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INDICE Il metodo e il progetto – p. 4 Il materiale didattico – p. 4 Trama - p. 5 Racconto: MEMORIE DI UN GIOVANE RE - p. 6 IL BELLO PER GLI ALTRI - IL MONDO SECONDO GLI ALTRI Che cos’è l’ordine? Cosa sono l’ eleganza e l’ armonia? Dizionario - p. 9 Racconti: IL RE IN ASCOLTO - p. 11

IL BELLO PER ME - IL MONDO ROVESCIATO Cos’é bello per me? La bellezza ci rende liberi? La bellezza ci rende responsabili? Dizionario - p. 13 Racconti: I VESTITI NUOVI DELL’ IMPERATORE – p.14 SCOPRIRE E COSTRUIRE IL BELLO - IL MONDO NUOVO Come posso imparare a riconoscere le cose belle? Posso diventare un costruttore di bellezza? Dizionario - p. 17 Racconti: TITANIO – p.18 Bibliografia – p. 20

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Impariamo a usare le espressioni: “Io vedo…”, “egli vede…” e così via, ancor prima di imparare a distinguere tra il vedere e la cecità..

[L. Wittgenstein, Osservazione sui colori ]

Le pareti militari di Sethi I Karnak, tempio di Amon - Ra, parete esterna settentrionale della grande sala ipostila; XIX dinastia 1285 a. C. circa

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Il Metodo e il Progetto

La Bellezza è il terzo tema affrontato dal “PROGETTO FAVOLE FILOSOFICHE” di Pasquale Buonarota e Alessandro Pisci, una formula dove il teatro è uno strumento per ragionare con i ragazzi, e la filosofia un metodo perché la riflessione resti aperta al contributo di tutti. “Costruttori di bellezza. La favola del giovane re” è quindi una nuova storia composta di racconti, canzoni, giochi teatrali, favole, miti, interpretati dai due attori, che “costruiscono” con i bambini e i ragazzi ragionamenti, idee, immagini e pensieri per capire insieme cosa può essere bello e cosa no. Favolosofia numero tre vuole essere un’occasione per pensare insieme a teatro, senza rinunciare a sorridere.

Il materiale didattico Il materiale qui riprodotto ripercorre la scìa di domande, definizioni, favole e immagini su cui abbiamo costruito il canovaccio del nostro intervento nelle scuole e nelle biblioteche. La bibliografia cerca di ovviare alla parzialità di questa selezione fatta per facilitare il riconoscimento delle citazioni e degli argomenti. Molto di quello che non è stato qui riportato si può trovare sul sito: www.favolefilosofiche.com

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La trama La favola dei Costruttori di bellezza è liberamente ispirato a un racconto di Heinrich Böll, “Memorie di un giovane Re”. Un principe, anche se non più giovane principe, è sempre tenuto a studiare per diventare Re. Che gli piaccia o no. Per questo è con lui un precettore che un giorno, come tutti i giorni, lo prepara a conoscere e riconoscere le cose belle che lo aspettano. Gli eventi precipitano e il principe, diventato re, ingenuamente provoca una sommossa generale ed è costretto a fuggire col precettore nel nulla. Il nulla diventa la cornice ideale per ripensare tutto con occhi nuovi. Favolosofia Numero Tre – Costruttori di bellezza è il terzo spettacolo del PROGETTO FAVOLE FILOSOFICHE. Una nuova opportunità di teatro e filosofia con i più piccoli. Domande prevalenti: Come posso imparare a riconoscere le cose belle? Quali sono le idee di bello per gli altri? Che cos’è bello per me? La bellezza ci rende liberi? La bellezza ci rende responsabili? Posso essere un costruttore di bellezza?

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MEMORIE DI UN GIOVANE RE Da ‘Memorie di un giovane re’ di Heinrich Böll Appena compiuti i tredici anni fui nominato re di Capota. Quel giorno ero seduto nella mia stanza, intento a cancellare dal “non sufficiente” segnato in calce al tema il “non”. Mio padre, Pig Gi I di Capota, era in montagna per trascorrervi un mese in battute di caccia e io dovevo spedire il tema con il corriere reale. Contando sulla cattiva illuminazione dei rifugi di caccia cancellavo alacremente, quando all’ improvviso udii un grido potente: “Viva Pig Gi Secondo!”. Subito dopo mi piombò trafelato nella stanza il cameriere particolare, si inchinò sulla soglia e con profonda devozione - e un filo di voce - mi disse: “ Prego umilmente Vostra Maestà affinché si degni di non serbarmi rancore per quella volta che denunciai la Maestà Vostra presso l’ Illustre Primo Ministro, perché l’ avevo vista fumare”. La sottomissione del cameriere particolare mi ripugnava, lo cacciai via e continuai nell’ opera di cancellatura - il precettore scriveva i voti con l’ inchiostro rosso. Quando ormai aveva fatto un bel buco nel quaderno, fui interrotto. Il Primo Ministro entrò nella stanza, si inchinò fino a terra ed esclamò: “Evviva Pig Gi Secondo, tre volte evviva!”. E aggiunse: “Sire, il popolo la reclama, vuole vederla!”. Ero molto turbato, posai la gomma, mi sfregai le mani per scrollar via la sporcizia e domandai: “Perché il popolo reclama di vedermi?”. “Perché adesso siete Re”. “Da quando?”. “Da mezz’ ora. Il vostro grazioso Signor Padre è stato ucciso durante una battuta di caccia da un Safuc”. (Safuc è l’ abbreviazione per “Sadici Furiosi Capotesi”). “Oh, i Safuc!” esclamai. Poi segui il Primo Ministro e mi mostrai al popolo dal balcone. Sorridevo agitando le braccia in segno di saluto e mi sentivo molto turbato. Quella manifestazione spontanea durò due ore. Soltanto verso sera, calato ormai il buio, il popolo si disperse; tornò comunque a sfilare sotto il palazzo qualche ora dopo, in una fiaccolata. Chiuso nella mia stanza, strappai il quaderno dei temi e ne sparpagliai i brandelli nel cortile interno del palazzo reale. Lì - come venni a sapere in seguito - furono raccattati da collezionisti e venduti all’ estero, dove oggi sono conservati come testimonianza della mia poca dimestichezza con l’ ortografia. Seguirono mesi faticosi. I Safuc tentarono un colpo di stato, ma furono respinti dai Samoc (“Sadici Moderati Capotesi”) e dall’ esercito. Si celebrarono i funerali di mio padre e io dovetti presenziare alle sedute del Parlamento, firmando decreti legge. Tutto sommato essere re mi piaceva - ora potevo usare metodi diversi con il precettore. Se durante una lezione mi chiedeva: “Vostra Maestà vorrebbe degnarsi di espormi le regole per lo svolgimento delle frazioni improprie?”, io rispondevo: “No, non mi degno affatto” e lui non poteva far niente. Se diceva: “sarebbe una richiesta insopportabile per Vostra Maestà se pregassi la Signoria Vostra di mettere per iscritto - almeno tre paginette - i motivi per cui Tell uccise Geβler?”, io gli ordinavo di espormi lui i motivi per cui Tell uccise Geβler. In questo modo, senza gran fatica, mi feci una certa cultura, potei dare alle fiamme tutti i libri e i quaderni di scuola e dedicarmi a quelle che erano le mie vere passioni, giocavo a palla, mi divertivo a lanciare il coltello da tasca contro il pannello decorato delle porte, leggevo romanzi polizieschi e intrattenevo lunghe conversazioni con il gestore del Cinema di Corte. Ordinavo che fossero acquistati tutti i miei film preferiti e in Parlamento sostenni una riforma scolastica. Fu un periodo magnifico, benché le sedute in Parlamento mi estenuassero. Con gli altri riuscivo a farmi passare per un giovane re malinconico e in tal modo mi affidai completamente all’ operato del Primo Ministro Pelzer, già amico di mio padre e cugino della mia defunta madre. Ma trascorsi tre mesi, Pelzer mi esortò a prendere moglie. Disse: “Dovete essere un modello per il Vostro popolo, Sire”. A dir la verità io non avevo paura di sposarmi, ma era spiacevole che Pelzer mi proponesse in moglie la figlia undicenne Jadwiga, una ragazzina smilza, che vedevo spesso giocare con la palla a corte. Era considerata un po’ scema - per la seconda volta infatti ripeteva la quinta elementare - aveva un colorito cereo e l’ aria un po’ imbronciata. Pregai Pelzer di lasciarmi il tempo di riflettere; allora caddi davvero in uno stato di malinconia, trascorrevo ore intere sdraiato davanti alla finestra della mia stanza, osservando Jadwiga che giocava a palla o con la corda. Era

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vestita in modo più grazioso, ogni tanto alzava lo sguardo verso di me e sorrideva. Ma il suo sorriso non mi sembrava affatto spontaneo. Scaduto il tempo concessomi, Pelzer mi si presentò davanti in uniforme di gala: era un uomo possente, dal colorito giallastro, la barba nera e gli occhi scintillanti. “Vostra Maestà mi conceda di conoscere la Vostra decisione” disse. “La mia bambina ha conquistato le grazie di Vostra Maestà?”. Quando io, senza esitazioni, buttai lì il mio “No”, successe una cosa terribile: Pelzer si strappò i gradi dalle spalle, le decorazioni dal petto, mi gettò il portafoglio ministeriale ai piedi - era di pelle finta - e tirandosi la barba gridò: “Ecco, questa è la riconoscenza dei re di Capota!”. Mi trovavo in una situazione imbarazzante. Se Pelzer mi lasciava ero perduto. Quindi senza ambagi dissi: “La prego di concedermi la mano di Jadwiga”. Pelzer mi si gettò ai piedi, li baciò con fervore sulle punte, e raccolse da terra gradi, decorazioni e portafoglio di pelle finta. La cerimonia si tenne nella cattedrale di Huldebach. Il popolo ebbe salsicce e birra, furono distribuite otto sigarette a testa e per mia iniziativa anche due biglietti gratis per le giostre; per otto giorni al palazzo regnò un gran fracasso. Adesso aiutavo Jadwiga a fare i compiti, giocavamo con la palla, giocavamo con la corda, cavalcavamo insieme, e tutte le volte che ne avevamo vogliaordinavamo dolci di marzapane alla Pasticceria di Corte. Essere re continuava a piacermi - ma uno spiacevole contrattempo pose fine alla mia carriera. Compiuti i quattordici anni fui nominato Colonnello e Comandante in Capo dell’ VIII reggimento di cavalleria. Jadwiga divenne Maggiore. Di tanto in tanto dovevamo fare una cavalcata sino al fronte, partecipare alle serate del Circolo Ufficiali e nelle giornate di festa solenne appuntare sul petto di soldati valenti croci al valor militare. Io stesso ne ottenni una quantità non indifferente. Ma poi accadde la faccenda di Poskopek. Poskopek era un soldato del quarto battaglione del mio reggimento, il quale una domenica sera, per seguire oltre frontiera una cavallerizza del circò, disertò. Fu catturato, messo agli arresti e condannato a morte dalla Corte Marziale. In quanto Comandante in Capo al reggimento dovevo firmare la sentenza, ma invece scrissi semplicemente in calce sul foglio: Al quattordicesimo giorno di arresto viene graziato, Pig Gi II. Tale annotazione ebbe conseguenze terribili: tutti gli ufficiali del reggimento si strapparono gradi, decorazioni e croci al valor militare, incaricando un giovane tenente di sparpagliarmeli nella stanza. Tutto l’ esercito capotese si unì alla sommossa e, giunta la sera, la mia stanza era tutta piena di gradi, decorazioni e croci: uno spettacolo rivoltante. Per la verità il popolo mi acclamava, ma durante la notte Pelzer mi annunciò che l’ esercito era passato in blocco dalla parte dei Safuc. Scoppi e spari si udivano dappertutto, e il furibondo martellio delle mitragliatrici rompeva il silenzio in cui era immerso il palazzo. A dire vero i Samoc mi avevano fornito una guardia del corpo, ma nel corso della notte anche Pelzer passò dalla parte dei Safuc e così fui costretto a scappare, portando con me Jadwiga. Afferrammo alla rinfusa vestiti, banconote e gioielli, i Samoc requisirono un taxi e riuscimmo a raggiungere per il rotto della cuffia la stazione di frontiera del paese confinante. Esausti, occupato un vagone letto di seconda classe, sprofondammo nel sonno e viaggiammo verso Occidente. Oltre la frontiera, proveniente da Capota, si sentiva l’ eco di spari, di grida selvagge - la terribile musica della rivolta. Viaggiammo per quattro giorni e alla fine scendemmo in una cittadina chiamata Wikkelheim: Wickelheim - mi suggerivano confuse reminescenze di geografia - era la capitale del paese confinante. Nel frattempo Jadwiga e io avevamo conosciuto cose che a poco a poco imparammo ad apprezzare: l’ odore della ferrovia, amaro e penetrante, il sapore delle salsicce mangiate in stazioni mai viste né conosciute prima; io potevo fumare quanto volevo e Jadwiga, ormai libera dal peso dei compiti di scuola, cominciò a farsi bella. Durante il secondo giorno del nostro soggiorno a Wicklheim furono affissi in tutta la città dei manifesti che solleticarono la nostra curiosità: “Circo Hunke - esibizione della celebre cavallerizza Hula accompagnata da Jürgen Poskopek”. Jadwiga, tutta fremente, disse: “Pig Gi, pensa a noi, alla nostra esistenza. di sicuro Poskopek ci darà una mano”. Nel nostro hotel, intanto, arrivava un telegramma in cui si annunciava la vittoria dei Samoc, l’ avvenuta fucilazione di Pelzer e una parziale riorganizzazione delle forze armate.

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Il nuovo Primo Ministro - si chiamava Schmidt ed era il capo dei Samoc - mi pregava di fare ritorno in patria, per accettare dalle mani del popolo la corona ferrea dei re di Capota. Esitai per qualche giorno, ma alla fine prevalse l’ angoscia di Jadwiga per i compiti di scuola, così andai al Circo Hunke, chiesi di Poskopek, che, quando mi vide, mi accolse con gioia impetuosa: “Oh salvatore della mia vita”, proruppe ancora in piedi sulla porta della roulotte, “che cosa posso fare per Lei?”. “Procurami da vivere” gli feci in tutta semplicità. Poskopek fu commovente: mi raccomandò al Signor Hunke e io vendetti dapprima limonata, poi sigarette, quindi gulasch per il suo circo. Mi fu data una roulotte e dopo breve tempo divenni il responsabile alla cassa. Cambiai il nome in Tückes, Wilhelm Tückes, e da allora evitai tutti i telegrammi in arrivo da Capota. Oggi mi credono morto, mi danno per disperso, mentre invece me ne vado in giro con la roulotte del Circo Hunke in compagnia di Jadwiga, che si fa sempre più bella. Respiro l’ odore di paesi stranieri, ne godo i paesaggi, mi rallegro della profonda fiducia accordatami dal signor Hunke. Se ogni tanto non ci fossero le visite di Poskopek e i suoi racconti di Capota, se non ci fosse sua moglie Hula, la bella cavallerizza, che continua a rassicurarmi sul fatto che suo marito mi deve la vita, io non mi ricorderei neppure più di essere stato re. Ma di recente ho scoperto una prova effettiva della mia precedente vita regale. Avevamo uno spettacolo a Madrid e una mattina stavo passeggiando per le vie della città con Jadwiga, quando a colpire la nostra attenzione fu un grande edificio grigio con la scritta “Museo Nazionale”. “Entriamo a vedere” disse Jadwiga, e così entrammo nel museo, in una delle grandi sale laterali, su cui era affissa la targa “Sala calligrafica”. Ignari, osservammo le grafie dei vari presidenti o re, finché arrivammo a una bacheca sulla quale era incollato un fogliettino bianco con la dicitura: “Regno di Capota, divenuta Repubblica da due anni”. Vidi la scrittura di mio nonno Wuck XL, un brandello del celebre manifesto di Capota redatto di suo pugno; trovai un foglio di appunti dai diari di caccia di mio padre - e infine un frammento del mio quaderno di scuola, un pezzo di carta sporca su cui lessi “La piogia significa ricchezza”. Vergognandomi mi voltai verso Jadwiga, ma lei sorrise e disse: “Tutto questo è finito, per sempre”. Lasciammo in fretta il museo perché ormai si era fatta l’ una e lo spettacolo iniziava alle tre; io, dalle due, dovevo aprire la cassa.

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IL BELLO PER GLI ALTRI IL MONDO INTORNO A ME

Che cos’è l’ordine?

Cosa sono l’ eleganza e l’ armonia?

Dizionario

ARMONIA (dal greco HARMONÍA, “accordo, proporzione”)

– Consonanza di voci o di strumenti in accordo tra loro e quindi grati all’orecchio e al cuore, concento:; talvolta tutta interiore. In senso più tecnico, la pratica e la teoria della formazione e concatenazione degli accordi e l’organizzazione dei suoni, per rapporti di altezza, in funzione dell’ordine unitario della tonalità

– Per analogia, effetto particolare, per lo più gradevole, cui tendono i vari elementi di un’espressione compiuta; ritmo, modulo poetico.

– (estensivo) Proporzione, conveniente accordo di più parti o elementi. – Concordia di sentimenti o di opinioni. BELLO

(Dal latino BELLUS, diminuitivo antichissimo di BŎNUS “fornito di doni o virtù”). – Capace di provocare un’ attrazione fisica o spirituale fine a se stessa, in quanto degno di essere

ammirato e contemplato.Riuscito dal punto di vista del giudizio estetico. – (estensivo) Piacevole, divertente, che riempie di soddisfazione. Lieto, felice (specialmente nel

ricordo).Corretto, misurato, appropriato. Dignitoso, decoroso. Moralmente ammirevole. – Con senso più vicino a “buono”. – L’ oggetto della contemplazione e del godimento estetico, che esprime compiutamene la perfezione

sensibile. Nella filosofia platonica manifestazione del bene. Soprattutto in Kant il manifestarsi della natura considerata come oggetto di esperienza estetica, indipendentemente dalla sua rappresentazione artistica (per esempio un paesaggio).

DISCIPLINA (Dal latino DISCIPLINA, derivato di DISCĔRE “imparare”). – Complesso di regole che regolano la vita di una collettività, specialmente religiosa, scolastica, militare;

l’ osservazione senza riserve di tali norme. – Dominio dei propri istinti, impulsi, desideri perseguiti con sforzo e sacrificio; sottomissione volontaria.

Impegno assiduo, esercizio, pratica costante. ELEGANZA (Dal latino ELEGANTIA, der. di ELĔGANS, “che sa scegliere”).

– Pregevole sceltezza. Raffinatezza o convenienza non facilmente raggiungibile né imitabile. Distinto da uno o più aspetti pregevoli e non facilmente imitabili. Che denota raffinatezza di gusto e di senso estetico, o signorilità e disinvoltura, scevre da ostentazione e vistosità. Che soddisfa e convince per abilità, opportunità, insospettata convenienza.

ESTETICA (Dal latino moderno AESTHETĬCA, femm. sost. del greco AISTHĒTIKÓS “estetico, che concerne la sensazione”). – Settore dell’ indagine filosofica che mira alla definizione e alla classificazione del fenomeno artistico. E.

trascendentale, nella filosofia kantiana, lo studio dei principi a priori dell’ intuizione sensibile. – L’ insieme dei fattori richiesti e accettati dal gusto e dal senso della forma.

MISURA (Dal latino tardo MENSURA “misura”. Derivato da da METIS “misura” (in senso psicologico) che si ritrova identico nel greco MÊTIS “saggezza” e inoltre nell’ area germanica e indiana). – Rapporto fra una grandezza e un’ altra, convenzionalmente scelta come unitaria. (unità di misura).

Numero che esprime l’estensione d’una quantità rispetto all’unità di misura fissata. – Correntemente, l’insieme delle dimensioni di un oggetto.

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– Estensione in lunghezza e circonferenza del corpo umano, o di sue parti. – Atto del misurare. – Strumento usato per misurare. (figurato) Superare i limiti, non meritare più né comprensione né

indulgenza. – (figurato) Valore, capacità, possibilità. Proporzione, quantità. – (figurato) Criterio di valutazione. – Discrezione, moderazione, temperanza. – (figurato) Provvedimento preso per conseguire un dato fine, specialmente per cautelarsi da eventi

pericolosi o dannosi. – In varie locuzioni, proporzione, rapporto. Unità metrica del verso quantitativo. – Nel pugilato e nella scherma, giusta distanza dell’ avversario che permette l’ attacco e la difesa. – (musica) Battuta. Nella notazione, spazio tra due stanghette. Misura binaria, formata da due tempi di

uguale durata, sia semplici, sia composti. Misura ternaria, formata da tre tempi di uguale durata, sia semplici, sia composti.

ORDINE (Dal latino ORDO, -ĬNIS, anticamente “fila, disposizione”, “ordine dei fili nella trama”) – Assetto, disposizione o sistemazione razionale e armonica di qualche cosa nello spazio o nel tempo

secondo esigenze pratiche o ideali. – (militare) Ordinanza, formazione, disposizione di forze. – Complesso, serie o sistema di cose uguali e non, anche figurato. – Ceto, classe. – Associazione di religiosi che pronunciano voti solenni di povertà, castità, obbedienza. – Gruppo sistematico usato nella classificazione degli organismi vegetali o animali e comprendente una

o più famiglie affini. – (figurato) Piano, ambito, settore. Livello, importanza, qualità: di prim’ ordine. – Comando orale o scritto. – Commissione, ordinazione. – Nel cattolicesimo e in altre confessioni cristiane, sacramento che conferisce la grazia e il carattere

sacerdotale. – (matematica) Relazione riflessiva, transitiva e antisimmetrica. PERFEZIONE (Dal latino PERFECTIO, -ONIS, derivato di PERFICĔRE, “compiere, condurre a compimento) – Il grado qualitativo più elevato, tale da escludere qualsiasi difetto e spesso identificabile con l’assoluta

o la massima compiutezza. Compimento, stadio corrispondente al completo sviluppo. – Qualità estremamente rara e notevolmente positiva.

PROPORZIONE (Dal latino PROPORTIO - ONIS “rapporto, analogia”, derivato di PORTIO - ONIS “porzione”, col pref. PRO-). – Rapporto di misura fra elementi che sono, comunque, legati fra di loro. Simmetria, distribuzione

armonica delle varie parti di un tutto o delle parti rispetto al tutto. – (matematica) Relazione tra quattro termini ordinati, stabilita in modo che il rapporto tra i primi due sia

uguale al rapporto tra gli ultimi due. – (musica) Nella tecnica censurale, indicazione del valore delle note mediante frazioni. – (medicina) Dose. – (specialmente al plurale) Dimensione, estensione, grandezza. RITMO (Dal greco RHYTHMÓS, dalla stessa radice indoeuropea di RÉIN “scorrere”). – Successione regolare nel tempo di suoni, accenti, cadenze, movimenti, e sim. anche figurato. – (musica) generalmente Ordine nella successione dei suoni di un brano musicale. Scansione regolare

del tempo nella battuta. Ritmo binario, ternario, costituito da due, tre unità di tempo. – (letteratura) Movimento cadenzato risultante nel ripetersi degli accenti metrici ad intervalli determinati

nella struttura di una poesia. (linguistica) Ricorrenza regolare di elementi prosodici nella catena parlata.

– (figurato) Il succedersi più o meno ordinato di varie fasi all’interno di fenomeni di diversa natura. – (figurato) Il succedersi nello spazio delle forme, linee architettoniche o di motivi ornamentali.

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Racconti IL RE IN ASCOLTO Da “Sotto il sole del giaguaro” di Italo Calvino

Lo scettro va tenuto con la destra, diritto, guai se lo metti giù, e del resto non avresti dove posarlo, accanto al trono non ci sono tavolini o mensole o trespoli dove tenere, che so, un bicchiere, un posacenere un telefono; il trono è isolato, alto su gradini stretti e ripidi, tutto quello che fai cascare rotola e non si trova più. Guai se lo scettro ti sfugge di mano, dovresti alzarti, scendere dal trono per raccoglierlo, nessuno lo può toccare tranne il re ; e non è bello che un re si allunghi al suolo, per raggiungere lo scettro finito sotto un mobile, o la corona, che è facile ti rotoli via dalla testa, se ti chini. L'avambraccio puoi tenerlo appoggiato al bracciolo, così non si stanca: parlo sempre della destra che impugna lo scettro; quanto alla sinistra resta libera; puoi grattarti se vuoi; alle volte il manto di ermellino trasmette un prurito al collo che si propaga giù per la schiena, per tutto il corpo. Anche il velluto del cuscino, scaldandosi, provoca una sensazione irritante alle natiche, alle cosce. Non farti scrupolo di cacciare le dita dove ti prude, di slacciare il cinturone con la fibbia dorata, di scostare il collare, le medaglie, le spalline con le frange. Sei Re, nessuno può trovarci da ridire, ci mancherebbe anche questa. La testa devi tenerla immobile, non dimenticarti che la corona sta in bilico sul tuo cocuzzolo, non la puoi calzare sugli orecchi come un berretto in un giorno di vento; la corona culmina in una cupola più voluminosa della base che la regge, il che vuol dire che ha un equilibrio instabile: se ti capita d'appisolarti, di adagiare il mento sul petto, finirà per ruzzolare giù e andare in pezzi, perché è fragile, specie nelle parti di filigrana d'oro incastonate di brillanti.Quando senti che sta per scivolare devi avere l'accortezza di correggere la sua posizione con piccole scosse del capo, ma devi stare attento a non tirarti su troppo vivamente per non farla urtare contro il baldacchino, che la sfiora coi suoi drappeggi. Insomma, devi mantenere quella compostezza regale che si suppone connaturata alla tua persona. Del resto, che bisogno avresti di darti tanto da fare? Sei re, tutto quello che desideri è già tuo. Basta che alzi un dito e ti portano da mangiare, da bere, gomma da masticare, stuzzicadenti, sigarette di ogni marca, tutto su un vassoio d'argento; quando ti prende il sonno il trono è comodo, imbottito, ti basta socchiudere gli occhi e abbandonarti contro la spalliera, mantenendo in apparenza la posizione di sempre: che tu sia sveglio o addormentato non cambia nulla, nessuno se ne accorge... Insomma tutto è stato predisposto per evitarti qualsiasi spostamento. non avresti nulla da guadagnare, a muoverti, e tutto da perdere. Se t'alzi, se t'allontani anche di pochi passi, se perdi di vista il trono anche per un attimo, chi ti garantisce che quando torni non ci trovi qualcun altro seduto sopra? Magari uno che ti somiglia, uguale identico. Va poi a dimostrare che il re sei tu e non lui! Un re si distingue dal fatto che siede sul trono, che porta la corona e lo scettro. Ora che questi attributi sono tuoi, meglio che non te ne stacchi nemmeno per un istante. C'è il problema di sgranchirti le gambe, d'evitare il formicolio, l'irrigidirsi delle giunture: certo è un grave inconveniente. Ma puoi sempre scalciare, sollevare i ginocchi, rannicchiarti sul trono, sederti alla turca, naturalmente per brevi periodi, quando le questioni di Stato lo permettono. Ogni sera vengono gli incaricati della lavatura dei piedi e ti tolgono gli stivali per un quarto d'ora; alla mattina quelli del servizio deodorante ti strofinano le ascelle con batuffoli di cotone profumato. Insomma, il trono, una volta che sei stato incoronato, ti conviene starci seduto sopra senza muoverti, giorno e notte. Tutta la tua vita di prima non è stata altro che l'attesa di diventare re; ora lo sei; non ti resta che regnare. E cos'è regnare se non quest' altra lunga attesa? L'attesa del momento in cui sarai deposto, in cui dovrai lasciare il trono, lo scettro, la corona, la testa.

Altri suggerimenti bibliografici “COM’ E’ FATTO IL MONDO” - ‘100 fiabe venute da lontano’ di Francesca Lazzarato “CHI È LA PIÚ BELLA?” - IL MITO DELLA SCELTA DI PARIDE “IL FABBRO IMMORTALE. EFESTO e AFRODITE” di G. McCaughrean “EFESTO IL DIO DEL FUOCO DEI VULCANI” di Giusi Quarenghi “IL PROFETA” di Gibran Kahlil Gibran “L’ USIGNOLO DELL’IMPERATORE” di Hans Christian Andersen

“LA STORIA DI UN SARTO” di Clarissa Pinkola Estés

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Il principe Baldassarre Carlo, a cavallo. Velázquez, 1635

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IL BELLO PER ME IL MONDO ROVESCIATO

Cos’é bello per me?

La bellezza ci rende liberi? La bellezza ci rende responsabili?

Dizionario ARBITRIO (Dal latino ARBITRIUM, derivato di greco da ARBĬTER “arbitro”). – Piena facoltà di scelta nel giudicare e nell’ operare da parte del soggetto. Libero arbitrio: possibilità di

fare o non fare qualcosa decidendo liberamente. – Abuso, sopruso. – (arcaico) Potere discrezionale

CAPRICCIO (Da CAPORICCIO, nel significato arcaico di “ribrezzo” o di “bizzarria”). – Voglia o idea stravagante o bizzarra, perseguita, sia pure non a lungo, con ostinazione o

cocciutaggine. – Fatto o fenomeno strano, inatteso e incomprensibile. – Pensiero o invenzione – Componimento musicale strumentale – Composizione pittorica

IDEALE (Dal tardo latino IDEALIS, derivato del greco da IDÉA “aspetto, apparenza”; oppure sul modello del francese IDÉAL). – Che è frutto di un processo di astrazione logica o fantastica. Corrisponde ad un vero o presunto

modello di perfezione assoluta. (estensivo) Conforme ai propri desideri ed esigenze, oppure a un criterio di opportunità e convenienza.

– Quando è limitato al mondo dello spirito o all’ attività del pensiero. LIBERTÁ (Dal latino LIBERTAS, -ATIS, derivato di LIBER “libero”) – Stato di autonomia essenzialmente sentito come diritto, e come tale garantito da una precisa volontà e

coscienza, di ordine morale, sociale, politico. – (genericamente) La costruzione relativa all’ assenza di costrizioni e limitazioni, (estensivo) di impegni o

legami, o anche semplicemente di motivi di ostacolo, impedimento, restrizione, pregiudizio.

SAGGEZZA (Derivato di SAGGIO, dal latino SAPIUM, derivato di SAPĔRE “esser saggio”). – L’ equilibrio nel comportamento e nel consiglio, che è frutto di una matura consapevolezza ed

esperienza delle cose del mondo. VERO (Dal latino VERUS “vero”, nel senso di “meritevole di essere creduto”). – Che possiede in modo totale e in modo incontestabile le caratteristiche proprie del suo essere, della

sua natura e simili. – Effettivo, reale. ― Giusto, esatto, proprio. Figurato: dire le cose come stanno, senza mezzi termini. – Che è pienamente conforme alla realtà oggettiva, che si è effettivamente verificato e sim. (raro)

Veritiero. ― Genuino, autentico. Vero oro. Contrario: falso. – (figurato) Intenso, sincero e profondo. Con tutto il cuore, con la massima sincerità. – (figurato) Preposto o, più raramente, posposto a un sostantivo, e spesso in unione con proprio,

accentua enfaticamente il significato delle parole, precisa l’ambito del concetto espresso o aggrava la portata dell’ affermazione.

– Riferito a persona, specialmente preposto al sostantivo, accentua enfaticamente la quantità positiva o negativa proprio della persona stessa o a lei attribuita.

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Racconti I VESTITI NUOVI DELL’ IMPERATORE di Hans Christian Andersen, Tagli e cuciture di John A. Rowe C’era una volta un imperatore che adorava andare a fare compere e spendeva tutto il suo denaro in vestiti nuovi. Non gli interessavano i balli, il teatro, le passeggiate in carrozza, se non fosse per sfoggiare i suoi splendidi abiti. Non stava mai seduto nella sala del trono, era sempre in giro per negozi. Lo seguiva un lungo corteo di servitori, per portare a palazzo i pacchi di tutti gli acquisti che faceva ogni giorno. La capitale del regno era una bella città e viaggiatori da paesi lontani venivano a visitarla. Un giorno arrivarono due furfanti che raccontavano di essere tessitori e vantavano la bellezza senza uguali dei loro tessuti. Gli abiti cuciti con quella stoffa, dicevano, erano così raffinati e speciali che sciocchi e fannulloni non riuscivano neppure a vederli. “Come vorrei possedere simili abiti!” pensò l’ imperatore entusiasta. “Basterebbe un’ occhiata e saprei subito chi lavora sodo e chi batte la fiacca, distinguerei gli intelligenti dagli sciocchi”. La decisione fu presto presa. L’ imperatore consegnò ai due imbroglioni un sacco di denaro perché cominciassero a tessere. I furfanti montarono subito il loro telaio. Chiesero all’ imperatore la seta più fine e il filo d’ oro più puro, poi li nascosero e cominciarono a tessere l’ aria e nient’ altro, fingendo di lavorare fino a notte fonda. In città non si faceva altro che parlare delle qualità meravigliose di quel tessuto. Tutti erano impazienti di mettere alla prova i vicini e i conoscenti antipatici, per avere conferma che fossero sciocchi o fannulloni. Sempre più curioso, l’ imperatore decise di mandare qualcuno a controllare il lavoro dei tessitori. “Ci andrà il mio servitore più fidato” si disse. “E’ un gran lavoratore e ha cervello da vendere”. Il servitore trovò i due truffatori seduti davanti ai telai vuoti. “Non può essere!” pensò il poverino spalancando gli occhi. “non riesco a vederla la stoffa! Eppure intelligente lo sono dalla nascita. Quanto al lavoro, sudo dalla mattina alla sera per portare a palazzo tutti gli acquisti dell’ imperatore…Non importa, basta che nessuno lo sappia. Acqua in bocca!”. “Cosa ne pensate?” domandò uno dei tessitori, fingendo di interrompere il lavoro. “Oh…di gran classe!” rispose il servitore, stropicciandosi gli occhi. “Avete visto che colori? “ gli fecero notare i due bugiardi, e continuarono a parlare di tinte e di disegni della stoffa. Il servitore non perdeva una sillaba, per poter riferire all’ imperatore, parola per parola. Il sovrano, dal canto suo, non stava più nella pelle dal desiderio di indossare il nuovo abito. L’ imperatore decise di mandare dai tessitori il suo parrucchiere, per chiedere quanto mancasse ancora per completare il lavoro. Ma anche lui non vide assolutamente nulla sul telaio. “Non può essere!” si disse. “Cervello ne ho da vendere e, con tutto il lavoro che mi dà l’ imperatore per acconciarlo all’ ultima moda, come potrei essere un fannullone?. Me ne starò zitto e buono, e nessuno verrà mai a saperlo!”. “Non è un tessuto superbo?” domandarono i furfanti, agitando le mani nel vuoto come per lisciare la stoffa. “Sicuro!” mentì il parrucchiere e, tornato dall’ imperatore, gli ripeté una bugia sull’ altra. In città non si parlava d’ altro, finché l’ imperatore decise di andare a vedere con i propri occhi la stoffa. Quando entrò nel salone, i bricconi si agitavano con grande energia, anche se sui telai non c’era un solo filo. “Santo cielo”, pensò l’ imperatore “non vedo niente! Eppure ho un cervello di prim’ ordine e, quanto a lavorare, con tutto quel correre per negozi non ho un attimo di riposo! Non fa nulla, basta che rimanga un segreto” e, indicando il telaio vuoto, disse con convinzione: “Sono molto soddisfatto”. Tutti spalancarono gli occhi, e, non vedendo nessuna stoffa, fecero del proprio meglio per imitare il loro sovrano: “Superbo! Artistico! Eccellente!”.

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Consigliarono l’ imperatore di farsi cucire con quella stoffa gli abiti per la parata solenne che doveva tenersi di lì a pochi giorni. I tessitori imbroglioni si misero a lavorare notte e giorno, poi presero le forbici, tagliarono e cucirono l’ aria, e infine annunciarono: “Avvertite sua maestà che l’ abito è pronto”. L’ imperatore arrivò con tutto il suo seguito. “Ecco l’ abito” dissero i furfanti. “Vi starà a pennello. E’ leggero come una piuma, vi sembrerà di non avere addosso niente!”. I bricconi finsero di aiutarlo ad aggiustare la cintura in vita e gli sistemarono come si conviene le falde del cappello. L’ imperatore si pavoneggiò a lungo davanti allo specchio. Quando l’ imperatore lasciò il salone, la sua uscita fu salutata da un lungo applauso. Iniziò a sfilare, in testa alla parata, tra due ali di folla. “Guardate com’ è elegante il nostro sovrano! Regale! Divino!” esclamava la gente. Nessuno aveva il coraggio di ammettere di non vedere nessun abito, perché avevano paura di essere considerati sciocchi e sfaticati!. L’ imperatore marciava impettito e fiero come un gallo. Ad un tratto, tra gli applausi e gli elogi si alzò una vocina: “Ehi, l’ imperatore è nudo!” disse ridendo un bambino. “Povero sciocchino!” commentarono quelli che gli stavano intorno. La voce però cominciò a correre, passando rapidamente di bocca in bocca: “L’ imperatore è nudo! Se ne va in giro senza vestiti!”. Il fastidioso mormorio arrivò anche alle orecchie dell’ imperatore, che cominciò a sentirsi a disagio. Sapeva bene che il bambino aveva ragione! Ma era un buon imperatore e continuò a marciare, facendo finta di nulla. Dopo un po’, comunque, la situazione cominciò a sembrargli comica e scoppiò a ridere. Il riso finì per contagiare la folla e ben presto tutta la città rideva insieme a lui, applaudendolo più che mai. L’ imperatore fece un inchino, fingendo di togliersi il cappello inesistente. Dichiarò quella giornata festa nazionale e, da allora, fu una delle ricorrenze più importanti e amate: La Festa dell’ Imperatore Nudo. Altri suggerimenti bibliografici

“LA TEIERA da “Fiabe” di Hans Christian Andersen “IL MITO DI ECO E NARCISO” “IL MITO DI PIGMALIONE” “SONO IO IL PIÚ BELLO” di Mario Ramos “CHI FA L’UOVO PIÚ BELLO?” di Burny Bos e Hans de Beer “IL PAESE CON L’ ESSE DAVANTI” di Gianni Rodari “BERTOLDO, BERTOLDINO E CACASENNO” di Giulio Cesare Croce “BRUTTEZZA E SAGGEZZA” di Francesca Lazzarato “ENRICHETTO DAL CIUFFO” di Charles Perrault “LO SPECCHIO CURVO (RACCONTO DI NATALE)” di Anton Cechov “INCANTI” di Silvia Roncaglia “L’ UOMO CHE SCAMBIÓ SUA MOGLIE PER UN CAPPELLO” di Oliver Sacks “AUGUSTUS” di Hermann Hesse “IL PICCOLO PRINCIPE” di Antoine de Saint - Exupéry “ALICE NEL MONDO DELLO SPECCHIO” di Lewis Carroll

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Particolare della Sala grande dei cavalli. Palazzo Te di Mantova, Giulio Romano, 1524 - 35 Dipinti di Rinaldo Mantovano

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SCOPRIRE E COSTRUIRE IL BELLO UN MONDO NUOVO

Come posso imparare a riconoscere le cose belle?

Posso diventare un costruttore di bellezza?

Dizionario COSTRUIRE (Dal latino CONTRUĔRE, derivato di STRUĔRE “ammassare, costruire” col prefisso CON - ) – Riferito a opere edilizie, fabbricare, edificare, realizzare mediante l’unione o il collegamento di elementi

convenientemente disposti. – (figurato) Mettere insieme, comporre, creare, inventare, fondare. CUSTODIRE (Dal latino CUSTODIRE, derivato di CUSTOS, - ODIS “custode”) – Sorvegliare, vigilare qualcosa con attenzione e con cura, in modo che non subisca danni o si conservi

intatto. – Avere cura, accudire, preservare dai pericoli, conservare, tenere. PERCEPIRE (Dal latino PERCIPĔRE, comp. di PERE CAPĔRE “prendere”) – Chi può cogliere nell’ ambito delle normali possibilità dell’ esperienza sensibile, avvertibile,

distinguibile, percepibile (spesso in frasi negative o limitative) SCOPRIRE (Derivato di COPRIRE, con S - sottrattivi) – Privare qualcosa di ciò che lo ricopre o lo chiude, scoperchiare. – Liberare, rendere visibile. Mostrare togliendo ciò che lo nasconde. – Rendere evidente e manifesto qualcosa di segreto. Palesare, rivelare. – Capire, comprendere per la prima volta qualcosa, specialmente di se stessi. – Rilevare in qualcuno qualità prima ignorate.

SENTIMENTO (Derivato di SENTIRE) – Momento della vita interiore pertinente al mondo degli affetti e delle emozioni. – L’ affettività, in quanto contrapposta all’ intelletto o alla ragione. Calore, sensibilità. – La facoltà di compiere determinati atti o di averne coscienza o il controllo. – (arcaico) Senso. SENTIRE (Dal latino SENTIRE) – Provare una determinata sensazione fisica provocata da una condizione interna o da stimoli esterni,

avvertire. – Percepire attraverso il gusto. – Provocare qualcosa che si percepisce con i sensi, specialmente per testarne le caratteristiche o per

dare un giudizio. – Percepire con l’udito, udire. – Ascoltare qualcosa, prestando attenzione. – Essere in grado di apprezzare e ammirare qualcosa dal punto di vista intellettuale ed estetico. VEDERE (Dal latino VIDĒRE) – Percepire con gli occhi, cogliere con le facoltà della vista. – (estensivo) Guardare con attenzione, osservare.

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Racconti TITANIO da “Tutti i racconti” di Primo Levi

In cucina c’era un uomo molto alto, vestito in un modo che Maria non aveva mai visto prima. Aveva in testa una barchetta fatta con un giornale, fumava la pipa e dipingeva l’ armadio di bianco. Era incomprensibile come tutto quel bianco potesse stare in una scatoletta così piccola, e Maria moriva dal desiderio di andare a guardarci dentro. L’ uomo ogni tanto posava la pipa sull’ armadio stesso, e fischiava; poi smetteva di fischiare e cominciava a cantare; ogni tanto faceva due passi indietro e chiudeva un occhio, e andava anche qualche volta a sputare nella pattumiera e poi si strofinava la bocca col rovescio della mano. Faceva insomma tante cose così strane e nuove che era interessantissimo starlo a guardare: e quando l’ armadio fu bianco, raccolse la scatola e molti giornali che erano per terra e portò tutto accanto alla credenza e incominciò a dipingere anche quella. L’ armadio era così lucido, pulito e bianco che era quasi indispensabile toccarlo. Maria si avvicinò all’ armadio, ma l’ uomo se ne accorse e disse: - Non toccare. Non devi toccare. Maria si arrestò interdetta e chiese: - Perché? al che l’uomo rispose: - Perché non bisogna. Maria ci pensò sopra, poi chiese ancora: - Perché è così bianco? - Anche l’ uomo pensò un poco, come se la domanda gli sembrasse difficile, e poi disse con voce profonda: - perché è titanio. Maria si sentì percorrere da un delizioso brivido di paura, come quando nele fiabe arriva l’ orco, guardò con attenzione, e constatò che l’ uomo non aveva coltelli, né in mano né intorno a sé: poteva però averne uno nascosto. Allora domandò: - Mi tagli che cosa? - e a questo punto avrebbe dovuto rispondere: “Ti taglio la lingua”. Invece disse soltanto: - Non ti taglio, titanio. In conclusione, doveva essere un uomo molto potente: tuttavia non pareva in collera, anzi piuttosto buono e amichevole, Maria gli chiese: _ Signore, come ti chiami? Lui rispose: - Mi chiamo Felice - ; non si era tolto la pipa di bocca, e quando parlava la pipa ballava su e giù eppure non cadeva. Maria stette un po’ di tempo in silenzio, guardando alternativamente l’ uomo e l’ armadio. Non era per nulla soddisfatta di quella risposta ed avrebbe voluto domandare perché si chiamava Felice, ma poi non osò, perché si ricordava che i bambini non devono mai chiedere perché. La sua amica Alice si chiamava Alice ed era una bambina, ed era veramente strano che si potesse chiamare Felice un uomo grande come quello. Ma a poco a poco incominciò invece a sembrarle naturale che quell’ uomo si chiamasse Felice, e le parve anzi che non avrebbe potuto chiamarsi in nessun altro modo. L’ armadio dipinto era talmente bianco che in confronto tutto il resto della cucina sembrava giallo e sporco. Maria giudicò che non ci fosse nulla di male nell’ andarlo a vedere da vicino: solo vedere senza toccare. Ma mentre si avvicinava in punta di piedi avvenne un fatto imprevisto e terribile: l’ uomo si voltò, con due passi le fu vicino; trasse di tasca un gesso bianco, e disegnò sul pavimento un cerchio intorno a Maria. Poi disse: - Non devi uscire di lì dentro. - Dopo di che strofinò un fiammifero accese la pipa facendo colla bocca molte smorfie strane, e si rimise a verniciare la credenza. Maria sedette sui calcagni e considerò a lungo il cerchio con attenzione: ma dovette convincersi che non c’era nessuna uscita. Provò a fregarlo in un punto con un dito, e constatò che realmente la traccia di gesso spariva; ma si rendeva benissimo conto che l’ uomo non avrebbe ritenuto valido quel sistema. Il cerchio era palesemente magico. Maria sedette per terra zitta e tranquilla; ogni tanto provava a spingersi fino a toccare il cerchio con la punta dei piedi e si sporgeva in avanti fino quasi a perdere l’ equilibrio, ma vide ben presto che mancava ancora un buon palmo a che potesse raggiungere l’ armadio o la parete con le dita. Allora stette a contemplare come a poco a poco anche la credenza, le sedie e il tavolo diventavano belli e bianchi. Dopo moltissimo tempo l’ uomo ripose il pennello e lo scatolino e si tolse la barchetta di giornale dal capo, ed allora si vide che aveva i capelli come tutti gli altri uomini. Poi uscì dalla parte del balcone, e Maria lo udì tramestare e camminare su e giù nella stanza accanto. Maria cominciò a chiamare: - Signore! - dapprima sottovoce, poi più forte, ma non troppo, perché in fondo aveva paura che l’ uomo sentisse. Finalmente l’ uomo ritornò in cucina. Maria chiese: - Signore, adesso posso uscire? - L’ uomo guardò in giù a Maria e al cerchio, rise forte e disse molte cose che non si capivano, ma non pareva che fosse arrabbiato. Infine disse: - Sì, si capisce, adesso puoi uscire -. Maria lo guardava perplessa e non si muoveva: allora l’ uomo prese uno straccio e cancellò il cerchio ben bene, per disfare l’ incantesimo. Quando il cerchio fu sparito Maria si alzò e se ne andò saltellando, e si sentiva molto contenta e soddisfatta.

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Altri suggerimenti bibliografici “LA FAVOLA DI AMORE E PSICHE” di Lucio Apuleio “IL FABBRICANTE DI SPECCHI” di Primo Levi “CHE BELLO” di Philippe Delerm

“ELOGIO ALLA BRUTTEZZA” di Loredana Frescura “LA SAGGEZZA E LA PAZIENZA” di Jihad Darwiche

“LA BELLEZZA DEL RE” di Henriete Bichonnier “IL PRINCIPE CIECO” di Gianni Rodari “FIABA GIACINTO E FIORELLIN DI ROSA” - Novalis “IL PRINCIPE RANOCCHIO o ENRICO DI FERRO” di Jacob e Wilhelm Grimm “LE CITTÁ INVISIBILI” di Italo Calvino “L’ ARTE DI VEDERE” di Aldous Huxley “LA STRADA” di Cormac Mc Carthy

La cavallerizza. Marc Chagall, 1931

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Bibliografia

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- Apuleio Lucio, La favola di Amore e Psiche - Arena Leonardo Vittorio (a cura di), Il canto del derviscio. Parabole della sapienza sufi, Milano,

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MATERIALE DIDATTICO e DO CUMENTAZIONE

a cura di Monica Delmonte

Il Progetto Favole Filosofiche è un progetto di e c on

Alessandro Pisci e Pasquale Buonarota