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PLUS MAGAZINE 11 Supplemento a La voce dei bancari – Periodico trimestrale per la cultura e il tempo libero – Numero XI - dicembre 2015 IN QUESTO NUMERO CARLO ALBERTO CARNEVALE MAFFÈ SONO PRONTE LE BANCHE ALLA SFIDA DEL TERZO MILLENNIO? ANNALISA BRUCHI TUTTO È ECONOMIA E TUTTO QUELLO CHE FACCIAMO MUOVE L’ECONOMIA A COLAZIONE CON... SABA ANGLANA COME CI CURERÀ LA MEDICINA DEL FUTURO? CONFERENZA MONDIALE “THE FUTURE OF SCIENCE” INCONTRANDO GABRIELE LAVIA EZIO BOSSO UNA VITA PER LA MUSICA CHE GLI REGALA LA VITA BUDAPEST, FASCINO ALGIDO CONVENZIONI NAZIONALI DA PAGINA 52 diva da red carpet MONICA BELLUCCI

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PLUS MAGAZINE 11

Supplemento a La voce dei bancari – Periodico trimestrale per la cultura e il tempo libero – Numero XI - dicembre 2015

IN QUESTO NUMERO

CARLO ALBERTO CARNEVALE MAFFÈSONO PRONTE LE BANCHEALLA SFIDA DEL TERZO MILLENNIO? ANNALISA BRUCHITUTTO È ECONOMIA E TUTTO QUELLOCHE FACCIAMO MUOVE L’ECONOMIA A COLAZIONE CON... SABA ANGLANA COME CI CURERÀ LA MEDICINA DEL FUTURO? CONFERENZA MONDIALE “THE FUTURE OF SCIENCE” INCONTRANDO GABRIELE LAVIA EZIO BOSSOUNA VITA PER LA MUSICA CHEGLI REGALA LA VITA BUDAPEST, FASCINO ALGIDO

CONVENZIONI NAZIONALI

dA pAgINA 52

diva da red carpetMONICA BELLUCCI

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11 Copertina 4 Monica Bellucci: diva da red carpet teCnoFUtUro 8 Ecco la rivoluzione industriale 4.0: sono pronte le banche alla sfida del terzo millennio? protagonisti 12 Annalisa Bruchi: tutto è economia e tutto quello che facciamo muove l’economia ospiti 16 A colazione con... Saba Anglana eVenti 18 Come ci curerà la medicina del futuro? protagonisti 22 Incontrando Gabriele Lavia neWs 26 Grattacieli sempre più alti: la nuova frontiera protagonisti 28 Ezio Bosso: una vita per la musica, che gli regala la vita MoDa 32 Posh... reCensioni 40 Film, libri, mostre, musica, teatro MappaMonDo 46 Budapest: fascino algido

52 ConVenzioni nazionali

S O M M A R I O

plUs MagazineSupplemento a La voce dei bancariPeriodico trimestrale per la cultura e il tempo libero

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Direttore responsabilePaolo Panerai

Direttore editorialePaola Gomiero

segreteria di redazioneChiara Attolico

photo editorAlessandro Lercara

Hanno collaborato a questo numero:Benedetta Breveglieri, Mauro Bossola,Pietro Gentile, Dario Migliardi, Barbara Odetto, Barbara Oggero.

FotografieArchivio Stilisti, Filippo Milani, Barbara Oggero, Ufficio Stampa Fondazione Veronesi.

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stampaGarabello Artegrafica – San Mauro Torinese

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dicembre 2015 | Plus Magazine | eDitoriale 03

Il grande spettacolodelle Luci d’Artista

E D I T O R I A L E

Come resistere al fascino delle luci di Natale... le città si illuminano e sembra di essere nel paese delle meraviglie. Da New York a Parigi, da Londra a Hong Kong passando per Lione, Milano e Venezia l’atmosfera è veramente magica e coinvolgente.

Nella nostra amata Torino il tripudio di luci e addobbi spettacolari ci cala in uno scenario suggestivo, provocando emozioni gioiose. Molte delle installazioni luminose sono create da artisti famosi e rappresentano valori simbolici e concettuali trasformando il cielo in un vero proprio museo all’aperto.

Luci d’Artista, avviata dal Comu-ne di Torino nel 1998, è giunta alla sua diciottesima edizione. Le luci si trovano nelle principali piazze e vie della città e per l’occasione anche la Mole Antonelliana, simbolo di To-rino, è illuminata. Ci sono 4 nuove installazioni luminose, due in Piazza Castello e due in via Lagrange per un totale di ben 24 opere.

Tra le nuove opere all’esordio, ne segnaliamo una tutta torinese creata dall’artista Piero Gilardi intitolata Migrazioni (Climate change).

Lo scultore attraverso l’esposizione di dodici pellicani sospesi all’interno della Galleria Subalpina, che spicca-no il volo per raggiungere un clima più favorevole, evoca le grandi migrazioni provocate dal riscaldamento globale.

Anche Salerno, prendendo spunto da Torino, ha avviato 10 anni fa Luci d’Artista che è diven-tato l’evento più atteso dell’anno.

Salerno dal 2006 e Torino, città dell’arte e della luce, danno vita con questa ormai consolidata iniziativa invernale, ad un luminoso gemellaggio artistico. Un filo incantato attraverso l’Italia che suscita emozioni e crea una magica atmosfera da novembre a gennaio, per la gioia sia dei residenti, sia dei tanti turisti che ogni anno, sempre più numerosi, vengono ad ammirarle.

Buone Feste illuminate a tutti!

[email protected]

Paola GomieroDirettore FABI Plus

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A C U R A D i

P A O L A G O M I E R O

04

COPERTINA

DIVA DA RED CARPET

MONICABELLUCCI

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COPERTINA

DIVA DA RED CARPET

dicembre 2015 | Plus Magazine | COPERTINA 05

MONICABELLUCCI

Monica cosa l’ha spinta a fare questo film, cosa le è piaciuto?Ho scelto questo film per una questione emotiva. Il ruolo poi era eclettico e scritto così bene, che avevo anche un po’ paura al pensiero di affron-tarlo. Devo ringraziare Guy perché mi ha dato la possibilità di divertirmi, di avere paura e in effetti poi io ho recitato ciò che era già scritto, per cui è tutta opera sua.

Lei aveva già visto Marécages, il primo lun-gometraggio di Guy Édoin?Ho visto Marécages dopo aver letto la sceneggia-tura. Il film è bello, mi è piaciuto molto e la reci-tazione è naturale.

Anche lei come il personaggio di Sophie Ber-nard è un’attrice e una madre, come ha affron-tato questo ruolo? Il rapporto un po’ controver-so che ha con questo ragazzo che poi alla fine riporta, sia lei che tutti gli altri protagonisti del film, alla vita? Io sono madre di due figlie femmine (undici e cinque anni) mentre nel film sono la madre di un maschio. È un modo diverso di essere madre anche se l’amore è quello. Per questo ruolo mi hanno aiutato molto le mie amiche che hanno figli maschi di quell’età, le quali mi hanno detto che non c’è nulla di più doloroso di un figlio che ti dice cose cattive. Io ho capito che ho ancora un

È senza dubbio considerata una delle donne più affascinanti del mondo.

Una specie di icona della moda, della bellezza, dello stile e dell’italianità. E a cinquantun anni compiuti dimostra di avere un ottimo rapporto sia con la propria bellezza che con il tempo che passa e non ha paura di invecchiare.

Alla festa del cinema di Roma era la più attesa, come di solito succede con una vera diva. E non

ha deluso le aspettative: lunghi capelli neri a incorniciare il viso, abito lungo in pizzo, movimenti lenti e studiati, saluti controllati. È apparsa così sul red carpet il 22 ottobre scorso, giunta alla kermesse per presentare il film cana-dese Ville-Marie dove interpreta una madre, che di mestiere fa l’attrice, alla ricerca del rapporto con il figlio ormai adulto.

Qualche giorno più tardi di nuovo sul red carpet, questa volta alla Royal Albert Hall di Londra per la presentazione di un’altra parte molto attesa: la Bond Girl in Spectre di Sam Mandes. Per questo ruolo si è detta molto contenta e orgogliosa di essere la bond woman dell’agente segreto (Daniel Craig) più famoso al mondo.

Nella sala dell’Auditorium Parco della Musica di Roma, insieme alla pro-duttrice Felize Frappier, l’attrice umbra ha tenuto una conferenza stampa per parlare del film ma anche per raccontarsi come madre, come attrice e come donna.

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COPERTINA

margine di 3/4 anni prima che le mie figlie mi si rivoltino contro con parole cattive.

In questo film c’era bisogno di un momento di abbandono di questa donna che ad un certo punto toglie la maschera che è per lei una specie di corazza. È un’attrice che si protegge attraverso la maschera e ha il coraggio di toglier-la per far vedere al figlio che si è spogliata per lui e che ora è solo donna e madre. L’abbandono fa trasparire il dolore e si vede anche nel viso. È quindi un passaggio dal glamour alla sofferenza ed infine alla vita. Infatti è un per-sonaggio che somiglia ad ognuno di noi nella vita.

È stata a Roma recentemente per girare James Bond, può comparare quell’esperienza cinematografica con questa? E anche ci può dire com’è stato cantare, perché c’è stato un gradevole momento canoro nel film.Per me non ci sono differenze tra grandi e piccole produzioni perché in effetti davanti alla cinepresa il mio lavoro non cambia; poi certo, è anche

l’occasione per lavorare con artisti così differenti tra loro come Guy Edoin, Sam Mendez o Kustu-rica, tre talenti differenti ma talenti.

In effetti ad ogni regista vorrei chiedere: “Perché hai pensato proprio a me?”. Vorrei saperlo ma co-munque questo mi dà ogni volta la possibilità di venire in contatto con culture differenti, come at-trice e come persona.

Per quanto riguarda il canto, veramente non sono una cantante ma la cosa interessante è che questa donna non sa come comunicare con suo figlio e cantare diventa un modo per comunicare, per mostrare le emozioni che lei prova ma che non riesce a esternare. È quindi un’altra maniera per avvicinarsi a suo figlio. Ma come potete vedere io non sono una cantante.

La bellezza, che certo ha contato molto nella sua carriera, con il tempo che passa può lascia-re spazio a qualcosa di diverso come la ricerca personale?La bellezza è un dono che ci è stato dato quindi non è una cosa di cui essere fieri. Ringrazio per averla ricevuta ma non è un lavoro personale. La ricerca personale è una cosa che riguarda tutti in modo diverso. Io la faccio attraverso il lavoro, attraverso i ruoli che voglio sperimentare. Oggi posso interpretare dei ruoli che 15 anni fa non avrei interpretato. Perdere in qualche modo la bellezza della gioventù mi fa provare un altro tipo di bellezza che poi posso anche utilizzare nei ruo-li e, spero, nella vita.

Monica, è iniziata una bella età professio-nale. Quale sceneggiatura vorrebbe leggere e quale ruolo vorrebbe interpretare? Se le propo-nessero un ruolo comico in una commedia le piacerebbe? Sì molto. Devo solo trovare una commedia scritta bene. Secondo me le cose giuste arrivano al mo-mento giusto. Magari l’anno prossimo, ora dopo questo film devo prendermi un periodo di riposo.

7La famosa attrice europea Sophie Bernard è a Montreal per girare un film e co-glie l’occasione per andare a far visita a suo figlio Thomas con la speranza di riallacciare i rapporti con lui. Ma Thomas ha altri piani per loro; ha intenzione di riuscire finalmente ad avere alcune risposte a proposito di suo padre. Contempo-raneamente, all’ospedale Ville-Marie, il paramedico Pierre soffre per la sua sin-drome da stress post traumatico, pensa di avere il supporto di Marie, l’infermiera che gestisce l’affollato pronto soccorso, e non è sicuro di poter affrontare questa mole di lavoro. Le vite di questi quattro problematici personaggi, si intersecano durante un disastroso evento a Ville-Marie in una buia notte di Montreal.

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ECCOLA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE

4.0

TECNOFUTURO

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dicembre 2015 | Plus Magazine | TECNOFUTURO 09

L’INTERVISTAProfessore, uno degli argomenti più interessanti anche per il largo

pubblico negli ultimi mesi è quello delle Criptovalute, di che cosa stiamo parlando?“Data is the new bad money”: i dati sono la nuova moneta del futuro, la moneta più pratica da scambiare, non soggetta a regolamentazione e gene-rata da standard “de facto”: ce l’hanno insegnato i vari Google, Facebook e Amazon. I dati sono un modo per regolare scambi non monetari. Quando usiamo Facebook o Google cediamo i nostri dati in cambio di un servizio.

La stessa cosa accade oggi per le imprese e i consumatori, quando fornisco-no alle banche i propri dati, sarebbe importante che le banche comprendes-sero questo grande nuovo paradigma.

Il “dato” è una moneta fondamentale in quanto ricca di esternalità positive, con effetti superiori rispetto al pagamento che avviene con la moneta ordinaria. Un euro “pagato” in moneta data in-tense ha più valore di un euro pagato attraverso gli ordinari mezzi di pagamento in quanto incor-pora un collaterale di informazioni che hanno un loro valore intrinseco.

Tra le Criptovalute, BitCoin è quella più co-nosciuta, addirittura nel mese di luglio girava

Intervista al Professor Carlo Alberto Carnevale Maffè

Sono pronte le banche alla sfida del terzo millennio?

d i

P I E T R O G E N T I L E

TECNOFUTURO

A vent’anni dalla nascita di Internet, la società è cam-biata moltissimo adeguandosi ai nuovi stili di vita low cost basati sulla Rete, ma solo da alcuni anni si

sta verificando un fenomeno da molti previsto e sempre più reale: la progressiva sostituzione delle macchine e dei softwa-

re in moltissimi lavori considerati fino a poco tempo fa di unico dominio umano.

A distanza di vent’anni e alla quarta generazione di Corpora-tion Internet, dopo i Social Networks sono arrivati i siti della

Sharing Economy (quali Uber e AirBnB tanto per fare due nomi) che hanno un modello di business che non si basa solamente sulla

“disintermediazione” come per le precedenti ma sulla disruption, cioè sullo stravolgimento totale dei canoni economici del passato, operando

sostanzialmente con “beni altrui” e semplicemente ottimizzandone l’utilizzo. Per il settore bancario da alcuni anni si parla di fenomeno FinTech, compagnie

a metà strada tra la tecnologia e la finanza che stanno erodendo componenti dell’e-conomia bancaria.

Nel corso del Banking Summit 2015, organizzato dalla società di ricerca The Innovation Group, abbiamo approfondito tali temi con Carlo Alberto Carnevale Maffè, Professor of Business Strategy presso

la School of Management dell’Università Bocconi, conosciuto al grande pubblico per la trasmissione “I conti della Belva” in onda su Radio24 con la conduzione del giornalista Oscar Giannino.

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da tra banche e tecnologia. Uscendo dal settore finanziario pensiamo ad esempio come oggi nel settore editoriale o nella musica sia già avvenuta una vera rivoluzione grazie a tale fenomeno.

Nel caso dell’unbundling relazionale, le FinTech migliorano progressivamente le asimmetrie in-formative. Pensiamo ad esempio ai siti online che aiutano il consumatore a trovare il migliore mu-tuo sul mercato. Più si insegna al cliente finale o all’azienda a reperire informazioni e comparare i prezzi, più l’elemento relazionale si indebolisce e la banca che una volta ti trattava “dalla culla alla bara” oggi deve competere con realtà non ban-carie che su questo piano riescono ad essere più competitive. Le FinTech sono efficienti nel creare user interface più rapide, social rating più efficien-ti, nel creare marketplace più ampi.

Ma questo non uccide le banche! Il futuro del-le banche più preparate sarà quello di conoscere questo nuovo mondo ed eventualmente integra-re le realtà più interessanti, migliorando al con-tempo il proprio servizio nei settori in cui po-trebbero essere più deboli. “If you can’t beat them, join them”: se non riesci a batterle unisciti a loro e riaggrega queste startup.

Nella mia intervista precedente a Joseph Sti-glitz e a Federico Rampini abbiamo parlato del “Futuro del Lavoro” e dei relativi impatti delle nuove tecnologie: che fine fanno le persone? Le macchine sono l’essenza dell’Homo Sapiens, siamo usciti dalle caverne grazie agli utensili e credo che questa evoluzione sarà sempre posi-tiva, perlomeno fino a quando le macchine non saranno in grado di “riprodursi” e “riprogram-marsi” in modo autonomo, alla Blade Runner, tanto per intenderci. Il vero problema è che l’e-conomia di scala e la produttività delle macchine sono estremamente più alte di quelle dell’uomo. Ma non dimentichiamo che quando le macchi-ne sbagliano, penso al crollo della Borsa del 1987 dovuto a una cattiva programmazione degli al-lora poco sofisticati computer, i danni che fanno sono immensamente più grandi. Dall’epoca ab-biamo imparato molto: come per la Google Car che qualche anno fa andava a sbattere ed invece oggi è talmente precisa, tanto da riuscire ad evita-re che gli umani ci sbattano contro quando questi non rispettano il codice della strada. Quindi per ora dietro le macchine ci sono sempre gli uomini.

Certo è che le macchine sostituiranno il lavoro umano, ma la novità della Sharing Economy sta nel fatto che oltre al lavoro umano verrà “sosti-tuito” anche il capitale… Pensiamo ad esempio ad AirBnb, che non è altro che una macchina:

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voce che, in caso di uscita dall’Euro, la Grecia l’avrebbe adottata: è uno scenario plausibile?Direi che ad oggi per una nazione adottare BitCoin o una Criptovaluta è ancora troppo presto. Più che per le nazioni direi invece molto possibile per una “filiera”, per un sistema ad alta intensità di scambi. Un esempio locale italiano esiste già, si chiama Sardex. BitCoin è una moneta governata dalla matematica, e avrebbe un grande futuro nel momento in cui venisse appun-to adottata da sistemi economici complessi ad alta frequenza come le filiere industriali, oppure dalle piccole Comunità territoriali. L’algoritmo che rego-la BitCoin, la Block-Chain, è un sistema dotato di una propria Costituzione. Il fatto che BitCoin sia oggi considerata definitivamente quale commodity dalle autorità americane indica la potenza di questo nuovo mezzo di scam-bio, anche se ancora oggi non va considerata quale “riserva di valore”, come l’oro, ma semplicemente un nuovo strumento di pagamento il cui valore è sempre convertibile in valuta ordinaria.

Parliamo ora di FinTech, il nuovo fenomeno a metà strada tra tec-nologia e finanza. PayPal è la più grande e famosa, le altre realtà sono più piccole e di nicchia, potranno erodere il business bancario o saranno inglobate dalle banche?La prima fase di esistenza delle FinTech sarà caratterizzata da una compe-tizione mirata. Le FinTech sono come locuste che aggrediscono le parti più “deboli” e al contempo interessanti della filiera bancaria. Queste aziende identificano alcune aree della finanza poco presidiate e ottimizzano tali nic-chie. PayPal è nato quando in America ci si è resi conto che per il commercio online non esisteva un sistema efficiente per gestire i micropagamenti: oggi è un player globale.

Le FinTech agiscono su due livelli di unbundling, di spacchettamento, della filiera. L’unbundling di prodotto e quello relazionale. Nel primo caso, spez-zettando in tanti mattoncini la catena del valore del processo bancario, la FinTech identifica una particolare componente della filiera e ne migliora in modo elevatissimo l’efficienza.

La FinTech migliora quindi solo un “mattoncino” di tutto il processo scom-ponendo la filiera. La regolamentazione europea oggi favorisce l’unbundling della filiera bancaria, creando opportunità per le nuove realtà a metà stra-

TECNOFUTURO

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la più grande catena di alberghi senza “un euro” investito in capitale im-mobiliare. In questo caso sono stati creati anche migliaia di “lavori” grazie alle persone che mettono a disposizione una propria stanza e traggono un beneficio economico che prima non era previsto. Quel lavoro che era un tempo centralizzato, gerarchico, dipendente, è oggi distribuito, autonomo e indipendente, polverizzato in un rivolo di micro lavori. È tema centrale della Sharing Economy, dove il lavoro da Tayloristico e Fordistico viene de-centralizzato, una vera e propria diaspora dove di fatto a scomparire non è il lavoro ma “l’impresa”.

Ma a questo punto cosa possiamo fare per favorire la nascita di nuovi lavori per compensare l’inarrestabile emorragia di quelli persi?È questo il problema più delicato. La nuova situazione che stiamo affron-tando produce una polarizzazione del mondo del lavoro. Da una parte si-curamente le attività più sofisticate svolte dagli ingegneri che progettano le macchine aumenteranno, ma per svolgere tali mansioni servono meno tecnici rispetto alle migliaia di operai o impiegati del passato. Dall’altra parte avremo un aumento della richiesta di lavori non automatizzabili ma purtroppo di basso se non bassissimo valore aggiunto e conseguente bassa remunerazione.

In questa polarizzazione è sicuramente la classe media ad essere inizialmen-te penalizzata. Le aziende Tayloristiche e Fordistiche nel tempo erano diven-tate il regno della classe media dei white collars, non della classe operaia, e tale mondo sta lentamente scomparendo.

La notizia positiva arriva però da quell’area ibrida in cui sarà sempre neces-saria l’interazione tra uomo e macchina che potrebbe avere uno sviluppo molto interessante. I computer che fino a trent’anni fa erano chiusi in enor-mi stanze, oggi sono piccoli come un telefonino o un orologio ed ognu-

no di noi spesso ne “indossa” almeno due o tre. È nell’interazione uomo-macchina che vedo un futuro per il lavoro e per i nuovi lavori.

Che fine fa il lavoro? Come sempre il lavoro si trasforma. E nel corso della trasformazione dob-biamo difendere il lavoratore, non il lavoro che scompare. Dobbiamo difendere l’occupabilità attraverso la riqualificazione. La società deve farsi carico di questo grande tema.

Ed in questo caso entra nuovamente in gioco la tecnologia: uno degli elementi fondamentali del-la riqualificazione è la Formazione Permanente. Grazie alle nuove tecnologie è cambiato il me-todo con cui viene distribuita la conoscenza con un possibile aumento esponenziale della produt-tività anche nella formazione, grazie alle enormi potenzialità della formazione a distanza. Sarà il tema portante dei prossimi anni perché il tempo in cui ci si diplomava o laureava e poi si lavora-va per quarant’anni è finito. Penso ad esempio ai corsi di Coding dove il ragazzino impara a “lavo-rare” fin da subito ma continua a studiare.

Bisogna pensare a una Società in cui non si dovrà mai smettere di studiare.

TECNOFUTURO

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PROTAGONISTI

ANNALISABRUCHI

Tutto è economia e tutto quello che facciamo muove l’economia

I N T E R V I S T A d I

D A R I O M I G L I A R D I

AnnAlIsA BRUCHI, senese, conduce ed è an-che autrice di “2Next Economia e Futuro” su Rai Due.

Nel suo studio si parla di economia senza essere noiosi e questo è già un pregio. Il programma ha un linguaggio semplice, diretto e autorevole. Non racconta solo temi economici, racconta storie di uomini e donne che lavorano e che fanno di tutto per migliorare la propria vita.

“2Next Economia e Futuro” ha un ritmo incalzante, veloce, con molte inchieste. Ci racconti come decidete la scaletta e i temi della puntata?La scaletta la decidiamo in base a quelli che sono i nuovi trend e l’attua-lità. Noi non siamo sulla strettissima attualità, cerchiamo di sviluppare macro temi e poi li trasformiamo in inchieste attraverso i reportage in

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dicembre 2015 | Plus Magazine | PROTAGOnIsTI 13

PROTAGONISTI

maniera approfondita. Cerchiamo le macro ten-denze, per esempio i nuovi lavori. Stiamo attenti ai giovani e agli anziani che sono quelli che han-no sofferto maggiormente la crisi.

State più attenti a notizie di cronaca, mi riferisco per esempio all’intervista dedicata al fondatore di Netflix Reed Hastings o preferite cercare notizie più riservate?È stata l’unica intervista approfondita che ha ri-lasciato ai media italiani. Ci sono stata dietro per parecchio tempo, era un’intervista fatta a Milano e l’abbiamo tenuta nascosta sino a quando Netflix non è entrato nelle case degli italiani. Da quell’in-tervista abbiamo raccontato una storia, di quanto sia importante il turismo nelle fiction e nei film.

Il cinema come veicolo promozionale?Scopriamo quanto sia importante investire sull’audiovisivo per promuovere l’italianità nel mondo attraverso le produzioni cinematografi-

che e le fiction. Abbiamo scoperto che su ogni euro investito nella produ-zione di una fiction o di un film, c’è un ritorno di 5 euro.

Vi interessa raccontare anche piccole storie locali? Sì, perché significa raccontare il made in Italy. Se in un film si promuove sia il luogo che i piatti tipici, si promuovono anche le risorse del suolo che pos-sono essere il vino o il riso. Significa creare un’economia che gira attorno al nostro paese. Per di più l’Italia, dal nord al sud è un set cinematografico aperto.

Ricevete dei suggerimenti dal pubblico mail o Twitter che vi chiedono di indagare su qualche notizia?Tantissime mail, moltissimi messaggi dai vari Social, Facebook e Twitter. La maggior parte sono richieste di approfondimenti e da quest’anno abbiamo una novità, il second screen e credo che sia l’unico programma Rai ad averlo.

Che cos’è?In tempo reale, durante la trasmissione, mandiamo degli approfondimenti ai temi trattati e riceviamo consigli e scopriamo quali sono le tendenze pre-senti sui Social.

È un nuovo modo di comunicare? Per noi è importante, perché la televisione dà dei suggerimenti, racconta un tema, e poi lo spettatore, che non è un consumatore, e su questo ci tengo molto a chiarire la differenza visto che la Rai è servizio pubblico, dovrebbe, in base alle informazioni che gli diamo, cercare le soluzioni pratiche anche ai suoi problemi quotidiani o ai temi trattati.

Parlate di economia, e questo potrebbe portare a pensare a qualcosa di serio e tedioso, invece siete una trasmissione d’inchiesta che tocca mol-ti temi?Qualsiasi cosa fa economia e diventa valore economico. Dalle assicurazio-ni, all’abbonamento per il telefonino, al consumo di energia. Se si raccon-tano in maniera scattante tante piccole storie, lo spettatore può prendere spunto e modificare la propria quotidianità e alla fine dell’anno riuscirà a risparmiare e a fare scelte più consapevoli per quel che riguarda la propria

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PROTAGONISTI

vita. Perché tutto fa economia e tutto quello che facciamo muove l’economia. Il messaggio che ab-biamo mandato in questi anni è che l’economia non è noiosa, e che se la sai prendere per il verso giusto, si riescono a fare scelte più consapevoli e più libere.

Bisogna saperla raccontare.Non si devono usare paroloni ma avere un lin-guaggio semplice e diretto.

Abbiamo per esempio la rubrica di Carlo D’Ip-politi che è un docente di economia, ciò che rac-conta sono storie serie, ma le sa dire in manie-ra smart, come si definisce. E i dati d’ascolto gli danno ragione. La gente ha voglia di capire e noi cerchiamo di accompagnare lo spettatore.

Noi siamo una rivista legata alle banche, ha trovato delle notizie interessanti?Abbiamo parlato molto di banche, di prestiti d’o-nore e di altre opportunità, ovviamente il tema delle banche è spinoso. Per esempio, molte im-prese, con la crisi, hanno smesso di investire in ricerca e innovazione e questo si trasforma in una richiesta minore di credito alle banche. Cerchia-mo di sfatare il mito che le banche sono consi-derate il nemico numero uno perché non danno

crediti, in realtà non è così. Poi abbiamo raccontato lo stress test delle ban-che, com’è nato e se ha penalizzato le banche italiane. Abbiamo raccontato senza pregiudizi la storia di ciò che è avvenuto.

Avete avuto ospiti famosi ed esperti su questo tema?Sì, per esempio Fabio Gallia e Lorenzo Bini Smaghi e abbiamo dato la noti-zia sia dal punto di vista delle banche, ma anche del cittadino.

La vostra trasmissione è molto legata ai dibattiti sui Social. Sul vostro sito avete commenti in continuazione. Come vede la TV del futuro? Sarà sempre di più cross-mediale?Dobbiamo fare i conti con una realtà che cambia, la televisione si guarda anche su un tablet o su uno smartphone e contemporaneamente si twitta e si commenta nei blog. La TV è diventata interattiva.

E questo è positivo o negativo?È una sorta di sbriciolamento e polverizzazione dell’attenzione. Appartengo alla vecchia scuola e penso che si debba fare una cosa alla volta e farla bene. Non so se è positivo o meno, ma una cosa è certa, la televisione sta cambian-do e anche velocemente.

Spesso c’è anche un lato scuro dei Social, che è quello legato all’anonimato e agli insulti che si celano dietro. Noi cerchiamo di prendere il lato positivo e di usarlo in modo costruttivo.

Come si fa ad avere una TV di qualità, bisogna investire sui bambini come dice il consigliere di amministrazione Rai, Paolo Messa in un arti-colo recente?I bambini sono gli adulti di domani e investire su di loro e su una sana programmazione è importante. La TV ha degli spettatori di età molto alta, occorre cambiare il linguaggio per attirare l’attenzione dei più giovani. La nostra fascia di età è di 47/48 anni di media che è una fascia tra le più giovani che si trovano in Rai.

C’è la proposta di avere un canale per bambini tipo Rai Gulp senza pubbli-cità e mi trovo d’accordo con quest’idea.

Lei approda in Rai dopo l’università e un’esperienza all’estero. Come ha trovato l’Italia? È un paese deficitario in qualche cosa?Si parla molto di alfabetizzazione digitale, ma non abbiamo la banda larga su tutto il territorio e questa è una vergogna. L’Italia è agli ultimi posti in Eu-ropa su questa tematica e se non si cambia in fretta viene danneggiata anche l’economia del paese. Speriamo che ci siano veramente questi finanziamenti sia privati che pubblici per dare una svolta alla modernizzazione della rete di telecomunicazione.

In Italia c’è ancora il famoso “doppino”.Dobbiamo capire che il rame è una tecnologia vecchia che dobbiamo ab-bandonare al più presto e aprici alla fibra ottica.

“2Next Economia e Futuro” realizza molte inchieste in giro per l’Italia che idea si è fatta dell’Italia?Ci dobbiamo ricordare che c’è una richiesta infinita di italianità nel mondo. Dobbiamo lavorare duro per mantenere viva quest’idea e non dobbiamo mollare. Si deve usare la rete per il nostro lavoro e capire che il mondo sta cambiando e diventare attori principali di questa trasformazione. Dobbia-mo lavorare sulle nostre eccellenze e proteggere tutto il nostro made in Italy. “2Next Economia e Futuro” si propone di fare un’informazione economica alla portata di tutti, di raccontare l’economia reale del paese, la crisi e le spe-ranze di ripresa portando le telecamere nei luoghi simbolo dell’economia.

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Nata in Somalia e cresciuta a Roma, Saba vive a Torino e si affaccia costante-mente al mondo. Perché è lui, il mondo, la sua vera casa. L’epicentro di quell’in-tegrazione culturale e sociale che lei ricerca e che si respira in ogni suo lavo-ro. Dalla musica al teatro, nel 2014 ha portato in scena lo spettacolo Mogadi-show del quale era anche autrice, Saba percorre un viaggio geografico, umano e artistico che la riguarda intimamente e che regala a ognuno di noi.

Nel tuo nuovo album, “The belly of the city”, canti in inglese, somalo e ama-rico. Una scelta difficile.In effetti è complesso cantare in tre lin-gue nella stessa canzone, ma apparten-gono al mio albero genealogico che si divide tra Italia, Etiopia e Somalia. Nel disco manca l’italiano ma – chissà – po-trebbe essere il pretesto per un nuovo progetto musicale.

Quanto c’è della tua biografia in que-sto lavoro?Moltissimo. La storia della mia famiglia è stata il bacino dal quale ho attinto. Soprattutto la nonna Abebech, strap-pata dalla sua terra natale, l’Etiopia, nel periodo della colonizzazione italiana.

Arrivata a Mogadiscio aveva costruito la sua nuova casa, ma lei e i suoi figli sono stati sempre considerati stranieri, cacciati e costretti nuovamente a lascia-re tutto. I miei genitori si sono trasferiti in Italia, paese d’origine di mio padre.

Nelle nove tracce ti rifai alle scale pentatoniche di matrice africana e le integri con strumenti occidentali. Il tuo sound è…?Molto concentrato su quella parte del pianeta, l’Africa orientale, nella quale è nato il blues. È un disco scuro che vira dal bianco d’Etiopia al nero del blues.

L’album è stato concepito ad Addis Ababa, lontano dal mainstream.La capitale d’Etiopia è una città stimo-lante perché ricca di cultura e sugge-stioni musicali, è un luogo che ti con-quista. C’è una temperatura artistica coinvolgente che ti attrae incondiziona-tamente.

“I can’t hold”, che in italiano significa “non posso trattenere”, è un brano for-te. Cosa non puoi o non vuoi trattenere?La voglia di creatività, la passione che metto nella musica, nella scrittura e nel-le arti applicate. Sono ibrida, cioè figlia di diverse culture e come tale sento il

bisogno di far esplodere i diversi aspetti culturali e artistici che vivono in me.

Parliamo del tour: quanto ti regala la dimensione del live?Nei concerti dal vivo circola moltissima energia. Domina hic et nunc, il qui e ora, e lo scambio con il pubblico è intenso e profondo. Nel live c’è la vita.

La colazione per te è…?Dicono che io canti come un uccellino e in effetti mangio come un uccellino: a colazione mi nutro di diversi tipi di semi che mi danno molta energia.

Plus Magazine è la testata della FABI, per cui la domanda è d’obbligo: il tuo rapporto con le banche?La verità? Un rapporto pessimo. Il de-naro per me è uno strumento che si ottiene dal duro lavoro. Non credo nei soldi facili e per questo mi impegno con dedizione in tutto quello che faccio.

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P A O L A G O M I E R O

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EVENTI

COME CI CURERÀLA MEDICINADEL FUTURO?Studi recenti evidenziano l’efficacia della medicina

di precisione. Trattamenti mirati sul singolo individuo: così si vinceranno sfide

fino a pochi anni fa ritenute impossibili.

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che fungerà da archivio per la scelta della terapia destinata ad ogni paziente. E cosa faranno l’Europa e il resto del mondo? Siamo pronti anche noi ad incamminarci sulla strada della medicina di precisione?

“La cultura del dono deve prendere il sopravvento”, dice il Professor Carlo Al-berto Redi, Biologo ordinario di zoologia all’Università di Pavia e relatore al convegno. “Se non usciamo da un’ottica individuale per ragionare in chiave collettiva, non faremo mai passi avanti. Dobbiamo donare l’informazione ge-netica, costruire una banca dati che aiuti la ricerca nel suo cammino. E scienza e giurisprudenza devono lavorare insieme”.

L’applicazione della medicina di precisione dovrebbe garantire una miglior risposta alla terapia e minori effetti collaterali e di conseguenza portare in futuro anche a risparmi economici. Saper dare il farmaco giusto e nella dose corretta permetterà di evitare cure inutili e costose. Ce lo conferma la Dottoressa Chiara Tonelli, Segretario Generale dell’undicesima Conferenza Internazionale e Professoressa di Genetica dell’Università Statale di Milano. “Oggi, secondo dati pubblicati sul Journal of the American Medical Associa-tion, i dieci farmaci più venduti negli USA hanno effetto solo in un quarto delle persone che li usano. Questa è la realtà: a priori non si sa se un farmaco funzioni su un individuo, si può esserne certi solo dopo la somministrazione. La medicina di precisione permetterà di fare analisi del profilo genetico delle persone e poi su questa base prescrivere i farmaci giusti. In questo modo si eviterà di somministrare terapie che non solo non servono, ma possono anche causare effetti collaterali rischiosi, facendo nascere altri disturbi che a loro volta andranno curati”.

dicembre 2015 | Plus Magazine | EVENTI 19

EVENTI

“THE FUTURE OF SCIENCE” MEDICINA DI PRECISIONE: SFIDE PRESENTI PER CURE FUTURE

Questo è il tema affrontato a Venezia lo scorso settembre nell’undicesima edizione della confe-renza Mondiale “The Future of Science” organiz-zata dalla Fondazione Umberto Veronesi, Fonda-zione Tronchetti Provera e Fondazione Cini.

Specialisti di caratura internazionale e noti scien-ziati provenienti da tutto il mondo si sono riuniti anche quest’anno presso l’Isola di San Giorgio a Venezia. Obiettivo: confrontarsi e riportare la scienza al centro del dibattito culturale e sociale per permettere alla comunità di essere informata e partecipe sul costante progresso scientifico e sul suo impatto sulle attività umane.

Nell’atteso evento del 2015, al quale è stata in-vitata la redazione di Plus Magazine, si è parla-to di medicina personalizzata. Di cosa si tratta? Dell’opportunità di modellare la prevenzione, la diagnosi e la cura delle malattie sulle caratteristi-che del singolo individuo o di gruppi di persone con caratteristiche comuni. Un’opportunità resa oggi possibile dalla disponibilità di un ampio ba-gaglio di informazioni genetiche. “Fino a pochi decenni fa tutto ciò sarebbe stato definito utopisti-co, mentre oggi invece ci sono gli strumenti per pro-varci davvero”, sostiene Umberto Veronesi, idea-tore del progetto e Presidente della Fondazione che porta il suo nome.

Combinando i dati genetici e le informazioni sulle malattie di centinaia di migliaia di persone, la medicina di precisione mira a ottenere tratta-menti – più efficaci – disegnati su misura del sin-golo paziente, abbandonando la logica dei proto-colli che imponevano una cura standard per ogni malattia: indipendentemente dal suo portatore. Per giungere a questo risultato è però indispen-sabile un grande sforzo di interconessione.

Lo spunto arriva dagli Stati Uniti, dove il presi-dente Barack Obama ha lanciato per il 2016 la Precision Medicine Initiative, con uno stanzia-mento di 215 milioni di dollari. Nell’ambito di questa iniziativa, i pazienti si sottoporranno a una serie di analisi cliniche e genetiche. I dati rac-colti saranno convogliati in un enorme database

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Sicuramente riuscire a tenere sotto controllo una malattia a distanza con una ridotta percentuale di complicanze e meno ricorsi a visite specialistiche porterà a un miglioramento in termini di qualità della vita dei pazienti e a un risparmio sui costi sanitari e sociali. Per attuare questo progetto è necessario ridisegnare il nostro sistema sanitario nazionale, ci spiega il Dottor Francesco Longo, membro del Comitato scientifico del Centro di ricerca sulla gestione dell’assistenza sanitaria e sociale dell’Università Bocconi. “I malati cronici sono destinati ad aumentare e per far fronte alla nuova epidemia di malattie croniche è necessario reclutare precocemente i pazienti, introducendo-li in un percorso di diagnosi e terapie mirato, as-sicurandosi che seguano alla lettera le cure. Nulla di tutto ciò è al momento possibile con la struttura attuale degli ospedali italiani. La gestione delle ma-lattie croniche prevede un’integrazione perfetta tra i medici di famiglia, i poliambulatori e gli ospedali. Questi ultimi devono entrare in gioco soltanto nelle situazioni più delicate”.

I diversi interventi che si sono succeduti alla conferenza, hanno messo in evidenza l’assoluta necessità di cooperazione tra il mondo medico, etico, informatico, politico ed economico mo-strando al pubblico presente in sala le diverse prospettive terapeutiche e diagnostiche da una parte e dall’altra le implicazioni sociali, legali ed etiche riguardanti la sicurezza e la privacy dell’in-dividuo.

La conferenza di Venezia ha rappresentato una grande e consolidata opportunità per scienziati, filosofi, teologi, economisti, politici, docenti, stu-denti e per tutte le persone di cultura, desiderose di confrontarsi con alcuni tra i più autorevoli uo-mini di pensiero dei nostri tempi, su temi cruciali per il destino della nostra civiltà.

Un progetto di successo che negli anni ha anche coinvolto più di 600 studenti delle università italiane, che hanno avuto l’opportunità, dopo un’attenta selezione in base alle migliori perfo-mance scolastiche, di essere presenti all’evento. La loro non è una semplice presenza, ma a essi è demandato il compito di documentarsi sugli argomenti su cui sentiranno discutere i massimi esperti a livello internazionale e quando torne-ranno negli atenei di competenza, dovranno ri-portare ai compagni ciò che hanno ascoltato in modo da condividere le informazioni.

È uno strumento estremamente efficace per far comprendere cosa la scienza può fare per miglio-rare la società a tutti i livelli, partendo proprio da loro, dai ragazzi, gli uomini del futuro.

EVENTI

Le conoscenze sul DNA, unite a nuove discipline che raggruppano biologia, matematica e informatica ci permetteranno persino di combattere le malat-tie con l’uso degli avatar.

Ce lo spiega in conferenza Giuseppe Testa, che dirige il laboratorio di Epi-genetica delle cellule staminali presso l’Istituto Europeo di Oncologia di Milano. “Mentre prima per esplorare il corpo umano era necessario aprire per vedere organi, per comprendere funzioni e disfunzioni, oggi ci sono i computer, nell’era dei Big data e della genomica possiamo osservare ciò che prima era in-visibile, sperimentare su quanto di più profondo, conducendo degli studi clinici non più sulle persone, ma su un loro modello esterno, un avatar.”

Non si tratta di fantascienza, i ricercatori guidati dal Dottor Testa hanno raccolto dati, pubblicati su Nature Genetics, che hanno portato alla com-prensione dei meccanismi alla base di malattie neurologiche, come l’auti-smo e la sindrome di Williams.

Un’altra applicazione significativa della medicina personalizzata è il moni-toraggio a distanza di malati cronici come i diabetici, che consente di modi-ficare, quando necessario, le dosi e i tempi di somministrazione dei farmaci.

Da sinistra a destra: Giulio Cossu, Carlo Alberto Redi, Chiara Tonelli, Walter Bergamaschi, Francesco Longo.

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I N T E R V I S T A d I

B E N E D E T T A B R E V E G L I E R I

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PROTAGONISTI

Per chi come me non ha ancora superato il mezzo secolo, poi, è una sensazione piuttosto strana. Cinema e Teatro, attore e regista. Ma è sempre Lui, il Teatro, quello della tradizione clas-sica che Gabriele Lavia mette in scena da oltre quarant’anni. A 74 anni, protagonista di palco-scenici famosi, co-direttore artistico dell’Eliseo di Roma dal 1980 al 1987, direttore artistico dello Stabile di Torino dal 1997 al 2000, per tornare a Roma nel 2011, da quando comincia a dirigere il Teatro di Roma, Gabriele Lavia porta al Te-atro Argentina un’opera che rappresenta una delle prime pietre del teatro mondiale: l’Amleto di Shakespeare. E nell’unica data romana del 9 dicembre 2015, l’attore accompagna il suo pub-blico in una bella esperienza di Teatro nel Teatro, nel tentativo di fare rivivere quell’intimità unica che solo questo luogo, secondo Lavia, può creare. Nella lettura e recitazione dell’Amleto, lo spet-tatore viaggia attraverso il Dubbio più celebre, e cioè fra l’Essere e il Non Essere shakespeariano, che sebbene datato 1601, risulta drammatica-mente vero e sincero anche nel 2015.

Lavia racconta ed interpreta così i personaggi di Amleto, di Gertrude, di Claudio, di Ofelia, esat-tamente come si faceva allora, e cioè quando gli attori recitavano ruoli maschili e femminili, sullo stesso palco e senza distinzione di genere. Torna

INCONTRANDO

GABRIELELAVIA

INCONTRARE GABRIELE LAVIA È UN PO’ COME INCONTRARE UN PEZZO DELLA NOSTRA STORIA ITALIANA.

Gabriele Lavia – foto Filippo Milani

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dicembre 2015 | Plus Magazine | PROTAGONISTI 23

PROTAGONISTI

te con la sua storia di attore e regista teatrale. Mi riferisco a Vita di Galileo di Bertold Brecht, un testo che Lavia ha cominciato a sognare sin da quando aveva vent’anni.

Perché il testo di Brecht?Ho visto l’opera di Brecht per la prima volta nel 1963, al Piccolo di Milano, con la regia di quello che sarebbe diventato il mio maestro, Giorgio Strehler. Avevo vent’anni e rimasi stupefatto. Lo dico sempre che fu allora che decisi che il teatro sarebbe stato la mia vita. Quell’opera diretta da Strehler è lo spettacolo più bello che ho visto in assoluto, ed il Galileo che oggi metto in scena, dopo cinquant’anni, è una dedica a lui, a Giorgio Strehler. Ma non ho copiato nulla, questo deve essere chiaro.

Eppure Giorgio Strehler è stato il suo maestro e come lei, ha restituito al pubblico un teatro sempre molto denso. Come sente “più sua” l’opera

indietro, Gabriele Lavia, a quel “teatro perduto” a lui molto caro, e ritorna agli allestimenti sce-nici degli anni settanta e ottanta per raccontare riflessioni filosofiche e storiche tratte dal testo di Bardo: il dubbio, le incertezze, le contraddizioni della realtà crudele del Re di Danimarca che sono le stesse di un uomo moderno, ma solo senza corona. Sono progetti che coinvolgono l’attore torinese in un bel percorso di opere classiche del teatro di tutti i tempi e che porta sui palchi della sua vita e cioè Roma e Torino. Anche nella sua città, non a caso, ha inaugurato la stagione con un testo complesso, il “più difficile della mia vita”, lo ha definito. Ma che è anche una traccia coeren-

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del Nazismo e negli anni in cui la Ricerca sco-priva l’energia nucleare e metteva lo scienziato di fronte a se stesso e alla Sua questione morale. Io, Gabriele Lavia, so che Brecht aveva di fronte a se Heidegger, Kant, Nietzsche, tutte le volte che

ha scritto e corretto il suo testo. Per questo dico che non è un documentario. È una lezione. Una lezione attuale e per tutti.

Tradurre le opere, tradirle e trasferirle. Ma non crede che un linguaggio teatrale molto classico ed “elevato”, penso ad esempio alla sua Medea di Euripide, non aiuti la genera-zione dei più giovani a capire, e rischia di consegnare il suo teatro solo alla sua o, al limite, alla mia generazione?Ma io non debbo In-segnare. È il pubblico che ha il compito di Im-parare. Tutti debbono capi-re è vero, ma poi ciascuno è re-sponsabile davanti alla propria comprensione o incompren-sione. Il mio teatro è spesso una rottura di stile. Un teatro per-duto, in qualche modo, perché

che lei ha definito più ambiziosa della sua vita rispetto al testo di Strehler?Il veicolo fra l’opera e il pubblico è solo il linguaggio del teatro. La coscienza che il teatro è il luogo dell’intimità si accompagna all’ambizione di trasfe-rire l’atto scenico allo spettatore. Il Galileo di Strehler era però diverso dal mio. Era severo, con una durezza stilistica che gli apparteneva certamente anche nella vita, sicuramente più viscerale. Pensate alla celebre scena della vestizione del Papa nel suo spettacolo. Il mio Papa, invece, è nudo. La Vita di Galileo che ho deciso di rappresentare è una mia traduzione, anzi un mio tradimento. Riesco ad essere solo un fedele traditore. Tradurre e tradire sono sinonimi. Sono condannato a questo, e così riesco a spingere il testo un po’ più in qua o in là, e a trasferirlo. Ma non è un spettacolo-documentario sul personaggio di Galileo. È la storia di un infelice intellettuale, di un uomo del sapere che dal 1938 ha scelto, meticolosamente, di riscrivere la sua sto-ria, approfondendo oltremodo il rapporto infernale che esiste fra cultura scientifica e l’abominio del potere. È la vita di un cialtrone geniale, un eroe al contrario, che anche mentre sta andando al rogo grida la verità ed è felice. Un folle geniale. Chi andrebbe a morire sentendosi felice? Io no di certo.

L’opera di Brecht è attuale. Il rapporto tra scienza e potere, ragione e dogma, dubbio e fede, non sono semplici e non ci sono risposte direi. Chi è oggi il Galileo di Brecht?“Tutti capiscono quello che dico”. Questa frase nel testo originale non esiste. L’ho aggiunta io. E non ci sono ricette, e nemmeno risposte, è vero. Galileo è un uomo del sapere, così come lo è Brecht. Loro rappresentano la stessa cosa: un filosofo, uno scienziato, un uomo che comprende con dolore, tanto da morirne, il limite che c’è fra Arte e Scienza, un intellettuale consapevo-le di quanti uomini siano venuti a patto con il potere, nella storia atroce

PROTAGONISTI

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il teatro impegnato o impegnativo, come quello che faccio io, non esiste più. La parola impegno è un orrore. Non va più di moda. La superficialità, invece, quella, è sempre protagonista. Recitare è proprio un mestiere contro natura!

Lei ha fatto anche il regista cinematografico. Famosa Scandalosa Gil-da del 1985, o la Lupa del 1986, o il più recente Scene da un Matrimonio del 2000. Tuttavia il Teatro è il suo grande amore. Cosa c’è di così grande?Andare al cinema non ha nulla a che fare con l’esperienza teatrale. E non lo dico da regista, lo dico proprio da spettatore. Solo nel Teatro, e nel suo luogo, l’uomo ha un rapporto sincero con l’origine di sé.

La parola teatro deriva dal greco théatron che significa spettacolo e théaomai che significa vedo. È il luogo dello sguardo. È quello che da dentro, il veduto, ti guarda. E lo sguardo, nel teatro greco, è lo sguardo di Dio e quindi di chi detiene la verità. Ed è sempre e solo il teatro il luogo dove vive la Polis, la comunità di coloro che in quel momento, insieme a tanti altri, sono in quel luogo dello sguardo. Questo accade solo qui, e da sempre. Dal tempo dei classici, prima nelle piazze, negli anfiteatri e nei teatri. Da sempre e per sem-pre. È un’arte eterna. L’unica vera arte eterna. Mi dispiace dirlo ma la pittura o la scultura, prima o poi, moriranno. La Gioconda, un giorno, per fare un esempio, non ci sarà più. Ma questo al teatro non può accadere.

Augurandoci che la Gioconda e la pittura sopravvivano nei secoli a venire, il luogo del Teatro, come lo definisce Lavia, è sempre e comunque una buona occasione di ricerca, di aggregazione, di cultura classica e d’a-vanguardia, e se guardiamo un po’ in lá, un viaggio espresso nella natura più intima di sé, ma come forse lo sono tutte le vere espressioni artistiche.

Buon Teatro a tutti.

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PROTAGONISTI

dicembre 2015 | Plus Magazine | PROTAGONISTI 25

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NEWS

affermazione non vi convince date un’occhiata alla velocità con cui, in questi anni, si sta scatenando la corsa a costruire il piano più alto del pianeta.

Solo 15 anni fa, le costruzioni che superavano i 200 metri di altezza erano delle eccezioni e se ne contavano appena 263 nel mondo intero, ma già nel 2012 il loro numero era quasi triplicato e oggi sono 10 i palazzi in via di costruzione desti-nati a superare i 500 metri, cioè destinati ad essere più alti del più alto palazzo del 2003, il Petronas Twin Towers di Kuala Lumpur.

Ma più che l’espressione di un’ingegneria civile portata all’e-stremo, questi super palazzi costituiscono un monumento all’ego delle città e dei paesi emergenti, una scorciatoia per affermare la propria grandezza in un mondo globalizzato, nuove icone di successo come i loro progettisti, o meglio come le loro archistar.

A volte, come accadrà a Dubai, il susseguirsi degli eventi ed il fiume di denaro che questi portano con sé, producono nuovi ed inaspettati sviluppi e nel 2020, in tempo per l’apertura

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M A U R O B O S S O L A

GRATTACIELISEMPRE PIÙ ALTI:LA NUOVA FRONTIERA

Se prendendo il più alto ascensore del mondo salite all’ultimo piano del più alto grattacielo del mondo per uscire poi all’aperto sul più alto tetto mai costruito al mondo, la sensazione non è poi molto differente da quella che si prova volando su un comune aereo da turismo.

La stessa frase “a volo d’uccello” non riesce a descrivere quel-lo che si prova, anche perché il 124º piano del Burj Khalifa a Dubai - a 452 metri dal suolo - si trova ad un’altezza superio-re a quella raggiunta da molti volatili.

A cinque anni dalla sua inaugurazione, il grattacielo più alto del mondo è diventato una vera e propria attrazione turistica di massa, che vede oltre un milione e mezzo di turisti all’an-no sborsare la bellezza di 54 dollari per raggiungere il top e contemplare dall’alto il miracolo gravitazionale di un colosso che dalla base all’estremità delle sue spire di acciaio raggiun-ge ben 830 metri, quasi il doppio dell’Empire State Building di New York.

Eppure anche il Burj Khalifa è destinato, tra pochi anni, a cedere lo scettro di costruzione più alta del mondo. Se questa

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NEWS

dell’Esposizione Mondiale, l’area di Dubai Marina ospiterà una nuova mega-costruzione la cui altezza non è però ancora stata resa nota.

Ma senz’altro, il più estremo tra i progetti attualmente in fase di realizzazione è la Kingdom Tower di Gedda, la seconda cit-tà dell’Arabia Saudita, che quando aprirà i battenti nel 2019 sarà il primo ed unico grattacielo al mondo a superare un chilometro di altezza.

Finanziata dal miliardario saudita Alwaleed bin Talal, la torre sorgerà nella nuova area di Gedda chiamata appunto King-dom City, che nella speranza dei sauditi dovrebbe ospitare alcuni milioni dei pellegrini che viaggiano incessantemente verso le vicine città sacre della Mecca e Medina.

Per percorrerla tutta sono stati previsti ben 59 ascensori, al-cuni dei quali a due livelli – come i celebri bus londinesi – per permettere di servire due piani in una sola volta; solo per scavarne le fondamenta si è impiegato più di un anno di la-voro. Ma nonostante questi ed altri massicci sforzi impiegati per costruire questi colossi, la corsa alla loro costruzione non sembra dare segni di rallentamento, non solo per spirito di emulazione, ma anche perché spesso costituiscono un for-midabile motore di trasformazione e sviluppo delle aree in cui sorgono, portando con sé – a catena – alberghi di lusso, shopping center, ristoranti e uffici.

Ma se non c’è limite all’inventiva e alla vanità umana, ce n’è forse per la costruzione di grattacieli sempre più incredibil-mente alti?

Il primo ed il più intuibile tra i limiti con cui fare i conti è senz’altro quello del vento, che tende ad infiltrarsi nelle strutture e ad accelerare verso l’alto: è anche per questo mo-tivo che il Burj è stato disegnato come una specie di stalagmi-te che emerge dalla terra e si assottiglia verso il cielo.

L’altro problema è meno ovvio ma altrettanto difficile da ri-solvere e riguarda i cavi degli ascensori, perché questi – ol-tre ad una certa lunghezza – devono essere troppo spessi per poter sopportare il peso e, contemporaneamente, scorrere agevolmente.

Dall’ingegneria delle costruzioni la mano passa quindi a quella dei materiali e già si sta collaudando un materiale in fibra di carbonio che potrebbe essere in grado di fare en-trambe le cose: sollevare a grandi altezze e scorrere.

Ma la vera sfida che ancora nessuno è in grado di affrontare con successo è quella dell’enorme spreco di spazio e di ener-gia che questi colossi consumano, una sfida tale da portarli dall’esaltazione all’autodistruzione in un tempo forse non così lontano.

GRATTACIELISEMPRE PIÙ ALTI:LA NUOVA FRONTIERA

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PROTAGONISTI

A Ascolto le sue parole e capisco che è un uomo intelligente. Lo osservo e vedo quanto la malattia lo metta alla prova. Lo sento suonare il pianoforte e percepisco la magia della

musica. Quando le dita scorrono veloci sui tasti lui, Ezio Bosso, si muove in un’altra dimensione e niente e nessuno possono interferire. Nato a Torino quarantaquattro anni fa, vive a Londra ed è un cosmopolita che dagli anni ‘90 calca le migliori scene internazionali. Le stagioni concer-tistiche lo hanno visto esibirsi sia come solista sia come direttore o in formazioni da camera: per questo è considerato uno dei compositori e musicisti più influenti della sua generazione. Enfant prodige, a quattro anni ha iniziato a suonare grazie ad una prozia pianista e a sedici ha debuttato come solista in Francia; ha poi proseguito gli studi di composizione e direzione d’orchestra all’accademia di Vien-na. Vincitore di riconoscimenti come il Green Room Award in Australia

UNA VITA PER LA MUSICA,CHE GLI REGALA LA VITA

EZIO BOSSOFoRSE SAPEVA SUoNARE

ANCoR PRIMA dI NASCERE. SICURAMENTE IL PENTAGRAMMA è NEL SUo dNA. IL RISULTATo è

CoMUNqUE LEGGENdA, AL dI Là dELLA MALATTIA

CHE Lo INSEGUE. PIANISTA, CoMPoSIToRE E dIRETToRE

d’oRCHESTRA, EzIo BoSSo CALCA I PALCHI dEI

PIù PRESTIGIoSI TEATRI INTERNAzIoNALI E qUANdo

NoN è oN STAGE VIVE A LoNdRA. IL SUo STRUMENTo,

INVECE, è A ToRINo.

I N T E R V I S T A d I

B A R B A R A O D E T T O

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PROTAGONISTI

(l’unico non australiano) o il Syracuse NY Award in America, nella danza è richiesto da coreografi del calibro di Christopher Wheeldon, nel teatro è corteggiato da registi come James Thierrèe men-tre nel cinema ha collaborato con Gabriele Salva-tores, per il quale ha composto la colonna sonora per quartetto d’archi del film Io non ho paura, e molti altri. Il 30 ottobre di quest’anno è uscito il suo primo disco, The 12th room, pubblicato da Egea music, al quale è seguito un tour per l’Italia e non solo: il 25 dicembre sarà infatti a Betlemme. Lo abbiamo incontrato durante un’esibizione e, soprattutto, lo abbiamo sentito suonare. Un’emozione che tutti dovrebbero provare.

Da dove iniziamo?Dalla malattia, così poi non ne parliamo più. Nel 2011 ho subito un intervento al cervello, ma ho anche la sclerosi multipla. Come uomo ho delle limitazioni fisiche, però mi sento fortunato perché la musica è la mia vita. Quando suono sto bene. Questa passione è dentro di me da sempre, da quando sono nato, e ancora oggi passo un terzo del mio tempo al pianoforte.

È torinese, ma ha la cittadinanza londinese. Una scelta dettata dalla professione?Grazie al mio lavoro ho avuto il privilegio di vivere in tanti luoghi diver-si e di passare molto tempo nelle camere degli hotel. Da piccolo dicevo che da grande avrei vissuto in albergo e in effetti è così: secondo me è divertente.

Davvero il suo pianoforte risiede a Torino? Confermo e ringrazio la Città che mi ha messo a disposizione Palazzo Barolo, una delle più importanti dimore nobiliari barocche del capoluo-go. Lui, il pianoforte, vive nel Salone d’Onore e devo dire che lo invidio. Per me è una persona a tutti gli effetti e tra noi c’è un forte feeling: insie-me siamo due strumenti al servizio della musica.

Nonostante suoni da sempre, The 12th room – la dodicesima stan-za – è il suo primo disco da solista. Il titolo si rifà anche al sogno di bambino?In parte, ma non solo. È il titolo di un libro censurato dal buddhismo nel quale le stanze raffigurano la vita. Si legge che in ognuna lasceremo qualcosa di noi che ricorderemo quando saremo arrivati all’ultima. Io ho una stanza che mi è antipatica e so che ogni tanto ci devo tornare: è troppo grande perché lì sto male ed è troppo piccola perché è oppri-mente, ma anche lei è un dono. Mi sono messo a cercare il significato di stanza ed ho scoperto di essere un esploratore dello scontato: la stanza è il primo rifugio organizzato dell’uomo, è presente in poesia, è il luogo in cui Chopin scrisse i Preludi e Bach fu il primo compositore ufficiale di stanze. Insomma, tutti parlano di rooms.

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PROTAGONISTI

Sino al 22 febbraio sarà in tour. Cosa le regala la dimensione del live?Live vuol dire vita e la musica va ascoltata dal vivo. Io suono quotidiana-mente dal vivo e lascio che le persone vengano ad ascoltarmi anche quando provo perché mi piace condividere con gli altri.

Lei definisce il suo stile cellulare, la sua ricerca sinestetica e la sua so-norità empatica. Cellule, sinestesia ovvero unione dei sensi, ed empatia sono aspetti che com-pongono l’essere vivente per cui la mia musica è semplicemente umana.

Quale alchimia crea quando dirige un’orchestra?Magia. Ho la bacchetta e, proprio come Harry Potter, con lei scaturisce il suono di diversi strumenti. Oggi tendiamo a separare le cose, ma i miei rife-rimenti – uno su tutti Beethoven – scrivevano, suonavano, dirigevano e non c’era nulla di eccezionale. Tutto questo faceva parte dell’essere musicista. Oggi invece tendiamo a separare e a creare categorie, abbiamo paura del mare aperto e non della vasca da bagno.

Ha composto musiche per diversi film, ma non è sicuramente un com-positore di colonne sonore.Infatti, non lo sono e non voglio togliere il ruolo a chi lo fa di mestiere. Io ne ho scritte sette o otto, mentre Morricone ne ha composte circa ottocen-to e alla mia età ne aveva già quattrocentocinquanta all’attivo. Anche per Gabriele Salvatores ho prodotto solo un brano, e non tutti, che è presente in Io non ho paura.

Negli anni ha ricevuto moltissimi riconoscimenti internazionali e ha suonato nei teatri più prestigiosi: ha però un sogno nel cassetto?In realtà no. Voglio solo sentirmi libero di suonare e di condividere con gli altri, desidero aiutare i più giovani che, come me, vivono questa grande pas-sione. Voglio essere al servizio della musica perché lei mi ha dato tanto e continua a farmi regali.

Quando non compone o non si esibisce, cosa le piace fare?Sarà scontato, ma suonare e amare mi regalano la stessa felicità e la mede-sima intensità. Per questo trascorro molto tempo al pianoforte e mi dedico allo studio. Credo che tutti noi dobbiamo accettare i nostri limiti fisici e mentali e abbiamo l’obbligo di continuare a condurre una ricerca personale che ci aiuti nell’evoluzione. Per me studiare significa stare anche un intero giorno a provare una nota per riuscire a farla il più piano possibile.

Il cd è un doppio album o sono due momenti musicali diversi?L’ho costruito con un percorso meta-narrativo che rivela le radici della mia musica e i due artisti che convivono in me: il compositore e l’interpre-te. Nel primo disco ci sono dodici brani, dei quali quattro inediti e sette di repertorio pianistico, che presentano dodici stanze dalle quali si entra e si esce; nel secondo c’è la dodicesima stanza anche se è il tredicesimo brano ed è una Sonata No. 1 in Sol Minore per piano della durata di quaran-tacinque minuti. In realtà si tratta di tante storie nelle quali ognuno si deve immedesimare in base al proprio sentire, di un racconto con un tempo dettato dalla musica.

Com’è nato il progetto?Per caso, parlandone con Neffa e con altri amici. Non avevo l’urgenza di realizzare un disco, ma la gioia di farlo. L’ho registrato tra l’1 e il 4 settem-bre di quest’anno al Teatro Sociale di Gualtieri, dove sono cittadino onorario, con il pubblico in sala che mi circondava. Questo teatro ha un’acu-stica straordinaria e per me rappresenta un’al-tra stanza importante. Ogni suono che sentirete nell’album è prodotto interamente dal pianofor-te e la postproduzione si è basata sull’idea di far vivere all’ascoltatore l’esperienza di sentirsi den-tro lo strumento, come fosse il pianoforte stesso una stanza nella quale entrare.

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MODA

di BARBARA ODETTO (foto Archivio Stilisti)

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L’inverno?

Può sEmBRARE unA cRiTicA, mA nOn lO è. lA sTAgiOnE Più fREDDA DEll’AnnO PROmETTE OuTfiT E AccEssORi chE sOnO fRuTTO Di unA RicERcA sTilisTicA Di AlTO livEllO. PERché POsh, snOB, nOn è un DifETTO, mA un sEgnO Di mODA. lO DimOsTRAnO i BRAnD chE DA sEm-PRE DOminAnO lE PAssEREllE, cOsì cOmE i cOuTuRiER E i giOiElliERi chE Al mAss mARkET PREfERiscOnO l’éliTE.

Posh...

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MODA

dicembre 2015 | Plus Magazine | MODA 33

gAnT 3 LadylikeSe vi piace mixare le linee asciutte con gli outfit iperfemminili, il vostro brand di riferimento è Gant, ça va sans dire. Perché? Perché è moder-no, grintoso, elegante e capace di trascendere le mode. Lo dimostra, ancora una volta, nella collezione fall-winter che accompagna gli ulti-mi mesi del 2015 e i primi del 2016. In passerella i pantaloni dal taglio maschile si alternano con disinvoltura ai cinque tasche, così come gli abitini fluidi che segnano il punto vita sono un’alternativa easy a pro-poste più chic come il classico tubino con relativo blazer. Non manca poi la pelle, protagonista di stagione, declinata in gonnelline svasate dal mood raffinato e davvero up-to-date. Per una donna che ama la ricerca stilistica e che non passa inosservata.

www.it.gant.com

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MODA

nEW EnglAnD 3 Brit styleUna moda calda, confortevole, delicata, che avvolge senza nascondere e che regala femminilità senza mai urlare. È questa, in sintesi, la proposta fall-winter firmata New England since 1983. Il brand pensa ad una lei con-temporanea, divisa tra gli impegni di lavoro e la vita privata, una donna che non vuole rinunciare al lato glam, ma che al guardaroba richiede anche praticità. Per la stagione più fredda i colori sono quelli basici: dal bianco al beige, dal grigio al nero, senza dimenticare i toni del marrone e del blu, vero “season color” insieme alla nuance sangria. Le linee sono morbide, ma seguono la silhouette, e si traducono in leggins effetto tuta, pantapalaz-zo, mini dress, longuette e, per combattere il gelo delle strade, capispalla avvolgenti e cardigan extra long. We like it!

www.newengland83.it

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MODA

gRAnERO 3 Extra luxury“L’unicità di un gioiello non è dettata dal costo, ma da chi lo indossa”. È questa la filosofia di Fabrizio Granero, autore di creazioni di alta gioielleria dalla manifattura raffinata ed esclusiva nella quale l’estetica si unisce alla perfezione stilistica e alla qualità superiore delle pietre e dei materiali impiegati. Poliedrico, creativo e profondo conoscitore del settore, da sempre è il gioielliere dell’élite internazionale; residente a Gstaad, sulle Alpi Bernesi, ogni sua “opera d’arte” viene commissionata dai clienti e realizzata personalmente nel suo atelier in funzione dei desideri di ognuno. Vero artista, non segue le mode. Le anticipa. Con lui il gioiello si apre a diverse interpretazioni per diventare altro da sé. La collana si trasforma in bracciale, gli orecchini si vestono da sera con l’inserimento del pendente, l’anello a fascia gioca con le divisioni e da uno diventano sette. Per una versatilità da indossare in ogni occasione.

www.kuntaluxury.com

fAY 3 Bag passion!Momento verità dedicato alle donne: alzi la mano chi non ha una

vera passione per le borse? Piccole o grandi, non importa. Importa solo che di questi accessori non ne abbiamo

mai abbastanza. Il must have da chiedere a Babbo Natale? Una Hobo Fay. Le frange le regalano quel twist grintoso che fa di lei un’icona, mentre i co-

lori sono quelli caldi di stagione. Tante le proposte tra le quali scegliere: dalla versione shoulder da portare co-modamente sulle spalle alla clas-sica handbag che regala un’allure decisamente più chic. Le texture spaziano dalla pelle al camoscio, per una borsa ampia e morbida, mentre alla tinta unita si affiancano le fantasie del patchwork e quelle ani-malier… Pronte a compilare la wish list?

www.fay.com

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MODA

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RiflE 3 Denim RootsDa sempre corteggiato e rivisitato dalla moda il jeans, nella colle-zione Rifle targata autunno-inverno 2015, ripercorre la sua storia in chiave contemporanea. Pur rimanendo fedele alle proprie radici e puntando su una vestibilità informale, il brand lo interpreta in manie-ra nuova. L’ever-green studiato per lui è il denim nel più tradizionale blu indaco. Tutto ruota attorno a questo colore che evoca l'incon-trastata libertà degli spazi aperti e degli orizzonti sconfinati. I jacket imbottiti con sproni e carré in ecopelle, mix di indaco e quadri, così come le camicie dal disegno tartan e checked, tutti gli outfit esaltano l'immagine e la funzione prevalentemente outdoor della collezione. Il denim diventa jersey nelle felpe e nelle maglie coordinate, mentre i cinque tasche si colorano delle tinte più forti: stone, wood, metal. Per un look easy e contemporaneo.

www.riflejeans.com

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MODA

dicembre 2015 | Plus Magazine | MODA 37

lA mARTinA 3 Trend setter…Così è l’uomo che veste La Martina. Un business man elegante dall’alba al tramonto: sia quando è impegnato nel lavoro sia nei momenti liberi, trascorsi magari sui campi da polo. L’atten-zione del brand verso lo sport è rafforzata

dal sodalizio con Maserati. Il risultato? Una capsule collection che ha come punto di for-

za la polo invernale, rivisitata in chiave winter, e che protegge dal freddo grazie a 100 grammi di morbida trapunta outdoor “cashmere insula-te”: un tessuto che garantisce leggerezza e che ha volumi ridotti che rendono slim la silhouette. Si ispira invece al dress code degli ospiti dei tornei di Polo a Guards, il Club fondato nel ‘55 dal Principe Philip Duca di Edimburgo, la capsule Royal Box in cui le citazioni stilistiche british sono riplasmate in materiali con-fortevoli che promuovono l’abbinamento ai jeans. Chic & cool!

www.lamartina.com

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Trama: Con l’Episodio VII: Il Risveglio della Forza, prose-gue la celebre saga stellare creata da George Lucas. Questo primo episodio del-la nuova trilogia di Guer-re Stellari dovrebbe essere ambientato 30 anni dopo Il ritorno dello Jedi. Il film usci-rà il 18 dicembre negli USA mentre in Italia sarà distri-buito due giorni prima, il 16 dicembre. Bob Iger, il CEO di Disney, ha rivelato che l’otta-vo episodio arriverà nel 2017, mentre il nono nel 2019. A proposito del settimo epi-sodio invece, ha dichiarato: “Come privilegiato che ha potuto visitare il set e vedere tutto il footage, garantisco ai milioni di fan che hanno speso l’ultima decade a spe-rare che uscisse un nuovo film della saga, che valeva la pena aspettare. Ed è solo l’i-nizio di una nuova era di Star Wars”.

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i n v e r n o

Trama: Il titolo del film, Il ponte delle spie, fa riferi-mento a un ponte realmen-te esistente a Berlino, che un tempo univa la zona est e quella ovest, oggi noto come Ponte di Glienicke. Tratto da una storia vera, il film racconta la storia di Ja-mes Donovan (Tom Hanks), un importante avvocato americano arruolatosi nella CIA durante la Guerra Fred-da che scivola dietro la cor-tina di ferro per negoziare il rilascio di un pilota cat-turato dopo l’abbattimento del suo aereo spia U-2 sopra la Russia. Gli sceneggiatori Matt Charman, Ethan Coen e Joel Coen hanno preso spunto dalla straordinaria esperienza di vita di Dono-van, si sono ispirati a fatti realmente accaduti che cat-turano l’essenza di un uomo che ha rischiato tutto e che porta in risalto il suo viaggio introspettivo.

Trama: Abe Lucas, profes-sore di Filosofia, è emotiva-mente provato ed incapace di dare un significato alla sua vita. Poco dopo il suo arrivo come nuovo insegnante presso il college di una piccola città, Abe si ritrova coinvolto nella vita di due donne: Rita Ri-chards, professoressa solita-ria che spera che lui la salvi dal suo matrimonio infelice, e Jill Pollard, la sua migliore allieva che è anche la sua migliore amica. Il caso spariglia le carte quando Abe e Jill si trovano ad origliare la conversazione di un estraneo, rimanendo-ne invischiati. Nel momento stesso in cui Abe decide di compiere una scelta delica-ta, torna nuovamente ad ab-bracciare la vita. Ma la sua decisione innesca una catena di eventi che in-fluenzeranno la sua stessa vita e quelle di Jill e Rita per sempre.

STAR WARS: IL RISVEGLIO DELLA FORZA

Regia: J.J. Abrams

Data uscita: 16/12/2015

Cast: Harrison Ford, Carrie Fisher, Mark Hamill, Anthony Daniels, Peter Mayhew, etc.

IL PONTE DELLE SPIE

Regia: Steven Spielberg

Data uscita: 17/12/2015

Cast: Tom Hanks, Mark Ry-lance, Amy Ryan, Alan Alda, Billy Magnussen, etc.

IRRATIONAL MAN

Regia: Woody Allen

Data uscita: 17/12/2015

Cast: Emma Stone, Joaquin Phoenix, Parker Posey, Jamie Blackley, etc.

IL PICCOLO PRINCIPE

Regia: Mark Osborne

Data uscita: 01/01/2016

Cast: Riley Osborne, Rachel McAdams, James Franco, Marion Cotillard, etc.

Trama: Un vecchio ed ec-centrico aviatore e la sua nuova vicina di casa: una bambina molto matura tra-sferitasi nel quartiere insie-me alla madre. Attraverso le pagine del dia-rio dell’aviatore e i suoi dise-gni, la bambina scopre come molto tempo prima l’avia-tore fosse precipitato in un deserto e avesse incontrato il Piccolo Principe, un enig-matico ragazzino giunto da un altro pianeta. Le esperienze dell’aviatore e il racconto dei viaggi del Pic-colo Principe in altri mondi contribuiscono a creare un legame tra l’aviatore e la bambina. Affronteranno in-sieme una straordinaria av-ventura, alla fine della quale la bambina avrà imparato ad usare la sua immagina-zione e a ritrovare la sua in-fanzia.

plus magazine cinema

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L’AVVOCATO CANAGLIAdi John Grisham

“Non sono il tipico avvocato. Non ho un bell’ufficio con mobili di mogano e poltrone in pelle. Non appartengo a uno studio legale, prestigioso o meno. Non faccio opere di bene per l’ordine degli avvo-

cati. Sono un lupo solitario, una canaglia che si batte contro il sistema e odia le in-giustizie...”. Non si può certo dire che Sebastian Rudd sia un avvocato come tutti gli altri. Il suo ufficio si trova a bordo di un furgone dotato di vari comfort. Non ha soci in affari, ma accanto a lui c’è sempre un uomo, che lui chiama Part-ner. Difende i peggiori cri-minali, i casi disperati. Ritie-ne che ognuno abbia diritto ad avere un processo equo. Odia le ingiustizie, detesta i poteri forti e si prende gioco delle istituzioni. Narrato in prima persona, L’avvocato canaglia racconta la vita professionale e priva-ta di un vero anticonformi-sta, un uomo sarcastico, ec-cessivo, arrogante, ma molto umano, uno dei personaggi più riusciti dei romanzi di Grisham.

dicembre 2015 | Plus Magazine | RECENSIONI 41

r e c e n s i o n i

IL TEMPO DELLE IENEdi Carlo Lucarelli

Una mattina, dal ramo di uno dei secolari sicomori di Saganeiti, un giovane pastore vede penzolare la sagoma di un impiccato: è uno dei braccianti della vi-cina stazione agricola.

L’indomani, a pendere dal-lo stesso albero ci sono al-tri due braccianti. Il giorno dopo ancora, l’impiccato è uno, ma vale per tre. È il padrone della stazio-ne agricola: un marchese, un t’lian, un bianco. Tocca al capitano Colaprico dei Carabinieri reali e al suo buluk-bashi Ogbà investi-gare su questa strana se-rie di morti, di cui l’unica testimone potrebbe essere stata la strega, una vecchia che vive in una capanna isolata, tra le iene, e che è appena scomparsa. Mentre la moglie del mar-chese preme per risolvere il caso, così da sistemare in fretta la questione eredità, Colaprico e Ogbà si muovo-no in una colonia pervasa dalla febbre dell’oro, che ai primi del Novecento tutti erano sicuri avrebbe reso l’Eritrea più ricca del Klon-dike.

VA’, METTI UNA SENTINELLAdi Harper Lee

Uno storico evento lette-rario: la pubblicazione del romanzo di Harper Lee, l’a-mata autrice del romanzo premio Pulitzer, Il buio ol-tre la siepe. Va’, metti una sentinella è ambientato a

IL DIO DELLA COLPAdi Michael Connelly

Mickey Haller è un uomo complicato, con una vita complicata. Deve fare i con-ti con un passato di eccessi, con una figlia che non vuole più saperne di lui e, più pro-saicamente, con le necessità

metà degli anni cinquanta e presenta molti personag-gi de Il buio oltre la siepe vent’anni dopo. Scout torna a Maycomb da New York per andare a trovare Atticus. Cercando di comprendere l’atteggiamento del padre nei confronti della società e i suoi stessi sentimenti ver-so il posto dove è nata e dove ha passato l’infanzia, Scout è costretta ad affrontare diffi-cili questioni personali e politiche. Esaminando come i personaggi de Il buio oltre la siepe cambiano di fronte agli eventi turbolenti che caratterizzano l’America in trasformazione della metà degli anni cinquanta, Va’, metti una sentinella getta una nuova affascinante luce sul classico di Harper Lee. Commovente, divertente e appassionante, Va’, metti una sentinella è sequel del precedente, ma soprattutto è un magnifico romanzo a sé stante.

quotidiane, tra cui quella di guadagnare quel tanto che basta a mandare avanti il suo studio. È per questo che, quando riceve un messaggio sul cellulare mentre è in un’au-la di tribunale, impegnato a difendere il suo cliente dall’accusa di aggressio-ne, la sua attenzione viene immediatamente cattura-ta. A mandarglielo è Lorna, la sua segretaria, e il testo è questo: “Chiamami su-bito. Si tratta di un 187”. Il numero, che in California corrisponde al codice dell’o-micidio, cattura immedia-tamente la sua attenzione. Occuparsi della difesa in un caso di omicidio significa guadagnare un bel mucchio di soldi e l’eventualità non lo lascia certo indifferente. Quando poi scopre che la vittima, una prostituta, era già stata sua cliente, non ha più dubbi sull’opportunità di accettare l’incarico.

plus magazine letture

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BELLEZZA DIVINA TRA VAN GOGH, CHAGALL E FONTANAFino al 24 gennaio 2016Palazzo Strozzi a Firenze ospita Bellezza divina tra Van Gogh, Chagall e Fontana, un’eccezionale mostra dedicata alla ri-flessione sul rapporto tra arte e sacro tra metà Ottocento e metà Novecento attraverso oltre cento opere di celebri artisti italiani, tra cui Domenico Mo-relli, Gaetano Previati, Felice Casorati, Gino Severini, Renato Guttuso, Lucio Fontana, Emilio Vedova, e internaziona-

li come Vincent van Gogh, Jean-François Millet, Edvard Munch, Pablo Picasso, Max Ernst, Stanley Spencer, Georges Rouault, Henri Matisse. Dalla pittura re-alista di Morelli all’informale di Vedova, dal Divisionismo di Previati al Simboli-smo di Redon, fino all’Espressionismo di Munch o alle sperimentazioni del Futu-rismo, la mostra analizza e contestua-lizza un secolo di arte sacra moderna, sottolineando attualizzazioni, tendenze diverse e talvolta conflitti nel rapporto fra arte e sentimento del sacro.Firenze - Palazzo StrozziPiazza degli Strozzi055 2645155www.palazzostrozzi.org

JOAN MIRÓ A VILLA MANIN. SOLI DI NOTTEFino al 3 aprile 2016Una mostra evocativa ricostruisce l’u-niverso di Miró negli ultimi trent’anni di vita, l’atmosfera dei suoi studi ma-iorchini, la ricerca della solitudine e la radicale trasformazione della sua arte. Oltre 250 opere dell’artista, i suoi ogget-

sono presenti cinque tele che sviluppa-no tutti i temi fondamentali del pittore parigino: il ritratto, i cavalli e le incon-fondibili ballerine. La sala principale della mostra ha invece come tema il su-peramento dell’Impressionismo e l’a-prirsi di nuovi orizzonti e ruota attorno alla figura-chiave di Vincent Van Gogh, alla quale si affiancano quelle di Paul Cézanne e Henri Matisse. Sono presenti anche dipinti di Amedeo Modigliani. La mostra culmina con una sala monogra-fica dedicata a Pablo Picasso, di cui sono presenti sei tele.Genova - Palazzo Ducale Piazza Matteotti 9 010 9280010www.impressionistipicasso.it

EGITTO. SPLENDORE MILLENARIO Fino al 17 luglio 2016La collezione egiziana del Museo Nazio-nale di Antichità di Leiden in Olanda e quella di Bologna si uniscono integran-dosi in un percorso espositivo di circa 1.700 m2 di arte e storia. È un’esposizio-ne di fortissimo impatto visivo e scien-tifico e anche un’operazione che non ha precedenti nel panorama internazio-nale: dall’Olanda giungeranno 500 re-perti, databili dal Periodo Predinastico all’Epoca Romana e importanti prestiti giungeranno dal Museo Egizio di Tori-no e dal Museo Egizio di Firenze.La storia di una civiltà unica svelata in una grande mostra che riunisce capola-vori dal mondo e che racconta di Pira-midi e di Faraoni, di grandi condottieri e sacerdoti, di dei e divinità, di perso-naggi che hanno fatto la storia dell’E-gitto.Bologna - Museo Civico ArcheologicoVia dell’Archiginnasio 2 051 0301043www.mostraegitto.it

ti personali, tanti documenti e circa 50 scatti di grandi fotografi che lo hanno immortalato, in un inedito percorso espositivo. Una mostra che vuole esse-re assolutamente evocativa dei luoghi, degli ambienti, dei suoni, delle emozio-ni che hanno accompagnato il pittore catalano negli ultimi anni di vita tra-scorsi a Palma di Maiorca, ispirando dal 1956 al 1983, anno della sua morte, un radicale mutamento espressivo e tecni-co del suo lavoro e della sua straordina-ria arte. In mostra anche le musiche re-alizzate appositamente da Teho Teardo.Codroipo (Ud) - Villa Manin Piazza Manin 100432 821211 www.villamanin.it

DAGLI IMPRESSIONISTI A PICASSOFino al 10 aprile 2016La mostra è divisa in diverse sezioni: la prima è dedicata alla nascita del movi-mento che ha cambiato per sempre la storia della pittura: l’Impressionismo. Uno spazio autonomo è, invece, dedi-cato alla figura di Edgar Degas, di cui

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plus magazine mostrearte, scienza e costume

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Adele25

Ci sono voluti due anni di supposizio-ni, rimandi, silenzi rigorosi e timide aperture, ma alla fine ce l’ha fatta: Ade-le torna con il nuovo album 25, la cui uscita è stata annunciata dall’artista attraverso i social media con un bel-lissimo e corposo messaggio per i suoi fan. Il disco sarà disponibile dal 20 no-vembre 2015 ed è pronto a spazzare via ogni possibile concorrente sul mercato discografico. L’album è stato anticipato dal singolo Hello: il video è ambientato

nelle campagne vicino a Montréal ed è firmato dal regista canadese Xavier Dolan (Mommy, Laurence Anyways), che nel 2014 vinse il premio della giuria a Cannes e quest’anno era tra i giurati del festival. Insieme ad Adele compare Tristan Wilde, che aveva recitato nelle serie 90210 e The Wire.

EnyaDARK SKY ISLAND

Dopo sette anni Enya torna con un nuo-vo album intitolato Dark Sky Island, disponibile in tutti i negozi e digital stores dal 20 novembre. Come singolo di apertura la cantante ha scelto di rilasciare Echoes in Rain a cui è stato associato anche un lyric vi-deo. In un comunicato stampa è la stes-sa Enya a raccontare qualcosa di più sul suo ultimo lavoro: “Questo album ha come tema il viaggio. Viaggio nell’isola, viaggio attraverso la vita, viaggio nella storia, nelle emozioni e viaggio attra-

verso gli oceani. Ma nonostante questo non ci sarà mai una connessione tra un brano e l’altro”. Echoes in Rain è stata l’ultima traccia ad essere completata per l’album.

Biagio AntonacciCI STAI

Il 23 ottobre 2015 è uscito in radio e in digitale il nuovo singolo di Biagio Anto-nacci, intitolato Ci Stai. Si tratta di una

ballata pop rock che disamina le dina-miche di un rapporto. È il brano apri-pista della nuova raccolta dell’artista bolognese, che conterrà le sue canzoni più celebri insieme ad alcuni inediti e sarà disponibile dal 27 novembre 2015 via Iris/Sony Music. Ci stai è stato prodotto da Michele Ca-nova, che ne ha anche curato gli arran-giamenti. Per presentare l’album, il 25 novembre all’Alcatraz di Milano, l’arti-sta ha organizzato “Biagio”, un evento speciale dedicato ai sui numerosissimi

fan. “Sarà presto musica nuova comun-que...” scrive Biagio nella sua pagina Fa-cebook: proprio i social hanno accom-pagnato i suoi sostenitori alla scoperta del backstage del disco e dei nuovi testi.

Bruce SpringsteenTHE TIES THAT BIND

In uscita il 4 dicembre, in tempo per lo shopping natalizio, ci sarà quello che gli ascoltatori di Bruce Springsteen aspet-tavano da tempo: il box set di The River,

in occasione del suo trentacinquesimo anniversario. Dopo il cofanetto di Born To Run e quel-lo di Darkness On The Edge Of Town era legittimo aspettarsi una giusta celebra-zione anche del doppio album del 1980. The Ties That Bind: The River Collection conterrà 52 tracce su 4 CD e quattro ore di materiale video mai visto prima su 3 DVD. Sul lato audio, i primi due dischi saranno dedicati all’album origina-le, pietra miliare della discografia di Springsteen; il terzo disco invece sarà The River: Single Album, tassello man-cante tra Darkness On The Edge Of Town e The River mai pubblicato.

r e c e n s i o n i

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plus magazine teatro

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TEATRO MASSIMO - PalermoSIEGFRIEDDate: dal 18 al 29 dicembre 2015

Firmato dal regista Graham Vick, con le scene e i costumi di Richard Hudson, l’opera è appositamente ispirata e con-cepita a partire dagli spazi del teatro palermitano. Un progetto di vaste dimensioni ini-ziato nel 2013 in coincidenza con il bicentenario della nascita del compo-sitore tedesco. “Siegfried è l’opera più complessa da rappresentare – afferma Graham Vick – data l’intensità psicolo-gica di personaggi tanto diversi fra loro e lo sviluppo che essi seguono in seno

alla trama. Entreremo nella vita del gio-vane Siegfried, cresciuto da Mime nella foresta, ricorderemo il sacrificio di sua madre Sieglinde della quale lui conserva l’abito nuziale, lo osserveremo durante la parabola che lo conduce, guidato da Wotan-Viandante, fino al risveglio di Brünnhilde”.

TEATRO LA FENICE - VeneziaSTIFFELIODate: dal 22 gennaio al 3 febbraio 2016

Tradimento e perdono: questi gli ele-menti che caratterizzano una delle ope-re di Verdi che maggiormente dovette subire le forche della cesura. Stiffelio è un pastore protestante, un uomo di Chiesa che, scoperto il tradi-mento della moglie Lina, trova la forza di opporsi alle convenzioni e sceglie di perdonare l’adultera durante un sermo-ne domenicale che costituisce una del-le più belle tra le pagine verdiane.

Anni dopo, visto l’esito incerto dell’o-pera, Verdi rimise mano alla partitura cambiando il titolo in Aroldo e traspor-tando la vicenda dalla Germania pro-testante dei primi del diciannovesimo secolo alla Scozia del Duecento. Oggi, per il suo carattere innovativo, a Stiffelio è riconosciuto il rango di capo-lavoro che per anni gli era stato negato.

TEATRO COSTANZI - RomaIL BARBIERE DI SIVIGLIA Date: dall’ 11 al 21 febbraio 2016

Con la stagione 2015/2016 l’Opera di Roma Capitale risponde alle esigenze, alle richieste, ai desideri culturali del

nostro tempo. Fondamentale punto di partenza l’opera lirica, la cultura dei clas-sici del melodramma, con attenzione a proposte che ne valorizzino l’esecuzione (affidata a prestigiosi direttori d’orche-stra) e allo stesso tempo ne rileggano la modernità che l’opera in sé possiede. Manifesto emblematico di questo rap-porto tra la storia musicale e la rilettu-

ra moderna saranno gli spettacoli e le iniziative legate a Gioachino Rossini e al bicentenario de Il barbiere di Siviglia che ebbe la propria tormentata nascita proprio a Roma. L’opera avrà la direzione di Donato Renzetti e la regia di Davide Livermore, abile nel mettere in luce l’es-senzialità dell’azione drammaturgica.

TEATRO REGIO - TorinoCATSDate: dal 25 al 28 febbraio 20165

Dal debutto, che ebbe luogo al New London Theatre nel 1981, fu tutto un susseguirsi di record. Tradotto in 15

lingue e visto da più di 73 milioni di spettatori in una trentina di produzioni mondiali, compresa quella italiana di Saverio Marconi, Cats arriva al Teatro Regio dopo un restyling della partitura, a eccezione dell’intoccabile Memory (i versi, ispirati alla Rapsodia in una notte di vento di Eliot, sono del regista Trevor Nunn), già interpretata da centinaia di grandi voci, dalla Streisand a Carreras. Un festoso rito teatral-circense in cui il pastiche si fa cornucopia di ritmi e melodie, un capolavoro per i grandi tra-vestito da kolossal per famiglie, di una modernità ancora tutta da scoprire.

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MAPPAMONDO

di BARBARA OGGERO

D efinita la Parigi dell’est per quell’aria fin-de-siècle dei suoi palazzi in stile barocco, neoclassico e soprattutto art-nouveau, in principio la capitale dell’Ungheria era

composta da Buda e Pest, due zone distinte che nonostante il tempo trascorso dall’unificazione avvenuta nel 1873 man-tengono caratteristiche e caratteri diversi. Raccolta, intima e silenziosa, Buda scala la collina ed è collegata da grandiosi ponti monumentali a Pest, la vivace zona commerciale dove giorno e notte il traffico popola le strade ampie e le piazze ariose.

Trovarsi così, in bilico tra luoghi tanto differenti, eppure amalgamati che raccontano storie lontane e un’importante

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Il Parlamento di Budapestnell’ora blu, quando le luci si accendono.

Il grande Danubio fiancheggia sinuoso la collina e divide Budapest, conferendole un’allure che ammalia e fa innamorare i visitatori.

Il Ponte delle Catene e il Parlamento visti dalla collina di Buda.

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MAPPAMONDO

fascino algido

budapest

Le terme di Budapest: epoche diverse e stili architettonici per un “must” cittadino.

storia secolare, crea in prima battuta un senso di straniamento verso la città. Ponendosi nei tanti punti panoramici si ha l’impressione di cono-scerla con un solo sguardo, invece bisogna saper discernere nel proprio intimo le sue molteplici anime, separando epoche, situazioni e sentimenti che nascono incontrollati davanti alla sua algida bellezza.

Rimestando un po’ nei ricordi, Budapest emer-ge sul finire del secolo scorso quando i muri e le cortine crollarono nel centro dell’Europa. I primi e timidi viaggi da parte nostra per scoprire cosa

budapest

stava dall’altra parte del valico riportavano a casa fotografie di freddo, neve e terme, così l’immagine a cui ancora si associa la città è proprio quella dei grandi stabilimenti dove ogni giorno gli abitanti si ritrovano per un bagno di benessere naturale.

Sotto la sua superficie sgorgano un centinaio di sorgenti termali, tanto che la sola area metropolitana può vantare otto grandi impianti con acque che vanno dai 21 ai 76°C. Già gli antichi romani, stanziati su questo territorio oltre 2000 anni or sono, utilizzarono le fonti, ma solo con l’arrivo dei turchi (tra il XVI e il XVII secolo) la frequentazione delle terme divenne parte inte-grante delle abitudini. Preservati nel tempo e incentivati anche dai successivi governanti, i bagni crebbero in numero assecondando lo stile architettonico

della loro epoca. Ed è per questo che oggi è possibile scegliere tra quelle di fondazione turca, oppure costruite in chiave art-nouveau, o anche moderne. Qualunque sia la loro fattezza, sono delle vere cattedrali consacrate alla salute, dove l’accesso separato agli uomini e alle donne è sancito da rigidi orari e la promiscuità viene consentita solo in giorni stabiliti.

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Da sinistra a destra e dall’alto in basso:

I caffè storici di Budapest, un tripudio liberty dove assaporare i dolci ungheresi immersi

in un’atmosfera di altri tempi.

La reliquia di Santo Stefano, custodita nell’omonima Basilica.

La magica atmosfera di Pest al tramonto.

Anche l’iter compiuto all’interno sembra una li-turgia per il susseguirsi di piscine coperte in cui la temperatura va da tiepida a molto calda, e adiacen-ti alle sale massaggi, saune e vasche d’acqua gelida. Mentre il turista vi si reca sostanzialmente per ri-lassarsi dopo il tour de force della visita, gli abitanti le frequentano con regolarità anche per scopi tera-peutici: le acque ricche di minerali possono infatti lenire dolori articolari, reumatici e muscolari. Nella bella stagione vale la pena concedersi l’esperienza del bagno all’aperto, anche solo per ammirare la straordinaria ricchezza di dettagli dei Bagni Gellért, oppure per assistere a una partita di scacchi in ac-qua ai bagni termali Széchenyi.

Un altro punto di forza di Budapest sono senz’altro le caffetterie e le pasticcerie. Lo si capisce passeg-giando per le vie centrali, dove vi è solo l’imbaraz-zo della scelta su quale dolce specialità assaggiare. Alcuni dei locali storici di Budapest risalgono a metà del XVIII secolo e sono un vero tripudio di arredi d’epoca. Se in passato venivano frequentati da personaggi influenti della vita politica del paese per sancire patti e accordi, nonché da intellettuali, la clientela attuale di questi locali polverosi è per lo più composta da persone avanti negli anni e da tu-risti che vogliono vivere gli sfarzi di un’epoca pas-sata nel breve tempo di un’ordinazione. Desiderio questo che certamente non toglie sapore a una fet-ta di Somlói galuska (la torta di pan di Spagna con cioccolato e panna montata) o di Dobos torta (com-posta da strati di cioccolato e crema sormontati da zucchero di canna caramellato).

Budapest è una creatura affascinante: si viene immediatamente stregati da-gli edifici più importanti che svettano imperiosi verso il cielo. Tanto ricchi di particolari da osservare durante il giorno, quanto magici la notte con le illuminazioni che li fanno apparire sospesi nel buio. A dominare dall’alto la città ci pensa il Palazzo Reale, la cui fondazione risale al XIII secolo. Le sue vicissitudini narrano di distruzioni e ricostruzioni, oltre a regnanti spesso stranieri alberganti nelle tante stanze. Stanze che oggi accolgono due musei (la Galleria Nazionale e il Museo di storia cittadina), la biblioteca nazionale e numerose statue. Per arrivare, se non si vuole percorrere le strade in penden-za, vi è la Sikló, una simpatica funicolare del 1870 che in pochi minuti solleva dalla fatica e lascia a poca distanza dal Palazzo e dal panoramico Bastione dei Pescatori, da cui affacciarsi per scattare la classica foto ricordo del Parlamento e del Ponte delle Catene.

Questo ponte, sormontato da due torri gemelle, è il più antico della città e venne inaugurato nel 1849. La sua bellezza, intrinseca nello stile architettoni-

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Da sinistra a destra:

Il Bastione dei Pescatori sulla collina di Buda.

L’installazione “Scarpe sul Danubio” per commemorare gli ebrei ungheresi uccisi dai nazisti sulla riva del fiume blu.

co dell’epoca, non ne sminuisce l’importanza poiché era l’unico collegamento permanente tra Buda e Pest. Attraversato oggi sia dalle auto che dai pedoni, la tassazione prevista in passato (per la sola aristocrazia) non è più applicata, ma il forte vento che talvolta sferza la struttura imprime nella memoria del visitatore il proprio passaggio su una delle maggiori attrattive urbane.

Corrispettivo del Palazzo Reale, il Parlamento è il centro nevralgico di Pest. Lungo circa 270 metri, oggi è la sede dell’Assemblea Nazionale ma è ugual-mente visitabile partecipando ai tour guidati. Con le sue 690 camere, i 10 cortili e le 27 porte è il palazzo più grande dell’Ungheria, molto frequentato dagli ungheresi stessi perché nell’imponente Sala della Cupola è custodita la Corona di Santo Stefano, l’icona di maggior rilievo nazionale. La sua storia affonda nella leggenda e narra di un dono fatto da Papa Silvestro II a Stefano

MAPPAMONDO

attorno all’anno mille per sancirne la lealtà verso Roma; in realtà essa è del XII secolo e la sua vita è stata caratterizzata da furti, trafugamenti e una ca-duta che le ha conferito l’aspetto storto.Un’altra reliquia, la più venerata nel paese, è custodita invece nella Basilica di Santo Stefano ed è la mano mummificata del santo a cui la chiesa è intitolata. Oltre a questo, l’interno dell’edificio è piuttosto buio, ma salendo sulla cima della cupola (in ascensore fino a un certo punto) si gode di uno dei più bei panorami su Pest e sulla collina di Buda in lontananza.

Guardandola dall’alto, col suo aspetto regolare, viene voglia di scendere nella profondità dell’anima di Budapest ma si percepisce subito una sorta di resisten-za che obbliga a fermarsi. Sarà forse a causa del suo passato più recente, a partire dall’invasione nazista e dai bombardamenti subiti durante la Seconda Guerra Mondiale che costarono migliaia di vittime civili, fino ad arrivare alla domina-zione sovietica durata fino agli inizi degli anni ‘90 dello scorso secolo, che ebbe il suo culmine di sangue nel 1956 con la repressione della rivolta popolare.

Le sue ferite medicate dal tempo sono ancora pulsanti sotto il manto delle luci sfavillanti per-ché, ovunque si vada, la memoria di quella Storia è mantenuta viva attraverso statue e musei dove poco è lasciato all’immaginazione. Basta camminare lungo il fiume blu di straussiana memoria, sulla sponda di Pest, in prossimità del Parlamento, per vedere le sessanta paia di scarpe in ferro disposte lungo una cinquantina di metri che compongono l’installazione fissa “Scarpe sul Danubio”.

Il commovente memoriale rappresenta le calza-ture di quegli ebri ungheresi (uomini, donne e bambini) che vennero fucilati qui e quindi gettati ormai privi di vita nelle acque.

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Gli anni che vanno dal 1946 al 1991 sono ben rac-contati nel Museo Casa del Terrore, allestito in un palazzo signorile ubicato in un tranquillo quartie-re residenziale e, guardandolo da fuori, sembra impossibile che al proprio interno si compissero le peggiori atrocità verso quei cittadini accusati di essere dissidenti del regime filosovietico.

Nei tre piani è concentrata la storia dell’Ungheria dalla Seconda Guerra Mondiale alla fine del patto di Varsavia; l’esposizione riporta oggetti d’epoca e grazie alla multimedialità è possibile capire senza

troppe parole o eccessiva retorica cosa visse il popolo nell’arco di quei cin-quant’anni. Espropriazioni, purghe, terrore psicologico, detenzione in am-bienti malsani, giustizia sommaria: tutte azioni che vennero attuate per pie-gare la volontà collettiva. Scendere con l’ascensore al livello -1 dove si trovano le carceri, accompagnati da una video testimonianza su torture ed esecuzioni, è un pugno al petto. Doloroso, ma sempre utile per capire e imparare.

Dopo il crollo del regime sovietico, le statue avanguardiste che arredavano la città vennero smontate dalla popolazione come atto liberatorio e trasferite in periferia, raccolte oggi in un piccolo parco. Per arrivare al Memento Park bisogna compiere un viaggio nella campagna, tra campi addormentati e abi-tazioni basse. Il complesso si visita in un’oretta e la maggior parte delle statue sono in bronzo, di dimensioni notevoli (alte fino a otto metri!). Oltre al gran-de uomo che pare volare, colpiscono i busti di Lenin per il valore simbolico di trovarsi davanti al padre del Comunismo, ridotto esso stesso a icona. Prima di entrare l’attenzione è catturata dagli stivali di Stalin: sono l’unica parte del grande monumento sopravvissuta alla breve rivolta del 1956, durata solo due settimane, che diede al paese un’illusione di libertà, e che venne repressa brutalmente.

La libertà è un desiderio forte per questo popolo che è stato dominato gran

Dall’alto in basso:

Memento Park, il parco poco fuori Budapest dove sono raccolte le statue dell’epoca sovietica.

Il Museo del Terrore, l’edificio sede del controllo filosovietico, racconta oggi la storia di un’epoca, per non dimenticare.

La Libertà, la grande statua posata sulla collina di Budapest, veglia sulla città.

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parte della propria storia, tanto che una statua ad essa dedicata si erge sulla sommità della collina Gellért. Questo monumento venne eretto nel 1947 per celebrare i soldati sovietici periti nel ‘45 per liberare Budapest dai nazisti e si inserisce nella più antica Cittadella, voluta dagli Asburgo dopo la guerra d’indipendenza del 1848-49. La struttura non venne mai utilizzata, ma è di-ventata un posto gradevole dove svagarsi, prendere le distanze dal traffico e ammirare il crepuscolo che porta con sé lo spettacolo delle mille luci che si accendono.

Dall’alto in basso:

La Cittadella, un ottimo punto panoramico da cui ammirare la città dall’alto al calar del sole.

Statua bronzea di Roskovics Ignac con il Castello di Buda sullo sfondo.

Ponti e tram: elementi caratteristici del paesaggio urbano di Budapest.

Il Danubio scorre placido e bagna le due anime della città: Buda e Pest.

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dicembre 2015 | Plus Magazine | CONVENZIONI 53

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IN QUESTO NUMERO

CARLO ALBERTO CARNEVALE MAFFÈSONO PRONTE LE BANCHEALLA SFIDA DEL TERZO MILLENNIO? ANNALISA BRUCHITUTTO È ECONOMIA E TUTTO QUELLOCHE FACCIAMO MUOVE L’ECONOMIA A COLAZIONE CON... SABA ANGLANA COME CI CURERÀ LA MEDICINA DEL FUTURO? CONFERENZA MONDIALE “THE FUTURE OF SCIENCE” INCONTRANDO GABRIELE LAVIA EZIO BOSSOUNA VITA PER LA MUSICA CHEGLI REGALA LA VITA BUDAPEST, FASCINO ALGIDO

MONICA BELLUCCI

PLUS MAGAZINE33

Periodico dell’Associazione FABI Plus per la cultura e il tempo liberoPubblicazione trimestrale Numero XXXIII- dicembre 2015

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