Racconto di Guerra e Prigionia di mio nonno Greco Cosimo

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Racconto di guerra e prigionia di mio nonno Greco Cosimo

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scritto da Alessandro Balestra

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Racconto di guerra e prigionia

di mio nonno Greco Cosimo

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Mio nonno Cosimo è morto il 17 Giugno del 1983, quando io avevo soltanto un mese…

Ha fatto in tempo a prendermi in braccio e coccolarmi per pochissimo tempo, ma quegli abbracci io me li

sento ancora adesso ogni volta che ne ho bisogno e ora, da lassù, credo che mi sia sempre vicino.

Mio nonno non ha mai parlato molto volentieri del periodo di prigionia, se non per qualche aneddoto

curioso che momentaneamente gli aveva fatto perdere contatto con una realtà molto dura, che era quella

della guerra, e che lui, un giovane ventenne cresciuto in un piccolo paesino in provincia di Brindisi, Cellino

San Marco, fu costretto a vivere per quasi dieci anni.

In questi miei ventotto anni di vita lui è stato il mio eroe, e lo sarà sempre. Ma non perché io, ma nemmeno

lui, vediamo di buon’occhio ciò che è la guerra, ma perché attraverso la sua esperienza,che costituisce per

ogni persona che la vive e l’ha vissuta, un qualcosa di fortissimo che ti segna per sempre e ti fa passare da

uno stato di innocenza quasi infantile a uno di orrori, crudeltà, stermini agghiaccianti e inauditi, fuori della

morale condivisa, ho imparato da lui e dalla sua storia alcune virtù come la fratellanza, il cameratismo, la

solidarietà, la pietà, l'altruismo, la soccorrevolezza, il coraggio, che sono qualità che ogni uomo dovrebbe

avere intrinsecamente, ma che strano gioco del destino vengono fuori soprattutto durante i momenti di più

grande difficoltà.

Ho imparato anche che per un imperscrutabile mistero della natura umana persino persone colte e capaci

di affetto autentico nei confronti dei propri familiari e della cerchia degli amici, riescono a macchiarsi di

crimini infami nei confronti dell'umanità, si lasciano sedurre dal fascino della violenza. È il caso, per

esempio, di molti gerarchi nazisti, affabili nella quotidianità, che leggevano buoni libri e ascoltavano buona

musica, capaci poi di pianificare freddamente lo sterminio di esseri umani innocenti.

Ho voluto ricostruire quei dieci anni di mio nonno per poter dare voce ad una storia poco nota, che è quella

del campo di Zonderwater, dove dal 1941 al 1947 sono transitati centomila prigionieri italiani, perché

volevo sapere e per poter dire a tutti i miei coetanei che fortunatamente non l’hanno vissuta che la guerra

non è un gioco e solamente raccontando di chi l’ha vissuta si può capire, certamente non predicando un

melenso e assai poco diffuso amore universale che si scacciano i fantasmi dei conflitti. "Fate l'amore e non

la guerra", "Mettete dei fiori nei vostri cannoni" sono slogan ormai frusti, banali, che fanno sorridere,

quindi largo ai racconti veri…

Balestra Alessandro

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Biografia

Nato il 25 Novembre del 1916 da Greco Enrico Leopoldo e Rametta Cerina e terzo di tre figli, rimase presto

orfano di padre. Nei primi del 1920 infatti il mio bisnonno Leopoldo morì per polmonite da influenza

quando mio nonno aveva solo 3 anni.

La mia bisnonna Cerina si trovò quindi ad accudire tre figli ma anche gli altri cinque di sua sorella

Addolorata, scomparsa prematuramente anche lei. Decise quindi di unire le sue esigue forze con quelle di

suo cognato Emanuele, e si sposarono nel 1921. Ben presto però anche quello che mio nonno chiamava

“Tata Manueli”(papà Emanuele) venne a mancare, per cui la mia bisnonna si ritrovò a crescere otto figli da

sola, quattro maschi e quattro femmine.

Ovviamente i maschi erano quelli che dovevano aiutare la madre e iniziarono a lavorare sin da piccoli, non

potendo quindi andare a scuola.

Mio nonno iniziò a fare il carrettiere, e tale occupazione fece fino a quando fu chiamato come soldato di

leva presso il distretto di Taranto. Lì rimase fino al 4 maggio del 1936 quando fu lasciato in congedo

illimitato.

Il 23 settembre del 1937 fu chiamato alle armi nel 20simo reggimento Artiglieria, e il 2 Ottobre del 1937 si

imbarcò da Napoli sul piroscafo Liguria per andare a Tripoli.

PIROSCAFO LIGURIA

Durante questo periodo, si occupò insieme agli altri italiani di costruire strade, moschee e ospedali. Tutto

questo tra lo sdegno della popolazione locale che li scherniva e li sputava mentre lavoravano. Non erano

visti di buon occhio perché “colonizzatori”.

Rimase in Libia a Tripoli fino al 9 Novembre del 1938,tornò a casa ma fu nuovamente richiamato alle armi

per istruzione nel 6 maggio del 1940, e si ritrovò di nuovo nel 20 rgt Artiglieria, X corpo d’

armata,specializzato per le trasmissioni telefoniche. L’11 giugno del 1940 si ritrovò in territorio dichiarato in

stato di guerra.

Il 13 settembre 1940 le forze italiane di stanza in Libia, comandate da Rodolfo Graziani, lanciarono un'

offensiva entrando in territorio egiziano dopo un violento bombardamento dell'artiglieria. Gli inglesi si

ritirarono senza combattere e si asserragliarono nel campo trincerato di Marsa Matruh. . Il 13 settembre i

reparti della 10a Armata attraversano il confine fino ad occupare Sollum e il passo di Halfaya; il 15, benché

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ostacolata da una forte reazione nemica, alcuni reparti superano la località di Bug Bug dirigendo su Sidi el

Barrani che viene raggiunta il giorno successivo. Durante questa operazione gli inglesi persero 50 uomini e

gli italiani 120; gli inglesi ebbero però perdite anche tra i mezzi (11 autoblindo e 10 carri armati leggeri

distrutti, 11 carri leggeri avariati, 4 autocarri distrutti, 12 danneggiati). Graziani ordinò di sospendere

l'offensiva per costruire un acquedotto e altre strutture logistiche. Sebbene le forze inglesi potessero

contare solo su 30.000 soldati, queste erano meglio equipaggiate, specie in carri armati e artiglierie e il 9

dicembre 1940 lanciarono una controffensiva (operazione Compass). Parte così la prima controffensiva

inglese, tutta la 10a Armata, le cui forze sono frazionate lungo la costa e nei caposaldi all'interno, ripiega

inizialmente su passo Halfaya e successivamente fino a Sidi el Barrani che cade in mano nemica il 10

dicembre. Stessa sorte accade al presidio di Sidi Omar che cade il 16 dicembre, giorno in cui inizia la

battaglia per la difesa di Bardia. La piazzaforte è attaccata da forze preponderanti e bombardata dal mare e

dall'aria, ed offre una strenua resistenza.

La battaglia sul fronte di Bardia si riaccende con crescente violenza nei primi giorni di gennaio e il 5 la

piazzaforte capitola e viene occupata dal nemico. La lotta si sposta allora verso occidente ed il presidio di

Tobruk, dopo una sanguinosa resistenza durata oltre 20 giorni, viene sopraffatto il 24 gennaio. Le unità

dell'Armata, recuperate dopo un rapido riordinamento, sono quindi attestate in corrispondenza della linea

Derna-Berta-Mechili sulla quale la pressione nemica non tarda a manifestarsi. Il 26 gennaio alcune

penetrazioni avversarie determinano l'arretramento dell'ala destra dello schieramento sulle posizioni di Bir

Semander e Got el Gil nonché l'evacuazione di Derna, avvenuta il 29 gennaio. Dal 1° al 6 febbraio l'offensiva

britannica insiste verso la linea difensiva di Bengasi, tempestivamente attivata dalle truppe della 10a

Armata. La dura e violenta battaglia che ne segue si conclude il 6 febbraio con l'accerchiamento di gran

parte delle unità superstiti della 10a armata nella zona di Agedabia, comando compreso. Nella sanguinosa

lotta cade il comandante dell'Armata, generale giuseppe Tellera che salito su un M13/40 del VI Battaglione

carri guidava personalmente l'attacco nel tentativo di aprirsi un passo. In conseguenza di ciò, l'Armata cessa

di esistere ed è da considerare sciolta in zona di operazioni il 6 febbraio 1941.

Iniziò così per mio nonno un lungo calvario di prigionia, che lo terrà lontano da casa per altri 5 anni e

mezzo.

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La tragica fine della X armata e del suo comandante.

Lettere dalla Libia del generale Tellera

di Angelo Del Boca

Alle 10.30 del 6 febbraio 1941, il grosso delle forze italiane che cercava di raggiungere Agedabia

abbandonando la Cirenaica ormai quasi completamente occupata dagli inglesi, veniva irrimediabilmente

bloccato da reparti corazzati nemici all’altezza della Bottega Araba, a 39 chilometri da Agedabia. L’immensa

colonna in ripiegamento era investita sul fianco dal fuoco delle artiglierie mentre decine di carri armati e di

autoblindo avvolgevano la testa della formazione impedendole ogni movimento.

Il piano strategico elaborato dal generale Archibald Percival Wavell era perfettamente riuscito. Mentre la

6a divisione australiana occupava Bengasi e in seguito tallonava le retroguardie della X armata italiana, che

si ritiravano lungo la strada costiera, la 7a divisione corazzata britannica, al comando del generale

O’Connor, si spingeva da Derna nel deserto, aggira va il Gebel Achdar, occupava el-Mechili e proseguiva la

sua difficile marcia su piste infami raggiungendo Msus il 4 febbraio, Antelat il 5 e la costa del Mediterraneo

il giorno seguente, chiudendo le forze italiane in una sacca senza scampo. Come racconta l’inviato del «The

Times», «nessun esercito aveva mai attraversato prima una landa così vasta. Per poter realizzare l’impresa

era stato necessario ridurre la razione dell’acqua ad un solo bicchiere al giorno, ed ogni cosa era stata

sacrificata alla velocità, persino le soste per i pasti e per il riposo notturno».

Per completare l’accerchiamento delle forze italiane i genieri britanni- ci avevano cosparso la via Balbia di

mine, rendendola impraticabile. Va anche detto che mentre i reparti inglesi motorizzati e corazzati

potevano manovrare liberamente su tutto il terreno circostante la strada, quelli italiani, montati su

automezzi, erano legati alla rotabile ed erano facili obiettivi. Si aggiunga, come riferisce uno studio dello

Stato Maggiore dell’Esercito, «che una moltitudine disordinata di militari di enti diversi e di civili si era

frammischiata alla colonna in marcia, provocando confusione e difficoltà; erano militari di truppa

appartenenti alle più svariate unità, alle compagnie lavoratori e ai servizi d’intendenza; era personale

dell’aviazione e del- la marina; erano uomini, donne e bambini provenienti da Bengasi su torpedoni e

automezzi di ogni genere».

Nella grande sacca lungo la via Balbia era rimasto rinchiuso anche il comandante della X armata, generale

Giuseppe Tellera, secondo, in ordine di grado, soltanto al governatore della Libia, maresciallo Rodolfo

Graziani. Ma mentre quest’ultimo aveva già abbandonato la Cirenaica nella notte del 2 febbraio per

trasferire il comando tattico nella Sirtica3, il generale Tellera, che aveva ricevuto da Graziani il comando di

tutte le forze dislocate nella Libia Orientale, era costretto a condividere il destino dei suoi uomini, che si

annunciava catastrofico.

Mentre parte dei militari italiani si rifugiava nella Casa cantoniera al chilometro 39 da Agedabia e vi

abbozzava una difesa, una trentina di carri armati M 13 del VI battaglione cercava di aprirsi un varco nello

schiera mento nemico, ma l’operazione non aveva alcun successo. A uno ad uno i carri M 13 venivano

distrutti dal fuoco concentrico dei mezzi controcarro, delle artiglierie e dei cannoni dei carri pesanti inglesi.

A questo punto il generale Tellera abbandonava il riparo della Casa cantoniera e, noncurante del fittissimo

fuoco, saliva su uno dei carri superstiti e cercava di risalire la colonna per andare incontro alla brigata

corazzata del generale Bergonzoli e con questa compiere l’ultimo tentativo per rompere l’accerchiamento.

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Ma mentre risaliva lo schieramento si scontrava con una formazione corazzata nemica e veniva ferito

gravemente a un polmone. In una lettera del 31 maggio 1941, il tenente medico Mauro Sabiani così

descriveva alla moglie le ultime ore del generale: «Sua Eccellenza presentava diverse ferite da scheggia di

granata in più parti del corpo, delle quali la più grave era una penetrata al polmone al terzo spazio

intercostale di destra. Era stato colpito da una scheggia di granata scoppiatagli a qualche metro di distanza.

*…+ Soffriva, respirava male, e stentava a parlare. *…+ Il Generale morì nelle mie braccia alle ore due del 7

febbraio nel deserto Cirenaico, nei pressi di Solluch. Vi sia di conforto, signora, il sapere che il vostro caro

marito non fu mai toccato da una mano che non fosse italiana: per un mio orgoglio e per un mio dovere.

*…+ Intanto gli alti comandi inglesi, che evidentemente erano stati messi al corrente del fatto, mi dettero

personalmente l’autorizzazione di accompagnare la salma a Bengasi e mi fecero accompagnare da un

capitano cappellano anglicano».

Il «Daily Telegraph» così commentava l’accaduto: «Martedì mattina, al culmine della più grande battaglia

fra carri armati della campagna, il generale Tellera veniva catturato mortalmente ferito». Il «The Times»,

dal canto suo, precisava che il funerale del generale Tellera si era svolto nella cattedrale di Bengasi «with

full military honours». Ma nessuno metteva in evidenza, come invece farà più tardi il genero di Tellera,

Giacomo Bondoni, che si trattava dell’ufficiale «più alto in grado, caduto in combattimento nelle guerre

moderne, che vedono i comandi in posizione strategica, alle spalle delle prime linee». Un incidente del

genere, ad esempio, non sarebbe mai potuto accadere al maresciallo Graziani, che aveva scelto come sede

del proprio comando una tomba greca di Cirene, scavata in profondità nella roccia e lontana centinaia di

chilometri dal fronte. A Mussolini, che aveva criticato questa scelta, rispondeva che «le tombe greche

potevano anche servire giustamente da rifugio antiaereo, e per meglio dormire qualche volta allo scopo di

ritemprare le forze che mi erano necessarie per sostenere la titanica fatica impostami».

I combattimenti lungo la via Balbia cessavano del tutto nella giornata del 7 Febbraio con la resa del

generale Bergonzoli. La X armata aveva così cessato di esistere. Si erano salvati alla cattura soltanto 7 mila

italiani e 1300 libici. Restavano nelle mani inglesi 130 mila soldati, 400 carri armati e 1200 cannoni. Anche

l’aviazione aveva subito perdite gravissime nel corso dell’offensiva di Wavell : 564 apparecchi, di cui 200

abbattuti in volo o distrutti a terra, gli altri abbandonati durante il ripiegamento per la loro inefficienza.

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Prigionia 1941 – 1946

«Ci trasferiscono dapprima a Bengasi. Sessantamila persone, rinchiuse in un campo di concentramento.

Senza mangiare, senza bere, per diversi giorni». Ci fu anche un tentativo di sommossa, una rivolta da parte

dei prigionieri, che viene ben presto soffocata dai soldati nemici. «Eravamo destinati alla fucilazione, alla

decimazione. Pensavo di poter morire anch’io. Poi, per fortuna, una trattativa condotta dai nostri superiori,

ha fatto cambiare idea ai nemici. E così fummo risparmiati». E inizia un altro trasferimento. «Da Bengasi a

Tobruk sono quasi cinquecento chilometri. Ci trasportarono in piedi, tutti ritti, ammassati, nei camion. Per

ore e ore, con il ghibli (il vento sabbioso del deserto, ndr.) che ti rendeva tutto ancor più insopportabile».

Dal porto di Tobruk, venivano imbarcati ogni settimana sulle navi inglesi migliaia di prigionieri per essere

trasportati in altre destinazioni. «Quel giorno toccava a noi. Eravamo incolonnati, la fila si assottigliava

sempre più, ma l’imbarco si arrestò e rimasero a terra tre persone prima di me, col resto che stavamo

dietro. Non c’era più spazio nella nave. La vedemmo salpare. Dopo aver percorso duecento metri, saltò in

aria, a causa di una mina. Data la vicinanza, alcuni superstiti riuscirono a salvarsi giungendo a nuoto nel

porto, ma tutti gli altri... morti».

Ma il suo viaggio di avvicinamento al Sudafrica passò prima per Alessandria d’Egitto e poi a Geneifa, campo

306. Al campo 306 la situazione era critica, vitto scarsissimo, alloggiamenti in tende e senza coperte. Le

condizioni igieniche erano precarie e il trattamento non era di certo coi guanti bianchi. Lì mio nonno

diventa il POW 141004. Da notare che il numero di matricola veniva assegnato non dopo la cattura, ma una

volta al campo. Infatti senza assegnare un numero di matricola, chi catturava i prigionieri poteva avere

mano libera contro di essi.

Campi 306 e 307 in una cartina inglese dell’epoca

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Nel frattempo a Cellino San Marco, alla mia bisnonna era arrivata la notizia frammentaria della cattura di

mio nonno, ma non sapeva altro, e in tali condizioni restò fino al 1946 quando il nonno tornò a casa. Ormai

lo credeva morto. Purtroppo, abitando in un piccolo paese del Sud Italia, le notizie non arrivavano mai.

Qui dagli archivi segreti Vaticani, ho ottenuto una lettera di richiesta di informazioni che la mia bisnonna ha

fatto per avere qualche notizia.

LA MIA BISNONNA RAMETTA CERINA

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Il 29 agosto del 41 mio nonno partì da Suez verso Durban, con scali ad Aden e Mombasa, con la nave

Viceroy of India. I prigionieri erano tenuti ammassati in stiva,giorno e notte, e il calore era soffocante. C’era

solo un’ora d’aria al giorno e il viaggio durò diversi giorni. Gli inglesi ce l’avevano a morte con gli italiani

perché li accusavano di essere tutti fascisti e per questo li lasciavano in condizioni critiche, senza igiene,

senza bagno, dando da mangiare roba vecchia e facendoli dormire sulle tavole dove si mettevano le casse.

Dopo un viaggio in treno e passando per Pretoria, mio nonno arrivò a Zonderwater. In questo campo si

vedevano migliaia di tende, per ogni tenda c’erano otto persone. E queste tende erano sostenute da un

palo metallico. Per i primi due anni a zonderwater c’erano solo tende, solo successivamente furono

costruite delle case di legno con tetti di lamiera.

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I temporali erano improvvisi e pericolosissimi, erano delle vere e proprie tempeste in cui venivano giù le

tende e i fulmini venivano attratti dal palo metallico che reggeva le stesse, in quei casi bisognava andare a

mettersi al riparo negli ospedali e nei refettori perché più di qualcuno era rimasto vittima dei temporali.

Il campo era diviso in blocchi, e ogni blocco aveva 4 campi. Mio nonno era nel blocco 8 e campo 32.

Iniziò in questo campo, un nuovo e consone sistema di vita giornaliera: sveglia al mattino, dopo la sveglia

c'é la colazione, ore 7,30 conta del prigioniero dopo la conta si andava al proprio lavoro, a mezzogiorno

pranzo, alle ore 22 il silenzio. Questa era l'inquadratura della giornata del prigioniero.

Vista l'affluenza all'apprendimento e la partecipazione di professionisti disposti ad istruire gli aventi

necessità a migliorare le proprie condizioni colturali,fu messo a disposizione " al di fuori degli orari dei

pasti" il refettorio. Scuola, parte con le classi prima seconda e terza elementare con l'andare avanti fu

istituita la quinta elementare e la scuola media. Mio nonno ha imparato a leggere e scrivere proprio a

Zonderwater.

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Il tempo inesorabilmente avanzava e le tendopoli iniziarono a trasformarsi in baracche dormitorio;perché le

tende ormai non erano più idonee all'uso. Al posto delle tende,furono costruite delle baracche (tutta

manodopera del prigioniero ) con gettata del pavimento in cemento armato, e copertura con bandoni di

zinco e armature appropriate su pali di legno ancorati nel cemento,finestre di vetro e porta centrale per

ogni baracca con capienza di venti lettini di metallo biposto. La copertura delle parti laterali della baracca

era di legno di ultima qualità con tagli grezzi di tronchi di albero; prima tagliatura della squadratura del

tronco che chiodata rimane la parte liscia all'esterno e la parte concava all'interno della baracca il cui

allineamento non era mai a perfetta tenuta e dalle fessure passava aria in quantità e quando c’erano i venti

più o meno forti,la sabbia rossa penetrava tra le fessure dei legni e investiva a tutti. Cessati i venti,si

dovevano spolverare le coperte rimaste imbrattate di polvere e poi,correre a fare la doccia all'aperto per

liberarsi dalla sabbia che si aveva addosso; però,si dormiva nelle baracche dove ci si poteva muovere

meglio,camminando diritti in piedi e più protetti dalle intemperie perché coperti e isolati dai bandoni di

zinco. Dall'interno, i legni verranno in seguito ricoperti di muro a mattoni rossi,(prodotti dai prigionieri

stessi) così si ridusse la polvere quando si elevavano i venti.

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Il cibo però era scarso, il nonno spesso diceva di aver mangiato delle bucce di patata e a volte bisognava

lavare il pane per togliere via la muffa, gli inglesi dicevano “italiani puliti, lavare anche pane”!!!

Nel periodo di permanenza al campo fu anche ricoverato per una settimana, a Novembre del 1943,

all’ospedale POW Premier Mine con diagnosi di influenza.

Abbattuto dalla vita nel campo, il nonno fece domanda per essere assegnato ai lavori esterni per lavorare in

qualche in qualche fattoria del Sudafrica.

Così fu assegnato prima al campo di Worcester (provincia del Capo) per una decina di giorni e poi nella

fattoria “Excelsior – Vlakteplaas (OUDTSHOORN)” insieme ad altri quattordici prigionieri di guerra.

Il nome del titolare della fattoria era John Schoeman. Restò dal 15 Dicembre del 43 fino al 7 agosto del

1944.

Il lavoro in fattoria era duro, si lavorava per dieci ore al giorno, ma almeno si mangiavano prodotti naturali

che venivano forniti in base al peso della persona secondo le convenzioni della Croce Rossa. L’abitazione

era isolata dalla fattoria e anche modesta, ma c’era più libertà, aria pura e un clima diverso da quello del

campo.

In questo periodo il nonno ricordava un episodio alquanto singolare, una ragazza sparì e lui con gli altri

prigionieri italiani andarono a cercarla di notte con le torce. Fu trovata in una grotta perché era stata rapita

da un gorilla!!!

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Dopo 8 mesi di lavoro nella fattoria, il nonno fu riportato nuovamente a Zonderwater, in lista d’attesa per

essere inviato in Inghilterra.

Il 19 Ottobre del 1944 fu inviato a Città del Capo ed imbarcato sulla nave EMPRESS OF SCOTLAND che salpò

il 21 Ottobre del 1944.

Dopo quindici giorni, e dopo aver fatto scalo anche per due giorni a Casablanca (dal 4-11 al 6-11), la nave

arrivò a Liverpool il 9 Ottobre del 1944.

Lo stesso giorno EMPRESS OF SCOTLAND fu oggetto di un attacco aereo via Irlanda del Nord; tre bombe

mancarono per poco la nave e una scialuppa di salvataggio esplose in mare. Il capitano( J.W. Thomas) aveva

dato ordine al timoniere di compiere un’azione evasiva che aveva permesso di far si che la nave fosse

colpita solo di striscio. Il timoniere guidava mentre era sdraiato a pancia in giù per evitare le pallottole di

mitragliatrici che sono colpivano il ponte. Tragedia sfiorata di poco quindi al suo arrivo in Inghilterra.

EMPRESS OF SCOTLAND

WAR VOYAGES OF EMPRESS OF SCOTLAND

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Presto fu assegnato al campo di lavoro 97, Birdinbury. Tale campo si trovava a Bourton, Rugby nello

Warwickshire. Diventò il POW numero B 88109.

I campi Inglesi erano sparsi su tutto il territorio in piccolissime unità e non creavano problemi di sorta per

l’ordine pubblico. Gli inglesi chiedevano di lavorare e condividere con loro il cibo a disposizione, che era

sempre meglio di quello di tanti altri campi di prigionia.

Durante questo periodo mio nonno è stato a Liverpool, Manchester, Birmingham e Coventry. Fece diversi

lavori nelle farm, dal lavoro dei campi alla costruzione di ferrovie.

Di questo periodo ricordava spesso volentieri che si incontrò con diversi cellinesi. Aveva due amici in

particolare, Mastelloni di origini campane e Polimeni di origini calabresi.

Una domenica furono invitati da una famiglia inglese a pranzare da loro, una volta seduti a tavola si

trovarono di fronte a degli spaghetti conditi con mostarda e altre cose tipicamente inglesi. Il nonno propose

a questa famiglia che se li avessero invitati a pranzare anche la domenica successiva, avrebbero preparato

loro da mangiare. E fu così che mio nonno da perfetto pugliese, con la farina preparò “le orecchiette e li

pizzicarieddhri”(pasta fatta a casa ndr.), il suo amico da perfetto napoletano preparò un ragù che fece

impazzire la famiglia inglese che li invitò ogni domenica, a patto che cucinassero loro oppure che gli

insegnassero a preparare quelle cose che erano tanto buone.

Un altro aneddoto riguarda sempre il suo amico napoletano, che una sera, di ritorno con mio nonno e altri

Pow alla loro farm di appartenenza, inciampò in una bottiglia vuota che si trovava vicino a una casa. La

bottiglia cadendo rivelò un piccolo tesoro, delle monete che si trovavano sotto. Fu così che prima di

rientrare alla farm alzarono tutte le bottiglie vuote per recuperare quel tesoretto, lasciando i poveri inglesi

senza latte il giorno successivo!

In Inghilterra mio nonno trovò l’amore, si innamorò di Mary, un’insegnante di scuola elementare figlia di un

capostazione, e con lei ebbe anche un figlio, che chiamò Bruno, ma quest’amore fu interrotto dal rimpatrio

che avvenne nel maggio del 1946. Mio nonno aveva la foto di Mary e quella del bambino, purtroppo sono

andate perse, si scrivevano spesso e mio nonno voleva ritornare in Inghilterra a rivederla e a vedere il

bambino. Nel frattempo Mary si era però risposata e il nuovo marito aveva dato il suo cognome a Bruno e

per la stabilità del bambino disse a mio nonno che non era più il caso di rivedersi o di sentirsi.

Rientrò a Cellino nel 12 maggio del 1946, tra lo stupore di tutti, fratelli e sua madre che ormai lo credevano

disperso in guerra.

Nel 1948 conobbe mia nonna e la sposò nel 1950. Ha sempre raccontato a mia madre e mia zia che

purtroppo aveva vissuto quelli che dovrebbero essere gli anni più belli della vita tra privazioni e sofferenze

dovute alla guerra e alla prigionia.

Caro nonno, se mi vedi da qualunque parte tu sia, ti dico che sono orgoglioso di aver avuto un nonno come

te, ma non solo per quello che hai dovuto vivere e sopportare, ma anche per quello che hai dimostrato di

essere per tutto il resto della tua vita… Tutte le persone che ti hanno conosciuto mi hanno raccontato di

una persona con qualità straordinarie, grazie per i valori che hai trasmesso alla mamma e alla zia… L’unico

rammarico è averti incontrato per così breve tempo… Un abbraccio, tuo nipote Alessandro…

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FOGLIO MATRICOLARE PAG1

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FOGLIO MATRICOLARE PAG.2

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CARTELLA CLINICA ZONDERWATER

FOGLIO DEI LAVORI ESTERNI

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MINISTERO DELLA DIFESA – FOGLI DI PRIGIONIA

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MINISTERO DELLA DIFESA – FOGLIO DI PRIGIONIA 2

CROCE DI GUERRA

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ARCHIVIO SEGRETO VATICANO

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CROCE ROSSA INTERNAZIONALE

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CROCE ROSSA

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MATRIMONIO 1950

FOTO DI FAMIGLIA

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