Nicola Cacace Massimo Campidelli L’Ulivo deve vivere ...(conv. L. 27/02/2004 n° 46) art.1, DCB -...

16
Israele-Palestina. Dove finisce la strada Alberto Sardo pag. 12 Davvero l’Europa non fa più sognare? Emilio Gabaglio CRISTIANO SOCIALI NEWS - QUINDICINALE DEL MOVIMENTO DEI CRISTIANO-SOCIALI - Poste italiane spa - spedizione in A.P. D.L. 353/2003 (conv. L. 27/02/2004 n° 46) art.1, DCB - Roma editoriali di pag. 2 L’Ulivo deve vivere. Lettera aperta a Prodi di Mimmo Lucà Caro Romano, non possiamo permetterci di andare alle elezioni poli- tiche del 2006 senza l’Ulivo. Non è una questione di marketing. L’emergenza economica e il crescente di- sagio sociale, provocati dal fallimento della destra impongono un governo solido e un programma impe- gnativo. L’Ulivo oggi è innanzitutto questo: la promessa e la garanzia di coesione tra i riformisti nell’Unione, per affrontare un vero e proprio piano di ricostruzione del Paese. Senza l’Ulivo le dimensioni del successo del- l’Unione alle regionali non sarebbero state così ampie. E senza Ulivo temiamo che la stessa vittoria alle politi- che sarebbe in pericolo. Per questo abbiamo accolto con speranza il tuo annuncio di mantenere comunque “aperta la prospettiva dell’Ulivo”, pur in presenza (segue a pag. 16) 1giugno 2005 Anno IX - Numero 8 - 2 1giugno 2005 Anno IX - Numero 8 - 2 Emergenza Italia: un patto per ricostruire Nicola Cacace pag. 3 chiesa Il Papa e la pace nel segno di continuità Intervista a Mons. Luigi Bettazzi a cura di Ettore Colombo pag. 10 internazionale La responsabilità dei laici oltre i referendum Domenico Rosati Anno 2005. Ritorno alla povertà Massimo Campidelli pag. 8 primo piano

Transcript of Nicola Cacace Massimo Campidelli L’Ulivo deve vivere ...(conv. L. 27/02/2004 n° 46) art.1, DCB -...

Page 1: Nicola Cacace Massimo Campidelli L’Ulivo deve vivere ...(conv. L. 27/02/2004 n° 46) art.1, DCB - Roma editoriali di pag. 2 L’Ulivo deve vivere. Lettera aperta a Prodi di Mimmo

Israele-Palestina.Dove finisce la strada

Alberto Sardopag. 12

Davvero l’Europanon fa più sognare?

Emilio Gabaglio

CR

IST

IAN

O S

OC

IALI

NE

WS

- Q

UIN

DIC

INA

LE D

EL

MO

VIM

EN

TO

DE

I C

RIS

TIA

NO

-SO

CIA

LI-

Pos

te it

alia

ne s

pa -

spe

dizi

one

in A

.P.

D.L

. 35

3/20

03 (

conv

. L.

27/

02/2

004

n°46

) ar

t.1,

DC

B -

Rom

a

editoriali di pag. 2

L’Ulivo deve vivere.Lettera aperta a Prodi

di Mimmo Lucà Caro Romano, non possiamo permetterci di andare alle elezioni poli-tiche del 2006 senza l’Ulivo. Non è una questione dimarketing. L’emergenza economica e il crescente di-sagio sociale, provocati dal fallimento della destraimpongono un governo solido e un programma impe-gnativo. L’Ulivo oggi è innanzitutto questo: la promessa e lagaranzia di coesione tra i riformisti nell’Unione, peraffrontare un vero e proprio piano di ricostruzione delPaese. Senza l’Ulivo le dimensioni del successo del-l’Unione alle regionali non sarebbero state così ampie.E senza Ulivo temiamo che la stessa vittoria alle politi-che sarebbe in pericolo. Per questo abbiamo accoltocon speranza il tuo annuncio di mantenere comunque“aperta la prospettiva dell’Ulivo”, pur in presenza

▼ (segue a pag. 16)

1giugno 2005 Anno IX - Numero 8 - € 21giugno 2005

Anno IX - Numero 8 - € 2

Emergenza Italia:un patto per ricostruire

Nicola Cacacepag. 3

chiesa

Il Papa e la pacenel segno di continuità

Intervista a Mons. Luigi Bettazzi a cura di Ettore Colombo

pag. 10

internazionale

La responsabilità dei laicioltre i referendum

Domenico Rosati

Anno 2005.Ritorno alla povertà

Massimo Campidellipag. 8

primo piano

Page 2: Nicola Cacace Massimo Campidelli L’Ulivo deve vivere ...(conv. L. 27/02/2004 n° 46) art.1, DCB - Roma editoriali di pag. 2 L’Ulivo deve vivere. Lettera aperta a Prodi di Mimmo

2

La responsabilità dei laicioltre i referendum

I l doppio no franceseed olandese ha non

solo inferto un duro colpo al progetto di tratta-to costituzionale dell’Unione ma ha anche mes-so in luce, in due paese fondatori, il logora-mento patito dall’ideale europeo in larghi setto-ri dell’opinione pubblica. Il segnale d’allarme èforte e chiaro. Ne basta dire per esorcizzarloche altri 11 paesi hanno ratificato il Trattato (lasola Spagna però per via referendaria) o, comeè pur vero, che le motivazioni del no specie inFrancia, siano state del tutto contraddittorie, lar-gamente fondate su ragione di politica interna,impregnate di veteronazionalismo e di dema-gogia a destra come a sinistra. Sappiamo tuttiinfatti che l’euroscetticismo ha guadagnato ter-reno un pò ovunque in questi anni. Nel nostroPaese, reputato da sempre di sicura fede euro-peista, esso è addirittura alimentato dalle sferegovernative aldilà delle estemporanee ma non

per questo meno preoccu-panti sortite leghiste sullamoneta unica.“L’Europa non fa più sogna-re” ha commentato a caldo ilPrimo Ministro Lussembur-ghese Juncker ad indicareche la vera questione a que-sto punto non è tanto e solo ildestino del Trattato ma il futu-ro dell’Unione Europea. Delleconseguenze dei referendumsi occuperanno i Capi di Sta-to e di Governo nel ConsiglioEuropeo del 16 e 17 giugno.

di Emilio Gabaglio

segue a pag. 15

editorialeeditoriale

N ella concitazione dell’impegno perl’«astensione attiva» dei cattolici nei

referendum sulla procreazione assistita, è passato del tutto inosser-vato un documento della Commissione episcopale della Cei per il lai-cato, licenziato a fine marzo ma reso noto solo il 27 maggio. È untesto molto ampio ed articolato, come ormai è costume dell’episco-pato italiano, e perciò resta difficile individuare in esso una inten-zione diversa da quella riepilogativa ed esortativa. Ma vi si trovanopure spunti e considerazioni che avrebbero meritato, se le contin-genze lo avessero consentito, l’avvio di un momento di comune inda-gine attorno ad un tema decisivo quale è quello, sempre attuale econtroverso, del ruolo dei laici cristiani nella chiesa e nel mondo.L’esigenza di tale ricerca non sembra infatti estranea al desiderio deivescovi se è vero che il documento, dopo aver ripetutamente ribadi-to che sequela di Cristo e vita nel mondo non sono per il cristiano duevie separate, ma espressioni di una medesima chiamata alla santità,si esprime nel modo seguente: “Sull’importanza di una corretta sin-tesi tra fedeltà al Vangelo e responsabilità personale nell’applicarloalle scelte quotidiane nel dialogo tra Chiesa e mondo, dobbiamo tor-nare a riflettere insieme”. Di più: dopo aver respinto l’idea “che ci sia un’isola spirituale i cuiaffidarsi alla guida dei pastori, e uno spazio operativo, cioè il mondo,dove si è soli con la propria autodeterminazione”, il testo così prose-gue: “La responsabilità laicale comincia nel partecipare attivamente làdove si assumono i grandi orientamenti delle scelte cristiane sotto laguida dei pastori; la fedeltà a Cristo ed alla Chiesa continua là dovesi vive immersi nel mondo e nella relativa autonomia dei suoi ambiti”.Sicchè “parte integrante di questa sintesi di vita del laico è la capaci-tà di raccordare sapientemente il suo essere e servire nella Chiesa conil compito di animare cristianamente la realtà del mondo”. Sono concetti e frasi non certamente casuali, anche se la mancanzadi una contestualizzazione storica, purtroppo abituale nelle elabora-zioni ecclesiali italiane, non consente di comprendere, se non arischio di induzioni arbitrarie, quale sia oggi, rispetto al passatoremoto e prossimo, il punto sul quale cade l’accento e sulle motiva-zioni dell’enfasi sull’uno piuttosto che sull’altro aspetto dei tanti ar-gomenti affrontati. Così, la lettura induce sensazioni divergenti. Da una lato si coglie lapreoccupazione di ricondurre al massimo di unitarietà la vita dellecomunità cristiane in tutte le sue dimensioni, compresa la proiezione

Davvero l’Europanon fa più sognare?

di Domenico Rosati

▼ segue a pag. 14

Page 3: Nicola Cacace Massimo Campidelli L’Ulivo deve vivere ...(conv. L. 27/02/2004 n° 46) art.1, DCB - Roma editoriali di pag. 2 L’Ulivo deve vivere. Lettera aperta a Prodi di Mimmo

3

primo pianoprimo piano

A nche i dati del 2005 – Pil negativo, consumi in calo per la prima voltada 10 anni, export che continua a perdere quote rispetto all’Europa

ed al resto del mondo, produzione industriale ferma, investimenti ed occu-pazione stagnanti e soprattutto lo sforamento dei conti pubblici sotto accu-sa a Bruxelles – confermano che il paese è fermo, anzi va indietro sia permancanza di fiducia nei nocchieri che per un oggettivo calo di competiti-vità del sistema paese. Il modello di sviluppo del boom, basato su pochegrandi aziende ed una miriade di piccole e medie aziende la cui innova-zione di prodotto nasceva dalle menti operose di artigiani diventatiimprenditori e non da ricerca scientifica e tecnologica, è in via di estin-zione. Perché molte di quelle grandi imprese non ci sono più e perché l’in-novazione “artigianale” italiana, che pur tanto ha dato al successo delmade in Italy, non basta più. Tre miliardi di ex poveri del Sud est asiaticosi sono svegliati e concorrono direttamente con molti dei nostri prodotti disuccesso, nel tessile abbigliamento e calzature, nei mobili, ma anche nel-l’auto e nella meccanica, da poco anche in servizi come quelli informaticie dello spettacolo. I paesi europei che stanno reggendo meglio l’urto del-l’internazionalizzazione sono quelli che hanno fatto due rivoluzioni men-tre noi stavamo fermi, parlo dei paesi scandinavi, della Gran Bretagnadella Germania e dell’Olanda, della Francia e della Spagna. Hanno fattola rivoluzione liberale prima e la riconversione produttiva poi. Noi nonabbiamo mai fatto la prima, come dimostrato dalla mancata riforma delleprofessioni e della legge sui fallimenti, nonché dalla privatizzazione diEnel ed Autostrade che ha semplicemente mutato Monopoli statali inMonopoli privati. E non abbiamo neanche tentato la seconda. Mentre

paesi come la Finlandia trasformavano la Nokia, una fabbrica di stiva-li per pescatori nella leader mondiale delle telecomunicazioninoi uscivamo del tutto da settori come l’elettronica, la farma-ceutica, l’industria cinematografica e parzialmente da elettro-domestici (Zanussi agli svedesi di Electrolux) ed auto.

Premessa della ripresa è la riconferma del mercato come motore dellosviluppo e di uno Stato forte che ne determina gli obiettivi, un mercato

motore dello sviluppo ma non padrone; e di un nuovo Patto tra produtto-ri, di cui sono maturi i tempi, un Patto che premi lavoro e impresa contro

Emergenza Italia: un patto per ricostruire

di Nicola Cacace

Tutti gli indicatori economici confermano che il Paese arretra. Solo una rinnovata alleanza tra produttori,capace di premiare lavoro e impresa, puòrilanciare lo sviluppo

Page 4: Nicola Cacace Massimo Campidelli L’Ulivo deve vivere ...(conv. L. 27/02/2004 n° 46) art.1, DCB - Roma editoriali di pag. 2 L’Ulivo deve vivere. Lettera aperta a Prodi di Mimmo

le rendite parassitarie, immobiliari e finanzia-rie.. Alcuni temi centrali del Patto sono, i giovani, leimposte, la valorizzazione del lavoro e dellaproduzione, le politiche industriali e il Mez-zogiorno. L’invecchiamento della popolazione è il primofattore di declino dell’Italia, che ha dimezzatole nascite in pochi decenni. Gli italiani passe-ranno da 57 a 52 milioni in 20 anni ma con10 milioni di giovani in meno e 5 milioni di“vecchi” (ultrasessantacinquenni) in più. I vuotidovranno essere riempiti dall’immigrazione(150mila l’anno secondo l’Istat da oggi al2050) soprattutto nelle regioni, con meno di unfiglio per donna. Oltre ad una migliore politicadi immigrazione con integrazione, e non conesclusione come l’attuale legge Bossi-Fini, c’èbisogno di una politica per giovani e famigliasul modello svedese, un bonus e scuola gratisper ogni figlio sino al diciottesimo anno di etàpiù servizi sociali per rendere possibile l’au-mento del tasso di attività femminile a livelli

europei. Contemporaneamente loStato deve far diventare effettivo ildiritto all’istruzione, realizzandol’art.3 della Costituzione (è com-pito della Repubblica rimuoveregli ostacoli...), così ponendorealmente i giovani al centro dellesue politiche.

Tutti aspirano a pagar meno impo-ste ma anche a vivere in un paese

dove diritti fondamentali e fattori di svilup-po come istruzione, salute, infrastrutture sianogarantiti dallo Stato. Negli ultimi anni si sta tor-nando al passato, quando le tasse le pagava-no poveri e contadini, con le imposte dirette checalano (dal 33% al 29% delle entrate delloStato tra il novanta ed il 2003), e la progressi-vità che si riduce, ma soprattutto con l’aumen-

to delle imposte pagate da lavoratori e produt-tori rispetto ai detentori di patrimoni, mentrenon si riduce l’evasione fiscale, stimata al 30%.Ci si oppone con sdegno alla patrimonialeinvocata da Bertinotti, un estremismo pericolo-so, ma si tace sul fatto che una patrimoniale sullavoro non solo già c’è, ma con la finanziaria2005 è stata addirittura aumentata l’aliquotasul Tfr, indennità di fine rapporto, già oggisuperiore al 30%. Va detto con chiarezza che non è possibileabbassare la pressione fiscale al disotto dell’at-tuale 41% del Pil se si vuole uno Stato socialeall’europea e non all’americana (con pensioni,scuole e sanità private). E va contestato il teo-rema, enunciato dalla destra, della incompati-bilità tra crescita e pressione fiscale e tra cre-scita ed eguaglianza sociale. I record mondia-li dei quattro paesi scandinavi in materia di“eguaglianza sociale”, di Pil pro capite e diinvestimenti diretti esteri (Ide) in entrata dimo-strano una verità opposta. Svezia, Norvegia,Finlandia e Danimarca con pressione fiscalesuperiore al 50% del Pil, sono campioni mon-diali di crescita e di eguaglianza sociale (rap-porto dei guadagni tra il 20% della popolazio-ne più ricca ed il 20% della popolazione piùpovera, Scandinavia = 4, Europa = 6, Usa =14). Questi paesi si piazzano tra i primi seidella classifica dei paesi più ricchi del mondoed al primo posto assoluto per attrazione diinvestimenti fissi esteri, pari al 30% del totaleinvestimenti fissi, contro il 10% medio dei paesiindustriali ed il 2% dell’Italia. Va anche ricor-dato che il Giappone, l’altro paese che dividecon l’America il record del più basso livello dipressione fiscale, 30% del Pil si è invece distin-to per la crescita più bassa da più di 10 anni aquesta parte. Se la pressione fiscale complessi-va non si può ridurre dai livelli attuali, si puòridurre invece la pressione individuale con un

4

primo pianoprimo piano

Page 5: Nicola Cacace Massimo Campidelli L’Ulivo deve vivere ...(conv. L. 27/02/2004 n° 46) art.1, DCB - Roma editoriali di pag. 2 L’Ulivo deve vivere. Lettera aperta a Prodi di Mimmo

5

sistema fiscale che riduca l’evasione e con unaprogressività delle imposte che non discrimini illavoro produttivo. Si deve infine eliminare ilvantaggio di cui oggi godono le rendite finan-ziarie, tassate al 12,5% e lo svantaggio che pe-sa sui profitti, tassati al 33,5% oltre l’Irap, chefanno delle imprese italiane le più tassate almondo.“L’Italia, si può affermare statisticamente, non èpiù un paese fondato sul lavoro, è un paesefondato sui patrimoni” (G. Alvi, Corsera,15.01.01). In questi ultimi decenni infatti ilpeso di salari e lavoro autonomo sul Pil è pas-sato da tre quinti a due quinti mentre rendite eprofitti sono diventati prevalenti. La riduzionedella progressività realizzata sia con l’aumen-to delle imposte indirette che con il trattamentodei redditi di capitale privilegiati da una ali-quota sostitutiva di gran lunga più bassa dellealiquote cui sono soggetti i redditi da produ-zione e da lavoro ha prodotto una redistribu-zione dei redditi a favore dei ceti più abbienti.Questo è stato causa allo stesso tempo dellebolle di Borsa da parte delle classi favorite edel calo della domanda da parte della mag-gioranza della popolazione che non ha parte-cipato alla Bengodi. In Italia, tra il ’93 ed il2003, più di 3 punti di Pil si sono spostati dallavoro al capitale, privilegiando le rendite,malgrado l’aumento dell’occupazione dipen-dente (da 14,6 a 16,1 mil.), mentre il monteretribuzioni è rimasto costante in termini reali,con una perdita per lavoratore stimabile in 20milioni di vecchie lire in 10 anni. Si è realizza-to uno scambio tra disoccupazione e precarie-tà inaccettabile. E’ questa l’essenza della que-stione salariale e risolverla non è solo obiettivodi equità sociale, ma anche interesse economi-co del paese per rilanciare una domanda inter-na spenta. Ma questo non basta, anzi può

essere controproducente se non bilanciato daprovvedimenti a favore dell’offerta, un sistemaproduttivo che perde competitività, tra l’altroafflitto da nanismo industriale cronico. Per realizzare “la scossa” di cui parla il presi-dente Ciampi, servono alcune medicine pesan-ti. La prima dovrebbe consistere in una decisariduzione della pressione fiscale sulle impreseanche al fine di agevolarne la crescita dimen-sionale. Per bilanciare la riduzione di entratedalle imprese si dovrebbe agire con un aumen-to dell’attuale aliquota sostitutiva fissa sullerendite individuali anche per favorire un ritor-no alla fiscalità complessiva e progressiva ditutti i redditi, da lavoro e da capitale, nel solcodi intuizioni e proposte già avanzate in passa-to dalla sinistra. La fattibilità economica della proposta è desu-mibile dai dati sulla struttura delle impostedirette.Oggi (dati 2003) le entrate da imposte sullepersone giuridiche non solo si riducono masono molto scarse, 28,9 miliardi di euro cioè il16% del totale imposte dirette (177 mld euro)mentre l’imposta sostitutiva su interessi e divi-dendi è di solo 10,5 miliardi. Recuperare qual-che decina di miliardi fatti risparmiare alleaziende sarebbe possibile attraverso la viadella parificazione del trattamento dei redditiindividuali da capitale con quelli da lavoro, adesempio avvicinando l’aliquota sostitutiva fissasulle rendite dal 12,5% attuale a livello di quel-la sugli interessi bancari del 27%, magari conuna aliquota unica al 20%. Senza contare irecuperi possibili sul lavoro autonomo, le cuiimposte sono scandalosamente basse. Gli auto-nomi pesano il 27% sull’occupazione (6 m/22m) ed danno solo l’ 8% delle imposte sul reddi-to delle persone fisiche.Poiché i giovani disoccupati sono al 90% nel

primo pianoprimo piano

Page 6: Nicola Cacace Massimo Campidelli L’Ulivo deve vivere ...(conv. L. 27/02/2004 n° 46) art.1, DCB - Roma editoriali di pag. 2 L’Ulivo deve vivere. Lettera aperta a Prodi di Mimmo

6

primo pianoprimo piano

Mezzogiorno, e poiché gran parte delle inno-vazioni è prodotta dai giovani, abbandonare ilSud al sottosviluppo significa compromettereogni possibilità di modernizzazione del paese.La sfiducia degli italiani nel futuro è soprattuttola sfiducia dei giovani, giustificata dalla scarsa

attenzione con cui la politica tratta temi sensi-bili come la qualità della vita, i tempi di vita edi lavoro, l’impossibilità di qualsiasi progettofuturo nel regime di precarietà oggi prevalen-te. I sindacati hanno accettato la flessibilità manon hanno ottenuto le garanzie contro la pre-

Page 7: Nicola Cacace Massimo Campidelli L’Ulivo deve vivere ...(conv. L. 27/02/2004 n° 46) art.1, DCB - Roma editoriali di pag. 2 L’Ulivo deve vivere. Lettera aperta a Prodi di Mimmo

7

primo pianoprimo piano

carietà di cui parlava anche il compian-to prof. Biagi nel suo Libro Bianco.Portare dal 57% attuale al 70% il tassodi occupazione al 2010 secondo

l’Agenda di Lisbona è praticamenteimpossibile (servirebbero più di500mila nuovi lavori l’anno), anche seuna parziale detassazione del cuneo

fiscale, le imposte che gravano sul sala-rio, potrebbe consentire di avvicinalo.Oggi

va di moda in alcuni paesi europei di ope-rare una sorta di minaccioso trade off “o siaumenta l’orario a parità di paga o si delo-calizza la fabbrica”. E si citano un paio di

casi di cui il più noto è quello della Siemens inGermania. Tralasciando l’odioso aspetto “ri-catto” di proposte del genere, qualche consi-derazione economica si impone. Quando ildivario di costo lavoro tra Europa e Cina è diuno a dieci, se anche si aumentasse in Europal’orario del 10%, cioè da 40 a 44 ore a paritàdi salario, il divario di costo lavoro passerebbesemplicemente da 1/10 ad 1/9, che non è unariduzione risolutiva per la competitività. Ad undivario di queste dimensioni si può ovviare solocon un salto di qualità, ricerca e sviluppo, inno-vazione dei prodotti, creatività e formazione,cioè con una ristrutturazione dell’apparato pro-

duttivo verso i nuovi settori oggi completamen-te abbandonati. Svalorizzare lavoro e produzione come fattosin’ora, serve solo ad “annientare le migliorivirtù economiche, spegnere la laboriosità, dis-incentivare il risparmio, alterare l’equilibrio deiprezzi (es. delle case) e creare attitudini paras-sitarie” di cui il liberista Adamo Smith era bencosciente. Le misure di politiche industriali di tipo oriz-zontale, cioè valide per tutte le imprese di ognisettore (una politica industriale moderna vaintesa in senso lato, dato l’intreccio sempre piùstretto dei settori nella catena del valore) vannointegrate da politiche industriali di settore, cioèda politiche verticali, da aggiornare continua-mente nel tempo e nello spazio a seconda delleesigenze del tipo “crisi del made in Italy”, “crisidell’auto”, etc.Non è irrilevante infine un ripensamento criticosul modo con cui si sono fatte le privatizzazioniin Italia, che hanno prodotto arricchimento dipochi con impoverimento della struttura produt-tiva e della collettività. Oggi le banche italianesono le più contendibili dall’estero perché siamol’unico paese europeo che ha lasciato in manipubbliche meno del 30% del capitale delle mag-giori banche: in Francia, Germania, Spagna eGran Bretagna più del 45% del capitale dellebanche è ancora in mani pubbliche. Abbiamoprivatizzato l’Enel ed oggi siamo il paese chepaga l’energia elettrica il 30% più dei concor-renti mentre l’Enel è leader europeo dei profitti.Così come abbiamo le autostrade più care escassate d’Europa, con un’altra società privatiz-zata Autostrade leader europeo dei profitti.Privatizzare senza una vision degli obiettivistrategici equivale ad un suicidio industriale edeconomico. Che nessun paese europeo ha fatto.Errare umanum est, perseverare diabolicum.

Page 8: Nicola Cacace Massimo Campidelli L’Ulivo deve vivere ...(conv. L. 27/02/2004 n° 46) art.1, DCB - Roma editoriali di pag. 2 L’Ulivo deve vivere. Lettera aperta a Prodi di Mimmo

8

Uno dei dati, culturali prima ancora che mate-riali, peraltro non completamente dispiega-

to nei suoi effetti, di quattro anni del governoBerlusconi è il ritorno della disuguaglianza. Nonperché fosse stata eliminata, ma perché sempredi più si cristallizza, diventa un fatto “normale”,e la forbice tra chi ha e chi non ha (in termini difunzionamenti e capacità, non solo di reddito,per dirla con Sen), che poi nei fatti significa trachi è e chi non è, allargandosi, si consolida. In questi anni, insieme alle povertà vecchie enuove sono emerse pesanti differenze a livello difruibilità di beni essenziali: istruzione, lavoro,condizioni abitative, assistenza e salute. La so-cietà italiana è oggi più frammentata e, ancheper questo, più fragile. Ai più di due milioni difamiglie povere sappiamo che sono da aggiun-gere altri sei milioni di famiglie che vivono conreddito pari alla metà di quello medio. Insieme agli ultimi ci sono quindi anche i penul-timi e i terzultimi, sempre più consapevoli diessere tali: quelli della precarietà, dell’insicurez-za, della preoccupazione per un futuro di cui siha paura, delle nuove emigrazioni da sud anord, non solo del mondo, ma del nostro paese.Sono i giovani precari, i lavoratori delle azien-de che delocalizzano, gli anziani soli con pen-sioni al limite della sopravvivenza, famiglie incrisi dentro cui sempre più donne sole si trovanoa dover conciliare l’impossibile, la necessità diprodurre reddito e di accudire i figli. Il non aver definito i livelli essenziali di assi-stenza (liveas), elemento assolutamente fonda-mentale nel quadro della riforma del Titolo Vdella Costituzione, ha reso esponenziali questedifferenze perché vi ha inserito la variabilità, inpositivo o in negativo, territoriale.

L’ideologizzazione della sussidiarietà, con laimpropria contrapposizione tra quella orizzonta-le e quella verticale, ne ha fatto uno strumento dicopertura della cittadinanza negata, del ritornoa logiche di beneficenza, della privatizzazione egestione speculativa dei servizi essenziali.Alla cultura della integrazione e della coesionesociale, simboleggiata dalla 328 del 2000, siè contrapposta quella della destrutturazionedel capitale sociale, della competenza istituzio-nale, della capacità di governo di uno svilupposostenibile del welfare, attento ai cittadini e allecittadine, alle loro famiglie, della inefficienzagestionale. Forse non è un caso che nelle Regioni fulcro delmodello sociale della 328, peraltro coerentecon il modello sociale europeo o della qualitàsociale (da Amsterdam in poi), il centro sinistraabbia stravinto, mentre in quelle “berlusconia-ne” il centro destra ha perso o ne è uscito for-temente ridimensionato, come in Lombardia.Quando parliamo di disuguaglianza dobbiamoperò considerare un altro risultato di questoquadriennio, quello che riguarda la parte riccadella società, fatta di vecchi e nuovi arricchiti, dipersone e famiglie che dispongono di risorse eopportunità, materiali e non, sproporzionate,usate a volte come patrimonio che producenient’altro che rendita privata. La forbice tra ric-chi e poveri è aumentata progressivamente, econ essa sono dimagriti i ceti medi, alterando lastruttura dei consumi, distogliendo ingenti risor-se per rendite finanziarie che drenano la possi-bilità di investimenti per lo sviluppo, per il lavo-ro, per il welfare, per il benessere di tutti. A questo si aggiunge la questione della parte-cipazione fiscale. I cambiamenti realizzati o

L’azione del Governo ha aumentato la forbice tra chiha e chi non ha.Accanto agli ultimi oral’insicurezza e lapaura creanoanche i penultimie i terzultimi

Anno 2005.Ritorno alla povertà

di Massimo Campedelli

primo pianoprimo piano

Page 9: Nicola Cacace Massimo Campidelli L’Ulivo deve vivere ...(conv. L. 27/02/2004 n° 46) art.1, DCB - Roma editoriali di pag. 2 L’Ulivo deve vivere. Lettera aperta a Prodi di Mimmo

9

previsti gravano sempre di più su chi già è piùa rischio, sui bilanci degli enti locali, sulle risor-se disponibili per i servizi di welfare, quali lascuola, i servizi sociali, la sanità. Al contempofavoriscono vecchi e nuovi ricchi, ovvero i patri-monializzati, come li descrive il Censis nel suoultimo rapporto. La Finanziaria 2005 ha tagliato di 1/3 (meno670 milioni di euro) il Fondo nazionale per lepolitiche sociali. Se si tolgono le quote per l’as-sistenza economica diretta ai cittadini, quelloche rimane per la gestione dei servizi – ovveroquello che viene dato alle Regioni e agli altrienti locali – non supera i 320 milioni di euro(da questo punto di vista i tagli rappresentanoi 2/3). Parallelamente, i tagli complessivi per itrasferimenti verso gli enti locali sono compresitra il 12% e il 18% (a seconda delle voci) rispet-to a quanto dato nel 2004. I Comuni messi difronte all’impossibilità di creare entrate proprie(ad eccezione dell’Ici) e di tagliare servizi fon-damentali, denunciano l’impossibilità di impo-stare e gestire i propri bilanci di previsione. Il welfare è stato quindi messo a dura prova. Lacura a cui era stato sottoposto dal primoGoverno Amato in poi l’aveva portato alla finedecennio scorso in uno stato di convalescenzatendenzialmente positiva. Esso, uno dei pilastridel modello sociale europeo, è ritornato a fati-care nell’essere riconosciuto per la funzioneeconomica che svolge, non solo perché i servi-zi di welfare sono labour intensive, ma perchésenza questo sistema di protezione sociale lestesse attività economiche non potrebbero

avere, in termini di capitale sociale,di disponibilità di manodopera, disapere, quelle risorse che sonooggi indispensabili per competeresui mercati mondiali. Basta pensa-re alla progressiva agonia in cuiversano l’istruzione e la formazioneuniversitaria.

Tutto questo ha un rapporto stretto con lademocrazia. Se essa non rende credibile l’atte-sa di un miglioramento delle condizioni di vitamateriali, proprie e altrui, perde di valore. Loscambio ha il sopravvento sulla partecipazio-ne, la demagogia populista sostituisce la dis-cussione pubblica, la delega – anche versomodalità vetero e neo autoritarie – si impone. Dal punto di vista societario, il voto di aprile cisegnala che il nostro paese dispone ancora dianticorpi morali e civili su cui contare. Non possiamo però non sottolineare come l’in-dividualismo competitivo stia diventando lacifra del nostro convivere: si tratta di un fattopericoloso per quel patrimonio di solidarietàche le nostre genti, anche chi è arrivato piùrecentemente, sanno esprimere.Il terzo settore è direttamente interessato a ciòche sta avvenendo, soprattutto perché vicino atutti quei cittadini che, allo Stato, nelle suediverse rappresentazioni, chiedono aiuto.Partendo dall’esperienza maturata nel corsodegli anni, l’economia civile può fornire, oggi,una differente lettura della realtà sociale maanche suggerire modelli di intervento alternati-vi e guardare nel futuro con occhi diversi. Suquesti temi, che riguardano la definizione deidiritti e dei doveri di cittadinanza, si declina ilsignificato di Stato e di comunità, si disegna ilmodello di convivenza e di sviluppo sociale.Intervenire su questi temi non vuol dire difen-dere gli interessi particolari del terzo settore odelle sole fasce deboli. Le politiche sociali sonoper tutti i cittadini e servono a dare sicurezza,migliorare la qualità della vita, dire alle perso-ne che non sono sole di fronte alle difficoltà:servono, in altre parole, a promuovere comu-nità aperte, accoglienti e responsabili. Maanche con il terzo settore la politica di Ber-lusconi e compagnia ha dimostrato tutta la suainadeguatezza e contraddittorietà.

primo pianoprimo piano

Page 10: Nicola Cacace Massimo Campidelli L’Ulivo deve vivere ...(conv. L. 27/02/2004 n° 46) art.1, DCB - Roma editoriali di pag. 2 L’Ulivo deve vivere. Lettera aperta a Prodi di Mimmo

10

di Ettore Colombo

Intervista a monsignorLuigi Bettazzi,vescovo emeritodi Ivrea: “Credo che lagrazia collegatacon il suo nuovocompito ciimponga di nongiudicareBenedetto XVIsulla base delcomportamentodel cardinaleRatzinger”

I l vescovo emerito di Ivrea monsignor LuigiBettazzi accetta volentieri di rispondere alle

nostre domande sul nuovo papa Benedetto XVI.Pacifista convinto, animatore del movimento diPax Christi (di cui è presidente della sezioneinternazionale mentre la sezione italiana èdiretta dal vescovo della diocesi di Termoli eLarino monsignor Tommaso Valentinetti), è dasempre in prima fila nella spinta conciliare perun rinnovamento vero e profondo della Chiesache la ponga al serio degli umili e dei poveri.E degli operatori di pace. Teoricamente, unodei prelati che dovrebbe essere più lontano dalnuovo Papa ma monsignor Bettazzi riponemolta fiducia in Benedetto XVI e insiste su unconcetto: “Il Papa assume il compito di testimo-niare la comprensione e la misericordia delPadre che è nei cieli. Non possiamo giudicarequesto Papa da quanto faceva come cardinale,in un ruolo che era per natura di stretta e rigo-rosa difesa della tradizione e precauzione con-tro le novità”.

Monsignor Bettazzi, Giovanni Paolo II urla-va: “Basta guerra!”. Benedetto XVI vorràgridarlo ancora se se ne presenterà l’occa-sione? E userà accenti diversi da quelli delsuo predecessore sull’argomento?

Penso che la vicinanza del cardinal Ratzingercon Giovanni Paolo II lo porterà a non allonta-narsi dalle sue posizioni. E’ vero che il suolungo compito alla Dottrina della Fede lo hareso molto più attento ai problemi interni dellaChiesa ma già nell’udienza ai diplomaticiaccreditati presso la Santa Sede ha parlato conconvinzione del tema della pace. Le sue primepreoccupazioni sono state rivolte alla vita inter-na della Chiesa cattolico e al rapporto con lealtre Chiese cristiane e con le altre religioni mapresto sarà chiamato a sviluppare l’impegno

profetico per la non violenza, seguendo il solcosegnato dal magistero di Giovanni Paolo II.Già dal nome, del resto, il richiama aBenedetto XV, il papa degli appelli per la pacenel corso della Prima Guerra Mondiale, eraevidente.

Quale impulso e quali rapporti si potrannocreare tra il nuovo papa e i cattolici piùimpegnati nei movimenti per la pace, a par-tire da Pax Christi?

Credo che il suo impegno dichiarato verso lacollegialità, cioè la condivisione di responsabi-lità nei confronti degli altri vescovi, lo renderàattento all’intero pluralismo di sensibilità e diposizioni del mondo cattolico.

Pace vuol dire anche nuovo impulso al dia-logo interconfessionale all’interno delleChiese cristiane, con i fratelli separati orto-dossi in primo luogo e con i protestanti?

Il Papa è tedesco di nascita e di formazione, èstato pastore nel suo Paese, abitato da cattolicie protestanti. La comprensione e la collabora-zione alimentate dal Concilio Vaticano II nonpossono non aprirlo ad un dialogo sempre piùfruttuoso. Anche il dialogo con la Chiesa russapotrebbe riuscire più facile a lui che non alpapa polacco.

Quali le possibilità che nuovi ponti religiositra Europa cristiana ed Islam favoriscano lapace in Medio Oriente e in particolare inTerra Santa? Basta la forte apertura al dia-logo con gli Ebrei?

Mi rifaccio anche qui alla collaborazione cosìstretta con Papa Giovanni Paolo II, di cui il car-dinal Ratzinger non può non aver condiviso leaspirazioni ed i passi concreti nell’infittirsi delsuo dialogo con gli Ebrei (visita del Papa allasinagoga di Roma e visita a Gerusalemme).

chiesachiesa Il Papa e la pacenel segno di continuità

Page 11: Nicola Cacace Massimo Campidelli L’Ulivo deve vivere ...(conv. L. 27/02/2004 n° 46) art.1, DCB - Roma editoriali di pag. 2 L’Ulivo deve vivere. Lettera aperta a Prodi di Mimmo

11

Credo che, pur con le sue personali caratteri-stiche, ne continuerà il cammino.

Il nuovo Papa ci stupirà, hanno detto in molti.Ma sulle frontiere etiche e sui problemi mora-li (bioetica, diritto alla comunione dei divor-ziati, coadiuvazione dei laici nell’eserciziosacerdotale) vede possibili aperture o chiusu-re, nel nuovo magistero petrino?

Il compito assolto dal cardinale Ratzingerera di natura sua restrittivo di tutte le fughe

in avanti. Ora che un altro sarà chiamato adassolvere quel compito, penso che sarà piùlibero di affrontare i problemi con tutte lepossibili aperture. Pare ad esempio che fossegià in istudio il problema dei sacramentinella vita dei divorziati. Credo che la grazia collegata con il suonuovo compito ci imponga di non giudicareBenedetto XVI sulla base del comportamentodel cardinal Ratzinger.

“Qualunque sia il risulta-to del referendum, i

temi della bioetica e la stessaquestione della procreazioneassistita continueranno ad esse-re oggetto di confronto culturale

e di dibattito politico”. Lo affer-ma Giorgio Tonini, senatore cri-stiano sociale - Ds, nell’Intro-duzione del suo libro “La ricer-ca e la coscienza. La procreazio-ne assistita tra legge e referen-dum”, edito dal quotidiano IlRiformista e in vendita nelle edi-cole. È un auspicio, forse, maanche una certezza: che su temicosì non ci si possa fermare adun puro scontro politico. Anzi,c’è la speranza – e da parte dichi ha scritto anche l’impegno –“che le ragioni del dialogo edella mediazione possano coltempo prevalere”.Il libro nasce infatti dall’accani-ta opera di mediazione cheTonini ha cercato di compiere inSenato per arrivare ad un testodi legge condiviso e riconosciu-to, che non fosse approvato amaggioranza e poi (come è acca-duto) sottoposto alla contesta-zione referenderaria.Lavoro lungo, di mesi e mesi,fatto di ascolto, studio, esami,discussioni e proposte (che siritrovano anche per intero inappendice). Non un testo specialistico, dun-

que, come dice lo stesso autore. L’esito normativo è quello checonosciamo. Ma queste restanopagine “pacate, documentate,ragionate, scritte per di più conparole e argomenti semplici chesono essenziali per aiutare glialtri a capire, giacché di questoc’è soprattutto bisogno” (dallaprefazione di Giuliano Amato).Il punto basilare di Tonini va aldi là di questa pur fondamenta-le questione che tratta diiembrioni, tutela dei diritti delladonna e della ricerca scientifica:il punto di base è rifuggire “lospettro del bipolarismo etico”,una tentazione pericolosissima,con possibili esiti devastanti sulpiano culturale e sociale, chevede da una parte schierati isostenitori “della tigre del fon-damentalismo proibizionista”,dall’altra quelli del “positivismoiconoclasta, che invoca dallascienza, in alleanza con la politi-ca, l’instaurazione di un mondofinalmente liberato dalla schia-vitù della natura e della tradi-zione”. Procedere sullo scontrotra queste due posizioni sarebbecome minimo improduttivo. Maè, purtroppo, la linea che sem-bra prevalere, indipendente-mente dall’esito del referen-dum.Per questo il libro assume ilvalore di un preziosissimo con-tributo ad un processo decisa-mente più produttivo: fondato,al contrario, sull’incontro, suldialogo, sulla contaminazione

tra le diverse culture e visionietiche e antropologiche. Solocosì “possono scaturire soluzio-ni politiche e legislative ‘buone’,all’altezza della complessità deiproblemi e della pluralità deivalori in gioco” Tonini nonvuole rassegnarsi ad una derivaagonistica del confronto suigrandi temi che l’umanità oggideve affrontare. La logica dei numeri (maggio-ranza/opposizione; votanti/aste-nuti; favorevoli/contrari, ecc.)non porta da nessuna parte epuò valere in un Paese (Usa,Italia, e cosi’ via) in un senso, ein altri (vedi Spagna) in un sensoopposto. Ma è proprio così diffi-cile pensare di perseguire un’al-tra strada? È un cammino faticoso, senzadubbio: non nonostante, maproprio perché “ricerca ecoscienza sono due inscindibilidimensioni dell’unica avventuraumana: quella dell’umanizza-zione del mondo e dell’uomostesso”. Ricerca e coscienza: fari, busso-le, mappe di vita, che Tonini siporta dietro dalla sua non cosìlontana esperienza associativaecclesiale e che segnano il suopercorso politico, sebbene daqualche parte si sono espresseperplessità, a causa delle suedichiarate scelte in merito alreferendum, circa un’autentici-tà di cammino che davvero nonpuò così facilmente essere messoin discussione.

La ricerca e la coscienzadi V. S.

La procreazioneassistita tra legge e referendum. Un libro diGiorgio Tonini

Page 12: Nicola Cacace Massimo Campidelli L’Ulivo deve vivere ...(conv. L. 27/02/2004 n° 46) art.1, DCB - Roma editoriali di pag. 2 L’Ulivo deve vivere. Lettera aperta a Prodi di Mimmo

12

L’ annuncio del rinvio delle elezioni legislati-ve per il rinnovo del parlamento palestine-

se, da parte del presidente Abu Mazen, sonostate precedute da anticipazioni e smentite chehanno permesso di sondare il campo. A partele dure dichiarazioni contrarie, provenienti dadiverse parti politiche tra cui una corrente diFatah stessa, lo slittamento della consultazionenon dovrebbe provocare troppi smottamenti.Semmai può essere servito ad avvicinare, sualcuni temi come le elezioni, le posizioni di par-titi come Pflp e Dflp. Le elezioni palestinesi, amministrative e legisla-tive, rientrano, tra l’altro, nel processo di raf-forzamento democratico degli organi di rap-presentanza previsto dalla road map. Le rifor-me messe in atto dall’Anp dovranno esseresupportate a diversi livelli istituzionali e non,per dare dei frutti tangibili nel medio periodo.Il ritiro da Gaza e da quattro punti dellaCisgiordania avverrà in agosto e rientra in unpiano che prevede diverse fasi per la sua rea-lizzazione; e la liberazione di quattrocentodetenuti palestinesi da parte dell’autorità israe-liana denota una volontà di coerenza nella ese-cuzione del programmato ritiro. Non appena sicompleterà si creerannole condizioni stabilite daIsraele per alleggerire lapressione militare ed esi-mersi da qualsiasi respon-sabilità nei confronti delpopolo palestinese; a par-tire dagli obblighi inter-nazionali scaturiti dallaratificazione della QuartaConvenzione di Ginevra. Una delle incognite deldopo ritiro è proprio lapossibilità di governarel’emergenza da parte del-

l’autorità palestinese. La gestione delle frontie-re resterà sotto il controllo di Israele, così comelo spazio aereo e portuale e il valico al confinecon l’Egitto. Lo sfruttamento delle falde acquife-re sarà principalmente ad opera degli israelia-ni e il rischio desertificazione nella striscia diGaza è una prospettiva tangibile. Infatti l’ec-cessivo sfruttamento delle falde dell’areadurante l’occupazione ha facilitato l’infiltrazio-ne di acque salate che rischiano di compro-mettere alcune riserve. La road map prevedeincontri tra esperti israeliani e palestinesi sultema dell’uso dell’acqua, nel tentativo di trova-re una soluzione. In Cisgiordania vi sono diversi problemi ed unadiversa realtà. Innanzitutto non è chiaro il futu-ro status di Gerusalemme est. Se la legge fon-damentale dello stato di Israele ha di fattoannesso a se la sovranità su essa, vi sono espo-nenti di spicco come Shimon Perez che tutt’og-gi parlano di errore fatto nel 1967 e reiteratonella costituzione. D’altro canto per molti pale-stinesi è irrinunciabile l’idea di Gerusalemmecapitale del futuro stato. Sia la road map che ilpiano unilaterale di Sharon non rispondono atali quesiti e ad altri come la continuità territo-

di Alberto Sardo

Il rischio di frammentazionepolitica comune ai due stati è oggi una dellemaggiori incognite delprocesso di pace

Israele-Palestina.Dove finisce la stradainternazionaleinternazionale

Page 13: Nicola Cacace Massimo Campidelli L’Ulivo deve vivere ...(conv. L. 27/02/2004 n° 46) art.1, DCB - Roma editoriali di pag. 2 L’Ulivo deve vivere. Lettera aperta a Prodi di Mimmo

13

riale in Cisgiordania, il muro di separazione ela gestione tranfrontaliera. Secondo il pianodel “Quartetto” lo stato palestinese dovrebbesorgere entro il 2005. Viene però difficileimmaginare uno stato senza un aeroporto. Intal senso il governo Sharon ha fatto sapere dinon ritenere maturi i tempi per affrontare laquestione.Il malcontento tra la popolazione è soprattuttosotterraneo ma presente da entrambe le parti.Per molti palestinesi le questioni legate al rilasciodei prigionieri (ottomila detenuti) e al diritto diritorno in patria dei rifugiati, sono rilevantiquanto di difficile soluzione. Allo stesso tempo èrecente la notizia che diversi residenti di zoneoccupate che rientrano nel piano di ritiro hannochiesto di rimanere ad abitare le loro case rico-noscendo l’Autorità Nazionale Palestinese. A talproposito Mahmud Abbas è stato possibilista. Sidiscute inoltre del destino delle costruzioni resi-denziali e delle infrastrutture dei settlements; inmolti, sia israeliani che palestinesi, ne chiedonola distruzione. Forse memori delle vicende di chiha perso la propria casa e ne ha conservato lechiavi per generazioni. In tale contesto si registra la quasi totale fram-mentazione dei due sistemi politici. NellaKnesset se si esclude la supremazia del partitodel premier, vi è una selva di partiti della destraortodossa che in buona parte non sono dispo-sti ad accettare uno stato palestinese. Nel par-lamento palestinese vi è un incognita rilevantedettata dal lungo arco di tempo in cui non sisono svolte elezioni. Di modo che nessuno è

oggi capace di ipotizzare con ragionevoleapprossimazione la futura composizione del-l’assemblea. Il Dflp e il Pflp escono dal parla-mento con una folta rappresentanza che non èperò in armonia con i risultati delle ultimeamministrative. Fatah è divisa al suo interno;Hamas (oggi non presente nel Plc) aspira ad unruolo di primo piano (anche se ciò non saràscontato sia per il valore di opinione che assu-mono elezioni generali che per le vicende lega-te al ritiro che potrebbero condizionare l’elet-torato). Alcuni analisti sostengono che entram-be le parti tendono ad enfatizzare il conflittoverso l’esterno per nascondere la frammenta-zione e l’impasse al proprio interno. Ma sipotrebbe anche pensare il contrario e cioè chela tensione ed il conflitto hanno portato inevita-bilmente a tale situazione politica. Anche se alcune decisioni contenute nei pianiper facilitare il processo di pace sembranoessere ormai irreversibili, suonano stonate ledichiarazioni di alcuni esponenti del governoisraeliano che minacciano la sospensione delritiro se le violenze non cesseranno.Per quanto controversa, criticabile e non esau-stiva del problema, la road map ha fissatonuovi obiettivi dopo Oslo e una loro temporiz-zazione. A ciò sembrano aggrapparsi i media-tori e le diplomazie, anche se vi è un netto ritar-do sui tempi di esecuzione. Ma quando finiràla strada si potrà solo tornare al negoziato edal dialogo che privilegino le posizioni delleparti coinvolte in modo paritario.

Page 14: Nicola Cacace Massimo Campidelli L’Ulivo deve vivere ...(conv. L. 27/02/2004 n° 46) art.1, DCB - Roma editoriali di pag. 2 L’Ulivo deve vivere. Lettera aperta a Prodi di Mimmo

14

È auspicabile che essi si attenganoalla dichiarazione allegata alTrattato che prevede che solo dueanni dopo la firma, cioè nelnovembre del 2006, il Consiglio

Europeo decida il da farsi qualora quattro quintidei Paesi membri lo abbiamo ratificato e uno opiù abbiano invece incontrato un rifiuto. Non c’èragione infatti per fermare un processo in cui 14Paesi devono ancora esprimersi quasi che fran-cesi ed olandesi possano decidere per tutti i citta-dini europei. Questa tesi tuttavia deve ora fare iconti con la decisione del governo britannico dicongelare il referendum nel proprio paese. Unascelta questa che date le circostanze si vuole dicarattere pragmatico ma che non riesce a celarela tiepidezza con la quale Londra ha accolto findall’inizio la proposta di Trattato e che comunquenon è il miglior viatico per il futuro.Malgrado i suoi limiti, ben presenti anche aquelle forze politiche e sindacali che si sono ge-nerosamente impegnate per sostenerlo, il testocostituzionale merita infatti di essere salvato, senon nelle sue forme attuali nei suoi contenutipiù significativi, a cominciare dalla Carta deiDiritti. Per riuscire in questo intento non saran-no però sufficienti le alchimie diplomatiche. Alpunto in cui stanno le cose ciò che serve è unforte rilancio politico del progetto europeo inquanto tale in modo che esso riacquisti credi-bilità e capacità di attrazione. Troppo e troppo a lungo il consenso all’integra-

zione europea è stato dato per scontato mentreera ed è indispensabile non solo ribadirne leragioni storiche e la necessità attuale se l’Europavuole avere un futuro nel mondo globalizzato,ma anche provare in concreto che l’integrazionerappresenta un valore aggiunto per il mondo dellavoro, per le nuove generazioni e i cittadini ingenerale, per le loro attese e i loro bisogni.Il fatto che dopo l’introduzione dell’Euro l’Unionesia rimasta a metà del guado non sapendo enon volendo diventare l’attore del suo propriosviluppo, adottando politiche coordinate e piùvolontariste per la crescita economica e per l’oc-cupazione, non ha certo deposto a suo favorecosì come non aiutano la permanente reticenzadei governi a sviluppare l’Europa sociale o ini-ziative improvvide come la Direttiva Balkensteinsulla liberalizzazione dei servizi.I prossimi mesi saranno decisivi per superare lacrisi in cui l’Unione è caduta e anche la fami-glie politiche europee dovranno assumersi laloro parte di responsabilità per ricreare quelconsenso popolare oggi rimesso così severa-mente in forse. Lo stesso partito del socialismoeuropeo non potrà sottrarsi a questo compito,come di già del resto propongono i socialistifrancesi che hanno pagato un prezzo moltoalto nelle vicende referendarie, promuovendoun dibattito chiarificatore anche se probabil-mente non indolore, su quale Europa essointenda contribuire a costruire.

Emilio Gabaglio

Abbonatevi a C.S. News“ITALIA SOLIDALE”

Costi per abbonamento annuale(minimo 18 numeri)

€ 26,00 - abbonamento ordinario€ 50,00 - abbonamento sostenitore

c/c postale n. 19943000 intestato a:

ASS.NE CRISTIANO SOCIALI Piazza Adriana, 5 - 00193 Roma

Davvero l’Europanon fa più sognare?

segue da pag. 2

Page 15: Nicola Cacace Massimo Campidelli L’Ulivo deve vivere ...(conv. L. 27/02/2004 n° 46) art.1, DCB - Roma editoriali di pag. 2 L’Ulivo deve vivere. Lettera aperta a Prodi di Mimmo

15

sociale e politica, dal-l’altro si rivolge “allaicato delle nostreChiese” l’invito espli-cito “ad aiutarci a leg-

gere la mappa del nostro tempo e a concor-rere efficacemente per far crescere un nuovomodello di vita ispirato ai più alti valoriumani e cristiani”: un appello che non perderespiro anche se viene subito rubricato come“un grande contributo al progetto culturaledella Chiesa italiana”.“C’è bisogno – questa è la conclusione – diuna “nuova primavera del laicato che possaletteralmente rianimare, in forme significativee comunicabili, tutti gli ambiti di vita in cui unfedele laico può esser e apostolo: nell’evan-gelizzazione e santificazione, nell’animazio-ne cristiana della società, nell’opera caritati-va, nell’azione pastorale della Chiesa, cosìcome nella famiglia e nella vita pubblica; informe individuali e ed associate; delineandoun nuovo stile di vita, segnato dalla conver-sione dell’intelligenza e degli affetti, in cuil’intera rete delle relazioni con se stesso, congli altri e con il creato, sia abitata dal soffiodello spirito”. L’esegeta scrupoloso potrebbe, a questo pun-to, mettersi – e non sarebbe impresa ardua –alla ricerca degli anelli mancanti tra le pro-

posizioni del Concilio VaticanoII sul tema dei laici, della loro

“indole secolare”, del lorodiritto-dovere di elaboraree far conoscere il propriopunto di vista assumendone

la piena raponsabi-lità, sul divieto dirivendicare su unaparticolare opinio-ne l’autorità dellaChiesa. Ma sarebbe scor-retto riversare suuna Commissioneepiscopale l’oneredello scostamentodal lessico conci-liare, un fenomeno

che si è già manife-stato, ad esempio, nella

Nota dottrinale (2002) della Congregazioneper la Dottrina della fede sull’impegno politi-co dei cattolici e nello stesso recentissimo“Compendio” della dottrina sociale dellaChiesa. Più appropriato e utile sembrerebbe inveceassecondare l’intenzione dichiarata del do-cumento in tutti i passaggi che convalidano l’e-sigenza del dialogo, della ricerca comune, dellaricognizione dei problemi e delle difficoltà. È un itinerario probabilmente disagevole masicuramente produttivo lungo il quale, peroffrire uno spunto concreto, verificare se equanto e come sia stato possibile ai laici cri-stiani esercitare la loro responsabilità neiluoghi in cui si assumono le scelte più impor-tanti; se, ad esempio, la mancata costituzio-ne di quel “luogo di incontro e di confronto”tra le diverse esperienze e culture (un’istanzache risale al Convegno ecclesiale del 1976)non abbia ostacolato e la comprensione del“pluralismo” come realtà da animare e noncome minaccia da cui difendersi.L’aiuto che i laici coinvolti nella cose delmondo possono dare ai vescovi nella letturadella mappa del nostro tempo non può esse-re, del resto, che l’autenticità della esperien-za concreta che ciascuno compie con rettaintenzione nella costruzione della città del-l’uomo.Questa non è un’impresa da svolgere in regi-me di franchigia etica, ma esige una flessibi-lità costruttiva (Moro) nel perseguire “le cosebuone o riducibili al bene” (Giovanni XXIII)con tutti gli uomini di buona volontà. Unacomunità cristiana aperta e profetica rafforzala testimonianza dei laici e ne esalta laresponsabilità, mentre l’assunzione in primapersona, da parte della Gerarchia, dell’one-re delle mediazioni pratiche toglie ai laici illoro “proprio” e rischia di conferire, involon-tariamente, un marchio di… ortodossia acontenuti che ottengono un qualche avalloecclesiastico. Per tacere dei tanti “atei devo-ti” che si genuflettono per avere un puntello dipotere. Se, passata la tempesta referendaria, su que-sto ed altro si “torna a riflettere insieme” nonsarà primavera solo per il laicato ma per l’in-tero popolo di Dio che è in Italia.

Domenico Rosati

La responsabilità dei laicioltre i referendum

segue da pag. 2

Page 16: Nicola Cacace Massimo Campidelli L’Ulivo deve vivere ...(conv. L. 27/02/2004 n° 46) art.1, DCB - Roma editoriali di pag. 2 L’Ulivo deve vivere. Lettera aperta a Prodi di Mimmo

16

delle attuali, gravi difficoltà.Per questo i Cristiano Socialihanno deciso di sostenerti nel-l’impresa.Fraternamente, però, non vo-

gliamo nasconderti le nostre preoccupazio-ni. L’asprezza del confronto tra i leaderriformisti produce sconcerto tra gli elettori,mina la credibilità del progetto e, forsequel che più conta, semina un dubbio sullacapacità del Centrosinistra di produrre unavalida alternativa al disastroso, e ormaiimpopolare, governo Berlusconi.Consideriamo sbagliata e pericolosa, an-corché legittima, la decisione assunta dal-l’assemblea federale della Margherita.Sbagliata perché contraddittoria con la riba-dita intenzione di sviluppare la Federazionedell’Ulivo che esclude la competizione tra leforze riformiste. Pericolosa perché potrebbeessere strumentalizzata per ipotesi neocentri-ste. Per parte nostra continuiamo a ritenereessenziale la Margherita alla costruzionedella Casa comune dei riformisti italiani, chenon è un partito unico, ma molto di più per icittadini: un vincolo di cooperazione neces-sario a sostenere un governo che deve risol-levare l’Italia, ricominciando finalmente apensare al suo futuro.I Cristiano Sociali sono nati con il bipolari-smo e in funzione di un progetto di con-vergenza tra le grandi culture democrati-che: quella cattolica, quella socialista equella laica. L’obiettivo era di integrare maggiormentechi, pur provenendo da storie diverse, avevaormai un progetto di governo comune. E di

dare all’Ulivo la fisio-nomia più impegnati-va di un soggetto poli-tico attivo. Alle elezio-ni europee, come aquelle regionali, l’im-presa ha fatto un im-portante passo avanticon la lista unitaria.Tornare ora indietrosarebbe un colpo perla credibilità stessadell’intero centrosini-stra, non solo di chi ha

con sincerità e coraggio investito sulla listadell’Ulivo.Il no della Margherita pone un grave pro-blema. Se da un lato il suo ruolo è essen-ziale per la Casa dei riformisti, dall’altro lasua autonoma decisione non può trasfor-marsi in un veto ad una maggiore integra-zione degli alleati. Per questo, caro Ro-mano, ti chiediamo di fare ogni sforzo perridurre le incomprensioni e i dissensi e cer-care, insieme a tutte le forze della Fe-derazione, un percorso comune che valo-rizzi le convergenze fin qui costruite e defi-nisca al più presto un programma piena-mente condiviso da tutta la coalizione.L’unità nell’Ulivo e nell’Unione è ormai unanecessità per il Paese, prima che una con-venienza elettorale: per questo riteniamoche tutti debbano compiere un sforzo invista di un accordo di alto profilo, che nonci rassegniamo a ritenere impossibile. Inogni caso la rotta dell’Ulivo non può cam-biare. L’impresa storica, come tu spessoripeti, di superare le divergenze tra i diver-si riformismi non può essere abbandonata,al di là delle scelte contingenti della prossi-ma campagna elettorale. I Cristiano Socialisono al tuo fianco per raggiungere questoobiettivo, con un impegno forte e respon-sabile in questo processo. Queste, caroRomano, sono le conclusioni cui è perve-nuto oggi il nostro Comitato esecutivonazionale. Con sempre viva amicizia

Mimmo Lucà

CRISTIANO SOCIALI NEWS QUINDICINALE DEL MOVIMENTO DEI CRISTIANO SOCIALI

Sede Nazionale del MovimentoPiazza Adriana,5Tel.06/68300537-38 Fax 06/68300539

Editore: Il Bianco e Il Rosso scarl editoreRedazione: Piazza Adriana, 5 - RomaDirettore Responsabile: Vittorio SammarcoDirettore Editoriale: Domenico LucàAutorizzazione: Tribunale di Roma, n.00424-97 del 4/7/97Progetto grafico e impag.: Daniela Mattioli - Aesse ComunicazioneStampa:

ww

w.c

rist

ianoso

ciali

.it

itali

aso

lidale

@cr

isti

anoso

ciali

.it

L’Ulivo deve vivere.Lettera aperta a Prodi

segue da pag. 1