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1 Arte e memoria 1 NOËL CARROLL L'alto modernismo e l'estetica che vi si è collegata hanno sottratto all'arte il suo compito rievocativo ed educativo. Ma questo compito va ripristinato: è l'opinione di uno dei più interessanti e recenti filosofi analitici dell'arte. Noël Carroll insegna attualmente presso la City University of New York e rappresenta una delle figure di maggior rilievo nel campo della filosofia dell’arte. Il suo lavoro si muove all’intern o dell’approccio analitico, riflettendo sulle pratiche artistiche per individuare i concetti che le caratterizzano e ne contraddistinguono l’operatività. Lungo questa direttrice ha spesso problematizzato la resistenza della filosofia dell’arte nei confront i, per esempio, delle scienze cognitive o della psicologia evoluzionista; diffidenza o aperta ostilità che ha condotto molti studiosi a tematizzare il fenomeno artistico esclusivamente in termini culturali. Dal suo angolo prospettico, invece, è necessario integrare approcci provenienti da discipline diverse, mostrando come l’uno possa innervare gli altri: per Carroll, l’arte possiede un carattere universale e rappresenta un plesso che risponde a esigenze e compiti differenti, “l’arte è parte del tessuto delle nostre vite e può essere inteso solo quando è visto nell’interezza del suo contesto sociale, culturale e biologico”. Questa ipotesi è sostanziata, innanzitutto, attraverso due gesti critici, di distanziamento: da un lato, scinde il legame tra arte ed estetica, ovvero insiste sulla storicità di una disciplina (sull'idea di uno sguardo “disinteressato”, e di un modello esplicativo formalista) definitasi solo a partire dalla fine del diciottesimo secolo sulla scorta dell’interpretazione della Critica del Giudizio di Kant; dall’altro, ritiene sia necessario allargare la definizione di arte a prodotti diversificati della cultura materiale e non avulsi dall’esperienza quotidiana (si prendano in considerazione, per esempio, i lavori di Carroll sul cinema e su un genere come l’horror considerato per lunga tradizione minore). Questo doppio movimento, a suo avviso, permette di non ipostatizzare il concetto di arte e di non schiacciarlo in una posizione di isolamento: ciò non implica che ogni forma d’arte sia transculturale, ma che esistono caratteristiche, modelli, e compiti che ricorrono nelle varie culture e nelle varie epoche come risposta immediata rispetto alla funzione decorativa, rappresentativa, emotiva e simbolica di certi oggetti. È in questo senso che torna ad affiorare la necessità di analizzare la relazione tra etica e arte, tra l'arte e la sua funziona sociale. Tra i testi di Carroll pubblicati nel corso degli anni si segnalano The Philosophy of Horror, or Paradoxes of the Heart (1990), The Philosophy of Motion Pictures (2007), On Criticism (Thinking in Action) (2008) [Diego Ferrante e Marco Piasentier]. Senza ombra di dubbio, le discussioni su come commemorare gli eventi dell’11 settembre evidenziano la necessità di analizzare con scrupolo la questione dell’arte memoriale quelle statue di eroi dimenticati che marciscono nei parchi pubblici e nelle piazze . Forse questa noncuranza non è evidente in nessun altro campo di indagine come nella filosofia dell’arte, poiché l’arte memoriale è progettata espressamente per svolgere una funzione culturale, mentre nell’estetica moderna permane una forte 1 La traduzione è riferita a “Art and Recollection”,The Journal of Aesthetic Education, Volume 39, Number 2, Summer 2005: pp. 1-12.

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Arte e memoria1

NOËL CARROLL

L'alto modernismo e l'estetica che vi si è collegata hanno sottratto all'arte il suo compito

rievocativo ed educativo. Ma questo compito va ripristinato: è l'opinione di uno dei più

interessanti e recenti filosofi analitici dell'arte.

Noël Carroll insegna attualmente presso la City University of New York e rappresenta una delle

figure di maggior rilievo nel campo della filosofia dell’arte. Il suo lavoro si muove all’interno

dell’approccio analitico, riflettendo sulle pratiche artistiche per individuare i concetti che le

caratterizzano e ne contraddistinguono l’operatività. Lungo questa direttrice ha spesso

problematizzato la resistenza della filosofia dell’arte nei confronti, per esempio, delle scienze

cognitive o della psicologia evoluzionista; diffidenza o aperta ostilità che ha condotto molti

studiosi a tematizzare il fenomeno artistico esclusivamente in termini culturali. Dal suo angolo

prospettico, invece, è necessario integrare approcci provenienti da discipline diverse,

mostrando come l’uno possa innervare gli altri: per Carroll, l’arte possiede un carattere

universale e rappresenta un plesso che risponde a esigenze e compiti differenti, “l’arte è parte

del tessuto delle nostre vite e può essere inteso solo quando è visto nell’interezza del suo

contesto sociale, culturale e biologico”. Questa ipotesi è sostanziata, innanzitutto, attraverso

due gesti critici, di distanziamento: da un lato, scinde il legame tra arte ed estetica, ovvero

insiste sulla storicità di una disciplina (sull'idea di uno sguardo “disinteressato”, e di un modello

esplicativo formalista) definitasi solo a partire dalla fine del diciottesimo secolo sulla scorta

dell’interpretazione della Critica del Giudizio di Kant; dall’altro, ritiene sia necessario allargare la

definizione di arte a prodotti diversificati della cultura materiale e non avulsi dall’esperienza

quotidiana (si prendano in considerazione, per esempio, i lavori di Carroll sul cinema e su un

genere come l’horror considerato per lunga tradizione minore). Questo doppio movimento, a

suo avviso, permette di non ipostatizzare il concetto di arte e di non schiacciarlo in una

posizione di isolamento: ciò non implica che ogni forma d’arte sia transculturale, ma che

esistono caratteristiche, modelli, e compiti che ricorrono nelle varie culture e nelle varie epoche

come risposta immediata rispetto alla funzione decorativa, rappresentativa, emotiva e simbolica

di certi oggetti. È in questo senso che torna ad affiorare la necessità di analizzare la relazione

tra etica e arte, tra l'arte e la sua funziona sociale. Tra i testi di Carroll pubblicati nel corso degli

anni si segnalano The Philosophy of Horror, or Paradoxes of the Heart (1990), The Philosophy

of Motion Pictures (2007), On Criticism (Thinking in Action) (2008) [Diego Ferrante e Marco

Piasentier].

Senza ombra di dubbio, le discussioni su come commemorare gli eventi dell’11

settembre evidenziano la necessità di analizzare con scrupolo la questione dell’arte

memoriale – quelle statue di eroi dimenticati che marciscono nei parchi pubblici e nelle

piazze –. Forse questa noncuranza non è evidente in nessun altro campo di indagine

come nella filosofia dell’arte, poiché l’arte memoriale è progettata espressamente per

svolgere una funzione culturale, mentre nell’estetica moderna permane una forte

1 �

La traduzione è riferita a “Art and Recollection”,The Journal of Aesthetic Education, Volume 39, Number 2, Summer 2005: pp. 1-12.

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tendenza a negare il titolo di arte in senso proprio a quei lavori realizzati per finalità

sociali. Tale arte non rientra nelle categorie di buona parte degli esperti di estetica.

La causa di questo mancato riconoscimento va imputato alla teoria estetica dell’arte

che, semplificando in modo approssimativo, ritiene che un’opera d’arte sia tale solo se

fornisce o è progettata con l’intenzione di fornire esperienze apprezzabili di per sé, per

il loro valore intrinseco.2 La teoria estetica dell’arte potrebbe essere identificata con

una riflessione filosofica di quell’ala del modernismo chiamata estetismo. Nel

diciannovesimo e nel ventesimo secolo, è così che va la storia, gli artisti tentarono di

opporsi all’assimilazione di ogni valore a quello utilitario o di funzione, in modo

particolare a quello di mercato, tentando di realizzare opere che non avessero altro

valore se non quello offerto dalla contemplazione del lavoro stesso, separato da

qualsiasi utilità o utilizzo e, quindi, dalla funzione sociale che i lavori avrebbero potuto

svolgere.3

I filosofi, quindi, come la civetta di Minerva, hanno spiegato le loro ali su questa

tendenza artistica, difendendola con argomentazioni formidabili, fino a renderla una dei

preconcetti più radicati nella filosofia dell’arte – o, quanto meno, l’assunzione standard

di una gran parte di chi pratica detta filosofia. Forse, alcune prove di questo pregiudizio

persistente, quasi automatico o inconscio, andrebbero rintracciate nelle denominazioni

delle società accademiche del mondo anglofono specializzate nella filosofia dell’arte,

nomi quali quelli di American Society for Aesthetics, British Society for Aesthetics e

così via.

D’altronde, se l’arte propriamente detta è tale per l’esperienza estetica che fornisce –

esperienza di un valore intrinseco, slegato da una sua utilità sociale – cosa ne resta

dell’arte memoriale, quella tipologia d’arte dedita prima di tutto ad assolvere funzioni

sociali, arte che non sarebbe tale se fosse valutata prima di tutto ed esclusivamente

per il valore intrinseco dell’esperienza offerta? Rimarrebbe fuori dalla mappa teoretica

della filosofia dell’arte, a meno che il filosofo non sia pronto a sostenere, contro la

realtà dei fatti, che tali opere, in opposizione alle convinzioni di coloro che sono loro più

vicini, fossero state intraprese dall’inizio con l’obiettivo principale di fornire

un’esperienza estetica, nonostante possa apparire diversamente.

Senza dubbio, il filosofo potrebbe anche negare che tale opera sia arte, relegandola

alla categoria del kitsch. Un’osservazione probabilmente parallela al disagio del filosofo

di fronte all’arte memoriale è che l’alto modernismo, di cui sostengo che la teoria

estetica dell’arte sia un riflesso, per buona parte, non è riuscito storicamente a produrre

arte di questo tipo degna di nota, con il Vietnam Memorial tra le poche eccezioni a

questa generalizzazione. In sostanza, sia l’alto modernismo e sia la teoria estetica

dell’arte sembrano costitutivamente inospitali nei confronti dell’arte commemorativa.

Certo, rimuovere l’arte memoriale dall’ordine delle muse comporta un costo teoretico

potenzialmente molto alto, dato che molte opere hanno avuto per tradizione una

2 �

Per una presentazione rappresentativa di questa visione, si veda Monroe Beardsley, “An Aesthetic Definition of Art” in What Is Art?, Hugh Curtler (a cura di), New York, Haven Press, 1983. 3 �

Per le obiezioni filosofiche alla teoria estetica dell’arte, si veda Noël Carroll, Philosophy of Art: A Contemporary Introduction, Londra, Routledge, 1999, Capitolo 4.

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funzione memoriale o, almeno, una dimensione commemorativa significativa.4 A

questo riguardo, si sarebbe tentati di affermare che gran parte dell’arte tradizionale ha

considerato la dimensione memoriale tra i suoi obiettivi essenziali, benché io non

ritenga che questa asserzione così netta debba necessariamente esser vera per

validare la mia tesi. È sufficiente che una larga scala dell’arte tradizionale sia

memoriale affinché la mia argomentazione possa procedere. E ciò è innegabile.

L’Iliade e il Mahabharata, tra gli esempi sconfinati offerti dalla letteratura epica,

commemorano le battaglie fondative dei loro rispettivi popoli. La raffigurazione della

crocifissione di Cristo, il tema di un numero indefinito di quadri e sculture cristiane, è

fondamentalmente commemorativa nel suo proposito, così come le cattedrali, le

chiese, e i monasteri, in cui sono ospitate molte di queste rappresentazioni, spesso

derivando il loro nome dai santi o dalle vicende sacre nella cui memoria sono stati

eretti. Mentre passeggiamo tra le chiese e i templi europei e asiatici nei nostri tour

estivi della grande arte mondiale, buona parte delle opere che osserviamo è di natura

memoriale. Ma la religione non ha un’esclusiva sui monumenti commemorativi. La

politica adorna con frequenza rimarcabile le pareti o le mura di musei e edifici pubblici,

oltre a popolare in lungo e largo viali e piazze, con rappresentazioni di grandi leader,

legislatori, generali, padri fondatori, battaglie più o meno importanti, giuramenti e altri

avvenimenti storici. La cosa non desta sorprese, dato che la Chiesa e lo Stato sono

stati a lungo i sostenitori e i mecenati principali dell’arte.

La poesia possiede diversi generi che si soffermano sul ricordo o la memoria:

l’epitaffio, l’elegia, e, per un certo grado, l’eulogia. Ugualmente, molti romanzi del

periodo moderno rievocano o ricordano le guerre passate. Per quanto riguarda il

cinema, l’ex Unione Sovietica commissionò La fine di San Pietroburgo di Pudovkin e

Ottobre di Ėjzenštejn per celebrare la rivoluzione del 1917, mentre La corazzata

Potëmkin era un monumento in celluloide alla rivoluzione del 1905. In più, anche molta

musica ha un carattere memoriale. È ovviamente il caso della musica composta per

ricordare occasioni particolari, come matrimoni e funerali reali, oppure di quella che

accompagna i riti religiosi, come la Passione; ma esiste altresì una musica che celebra

avvenimenti storici, come la Messa dell’incoronazione di Mozart, la Messa ungherese

per l’incoronazione di Liszt, e l’Overture 1812 di Tchaikovsky. Anche i ritratti dei

cittadini più agiati furono commissionati per essere trasmessi e, quindi, per la posterità.

In breve, è difficile negare che buona parte dell’arte, soprattutto di quella tradizionale,

sia di natura memoriale, che sia stata pensata essenzialmente per ricordare il passato

per propositi più vari, ovvero, propositi ulteriori dal generare esperienze estetiche con

un valore intrinseco.

Cosa se ne fa un teorico estetico dell’arte di questo dato di fatto “monumentale”? Può

stringere i denti e ribattere che gli esempi presi in considerazione non sono arte, ma

ciò renderebbe la teoria sospetta agli occhi dei più. Perdere l’Eneide, la Nike di

Samotracia, l’Arazzo di Bayeux, e l’Arco di Trionfo tra le fila delle opere d’arte

rappresenta un prezzo troppo alto per qualsiasi teoria. In alternativa, il teorico

dell’estetica può sostenere che, sebbene i lavori in questione appaiano mirare

innanzitutto a soddisfare una funzione sociale, le cose non stanno davvero così. Gli

4 �

Nicholas Wolterstroff, “Why Analytic Philosophy of Art Cannot Handle Kissing, Touching, and Crying”, The Journal of Aesthetic and Art Criticism 61, n.1 (Inverno 2003), pp. 17-28.

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artisti si limitavano a cogliere le opportunità offerte loro dalla Chiesa e altri mecenati

per produrre opere intese per indurre esperienze estetiche, benché fingessero di

assolvere un compito differente – glorificare il sacrificio di Cristo, le opere di bene del

re, o il coraggio di un semplice soldato –.

Non solo questa ipotesi appare fin troppo cinica, ma è difficile possa essere

empiricamente realizzata. Il resoconto storico farebbe emergere come molti degli artisti

più importanti intendessero prima di tutto glorificare Dio, e resterebbero sconcertati al

pensiero che i loro lavori fossero presi come meri pretesti per produrre un’esperienza

estetica.

D’altra parte, i teorici dell’ipotesi estetica potrebbero ritenere che quanto scritto

poc’anzi porti a fraintendere cosa si debba intendere con esperienza estetica in sé. Ciò

non va pensata esclusivamente come risposta dell’immaginazione alle forme di

un’opera d’arte. Piuttosto, se l’esperienza dell’amore di Cristo, generata dall’opera

d’arte, è apprezzata per il suo valore intrinseco, allora si tratta di un’esperienza

estetica. A ogni modo, ho il sentore che questa soluzione possa risultare equivoca,

dato che la nozione di esperienza estetica – come esperienza apprezzata di per sé – fu

introdotta tradizionalmente per segnalare un contrasto con l’utilità sociale o religiosa di

un’opera. Sostenere che questa funzione, o l’esperienza di essa, possa essere

valutata e apprezzata da sé, separatamente dal resto, fa svanire il contrasto. Di

conseguenza, può apparire che i teorici dell’estetica abbiano posto rimedio ai danni

inflitti dai miei esempi, ma al costo di aver rinunciato al punto caratterizzante della loro

teoria.

Bisogna ammettere, a questo punto, che i teorici estetici dell’arte, le cui fila oggigiorno

sono in aumento,5 possano sentirsi un po’ esasperati da quanto ho sostenuto, avendo

abbozzato un ritratto caricaturale. Potrebbero eccepire che la teoria estetica che ho

iniziato a martellare appartiene al passato. Il teorico estetico contemporaneo è ben

consapevole di queste obiezioni e, si potrebbe sostenere, ha corazzato la sua teoria

per difendersene. Alcuni tra loro, come Alan Goldman6 e Malcom Budd,

7 potrebbero

replicare che il loro obiettivo non è di definire cosa sia l’arte. Si occupano solo di ciò

che è apprezzabile nella grande arte o di ciò che ha un valore artistico in senso

proprio. Ovvero, ritengono che prestare attenzione alla produzione di esperienze in sé

rilevanti non porti a rintracciare ciò che siamo disposti a chiamare “arte”, né ad

individuare tutti gli aspetti che consentono di apprezzare un’opera d’arte in maniera

appropriata, anche se non per il suo valore artistico. Questa risposta, comunque, invita

solo a ricalibrare alcune delle obiezioni precedenti. Senza dubbio, parte dell’arte

memoriale è di alto valore, infatti possiede del pregio artistico, esattamente perché

adempie così bene le funzioni sociali per cui è stata intesa.

5 �

Per esempio, James C. Anderson, “Aesthetic Concepts of Art”, in Theories of Art Today, Noël Carroll (a cura di), Madison, University of Wisconsis Press, 2000; Nick Zangwill, The Metaphysics of Beauty, Ithaca, Cornell University Press, 2001; Gary Iseminger, “The Aesthetic Function of Art”, in The Proceedings of the Twentieth World Congress of Philosophy: Philosophues of Religion, Art, and Creativity, Kevin L. Stoehr (a cura di), Bowling Green, Philosophy Documentation Center, 1999. 6 �

Alan Goldman, Aesthetic Value, Boulder, Westriew, 1995. 7 �

Malcolm Budd, Values of Art, Allen Lane, The Penguin Press, 1995.

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Gray Iseminger propone un’altra risposta sofisticata.8 A suo avviso, l’arte è estetica,

espressione con cui intende che la funzione dell’arte, presumibilmente in quanto arte, è

quella di offrire ciò che chiama transazioni estetiche.9 Le transazioni estetiche

appaiono grossomodo equivalenti a ciò che si indica tradizionalmente con esperienze

estetiche, esperienze che possiedono un loro valore intrinseco, che si ritengono

intrinsecamente buone. L’arte può avere altre funzioni, ma la sua funzione in quanto

arte è di promuovere un’esperienza estetica. In questo senso, l’arte è essenzialmente

estetica. Sebbene Iseminger non si spinga fino a questo punto, pare conseguirne che

ciò che non possiede questa facoltà non opera come arte.

Iseminger avanza due considerazioni a favore delle tesi per cui l’arte è

fondamentalmente estetica: fornire transazioni estetiche è ciò che l’arte fa meglio di

qualsiasi altra pratica, e fornire transazioni estetiche è ciò che l’arte fa meglio tra tutte

le sue attività. Tali premesse, quindi, incoraggiano Iseminger, sulle orme del Principio

dell’ermeneutica degli artefatti di Dennett, a inferire che l’arte è destinata a produrre

transazioni estetiche.10

Nessuna di queste affermazioni mi sembra decisiva. Rimane indecidibile se sia la

pratica artistica o la natura in quanto tale a offrire le esperienze estetiche più

apprezzabili. Iseminger cerca di fare i conti con la questione affermando che la natura,

nella misura in cui manca di un artefice, non produce un’esperienza estetica completa

come quella offerta dall’arte. Ciononostante, non sono convinto che l’apprezzamento

delle capacità di un artista sia ciò che la tradizione considera solitamente

un’esperienza estetica. Da un lato, ciò sarebbe stato rifiutato da teorici dell’estetica

come Monroe Beardsley, preoccupato della fallacia genetica, e, dall’altro, sembrerebbe

configurarsi un modo corretto di considerare il contributo dell’artista valutabile da un

punto di vista meramente strumentale, per la capacità di produrre nel pubblico le

conseguenti esperienze estetiche.

In ogni caso, è la seconda asserzione di Iseminger ad assumere un rilievo maggiore

per la questione dell’arte memoriale – ovvero, che fra tutte le cose che l’arte produce,

ciò che fa meglio è fornire transazioni estetiche –. In realtà, Iseminger oscilla tra

posizioni più forti e altre più deboli. Talvolta sostiene che l’arte riesca abbastanza bene

a fornire transazioni estetiche; altre volte, invece, afferma che è ciò che fa meglio o che

fa meglio oggigiorno. La più debole tra le due posizioni non concerne lo statuto artistico

dell’arte memoriale, poiché non esclude che l’arte in quanto tale realizzi con successo

obiettivi svariati e abbia funzioni diversificate – senza scartare sia la memorializzazione

sia il favorire transazioni estetiche. E su questo punto non penso ci sia spazio per

obiezioni.11

8 �

Gary Iseminger, “The Aesthetic Function of Art”, in The Proceedings of the Twentieth World Congress of Philosophy: Philosophues of Religion, Art, and Creativity, Bowling Green, Philosophy Documentation Center, 1999, pp. 169-76. 9 �

Questa terminologia è contenuta in una lettera spedita il 5 Settembre 2002 all’autore da Iseminger. 10 �

Iseminger, “The Aesthetic Function of Art”. 11

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La rivendicazione più ambiziosa, invece, pone le basi per la conclusione di Iseminger

per cui l’arte in quanto tale è destinata a fornire transazioni estetiche ed è, per questa

ragione, essenzialmente estetica. Posto che ex hypothesi, tra tutte le funzioni che l’arte

ha (o svolge oggigiorno), fornire un’esperienza estetica è ciò che fa meglio, si suppone

sia legittimo inferire che sia questa la funzione dell’arte qua arte, ovvero, l’arte

interpretata come naturale. Sebbene il ragionamento induttivo lasci spazi alla disputa,

non starò qui a sollevare cavilli. Piuttosto, vorrei focalizzarmi sulla sua premessa,

ovvero, che fornire un’esperienza estetica è, tra le sue funzioni, ciò che l’arte fa meglio.

Poiché mi sembra che le funzioni svolte dall’arte memoriale quanto meno rivaleggino e

verosimilmente oltrepassino la sua funzione estetica.

Per sostanziare questa tesi, comunque, è necessario aggiungere qualcosa a quanto

già detto. L’arte memoriale, certo, ha funzioni differenti. Ma una funzione pubblica

dell’arte memoriale è commemorare il passato per il presente – richiamare alla

memoria eventi e persone esemplari e tratteggiare il significato che hanno per la

cultura attuale, contribuendo, quindi, alla definizione dell’identità culturale e indicando

la direzione in cui la cultura dovrebbe procedere. L’arte memoriale trasmette l’ethos di

una cultura. Onora chi è scomparso, sottolineandone le virtù, e invita a seguirne

l’esempio. L’encomio che rivolge è inteso a incoraggiare le generazioni future.12

L’arte memoriale è una chiave importante per la continua ricostruzione dell’ordine

sociale. Ricorda alle generazioni presenti il loro passato e le virtù e i valori che le

hanno rese quello che sono, le incoraggia a persistere nella stessa direzione. L’arte in

generale, in questo senso – e l’arte memoriale ne è un primo esempio –, è

fondamentale per la riproduzione della cultura e della società. Educa le generazioni

future all’ethos della loro cultura, al suo insieme di convinzioni e valori. Omero ha avuto

questo ruolo, ed è il motivo per cui era chiamato l’educatore dei Greci.

Inoltre, l’arte, tra cui l’arte memoriale, svolge eccezionalmente bene questa funzione

sociale. Rivolgendosi simultaneamente, spesso piacevolmente – ma non sempre –,

alla percezione, all’immaginazione, alla memoria, alle emozioni e alla facoltà cognitiva

con immagini concrete – ovvero, coinvolgendo allo stesso tempo così tante funzioni di

una persona – imprime profondamente l’ethos della cultura nei riceventi, quando

appropriatamente predisposti. Combinando senso e sentimento, sensazione e

informazione, l’arte rende accessibile l’ethos della cultura ai suoi cittadini, ed essendo

codificato attraverso più facoltà la memoria potrà ritrovarlo perfettamente. Rende i

valori percepibili o, nel caso della letteratura, li descrive in immagini evocative, forti,

che restano fisse nella mente.

Non è scontato che altre pratiche trasmettano l’ethos di una cultura con la stessa

efficacia. L’arte è chiaramente avvantaggiata in questo aspetto, perché non si rivolge

alla cognizione soltanto con informazioni astratte, ma raggiunge il suo pubblico tramite

i sensi, i sentimenti, includendo di frequente sensazioni di piacere, le emozioni, la

percezione, la memoria, e l’immaginazione. Dunque, l’ethos che trasmette è impresso

Quanto meno se analizzi le esperienze estetiche come faccio io. Si veda Noël Carroll, “Aesthetic Experience Revisited”, British Journal of Aesthetics (Aprile 2002), pp. 145-68. 12 �

Certamente, parte dell’arte memoriale, come i memoriali dell’Olocausto, possono avere l’obiettivo di ricordare agli osservatori di episodi storici significativi ma dolorosi, e di ricordar loro le depravazioni che gli hanno dato origine e la necessità di combatterle. Forse non è necessario aggiungere, scoraggiando questi orrori è, a sua volta, parte essenziale del processo di inculturazione.

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in modo ridondante all’interno di diverse dimensioni dei suoi riceventi, accrescendo in

tal modo le capacità di accesso e recupero. L’arte può educare l’intera persona

coinvolgendo allo stesso tempo molte delle nostre energie, e in modi interrelati e

mutualmente rafforzativi. Ciò la rende uno strumento immensamente rapido e

probabilmente indispensabile per la trasmissione della cultura, uno strumento, quindi,

che sospetto essere di gran lunga superiore rispetto alle altre pratiche culturali.13

E non è nemmeno così evidente che l’arte svolga altre funzioni con la stessa efficacia

di quest’ultima.14

Infatti, è difficile immaginare che la costosa – in termini di tempo e

risorse – istituzione dell’arte sarebbe sopravvissuta attraverso le varie epoche e culture

se non fosse stata in grado di svolgere con efficacia una funzione sociale cruciale

quale la disseminazione dei valori e delle credenze di quelle società di cui ha costituito

una pratica integrante.15

Tenendo conto di queste osservazioni, la visione dei teorici

estetici dell’arte – per cui la funzione dell’arte è l’offrire un’esperienza estetica, valutata

indipendente dall’utilità sociale – appare dubbia, dato che ciò che l’arte fa meglio, nei

due sensi ammessi da Iseminger, è presumibilmente apprendere e rinforzare l’ethos

dei gruppi sociali per promuoverne la coesione e continuazione. L’arte, tra le altre

cose, si occupa della progressiva riproduzione dell’ordine sociale.

Quantomeno, bisogna rilevare che i teorici estetici dell’arte hanno fallito nel mostrare

perché il contributo dell’arte all’apprendimento e alla diffusione della cultura non sia la

sua caratteristica principale. Non solo tra tutte le sue funzioni, ma anche come ciò che

fa con efficacia maggiore di tutte le altre pratiche. I teorici estetici dell’arte sembrano

presupporre quasi con sufficienza che le esperienze estetiche rappresentano il proprio

dell’arte, senza nemmeno prendere in considerazione ipotesi alternative, come la

diffusione di una data cultura. Inoltre, quando si soppesa il ruolo dell’arte per

l’inculturazione, è difficile negarne la centralità. Non è questa la ragione per cui la

pratica artistica raccoglie sostegno in ogni cultura conosciuta ed è parte integrante

delle nostre istituzioni educative? Per certo, questo è il motivo per cui l’arte come

pratica o genere è venuta all’esistenza. E il fatto che molta arte continui ad assolvere

questa funzione spiega in modo sostanziale la sua longevità.

Questa funzione dell’arte – connessa con l’inculturazione – appare evidente soprattutto

nell’arte memoriale, in statue, monumenti, murali, cortei, processioni, dipinti, danze,

canzoni, poemi, film, ecc. L’arte memoriale ai suoi spettatori permette di ricordare in

modo vivido eventi e persone importanti e dell’impegno, dei valori, delle virtù, delle

convinzioni per cui si sono impegnati. Celebrando il passato, e l’ethos che

13 �

Nel sostenere che l’arte è estetica perché offre un’esperienza estetica meglio delle altre pratiche, Iseminger non considera la possibilità che potrebbero esserci altre funzioni, come quella di trasmettere l’ethos di una cultura, che l’arte soddisfa meglio di altre pratiche. Questo sembrerebbe essere un gap molto importante nella sua argomentazione. 14 �

In effetti, la stessa nozione di comparare l’efficacia di funzioni differenti dell’arte è difficile da rendere operativa. A ogni modo, siccome è qualcosa su cui la teoria estetica fa affidamento, ogni inadeguatezza di questa maniera di procedere dovrebbe essere contata come ostacoli dell’approccio estetico adesso in esame. 15 �

Storicamente parlando, le cose come l’arte commemorativa potrebbe sostenere a maggior ragione di implementare la funzione fondativa dell’arte, nella misura in cui i primi oggetti d’arte sono stati rinvenuti presso tumuli.

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rappresentano, le opere d’arte memoriali tentano di facilitare la riproduzione del gruppo

sociale pertinente, ispirando un sentimento di emulazione. Richiamano alla memoria il

passato, e, attraverso il ricordo, incoraggiano una continua imitazione. Queste opere

ravvivano impegni e ideali forse dimenticati o trascurati (la cui piena solennità e

rilevanza è spesso scordata) attraverso il suo appellarsi ai sensi e il tentativo di

proiettarsi nel futuro per ispirare la posterità a restare fedele alla sua eredità.16

L’arte

memoriale spesso esprime orgoglio nazionale, orgoglio per l’ethos nazionale, di cui

agevola la prosecuzione.

I monumenti commemorativi greci della battaglia di Maratona, per esempio, la

celebravano come la vittoria della civiltà contro la barbarie, mentre le raffigurazioni

cristiane della crocifissione richiamano alla memoria il sacrificio di Cristo, non solo per

una forma di venerazione, ma per incoraggiare i fedeli a prenderlo a modello nel loro

stile di vita. La poesia epitaffica inglese del diciassettesimo secolo, il cui scopo – per

Samuel Johnson – era di educare “la gran parte dell’umanità”,17

enfatizzava come

cruciale l’importanza di condurre una vita secondo virtù quali l’onestà – anziché

prediligere dei natali aristocratici –, così da facilitare l’emersione di valori umanisti

attraverso il ricordo di ciò che rende la vita significativa, la cui rievocazione, a sua volta,

era intesa per favorire l’emulazione.18

Il Pantheon di Parigi è una raccolta di modelli di

virtù, intesi per rappresentare la cultura francese e invitare gli spettatori a portarne

avanti la tradizione.19

Il Lincoln Memorial commemora non solo l’uomo, ma i valori per

cui Lincoln si è battuto, e ricorda ai visitatori ciò a cui gli americani sono legati.20

La

funzione dell’arte memoriale è di rappresentare l’importanza di ciò che rievoca, di

ricordare il passato per alimentare un impegno nei cuori e nelle menti degli spettatori,

cosicché possano seguire l’esempio delle virtù e degli ideali che l’opera d’arte

custodisce. In questo modo, l’arte memoriale assolve uno dei compiti fondamentali

dell’arte – ovvero, instillare l’ethos di una cultura nei suoi membri. In occasione

dell’inaugurazione del memoriale alla Leys School a Cambridge, il duca di York si

soffermò sul significato della statua di San Giorgio posta al centro dell’opera: “Si ergerà

per sempre, un cardine della storia e della tradizione della scuola, sarà fonte di

ispirazione per quegli ideali di cavalleria, abnegazione e patriottismo che sono

essenziali per la condotta e il carattere più alti”.21

In altre parole, la funzione della

16 �

Si veda Noël Carroll, “Aesthetics and the Educative Powers of Art”, in A Companion to the Philosophy of Education, Randall Curren (a cura di), Oxford, Blackwell Publishing, 2003. 17 �

Samuel Johnson, “An Essay on Epitaphs”, in Samuel Johnson, Donald Greene (a cura di), Oxford, Oxford University Press, 1984. 18 �

Joshua Scodel, The English Poetic Epitaph: Commeoration and Conflict from Johnson to Wordsworth, Ithaca, Cornell University Press, 1991, Capitolo 5. 19 �

Mona Ozouf, “The Pantheon: The École Normale of the Dead”, in Realms of memory: The Construction of the French Past: III Symbols, New York, Columbia University Press, 1998. 20 �

Infatti, si potrebbe sostenere che il Vietnam Memorial, data la sua celebrata apertura interpretativa, celebra in ultima istanza la tolleranza verso opinioni differenti, probabilmente una virtù centrale per una società come quella degli Stati Uniti, che concepisce se stessa come fondamentalmente pluralista. 21

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scultura era di infondere virtù culturalmente preziose quali la cavalleria, l’abnegazione

e il patriottismo. Dati gli eventi dell’undici settembre, i monumenti commemorativi

assumono un interesse particolare. Questi, come i memoriali in generale, possono

svolgere il compito dell’inculturazione promuovendo virtù precise, quali il senso del

dovere e ideali che invitano all’abnegazione. Gli oltre trentottomila memoriali francesi

dedicati alla prima guerra mondiale celebrano le virtù repubblicane. Anziché essere dei

sepolcri per i generali, questi monumenti sono spesso dedicati a soldati comuni, per

trasmettere, in questo modo, l’ideale repubblicano di uguaglianza. Temi ricorrenti

includono anche l’obbedienza, la devozione al dovere, il sacrificio liberamente offerto e

il senso di patria — tutte virtù ricordate per essere onorate e, al tempo stesso, emulate.

Tali monumenti celebrano i caduti per il loro contributo nella difesa della libertà e della

tolleranza.22

Le virtù repubblicane, astratte e giuridiche, trovano una forma di

espressione concreta e riconoscibile, rendendo, in questo modo, l’ethos comprensibile

e di attrattiva per i visitatori.

Ovviamente, l’ethos delle diverse culture può differire in maniera rilevante. Infatti, i

memoriali tedeschi della prima guerra mondiale si distinguono da quelli francesi poiché

enfatizzano la pietà protestante e la coscienza nazionale tedesca,23

mentre quelli

italiani utilizzano immaginari appartenenti al mondo dei gladiatori, al fine di celebrare la

guerra come prova suprema di virilità e cameratismo.24

In ogni caso, il memoriale ha il

compito di diffondere i valori culturalmente apprezzati dalla specifica società e ritenuti

essenziali alla costruzione del suo futuro.

Ad esempio, il memoriale canadese a Vimy Ridge, disegnato da Walter S. Allward,

comprende figure simboliche che rappresentano Pace, Giustizia, Verità e Conoscenza.

Il messaggio veicolato implicitamente è che questi valori hanno mosso chi ha

sacrificato la propria vita, e i posteri, a loro volta, dovranno essere pronti a combattere

per difenderli (WM, 99). Lungo una linea meno allegorica, il Royal Artillery Memorial, a

Hyde Park Corner – in cui è ritratto un artigliere che trasuda determinazione e forza,

mentre il capitano in comando trasmette un calmo vigore – raffigura le virtù ritenute più

importanti e il tipo di eroismo reputato necessario per proteggere la civiltà inglese (WM,

121-22). Altri memoriali britannici, invece, celebrano un ottimismo vivace dinanzi alle

avversità (WM, 1).25

Questo tipo d’iconografia illustrativa, inoltre, non appartiene solo

Alan Borg, War Memorial from Antiquity to the Present (Londra: Leo Cooper, 1991). D’ora in avanti, mi riferirò a questo libro come WM. 22 �

Riguardo ai monumenti di guerra francesi si veda Antoine Prost, “Monuments of the Dead” in Realms of Memory: The Construction of the French Past: II Traditions, sotto la direzione di Pierre Nora,

Edizione inglese a cura di Lawrence D. Kritzman, trad. Arthur Goldhammer, (New York: Columbia University Press, 1997) 23 �

George L. Mosse, Fallen Soldiers: Reshaping the Memory of the World Wars (Oxford: Oxford University Press, 1990), 35. 24 �

Ibid., 104. 25 �

Anche certi monumenti eretti in Inghilterra, Australia e Nuova Zelanda all’inizio della Prima Guerra Mondiale ricordano la chiamata alle armi, celebrando cittadini ordinari che si offrono di buon grado per la guerra, affermando, quindi, il carattere morale della nazione in un modo da evocare l’impegno verso la patria e spingere altre persone ad arruolarsi. A riguardo, si veda Jay Winter, Sites of Memory, Sites of Mourning: The Great War in Europe History (Cambridge: Cambridge University Press, 1995), 80.

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al passato, come testimoniano quelli che potrebbero essere definiti memoriali mediatici

ai poliziotti e ai pompieri del 9/11. Le loro gesta sono raccontate e ricordate sia per

trasmettere determinati valori, e ideali, sia per ricordare semplicemente chi è caduto.

Fino ad ora mi sono concentrato diffusamente sulla funzione dell’arte memoriale —il

ricordo del passato per riprodurre nel futuro l’ethos di una cultura. Ho enfatizzato

questa dimensione perché mi sembra esemplificare una delle funzioni più rilevanti

dell’arte, pace alle teorie estetiche. Ma l’arte commemorativa possiede altre funzioni.

Molti antichi memoriali di guerra celebrano la forza con il fine di terrorizzare i nemici

futuri ed esibiscono il potere del sovrano per rassicurare la popolazione riguardo alla

sua capacità di difenderli. I bassorilievi nel palazzo a Ninive, che commemora la

sconfitta degli Elamiti nella battaglia del fiume Ulai, iniziano con l’incisione: “Io sono

Ashurbanipal, Re dell’Universo, Re dell’Assiria, Conquistatore dei miei nemici”, seguita

da violente scene di guerra (WM, 25-26), con il chiaro obiettivo di spaventare gli

emissari in visita e convincere gli Assiri dell’invincibilità del loro condottiero. In nessun

caso vi è l’intenzione di fornire un’esperienza da valutare per il suo valore intrinseco.

Un’altra funzione dei memoriali di guerra, soprattutto quelli moderni, è di infondere

consolazione e sollievo.26

Il memoriale lenisce il lutto dei cari e dei connazionali che

condividono il senso di perdita, ricordando loro che il caduto non è morto invano e il

sincero senso di debito cui rimangono legati. Ciò offre agli amici e alle famiglie del

defunto una via per “placare l’inasprimento e alleviare la disperazione”.27

I monumenti

e le cerimonie commemorativi permettono di articolare il dolore per la perdita e di

ricontestualizzare l’evento retrospettivamente; a coloro in lutto si offre modo di gestire

le loro emozioni, di passare da uno stato di shock al suo superamento, in quanto

permette di elaborare quanto accaduto.28

Grazie alla sua capacità di far chiarezza tra

le emozioni, la tristezza diventa controllabile e tollerabile.29

Inoltre, come per le altre

funzioni socialmente utili del memoriale, sarebbe strano non categorizzare queste

esperienze di consolazione e guarigione come non strumentalmente valutabili.

Ovviamente, con l’enfatizzare, nei modi qui rapidamente esposti, l’utilità sociale

dell’arte commemorativa per rimarcare che gran parte dell’arte ha una funzione sociale

— e, sottolineando quanto appena esposto, si hanno degli elementi solidi per capire

cosa l’arte sappia fare al suo meglio — non intendo suggerire che la funzione dell’arte

in quanto tale vada ridotta esclusivamente alla trasmissione dell’ethos di una cultura.

Questa è una funzione; promuovere l’esperienza estetica, opportunamente costruita, è

un'altra delle sue funzioni.30

Ogni tipo di arte dovrebbe essere valutata sia in base al

26 �

Questo, ovviamente, non solo è una funzione di quelle opere che ricordano gli eventibellici; è anche la funzione di lavori come l’AIDS Quilt. 27 �

Jay Winter, Sites of Memory, Sites of Mourning: The great War in Europe History (Cambridge: Cambridge University press, 1995), p. 115-16. 28 �

Georgia Witkin, “9/11 Anniversary Observances Can Rekindle Hope,” USA Today, 14 August 2002, 13a. 29 �

Questa sembra essere la motivazione dietro il recente album di Bruce Springsteen “The Rise”. 30 �

Si veda Carroll, “Aesthetic Experience Revisited.”

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compito che assolve, sia in base a quanto bene lo assolve, sia in base all’importanza di

tale funzione.31

L’arte memoriale ci ricorda che molte opere sono iscritte in pratiche culturali e

rispondono a bisogni sociali. Per i filosofi dell’arte diventa allora incombente sviluppare

quadri concettuali che siano teoreticamente sensibili all’arte in quanto parte di una

pratica umana “interessata” e volta ad assolvere fini sociali. Se l’epoca dell’alto

modernismo è finita e gli artisti sono ritornati all’impegno sociale, allora è forse giunto il

momento di abbandonare la teoria estetica dell’arte in quanto riflesso dell’alto

modernismo, e far si che i filosofi dell’arte ricomincino a interrogarsi sulla funzione

sociale di almeno certe opere, ovvero di quelle forme d’arte il cui ruolo sociale è parte

integrante della loro identità. Abbiamo bisogno di sviluppare una teoria delle pratiche

sociali dell’arte in quanto sono connesse a un più ampio spettro di fini e pratiche

culturali.32

E l’arte memoriale sembra un buon punto di partenza.

Inoltre, collegare l’arte a più pratiche sociali ha un rilievo anche nelle politiche

educative. È difficile motivare la realizzazione di opere d’arte sotto l’egida delle teorie

moderniste dell’estetica, come il formalismo. Le persone in generale, e gli studenti in

particolare, sono esseri pratici. Connettere la realizzazione di opere d’arte a un fine

sociale quale quello della memoria, ha il vantaggio di fornire all’immaginazione un

problema concreto con cui confrontarsi. E questo incentiverà il desiderio artistico degli

studenti più di quanto non possano fare mantra astratti riguardo al valore intrinseco

dell’esperienza artistica. Riconnettere la produzione dell’arte con questioni sociali,

rivitalizzerà l’interesse degli studenti mentre, al tempo stesso, sottolineare il contributo

che l’arte può offrire alla società incoraggerà probabilmente investimenti più generosi

nell’educazione artistica, più di quanto la retorica dell’arte per l’arte sia in grado di fare.

Gli studiosi di estetica spesso lamentano una mancanza di rispetto nei loro riguardi,

dato che il loro ambito è considerato marginale dal grande pubblico e dagli altri filosofi.

È tempo di considerare la possibilità che la ragione di ciò risieda in loro stessi. Molti di

loro hanno sostenuto la dottrina secondo la quale il valore dell’arte dipende da nessun

altro parametro se non dall’esperienza estetica in sé. Forse chi non prende in seria

considerazione l’estetica è stato indotto dagli stessi teorici estetici dell’arte, i quali

ritengono che il valore dell’arte sia separato da ogni altro valore. Di conseguenza, ciò

conduce a considerare l’arte e l’estetica come marginali. E perché questo dovrebbe

sorprendere? Studiosi di estetica e artisti modernisti lasciano che l’arte rimanga nella

sua discreta nicchia, celebrando valori a se stanti e svincolati da tutto il resto. Chi non

prendono l’arte e l’estetica sul serio ha semplicemente preso gli studiosi modernisti di

estetica alla lettera, finendo per credere che se l’arte non è connessa ad altro interesse

all’infuori di se stessa, allora è di scarso o nullo interesse tanto per il grande pubblico

31 �

Ciò non toglie che alcune opere commemorative possa essere cattive: un’opera può assolvere malamente alla sua funzione e assolvere a tale funzione può non avere alcun valore. Forse il Memoriale dei Martiri a Baghdad che commemora la guerra Iraq-Iran, non merita molta attenzione per entrambe le ragioni. Anche Daniel A. Kaufaman in “Normative Criticism and the Objective Value of Artworks” in The Journal of Aesthetics and Art Criticism, 60, no.2 (Spring 2002): 151, suggerisce di valutare un’opera d’arte tenendo conto anche del modo in cui esegue le funzioni che si era proposta all’inizio. 32 �

Una raccomandazione simile sulla direzione presa dalla filosofia dell’arte può essere trovata in Wolterstroff, “Why Analytic Philosophy of Art Cannot Handle Kissing, Touching, and Crying.”

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che per i filosofi, i quali, occupandosi di morale e politica, non sono studiosi di estetica.

Indubbiamente, questo non è quanto i modernisti e gli studiosi di estetica hanno

sostenuto. In tutta sincerità, essi si aspettavano che assegnare all’arte e all’estetica un

valore autonomo avrebbe condotto a una sorta di reverenza, anziché a un oblio nei

confronti di tali discipline. Ma la loro stessa retorica separatista invita a un’attitudine

che, nella migliore delle ipotesi, ha come suo esito l’indifferenza, se non ostilità e

disdegno. Ricontestualizzare l’arte e l’estetica entro un più ampio quadro di pratiche

sociali, quali la memoria, non sarà solo positivo per la società e l’arte, ma per gli stessi

studiosi di estetica.33

Traduzione a cura di Diego Ferrante e Marco Piasentier

33 �

L’autore desidera ringraziare Peter Kivy, Hugh Felix Carroll III, Laurie Beth Clark, Michael Peterson, e Gary Iseminger per il loro aiuto nella preparazione di questo saggio. Sebbene l’autore sia il solo responsabile per le sue manchevolezze. Questo saggio è stato presentato originariamente durante la sessione sull’arte memoriale all’incontro annuale della American Society for Aesthetics a Miami, Florida, nell’ottobre 2002.