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Associazione Nazionale Reduci dalla Prigionia dall’ Internamento dalla Guerra di Liberazione e loro familiari n. 9-10 Settembre-Ottobre 2019 Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale -D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art.1, comma 1, DCB ROMA rassegna mensile informativo-culturale della anrp

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SOMMARIO

ANRP - LIBERISede Legale e Direzione00184 Roma - Via Labicana, 15/aTel. 06.70.04.253 · Fax 06.77.255.542internet: www.anrp.ite-mail: [email protected]

Presidente Nazionale e Direttore EditorialeEnzo Orlanducci

Direttore ResponsabileSalvatore Chiriatti

Redattore CapoRosina Zucco

RedazioneBarbara BechelloniFabio Russo

Registrazione- Tribunale di Roman. 17530 - 31 gennaio 1979- Registro Nazionale della Stampan. 6195 - 17 febbraio 1998

Poste Italiane S.p.A.Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003(conv. in L. 27-02-04 n. 46) art. 1, comma 1,DCB Roma

Gli articoli firmati impegnano solo la responsabilitàdell’Autore. Tutti gli articoli e i testi di “Liberi” pos-sono essere, citandone la fonte, ripresi e pubblicati.

Ai sensi della normativa vigente in materia di pro-tezione dei dati l’ANRP garantisce la massima tu-tela e riservatezza dei dati personali forniti egarantisce il diritto degli interessati di esercitare inogni momento i propri diritti quali rettifica, cancel-lazione etc. scrivendo a [email protected]

GraficaStefano Novelli

StampaBottega Grafica srlsViale Parioli, 54 - 00197 Roma

In copertina:Lettera del nostro socio William Ferrari, classe 1923

Dato alle stampe il 22 Ottobre 2019

Un target miratodi 8.000 lettori

n. 9-10 Settembre-Ottobre 2019 Editorialedi Enzo Orlanducci

Gianrico Tedeschi, l’attore el’Internato Militare Italianodi Rosina Zucco

A Torgau la mostra sugli InternatiMilitari Italianidi Gisella Bonifazi

In Principio La Pacedi Anna Maria Calore

1849: Le dieci Giornate di Brescia,“Leonessa d’Italia”di Alessandro Ferioli

Wernher von Braun nei tunnel di Dora:un caso controversodi Mario Carini

600.000 Volte No

I giovani alunni della scuola mediaRosmini di Roma e la storia degli IMIdi Gemma Manoni

SCUOLA e ANRP: una vitale sinergiadi R. Z.

Clusone: 8 settembre 2019di Maurizio Compagnoni

L’8 settembre 1943 a Frascatidi Giulia Spagnoli

Via Giovanni Pezzella, Medaglia d’Onoredi Gennaro Pezzella

Emo Bargellini: spirito indomito ela Marina nel cuoredi Elisa Bonacini

Donazioni per il Museo “Vite di IMI”a cura di Fabio Russo

a cura di Gisella Bonifazi

a cura di Federica Scargiali

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EDITORIALEdi Enzo Orlanducci

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Nel momento in cui scrivo queste poche righe siamo quasi a fine ottobre. In questi due mesi di ripresa dell’attività del-l’Associazione dopo la pausa estiva, ho avuto, in previsione del XXIX Congresso Nazionale programmato per l'aprile2020, molti contatti con Soci e responsabili di Sezione. Devo dire di essere molto soddisfatto di aver parlato con tante persone collaborative e disponibili, proprio nell’ottica dirisoluzione comune delle difficoltà.

Il lavoro che ci aspetta è tanto e le difficoltà pure, ma sono tutte situazioni che, anche se richiedono tempo e fatica,possono essere risolte.

Da questi contatti è emersa in particolare una problematica che bisogna far emergere più che mai nell’ambito associativo:la necessità di parlare con chiarezza, in quanto le “parole contano”. Le parole hanno sempre contato, ma contano sempre di più in un momento storico in cui, da una parte il nostro vocabo-lario si restringe in maniera allarmante e dall’altra esse sono sempre più spesso prese in ostaggio, svuotate di significato,usate come armi, piegate a interessi di corto raggio, piccoli e meschini.

Il più acuto osservatore della realtà italiana, il sociologo Giuseppe De Rita, lo ha detto di recente in un’intervista a Re-pubblica: nel nostro Paese “…la cosa più urgente è rieducare al linguaggio. È una questione che riguarda tutti…, dovremmoriscoprire tutti la misura nell’eloquio, la capacità di parlare senza scadere in una lingua imbagascita”.

“A noi manca la cultura di base – afferma De Rita - Siamo un popolo di analfabeti, indipendentemente dai recenti risultatidell'Invalsi. Ed è la cultura di base, la consapevolezza di se stessi e della propria storia che accende il fuoco di una comunità.Quella vitalità a cui ho fatto riferimento prima”.

“E allora bisogna ripartire da qui, da una riorganizzazione della cultura - avrebbe detto Gramsci - che metta insieme tuttoquello che gli italiani devono sapere di se stessi”.

Le parole contano e dovranno sempre più contare anche per una associazione come l'ANRP e un giornale come Liberiche sono luoghi in cui più che mai riconoscersi!!!

C’è molta più “cultura” nel nostro lavoro di quanto crediamo. Oggi la società privilegia analisi di mercato, competitors,partnership, influencers, strategie di marketing e di comunicazione, scelte di prezzo, numeri in entrata e in uscita… enon sarebbe poco! Ma noi dell’ANRP stiamo lavorando sodo con la storia (anche se per qualcuno la storia “non paga”!),la storiografia, la memoria, che ci obbligano alla discussione, a migliorare. A conoscere un po’ più da lontano quello chesi fa futuro.

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La poliedrica personalità di Gianrico Tedeschi,con le sue straordinarie doti di attore teatralee la sua esperienza di internato militare nei

lager del Terzo Reich, è stata messa a fuoco in unconvegno tenutosi il 16 ottobre a Roma, presso laSala degli Atti Parlamentari della Biblioteca del Se-nato. A tratteggiarlo in questa duplice veste, alle so-glie dei suoi 100 anni sono due intervistepubblicate recentemente in altrettanti volumi: ilprimo dal titolo “Gianrico Tedeschi due anni nei

campi nazisti”, a cura di Maria Immacolata Macioti,edito da Mediascape-ANRP, il secondo “Semplice,buttato via, moderno. Il ‘teatro per la vita’ di GianricoTedeschi”, scritto dalla figlia Enrica Tedeschi ededito da Viella Edizioni.Il contenuto delle due interviste, tra loro comple-mentari, è stato via via analizzato nel corso dell’in-contro promosso dall’ANRP, a cui ha partecipato unpubblico piuttosto eterogeneo: oltre ai familiaridell’attore, c’era gente legata al mondo del teatro e

Gianrico Tedeschi,l’attore e

l’Internato Militare Italianodi Rosina Zucco

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della cultura, nonché familiari di ex IMI, alcuni deiquali avevano condiviso con Tedeschi la dramma-tica esperienza della prigionia. Tra questi ultimiMichele Montagano, classe 1921, Presidente vica-rio dell’ANRP, che fu compagno insieme all’attoree ad altri intellettuali come Giovannino Guareschi

nel lager di Sandbostel. Tutti sono accorsi congrande spirito di adesione, una calorosa presenzache ha reso tangibile quel rapporto del pubblicocon un personaggio carismatico, conosciuto da tuttiper la sua limpidezza di uomo e per il suo attacca-mento a quella che era la sua ragione di vita: lagrande passione per il teatro. Queste sue caratteri-stiche sono emerse dagli interventi che si sono av-vicendati, moderati dallo storico Luciano Zani. Oltrealle due autrici, hanno analizzato vari aspetti dellafigura di Gianrico Tedeschi il giornalista AntonioGnoli e il regista Piero Maccarinelli. Tra un inter-vento e l’altro le letture di Sveva Tedeschi e CamillaRibechi, rispettivamente figlia e nipote dell’attore,entrambe attrici, hanno catturato emotivamentel’attenzione del pubblico con punte di sincera com-mozione. Come ha ricordato Luciano Zani, Gianrico Tedeschifu sempre molto schivo a ricordare e a narrare queimomenti vissuti nei lager. Zani ha citato la testimo-

nianza del tenente Alessandro Scarpinella, che nelsuo diario ricorda il viaggio verso il fronte greco in-sieme a Tedeschi “che la sera cantava dolci canzonigreche molto belle”. Un’amicizia persa di vista dopola cattura e la deportazione in Germania, poi fortu-natamente ritrovata nel lager di Beniaminovo. Scar-

pinella nel suo scritto spiega la motivazione di quelNO!, scaturito dalla coscienza di Gianrico Tedeschi,anti tedesco e antifascista. Il disincanto di frontealla realtà della guerra e della prigionia fa dire a

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Gianrico Tedeschi: “Nessuno ha gli occhi apertisulla realtà come un reduce di guerra. I reduci sonotutti uguali vivi e morti”. Unire in un legame di fra-tellanza tutti i reduci che sono tornati ci dà il sensointegro dell’onestà di Tedeschi. Con grande delicatezza, ma non senza fatica, MariaImmacolata Macioti è riuscita a sciogliere il riserbodell’attore, grazie anche al sostegno di sua moglie,Marianella. La Macioti ha ringraziato Enrica peraver scritto un libro speciale, perché è difficile scri-vere del proprio genitore. È stata proprio Enrica chele ha consentito di conoscere suo padre prima del-l’intervista: una persona gentile che ha risposto alledomande con grande sensibilità e cortesia, nono-stante non ne fosse convinto. La prima cosa che le

ha raccontato è di quel suocompagno che è morto per-ché gli hanno sparato (il ten. Vincenzo Romeon.d.r.). È stato difficile parlare perché ai ricordi diprigionia si commoveva e bisognava fare variepause. Una densa e difficilissima giornata.All’intervento della Macioti è seguita la lettura diun brano della seconda intervista, un episodio dellavita di Tedeschi attore e di un incidente che occorseal “supereroe” allora ottantaduenne. La figlia Svevanon ha saputo nascondere la sua commozione rie-vocando questo episodio significativo che testimo-nia la tempra di un uomo che affronta tutto connaturalezza e semplicità, che non vuol dire tirarvia, ma far sembrare naturale anche la cosa più so-

“Gianrico Tedeschi due anni nei campi na-zisti” ricorda il sottotenente che fu uno dei650.000 soldati e ufficiali catturati nell’au-tunno del 1943 dalla Wehrmacht e deportatipoiché non accettarono di aderire alla Re-pubblica Sociale Italiana (RSI), restandofedeli al giuramento prestato al Re. L’au-trice narra, attraverso una lunga intervi-sta, i due anni di prigionia scontatidall’attore in diversi lager, tra i quali San-dbostel, e di come l'amore per il teatro loabbia aiutato nella difficile impresadella sopravvivenza: più volte, gli IMI,hanno infatti ricordato come neicampi di internamento la salute spiri-tuale fosse importante quanto quelladel corpo. Il libro contiene anche unaprefazione di Enzo Orlanducci, presidentedell’ANRP, che osserva come: “Nel testo emergetutta la forte personalità di Gianrico Tedeschi, siaquando narra le sue vicissitudini, sia quando af-ferma la sua volontà di non rendere subito pubblichele memorie di quei 20 mesi. Un percorso difficile edoloroso, quello da internato, che Tedeschi ancoraaveva bisogno di elaborare, sminuzzare, digerire, primadi poterlo condividere”. Orlanducci ricorda anche come, assieme a Tedeschi,nei lager si trovassero intellettuali del calibro dello scrittore GiovanninoGuareschi, Alessandro Natta, Giuseppe Lazzati (dichiarato venerabile daPapa Francesco nel 2013), Arturo Coppola, Giuseppe Novello, Roberto Reboraed Enzo Pace. Proprio al parallelo tra le figure di Tedeschi e Guareschi, co-protagonisti della scrittura e rappresentazione della celebre “Favola di Natale”nei lager, è dedicato il contributo di Marco Ferrazzoli, capo Ufficio stampa CNRe biografo guareschiano.

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fisticata. Cosa confermata dal regista Piero Macca-rinelli che ha accennato alla sua esperienza di tea-tro con Gianrico Tedeschi e alla grande serietà concui lavorava in ogni contesto, considerando di serieA sia il pubblico del grande teatro che quello dellapiazza di un piccolo paese: Teatro d’arte per tutti.Ancora la figlia Sveva con alcuni dialoghi con ilpadre sul tema “il viale del tramonto”, risolto congrande ironia dall’attore. Qual è il senso del teatro?Occorre precipitare tutto nella catastrofe dell’arte?Qual è il bilancio di un attore? Parafrasando Shake-speare, l’attore è “summa e cronaca del tempo”. Il giornalista Antonio Gnoli è rimasto colpito dalracconto di Tedeschi sulla prigionia e su come si

creano le comunità anche in condizioni disumane.Strumenti: pochi libri raccolti, il sapere da condivi-dere con gli altri, l’esperienza teatrale, un rilancioper la vita. Si crea un humus culturale, elementofondamentale per dar senso alla sopravvivenza, inuna sorta di circolarità spirituale con gli altri pro-tagonisti. Il teatro è stato una forma di salvezza. È stata la volta di Enrica Tedeschi che ha ringra-ziato l’ANRP per aver organizzato con cura impec-cabile l’incontro e per aver pubblicato l’intervistadi Maria Immacolata Macioti. Del suo libro Enricaha detto che è venuto fuori un lavoro che testimoniala sua esperienza di sociologa: l’individuo inseritoin un contesto sociale. A conclusione della serata, un breve video tratto dalrecital “Smemorando” in cui Gianrico Tedeschi, inun appassionato monologo, rievoca con sconcertoed incredulità un episodio che lo ha toccato parti-colarmente nella sua vita di IMI: la tragica mortedel ten. Vincenzo Romeo, ucciso da una sentinellamentre appoggiava il proprio asciugamano sul filodi recinzione. Passando ex abrupto dal drammaticoal grottesco, eccolo poi raccontare di quella beffadovuta al suo cognome, “Tedeschi”, più volte ripe-tuto nel momento della registrazione allo spazien-tito impiegato tedesco che pensava stessescherzando. Come risolvere la questione? Alla fine,ricorrendo ad un plausibile éscamotage, Gianricogli risponde: “Deutsch! Non si traduce Tedeschi inDeutsch?” Un guizzo geniale, una grande improv-visazione!

“Semplice, buttato via, moderno. Il ‘teatro perla vita’ di Gianrico Tedeschi”, oltre a rievocareun'epoca in cui interpreti, autori e registi hannocontribuito al profondo rinnovamento del teatroitaliano, ripercorre, in un intreccio tra vicendepubbliche e private, la vita dell’attore e il suorapporto con il mondo del teatro, dall'infanziamilanese vissuta sotto il regime fascista, pas-sando per gli anni della guerra e della prigionia,focalizzando l’affettuoso ma complesso rapportocon la figlia Enrica e con il resto della “famigliaallargata” di Tedeschi. La postfazione dello sto-rico Luciano Zani, vicepresidente dell’ANRP, èdedicata soprattutto a constatare l’amara condi-zione vissuta dagli IMI che, una volta liberati erientrati in patria, si videro ignorati dalla classedirigente e dall’opinione pubblica italiana.

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A Torgaula mostra sugli

InternatiMilitari Italiani

di Gisella Bonifazi

Un altro importante appuntamento si è ag-giunto alla serie di eventi promossi dal-l’ANRP per portare avanti tra Italia e

Germania quella comune politica della memoria, mi-rata a ricostruire la storia delle vittime del nazifasci-smo, con spirito di pace e di collaborazione europea. Dopo essere stata esposta a Berlino nel gennaio2018 presso l’Istituto italiano di cultura e nel suc-cessivo mese di febbraio presso la sede dell’ANRP aRoma (vedi Liberi, n. 1-2, gennaio-febbraio 2018, pp.8-14), la mostra “I prigionieri italiani in Germania.Italia e Germania per una comune politica della me-

moria”, rinnovata a Zei-thain nello scorso mese

di aprile, è approdatail 10 settembre u.s.

presso il Centro di documentazione e informazione(DIZ) di Torgau, che, come Zeithain, fa parte dellaFondazione dei Memoriali della Sassonia. Il materiale del percorso espositivo che, come si ri-corderà, è costituito da pannelli illustrativi, da re-perti originali estrapolati dal Museo Vite di IMI e dadocumenti inediti gentilmente concessi dall’Archi-vio Storico-diplomatico del Ministero degli AffariEsteri e provenienti dal GABAILG - Gabinetto Assi-stenza Italiani Lavoranti in Germania, sezione spe-ciale, è stato accuratamente disinstallato dallospazio museale di Zeithain e allestito nella nuovamostra a Torgau.Una realtà paesaggistica completamente diversa èquella che, nel corso di tre giorni di intensi contatti,si è prospettata agli occhi alla delegazione del-l’ANRP, condotta dalla Prof.ssa Rosina Zucco, re-sponsabile del Dipartimento Storia e Memoria,affiancata da Ginevra Russomanno, indispensabileinterprete, e dalla scrivente. Quanto Zeithain era immersa nel nulla della cam-pagna, tra conifere scabre e snelle betulle, tanto piùvivace ci è apparsa la cittadina di Torgau che, dietrol’eleganza dei suoi palazzetti rinascimentali, dei beiviali e delle strade tranquille, porta tuttavia neipochi chilometri quadrati della sua superficie i

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segni di una storia drammatica e complessa. La cit-tadina della Sassonia ha avuto infatti un importanteruolo non solo nel sec.XVI, nel periodo della Ri-forma Luterana, ma anche nel corso della Secondaguerra mondiale e, a seguire, fino alla caduta del si-stema sovietico. Una realtà storica sintetizzata dallanascita dello stesso Centro di documentazione e in-formazione (DIZ) che, ospitato nel rinascimentaleCastello di Hartenfels, monumento a cielo aperto

dello spirito della Riforma, è stato fondato nel 1991allo scopo di raccogliere documenti e testimonianzeper ricostruire la storia del sistema carcerario delleprigioni di Torgau e della sua tetra compagine di vit-time e carnefici durante il nazionalsocialismo, l’oc-cupazione sovietica e il periodo della RepubblicaDemocratica Tedesca. Sempre molto calda e cordiale, anche in questa occa-

sione, l’accoglienza della Direzione che si è prodigataal meglio per riceverci e rendere il nostro soggiorno,oltre che piacevole, soprattutto interessante e costrut-tivo. Con noi avrebbe dovuto esserci anche MicheleMontagano, Presidente Vicario dell’ANRP, uno degliultimi testimoni ex internato militare nel KZ di Un-

terlüss. La previsione di un viaggio piuttosto faticoso,vista la sua non più giovane età, ha indotto i familiaria trattenerlo dall’intervenire all’inaugurazione dellamostra, suggerendo di affidare il proprio saluto a unfilmato sottotitolato in lingua tedesca. Nell’arco della mattinata del 10 settembre, dopoaver completato la sistemazione dei pannelli illu-strativi e delle teche per l’esposizione di reperti edocumenti, si è tenuto l’incontro con il direttore del

Memoriale di Torgau, Wolfgang Oleschinski, e la col-laboratrice Elisabeth Kohlaas. Si è subito aperto unoscambievole dialogo sulla ricerca avviata dall’ANRPsugli IMI, dai cui risultati, annoverati via via nelLessico Biografico, sono emersi anche i dati, a tut-t’oggi registrati, sugli IMI internati a Torgau (7 de-ceduti e 41 rientrati) e nello Stalag IV D (179deceduti e 1372 rientrati). Gli elenchi dei nomina-tivi registrati nel database, insieme al catalogo delMuseo Vite di IMI, sono stati consegnati dallaprof.ssa Zucco al Direttore del Centro. Questi, dalcanto suo, ha mostrato un interessante plico mano-scritto, con documentazione del Bundesarchiv, con-templante circa 800 nominativi di IMI, assicurandoche ne invierà quanto prima una copia all’ANRP pereventuale confronto e integrazione dati. Tutto,quindi, all’insegna di una costruttiva cordialità conl’auspicio di proseguire su basi concrete la reciprocacollaborazione. Nel primo pomeriggio era prevista la visita alle ve-stigia di luoghi di grande interesse storico, la cuidrammatica funzione e i cui protagonisti sono sin-tetizzati nella mostra permanente “Tracce dell’in-giustizia”, allestita nella torretta del Castello, sulsistema penale della Wehrmact, i campi speciali delNKVD ed esecuzione della pena nella Repubblica

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Democratica Tedesca a Torgau.La dott.ssa Kohlaas si è soffermata di fronte all’im-ponente struttura di Forte Zinna, il più grande sitocarcerario creato dalla Wehrmacht per la giustiziamilitare nazionalsocialista, tanto da arrivare a ospi-tare 60.000 prigionieri, oggi ridotto a carcere concirca 50 detenuti. Al di là del fiume Elba, invece,proprio di fronte al Castello, un’altra struttura di de-tenzione, quella di Brückenkopf, dove sembra chein baracche ormai andate distrutte fossero alloggiatianche gli IMI. Anche gli edifici di questo luogo,ormai abbandonati e fatiscenti raccontano la storiadi violenze, torture, condanne a morte.Abbiamo ascoltato il racconto della Kohlaas con

grande interesse, ma soprattutto con inquietudineper le riflessioni che ne sono scaturite: “pezzi” diun passato neanche troppo lontano, che raccontanola violazione dei diritti umani fondamentali, la re-pressione di qualsiasi libertà di pensiero e di parolache caratterizzarono la politica di quei regimi. Sem-pre in quell’angolo della città, sulle sponde del-l’Elba, un altro significativo monumento, questavolta dai valori positivi, che rievoca un episodio cru-ciale alla fine della Seconda guerra mondiale: la

stretta di mano del secondo tenente americano BillRobertson e del sergente sovietico Nikolay Andreyevil 25 aprile 1945 sulle rovine del ponte sull’Elba diTorgau, episodio che simboleggia non solo la vittoriadegli alleati sulla Germania nazista durante la Se-conda guerra mondiale, ma quella pace duraturache si auspicava, smentita purtroppo qualche annopiù avanti dalla Guerra fredda. Nel tardo pomeriggio c’è stata la conferenza di aper-tura pe l’inaugurazione della mostra sugli IMI, chesi è aperta con il saluto di benvenuto da parte diWolfgang Oleschinski, essendo assente per motividi salute l’amministratore delegato della FondazioneMemoriali della Sassonia Siegfried Reiprich. Un

pubblico attento e motivato ha ascoltato l’interventodel prof. Günther Heydemann, un discorso comme-morativo in occasione dell’80° anniversario dell’ini-zio della Seconda Guerra mondiale, con l’attaccodella Wehrmacht alla Polonia il 1 ° settembre 1939.L’illustre storico ha affrontato l’argomento ad ampioraggio, tracciando sulle cause del conflitto una pa-noramica storica, politica e sociale della Germaniain tutto l’arco del ‘900. È seguito il video-saluto di Michele Montagano, il

Torgau: una piccola grande storia Torgau è una cittadina ricca di storia, a partire dal XVI secolo, ai tempi della Riforma di Martin Lutero: a distanzadi circa a 25 km. si trova la cattedrale di Wittemberg sulle cui porte si narra che Lutero affisse le 95 tesi che aprironola strada alla Riforma. Nel Castello di Hartenfels, ex residenza ufficiale dei principi elettori di Sassonia e cuore po-litico della Riforma, Martin Luther consacrò il 5 ottobre 1544 la prima chiesa e il più antico edificio protestante inEuropa, progettato secondo i valori luterani di modestia e sobrietà anche nello stile architettonico e che ha rappre-sentato un modello per le successive chiese protestanti. La cittadina della Sassonia ha avuto un importante ruolonon solo nella storia del passato, ma anche nel periodo della Seconda guerra mondiale e a seguire, fino alla cadutadel sistema sovietico. Torgau, infatti, raggiunse un'importanza centrale per il sistema penale della Wehrmachtquando nel marzo del 1941 l'Alto Comando dell'Esercito (OKH) designò la prigione di Fort Zinna come centro dicontrollo per le persone condannate. Dall'agosto 1943 risiedeva anche il Reichskriegsgericht, il più alto esempio digiustizia della Wehrmacht, nella caserma Torgau Zieten. Un significativo monumento rievoca un episodio crucialealla fine della Seconda guerra mondiale: la stretta di mano del secondo tenente americano Bill Robertson e del ser-gente sovietico Nikolay Andreyev il 25 aprile 1945 sulle rovine del ponte sull'Elba di Torgau, che simboleggia nonsolo la vittoria degli alleati sulla Germania nazista durante la seconda guerra mondiale, ma anche la fine di Torgaucome centro del sistema penale della Wehrmacht.

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quale, pur rammaricato di non essere presente, dopoaver dedicato “un breve pensiero ai tanti compagnid’armi Caduti nei Lager nazisti della Germania e dellaPolonia” ha dato il proprio plauso alla progettualità deinostri due Paesi per un futuro senza più guerre, lagere fili spinati e a iniziative come quelle promosse in col-laborazione tra l’ANRP e i memoriali della Sassonia. Una breve illustrazione dei progetti dell’ANRP èstata fatta dalla Zucco, che ha portato il saluto delPresidente Prof. Enzo Orlanducci e del prof. LucianoZani, curatore della mostra. Alcune slides con dida-scalie in tedesco hanno offerto un flash sul Centrostudi documentazione e ricerca dell’Associazione,sul Lessico biografico degli IMI e sul Museo “Vitedi IMI”. Ricordare il passato, capire il presente, co-struire il futuro. Questo deve essere il percorsoideale di continuità che si concretizza in iniziativecome quelle organizzate in sinergia tra l’ANRP e leistituzioni tedesche, in particolare quella promossainsieme ai Memoriali della Sassonia. L’intervento èstato tradotto successivamente in lingua tedesca dalgiovane ricercatore Milan Spindler.La conferenza si è chiusa con la lettura in lingua te-

desca di stralci del diario dell’IMI Cesare Gottardi,affidata con grande efficacia ad uno studente delLiceo di Torgau a cui è andato il plauso del pubblicoe dei suoi insegnanti.Qualche considerazione per concludere questabreve cronaca. La cittadina di Torgau e il suo patri-monio di memoria ci hanno lasciato dentro ricordiintensi e dolorose riflessioni. Sappiamo che moltescolaresche visitano il DIZ di Torgau per conoscerela storia di quel drammatico passato con cui la Ger-

mania ha dovuto e voluto fare i conti. Ci auguriamoche una vera, comune politica della memoria tra ipaesi europei possa promuovere progetti costruttivie forieri di quello spirito di pace e collaborazione

tra i popoli nato dalle ceneri di tante violenze, luttie rovine. Custodire il passato per costruire il futuro,perché quel passato non si ripeta mai più. La mostra degli IMI a Torgau sarà visitabile fino al12 gennaio 2020.

Il Centro di Documentazione e Informazione Förderverein(DIZ) di Torgau è stato fondato nel giugno 1991. Nacque daun'iniziativa congiunta degli storici contemporanei di Ber-lino Ovest e dei cittadini di Torgau, alcuni dei quali avevanotentato prima del 1989 di indagare sulla storia tabù dellaloro città natale. Nel 1995, la mostra “Torgau - A War's Endin Europe” è stata esposta nella torretta del castello di Har-tenfels, a cui è seguita la mostra permanente “Tracce del-l'ingiustizia”, realizzata in tre sezioni. La prima sezione dellamostra, “Gli elementi nemici devono essere tenuti in custo-dia” racconta dei campi speciali sovietici n. 8 e n. 10 a Tor-gau (1944-1948) che furono aperti nel settembre 1996. Dalmaggio 1998 è visibile la sottosezione “Torgau nell'entro-terra della seconda guerra mondiale - Giustizia militare, pri-gioni della Wehrmacht, Reichskriegsgericht”. Nel maggio2004, la mostra si è conclusa con l'ultima sezione, “Today:House of Education” che ha completato il sistema penaledella RDT a Torgau (1950-1990). Dal 1998, il DIZ Torgau come memoriale di rilevanza nazio-nale è ugualmente finanziato dalla Federazione e dallo Statolibero di Sassonia. Dal 1999 è sponsorizzato dalla Fonda-zione Memoriali della Sassonia in memoria delle vittimedella tirannia politica.

Storia del DIZ Torgau

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Attraversare senza fretta e con lo sguardo sce-vro da ogni pregiudizio le terre di Galilea,Palestina, Giudea, Samaria e il deserto in-

torno al Mar Morto è una esperienza capace di farcomprendere tutte le contraddizioni, ma anche tuttele possibili opportunità, che lo Stato di Israele, natopoco più di 70 anni or sono, contiene nel suogrembo. Quindi non il classico pellegrinaggio versole origini del Cristianesimo, ma un vero e proprioviaggio alla ricerca di segnali di speranza verso unfuturo di convivenza e rispetto reciproco in unaterra così divisa tra conflitti di territorio e religionee, nonostante questo, terra di incontro e di incontri.

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In PrincipioLa Pace

di Anna Maria Calore

La Terra di Galilea, ad esempio, è una continua sco-perta di incredibili sensazioni: il colore ambratodelle mura di Gerusalemme che muta di sfumaturasecondo le diverse ore del giorno e la brezza chenon cala quasi mai, neanche quando il sole è altonel cielo sulla Spianata delle Moschee, narrano alviaggiatore attento quello che accadde e quello cheaccade ancora tra dolcezza delle colline, tra viti edulivi dove si adagiano Nazareth, Cana e il lago diTiberiade con le sue verdissime sponde. E anche ilMonte Carmelo, proteso verso il Mediterraneo,narra con lo sguardo addolcito dai secoli ormai tra-scorsi, di antichi avamposti umani, rintracciabilisulle pendici di questo lungo promontorio e nellepianure che lo circondano, teatro di battaglie tracristiani e saraceni al tempo delle Crociate. Salendopoi in Alta Galilea, sugli altipiani che portano allependici del Monte Meron verso i confini con il Li-bano, la Siria e la Giordania, a solo due miglia dalconfine di quest’ultima, ecco il kibbutz di Sasa.Lungo la strada che porta al kibbutz ci viene incon-tro Angelica Edna Calò Livne, che ci accoglie gio-iosa e sorridente, pronta a venire sino a Telaviv persalutarci ed abbracciarci ancora una volta, primache un volo di linea ci riportasse in Italia. Angelica:una donna meravigliosa, nata in Italia, madre diquattro figli nati nel kibbutz ed ormai trentenniche, nel lavoro con i ragazzi di varie provenienzeetno/religiose così vicine tra loro e così diverse, hamesso tutta la sua anima e la sua capacità artisticanel progettare il “Teatro Arcobaleno”. È stato durante la prima intifada nel 2001, che ènata l’idea della “Compagnia Teatrale Arcobaleno”,composta da ragazzi dai 13 ai 18 anni, ebrei, musul-mani, drusi, cristiani provenienti da diversi villaggidella Galilea e che, da allora, continua ad inviareun messaggio di pace e non violenza grazie ai suoispettacoli in tutto il mondo. E questo primo gruppodi ragazzi, divenuti ora uomini e donne consapevolidi come sia necessario trovare un accordo tra le di-verse identità della terra dove sono nati e cresciuti,hanno creato il sentiero perché altri ragazzi potessero

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colo “Natan Il Saggio”, che racconta la storia di unsacro dono familiare che veniva trasmesso dal padreal figlio prediletto. Soltanto un padre, che aveva trefigli, decide di fare due copie del dono anche per glialtri due, perché li ama tutti allo stesso modo. I trefratelli non riescono a comprendere la decisione delpadre e si sfidano a vicenda per avere la supremazia.Dopo aver combattuto, i tre alla fine decidono di con-dividere il dono, proprio come le tre religioni mono-teiste condividono lo stesso Dio. Durante uno degliultimi eventi che si sono tenuti nel kibbutz, in occa-sione dell’anniversario della costituzione del TeatroArcobaleno, si ricorda ancora come le persone pre-senti siano state travolte da una grande emozione.

Perché è stato un balsamo per l’anima rivedere tuttii ragazzi cresciuti, più maturi e ormai uomini edonne adulti. Qualcuno di loro ha richiesto la licenzada Tzavá (militare) perché ci teneva a partecipareall’evento, qualcun altro, arrivato dalla vicina Hefa(Haifa), era uscito prima dal proprio lavoro pur diunirsi agli altri. La cosa più emozionate è stata ve-dere i genitori di questi ragazzi, che hanno voluto es-sere presenti, magari solo per dare una mano nelleinnumerevoli incombenze che un incontro con cosìtante presenze richiedeva. Vedere tanti partecipanticondividere e supportare questo sogno di pace chetutti desiderano ma che, per diventare realtà, neces-sita di azioni concrete nell’educazione di adulti e ra-gazzi, è stato come un balsamo per l’anima. Perché,vivere un’esperienza coraggiosa come quella creataall’interno del kibbutz di Sasa, ha creato forti le-

gami, non solo tra i ragazzi, ma anche tragli adulti stessi. Tutti con un comune de-siderio espresso coralmente e con forza:sorridere insieme in un futuro che po-

trebbe essere, finalmente e grazie allenuove generazioni, senza più guerre.

Note: testo scritto su esperienza personale du-rante la visita presso il Kibbutz di Sasa e du-rante l’incontro con Angelica Calò, corredatoda altre info sula Teatro Arcobaleno tratte dalsito: http://www.masksoff.org/

vivere la stessa esperienza. Sono centinaia oramai iragazzi che hanno dato anima al teatro Arcobalenoe oltre 45 sono state le tournée in Italia. Il progetto“Beresheet LaShalom” (in Principio la Pace), oltre alTeatro Arcobaleno, si è posto e continua a porsi i se-guenti obiettivi:• formazione di una leadership giovanile per il rag-

giungimento della positività attraverso le arti, l'edu-cazione ai valori umani e di genere, il coinvolgimentosociale, la mediazione e la negoziazione;

• sviluppo dei rapporti di convivenza tra gli abitantidella Galilea di diverse culture, religioni e prove-nienze, consolidando l'identità personale e stu-diando le proprie origini e le radici del popolo acui si appartiene per poter apprezzare la differenzacome ricchezza;

• il consolidamento dell'identità di ogni individuo at-traverso lo studio delle proprie radici e della storiadi ciascun partecipante per trasformare le diffe-renze culturali in una fonte di arricchimento dellapersonalità di ogni individuo;

• l’assistenza alle vittime del terrorismo in Israele enel mondo con il progetto “Disegnare un sorrisosul loro volto” per ridare la speranza;

• costruzione di un centro di incontri dove si impa-rino la tolleranza, il rispetto e la convivenza attra-verso l'educazione al dialogo;

• sviluppo del legame tra Israele e il resto del mondoattraverso l'ospitalità di gruppi eterogenei, l’orga-nizzazione di seminari in casa e all'estero per tra-smettere, attraverso laboratori e spettacolil'esperienza pedagogica di chi conosce l'emigra-zione e l'integrazione, le difficoltà e il valore delsostegno.

Il “Teatro Arcobaleno” ha anche una sede italianache, attualmente, si è spostata da Torino a Roma. Ca-vallo di battaglia del Teatro Arcobaleno è lo spetta-

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Il 23 marzo 1849, a mezzogiorno, il comandantedella piazza di Brescia, capitano FerdinandoPomo, si recava in Municipio, per conto dell’au-

torità austriaca, a riscuotere la somma di Lire120.000, residua di una multa irrogata alla città nelnovembre precedente. Il momento era delicatis-simo, poiché in seguito alla denuncia dell’armisti-zio Salasco da parte del Piemonte e alla ripresadella guerra con l’Austria il III Corpo d’Armata au-striaco di stanza a Brescia aveva abbandonato lacittà, lasciando di presidio al Castello appena quat-tro compagnie e 85 gendarmi.La rivolta era nell’aria. Tutti tendevano a non pagaretasse e multe all’Austria, in attesa dell’esito del con-flitto: la riscossione era quindi una prova di forzaper saggiare la docilità della popolazione e il capi-

tano doveva forse nutrire qualche timore per la pro-pria incolumità. Mentre continuavano le discussionicon Pomo, dal castello furono sparati colpi a scopointimidatorio. La città si sollevò, occupando d’untratto il Municipio e facendo prigioniero Pomo. Il co-mandante del castello, capitano Leschke, mandò adire che se gli ufficiali non fossero stati liberatiavrebbe aperto nuovamente il fuoco sulla città.Per tutto il pomeriggio furono distribuiti alla Guar-dia Nazionale i fucili degli austriaci ricoverati negliospedali, mentre i capi del comitato segreto d’insur-rezione rivelarono ai consiglieri comunali i piani delministero della Guerra sardo: il generale La Mar-mora aveva ordinato che alla ripresa della guerra leprovince lombarde insorgessero per disturbare leretrovie austriache con azioni di guerriglia, distrug-

1849: LE DIECI GIORNATEDI BRESCIA,

“LEONESSA D’ITALIA”La sollevazione della città di Brescia contro gli Austriaci,

dal marzo al 1° aprile 1849, fu uno degli episodi di maggiorevalore sostanziale e morale del Risorgimento

di Alessandro Ferioli

A BRESCIA IL POPOLO SI SOLLEVA

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gendo ponti e strade, provocando allagamenti, attac-cando convogli e raccogliendo informazioni sulletruppe nemiche. Quindi la sollevazione di Brescia,benché di natura popolare, assunse due caratteristi-che: da un lato ebbe obiettivi militari, in stretto col-legamento con Torino, e dall’altro ebbe una chiaraintenzionalità politica. Riguardo a quest’ultimoaspetto, infatti, secondo la ricostruzione di CesareCorrenti – allora deputato a Torino e cronista deifatti bresciani – da giorni «i Bresciani vivevano inpiazza; il popolo intiero era in piedi, tutt'orecchi etutt'occhi» ad aspettare il comando; e, dopo la primadimostrazione dell'artiglieria del castello, il popolonon mostrò curarsi delle minacce, poiché «il tedescoera duro, e più duro il popolo» (C. Correnti, I Diecigiorni dell'insurrezione di Brescia nel 1849, Torino,Marzorati, 1849, p. 14, 21).

GLI UOMINI DI TITO SPERI COMBATTONO “ALLABRESCIANA”Alla mezzanotte del 24 marzo Leschke, non avendoottenuto la liberazione degli ostaggi, fece spararedalle artiglierie del castello un centinaio di colpisulla città per circa due ore. Aumentò così l’avver-sione dei bresciani verso gli austriaci, e il moraledegli insorti, anziché risultarne indebolito, presepiù vigore: «Ne infuriavano i cavallereschi bresciani– scrisse Correnti – a cui non parea essere secondole giuste e onorate leggi di guerra quella tempestadi fuoco lanciata a caso per le tenebre della notte, epaurosa e mortifera, più che agli uomini vigili edarmati, alle donne ed ai bambini dormenti». Fu isti-tuito un Comitato di pubblica sicurezza, formato daimazziniani Luigi Contratti e Carlo Cassola, che simostrarono subito più estremisti rispetto al Muni-cipio da cui tuttavia dipendevano. Nel frattempopartivano dal Comando generale del Lombardo-Ve-neto, agli ordini del generale Johann Nugent, il Ibattaglione dei confinari Rumeno-Banati, un re-parto di Cavalleggeri Liechtenstein con due pezzi,e da Mantova il III battaglione del reggimento fan-teria Ceccopieri.Nel corso della giornata del 25 marzo, mentre i re-parti di Nugent muovevano a tappe forzate verso lacittà, i bresciani bloccarono tutte le vie che portavanoal castello, prepararono armi e approntarono barri-cate, rinforzando soprattutto quelle presso le porteTorrelunga e S. Giovanni. Inoltre inquadrarono cen-tinaia di volontari (provenienti dalle Val Trompia eVal Sabbia e dalla zona pedemontana) che il comitatoinsurrezionale aveva fatto convergere in città.Il mattino del 26 (quarta giornata) gli austriacierano già a Rezzato, dove costituirono due colonne:

la prima proseguì verso Brescia per la strada postaleveneta, mentre la seconda prese la strada contiguaal colle di Caionvico, per intercettare una compagniadi 350 volontari che don Pietro Boifava, curato diSerle e animatore della resistenza, aveva radunatoe addestrato. Dalla città uscì un reparto di un centi-naio di uomini, al comando di Tito Speri, per difen-dere il borgo di S. Eufemia. I bresciani siscontrarono con gli austriaci verso mezzogiorno eli respinsero. Nell’azione d’inseguimento del ne-mico, Speri faticò per contenere l’impeto dei concit-tadini, che a dispetto dell’inferiorità numerica nonmostrarono alcun timore nel lanciarsi allo scopertoe sulle barricate, senza riparo, mentre gli austriacisparavano nascosti dietro alberi e siepi. Questa spa-valderia, che sorprese i nemici, fu definita conl’espressione di “combattere alla bresciana”. Nel-l’operazione tre bresciani rimasero uccisi, mentrealtri trenta, fatti prigionieri, furono poi fucilati.

«VINCERE O MORIRE»Ai due inviati a parlamentare Nugent intimò la resa“a discrezione” e concesse quattro ore per deporrele armi e smontare le barricate. Di fronte alle incer-tezze del Consiglio comunale, i duumviri del Comi-tato si rivolsero direttamente alla folla radunata inpiazza: il grido unanime di “Guerra! Guerra!” sancìil volere (e con esso il destino) di una città decisaalla difesa a oltranza. Fu redatta la risposta da por-tare a Nugent: «Il popolo in massa ha respinto conindignazione la vostra proposta, proclamando chesi deve vincere o morire, e che la città è pronta aresistere finché sia ridotta in cenere». Il resto dellagiornata fu impiegato nel rafforzamento del bloccoal castello e delle barricate, nonché alla muraturadelle porte, a eccezione di quella di S. Giovanni, chesi voleva aperta ai soccorsi provenienti da Milano,e quella di Torrelunga, nel proposito di utilizzarlaper le sortite verso S. Eufemia. La difesa di quest’ul-tima fu affidata a Tito Speri.E proprio presso porta Torrelunga si svolsero gliscontri del 27 marzo. Verso le due del pomeriggio,sotto la pioggia battente, gli austriaci giunsero daS. Eufemia a Villa Maffei presso Rebuffone, e da lìbombardarono la porta, mentre le artiglierie del Ca-stello vi aprivano il fuoco contro. Ciò aumentò lavolontà di resistenza, cosicché persone di tutte leclassi sociali si sentirono affratellate nella battagliae nella morte. Perfino «la parte del popolo incapacedi combattere – ricordava un anonimo cronista –accorreva animosa a spegnere gli incendi cagionatidalle bombe e dai razzi». Le bombe cadute sullacittà furono diverse centinaia, e tra gli edifici colpiti

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vi furono la Loggia, la Cattedrale, e persino l’ospe-dale civile. I cittadini, a detta dello stesso Tito Speri,«aumentavano di coraggio in proporzione del peri-colo, collocati in mezzo a due fuochi di artiglieria,assaltati dai cacciatori che si avanzavano protettidal cannone, essi conservarono la più serena alle-gria, e ad ogni colpo, che bene spesso era mortaleper loro, gridavano esultando: “Viva l'Italia, morteai Tedeschi”!» (T. Speri, Le 10 giornate, Brescia, Tip.Poligrafica, 1924, p. 21).Verso le ore 18 Nugent ritirò le sue truppe, facen-dole coprire dall’artiglieria. Non appena i brescianiebbero intuito le intenzioni del nemico, decisero ditentare una sortita: lo stesso Speri uscì dalla cittàcon duecento uomini, tallonando la retroguardia chesi allontanava riparata dal cannone e ingaggiandopiccoli scontri nell’abitato di Rebuffone. Purtroppoquella era anche l’ultima delle giornate fortunate.Il giorno successivo, 28 marzo, Nugent fece avan-zare una compagnia del Ceccopieri, le cui squadreoperarono separatamente piccole azioni di disturboseguite da vistose ritirate. Speri intuì che si trattavadi un tranello per indurre i bresciani a uscire dallacittà facendo leva sulla loro irruenza. Difatti un cen-tinaio di uomini si era già messo all’inseguimento,costringendo Speri ad accorrere per portare aiuto,alla testa di una sessantina di compagni, e dare iltempo agli imprudenti di ritirarsi. Neppure questofu però sufficiente poiché – come ebbe a scriverelo stesso Speri - «la disciplina dell’arte militare èsconosciuta ai militi delle rivoluzioni e, nel loro fu-rore guerriero, è impossibile persuadere loro chenon si debba inseguire il nemico che si ritira»(Speri, Op. cit., p. 22). I croati imperiali attiraronogli avversari sin dentro il borgo di S. Eufemia; do-podiché attuarono la controffensiva, aggirando ecircondando i bresciani. Il ripiegamento verso lacittà, questa volta inevitabile, poté avvenire sol-tanto a prezzo di gravissime perdite (quasi centouomini) e lo stesso Speri riuscì a stento a salvarsi.

PROPAGANDA DI GUERRALa giornata del 29 marzo fu cruciale per un aspettoall’epoca inconsueto: quello della manipolazione

delle notizie. Benché nel corso della mattinata fossegià stato reso noto il testo dell’armistizio di Vignale,un frate proveniente da Bergamo, tale padre Massi-mino, si presentò al Comitato riferendo che Carlo Al-berto aveva abdicato, che in Piemonte era stataproclamata la repubblica e che il generale WojciechChrzanowsky aveva ripreso la guerra contro gli au-striaci, riportando un’importante vittoria. Nono-stante la parola del buon frate apparisse pocoaffidabile, il Comitato emanò un bando in cui, dopoavere accusato di tradimento Carlo Alberto, accla-mava Chrzanowsky dittatore d’Italia e incitava la po-polazione a proseguire la guerra al fianco delPiemonte. Mentre i bresciani ricevevano assicura-zioni sull’imminente vittoria, due battaglioni di fan-teria di stanza a Verona, al comando del colonnelloFavencourt, portavano rinforzo a Nugent, il qualeaveva così a sua disposizione in tutto 5000 uomini,di cui un centinaio di cavalleggeri, e quattro cannoni.Il giorno 30 ripresero le fucilate degli austriaci, so-prattutto nei pressi di porta Torrelunga, pressatada sei compagnie di fanteria incaricate di congiun-gersi con la guarnigione del castello. Intanto conti-nuavano le aggressioni terroristiche degliassedianti alle popolazioni sulle colline, le cui casevenivano saccheggiate e incendiate. Nei pressi diRebuffone, il prete di una chiesa rovinata dai bom-bardamenti prese l’iniziativa di avvicinarsi alletruppe austriache, sventolando una bandierabianca, per chiedere che almeno quel luogo sacrovenisse risparmiato; Nugent accordò due ore di tre-gua, e lo invitò a mandargli alcuni rappresentantidella città per parlamentare. Tuttavia l’arrivo di unnuovo messaggio recante la conferma delle vittoriedi Chrzanowsky indusse il Comitato a rompere ognitrattativa col comando austriaco; fu quindi diffusoun ulteriore bollettino per rassicurare i bresciani,che combattevano tra la fucileria e le bombe del ca-stello, sulla certezza della vittoria.

«IO MANTENGO LA MIA PAROLA!»La giornata del 31 marzo cominciò, ancor primadell’alba, con l’assalto degli austriaci contro tuttele porte della città. L’attacco fu respinto, ma nella

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confusione provocata dalla mischia, dalla nebbia edalla pioggia il maresciallo Julius Jacob von Haynau(giunto da Padova per liquidare l’insurrezione bre-sciana) riuscì a entrare dalla postierla nel castellocon l’intero I Battaglione del Reggimento Granducadi Baden. Alle ore 9 dal castello uscirono due gen-darmi con un dispaccio per il Municipio: la comu-nicazione, firmata da Haynau, intimava la resaimmediata senza condizioni, minacciando la distru-zione della città in caso contrario, e terminava conle seguenti parole: «Bresciani! Voi mi conoscete, iomantengo la mia parola!».Il consiglio comunale inviò una rappresentanza aparlamentare per chiedere una tregua di 48 ore echiarire la posizione della città nel contesto dellaguerra. Proseguiva in tal modo l’equivoco di un pre-sunto armistizio in base al quale gli austriaci avreb-bero dovuto sgomberare la Lombardia. Quando unodei delegati mostrò copia dell’atto al maresciallo,sostenendo che Brescia fosse inclusa nell’armisti-zio, questi rispose di sapere già tutto, ma che l’ar-gomento della discussione in quel momento erasoltanto la resa. I commissari ribadirono la legitti-mità della posizione della città, ma Haynau, senzadistoglierli dal loro convincimento, li congedò ricor-dando che il termine per la resa sarebbe scaduto amezzogiorno, e che poteva concedere una prorogasoltanto fino alle 14.Quando l’esito della missione fu comunicato alla mu-nicipalità, il consiglio si rivolse direttamente allafolla davanti al palazzo del Comune, comunicando ipericoli che si sarebbero corsi se non fossero giuntii soccorsi attesi. Il popolo rispose con le urla di«Guerra! Guerra!». Subito la gente riprese a costruiree rinforzare i serragli, le donne a rimuovere ciottolidalla strada, i vecchi e i ragazzini ad aiutare comemeglio potevano. Alle 14 precise tutte le campanedella città suonarono a stormo, come risposta all’ul-timatum degli austriaci. Le artiglierie nemiche bat-terono soprattutto porta Torrelunga, sempre difesada Speri; le spranghe di ferro dei cancelli e la barri-cata esterna furono presto spezzate e i bresciani do-vettero ritirarsi all’interno della porta, ma senza maicedere, nonostante combattessero costantemente

sotto il duplice fuoco degli assedianti e del castello.Haynau fece uscire dal castello il I Battaglione; poiradunò i militari rimasti e i convalescenti dell’ospe-dale e ne fece un improvvisato battaglione misto dicirca 500 uomini da lanciare su fianco e le spalledella brigata Speri, la quale fu costretta a ripiegare.Gli austriaci riuscirono così a occupare l’agognataporta Torrelunga, ma nello scontro di guerriglia ur-bana, combattuto con feroci corpo a corpo condaghe, coltelli e baionette, il I Battaglione era statodistrutto e i superstiti messi in fuga senza potersiportare dietro morti e feriti. Fu allora che i soldatidella brigata Nugent poterono riversarsi in città,espugnando un’altra barricata, e poi, dopo essersidivisi in due colonne, dirigersi rispettivamenteverso porta S. Alessandro e verso piazza S. Bar-naba. Durante queste operazioni lo stesso Nugentriportò una ferita grave, che gli avrebbe fatto per-dere la vita dopo pochi giorni.Venuto il buio, Haynau decise di non spostare letruppe, per evitare imboscate, e ordinò che i repartisostassero per la notte negli stessi luoghi che ave-vano appena occupato. Durante la nottata i militaricommisero devastazioni d’ogni genere: fecero brec-cia nei muri delle case e penetrarono nell’internodistruggendo, saccheggiando e appiccando il fuocoovunque. Nel corso di quella notte furono bruciatesessanta case, uccise o seviziate diverse donne,malmenati vecchi, impedito a fucilate ai pompieridi spegnere gli incendi. Ben presto i bagliori delfuoco illuminarono di una luce spettrale l’internodella città e le colline vicine. Scrisse il Correnti:«Quando le tenebre posero fine agli assalti, fu co-mandato e insegnato ai soldati di forare i muri dellecase, e penetrare nell'interno abbruciando e deva-stando: nuovo ed orribile modo di guerra. A que-st'uopo venivano per ogni pelottone alcuni gregariirecando acqua ragia, pece, paglia, ed altri ingegnida appiccare e propagare rapidamente le fiamme:e gli uffiziali facevansi maestri di questa perdi-zione» (Correnti, I Dieci giorni..., cit., p. 54).Il 1° aprile fu la giornata della resa della città e delcastigo inflittole da Haynau. Fin dal mattino gli au-striaci spinsero al massimo il loro attacco alle porte

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della città, e le truppe imperiali in poche ore pote-rono avanzare da porta Torrelunga sino a via Brut-tanome, mentre altri reparti, provenienti da S.Urbano, giungevano a piazza dell’Albera e infine alBroletto; pure a porta S. Alessandro il territorio fuprogressivamente conquistato casa per casa. Il Mu-nicipio sciolse il Comitato, rinunciando così a qua-lunque ulteriore velleità di rivoluzione a oltranza, eincaricò il provinciale dei francescani, padre Mau-rizio, di riferire ad Haynau le richieste di pace deibresciani. Il maresciallo promise la tutela dell’inco-lumità personale e dei beni a chi avesse deposto learmi, implicitamente riconoscendo dignità di com-battenti a coloro che avessero rispettato la decisionedella loro stessa Municipalità di cessare la guerra.Sulla maggior parte delle case fu inalberata la ban-diera bianca, mentre la resistenza persisté sporadi-camente in vari luoghi della città, senza gravi danniper gli austriaci. Gli ultimi difensori che cedetterofurono quelli dislocati a porta S. Giovanni e a portaPile, travolti dal I Battaglione del Reggimento confi-nari del Banato, da uno squadrone di dragoni Boy-neburg e da una batteria di mortai. Alle 23, quandogiunse in vista di Brescia la banda armata dei ber-gamaschi di Gabriele Camozzi, arrivati proprio perportare soccorso ai compatrioti lombardi, non c’erapiù nulla da fare, e lo stesso Camozzi, dopo avereperduto alcuni uomini in scontri d’avanguardia congli austriaci, dovette ritirare le sue squadre versoIseo, per poi scioglierle tre giorni dopo.

CONCLUSIONINonostante il procedere un po’ caotico di taluni in-dividui, i reparti organizzati dai bresciani riusci-rono a svolgere, a seconda delle circostanze, ruolisia difensivi che offensivi, come dimostrano i fre-quenti ripiegamenti ai quali furono costretti gli au-striaci, nonché l’efficacia dell’isolamento impostodai cittadini al castello. Come ricorda il Lechi, ledonne «seguivano nei combattimenti i loro mariti,i fratelli, i padri, recando munizioni, caricandonele armi, incoraggiandoli colla loro presenza» (Con-tributo alla storia delle X Giornate di Brescia. Daun manoscritto inedito del Senatore Conte LuigiLechi, «Commentari dell'Ateneo di Brescia», 1929,p. 264). Le donne erano altresì l'obiettivo del ne-mico nel momento di più intensa violenza, sia comevittime di stupri che come madri private dei proprifigli, divenendo quindi agli occhi degli assediatiuna delle ragioni per la difesa strenua della città.Le dieci giornate furono un periodo di lotta senzaquartiere. La reazione imperiale alla sollevazionebresciana fu durissima e, oserei dire, spietata: il

bombardamento mirato sui civili, le distruzioni e isaccheggi, le violenze e le torture (esemplare il casodel fabbro Carlo Zima che fu inzuppato di acquara-gia e bruciato vivo) fanno pensare a tempi ben piùvicini a noi e tristemente noti per le abituali aggres-sioni terroristiche alle popolazioni. Fu la fretta diHaynau di espugnare la città e ridurla all'obbe-dienza – oltre al fatto che egli interpretava l'episodiocome la ribellione all'autorità imperiale, e conside-rava le milizie di Speri e i corpi franchi null'altroche combattenti illegittimi – che indusse ad azioniterroristiche indegne d'un esercito regolare, ma cheforse apparvero in quel momento come l’unica ri-sposta possibile a un tipo di guerra inconsueto. In-vece i rappresentanti della città sostennero sempreil diritto allo status di belligerante, riuscendo a ot-tenere per lo meno che, dopo la resa, non fosseroimposti atti di soggezione lesivi della dignità dei cit-tadini rispettosi della resa. Per gli irriducibili, in-vece, continuò il massacro. Lo stesso Haynauricordava nel suo rapporto, alla data del 2 aprile, diavere ordinato che «fossero immediatamente mas-sacrati tutti coloro che fossero presi colle armi allamano, le case da cui venisse sparato incendiate».Brescia – la Leonessa d’Italia, secondo l’appellativoconiato da Giosue Carducci (“Alla Vittoria”, in Odibarbare) – fu quindi una Città di punta nel nostroRisorgimento, per la sua posizione di avanguardiapolitica, per gli eventi militari e per il martirio dellasua popolazione. Ad avvalorarne l'importanza, delresto, basterebbe il giudizio di Guglielmo Pepe, ilquale affermò che in quel frangente l’episodio delleDieci giornate «può chiamarsi quello [...] che mo-strò più chiaramente che la nazione italiana è pros-sima al giorno della sua liberazione eroica» (G.Pepe, Delle rivoluzioni e delle guerre d'Italia nel1847, 1848, 1849. Memorie del Generale Gu-glielmo Pepe, Torino, L. Arnaldi, 1850, pp. 198-99).

Bibliografia•Miscellanea di studi su Brescia nel Risorgimento. Per

il 21° Congresso della Società nazionale per la storiadel Risorgimento italiano, Brescia-Torino, 10 settem-bre-17 settembre 1933, Brescia, Apollonio, 1933

•Brescia 1849. Il popolo in rivolta, Atti del Convegno diBrescia, 26-27 marzo 1999, a cura di S. Onger, Brescia,Morcelliana, 2002

•A. Ugoletti, Brescia nella rivoluzione del 1848-49.Studi e ricerche, Bologna, Zanichelli, 1899

•Memorialistica bresciana delle Dieci giornate, Brescia,Giornale di Brescia, 1999.

•G. TRECCANI DEGLI ALFIERI (Dir.), Storia di Brescia,IV, Dalla Repubblica Bresciana ai giorni nostri (1797-1963), Brescia, Morcelliana, 1964

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Wernher vonBraun

nei tunnel diDora: un caso

controversodi Mario Carini

8settembre 1944: primo lancio contro l’Inghil-terra della V-2, la micidiale “arma segreta” diHitler, il velocissimo missile con testata esplo-

siva, non intercettabile dai caccia alleati né dalla con-traerea. 17 luglio 1969: l’uomo posa per la prima voltail piede sulla Luna, con gli astronauti americani del-l’Apollo 11 Neil Armostrong e Buzz Aldrin. Entrambequeste date sono legate all’incredibile destino di unuomo, lo scienziato tedesco, poi naturalizzato ameri-

cano, Wernher von Braun, il padre della V-2 e del po-tentissimo e colossale razzo vettore Saturn V, cheportò sulla Luna l’equipaggio dell’Apollo 11 (compostodagli astronauti Neil Armstrong, Edwin Aldrin – i dueche toccarono il suolo lunare con il LEM – e MichaelCollins). Il 17 luglio 2019 è ricorso il cinquantesimo anniversa-rio dell’allunaggio, una data memorabile nella storiadell’umanità, e le celebrazioni dell’impresa hanno dato,oggi come allora, un notevole spazio a colui che vieneconsiderato il padre dell’astronautica americana.1

La vita di Wernher von Braun (1912-1977), cono-sciuto universalmente come il padre dell’astronauticaamericana e in specie del programma Apollo, con cuirealizzò la promessa fatta al presidente John Ken-nedy,2 si divide in due parti: prima al servizio di Hi-tler, per fornirgli le celebri armi segrete che avrebberodovuto capovolgere le sorti del conflitto, poi al servi-zio degli americani per portare l’uomo nello spazio equindi sulla Luna. Anche se il genio di von Braun ha permesso di realiz-zare una grandiosa tappa nel cammino della civiltàumana, il suo passato resta comunque controverso.Nelle rievocazioni della storia del volo spaziale e del-l’allunaggio, quando si tocca inevitabilmente la figuradi Wernher von Braun, il suo nome, durante la se-

Wernher von Braun e il generale Walter Dornberger (a sinistra), fo-tografati a Rutte dopo essersi arresi agli anglo-americani nel 1945.

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conda guerra mondiale, ricorre sempre legato a Hitlere al nazismo, quasi fosse una sorta di alchimista fau-stiano venduto al demoniaco Mefistofele della Storia.A von Braun si deve infatti l’ideazione della V-2, il ve-locissimo e imprendibile missile balistico che seminòterrore e distruzione sulle città inglesi, e in specie suLondra, e rappresentò la seconda “arma segreta” concui Hitler contava di capovolgere le sorti della guerranel 1944 (la prima era stata la V-1).3 I danni patitidalle V-1, che colpirono Londra per la prima volta il12 giugno 1944, furono comunque modesti, giacché,a parte la scarsa precisione di questi ordigni, buonaparte di essi vennero abbattute dai più veloci cacciainglesi e dalla contraerea. Ben più micidiali risulta-rono invece le V-2, il cui progetto era stato concepitoda von Braun fin dagli anni Trenta, quando il giovaneingegnere, messosi in luce per le sue avveniristichericerche sui razzi, fu chiamato a collaborare conl’équipe del capitano (poi generale) della WehrmachtWalter Dornberger. Lungo 14 metri e con un diametrodi 1,65 metri, il missile V-2 (Aggregat 4), armato conuna testata di una tonnellata di esplosivo, raggiun-geva una velocità massima di 5200 km orari ed erapraticamente inintercettabile. Il loro triste bilancio,alla fine della guerra, fu di 2754 morti e 6523 feritiin Gran Bretagna, sicché von Braun venne consideratoun criminale di guerra dagli Inglesi.Ben più terribile, però, fu il bilancio di vittime checomportò la costruzione delle V-1 e delle V-2. Dopo ilbombardamento del centro di Peenemünde, un’isolasul Mar Baltico (17-18 agosto 1943), la costruzionedelle micidiali telearmi venne trasferita nei tunnelsotterranei di Dora-Mittelbau, scavati sui fianchi dellemontagne dello Harz, in Turingia. A Dora furono im-piegati nella costruzione delle V-1 e delle V-2 circa60.000 internati fra l’agosto del 1943 e l’aprile del1945, provenienti dall’Europa occupata, fra cui 1435Italiani. Dora era la sigla di Deutsche OrganisationReichs Arbeit (DORA): costruito sfruttando un sistemadi gallerie preesistenti e risalenti alla prima guerramondiale, il Lager sotterraneo di Dora4 fu opera del-l’impresa industriale Mittelwerke, sicché venne cono-sciuto anche come Dora-Mittelbau. Il comando eraaffidato alle SS. I resoconti che di Dora hanno lasciatoi sopravvissuti sono terribili e testimoniano delle di-sumane condizioni sofferte da questi lavoratori coatti,ridotti a esseri scheletrici, veri e propri schiavi lasciatiin vita solo per essere sfruttati fino allo sfinimento. Iprigionieri portavano la divisa comune: giacca, pan-taloni e basco a righe bianche e blu e, sulla giacca, iltriangolo che nel colore contrassegnava i prigionieri.Il comando interno era affidato ai Lagerschutz, colla-boratori privilegiati che dipendevano dalle SS. Al disotto, in una struttura gerarchica, vi erano i capi-blocco (Blockälteste), da cui dipendevano i capi-ba-racca (Stubenälteste), e poi i Vorarbeiter (primilavoranti). Le squadre di lavoranti erano sorvegliatedai temuti Kapò, reclutati tra i criminali comuni di

Germania, Polonia e Ucraina, che spesso erano più fe-roci delle guardie tedesche. I prigionieri italiani eranotrattati peggio degli altri, perché, a causa dell’armisti-zio, erano considerati traditori: gli epiteti “Badoglio”,“macaroni” e “Scheisse”, con cui le guardie chiama-vano gli Italiani, erano sovente accompagnati da calci,pugni e nerbate date con i “gummi”, grossi cavi dirame ricoperti da uno strato di gomma. L’ex internatoGherardo Del Nista che lavorò come minatore nellegallerie di Dora, ha dato nella sua testimonianzaun’idea dei suoi massacranti turni di lavoro forzato,dodici e più ore consecutive da mezzanotte a mezzo-giorno. Il lavoro forzato durava per dodici e più oreconsecutive, da mezzanotte a mezzogiorno e vice-versa. Il turno di lavoro era preceduto dall’appello,che durava dalle due ore alle due ore e mezza ed eradiretto dalle SS, che spesso distribuivano ceffoni, staf-filate e colpi di badile senza preavviso. Queste le pa-role di Gherardo Del Nista, internato a Dora dalnovembre 1943 all’aprile 1945:“Ero, ed eravamo, trattati peggio che bestie o schiavi;come se ciò non fosse stato sufficiente, spesso l’unicopasto “saltava”. Non era possibile lavarsi: per tre mesisiamo rimasti così, sporchi, sbrindellati, affamati, de-periti e torturati in maniera tale da non poter augurareun simile trattamento neppure al peggiore dei nostri ne-mici. Il pasto quotidiano (quando c’era) era così com-posto: un litro di minestra detta “sboba”, un filo di panenero da suddividerci fra quattro persone, cinquantagrammi di margarina ed un piccolo rotolino da cin-quanta grammi di una specie di salame. Questo eratutto il nostro vitto in ventiquattr’ore!”5

Il lavoro di Gregorio Pialli, impiegato anch’egli comeminatore, comprendeva i seguenti turni: alle ore22,30 v’era la sveglia e l’uscita dalla galleria, dalle ore23 alle 14 si svolgeva il lavoro senza interruzione, poialle 14 v’era la pausa per il rancio, costituito da unmestolo di brodaglia e un pane da dividersi tra ottoprigionieri. Quindi vi era l’appello e alle ore 17 si ri-tornava in galleria, per riposare dalle ore 18 fino alle22,30. In totale, ogni giorno solo quattro ore e mezzaerano dedicate al riposo personale. Chiunque, a questirimi, sarebbe crollato, e infatti le V-1 e le V-2 vennerocostruite al prezzo di migliaia di morti. La condizionedisumana dei prigionieri addetti alla costruzione dellemicidiali armi telecomandate è eloquentemente chia-rita dall’esperienza di ex internati come, ad esempio,Antonio Muscaritolo, attraverso le parole della nipoteDeborah:“Mio nonno era del ’21, quindi all’epoca aveva ventidueanni. Era addetto ai lavori di muratura, cementava orivestiva le pareti della galleria, rifaceva i marciapiedisu cui dovevano passare i deportati o i kapò e nonaveva nessun tipo di attrezzatura, quindi lavorava conla pietra e con il cemento a mani nude. All’inizio eraaddetto agli impianti di ventilazione, quindi rivestiva ilsoffitto delle gallerie, che era molto alto, legato in vita

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a una corda e tenuto su da un altro deportato. Il pro-blema è che erano tutti senza forze, perché soffrivanola fame. Al mattino facevano colazione con una zup-petta, una tazza di caffè d’orzo annacquato e un pez-zettino di pane e non mangiavano altro per tutto ilgiorno. Per questo, ogni volta che doveva essere tiratosu, mio nonno aveva sempre paura che l’altro deportatonon riuscisse a reggerlo e lo facesse cadere. Anche per-ché se ti facevi male o ti ammalavi e non eri più ingrado di lavorare, la situazione era peggio che seria.Gli internati dormivano nelle gallerie, in letti a castellodi legno e senza coperte, con il rumore martellante deimacchinari nelle orecchie e respirando polvere in con-tinuazione. In queste condizioni cominciarono a svilup-parsi anche le malattie e nel febbraio del ’44 ci fu laprima grande disinfezione, perché anche i tedeschi co-minciarono ad aver paura di un’epidemia.”6

A ciò si aggiungono le atrocità, di cui i prigionieri fu-rono vittime o testimoni coatti. Dopo l’appello si ese-guivano le impiccagioni alle due forche erette ad un

lato del campo,come porte di cal-cio da cui pende-vano tante corde. Icondannati, con inbocca un pezzo dilegno, come unmorso di cavallo,per impedire lorodi parlare o urlare,venivano condottial patibolo e fattisalire sulla panca:un calcio del boiaalla panca e i corpidegli impiccatipendevano nelvuoto. Tolti i corpidi quei primi di-sgraziati, era ilturno di altri ecosì di seguito.7

Chi non morivasulla forca venivafinito a colpi di ba-stone o con una re-

volverata alla nuca. Varie testimonianze descrivonol’orrendo spettacolo di impiccagioni di massa. L’ex in-ternato Jean Michel nel suo memoriale Dora8 narrache nel marzo 1945 vennero impiccati 53 prigionierirussi per l’accusa di sabotaggio, nella sala grande deltunnel di Dora. Luigi Liegi ricorda che una volta ven-nero impiccati 72 internati nello spazio di tre quartid’ora.9 Di tali atrocità furono vittime anche gli Italiani:7 alpini italiani vennero fucilati a Dora per aver chie-sto mezzo litro in più di zuppa, come scrive Don LuigiPasa,10 o perché non volevano dormire nel tunnel ma

tornare nel dormitorio fuori dal Lager (così Jean Mi-chel).11

Il libro di Jean Michel, una sequela ininterrotta di bru-talità, sevizie e orrori,12 è un atto di accusa alla com-plicità, connivenza o almeno cecità degli scienziatinazisti, in primis proprio von Braun. Lui e i suoi colle-ghi, secondo il Michel, non vollero vedere e, se videro,ben sicuri e insensibili nella loro torre d’avorio, siastennero da qualsiasi iniziativa per alleviare in qual-che misura le pene dei lavoranti prigionieri. A loro in-teressava la produzione delle telearmi, non il costoumano della fabbricazione delle V-1 e delle V-2, cheassommò tra i 12.000 e i 20.000 morti, comprendendoin questa cifra anche i morti per i bombardamenti al-leati e quelli delle “marce della morte”, durante l’eva-cuazione del campo nell’aprile 1945. Secondo JeanMichel, von Braun, il generale Walter Dornberger, suodiretto superiore, e gli altri scienziati erano perfetta-mente al corrente dei crimini perpetrati a Dora.13

L’obiettivo del suo memoriale, pertanto, è quello dicontrastare “la mostruosa frode storica la quale, ta-cendo certi fatti o glorificandone altri, ha fatto nasceremiti erronei e sospetti. Fetidi.”14 Ma il tentativo di met-tere in rapporto von Braun con le atrocità di Dora (unlegame ancor oggi talvolta disinvoltamente ripropo-sto),15 quasi egli ne sia stato la causa, ci lascia alquantoperplessi. Un sereno e oggettivo esame dei fatti prov-vede, a nostro giudizio, a smentire questo legame cherischia di diventare un pregiudiziale cliché e sembragettare quanto meno un’ombra su una luminosa car-riera che, oltre alla fama unanimemente riconosciutacome padre dell’astronautica americana, valse a vonBraun anche prestigiosi riconoscimenti dal suo Paesed’adozione, gli Stati Uniti. In effetti, diversi sono glielementi a favore di Wernher von Braun, che andreb-bero considerati prima di valutare definitivamente ilpersonaggio. Von Braun, nonostante fosse stato il pro-gettista delle V2 che tanti danni e vittime avevano pro-vocato a Londra, mai venne accusato formalmente dicrimini di guerra; non venne reperito alcun testimonediretto o indiretto che accusasse di misfatti e atrocitàlo scienziato tedesco durante la sua permanenza aDora; nei diari e memoriali degli internati di Dora nonvengono mosse specifiche e dirette accuse a von Braundi misfatti e atrocità; i regolamenti del Lager di Dora,la cui applicazione disumana fu causa di tante ingiustesofferenze agli internati, furono redatti dalle SS as-sieme al ministro degli armamenti Albert Speer,16 eapplicati dai Kapò, scelti tra i peggiori delinquenti co-muni di varia nazionalità (non solo Tedeschi, ma ancheUcraini e Polacchi); il comandante del Lager di Dora,ossia l’autorità suprema in quel campo, era il generaledelle SS Kammler, che dipendeva dal potentissimocapo delle SS Himmler. Sappiamo anzi che von Braunintervenne per salvare la vita dell’internato GuidoBianchedi, già condannato alla forca.17 Da ultimo lostesso von Braun venne arrestato dalle SS nel marzo1944, con l’accusa di sabotaggio, subendo quasi tre

Wernher von Braun, nel suo ufficio di diret-tore del centro di volo spaziale della NASAnel 1964.

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settimane di ga-lera, da cui fu ti-rato fuori dalgenerale Dor-nberger. Va poiconsiderato, anchese tali confronti ri-sultano semprespiacevoli, che le di-struzioni delle V2 fu-rono assai menopesanti di quelle deibombardieri alleatiche quotidianamentedevastavano le città te-desche.18

Si può accusare vonBraun almeno di inde-gnità morale, dato che

mise o, meglio, fu costretto a mettere il suo talentoscientifico al servizio della tirannide nazista? In unimmaginario processo post mortem, egli, a nostro giu-dizio, potrebbe essere quantomeno assolto per insuf-ficienza di prove.19 Proprio una grande pensatrice diorigine ebraica, Hanna Arendt, ha peraltro affermatoche gli scienziati non sono responsabili dell’applica-bilità tecnica delle loro scoperte e invenzioni: il faredello scienziato serve a conoscere, non a produrrecose.20 Concludiamo l’articolo con un pensiero di Wer-nher von Braun, di questo scienziato caparbio e idea-lista che da terribili strumenti di morte, per unostrano e imponderabile esito del destino, riuscì atrarre un meraviglioso progetto per il progresso del-l’umanità e la pace tra i popoli: inviare un essereumano sul nostro satellite. “Gli uomini devono andaresempre più lontano, devono allargare i loro spazi e iloro interessi: con l’aiuto della volontà di Dio” (Wer-nher von Braun).

NOTE1 Un intero capitolo di un volume (uscito nel 1969) che esaltava l’impresa lunare era dedicato a Wernher von Braun (dal significativo titolo Il tedesco Wernhervon Braun ha pagato il suo debito con l’America), celebrato come “il vero Colombo dello spazio”: vd. Enzo Biagi – Antonio De Falco – Guido Gerosa – GinoGullace – Gian Franco Venè – Lorenzo Vincenti, La Luna è nostra. Storie e drammi di uomini coraggiosi, Rizzoli, Milano 1969, pp. 18-23. Una cospicua partedel cap. 3 del recente libro di Bruno Vespa, Luna. Cronaca e retroscena delle missioni che hanno cambiato per sempre i sogni dell’uomo, Rai Libri, Roma 2019,è dedicata a Wernher von Braun (significativi i titoli “ossimorici” dei due paragrafi: Il nazista von Braun inventore dei missili V2 e L’americano von Braun, pro-gettista del razzo vincente, alle pp. 105 e 109).2 La promessa di portare entro il 1970 un astronauta americano a piantare la bandiera sulla Luna. Vd. l’articolo di Luca Liguori, Signor presidente, lo prometto:nel ’70 sulla Luna!, in “Historia”, n. 136, marzo 1969, pp. 28-49.3 La V-1 (V, sigla di Vergeltungswaffe, “arma di rappresaglia”) era una sorta di siluro radioguidato, lungo oltre 8 metri, con ali e motore a reazione, che avevauna velocità massima di 640 km orari, poteva portare una testata esplosiva di 830 kg e aveva un raggio d’azione massimo di 250 km. Il nome della “bomba vo-lante”, progettata dagli ingegneri della Luftwaffe, era Fieseler FI 103. Costruite in circa 10.000 esemplari, le V-1 partivano da basi poste in Francia, tra Calaise Dieppe. La prima V-1 colpì Londra il 13 giugno 1944. Fino al marzo 1945, 2419 V-1 raggiunsero la capitale inglese, provocando 6184 morti e 17981 feriti.Sulle armi segrete: David Irving, Le armi segrete del Terzo Reich, a cura di Carlo Fruttero e Franco Lucentini, trad. di Anna Piva e Saverio Vertone, Mondadori,Milano 1968; Aldo Lualdi, La caccia ai segreti delle V 1, in “Storia Illustrata”, n. 125, aprile 1968, pp. 22-33; Luigi Romersa, Le armi segrete di Hitler, Mursia,Milano 2005; Enza Fontana e Andrea Angiolino, Le armi segrete di Hitler, in “Conoscere la Storia”, n. 34, marzo 2017, pp. 32-33.4 Propriamente il complesso di Dora comprendeva i tunnel sotterranei e venti campi circostanti, da cui proveniva la maggior parte dei lavoratori coatti.5 Gherardo Del Nista, Dora - Quando la vita vince la morte, p. 8, testo leggibile on line all’indirizzo: http://www.deportati.it/lager/doramittelbau/quando_vince_la_morte/6 Sopravvissuto all’inferno del lager di Dora-Mittelbau: la storia di Antonio Muscaritolo, intervista alla nipote Deborah a cura di Lucia Conti, 28 dicembre 2016,testo leggibile on line sul sito “Il Mitte-Berlino” all’indirizzo: www.ilmitte.com/2016/12/sopravvissuto-allinferno-del-lager-di-dora-mittelbau-antonio-muscaritolo/ 7 Testimonianza di Cesare Pilesi, I dannati del campo «Dora», in Associazione Nazionale Ex Internati, Resistenza senz'armi. Un capitolo di storia italiana (1943-1945) dalle testimonianze di militari toscani internati nei lager nazisti, Le Monnier, Firenze 1984, p. 274. 8 Jean Michel, Dora, trad. di Elena Tessadri, Rusconi, Milano 1976.9 Luigi Liegi, Morte e terrore, in Paride Piasenti, Il lungo inverno dei Lager, A.N.E.I., Roma 1977, pp. 222-223.10 Il salesiano Don Luigi Pasa, che condivise la sorte dei nostri IMI a Siedlce, Sandbostel e Wietzendorf, riferisce la notizia de relatu: vd. Don Luigi Pasa, Sepoltivivi, in P. Piasenti, cit., pp. 219-220.

11 J. Michel, cit., p. 102.12 Il libro ha il significativo sottotitolo Nell’inferno del campo di concentramento dove gli scienziati nazisti preparavano la conquista dello spazio.13 J. Michel, cit., p. 115.14 J. Michel, p. 116.15 Come, da ultimo, nell’articolo di Lucia Bellaspiga, L’inferno nascosto di Dora, il lager nazista più segreto, in “Avvenire”, 24 gennaio 21017, testo leggibile online all’indirizzo: www.avvenire.it/agora/pagine/dora Vi si legge che von Braun, consegnandosi agli Americani, ebbe “asilo garantito e crimini di guerra can-cellati”.

16 Il quale ricorda nelle sue memorie una visita ai tunnel di Dora il 10 dicembre 1943: vd. Albert Speer, Memorie del Terzo Reich, trad. di Enrichetta e QuirinoMaffi, Mondadori, Milano 2006 rist., p. 441.

17 Vd. la testimonianza di Guido Bianchedi in Francesca Manacorda, L’Italia lacerata. Storie di eroi e furfanti nel 1943-45, Edizioni SEAM, Formello (RM) 1998,pp. 186-191.

18 Come lamenta Speer, a proposito dell’inutilità ai fini bellici delle V-2, osservando che i bombardieri nemici scaricavano sulle città tedesche tremila tonnellatedi bombe al giorno, mentre i Tedeschi lanciavano con le V-2 al massimo 24 tonnellate al giorno sulle città inglesi (A. Speer, cit., p. 434). Secondo le fonti bri-tanniche, le V-2 uccisero 2754 civili. Il bombardamento aereo di Dresda (14 febbraio 1945) causò la morte di 135.000 persone.

19 Aggiungiamo che von Braun appare sinceramente scosso quando, nella sua biografia scritta da Bernd Ruland (Wernher von Braun. Una vita per lo spazio,trad. di Massimo Conti, Mondadori, Milano 1970, p. 215), rievoca le sue visite al complesso della Mittelwerk: “L’atmosfera era insopportabile… Quelle figuredi affamati opprimevano la coscienza di ogni uomo degno di questo nome”. Egli peraltro afferma di non aver mai visto il Lager di Dora.

20 Hannah Arendt, Vita activa. La condizione umana, trad. di Sergio Finzi, RCS Libri, su lic. Einaudi, Milano 2011 (I ed. 1958), pp. 229-230.

Copertina della biografia di von Braunscritta da Bernd Ruland.

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Il 22 ottobre 2019, presso l’Accademia Polaccadi Roma (Vicolo Doria, 2) si è aperta la mostra-incontro dal titolo “600.000 VOLTE No” sul

tema Gli Internati Militari Italiani nel Governato-rato Generale 1943-1945. La Mostra e il catalogo, già presentati a Cracoviapresso l’Istituto Italiano di Cultura, con alcune rarefotografie del campo di Przemyśl, conservate nelFondo Pirola, è stata poi riproposta a Varsavia, aBiała Podlaska, a Chełm e a partire dal 2018 a Mi-lano e Firenze ed ora, parzialmente rinnovata, aRoma. La Mostra è stata curata da Diego Audero Bot-tero, in collaborazione a Karolina Drygała, EmiliaGarbień, Mariana Mamikonyan e Magdalena Sędek.Il volume-catalogo, scritto nelle due lingue da

Diego Audero Bottero in collaborazione con MarcoPatricelli, Tomasz Owoc, Andrzej Rybak, EdwardKopowka, Cezary Nowogrodzki, Luca Palmarini eGiacomo Prencipe, offre l’opportunità di far cono-scere anche al pubblico polacco, in particolare aigiovani studenti, la tragedia degli Internati Mili-tari Italiani anche in Polonia, argomento tra imeno conosciuti e studiati.

Il recupero di queste memorie - ha detto nel pre-sentare la Mostra, Diego Audero Bottero - ci aiutaoggi a meglio interpretare quella sensazione di “so-litudine collettiva” che coinvolse molti italiani, civilie militari, a seguito dell’8 settembre 1943, incapacidi riconoscersinei falsi valori deifascisti di Salò,sotto la guida in-certa di un Mus-solini riscopertosirepubblicano. L’incontro è statoanche occasionedi parlare delMuseo “Vite diIMI” dell'ANRP aconferma del par-ticolare interessededicato dall’Asso-ciazione al temadegli Internati Mi-litari Italiani e allacultura della me-moria in Europa.

“600.000VOLTE NO”

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Alcuni mesi orsono, chiacchierando conla mia amica Lucia Maiellaro, musicistaeccellente e insegnante di flauto alla

Scuola Media ad indirizzo musicale Rosmini diRoma, feci un fugace accenno alla vicenda degliIMI e alla storia di mio padre e del suo violinodel lager. Lucia si incuriosì e mi chiese di darleil libretto che era stato fatto stampare con le me-morie di prigionia di mio padre.Passarono poche settimane e Lucia mi proposedi andare nelle sua scuola a raccontare ai ra-gazzi quella drammatica vicenda vissuta in gio-ventù forse dai loro bisnonni.Rimasi un po’ perplessa perché, anche se nonsarebbe stata certo la prima volta di un mio in-contro con gli studenti, avevo però sempreavuto a che fare con ragazzi delle superiori.Ora, raccontare l’orrore dei lager nazisti a ra-gazzi giovanissimi della media inferiore, miprocurava qualche imbarazzo. Quali paroleavrei dovuto usare? Quali censure avrei dovutooperare per non turbarli? Ed era opportunodare loro in lettura le memorie di mio padre chenon facevano sconti nel racconto delle brutalitàdei nazisti?Esternai i miei dubbi a Lucia che mi tranquil-lizzò e mi disse che avrei incontrato solo i ra-gazzi più grandi, quelli delle terze che tra l’altroavevano nel loro programma di storia proprioil periodo della Seconda guerra mondiale.

I giovani alunni dellascuola media Rosmini di Roma

e la storia degli IMIChi erano gli IMI? Questa è unadomanda alla quale non avreisaputo rispondere prima dell’in-contro con Gemma Manoni, laquale ci ha spiegato che gli IMI(ovvero Internati Militari Ita-liani) erano soldati che hannocombattuto per l’Italia durantela Seconda guerra mondiale,fino a quando, l’8 settembre1943, dopo l’armistizio di Cassi-bile firmato da Badoglio, i tede-schi hanno occupato luoghistrategici come aeroporti e ca-serme. Tutti i soldati dell’Esercitoitaliano che si sono rifiutati dipassare dalla parte dei tedeschi,sono stati deportati nei campi dilavoro dove venivano portatianche gli ebrei. In questi campisi lavorava tutto il giorno, manon lavori semplici come lavo-rare a maglia o cucire, loroerano occupati nelle industriedel terzo Reich, toglievano i de-triti dalle strade e portavano per-sino via i cadaveri gettandolinelle fosse comuni. Di 650 000militari italiani, 600 000 hannovoltato le spalle ai fascisti an-cora alleati con i tedeschi di Hi-

tler e questo è considerato comeil primo NO di massa contro il fa-scismo. Facendo parte di una se-zione musicale e adorando lamusica, è stato stupendo sapereche uno strumento, ovvero unviolino, ha salvato la vita di unapersona, come racconta lo stessoGigi Manoni, un IMI, protagoni-sta della storia che ci è stata rac-contata. E aver visto quel violinoda vicino, suonato a pochi passida me, è stata per noi unagrande opportunità. (Angelica O.)

Purtroppo quando ascolto deiracconti riferiti alla guerra hosempre difficoltà a immaginarmiuna situazione del genere. Oggiviviamo in una realtà di pace, eci è difficile immaginare condi-zioni di vita diverse. A mio parereGemma Manoni, con la forza delricordo che ha reso vivido e cre-dibile il racconto, è riuscita nel-l'impresa di sensibilizzare deiragazzi inesperti. Dalla sua espo-sizione sono riuscito a farmiun'idea chiara di che cosa vuoldire stare “MALE”, vivendo incondizioni durissime. Gli IMI (In-

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Allora O.K., mi metto al lavoro e decido di pre-parare una presentazione a supporto del mioracconto, per non perdere la traccia della nar-razione, se l’emozione dovesse giocarmi qual-che brutto scherzo. Le classi sono numerose e quelle interessatesono otto, si decide quindi di fare quattro inter-venti di circa due ore, incontrando due classialla volta per un paio di mattine.Ed eccomi alla Scuola Media Rosmini in aulamagna, emozionata ma anche eccitata all’ideadi provare ad infondere in queste giovani mentile atrocità che la guerra è capace di generare. Gli occhi dei ragazzi puntati su di me, glisguardi attenti e l’emozione che cresce sia inloro che in me man mano che il racconto si sro-tola e prende forma l’orrore della brutalità edella disumanità dei nazisti. Si succedono leclassi, cambiano i ragazzi, le loro insegnanti,ma la loro attenzione e il loro coinvolgimentonon muta e Lucia mi è sempre accanto.Nel secondo giorno di incontro, la classe ad in-dirizzo musicale mi riserva un regalo stupendo:l’insegnante di violino ha preparato un toccantebrano dal film “Schindler List” con i ragazzidella classe di violino ai quali porgo il violinodel lager di mio padre! L’emozione è forte e lacommozione inevitabile! Ammetto di essere rimasta piacevolmente sor-presa dalla maturità e dalla sensibilità dei ra-gazzi; si può ben sperare in un futuro migliore!Non immaginavo che il mio intervento e il mioracconto potessero suscitare tanto interesse e,soprattutto, tanto coinvolgimento emotivo neiragazzi ed anche nelle docenti.E’ stata l’esperienza più toccante e commoventeche io abbia provato da quando mi spendo,anche come dirigente dell’ANRP, per diffonderee raccontare la storia degli IMIAlcune classi dell’Istituto Rosmini sono state avisitare il Museo “Vite di IMI” a valle dell’in-contro sugli IMI e riporto anche il messaggio ri-cevuto dalla docente Veronica A. Beccaraanche a nome delle colleghe Bruna Frascati,Elena Caloni e Rossella Bevilacqua.

Gentile Signora Gemma,con un po' di ritardo le scrivo per dirle che la vi-sita alla Mostra-museo IMI di via Labicana del15 maggio u.s. è stata una bellissima esperienza,a coronamento dell'incontro avuto con lei e cheè piaciuta molto ai ragazzi.Ne ho parlato anche con le colleghe e ci siamo ri-

ternati Militari Italiani) hannodato la dimostrazione di avere uncuore nobile: ben 650.000 sol-dati hanno detto NO alla propo-sta di affiancare i fascisti,ribellandosi così a tutti coloroche credevano ancora nella dit-tatura. (Gabriele G.)

Luigi arriva al campo di smista-mento 8 giorni dopo, precisa-mente il 16 settembre ed è subitocostretto a duro lavoro, in condi-zioni molto difficili. Luigi si sentestanco, terrorizzato e umiliato,ma nonostante tutto questo resi-ste per circa venti mesi, dallafine del 1943 al 1945, grazie, inparticolare, a un semplice vio-lino trovato per caso fra le mace-rie. Infatti nel campo si formauna piccola orchestra: mentresuona il violino Luigi dimenticatutte le atrocità vissute da prigio-niero. (Emma A.)

Questa storia mi ha molto im-pressionato, non mi sarei maiaspettata di venir a conoscenzadi un racconto tanto drammaticoquanto dettagliato nei partico-lari. Con questa testimonianzaho potuto capire meglio la vitadei poveri e dimenticati soldatiitaliani di quell’epoca, che si sen-tirono persi ed abbandonati datutti. Ho capito anche che, difronte a ogni situazione dram-matica, bisogna sempre lottare eresistere. Ringrazio con tutto ilcuore la signora Manoni per es-sere venuta a raccontarci la sto-ria di suo padre, che ha saputodire di NO al nazismo e resisterefino alla liberazione. Questa atti-vità è stata davvero emozionante,grazie di cuore. (Alessia C.)

Tutto è iniziato con un NO al fa-scismo che ha comportato dueanni di atrocità nei lager nazisti.Luigi Manoni è stato uno diquelli che ha avuto il coraggio didire NO. Io non penso che sareiriuscita a dire NO, sapendoquello che mi aspettava, mapenso anche che rischiare sia me-

glio che rimanere in difesa tuttala vita. Trovo che Luigi Manonisia stato un buon esempio perchéè riuscito a ribellarsi alla ditta-tura nazifascista e quindi a nondiventare uno di quelli che haschiacciato la vita di centinaia dimigliaia di persone, rendendoleun bersaglio da colpire e da sfrut-tare come fossero un oggetto(stück = “pezzo” come i tedeschidefinivano i loro prigionieri)! Lastoria di Luigi Manoni mi ha tra-smesso il senso ed il valore dellagiustizia. (Giulia B.)

Ci sono molti modi per farsi tra-scinare da qualcosa e dimenti-carsi di tutto quello che si haattorno e questo Luigi l’ha pro-vato grazie alla musica. Il vio-lino per lui è stato una vera epropria salvezza; l’ha salvato dailavori pesanti (perché non po-teva rovinarsi le mani se vole-vano che suonasse) e gli hapermesso di essere trattato conpiù riguardo. Tutte le più durecondizioni in cui si trovava, lepunizioni, la fame, il freddo,l’umiliazione e le malattie,quando suonava, semplicementesparivano. Anch’io con la mu-sica riesco a liberarmi dai bruttipensieri o quando sono arrab-biata è come se mi portasse inun altro posto dove ritrovo la se-renità. (Ema P.)

IMI, internati militari italiani.Questa parola suona nuova amolti di noi, dato che della se-conda guerra mondiale si ricor-dano spesso solo le persecuzionicontro gli ebrei. Non dico chenon vada fatto, ma molte per-sone non ricordano che, anchese minoranza, hanno subito leloro stesse violenze rom, violatoridella legge, ribelli, partigiani,IMI... Gli IMI, soldati dell’eser-cito italiano che si sono rifiutatidi continuare a combattere afianco dei tedeschi, hanno sceltodi lottare per la loro patria sindal primo momento, pure a costodi morire; hanno scelto, pur di

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promesse di affrontare il tema degli IMI in modosistematico con le classi terze anche negli annifuturi... speriamo di poterci avvalere ancora dellasua collaborazione così cortese e proficua.Veronica A. Beccara, insegnante di Lettere dellaIII SM (sezione musicale).

Alcuni ragazzi hanno deciso di portare al loroesame di licenza media una tesina sugli IMI. Cisiamo lasciati con il proposito di rivederci ilprossimo anno e di ripetere questa esperienza,ma il desiderio di dare un seguito al nostro in-contro ha trovato risposta nelle testimonianzeche i ragazzi hanno scritto dopo il mio racconto,che le insegnanti mi hanno spedito e che sonoparte di questo articolo. Sono contributi liberi,sinceri, autentici, eterogenei e per questo an-cora più freschi e più interessanti perché fruttodi diverse sensibilità e punti di vista, ma datutti trapela il piacere di aver avuto l'occasionedi conoscere la storia toccante e coinvolgentedegli IMI di cui non avevano mai sentito par-lare.

Gemma Manoni

non aderire al partito fascista, dirischiare di morire con onore, ocomunque sapendo che, unavolte fatti prigionieri e internati,sarebbero stati trattati da ani-mali, anzi forse anche peggio.Erano diventati “schiavi di Hi-tler”, oramai una parola dimen-ticata da molto tempo, eppureche oggi, grazie alla lettura deldiario di Gigi Manoni, abbiamoritrovato nelle pieghe della Sto-ria. Come non ricordare l’alleatopiù grande di questo protagoni-sta, internato in Germania e co-stretto a una vita durissima: ilviolino, che lo ha aiutato nei mo-menti più bui; perché alla fine lamusica fa questo, genera spe-ranza e umanità. (Caterina R.)

Sentendomi coinvolto in primapersona nel mondo della musica(suono il pianoforte), mi sonomolto stupito del fatto che questaarte sia stata tanto apprezzataanche dai nazisti, non solo dallepersone gentili. Ascoltando le pa-role della signora Manoni misono commosso, ho capito ladrammaticità della guerra equanto essa possa essere spie-tata. Ringrazio con tutto il cuorequesta signora per lo sforzo cheha compiuto nel raccontare lastoria di suo padre. GRAZIE. (Fe-derico B.)

Sono rimasto molto colpito dalviolino, uno strumento musicaleche sembra inutile in guerra, incui le armi sono l’unico conge-gno utilizzato. Esso, invece, nelcaso del padre della signoraGemma, è diventato strumento disalvezza. (Marion A.)

Secondo me l’incontro è stata unalezione importante. Mi ha fattopiacere conoscere la storia di que-sto coraggioso uomo, che mi hafatto capire l’importanza dellavita e che non bisogna mai mol-lare. Mi sono emozionata molto epenso che tutti debbano cono-scere questa storia. (Aurora C.)

Il 26 febbraio è stato un giornodove ho capito l’orrore di esseresfruttati contro il tuo volere.Come è successo a Luigi ma for-tunatamente lui è sopravvissutoper raccontarci tutto. (Oskar L.)

È stato particolarmente interes-sante soprattutto per il fatto chefosse una storia vera che inpochi possono avere la fortunadi ascoltare. (Tiziano M.)

L’incontro con Gemma Manonimi è piaciuto molto perché, oltread essere stato interessante, èstato utile e istruttivo, dato cheservirà nel futuro per evitare cheavvenimenti, come la guerra,possano accadere di nuovo.(Sara R.)

Questa esperienza è stata moltoistruttiva. Il racconto mi ha fattoripensare sugli IMI e sull’acca-duto. L’esperienza mi è piaciutamolto. Spero che il diario di Luigilo facciano leggere anche adaltre scuole. (Niccolò S.)

È stato molto bello e interessanteascoltare la storia del padredella signora Gemma. La testi-monianza di qualcuno che lo havissuto e sa cosa significhi an-dare in guerra, è stata molto toc-cante. Soprattutto il modo in cuiil padre è riuscito a salvarsi, miha sorpresa: salvarsi con la pro-pria passione, cioè suonare.(Chantal T.)

Siamo andati ad ascoltare la te-stimonianza di un IMI, raccon-tata da sua figlia che ci haspiegato come è sopravvissuto,cioè grazie al suo violino. Mihanno colpito la fatica e la forzadi volontà e la speranza di tor-nare a casa che ha avuto pertutto il viaggio, perché, quandosei in un campo di concentra-mento, sono poche le personeche hanno queste qualità. Perquesto mi ha colpito molto.(Francesco T.)

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Anche nel 2019, per il quarto anno consecu-tivo, l’ANRP ha avviato il programma di al-ternanza scuola-lavoro con gli studenti delle

scuole superiori della capitale, un’opportunità perconcretizzare quanto previsto nei principi statutaridell’Associazione, affinché il retaggio della vicendaconcentrazionaria resti operante nel tempo, qualemonito per le nuove generazioni. All’origine del-l’iniziativa, quindi, l’obiettivo di favorire la crescitadi una gioventù più consapevole e attenta alle con-seguenze delle vicende storiche del passato, al finedi costruire un futuro di libertà, di pace, senza piùguerre, muri e fili spinati.Il successo dell’esperienza didattico-formativa com-

piuta negli anni passati ci ha convinto, nonostanteil surplus organizzativo che comporta per la nostrastruttura, ad accogliere la proposta della direzionedel Liceo classico sperimentale “B.Russell”, già ospi-tato lo scorso anno, che ci ha affidato un gruppo di

SCUOLA eANRP:

una vitalesinergia

7 allievi del IV e V anno, da febbraio a maggio, perun totale di 30 ore. L’ANRP si è resa disponibile,mettendo a disposizione la propria esperienza, leproprie risorse umane, il patrimonio storico archi-vistico e bibliografico, nonché la propria struttura,compreso lo spazio espositivo, la sala conferenze, labiblioteca, le postazioni informatiche e materiale diconsumo. Il tutto con oneri a suo carico.Gli studenti sono stati seguiti nella fase iniziale daidue tutor interni della scuola, mentre due tutor de-signati dall’ANRP li hanno accompagnati nel “la-voro” vero e proprio, avvalendosi nelle varie fasidella collaborazione di altre figure di supporto. Partendo da un’attenta valutazione dei risultatidegli anni precedenti, abbiamo cercato di solleci-tare l’interesse e la motivazione dei giovani propo-nendo loro le attività in cui, dopo una prima faseformativa, si sarebbero dovuti cimentare in primapersona, come veri e propri “lavoratori”. Un per-corso era finalizzato a fare da guida al Museo “Vitedi IMI”, mentre un’alternativa era quella di analiz-zare la documentazione d’archivio per poi inseriredati anagrafici e biografici di IMI nel “LeBI”. Tuttii membri del gruppo hanno voluto sperimentarsiin entrambi i percorsi, dimostrando non solo inte-resse per l’attività svolta, ma anche un senso di sod-disfazione per i risultati raggiunti. Suddivisi in piccoli gruppi, per quanto riguardala guida peer to peer al Museo, in una prima fasedel lavoro hanno osservato con molta attenzione ireperti, i filmati di approfondimento, gli oggetti ei documenti esposti. Memorizzando i fatti storicie inquadrando gli avvenimenti cronologicamente,hanno potuto acquisire conoscenze sulla poconota vicenda degli Internati Militari Italiani, unastoria che li ha affascinati, tanto da cercare essistessi da soli sul web i contenuti da approfondire.Hanno scattato fotografie per fissare meglio le ca-ratteristiche peculiari di ciascun documento edhanno elaborato il percorso storico didattico. A co-ronamento di questa riuscita esperienza, la mat-tina del 7 maggio hanno fatto da guida ai lorodocenti e ai compagni di scuola, esponendo gli ar-

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gomenti con chiarezza e proprietà di linguaggio. Molto motivati sono stati anche nell’attività di “ar-chivio”. Inizialmente sono stati seguiti ciascuno dauna operatrice dell’ANRP che ha loro insegnato aestrapolare i dati anagrafici e biografici di IMI dadocumentazione digitalizzata (dati acquisiti dai fa-scicoli del Ministero dell’Economia e delle Finanze),per inserirli nel data base www.lessicobiografi-coimi.it. In un secondo momento, anche grazie allafiducia dimostrata loro dai tutor, i ragazzi hanno la-vorato autonomamente, attenti e precisi, tanto da ri-cevere sinceri apprezzamenti.Altro momento costruttivo: è stato analizzato, in-sieme alla prof.ssa Zucco, il sito del Museo,www.museovitediimi.it , ancora in allestimento, pervagliare l’efficacia di testi e foto. I ragazzi hannoespresso validi suggerimenti, notando anche qual-che piccola discrepanza di cui in un secondo mo-mento hanno verificato la correzione. Ancora una volta la presenza degli studenti pressol’ANRP ha avuto una duplice valenza, rivelandosicostruttiva non solo per loro, che hanno acquisito

conoscenze e competenze, ma anche per l’Associa-zione che ha testato la validità delle scelte operate,mirate proprio a sollecitare l’interesse dei giovani.Attraverso la riflessione sugli argomenti proposti,i giovani allievi sono stati indotti a porsi degli in-terrogativi sulle vicende di un drammatico passato,sulle nefaste conseguenze dei totalitarismi, sul va-lore della libertà di scelta, acquisita a costo di tantesofferenze e privazioni. D’altra parte per l’ANRP èstato utile capire che gli sforzi per proporre la Sto-ria attraverso i nuovi strumenti della comunica-zione sono stati positivamente valutati: bene i touchscreen di approfondimento, i filmati, la colloca-zione di oggetti e documenti; apprezzato per la li-nearità e chiarezza espositiva il supporto delleaudioguide; toccanti emotivamente i filmati colle-gati al racconto degli oggetti. Una storia poco conosciuta, quella degli IMI, chedesta sempre presso i giovani studenti (e anche

presso i loro insegnanti!) molta curiosità, in quantocapace di sollecitare riflessioni, su un passato nontroppo lontano che spesso riaffiora da quel velato“sentito dire” in ambiente familiare a cui non si eradato troppo peso. Visitare il Museo, sentir parlaredell’educazione fascista, della guerra, riporta unpo’ ai discorsi dei padri, dei nonni o dei bisnonni.E quanta curiosità desta quel touch screen in cui sipuò consultare l’Albo dei Caduti, per vedere se, in-serito il proprio cognome, c’è qualche antenato cheè presente nel database! Stupore e triste meravigliaquando il nome appare, con tutti i dati anagrafici ebiografici, compresa la data della morte. L’anno scolastico 2018-2019 si è concluso per l’ANRPcon un bilancio più che positivo per quanto riguardal’interesse da parte delle scuole di Roma e provinciaverso il Museo “Vite di IMI”, che si sta proponendosempre più come valido strumento didattico per co-noscere un periodo controverso e difficile della storiadel nostro Paese. L’affluenza delle scolaresche è statacospicua, ben distribuita nel corso dei mesi, non soloin concomitanza del Giorno della Memoria. Il passa

parola tra docenti di varie scuolecomincia a dare i suoi risultati,coinvolgendo studenti dei varigradi dell’istruzione: dai più pic-coli delle classi quinte dellascuola primaria, a quelli dellascuola secondaria di primo e se-condo grado. Per ciascun livello distudi, gli operatori dell’ANRPhanno valutato proposte didatti-che mirate ai prerequisiti cultu-rali, diversi di caso in caso.Una menzione particolare me-rita il gruppo di lavoro degli stu-denti del prof. Luciano Zani,della Sapienza Università diRoma. Non è la prima volta che

il docente propone ai suoi allievi un percorso sugliIMI. Quest’anno il programma del corso aveva comeoggetto l’analisi di documenti d’archivio, soprat-tutto le numerosissime lettere (alcune migliaia)che l’Associazione ha messo a disposizione in for-mato digitale. Altri gruppi hanno approfondito ladocumentazione museale, focalizzando l’attenzionesul percorso di ciascuna sala. Tra le tante attività, quella con gli studenti è forsetra le più gratificanti per chi la conduce, in quantostrumento di crescita reciproca. Conoscere i giovanid’oggi, come la pensano sulla realtà contemporanea,sulle problematiche sociali e culturali del nostrotempo, ci infonde fiducia che questi ragazzi, a voltetanto criticati, non sono poi tanto male. Sta a noi con-vogliarli con opportune sollecitazioni, in una sortadi sinergia positiva per costruire un futuro migliore.

(R. Z.)

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In occasione dell’adunata Sezionale dell’ANAdella provincia di Bergamo, per ricordare la vi-cenda degli IMI, l’ANRP, sezione di Treviglio, in

collaborazione con il Circolo Baradello Clusone, haallestito una Mostra sotto i portici di Piazza del-l’Orologio, visibile fino alla fine di ottobre.L’Adunata si è svolta in un giorno particolare: l’8settembre rappresenta infatti la data che ricordal’Armistizio firmato nel 1943 tra il Governo Bado-glio del Regno d’Italia e le Forze Alleate. I tedeschidiventano i nostri nemici e inizia l’occupazione delterritorio nazionale. Moltisoldati si rifiutarono dicontinuare a combatterecon l’esercito germanico,vennero imprigionati come“Internati militari italiani”e inviati in campi di con-centramento. Tra i “reducidell’8 settembre” in sfilatac’erano tre alpini: GiuseppeGandossi 1924 di Bergamo,Gottardo Personeni 1922 diClusone e Eugenio Rossi1924 di Villa di Serio. “Come Associazione-spiega Maurizio MonzioCompagnoni delegato del-l’ANRP della Valle Seriana-cerchiamo di individuare ibergamaschi internati incollaborazione con le amministrazioni comunali ele associazioni presenti in ogni realtà comunale.Successivamente contattiamo le famiglie che pos-sono richiedere la Medaglia d’Onore per il loro pa-rente. Gli IMI sono stati troppo spesso dimenticati”.Per la città di Clusone, ad oggi sono stati individuatiben 132 nativi che vennero imprigionati e deportatinei Lager tedeschi. Nella lista si legge il nome di Got-tardo Personeni, artigliere del 2° Reggimentogruppo Bergamo e di Luigi Ferrari, fante del Reggi-mento Chimico di Roma. Ferrari oggi vive a Milano,ma ritorna sempre sull’altipiano clusonese per le va-

canze. Anche nei giorni scorsi era nel paese natale,con la figlia Milena, che ha raccolto i ricordi delpadre in un libro: “Quando decise di mettere periscritto i suoi ricordi su quanto aveva vissuto tra il1943 e il 1945, a 19-21 anni di età, l’idea era sem-plicemente di lasciare ai familiari una testimonianzasu quei tempi lontani. In seguito si sono create di-verse occasioni, in particolare presso le scuole, doveha potuto passare alle nuove generazioni, dalla suaviva voce, un capitolo di vita vissuta”. Luigi inveceracconta in prima persona la sua terribile esperienza

passata in mano tedesca epoi russa, fino al ritornonell’ottobre 1945. “È statoun viaggio lungo, intermi-nabile. Quando una mattinaleggiamo ‘Brennero’ scop-pia in tutti noi una inconte-nibile gioia. Chi ride, chipiange! È una scena inde-scrivibile. Il 3 ottobre 1945arrivo al Distretto Militaredi Bergamo. Nel gruppodelle persone in attesa, sco-pro la figura di papà Biagio,che commosso mi corre in-contro e mi abbraccia. Ci av-viamo alla stazione deltreno per Clusone e final-mente è finita la brutta av-ventura. Giunti a casa

vengo travolto da fratelli, sorelle e dalla mamma che,piangente, esterna tutta la sua gioia per il mio ri-torno. Io e lei ci chiudiamo in bagno e mettiamo tuttii miei abiti in un sacco, onde evitare di infestare tuttala casa di pidocchi, mentre io faccio un bagno risto-ratore. Per alcuni giorni la casa è meta di parenti eamici che vogliono vedermi e la domenica si fa unagrande festa con un memorabile pranzo! Papà haaspettato il mio ritorno per far fare la Prima Comu-nione a Cesarino, l’ultimo rampollo della stirpe”.

Clusone: 8 settembre 2019Gottardo, Eugenio, Luigi e Giuseppe.Loro c’erano anche l’8 settembre 1943

Maurizio Compagnoni

Gottardo Giuseppe

Eugenio Luigi

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L’8 settembre 1943 l’Italia versava in una si-tuazione di grande confusione. Con la firmadell’armistizio, oltre seicento mila soldati

italiani vennero fatti prigionieri da parte dei tede-schi per il tradimento dell’Italia e aerei americanibombardarono le città dei Castelli Romani, in par-ticolare Frascati per essere la sede del comando ge-nerale tedesco.L'amministrazione comunale della città di Frascatiha organizzato, come di consuetudine, delle gior-nate celebrative in ricordo del bombardamentodella città avvenuto proprio l'8 settembre 1943. In

L’8 settembre1943

a FrascatiIl ricordo del tragico

bombardamento e dellacattura dei militari italiani

tale contesto, venerdì 6 settembre 2019, l'associa-zione culturale “Giovani per cambiare”, con la col-laborazione dell’Associazione Nazionale Reducidalla Prigionia (ANRP), di Sapienza Università diRoma e dell’associazione culturale di Aprilia “Unricordo per la pace”, ha promosso un convegnonella “Sala degli Specchi” della sede comunale diFrascati, che ha riscosso molto interesse e parteci-pazione da parte dell’amministrazione comunale edel numeroso pubblico intervenuto: un pomeriggioall’insegna dell’emozione dei partecipanti e dell’ap-profondimento storico.Lo scopo è stato sia quello di ricordare gli accadi-menti sul territorio durante l’8 settembre, che diapprofondire la figura degli IMI (Internati MilitariItaliani); infatti il convegno è stato suddiviso in duesessioni: nella prima si è presentato il libro “Mace-rie”, una raccolta di storie e racconti di chi ha vis-suto il bombardamento frascatano - alcuni di lorosono anche stati fatti prigionieri -, mentre durantela seconda parte, sulla scia di una ricerca universi-taria effettuata nel corso di Storia sociale e cultu-rale con il Prof. Luciano Zani, si è tenuto unapprofondimento sugli IMI e sugli aspetti sociali eculturali che li hanno interessati e a volte condizio-nati durante il periodo dell’Internamento.In particolare nella seconda sessione sono interve-nuti il Prof. Zani, ordinario di Storia contemporaneae Storia sociale e culturale dell’Università Sapienzadi Roma, la scrivente Giulia Spagnoli, sociologa e

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Presidente dell’associazione “Giovani per cam-biare”, ed altri ragazzi, componenti di quest’ultima,tra cui l’antropologa Francesca Gentili e i sociologiDavide La Spina e Jakub Pichalski. E il sindaco diFrascati, Roberto Mastrosanti, che ha fortementesostenuto e apprezzato l'iniziativa.La sessione è stata aperta dal Prof. Zani che ha par-lato sia a nome di Sapienza che come vicepresi-dente dell'ANRP, invitando tutti, a cominciare dallescuole, a visitare il Museo “Vite di IMI” a via Labi-cana. Ha poi sottolineato l'importanza delle asso-ciazioni locali, soprattutto di giovani, i vericonservatori, sollecitatori e moltiplicatori della no-stra memoria storica. Infine ha ripercorso le tappeprincipali della storia dell'Internamento, dall'8 set-tembre alla cattura, al viaggio verso il Reich, allamancanza di cibo, vestiario e medicine nei lager,alla “civilizzazione”, al lavoro coatto, mettendo inluce la complessità delle condizioni degli IMI, maanche la rilevanza storica dei NO - alla Wehrmacht,alla RSI, alla civilizzazione, al lavoro - che li hannoaccomunati pur con motivazioni diverse.

Successivamenteci si è dedicati al-l’aspetto più so-ciologico deltema attraversoun percorso cheva dalla costru-zione dell’iden-tità in contestitotalizzanti aimeccanismi disalvaguardia del-l’identità perso-nale, fino adarrivare all’atti-vazione di prati-che culturali

come resistenza all’annullamento individuale.Jakub Pichalski da una prospettiva psico-sociolo-gica si è interessato appunto della questione del-l’identità, considerando gli Oflag e gli Stalag esempidi “istituzione totale”, caratterizzati da un regimerigidamente regolato e chiuso verso l'esterno, de-scrivendo inoltre le condizioni de-umanizzanti delsistema dei lager.Francesca Gentili si è occupata del valore dell’artee della cultura come autodifesa dalle condizioni diavvilimento fisico e morale imposto dalle oppri-menti condizioni del lager. Le attività culturali crea-vano spazi-tempi di libertà e di espressioneindividuale funzionali all’instaurarsi di forme di ag-

gregazione e di riconoscimento reciproco tra gli in-ternati. Per molti di costoro esse rappresentaronouna palestra di democrazia, contribuendo a mutarela ribellione sentimentale al fascismo in meditatofatto politico e giudizio critico.Davide La Spina si è occupato della dilagante disin-formazione che colpì i militari, trovatisi prigionierinon solo dei tedeschi, loro nuovi nemici, ma anchedi questa condizione di isolamento da tutto, a co-minciare dalle proprie famiglie. Tale condizione

proseguì lungo tutto l’internamento, ma gli italianiseppero “arrangiarsi meravigliosamente bene”,escogitando adattamenti “secondari”, come radioCaterina e giornali (come quello murale a Kustrin),che permettessero di resistere ai propri vessatori.Infine l’evento si è concluso con l'intervento dellascrivente, che ha cercato di costruire un ponte trale ricerche svolte e il vissuto degli internati attra-verso anche la proiezione della video-intervista aLivio Pedron, Internato Militare Italiano catturatoa Trento la notte tra l’8 e il 9 settembre 1943, effet-tuata dagli studenti in occasione dei lavori svoltinel corso di Storia sociale e culturale del Prof. Zani.Ha poi ripercorso i momenti della cattura e dell'in-ternamento di Ernesto Bonacini, anche lui IMI, cat-turato in Grecia e portato a Zeithain, attraverso ildiario che ha lasciato come testimonianza.Il convegno ha riscosso il successo che merita untema così importante per noi italiani e allo stessotempo così sconosciuto. Questi sono i momenti diriunione che aiutano tutti noi, ormai così lontanidagli eventi narrati, a non dimenticare. La memo-ria ci permette di non lasciar sfumare il NO fer-mamente sostenuto dai nostri militari tra il 1943e il 1945.

Giulia Spagnoli

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Il 2 giugno scorso, in occasione della “Festa dellaRepubblica”, l’Amministrazione Comunale diFrattamaggiore (NA) ha proceduto alla cerimo-

nia ufficiale di inaugurazione di una strada comu-nale di recente costruzione, intitolata alla memoriadi Giovanni Pezzella, per onorare il suo sacrificiodi internato nei lager nazisti nel corso della Se-conda guerra mondiale.La manifestazione si è svolta alla presenza di Au-

torità politiche (Sindaco e Amministrazione Comu-nale), civili (Associazioni cultuali e del volontariatolocali), militari (Arma dei Carabinieri e Guardia diFinanza), religiose (Don Vittorio Egione, ParrocoSanta Maria del Carmine) e dell’orchestra musicaledi giovani studenti del locale Istituto “Capasso-Maz-zini” che ha suonato l’inno d’Italia al termine del“taglio ufficiale” e benedizione della strada a curadel citato Parroco.

Successivamente è intervenuto ilSindaco Marco Antonio Del Prete ilquale ha ripercorso le varie fasirelative all’intitolazione dellastrada, sottolineando che l’inizia-tiva rappresenta un giusto rico-noscimento ad un concittadinoche ha sofferto le terribili espe-rienze dell’internamento neilager nazisti.

Al termine della stessa lo scri-vente ha preso la parola per ringraziare i par-

tecipanti e dare lettura dell’allegato intervento chesi è concluso con la motivazione della Medagliad’Oro al Valor militare, concessa all’Internato Ignotoil 19 novembre 1997.La cerimonia ha fatto registrare la partecipazionedi centinaia di concittadini.

Intervento del figlioRingrazio il Sindaco, dr. Marco Antonio Del Prete, laGiunta Municipale e l’intero Consiglio Comunale checon questa cerimonia e con l’intitolazione a nome dimio Padre di un tratto stradale cittadino hanno volutocommemorare il sacrificio e le sofferenze da lui patitedurante l’internamento nei lager nazisti. Li ringrazio

Via GiovanniPezzella,Medagliad’Onore

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in particolare perché questa manifestazione assumemaggiore lustro perché coincisa con il 73° anniversa-rio di fondazione della Repubblica Italiana. Saluto iparenti, le autorità civili e militari presenti, gli amicie tutti quelli che hanno partecipato a questo evento. Volevo fare un breve cenno alla Medaglia d’Onore,onorificenza che viene concessa dal Presidente dellaRepubblica ai militari e civili italiani internati neilager nazisti.Sappiate che all’indomani dell’8 settembre 1943 circa800mila militari italiani dislocati su vari fronti bellicifurono fatti prigionieri dalle Forze Armate Tedesche edoltre 650mila furono deportati e internati nei campidi concentramento ubicati in Polonia e Germania aiquali fu tolto lo status di prigionieri di guerra ed av-viati al lavoro coatto. Circa 50mila non fecero ritornoin Patria perché morti per bombardamenti, fame,stenti e sottoposti a interminabili maltrattamenti.È doveroso inoltre ricordare gli altri cittadini frattesideportati e internati, anche loro insigniti della Me-daglia d’Onore come mio Padre, riconoscimento cheindubbiamente ha dato lustro alla nostra cara città:Frattamaggiore. In particolare Carlo Palladino, ap-puntato della Guardia di Finanza, il giovane Dome-nico Vitale, 17enne allievo della Scuola della Marinaa Pola nella ex Jugoslavia, Crescenzo Capasso,Aviere, il Fante Antonio Bencivenga ed il Caporale diFanteria Raffaele Capasso.

Secondo me è necessario oggi recuperare la memo-ria di tutti questi sacrifici per far risorgere il nostroPaese. La memoria è essenziale perché se i fatti nonsi conoscono è come se non fossero mai avvenuti equindi non possono produrre frutti.Non voglio stare qui a raccontare le terribili espe-

rienze di prigionia patite da mio Padre ma ricor-dare che ogni suo racconto terminava sempre conla stessa frase “MAI PIU’ GUERRE”.Voglio invece concludere questo breve interventodando lettura della motivazione della Medagliad’Oro al Valor Militare concessa all’Internato Ignotoil 19 novembre 1997:

“MILITARE FATTO PRIGIONIERO O CIVILEPERSEGUITATO PER RAGIONI POLITICHE ORAZZIALI, INTERNATO IN CAMPI DI CONCEN-TRAMENTO IN CONDIZIONI DI VITA INU-MANE, SOTTOPOSTO A TORTURE DI OGNISORTA, A LUSINGHE PER CONVINCERLO ACOLLABORARE CON IL NEMICO, NON CE-DETTE MAI, NON EBBE INCERTEZZE, NONSCESE A COMPROMESSO ALCUNO PER RIMA-NERE FEDELE ALL’ONORE DI MILITARE E DIUOMO, SCELSE EROICAMENTE LA TERRIBI-LER LENTA AGONIA DI FAME, DI STENTI, DIINENARRABILI SOFFERENZE FISICHE E SO-PRATTUTTO MORALI. MAI VINTO E SEMPRECORAGGIOSAMENTE DETERMINATO, NONVENNE MENO AI SUOI DOVERI NELLA CON-SAPEVOLEZZA CHE SOLO COSI’ LA SUA PA-TRIA UN GIORNO AVREBBE RIACQUISTATOLA PROPRIA DIGNITA’ DI NAZIONE LIBERA.A MEMORIA DI TUTTI GLI INTERNATI IL CUINOME SI E’ DISSOLTO, MA IL CUI VALOREANCORA OGGI E’ ESEMPIO DI REDENZIONEPER L’ITALIA”.

Un grazie a mio Padre e un grazie di cuore a voitutti.

Gennaro Pezzella

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Medaglia d’Onore inarrivo per EmoMaria Bargellini, in-

ternato militare dal 1943 al1945 nel campo di Ketschen-dorf (Spree) a est di Berlino.La consegna dell’onorificenzaprevista nei prossimi mesipresso la Prefettura di Mi-lano.Nato il 29 Luglio 1922 a Roc-cantica (RI), Bargellini risiedeattualmente a San Donato Mi-lanese, ma ha trascorso circa30 anni a Crema ove è dive-nuto anche socio del gruppoANMI “Com.te Luigi Terni DeGregory”. Decorato di Croce almerito di Guerra, è sempre inprima linea nelle manifesta-zioni patriottiche, l’onorifi-cenza sul petto a fianco dellemedaglie del padre combat-tente nella Grande Guerra. Or-goglioso di essere statonominato “lettore ufficiale”del “Bollettino della Vittoria” edella “preghiera del Marinaio” nelle celebrazioni del 4novembre, Giornata dell'Unità Nazionale e delle ForzeArmate e di Santa Barbara, patrona dei marinai.Da anni porta la sua testimonianza nelle scuole, af-fascinando i ragazzi con il racconto della sua vita av-venturosa di marinaio e di come riuscì a sfuggire allamorte in diverse situazioni. A scuola arriva con le in-segne militari, i ragazzi ascoltano con attenzione, glirivolgono infinite domande. La sua storia pare la sce-neggiatura di un film che, passo dopo passo, Emo hascritto con coraggio e determinazione, supportato dauno spirito indomito, ribelle alle convenzioni.È solo un bambino quando rimane affascinato allalettura di “Gordon”, giornalino ispirato al fumetto difantascienza americano. Da allora inizia a sognareuna vita avventurosa, viaggi in terre lontane, donneesotiche, il tutto a dar preoccupazione alla mamma

che in ogni modo cerca di fre-nare le ambizioni spericolatedel figlio.Emo è destinato per tradi-zione famigliare alla vita sa-cerdotale, ma proprio non nevuole sapere. Si ribella al vo-lere genitoriale e rifiuta il se-minario. Per compiacere ilpadre frequenta un IstitutoCommerciale con scarso pro-fitto. Si iscrive segretamentea corsi serali di meccanica emotori, la sua passione. Il piùgrande desiderio è diventaremarinaio. A 18 anni comu-nica la decisione di arruo-larsi, la mamma in lacrime:siamo nel 1940, l’Italia è giàin guerra.Nella primavera del 1941 lapartenza per Venezia, uncorso per personale di mac-china. Ad aprile Bargellinipuò indossare finalmente ladivisa della Marina Militare.Nonostante la naturale insof-

ferenza alle regole per cui subisce alcune punizioni(tra cui la cella di rigore), è ottimo il suo piazzamentoa fine corso, tra i primi 10 allievi della Scuola. Ha per-tanto diritto di scegliere l’imbarco. Rifiuta la propostasuggerita amorevolmente dalla famiglia sulla moder-nissima Corazzata “Roma” . “Per fortuna - spiega Emo- perché il 9 settembre 1943 a causa di un bombar-damento aereo tedesco la nave calò a picco con trequarti dell’equipaggio”.Si imbarca invece sul cacciatorpediniere “Bombar-diere” operante nel Mediterraneo, la squadriglia ad-detta a scorta convogli, caccia sommergibili, posamine e altre funzioni. La vita a bordo si presenta benpresto dura e piena di pericoli. Nell’estate 1942 lanave subisce un bombardamento aereo degli Alleati:Emo colto nel locale caldaie di poppa riesce tuttaviaa sopravvivere. Grazie al comportamento risoluto ed

Emo Bargellini:spirito indomito e la Marina

nel cuore

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al coraggio, nel panico generale, salva la vita a 2 com-pagni fuochisti.E ancora rischia la vita il 17 Gennaio 1943. Il “Bom-bardiere”, in missione di scorta a 50 miglia da Ma-rettimo (isola delle Egadi), viene colpito da unacoppia di siluri lanciati dal sommergibile britannico“United”. L’esplosione distrugge la plancia e fa scop-piare le caldaie, tranciando in due la nave: il caccia-torpediniere “cola a picco”. Il bilancio è drammatico:su un equipaggio di 223 uomini superstiti solamente

3 ufficiali e 45 tra sottufficiali e marinai1. Il Coman-dante Giuseppe Moschini si inabissa con la nave dopoaver salvato la vita al timoniere rimasto imprigionatonelle lamiere contorte della plancia divelta, motiva-zione del conferimento della Medaglia d’Oro al ValorMilitare2. Anche in questa occasione Bargellini so-pravvive, seppure con diverse ferite e ustioni. Lascena che racconta è terrificante: “Una coppia di si-luri ci colpì nella parte centrale a poppa. Non sono ingrado di descrivere quello che è accaduto, in quel mo-mento ero nel locale macchine, un’onda di calore miscaraventava verso l’alto. Quando ho ripreso cono-scenza ero immerso in un mare di nafta con brucioriin tutto il corpo, intorno rottami e corpi di marinaimorti che il salvagente teneva a galla”3. Dopo l’armistizio dell’8 settembre, imbarcato sul cac-ciatorpediniere “Insidioso” viene catturato dai tede-schi a Pola con tutti i componenti l’equipaggio. “Nonprima di aver reso la nave inutilizzabile ” precisa conorgoglio Emo. Viene deportato in Germania, un viag-gio di quattro giorni e quattro notti su treni adibitiusualmente a trasporto merci, al buio e quasi total-mente a digiuno.L’arrivo prima presso lo Stalag III A per poi esserecondotto a Ketschendorf nelle cui fabbriche lavoreràper la produzione di pneumatici e fili elettrici. MaEmo Bargellini è un ribelle, rifiuta di obbedire agli

ordini dei tedeschi, effettua ardite operazioni di sa-botaggio a rischio della vita.La fame è tanta: con i compagni debilitati dalle pri-vazioni alimentari elabora un piano per riuscire adapprovvigionarsi di un po’ di patate. I tedeschi sco-prono il misfatto; Emo (soprannominato “Tito”) vienetrascinato dal Comandante del campo. Confessa ilfurto con aria di sfida. L’ufficiale sobbalza, gli fa ri-petere “Rubato patate” che non lascia il minimo dub-bio. Condotto con i compagni al muro per

l’esecuzione, ma l’intento è solo quello di spaventarei prigionieri: occorre manovalanza a costo 0 ed Emoè un meccanico specializzato. La sua vita Emo Bargellini l’ha scritta qualche annofa in un libro, a futura memoria. Tra le pagine emergela dolcissima storia d’amore con la prigioniera po-lacca Sofia, conosciuta negli ultimi mesi di guerraproprio a Ketschendorf, ove anche la ragazza erastata deportata per lavorare. I due innamorati si spo-seranno nell’immediato dopoguerra a Varsavia,prima del ritorno in Italia. Un “colpo di fulmine” di-venuto amore per sempre, fino alla scomparsa diSofia nel 2000. Nell’intervista per “Liberi” mi spiega a riguardo:“Quando vado nelle scuole racconto sempre del no-stro primo bacio, lo faccio per ‘alleggerire’ i raccontipiù crudi. Ai ragazzi piace molto questa parentesirosa”. Gli chiedo un messaggio. E penso tra me e me:chissà se arriveremo alla sua età, chissà come lui, in-tendo, che ancora guida l'automobile e pratica yogadi secondo livello. La risposta è pronta, l'’intonazionenon è quella di un 97enne: “Il destino va combattuto.Mai abbandonarsi a se stessi, seguire l’istinto senzafarsi condizionare dagli eventi esterni”.Sì, questo forse è anche il segreto della felicità.

Elisa Bonacini

NOTE1 http://conlapelleappesaaunchiodo.blogspot.com/2015/01/bombardiere.html.2 http://www.combattentiliberazione.it/movm-dal-1935-al-7-sett-1943/moschini-giuseppe.3 pag24 “Storia di Emo Bargellini” di Emo Bargellini - 2017. foto Emo Bargellini di Giacomo Bianchessi A.N.M.I. Crema Gruppo “Com.te Luigi Terni de Gregorj”.

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Dopo la pausa estiva, hanno riaperto le portedel Museo “Vite di IMI”di Via Labicana aRoma. Con la sua ricca collezione di reperti,

oggetti e documenti originali, desta sempre grandeinteresse presso il pubblico, che affluisce semprepiù numeroso. Grazie al riscontro positivo di chi loha già visitato e ad un lavoro di ampia diffusioneattraverso il web e i media operato dall’ANRP, sem-pre più frequenti sono le visite di scolaresche coni loro docenti, nonché di studiosi, interessati a que-sta pagina di storia. Molti sono i familiari di ex IMI che, scoprendo l’esi-stenza di questo luogo dove sono annoverati conmolta cura i ricordi della drammatica esperienzavissuta dai loro cari, si accostano all’Associazionecon rispetto quasi filiale per depositare documenti

di vario genere da esporrenel Museo: lettere,

passaporti,tesserini dil a v o r o ,tutte testi-monianzeche rac-c o n t a n oquei fram-

menti di vita a cuiil Museo è dedi-

cato.Tra le ultime donazioni, abbiamo acquisito daMagda Vigilante la documentazione del padre Gio-vanni, che fu un IMI, relativa alla campagna diRussia. Un’esperienza raccontata in 85 fotografieda lui scattate in diverse tappe del percorso di an-data, ma di cui manca il tragico rientro, laddove ilgelo inceppava gli ingranaggi della macchinetta fo-tografica.Con grande commozione i fratelli Massimo, Clau-dio e Alessandro Simonini hanno voluto ricordarela figura del padre Sauro, sottotenente catturato inun rastrellamento a Gallicano nella Lucchesia nelsettembre 1943, lavoratore coatto presso l’indu-stria della BMW. Hanno donato al Museo il passa-porto e il tesserino di lavoro del padre,

accompagnandolo con un affettuoso pensieroscritto.Personalmente dal 95enne Maurizio Fumarola, exinternato nello Stalag XVIII C, abbiamo ricevuto al-cuni documenti e lettere postali dei lager. Nel vo-lume “Quelli di Brioni…i figli degli anni terribili”,già recen-sito e anno-verato nellaBibliotecadell’ANRP,p o s s i a m oleggere lasua storia,r i evo c a t ainsieme aquella dialtri 753giovani delIX Corsoper ufficiali di complemento della Regia Accade-mia Navale, trasferiti nel 1943 a Brioni (Pola) a se-guito del bombardamento di Livorno, in gran partecatturati dai tedeschi dopo l’8 settembre 1943.

Donazioni per il Museo“Vite di IMI”

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a cura di Fabio Russo

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COSENZA • Festa della Repubblica con la consegna della Me-daglia d'Onore da parte del prefetto di Cosenza, Paola Galeone, a In-nocenzo Mazziotti (1921-2014), ex Imi di S. Demetrio Corone (CS). Ilriconoscimento è stato consegnato al figlio Adriano, curatore della pra-tica per la concessione e nostro associato, nel corso di una significativacerimonia istituzionale in piazza Bilotti, presente anche il sindaco diS. Demetrio Corone, Salvatore Lamirata. In armi in Grecia dal 1942 alsettembre 1943, dopo l'armistizio al giovane sottotenente Mazziottitoccò la stessa sorte degli oltre 650 mila militari italiani abbandonatia se stessi nei vari fronti: la detenzione nei campi di prigionia nazisti,quale conseguenza del dignitoso e coraggioso rifiuto di combattere afianco dei tedeschi. Il carteggio di guerra di Innocenzo Mazziotti, lo

scorso gennaio, è diventato "Cronaca della mia vita in grigioverde", il libro pubblicatodal figlio Adriano per tenere viva la memoria del padre e preservare il ricordo dei tantisacrifici affrontati dagli IMI nel Secondo conflitto mondiale. Lo scorso agosto, il Comunedi S. Demetrio Corone ha collocato una lapide commemorativa sulla facciata esternadella casa natale dell'ex Imi.

MILANO • Dei diciannove riconoscimenti conse-gnati dal Prefetto di Milano Renato Saccone, due me-daglie sono state consegnate al Sig. Venuto De Servie al Sig. Giuseppe Regola, sopravvissuti e testimonidell’internamento e diciassette sono stati assegnatialla memoria e sono stati ritirati dai familiari dei de-ceduti.La cerimonia si è tenuta giovedì 10 ottobre alle ore10.00, presso l'Auditorium "Joseph e Jeanne Nissim"del Memoriale della Shoah di Milano. All'incontro èintervenuta la deportata a Auschwitz-Birkenau, Sen.a vita Liliana Segre, moglie di un ex-IMI, oltre alle au-torità cittadine e ai sindaci dei Comuni di residenza

degli insigniti o dei loro congiunti. Nel corso della mattinata studenti dell'Istituto Comprensivo Papa Giovanni Paolo II diMagenta e del Liceo Scienze Umane Tenca di Milano hanno presentato i progetti realiz-zati sul tema della memoria.

BERGAMO • Presso l’Aula Magna dell’Università di Bergamo, lasignora Vanda Gibellini ha ricevuto la medaglia d’Onore a ricordo delpapà Mauro. Il Caporal Maggiore si trovava a Cefalonia quanto vennecatturato il 23 settembre 1943 e fatto prigioniero dai tedeschi. Durantela cerimonia sono state consegnate altre 269 medaglie a cittadini dellaprovincia di Bergamo internati nei lager nazisti tra il 1943 e il 1945.

MEDAGLIA D’ONOREIn tutta Italia le cerimonie per la consegna delle Medaglie d’Onore edella Liberazione a quanti hanno contribuito ad una Italia libera edemocratica. Di seguito la cronaca di alcune manifestazioni che hannovisto protagonisti i nostri associati.

a cura di Gisella Bonifazi

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ROMA • Piera Papi, unitamente ai figli Livio e Italo, mostra conorgoglio e gratitudine la Medaglia d'Onore insignita alla Memoria delmarito, Col. Umberto Rossi, nato a La Spezia il 28 agosto 1905.Umberto Rossi, allora Capitano del Comando R. G. di Finanza dell'Al-bania, venne catturato a Tirana l'8.9.1943, per essere internato inGermania - Polonia. Liberato il 16 aprile 1945, varca il confine delBrennero e si presenta al Comando Generale il primo settembre 1945.Già decorato con due Croci di Guerra, per Merito e Internamento edei distintivi bellici 1940-1943.

RECENSIONIa cura di Federica Scargiali

Il libro, curato da Marco De Nicolò ed EnzoFimiani, si interroga su una questione cru-ciale per l’Italia contemporanea, ancora oggimolto discussa, cioè quanti elementi di conti-nuità della dittatura fascista e della sua ideo-logia possiamo ritrovare nello Stato e nelleIstituzioni moderne. Molti studiosi nel corsodegli anni si sono interrogati su questo mo-mento di transizione, ripreso ora in questo vo-lume ed arricchito di nuove teorie, nuoveindagini, con l’ausilio di alcuni apparati delloStato come Prefetture, Pubblica Sicurezza e Ma-gistratura. La novità di questo testo è quella diperlustrare alcuni ambienti tenuti in ombra, nonsondati nelle ricerche precedenti come archivi, giornali,istituti bancari ed istituzioni sportive. L’obiettivo, piena-mente centrato dagli autori, è quello di scavare a fondo

in questi documenti, come dimostra la detta-gliata analisi dei due volumi del Repertorio delpersonale degli Archivi di Stato. In essa ven-gono messi a confronto i dipendenti dell’ammi-nistrazione archivistica in servizio dall’Unitàd’Italia fino al 1918 e quelli assunti successi-vamente tramite concorsi indetti dal regimefascista, tra il 1919 e il 1945 e rimasti ancorain servizio fino al 1986-1988, indicandone lepeculiarità e sottolineandone le differenze.L’innovazione di questo libro è quella delnon fermarsi alle semplici domande, come

quanto del personale fascista fosse ancora pre-sente in posizioni chiave nello Stato dopo il 1945, ma diandare oltre e chiedersi quanto del Regime Fascista equanto del suo pensiero sia penetrato ed abbia plasmatolo Stato repubblicano come lo conosciamo noi oggi.

«Ma che cosa speravano dunque tutti? Che ilgiorno dopo la Liberazione le cose fossero giàsistemate a dovere e prendessero il loro corsonormale?» - partigiana Andreina Zaninetti - Li-bano, 8 maggio 1945.In questo libro gli autori, Avagliano e Pal-mieri, ripercorrono il triennio che va dallafine del secondo conflitto Mondiale fino allanascita della Costituzione della RepubblicaItaliana (1945-1947) e lo fanno con l’ausiliodi testimonianze dell’epoca come: diari privati, lettere,rapporti della polizia ma anche film e canzoni. Qui ve-diamo raccontata l’altra faccia della medaglia, il dopo

conflitto, ciò che resta di un paese, di un po-polo ormai scosso, ferito ma pronto a rial-

zarsi per ricominciare un nuovo capitolo dellasua storia, lontano dal fascismo e dalla guerra.

Sono i giorni dei grandi ritorni a casa dei depor-tati, del ricongiungersi con le famiglie, del germo-

gliare della tanto agognata democrazia esoprattutto del riscoprirsi un popolo, unito e libero.

Sono anche gli anni della gioia, dello svago, dellaVespa e della Ferrari, della voglia di ballare, ma so-

prattutto della necessità di evadere da quel passato,ancora troppo vicino ed ingombrante che ci ha trasfor-

mati e fortificati, quel passato che ci ha fatto Italiani.

Mario Avagliano · Marco Palmieri

DOPOGUERRA - Gli italiani fra speranza e disillusioni (1945-1947)

Marco De Nicolò · Enzo Fimiani

DAL FASCISMO ALLA REPUBBLICA: QUANTA CONTINUITÀ?

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CONFEDERAZIONE ITALIANA FRA LE ASSOCIAZIONI COMBATTENTISTICHE E PARTIGIANE

IV NOVEMBRE GIORNATA DELLE FORZE ARMATE

I Combattenti, i Decorati al Valor Militare, i Familiari dei Caduti e Dispersi in Guerra, i Mutilati ed Invalidi e le VittimeCivili di Guerra, i Protagonisti della Guerra di Liberazione e della Resistenza, i Reduci dalla Deportazione

dall’Internamento e dalla Prigionia;

La Confederazione Italiana fra le Associazioni Combattentistiche e Partigiane

Roma, 4 novembre 2019

RICORDANO

l’eroismo dei nostri sol-dati, per tanta parte operaie contadini, che combatte-rono e caddero fino al rag-giungimento della Vittoria;

RIVIVONO

nel 71° anniversario dellaCarta Costituzionale l’or-goglio del popolo italiano edei militari italiani che, conla lotta al nazifascismo,hanno restituito libertà e

dignità al Paese;

RIBADISCONO

l’importanza di trasmet-tere alle giovani genera-zioni la Memoria storicaquale monito e testimo-nianza perché non si ripe-

tano più gli orrori delpassato;

MANIFESTANO

riconoscenza alle ForzeArmate, presidio delle Isti-tuzioni repubblicane e atutti i nostri militari impe-gnati nell’adempimento

del proprio dovere in Italiae all’estero.

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