NOËL CARROLL - MicroMegailrasoiodioccam-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/files/... ·...
-
Upload
truongtram -
Category
Documents
-
view
214 -
download
0
Transcript of NOËL CARROLL - MicroMegailrasoiodioccam-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/files/... ·...
1
Arte e memoria1
NOËL CARROLL
L'alto modernismo e l'estetica che vi si è collegata hanno sottratto all'arte il suo compito
rievocativo ed educativo. Ma questo compito va ripristinato: è l'opinione di uno dei più
interessanti e recenti filosofi analitici dell'arte.
Noël Carroll insegna attualmente presso la City University of New York e rappresenta una delle
figure di maggior rilievo nel campo della filosofia dell’arte. Il suo lavoro si muove all’interno
dell’approccio analitico, riflettendo sulle pratiche artistiche per individuare i concetti che le
caratterizzano e ne contraddistinguono l’operatività. Lungo questa direttrice ha spesso
problematizzato la resistenza della filosofia dell’arte nei confronti, per esempio, delle scienze
cognitive o della psicologia evoluzionista; diffidenza o aperta ostilità che ha condotto molti
studiosi a tematizzare il fenomeno artistico esclusivamente in termini culturali. Dal suo angolo
prospettico, invece, è necessario integrare approcci provenienti da discipline diverse,
mostrando come l’uno possa innervare gli altri: per Carroll, l’arte possiede un carattere
universale e rappresenta un plesso che risponde a esigenze e compiti differenti, “l’arte è parte
del tessuto delle nostre vite e può essere inteso solo quando è visto nell’interezza del suo
contesto sociale, culturale e biologico”. Questa ipotesi è sostanziata, innanzitutto, attraverso
due gesti critici, di distanziamento: da un lato, scinde il legame tra arte ed estetica, ovvero
insiste sulla storicità di una disciplina (sull'idea di uno sguardo “disinteressato”, e di un modello
esplicativo formalista) definitasi solo a partire dalla fine del diciottesimo secolo sulla scorta
dell’interpretazione della Critica del Giudizio di Kant; dall’altro, ritiene sia necessario allargare la
definizione di arte a prodotti diversificati della cultura materiale e non avulsi dall’esperienza
quotidiana (si prendano in considerazione, per esempio, i lavori di Carroll sul cinema e su un
genere come l’horror considerato per lunga tradizione minore). Questo doppio movimento, a
suo avviso, permette di non ipostatizzare il concetto di arte e di non schiacciarlo in una
posizione di isolamento: ciò non implica che ogni forma d’arte sia transculturale, ma che
esistono caratteristiche, modelli, e compiti che ricorrono nelle varie culture e nelle varie epoche
come risposta immediata rispetto alla funzione decorativa, rappresentativa, emotiva e simbolica
di certi oggetti. È in questo senso che torna ad affiorare la necessità di analizzare la relazione
tra etica e arte, tra l'arte e la sua funziona sociale. Tra i testi di Carroll pubblicati nel corso degli
anni si segnalano The Philosophy of Horror, or Paradoxes of the Heart (1990), The Philosophy
of Motion Pictures (2007), On Criticism (Thinking in Action) (2008) [Diego Ferrante e Marco
Piasentier].
Senza ombra di dubbio, le discussioni su come commemorare gli eventi dell’11
settembre evidenziano la necessità di analizzare con scrupolo la questione dell’arte
memoriale – quelle statue di eroi dimenticati che marciscono nei parchi pubblici e nelle
piazze –. Forse questa noncuranza non è evidente in nessun altro campo di indagine
come nella filosofia dell’arte, poiché l’arte memoriale è progettata espressamente per
svolgere una funzione culturale, mentre nell’estetica moderna permane una forte
1 �
La traduzione è riferita a “Art and Recollection”,The Journal of Aesthetic Education, Volume 39, Number 2, Summer 2005: pp. 1-12.
2
tendenza a negare il titolo di arte in senso proprio a quei lavori realizzati per finalità
sociali. Tale arte non rientra nelle categorie di buona parte degli esperti di estetica.
La causa di questo mancato riconoscimento va imputato alla teoria estetica dell’arte
che, semplificando in modo approssimativo, ritiene che un’opera d’arte sia tale solo se
fornisce o è progettata con l’intenzione di fornire esperienze apprezzabili di per sé, per
il loro valore intrinseco.2 La teoria estetica dell’arte potrebbe essere identificata con
una riflessione filosofica di quell’ala del modernismo chiamata estetismo. Nel
diciannovesimo e nel ventesimo secolo, è così che va la storia, gli artisti tentarono di
opporsi all’assimilazione di ogni valore a quello utilitario o di funzione, in modo
particolare a quello di mercato, tentando di realizzare opere che non avessero altro
valore se non quello offerto dalla contemplazione del lavoro stesso, separato da
qualsiasi utilità o utilizzo e, quindi, dalla funzione sociale che i lavori avrebbero potuto
svolgere.3
I filosofi, quindi, come la civetta di Minerva, hanno spiegato le loro ali su questa
tendenza artistica, difendendola con argomentazioni formidabili, fino a renderla una dei
preconcetti più radicati nella filosofia dell’arte – o, quanto meno, l’assunzione standard
di una gran parte di chi pratica detta filosofia. Forse, alcune prove di questo pregiudizio
persistente, quasi automatico o inconscio, andrebbero rintracciate nelle denominazioni
delle società accademiche del mondo anglofono specializzate nella filosofia dell’arte,
nomi quali quelli di American Society for Aesthetics, British Society for Aesthetics e
così via.
D’altronde, se l’arte propriamente detta è tale per l’esperienza estetica che fornisce –
esperienza di un valore intrinseco, slegato da una sua utilità sociale – cosa ne resta
dell’arte memoriale, quella tipologia d’arte dedita prima di tutto ad assolvere funzioni
sociali, arte che non sarebbe tale se fosse valutata prima di tutto ed esclusivamente
per il valore intrinseco dell’esperienza offerta? Rimarrebbe fuori dalla mappa teoretica
della filosofia dell’arte, a meno che il filosofo non sia pronto a sostenere, contro la
realtà dei fatti, che tali opere, in opposizione alle convinzioni di coloro che sono loro più
vicini, fossero state intraprese dall’inizio con l’obiettivo principale di fornire
un’esperienza estetica, nonostante possa apparire diversamente.
Senza dubbio, il filosofo potrebbe anche negare che tale opera sia arte, relegandola
alla categoria del kitsch. Un’osservazione probabilmente parallela al disagio del filosofo
di fronte all’arte memoriale è che l’alto modernismo, di cui sostengo che la teoria
estetica dell’arte sia un riflesso, per buona parte, non è riuscito storicamente a produrre
arte di questo tipo degna di nota, con il Vietnam Memorial tra le poche eccezioni a
questa generalizzazione. In sostanza, sia l’alto modernismo e sia la teoria estetica
dell’arte sembrano costitutivamente inospitali nei confronti dell’arte commemorativa.
Certo, rimuovere l’arte memoriale dall’ordine delle muse comporta un costo teoretico
potenzialmente molto alto, dato che molte opere hanno avuto per tradizione una
2 �
Per una presentazione rappresentativa di questa visione, si veda Monroe Beardsley, “An Aesthetic Definition of Art” in What Is Art?, Hugh Curtler (a cura di), New York, Haven Press, 1983. 3 �
Per le obiezioni filosofiche alla teoria estetica dell’arte, si veda Noël Carroll, Philosophy of Art: A Contemporary Introduction, Londra, Routledge, 1999, Capitolo 4.
3
funzione memoriale o, almeno, una dimensione commemorativa significativa.4 A
questo riguardo, si sarebbe tentati di affermare che gran parte dell’arte tradizionale ha
considerato la dimensione memoriale tra i suoi obiettivi essenziali, benché io non
ritenga che questa asserzione così netta debba necessariamente esser vera per
validare la mia tesi. È sufficiente che una larga scala dell’arte tradizionale sia
memoriale affinché la mia argomentazione possa procedere. E ciò è innegabile.
L’Iliade e il Mahabharata, tra gli esempi sconfinati offerti dalla letteratura epica,
commemorano le battaglie fondative dei loro rispettivi popoli. La raffigurazione della
crocifissione di Cristo, il tema di un numero indefinito di quadri e sculture cristiane, è
fondamentalmente commemorativa nel suo proposito, così come le cattedrali, le
chiese, e i monasteri, in cui sono ospitate molte di queste rappresentazioni, spesso
derivando il loro nome dai santi o dalle vicende sacre nella cui memoria sono stati
eretti. Mentre passeggiamo tra le chiese e i templi europei e asiatici nei nostri tour
estivi della grande arte mondiale, buona parte delle opere che osserviamo è di natura
memoriale. Ma la religione non ha un’esclusiva sui monumenti commemorativi. La
politica adorna con frequenza rimarcabile le pareti o le mura di musei e edifici pubblici,
oltre a popolare in lungo e largo viali e piazze, con rappresentazioni di grandi leader,
legislatori, generali, padri fondatori, battaglie più o meno importanti, giuramenti e altri
avvenimenti storici. La cosa non desta sorprese, dato che la Chiesa e lo Stato sono
stati a lungo i sostenitori e i mecenati principali dell’arte.
La poesia possiede diversi generi che si soffermano sul ricordo o la memoria:
l’epitaffio, l’elegia, e, per un certo grado, l’eulogia. Ugualmente, molti romanzi del
periodo moderno rievocano o ricordano le guerre passate. Per quanto riguarda il
cinema, l’ex Unione Sovietica commissionò La fine di San Pietroburgo di Pudovkin e
Ottobre di Ėjzenštejn per celebrare la rivoluzione del 1917, mentre La corazzata
Potëmkin era un monumento in celluloide alla rivoluzione del 1905. In più, anche molta
musica ha un carattere memoriale. È ovviamente il caso della musica composta per
ricordare occasioni particolari, come matrimoni e funerali reali, oppure di quella che
accompagna i riti religiosi, come la Passione; ma esiste altresì una musica che celebra
avvenimenti storici, come la Messa dell’incoronazione di Mozart, la Messa ungherese
per l’incoronazione di Liszt, e l’Overture 1812 di Tchaikovsky. Anche i ritratti dei
cittadini più agiati furono commissionati per essere trasmessi e, quindi, per la posterità.
In breve, è difficile negare che buona parte dell’arte, soprattutto di quella tradizionale,
sia di natura memoriale, che sia stata pensata essenzialmente per ricordare il passato
per propositi più vari, ovvero, propositi ulteriori dal generare esperienze estetiche con
un valore intrinseco.
Cosa se ne fa un teorico estetico dell’arte di questo dato di fatto “monumentale”? Può
stringere i denti e ribattere che gli esempi presi in considerazione non sono arte, ma
ciò renderebbe la teoria sospetta agli occhi dei più. Perdere l’Eneide, la Nike di
Samotracia, l’Arazzo di Bayeux, e l’Arco di Trionfo tra le fila delle opere d’arte
rappresenta un prezzo troppo alto per qualsiasi teoria. In alternativa, il teorico
dell’estetica può sostenere che, sebbene i lavori in questione appaiano mirare
innanzitutto a soddisfare una funzione sociale, le cose non stanno davvero così. Gli
4 �
Nicholas Wolterstroff, “Why Analytic Philosophy of Art Cannot Handle Kissing, Touching, and Crying”, The Journal of Aesthetic and Art Criticism 61, n.1 (Inverno 2003), pp. 17-28.
4
artisti si limitavano a cogliere le opportunità offerte loro dalla Chiesa e altri mecenati
per produrre opere intese per indurre esperienze estetiche, benché fingessero di
assolvere un compito differente – glorificare il sacrificio di Cristo, le opere di bene del
re, o il coraggio di un semplice soldato –.
Non solo questa ipotesi appare fin troppo cinica, ma è difficile possa essere
empiricamente realizzata. Il resoconto storico farebbe emergere come molti degli artisti
più importanti intendessero prima di tutto glorificare Dio, e resterebbero sconcertati al
pensiero che i loro lavori fossero presi come meri pretesti per produrre un’esperienza
estetica.
D’altra parte, i teorici dell’ipotesi estetica potrebbero ritenere che quanto scritto
poc’anzi porti a fraintendere cosa si debba intendere con esperienza estetica in sé. Ciò
non va pensata esclusivamente come risposta dell’immaginazione alle forme di
un’opera d’arte. Piuttosto, se l’esperienza dell’amore di Cristo, generata dall’opera
d’arte, è apprezzata per il suo valore intrinseco, allora si tratta di un’esperienza
estetica. A ogni modo, ho il sentore che questa soluzione possa risultare equivoca,
dato che la nozione di esperienza estetica – come esperienza apprezzata di per sé – fu
introdotta tradizionalmente per segnalare un contrasto con l’utilità sociale o religiosa di
un’opera. Sostenere che questa funzione, o l’esperienza di essa, possa essere
valutata e apprezzata da sé, separatamente dal resto, fa svanire il contrasto. Di
conseguenza, può apparire che i teorici dell’estetica abbiano posto rimedio ai danni
inflitti dai miei esempi, ma al costo di aver rinunciato al punto caratterizzante della loro
teoria.
Bisogna ammettere, a questo punto, che i teorici estetici dell’arte, le cui fila oggigiorno
sono in aumento,5 possano sentirsi un po’ esasperati da quanto ho sostenuto, avendo
abbozzato un ritratto caricaturale. Potrebbero eccepire che la teoria estetica che ho
iniziato a martellare appartiene al passato. Il teorico estetico contemporaneo è ben
consapevole di queste obiezioni e, si potrebbe sostenere, ha corazzato la sua teoria
per difendersene. Alcuni tra loro, come Alan Goldman6 e Malcom Budd,
7 potrebbero
replicare che il loro obiettivo non è di definire cosa sia l’arte. Si occupano solo di ciò
che è apprezzabile nella grande arte o di ciò che ha un valore artistico in senso
proprio. Ovvero, ritengono che prestare attenzione alla produzione di esperienze in sé
rilevanti non porti a rintracciare ciò che siamo disposti a chiamare “arte”, né ad
individuare tutti gli aspetti che consentono di apprezzare un’opera d’arte in maniera
appropriata, anche se non per il suo valore artistico. Questa risposta, comunque, invita
solo a ricalibrare alcune delle obiezioni precedenti. Senza dubbio, parte dell’arte
memoriale è di alto valore, infatti possiede del pregio artistico, esattamente perché
adempie così bene le funzioni sociali per cui è stata intesa.
5 �
Per esempio, James C. Anderson, “Aesthetic Concepts of Art”, in Theories of Art Today, Noël Carroll (a cura di), Madison, University of Wisconsis Press, 2000; Nick Zangwill, The Metaphysics of Beauty, Ithaca, Cornell University Press, 2001; Gary Iseminger, “The Aesthetic Function of Art”, in The Proceedings of the Twentieth World Congress of Philosophy: Philosophues of Religion, Art, and Creativity, Kevin L. Stoehr (a cura di), Bowling Green, Philosophy Documentation Center, 1999. 6 �
Alan Goldman, Aesthetic Value, Boulder, Westriew, 1995. 7 �
Malcolm Budd, Values of Art, Allen Lane, The Penguin Press, 1995.
5
Gray Iseminger propone un’altra risposta sofisticata.8 A suo avviso, l’arte è estetica,
espressione con cui intende che la funzione dell’arte, presumibilmente in quanto arte, è
quella di offrire ciò che chiama transazioni estetiche.9 Le transazioni estetiche
appaiono grossomodo equivalenti a ciò che si indica tradizionalmente con esperienze
estetiche, esperienze che possiedono un loro valore intrinseco, che si ritengono
intrinsecamente buone. L’arte può avere altre funzioni, ma la sua funzione in quanto
arte è di promuovere un’esperienza estetica. In questo senso, l’arte è essenzialmente
estetica. Sebbene Iseminger non si spinga fino a questo punto, pare conseguirne che
ciò che non possiede questa facoltà non opera come arte.
Iseminger avanza due considerazioni a favore delle tesi per cui l’arte è
fondamentalmente estetica: fornire transazioni estetiche è ciò che l’arte fa meglio di
qualsiasi altra pratica, e fornire transazioni estetiche è ciò che l’arte fa meglio tra tutte
le sue attività. Tali premesse, quindi, incoraggiano Iseminger, sulle orme del Principio
dell’ermeneutica degli artefatti di Dennett, a inferire che l’arte è destinata a produrre
transazioni estetiche.10
Nessuna di queste affermazioni mi sembra decisiva. Rimane indecidibile se sia la
pratica artistica o la natura in quanto tale a offrire le esperienze estetiche più
apprezzabili. Iseminger cerca di fare i conti con la questione affermando che la natura,
nella misura in cui manca di un artefice, non produce un’esperienza estetica completa
come quella offerta dall’arte. Ciononostante, non sono convinto che l’apprezzamento
delle capacità di un artista sia ciò che la tradizione considera solitamente
un’esperienza estetica. Da un lato, ciò sarebbe stato rifiutato da teorici dell’estetica
come Monroe Beardsley, preoccupato della fallacia genetica, e, dall’altro, sembrerebbe
configurarsi un modo corretto di considerare il contributo dell’artista valutabile da un
punto di vista meramente strumentale, per la capacità di produrre nel pubblico le
conseguenti esperienze estetiche.
In ogni caso, è la seconda asserzione di Iseminger ad assumere un rilievo maggiore
per la questione dell’arte memoriale – ovvero, che fra tutte le cose che l’arte produce,
ciò che fa meglio è fornire transazioni estetiche –. In realtà, Iseminger oscilla tra
posizioni più forti e altre più deboli. Talvolta sostiene che l’arte riesca abbastanza bene
a fornire transazioni estetiche; altre volte, invece, afferma che è ciò che fa meglio o che
fa meglio oggigiorno. La più debole tra le due posizioni non concerne lo statuto artistico
dell’arte memoriale, poiché non esclude che l’arte in quanto tale realizzi con successo
obiettivi svariati e abbia funzioni diversificate – senza scartare sia la memorializzazione
sia il favorire transazioni estetiche. E su questo punto non penso ci sia spazio per
obiezioni.11
8 �
Gary Iseminger, “The Aesthetic Function of Art”, in The Proceedings of the Twentieth World Congress of Philosophy: Philosophues of Religion, Art, and Creativity, Bowling Green, Philosophy Documentation Center, 1999, pp. 169-76. 9 �
Questa terminologia è contenuta in una lettera spedita il 5 Settembre 2002 all’autore da Iseminger. 10 �
Iseminger, “The Aesthetic Function of Art”. 11
6
La rivendicazione più ambiziosa, invece, pone le basi per la conclusione di Iseminger
per cui l’arte in quanto tale è destinata a fornire transazioni estetiche ed è, per questa
ragione, essenzialmente estetica. Posto che ex hypothesi, tra tutte le funzioni che l’arte
ha (o svolge oggigiorno), fornire un’esperienza estetica è ciò che fa meglio, si suppone
sia legittimo inferire che sia questa la funzione dell’arte qua arte, ovvero, l’arte
interpretata come naturale. Sebbene il ragionamento induttivo lasci spazi alla disputa,
non starò qui a sollevare cavilli. Piuttosto, vorrei focalizzarmi sulla sua premessa,
ovvero, che fornire un’esperienza estetica è, tra le sue funzioni, ciò che l’arte fa meglio.
Poiché mi sembra che le funzioni svolte dall’arte memoriale quanto meno rivaleggino e
verosimilmente oltrepassino la sua funzione estetica.
Per sostanziare questa tesi, comunque, è necessario aggiungere qualcosa a quanto
già detto. L’arte memoriale, certo, ha funzioni differenti. Ma una funzione pubblica
dell’arte memoriale è commemorare il passato per il presente – richiamare alla
memoria eventi e persone esemplari e tratteggiare il significato che hanno per la
cultura attuale, contribuendo, quindi, alla definizione dell’identità culturale e indicando
la direzione in cui la cultura dovrebbe procedere. L’arte memoriale trasmette l’ethos di
una cultura. Onora chi è scomparso, sottolineandone le virtù, e invita a seguirne
l’esempio. L’encomio che rivolge è inteso a incoraggiare le generazioni future.12
L’arte memoriale è una chiave importante per la continua ricostruzione dell’ordine
sociale. Ricorda alle generazioni presenti il loro passato e le virtù e i valori che le
hanno rese quello che sono, le incoraggia a persistere nella stessa direzione. L’arte in
generale, in questo senso – e l’arte memoriale ne è un primo esempio –, è
fondamentale per la riproduzione della cultura e della società. Educa le generazioni
future all’ethos della loro cultura, al suo insieme di convinzioni e valori. Omero ha avuto
questo ruolo, ed è il motivo per cui era chiamato l’educatore dei Greci.
Inoltre, l’arte, tra cui l’arte memoriale, svolge eccezionalmente bene questa funzione
sociale. Rivolgendosi simultaneamente, spesso piacevolmente – ma non sempre –,
alla percezione, all’immaginazione, alla memoria, alle emozioni e alla facoltà cognitiva
con immagini concrete – ovvero, coinvolgendo allo stesso tempo così tante funzioni di
una persona – imprime profondamente l’ethos della cultura nei riceventi, quando
appropriatamente predisposti. Combinando senso e sentimento, sensazione e
informazione, l’arte rende accessibile l’ethos della cultura ai suoi cittadini, ed essendo
codificato attraverso più facoltà la memoria potrà ritrovarlo perfettamente. Rende i
valori percepibili o, nel caso della letteratura, li descrive in immagini evocative, forti,
che restano fisse nella mente.
Non è scontato che altre pratiche trasmettano l’ethos di una cultura con la stessa
efficacia. L’arte è chiaramente avvantaggiata in questo aspetto, perché non si rivolge
alla cognizione soltanto con informazioni astratte, ma raggiunge il suo pubblico tramite
i sensi, i sentimenti, includendo di frequente sensazioni di piacere, le emozioni, la
percezione, la memoria, e l’immaginazione. Dunque, l’ethos che trasmette è impresso
�
Quanto meno se analizzi le esperienze estetiche come faccio io. Si veda Noël Carroll, “Aesthetic Experience Revisited”, British Journal of Aesthetics (Aprile 2002), pp. 145-68. 12 �
Certamente, parte dell’arte memoriale, come i memoriali dell’Olocausto, possono avere l’obiettivo di ricordare agli osservatori di episodi storici significativi ma dolorosi, e di ricordar loro le depravazioni che gli hanno dato origine e la necessità di combatterle. Forse non è necessario aggiungere, scoraggiando questi orrori è, a sua volta, parte essenziale del processo di inculturazione.
7
in modo ridondante all’interno di diverse dimensioni dei suoi riceventi, accrescendo in
tal modo le capacità di accesso e recupero. L’arte può educare l’intera persona
coinvolgendo allo stesso tempo molte delle nostre energie, e in modi interrelati e
mutualmente rafforzativi. Ciò la rende uno strumento immensamente rapido e
probabilmente indispensabile per la trasmissione della cultura, uno strumento, quindi,
che sospetto essere di gran lunga superiore rispetto alle altre pratiche culturali.13
E non è nemmeno così evidente che l’arte svolga altre funzioni con la stessa efficacia
di quest’ultima.14
Infatti, è difficile immaginare che la costosa – in termini di tempo e
risorse – istituzione dell’arte sarebbe sopravvissuta attraverso le varie epoche e culture
se non fosse stata in grado di svolgere con efficacia una funzione sociale cruciale
quale la disseminazione dei valori e delle credenze di quelle società di cui ha costituito
una pratica integrante.15
Tenendo conto di queste osservazioni, la visione dei teorici
estetici dell’arte – per cui la funzione dell’arte è l’offrire un’esperienza estetica, valutata
indipendente dall’utilità sociale – appare dubbia, dato che ciò che l’arte fa meglio, nei
due sensi ammessi da Iseminger, è presumibilmente apprendere e rinforzare l’ethos
dei gruppi sociali per promuoverne la coesione e continuazione. L’arte, tra le altre
cose, si occupa della progressiva riproduzione dell’ordine sociale.
Quantomeno, bisogna rilevare che i teorici estetici dell’arte hanno fallito nel mostrare
perché il contributo dell’arte all’apprendimento e alla diffusione della cultura non sia la
sua caratteristica principale. Non solo tra tutte le sue funzioni, ma anche come ciò che
fa con efficacia maggiore di tutte le altre pratiche. I teorici estetici dell’arte sembrano
presupporre quasi con sufficienza che le esperienze estetiche rappresentano il proprio
dell’arte, senza nemmeno prendere in considerazione ipotesi alternative, come la
diffusione di una data cultura. Inoltre, quando si soppesa il ruolo dell’arte per
l’inculturazione, è difficile negarne la centralità. Non è questa la ragione per cui la
pratica artistica raccoglie sostegno in ogni cultura conosciuta ed è parte integrante
delle nostre istituzioni educative? Per certo, questo è il motivo per cui l’arte come
pratica o genere è venuta all’esistenza. E il fatto che molta arte continui ad assolvere
questa funzione spiega in modo sostanziale la sua longevità.
Questa funzione dell’arte – connessa con l’inculturazione – appare evidente soprattutto
nell’arte memoriale, in statue, monumenti, murali, cortei, processioni, dipinti, danze,
canzoni, poemi, film, ecc. L’arte memoriale ai suoi spettatori permette di ricordare in
modo vivido eventi e persone importanti e dell’impegno, dei valori, delle virtù, delle
convinzioni per cui si sono impegnati. Celebrando il passato, e l’ethos che
13 �
Nel sostenere che l’arte è estetica perché offre un’esperienza estetica meglio delle altre pratiche, Iseminger non considera la possibilità che potrebbero esserci altre funzioni, come quella di trasmettere l’ethos di una cultura, che l’arte soddisfa meglio di altre pratiche. Questo sembrerebbe essere un gap molto importante nella sua argomentazione. 14 �
In effetti, la stessa nozione di comparare l’efficacia di funzioni differenti dell’arte è difficile da rendere operativa. A ogni modo, siccome è qualcosa su cui la teoria estetica fa affidamento, ogni inadeguatezza di questa maniera di procedere dovrebbe essere contata come ostacoli dell’approccio estetico adesso in esame. 15 �
Storicamente parlando, le cose come l’arte commemorativa potrebbe sostenere a maggior ragione di implementare la funzione fondativa dell’arte, nella misura in cui i primi oggetti d’arte sono stati rinvenuti presso tumuli.
8
rappresentano, le opere d’arte memoriali tentano di facilitare la riproduzione del gruppo
sociale pertinente, ispirando un sentimento di emulazione. Richiamano alla memoria il
passato, e, attraverso il ricordo, incoraggiano una continua imitazione. Queste opere
ravvivano impegni e ideali forse dimenticati o trascurati (la cui piena solennità e
rilevanza è spesso scordata) attraverso il suo appellarsi ai sensi e il tentativo di
proiettarsi nel futuro per ispirare la posterità a restare fedele alla sua eredità.16
L’arte
memoriale spesso esprime orgoglio nazionale, orgoglio per l’ethos nazionale, di cui
agevola la prosecuzione.
I monumenti commemorativi greci della battaglia di Maratona, per esempio, la
celebravano come la vittoria della civiltà contro la barbarie, mentre le raffigurazioni
cristiane della crocifissione richiamano alla memoria il sacrificio di Cristo, non solo per
una forma di venerazione, ma per incoraggiare i fedeli a prenderlo a modello nel loro
stile di vita. La poesia epitaffica inglese del diciassettesimo secolo, il cui scopo – per
Samuel Johnson – era di educare “la gran parte dell’umanità”,17
enfatizzava come
cruciale l’importanza di condurre una vita secondo virtù quali l’onestà – anziché
prediligere dei natali aristocratici –, così da facilitare l’emersione di valori umanisti
attraverso il ricordo di ciò che rende la vita significativa, la cui rievocazione, a sua volta,
era intesa per favorire l’emulazione.18
Il Pantheon di Parigi è una raccolta di modelli di
virtù, intesi per rappresentare la cultura francese e invitare gli spettatori a portarne
avanti la tradizione.19
Il Lincoln Memorial commemora non solo l’uomo, ma i valori per
cui Lincoln si è battuto, e ricorda ai visitatori ciò a cui gli americani sono legati.20
La
funzione dell’arte memoriale è di rappresentare l’importanza di ciò che rievoca, di
ricordare il passato per alimentare un impegno nei cuori e nelle menti degli spettatori,
cosicché possano seguire l’esempio delle virtù e degli ideali che l’opera d’arte
custodisce. In questo modo, l’arte memoriale assolve uno dei compiti fondamentali
dell’arte – ovvero, instillare l’ethos di una cultura nei suoi membri. In occasione
dell’inaugurazione del memoriale alla Leys School a Cambridge, il duca di York si
soffermò sul significato della statua di San Giorgio posta al centro dell’opera: “Si ergerà
per sempre, un cardine della storia e della tradizione della scuola, sarà fonte di
ispirazione per quegli ideali di cavalleria, abnegazione e patriottismo che sono
essenziali per la condotta e il carattere più alti”.21
In altre parole, la funzione della
16 �
Si veda Noël Carroll, “Aesthetics and the Educative Powers of Art”, in A Companion to the Philosophy of Education, Randall Curren (a cura di), Oxford, Blackwell Publishing, 2003. 17 �
Samuel Johnson, “An Essay on Epitaphs”, in Samuel Johnson, Donald Greene (a cura di), Oxford, Oxford University Press, 1984. 18 �
Joshua Scodel, The English Poetic Epitaph: Commeoration and Conflict from Johnson to Wordsworth, Ithaca, Cornell University Press, 1991, Capitolo 5. 19 �
Mona Ozouf, “The Pantheon: The École Normale of the Dead”, in Realms of memory: The Construction of the French Past: III Symbols, New York, Columbia University Press, 1998. 20 �
Infatti, si potrebbe sostenere che il Vietnam Memorial, data la sua celebrata apertura interpretativa, celebra in ultima istanza la tolleranza verso opinioni differenti, probabilmente una virtù centrale per una società come quella degli Stati Uniti, che concepisce se stessa come fondamentalmente pluralista. 21
9
scultura era di infondere virtù culturalmente preziose quali la cavalleria, l’abnegazione
e il patriottismo. Dati gli eventi dell’undici settembre, i monumenti commemorativi
assumono un interesse particolare. Questi, come i memoriali in generale, possono
svolgere il compito dell’inculturazione promuovendo virtù precise, quali il senso del
dovere e ideali che invitano all’abnegazione. Gli oltre trentottomila memoriali francesi
dedicati alla prima guerra mondiale celebrano le virtù repubblicane. Anziché essere dei
sepolcri per i generali, questi monumenti sono spesso dedicati a soldati comuni, per
trasmettere, in questo modo, l’ideale repubblicano di uguaglianza. Temi ricorrenti
includono anche l’obbedienza, la devozione al dovere, il sacrificio liberamente offerto e
il senso di patria — tutte virtù ricordate per essere onorate e, al tempo stesso, emulate.
Tali monumenti celebrano i caduti per il loro contributo nella difesa della libertà e della
tolleranza.22
Le virtù repubblicane, astratte e giuridiche, trovano una forma di
espressione concreta e riconoscibile, rendendo, in questo modo, l’ethos comprensibile
e di attrattiva per i visitatori.
Ovviamente, l’ethos delle diverse culture può differire in maniera rilevante. Infatti, i
memoriali tedeschi della prima guerra mondiale si distinguono da quelli francesi poiché
enfatizzano la pietà protestante e la coscienza nazionale tedesca,23
mentre quelli
italiani utilizzano immaginari appartenenti al mondo dei gladiatori, al fine di celebrare la
guerra come prova suprema di virilità e cameratismo.24
In ogni caso, il memoriale ha il
compito di diffondere i valori culturalmente apprezzati dalla specifica società e ritenuti
essenziali alla costruzione del suo futuro.
Ad esempio, il memoriale canadese a Vimy Ridge, disegnato da Walter S. Allward,
comprende figure simboliche che rappresentano Pace, Giustizia, Verità e Conoscenza.
Il messaggio veicolato implicitamente è che questi valori hanno mosso chi ha
sacrificato la propria vita, e i posteri, a loro volta, dovranno essere pronti a combattere
per difenderli (WM, 99). Lungo una linea meno allegorica, il Royal Artillery Memorial, a
Hyde Park Corner – in cui è ritratto un artigliere che trasuda determinazione e forza,
mentre il capitano in comando trasmette un calmo vigore – raffigura le virtù ritenute più
importanti e il tipo di eroismo reputato necessario per proteggere la civiltà inglese (WM,
121-22). Altri memoriali britannici, invece, celebrano un ottimismo vivace dinanzi alle
avversità (WM, 1).25
Questo tipo d’iconografia illustrativa, inoltre, non appartiene solo
�
Alan Borg, War Memorial from Antiquity to the Present (Londra: Leo Cooper, 1991). D’ora in avanti, mi riferirò a questo libro come WM. 22 �
Riguardo ai monumenti di guerra francesi si veda Antoine Prost, “Monuments of the Dead” in Realms of Memory: The Construction of the French Past: II Traditions, sotto la direzione di Pierre Nora,
Edizione inglese a cura di Lawrence D. Kritzman, trad. Arthur Goldhammer, (New York: Columbia University Press, 1997) 23 �
George L. Mosse, Fallen Soldiers: Reshaping the Memory of the World Wars (Oxford: Oxford University Press, 1990), 35. 24 �
Ibid., 104. 25 �
Anche certi monumenti eretti in Inghilterra, Australia e Nuova Zelanda all’inizio della Prima Guerra Mondiale ricordano la chiamata alle armi, celebrando cittadini ordinari che si offrono di buon grado per la guerra, affermando, quindi, il carattere morale della nazione in un modo da evocare l’impegno verso la patria e spingere altre persone ad arruolarsi. A riguardo, si veda Jay Winter, Sites of Memory, Sites of Mourning: The Great War in Europe History (Cambridge: Cambridge University Press, 1995), 80.
10
al passato, come testimoniano quelli che potrebbero essere definiti memoriali mediatici
ai poliziotti e ai pompieri del 9/11. Le loro gesta sono raccontate e ricordate sia per
trasmettere determinati valori, e ideali, sia per ricordare semplicemente chi è caduto.
Fino ad ora mi sono concentrato diffusamente sulla funzione dell’arte memoriale —il
ricordo del passato per riprodurre nel futuro l’ethos di una cultura. Ho enfatizzato
questa dimensione perché mi sembra esemplificare una delle funzioni più rilevanti
dell’arte, pace alle teorie estetiche. Ma l’arte commemorativa possiede altre funzioni.
Molti antichi memoriali di guerra celebrano la forza con il fine di terrorizzare i nemici
futuri ed esibiscono il potere del sovrano per rassicurare la popolazione riguardo alla
sua capacità di difenderli. I bassorilievi nel palazzo a Ninive, che commemora la
sconfitta degli Elamiti nella battaglia del fiume Ulai, iniziano con l’incisione: “Io sono
Ashurbanipal, Re dell’Universo, Re dell’Assiria, Conquistatore dei miei nemici”, seguita
da violente scene di guerra (WM, 25-26), con il chiaro obiettivo di spaventare gli
emissari in visita e convincere gli Assiri dell’invincibilità del loro condottiero. In nessun
caso vi è l’intenzione di fornire un’esperienza da valutare per il suo valore intrinseco.
Un’altra funzione dei memoriali di guerra, soprattutto quelli moderni, è di infondere
consolazione e sollievo.26
Il memoriale lenisce il lutto dei cari e dei connazionali che
condividono il senso di perdita, ricordando loro che il caduto non è morto invano e il
sincero senso di debito cui rimangono legati. Ciò offre agli amici e alle famiglie del
defunto una via per “placare l’inasprimento e alleviare la disperazione”.27
I monumenti
e le cerimonie commemorativi permettono di articolare il dolore per la perdita e di
ricontestualizzare l’evento retrospettivamente; a coloro in lutto si offre modo di gestire
le loro emozioni, di passare da uno stato di shock al suo superamento, in quanto
permette di elaborare quanto accaduto.28
Grazie alla sua capacità di far chiarezza tra
le emozioni, la tristezza diventa controllabile e tollerabile.29
Inoltre, come per le altre
funzioni socialmente utili del memoriale, sarebbe strano non categorizzare queste
esperienze di consolazione e guarigione come non strumentalmente valutabili.
Ovviamente, con l’enfatizzare, nei modi qui rapidamente esposti, l’utilità sociale
dell’arte commemorativa per rimarcare che gran parte dell’arte ha una funzione sociale
— e, sottolineando quanto appena esposto, si hanno degli elementi solidi per capire
cosa l’arte sappia fare al suo meglio — non intendo suggerire che la funzione dell’arte
in quanto tale vada ridotta esclusivamente alla trasmissione dell’ethos di una cultura.
Questa è una funzione; promuovere l’esperienza estetica, opportunamente costruita, è
un'altra delle sue funzioni.30
Ogni tipo di arte dovrebbe essere valutata sia in base al
26 �
Questo, ovviamente, non solo è una funzione di quelle opere che ricordano gli eventibellici; è anche la funzione di lavori come l’AIDS Quilt. 27 �
Jay Winter, Sites of Memory, Sites of Mourning: The great War in Europe History (Cambridge: Cambridge University press, 1995), p. 115-16. 28 �
Georgia Witkin, “9/11 Anniversary Observances Can Rekindle Hope,” USA Today, 14 August 2002, 13a. 29 �
Questa sembra essere la motivazione dietro il recente album di Bruce Springsteen “The Rise”. 30 �
Si veda Carroll, “Aesthetic Experience Revisited.”
11
compito che assolve, sia in base a quanto bene lo assolve, sia in base all’importanza di
tale funzione.31
L’arte memoriale ci ricorda che molte opere sono iscritte in pratiche culturali e
rispondono a bisogni sociali. Per i filosofi dell’arte diventa allora incombente sviluppare
quadri concettuali che siano teoreticamente sensibili all’arte in quanto parte di una
pratica umana “interessata” e volta ad assolvere fini sociali. Se l’epoca dell’alto
modernismo è finita e gli artisti sono ritornati all’impegno sociale, allora è forse giunto il
momento di abbandonare la teoria estetica dell’arte in quanto riflesso dell’alto
modernismo, e far si che i filosofi dell’arte ricomincino a interrogarsi sulla funzione
sociale di almeno certe opere, ovvero di quelle forme d’arte il cui ruolo sociale è parte
integrante della loro identità. Abbiamo bisogno di sviluppare una teoria delle pratiche
sociali dell’arte in quanto sono connesse a un più ampio spettro di fini e pratiche
culturali.32
E l’arte memoriale sembra un buon punto di partenza.
Inoltre, collegare l’arte a più pratiche sociali ha un rilievo anche nelle politiche
educative. È difficile motivare la realizzazione di opere d’arte sotto l’egida delle teorie
moderniste dell’estetica, come il formalismo. Le persone in generale, e gli studenti in
particolare, sono esseri pratici. Connettere la realizzazione di opere d’arte a un fine
sociale quale quello della memoria, ha il vantaggio di fornire all’immaginazione un
problema concreto con cui confrontarsi. E questo incentiverà il desiderio artistico degli
studenti più di quanto non possano fare mantra astratti riguardo al valore intrinseco
dell’esperienza artistica. Riconnettere la produzione dell’arte con questioni sociali,
rivitalizzerà l’interesse degli studenti mentre, al tempo stesso, sottolineare il contributo
che l’arte può offrire alla società incoraggerà probabilmente investimenti più generosi
nell’educazione artistica, più di quanto la retorica dell’arte per l’arte sia in grado di fare.
Gli studiosi di estetica spesso lamentano una mancanza di rispetto nei loro riguardi,
dato che il loro ambito è considerato marginale dal grande pubblico e dagli altri filosofi.
È tempo di considerare la possibilità che la ragione di ciò risieda in loro stessi. Molti di
loro hanno sostenuto la dottrina secondo la quale il valore dell’arte dipende da nessun
altro parametro se non dall’esperienza estetica in sé. Forse chi non prende in seria
considerazione l’estetica è stato indotto dagli stessi teorici estetici dell’arte, i quali
ritengono che il valore dell’arte sia separato da ogni altro valore. Di conseguenza, ciò
conduce a considerare l’arte e l’estetica come marginali. E perché questo dovrebbe
sorprendere? Studiosi di estetica e artisti modernisti lasciano che l’arte rimanga nella
sua discreta nicchia, celebrando valori a se stanti e svincolati da tutto il resto. Chi non
prendono l’arte e l’estetica sul serio ha semplicemente preso gli studiosi modernisti di
estetica alla lettera, finendo per credere che se l’arte non è connessa ad altro interesse
all’infuori di se stessa, allora è di scarso o nullo interesse tanto per il grande pubblico
31 �
Ciò non toglie che alcune opere commemorative possa essere cattive: un’opera può assolvere malamente alla sua funzione e assolvere a tale funzione può non avere alcun valore. Forse il Memoriale dei Martiri a Baghdad che commemora la guerra Iraq-Iran, non merita molta attenzione per entrambe le ragioni. Anche Daniel A. Kaufaman in “Normative Criticism and the Objective Value of Artworks” in The Journal of Aesthetics and Art Criticism, 60, no.2 (Spring 2002): 151, suggerisce di valutare un’opera d’arte tenendo conto anche del modo in cui esegue le funzioni che si era proposta all’inizio. 32 �
Una raccomandazione simile sulla direzione presa dalla filosofia dell’arte può essere trovata in Wolterstroff, “Why Analytic Philosophy of Art Cannot Handle Kissing, Touching, and Crying.”
12
che per i filosofi, i quali, occupandosi di morale e politica, non sono studiosi di estetica.
Indubbiamente, questo non è quanto i modernisti e gli studiosi di estetica hanno
sostenuto. In tutta sincerità, essi si aspettavano che assegnare all’arte e all’estetica un
valore autonomo avrebbe condotto a una sorta di reverenza, anziché a un oblio nei
confronti di tali discipline. Ma la loro stessa retorica separatista invita a un’attitudine
che, nella migliore delle ipotesi, ha come suo esito l’indifferenza, se non ostilità e
disdegno. Ricontestualizzare l’arte e l’estetica entro un più ampio quadro di pratiche
sociali, quali la memoria, non sarà solo positivo per la società e l’arte, ma per gli stessi
studiosi di estetica.33
Traduzione a cura di Diego Ferrante e Marco Piasentier
33 �
L’autore desidera ringraziare Peter Kivy, Hugh Felix Carroll III, Laurie Beth Clark, Michael Peterson, e Gary Iseminger per il loro aiuto nella preparazione di questo saggio. Sebbene l’autore sia il solo responsabile per le sue manchevolezze. Questo saggio è stato presentato originariamente durante la sessione sull’arte memoriale all’incontro annuale della American Society for Aesthetics a Miami, Florida, nell’ottobre 2002.