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“Non mi mancava la memoria o l’intelligenza, ma mi piaceva il gioco e ne ero punito da chi, però, non giocava meno di me. Sennonché i giochi degli adulti sono chiamati affari, mentre quelli dei bambini, per quanto simili, sono puniti dagli adulti. Ma proprio chi mi dava le botte, agiva diversamente? Se un collega d’insegnamento lo superava in qualche banale discussione, si rodeva dalla bile e dall’invidia più di me, quando rimanevo sconfitto dal mio compagno di gioco in una partita alla palla”.

Sant’Agostino, Le Confessioni

“Vecchi e vecchie siederanno ancora nelle piazze di Gerusalemme, ognuno con il bastone in mano. Le piazze della città formicoleranno di bambini e di bambine che giocano”.

Zaccaria, 8, 3-4

"Gli adulti dovrebbero imparare ad essere seri come i bambini quando giocano"

Nietzsche

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Il nesso fra città come insieme di spazi e società (“amicizia”, relazione, scambio) e come effetto dei tempi segnala un progetto politico di trasformazione concreta della vita quotidiana di uomini e donne, realizzabile non solo e non tanto con norme generali e astratte, e forse non realizzabile una volta per tutte, proprio anzi di una concezione “incontentabile” (qualitativa) della democrazia. Un rapporto spazio-tempo ”amico”, riconvertito e

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e sostenibile (per ciascuno e per tutti) ci serve qui, nella nostra Gallipoli, e oggi.

E nello SPAZIO dobbiamo metterci i non luoghi e i silenzi (non solo degli altri). E nel TEMPO dobbiamo metterci i caratteri dei fatti linguistici considerati nel loro sviluppo attraverso il tempo e i cicli (non solo lentezze ed intervalli di tempo).

Territorio-risorse, trasporti-mobilità, servizi-cura sono “oggetti” da cambiare per cambiare i tempi di vita e migliorare la qualità urbana: usi, strumenti, strutture

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rispetto ai quali è in fase avanzata l’elaborazione di riflessioni e proposte, grazie soprattutto alle diverse associazioni e movimenti che, senza trascurare le parrocchie, in questi ultimi anni, stanno caratterizzando la vita della città e, soprattutto del centro storico.

Nel mio dire voglio sottolineare un “soggetto”, l’infanzia, che oggi pesa poco, non ha né tempo né spazi, soprattutto non ha voce e la cui “esistenza politica” potrebbe essere utile a rafforzare il

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“progetto democratico” di PARTECIPAZIONE di TUTTI i cittadini alla vita cittadina.

I parametri della “sostenibilità” urbana (densità della popolazione e verde urbano, consumi elettrici e rischio industriale, monitoraggio dell’inquinamento atmosferico e acustico e presenza di inquinanti nell’aria, consumi idrici e quota di depurazione, produzione e raccolta differenziata di rifiuti, densità di automobili

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e consumo di carburanti) non sempre consentono di evidenziare sacche di sottosviluppo e arretramento o i luoghi dove un ambiente migliore si collega a consumo maggiore di qualità e quindi anche a conservazione, riuso, scambio, migliori relazioni sociali, interessi collettivi.

Come è noto nelle grandi città si sta peggio (in base a quei parametri anzidetti, ai dati sui trasferimenti dei cittadini nelle “piccole” città ma anche alla diffusa sensibilità) e, tuttavia, il disagio e la crescita dell’inquinamento

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riguardano tutte le “città”. Le diverse indagini lo confermano, per quanto ancora siano labili i parametri qualitativi e carente il monitoraggio quantitativo. Problemi e soluzioni sembrano apparentemente molto simili per adulti e bambini. E unico è certamente lo slogan da introdurre e assimilare: è il tempo della manutenzione; manutenzione dei rapporti interpersonali e sociali, manutenzione del territorio e delle risorse, manutenzione dei beni e dei servizi. RIPARARE (“ridurre il

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danno”) più e oltre che costruire.

RICONQUISTARE LA CITTA’ E I SUOI SPAZI. Accorgersi nuovamente dei suoi beni, suoni, odori, abitanti. Risparmiare, riconnettere, riutilizzare, riconoscere, recuperare, qualificare sono i verbi-chiave, anche per un uso equo del tempo, riferito non al cittadino-utente, ma alla comunità locale e ai bambini come anello di congiunzione intergenerazionale della e nella comunità. Inserire la discriminante

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“bambini e bambine” nel nesso tempi-città ha due principali obiettivi:

Individuare un “modello di coniugazione della sperimentazione” di nuovi tempi di vita e di spazi pubblici in cui vivere, un soggetto sociale di riferimento, un “misuratore” di qualità delle trasformazioni prospettate (un ulteriore “rilevatore” del vivere bene in un posto);

Individuare un “vincolo democratico”, il condizionamento di bisogni/valori/voti/mercati in parte estranei

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al circuito formale istituzionale - informativo dato, titolare di diritti (che non tutti e non solo possono essere fatti “valere” da altri), capace di ampliare la stessa nozione di cittadinanza. Pensare una città più amica del tempo delle bambine e dei bambini è un buon modo per immaginarla adatta a tutti e più democratica. Al di là delle varie fasi e fasce di età, ben oltre la tutela, le bambine e i bambini sono i “soggetti in età evolutiva” termine che sottolinea uno sviluppo temporale non solo fisico (ma anche psicologico, sociale, intellettuale), la

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cui maturazione dipende molto dal contesto; da una città amica dunque, una città che protegge i suoi bambini indipendentemente dall’appartenenza famigliare, una città che individua e protegge spazi pubblici a loro dedicati. In tale sviluppo, nel superamento di talune “immaturità”, nel diventare adulti crescono anche sordità a stimoli esterni, automatismi di spazio/tempo, perdite di senso, abbandoni e disattese, vuoti. Intervenire sui bambini, con i bambini,

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significa potenzialmente prevenire “malattie” di tutti. Tentare di “aiutare” la vita dei bambini e accettare di imparare (o reimparare) spezzoni di vita dai bambini, sono due obiettivi con valore universale. Sono logiche altrettanto sbagliate se isolate, sia quella protettiva (difenderli da…tutto, anche calpestando i diritti degli altri bambini), che quella autonomistica (consentirgli… tutto). Le generazioni dovrebbero mettersi nelle condizioni di imparare sempre qualcosa l’una dall’altra.

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E dai bambini si può soggettivamente reimparare la maturità del gioco e oggettivamente comprendere la non compensabilità, l’impossibile monetizzazione di alcuni danni. Se la qualità urbana non è un lusso, né un opinione, se è fatta di cose concrete e materiali e di altre immateriali (ambiente naturale, luoghi storici e beni culturali conservati, culture che si trasmettono, servizi collettivi fruibili e attrezzature sufficienti, tempi di vita possibili e tempi vuoti o liberi…) quale soggetto, meglio di un bimbo, può misurarla. Bambini e bambine sono indicatori biologici (ecologici) della qualità/delle qualità della vita urbana,

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richiedono nuovi alfabeti e nuove percezioni di tempo e di spazio. Sguardo, tatto, udito, olfatto, linguaggio da bambino consensi da ricostruire, rifondare per ogni "cittadino". Non si tratta solo di assicurare quantità e qualità dei servizi per bambini che pure hanno valore sociale generale, pubblico (non statistico): asili, consultori, centri ... accessibilità, integrazione, prevenzione ... sport, arte, cultura.

In un piano d'azione per l'infanzia va inserito un impegno "nuovo" per chi amministra localmente il territorio: mettere a disposizione di bambini e delle bambine gli spazi e i tempi per il passaggio ed il gioco, l'ambiente naturale, i servizi sanitari ed educativi, le opportunità culturali e di relazioni sociali necessarie alla loro crescita ed alla formazione della loro personalità.

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“I bambini hanno bisogno di spazi per giocare e strade in cui muoversi tranquilli, di verde fruibile e mezzi pubblici sicuri, insomma di città che siano progettate anche in base alle loro esigenze. Invece quello che siamo costretti a constatare è che sono proprio loro, i bambini, le prime vittime di smog, traffico, carenza di spazi verdi. Ripensare il nostro centro urbano, il nostro centro storico, guardando anche al punto di vista dei bambini

• Uno spazio di esperienza… • un luogo di incontro e di ascolto….• di relazione con gli Altri.• Uno spazio per fermarci e  per soddisfare il troppo

spesso accantonato bisogno, che tutti abbiamo,  di prenderci un po’ cura di noi stessi, dei nostri figli.

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• Uno spazio per:

• riscoprire la creatività che c’è in ciascuno di noi• riascoltare il battito del nostro cuore che può

trasformarsi in musica e danza ricollegarci ai ritmi della natura e del mondo.

• Uno spazio per giocare, ascoltare, manipolare,….

QUINDI…

"La città dei bambini"Una città per giocare

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Nella nuova città i bambini hanno  perso il loro spazio e il loro tempo. Gli spazi dei bambini, in casa e fuori, sono stati sempre gli spazi non utilizzati, anche provvisoriamente, dagli adulti, come i cortili, le scale, le aree non costruite, i cantieri dimessi, i marciapiedi, le piazze. Questi spazi non erano e non sono dei bambini, o per loro, ma erano e sono da loro utilizzati quando gli adulti li lasciano liberi.

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L’uso di questi spazi avveniva nel “tempo libero”, un tempo dei bambini una volta assolti i  doveri della scuola ed eventuali faccende domestiche. Era un tempo che poteva essere amministrato  con libertà e autonomia, senza il controllo degli adulti, purché si rispettassero alcune regole di orario, distanza, pericolo ecc. In questo tempo e in questi spazi i bambini vivevano le loro esperienze di gioco, di avventura, di esplorazione.

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Una componente importante di queste esperienze era il rischio, l’eccitazione di provare sempre qualcosa di nuovo, di allargare lo spazio, di forzare i vincoli e le regole imposti dagli adulti. Così i bambini diventavano donne e uomini adulti, in queste esperienze, molto precoci, di gioco e di scoperta si mettevano le fondamenta che avrebbero dovuto reggere tutto lo sviluppo successivo. La ricerca scientifica dimostra che, prima che un bambino entri in un aula scolastica, le cose più importanti

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sono gia successe, gli apprendimenti più significativi, quelli sui quali tutta la conoscenza successiva dovrà costruirsi, o sono già acquisiti o difficilmente potranno essere recuperati.Come si può spiegare un fenomeno così

sconcertante? Nei primi anni di vita non ci sono insegnanti,

non si usano materiali didattici e non si fanno programmi: e allora a cosa possiamo attribuire il merito di una crescita così grande?

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Io penso al .. gioco. Perché il bambino vive nel gioco un’esperienza rara nella vita di un uomo, quella di confrontarsi da solo con la complessità del mondo. Lui, con tutte le sue curiosità, con tutto quello che sa e che sa fare, e con tutto quello che non sa e che desidera sapere, di fronte  al mondo con tutti i suoi stimoli, le sue novità, il suo fascino. E giocare significa ritagliarsi  ogni volta un pezzetto di questo mondo: un pezzetto che comprenderà un amico, degli oggetti, delle regole, uno spazio da occupare, un tempo

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da amministrare, dei rischi da correre. Con una libertà totale, perché quello che non si può fare  o non e’ disponibile lo si può inventare.

E nessun adulto potrà prevedere o misurare la quantità di apprendimento di un  bambino che gioca, e questa sarà sempre lontana da quello che noi potremo immaginare.

Nessuno potrà programmare o accelerare questo processo, pena impedirlo o impoverirlo. Usa il motore più potente  che l’uomo conosca: il piacere.

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Con la scuola la complessità del mondo reale viene sostituita  con quella più controllabile della proposta didattica, dell’esercizio, del libro di testo. In genere il risultato e’ povero, quasi sempre inferiore alle aspettative. La scuola ha perso il rapporto con il piacere e deve ricorrere ad un motore meno potente ed efficace, quello del dovere.

Nella città la presenza delle auto e il pericolo che queste rappresentano hanno privatizzato gli spazi pubblici e li hanno resi impraticabili per i pedoni.

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L’assenza di persone che passeggiano, che stanno all’aperto, rendono gli spazi pubblici meno sicuri. La somma di queste condizioni negative costringe i bambini in casa o in luoghi protetti e sotto la sorveglianza degli adulti. Il loro tempo libero e’ stato sostituito dal tempo, sempre più lungo, passato in casa grazie alla televisione e ai videogiochi e dalle tante scuole pomeridiane, interessanti per la varietà dei temi offerti, ma sempre scuole e sempre con adulti che insegnano, controllano, garantiscono.

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Nascono così gli spazi specializzati e dedicati ai bambini: la cameretta in casa, il giardinetto fuori, e poi il nido, le colonie, la ludoteca. Ma al bambino non piace stare  nella sua cameretta, preferisce stare in cucina a “dar fastidio” alla mamma, così come non gli piace il giardinetto dove si possono fare solo i giochi previsti e dove bisogna andare accompagnati dagli adulti. Sono spazi che rispondono più alle esigenze di sicurezza e di tutela degli adulti che ai bisogni del bambino. E’ interessante notare  come la mobilità dei bambini si sia notevolmente  ridotta soprattutto per il rischio delle automobili. La maggiore libertà dei padri viene quindi pagata da una maggiore prigionia dei figli.

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Sempre meno bambini vanno a scuola da soli, possono attraversare la strada , recarsi da soli nei luoghi di svago. Queste  operazioni semplici vengono vissute con l’accompagnamento e la responsabilità dell’adulto. Diminuisce così significativamente l’opportunità di operare scelte autonome e questo crea un rallentamento del processo di crescita del bambino, perché non possono svilupparsi in lui gli apprendimenti di base delle caratteristiche spaziali dell’ambiente e i comportamenti che garantiscono l’indipendenza.

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Non e’ un lusso; il principale problema dei bambini e’ quello di diventare grandi e per diventarlo hanno bisogno di compiere un loro percorso di autonomia, di uscire da casa da soli, di scegliersi i compagni di gioco, di espandere i loro mondi, di scoprire, di rischiare, di stupirsi, di superare gli ostacoli, di riorientarsi.

Tutte cose che non si possono fare con un adulto che accompagna, che vigila,  e quindi limita. Di questi bisogni, che pure sono stati la spinta per la costruzione delle fondamenta di tutto il loro sviluppo cognitivo, sociale, affettivo, creativo, gli adulti hanno perso memoria e, di fronte alle difficoltà reali che oggi una realtà presenta, finiscono per esprimere  pareri del tipo “Sarebbe bello ..però…”, li considerano dei lussi più che delle necessità irrinunciabili.

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Se si capisse che un bambino senza la possibilità di sperimentare la sua autonomia non può diventare grande si lavorerebbe di conseguenza. Averli dimenticati ha portato le città ad uno sviluppo folle, totalmente incapace di dare  risposte ai bisogni dei cittadini e alle stesse esigenze della città: é difficile  muoversi a piedi e in bicicletta , l’aria é inquinata, il rumore é eccessivo, i monumenti si corrompono, la gente ha paura ,molti si muovono in automobile, gli altri restano chiusi in casa.

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Io, nel il mio lavoro, mi sono posti il problema  di come fare per migliorare la nostra città , per ridarla ai bambini, per fare in modo che anche loro possano usarla, possano abitarla, possano percorrerla. Dare la città ai bambini significa assumere i loro bisogni attuali, da bambini, come criteri di cambiamento della città, nella certezza che se una città saprà rispettare i bisogni dei bambini avrà dato risposte positive ai bisogni di tutti i cittadini.

Quindi non altri, o non solo altri spazi per i bambini, ma la città per loro, come per noi e insieme a noi riconoscendo loro diritto e dovere di cittadinanza. Si é detto che i bambini hanno bisogno di muoversi da soli per raggiungere la scuola, i luoghi di gioco, i negozi. Per renderlo possibile dobbiamo diminuire il  pericolo del traffico urbano e aumentare  la responsabilità di tutti  a difesa dei più deboli.

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