere limitata da una costante C = C(ϕ):|〈ϕ, ψn〉| ≤ C(ϕ). Da questa proprieta e dal Teorema di Banach-Steinhaus segue la tesi 1

Infatti, il Teorema di Banach-Steinhaus implica che la famiglia di operatori Anϕ = 〈ψn, ϕ〉risulta essere uniformemente limitata:

C ≥ ‖An‖ = sup‖ϕ‖=1

|〈ψn, ϕ〉| = ‖ψn‖ .

Infine, per dimostrare la iii. osserviamo che l’implicazione

ψn → ψ ⇒ lim sup ‖ψn‖ ≤ ‖ψ‖

e immediata. Per dimostrare l’implicazione inversa si osserva che l’ipotesi lim sup ‖ψn‖ ≤‖ψ‖ e la i. implicano limn→∞ ‖ψn‖ = ‖ψ‖ e quindi

‖ψ − ψn‖2 = ‖ψ‖2 − 2ℜ〈ψ, ψn〉+ ‖ψn‖2 → ‖ψ‖2 − 2〈ψ, ψ〉+ ‖ψ‖2 = 0 .

Lemma 3.18. Sia H uno spazio di Hilbert. Da ogni successione ψn limitata e possibileestrarre una sottosuccesione debolmente convergente.

Dimostrazione. Sia ϕkk una base ortonormale e consideriamo la doppia successione dinumeri complessi 〈ϕk, ψn〉 e uniformemente limitata. Mediante argomento usuale (diago-nal sequence argument che descriveremo in coda alla dimostrazione) noi possiamo estrarreuna sotto-successione ψnm tale che 〈ϕk, ψnm〉 converge per ogni k. Poiche ψn e limitataallora 〈ϕ, ψnm〉 converge per ogni ϕ ∈ H e quindi ψnm e una successione di Cauchy debole.Resta da illustrare il diagonal sequence argument: partiamo dalla successione 〈ϕ1, ψm〉limitata, quindi esiste una sotto-successione convergente che indicheremo con 〈ϕ1, ψm′〉.Consideriamo poi lanuova sotto-successione 〈ϕ2, ψm′〉 anch’essa limitata, quindi da questapossiamo estrarre una sotto successione convergente che indicheremo con 〈ϕ2, ψm′′〉; per1 Teorema di Banach-Steinhaus: Sia X uno spazio di Banach e Y uno spazio normato. Sia Aα ⊆ L(X ,Y) unafamiglia di operatori limitati. Supponiamo che ‖Aαx‖Y ≤ C(x) sia uniformemente limitato rispetto a α perogni fissato x. Quindi ‖Aα‖ ≤ C e uniformemente limitato.

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48 3 Operazioni elementari sugli spazi di Hilbert

costruzione le due successioni 〈ϕ1, ψm′′〉 e 〈ϕ2, ψm′′〉 sono entrambe convergenti. E chiarocome sara generata la terza sotto-successione 〈ϕ3, ψm′′′〉, la quarta, etc.. Cio premesso,i vettori ψnm si trovano nel seguente modo: ψn1 e il primo vettore ψm′ associato allasuccessione 〈ϕ1, ψm′〉, ψn2 e il secondo vettore ψm′′ associato alla successione 〈ϕ2, ψm′′〉,etc..

3.8 Convergenza di operatori

I concetti di convergenza introdotti nella sezione precedente possono essere estesi a suc-cessioni di operatori. Consideriamo una famiglia di operatori lineari Ann definiti sullostesso spazio di Hilbert. Con

D(A) = ψ ∈ H : Aψ ∈ H

indichiamo il dominio dell’operatore A. Se A e un operatore limitato allora D(A) = H;per operatori non limitati il dominio e un sottoinsieme proprio di H.

Definizione 3.19. Una successione di operatori lineari Ann∈N converge fortementead un operatore lineare A se D(A) ⊆ D(An) e se

Anψ → Aψ , ∀ψ ∈ D(A) ⊆ D(An) ; (3.24)

la convergenza forte si indica

s− limn→∞

An = A .

Una successione di operatori lineari Ann∈N converge debolmente ad un operatorelineare A se D(A) ⊆ D(An) e se

Anψ Aψ , ∀ψ ∈ D(A) ⊆ D(An) ; (3.25)

la convergenza debole si indica

w− limn→∞An = A .

Nota 3.12: Chiaramente la convergenza forte implica la convergenza debole.Nota 3.13: Sia data una successione di operatori Ann limitata e sia data la succes-sione A⋆nn degli operatori aggiunti. Osserviamo che se An converge debolmente ad unoperatore A allora anche A⋆n converge debolmente a A⋆:

〈ϕ,A⋆nψ〉 = 〈Anϕ, ψ〉 → 〈Aϕ,ψ〉 = 〈ϕ,A⋆ψ〉 (3.26)

La convergenza forte della successione An ad A non implica necessariamente la conver-genza forte A⋆n a A⋆; questa implicazione vale se aggiungiamo l’ipotesi che An ed A sonooperatori normali. Infatti, in questo caso vale la relazione

‖(An − A)⋆ψ‖ = ‖(An − A)ψ‖ . (3.27)

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3.8 Convergenza di operatori 49

Lemma 3.20. Supponiamo che Ann∈N sia una successione di operatori limitati An ∈L(H). Allora

i. s− limn→∞An = A implica che ‖A‖ ≤ lim infn→∞ ‖An‖;ii. ogni successione di Cauchy forte An e limitata, ovvero esiste C > 0 tale che ‖An‖ ≤ C;

Dimostrazione. Anzitutto osserviamo che D(An) = H per ogni n. La proprieta i. segueimmediatamente da questa disuguaglianza:

‖Aψ‖ = limn→∞ ‖Anψ‖ = lim inf

n→∞ ‖Anψ‖ ≤ lim infn→∞ ‖An‖ ‖ψ‖

che vale per ogni ψ ∈ H. In particolare segue che A e limitato e D(A) = H. Per dimostrarela proprieta ii. scriviamo l’ipotesi: Anψn e di Cauchy per ogni ψ ∈ H e quindi convergead un dato vettore, in particolare si avra che

‖Anψ‖ ≤ C := C(ψ)

e quindi utilizzando ancora il Teorema di Banach-Steinhous la tesi segue.

Teorema 3.21 (Estensione di un operatore densamente definito). Sia A un oper-atore lineare definito su un insieme denso D ⊆ H e limitato su D:

‖Aψ‖ ≤ C‖ψ‖, ∀ψ ∈ D .

Allora A si puo estendere su tutto lo spazio di Hilbert H ad un operatore A limitato e taleestensione e unica, inoltre

supψ∈H, ‖ψ‖=1

‖Aψ‖ = supψ∈D, ‖ψ‖=1

‖Aψ‖ .

Dimostrazione. Definiamo l’operatore A nel seguente modo:

Aψ = Aψ, se ψ ∈ D ;

se ψ /∈ D sia ϕnn una successione di vettori di D che converge fortemente a ψ, inparticolare la successione e di Cauchy fortemente. Consideriamo quindi la successione divettori Aϕnn, questa risulta essere di Cauchy fortemente

‖Aϕn − Aϕm‖ = ‖A(ϕn − ϕm)‖ ≤ C‖ϕn − ϕm‖

e quindi converge. Definiamo quindi

Aψ = s− limn→∞Aϕn .

E immediato verificare (esercizio) che questa definizione e ben posta, ovvero che nondipende dalla particolare successione che approssima ψ, e che l’operatore A e lineare.

L’operatore A e limitato e ha norma ‖A‖. Per dimostrare cio cominciamo ad osservareche

supψ∈H, ‖ψ‖=1

‖Aψ‖ ≥ supψ∈D, ‖ψ‖=1

‖Aψ‖ = supψ∈D, ‖ψ‖=1

‖Aψ‖ .

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50 3 Operazioni elementari sugli spazi di Hilbert

Supponiamo per assurdo che tale disuguaglianza sia stretta, quindi esiste ψ /∈ D unitariotale che

‖Aψ‖ > supψ∈D, ‖ψ‖=1

‖Aψ‖ .

Questa disuguaglianza porta subito ad una contraddizione, infatti basta prendere unasuccessione di vettori ϕn tali che ϕn → ψ e osservare che in questo caso Aϕn → Aψ perdefinizione di A.

Verifichiamo che A e unicamente definito. Supponiamo, per assurdo, che esista unaltro operatore lineare A♯ limitato coincidente con A su un insieme denso D. Sia ψ /∈ De consideriamo

‖Aψ − A♯ψ‖ = ‖Aψ − Aϕn‖+ ‖Aϕn − A♯ϕn‖+ ‖A♯ϕn − A♯ψ‖= ‖Aψ − Aϕn‖+ ‖A♯ϕn − A♯ψ‖ ≤ C‖ψ − ϕn‖ → 0 .

Corollario 3.22. Se Anψ → Aψ per ψ in un qualche insieme denso D e ‖An‖ ≤ C,allora s− limn→∞An = A, dove A e l’estensione di A su tutto lo spazio di Hilbert H.

Dimostrazione. Dalla proprieta i. del Lemma 3.20 segue che A definito su D e limitato equindi ammette una unica estensione A. Sia assegnato ψ ∈ H e vogliamo dimostrare cheAnψ → Aψ. Se ψ ∈ D allora non c’e altro da dire; se invece ψ ∈ H \ D allora scegliamoun vettore ϕ ∈ D tale che

‖Anψ − Aψ‖ ≤ ‖Anψ − Anϕ‖+ ‖Anϕ− Aϕ‖+ ‖Aϕ− Aψ‖≤ C‖ψ − ϕ‖+ ‖Anϕ− Aϕ‖+ C‖ψ − ϕ‖ ≤ ǫ

dove scegliamo prima ϕ in modo che sia C‖ψ − ϕ‖ ≤ 14ǫ, e poi fissato ϕ scegliamo n tale

che ‖Anϕ− Aϕ‖ ≤ 12ǫ.

Esercizio 3.14: Supponiamo che ψn → ψ e ϕn ϕ. Allora 〈ψn, ϕn〉 → 〈ψ, ϕ〉.Esercizio 3.15: Sia ϕj∞j=1 una base ortonormale. Dimostrare che ψn ψ se, e solose, ψn e limitato e 〈ϕj, ψn〉 → 〈ϕj, ψ〉 per ogni j. Esibire un controesempio nel quale sielimina l’ipotesi di limitatezza.

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4

Operatori auto-aggiunti e spettro di operatori

4.1 Struttura assiomatica della Meccanica Quantistica

In Meccanica Quantistica una singola particella, mobile nello spazio Euclideo R3, viene

descritta da una funzione a valori complessi, detta funzione d’onda, ψ(x, t), (x, t) ∈R3 × R, dove la variabile spaziale x corrisponde ad un punto nello spazio e la variabile

temporale t corrisponde ad us istante di tempo.La quantita ρt(x) = |ψ(x, t)|2 viene interpreta come una densita di probabilita della

particella all’istante t. In particolare, ψ deve essere normalizzata nel senso che∫

R3 |ψ(x, t)|2dx = 1, t ∈ R . (4.1)

La posizione x della particella e una quantita che puo essere osservata, cioe misurata, equindi viene denominata osservabile. In virtu della nostra interpretazione probabilistica,essa e una variabile casuale il cui valore di aspettazione e dato da

Etψ(x) =

R3 x|ψ(x, t)|2dx , t ∈ R . (4.2)

In Meccanica Quantistica non e possibile misurare x esattamente e la particella none mai localizzata in un punto ben preciso. In particolare, la deviazione media (ovarianza) e data da

[∆tψ(x)]

2 = [Etψ(x2)]− [Etψ(x)]

2 .

Lo spazio delle configurazioni di un sistema quantistico e uno spazio di Hilbert Hcomplesso e ogni possibile stato del sistema e rappresentato da un elemento ψ ∈ H chesoddisfa alla condizione di normalizzazione ‖ψ‖H = 1. Osserviamo che vettori ψ ed eiθψche differiscono tra loro per un solo termine di fase, definiscono lo stesso stato quantisticoperche sono associati alla stessa funzione di probabilita.

Un’osservabile classica a, ad esempio la posizione, la velocita o l’energia, corrispondead un operatore lineare A sullo spazio di Hilbert H e la sua aspettazione, se il sistema enello stato (rappresentato da) ψ, e dato dal numero

Eψ(A) = 〈ψ,Aψ〉 (4.3)

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52 4 Operatori auto-aggiunti e spettro di operatori

dove 〈·, ·〉 denota il prodotto scalare sullo spazio di Hilbert H. Poiche fisicamente lagrandezza attesa Eψ(A) deve essere un numero reale, allora A deve essere simmetrico.Similmente, la deviazione media e data da

[∆ψ(A)]2 = Eψ(A

2)− [Eψ(A)]2 = ‖(A− Eψ(A))ψ‖2 (4.4)

Nota 4.1: Dalla (4.4) osserviamo che ∆ψ(A) si annulla se, e solo se, ψ e un autovettoredi A corrispondente all’autovalore Eψ(A): Aψ = Eψ(A)ψ.

Osserviamo che le espressioni (4.3) e (4.4) hanno significato per ogni ψ ∈ H solo nelcaso in cui l’operatore A risulti essere limitato. In generale l’operatore A sara solamentedefinito su un sottoinsieme D(A) ⊆ H che prende il nome di dominio di A. E naturalerichiedere che il dominio di A sia un sottoinsieme almeno denso di H, in modo che legrandezze Eψ(A) e ∆ψ(A) siano definite sul numero maggiori di stati.

Consideriamo ora l’evoluzione temporale di un tale sistema quantistico. Dato unostato iniziale ψ(0) := ψ(x, 0) del sistema, ci deve essere una unica (definita a meno di untermine di fase) funzione ψ(t) := ψ(x, t) rappresentante lo stato del sistema all’istantet ∈ R. Noi scriveremo

ψ(t) = U(t)ψ(0) (4.5)

Inoltre, deve valere il principio di sovrapposizione degli stati; cioe, dati α1, α2 ∈ C taliche |α1|2 + |α2|2 = 1, allora segue che

U(t) [α1ψ1(0) + α2ψ2(0)] = α1ψ1(t) + α2ψ2(t)

In altre parole U(t) deve essere un operatore lineare, inoltre dovendo essere ψ(t) nor-malizzato segue che

‖U(t)ψ‖ = ‖ψ‖ (4.6)

Cioe U(t) deve essere unitario. Inoltre, poiche abbiamo assunto l’unicita della soluzioneassociata ad un dato iniziale deve essere

U(0) = I, U(t+ s) = U(t)U(s). (4.7)

Una famiglia di operatori unitari U(t) aventi queste proprieta e detta gruppo unitarioad un parametro. In aggiunta, e naturale assumere che questo gruppo sia fortementecontinuo; cioe

limt→t0

U(t)ψ = U(t0)ψ , ∀ψ ∈ H (4.8)

Si puo dimostrare che un tale gruppo ha un generatore infinitesimo H definito come

Hψ = ih limt→0

U(t)ψ − ψ

ttale che U(t) = e−itH/h (4.9)

e questo operatore lineare H ha dominio

D(H) = ψ ∈ H : il limite (4.9) esiste

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4.2 Operatori auto-aggiunti 53

L’operatore H prende il nome di Hamiltoniana e corrisponde all’energia del sistema. Seψ(0) ∈ D(H), allora ψ(t) e una soluzione dell’equazione di Schrodinger

ihd

dtψ(t) = Hψ(t) . (4.10)

In conclusione, possiamo introdurre i seguenti assiomi della Meccanica Quantis-tica.

Assioma 1. Lo spazio delle configurazioni di un sistema quantistico e uno spazio diHilbert H separabile e i possibili stati del sistema sono rappresentati dagli elementi di Hche hanno norma 1.

Assioma 2. Ogni osservabile a corrisponde ad un operatore lineare simmetrico definitosu un insieme denso D(A) massimale. Il valore di aspettazione per una misura di a,quando il sistema e nello stato ψ ∈ D(A) con ‖ψ‖ = 1, e dato dalla (4.3), che e a valorireali.

Assioma 3. L’evoluzione temporale e determinata da una famiglia di operatori unitariU(t) che dipende dal tempo in modo fortemente continuo e che soddisfa alla struttura digruppo. Il generatore di questa famiglia corrisponde all’energia del sistema e l’evoluzionetemporale soddisfa al problema di Cauchy

ih ∂

∂tψ(t) = Hψ(t), ψ(t) ∈ H, ‖ψ(t)‖ = 1 ∀t

ψ(t = 0) = ψ(0).

4.2 Operatori auto-aggiunti

Sia H uno spazio di Hilbert sul campo dei numeri complessi e separabile. Un operatorelineare e una mappa lineare

A : D(A) → A (4.11)

dove il dominio

D(A) = ψ ∈ H : Aψ ∈ H

dell’operatore A e un sottospazio lineare di H.

Definizione 4.1. L’operatore A e detto limitato se D(A) = H e se la norma dell’operatoredefinita come

‖A‖ := sup‖ψ‖H=1

‖Aψ‖H ≡ sup‖ψ‖H≤1

‖Aψ‖H ≡ supψ 6=0

‖Aψ‖H‖ψ‖H

≡ sup‖φ‖H≡‖ψ‖H=1

|〈φ,Aψ〉H|(4.12)

e finita.

Nota 4.2: L’insieme di tutti gli operatori lineari su H si denota come L(H) e, munitodella norma (4.12), e uno spazio di Banach. Si puo introdurre il prodotto (o composizione)tra due operatori:

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54 4 Operatori auto-aggiunti e spettro di operatori

(AB)ψ = A [Bψ]

il cui dominio e definito come:

D(AB) = ψ ∈ H : ψ ∈ D(B) ∧ Bψ ∈ D(A) .Osserviamo che l’operazione di prodotto tra due operatori non soddisfa alla proprietacommutativa; in generale:

AB 6= BA .

Definizione 4.2. Dati due operatori lineari A e A si dice che A e una estensione di A,e si denota A ⊆ A, se D(A) ⊆ D(A) e se

Aψ = Aψ, ∀ψ ∈ D(A) .

Nota 4.3: La richiesta che il dominio D(A) sia massimale e importante. Se l’operatoreA e limitato allora D(A) = H e quindi non ci sono difficolta in questo caso. Se inveceA non e un operatore limitato allora la ricerca di un dominio massimale e importante equesta viene realizzata attraverso il concetto di operatore auto-aggiunto.

Definizione 4.3. Un operatore lineare A densamente definito e detto simmetrico (oanche Hermitiano) se

〈ϕ,Aψ〉 = 〈Aϕ,ψ〉 , ∀ϕ, ψ ∈ D(A) . (4.13)

Esempio 4.1: L’operatore A = ddx

suH = L2(R, dx) non e simmetrico. Invece, l’operatore

A = i ddx

su H = L2(R, dx) e simmetrico.Vale il seguente:

Lemma 4.4. Un operatore A lineare e densamente definito e simmetrico se, e solo se, laforma quadratica corrispondente

qA(ψ) = 〈ψ,Aψ〉 , ψ ∈ D(A) , (4.14)

e a valori reali. In altri termini, A e simmetrico se, e solo se,

〈ψ,Aψ〉 = 〈Aψ, ψ〉 ∀ψ ∈ D(A) . (4.15)

Dimostrazione. Chiaramente la (4.13) implica che ℑ[qA(ψ)] = 0. Per dimostrare la re-lazione inversa partiamo dalle seguenti identita

qA(ψ + iϕ) = qA(ψ) + qA(ϕ) + i [〈ψ,Aϕ〉 − 〈ϕ,Aψ〉]qA(ψ + ϕ) = qA(ψ) + qA(ϕ) + [〈ψ,Aϕ〉+ 〈ϕ,Aψ〉]

in virtu della quale e essendo qA(ψ + iϕ), qA(ψ + ϕ), qA(ψ) e qA(ϕ) a valori reali, segueche

ℜ〈ψ,Aϕ〉 = ℜ〈ϕ,Aψ〉 = ℜ〈Aψ,ϕ〉e

ℑ〈ψ,Aϕ〉 = −ℑ〈ϕ,Aψ〉 = ℑ〈Aψ,ϕ〉 .

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4.2 Operatori auto-aggiunti 55

Definizione 4.5. Dato un operatore lineare A densamente definito, si definisce operatoreaggiunto l’operatore

A⋆ : D(A⋆) → H

nel seguente modo:

D(A⋆) = ψ ∈ H : ∃ψ ∈ H tale che 〈ψ,Aϕ〉 = 〈ψ, ϕ〉 , ∀ϕ ∈ D(A) (4.16)

dove

A⋆ψ = ψ . (4.17)

Nota 4.4: Osserviamo che, essendo A densamente definito, l’operatore A⋆ e unicamentedefinito. Nulla si puo dire sul dominio di A⋆, ovvero non e possibile sapere se A⋆ edensamente definito o no.Esercizio 4.1: Dimostrare che

(αA)⋆ = αA⋆

e che

(A+ B)⋆ ⊆ A⋆ + B⋆

dove

D(A⋆ +B⋆) = D(A⋆) ∩ D(B⋆) .

Dimostrare anche che l’uguaglianza vale se uno dei due operatori A o B e limitato; fornireinfine un contro-esempio per il quale vale l’inclusione in senso stretto.Esercizio 4.2: Supponiamo che AB sia densamente definito. Dimostrare che B⋆A⋆ ⊆(AB)⋆. Inoltre, se A e limitato, allora B⋆A⋆ = (AB)⋆.Esercizio 4.3: Dimostrare che

Ker(A⋆) = [Ran(A)]⊥ . (4.18)

Definizione 4.6. Se A e un operatore simmetrico allora chiaramente abbiamo che

A ⊆ A⋆ ,

infatti ψ = Aψ per ogni ψ ∈ D(A) e quindi D(A) ⊆ D(A⋆). Se, in aggiunta, vale larelazione

A = A⋆ ,

ovvero D(A) = D(A⋆), allora A e detto auto-aggiunto.

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56 4 Operatori auto-aggiunti e spettro di operatori

Nota 4.5: Osserviamo che vale la seguente relazione

A ⊆ B ⇒ B⋆ ⊆ A⋆ , (4.19)

cioe incrementando il dominio di un operatore A conseguentemente diminuisce il dominiodel suo aggiunto A⋆. Quindi non c’e possibilita di estendere ulteriormente il do-minio di un operatore auto-aggiunto. Infatti, se A e auto-aggiunto e B ne e una suaestensione auto-aggiunta allora dalla relazione

A ⊆ B ⊆ B⋆ ⊆ A⋆ = A

segue che A = B. In sostanza abbiamo provato che

Corollario 4.7. Gli operatori auto-aggiunti sono massimali; cioe essi non hanno unaestensione simmetrica.

Se A⋆ e densamente definito (e il caso in cui A e simmetrico) noi possiamo considerareA⋆⋆. In analogia alla proprieta degli spazi lineari M⊥⊥ = M l’estensione A⋆⋆ vienedenominata la chiusura di A (vedremo in seguito le sue proprieta). Osserviamo poi chese A e simmetrico allora dalla relazione A ⊆ A⋆ segue anche che A = A⋆⋆ ⊆ A⋆ e quindi

A ⊆ A ⊆ A⋆ .

Inoltre

〈ψ,A⋆ϕ〉 = 〈Aψ, ϕ〉, ∀ψ ∈ D(A) , ϕ ∈ D(A⋆) ,

implica che A e simmetrico poiche A⋆ϕ = Aϕ per ogni ϕ ∈ D(A).Esempio 4.2: Consideriamo l’operatore di moltiplicazione: sia data una funzione

A : Rn → C

misurabile e consideriamo il seguente operatore lineare definito su H = L2(Rn, dx):

(Af)(x) = A(x)f(x), D(A) = f ∈ L2(Rn, dx) : Af ∈ L2 .

Anzitutto osserviamo che D(A) e denso in H. A tal fine poniamo

Ωm = A−1([−m,m]) = x ∈ Rn : −m ≤ A(x) ≤ m , m ∈ N ,

chiaramente Ωm e un insieme misurabile tale che

Ωm ⊆ Ωm+1 e ∪+∞m=1 Ωm = R

n

Quindi, per ogni f ∈ L2(Rn, dx) la funzione fm = χΩmf e una funzione che appartiene aD(A) e inoltre vale la convergenza dominata fm → f .

Premesso cio, procediamo ora al calcolo (formale) dell’aggiunto di A: siano dati f, h ∈D(A), quindi

〈h,Af〉 =∫

Rn h(x)A(x)f(x)dx =

Rn h(x)A(x)f(x)dx = 〈Ah, f〉 , (4.20)

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4.2 Operatori auto-aggiunti 57

dove A (warning notation: qui A denota il complesso coniugato della funzione A(x) eNON la chiusura dell’operatore A) e l’operatore di moltiplicazione per A(x):

(Af)(x) = A(x)f(x) , D(A) = f ∈ L2(Rn, dx) : Af ∈ L2 = D(A) .

Segue quindi immediatamente che A ⊆ A⋆. Per dimostrare l’uguaglianza sia dato h ∈D(A⋆) e chiamiamo g = A⋆h ∈ H, consideriamo poi la relazione

Rn g(x)f(x)dx = 〈g, f〉 = 〈A⋆h, f〉 = 〈h,Af〉 =

Rn h(x)A(x)f(x)dx

da cui segue che∫

Rn

[h(x)A(x)− g(x)

]f(x)dx , ∀f ∈ L2(Rn, dx) . (4.21)

Quindi deve essere

(A⋆h)(x) = g(x) = h(x)A(x) = A(x)h(x)

e quindi A⋆ e realmente l’operatore di moltiplicazione per A con D(A⋆) = D(A).Esempio 4.3: Consideriamo l’operatore differenziale con condizioni di Dirichlet albordo sullo spazio di Hilbert H = L2([0, 2π]). Introduciamo l’operatore

A0f = −i ddxf, D(A0) = f ∈ C1([0, 2π]) : f(0) = f(2π) = 0 . (4.22)

L’operatore A0 e chiaramente simmetrico (basta fare una semplice integrazione per parti)in virtu delle condizioni al bordo di Dirichlet. Calcoliamo ora l’aggiunto A⋆0 di A0. Siag ∈ D(A⋆0) e poniamo g = A⋆0g, allora segue

∫ 2π

0g(x)f(x)dx = 〈g, f〉 = 〈A⋆0g, f〉 = 〈g, A0f〉 =

∫ 2π

0g(x)[−if ′(x)]dx (4.23)

Ricordando che f(0) = f(2π) = 0 e integrando per parti segue che

∫ 2π

0f ′(x)

[g(x)− i

∫ x

0g(s)ds

]dx = 0 . (4.24)

Quindi

g(x)− i∫ x

0g(s)ds ∈ f ′ : f ∈ D(A0)⊥

dove f ∈ C1([0, 2π]) implica che esiste h ∈ C([0, 2π]) tale che

f(x) =∫ x

0h(s)ds+ C;

la condizione al contorno f(0) = f(2π) implica che∫ 2π0 h(s)ds = 0 e quindi

f ′ : f ∈ D(A0) =h ∈ C([0, 2π]) :

∫ 2π

0h(s)ds = 0

. (4.25)

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58 4 Operatori auto-aggiunti e spettro di operatori

Se consideriamo una funzione h(s) continua in [0, 2π] la possiamo sviluppare in serie diFourier

h(s) =1

2a0 +

∞∑

n=1

[an cos(ns) + bn sin(ns)] .

In particolare, se∫ 2π0 h(s)ds = 0 allora deve necessariamente essere a0 = 0 e quindi

l’insieme f ′ : f ∈ D(A0)⊥ ⊆ H e formato dalle costanti, da cui segue che devenecessariamente essere

g(x)− i∫ x

0g(s)ds = C = g(0) ⇒ g(x) = g(0) + i

∫ x

0g(s)ds .

Osservando che g ∈ L2([0, 2π]) ⊂ L1([0, 2π]), quindi segue che g(x) ∈ AC([0, 2π]) e unafunzione assolutamente continua dove

AC([a, b]) =f ∈ C([a, b]) : ∃g ∈ L1([a, b]) tale che f(x) = f(a) +

∫ x

ag(s)ds

In conclusione, g ∈ D(A⋆0) implica che g ∈ AC([0, 2π]) e A⋆0g = g = −ig′ ∈ L2([0, 2π]);quindi1

D(A⋆0) ⊆ H1([0, 2π]) = f ∈ AC([0, 2π]) : f ′ ∈ L2([0, 2π]) .

Viceversa, per ogni g ∈ H1([0, 2π]) la relazione (4.23) vale con g = −ig′. In conclusioneA⋆0 = −i d

dxe D(A⋆0) = H1([0, 2π]).

Esempio 4.4: In particolare, A0 e simmetrico ma la sua chiusura non e auto-aggiunta.Consideriamone la chiusura

A0 = A⋆⋆0

ricordando che A⋆⋆0 ⊆ A⋆0. Per integrazioni per parti segue che

0 = 〈g, A0f〉 − 〈A⋆0g, f〉 = i[f(0)g(0)− f(2π)g(2π)

]

e poiche le condizioni al bordo per g ∈ D(A⋆0) posso essere prescritte arbitrariamente devenecessariamente essere f(0) = f(2π) = 0. Quindi

D(A0) = f ∈ D(A⋆0) : f(0) = f(2π) = 0 ⊂ D(A⋆0) ,

pertanto anche la chiusura A0 di A0 non coincide con A⋆0 e quindi A0 non e autoaggiunto.

1 Ricordiamo che W k,p(Ω) denota lo spazio di Sobolev definito come

Wk,p(Ω) =

u ∈ L

p(Ω) :∂αu

∂xα, |α| ≤ k

munito della norma (almeno per 1 ≤ p < +∞)

‖u‖Wk,p(Ω) =

|α|≤k

∥∥∥∂αu

∂xα

∥∥∥p

Lp

1/p

.

Convenzionalmente Hk = W k,2.

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4.2 Operatori auto-aggiunti 59

Esempio 4.5: Consideriamo l’operatore differenziale sullo spazio di Hilbert H =L2([0, 2π]) con condizioni periodiche al bordo. Introduciamo l’operatore

Af = −i ddxf, D(A) = f ∈ C1([0, 2π]) : f(0) = f(2π) , (4.26)

che e chiaramente una estensione di A0 poiche D(A0) ⊆ D(A). Calcoliamo ora A⋆g perg ∈ D(A⋆) osservando che A⋆ ⊆ A⋆0 e quindi g ∈ D(A⋆) ⊆ D(A⋆0) = H1 e A⋆g = A⋆0g =−ig′, ottenendo

0 = 〈g, Af〉 − 〈A⋆g, f〉 = if(0)[g(0)− g(2π)

].

Poiche questa relazione deve valere per ogni f ∈ D(A) segue che g(0) = g(2π) e

A⋆f = −i ddxf , D(A⋆) = f ∈ H1([0, 2π]) : f(0) = f(2π) . (4.27)

Similmente, come prima se ne determina la chiusura A, ma in questo caso A = A⋆ e quindiA e auto-aggiunto.Nota 4.6: Uno potrebbe pensare che non c’e una differenza sostanziale tra i due operatorisimmetrici A e A0, coincidenti su un insieme denso di vettori. In realta la differenza esostanziale: ad esempio A0 non ha autovettori inD(A0), mentre A ha una base ortonormaledi autovettori in D(A).Esercizio 4.4: Calcolare gli autovalori e autovettori di A e A0.

Dagli esempi considerati possiamo concludere che, in generale, e abbastanza sempliceverificare se un operatore e simmetrico o meno; molto piu difficile e dimostrare se questoha una chiusura auto-aggiunta. Se un dato operatore simmetrico A non e auto-aggiuntoallora si pone il problema dell’esistenza di una estensione auto-aggiunta.

Definizione 4.8. Sia A un operatore simmetrico su D(A). Se A e auto-aggiunto alloraquesta e la sola estensione auto-aggiunta di A. In tal caso A e detto essenzialmenteauto-aggiunto e D(A) e detto un core per A.

Nota 4.7: Se A non e essenzialmente auto-aggiunto allore sono possibili piu estensioniauto-aggiunte dello stesso operatore. Quindi un buon punto di partenza e costruire opera-tori essenzialmente auto-aggiunti, in modo da garantirsi l’esistenza di una unica estensioneauto-aggiunta.

Poiche il calcolo di A⋆ non e sempre facile, introduciamo un criterio per l’auto-aggiunzione senza fare uso di A⋆.

Lemma 4.9. Sia A simmetrico e tale che Ran(A+ z) = Ran(A+ z) = H per almeno unz ∈ C. Allora A e auto-aggiunto.

Dimostrazione. Si consideri A⋆ψ dove A⋆ e l’aggiunto di A e dove ψ ∈ D(A⋆). Fissato ψe dato z ∈ C nell’ipotesi del Lemma, consideriamo l’equazione

(A+ z)ϕ = (A⋆ + z)ψ

di incognita ϕ. Poiche abbiamo supposto Ran(A+ z) = H allora esiste, almeno un vettoreϕ ∈ D(A) che soddisfa a questa equazione. Cio premesso, calcoliamo

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60 4 Operatori auto-aggiunti e spettro di operatori

〈ψ, (A+ z)φ〉 = 〈(A⋆ + z)ψ, φ〉 = 〈(A+ z)ϕ, φ〉 = 〈ϕ, (A+ z)φ〉, ∀φ ∈ D(A) .

Per l’arbritarieta di φ e poiche Ran(A + z) = H segue che deve essere ψ = ϕ ∈ D(A) equindi D(A) = D(A⋆) da cui segue la tesi.

4.2.1 Indice di difetto di un operatore simmetrico

In molte applicazioni fisiche e dato un operatore simmetrico; se questo operatore risultaessere essenzialmente auto-aggiunto allora esiste una unica estensione auto-aggiunta e inquesto caso non ci sono problemi. In caso contrario e opportuno trovare tutte le estensioniauto-aggiunte e classificarle.

Nelle sezioni precedenti si e dimostrato che un operatore A e essenzialmente auto-aggiunto se

Ker(A⋆ − z) = Ker(A⋆ − z) = 0 (4.28)

per un qualche z ∈ C\R. Quindi, la proprieta di auto-aggiunzione e strettamente collegataalla dimensione di questi spazi, introduciamo i seguenti numeri

d±(A) = dimK±, K± = Ker(A⋆ ∓ i) (4.29)

detti indice di difetto di A (dove prendiamo, per semplicita, z = i, comunque ognialtro numero complesso z ∈ C \ R va bene altrettanto; di fatto gli indici di difetto sonoindipendenti dalla scelta del numero complesso z).

Quindi possiamo concludere che se

d+(A) = d−(A) = 0

allora c’e una sola estensione auto-aggiunta di A data dalla sua chiusura A. In generale,pero, la siuazione e piu intricata.

4.3 Chiusura di un operatore

In precedenza abbiamo introdotto la chiusura di un operatore simmetrico A come A = A⋆⋆.Diamo ora una definizione diversa che poi proveremo essere equivalente. Il modo piusemplice di considerare la chiusura di un operatore e prendere la chiusura del suo grafico;cioe se la successione (Aψn, ψn) → (ψ, ψ) allora ψ e il candidato ad essere Aψ. AffincheAψ sia ben definita occorre premettere la seguente definizione.

Definizione 4.10. Dato un operatore lineare A su uno spazio di Hilbert H si definiscegrafico di A il seguente sotto-insieme di H2:

Γ (A) = (ψ,Aψ) : ψ ∈ D(A) ⊆ H2 .

Definizione 4.11. Un operatore lineare A e detto chiudibile se data una qualunque suc-cessione ψn → 0 e tale che Aψn → v allora v = 0. Di conseguenza, l’operatore A chesoddisfa alla relazione Γ (A) = Γ (A), dove Γ (A) e unico ed e la chiusura di Γ (A) nellatopologia di H2, e detto la chiusura di A. L’operatore A e chiuso se A = A, e in questocaso il grafico di A e chiuso.

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4.3 Chiusura di un operatore 61

Nota 4.8: Equivalentemente, A e chiuso se, e solo se, Γ (A), equippaggiato con la normadel grafico

‖(ψ,Aψ)‖2Γ (A) = ‖ψ‖2 + ‖Aψ‖2

e uno spazio di Hilbert. Per costruzione, A e la piu piccola estensione chiusa di A.Esempio 4.6: Consideriamo ancora l’operatore di moltiplicazione per A(x), gia discussonell’esempio precedente, definendolo a partire dall’operatore A0 sul dominio

(A0f)(x) = A(x)f(x), D(A0) = f ∈ L2(Rn, dx) : supp(f) e compatto .Si prova che la chiusura di A0 e l’operatore A: A0 = A. In particolare, A0 e essenzialmenteauto-aggiunto e D(A0) e un core per A. Per dimostrare che A0 = A sia dato f ∈ D(A)e consideriamo fn = χx | |x|≤nf . Per costruzione fn ∈ D(A0) e

fn(x) → f(x) e A(x)fn(x) → A(x)f(x)

sia puntualmente che, per il teorema della convergenza dominata, in L2(Rn, dx). QuindiD(A) ⊆ D(A0) e, essendo A chiuso, vale la relazione di uguaglianza.

Lemma 4.12. Supponiamo che A sia un operatore lineare densamente definito. Allora:

i. A⋆ e chiuso.

Inoltre si puo dimostrare che

ii. A ammette chiusura se, e solo se, D(A⋆) e denso; in tal caso si ha che A = A⋆⋆ e(A)⋆ = A⋆.

iii.Se A e iniettivo e Ran(A) e denso, allora (A⋆)−1 = (A−1)⋆. Inoltre, se A ammettechiusura e A e iniettivo, allora A−1 = A−1.

Dimostrazione. Dimostriamo la sola proposizione i. e omettiamo le dimostrazioni delleproposizioni ii. e iii.. Per dimostrare la i. consideriamo il grafico di A⋆:

Γ (A⋆) =(ϕ, ϕ) ∈ H2 : ϕ ∈ H ∧ ϕ e tale che 〈ϕ,Aψ〉 = 〈ϕ, ψ〉 , ∀ψ ∈ D(A)

=(ϕ, ϕ) ∈ H2 : 〈(ϕ, ϕ), (Aψ,−ψ)〉H2 = 0, ∀ψ ∈ D(A) , (ψ,Aψ) ∈ Γ (A)

= (UΓ (A))⊥ (4.30)

dove U(ψ,Aψ) = (Aψ,−ψ). Quindi A⋆ e chiuso.

Corollario 4.13. Se A e un operatore auto-aggiunto ed iniettivo, allora anche l’operatoreinverso A−1 e auto-aggiunto.

Dimostrazione. L’equazione (4.18) nel caso A = A⋆ implica che

Ran(A)⊥ = Ker(A) = 0e quindi segue la tesi in virtu della proprieta (iii) del Lemma 4.12.

Possiamo poi generalizzare il Lemma 4.9 al caso di operatori essenzialmente auto-aggiunti.

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62 4 Operatori auto-aggiunti e spettro di operatori

Lemma 4.14. Un operatore simmetrico e essenzialmente auto-aggiunto se, e solo se, es-iste almeno un z ∈ C− R tale che

Ran(A+ z) = Ran(A+ z) = H

o

Ker(A⋆ + z) = Ker(A⋆ + z) = 0 .

Se in aggiunta A e non-negativo, cioe 〈ψ,Aψ〉 ≥ 0 per ogni ψ ∈ D(A), allora si puoammettere z ∈ (0,+∞).

Dimostrazione. Anzitutto osserviamo che in virtu della (4.18) le due condizioni sono equiv-alenti. Assumiamo, senza perdere in generalita, inoltre che A sia chiuso; in caso contrarione prendiamo la chiusura. Cio premesso, poniamo z = x+ iy, y 6= 0. Dalla relazione

‖(A+ z)ψ‖2 = ‖(A+ x)ψ + iyψ‖2 = ‖(A+ x)ψ‖2 + y2‖ψ‖2 ≥ y2‖ψ‖2 (4.31)

segue che Ker(A + z) = 0 e quindi (A + z)−1 esiste. Segue poi che l’operatore inversoe chiuso e limitato; infatti ponendo ψ = (A+ z)−1ϕ, per y 6= 0, la (4.31) implica che

‖ϕ‖ = ‖(A+ z)(A+ z)−1ϕ‖ ≥ |y| ‖(A+ z)−1ϕ‖

e quindi

‖(A+ z)−1‖ ≤ |y|−1 .

L’operatore inverso (A+z)−1 e definito su Ran(A+z), che per ipotesi e denso inH. Quindil’operatore inverso (A + z)−1, chiuso e limitato, ha come dominio tutto H. Similmente,rimpiazzando z con z, segue che Ran(A + z) = H e applicando il Lemma 4.9 segue cheche A e auto-aggiunto. Viceversa, se A = A⋆, i calcoli di cui sopra portano a dimostrareche Ker(A⋆ + z) = 0.

Concludiamo la dimostrazione osservando che nell’ipotesi A non-negativo allora, conǫ ∈ (0,+∞), basta osservare che

ǫ‖ψ‖2 ≤ 〈ψ, (A+ ǫ)ψ〉 ≤ ‖ψ‖ ‖(A+ ǫ)ψ‖

da cui segue

‖(A+ ǫ)−1‖ ≤ ǫ−1, ǫ > 0 .

Concludiamo la sezione provando il teorema del grafico chiuso, da cui segue che unoperatore chiuso e non limitato non puo essere definito su tutto lo spazio di Hilbert.

Teorema 4.15 (Teorema del grafico chiuso). Siano H1 e H2 due spazi di Hilbert esia

A : H1 → H2 (4.32)

un operatore definito su tutto H1. Allora A e limitato se, e solo se, Γ (A) e chiuso.

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4.4 Forme quadratiche ed estensione di Friedrichs 63

Dimostrazione. Se A e limitato, allora e immediato vedere che Γ (A) e chiuso. Viceversa,supponiamo che Γ (A) sia chiuso; allora per ogni vettore unitario ϕ ∈ D(A⋆) noi abbiamoche il funzionale lineare

ℓϕ(ψ) = 〈A⋆ϕ, ψ〉

e limitato puntualmente:

|ℓϕ(ψ)| = |〈A⋆ϕ, ψ〉| ≤ |〈ϕ,Aψ〉| ≤ ‖Aψ‖ .

Quindi, dal principio di uniforme limitatezza esiste una costante C tale che ‖ℓϕ‖ =‖A⋆ϕ‖ ≤ C. Cioe A⋆ e limitato e quindi anche A = A = A⋆⋆ lo e.

Come conseguenza immediata di questo teorema, e osservando che operatori simmetriciammettono sempre chiusura, allora essi sono automaticamente chiusi se essi sono definitisull’intero spazio di Hilbert. Da cio segue che

Corollario 4.16. Un operatore simmetrico definito sull’intero spazio di Hilbert H e nec-essariamente limitato.

Concludiamo la sezione con un paio di esercizi:Esercizio 4.5: Dimostrare che il kernel di un operatore chiuso e chiuso.Esercizio 4.6: Se A e chiuso e B limitato, allora AB e chiuso. E BA?

4.4 Forme quadratiche ed estensione di Friedrichs

Siamo ora pronti a trarre alcune considerazioni a riguardo delle osservabili, cercandodi dimostrare che una osservabile ha almeno una estensione auto-aggiunta. Comincianoconsiderando il caso, relativamente piu semplice, di operatori non-negativi.

Definizione 4.17. Un operatore simmetrico e detto non-negativo (rispettivamente pos-itivo), e si scrive A ≥ 0 (rispettivamente A > 0), se

〈ψ,Aψ〉 ≥ 0 (rispettivamente > 0) ∀ψ ∈ D(A), ψ 6= 0 .

Definizione 4.18. Un operatore simmetrico e detto limitato dal basso se esiste unacostante γ ∈ R tale che

〈ψ,Aψ〉 ≥ γ‖ψ‖2, ∀ψ ∈ D(A) . (4.33)

In tal caso scriviamo A ≥ γ.

Se A e positivo e simmetrico allora l’applicazione (ϕ, ψ) → 〈ϕ,Aψ〉 e un prodottoscalare. In realta questo prodotto scalare ha un inconveniente: potrebbe indurre unatopologia diversa dalla topologia iniziale. Per evitare questo problema introduciamo ilprodotto scalare

〈ϕ, ψ〉A = 〈ϕ, (A+ 1)ψ〉, A ≥ 0 , (4.34)

definito su D(A) e tale che

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64 4 Operatori auto-aggiunti e spettro di operatori

‖ψ‖ ≤ ‖ψ‖A . (4.35)

Da questa disuguaglianza segue che successioni di Cauchy, rispetto alla norma ‖ · ‖A,risultano essere tali anche rispetto alla norma ‖ · ‖.

Sia HA il completamento di D(A) rispetto a questa norma; in virtu della (4.35) segueche

D(A) ⊆ HA ⊆ H .

In maggior dettaglio: se ψnn e una sequenza di Cauchy in D(A) con la norma ‖ · ‖A,allora essa e anche di Cauchy in H e quindi noi possiamo identificare il limite in HA comeil limite della successione riguardata come successione in H. Per avere l’unicita di questaidentificazione resta solo da dimostrare che se ψnn ⊂ D(A) e una successione di Cauchyin HA tale che ‖ψn‖ → 0 allora ‖ψn‖A → 0. Cio segue dalla seguente relazione

‖ψn‖2A = 〈ψn, ψn − ψm〉A + 〈ψn, ψm〉A≤ ‖ψn‖A‖ψn − ψm‖A + ‖ψn‖ ‖(A+ 1)ψm‖ (4.36)

dove il termine di destra puo essere reso piccolo a piacere scegliendo n em sufficientementegrandi. Piu precisamente: esiste N tale che se n,m > N allora ‖ψn − ψm‖A < ǫ, fissatoquesto valore di m esiste N1 > N tale che se n > N1 allora ‖ψn‖ < ǫ. Quindi, per m > Ne n > N1 si ha che

‖ψn‖2A ≤ ǫ‖ψn‖+ Cǫ , C = ‖(A+ 1)ψm‖

da cui segue che

‖ψn‖A ≤ C√ǫ

per una qualche costante ǫ > 0.

Nota 4.9: Talvolta lo spazioHA = D(A)‖·‖A

prende anche il nome di spazio dell’energia.Nota 4.10: Nel caso di operatori simmetrici limitati dal basso la norma dell’energia puoessere definita attraverso la norma

‖ψ‖A−γ = 〈ψ, (A− γ)ψ〉+ ‖ψ‖2 .

Per operatori non-negativi (o limitati dal basso) vale il seguente risultato (del quale neomettiamo la dimostrazione)

Teorema 4.19 (Estensione di Friedrichs). Sia A un operatore simmetrico limitatodal basso da γ. Allora esiste una estensione auto-aggiunta A che e anche limitata dalbasso da γ e che soddisfa alla condizione D(A) ⊆ HA−γ. Inoltre, A e la solo estensione

auto-aggiunta tale che D(A) ⊆ HA−γ.

Nota 4.11: Se A e un operatore non-negativo l’estensione A e definita sul dominio

D(A) =ψ ∈ H : ∃ψ ∈ H tale che 〈ϕ, ψ〉A = 〈ϕ, ψ〉 , ∀ϕ ∈ HA

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4.4 Forme quadratiche ed estensione di Friedrichs 65

nel seguente modo:

Aψ = ψ − ψ .

Nel caso in cui A non sia non-negativo, ma limitato dal basso da γ allora si opera simil-mente sostituendo A− γ al posto di A.

Definizione 4.20. Introduciamo ora la forma quadratica

qA(ψ) = ‖ψ‖2A − ‖ψ‖2 = 〈ψ,Aψ〉 , (4.37)

Questa viene inizialmente definita su D(A) e poi estesa, attraverso l’operazione dichiusura, su tutto la spazio HA. L’insieme

Q(A) = HA

prende il nome di dominio di forma dell’operatore A.

Esempio 4.7: Operatore di moltiplicazione. Sia A l’operatore di moltiplicazioneper una data funzione A(x) ≥ 0 in L2(Rn, dx). Allora possiamo definire l’operatore di

moltiplicazione (A1/2ψ)(x) =√A(x)ψ(x) da cui

Q(A) = D(A1/2) = ψ ∈ L2(Rn, dx) : A1/2ψ ∈ L2(Rn, dx) (4.38)

e

qA(ψ) =∫

Rn A(x)|ψ(x)|2dx . (4.39)

Esempio 4.8: Sia H = L2([0, π]) e consideriamo l’operatore

Af = − d2

dx2f , D(A) = f ∈ C2([0, π]) : f(0) = f(π) = 0 . (4.40)

Questo problema rappresenta il modello uni-dimensionale di una particella confinata inuna scatola di lunghezza π.

Anzitutto dimostriamo che A e simmetrico e positivo:

〈g, Af〉 =∫ π

0g(x)[−f ′′(x)]dx =

∫ π

0g′(x)f ′(x)dx =

∫ π

0−g′′(x)f(x)dx = 〈Ag, f〉(4.41)

in virtu delle condizioni periodiche f(0) = f(π) = 0 e g(0) = g(2π) = 0. Similmente siottiene che

〈f, Af〉 =∫ π

0f(x)[−f ′′(x)]dx =

∫ π

0f ′(x)f ′(x)dx =

∫ π

0|f ′(x)|2dx > 0 (4.42)

per ogni funzione f(x) non identicamente nullo.Come secondo step determiniamo lo spazio dell’energia e otteniamo che

HA = f ∈ H1([0, π]) : f(0) = f(π) = 0 . (4.43)

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66 4 Operatori auto-aggiunti e spettro di operatori

Infatti, partiamo dalla relazione (ovvia)

〈g, f〉A =∫ π

0

[g′(x)f ′(x) + g(x)f(x)

]dx = 〈f, g〉+ 〈f ′, g′〉 (4.44)

per dimostrare che fn e di Cauchy in HA se, e solo se, sia fn che f ′n sono di Cauchy in

L2([0, π]). Di conseguenza, data una successione fn di Cauchy in HA allora dovra essereche fn → f e f ′

n → h per un qualche f, h ∈ L2([0, π]); d’altra parte

fn(x) = fn(0) +∫ x

0f ′n(s)ds =

∫ x

0f ′n(s)ds

convergera a f(x) =∫ x0 h(s)ds e quindi f ∈ AC([0, π]). Le condizioni al contorno per f

seguono immediatamente: f(0) =∫ 00 h(s)ds = 0, e

f(π) = limn→+∞

∫ π

0f ′n(s)ds = lim

n→+∞[fn(π)− fn(0)] = 0

Tutto cio porta ad affermare che

HA ⊆ f ∈ H1([0, π]) : f(0) = f(π) = 0 .Per provare il viceversa sia dato f ∈ H1([0, π]) tale che f(0) = f(π) = 0 e approssimiamof ′ ∈ L2([0, π]) mediante funzioni regolari hn tali che

∫ π0 hn(s)ds = 0 (in caso contrario

prendiamo hn(x) − 1π

∫ π0 hn(s)ds invece che hn). Definiamo poi fn(x) =

∫ x0 hn(t)dt e

notiamo che, per costruzione, fn ∈ D(A) ed e tale che fn → f :

fn(x) =∫ x

0hn(s)ds→ f(x) =

∫ x

0f ′(s)ds.

Infatti

f(x)− fn(x) =∫ x

0[f ′(s)− hn(s)] ds

e quindi

‖fn − f‖2 =∫ π

0

∣∣∣∣∫ x

0[f ′(s)− hn(s)] ds

∣∣∣∣2

dx

≤ π[∫ π

0|f ′(s)− hn(s)| ds

]2

≤ π3‖f ′ − hn‖2 → 0 .

Di conseguenza f ∈ HA.Calcoliamo infine l’estensione A. Dalla definizione noi abbiamo che f ∈ D(A) ⊆ HA

se esiste f tale che 〈g, f〉A = 〈g, f〉 per ogni g ∈ HA, cioe∫ π

0g′(x)f ′(x)dx =

∫ π

0g(x)[f(x)− f(x)]dx . (4.45)

Un’integrazione per parti porta alla seguente relazione∫ π

0g′(x)

[f ′(x) +

∫ x

0

[f(t)− f(t)

]dt]dx = 0 . (4.46)

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4.5 Risolvente e spettro di un operatore lineare 67

Per l’arbitrarieta di g dovra quindi essere

f ′(x) +∫ x

0[f(s)− f(s)]ds = costante.

Di conseguenza f ′(x) =∫ x0 q(s)ds per un qualche q ∈ L2 e quindi

f ∈ H2([0, π])

e Af = f − f = −f ′′. Il viceversa e ovvio e quindi

Af = − d2

dx2f , D(A) = f ∈ H2(0, π]) : f(0) = f(π) = 0 . (4.47)

Esercizio 4.7: (⋆) Sia A un operatore simmetrico, allora la (4.12) viene generalizzata nelsenso che

‖A‖ = sup‖ψ‖=1

|〈ψ,Aψ〉| . (4.48)

Esercizio 4.8: Sia A invertibile. Dimostrare che A > 0 se, e solo se, A−1 > 0.Esercizio 4.9: Supponiamo che A sia un operatore chiuso. Dimostrare che A⋆A ≥ 0;dopo dimostrare che l’operatore A⋆A definito sul dominio

D(A⋆A) = ψ ∈ D(A) : Aψ ∈ D(A⋆)

e auto-aggiunto. Infine dimostrare che Q(A⋆A) = D(A).Esercizio 4.10: (⋆) Sia

A0 = − d2

dx2definita su D(A0) = C∞

0 (R)

dove C∞0 (R) e lo spazio delle funzioni infinitamente derivabili a supporto compatto, e ben

noto che tale spazio e denso in L2(R, dx). Calcolarne l’estensione A e dimostrare cheQ(A) = H1(R) e che D(A) = H2(R).Esercizio 4.11: (⋆) Dimostrare che la (4.48) e falsa se A non e simmetrico.

4.5 Risolvente e spettro di un operatore lineare

Sia A un operatore chiuso e densamente definito sullo spazio di Hilbert H.

Definizione 4.21. L’insieme risolvente di A e l’insieme definito come

ρ(A) :=z ∈ C : (A− z)−1 ∈ L(H)

. (4.49)

Ovvero z ∈ ρ(A) se, e solo se, l’operatore

(A− z) : D(A) → H

e biiettivo e l’operatore inverso e limitato.

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68 4 Operatori auto-aggiunti e spettro di operatori

Nota 4.12: In virtu del Teorema del grafico chiuso (4.15) e sufficiente controllare, peroperatori simetrici, che (A− z) sia invertibile.

Definizione 4.22. L’insieme complementare dell’insieme risolvente si chiama spettrodell’operatore A ed e definito come

σ(A) = C \ ρ(A) . (4.50)

Nota 4.13: In particolare z ∈ σ(A) se A − z ha nucleo non banale: Ker(A − z) 6= 0.Un vettore ψ ∈ Ker(A − z) e detto un autovettore di A e z e detto autovalore. Eopportuno sottolineare che l’insieme degli autovalori di A e un sottoinsieme dello spettrodi A, ma non e detto che coincida con tutto lo spettro; ovvero possono esistere dei valoriz ∈ σ(A) che non sono autovalori di A.

Definizione 4.23. L’operatore

RA(z) : ρ(A) → L(H)z → (A− z)−1 (4.51)

e detto l’operatore risolvente di A.

Nota 4.14: Osservando semplicemente che

RA(z)⋆ =

[(A− z)−1

]⋆= (A⋆ − z)−1 = RA⋆(z) (4.52)

segue che (Warning Notations: ρ qui denota il complesso coniugato e non la chiusuradi ρ)

ρ(A⋆) = ρ(A) e σ(A⋆) = σ(A) (4.53)

Esempio 4.9: Consideriamo ancora l’operatore di moltiplicazione: sia A(x) una funzionemisurabile assegnata, x ∈ R

n, e sia A l’operatore lineare definito sullo spazio di HilbertH = L2(Rn, µ) come

(Af)(x) = A(x)f(x) , D(A) = f ∈ H : Af ∈ H . (4.54)

L’operatore inverso e definito come

(A− z)−1f =f(x)

A(x)− z.

Quest’operatore e limitato se A(x)− z 6= 0 nel senso che

ρ(A) = z ∈ C : ∃ǫ > 0 : µ(Bǫ) = 0 (4.55)

dove Bǫ e l’insieme

Bǫ = x ∈ Rn : |A(x)− z| < ǫ .

Viceversa

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4.5 Risolvente e spettro di un operatore lineare 69

σ(A) = z ∈ C : ∀ǫ > 0 : µ(Bǫ) > 0 . (4.56)

Esempio 4.10: Consideriamo l’operatore differenziale A sullo spazio di HilbertL2(0, 2π) definito come

Af = −i ddxf , D(A) = f ∈ AC[0, 2π] : f ′ ∈ L2, f(0) = f(2π) (4.57)

E ben noto che gli autovalori di A sono i numeri interi n = 0,±1,±2, . . . e che le cor-rispondenti autofunzioni normalizzate

un(x) =1√2πeinx (4.58)

formano una base ortonormale. Per calcolarne il risolvente noi dobbiamo trovare lasoluzione della corrisponde equazione non-omogenea

−if ′(x)− zf(x) = g(x) .

Un calcolo immediato porta a

f(x) = f(0)eizx + i∫ x

0eiz(x−t)g(t)dt . (4.59)

Poiche f deve appartenere al dominio di A allora si deve avere f(0) = f(2π) da cui segueche f(0) deve assumere il valore

f(0) =i

e−2iπz − 1

∫ 2π

0e−iztg(t) dt , z ∈ C \ Z. (4.60)

Quindi l’operatore inverso (A− z)−1 e un operatore integrale

[(A− z)−1g

](x) =

∫ 2π

0G(z, x, t)g(t)dt (4.61)

di nucleo

G(z, x, t) = eiz(x−t) −ie−2iπz−1

, t > x−i

e2iπz−1, t < x

(4.62)

Da cio segue che (A− z)−1 e limitato se z ∈ C \ Z, e quindi σ(A) = Z.

Teorema 4.24 (First Resolvent Formula). Sia dato un operatore lineare A su unospazio di Hilbert H, siano z, z0 ∈ ρ(A), allora

RA(z)−RA(z0) = (z − z0)RA(z)RA(z0) = (z − z0)RA(z0)RA(z) . (4.63)

Dimostrazione. Infatti, un calcolo immediato prova che

RA(z)− (z − z0)RA(z0)RA(z) = [1− (z − z0)RA(z0)]RA(z)

= RA(z0) [(A− z0)− (z − z0)]RA(z) = RA(z0)

da cui segue la seconda identita (4.63). La prima identita segue semplicemente scambiandoz con z0.

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70 4 Operatori auto-aggiunti e spettro di operatori

Riscriviamo ora la (4.63) nel seguente modo

RA(z) = RA(z0) +RA(z0)(z − z0)RA(z) (4.64)

da cui seguono due conseguenze. La prima produce la seguente identita

RA(z) = RA(z0) [1−RA(z0)(z − z0)]−1 . (4.65)

Fissiamo ora z0, applicando la formula (4.63) in modo ricorsivo si ottiene la seguenterelazione

RA(z) =n∑

j=0

(z − z0)j[RA(z0)]

j+1 + (z − z0)n+1[RA(z0)]

n+1RA(z) . (4.66)

Consideriamo ora il problema della convergenza in norma di operatori della serie di oper-atori

Rn :=n∑

j=0

(z − z0)j[RA(z0)]

j+1 . (4.67)

Sia z0 ∈ ρ(A) e sia z ∈ C tale che

|z − z0| < ‖RA(z0)‖−1 ;

allora z ∈ ρ(A) e inoltre la serie (4.67) converge all’operatore risolvente in z:

RA(z) = limn→+∞

n∑

j=0

(z − z0)j[RA(z0)]

j+1 .

A tal fine, anzitutto osserviamo che la serie (4.67) converge in norma ad un operatorelimitato, che al momento denotiamo R∞. Sia assegnato ora ψ ∈ H e sia

ϕ = R∞ψ e ϕn = Rnψ .

Un calcolo immediato prova che

Aϕn = ARnψ = (A− z0)Rnψ + z0ϕn = ψ + (z − z0)ϕn−1 + z0ϕn (4.68)

da cui segue che

(ϕn, Aϕn) → (ϕ, ψ + zϕ)

e quindi ϕ ∈ D(A), poiche A e un operatore chiuso, e (A− z)R∞ψ = ψ. Similmente, perψ ∈ D(A) segue che

RnAψ = ψ + (z − z0)ϕn−1 + z0ϕn (4.69)

e quindi R∞(A− z)ψ = ψ dopo essere passati al limite.In conclusione, noi abbiamo provato che

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4.5 Risolvente e spettro di un operatore lineare 71

Teorema 4.25. L’insieme risolvente ρ(A) e un insieme aperto, e quindi lo spettro σ(A)e un insieme chiuso, e l’applicazione

z ∈ ρ(A) → RA(z) ∈ L(H)

e analitica, cioe essa ammette uno sviluppo in serie di potenze assolutamente convergenteattorno ad ogni punto z0 ∈ ρ(A).

Nota 4.15: Se A e un operatore limitato un argomento simile porta alla serie diNeumann per il risolvente per ogni |z| > ‖A‖:

RA(z) = −n−1∑

j=0

Aj

zj+1+

1

znAnRA(z) = −

∞∑

j=0

Aj

zj+1(4.70)

Inoltre si ha che z ∈ C : |z| > ‖A‖ ⊆ ρ(A).Come conseguenza si ha che

Corollario 4.26. Si ha che z ∈ σ(A) se esiste una successione, detta successione diWeyl, ψn ∈ D(A) tale che ‖ψn‖ = 1 e ‖(A− z)ψn‖ → 0.

Dimostrazione. Sia ψn una successione di Weyl associata a z, allora non puo essere z ∈ρ(A) poiche

1 = ‖ψn‖ = ‖RA(z)(A− z)ψn‖ ≤ ‖RA(z)‖ ‖(A− z)ψn‖ → 0 .

Nota 4.16: Se z ∈ σ(A) e inoltre z sta sul bordo di ρ(A) allora il viceversa del Corollariovale; ovvero esiste una successione di Weyl associata a tale z.

Segue inoltre il seguente risultato.

Corollario 4.27. Supponiamo che l’operatore A sia iniettivo e sia A−1 l’operatore in-verso. Allora

σ(A−1) \ 0 = [σ(A) \ 0]−1 . (4.71)

Inoltre, Aψ = zψ, z 6= 0, ψ ∈ H, se e solo se A−1ψ = z−1ψ.

Dimostrazione. Sia z ∈ ρ(A) \ 0 fissato. Osserviamo che

RA−1(z−1) = −zARA(z) = −z − z2RA(z) .

Infatti, il termine sinistro e un operatore limitato da H → D(A−1) = Ran(A) e inoltre

(A−1 − z−1)(−zARA(z))ϕ = (−z + A)RA(z)ϕ = ϕ, ϕ ∈ H.

Viceversa, se ψ ∈ D(A−1) = Ran(A), allora noi abbiamo che ψ = Aϕ per un qualcheϕ ∈ D(A) e quindi

[−zARA(z)] (A−1 − z−1)ψ = ARA(z)[(A− z)ϕ] = Aϕ = ψ .

Quindi z−1 ∈ ρ(A−1). Il resto della dimostrazione segue scambiando i ruoli di A e A−1.

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72 4 Operatori auto-aggiunti e spettro di operatori

Similmente, si puo caratterizzare lo spettro di operatori unitari (dove una biiezione Ue unitaria se 〈Uψ,Uϕ〉 = 〈ψ, ϕ〉, ovvero U e unitaria se, e solo se, U⋆ = U−1).

Teorema 4.28. Sia U un operatore unitario. Allora σ(U) ⊆ z ∈ C : |z| = 1; inparticolare tutti gli autovalori hanno modulo 1 e autovettori corrispondenti a differentiautovalori sono ortogonali tra loro.

Dimostrazione. Essendo ‖U‖ ≤ 1 segue che σ(U) ⊆ z ∈ C : |z| ≤ 1. D’altra parteanche U−1 e unitario e quindi σ(U−1) ⊆ z ∈ C : |z| ≤ 1, d’altra parte, in virtu delLemma 4.13 segue che

σ(U) =[σ(U−1)

]−1 ⊆ z ∈ C : |z| ≥ 1

e quindi σ(U) ⊆ z ∈ C : |z| = 1. Se Uψj = zjψj, j = 1, 2, noi abbiamo che

(z1 − z2)〈ψ1, ψ2〉 = 〈U⋆ψ1, ψ2〉 − 〈ψ1, Uψ2〉 = 0.

Infine, si osserva che U⋆ψj = U−1ψj = z−1j ψj = zjψj.

4.5.1 Spettro di Operatori auto-aggiunti

Caratterizziamo ora lo spettro di operatori auto-aggiunti.

Teorema 4.29. Sia A un operatore simmetrico. Allora:

i. A e auto-aggiunto se, e solo se, σ(A) ⊆ R; inoltre

‖RA(z)‖ ≤ |ℑz|−1 .

ii. σ(A) ⊆ [E,+∞), per un dato numero reale E, se, e solo se, (A− E) ≥ 0; inoltre

‖RA(z)‖ ≤ |z − E|−1, ∀z ∈ (−∞, E) .

Dimostrazione. Cominciamo a considerare la i.; sia σ(A) ⊆ R, quindi per ogni z ∈ C segueche z ∈ ρ(A) e (A−z)−1 e un operatore limitato e quindi Ran(A−z) = D ([A− z]−1) = H,z ∈ C \ R e quindi A e autoaggiunto in virtu del Lemma 4.14. Viceversa, se A e auto-aggiunto (risp. A ≥ E), allora RA(z) esiste per z ∈ C \ R (risp. z ∈ C \ [E,∞)) ed essosoddisfa alle stime, come si puo vedere anche nella dimostrazione del Lemma 4.14.

In particolare, noi otteniamo che

Teorema 4.30. Sia A un operatore auto-aggiunto. Allora

inf σ(A) = infψ∈D(A), ‖ψ‖=1

〈ψ,Aψ〉 (4.72)

e

sup σ(A) = supψ∈D(A), ‖ψ‖=1

〈ψ,Aψ〉 . (4.73)

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4.5 Risolvente e spettro di un operatore lineare 73

Esercizio 4.12: Dimostrare il Teorema 4.30.Per cio che riguarda gli autovalori ed i corrispondenti autovettori vale il seguente risul-

tato.

Lemma 4.31. Sia A un operatore simmetrico. Allora tutti gli autovalori di A sono realie gli autovettori corrispondenti ad autovalori differenti sono ortogonali.

Dimostrazione. Sia Aψj = λjψj, j = 1, 2, con λ1 6= λ2. La tesi segue osservando che

λj‖ψj‖2 = 〈ψj, λjψj〉 = 〈ψj, Aψj〉 = 〈Aψj, ψj〉 = 〈λjψj, ψj〉 = λj‖ψj‖2

e che

(λ2 − λ1)〈ψ1, ψ2〉 = 〈ψ1, Aψ2〉 − 〈Aψ1, ψ2〉 = 〈ψ1, Aψ2〉 − 〈ψ1, Aψ2〉 = 0

completando la dimostrazione.

Nota 4.17: Il risultato non implica che due autofunzioni linearmente indipendenti allostesso autovalore sono necessariamente ortogonali; comunque noi possiamo sempre sup-porre che siano ortogonali tra loro e normalizzate in virtu del metodo di Gram-Schmidt.In particolare, se H e uno spazio finito dimensionale, noi possiamo sempre trovare unabase ortonormale di autovettori.

Nel caso infinito dimensionale questo non e vero in generale. Comunque, se H am-mette una base ortonormale di autovettori, allora A e essenzialmente auto-aggiunto. Piuprecisamente:

Teorema 4.32. Supponiamo che A sia un operatore simmetrico che ammetta una baseortonormale di autofunzioni ϕj tale che span ϕj sia denso su H. Allora A e es-senzialmente auto-aggiunto. In particolare, esso e essenzialmente auto-aggiunto su spanϕj.Dimostrazione. Consideriamo l’insieme di tutte le combinazioni lineari finite ψ =

∑nj=0 cjϕj,

che risulta essere un insieme denso in H. Allora φ =∑nj=0

cjλj±iϕj ∈ D(A), e (A± i)φ = ψ

mostrando che Range (A± i) e denso.

Esercizio 4.13: Supponiamo che A sia un operatore limitato. Dimostrare che I + A hainversa limitata quando ‖A‖ < 1.Esercizio 4.14: Calcolare l’operatore risolvente dell’operatore

Af = f ′, D(A) = f ∈ H1[0, 1] : f(0) = 0 .Discutere lo spettro dell’operatore A e osservare che esistono operatori illimitati con spet-tro vuoto.Esercizio 4.15: Calcolare gli autovalori ed autovettori dell’operatore

Af = −f ′′, D(A) = f ∈ H2[0, π] : f(0) = f(π) = 0 .Calcolare l’operatore risolvente di A.Esercizio 4.16: Trovare una successione di Weyl per l’operatore autoaggiunto A = − d2

dx2,

D(A) = H2(R), per ogni z ∈ (0,+∞), e determinare lo spettro di A. [Suggerimento:risolvere l’equazione −u′′ = zu e sulla soluzione generale u costruire il termine genericodella successione di Weyl ψn a partire da u e con una ”‘operazione”’ di cut-off.]

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74 4 Operatori auto-aggiunti e spettro di operatori

4.5.2 Somma ortogonale di operatori

Siano Hj, j = 1, 2, due distinti spazi di Hilbert e siano Aj : D(Aj) → Hj due datioperatori. Ponendo H = H1 ⊕H2 noi definiamo l’operatore

A = A1 ⊕ A2, D(A) = D(A1)⊕D(A2) (4.74)

ponendo

A(ψ1 + ψ2) = A1ψ1 + A2ψ2 , ψj ∈ D(Aj) .

L’operatore A e chiuso, auto-aggiunto, etc., se tali sono i singoli operatori Aj; inoltre,tali considerazioni si possono estendere ad un numero qualunque di operatori ponendoH = ⊕n

j=1Hj e definendo

A = ⊕nj=1Aj, D(A) = ⊕n

j=1D(Aj) . (4.75)

In particolare segue che se tutti gli operatori Aj sono auto-aggiunti, dove n ∈ N ∪ ∞,sul loro dominio D(Aj) allora anche A e auto-aggiunto e

RA(z) = ⊕nj=1RAj

(z), z ∈ ρ(A) = C \ σ(A) (4.76)

dove (l’operazione di chiusura puo essere omessa se n ∈ N)

σ(A) = ∪nj=1σ(Aj) . (4.77)

Esercizio 4.17: Sia A l’operatore definito dalla (4.75), dimostrare che ‖A‖ = supj ‖Aj‖.Consideriamo ora il problema inverso: dato un operatore A puo essere utile decomporre

A mediante una somma ortogonale e considerare separatamente ogni singolo termine.Sia H1 ⊆ H sia un sottospazio chiuso e sia P1 il proiettore corrispondente; noi diciamo

che H1 riduce l’operatore A se

P1(D(A)) ⊆ D(A) e se P1Aψ = AP1ψ, ∀ψ ∈ D(A) .

Inoltre se poniamoH2 = H⊥1 segue cheH = H1⊕H2 e l’operatore di proiezione P2 = I−P1

riduce anch’esso l’operatore A.In generale, supponiamo che H = ⊕n

j=1Hj dove ogni Hj riduce A, n ∈ N ∪ ∞.Allora l’operatore A si puo decomporre come A = ⊕n

j=1Aj dove

Ajψ = Aψ, D(Aj) = Pj (D(A)) ⊆ D(A) . (4.78)

Se A ammette chiusura A allora anche Hj riduce A e A = ⊕nj=1Aj.

Nota 4.18: In particolare, se A e auto-aggiunto, allora H1 riduce A se P1D(A) ⊆ D(A)e AP1ψ ∈ H1 per ogni ψ ∈ D(A); infatti, se ψ ∈ D(A) noi possiamo scrivere ψ = ψ1 ⊕ψ2

con P2 = I− P1 e ψj = Pjψ ∈ D(A). Poiche AP1ψ = Aψ1 e

P1Aψ = P1Aψ1 + P1Aψ2 = Aψ1 + P1Aψ2

noi dobbiamo semplicemente provare che P1Aψ2 = 0. Ma cio segue dalla relazione

〈ϕ, P1Aψ2〉 = 〈AP1ϕ, ψ2〉 = 0 (4.79)

per ogni ϕ ∈ D(A).

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5

Teoria perturbativa per operatori auto-aggiunti

5.1 Il Teorema spettrale

In questa sezione vogliamo definire il concetto di funzione di un operatore f(A) dove f euna funzione assegnata e A un operatore auto-aggiunto. Se f e una funzione polinomialeallora f(A) e ben definita; il problema si pone quando f non e semplicemente una funzionepolinomiale. Un primo approccio potrebbe consistere nel definire f(A) attraverso losviluppo in serie di potenze: se f(x) =

∑∞n0cnx

n e convergente per un qualche |x| ≤ Rallora si puo definire f(A) =

∑∞n=0 cnA

n purche A sia un operatore limitato con norma‖A‖ < R; in caso contrario cio non e possibile.

Ad esempio, supponiamo che A sia una matrice simmetrica su Cm con m autovalori

(reali) λj e autovettori ψj associati: Aψj = λjψj. Poiche un qualunque vettore ψ ∈ Cm si

puo scrivere come combinazione lineare dei vettori ψj:

ψ =m∑

j=1

ajψj

allora segue che

Aψ =m∑

j=1

ajλjψj

e, in generale,

Anψ =m∑

j=1

ajλnjψj .

Quindi

f(A)ψ :=∞∑

n=0

cnAnψ =

∞∑

n=0

cnm∑

j=1

ajλnjψj

=m∑

j=1

aj

[ ∞∑

n=0

cnλnj

]ψj =

m∑

j=1

ajf(λj)ψj

=m∑

j=1

f(λj)Pjψ (5.1)

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76 5 Teoria perturbativa per operatori auto-aggiunti

dove Pjψ = 〈ψj, ψ〉ψj = ajψj e l’operatore di proiezione sull’autospazio associato da λj.La formula (5.1) e essenzialmente un risultato di decomposizione spettrale per operatori

formati da matrici di dimenione finita (che sono un caso particolare di operatori limitati).Vediamo ora come estenderlo ad un operatore qualunque. A tal fine introduciamo lafunzione caratteristica χΩ(A), dove Ω e un insieme assegnato, invece che le potenze diAn, per definire in modo preciso χΩ(A), dove A e un operatore, dobbiamo introdurre lep.v.m. (cioe le projection-valued measure)

Definizione 5.1. Sia B la sigma algebra dei Borelliani su R, sia H uno spazio di Hilbert esia L(H) l’insieme degli operatori limitati su H. Si definisce p.v.m. (projection-valuedmeasure) una mappa

Ω ∈ B → P (Ω) ∈ L(H) (5.2)

che soddisfa alle seguenti proprieta:

i. P (Ω)⋆ = P (Ω) e P (Ω)2 = P (Ω);ii. P (R) = I;iii.vale la proprieta di σ-additivita: se Ω = ∪∞

n=1Ωn con Ωn ∩ Ωm = ∅, per n 6= m, alloraper ogni ψ ∈ H si ha che

P (Ω)ψ =∞∑

n=1

P (Ωn)ψ . (5.3)

Nota 5.1: Notiamo che richiediamo la convergenza forte (5.3) invece che la convergenzain norma. Infatti, anche nel caso banale in cui H = L2(I), dove I e un intervallo reale, eP (Ω) = χΩ(x) e una funzione caratteristica (operatore di moltiplicazione) la convergenzain norma P (Ω) =

∑∞n=1 P (Ωn) cade.

Nota 5.2: Notiamo infine che era sufficiente richiedere la convergenza debole invece chedella convergenza forte (5.3) poiche la prima, in questo caso, implica la seconda. A talfine e sufficiente osservare che

〈ψ, Pnψ〉 = 〈ψ, P 2nψ〉 = 〈Pnψ, Pnψ〉 = ‖Pnψ‖2 .

Esempio 5.1: Sia H = Cn e sia A una matrice simmetrica, siano λj, j = 1, 2, . . . ,m, i

suoi autovalori distinti, siano Pj gli operatori di proiezione sui rispettivi autospazi:

Pjψ =∑

〈ϕ, ψ〉ϕdove la somma e estesa su tutti gli autovettori ϕ, ortogonali tra loro e normalizzati,associati all’autovalore λj. Allora

PA(Ω) =∑

j : λj∈ΩPj (5.4)

e una p.v.m..Esempio 5.2: Sia H = L2(R) e sia f una funzione misurabile a valori reali. Se poniamo

P (Ω) = χf−1(Ω) (5.5)

non e difficile fare vedere che essa e una p.v.m..Vediamo ora alcune proprieta delle p.v.m. la cui dimostrazione e immediata.

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5.1 Il Teorema spettrale 77

Teorema 5.2. Sia P (Ω) una p.v.m., allora si prova che

i. P (∅) = 0 e P (R \Ω) = I− P (Ω);ii. P (Ω1 ∪Ω2) + P (Ω1 ∩Ω2) = P (Ω1) + P (Ω2);iii.P (Ω1 ∩Ω2) = P (Ω1)P (Ω2);iv. se Ω1 ⊆ Ω2 allora P (Ω1) ≤ P (Ω2), nel senso che

〈ψ, P (Ω1)ψ〉 ≤ 〈ψ, P (Ω2)ψ〉 .

Dimostrazione. Le proprieta i., ii. e iv. sono ovvie; resta solo da dimostrare la iii.. Sup-poniamo per un momento che sia Ω1 ∩ Ω2 = ∅, e quindi P (Ω1 ∩ Ω2) = 0, ed eleviamo alquadrato ambo i membri della relazione ii. ottenendo che

P (Ω1 ∪Ω2)2 = P (Ω1)

2 + P (Ω2)2 + P (Ω1)P (Ω2) + P (Ω2)P (Ω1)

ovvero

P (Ω1 ∪Ω2) = P (Ω1) + P (Ω2) + P (Ω1)P (Ω2) + P (Ω2)P (Ω1)

ovvero

P (Ω1)P (Ω2) + P (Ω2)P (Ω1) = 0 .

Moltiplicando a destra ambo i membri di questa equazione per P (Ω2) si ottiene che

P (Ω1)P (Ω2)2 + P (Ω2)P (Ω1)P (Ω2) = 0

da cui segue

P (Ω1)P (Ω2) = −P (Ω2)P (Ω1)P (Ω2)

e quindi P (Ω1)P (Ω2) e simmetrico (e quindi auto-aggiunto essendo limitato). Possiamoinfine concludere che

2P (Ω1)P (Ω2) = −2P (Ω2)P (Ω1) = P (Ω1)P (Ω2) + P (Ω2)P (Ω1) = 0 .

Consideriamo ora il caso in cui Ω1 6= Ω2 (se Ω1 = Ω2 allora e ovvio): osservando che ilgenerico insieme Ωj, j = 1, 2, puo essere visto come unione disgiunta Ωj = (Ωj − Ωi) ∪(Ωj ∩Ωi), i 6= j, segue che

P (Ω1)P (Ω2) = [P (Ω1 −Ω2) + P (Ω1 ∩Ω2)] · [P (Ω2 −Ω1) + P (Ω1 ∩Ω2)]

= P (Ω1 −Ω2)P (Ω2 −Ω1) + P (Ω1 −Ω2)P (Ω1 ∩Ω2) +

+P (Ω1 ∩Ω2)P (Ω2 −Ω1) + P (Ω1 ∩Ω2)P (Ω1 ∩Ω2)

= P (Ω1 ∩Ω2) ,

poiche

P (Ω1 −Ω2)P (Ω2 −Ω1) = 0

P (Ω1 −Ω2)P (Ω1 ∩Ω2) = 0

P (Ω1 ∩Ω2)P (Ω2 −Ω1) = 0

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78 5 Teoria perturbativa per operatori auto-aggiunti

Definizione 5.3. Sia P (Ω) una p.v.m., per λ ∈ R definiamo la seguente funzione denom-inata risoluzione dell’identita (e denotata P (λ), con abuso di notazione)

P (λ) = P ((−∞, λ]) . (5.6)

E immediato verificare quanto segue

Lemma 5.4. La funzione P (λ) soddisfa alle seguenti proprieta

i. P (λ) e una proiezione ortogonale;ii. P (λ1) ≤ P (λ2) se λ1 ≤ λ2;iii.P (λ) e continua da destra:

s− limµ→λ+

P (µ) = P (λ);

iv. valgono i seguenti limiti:

s− limλ→−∞

P (λ) = 0 e s− limλ→+∞

P (λ) = I .

Assegnata alla p.v.m. P (Ω) possiamo associare una misura nel seguente modo: fissatoψ ∈ H si definisce la seguente misura dipendente dal vettore ψ

Ω ∈ B → µψ(Ω) = 〈ψ, P (Ω)ψ〉 ∈ R

E immediato osservare che µ(0) = 0 e inoltre µ(R) = ‖ψ‖2 < ∞; la funzione di dis-tribuzione viene denotata con µψ(λ), λ ∈ R, ed ha la forma

µψ(λ) = 〈ψ, P (λ)ψ〉 . (5.7)

Andiamo ora a definire l’integrale associato alle p.v.m.. Cominciamo considerando unafunzione f costante a tratti: siano assegnati n numeri α1, α2, . . . , αn e n insiemi di BorelΩ1, Ω2, . . . , Ωn e sia

f(x) =n∑

j=1

αjχΩj(x)

dove χΩj(x) e la funzione caratteristica su Ωj :

χΩj(x) =

1 se x ∈ Ωj

0 se x /∈ Ωj

Chiaramente, per costruzione, Ωj = f−1(αj). Cio premesso poniamo

P (f) :=∫

Rf(λ)dP (λ) =

n∑

j=1

αjP (Ωj). (5.8)

Da questa definizione segue immediatamente che P (χΩ) = P (Ω) per ogni borelliano Ω.Inoltre si osserva che:

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5.1 Il Teorema spettrale 79

- P e una mappa lineare che trasforma funzioni f costanti a tratti in operatori linearisu H;

- l’operatore P (f) e limitato; infatti osserviamo che

‖P (f)ψ‖2 =∫

R|f(λ)|2dµψ(λ) ; (5.9)

da cui segue che

‖P (f)ψ‖ ≤ ‖f‖∞‖ψ‖ ≤ max |αj| ‖ψ‖ . (5.10)

- l’operatore Pf) e infine simmentrico, poiche αj ∈ R, e quindi auto-aggiunto.

L’estensione della definizione di P (f) a funzioni misurabili f avviene per continuitacon tecniche standard.

Siamo ora in grado di enunciare il teorema spettrale (che non dimostreremo).

Teorema 5.5 (Teorema Spettrale). Ad ogni operatore auto-aggiunto A corrispondeuna unica p.v.m. PA(λ) tale che

A =∫

RλdPA(λ) . (5.11)

Inoltre

f(A) =∫

Rf(λ)dPA(λ) . (5.12)

Nota 5.3: La forma quadratica associata all’operatore A e data da

qA(ψ) =∫λdµψ(λ) (5.13)

e puo essere definita per ogni ψ sul dominio di forma

Q(A) = D(|A| 12 ) =ψ ∈ H :

R|λ|dµψ(λ) <∞

⊇ D(A) . (5.14)

Nota 5.4: Notiamo che se due operatori auto-aggiunti A e B sono unitariamente equiv-alenti allora dµψ = dνUψ dove dν indica la misura associata all’operatore B. In particolareabbiamo che

UPA(f) = PB(f)U, UD(PA(f)) = D(PB(f)) .

Nota 5.5: Come conseguenza del Teorema spettrale segue la seguente importante pro-prieta

‖f(A)ψ‖2 =∫

R|f(λ)|2dµψ(λ) (5.15)

da cui segue che

D(A) =ψ ∈ H :

R|λ|2dµψ(λ) < +∞

. (5.16)

Infine, diamo una caratterizzazione dello spettro di A in termine delle proiezioni asso-ciate PA.

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80 5 Teoria perturbativa per operatori auto-aggiunti

Teorema 5.6. Lo spettro σ di un operatore auto-aggiunto A e dato da

σ(A) = λ0 ∈ R : PA(λ0 − ǫ, λ0 + ǫ) 6= 0 per ogni ǫ > 0 . (5.17)

Dimostrazione. Sia fissato λ0 e sia Ωn =(λ0 − 1

n, λ0 +

1n

). Supponendo che PA(Ωn) 6= 0

allora esiste almeno un vettore ψn ∈ PA(Ωn)H con ‖ψn‖ = 1. Di conseguenza PA(Ωn)ψn =ψn; infatti dalla definizione ψn = PA(Ωn)ϕ per un qualche ϕ ∈ H e quindi

PA(Ωn)ψn = PA(Ωn)PA(Ωn)ϕ = PA(Ωn)2ϕ = PA(Ωn)ϕ = ψn .

Quindi dalla formula (5.15) segue che

‖(A− λ0)ψn‖2 = ‖(A− λ0)PA(Ωn)ψn‖2 =∫

R(λ− λ0)

2χΩn(λ)dµψn(λ) ≤1

n2

da cui segue che λ ∈ σ(A) in virtu del Corollario 4.26. Viceversa, se PA(λ0− ǫ, λ0+ ǫ) = 0per ogni ǫ > 0 sufficientemente piccolo, allora noi poniamo

fǫ(λ) =χR\(λ0−ǫ,λ0+ǫ)(λ)

λ− λ0

e dimostriamo (omettendo i dettagli)

(A− λ0)PA(fǫ) = PA [R \ (λ0 − ǫ, λ0 + ǫ)] = I

e

PA(fǫ)(A− λ0) = I|D(A) .

Segue che (A− λ0) e invertibile e quindi λ0 ∈ ρ(A).

In particolare, PA((λ1, λ2)) = 0 se, e solo se, (λ1, λ2) ⊆ ρ(A)Nota 5.6: Come conseguenza del Teorema Spettrale segue che

PA(σ(A)) = I e PA(R ∩ ρ(A)) = 0 . (5.18)

Nota 5.7: Come conseguenza della relazione (5.18) segue che

PA(f) = PA(σ(A))PA(f) = PA(χσ(A)f) . (5.19)

Cioe PA(f) non dipende dai valori di f su R \ σ(A). Inoltre e estremamente intuitivoscrivere PA(f) = f(A), infatti e sufficiente notare che

PA

n∑

j=0

αjλj

=

n∑

j=0

αjAj . (5.20)

In particolare, segue anche che se A e un operatore limitato allora f(A) puo essere definitaper mezzo di una serie di potenze convergente.Nota 5.8: Mostrare che per un operatore auto-aggiunto A si ha che

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5.1 Il Teorema spettrale 81

‖RA(z)‖ =1

dist(z, σ(A))

Nota 5.9: Supponiamo che A sia un operatore auto-aggiunto e C un operatore limitatotale che ‖C − z0‖ ≤ r. Segue che

σ(A+ C) ⊆ σ(A) +Br(z0)

dove Br(z0) e la boccia di raggio r attorno a z0.Nota 5.10: Dimostrare che per ogni operatore auto-aggiunto A si ha che

‖ARA(z)‖ ≤ |z|ℑ(z) .

Concludere inoltre che per ogni ψ ∈ H si ha che

limz→∞ ‖ARA(z)ψ‖ = 0 (5.21)

dove il limite e preso in ogni settore Sǫ, per ǫ > 0,

Sǫ = z ∈ C : ǫ|ℜz| ≤ |ℑz| .

Nota 5.11: Si puo dimostrare che λ0 e un autovalore se, e solo se, P (λ0) 6= 0. Provarepoi che Range(P (λ0)) e l’autospazio corrispondente in questo caso.

Formula di Stone

Tra le conseguenze del Teorema spettrale ricordiamo il seguente importante risultato, delquale ne omettiamo la dimostrazione.

Teorema 5.7 (Formula di Stone). Sia A un operatore auto-aggiunto. Allora per ogniλ1, λ2 ∈ R, dove λ1 < λ2, si ha che

s− limǫ→0+

∫ λ2

λ1[RA(λ+ iǫ)−RA(λ− iǫ)] dλ =

1

2(PA([λ1, λ2]) + PA((λ1, λ2))) . (5.22)

Nota 5.12: In particolare, facendo uso della prima formula del risolvente, la formula diStone puo essere scritta nella forma

⟨ψ,

1

2(P ([λ1, λ2]) + P ((λ1, λ2)))ψ

⟩= lim

ǫ→0+

1

π

∫ λ2

λ1ℑ〈ψ,RA(λ+ iǫ)ψ〉dλ

= limǫ→0+

ǫ

π

∫ λ2

λ1‖RA(λ+ iǫ)ψ‖2 dλ

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82 5 Teoria perturbativa per operatori auto-aggiunti

5.1.1 Decomposizione spettrale

Ricordiamo il seguente risultato generale di Teoria della Misura. Si consideri lo spazioL2(R, dµ) e sia µ una misura di Borel finita. Allora sussiste una decomposizione unica diµ rispetto alla misura di Lebesgue:

µ = µac + µs (5.23)

dove µac e assolutamente continua rispetto alla misura di Lebesgue (cioe µac(B) = 0per ogni insieme misurabile B avente misura di Lebesgue nulla) e µs e singolare rispettoalla misura di Lebesgue (cioe µs e supportata su un insieme B, µs(R\B) = 0, a misura diLebesgue nulla). La parte singolare µs puo essere ulteriormente decomposta in una partesingolare continua ed in una parte puramente puntuale:

µs = µsc + µpp (5.24)

dove µsc e singolare continua e µpp e una funzione a scalino. Un esempio di misurapuramente assolutamente continua e la misura di Lebesgue, un esempio di misurapuramente singolare continua e la misura di Cantor.

Si definisce infine misura continua la somma delle due misure singolare ed assoluta-mente continua:

µc = µac + µsc . (5.25)

In generale, sia dato un’operatore autoaggiunto A su uno spazio di Hilbert H e siaµψ = 〈ψ, PAψ〉, allora, definendo

Hac = ψ ∈ H : µψ e assolutamente continuo ,Hsc = ψ ∈ H : µψ e singolare continuo , (5.26)

Hpp = ψ ∈ H : µψ e puramente puntuale ,

si ha che

H = Hac ⊕Hsc ⊕Hpp (5.27)

e lo spettro di A assolutamente continuo, singolare continuo e puramente pun-tuale e definito come

σac(A) = σ (A|Hac) , σsc(A) = σ (A|Hsc) e σpp(A) = σ(A|Hpp

)(5.28)

Nota 5.13: E importante osservare che σpp(A) non e in generale uguale all’insieme degliautovalori. Piu precisamente se chiamiamo Σ l’insieme di tutti gli autovalori di A

Σ := λ ∈ R : λ e un autovalore di A (5.29)

allora si ha che σpp = Σ.Nota 5.14: La decomposizione spettrale dello spettro nelle sue parti puramente puntuale,assolutamente continua e singolare continua vale solo per operatori auto-aggiunti. Ecomunque possibile considerare una decomposizione piu semplice, che ha senso per ogni

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5.2 Operatori relativamente limitati e teorema di Kato-Rellich 83

operatore A non necessariamente auto-aggiunto, dello spettro nella sua parte discreta eessenziale:

σ(A) = σd(A) ∪ σess(A)dove la lo spettro discreto e formato da tutti gli autovalori di A isolati e dimolteplicita finita e dove lo spettro essenziale e semplicemente dato da σ(A)\σd(A).Nota 5.15: Sia H = ℓ2(N) e sia A l’operatore definito come

Aψn =1

nψn

dove ψn ∈ H e il vettore che ha tutte le componenti nulle tranne che la componente n-esima che e 1, cioe sostanzialmente A e una matrice quadrata con infinite righe e colonne,puramente diagonale e con numeri 1

nsulla diagonale principale. E immediato osservare

che Σ(A) = 1n, n = 1, 2, 3, . . .; d’altra parte osserviamo che il risolvente e dato da

RA(z)ϕ =n

1− nzϕ

e quindi e definito per ogni z ∈ ρ(A) = z ∈ C , z 6= 1n, z 6= 0, quindi 0 ∈ σ(A) e

di conseguenza σsc ∪ σac ⊆ 0. Poiche una misura continua non puo essere supportatasu un singolo punto allora deve necessariamente essere σsc = σac = ∅ e di conseguenzaσpp = Σ(A) ∪ 0.

5.2 Operatori relativamente limitati e teorema di Kato-Rellich

La funzione Hamiltoniana di un sistema quantistico e usualmente la somma tra l’energiacinetica H0 (operatore di Schrodinger libero) ed un operatore (tipicamente di moltipli-cazione) V associato ad un potenziale esterno. Poiche H0 e abbastanza facile da esserestudiato uno usualmente cerca di considerare V come una perturbazione di H0; o, piuin generale, H0 + V viene considerato come perturbazione di un problema esplicitamentesolubile. Quindi gioca un ruolo di grande importanza lo studio delle perturbazioni di unoperatore auto-aggiunto.

E ovvio che il caso piu favorevole di perturbazione e dato dalle perturbazioni limitate:se H0 e un operatore auto-aggiunto e V un operatore limitato e simmetrico, allora ancheH0 + V e un operatore auto-aggiunto sulla stesso dominio di autogiunzione. Se V non elimitato allora ci potrebbero essere problemi nella definizione stessa dell’operatore H0+V .

Definizione 5.8. Un operatore B e detto A limitato o relativamente limitato rispettoad A se:

- D(A) ⊆ D(B);- esistono due costanti a, b ≥ 0 tale che

‖Bψ‖ ≤ a‖Aψ‖+ b‖ψ‖, ∀ψ ∈ D(A) . (5.30)

L’estremo inferiore a∞ di tutte le costanti a per le quali esiste il corrispondente b taleche la (5.30) vale e detto A-bound di B; in particolare se a∞ = inf a = 0 allora si diceche B e infinitesimally relatively bounded rispetto a A.

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84 5 Teoria perturbativa per operatori auto-aggiunti

Nota 5.16: Se nella (5.30) si ha a = 0 allora si rientra nel caso di un operatore B limitato.Esercizio 5.1: Osservare che l’operatore B = −i d

dxdefinito su L2(R) non e limitato.

Provare poi che B e infinitesimally relatively bounded rispetto al Laplaciano A =− d2

dx2.

Vediamo immediatamente due proprieta.

Lemma 5.9. Supponiamo che due operatori B1 e B2 siano entrambi A-limitati con A-bound a1 ed a2. Allora anche α1B1 + α2B2 e A-limitato con A-bound minore o uguale a|α1|a1 + |α2|a2.

Questa proprieta e una immediata conseguenza della disuguaglianza triangolare. In-oltre

Lemma 5.10. Supponiamo che A e B siano operatori chiusi. Allora le seguenti proprietasono equivalenti:

i. B e A-limitato;ii. D(A) ⊆ D(B);iii.BRA(z) e limitato per uno (e quindi, in virtu della prima formula del risolvente, per

ogni) z ∈ ρ(A).

Inoltre, se a denota il A-bound di B si ha che

a ≤ infz∈ρ(A)

‖BRA(z)‖ .

Dimostrazione. L’implicazione i. ⇒ ii. e vera per definizione. L’implicazione ii. ⇒ iii.segue poiche BRA(z) e un operatore chiuso (vedi Esercizio 4.3) definito su tutto H, equindi limitato in virtu del Teorema del Grafico Chiuso (Teorema 4.15). Infine, perdimostrare l’implicazione iii. ⇒ i. sia ψ ∈ D(A) e sia C la norma di BRA(z) per unassegnato z ∈ ρ(A), allora

‖Bψ‖ = ‖BRA(z)(A− z)ψ‖ ≤ C‖(A− z)ψ‖ ≤ C‖Aψ‖+ [C|z|]‖ψ‖completando, di fatto, la dimostrazione.

Esempio 5.3: Sia A un l’operatore auto-aggiunto

A = − d2

dx2, D(A) = f ∈ H2(0, 1) : f(0) = f(1) = 0

sullo spazio di Hilbert H = L2(0, 1). Se noi aggiungiamo un potentiale V , rappresentatoda un operatore di moltiplicazione con una funzione misurabile h(x) a valore reali, alloraV e relativamente limitata se h ∈ H, infatti D(A) ⊆ C(0, 1) ⊆ L2(0, 1) = D(V ).

Noi siamo prevalentemente interessati alla situazione in cui A e auto-aggiunto e B esimmetrico; pertanto noi ci restringiamo a questo caso. Premettiamo il seguente risultatodel quale omettiamo la dimostrazione.

Lemma 5.11. Supponiamo che A sia un operatore auto-aggiunto e che B sia A-limitato.Allora il A-bound di B e dato da

limλ→+∞

‖BRA(±iλ)‖ (5.31)

Se, inoltre, A e limitato inferiormente allora noi possiamo rimpiazzare ±iλ con −λ.

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5.3 Operatori di rango finito e operatori compatti 85

Teorema 5.12 (Teorema di Kato-Rellich). Supponiamo che A sia (essenzialmente)auto-aggiunto e che B sia simmetrico e A-limitato con A-bound minore di 1. Allora A+Be (essenzialmente) auto-aggiunto sul dominio D(A + B) = D(A). In particolare, se A eessenzialmente auto-aggiunto allora segue che D(A) ⊆ D(B) e inoltre A+ B = A+ B.

Dimostrazione. Mettiamoci nel caso in cui A sia chiuso e auto-aggiunto, altrimenti ragio-niamo sulla sua chiusura e sulla proprieta di essenziale autogiunzione. E quindi sufficientedimostrare che Ran(A+B± iλ) = H. Dal Lemma precedente noi possiamo trovare λ > 0tale che ‖BRA(±iλ)‖ < 1; quindi −1 ∈ ρ(BRA(±iλ)) e pertanto BRA(±iλ) + I e invert-ibile. Da cio segue che

(A+ B ± iλ) = [BRA(±iλ) + I] (A± iλ)

e invertibile e quindi Ran(A + B ± iλ) = H, da cui segue che A + B e autoaggiunto.Osserviamo che essendo D(A) ⊆ D(B) allora il dominio di autogiunzione di A+B coincideil dominio di A.

Nota 5.17: Se A e limitato dal basso allora noi possiamo rimpiazzare ±iλ con −λ edall’equazione precedente segue che RA+B(−λ) esiste per λ sufficientemente grande.Esempio 5.4: Nell’esempio precedente si e visto che un potenziale V di moltiplicazioneassociato ad una funzione h ∈ L2(0, 1) e relativamente limitato rispetto all’operatore

A = − d2

dx2, D(A) = f ∈ H2(0, 1) : f(0) = f(1) = 0

Si puo dimostrare che V e infinitesimally relatively bounded rispetto ad A, e quindiA+ V e autoaggiunto su D(A).

Concludiamo con il seguente risultato che sara utile nel seguito.

Lemma 5.13 (Seconda formula del risovente). Supponiamo che A e B siano dueoperatori chiusi e che D(A) ⊆ D(B). Allora vale la seconda formula del risolvente

RA+B(z)−RA(z) = −RA(z)BRA+B(z) = −RA+B(z)BRA(z) (5.32)

per ogni z ∈ ρ(A) ∩ ρ(A+ B).

Dimostrazione. La dimostrazione si basa su una analisi diretta

RA+B(z) +RA(z)BRA+B(z) = [A+B − z]−1 + [A− z]−1B[A+ B − z]−1

= [A− z]−1[A− z][A+B − z]−1 +B[A+ B − z]−1

= [A− z]−1 A+ B − z [A+ B − z]−1 = [A− z]−1 = RA(z)

5.3 Operatori di rango finito e operatori compatti

Definizione 5.14. Un operatore K ∈ L(H) e detto operatore di rango finito se il suorange ha dimensione finita. La dimensione

rank(K) = dim Ran(K)

del range di K e detta rango (rank) di K.

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86 5 Teoria perturbativa per operatori auto-aggiunti

Sia rank(K) = n e sia ψjnj=1 una base ortonormale di Ran(K) allora noi abbiamoche

Kψ =n∑

j=1

〈ψj, Kψ〉ψj =n∑

j=1

〈ϕj, ψ〉ψj (5.33)

dove ϕj = K⋆ψj. Poiche e noto che Ran(K) = [Ker(K⋆)]⊥ allora gli elementi ϕj sonolinearmente indipendenti e quindi ogni operatore di rango finito e della forma (5.33) e,similmente, l’aggiunto di K e anch’esso di rango finito ed ha la forma

K⋆ψ =n∑

j=1

〈ψj, ψ〉ϕj . (5.34)

Definizione 5.15. La chiusura (rispetto alla norma di operatori) dell’insieme di tuttigli operatori di rango finito in L(H) e detta insieme degli operatori compatti, ed edenotata con C(H).

Esercizio 5.2: Gli operatori compatti possono essere caratterizzati anche nel seguentemodo, equivalente alla Definizione 5.15: un operatore K ∈ L(H) e compatto se l’immagineKψn di ogni successione ψn limitata contiene una sottosuccessione di Cauchy. Inoltresi puo dimostrare che se K e un operatore compatto e se ψn ψ allora Kψn → Kψ innorma1.

Definizione 5.16. Sia A un operatore, non necessariamente limitato, definito sul dominioD(A) ⊆ H. Un operatore K si dice relativamente compatto rispetto ad A se esistealmeno z ∈ ρ(A) tale che

KRA(z) ∈ C(H). (5.35)

Nota 5.18: E immediato riconoscere che se K e un operatore compatto allora K erelativamente compatto rispetto ad ogni operatore A.Esercizio 5.3: Dimostrare, facendo uso della prima formula del risolvente, che se la (5.35)vale per almeno un z ∈ ρ(A) allora vale per ogni z ∈ ρ(A).

Gli operatori compatti si possono decomporre come somma di operatori di proiezionein virtu del seguente teorema (del quale omettiamo la dimostrazione).

Teorema 5.17 (Teorema spettrale per operatori compatti). Supponiamo che Ksia un operatore auto-aggiunto e compatto. Allora lo spettro σ(K) di K consiste in,al piu, una infinita numerabile di autovalori, di dimensione finita, che possono averesolo l’origine come eventuale punto di accumulazione. Inoltre l’operatore K ammette laseguente decomposizione spettrale:

K =∑

λ∈σ(K)

λPK(λ) (5.36)

dove PK(λ) e l’operatore di proiezione sullo spazio spanψ) dove ψ e la famiglia diautovettori (in numero finito) associati a λ.

1 Vedi Lemma 6.8 in G. Teschl.

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5.3 Operatori di rango finito e operatori compatti 87

5.3.1 Operatori di Hilbert-Schmidt ed operatori di classe traccia

Nella classe degli operatori compatti due tipi di operatori hanno particolare importanza:gli operatori di Hilbert-Schmidt.

Definizione 5.18. Sia k(x, y) una funzione appartenente allo spazio L2(M×M,dµ⊗dµ).Definiamo operatore integrale, o operatore di Hilbert-Schmidt, l’operatore definitosullo spazio di Hilbert L2(M,dµ) come

(Kψ) (x) =∫

Mk(x, y)ψ(y)dµ(y). (5.37)

La funzione k(x, y) si dice nucleo dell’operatore K

Osserviamo subito che

Teorema 5.19. L’operatore Kψ definito dalla (5.37) e limitato.

Dimostrazione. La dimostrazione e una immediata conseguenza della disuguaglianza diCauchy-Schwarz:

‖Kψ‖2 =∫

M|(Kψ) (x)|2 dµ(x)

=∫

M

∣∣∣∣∫

Mk(x, y)ψ(y)dµ(y)

∣∣∣∣2

dµ(x)

≤∫

M

[(∫

M|k(x, y)|2dµ(y)

)(∫

M|ψ(y)|2dµ(y)

)]dµ(x)

=(∫

M

M|k(x, y)|2dµ(y)dµ(x)

)(∫

M|ψ(y)|2dµ(y)

)

da cui segue la limitatezza di K.

Si puo andare oltre e analizzare se l’operatore e compatto o meno.

Teorema 5.20. L’operatore Kψ definito dalla (5.37) e compatto.

Dimostrazione. Prendiamo una base ortonormale ϕj(x)j di L2(M,dµ). Allora, segueche ϕi(x)ϕj(y)i,j e una base ortonormale di L2(M×M,dµ⊗dµ) e possiamo decomporreil nucleo k(x, y) su questa base:

k(x, y) =∑

i,j

ci,jϕi(x)ϕj(y) , ci,j = 〈ϕi, kϕj〉 (5.38)

dove∑

i,j

|ci,j|2 =∫

M

M|k(x, y)|2dµ(y)dµ(x) <∞ .

In particolare

(Kψ) (x) =∑

i,j

ci,j〈ϕj, ψ〉ϕi(x) (5.39)

mostrando che K possa essere approssimato mediante operatori di rango finito, e quindiK e compatto.

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88 5 Teoria perturbativa per operatori auto-aggiunti

Possiamo infine dare anche una caratterizzazione, della quale omettiamo la dimostrazione,degli operatori di Hilbert-Schmidt.

Lemma 5.21. Un operatore compatto K e di Hilbert-Schmidt se, e solo se,∑

n

‖Kψn‖2 <∞ (5.40)

per una qualche base ortonormale ψn e inoltre

‖K‖2 :=[∑

n

‖Kψn‖2]1/2

(5.41)

dove il risultato della somma e indipendente dalla base ψn scelta.

Introduciamo ora lo spazio

I2(H) = K ∈ C(H) : ‖K‖2 <∞ , H = L2(M,dµ) . (5.42)

Segue che

Corollario 5.22. Sia K un operatore compatto di Hilbert-Schmidt e sia A un operatorelimitato, allora

‖KA‖2 ≤ ‖A‖ ‖K‖2 rispettivamente ‖AK‖2 ≤ ‖A‖ ‖K‖2 . (5.43)

Dimostrazione. Sia K di Hilbert-Schmidt e A limitato, allora AK e compatto e inoltre

‖AK‖22 =∑

n

‖AKψn‖2 ≤ ‖A‖2∑

n

‖Kψn‖2 = ‖A‖2‖K‖22 .

Per KA ne consideriamo l’aggiunto (KA)⋆ = A⋆K⋆.

5.4 Operatori relativamente compatti e Teorema di Weyl

Nella sezione precedente abbiamo visto che la somma tra un operatore auto-aggiunto conuna operatore simmetrico, insteso come perturbazione dell’operatore auto-aggiunto, daluogo ad una operatore auto-aggiunto purche la perturbazione sia abbastanza piccola. Inquesta sezione cercheremo di studiare l’influenza di perturbazioni sullo spettro sperandoche almeno alcune parti dello spettro restino invarianti. A tal fine introduciamo prelimi-narmente alcune notazioni.

Definizione 5.23. Sia dato un operatore A, si definisce spettro discreto dell’operatoreA, e si denota con σd(A), l’insieme di tutti gli autovalori di A che sono isolati nell’insiemeσ(A) e che hanno molteplicita finita. L’insieme complementare dello spettro discreto viendenominato spettro essenziale e si denota come

σess(A) = σ(A) \ σd(A) .

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5.4 Operatori relativamente compatti e Teorema di Weyl 89

Nota 5.19: In virtu del Teorema spettrale per un operatore autoaggiunto A si ha laseguente caratterizzazione:

σd(A) = λ ∈ σ(A) : rank [PA((λ− ǫ, λ+ ǫ))] <∞ per qualche ǫ > 0 , (5.44)

e rispettivamente

σess(A) = λ ∈ R : rank [PA((λ− ǫ, λ+ ǫ))] = ∞ per ogni ǫ > 0 . (5.45)

Nota 5.20: Se K e un operatore compatto allora, in virtu del Teorema 5.17, segue che

σess(K) ⊆ 0 (5.46)

e l’uguaglianza vale se, e solo se, H ha dimensione infinita.Sia ora A un operatore auto-aggiunto e notiamo che se aggiungiamo ad A l’operatore

identita (o un suo multiplo), il nuovo operatore +λI, λ ∈ R, e ancora un operatore auto-aggiunto il cui spettro si ottiene dallo spettro di A semplicemente shiftando di λ. Quindi,in generale, noi ci aspettiamo che lo spettro di un operatore non sia invariante per effettodi perturbazioni mediante operatori limitati (o relativamente limitati). In particolare lospettro discreto e estremamente sensibile a perturbazioni anche molto piccole (ad esem-pio di rango finito), mentre lo spettro essenziale, sotto alcune condizioni, garantisce unamigliore stabilita.

Lemma 5.24 (Criterio di Weyl). Sia A un operatore auto-aggiunto, un numero λ ∈σess(A) se, e solo se, esiste una successione di Weyl ψn, cioe tale che ‖ψn‖ = 1 e ‖(A−λ)ψn‖ → 0, che converge debolmente a zero. Inoltre la successione puo essere sceltaortonormale.

Dimostrazione. Sia ψn una successione di Weyl relativa a λ0 ∈ R. In virtu del Corollario4.26 segue che λ0 ∈ σ(A) e quindi e sufficiente solamente provare che λ0 /∈ σd(A) usandoil fatto che ψn 0. Supponiamo per assurdo che λ0 ∈ σd(A) allora esiste ǫ > 0 tale che

Pǫ := PA((λ0 − ǫ, λ0 + ǫ))

ha rango finito e quindi e un operatore compatto. Consideriamo la nuova successioneψn = Pǫψn dove, essendo Pǫ compatto poiche di rango finito, segue che ψn → 0 in virtudell’esercizio 5.3. D’altra parte,

‖ψn − ψn‖2 = ‖(I− Pǫ)ψn‖2 = 〈(I− Pǫ)ψn, (I− Pǫ)ψn〉= 〈ψn, (I− Pǫ)

2ψn〉 = 〈ψn, (I− Pǫ)ψn〉=∫

R\(λ−ǫ,λ+ǫ)dµψn(λ)

≤ 1

ǫ2

R\(λ−ǫ,λ+ǫ)(λ− λ0)

2dµψn(λ) ≤1

ǫ2

R(λ− λ0)

2dµψn(λ)

=1

ǫ2‖(A− λ0)ψn‖2 → 0

e quindi ‖ψn‖ → 1 cadendo in contraddizione.

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90 5 Teoria perturbativa per operatori auto-aggiunti

Viceversa, sia λ0 ∈ σess(A). Se λ0 e un autovalore di A con molteplicita infinita allorae sufficiente scegliere come successione ψn la successione degli autovalori. Se invece λ0 eun punto di accumulazione di autovalori di A consideriamo la successione di proiettori

Pn := PA

([λ0 −

1

n, λ0 −

1

n+ 1

)∪(λ0 +

1

n+ 1, λ0 +

1

n

]),

allora si ha che rank(Pnj) > 0 per una certa successione nj, j ∈ N. La successione

ψnj∈ Ran

(Pnj

)soddisfa alle condizioni del criterio di Weyl.

Sia ora K un operatore auto-aggiunto compatto e sia ψn una successione di Weylper A convergente debolmente a zero e quindi

‖(A+K − λ)ψn‖ ≤ ‖(A− λ)ψn‖+ ‖Kψn‖ → 0 (5.47)

poiche ‖(A− λ)ψn‖ → 0 per ipotesi e ‖Kψn‖ → 0 dall’esercizio 5.3. Quindi

σess(A) ⊆ σess(A+K)

e similmente, invertendo i ruoli,

σess(A+K) ⊆ σess(A+K −K) = σess(A) .

In particolare, A e A+K hanno lo stesse successioni di Weyl.Di fatto abbiamo dimostrato che

Lemma 5.25. Lo spettro essenziale di un operatore auto-aggiunto A e la parte invarianterispetto a perturbazioni compatte; in particolare

σess(A) = ∩K∈C(H), K=K⋆σ(A+K) . (5.48)

Veniamo infine al Teorema di Weyl che generalizza il Lemma 5.25.

Teorema 5.26 (Teorema di Weyl). Supponiamo che A e B siano operatori auto-aggiunti. Se

RA(z)−RB(z) ∈ C(H) (5.49)

per almeno un z ∈ ρ(A) ∩ ρ(B), allora

σess(A) = σess(B) . (5.50)

Dimostrazione. Supponiamo λ ∈ σess(A), z ∈ ρ(A) ∩ ρ(B) e sia ψn la corrispondentesuccessione di Weyl convergente debolmente a zero. Allora

(RA(z)−

1

λ− z

)ψn =

1

z − λRA(z)(A− λ)ψn

e quindi∥∥∥∥(RA(z)−

1

λ− z

)ψn

∥∥∥∥ =1

|λ− z| ‖RA(z)(A− λ)ψn‖ (5.51)

≤ ‖RA(z)‖|λ− z| ‖(A− λ)ψn‖ → 0 . (5.52)

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5.4 Operatori relativamente compatti e Teorema di Weyl 91

Inoltre, in virtu delle nostre ipotesi segue anche che∥∥∥∥(RB(z)−

1

λ− z

)ψn

∥∥∥∥ ≤ ‖[RB(z)−RA(z)]ψn‖+∥∥∥∥(RA(z)−

1

λ− z

)ψn

∥∥∥∥→ 0

per la (5.52) e poiche RB(z)−RA(z) e compatto e ψn 0. Poniamo ora ϕn = RB(z)ψne osserviamo che ‖(B − λ)ϕn‖ → 0; infatti

‖(B − λ)ϕn‖ = ‖(B − λ)RB(z)ψn‖ = ‖[(B − z) + (z − λ)]RB(z)ψn‖= ‖I+ (z − λ)RB(z)ψn‖ = |λ− z|

∥∥∥(z − λ)−1 +RB(z)ψn∥∥∥→ 0 .

Osserviamo inoltre che ϕn converge debolmente a zero; infatti, sia ψ ∈ H un qualunquevettore fissato, allora il limite

〈ψ, ϕn〉 = 〈ψ,RB(z)ψn〉 = 〈RB(z)ψ, ψn〉 → 0

poiche abbiamo supposto che ψn 0. Poiche∥∥∥∥(RA(z)−

1

λ− z

)ψn

∥∥∥∥ =∥∥∥∥

1

z − λRA(z)(A− λ)ψn

∥∥∥∥→ 0

segue che

limn→∞ ‖ϕn‖ = lim

n→∞ ‖RB(z)ψn‖ = |λ− z|−1 6= 0

e quindi ϕn e una successione di Weyl convergente debolmente a zero per l’operatoreB provando che λ ∈ σess(B). Abbiamo cosı dimostrato che σess(A) ⊆ σess(B), perdimostrare l’implicazione inversa basta scambiare A con B.

Vediamo ora alcuni risultati che permettono di utilizzare il Teorema di Weyl.Un primo risultato, del quale omettiamo la dimostrazione, e il seguente.

Lemma 5.27. Supponiamo che la (5.49) valga per almeno un z ∈ ρ(A) ∩ ρ(B), alloraessa vale per ogni z ∈ ρ(A)∩ ρ(B). Inoltre, se A e B sono due operatori auto-aggiunti,allora

f(A)− f(B) ∈ C(H) (5.53)

per ogni f ∈ C∞(R) (dove C∞(R) e la classe di funzioni che si annullano all’infinito).

Nota 5.21: Ricordiamo che noi abbiamo detto K un operatore relativamente compattorispetto ad A se KRA(z) e compatto (per uno, e quindi per ogni, z) e notiamo che ladifferenza dei risolventi RA+K(z)− RA(z) e compatto se K e relativamente compatto; inparticolare il Teorema 5.26 si applica a B = A+K, dove K e relativamente compatto.

Inoltre segue che

Lemma 5.28. Supponiamo che A sia auto-aggiunto e B sia simmetrico con A-boundminore di 1. Se un operatore K e relativamente compatto rispetto a A, allora esso erelativamente compatto anche rispetto ad A+ B.

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92 5 Teoria perturbativa per operatori auto-aggiunti

Dimostrazione. La dimostrazione e una conseguenza immediata della seconda formuladel risolvente. Poiche B e A-limitato con A-bound minore di 1, allora noi possiamoscegliere un numero z ∈ C tale che ‖BRA(z)‖ < 1 e quindi

BRA+B(z) = BRA(z) [I+ BRA(z)]−1 (5.54)

provando che B e anche (A+ B)-limitato e il risultato segue osservando che

KRA+B(z) = KRA(z) [I−BRA+B(z)]−1 (5.55)

poiche KRA(z) e compatto e BRA+B(z) e limitato.

Nota 5.22: Sia V l’operatore di moltiplicazione per una funzione h(x) ∈ L∞(R) ∩ L2(R)a valori reali. Si ha che:

i. L’operatore A = − d2

dx2+ V e auto-aggiunto su D(A) = H2(R) poiche V e limitato e

simmetrico.ii. L’operatore V e relativamente compatto rispetto a − d2

dx2e quindi σess(A) = σ

(− d2

dx2

)=

[0,+∞).

5.5 Convergenza del risolvente in norma e forte

Definizione 5.29. Consideriamo una successione An di operatori auto-aggiunti ed unoperatore A auto-aggiunto, definiti sui corrispondenti domini di autogiunzione. Sia

Σ = σ(A) ∪ [∪nσ(An)] ⊆ R . (5.56)

Noi diremo che An converge ad A nel senso del risolvente in norma (risp. nel sensodel risolvente forte) se

limn→∞RAn(z) = RA(z) (risp. s− lim

n→∞RAn(z) = RA(z) ) , (5.57)

per almeno un z ∈ C \Σ.

Nota 5.23: Supponiamo che An converga ad A nel senso del risolvente in norma oforte per un qualche z ∈ C \Σ, allora tale convergenza vale per ogni z ∈ C \Σ.Nota 5.24: Osserviamo che non ha senso introdurre la nozione di convergenza nel sensodel risolvente debole. Piu precisamente si puo dimostrare che se An converge ad A nelsenso del risolvente debole allora converge anche nel senso del risolvente forte.

Vale il seguente risultato (del quale omettiamo la dimostrazione):

Teorema 5.30. Supponiamo che An converga ad A nel sendo del risolvente in norma(risp. forte), allora f(An) converge a A in norma (risp. forte) per ogni funzione f limitatae continua.

Come conseguenza immediata di questo teorema seguono il seguente corollario.

Corollario 5.31. Supponiamo che An converga ad A nel senso del risolvente forte,allora

s− limn→∞ e

itAn = eitA, t ∈ R. (5.58)

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5.5 Convergenza del risolvente in norma e forte 93

Vediamo ora un criterio operativo per verificare la convergenza nel senso del risolvente

Teorema 5.32. Siano An ed A operatori auto-aggiunti sullo stesso dominio di autogiun-zione D(An) = D(A). Allora An converge ad A nel senso del risolvente in norma seesistono due successioni di numeri reali an e bn convergenti a 0 e tali che

‖(An − A)ψ‖ ≤ an‖ψ‖+ bn‖Aψ‖, ∀ψ ∈ D(An) = D(A) . (5.59)

Dimostrazione. Dalla seconda formula del risolvente segue che

RAn(z)−RA(z) = RAn(z)[A− An]RA(z)

valida per ogni z /∈ Σ, dove Σ e definita dalla (5.56). In particolare vale per z = i, equindi si ha che

‖[RAn(i)−RA(i)]ψ‖ ≤ ‖RAn(i)[A− An]RA(i)ψ‖≤ ‖RAn(i)‖ (an‖RA(i)ψ‖+ bn‖ARA(i)ψ‖)≤ (an + 2bn)‖ψ‖

poiche ‖RAn(i)‖ ≤ 1 e ‖RA(i)‖ ≤ 1; da cui segue la convergenza del risolvente in norma:

‖RAn(i)−RA(i)‖ ≤ an + 2bn → 0 .

In particolare, la convergenza in norma di operatori limitati implica la convergenza nelsenso del risolvente:

Corollario 5.33. Siano An ed A operatori auto-aggiunti e limitati tali che An → A innorma. Allora An converge ad A nel senso del risolvente in norma.

Vediamo ora un criterio per la convergenza nel senso del risolvente forte (del qualeomettiamo la dimostrazione).

Concludiamo la discussione studiando l’effetto della convergenza sullo spettro.

Teorema 5.34. Siano An ed A operatori auto-aggiunti. Se An converge a A nel sensodel risolvente forte allora

σ(A) ⊆ limn→∞σ(An) . (5.60)

Se An converge a A nel senso del risolvente in norma allora

σ(A) = limn→∞σ(An) . (5.61)

Dimostrazione. Supponiamo che la (5.60) non sia valida, ovvero possiamo trovare λ ∈σ(A) ed ǫ > 0 tale che

∀N > 0 ∃n > N tale che σ(An) ∩ (λ− ǫ, λ+ ǫ) = ∅ .Consideriamo ora una funzione f continua che soddisfa alle seguenti proprieta

0 ≤ f(x) ≤ 1 e f(x) =

1 se x ∈

(λ− 1

2ǫ, λ+ 1

2ǫ)

0 se x /∈ (λ− ǫ, λ+ ǫ)

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94 5 Teoria perturbativa per operatori auto-aggiunti

Quindi f(An) = 0 per il Teorema spettrale e di conseguenza

f(A)ψ = limnf(An)ψ = 0 , ∀ψ .

D’altra parte, poiche λ ∈ σ(A) esiste un vettore non nullo

ψ ∈ Ran[PA

((λ− 1

2ǫ, λ+

1

2ǫ))]

per il quale f(A)ψ = ψ, cadendo cosı in contraddizione.Per dimostrare la (5.61) e sufficiente ricordare che ‖RA(z)‖ = 1/dist(z, σ(A)). In

particolare λ /∈ σ(A) se, e solo se, ‖RA(λ + i)‖ < 1. quindi λ /∈ σ(A) implica che‖RA(λ+ i)‖ < 1 da cui segue che ‖RAn(λ+ i)‖ < 1 per n sufficientemente grande, da cuiinfine segue λ /∈ σ(An) per n abbastanza grande.

Nota 5.25: Il Teorema 5.34 garantisce la stabilita dello spettro dell’operatore per ”pic-cole” perturbazioni; nulla pero si puo affermare sulle singole parti (puramente puntuale,singolare continua e assolutamente continua o discreto e essenziale) dello spettro.

5.6 Il principio min-max

In molte applicazioni un operatore auto-aggiunto ha autovalori sotto lo spettro essenziale.Vediamo alcune idee per il calcolo degli autovalori corrispondenti all’energia piu bassa.Denotiamo con E1 l’autovalore con energia piu bassa (detto ground state), si ha che

E1 = infψ∈D(A), ‖ψ‖=1

〈ψ,Aψ〉 .

Se denotiamo con ϕ1 il suo autovettore associato normalizzato:

Aϕ1 = E1ϕ1 , ‖ϕ1‖ = 1 .

Allora si ha che per ogni altro vettore normalizzato ψ1 ∈ D(A) (vedi Teorema 4.30) valela seguente disuguaglianza:

〈ψ1, Aψ1〉 ≥ 〈ϕ1, Aϕ1〉 = E1 . (5.62)

Possiamo calcolare il secondo autovalore E2? Supponiamo di conoscere l’autovettoreϕ1 e denotiamo con H1 lo spazio ortogonale a ϕ1:

H1 = H− P1H, P1ψ = 〈ϕ1, ψ〉ϕ1 .

Quindi

E2 = infψ∈D(A)∩H1, ‖ψ‖=1

〈ψ,Aψ〉 .

Il problema e che, in generale, non conosciamo l’autovettore ϕ2.In generale, sia ϕjNj=1 una base ortonormale (non esplicitamente nota!) per l’autospazio

associato ai primi N autovalori Ej, contandone la molteplicita, di A sotto lo spettro es-senziale:

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5.6 Il principio min-max 95

Aϕj = Ejϕj, j = 1, 2, . . . , N.

Definiamo ora il seguente spazio vettoriale

U(ψ1, . . . , ψn) = ψ ∈ D(A) : ‖ψ‖ = 1, ψ ∈ spanψ1, . . . , ψn⊥. (5.63)

Osserviamo che valgono le seguenti proprieta:

i. Per ogni scelta di ψ1, ψ2, . . . , ψn−1 si ha che

infψ∈U(ψ1, ψ2, ...,ψn−1)

〈ψ,Aψ〉 ≤ En (5.64)

Infatti consideriamo un vettore del tipo ψ =∑n−1j=1 αjϕj dove i coefficienti αj sono stati

scelti in modo tale che ψ ∈ U(ψ1, ψ2, . . . , ψn−1), quindi

〈ψ,Aψ〉 =n−1∑

j=1

|αj|2Ej ≤ En (5.65)

ii. Per ogni ǫ > 0 arbitrario segue che

infψ∈U(ϕ1, ϕ2, ...,ϕn−1)

〈ψ,Aψ〉 ≥ En −O(ǫ) (5.66)

dove 0 ≤ O(ǫ) ≤ Cǫ per un qualche C > 0. La (5.66) segue immediatamente ponendoψ = ϕn.

Poiche ǫ puo essere scelto arbitrariamente piccolo allora abbiamo provato la seguenteproprieta.

Teorema 5.35 (Min-max). Sia A un operatore auto-aggiunto e siano

E1 ≤ E2 ≤ E3 ≤ . . . ≤ En ≤ · · ·

gli autovalori di A sotto lo spettro essenziale. Allora

En = supψ1,...,ψn−1

infψ∈U(ψ1, ψ2, ...,ψn−1)

〈ψ,Aψ〉 . (5.67)

Nota 5.26: Il vantaggio della formula (5.67) e evidente: per il calcolo dell’autovalore Ennon e necessario conoscere i primi n− 1 autovettori.

Corollario 5.36. Se A e B sono due operatori auto-aggiunti tali che A ≥ B alloraEn(A) ≥ En(B).

Nota 5.27: Supponiamo che An sia una successione di operatori limitati che converge innorma ad un operatore limitato A. Dimostrare che il k-esimo autovalore Ek(An) di Antende al k-esimo autovalore di A:

limnEk(An) = Ek(A)

per ogni k fissato.

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6

Dinamica di un sistema quantistico

Formalmente la soluzione dell’equazione di Schrodinger dipendente dal tempoih d

dtψ(t) = Hψ(t) , ψ(t) ∈ H

ψ(0) = ψ0 ∈ H (6.1)

ha la forma

ψ(t) = e−itH/hψ0 . (6.2)

Nel caso finito dimensionale (cioe H e uno spazio di Hilbert in dimensione finita n)allora H e di fatto una matrice quadrata n×n e il problema (6.1) si riduce ad un sistemadinamico lineare che ha soluzione esatta della forma (6.2). Quindi, una volta che e notolo spettro di H l’evoluzione temporale (6.2) e completamente determinata. Osserviamoche se H e un operatore simmetrico allora lo spettro e puramente reale e quindi si ha laconservazione della norma della soluzione ψ(t) e, a differenza di alcuni casi iperbolici (qualil’equazione del calore), non si avranno soluzione di tipo esponenzialmente decrescenti (ocrescenti), bensı oscillatorie.

Tornando al caso infinito dimensionale occorre, come primo passo, attribuire un signi-ficato all’espressione e−itH/h.

6.1 Il Teorema di Stone

Se A e un operatore autoggiunto su uno spazio di Hilbert allora in virtu del Teoremaspettrale si puo definire l’operatore di evoluzione e−itA come

e−itA =∫

Re−itλdPA(λ) ,

dove PA e la p.v.m. associata all’operatore A.L’operatore di evoluzione soddisfa alla seguente proprieta.

Teorema 6.1. Sia A un operatore auto-aggiunto su uno spazio di Hilbert H e sia U(t) =e−itA l’operatore di evoluzione associato. Allora si prova che

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98 6 Dinamica di un sistema quantistico

i. il limite del rapporto incrementale

1

t[U(t)− I]ψ

per t→ 0 esiste se, e solo se, ψ ∈ D(A) ed in tal caso si ha che vale il seguente limitein senso forte

limt→0

1

t[U(t)− I]ψ = −iAψ . (6.3)

ii. U(t)D(A) = D(A) e AU(t) = U(t)A.

Nota 6.1: Dalla relazione (6.3) segue quindi che

ψ(t) = U(t)ψ0 = e−itAψ(0) (6.4)

e soluzione del problema di Cauchy

id

dtψ(t) = Aψ(t) , ψ(t) ∈ H , ψ(0) = ψ0 .

Nota 6.2: L’operatore di evoluzione U(t) si dimostra essere un gruppo unitario ad unparametro continuo rispetto a t (nella norma forte):

U(t)U(s) = U(t+ s) , U⋆(t) = U(t)−1 = U(−t) , U(0) = I

e inoltre

s− limt→t0

U(t) = U(t0) .

In particolare, e sufficiente osservare che

limt→t0

∥∥∥e−itAψ − e−it0Aψ∥∥∥2= lim

t→t0

R

∣∣∣e−itλ − e−it0λ∣∣∣2dµψ(λ)

=∫

Rlimt→t0

∣∣∣e−itλ − e−it0λ∣∣∣2dµψ(λ) = 0

in virtu del Teorema della convergenza dominata.

Dimostrazione. Per dimostrare la proprieta i. sia ψ ∈ D(A) e, in virtu del Teorema spet-trale, consideriamo il seguente limite

limt→0

∥∥∥∥1

t

(e−itAψ − ψ

)+ iAψ

∥∥∥∥2

= limt→0

R

∣∣∣∣∣e−itλ − 1

t+ iλ

∣∣∣∣∣

2

dµψ(λ) = 0 . (6.5)

Infatti, ricordiamo che i vettori ψ ∈ D(A) sono caratterizzati dalla proprieta∫

Rλ2dµψ(λ) <∞

e osservando che∣∣∣ e−itλ−1

t+ iλ

∣∣∣2 ≤ Cλ2 per ogni t possiamo affermare che fissato ǫ > 0

esiste R > 0 tale che

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6.1 Il Teorema di Stone 99

R−[−R,R]

∣∣∣∣∣e−itλ − 1

t+ iλ

∣∣∣∣∣

2

dµψ(λ) ≤ ǫ .

D’altra parte e immediato osservare che in virtu della disuguaglianza∣∣∣ e−itλ−1

t+ iλ

∣∣∣2 ≤

Cλ4t2 segue che

[−R,R]

∣∣∣∣∣e−itλ − 1

t+ iλ

∣∣∣∣∣

2

dµψ(λ) ≤ C(R)t2 < ǫ

per |t| abbastanza piccolo; da cui segue la (6.5). Viceversa, sia A un operatore generatodal gruppo di evoluzione:

Aψ := limt→0

i

t[U(t)ψ − ψ]

definito sul dominio

D(A) =ψ ∈ H : lim

t→0

i

t[U(t)ψ − ψ] ∈ H

.

Si vede immediatamente che A e simmetrico, infatti

〈ϕ, Aψ〉 = limt→0

⟨ϕ,i

t[U(t)ψ − ψ]

⟩= lim

t→0

⟨−it[U(−t)ϕ− ϕ] , ψ

⟩= 〈Aϕ, ψ〉

e quindi, essendo A una estensione simmetrica di un operatore auto-aggiunto A, segueA = A in virtu del Corollario 4.7 provando cosı la i.. La proprieta ii. segue semplicementesostituendo ψ → U(s)ψ nella i.:

−iAU(s)ψ = limt→0

[U(t)− I]U(s)ψ = U(s) limt→0

[U(t)− I]ψ = −iU(s)Aψ .

A riguardo del problema originale segue che la formula (6.4) e di fatto la soluzionedel problema ai valori iniziali associato all’equazione di Schrodinger. Inoltre segue chel’aspettazione di A sullo stato ψ(t) e indipendente dal tempo:

〈U(t)ψ,AU(t)ψ〉 = 〈U(t)ψ,U(t)Aψ〉 = 〈ψ,Aψ〉 (6.6)

da cui segue la conservazione del valore di apettazione di A; in particolare se A = H =−∆+ V segue la conservazione dell’energia. D’altra parte il generatore dell’operatore dievoluzione temporale di un sistema quantistico deve sempre essere associato ad un oper-atore auto-aggiunto poiche esso corrisponde all’osservabile energia; inoltre ci aspettiamoche questa corrispondenza sia uno-ad-uno. Questo, di fatto, e il contenuto del seguenteteorema di Stone (del quale ne omettiamo la dimostrazione).

Teorema 6.2 (Teorema di Stone). Sia U(t) un gruppo unitario ad un paramentrodebolmente continuo. Allora il suo generatore A e auto-aggiunto e inoltre U(t) = e−itA.

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100 6 Dinamica di un sistema quantistico

6.2 Il Teorema Wiener

Uno degli obiettivi principali e determinare l’evoluzione temporale di un sistema quan-tistico. Noi abbiamo visto che l’evoluzione temporale e generata da un operatore auto-aggiunto, la Hamiltoniana H, ed essa e associata ad una equazione differenziale del primoordine, l’equazione di Schrodinger. Per comprendere quindi tale evoluzione temporaleuno deve determinare lo spettro del generatore. Vediamo ora come la decomposizionespettrale e importante in questo contesto

Premettiamo il seguente risultato tecnico.

Lemma 6.3 (Teorema di Wiener). Sia µ una misura di Borel a valori complessi finitasu R e sia

µ(t) =∫

Re−itλdµ(λ) (6.7)

la sua trasformata di Fourier. Allora la media temporale, secondo Cesaro, di µ(t) halimite

limT→∞

1

T

∫ T

0|µ(t)|2dt =

λ∈R|µ(λ)|2, (6.8)

dove la somma che compare sul termine di destra e finita.

Nota 6.3: Si osserva immediatamente che se µ e una misura continua, rispetto alla misuradi Lebesgue, allora limT→∞

1T

∫ T0 |µ(t)|2dt = 0.

Dimostrazione. Il Lemma e una conseguenza immediata del teorema di Fubini, infatti:

1

T

∫ T

0|µ(t)|2dt = 1

T

∫ T

0

R

Re−i(x−y)tdµ(x)dµ(y)dt

=∫

R

R

[1

T

∫ T

0e−i(x−y)tdt

]dµ(x)dµ(y)

dove osserviamo che il termine all’interno della parentesi e limitato da uno e convergepuntualmente alla seguente funzione:

limT→∞

1

T

∫ T

0e−i(x−y)tdt = χ[0](x− y)

1 se x = y0 se x 6= y

.

Quindi, per il teorema della convergenza dominata segue che

limT→∞

R

R

[1

T

∫ T

0e−i(x−y)tdt

]dµ(x)dµ(y) =

R

Rχ[0](x− y)dµ(x)dµ(y)

=∫

Rµ(y)dµ(y) =

y∈R|µ(y)|2

completando la dimostrazione.

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6.3 Il Teorema RAGE 101

Torniamo ora alla discussione della decomposizione dello spettro e alla sua rilevanzafisica. Siano dati due stati ϕ e ψ in H normalizzati (‖ψ‖ = ‖ϕ‖ = 1). Il vettore

〈ϕ, ψ〉ϕ

e la proiezione di ψ sul vettore ϕ e quindi |〈ϕ, ψ〉|2 viene interpretata come la componentedi ψ sullo spazio generato da ϕ. Supponiamo di porre la seguente questione, come sievolve nel tempo questa grandezza? Piu precisamente, cosa possiamo dire a riguardodelle seguenti grandezze

|〈ϕ,U(t)ψ〉| e |〈ψ,U(t)ψ〉| , dove U(t) = e−itA ,

nel limite t → ∞? Concentrandoci sul secondo termine (il primo si tratta in modosimile) e opportuno osservare che, dal teorema spettrale, segue che dobbiamo analizarel’evoluzione temporale della misura

µψ(t) = 〈ψ,U(t)ψ〉 =∫

Re−itλdµψ(λ) (6.9)

che e la trasformata di Fourier della misura µψ. Siamo quindi pronti ad applicare ilTeorema di Wiener. A tal fine e necessario osservare preliminarmente che i sottospaziHac, Hsc e Hpp sono invarianti rispetto all’evoluzione temporale: ad esempio (similmentesi ragiona anche per gli spazi Hsc e Hpp)

PacU(t) = U(t)Pac .

Quindi abbiamo provato quanto segue.

Teorema 6.4. Se ψ ∈ Hc = Hsc ⊕ Hac allora la media di Cesaro di 〈ψ,U(t)ψ〉 tende azero quando t→ ∞.

Nota 6.4: Il teorema ci dice, in altre parole, che se lo stato iniziale ψ ∈ Hc allora la mediatemporale della probabilita di trovarlo nel suo stato iniziale tende a zero. Piu in generaleil teorema si estende al seguente fatto: se ψ ∈ Hc e se ϕ ∈ H allora la media temporaledel seguente termine 〈ϕ,U(t)ψ〉 tende a zero quando t→ ∞.Nota 6.5: Se ψ in particolare appartiene allo spazio Hac allora la misura µψ e assolu-tamente continua rispetto alla misura di Lebesque e, in virtu del Lemma di Riemann-Lebesgue, segue che µ(t) converge a zero puntualmente, e non nel senso della media diCesaro, quando t→ ∞.

6.3 Il Teorema RAGE

Il teorema RAGE, che prende il nome dai suoi autori (Ruelle, Amrien, Gorgescu e Enss),riguarda il compostamento dell’operatore di evoluzione.

Prima di formulare il Teorema RAGE premettiamo il seguente risultato intermedio

Teorema 6.5. Sia A un operatore auto-aggiunto e sia K un operatore relativemente com-patto rispetto a A. Allora si prova che per ogni ψ ∈ D(A) valgono i seguenti limiti

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102 6 Dinamica di un sistema quantistico

limT→∞

1

T

∫ T

0

∥∥∥Ke−itAPcψ∥∥∥2dt = 0 (6.10)

e

limt→∞

∥∥∥Ke−itAPacψ∥∥∥ = 0 . (6.11)

Se, in aggiunta, K e anche limitato allora questi risultati valgono per ogni ψ ∈ H.

Dimostrazione. Cominiciamo supponendo che K sia un operatore di rango finito, in par-ticolare supponiamo che K sia un operatore di rango uno; quindi esistono ϕ1 e ψ1 taliche:

Kψ = 〈ϕ1, ψ〉ψ1 , ∀ψ ∈ H .

In questo caso si ha che (similmente per Pac)

∥∥∥Ke−itAPcψ∥∥∥2=∣∣∣⟨ϕ1, e

−itAPcψ⟩∣∣∣

2 ‖ψ1‖2

da cui, e in virtu del Teorema di Wiener (rispettivamente dal Lemma di Riemann-Lebesgue), segue la tesi. Nello stesso modo si dimostra il risultato nel caso in cui Ke un operatore di rango finito n, n = 1, 2, . . ..

Se K e compatto allora esiste una sequenza di operatori Kn di rango finito tali che‖K −Kn‖ ≤ 1

ne quindi (similmente per Pac)

∥∥∥Ke−itAPcψ∥∥∥ ≤

∥∥∥Kne−itAPcψ

∥∥∥+1

n

∥∥∥e−itAPcψ∥∥∥ ≤

∥∥∥Kne−itAPcψ

∥∥∥+1

n‖ψ‖

da cui segue la tesi perche ci siamo sostanzialmente ricondotti al caso precedente, adesempio:

limT→∞

1

T

∫ T

0

∥∥∥Ke−itAPcψ∥∥∥2dt ≤ 2 lim

T→∞

1

T

∫ T

0

∥∥∥Kne−itAPcψ

∥∥∥2+

2

n2limT→∞

1

T

∫ T

0‖ψ‖2

≤ 0 +2

n2‖ψ‖2 = 0

per l’arbitrarieta di n. Quindi il teorema vale per ogni operatore compatto.Dimostriamo infine la tesi per operatori relativamente compatti. Sia ψ ∈ D(A) ∩ Hc

(rispettivamente ψ ∈ D(A) ∩ Hac), essendo A auto-aggiunto allora i ∈ ρ(A) e quindil’operatore A− i e invertibile ed esiste ϕ ∈ Hc tale che

ψ = (A− i)−1ϕ .

Quindi ci possiamo ricondurre al caso precedente poiche

Ke−itAPcψ = Ke−itAPc(A− i)−1ϕ = K(A− i)−1e−itAPcϕ = Ke−itAPcϕ

dove

K = K(A− i)−1

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6.3 Il Teorema RAGE 103

e un operatore compatto per ipotesi. Si osservi che abbiamo fatto uso dei seguenti fatti:[Pc, (A − i)−1] = 0, [e−itA, (A − i)−1] = 0 e Hc riduce A (ovvero PcD(A) ⊆ D(A) ePcAψ = APcψ per ogni ψ ∈ D(A)) .

Se, infine, K e, in aggiunta, un operatore limitato allora, dato un vettore qualunqueψ ∈ H, esiste una successione ψn ∈ D(A) tale che ‖ψ − ψn‖ ≤ 1

ne quindi

∥∥∥Ke−itAPcψ∥∥∥ ≤

∥∥∥Ke−itAPcψn∥∥∥+

∥∥∥Ke−itAPc(ψn − ψ)∥∥∥

≤∥∥∥Ke−itAPcψn

∥∥∥+ ‖K‖∥∥∥e−itAPc(ψn − ψ)

∥∥∥

≤∥∥∥Ke−itAPcψn

∥∥∥+1

n‖K‖

concludendo la dimostrazione.

Siamo ora pronti a formulare il Teorema RAGE (di cui ne omettiamo la dimostrazione).

Teorema 6.6 (Teorema RAGE). Sia A auto-aggiunto. Supponiamo che Kn ∈ L(H)sia una successione di operatori relativamente compatti che convergono fortemente all’identita:

s− limn→∞Kn = I .

Allora:

Hc =

ψ ∈ H : lim

n→∞limT→∞

1

T

∫ T

0

∥∥∥Kne−itAψ

∥∥∥ dt = 0

(6.12)

e

Hpp =

ψ ∈ H : lim

n→∞ supt≥0

∥∥∥(I−Kn)e−itAψ

∥∥∥ = 0

. (6.13)

Nota 6.6: In conclusione possiamo affermare che le proprieta di regolarita delle misurespettrali sono associate ad un comportamento temporale dei sistemi quantistici corrispon-denti.

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7

Esempi notevoli

7.1 L’operatore di Schrodinger libero

Nelle sezioni precedenti abbiamo visto che lo spazio corrispondente ad una particella inR3 e lo spazio di Hilbert L2(R3); in generale, lo spazio di Hilbert per N particelle in R

d elo spazio L2(Rn) dove n = dN . Il corrispondente operatore Hamiltoniano, se le particellenon interagiscono e se non sono soggette a campi di forze esterne, e dato da

H0 = −∆, ∆ =n∑

j=1

∂2

∂x2j, (7.1)

dove, per fissare le idee, abbiamo assunto le unita di misura tali che h2/2m = 1Il primo compito e trovare un buon dominio sul quale H0 e autoggiunto. Per il Lemma

A.2 si ha che

−∆ψ(x) =∨(

p2ψ(p))(x) (7.2)

e quindi ∆ψ ∈ L2 se ψ ∈ H2. In particolare si ha che l’operatore

H0ψ = −∆ψ , D(H0) = H2(Rn) , (7.3)

e unitariamente equivalente all’operatore di moltiplicazione definito sul suo dominio mas-simale

(FH0F−1

)ϕ(p) = p2ϕ(p) , D(p2) =

ϕ ∈ L2(Rn) : p2ϕ(p) ∈ L2(Rn)

. (7.4)

A riguardo del suo spettro si ha che

Teorema 7.1. L’operatore di Schrodinger libero H0 e auto-aggiunto sul D(H0) = H2(Rn)ed il suo spettro e caratterizzato da

σ(H0) = σac(H0) = [0,+∞) e σsc(H0) = σpp(H0) = ∅ . (7.5)

Nota 7.1: Come diretta conseguenza del Teorema 7.1 si ha che σess(H0) = [0,+∞) eσd(H0) = ∅.

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106 7 Esempi notevoli

Dimostrazione. L’autogiunzione di H0 e gia stata discussa. Per studiarne la natura dellospettro e sufficiente dimostrare che dµψ e puramente assolutamente continuo per ogni ψ.Anzitutto osserviamo che (per n > 1)

〈ψ,RH0(z)ψ〉 = 〈F−1Fψ,RH0(z)F−1Fψ〉 = 〈Fψ,FRH0(z)F−1Fψ〉

= 〈ψ, Rp2(z)ψ〉 =∫

Rn

|ψ(p)|2p2 − z

dnp =∫

R

1

r2 − zdµψ(r)

dove abbiamo riscritto l’integrale in coordinate polari e dove abbiamo posto

dµψ(r) = χ[0,+∞)(r)rn−1

(∫

Sn−1|ψ(rω)|2dn−1ω

)dr .

Quindi, dopo il cambio di coordinate λ = r2, noi abbiamo che

〈ψ,RH0(z)ψ〉 =∫

R

1

λ− zdµψ(λ) ,

dove

dµψ(λ) = fψ(λ)dλ e fψ(λ) =1

2χ[0,+∞)(λ)λ

12n−1

(∫

Sn−1|ψ(

√λω)|2dn−1ω

)

e una funzione misurabile rispetto a λ e integrabile, provando cosıche lo spettro e pura-mente assolutamente continuo. Nel caso n = 1 non c’e bisogno di passare in coordinatepolari e semplicemente

fψ(λ) = χ[0,+∞)(λ)

∣∣∣f(√

λ)∣∣∣

2

√λ

.

Poiche gia si era visto che σ(H0) = [0,+∞) allora segue la tesi.

Nota 7.2: Osserviamo che l’insieme delle funzioni regolari a supporto compatto e uncore per H0. In particolare, per dimostrare che S(Rn) e un core per H0 si puo usare lastessa strategia della dimostrazione del Lemma seguente, ovvero mostrare che la chiusuradi H0|S(Rn

)contiene H0.

Lemma 7.2. L’insieme di funzioni

C∞0 (Rn) = f ∈ C∞(Rn) : f ha supporto compatto

e un core per H0.

Dimostrazione. Poiche e gia noto che S(Rn) e un core per H0 e sufficiente provare che lachiusura di H0|C∞

0 (Rn)contiene H0|S(Rn

). A tal fine sia ϕ ∈ C∞

0 (Rn) definita nel seguente

modo:

0 ≤ ϕ(x) ≤ 1 e ϕ(x) =

1 se |x| ≤ 10 se |x| ≥ 2

Poniamo poi

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7.1 L’operatore di Schrodinger libero 107

ϕn(x) = ϕ(1

nx)

e ψn = ψ(x)ϕn(x)

dove e chiaro che per ogni ψ ∈ S(Rn) allora la successione ψn(x) ∈ C∞0 (Rn) e tale che

ψn → ψ e ∆ψn → ∆ψ

in norma quando n→ ∞.

Esercizio 7.1: Dimostrare che lo spazio

ψ ∈ S(R) : ψ(0) = 0

e denso in L2(R) ma che non e un core per H0 = − d2

dx2.

7.1.1 Evoluzione temporale per il problema libero

Per studiare l’evoluzione temporale del problema libero consideriamo il problema at-traverso la trasformata di Fourier:

e−itH0ψ(x) = F−1Fe−itH0F−1ψ(p) = F−1[e−itp

2

ψ(p)]. (7.6)

Il termine di destra e il prodotto tra le due funzioni e−itp2e ψ(p), quindi il risultato sarebbe

il prodotto in convoluzione delle rispettive anti-trasformate. C’e pero una difficolta dicarattere tecnico: la funzione e−itp

2non appartiene allo spazio L2 e quindi non possiamo

considerarne la anti-trasformata, dobbiamo quindi avere qualche precauzione.Consideriamo una nuova funzione

fǫ(p2) = e−(it+ǫ)p2 , ǫ > 0 , (7.7)

che converge a e−itp2nel limite ǫ→ 0+. Quindi

fǫ(H0)ψ → e−itH0ψ .

in virtu del Teorema spettrale. Inoltre, dalla formula A.8 e dalla formula di convoluzionesegue che

(fǫ(H0)ψ) (x) =1

[4itπ]n/2

Rn e

− |x−y|2

4(it+ǫ)ψ(y)dny (7.8)

e quindi

(e−itH0ψ

)(x) =

1

[4itπ]n/2

Rn e

i|x−y|2

4t ψ(y)dny (7.9)

per ogni t 6= 0 e ψ ∈ L2 ∩ L1.

Lemma 7.3. Per ogni t 6= 0 e ψ ∈ L2 ∩ L1 l’operatore di evoluzione e−itH0 del problemalibero e un operatore integrale di nucleo

Qt(x, y) =1

[4itπ]n/2ei

|x−y|2

4t .

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108 7 Esempi notevoli

Nota 7.3: Se ψ ∈ L2 allora l’integrale generalizzato che compare nella (7.9) deve essereinteso nel senso del valore principale di Cauchy.

Esercizio 7.2: Partendo dalla (7.9) dimostrare che limt→0+

(e−itH0ψ

)(x) = ψ(x).

Nota 7.4: Sia ψ ∈ L2 ∩ L1, allora, in virtu del teorema di convergenza dominata e dellacontinuita dell’esponenziale, segue che ψ(t) ∈ C(Rn) per ogni t 6= 0 (anche se la funzioneiniziale ψ(x) non e continua), ed inoltre soddisfa alla seguente stima dispersiva

‖ψ(t)‖∞ ≤ 1

|4πt|n/2‖ψ(0)‖1 . (7.10)

Cioe il pacchetto d’onda di allarga/diffonde in accordo con il Teorema RAGE.

7.1.2 Il risolvente e la funzione di Green.

Concludiamo calcolando l’operatore risolvente di H0. A tal fine osserviamo che vale laseguente relazione

RH0(z) =∫ ∞

0ezte−tH0dt . (7.11)

La dimostrazione della (7.11) si basa sul Teorema spettrale e sulla seguente osservazione

RH0(z) = [H0 − z]−1 =∫

R

1

λ− zdPH0(λ) =

R

[∫ +∞

0ezt−tλdt

]dPH0(λ)

=∫ +∞

0ezt[∫

Re−tλdPH0(λ)

]dt =

∫ +∞

0ezte−tH0dt .

Ricordando la (7.9) per t→ it e facendo uso del Teorema di Fubini segue quindi che

(RH0(z)ψ) (x) =∫

Rn G0(z, |x− y|)ψ(y)dny (7.12)

dove

G0(z, r) =∫ ∞

0

1

[4πt]n/2e−

r2

4t+ztdt, r > 0, ℜ(z) < 0. (7.13)

La funzione G0(z, r) prende il nome di funzione di Green di H0.Esercizio 7.3: Se n = 1 dimostrare che

G0(z, r) =1

2√−z e

−√−zr . (7.14)

Esercizio 7.4: Se n = 3 dimostrare che

G0(z, r) =1

4πre−

√−zr . (7.15)

Nota 7.5: Per n 6= 1, 3 e possibile comunque dare una espressione esplicita della funzionedi Green mediante le funzione speciali di Bessel di secondo tipo.Esercizio 7.5: Consideriamo lo stato iniziale ψ0(x) = xe−x

2+iv0x dove v0 ∈ R e c e unacostante di normalizzazione. Calcolare c e calcolare inoltre ψ(x, t) = e−itH0ψ0. [Risposta:

ψ(x, t) = c e(i(x2−ixv0+iv20t)

(−i+4t)t√it√

(−i+4t)t]

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7.2 δ uni-dimensionale 109

7.2 δ uni-dimensionale

Consideriamo ora il caso in cui sia presente un potenziale di tipo δ di Dirac. Restringiamola nostra analisi al caso unidimensionale e enunciamo semplicemnte i risultati principaliriferendo la dimostrazione al testo di S.Albeverio, F.Gesztesy, R. Hoegh-Krohn e H.HoldenSolvable Models in Quantum Mechanics.

Il corrispondente operatore Hamiltoniano sullo spazio di Hilbert L2(R, dx) e dato da

H0 = − d2

dx2+ αδ , (7.16)

dove, per fissare le idee, abbiamo assunto le unita di misura tali che h2/2m = 1 e dove δindica la ”funzione” δ di Dirac.

L’operatore H0 ammette estensione auto-aggiunta (denotata con il simbolo H) definitacome

H = − d2

dx2, (7.17)

sul dominio d’autogiunzione

D(H) =ψ ∈ H1(R) ∩H2(R \ 0) : ψ′(0 + 0)− ψ′(0− 0) = αψ(0)

. (7.18)

L’operatore risolvente RH(z) e un operatore integrale di nucleo G(x, y; z). Piu pre-cisamente sia

z = k2 ∈ ρ(H) ℑk > 0 ,

si dimostra che

[RH(z)ϕ] (x) =∫ +∞

−∞G(x, y; z)ϕ(y)dy , (7.19)

dove

G(x, y; z) =i

2keik|x−y| +

α

2k(iα + 2k)eik[|x|+|y|] . (7.20)

Lo spettro di H ha la seguente struttura: lo spettro essenziale coincide con lo spettroassolutamente continuo

σess(H) = σac = [0,+∞) , (7.21)

lo spettro singolare continuo e vuoto

σsc = ∅ , (7.22)

e infine lo spettro discreto coincide con lo spettro puramente puntuale ed e dato da

σd(H) = σpp =

∅ , if α > 0

−α2

4, if α < 0

, (7.23)

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110 7 Esempi notevoli

dove l’eventuale autovalore e non degenere ed ha autovettore associato ψ =√

|α|2eα|x|/2.

Infine, l’operatore di evoluzione ha la seguente forma:

[e−iHtψ

](x) =

RU tα(x, y)ψ(y)dy (7.24)

il cui nucleo U tα(x, y) ha la forma

U tα (x, y) = U t

0 (x− y) + αQtα (x, y) ,

dove

Qtα (x, y) =

−12

∫+∞0 du e−

12αu U t

0 (u+ |x|+ |y|) , se α > 00, e α = 01αei

α2

4tφα (x)φα (y) +

12

∫+∞0 du e

12αu U t

0 (u− |x| − |y|) , se α < 0

e dove

U t0(ζ) =

1√4πit

exp

(−|ζ|2

4it

)(7.25)

e il nucleo integrale associato al problema libero.

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A

La trasformata di Fourier

Uno degli strumenti piu importanti nello studio degli operatori di Schrodinger e la trasfor-mata di Fourier.

Sia f ∈ C∞(Rn) l’insieme di tutte le funzioni a valori complessi che ammettono derivateparziali di ordine qualunque. Per f ∈ C∞(Rn) e α ∈ N

n noi poniamo

∂αf =∂|α|

∂xα11 . . . ∂xαn

n

, |α| = α1 + . . .+ αn . (A.1)

L’elemento α ∈ Nn e detto multi-indice e |α| e detto il suo ordine, con xα si indica il

prodotto xα11 · · · xαn

n .Lo spazio di Schwartz

S(Rn) =f ∈ C∞(Rn) : sup

x|xα(∂βf)(x)| <∞ , α, β ∈ N

n

(A.2)

si dimostra essere denso in L2(Rn); infatti si ha l’inclusione C∞0 ⊆ S ⊆ L2. Osserviamo

inoltre anche che se f ∈ S allora anche xαf ∈ S e ∂βf ∈ S, qualunque siano i multi-indiciα, β ∈ N

n.

Definizione A.1. Per ogni f ∈ S(Rn) noi definiamo la trasformata di Fourier di f(x)

f(p) := F(f)(p) =1

[2π]n/2

Rn f(x)e

−ipxdnx , p ∈ Rn , px =

n∑

j=1

xjpj . (A.3)

Allora

Lemma A.2. La trasformata di Fourier mappa lo spazio di Schwartz in se stesso:

F = S → S .

Inoltre, per ogni multi-indice α ∈ Nn ed ogni f ∈ S si ha che

(∂αf)(p) = (ip)αf(p) e (xαf)(p) = i|α|∂αf(p) . (A.4)

Dimostrazione. Cominciamo a dimostrare la (A.4). Per integrazione per parti si ha che

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112 A La trasformata di Fourier

( ∂f∂xj

)(p) =

1

[2π]n/2

Rn

∂f(x)

∂xje−ipxdnx

=1

[2π]n/2

Rn f(x)

(−∂e

−ipx

∂xj

)dnx

=1

[2π]n/2

Rn f(x)

(ipje

−ipx)dnx = ipj f(p) .

e quindi la prima formula segue per induzione. In modo simile segue la seconda formula,infatti:

(xαj f)(p) =1

[2π]n/2

Rn xjf(x)e

−ipxdnx

=1

[2π]n/2

Rn f(x)

(i∂e−ipx

∂pj

)dnx

= i∂f(p)

∂pj

dove possiamo portare la derivata fuori dal segno di integrale.Resta infine da dimostare che f ∈ S; a tal fine osserviamo subito che f e limitata,

infatti

|f(p)| ≤∣∣∣∣∣

1

[2π]n/2

Rn f(x)e

−ipxdnx

∣∣∣∣∣ ≤1

[2π]n/2

Rn |f(x)|dnx

ovvero

‖f‖∞ ≤ 1

[2π]n/2‖f‖1 . (A.5)

Pertanto

pα(∂β f

)(p) = i−|α|−|β| (∂αxβf)(p)

e limitata poiche ∂αxβf ∈ S poiche f ∈ S.

Esercizio A.1: Nella dimostrazione della seconda formula della (A.4) si e scambiatal’operazione di integrale con l’operazione di derivata: dimostrare la validita di questaoperazione.Nota A.1: Il Lemma A.2 giustifica la seguente notazione: pf(x) per −i∂f .Lemma A.3. Sia f ∈ S. Allora

(f(x+ a))(p) = eiapf(p), a ∈ Rn , (A.6)

e

(f(λx))(p) =1

λnf(p

λ

), λ > 0 . (A.7)

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A La trasformata di Fourier 113

Esercizio A.2: La dimostrazione delle (A.6) e (A.7) e molto semplice ed e lasciata peresercizio.Esercizio A.3: Sia z ∈ C e tale che ℜz > 0. Osservare che e−zx

2/2 ∈ S e dimostrare che

F(e−zx

2/2)=

1

zn/2e−p

2/(2z) (A.8)

dove zn/2 = (√z)ne definita sul piano di olomorfia con il taglio lungo il semiasse negativo.

Teorema A.4. La trasformata di Fourier F : S → S e una biiezione. La sua inversa edata da

∨g (x) := F−1(g)(x) =

1

[2π]n/2

Rn g(p)e

ipxdnp , x ∈ Rn . (A.9)

In particolare abbiamo che F2(f)(x) = f(−x) e quindi F4 = I.

Dimostrazione. Introduciamo la seguente funzione, detta mollifier,

φǫ(x) = e−ǫx2/2

dove ǫ > 0 sara mandato a zero. Per il Teorema della convergenza dominata (usato unpaio di volte), il Teorema di Fubini, il Lemma A.3 e la (A.8) si ha che

∨(f(p)

)=

1

[2π]n/2

Rn f(p)e

ipxdnp

= limǫ→0

1

[2π]n/2

Rn f(p)φǫ(p)e

ipxdnp

= limǫ→0

1

[2π]n

Rn d

np∫

Rn d

nyf(y)φǫ(p)eip(x−y)

= limǫ→0

1

[2π]n/2

Rn f(y)

∨(φǫ(p)e

ipx)(y)dny

= limǫ→0

1

[2π]n/2

Rn f(y)

1

ǫn/2φ1/ǫ(y − x)dny

= limǫ→0

1

[2π]n/2

Rn ψ1(z)f(x+

√ǫz)dnz = f(x)

dove abbiamo posto z = y−x√ǫ.

Nota A.2: Anzitutto osserviamo che la mappa F : S → S e lineare:

F(af1 + bf2) = aF(f1) + bF(f2)

per la linearita dell’integrale. Pertanto la mappa F si puo riguardare come un operatorelineare da L2 in se stesso definito sul sottoinsieme denso S ⊆ L2.Nota A.3: In virtu del Teoreema di Fubini noi otteniamo la identita di Parseval:

Rn |f(p)|2dnp =

1

[2π]n/2

Rn d

nx∫

Rn d

npf(x) f(p) =∫

Rn |f(x)|2dnx (A.10)

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114 A La trasformata di Fourier

per ogni f ∈ S. Pertanto la mappa F e una trasformazione unitaria e quindi la si puoestendere su tutto L2 ponendo

f(p) = limR→∞

1

[2π]n/2

|x|<Rf(x)e−ipxdnx . (A.11)

Si osserva infine che nel caso in cui f ∈ L1 ∩ L2 allora il limite si puo omettere.Nota A.4: Mediante la trasformata di Fourier e possibile caratterizzare gli spazi diSobolev

Hr(Rn) =f ∈ L2(Rn) : |p|rf(p) ∈ L2(Rn)

(A.12)

Infatti, ogni funzione in Hr ammette derivate parziali fino all’ordine r, dove le derivateparziali sono definite attraverso la (anti-)trasformata di Fourier:

∂αf =∨(

(p)αf(p)), f ∈ Hr , |α| ≤ r . (A.13)

Collezioniamo due importanti risultati sulle trasformate di Fourier, omettendone la di-mostrazione. Il primo risultato noto come Lemma di Riemann-Lebesgue sostanzialmenteafferma che la trasformata di Fourier di una funzione integrabile si annulla all’infinito.

Lemma A.5 (Lemma di Riemann-Lebesgue). Supponiamo che f ∈ L1 allora

lim|p|→∞

f(p) = 0 .

Il secondo risultato riguarda invece il prodotto in convoluzione.

Definizione A.6. Siano date due funzioni f, g ∈ L1(Rn), si definisce prodotto in con-voluzione tra f e g la seguente

(f ⋆ g) (x) :=∫

Rn f(y)g(x− y)dny (A.14)

Nota A.5: Osserviamo anzitutto che il prodotto in convoluzione soddisfa alla proprietacommutativa f ⋆ g = g ⋆ f . Inoltre la definizione (A.14) e ben posta e f ⋆ g ∈ L1, piuprecisamente vale la disuguaglianza di Young

‖f ⋆ g‖1 ≤ ‖f‖1 ‖g‖1 (A.15)

Lemma A.7. La trasformata di Fourier mappa prodotto in convoluzione in prodotto or-dinario:

(f ⋆ g)(p) = (2π)n/2f(p) g(p) . (A.16)

Esercizio A.4: Calcolare la trasformata di Fourier delle seguenti funzioni:

i. f(x) = χ(−1,+1)(x);ii. f(x) = 1

x2+k2, k ∈ R.

Esercizio A.5: Dimostrare che l’insieme S e chiuso rispetto al prodotto in convoluzione.Esercizio A.6: Dimostrare che, date f, g ∈ L2(Rn), allora f ⋆ g ∈ C∞(Rn) e inoltre‖f ⋆ g‖∞ ≤ ‖f‖2 ‖g‖2.